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ELEMENTI DI LINGUISTICA ITALIANA

(Ilaria Bonomi, Andrea Masini, Silvia Morgana, Mario Piotto)

CAPITOLO 1 --- L’ITALIANO CONTEMPORANEO E LE SUE VARIETÁ

L’italiano e la variazione linguistica


Come tutte le lingue storico-naturali, anche l’italiano si presenta in forme di-
verse in base a l’uso che se ne fa(se si sta scrivendo un romanzo, un saggio,
un manuale medico, etc): il codice, ossia la lingua italiana, è sempre lo stesso,
ma la sua attuazione varia nello stile, nella costruzione dei costrutti, nella pro-
nuncia, etc.
L’italiano “standard” è il punto di riferimento, ma è solo una delle possibilità
espressive degli italiani.

Le varietà dell’italiano contemporaneo dipendono da 5 parametri che si intrec-


ciano in ogni produzione linguistica.
Questi Parametri di variazione sono: diamesia, diastratia, diafasia, diacro-
nia, diatopia.

- DIAMESIA: dal greco mèsos = mezzo, rappresenta il mutamento della lin-


gua secondo il mezzo fisico impiegato (l’aria, la pagina scritta, le onde radio,
ecc.).
L’oralità, per esempio, si avvale dei mezzi prosodici (intonazione, pause, ecc.)
e dei tratti paralinguistici (gestualità, distanza spaziale, ecc).
- DIASTRATIA: dal greco stràtos = strato, rappresenta la variazione legata
alle condizioni sociali dell’utente, come lo status socioeconomico ma anche
l’istruzione scolastica, il tipo di occupazione, ecc. Una peculiare varietà dia-
stratica in via di diffusione, per esempio, è costituita dall’italiano praticato dal
crescente numero di immigrati.
- DIAFASIA: dal greco phàsis = parlare, rappresenta la variazione che dipen-
de dalla situazione comunicativa, dalle funzioni e dalle finalità del messaggio,
dal contesto generale, ecc. Lungo quest’asse si distinguono ai due estremi le
varietà più formali della lingua e quelle più informali e confidenziali.
- DIACRONIA: dal greco krònos = tempo, rappresenta il parametro di varia-
zione legato alla dimensione cronologica, all’evoluzione della lingua nel tem-
po. Differenza tra anziani e giovani d’oggi.
- DIATOPIA: dal greco tòpos = luogo, rappresenta la variazione determinata
dalla dimensione spaziale, quindi a seconda della provenienza geografica.

Esistono in Italia tanti dialetti che si possono raggruppare in tre grandi aree:
dialetti settentrionali, centrali e meridionali.

Repertorio linguistico: insieme di tutte le varietà di lingua presenti in una


comunità di persone. Il repertorio linguistico dell’Italia contemporanea include,
oltre all’italiano standard, anche i dialetti e numerose lingue non italiane, le
lingue alloglotte e le lingue immigrate.
In alcune parti d’Italia, come in Val d’Aosta, esiste un sostanziale bilinguismo
tra italiano e francese, in Alto Adige tra italiano e tedesco, ecc.
- Lingua, dialetti, italiani regionali

I dialetti, al pari di una lingua, hanno una loro lessico e una loro grammatica e
si prestano a essere usati in ambito letterario. Ma sono solitamente circoscritti
a un’area, sono meno raffinati e non contengono (spesso) termini scientifici o
intellettuali. Può avvenire però un’evoluzione di un dialetto: come nel caso del
fiorentino
antico, che ha acquisito prestigio e è diventato lingua nazionale dell’Italia.
L’uso dei dialetti è oggi in declino: la lingua comune si sta espandendo tramite
mass media, televisione, etc
Ma il dialetto trova una nuova collocazione con un’immagine diversa e rinnova-
ta: le parlate locali, ora che la lingua italiana si è formata, non è vista come
sintomo di ignoranza. Si deve però distinguere in:

_ dialetti italianizzati, risultato dell’influsso dell’italiano sulle parlate locali,


con la conseguente creazione di parole dialettali “nuove” basate su parole ita-
liane (es: televisione > televisiuni in siciliano)
_ italiani regionali, varietà di italiano, soprattutto parlato ma anche scritto,
che mostra caratteristiche peculiari di un’area geografica/regionale; si tenga
comunque presente che i confini regionali non coincidono sempre con quelli
linguistici. Avviene una reazione di sostrato: una lingua si afferma in un’area
subisce l’influenza della lingua precedente (il dialetto).

Minoranze linguistiche o alloglotte: rappresentano il 5% della popolazione


italiana, percentuale elevata.
Troviamo: parlate provenzali (Piemonte), dialetti franco-provenzali (Val d’Ao-
sta), parlate ladine (valli dolomitiche, Friuli), parlate tirolesi (Alto Adige), dia-
letti sloveni (confine nord-orientale), croato (alcuni centri del Molise), parlate
albanesi (Italia meridionale, soprattutto Calabria), dialetti di origine greca (al-
cune località della Puglia salentina e in Calabria in zona Aspromonte, il catala-
no, parlato ad Alghero, i dialetti dei rom e dei sinti.

