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6 Le tante varietà di cui si servono gli italiani di Daniele d’Aguanno, Rita Librandi, Sergio

Lubello, Pietro Maturi e Rosa Piro

1. Variazione linguistica
1.1. Nozioni di sfondo
La lingua non è monolitica, al contrario, ogni lingua dispone di un repertorio linguistico più
o meno ampio che è costituito da diverse varietà. Infatti, con repertorio linguistico
s’intende l’insieme di tutte le varietà a disposizione o di un’intera comunità – e in questo
caso si parla di repertorio comunitario – o un unico parlante – e si parla di repertorio
individuale. Inoltre, i concetti di comunità, varietà e repertorio sono strettamente
connessi tra loro perché è la totalità dei parlanti di una comunità a regolamentare l’uso e
la scelta di una varietà o di un’altra.
Sia la definizione di comunità linguistica che quella di varietà linguistica non sono sempre
lineari e univoche.
Secondo Gaetano Berruto, ossia il principale studioso della situazione sociolinguistica
italiana, con l’espressione comunità linguistica –che considera un sinonimo di comunità
parlante – ci si riferisce a un complesso/insieme di persone legate da qualche forma di
aggregazione sociopolitica e che sono in grado di accedere a un insieme di varietà
linguistiche. Inoltre, questa definizione può essere applicabile a comunità di diverso tipo ed
estensione, che sono spesso connesse tra loro. Per esempio, guardando proprio la
situazione italiana possiamo dire che si tratta sia di un’unica e ampia comunità linguistica
italiana sia le più piccole comunità regionali o anche cittadine. È proprio la comunità
linguistica che determina l’uso delle varietà scegliendo quali assegnare a una determinata
funzione comunicativa e ponendole in una scala gerarchica che va dalle varietà più
prestigiose (formali) a quelle più familiari e spontanee.
Rispetto alla varietà linguistica, sempre secondo Berruto, ogni varietà è rappresentata da
un fascio di tratti (fonetici, morfologici, sintattici, ecc.) che dipendono da fattori
extralinguistici, cioè sociali, geografici, situazionali ecc. Quindi, per poter circoscrivere una
varietà sarà necessario cogliere sia i fattori extralinguistici sia quelli linguistici; tuttavia,
bisogna ricordare che ogni varietà avrà dei fenomeni linguistici in comune con tutte le altre
varietà che appartengono allo stesso sistema linguistico. Inoltre, l’uso di una certa varietà
da parte di un parlante e il modo di alternare le varietà in base alla situazione ci forniscono
delle indicazioni.

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1.2. Dimensioni di variazione
La mutevolezza è una caratteristica intrinseca delle lingue che può coinvolgere sia il
repertorio individuale che quello comunitario che può cambiare nel tempo a seconda di
vari fattori. Tuttavia, la mutevolezza delle lingue non dipende solo dal tempo ma anche da
altri fattori, come l’istruzione, la provenienza sociale, il contesto, il mezzo, e in base a
questi i parlanti utilizzano in modo diverso le forme e i tratti della lingua e scelgono tra le
varietà del repertorio.
Quindi, la variazione linguistica è sempre collegata a fattori extralinguistici che dipendono
da tempo, spazio, posizione sociale del parlante, situazione comunicativa e mezzo fisico di
cui ci si serve che definiscono quattro dimensioni di variazione che sono rispettivamente:
diacronia, diatopia, diastratia, diafasia e diamesia (questi termini sono stati costruiti
utilizzano il prefissoide dia- + le parole derivate dal greco per le prime tre e l’ultima, per la
quarta sul modello delle altre). Quindi, abbiamo cinque assi di variazione linguistica:
I. Quando la lingua varia attraverso il tempo si parla di variazione diacronica da cui
dipendono le varietà diacroniche; *
II. Quando la lingua varia attraverso lo spazio geografico, si parla di variazione
diatopica da cui dipendono le varietà diatopiche; (es. al nord possiamo trovare
“curare” nel senso di “tener d’occhio” e al sud “posteggiare” nel senso di
“parcheggiare”);
III. Quando la lingua varia attraverso gli strati sociali si parla di variazione diastratica da
cui dipendono le varietà diastratiche che si differenziano in base alla provenienza
sociale del parlante o all’appartenenza a determinati gruppi sociali; donna (le donne
avevano un livello d’istruzione più alto perché erano coloro che seguivano
maggiormente i figli a scuola o che comunque avevano un contatto diretto con la
scuola);
IV. Quando la lingua varia in base alla situazione comunicativa, ossia in base ai contesti
o ai contenuti della comunicazione, si parla di variazione diafasica da cui dipendono
le varietà diafasiche, che si distinguono come italiano formale, lingua colloquiale o le
lingue specialistiche;
V. Quando la lingua varia in base al mezzo fisico (fonico-acustico o grafico-visivo)
utilizzato per la comunicazione si parla di variazione diamesica da cui dipendono le
varietà diamesiche; alcuni linguisti ritengono che non sia una variazione autonoma
perché attraversa tutte le altre.
Quindi, questi assi di variazione sono connessi tra di loro e si intersecano.
*Berruto preferisce definirla mutamento piuttosto che variazione perché per mutamento
intende i cambiamenti che una lingua subisce nel tempo mentre per variazione i

