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Prima lezione di sociolinguistica

La vita quotidiana è percorsa ogni giorno da scene linguistiche all’interno delle quali vi sono
comportamenti linguistici del più diverso tipo. Ognuno di noi può imbattersi in molti fatti linguistici
ogni giorno. Vi sono due aspetti che si manifestano in ogni tipo di comportamento:

A. La lingua si manifesta in aspetti e in forme diverse rispetto all’uso corretto che si impara a
scuola (italiano standard);

B. I messaggi contengono fenomeni che danno informazioni sulle persone, sulle loro
caratteristiche sociali e sui tipi d’azione e che riflettono la collocazione della lingua e dei
comportamenti linguistici nella società;

Ogni messaggio è, quindi, manifestazione di variazione linguistica (A), che reca, o a cui è connesso,
un significato sociale (B).

Tra le manifestazioni di variazione linguistica possono comparire errori ortografici; oppure code
switching [che si divide in: interfrasale (al confine di frase) o intrafrasale (dentro la frase)] che può
riguardare sia l’uso di altre lingue che del dialetto, ecc. Es: frasi fatte da bambini delle elementari,
le relative frasi vengono costruite con il “che”, costruzione tipica di persone che hanno poca
istruzione, padroneggiano male la lingua italiana, cioè nella varietà sub-standard di italiano e in
particolare nell’italiano popolare di parlanti incolti che hanno spesso come lingua primaria il
dialetto.

1.2 - Le lingue e i parlanti.

Sociologia del linguaggio: si occupa di quali lingue e varietà di lingua sono parlate in una data
comunità, di quali sono i loro rapporti, di come il loro uso sia associato a variabili sociali; studia la
funzione e la distribuzione dei sistemi linguistici negli usi dei parlanti, e i suoi dati empirici sono
comportamenti linguistici dichiarati o giudizi e affermazioni sulle lingue.

 In base a questo, prendendo come caso l’Italia, si può notare che c’è una forte diversità tra
regione e regione e da area geografica a area geografica quando si tratta del rapporto tra
dialetto e lingua italiana. Ad esempio il dialetto è meno vitale nell’Italia del Nord-Ovest e
più vitale nell’Italia meridionale, dove le persone parlano principalmente dialetto piuttosto
che italiano. Un’altra cosa che evince dalle ricerche è il fatto che la maggior parte degli
italiani è bilingue, perché parla sia dialetto che italiano, a seconda dei contesti.

Sociolinguistica: studia produzioni linguistiche, mettendole in correlazione con fatti sociali, e i suoi
dati empirici sono concreti messaggi linguistici.

La sociolinguistica è la scienza che studia il rapporto tra lingua e società, inoltre privilegia l’uso e le
funzioni della lingua rispetto alla struttura ed infine studia la variabilità sociale.
Vitalità di un idioma: presenza e diffusione di un idioma presso i parlanti (lingua viva vs. lingua
morta).

1.3 - Perché la sociolinguistica.

La sociolinguistica presuppone che sappiamo come sono fatte e come funzionano le strutture
interne del linguaggio e interviene ad analizzare e a spiegare che cosa succede a queste strutture
quando le vediamo calate nella società e nelle concrete situazioni comunicative.

La lingua è un sistema costruito secondo i propri principi, ma risente anche delle caratteristiche
degli utenti e delle situazioni d’uso. La sociolinguistica, in quanto linguistica realistica, si presenta
come una linguistica incentrata sui concreti parlanti, sulle produzioni in situazione. La
sociolinguistica è una disciplina giovane, nasce in USA negli anni ’50 per due ragioni:

- Mescolanza etnica e culturale (meltin pot)


- Dimensione antropologica della ricerca linguistica

Una delle principali tematiche che portò alla nascita della sociolinguistica (nella seconda metà
degli anni ‘60) fu il dibattito sulla “teoria dei due codici” e sulla “deprivazione verbale”, legata al
nome dell’inglese Basil Bernstein: molti dei problemi educativi dei bambini provenienti da classi
sociali svantaggiate, dipendevano da problemi inerenti al linguaggio. Infatti, i bambini avrebbero
avuto a disposizione soltanto un “codice ristretto”, cioè un modo di utilizzare la lingua fortemente
legato al contesto situazionale specifico e poco capace di elaborazione astratta, che confliggeva
con il “codice elaborato” tipico della cultura ufficiale e dell’istituzione scolastica, che impediva loro
di impadronirsi dei contenuti con questo veicolati. Bernstein, quindi, si occupa del rapporto
simbolico tra modi di realizzazione dei sistemi linguistici, attitudini cognitive e società, su un livello
molto generale di ricerca.

Nella formazione e sviluppo della sociolinguistica (dal 1975), ci sono stati diversi ricercatori che
hanno dato il loro contributo:

 Labov: si occupa dell’ordinata eterogeneità dei comportamenti linguistici e le prime analisi


specifiche dell’importanza della variazione nella lingua, nel suo significato e sistematicità.
Ha come campo i comportamenti linguistici dei parlanti, indagati nelle variazioni e
sfumature di pronuncia.
 Gumperz e Dell Hymes: si occuparono dell’interazione verbale e dell’analisi di eventi
comunicativi nelle diverse società e culture, studi imparentati con etnografia e
antropologia culturale.
 Fishman: i suoi lavori confluivano su un piano sociologico: analizza i problemi dei rapporti
fra le lingue nei paesi plurilingue e sulle vicende sociali delle lingue, che in seguito è
definito come “sociologia del linguaggio”.

In Italia, la dialettologia aveva scoperto l’importanza della dimensione sociale e della


caratterizzazione della posizione dei singoli individui parlanti per la comprensione dei fatti di
lingua.
Oggi, la sociolinguistica è un’area di studio e ricerca ampiamente praticata in tutto il mondo e che
ricopre anche settori fra loro eterogenei, sia nella metodologia che in questioni sostanziali
affrontate. Tratti comuni che unificano i diversi approcci sono:

 l'attenzione a chiarire problemi linguistici attraverso il riferimento alla dimensione sociale e


a spiegare l’interrelazione fra il linguaggio e la società;
 il riferimento a dati empirici oggettivi o raccolti sul campo.

Possiamo distinguere due tipi di sociolinguistica:

 sociolinguistica variazionista: si collega direttamente all’insegnamento di Labov e mette a


fuoco principalmente i rapporti fra i fattori sociali, visti come variabile indipendente, e i
comportamenti linguistici e i fenomeni di variazione ai diversi livelli del sistema linguistico,
visti come variabile dipendente. Pone la direzione causale dai fatti sociali ai fatti linguistici.
 sociolinguistica interpretativa: si rifà principalmente all’insegnamento di Gumperz e mette
a fuoco l’attività discorsiva dei parlanti, vista come “costruzione di significato” mediante la
cooperazione dei partecipanti all’interazione, cercando di interpretare le loro strategie e
scelte linguistiche come un modo per strutturare la società e le situazioni comunicative. La
direzione causale va dai fatti linguistici ai fatti sociali.