L’italiano parlato

La varietà del parlato che mostra oggi la maggior capacità espansiva è l’oralità.
I tratti principali del parlato dialogico sono:
linearità e immediatezza del messaggio, evanescenza del messaggio
(effimero), uso dei tratti prosodici e di quelli paralinguistici, interazione e com-
presenza dei due interlocutori nello stesso spazio.
Nella sintassi della frase il parlato predilige andamenti con un ordine diverso
rispetto a quello non marcato, che allinea soggetto, predicato e complemento.
Sono costrutti che mettono a fuoco un elemento della frase attraverso la sua
collocazione in prima sede, nella posizione di tema (dato che si presuppone
noto all’interlocutore, contrapposto al rema, elemento informativo nuovo).
Molto ricorrente è, appunto, la dislocazione a sinistra (“il giornale lo compra
Mario” ), anche sotto forma di nominativo assoluto, dove l’elemento disloca-
to a sinistra è del tutto esterno alla frase e sempre separato da una pausa (“la
mamma, le ho regalato uno scialle”).
Frequente anche l’anacoluto, che indica una frattura, una deviazione sintatti-
ca nella strutturazione della frase (“chi si fa pecora, il lupo se lo mangia”).

Meno frequente la dislocazione a destra: “Lo compra Mario, il giornale”.

Nell’oralità le frasi stesse vengono costruite in modalità diverse rispetto allo


scritto. Sono ricorrenti:
_ la dislocazione a sinistra
_ costrutti più diretti e “nuovi” del parlato moderno, come l’uso di lui/lei/loro
invece che egli/ella/essi
_ l’uso abbondante di connettivi testuali e intercalari (e, ma, cioè, etc)
La lingua della conversazione, inoltre, ricorre a segnali discorsivi, come gli in-
tercalari inconsapevoli (cioè, diciamo, è vero,…), che mantengono vivo il con-
tatto fra gli interlocutori e assecondano la funzione fàtica della lingua (che con-
trolla il canale comunicativo).

Il lessico in realtà non differisce tra orale e scritto: diversa è la selezione della
parole, che nell’oralità sono più immediate e ricercano espressività, mentre lo
scritto predilige vocaboli più letterari e/o curati.
La radio e la televisione veicolano una nuova forma di oralità, che
spesso è a senso unico: nelle trasmissioni il fruitore non può interagire e
è passivo; se c’è intervento telefonico, è chi conduce il programma a decidere
quando e come tenere la conversazione. Il linguaggio radiotelevisivo ha carat-
teristiche particolari: tende a una struttura semplice, diretta, immediata, para-
tattica, nominale, e evita le pronunce regionali.
Il web è un altro canale soggetto a evanescenza, ma è fulcro di molti processi
comunicativi.

Italiano popolare: espressione linguistica propria degli incolti e dei semicolti.

Gergo: ancor più lontano dallo standard, rispetto all’italiano popolare, è la lin-
gua propria di alcuni gruppi di persone ai margini della società, che ne fanno
uso all’interno della loro cerchia, per promuovere il senso di appartenenza al
gruppo ed escludere gli estranei dalla comprensione.
Italiano burocratico: quello confezionato negli uffici pubblici, dal carattere
intimidatorio e formale, ricorrente spesso al serbatoio latino (obliterare, rinve-
nire, istanza,ecc.) e molto vicino al linguaggio della giurisprudenza.
Lingue speciali: sono linguaggi settoriali, tecnici, professionali, che si riferi-
scono ad un determinato ambito specialistico. Imponente il ricorso a codici
stranieri (soprattutto inglese per la medicina), al latino, al greco, l’adozione di
suffissi dotati di significati specifici (- oso, -ite, …), l’uso di sigle e di voci poli-
rematiche (via cavo, addetto stampa,…).

Italiano standard: espressione dotata di una sostanziale stabilità, garantita


dalla codificazione grammaticale, depositata nei vocabolari. L’italiano standard
è posseduto da un numero di parlanti assai ristretto, un’élite di intellettuali,
quindi dalle classi più istruite e si manifesta nella varietà scritta e solo presso
un’esigua minoranza in quella parlata.

CAPITOLO 2 --- LE STRUTTURE DELL’ITALIANO

Fonologia e grafia
La fonetica studia i suoni (o fòni): sono le minime entità fonico-acustiche della
lingua (es. francesi, italiani e spagnoli pronunciano in modo diverso la r. Si
tratta però di modalità diverse, quindi di fòni diversi).
La fonologia studia i fonemi: sono le minime entità linguistiche non dotate di
significato in sé, ma che distinguono due parole differenti (es. cane/pane han-
no l’iniziale che le distingue, ma anche bòtte/botte).
I segni grafici che riproducono i foni e i fonemi sono le lettere o grafemi, il
cui insieme costituisce il sistema alfabetico.
Il sistema fonologico dell’italiano standard si basa sul fiorentino e comprende
30 fonemi: 7 vocali, 21 consonanti e 2 semiconsonanti (J e W).

Esistono in ogni lingua vocali e consonanti:


_ le vocali sono 7 in posizione tonica (accentata): casa, sette – cena (a/c), lite,
voglia - come (a/c), lupo
_ le consonanti si dividono considerando tre elementi:
_ modo di articolazione, in base a come l’aria esce dalla bocca e/o dal naso.