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cambiamenti sincronici, per cui analizzando l’italiano contemporaneo prenderemo in
considerazione le varietà sincroniche (diatopiche, diastratiche, diafasiche e diamesiche).
Le dimensioni di variazione sincronica si dispongono lungo una successione gerarchica, un
continuum di cui è possibile distinguere solo gli estremi, ma all’interno di essi esistono
tutta una serie di varietà intermedie che non hanno confini netti e sfumano le une nelle
altre proprio perché nella comunicazione viva e autentica di una comunità linguistica le
varietà hanno punti di contatto fra loro. Quindi, in italiano possiamo distinguere gli estremi
di ciascun asse di variazione:
 Agli estremi dell’asse diastratico distinguiamo: italiano ricercato delle persone colte
– italiano substandard per il parlato e italiano popolare degli incolti per lo scritto;
 Agli estremi dell’asse diafasico: italiano accurato e molto formale – italiano
informale trascurato;
 Agli estremi dell’asse diamesico: scritto monologico rispettoso della norma – parlato
dialogico, spontaneo e colloquiale;
 Invece, dato la variazione diatopica pervade tutte le varietà linguistiche dello spazio
italiano, bisogna considerare l’asse di variazione diatopica nel suo disporsi
orizzontale.
Dato che gli assi di variazione si toccano e si intersecano tra di loro, il continuum linguistico
non riguarda solo i passaggi graduali da una varietà all’altra lungo ciascun asse di
variazione ma l’intera architettura del repertorio linguistico di una lingua.

2. Varietà, usi e testi


2.1. Italiano standard
Cos’è l’italiano standard? Le fasi del processo di standardizzazione di una lingua
L’italiano standard è regolato dalle grammatiche ed è percepito come una varietà
prestigiosa, di registro formale, di varietà scritta ed appartenente ad un ceto di livello

