Esistono in Italia tanti dialetti che si possono raggruppare in tre grandi aree:
dialetti settentrionali, centrali e meridionali.
I dialetti, al pari di una lingua, hanno una loro lessico e una loro grammatica e
si prestano a essere usati in ambito letterario. Ma sono solitamente circoscritti
a un’area, sono meno raffinati e non contengono (spesso) termini scientifici o
intellettuali. Può avvenire però un’evoluzione di un dialetto: come nel caso del
fiorentino
antico, che ha acquisito prestigio e è diventato lingua nazionale dell’Italia.
L’uso dei dialetti è oggi in declino: la lingua comune si sta espandendo tramite
mass media, televisione, etc
Ma il dialetto trova una nuova collocazione con un’immagine diversa e rinnova-
ta: le parlate locali, ora che la lingua italiana si è formata, non è vista come
sintomo di ignoranza. Si deve però distinguere in:
L’italiano parlato
La varietà del parlato che mostra oggi la maggior capacità espansiva è l’oralità.
I tratti principali del parlato dialogico sono:
linearità e immediatezza del messaggio, evanescenza del messaggio
(effimero), uso dei tratti prosodici e di quelli paralinguistici, interazione e com-
presenza dei due interlocutori nello stesso spazio.
Nella sintassi della frase il parlato predilige andamenti con un ordine diverso
rispetto a quello non marcato, che allinea soggetto, predicato e complemento.
Sono costrutti che mettono a fuoco un elemento della frase attraverso la sua
collocazione in prima sede, nella posizione di tema (dato che si presuppone
noto all’interlocutore, contrapposto al rema, elemento informativo nuovo).
Molto ricorrente è, appunto, la dislocazione a sinistra (“il giornale lo compra
Mario” ), anche sotto forma di nominativo assoluto, dove l’elemento disloca-
to a sinistra è del tutto esterno alla frase e sempre separato da una pausa (“la
mamma, le ho regalato uno scialle”).
Frequente anche l’anacoluto, che indica una frattura, una deviazione sintatti-
ca nella strutturazione della frase (“chi si fa pecora, il lupo se lo mangia”).
Il lessico in realtà non differisce tra orale e scritto: diversa è la selezione della
parole, che nell’oralità sono più immediate e ricercano espressività, mentre lo
scritto predilige vocaboli più letterari e/o curati.
La radio e la televisione veicolano una nuova forma di oralità, che
spesso è a senso unico: nelle trasmissioni il fruitore non può interagire e
è passivo; se c’è intervento telefonico, è chi conduce il programma a decidere
quando e come tenere la conversazione. Il linguaggio radiotelevisivo ha carat-
teristiche particolari: tende a una struttura semplice, diretta, immediata, para-
tattica, nominale, e evita le pronunce regionali.
Il web è un altro canale soggetto a evanescenza, ma è fulcro di molti processi
comunicativi.
Gergo: ancor più lontano dallo standard, rispetto all’italiano popolare, è la lin-
gua propria di alcuni gruppi di persone ai margini della società, che ne fanno
uso all’interno della loro cerchia, per promuovere il senso di appartenenza al
gruppo ed escludere gli estranei dalla comprensione.
Italiano burocratico: quello confezionato negli uffici pubblici, dal carattere
intimidatorio e formale, ricorrente spesso al serbatoio latino (obliterare, rinve-
nire, istanza,ecc.) e molto vicino al linguaggio della giurisprudenza.
Lingue speciali: sono linguaggi settoriali, tecnici, professionali, che si riferi-
scono ad un determinato ambito specialistico. Imponente il ricorso a codici
stranieri (soprattutto inglese per la medicina), al latino, al greco, l’adozione di
suffissi dotati di significati specifici (- oso, -ite, …), l’uso di sigle e di voci poli-
rematiche (via cavo, addetto stampa,…).
Fonologia e grafia
La fonetica studia i suoni (o fòni): sono le minime entità fonico-acustiche della
lingua (es. francesi, italiani e spagnoli pronunciano in modo diverso la r. Si
tratta però di modalità diverse, quindi di fòni diversi).
La fonologia studia i fonemi: sono le minime entità linguistiche non dotate di
significato in sé, ma che distinguono due parole differenti (es. cane/pane han-
no l’iniziale che le distingue, ma anche bòtte/botte).
I segni grafici che riproducono i foni e i fonemi sono le lettere o grafemi, il
cui insieme costituisce il sistema alfabetico.
Il sistema fonologico dell’italiano standard si basa sul fiorentino e comprende
30 fonemi: 7 vocali, 21 consonanti e 2 semiconsonanti (J e W).
Tipi:
1> occlusive (c, b, t) 2> continue (l, r, s, f, n) 3> affricate (ts di zio, tʃ di cena)
_ luogo di articolazione, in base a come sta la lingua rispetto a labbra e denti.