Tipi:
1> occlusive (c, b, t) 2> continue (l, r, s, f, n) 3> affricate (ts di zio, tʃ di cena)
_ luogo di articolazione, in base a come sta la lingua rispetto a labbra e denti.
Tipi:
1> bilabiali (p, b) 2> labiodentale (v) 3> dentali (t, d) 4> alveolari (l) 5> vela-
ri (k, g) 6> palatali (ʃ)
_ opposizione sordità/sonorità, in base al fatto che le corde vocali vibrino o
meno

 
 
La vocale è un fono pronunciato senza che l’aria, uscendo dal canale orale, in-
contri ostacoli e con la vibrazione delle
corde vocali; la prima grande distinzione da attuare è quella tra vocalismo ton-
ico e vocalismo atono.
Il vocalismo italiano standard distingue 7 vocali, con 5 segni grafici, che si divi-
dono in:
- fonemi vocalici in posizione tonica (con accento): a, (aperta – “se!e”), e
(chiusa – “cena”), i, (aperta – “voglia”), oƐ Ɔ
(chiusa – “come”), u
- fonemi vocalici in posizione atona (senza accento): a, e, i, o, u
L’ordine con cui si dovrebbero elencare le vocali sarebbe: i, e, , a, o, , u ed
esse vengono rappresentate nel triangoloƐ Ɔ
vocalico. Il sistema vocalico italiano, derivando da quello la no, fa riferimento
ad esso, ma quando si afferma che l’italiano discende dal latino, è necessario
precisare che l’italiano standard contemporaneo è una continuazione
dire!a del latino volgare, ma non di quello classico.

Le sillabe accentate sono de!e toniche, mentre quelle non accentate sono de!e
atone ma, oltre all’accento primario
(che distingue toniche e atone), in italiano può esserci anche un accento sec-
ondario (“asciugamano” ha l’accento
primario su “ma” e quello secondario su “sciu”).
La maggior parte delle parole sono accentate sulla penul ma sill-
aba e per questo vengono de-nite piane o
parossitone (“casa”, “volere”); quando l’accento cade sull’ul ma sillaba le pa-
role sono tronche o ossitone (“virtù”,
“andò”); se l’accento cade sulla terzultima sillaba, la parola è proparossitona
(“tenebra”); sono molto rare le parole
bisdrucciole (“scivolano”) e trisdrucciole (“dammeli”).
Le parole prive di accento proprio sono cli"che e si classificano in enclitiche, se
si appoggiano alla parola precedente e si scrivono tutte attaccate (“vistala”,
“dirvi”) e proclitiche se si appoggiano alla parola seguente e si scrivono sepa-
rate (“mi vede”).

Iato: incontro di due vocali che non formano dittongo: es. paese, spia, paura.
Elisione: caduta di vocale finale di fronte a parola iniziante per vocale: d’amo-
re.
Troncamento o apocope: caduta della parte finale di una parola: andar via,
vuol correre, po’, di’, sta’ (imperativi).

Le parti del discorso sono nove: nome, articolo, aggettivo, pronome, verbo,
avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione.

Ordine delle parole (o topologia) e sintassi marcata


Lessico

Termini fondamentali:
_ lessico, insieme delle parole di una lingua _ lemmario, insieme dei lemmi di
un dizionario
_ vocabolario, insieme delle parole di una lingua _ dizionario, opera che rac-
coglie il lessico
_ lessicologia, disciplina che studia il lessico _ lessicografia, tecnica di compo-
sizione dei dizionari
_ parola, vocabolo in senso generale _ termine, parola di un linguaggio setto-
riale, univoca
_ lessema, unità di base del lessico _ lemma, unità lessicale registrata nel di-
zionario
_ semantica, settore del lessico relativo al significato
Il lessico fondamentale di una lingua è costituito dalle voci più frequenti, di
cui comune, che possono garantire una comunicazione primaria all’interno del-
la società (in quella italiana le voci sono 7.000)

CAPITOLO 3 --- ELEMENTI DI TESTUALITÁ


Testo e tipologie testuali

Werlich distingue cinque fondamentali tipi di testi:


_ narrativo, che registra un’azione o un processo nello svolgersi del tempo. Si
può parlare di fabula (cioè l’ordine naturale degli eventi nella loro successione
temporale e causale) che coincide con l’intreccio/la trama.
Il narratore può interrompere il flusso lineare con l’uso di analessi (flashback) o
prolessi (anticipazioni)
_ descrittivo, che rappresenta persone, oggetti, ambienti in una dimensione
spaziale
_ espositivo, che è finalizzato alla trasmissione di concetti e conoscenze attra-
verso analisi e sintesi
_ regolativo, che ha lo scopo di indicare regole e dare istruzioni
_ argomentativo, che ha lo scopo di persuadere di qualcosa il destinatario

