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INTRODUZIONE – LA LINGUISTICA

La linguistica è di carattere descrittivo e non prescrittivo, è la scienza descrittiva del linguaggio. La grammatica è una
convenzione.
La linguistica è la scienza del linguaggio e delle lingue, anche nelle loro reciproche influenze.
Esiste una differenza tra lingua e linguaggio:
 Linguaggio = è la facoltà propria di un essere umano di utilizzare strumenti comunicativi simbolici, utilizzare
segni e gesti (trasmettere informazioni); è anche una capacità dell’uomo di apprendere una o più lingue, e di
servirsi di queste per comunicare.
 Lingua = è il prodotto di una facoltà che è propria del linguaggio. La lingua non deve per forza avere una
propria realizzazione scritta.
Lingue intese come modo peculiare di una comunità di parlanti o di scriventi appreso fin dai primi anni di vita. Per le
popolazioni alfabetizzate la lingua è affiancata da una tradizione scritta. Una lingua è fissata da una codifica, ovvero
l’individuazione di un codice, le regole grammaticali. Non tutte le lingue hanno una codifica così sistematica come per
esempio l’italiano o il francese. Per esempio i dialetti  assenza di grammatica normativa.

Campi di ricerca
 Fonetica e fonologia si occupano di studiare i suoni della lingua (anche senza finalità linguistica), la fonetica si
occupa dell’apparato di fonazione.
 Morfologia è lo studio delle parole, studio grammaticale dei morfemi.
 Sintassi è lo studio della struttura della frase, e dei procedimenti logici che esprimono attraverso la frase le
idee.
 Semantica è lo studio delle composizioni di parole o delle singole frasi di una lingua.
 Lessicologia e lessicografia: la lessicologia è lo studio del sistema lessicale di una lingua (lessico), la lessicografia
è la scienza che si occupa di registrare il lessico di una lingua.

A seconda delle finalità la linguistica può essere divisa in differenti rami:


 Linguistica interna = è l’insieme delle discipline che si occupano di una lingua senza influenze esterne (teorico),
quindi la lingua come capacità di un individuo;
 Linguistica esterna = è lo studio di una lingua sulla base dei rapporti con fattori esterni a essa, i fattori con
l’esterno sono determinanti;
o I fattori esterni che incidono sullo sviluppo di una lingua sono molteplici:
 Fattori extraculturali = influiscono in maniera limitata sullo sviluppo di una lingua (es:
configurazione geografica);
 Fattori culturali in senso lato = influiscono sullo sviluppo di una lingua in maniera più
evidente (es. fenomeni economici e demografici);
 Fattori culturali in senso stretto = incidono più direttamente e più in profondità sulla lingua
(es. alfabetismo e scolarizzazione);
 Linguistica sincronica e diacronica = sincronica è lo studio della lingua in un determinato periodo storico,
diacronica è lo studio di una lingua attraverso il tempo;
 Linguistica storica = è una disciplina diacronica perché studia una lingua dalla sua origine fino a un certo punto
(fino a oggi), è una corrente che si trova all’interno della linguistica diacronica;
 Linguistica comparata = è lo studio diacronico di più lingue (una lingua che ha portato alla nascita di più lingue
differenti).

Esistono ulteriori discipline interne alla linguistica:


 Dialettologia = studio dei dialetti di un territorio;
 Geografia linguistica o geo-linguistica = è la scienza che studia la distribuzione territoriale dei fenomeni di una
lingua;
 Sociolinguistica = studio di una lingua in rapporto con i fattori sociali (prodotto sociale);
 Etnolinguistica = si occupa dei rapporti di una o più lingue e le rispettive culture (prodotto culturale);
 Psicolinguistica = studia i meccanismi psicologici che stanno alla base dell’acquisizione e dell’utilizzo di una
lingua da parte dei parlanti;

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 Neurolinguistica = si occupa delle connessioni tra le patologie del linguaggio e i disturbi/lesioni del sistema
nervoso.

NASCITA DELLA LINGUISTICA

Nell’alfabeto troviamo una prima riflessione linguistica. L’alfabeto è una serie di grafemi che rappresentano
simbolicamente i suoni delle lingue. Nasce come un processo di ingegno dell’uomo che ha deciso di attribuire ai suoni
dei segni. L’alfabeto greco non è il primo alfabeto, ma è il primo a basarsi un sistema alfabetico. Deriva da quello fenicio
che era sillabico e simbolico, modificandone i simboli (indicavano degli oggetti, degli animali). I primi a occuparsi di
linguaggio furono Platone, il quale rifletté sul rapporto tra il nome e la cosa, e Aristotele, il fondatore della logica
(scienza del pensiero e del linguaggio). L’alfabeto greco è alla base poi dell’alfabeto latino (Varrone e Quintiliano).
Varrone scrisse un testo, “De lingua latina”, sulla lingua latina e si occupa soprattutto di etimologia e in parte della
morfologia. Quintiliano era un oratore, lasciò “Institutio oratoria”, un testo fondamentale per imparare a parlare e
scrivere bene.

La riflessione linguistica si fa rilevante nel Medioevo perché sparisce il latino e nascono le lingue romanze. Si fa
necessaria l’esigenza da parte degli intellettuali di trovare una lingua comune in Italia (si genera una babele di lingue),
nasce un volgare differente da zona a zona. Nasce un dibattito che parte da Dante e si concluse nel 1525 quando
vengono pubblicate le “Prose sulla volgare lingua” di Pietro Bembo. Questo periodo caratterizzato dal dibattito viene
denominato la “questione della lingua”.

Franz Bopp fu colui che avviò la disciplina della linguistica moderna.

La lingua italiana è basata sul fiorentino del ‘300. Si continuerà a discutere sulla lingua italiana senza mettere in dubbio
la sua origine. Tutti i giorni la lingua si modifica e si rinnova (riguarda solo la lingua parlata).