Tipi:
1> bilabiali (p, b) 2> labiodentale (v) 3> dentali (t, d) 4> alveolari (l) 5> vela-
ri (k, g) 6> palatali (ʃ)
_ opposizione sordità/sonorità, in base al fatto che le corde vocali vibrino o
meno
La vocale è un fono pronunciato senza che l’aria, uscendo dal canale orale, in-
contri ostacoli e con la vibrazione delle
corde vocali; la prima grande distinzione da attuare è quella tra vocalismo ton-
ico e vocalismo atono.
Il vocalismo italiano standard distingue 7 vocali, con 5 segni grafici, che si divi-
dono in:
- fonemi vocalici in posizione tonica (con accento): a, (aperta – “se!e”), e
(chiusa – “cena”), i, (aperta – “voglia”), oƐ Ɔ
(chiusa – “come”), u
- fonemi vocalici in posizione atona (senza accento): a, e, i, o, u
L’ordine con cui si dovrebbero elencare le vocali sarebbe: i, e, , a, o, , u ed
esse vengono rappresentate nel triangoloƐ Ɔ
vocalico. Il sistema vocalico italiano, derivando da quello la no, fa riferimento
ad esso, ma quando si afferma che l’italiano discende dal latino, è necessario
precisare che l’italiano standard contemporaneo è una continuazione
dire!a del latino volgare, ma non di quello classico.
Le sillabe accentate sono de!e toniche, mentre quelle non accentate sono de!e
atone ma, oltre all’accento primario
(che distingue toniche e atone), in italiano può esserci anche un accento sec-
ondario (“asciugamano” ha l’accento
primario su “ma” e quello secondario su “sciu”).
La maggior parte delle parole sono accentate sulla penul ma sill-
aba e per questo vengono de-nite piane o
parossitone (“casa”, “volere”); quando l’accento cade sull’ul ma sillaba le pa-
role sono tronche o ossitone (“virtù”,
“andò”); se l’accento cade sulla terzultima sillaba, la parola è proparossitona
(“tenebra”); sono molto rare le parole
bisdrucciole (“scivolano”) e trisdrucciole (“dammeli”).
Le parole prive di accento proprio sono cli"che e si classificano in enclitiche, se
si appoggiano alla parola precedente e si scrivono tutte attaccate (“vistala”,
“dirvi”) e proclitiche se si appoggiano alla parola seguente e si scrivono sepa-
rate (“mi vede”).
Iato: incontro di due vocali che non formano dittongo: es. paese, spia, paura.
Elisione: caduta di vocale finale di fronte a parola iniziante per vocale: d’amo-
re.
Troncamento o apocope: caduta della parte finale di una parola: andar via,
vuol correre, po’, di’, sta’ (imperativi).
Le parti del discorso sono nove: nome, articolo, aggettivo, pronome, verbo,
avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione.
Termini fondamentali:
_ lessico, insieme delle parole di una lingua _ lemmario, insieme dei lemmi di
un dizionario
_ vocabolario, insieme delle parole di una lingua _ dizionario, opera che rac-
coglie il lessico
_ lessicologia, disciplina che studia il lessico _ lessicografia, tecnica di compo-
sizione dei dizionari
_ parola, vocabolo in senso generale _ termine, parola di un linguaggio setto-
riale, univoca
_ lessema, unità di base del lessico _ lemma, unità lessicale registrata nel di-
zionario
_ semantica, settore del lessico relativo al significato
Il lessico fondamentale di una lingua è costituito dalle voci più frequenti, di
cui comune, che possono garantire una comunicazione primaria all’interno del-
la società (in quella italiana le voci sono 7.000)
Costrutti marcati: si può dire che in italiano l’ordine basico dei costituenti di
una frase sia dato dalla sequenza S-V-O (soggetto-verbo-oggetto). Talora,però,
quest’ordine non è rispettato per particolari esigenze comunicative, e ad esso
si preferisce un ordine marcato dei costituenti, quando cioè, l’ordine basico dei
costituenti non è rispettato o quando alcuni elementi vengono messi in rilievo
per determinati fini.
Il più frequente di questi costrutti è la dislocazione a sinistra: un elemento
diverso dal soggetto viene spostato a sinistra dell’enunciato, divenendone il
tema-dato —-> la mela la mangia Andrea; a Milano ci torno giovedì.
Secondo Berruto, la dislocazione a sinistra è quel fenomeno per cui chi parla
tende ad anticipare l’argomento che maggiormente lo coinvolge emotivamente,
il suo centro d’interesse.
Premessa
In questo capitolo si affronta la variazione della lingua italiana dal punto di vi-
sta diacronico (del tempo).
Si usa una periodizzazione così divisa:
_ dalla frammentazione linguistica medievale al primato del fiorentino letterario
sugli altri dialetti (dalla
prima documentazione di testi in volgare alla fine del Trecento)
_ unificazione, norma ed espansione dell’italiano (dalla fine del Trecento all’uni-
ficazione politica)
_ da lingua della letteratura a lingua di uso nazionale (dall’Unità all’età con-
temporanea)
Questa storia linguistica si può così riassumere: l’italiano si è formato sulla
base di un volgare locale, il fiorentino, che ha acquistato un grande prestigio
letterario grazie all’opera di alcuni scrittori (le “tre corone”:Dante, Petrarca,
Boccaccio); si è imposto nel Trecento su tradizioni linguistiche e culturali di al-
tre aree; è stato codificato grammaticalmente nel Cinquecento, diventando lin-
gua letteraria comune anche senza unità politica.