Un’altra proposta tipologica è stata avanzata più recentemente da Sabatini,


che propone un modello si fonda sul principio di rigidità/elasticità del vincolo
interpretativo. Indica tre gruppi:
_ testi per i quali il vincolo interpretativo posto dall’emittente al destinatario è
massimo (es. testi di legge)
_ testi per i quali l’emittente tempere la necessità di un’interpretazione aderen-
te alla propria, poiché intende far raggiungere per gradi al destinatario uno
stadio di conoscenze o posizioni diverso da quello di partenza
_ testi dove, da parte dell’emittente, non c’è una rigida volontà interpretativa
(si lascia libertà al destinatario)

I requisiti del testo

Chi produce un testo vuol comunicare qualcosa. Si deve garantire l’appropria-


tezza comunicativa con:
_ coesione, primo livello nel collegamento grammaticale di tutte le parti del te-
sto (unità superficiale)
_ coerenza, collegamento logico di tutti i contenuti del tempo (unità concettua-
le). La coerenza deve essere:
tematica (attorno al tema si snodano tutte altre informazioni, che compongono
il rema), logica, semantica
_ principi pragmatici, quali: _ intenzionalità, le intenzioni comunicative devono
essere chiare
_ accettabilità, la capacità di intendere il testo da parte del destinatario
_ informatività, il grado di informazione veicolata dal testo
_ situazionalità, dipendenza del testo dalla situazione in cui è prodotto
_ intertestualità, rapporto tra un testo e altri testi simili già prodotti

La lingua e il contesto extralinguistico

Un testo non può essere definito trascurando le sue relazioni extralinguistiche,


la sua contestualizzazione, la sua dimensione pragmatica. L’oggetto della
linguistica pragmatica, in particolare, è l’uso del linguaggio all’interno di
una data situazione comunicativa, e l’idea che chi comunica compie degli atti
linguistici.
Grice, un filosofo, stilò una teoria pragmatica: la conversazione si dovrebbe
svolgere rispettando delle regole, che nella realtà non vengono mai davvero
rispettate. Si tratta di quattro massime:
_ quantità dell’informazione da fornire (né più né meno del necessario)
_ qualità che riguarda il contenuto (deve essere vero)
_ relazione che richiede di essere pertinenti
_ modo che richiede di evitare ambiguità, dilungazioni e disordine nell’esposi-
zione
Deissi → aspetto della lingua che viene chiarito proprio nella dimensione
pragmatica. Essa è un fenomeno per cui alcuni elementi linguistici hanno la
proprietà di mettere in relazione l’enunciato con la situazione in cui è prodotto.
Si distingue in: _ deissi personale, si riferisce a quelli che partecipano alla co-
municazione e se ne indica il ruolo: gli elementi linguistici che hanno inscritto
in sé tale riferimento sono i pronomi personali.
_ deissi sociale, si realizza per mezzo dei pronomi allocutivi (usati per rivolgere
la parola a qualcuno, per esempio tu o lei)
_ deissi spaziale, si indica la collocazione nello spazio di chi partecipa alla co-
municazione. Sono deittici spaziali gli avverbi qui, qua, lì, là, i pronomi e gli
aggettivi dimostrativi.
_ deissi temporale, si indica la collazione nel tempo. Sono deittici temporali gli
avverbi adesso, ora, allora, ecc.

Costrutti marcati: si può dire che in italiano l’ordine basico dei costituenti di
una frase sia dato dalla sequenza S-V-O (soggetto-verbo-oggetto). Talora,però,
quest’ordine non è rispettato per particolari esigenze comunicative, e ad esso
si preferisce un ordine marcato dei costituenti, quando cioè, l’ordine basico dei
costituenti non è rispettato o quando alcuni elementi vengono messi in rilievo
per determinati fini.
Il più frequente di questi costrutti è la dislocazione a sinistra: un elemento
diverso dal soggetto viene spostato a sinistra dell’enunciato, divenendone il
tema-dato —-> la mela la mangia Andrea; a Milano ci torno giovedì.
Secondo Berruto, la dislocazione a sinistra è quel fenomeno per cui chi parla
tende ad anticipare l’argomento che maggiormente lo coinvolge emotivamente,
il suo centro d’interesse.

CAPITOLO 4 --- PROFILO DI STORIA LINGUISTICA ITALIANA

Premessa
In questo capitolo si affronta la variazione della lingua italiana dal punto di vi-
sta diacronico (del tempo).
Si usa una periodizzazione così divisa:
_ dalla frammentazione linguistica medievale al primato del fiorentino letterario
sugli altri dialetti (dalla
prima documentazione di testi in volgare alla fine del Trecento)
_ unificazione, norma ed espansione dell’italiano (dalla fine del Trecento all’uni-
ficazione politica)
_ da lingua della letteratura a lingua di uso nazionale (dall’Unità all’età con-
temporanea)
Questa storia linguistica si può così riassumere: l’italiano si è formato sulla
base di un volgare locale, il fiorentino, che ha acquistato un grande prestigio
letterario grazie all’opera di alcuni scrittori (le “tre corone”:Dante, Petrarca,
Boccaccio); si è imposto nel Trecento su tradizioni linguistiche e culturali di al-
tre aree; è stato codificato grammaticalmente nel Cinquecento, diventando lin-
gua letteraria comune anche senza unità politica.