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medio-alto di istruzione; poi, a partire dallo standard, ci si sposta a seconda dei fattori
extralinguistici che si devono considerare quando si sta parlando. L’italiano standard si
ritrova nelle testate giornalistiche a tiratura nazionale, in alcuni articoli e manuali di studio.
In linguistica definire la nozione di standard è un’operazione complessa. Semplificando,
solitamente con lingua standard s’intende la varietà di maggiore prestigio, codificata dalle
grammatiche, che l’intera comunità linguistica prende come modello di riferimento per la
correttezza normativa e l’insegnamento scolastico. Perciò, si associa alla lingua standard
l’idea di una lingua neutra, non marcata né dal pdv diastratico né diatopico, e uniforme
sull’intero territorio nazionale. Tuttavia, la lingua standard ha sempre una certa dose di
artificialità, sia quando è creata a tavolino sia quando è l’esisto di uno sviluppo storico. Per
esempio, alla base dell’italiano standard c’è il fiorentino letterario del Trecento, ossia una
varietà scritta, di registro elevato, prodottasi in un’epoca delimitata che non accoglieva
tutti i tratti del fiorentino vivo. Inoltre, nei secoli successivi alla codificazione della norma,
sono stati accolte alcune innovazioni e apporti da altre aree che hanno distanziato
ulteriormente l’italiano dal fiorentino. Questa distanza si nota soprattutto sul piano del
lessico e rispetto alla fonetica, l’italiano standard è stato definito come un fiorentino
emendato, cioè privo dei tratti più marcati e popolari. Rispetto a quest’ultimo aspetto, da
alcuni punti di vista, l’italiano standard può essere definito una lingua astratta perché è
pronunciata correttamente solo da chi ha frequentato corsi di dizione e ha annullato ogni
traccia della sua area geografica. Infatti, il modello standard, almeno per i parlanti colti, è
condiviso solo sul piano della morfologia e dell’ortografia, in buona parte per la sintassi e il
lessico ma non è condiviso sul piano fonetico e dell’intonazione; quindi, è possibile
rintracciare l’italiano standard, oltre che nella norma insegnata a scuola, solo in alcune
tipologie di scrittura.
Inoltre, l’italiano non è una lingua uniforme, ma si caratterizza per alcune difformità non
solo sul piano fonetico, della pronuncia, ma anche per la convivenza di forme diverse. Si
tratta del polimorfismo. Nell’antica lingua letteraria gli autori potevano scegliere tra
varianti fonetiche e morfologiche perlopiù equivalenti e se già Manzoni operò con la
revisione del suo romanzo un eliminazione delle forme più arcaiche e una riduzione della
polimorfia, questo processo di semplificazione sempre più progressivo e più ampio si ha
nel corso del Novecento; ciò nonostante, rimangono ancora alcune oscillazione anche se si
tende a preferire uno dei due elementi. Infatti, dopo l’unità d’Italia, ma soprattutto a
partire dalla seconda metà del Novecento, la stabilità che l’italiano aveva mantenuto lungo
i secoli si dissolve proporzionalmente alla sua diffusione nella comunicazione viva e parlata
della quotidianità. Così, molti tratti, perlopiù forme e costruzioni sintattiche ritenute
inaccettabili per le norme grammaticali o appartenenti a una varietà diastratica bassa,
sono risaliti e sono stati accolti. Infatti, molti studiosi individuano, oltre alla norma
grammaticale, una norma sociale, definita anche implicita, che corrisponde a quella è
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concretamente adottata e fissata in base all’accettazione o meno di forme, parole e
costrutti da parte della comunità linguistica.
Bisogna ricordare che la norma è soggetta, come tutto nelle lingue, ad una continua
evoluzione. Infatti, i rapidi cambiamenti subiti dall’italiano negli ultimi decenni e i tratti
considerati ora ammissibili dai parlanti hanno innescato un processo di ristandardizzazione
della norma grammaticale.
L’architettura dell’italiano contemporaneo. L’italiano contemporaneo deriva dal volgare
fiorentino colto del 300. Bembo è colui che codifica l’italiano nel ‘500 e nel 1525 scrive “Le
Prose Della Volgar Lingua” in cui codifica le regole grammaticali dell’italiano e stabilisce che
i modelli di riferimento sono Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.
2.2. Movimenti della lingua di oggi
Con movimenti o tratti in movimento dell’italiano contemporaneo ci si riferisce ai
cambiamenti e alle oscillazioni d’uso nella lingua di oggi. I tratti in movimento coincidono
in particolare con:
1) Gli elementi della lingua che la media dei parlanti istruiti avverte e che i grammatici
segnalano sempre di più come propri non solo degli usi informali ma anche di quelli
mediamente formali orali e scritti e come aulici (cioè, della lingua della tradizione
letteraria) o connotati in senso non comune (cioè tecnico specialistico) oppure
obsoleti.
2) Gli elementi della lingua che costituiscono una diffusa innovazione nell’uso comune +
o – formale anche se appaiono come una marcata deviazione dalla norma
grammaticale.
3) Le oscillazioni d’uso relative a scelte linguistiche formalmente diverse ma pressoché
equivalenti sul piano comunicativo.
Con l’idea del movimento i linguisti si riferiscono al dinamismo nel continuum del
repertorio odierno di elementi linguistici di vario livello; questi tratti linguistici in
movimento sono quelli che stanno determinando o hanno già determinato in alcuni punti
la ristandardizzazione della norma grammaticale che è sempre possibile perché è il riflesso
della norma sociale. Negli anni Ottanta del Novecento si iniziano a notare i movimenti
dell’italiano quando è ormai una lingua parlata nella quotidianità e in varie situazioni
comunicative dalla maggioranza degli italiani. Tuttavia, alcuni tratti dell’italiano standard
descritto dalle grammatiche di fatto non venivano utilizzati e venivano sostituiti da tratti
concorrenti, inoltre, si stavano diffondendo sia nello scritto che nel parlato alcuni tratti
considerati propri del parlato colloquiale. Questi movimenti fecero riconoscere a Francesco
Sabatini e Gaetano Berruto una nuova varietà di italiano che definirono rispettivamente
italiano dell’uso medio e italiano neostandard e che indicavano un italiano sottoposto a