Bisogna aspettare l’800 perché la linguistica si basi sulla scienza. L’atto di nascita
della linguistica moderna coincide con le opere di Franz Bopp (per convenzione).
Fu il primo a studiare da un punto di vista comparativo (sistematicamente) lingue
diverse molto lontane fra loro. Questo studio va al di là delle semplici somiglianze
lessicali, Bopp riesce a mostrare come i collegamenti tra queste lingue siano molto
più profonde. Alcune lingue (del ceppo europeo e altri) derivano da un comune
antenato, l’indoeuropeo. L’indoeuropeo è una lingua che si presume essere alla
base delle lingue europee. Bopp costruisce una grammatica che tiene conto dei
tratti di differenti lingue, giungendo a una stessa lingua d’origine, l’indoeuropeo.

Graziadio Isaia Ascoli è considerato il fondatore della linguistica italiana, era uno
studioso di glottologia e scopritore di lingue (inventò il termine di glottologia con il significato della disciplina che studia
la comparatistica delle lingue). Studiò moltissime lingue sia moderne che antiche (lingua degli zingari), si concentrò poi
sull’ala italo-romanza. Fu il primo a conferire ai dialetti la dignità di lingua (il primo a studiare in maniera sistematica i
dialetti). In due studi fondamentali della linguistica romanza scoprì il ladino (insieme di lingue), e scoprì anche lingue
indipendenti sia dal francese che dal provenzale (patois in Valle d’Aosta, lingua franco provenzale)  si pensava che
fossero delle lingue derivanti o dal francese o dal provenzale.
Indirizzò i suoi studi sulla varietà dei dialetti italiani. Lo stesso studio può essere applicato sulle lingue romanze.

L’ITALIANO E LE LINGUE ROMANZE


Nel mondo ci sono circa 7000 lingue, è un dato mobile, non stabile, che cambia nel tempo. I dialetti non vengono
considerati all’interno di questo conteggio. Non esiste un principio gerarchico delle lingue all’interno della linguistica, si
può utilizzare però un criterio genealogico.
Criterio genealogico = è lo studio classificatorio delle lingue sulla base della genealogia, rapporti di parentela; è
contenuta in parte negli studi di Bopp.

Le lingue indoeuropee in linguistica costituiscono una grande famiglia di lingue dalla comune origine (l’italiano è una
lingua indoeuropea). L’indoeuropeo, o protoindoeuropeo, è la lingua da cui si sono generate le diverse lingue
indoeuropee (non si sa se effettivamente ci sia stato una lingua protoindoeuropea). Le lingue indoeuropee sono lingue

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tra loro molto diverse, comprende sia lingue vive che morte (sanscrito e latino), e sono diffuse in gran parte del globo.
Comprende la maggior parte delle lingue parlate in Europa e dell’Asia centrale.
Le lingue indoeuropee appartengono a diversi gruppi (ci furono ramificazioni intermedie): lingue indoeuropee del
gruppo latino, o italico (italiano, latino, lingue romanze, e lingue parlate in Italia anticamente); lingue di origine
germanica; lingue del gruppo greco (Grecia e area mediterranea orientale); il gruppo albanese (autonomo rispetto agli
altri gruppi); gruppo slavo (lingue balcaniche, Europa orientale e Russo); gruppo baltico (lituano e lettone); gruppo
celtico (irlandese, bretone, gallese); gruppo armeno (armeno); gruppo indoiranico (lingue di un subcontinente).
Il finlandese, l’ungherese, e l’estone appartengono al gruppo delle lingue uraliche. Nei Paesi Baschi spagnoli e francesi si
parla una lingua che non appartiene a nessun gruppo linguistico (lingua isolata), è una lingua preindoeuropea, fino a
oggi non ha manifestato nessun grado di parentela con altre lingue nel mondo.

DAL LATINO ALLE LINGUE ROMANZE

Dal latino arrivano delle lingue indoeuropee definite lingue romanze, o neolatine.
Neolatine = il “neo” è un confisso che in linguistica indica la nuova fase di una lingua (sono nuovi latini).
Le lingue romanze si dice che derivano dal latino, questo fa pensare che da una lingua madre siano nate tante lingue
figlie. In realtà non c’è stato un momento in cui il latino abbia cessato di vivere e di aver dato vita ad altre lingue. C’è
stato un processo di evoluzione lenta e graduale che ha portato il latino a trasformarsi in maniera graduale in tante
lingue. Queste lingue continuano il latino; una situazione ininterrotta di questo mutamento. Il mutamento è avvenuto in
tutto il territorio romanzo (ex territori dell’Impero Romano) più o meno nello stesso periodo.

DA QUALE LATINO SI SVILUPPANO LE LINGUE ROMANZE?


Le lingue romanze si sono sviluppate a partire dal latino volgare (sono esistiti più latini). Veniva parlato da tutti, è orale,
e quindi non possiede una tradizione scritta, e per questo non ci è arrivato nulla, se non per alcuni testi in latino volgare
 i soldati che si trovavano lontani da casa o da Roma scrivevano delle lettere che furono conservate, e documentano
un latino differente da quello classico; esistono anche delle iscrizioni murarie, si scriveva per finalità decorative, e
messaggi d’amore (erano scritte spontanee ritrovate a Pompeii, dove furono conservate dalla lava del Vesuvio); alcune
opere teatrali (comiche) utilizzano registri del parlato; e i testi dei maestri di scuola, “Appendix Probi”, è un testo
autonomo realizzato dal maestro, è una lista di 227 parole che sono corrette secondo la grammatica (a sinistra) e le
stesse 227 parole “sbagliate” (a destra), es. auris non oricla (orecchio).