Ogni lingua non è un blocco uniforme, compatto, omogeneo e immutabile nel tempo e nello
spazio geografico e sociale, ma un insieme di elementi mutevoli, un insieme composto da
molteplici varietà.

VARIABILITA’: PROPRIETA’ INERENTE A CIASCUNA LINGUA  ogni lingua è differenziata al suo


interno entro i limiti posto dalla generale struttura del proprio sistema.

La lingua varia in rapporto:

- al tempo: varietà diacronica


- allo spazio: varietà diatopica
-

CAP. 2 – Come descrivere, analizzare e spiegare i fatti sociolinguistici.

2.1 - Come si conduce una ricerca sociolinguistica: questioni, concetti, metodi.

Per condurre una ricerca sociolinguistica bisogna:

 scegliere un tema: tutti i temi che in qualche modo possono rivelare qualcosa circa i
rapporti fra linguaggio verbale e società, che possono mostrarci significati sociali dell’uso e
del comportamento linguistico, o che possono dare conoscenze sul modo in cui la società
influisce sulla lingua; o
 raccolta dei dati: tramite la registrazione a nastro, CD, mini disk;
 trascrizione della registrazione: il ricercatore si fa una prima idea dello stato delle cose e
permette di scoprire nuove piste di indagine, spesso non previste nel piano iniziale di
ricerca

2.2 - La differenza tra lingua e dialetto.

Fra lingua e dialetto non esistono differenze riconducibili meramente alla struttura e alla forma
linguistica interna. La differenza fra lingua e dialetto è di natura sociale, sono le caratteristiche del
loro uso presso la comunità parlante. “Una lingua è un dialetto che ha fatto carriera” = la lingua
sarebbe un dialetto che si è ampiamente diffuso fino ad essere parlato da moltissime persone. In
principio tutte le lingue standard all’inizio della loro vita sono state dialetti.

Evoluzione linguistica:

Volgari romanzi: con la frammentazione e la progressiva differenziazione delle varietà parlate del
latino nelle varie zone dell’ex Impero Romano: durante il Medioevo si sono venuti a formare tanti
idiomi (prima solo parlati e poi anche scritti) diversi dalla lingua madre (latino). Per secoli sono
vissuti come lingua del parlato ordinario a fianco del latino, lingua scritta, in una situazione di
diglossia.

Dialetti italiani: i volgari italiani del 1500-1700 fiorentino contrapposti alla lingua scritta e colta
latina. Quando si è cominciato a scrivere in volgare, alcuni di questi volgari hanno guadagnato
spazio negli usi scritti, acquisendo prestigio come il “volgare fiorentino” che, grazie a ragioni
storiche, letterarie ed economiche è diventato:

 1400 -> lingua per eccellenza della produzione letteraria;


 1500 -> lingua standard, diventando così lingua italiana.

DIALETTO: idioma locale della conversazione quotidiana. Ha diffusione geografica ridotta, ha


carattere locale e presenta un grado ridotto o comunque minore rispetto a una lingua, di
elaborazione, e in particolare ha un lessico meno esteso.

LINGUA: ha una diffusione geografica più ampia rispetto a un dialetto, ha carattere sovraregionale
ed è più elaborata. Inoltre, comprende una maggiore quantità di risorse linguistiche-strutturali.

La conversazione quotidiana:

- coinvolge tutti i domini nella vita di una società;


- si distribuisce su tutti i tipi ricorrenti di situazioni comunicative, formali e informali, casuali
e transazionali;
- è affare di tutti i parlanti, qualunque sia la loro posizione sociale, professione, nella
stratificazione di età, ecc.

Per questo potranno emergere le differenze fra i parlanti circa l’uso di lingua e dialetto, in
relazione sia alle intenzioni comunicative dei parlanti stessi sia ai fattori sociali e demografici che li
contrassegnano. Si pongono dunque due questioni:
1. di carattere sostanziale: se lingua e dialetto sono compresenti nella comunità parlante,
questo non vuol certo dire che tutti i membri della comunità padroneggino entrambe le
varietà;
2. di carattere definitorio: la compresenza di lingua e dialetto permette di parlare di
bilinguismo?

Si parla di bilinguismo o plurilinguismo quando: fra due o più varietà di lingue usate presso un
gruppo o una comunità parlante esiste una differenza strutturale evidente ed entrambe hanno una
loro autonomia. Nella maggioranza delle situazioni italiane, la distanza fra lingua e dialetto locale è
sufficiente per consentire di parlare di bilinguismo, o almeno di un tipo particolare di bilinguismo:
il bilinguismo “lingua standard-dialetto".

La commutazione (che è il passaggio da una varietà di lingua a un’altra varietà di lingua) può:

- ricoprire una gamma molto ampia di valori pragmatici;


- svolgere funzioni connesse ai partecipanti e ai loro ruoli nell’interazione, come
l’adeguamento all’interlocutore, la riformulazione o ripetizione rivolta a se stessi, la
citazione o realizzare atti linguistici particolari;
- segnalare essa stessa il cambiamento del carattere attribuito alla situazione comunicativa;
- può avere come causa/condizione la semplice necessità di riempire lacune lessicali o
l’esigenza di formulare meglio un determinato concetto;
- avviene preferibilmente al confine tra una frase e l’altra, e l’articolazione sintattica sembra
dunque un confine importante per l’alternanza di un codice;
- il passaggio da un sistema linguistico all’altro, tuttavia, avviene spesso in concomitanza con
un cambiamento di pianificazione e struttura sintattica; il passaggio può anche avvenire
all’interno di una stessa struttura frasale (es. code-mixing, intrasentential code-switching o
enunciazione mistilingue).

Carol Myers-Scotton: elabora un importante modello teorico che prevede l’azione di precisi
principi morfosintattici che regolano la struttura di enunciati mistilingui, fondamentalmente basati
sull’esistenza in ogni caso di comportamenti bilingue di una lingua principale o prevalente (“matrix
language”) che fornirebbe il quadro morfosintattico globale entro cui, con determinate restrizioni,
possono far la loro comparsa elementi dell’altra lingua (“embedded language”, lingua incassata).

IPA: metodo scientifico standard nella linguistica per rappresentare la pronuncia, la realizzazione
fonica della catena parlata. Si parla spesso di italianizzazione dei dialetti, di un processo di
annacquamento delle strutture tradizionalmente tipiche del dialetto sotto l’influenza della lingua
standard, con l’ingresso di numerosi italianismi; tale italianizzazione riguarda e ha toccato in
misura vistosa il lessico, e in misura molto minore la fonetica e la morfosintassi. Questo sembra
dipendere dal moltiplicarsi delle sfere lessicali per le quali i dialetti non avevano le risorse lessicali
adatte.

Variabile sociolinguistica: elemento del sistema linguistico che viene realizzato sotto diverse
forme in correlazione con fattori sociali. L’insieme delle diverse forme costituisce la variabile.
2.3 - Le dimensioni della variazione sociolinguistica.

Vengono comunemente riconosciute cinque dimensioni fondamentali di variazione, ciascuna delle


quali dà luogo a varietà di lingua marcate. Tutte queste variazioni sono sincroniche.