Circostanze storiche hanno portato al primato del fiorentino sugli altri volgari:
_ circostanze esterne, la supremazia politica, economia, letteraria di Firenze
sulle altre città toscane
_ circostanze interne, la maggiore vicinanze del fiorentino al latino rispetto alle
altre parlate
L’italiano è caratterizzato dalla letterarietà, ma lungo cammini differenti: la
poesia si era già unificata alla fine del Trecento, mentre la lingua della prosa si
sviluppò lentamente, perché doveva assolvere funzioni diversissime che ri-
chiedevano una pluralità di registri. Inoltre, si tenga conto che l’italiano era
sempre stata una lingua prevalentemente scritta, mentre tutta la popolazione
comunicava invece con i vari dialetti regionali.

Dalla frammentazione linguistica medievale al primato del fiorentino


letterario
Le prime attestazioni scritte dei volgari parlati si aggirano attorno al IX-X seco-
lo, per i testi scritti con finalità pratiche, mentre bisogna aspettare la fine del
XII secolo per quelli con intenzioni letterarie.
Chi cominciò a scrivere in volgare? Notai, mercanti, religiosi: persone che
svolgevano una funzione mediatica per chi letterato non era. L’esigenza di
comunicare (leggi, decreti) si allargò poi a tutti i settori.
La lingua poetica in volgare avviò la propria tradizione con la nascita della
scuola siciliana, che sperimenta l’impiego del volgare sulle orme della poesia
provenzale, ponendo le basi per una successiva tradizione lirica.
Agli inizi del XIII secolo ci sono i primi documenti poetici della letteratura giul-
laresca, mentre attorno al 1220 inizia la poesia religiosa, con il “Laudes creatu-
rarum” di San Francesco, che avvia la tradizione delle laudi.
Lungo il Duecento si aprì tutta la tradizione della poesia didattico-moraleggian-
te.
Torniamo alla scuola siciliana: essa usa un volgare nobilitato attraverso il latino
e il provenzale (diffusi i gallicismi), usando temi, immagini e repertorio della
poetica trobadorica. I copisti toscani ricopiavano i testi dei siciliani dandovi
però una patina toscaneggiante, modificandoli nel lessico (parte una tradizione
di poeti Siculo-toscani e Toscano-siculi). Dante ammira i siciliani, che impiega-
no una lingua lontana dal volgare locale, di gusto prestilnovista. Nello Stilnovo
i poeti innovarono il tema amoroso con vene intellettuali e psicologiche.
Dante nel “De vulgari eloquentia” riflette su tutti questi temi, ponendo come
soggetto del testo lo stile poetico (non ancora la lingua): si parla del volgare
come elaborazione artistica e strumento di comunicazione letteraria. La tratta-
zione si volge verso la ricerca di una lingua altamente letteraria, condannando i
volgari ritenuti peggiori. Nel “Convivio” c’è un ulteriore arricchimento: il poeta
lo scrive interamente in volgare e ammette la superiorità di quest’ultimo, che
dovrebbe essere accessibile a un più largo pubblico.
Perché il volgare arrivasse a splendere (Dante lo chiama “il sole nuovo”) dove-
va arrivare a una dignità pari a quella del latino. Furono le “tre corone” a per-
mettere tutto questo: Dante, Petrarca, Boccaccio.
Dante con la “Commedia”, ribattezzata “Divina” da Boccaccio. Di grande impor-
tanza per la storia della lingua, la “Commedia” ebbe fortuna e popolarità: letta,
commentata, imparata a memoria anche dai meno colti.
La “Commedia” è scritta con un metro nuovo (la terzina), è caratterizzata da
ricchezza espressiva data dalla mescolanza degli stili e dalla pluralità del lessi-
co: i registri (alto e basso) del fiorentino vengono tutti usati.
Petrarca con il “Canzoniere”, dedicato a Laura. Esso determinò l’unificazione
della lingua poetica. Il Petrarca continuò a correggere e rivedere il testo per
tutta la vita, cercando di nobilitarlo sempre di più: il lessico è infatti circoscritto
a un numero di termini, che fu modello linguistico alto e selettivo per decenni.
Boccaccio con il “Decameron”, che fu rilevante per la lingua della prosa: inau-
gurò la prosa narrativa, di intrattenimento, rivolta a un pubblico ampio, non
letterato. In cento novelle, in stili sempre mutevoli, con varietà espressive dal-
le più basse alle più alte, con parodie e comicità, senza mai sminuire la base
fiorentina.

Unificazione, norma ed espansione dell’italiano letterario

In età umanistica (metà Trecento) l’espansione del fiorentino parve rallentare:


l’ammirazione per i classici greci e latini faceva disprezzare il volgare,
lingua inferiore. Gli umanisti volevano restaurare il latino ciceroniano
e grammaticale, con due conseguenze: rendevano il latino poco utile per gli
scopi pratici, mentre il volgare (emarginato dalla letteratura) prese a espan-
dersi in scritti epistolari, amministrativi, burocratici, etc.
Leon Battista Alberti (Quattrocento) avvia un processo di rivoluzione letteraria:
l’Umanesimo volgare.
Scrisse una grammatica basata sul fiorentino colto dei suoi tempi: una gram-
matica moderna.
Lorenzo de’ Medici fondò un circolo letterario, dove il riscatto del volgare si ba-
sava sulla rivalutazione della tradizione linguistica e letteraria toscofiorentina, e
diviene strumento della politica medicea.
Vi furono delle teorie “fiorentiniste” e “toscaniste”: consideravano la regolarità
e la bellezza della lingua come un dato intrinseco e naturale, non come fatto
dovuto all’elaborazione letteraria.
La svolta avvenne col sodalizio tra Manuzio, stampatore rinascimentale, e
Bembo, letterato venziano: quest’ultimo applicò la sua esperienza di filosofo
umanista alla stampa dei classici volgare e scrisse un trattate,
le “Prose della volgar lingua” (1525). Il friulano Fortunio scriveva “Regole
grammaticali della volgar lingua”nello stesso periodo: fu la prima grammatica
volgare a stampa, basata sulle “tre corone”.

Tornando a Bembo, nelle “Prose” indicò Petrarca come esempio per la poesia,
Boccaccio per la prosa: rifacendosi al principio ciceroniano dell’imitazione, con-
sigliava agli scrittori di rifarsi totalmente a questi due.
Le “Prose” dunque fornivano agli scriventi non toscani e all’editoria volgare un
punto di riferimento sicuro, tanto che esse divengono presto un manuale alfa-
betico. In pochi decenni, il fiorentino letterario divenne il modello più imitato e
studiato: insomma, una lingua italiana letteraria.
Ma le “Prose” esaltavano un fiorentino vecchio, non moderno, inoltre sminuiva-
no la grandezza linguistica di Dante, messo in secondo piano per la fin troppo
grande pluralità linguistica della “Commedia”.
Varchi scrisse nell’“Hercolano” (1570) che la lingua è un fatto vivo e naturale,
dallo stile ai vocabili: poneva in primo piano la natura parlata della lingua, ma
rivendicava l’azione regolatrice degli scrittori.
Nacque l’Accademia della Crusca (1582) proprio per tentare di ridare a Firenze
il ruolo di legislatrice: Salviati scrisse il “Vocabolario degli Accademici della
Crusca” (I ed, 1612), dove affermava la purità della lingua fiorentina trecente-
sca, importante come documento linguistico, ma parlava del valore del fioren-
tino moderno, vivo e corrente, non quello plebeo ma nemmeno
quello troppo elaborato. Il “Vocabolario” documentava le voci degli scrit-
tori maggiori e minori del Trecento, selezionando le voci moderne da autori che
l’avevano imitato, senza però introdurre voci “nuove” (non documentate da te-
sti d’autore).
Tasso, escluso dal “Vocabolario” perché la sua “Gerusalemme liberata” era sta-
ta composta con una lingua considerata troppo “antitradizionale e peregrina”,
divenne l’emblema degli oppositori alla Crusca, che cominciò a venire attac-
cata da chi rivendicava la lingua moderna e contemporanea. Veni-
vano considerati “antitradizionali” lo stile (uso inedito di metafore, antitesi,
etc) e il lessico (non si accettavano i modernismi).
Galilei determinò una nuova svolta: passato per il latino, sentì la necessità di
divulgare le sue scoperte anche presso i non specialisti: usò riformulazioni per
spiegare termini tecnici come cannocchiale, macchie solari, etc
Spiegandosi nei suoi testi con forme lessicali nuove, che incideranno nell’evolu-
zione dell’italiano.
Dal Cinquecento si ha una documentazione di scritture semicolte provenienti
da varie regioni, prodotte da scriventi, uomini e donne, con grado modesto di
alfabetizzazione. L’alfabetismo era necessario per comunicare.

La promozione del fiorentino al ruolo di lingua scritta fece scadere le varie par-
late locali in Italia, con delle eccezioni: c’era chi rivendicava i dialetti, facendo
fiorire una letteratura “rusticale”, che per esempio in
Toscana sperimentava il fiorentino contadinesco in chiave parodica.
Nel XVIII sec furono stampati dizionari dialettali: i termini dialettali sbagliati li
sostituivano con italiani, in una nuova apertura verso i termini delle arti e dei
mestieri. La scuola divenne un nuovo canale di diffusione:
non più insegnamento del latino, ma dell’italiano. I giornali divulgavano la cul-
tura italiana e straniera a un pubblico di non specialisti, contribuendo allo svec-
chiamento delle strutture sintattiche e lessicali. Il teatro si fece comico, allar-
gandosi a un pubblico più ampio: commedie di stile familiare, con un italiano
colloquiale.
I rapporti culturali con altri stati, come la Spagna, ebbero riflessi nella stampa:
molti i testi per insegnare le voci iberiche, e molti i nuovi vocaboli, necessari
per designare frutti, piante, animali esotici.