PERCHE’ SI SONO EVOLUTE DIVERSE LINGUE DAL LATINO?

Periodo e durata romanizzazione


Non tutti i territori dove sono nate le lingue romanze sono stati conquistati dall’Impero Romano nello stesso periodo. La
diversità di romanizzazione coincide con la differenziazione del latino parlato. In Sicilia si inizia a parlare in latino nel 300
a.C. Atteggiamento liberale da parte dell’Impero. Quando conquistavano romanizzavano il territorio. La Dacia fu
conquistata nel II secolo d.C., questo significa che il latino che è stato importato nel territorio della Dacia era diverso da
quello in Sicilia.

Intensità romanizzazione
La romanizzazione non ha le stesse caratteristiche in tutto l’Impero. Nella Francia meridionale l’amministrazione
pubblica fu ricalcata sul modello romano, per questo la società assunse una certa similarità con Roma. Nel nord Europa
questo non accadde perché furono sovrastati dalle conquiste germaniche, la romanizzazione fu meno intensa e questo
significa che la lingua arrivò solamente attraverso alcuni canali.

Bisogna guardare anche le differenze all’interno della lingua latina (lingua storico-naturale). Le diversità sono date da
alcuni fattori  tempo, spazio (nel quale viene parlata, bisogna considerare anche la difficoltà nelle comunicazioni del
tempo), socioculturale (il latino cambia anche a seconda dello stato sociale).
Il sardo è la lingua neolatina più vicina al latino (in sardo casa di dice domo, domus in italiano è rimasto per indicare la
casa di Dio, duomo). Teoria delle aree laterali = le aree più distanti da Roma hanno mantenuto gli aspetti più arcaici del
latino perché le innovazioni da Roma non arrivavano.

In tutti i territori conquistati da Roma esistevano altre lingue (prelatine), per esempio in Liguria il ligure, o il celtico,
nell’area iberica il basco  queste lingue vengono definite sostrato, sono scomparse, il latino le ha sovrastate (il latino
fu comunque influenzato da quelle lingue nei vari territori).

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 Sostrato = complesso di condizioni etnico-linguistiche anteriori alla romanizzazione che, attraverso la fase di
bilinguismo e per la tenacia delle abitudini, hanno reagito sul latino, modificandolo;
 Superstrato = insieme di elementi etnico-linguistici venuti a sovrapporsi, in epoche successive, alle condizioni
risultanti dalla romanizzazione, che non sono riusciti a sopraffare o cancellare il latino adottato dalla
popolazione, ma hanno contribuito a modificarlo;
 Adstrato = lingua o area linguistica che, confinando con un’altra, la influenza trasmettendole per contatto
elementi fonologici, morfologici, lessicali, ecc.

Lingue romanze
Molte parole presenti nelle lingue romanze derivano da parole di origine celtica o di origine germanica (es: guerra,
tovaglia), perché indicavano qualcosa che nella lingua latina non esisteva e quindi servivano delle parole per indicarle, o
assumono delle definizioni leggermente differenti da quelle latine ma col tempo le hanno sovrastate.

Le lingue romanze si sono diffuse in tutto il mondo (soprattutto attraverso la colonizzazione). Nascono così le lingue
creoli. Lo spagnolo è la lingua romanza più parlata. Il dalmatico è una lingua romanza morta/estinta di cui si sa poco. Il
francese è la seconda lingua più studiata oggi. Altre lingue sopravvivono nelle loro terre di origine con livello “inferiore”
(i dialetti romanzi/italo-romanzi).

Nacquero storicamente in un territorio denominato Romania (“ròmania”), ovvero l’insieme dei territori in cui si parlano
le lingue romanze.
Romania in senso stretto = dove le lingue romanze sono nate e dove sono principalmente parlate.
Romania in senso ampio = insieme di tutti i territori dove oggi si parla una lingua romanza, questi territori possono
essere denominati “romania nuova”.
Romania sommersa = si intende l’Impero Romano nel momento della sua massima espansione. In tutti questi territori si
parlava latino (romanizzati), furono perse dai romani perché conquistati da altre popolazioni.
Romania perduta = l’insieme dei territori perduti in cui ora si parlano altre lingue non di origine latina.

Queste lingue nel momento della loro origine e del loro sviluppo vengono definite con il termine “volgare” (es. l’italiano
antico è definito l’italiano volgare; lo stesso vale per tutti i dialetti in territorio italiano e le altre lingue romanze).
“Volgare” ha un significato neutro (non dispregiativo), e vengono definite in questo modo perché sono parlate (dal
latino “volgus”)  il latino era scritto mentre le lingue neolatine inizialmente erano solamente parlate.
C’è differenza tra latino volgare (aggettivo) e le lingue romanze volgari (sostantivo).

PERCHE’ SI CHIAMANO ROMANZE?

L’aggettivo romanzo in origine era un termine che identificava una lingua differente/che si contrappone del latino. In
latino esisteva l’espressione “latine loqui” che significava parlare in latino o il parlare latino; e l’espressione “romanice
loqui” che significava parlare alla romana, cioè parlare in una lingua diversa dal latino. Quest’espressione perde dei
pezzi e in francese si evolve in “romanc”, in Francia diventa un termine che indicava un testo scritto non in lingua latina,
da qui tutte le definizioni derivanti.
Evolvendosi queste lingue si sono distanziate sempre di più dal latino, non tutte nello stesso modo. Ci sono degli
elementi che tutte le lingue romanze hanno perso rispetto al latino:
 i casi latini si sono persi in quasi tutte le lingue romanze, in romeno se ne conservano alcuni, anche in forme
antiche del francese;
 il latino era di carattere quantitativo mentre le lingue romanze diventano di carattere qualitativo;
 in latino era presente oltre al maschile e femminile anche il neutro che si è perso nelle lingue romanze, a
eccezione del romeno e di alcuni dialetti meridionali, e in alcuni pronomi italiani, alcune parole latine neutre
plurali sopravvivono in italiano.
Ci sono anche degli elementi in positivo, delle innovazioni delle lingue romanze che permettono a queste lingue di
distinguersi dal latino:
 gli articoli non erano presenti in latino, nascono per l’esigenza di indicare la funzione di una parola all’interno
della frase, si formano da aggettivi latini a cui vengono dati nuovi usi;
 il sistema verbale latino non aveva alcuni tempi e modi che subentrano nelle lingue romanze.
Il francese è la lingua che più si è allontanata/distaccata dal latino (da una scala da 1 a 100, il francese si è distaccato di
44 punti dal latino); al contrario il sardo è la lingua più vicina al latino (con 8 punti su 100). Il romeno è isolato a est per