1. variazione diastratica: la lingua varia attraverso la stratificazione sociale, sulla base di


molteplici fattori che hanno maggiore o minore rilevanza a seconda delle comunità prese in
considerazione.
- varietà bassa -> italiano popolare = varietà di lingua marcata in diastratica come associata
generalmente ai parlanti incolti o poco colti, o semicolti, che hanno una cattiva padronanza
della lingua standard;
- verso l’alto dell’asse della dimensione diastratica stanno invece gli usi colti dell’italiano
standard (“buona lingua”);
- ha acquistato sempre più rilevanza la rete sociale (insieme strutturato e dinamico di
relazioni sociali e comunicative che gli individui intessono fra loro) in cui ogni parlante è
inserito; a seconda della posizione che occupa all’interno di una determinata rete sociale,
un parlante è più o meno esposto e sensibile a questo o quel modello di comportamento
linguistico.
2. variazione diatopica: la lingua varia attraverso lo spazio.
- la diversificazione geografica è evidente nelle grandi lingue parlate come lingue standard e
ufficiali in più paesi, nelle quali si possono dare diversi standard e diverse norme per i
diversi paesi nei quali la lingua è lingua materna, in questi casi si creano delle vere e
proprie varietà statali di lingua. Tali lingue vengono chiamate lingue policentriche (o
pluricentriche), come il tedesco, l’italiano di Italia e Svizzera, inglese in UK e in USA;
- differenziazione tra le diverse regioni geografiche in cui una lingua è parlata, evidenti nel
lessico e nella fonetica. Gli italiani regionali stanno rapidamente attenuandosi presso le
nuove generazioni (oggi la maggioranza dei giovani in ambiente urbano mostra una
pronuncia: 1) standard: con scarsa e sporadica presenza di tratti marcati regionalmente; 2)
composita: con la compresenza di tratti da ricondurre a diversi italiani regionali);
- italiano: ricco di geosinonimi, regionalismi semantici (parole che in diverse regioni hanno
diverso significato), differenze di pronuncia regionali (cadenza o curva intonativa
dell’enunciato, costrutti e tratti morfosintattici);
- esistono due costrutti morfosintattici marcati in diatopia, che costituiscono variabili
sociolinguistiche come la “morfologia derivazionale” (variazione dei suffissi nelle diverse
parlate) e “morfologia flessionale” (assegnazioni diverse di genere grammaticale).
3. variazione diafasica: la lingua varia attraverso le situazioni comunicative. Si estende in due
grandi sottocategorie:
- variazione di registro o variazione stilistica;
- variazione di sottocodice o variazione settoriale.

A seconda del tipo di situazione in cui avviene la comunicazione verbale assistiamo, presso uno
stesso parlante, a realizzazioni linguistiche anche molto diverse, che riflettono il modo in cui i
fattori esterni influiscono sulla caratterizzazione della situazione comunicativa e allo stesso tempo
la modalità con la quale il parlante interpreta e codifica col suo stesso comportamento linguistico
in una determinata situazione. In ogni lingua esistono modi per designare cose e costrutti che sono
tipici del parlare comune, la “lingua di tutti i giorni”, e altri che, con lo stesso valore referenziale,

sono invece tipici di un linguaggio ricercato o di un linguaggio tecnico (forma ridotta o aferetica,
ossia con il taglio della prima sillaba);

4. variazione diamesica: differenziazione fra uso parlato e uso scritto della lingua (dipende dal
mezzo o dal canale fisico attraverso cui passa la comunicazione verbale);
5. variazione diacronica: le lingue variano attraverso il tempo.

Le variabili sociolinguistiche sono quindi fenomeni linguistici che variano secondo una o più delle
fondamentali dimensioni di variazione, cioè “punti” del sistema linguistico che ammettono più di
una sola realizzazione e in cui ogni realizzazione varia con fattori che la situano e la marcano sulle
dimensioni di variazione. Una variabile sociolinguistica classica varia contemporaneamente sulla
dimensione diastratica e diafasica.

La variazione risponde a bisogni innati nella specie umana di differenziazione e di identificazione e


ha una funzione adattativa duplice:

- la variazione linguistica consente allo strumento lingua di rispondere nella maniera più
flessibile e funzionale ai bisogni sempre diversificati e sempre più complessi della vita, della
struttura e dei rapporti sociali;
- è un importante mezzo e veicolo di formazione, affermazione e trasmissione dell’identità
socioculturale e individuale.

CAP. 3 – Il raggio e i campi di azione della sociolinguistica.

3.1 - L’architettura della lingua. Campo di applicazione della sociolinguistica: lo studio


dell’articolazione di una lingua storico-naturale in varietà secondo:

- le dimensioni fondamentali di variazione;


- dei rapporti;
- delle reciproche delimitazioni fra queste varietà;
- della descrizione delle caratteristiche di tali varietà a tutti i livelli di analisi.

Per ogni situazione di italiano regionale è prevista un’articolazione dell’architettura della lingua in
tre assi, corrispondenti alle tre dimensioni diastratica, diafasica e diamesica.

Ogni asse dello spazio delle varietà dell’italiano va da un estremo all’estremo opposto di un
continuum.

- l'asse verticale della diastratia: va dal polo più alto (le varietà di lingua dei parlanti molto
colti) al polo più basso (la varietà dei parlanti incolti);
- l’asse orizzontale della diamesia: va dal polo di sinistra (tipicamente scritto) al polo di
destra (tipicamente parlato) (la tipica varietà parlata media è l’italiano, appunto, “parlato
colloquiale”);
- l'asse diagonale della diafasia: va dall’estremo in alto a sinistra, dove c’è il massimo grado
di formalità, di elaborazione e tecnicità, e l’accento è sulla referenzialità concettuale del
messaggio, all’estremo in basso a destra, dove c’è il massimo grado di informalità, di
spontaneità e di genericità, e l’accento è sull’espressività del messaggio:
 varietà all’estremo alto: italiano formale aulico dalla parte dei registri e italiano
tecnico-scientifico dalla parte dei sottocodici;
 varietà all’estremo basso: italiano informale dalla parte dei registri e italiano
gergale dalla parte dei sottocodici.

Gergo: varietà di lingua marcata al tempo stesso in diafasia e in diastratia, caratterizzata da un


lessico proprio spesso difficilmente decodificabile da non appartenenti al gruppo; funge da
importante contrassegno dell’identità di un gruppo.

L’estremo in alto a sinistra: è quello che condensa i valori più “alti” di tutti e tre gli assi.

Al centro: all’incrocio più o meno neutrale fra i tre assi, si situa l’italiano standard.

Nelle varietà più alte: è evidente l’elevato grado di elaborazione lessicale e sintagmatica, con
l’impiego al posto di singoli nomi di sintagmi dotati del massimo grado di precisazione referenziale.
L’italiano popolare è sempre decisamente marcato in diatopia.

Il registro informale: è caratterizzato normalmente anche da una semplicità sintattica.

L’italiano gergale: fa riferimento all’uso linguistico specifico di un gruppo di parlanti che abbiano
elaborato l’impiego di un lessico proprio.