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una ristandardizzazione da parte dei parlanti, cioè un italiano comune ma diverso in più
punti dalla varietà allora considerata standard.
Oggi, alcuni tratti, perlopiù morfosintattici, dell’italiano dell’uso medio o neostandard sono
considerati normali a tutti i livelli di lingua. Alcuni esempi sono:
 l'uso di due, e non di tre, aggettivi e pronomi dimostrativi: il prossimale
questo e il distale quello (talvolta specificati dagli avverbi qual qui e la/ti); il
dimostrativo codesto, un tempo codificato nello standard, è rimasto vivo soltanto
nell'uso regionale toscano e nella lingua burocratica;
 l'uso dei pronomi lui, lei, loro in funzione di soggetto;
 l'uso del ci attualizzante: il ci (o ce) che si usa con il verbo avere predicativo in
frasi come Ci/C' ho/ Ciò fame (la grafia è instabile) o Ce l'ho (in quest'ultima frase
l'uso di ci è peraltro cristallizzato in una formula);
 l'uso dell'avverbio ci con valore locativo ('qui", '17) al posto di vi (ma questa
seconda forma è ancora usata in testi dal registro alto);
 uso del c'è presentativo (C'è un ragazzo che mi piace molto, C'è mia sorella
che è sola);
 Fuso di come mai al posto di perché;
 L'uso anche nello scritto mediamente formale dei costrutti marcati delle
dislocazioni a sinistra o a destra e delle frasi scisse.
Questi tratti sono frequenti e normali anche nello scritto mediamente formale (vedi articoli
di giornale e saggistica) perché funzionali alla costruzione del testo.
Esiste uno standard fonetico? L’italiano non ha un effettivo standard fonetico, la pronuncia
standard risente delle inclinazioni della regione di provenienza ed è rispettata solo dagli
attori di teatro, doppiatori e giornalisti radiotelevisivi che hanno seguito corsi di dizione,
ma oggi anche loro rispettano sempre meno lo standard fonetico. Le oscillazioni nella
pronuncia sono considerate tipiche di una pronuncia neostandard ossia accettabile anche
in situazioni formali.
Anche dal punto di vista grafico si riscontra l’oscillazione, per esempio, delle grafie delle
parole composte, non ancora stabilizzate o anche le grafie delle terminazioni plurali
femminili in -cia e -gia. Da notare è la frequente omissione dell’accento grafico nella
scrittura delle parole composte (rossoblu, ventritre) e una certa estensione dell’uso della
maiuscola, dovuto all’influsso della lingua inglese, per i nomi dei mesi, delle lingue e degli
aggettivi riferiti alle lingue e alle nazionalità.
Dal pdv morfologico, i tratti in movimento riguardano principalmente l’uso dei pronomi e
la morfologia verbale, cioè la morfologia pronominale e verbale:

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• Pronome te: la forma obliqua (non soggetto) per la seconda persona te si"
alterna in funzione di soggetto con tu, sia, nell'uso di Firenze, di Roma e del Nord,
posposto al verbo (Questo lo dici te), sia in frasi come Te che ne sai? o Se te dici
che... (cfr. CAP. 3, PAR. 2.3.2).
• Pronomi egli, ella, lui, lei, loro, esso: il sistema dei pronomi di terza persona
è ancora particolarmente dinamico. È del tutto normale, s'è detto, l'uso dei pronomi
deittici e anaforici lui, lei e loro in funzione di soggetto; mentre egli ed essi sono di
bassa frequenza nel parlato comune, ed ella è pressoché disusato. Egli, tuttavia, è
ancora adoperato nello scritto formale con la funzione propria di pronome maschile
soggetto anaforico. Sia egli, sia ella, che è una forma desueta ormai da decenni,
sono però abbastanza frequenti negli scritti scolastici, anche per influsso di un
insegnamento mediamente rigido e dimentico dei reali usi scritti della lingua. La
presentazione di egli ed ella come i soli pronomi adatti nello scritto contribuisce a
far si che studenti di vario livello, scriventi naturalmente inesperti, usino queste due
forme in modo ipercorretto, ritenendole erroneamente una garanzia del registro
formale che conviene allo scritto scolastico. Si noti che l'uso ipercorretto non
consiste tanto nella preferenza rispetto a lui o lei e quindi anche nell'uso di un
pronome, ella, ormai in disuso; l'ipercorrettismo consiste di solito nell'espressione
di egli o ella li dove sarebbe più corretto dal punto di vista testuale usare come
coesivo un'ellissi, ovvero il pronome nullo (0) una ripetizione o un pronome che
apra una frase relativa.
• Pronome gli: l'estensione dell'uso del pronome gli in funzione di oggetto
indiretto sia per il femminile singolare, al posto di le, sia per il maschile e femminile
plurale, al posto di loro, continua a essere un tratto in movimento anche oggi.
Mentre l'uso per il femminile singolare non è ancora ritenuto accettabile nello
scritto mediamente formale, anche se gli per le passa pressoché inosservato nel
parlato colloquiale, l'uso per il plurale è sempre più accolto anche nello scritto di
media formalità (va detto, inoltre, che si cominciano a notare alcuni frequenti usi
ipercorretti di le in riferimento al maschile singolare e plurale).
• Pronome che: il che polivalente (cfr. CAP. 3, PAR. 3.3.3) è ancora avvertito
come un tratto del parlato colloquiale. Ma alcuni dei suoi usi, come quello in cui il
che ha valore esplicativo-consecutivo, sembrano farsi strada verso il registro
mediamente formale;
• Ci: per ciò che riguarda l'uso di ci, di cui abbiamo già ricordato la funzione
"attualizzante" e l'uso con alcuni verbi che produce particolari lessicalizzazioni -
entrarci, che nel significato di 'essere pertinente' si presenta, nello scritto più
trascurato, in forme agglutinate come Che "centra?, per un'errata riconduzione a un
verbo "centrare, inesistente nel senso di 'avere attinenza', e diverso da centrare
inteso come 'colpire nel centro'; starci 'essere d'accordo' (Ci sto!); metterci
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'impiegare tempo' -, va notato anche l'uso, ritenuto da alcuni studiosi di origine
romanesca, in sostituzione di un predicato nominale in frasi come Ci sarai/ Ci
diventerai in luogo dello standard Lo sei/ Lo diven-terai, e l'uso che va diffondendosi
con il verbo stare nel significato di 'essere normale, prevedibile' (Ci sta che...).
• Pronome ne: è frequente ormai anche nello scritto l'uso ridondante di ne
nelle frasi relative, dove il pronome riprende pleonasticamente un altro pronome
relativo.
• Quello che + verbo essere: tra il livello della morfologia e quello della
pragmatica si trova il tratto innovativo rappresentato dalla diffusione della perifrasi
formata dal pronome quello che + verbo essere (Quello che è il.../ Quelli che sono
i..). Questa costruzione dal parlato, dove ha più di una funzione pragmatica
(«rallentamento del "dinamismo comunicativo"; attenuazione o allargamento del
significato del sostantivo seguente; creazione grazie alla ridondanza, di un effetto di
attesa ecc.», D'Achille, 2016, p. 177), si sta estendendo anche allo scritto, e nella sua
diffusione è stato perfino riconosciuto un incipiente cambiamento strutturale che
potrebbe portare alla sostituzione del semplice articolo determinativo.
• Articolo determinativo: un altro tratto in movimento nel settore della
morfologia riguarda la tendenza a omettere l'articolo determinativo in alcuni
contesti. Il fenomeno si nota in particolare davanti ai nomi di azienda, società ed
enti pubblici o privati; si riconosce anche nell'uso della preposizione in al posto della