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questo mantiene modelli linguistici arcaici, ma allo stesso tempo si è distanziata per l’influenza delle lingue slave. Il
toscano fiorentino, da cui nasce l’italiano, è una lingua abbastanza conservativa.

Classificazione delle lingue romanze


Il criterio più affidabile è quello della posizione geografica. All’interno di questo criterio si formano 4 gruppi linguistici:
 Gruppo italoromanzo = italiano, dialetti italoromanzi, lingue retoromanze e il sardo;
 Gruppo balcanoromanzo = romeno e dalmatico;
 Gruppo iberoromanzo = spagnolo, portoghese e gallego, catalano;
 Gruppo galloromanzo = francese, provenzale, francoprovenzale.

Gruppo balcanoromanzo = il romeno è la lingua principale di questo gruppo, parlato nelle Romania politica e in
Moldavia, anche in Serbia e Ucraina. È una lingua migrante, per questo troviamo tre varietà di romeno storicamente
parlate in alcuni territori (istro-romeno parlato in Istria; macedo-romeno o a-romeno parlato nei Balcani romani; e
megleno-romeno parlato tra la Grecia e la Macedonia). Il romeno parlato nell’antica Dacia è denominato il daco-
romeno, è la varietà standard di lingua che ha dato le basi alla lingua. Il dalmatico è l’unica lingua romanza estinta, di
questa lingua si sa davvero poco perché è scomparsa prima che potesse essere studiata e non ha lasciato traccia in
documenti, sappiamo della sua esistenza attraverso dei diari di viaggi (pellegrini). Inizia a soffrire il calo dei propri
parlanti già nel Medioevo. In alcune zone il dalmatico viene parlato fino all’’800. L’ultima persona che parlava il
dalmatico era Antonio Udina.

Gruppo iberoromanzo = il portoghese è la seconda lingua romanza più parlata dopo lo spagnolo. Il catalano è una lingua
autonoma rispetto lo spagnolo; in alcune regioni spagnole oltre allo spagnolo si parlano altre lingue (coufficiale)  in
Galizia si parla il gallego (lingua d’origine del portoghese), nei Paesi Baschi si parla il basco (unica lingua indoeuropea
sopravvissuta dopo l’arrivo delle popolazioni indoeuropee), si mantiene in vita perché trasmessa di generazione in
generazione. La grammatica dello spagnolo si fonda sull’antico castigliano (varietà letteraria). In Spagna si utilizza il
termine “dialetto” per riferirsi a delle varietà dello spagnolo. Tuttavia il leonese e aragonese sono due dialetti veri e
propri che si trovano all’interno del territorio spagnolo. La varietà letteraria del portoghese è il gallego (parlato nella
Lusitania settentrionale). Il catalano è considerato da alcuni una lingua ponte data dalla sua posizione geografica e per
alcuni elementi linguistici tra lo spagnolo e il provenzale (è una lingua a sé stante), priva di un’unità linguistica (troviamo
delle variazioni in varie zone), parlato anche al difuori della propria zona (Rossiglione, Andorra e Alghero). La varietà
letteraria del catalano è il barcellonese.

Gruppo galloromanzo = il francese è parlato in Francia (Francia metropolitana) e in molti Stati d’oltremare; sono circa
una trentina gli Stati nel mondo che hanno come lingua ufficiale il francese. La sua varietà letteraria è il franciano
(parlato a Parigi). Il provenzale (od occitano) è più vicina al latino, rispetto al francese. I trovatori scrivevano le loro
liriche in provenzale (viene ancora parlata come dialetto)  il francese è la lingua ufficiale. Storicamente era la lingua
doc, in contrapposizione con la lingua d’oil (francese), dalla denominazione doc deriva il termine occitano (in Calabria
c’è un paese in cui si parla il provenzale, Guardia Piemontese). La varietà letteraria è il limosino. All’interno del
provenzale c’è un’altra possibile lingua, il guascone. Il franco-provenzale è una lingua scoperta da Ascoli, è un insieme di
parlate che si differiscono sia dal francese che dal provenzale, nonostante ci assomigli. È parlata nel sud della Francia (a
Lione), anche nella Svizzera romanza, parlato anche in territori italiani. La sua varietà letteraria è il lionese.