Le varietà: come disponentesi in un continuum orientato fra poli opposti, in cui le varietà
emergono come punti particolari di addensamento a tratti. Tali addensamenti si costituiscono sia
in termini di presenza concomitante, sia in termini di maggiore o minore frequenza delle varianti
marcate.

L’italiano popolare: è quella varietà identificata da un particolare addensamento di tratti


caratteristici e varianti di variabili congruenti lungo la dimensione diastratica. Alcuni di questi tratti
saranno diagnostici, altri tratti saranno presenti nell’italiano popolare con maggiore frequenza, e
altri tratti ancora appariranno con analoga distribuzione di frequenza in più varietà. In particolare,
c’è spiccata sovrapposizione di tratti fra l’italiano popolare e l’italiano informale e trascurato. Tale
sovrapposizione ha indotto a volte gli studiosi a trattare l’italiano popolare piuttosto in termini di
registro che non in termini di varietà diastratica.

Il riconoscimento delle varietà deve sempre avvenire sul piano della correlazione fra fatti linguistici
e fatti sociali.

Substandard: con tale designazione si intende tutto ciò che nell’architettura della lingua sta “al di
sotto” dello standard, è “più basso” dello standard.

La variazione diamesica contiene, in realtà, due tipi di fatti tra loro in collegamento ma che vanno
tenuti distinti:
 da un lato il carattere fisico del canale;
 dall’altro la concezione strutturale del messaggio, il tipo di elaborazione, la scelta dei tratti
linguistici messi in opera

Concezione del messaggio: opposizione specifica parlato/scritto, raccogliendo separatamente


sotto l’etichetta di fonico/grafico ciò che riguarda il condizionamento del mezzo.

Koch e Oesterreicher: Parlato/scritto grafico: a) Lui non ce l’aveva. b) Egli non l’aveva; Fonico c) d).

1. parlato grafico: resa nel mezzo grafico di messaggi strutturalmente “parlati” (a);
2. parlato fonico: resa nel mezzo fonico di messaggi strutturalmente parlati, il “vero” parlato
(c);
3. scritto grafico: resa nel mezzo grafico di messaggi strutturalmente scritti, il “vero” scritto (b)
4. scritto fonico: resa nel mezzo fonico di messaggi strutturalmente “scritti” (d).

3.2 - Linguaggi settoriali.

Linguaggi settoriali (linguaggi speciali/lingue speciali): microcosmi linguistici facenti parte di ogni
lingua, costituiti fondamentalmente da elementi specifici, quasi gergali, espressioni tecniche o
gruppi di vocaboli utilizzati nei vari settori professionali o sociali.

Parte della terminologia specifica di un settore socio-professionale si è diffusa anche tra il parlante
medio. Altre volte, invece, risulta molto difficile comprendere un linguaggio tecnico. I linguaggi
settoriali sono caratterizzati principalmente da:

- un lessico specifico;
- un vocabolario, appunto settoriale ma anche, seppur in misura minore, da particolari
costrutti.

La lingua comune e i linguaggi settoriali non sono scomparti isolati, ma convivono come varietà di
lingua usate da uno stesso parlante in contesti comunicativi diversi, sempre in stretto contatto e
con continui scambi di lessico. Gli scambi lessicali tra linguaggi settoriali e linguaggio comune sono
estremamente proficui per entrambi, arricchendo entrambi di vocabolario e, quindi, di ampiezza
espressiva. I linguaggi settoriali creano delle barriere linguistiche se usati per comunicare con “non
addetti ai lavori”. Se, invece, consideriamo i linguaggi settoriali nella loro vera natura sono risorse
che la lingua nel suo complesso fornisce per comunicare in modo chiaro ed efficace tra addetti ai
lavori. L’uso di un lessico specifico e settoriale è uno strumento indispensabile per un passaggio di
informazioni che descriva in modo preciso, univoco e appropriato la realtà.

3.3 - Sociolinguistica e comunicazione mediata dal computer. L’uso della lingua nei nuovi tipi di
comunicazione verbale introdotti dalle moderne tecnologie elettroniche (personal computer,
email/chat) ha portato a un particolare uso del linguaggio.

Email e chat: stanno diventando un modo di comunicare che sostituisce, in parte, la


comunicazione orale.

1. Email:
-presenta una vasta gamma di tipi di testo e di variazioni in relazioni alla situazione
comunicativa (formale – informale)
- informale: ha spesso una struttura macrosintattica molto vicina a quella della produzione
scritta.
2. Chat:
- caratterizzata dalla simultaneità della comunicazione; ▪ gli argomenti trattati sono di vita
quotidiana, con un registro informale o molto informale;
- implica la rapidità nella digitalizzazione del testo, che spiega i frequenti errori di battitura
non corretti.

Elementi in comune: quando sono informali quasi si sovrappongono dal punto di vista della
situazione comunicativa, tenendo sempre in conto la caratteristica di sincronicità della
comunicazione, tipica delle chat.

La divisione tra scritto e parlato viene, in qualche modo, superata nella scrittura mediata dal
computer. Si tratta di una comunicazione scritta con una forte componente interattiva, che
configura una varietà di lingua a sé. Oltre a fenomeni di abbreviazione e contrazione del lessico
sono frequenti esperimenti di punteggiatura, per rendere nello scritto caratteristiche che
appartengono alla sfera emotiva dei parlanti/scriventi. La varietà linguistica della comunicazione
mediata dal computer può trovare una collocazione specifica e unica nel continuum tra lingua
scritta e lingua parlata. Duplice motivo di interesse per la sociolinguistica:

- articolazione della lingua e costituzione di varietà adatte agli scopi e alle condizioni
specifiche di questa comunicazione;
- lingue presenti nella comunicazione mediata dal computer (CMC); oltre all’ovvia
pervasività dell’inglese, si trova la molto meno ovvia presenza dei dialetti all’interno dei
siti web. Sembra che nuovi spazi di utilizzazione all’interno delle moderne tecnologie
comunicative si aprano a idiomi “vecchi”, e tipicamente locali, come sono i dialetti.

3.4 - Lingua dei giovani e lingua delle donne.

L’età e il sesso sono due fattori socio-demografici che correlano in maniera interessante con il
comportamento linguistico dei parlanti.

- Età: risulta correlare molto significativamente, per esempio, con la dialettofonia; in tutti i
repertori, i giovani sono più orientati e più esposti alla lingua o varietà alta. Il linguaggio
giovanile presenta tratti molto ricorrenti nel comportamento linguistico dei giovani,
soprattutto parlato e nella comunicazione mediata dal computer; esiste anche un lessico
giovanile: tale lessico giovanile può configurare il cosiddetto linguaggio giovanile come
una sorta di gergo. Come i gerghi transitori (che si sviluppano in determinati ambienti per
il periodo in cui il gruppo di persone si trova a condividere vita, attività, valori), il
linguaggio giovanile sembra essere molto transeunte. [gergo: una varietà di lingue che è
marcata, al tempo stesso, in diafasia (in quanto è impiegata solo in determinate situazioni)
e in diastria (in quanto si forma all’interno di un certo gruppo sociale, e ne diventa
contrassegno tipico); caratterizzata da un lessico proprio, formato attraverso meccanismi
morfologici e semantici diversi ma ricorrenti].
- Sesso: le differenze nel comportamento linguistico fra uomini e donne in termini di
variazione di genere (il correlato sociale della proprietà biologica di essere maschio o
femmina, la codificazione sociale e l’insieme dei ruoli connessi al sesso) e i caratteri
sociolinguisticamente interessanti dell’essere uomo o donna dipendono dalla definizione
sociale associata ai ruoli reciproci.