Il “Caffè” è un punto di riferimento per l’evoluzione della lingua: scriveva Cesa-


re Beccaria della stretta connessione tra il rinnovamento della lingua e quello
delle idee e della cultura, un rinnovamento che si verificava in direzione euro-
pea. Era infatti il francese la nuova lingua universale della cultura, che però
influenzava non la letteratura, ma i campi della scienze e della tecnica.
Nel “Caffè” c’erano le posizioni più radicali: ci si ispirava al razionalismo, che
esaltava gli aspetti logici e comunicativi del linguaggio e ne svalutava gli aspet-
ti retorico-letterari. Cesarotti, non dello stesso parere, promuoveva la retorica
e i suoi aspetti espressivi nel “Saggio sopra la lingua italiana”, dove parla an-
che della diffusione dei francesismi (la Francia era forte economicamente
e per l’espansione dell’illuminismo): il francese era lingua viva, concreta, e de-
terminò in italiana la diffusione del bilinguismo.
L’Arcadia (fine Seicento) era una corrente che promuoveva al contrario il recu-
pero del linguaggio poetico tradizionale, disciplinato dalle esigenze di chiarezza
e semplicità proprie del classicismo razionalista.
Alessandro Manzoni si fece largo nella sempre più pressante esigenza dell’unità
della lingua: con le sue idee romantiche, diceva che si trattava di recuperare la
dimensione unitaria e la funzione sociale della lingua colmando la secolare frat-
tura tra scritto e parlato. Lo apprezzavano i puristi, che aspiravano a una lin-
gua naturale e popolare, e i classicisti, che volevano la rivalutazione della mo-
derna cultura filosofica e scientifica.

Da lingua della letteratura a lingua d’uso nazionale

Le tre relazioni del romanzo di Manzoni corrispondono a tre fasi di elaborazione


linguistica e riflessione:
_ il “Fermo e Lucia”, scritto tra 1821-1823 (non pubblicato)
_ la I edizione de “I Promessi Sposi”, scritta tra 1825-1827 (la Ventisettana)
_ la II edizione, definitiva, scritta tra 1840-1845 (la Quarantana)
La stesura del romanzo storico poneva al centro personaggi popolari, e la lin-
gua della prosa era inadeguata.
La lingua del “Fermo e Lucia” è ibrida, presenta mescolanze linguistiche troppo
marcate secondo il Manzoni.
Riscrivendo l’abbozzo, cerca di ottenere un’uniformità linguistica fondata sulla
lingua della tradizione e il suo milanese (la sua lingua, viva). Dopo la seconda
stesura, capisce che è la lingua davvero viva che sta cercando:
capisce che la via dell’unificazione linguistica è il fiorentino vivo e parlato, e
corregge il romanzo cercando di attribuirgli una fisionomia più moderna, elimi-
na le forme troppo letterarie e le sostituisce con quelle correnti, conquistando il
suo pubblico con uno stile semplice, assorbendo la cultura orale, creando un
capolavoro.
La letteratura postuma continuerà nell’uso di espressioni ibride, ma Manzoni
persegue nel suo intento della lingua unitaria, componendo “Lettera a Giacin-
to Carena” (1847) sulla questione linguistica e in seguito inviando al mini-
stro della Pubblica istruzione una “Relazione sull’unità della lingua e i mezzi
per diffonderla” (1868), dove proponeva la creazione di un vocabolario della
lingua italiana fondato sull’uso vivo di Firenze, a cui sarebbero seguiti vocabo-
lari dialettali in funzione di “traduzione” da dialetti vari a fiorentino. Manzoni
promuoveva la scuola al centro del processo di diffusione dell’italiano.
In età postunitaria, l’attenzione alla lingua parlata prese piede grazie ai
successi di alcuni libri per l’infanzia: “Pinocchio” di Collodi (1883), “Ciondoli-
no” di Vamba (1896), “Cuore” di De Amicis (1886).
“Pinocchio” in particolare fu la svolta: il suo fiorentino “medio” non ha tratti
popolareggianti, ma piuttosto del parlato familiare, con tanto di espressioni
idiomatiche che entrarono presto nell’uso comune.
Per ottenere il pieno possesso della lingua (l’italofonia) non ci si poteva limitare
alle scuole elementari. Ma ci furono altri fattori socioeconomici: _ il fenomeno
delle migrazioni interne e l’urbanizzazione
_ l’apparato amministrativo centralizzato, col suo italiano burocratico
_ insegnamento nelle scuole militari (il servizio era obbligatorio)
_ la diffusione della stampa e delle trasmissioni di massa (radio, tv)

Negli ultimi decenni, l’italiano ha avuto un’espansione costante: molti conti-


nuano a essere bilingui (italiano e dialetti), ma l’italiano avanza sia negli usi
familiari che fuori casa, e molti sono solo italofoni. Il sogno si è avverato: lin-
gua letteraria per secoli, l’italiano è ora parlato dal più del 90% della popola-
zione.
Questo perché la letteratura ha smesso di avere un ruolo fondamentale: essa
si scontra ormai con forze e protagonisti nuovi: giornali, mezzi di comunicazio-
ne di massa, pubblicità. In due parole: mass media.