Gruppo italoromanzo = le lingue retoromanze sono un raggruppamento di lingue neolatine


parlate nell’area alpina centro-orientale. Sono lingue che appartengono storicamente al
territorio dell’antica Rezia. Il territorio oggi si è
ridimensionato in tre aree principali. Sono tre
lingue (romancio, ladino e friulano). Il romancio è
parlato nel Canton dei Grigioni in Svizzera (è la
quarta lingua ufficiale). Il ladino si parla nell’area
delle dolomiti. Il friulano è parlato nel Friuli. La
Sardegna è una regione isolata dalle altre, allo
stesso tempo era un via vai di diversi popoli. Il
sardo è la lingua più arcaica tra le lingue romanze, e presenta una differenziazione interna
(logudorese, campidanese). Esistono anche altri dialetti interni alla Sardegna (il sassarese, e

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gallurese). Esiste inoltre il tabarchino, una varietà di ligure genovese, lingua parlata solamente in due isole a sud-ovest
della Sardegna; in queste isole si parla questa lingua poiché nel 1540 un gruppo di pescatori di corallo genovesi si
trasferì in Tunisia e fondarono l’insediamento di Tabarca, Carlo V concesse questo territorio alla famiglia di pescatori 
la lingua entrò in contatto con l’arabo. Successivamente questa popolazione fu fatta spostare da Tabarca all’Arcipelago
del Sulcis, tramite un accordo tra il Regno di Sardegna e la Francia. I tabarchini portarono quindi questa lingua
influenzata dall’arabo tunisino, che verrà nuovamente influenzata dal sardo (lingua “multistrato”).

L’ITALIANO FUORI DALL’ITALIA

In Etiopia, Libia, Eritrea, e Somalia l’italiano era parlato durante i periodi della colonizzazione. A Malta l’italiano è
parlato non come lingua ufficiale, lo stesso in Albania, ma come lingua di cultura. L’italiano si è distribuito come effetto
dell’emigrazione di comunità italiane, è una minoranza non riconosciuta, in particolare varietà dialettali, parlato
soprattutto in Venezuela e Argentina (e altre zone dell’America), in Australia, e infine in Francia, Belgio e Germania.

L’italiano è lingua riconosciuta in Corsica e nel Principato di Monaco


(monegasco)

La Corsica ha da sempre dei dialetti italo-romanzi (anche i dialetti di Pisa e


Genova), è sempre stata a contatto con l’Italia: si trova vicino a una serie
di isole dell’Arcipelago Toscano. La Corsica fu attraversata da un crocevia
di popoli nel corso del tempo. L’italiano viene usato come lingua di
cultura. Dal momento in cui il francese è stato riconosciuto come lingua
ufficiale l’italiano è regredito. I dialetti corsi sono ricchi di varietà interne
(elementi dei dialetti centro-meridionali e dialetti pisani). Nelle Bocche di
Bonifacio si parla il dialetto ligure genovese.

Il Principato di Monaco è un micro Stato con una densità di popolazione


molto elevata in cui sono presenti circa 120 nazionalità differenti. La lingua ufficiale è il francese, il monegasco è la
lingua coufficiale accanto al francese. Il monegasco è un dialetto ligure dell’area di Ventimiglia (il Principato di Monaco
era una signoria autonoma genovese).

IL REPERTORIO LINGUISTICO ITALIANO


COS’È UN REPERTORIO LINGUISTICO?

Un repertorio linguistico è l’insieme delle risorse linguistiche (insieme delle lingue) di una comunità o di un singolo
parlante.

Vi sono due tipologie di repertorio linguistico:


- Comunitario = l’insieme (generalmente sono almeno due, è raro che sia monolinguistico) delle risorse
linguistiche a disposizione di una comunità di parlanti. Sono le lingue che una comunità di parlanti riconosce
come proprie, perché sono lingue storicamente parlate in quel territorio (non significa che tutti le conoscano).
Non è la somma dei repertori dei singoli individui, ma è il minimo comune ultimo dei repertori linguistici
individuali;
- Individuale = l’insieme delle risorse linguistiche di un singolo parlante.

Anche la conoscenza passiva di una lingua vale come repertorio linguistico, ovvero capire una lingua senza riuscire a
parlarla, o non volendo parlarla (la comprensione di una lingua rientra nella competenza passiva). Inoltre la stessa
comunità di parlanti assegna dei ruoli alle varie lingue del repertorio comunitario. Si crea quindi un rapporto gerarchico
tra le diverse lingue.

Alcune lingue vengono ritenute più autorevoli, e quindi ufficiali. Altre lingue, considerate gerarchicamente inferiori,
vengono utilizzate con uso limitato (es. in Piemonte il repertorio linguistico comunitario è composto dall’italiano, lingua
più autorevole, e dal piemontese, lingua subordinata all’italiano). Sono i membri della comunità a individuare le
funzioni che deve assumere una determinata lingua.

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Esistono però degli ambienti bilinguistici in cui le lingue che li compongono si trovino sullo stesso piano (es. in Alsazia
tedesco e francese si equivalgono).

Specializzazione ufficiale/funzionale = ogni lingua all’interno di un repertorio la lingua si specializza per specifici scopi
(dialetto per usi informali). Quasi mai il dialetto si può sovrapporre all’italiano, mentre l’italiano può sovrapporsi al
dialetto. È improbabile trovare una comunità linguistica in cui le diverse lingue che la compongono si trovino su uno
stesso livello  sarebbe antieconomico per i parlanti. L’italiano nelle diverse regioni italiane si è specializzato per
funzioni istituzionali e officiali, può essere utilizzato anche come lingua della quotidianità accanto al dialetto.

Acroletto = deriva dal greco acro  “punto più in alto”. È la lingua alta di un repertorio (l’italiano). Di norma è una
lingua standardizzata, deve rispettare delle norme grammaticali.

[dialektos  parola greca che significa varietà di una lingua, da cui deriva la parola italiana “dialetto”]

Basiletto = è la lingua bassa di un repertorio, occupa la base della struttura gerarchica. È la lingua che una comunità
riserva alle situazioni più famigliari e colloquiali. In passato però le lingue basiletto erano le lingue imparate fin da subito
dai bambini (L1). In Italia le lingue basiletto sono i dialetti.

Esistono anche delle lingue intermedie, che occupano una posizione intermedia (casi di trilinguismo, quadrilingue…).