Sociolinguistic gender pattern (schema o stereotipo sociolinguistico del genere):

a) le donne sarebbero più sensibili allo standard, al modello di prestigio;


b) la maggior attitudine alla dialettofonia è riscontrabile presso gli uomini nella situazione
italiana.

Lebov: l’analisi della variazione a Filadelfia è solo nella classe sociale più alta della stratificazione
da lui adottata nei suoi studi che gli uomini presentano significativamente più varianti non
standard delle donne; sono tutti femminili i valori estremi, verso l’alto o verso il basso. Quindi sono
le donne che presentano il massimo della conservazione o dell’innovazione quando ci sono
cambiamenti in atto. Si è molto discusso sull’esistenza di una “lingua delle donne”:

- uso di più diminuitivi, aggettivi valutativi e forme varie di attenuazione;


- utilizzo ridotto di termini attinenti a sfere tabuizzate;
- le donne appartenenti ai ceti sociali meno abbienti ricorrono all’imprecazione;
- utilizzo molto frequente di dispositivi di cortesia verbale (complimenti, ringraziamenti,
scuse).

Non si tratta, però, di una varietà di una lingua, ma più semplicemente di preferenze lessicali e
pragmatiche.

- Le donne: prediligono un rapporto comunicativo fondato in primo luogo sul


mantenimento della cooperazione e sull’espressione delle emozioni e degli affetti.
- Gli uomini: sono molto più orientati a uno stile di comunicazione verbale incentrato sugli
aspetti referenziali e direttivi.

Discriminazione di genere: può venire veicolata dalle lingue e attraverso le lingue; importante
tematica del “sessismo” della lingua.

Linguistica femminista (anni ‘60): per evitare che in essa sia veicolata e perpetuata la
codificazione della posizione inferiore della donna nella società; in molte lingue vi sono opposizioni
grammaticali e categorizzazioni semantiche che privilegiano il maschile. La linguistica femminista
ha avanzato varie proposte di intervento correttivo, alcune delle quali hanno avuto successo e si
sono impiantate (in inglese e in tedesco sono stati creati veri e propri termini, in italiano sono
state sviluppate delle alternative), altre sono diventate alternative qualche volta praticate e altre
ancora appaiono inutilmente implicate o fuorvianti e hanno avuto poco seguito, altre infine
risultano del tutto cervellotiche e ridicole, e sono state impiegate unicamente in funzione
provocatoria. Alcune proposte sono state accolte in sede ufficiale per semplificare e ridurre
l’inutile e fumosa complessità del linguaggio burocratico e amministrativo. Non è la lingua a creare
discriminazioni, la lingua casomai le riflette.

3.5 - Analisi dei repertori linguistici.

Repertorio linguistico: l’insieme delle varietà di lingua presenti in una comunità parlante. Le
diverse varietà di lingua si collocano nel repertorio occupando ciascuna un settore, una posizione
particolare, e con un raggio di impiego e funzioni diversi. A seconda del tipo di rapporto che si
instaura fra lingue o le fondamentali varietà di lingua e della loro distribuzione negli usi, negli
atteggiamenti, della comunità. Tipi significativi di repertorio linguistico:

- La prima distinzione è basata sulla nozione di diglossia: per diglossia, Ferguson intendeva
una situazione in cui in una comunità linguistica fossero presenti due fondamentali varietà
di lingua ben distinte strutturalmente delle quali l’una, detta High o Alta (H o A), fosse
impiegata dai membri della comunità in tutte le funzioni “alte”, scritte e formali, e l’altra,
detta Low o Bassa (L o B), fosse usata dai membri della comunità nella conversazione
ordinaria, e non vi fosse, o fosse scarsissima, la sovrapposizione di ambiti. In seguito, la
nozione di diglossia è stata estesa a ricoprire tutti i casi di compresenza dei due sistemi
linguistici con almeno alcune differenze funzionali nelle abitudini della comunità parlante,
includendo la contrapposizione fra un registro formale e un registro informale della stessa
lingua.
- Berruto: tipologia dei repertori sociolinguistici che vede quattro categorie fondamentali:
o Diglossia: possesso di due lingue, ognuna delle quali viene usata in una situazione
specifica, distintamente l’una dall’altra. La lingua B è la lingua della socializzazione
primaria, impiegata per rivolgersi ai bambini piccoli e in famiglia, e quindi
trasmessa direttamente di generazione in generazione. Presuppone bilinguismo, in
quanto presenza nella stessa comunità di due sistemi chiaramente diversi. Una
netta differenziazione funzionale si può dare anche se le lingue o varietà si
spartiscono e sono compresenti in certi domini d’uso;
o Dilalia: sia la varietà A che la varietà B vengono usate, concomitantemente o in
alternanza, nel parlato quotidiano. La varietà alta viene usata in qualsiasi
situazione, mentre la varietà bassa è di uso esclusivamente orale e familiare
(italiano-dialetto). La differenziazione delle due lingue risulta, però, meno netta
rispetto alla divisione nella diglossia. Presuppone bilinguismo, in quanto presenza
nella stessa comunità di due sistemi chiaramente diversi. Una netta
differenziazione funzionale si può dare anche se le lingue o varietà si spartiscono e
sono compresenti in certi domini d’uso;
o Bilinguismo sociale: due varietà distinte, entrambe elaborate e sviluppate con
ambiti d’uso analoghi;
o Bidialettismo: non c’è differenza tra i due sistemi (es. il toscano è molto simile
all’italiano).
La situazione italiana: è anche un bell’esempio di evoluzione storica del tipo di repertorio, fino alla
seconda metà dell’Ottocento. La progressiva diffusione dell’italiano nel XX secolo ha
rappresentato:

o un'invasione da parte della lingua standard dell’ambito parlato quotidiano, con una
ristrutturazione dei rapporti fra le varietà che ha condotto a una situazione, appunto, di
dilalia;
o un'altra evoluzione plausibile è dal bidialettismodiglossia (formazione delle lingue
romanze);
o Un'altra evoluzione possibile ancora è quella opposta, dalla diglossiabidialettismo, per
avvicinamento o convergenza delle varietà e sovrapposizione delle funzioni.

Nella Francia metropolitana, così come nell’Inghilterra, la situazione risulta infatti di bidialettismo:
varietà standard/varietà parlata locale dello stesso sistema.

3.6 - Plurilinguismo e contatto linguistico.