Circostanze storiche hanno portato al primato del fiorentino sugli altri volgari:
_ circostanze esterne, la supremazia politica, economia, letteraria di Firenze
sulle altre città toscane
_ circostanze interne, la maggiore vicinanze del fiorentino al latino rispetto alle
altre parlate
L’italiano è caratterizzato dalla letterarietà, ma lungo cammini differenti: la
poesia si era già unificata alla fine del Trecento, mentre la lingua della prosa si
sviluppò lentamente, perché doveva assolvere funzioni diversissime che ri-
chiedevano una pluralità di registri. Inoltre, si tenga conto che l’italiano era
sempre stata una lingua prevalentemente scritta, mentre tutta la popolazione
comunicava invece con i vari dialetti regionali.
Tornando a Bembo, nelle “Prose” indicò Petrarca come esempio per la poesia,
Boccaccio per la prosa: rifacendosi al principio ciceroniano dell’imitazione, con-
sigliava agli scrittori di rifarsi totalmente a questi due.
Le “Prose” dunque fornivano agli scriventi non toscani e all’editoria volgare un
punto di riferimento sicuro, tanto che esse divengono presto un manuale alfa-
betico. In pochi decenni, il fiorentino letterario divenne il modello più imitato e
studiato: insomma, una lingua italiana letteraria.
Ma le “Prose” esaltavano un fiorentino vecchio, non moderno, inoltre sminuiva-
no la grandezza linguistica di Dante, messo in secondo piano per la fin troppo
grande pluralità linguistica della “Commedia”.
Varchi scrisse nell’“Hercolano” (1570) che la lingua è un fatto vivo e naturale,
dallo stile ai vocabili: poneva in primo piano la natura parlata della lingua, ma
rivendicava l’azione regolatrice degli scrittori.
Nacque l’Accademia della Crusca (1582) proprio per tentare di ridare a Firenze
il ruolo di legislatrice: Salviati scrisse il “Vocabolario degli Accademici della
Crusca” (I ed, 1612), dove affermava la purità della lingua fiorentina trecente-
sca, importante come documento linguistico, ma parlava del valore del fioren-
tino moderno, vivo e corrente, non quello plebeo ma nemmeno
quello troppo elaborato. Il “Vocabolario” documentava le voci degli scrit-
tori maggiori e minori del Trecento, selezionando le voci moderne da autori che
l’avevano imitato, senza però introdurre voci “nuove” (non documentate da te-
sti d’autore).
Tasso, escluso dal “Vocabolario” perché la sua “Gerusalemme liberata” era sta-
ta composta con una lingua considerata troppo “antitradizionale e peregrina”,
divenne l’emblema degli oppositori alla Crusca, che cominciò a venire attac-
cata da chi rivendicava la lingua moderna e contemporanea. Veni-
vano considerati “antitradizionali” lo stile (uso inedito di metafore, antitesi,
etc) e il lessico (non si accettavano i modernismi).
Galilei determinò una nuova svolta: passato per il latino, sentì la necessità di
divulgare le sue scoperte anche presso i non specialisti: usò riformulazioni per
spiegare termini tecnici come cannocchiale, macchie solari, etc
Spiegandosi nei suoi testi con forme lessicali nuove, che incideranno nell’evolu-
zione dell’italiano.
Dal Cinquecento si ha una documentazione di scritture semicolte provenienti
da varie regioni, prodotte da scriventi, uomini e donne, con grado modesto di
alfabetizzazione. L’alfabetismo era necessario per comunicare.
La promozione del fiorentino al ruolo di lingua scritta fece scadere le varie par-
late locali in Italia, con delle eccezioni: c’era chi rivendicava i dialetti, facendo
fiorire una letteratura “rusticale”, che per esempio in
Toscana sperimentava il fiorentino contadinesco in chiave parodica.
Nel XVIII sec furono stampati dizionari dialettali: i termini dialettali sbagliati li
sostituivano con italiani, in una nuova apertura verso i termini delle arti e dei
mestieri. La scuola divenne un nuovo canale di diffusione:
non più insegnamento del latino, ma dell’italiano. I giornali divulgavano la cul-
tura italiana e straniera a un pubblico di non specialisti, contribuendo allo svec-
chiamento delle strutture sintattiche e lessicali. Il teatro si fece comico, allar-
gandosi a un pubblico più ampio: commedie di stile familiare, con un italiano
colloquiale.
I rapporti culturali con altri stati, come la Spagna, ebbero riflessi nella stampa:
molti i testi per insegnare le voci iberiche, e molti i nuovi vocaboli, necessari
per designare frutti, piante, animali esotici.