I repertori linguistici posso variare nel tempo (una persona nata in un Paese, se si trasferisce e non utilizza più quella
determinata lingua). Un singolo parlante può incrementare il numero di codici linguistici, ma allo stesso tempo può
perderli.
Obsolescenza linguistica = l’invecchiamento, una lingua può invecchiare fino a morire.

Tra l’’800 e il ‘900 molti italiani sono immigrati all’estero e che non sono più tornati in Italia hanno abbandonato in
molti casi la propria lingua perché non gli serviva. Gli immigrati di allora parlavano poco l’italiano perché utilizzavano il
dialetto come L1. Nello stesso modo una comunità di parlanti nel corso della storia può decidere di abbandonare una
lingua, perché ritenuta non più utile, o di adottarne una nuova (es. i territori di Bolzano e Alto Adige non sono stati
italiani fino a dopo la fine della guerra, sono territori tedescofoni a cui viene aggiunto l’utilizzo di una nuova lingua,
l’italiano).

Bilinguismo
 Bilinguismo in senso ampio = è bilingue chiunque conosca due lingue;
 Bilinguismo in senso stretto = implica un’uguale competenza in due lingue apprese simultaneamente
(repertorio comunitario o individuale);
 Bilinguismo tradizionale
o Bilinguismo bilanciato = uguale competenza in due lingue;
o Bilinguismo non bilanciato = conoscenza non pari delle due lingue (conoscenza passiva di una delle
due lingue);
o Bilinguismo simultaneo = due lingue vengono imparate simultaneamente o quasi simultaneamente;
o Bilinguismo successivo = condizione per cui due lingue vengono imparate in due momenti distinti,
prima la lingua madre L1, e successivamente una seconda lingua, L2;
o Bilinguismo additivo = condizione di un bilinguismo come effetto di un arricchimento (es. da una
condizione di monolinguismo si passa a un bilinguismo);
o Bilinguismo sottrattivo = il risultato di un processo di obsolescenza linguistica in cui la lingua del
proprio repertorio non viene più utilizzata o viene dimenticata.

Una comunità di parlanti si può definire bilingue se i suoi componenti usano regolarmente due lingue nell’interazione
reciproca. Il repertorio italiano è attualmente bilingue, ma si sta tendendo al monolinguismo.

Diglossia = [glossia  modo di parlare di due] è un particolare tipo di bilinguismo che prevede la compresenza di due
lingue in una stessa comunità di parlanti, ciascuna con un proprio ruolo definito (lingua acroletto e lingua basiletto), le
due lingue hanno quindi una precisa struttura gerarchica.

Dilalia = [di  due, lia  loquace] quando sono presenti due sistemi linguistici gerarchicamente separati, ma esiste una
sovrapposizione funzionale tra di essi (es. in discorsi colloquiali può esserci la sovrapposizione tra italiano e dialetto).

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Mobilità delle lingue di un repertorio linguistico = capacità di un individuo di capire in base al contesto in cui si trova
quale codice linguistico utilizzare.

Monolinguismo = condizione in cui il repertorio linguistico è costituito da un solo codice linguistico.

Repertorio linguistico italiano


In Italia la lingua ufficiale è l’italiano (Legge del 1999), ciononostante in Italia non si parla solamente l’italiano, non è un
Paese monolitico. In Italia, storicamente, si parlano diverse lingue, ovvero i dialetti. Fino agli anni ’70 i dialetti erano
usati da tutti per la comunicazione quotidiana, solamente dopo si iniziò a usare l’italiano. I dialetti non sono semplici
varietà d’italiano, ma sono vere e proprie lingue. Esiste inoltre l’italiano regionale, ovvero una variazione territoriale e
geografica dell’italiano che ha subito l’influenza dei dialetti. Ancora oggi è presente una percentuale di persone (meno
del 3%) che non parlano italiano e che usano esclusivamente il dialetto (dialettofoni).

Chi non utilizza nessuna delle lingue del repertorio non può far parte del repertorio linguistico italiano. Per farne parte
bisogna conoscere l’italiano, o il dialetto, o una minoranza linguistica. La situazione è resa molto più complicata
dall’enormità di variazioni dialettali presenti nel nostro territorio. In Italia sono presenti 12 minoranze linguistiche, tra
cui 6 romanze e 6 non romanze.

I dialetti, e non solo, sono lingue endogene perché proprie di un territorio, nate all’interno di uno specifico territorio, o
giunte a noi in una fase linguistica antica (almeno romanza) attraverso fenomeni migratori. Dal punto di vista linguistico
e sociolinguistico viene ritenuto parlante nativo italiano qualsiasi individuo che utilizzi come L1 o l’italiano o un dialetto
del gruppo italoromanzo. Il 3% della popolazione che non parlano italiano sono soprattutto dialettofoni (anziani), e ci
sono persone che usano una delle lingue delle minoranze linguistiche (sono storicamente attestate nel territorio
italiano).

Qualcuna di queste minoranze linguistiche gode di buona salute, altre un po’ meno, altre ancora hanno una vitalità
compromessa. La loro condizione è di pericolo, le comunità che le parlano tendono ad abbandonarle in preferenza
all’italiano.

In Italia si parla generalmente di una situazione media di bilinguismo o diglossia, un polo alto e un polo basso. Sono due
sistemi che possono essere definiti diasistemi, ovvero sistemi linguistici che condividono tratti comuni (nati entrambi
dal latino…). Gaetano Berruto ha definito questo repertorio basato su un sistema diglottico, oppure «una situazione di
bilinguismo endogeno a bassa distanza strutturale». Il bilinguismo è endogeno perché entrambe le lingue parlate da
una comunità sono nate all’interno di un territorio e usate dalle comunità all’interno del territorio. A bassa distanza
strutturale perché la struttura delle due lingue presenta dei tratti comuni (dato discutibile)  la distanza che separa
l’italiano da alcuni dialetti è maggiore rispetto alla distanza tra alcune lingue romanze straniere (es. spagnolo) e
l’italiano.