Il plurilinguismo (e/o bilinguismo, e/o multilinguismo) è una situazione molto diffusa al mondo, a
qualunque livello di comunità linguistica si faccia riferimento. Situazioni bi- o plurilingui sono, anzi,
da ritenere le più normali, essendo il caso marcato piuttosto quello del monolinguismo. Qualche
esperienza di plurilinguismo fa parte della vita quotidiana di ciascuno di noi:

a) A ogni pie’ sospinto possiamo entrare in contatto nell’uso parlato col dialetto: e i dialetti
italoromanzi sono sistemi linguistici diversi rispetto alla lingua standard;
b) Nelle comunità urbane è dato sempre più frequente entrare in contatto con le multiformi
lingue dell’immigrazione straniera;
c) La diffusione della comunicazione mediata dal computer porta fette sempre più ampie
della popolazione a contatto, almeno scritto, con l’inglese, lingua della globalizzazione e di
internet. Il contatto fra sistemi linguistici è naturalmente coessenziale col plurilinguismo, e
può condurre alla formazione di varietà di contatto o di vere e proprie lingue miste.

I repertori linguistici di molti Paesi possono mostrare un altissimo grado di plurilinguismo:

- Camerun: più di 200 lingue, in cima alla piramide si trovano inglese e francese, lingue della
colonizzazione, che sono entrambe lingue ufficiali e scolastiche, utilizzate
nell’amministrazione e nell’educazione a tutti i livelli. Il francese è diffuso nelle province
meridionali, mentre l’inglese nelle province settentrionali. Vi sono poi una serie di lingue
locali che sono riconosciute come lingue nazionali. Ben 22 lingue sono lingue  radiofoniche:
le due lingue ufficiali, le lingue nazionali e altre lingue. 

− Esolingue: lingue che vengono da fuori. 

Contesti estremamente plurilingui e frammentati sono anche il terreno ideale di coltura per
la formazione di lingue di contatto e di lingue miste, e per la pidginizzazione e la formazione
di lingue pidgin. 
 Lingue di contatto (o “link languages”, “lingue di collegamento”): sono spesso
varietà rudimentali, semplificate o interlingue approssimative di una delle lingue materne
dei gruppi che sono in contatto o di un’altra lingua che funge da lingua franca. Una di
queste lingue di contatto può essere considerato il cosiddetto “italiano dei lavoratori
stranieri”, rintracciato negli anni ‘80 del Novecento nei centri urbani della Svizzera
germanofona. Si tratta di un insieme di varietà di italiano L2, con fenomeni di
semplificazione, interferenza dal tedesco e parziale ristrutturazione, utilizzata in diversi
ambienti lavorativi come lingua veicolare d’occasione fra lavoratori stranieri immigrati di
diversa provenienza e fra questi e i loro colleghi di origine italiana. Il fenomeno è
molto interessante, e in qualche modo sorprendente, perché nel caso di immigrazioni
plurime in paesi industriali ciò che tende a formarsi come lingua elementare veicolare fra
gli immigrati di diversa provenienza è semmai sempre una varietà rudimentale della
lingua dell’ambiente ospite; tedesco dei lavoratori ospiti. Varietà di contatto di questo
genere godono di una certa istituzionalizzazione e funzionano anche da fattore di identità
di gruppo. 

La lingua veicolare planetaria per eccellenza al giorno d’oggi è, ovviamente, l’inglese. Da


questa sua funzione di “collegamento”, in contesti speciali di plurilinguismo e sotto
particolari condizioni, possono nascere produzioni linguistiche altamente devianti e del
tutto idiosincratiche, proprie di un determinato singolo individuo di quella data situazione. 

▪ Lingue miste: in situazioni di contatto molto intenso fra due lingue, in cui vengano, a un certo
punto, meno le ragioni “esterne” del contatto, possono crearsi delle vere e proprie lingue
miste. “Lingua mista” è un termine tecnico assai specifico, riservato a quei casi in cui si sia
formata una nuova lingua con la fusione grammaticale e lessicale di due lingue preesistenti (es.
Media Lengua in Ecuador). 

▪ Pidgin: in situazioni di contatto fra parlanti di parecchie lingue diverse e molto lontane fra
loro, e con occasioni di comunicazione ridotte e limitate a questioni pratiche e
“di sopravvivenza”, e asimmetriche, si possono formare i pidgin. Non si tratta di lingue miste,
bensì di nuove lingue, valide per la comunicazione essenziale e quindi funzionalmente ridotte
con un certo ammontare di semplificazione, che prendono materiali vari dalle lingue che sono
venute in contatto, e in particolare da una di queste lingue, ma li rielaborano e ristrutturano,
spesso attraverso processi e fenomeni di “grammaticalizzazione”, dando luogo a grammatiche
proprie. Un pidgin presuppone di solito che vi sia stata “ibridazione terziaria”, cioè che il pidgin
venga trasmesso da parlanti non nativi a parlanti non nativi. 

 lingua veicolare: un’ampia parte del materiale lessicale dei pidgin di solito proviene da una
lingua sovrapposta, nella maggior parte dei casi una lingua coloniale europea; 
 lingua di sostrato: lingua materna dei gruppi interessati dal contatto che porta alla nascita
del pidgin; 
 lingua di superstrato: lingua dominante che fa da innesco lessicale al pidgin;
 lingua lessicalizzatrice (“lexifier language”): lingua che fornisce al pidgin la maggior parte
del materiale lessicale; i pidgin vengono classificati in relazione a questa lingua; i pidgin non
si possono considerare varietà della loro lingua lessicalizzatrice, non sono reciprocamente
comprensibili. 

Situazioni favorevoli alla formazione di pidgin si sono avute nel Seicento e nel Settecento,
per esempio nelle piantagioni e nei porti sede di continui flussi commerciali e di popolazione. 

▪ Creolo: quando un pidgin per così dire “fa carriera”, si stabilizza, viene a essere sempre più
usato, incrementa il raggio delle sue funzioni e comincia ad essere impiegato da gruppi
significativi anche come la lingua della socializzazione primaria in famiglia, acquisendo, quindi,
parlanti nativi, gente che lo ha come L1, prima lingua, si sviluppa in “creolo”. I creoli conoscono
anche un’elaborazione e una complessificazione  grammaticale e lessicale, possono diventare
lingue scritte, scolastiche, ufficiali e nazionali. 

Le lingue pidgin e creole sono sistemi linguistici che nascono al di fuori di ogni pianificazione
e codificazione esterna. Esse permettono al linguista di osservare e teorizzare come avvenga
per così dire in natura la processazione che porta a una nuova lingua, alla creazione di
una grammatica, a partire da determinati materiali di ingresso, di input. 

L’Italia non è stato un grande paese coloniale, e dunque l’italiano non coinvolto significativamente
come lingua base di pidgin e creoli. Ha, tuttavia, una consistente base italiana quello che è
considerato il capostipite dei pidgin a larga circolazione, la lingua franca o sabir (lingua franca del
Mediterraneo). 