preposizione a articolata (al, alla); e, ancora, è diffuso davanti al circostanziale di
tempo settimana prossima (al posto di la settimana prossima).
• Verbi: si è già detto degli usi modali dei tempi verbali e del frequente im-
ziego dell'indicativo al posto del congiuntivo nelle frasi completive, fenomeno da
confinare ancora al registro colloquiale (cfr. CAP. 3, PARR. 2.5.2-2.5-3).
• Congiuntivo imperfetto: si diffonde risalendo verso il livello neostandard
della lingua un fenomeno proveniente da una varietà regionale, segnatamente
centro-meridionale: l'uso del congiuntivo imperfetto nelle esorta-zioni, come, per
esempio, nelle frasi imperative Chiamasse lui! "Che chiami!', Lo facesse lui! 'Lo
faccia lui' ecc., che peraltro aggiunge all'ordine espresso dal verbo un valore
polemico.
Vediamo adesso alcuni tratti che riguardano allo stesso tempo la sintassi e la
pragmatica:
• Frase scissa (cfr. CAP. 3, PAR. 3.4.3): il diffuso uso delle frasi scisse, come e si
è detto, è uno dei tratti tipici del neostandard. Analisi specifiche più recenti hanno
peraltro dimostrato che questo costrutto è oggi più frequente nelle comunicazioni
formali. Nei testi scritti, tuttavia, la frase scissa perde spesso il suo valore
pragmatico contrastivo (È lui che mi ha chiamato! = 'Non ho chiamato io') ed è
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scelta, specie nella forma implicita e inversa (A chiamare è stato lui) perché è
funzionale alla costruzione della progressione tematica. [esempio pag. 245]. + frasi
dette scisse della polarità o inferenziali [esempio pag. 246]
• Tema sospeso: tra i costrutti marcati è l'unico che è ancora sentito come
proprio del parlato. Tuttavia, è usato nella prosa narrativa contemporanea più
mimetica dell'uso linguistico medio e s'incontra anche in altri scritti non
particolarmente formali. [esempio pag. 246]
• Accusativo preposizionale: l'accusativo preposizionale, tratto sintattico tipico
delle varietà regionali centro-meridionali e riconducibile al sostrato dialettale, è
risalito verso il neostandard soltanto con l'uso nelle dislocazioni a sinistra e a destra,
in particolare se l'oggetto è costituito da un pronome; per esempio, in frasi come A
me non mi hanno chiamato, A lui l'hai ringraziato?, A loro non li costringe nessuno,
A lei non l'hanno fatta pagare.
• Sintassi frammentata: quanto alla sintassi, infine, nell'ambito di una generale
tendenza alla riduzione della complessità ipotattica che caratterizza da tempo la
prosa della scrittura giornalistica e saggistica, va notato non solo il frequente
andamento paratattico di molti articoli e saggi di argomento "serio", ma anche la
scelta, molto diffusa, di spezzare con un punto i legamenti sintattici. Accade di
frequente in particolare con le frasi relative introdotte da che, più normalmente
legare, se appositive, da una virgola. [esempio pag. 246-247]
Dal pdv lessicale, è in movimento la frequenza d’uso delle parole, un esempio è la revisione
del 2014 del vocabolario di base da parte di Chiari e De Mauro. Infatti, nel nuovo
vocabolario di base sono numerose le parole che sono entrate a far parte dello strato
d’uso più frequente, cioè quello indicato come vocabolario d’uso fondamentale FO. Si
riscontrano inoltre diversi spostamenti tra le fasce di frequenza FO e AU. Oltre a questo
tipo di cambiamenti, occorre considerare anche l’entrata dei neologismi, per esempio i vari
prestiti dall’inglese che sono legati alle nuove forme di comunicazione e ai social network
(postare, screenshottare, ecc.). Rileviamo anche alcuni recenti neologismi semantici perché
consistono nello sviluppo di un nuovo e ulteriore significato di una parola già in uso:
• Piuttosto che: negli ultimi anni si è diffuso l'uso della locuzione piuttosto che
con valore disgiuntivo (cfr. CAP. 3, PAR. 2.7), cioè con il significato di 'o', 'oppure,
che si aggiunge a quello avversativo originario 'anziché. L'uso è biasimato da diversi
grammatici perché potrebbe ingenerare confusioni. Ma è diffuso nell'oralità media,
specie nei parlanti settentrionali, e sembra che stia prendendo piede anche nell'uso
scritto.
• Tipo: il nome tipo è stato oggetto negli ultimi anni di una
transcategorizzazione, ovvero di un passaggio da una categoria grammaticale

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all'altra; viene usato, infatti, con il significato di 'per esempio", 'mettiamo' in frasi
come Persa tipo che..., Tipo va a dire che..., Si mette tipo cosi...
L’italiano specialistico
I linguaggi specialistici all’interno del panorama linguistico sono varietà che risentono della
variazione diafasica perché si configurano come varietà altamente formali dove si
utilizzano linguaggi molto tecnici.

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