Oggi in Italia esiste complessivamente una maggioranza relativa (inferiore al 50%) di individua che dichiara di usare
prevalentemente l’italiano (nelle situazioni più informali). Esiste un’ampia minoranza che sa e che usa accanto
all’italiano il dialetto (solo in alcune situazioni particolari, a volte solamente l’aggiunta di una parola o espressione
all’interno di un discorso). È ormai in calo la percentuale di chi dichiara di usare esclusivamente il dialetto. Esiste una
piccola minoranza di individua che non sa o utilizza l’italiano.

Sono molte le comunità linguistiche o repertori linguistici in Italia che non possono essere identificate in questo quadro,
esistono situazioni più semplici e altre più complesse. Le situazioni apparenti di monolinguismo sono riconducibili a due
città rilevanti: Firenze e Roma. A Firenze e in parte a Roma possiamo riconoscere una condizione di monolinguismo
(apparentemente), una condizione data da una situazione in cui manca una delle lingue del repertorio, forse manca il
dialetto.

Firenze
L’italiano standard deriva dal volgare fiorentino, ciò significa che l’italiano viene riconosciuto a tavolino sul modello del
fiorentino, non esiste quindi una differenza strutturale tra fiorentino e italiano, almeno in origine. Un fiorentino
parlando nella sua lingua locale parla in fiorentino, quindi a rigore di logica utilizza una lingua uguale all’italiano (sono la
stessa lingua), il fiorentino di adesso si è voluto da quello trecentesco. Sono due varietà diverse di una stessa lingua.

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A Firenze è quindi presente una situazione possibile di bilinguismo dato da due varietà della stessa lingua. È comunque
presente un sistema di diglossia.

La varietà di Firenze diventa poi lingua culturale molto prestigiosa e si estende quindi anche fuori da Firenze (Pisa,
Siena…), questo comporta il dialetto fiorentino si espande a discapito delle altre (annacquamento dei dialetti) 
succede anche nelle altre regioni, il dialetto di una zona culturalmente più forte ha la forza di espandersi e di
influenzare gli altri e a volte di sovrastarli.

Roma
Presenta una situazione simile.

Romanesco di prima fase = a Roma esisteva un dialetto romanesco, esisteva un volgare di Roma che era l’evoluzione del
latino di Roma. Esistono delle testimonianze dell’antico volgare di Roma, “Cronica” dell’anonimo romano della seconda
metà del quattordicesimo secolo. È una lingua molto più simile ai volgari meridionali, assomiglia all’antico volgare
napoletano (è presente il tipico dittongo napoletano).

Romanesco di seconda fase = caratterizzata dal “Sacco di Roma” da parte dei Lanzichenecchi provenienti dall’Alto
Adige, nel 1527. Alla fine del “Sacco di Roma” la popolazione è dimezzata. Dopo questo evento si assiste a un costante
declino dell’Italia, che sarà sempre in balia di altre popolazioni, determina la fine del Rinascimento. Sul piano linguistico
segna la fine del romanesco di prima fase. Il romanesco cambia. Dopo la calata dei Lanzichenecchi Carlo V e il Papa
fanno la pace (Pace di Barcellona), il Papa era Clemente VII, nipote di Lorenzo il Magnifico, è fiorentino. Dopo la Pace di
Barcellona ripopola la città di Roma con la sua corte, un insieme numeroso di persone che arriva da Firenze, e favorisce
l’immigrazione della comunità fiorentina. La nuova comunità è di lingua fiorentina e da questo momento il romanesco
subisce una forte impronta fiorentina, fiorentizzazione. Il romanesco perde una buona parte dei tratti caratteristici. È
una lingua che non può più essere considerata una lingua differente da quella italiana.

A Roma si dice romanesco con valenza dispregiativa perché i romani stessi, soprattutto delle nobiltà, riconoscevano una
varietà dell’italiano corrotta, di scarso prestigio. Oggi accanto al romanesco si usa l’espressione “romanaccio”. Il
processo di fiorentizzazione ha un altro momento importante a conclusione dell’unità d’Italia. Perché genera fenomeni
di immigrazione da altre regioni. Nella città si trovano quindi persone che parlavano altri dialetti.

Numerosi linguisti che si sono concentrati sull’area romana sostengono che non si possa parlare di dialetto romanesco
in senso stretto, il romanesco sembra oggi una varietà di fiorentino (varietà di romano con caratteristiche molto
marcate di fiorentino), questo ne impedisce la distinzione tra italiano e dialetto. Non tutti i linguisti sono d’accordo con
questa definizione, e lo definisce un dialetto. Paolo D’Achille diche è forse impossibile per un romano distinguere tra
romanesco e italiano, non esiste un confine netto tra i due codici (continuum), se sentiamo parlare un romano in
romanesco noi siamo in grado di capirlo.

Esistono poi situazioni più complesse, ovvero situazioni in cui non si può parlare di bilinguismo perché si parlano tre o
più lingue. Ci sono comunità che accanto all’italiano e al dialetto della zona parlano un’altra lingua o più lingue. Es. in
Salento ci sono 9 comuni in cui si parla grico, varietà di greco (anche in Calabria sono presenti dei comuni in cui si parla
il grico), probabilmente questa lingua è giunta per fenomeni migratori del periodo bizantino. In questi territori la
comunità di parlanti riconosce come lingue proprie l’italiano, il grico e il salentino, però bisogna ricordare che a sud di
Lecce circola il dialetto pugliese, sono quindi 4 le lingue riconosciute dalla comunità (acroletto: italiano, basiletto: grico,
quella più bassa, e due varietà intermedie tendenti verso il basso che sono il salentino e il pugliese). in torno al
Massiccio del Monte Rosa (Valle d’Aosta, Alagna...), a Gressoney si parla italiano, il francoprovenzale, ma anche il
walser (varietà del tedesco alemannico), in oltre è presente anche il piemontese, e una quinta lingua che è il tedesco
(hanno sia la varietà bassa, il walser, e quella alta, il tedesco. In questa area si ha quindi due lingue alte, italiano e
tedesco, due lingue basse, il walser e il francoprovenzale, e infine una varietà intermedia tendente verso il basso, il
piemontese.