I problemi più salienti, dal punto di vista strettamente sociolinguistico, posti dalle situazioni
di plurilinguismo si possono, semplificando molto, ridurre a tre campi fondamentali: 

- Conflitti fra lingue nei paesi bilingui e multilingui: la compresenza di lingue a livello statale
può dare luogo a conflitti e lotte non solo culturali, ma politici, e a volte addirittura a
terrorismo e a guerre; 
- Bilinguismo da emigrazione: le emigrazioni sono certamente, nel mondo moderno, il
più pervasivo dei fenomeni sociali e demografici che creano plurilinguismo. Il
bilinguismo da emigrazione è estremamente interessante, perché implica un reciproco
aggiungersi l’una all’altra di due lingue. L’immigrazione, infatti, non solo crea bilinguismo
negli emigrati stessi, per i quali l’esposizione alla lingua o alle lingue del paese e
della comunità ospite provoca sempre in misura più o meno spiccata l’apprendimento
e l’adozione, almeno in alcuni ambiti, della lingua della comunità che li accoglie,
facendo diventare bilingui gruppi prima dell’emigrazione eventualmente monolingui,
o comunque aggiungendo una lingua al repertorio nativo dei gruppi emigrati,
ma introduce in qualche modo, magari anche solo sotto la forma di contatto sporadico,
una nuova lingua, la lingua (o le lingue) portata dagli immigrati, al repertorio globale
della comunità parlante meta dell’immigrazione. Gli effetti linguistici dell’emigrazione
di massa sono stati studiati (De Mauro) sotto diversi punti di vista: 
 sia dal punto di vista delle varietà di italiano tipiche dell’emigrazione; 
 sia dal punto di vista del repertorio linguistico della prima e della seconda 
generazione di emigrati e dall’uso alternato delle lingue; 

sia dal punto di vista delle varietà della lingua della comunità ospite. 

- Problemi delle minoranze linguistiche: le questioni linguistiche connesse all’immigrazione


straniera in Italia sono rapidamente diventate un campo fra i più frequentati dalla
linguistica italiana: negli ultimi anni si è persino formata una branca della linguistica,
chiamata “linguistica acquisizionale”, dedicata allo studio delle strategie di apprendimento
dell’italiano come L2 in contesto naturale e delle varietà di interlingua sviluppate dai
parlanti non nativi.  

3.7 - Le minoranze linguistiche. 

Minoranze linguistiche: comunità storiche, di antico insediamento, in uno stato, nelle quali
sia tradizionalmente parlata una lingua diversa da quella che è la lingua ufficiale prevalente
dello Stato. Le minoranze linguistiche sono presenti in gran parte dei paesi moderni, e spesso
danno luogo a conflitti e problemi sociopolitici di varia natura connessi con il plurilinguismo e
col contatto linguistico che sempre contrassegna la situazione delle minoranze linguistiche. 

Lingua minoritaria (o lingua di minoranza, o lingua regionale o lingua meno diffusa): lingua parlata
da una minoranza linguistica.  I principali problemi sociolinguistici delle lingue di minoranza, e delle
comunità minoritarie, hanno a che fare con: 

- il mantenimento, la tutela e la promozione della lingua; 


- la tematica della decadenza linguistica (language decay) e della morte delle lingue 

(language death). 

La presenza del tedesco come lingua minoritaria nell’Italia del Nord è diffusa e diversificata.
La situazione delle isole e piccole aree di parlata tedesca sparse lungo l’arco alpino è
totalmente diversa dalla situazione della minoranza germanofona dell’Alto Adige/Sudtirol. Qui
il tedesco è la lingua ufficiale e scolastica alla pari dell’italiano ed esiste un doppio sistema
scolastico, italofono e tedescofono. La situazione linguistica in Alto Adige è di “bilinguismo
bicomunitario”: italiano e tedesco sono entrambe lingue ufficiali a pieno titolo, ma il
bilinguismo della provincia deriva dall’accostamento di una comunità fondamentalmente
italofona e di una fondamentalmente tedescofona, che è la popolazione indigena. Si tratta di
un bilinguismo in un certo senso separatista, che mira a mantenere intatte, e a rinforzare, le
singole comunità delle due diverse lingue e sfavorisce l’integrazione fra esse e la formazione di
nuove generazioni veramente bilingui. Le altre zone o località minoritarie di parlata tedesca
non hanno invece mai goduto di alcun riconoscimento giuridico e istituzionale né di alcuna
tutela sino all’approvazione nel 1999 da parte del Parlamento della Legge 482. In Valle D’Aosta
vi è un “bilinguismo integrativo” (italiano/francese), mirando la politica linguistica valdostana
a garantire la piena padronanza e l’uso del tutto paritario di italiano e francese a tutti i
cittadini della Vallée.
 Grammaticalizzazione: processo che attrae nella sfera della grammatica, dei
morfemi grammaticali, elementi originariamente appartenenti al lessico, parole diventano parole
vuote. 

Esperanto: lingua inventata e divulgata verso la fine dell’Ottocento dal medico russo-polacco L. 
Zamenhof, è la più nota e la diffusa delle lingue artificiali, create a tavolino, per la
comunicazione  fra parlanti di lingue diverse. 

Altre lingue e parlate di minoranza in Italia sono: 

- lo sloveno e i dialetti sloveni nelle province di Trieste e Gorizia; 


- l’albanese, diffuso a macchia di leopardo in molti comuni dell’interno fra l’Abruzzo 
- meridionale e la Sicilia; 
- il serbo-croato in Molise; 
- dialetti neogreci; 
- parlate zingare, sinti e rom.

Vengono considerate lingue storiche di minoranza il friulano e il sardo. Vengono


spesso annoverate come minoritarie, almeno dal punto di vista “interno”, piccole aree, o isole 
linguistiche, in cui sono parlati dialetti romanzi diversi da quelli dell’area circostante. Le
ragioni storiche di questa dispersione di lingue e dialetti nel nostro paese sono in buona parte
da ricondurre a stanziamenti di gruppi provenienti da fuori. Un tratto di forte
pregnanza sociolinguistica comune a molte parlate minoritarie è che si tratta di lingue minacciate,
in via di regresso e decadenza sotto la duplice pressione dell’italiano e dei dialetti
italoromanzi circostanti. Il problema delle lingue minacciate di estinzione è, ovviamente, di rilievo
mondiale. 

Morte di una lingua: 

- una lingua è morta quando non ha più parlanti; 


- la morte di una lingua coinciderebbe, quindi, con la morte del suo ultimo parlante; 
- la morte di una lingua si ha quando tale lingua non ha più parlanti nativi, cioè che
la apprendano e la parlino dalla prima infanzia, come lingua della socializzazione primaria. 