La lingua letteraria: nuovi percorsi


I caratteri tradizionali della poesia vengono intaccati dalle esigenze del reali-
smo già col romanticismo: il risultato fu l’ibridismo, la compresenza di vecchio
e nuovo, di aulico e popolare.
I poeti della Scapigliatura rinnovarono il repertorio tematico verso il quotidiano
(e il bizzarro): la sintassi diventa discorsiva e si insinua il parlato. Pascoli in-
tensifica questo processo: sintassi lineare e paratattica, con molta punteggia-
tura, con un andamento colloquiale, con l’uso inedito di onomatopee evocative.
All’opposto, D’Annunzio tende a una lingua “alta”, arcaica e rara.
Ancora, i poeti del crepuscolarismo vogliono l’abbassamento della lingua
poetica, mentre i futuristi aprono le porte all’avanguardia.
Furono però i vociani, i poeti della rivista “La Voce” (1908-16), a dire vita alla
lingua poetica novecentesca: rifiutando la tradizione e la medietà linguistica,
volgendosi alla personale ricerca espressiva, ricerca che culmina in Ungaret-
ti, che riduce all’osso la sintassi e la grammatica, reinventando il valore delle
parole.
L’ermetismo fissa la nuova grammatica della poesia (es. Quasimodo): forza la
lingua verso l’astrazione, con sperimentazioni originali come quelle di Montale,
dotato di plurilinguismo e assenza di punteggiatura. Invece, poeti come Saba e
Pavese introdussero tratti del parlato e dell’italiano popolare.
Dopo Manzoni, solo i moderni veristi (Capuana, Verga) e altri (Svevo, Moravia)
arrivano a inventare una moderna medietà linguistica che riavvicina il parlato
allo scritto, ricercando un’omogenea colloquialità. Verga e Pirandello dopo di lui
introdussero il discorso indiretto libero per far emergere la voce dei personaggi
e i loro sentimenti, con lunghi monologhi interiori.
La varietà del repertorio ha fatto riemergere il dialetto, i gerghi e le nuove par-
late, arricchendosi sempre più: la lingua della narrativa pesca ovunque, co-
struendo ancora una volta la storia linguistica contemporanea.

L’ITALIANO NELLO SPAZIO SOCIALE E COMUNICATIVO


Negli studi di sociolinguistica si usa la nozione di repertorio per riferirsi
all’insieme delle risorse linguistiche a disposizione di un parlante (reper-
torio individuale) o di una comunità (repertorio comunitario) in un de-
terminato momento storico.
Quando analizziamo le varietà di un repertorio dobbiamo tener distinti
due livelli: la variazione interlinguistica, cioè la compresenza di lingue di-
verse nella competenza di un parlante o gruppo e la variazione intralin-
guistica, ossia la compresenza di varietà diverse della stessa lingua.
Quando si parla di bilinguismo ci possiamo riferire sia ad una condizione
individuale, per esempio, “Giulia è bilingue perché per ragioni familiari
parla altrettanto bene il tedesco e l’italiano”, sia a una condizione sociale,
che investe intere comunità regionali o nazionali, per esempio, “il Cana-
da e il Belgio sono Stati bilingue”.
Un’ulteriore distinzione è quella tra bilinguismo monocomunitario (si ha
quando esiste un’unica comunità bilingue) e bilinguismo bicomunitario
(che si ha quando sue sottocomunità conoscono bene solo una delle due
lingue in contatto).
Una distinzione importante da fare è quella fra diglossia e bilinguismo.
Parliamo di diglossia quando le due varietà non hanno uguale prestigio
e quindi quando una delle due lingue in contatto è usata in modo più in-
formale e l’altra in modo formale.
Esempio forte di diglossia è l’italiano e i suoi dialetti.
Oggigiorno per comunicare in situazioni informali possiamo scegliere di
utilizzare sia l’italiano che i dialetti. Parliamo in questo caso di dilalìa.
Alcuni usi linguistici dipendono da parametri extralinguistici, che pren-
dono il nome di dimensioni di variazione (l’età, il sesso, il gruppo sociale
di appartenenza, il luogo di nascita, il livello di scolarizzazione, la situ-
azione comunicativa ecc.). Le più importanti sono cinque:
1) Variazione diatopica (in base allo spazio geografico)
2) Variazione diastratica (in base alle caratteristiche sociali e il grado
di scolarizzazione). La variazione diastratica si osserva tra individuo e in-
dividuo, è cioè interindividuale, e come tale è rigida e soggetta a modifi-
carsi solo in tempi lunghi. Mentre le altre dimensioni sono dinamiche e
negoziabili e dipendono dallo stesso individuo (intraindividuali)
3) Variazione diafasica (in base alla situazione comunicativa). La vari-
azione diafasica si realizza attraverso l’uso dei diversi registri e sottocod-
ici. La concreta configurazione di un testo è determinata sia dalla situ-
azione (più o meno formale), sia dall’argomento (conversazione libera,
rigida su argomenti non specialisti, rigida su argomenti specialisti), sia
dalle relazioni sociali tra le persone coinvolte (confidenziali, formali ger-
archiche ecc.). Per esempio possiamo veicolare più o meno lo stesso
contenuto informativo usando registri diversi: Le dispiace regolare al
minimo la suoneria del cellulare?; Può abbassare il volume del cellulare?;
Per favore abbassa il volume del cellulare;Abbassa un po’ sto volume!
Ecc.
4) Variazione diamesica (in base al canale o mezzo, che può essere
scritto, orale o trasmesso. Utilizzato per la comunicazione

5) Variazione diacronica (in base alla variazione nel tempo). In segui-


to a fatti storici alcune varietà presentano più testimonianze rispetto ad
altre, prevalendo su di esse

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