Le lingue possono essere ancora possedute, almeno parzialmente e con un grado di


competenza ridotto, dai cosiddetti “semiparlanti” (semispeakers) o “parlanti imperfetti”. La
produzione in quella lingua da parte dei semiparlanti avviene, solitamente, solo nelle interazioni
con i parlanti nativi, che forniscono lo stimolo per l’attivazione della competenza ridotta dei
semiparlanti, ne consegue che la vita effettiva di una lingua sembra sempre essere connessa
all’esistenza di un parlante nativo fluente. La presenza di parlanti nativi è la premessa perché vi
siano situazioni d’uso funzionali e spontanee, e tali situazioni d’uso permettono il mantenimento
di almeno un certo numero di frammenti del sistema nei semiparlanti. Il processo di
obsolescenza di una lingua implica, ovviamente, una progressiva riduzione delle funzioni e degli
ambiti d’uso. A questa progressiva atrofizzazione funzionale dovrebbe corrispondere una
riduzione e semplificazione strutturale. Sembra che una relazione diretta fra riduzione funzionale
e riduzione strutturale non sempre esista. Due osservazioni: 

- Dressler: ha osservato nei semiparlanti adolescenti e adulti del bretone, lingua


in decadenza, una netta riduzione dell’allomorfia nella formazione del plurale dei nomi. 
- Dal Nigro: ha osservato, studiando i rapporti fra età e fenomeni di riduzione
strutturale presso i parlanti poco competenti del titsh di Formazza/Pomatt, un fenomeno
opposto di complessificazione: un giovane di 16 anni produce un numero maggiore
di grammaticalizzazioni sul verbo di pronomi critici soggetto come desinenze di persona
di quanto non facesse quattro anni prima. 

3.8 - Sociolinguistica ed educazione. 

L’approccio sociolinguistico a problemi educativi ha trovato in Italia terreno molto fertile su diversi
temi (competenze linguistiche, lingue ed estrazione sociale): 

a. Problema del rapporto fra la norma attesa dall’insegnamento scolastico e la realtà
dei comportamenti linguistici delle persone; da cui discende anche la necessità di
discutere che cosa siano gli “errori di lingua” e quali ne siano le cause; 
b. Quale deve essere l’intervento della scuola, in base a quali finalità generali
e obiettivi particolari debba agire e che cosa possa realisticamente fare. 

La società e la scuola si trovano di fronte a una situazione di plurilinguismo e a una


molteplicità di varietà di lingua

-  alcune delle quali facenti parte del retroterra quotidiano in cui si muovono i ragazzi; 
- altre, invece, proposte (o imposte) dalla scuola; 
- Ogni varietà di lingua è corretta in se, ma non ogni produzione in qualunque varietà  è
corretta”, va bene, in qualunque situazione; 
-  ogni varietà deve essere appropriata alle situazioni e ai fini comunicativi da raggiungere. 

Ciò non significa porre sullo stesso piano tutte le varietà di lingua né
accettare indiscriminatamente ogni genere di produzione linguistica, bensì guadagnare la
consapevolezza che ogni varietà di lingua ha la sua funzione e anche la sua spendibilità sociale, nel
senso che è sottoposta a una valutazione da parte dei parlanti; da questo punto di vista occorre
che tutti possiedono almeno nelle linee fondamentali la norma standard, soprattutto per quanto
riguarda la grafia, la morfologia e la sintassi. 

Altro tema cruciale per l’educazione linguistica riguarda l’atteggiamento nei confronti del dialetto
e ora delle lingue dell’immigrazione, cioè delle lingue svantaggiate dalle lingue altre
che costituivano (i dialetti) e costituiscono (le lingue degli immigrati) il retroterra linguistico
e culturale di una parte dei ragazzi che entrano nella scuola. La scoperta del plurilinguismo trova
ad integrare in una giusta dimensione criticamente educativa i molti problemi connessi con la
comunicazione interetnica e interculturale: riformulazione degli obiettivi e dei contenuti della
stessa attività didattica; adeguamento dei programmi e dei materiali didattici; formazione degli
insegnanti. 

3.9 - Sociolinguistica e atti linguistici. 

La sociolinguistica, e in particolare quella parte della sociolinguistica che si occupa di “che


cosa facciamo” con la lingua nei confronti dei nostri simili, si presta anche molto bene a essere
usata da tutti come strumento di analisi ingenua dei messaggi a cui ci troviamo di fronte. 

▪ Atti linguistici: enunciati pronunciati da un parlante che non solo servono a dire qualcosa, ma
che, in vari sensi, servono anche a fare qualcosa; 

▪ Atti direttivi: enunciati che rappresentano tentativi da parte del parlante/scrivente di indurre
l’ascoltatore/lettore a fare qualcosa; 

▪ Atti rappresentativi: impegnano il parlante alla verità o alla falsità della proposizione espressa
(giuro, affermo); 

▪ Atti commissivi: hanno come scopo l’impegnare il parlante ad assumere una certa condotta
futura; 

▪ Atti espressivi: esprimono lo stato psicologico del parlante nei confronti del
contenuto proposizionale (cioè di quanto viene espresso o affermato nella frase che segue
di quanto è contestualmente implicitato); 

▪ Atti dichiarativi: verbi che producono la corrispondenza tra il contenuto proposizionale e la


realtà. 

La sociolinguistica, attraverso le analisi degli atti linguistici, può dare una chiave di lettura
delle interazioni verbali e di certi fatti della realtà che ci circonda. Attraverso la scelta dei tipi
di enunciato siamo in grado di agire sull’ascoltatore e di provocare delle reazioni
quando interagiamo sia faccia a faccia sia in forma scritta, così come siamo in grado di interpretare
la realtà attraverso una lente che ingrandisce certi fatti, li rende visibili dandoci la percezione
della realtà subliminale che sottintende a determinati fatti linguistici che incontriamo. Tutto ciò
è regolato da delle regole di conversazione alle quali è opportuno attenersi e se si desidera che
la conversazione non solo sia uno scambio di informazioni, ma abbia la valenza sociale
di instaurare e mantenere un rapporto tra due o più persone. Secondo Grice, le regole
della conversazione riguardano 

a. quantità; 
b. qualità; 
c. relazione; 
d. modo. 

Sottostante vi è il “Principio di cooperazione e di cortesia”, per il quale i parlanti


accettano tacitamente di collaborare affinché la conversazione sia: 
▫ efficace dal punto di vista informativo; 

▫ piacevole, non disturbante l’altro, in grado di instaurare una relazione positiva; 

▫ collaborativa sul piano dell’informazione trasmessa; 

▫ cortese sul piano del rapporto umano. 

Per “quantità” si intende la quantità d’informazione da fornire: 

- Dà un contributo tanto informativo quanto richiesto. 


- Non dare un contributo più informativo di quanto richiesto. 

Per “qualità” si intende la natura dell’informazione fornita: 

- Tenta di dare un contributo che sia vero. 


- Non dire ciò che credi sia falso. 
- Non dire ciò per cui non hai prove adeguate. 

Per la categoria “relazione” la regola è:  Sii pertinente. 

Per la categoria del “modo”: 

1. Sii chiaro. 
2. Evita l’oscurità d’espressione. 
3. Evita l’ambiguità; 
4. Sii breve (evita la prolissità non necessaria); 
5. Sii ordinato nell’esposizione. 

Le regole, o Massime, conversazionali di Grice delineano una interazione perfetta,


ideale, difficilmente o raramente riscontrabile nella realtà. 

Il linguaggio (in chiave sociolinguistica) è considerato come uno degli strumenti attraverso i quali
possono essere letti il mondo in cui viviamo e le relazioni che instauriamo con i nostri simili.

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