Le persone si spostano, l’hanno sempre fatto, e con loro si spostano anche le lingue. Quando una comunità di parlanti si
sposta da un posto a un altro, porta una o più nuove lingue all’interno di altre comunità, e allora volta la comunità
emigrata assume le lingue di quel territorio. In Italia esistono comunità numerose di lingua cinese, sudamericana,
araba, ecc. queste lingue non fanno però parte del repertorio linguistico italiano, e non sono endogene. Queste lingue

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non entreranno mai a entrar a far parte al repertorio linguistico italiano. Bisogna tener conto però queste situazioni più
complicate, generano delle microcomunità all’interno di una comunità più ampia.

MINORANZE LINGUISTICHE
Accanto all’italiano e al dialetto in ampie
porzioni del nostro territorio vengono parlate
altre lingue, minoritarie o di minoranza. Sono
lingue presenti nel nostro territorio da secoli,
sono storicizzate. Sono lingue diverse da loro
e appartengono a ceppi linguistici diversi da
quelli della maggioranza e quindi sono diverse
rispetto alle lingue parlate dalla maggioranza.
In Italia la situazione è più articolata rispetto
al resto d’Europa. Queste lingue si collocano
in particolari aree del nostro territorio, alcune
sono particolarmente vive, in altri casi hanno
una vitalità compromessa. A livello generale e
teorico costituisce una minoranza linguistica
qualsiasi comunità di parlanti che utilizza una
lingua materna diversa da quella ufficiale
dello Stato di cui fa parte. la popolazione di origine romena che vive in Italia costituisce una minoranza linguistica
perché come L1 parla il romeno. Potrebbero essere considerate parte di una minoranza linguistica tutte le persone che
parlano dialetto perché non lingua ufficiale dello Stato (non è così)  in Italia il concetto di minoranza linguistica è
vincolato a determinate condizioni, si è sovrapposto al concetto di alloglossia che è la situazione particolare di parlanti
che utilizza una lingua nettamente diversa, (anche per origine) straniera, rispetto all’italiano e ai dialetti italiani.

Condizioni
 Storicità
 Territorialità

Una minoranza linguistica per essere tale deve essere storicizzata, deve essere parlata, radicate, nel territorio da diversi
secoli. Questa condizione esclude tutte le lingue straniere entrate in Italia attraverso fenomeni migratori recenti, non si
sa se tra qualche secolo entreranno a far parte del repertorio.

Una minoranza linguistica per essere tale deve essere territorializzata, la lingua deve essere parlata in territori specifici
circoscritti, proprie di comunità che fanno parte di un territorio preciso (un comune, una vallata, una serie di comuni o
vallate). La lingua degli zingari non è una minoranza linguistica perché non rispetta la condizione di territorialità, sono
nomadi, è l’unica lingua indoiranica parlata in Europa. In Italia è presente almeno dal 1400, quindi storicizzata. In altri
Paesi europei questa lingua è protetta.

Le minoranze linguistiche riconosciute in Italia si concentrano in due macroaree: l’area alpina (le alpi sono sempre state
caratterizzate da flussi di persone che si spostavano), e l’Italia centro-meridionale (territorio che ha sempre fatto il
conto con le emigrazioni).

Criterio geolinguistico = per vedere come si dispongono le minoranze nel nostro territorio.

AREA ALPINA

In Piemonte sono presenti le lingue del gruppo galloromanzo. Sono minoranze linguistiche in Piemonte, e in parte in
Valle d’Aosta, il francese, il provenzale (area alpina del Piemonte occidentale), il francoprovenzale. Queste tre lingue si
trovano in territori confinanti con la Francia, le lingue hanno superato il confine e sono giunte fino a noi.

Il provenzale è une delle tre grandi lingue di Francia, è una lingua riconosciuta come minoranza linguistica in 109
comuni italiani, dislocati in un ampio territorio della provincia di Torino e di Cuneo, nelle Vallate Valdesi (alta valle), e
valle di Susa e nelle valli del torinese. Non è detto che sia parlato in tutte queste comunità. È una lingua che ha delle sue

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varietà interne, nelle diverse vallate si sono sviluppate varie varietà. Il provenzale è anche parlato a Guardia Piemontese
in Calabria, ma rischia di scomparire, caratterizzato da forte incidenza del calabrese.

Il francoprovenzale è la lingua ancora oggi parlata in Valle d’Aosta (quasi tutta), sono 71 i comuni valdostani in cui è
riconosciuto il francoprovenzale come minoranza linguistica, ma anche in Piemonte: canavese, medio-bassa Valle di
Susa, Valli di Lanzo, Valle Orco, ecc. (buona parte delle vallate del Piemonte settentrionale). Il francoprovenzale in Valle
d’Aosta è lingua parlata regolarmente a livello famigliare, la lingua è conosciuta dal 67% della popolazione, l’82%
dichiara di comprenderla, il 50% dichiara di parlarlo. In Piemonte le cose sono differenti, perché la lingua non è
percepita come appartenente alla regione. In provincia di Foggia ci sono due località, Faeto e Celle di San Vito, in cui si
parla francoprovenzale, però qua non c’è di mezzo la religione o comunità italiane, questi due Paesi sono stati abitati da
soldati francesi di lingua francoprovenzale che il re Carlo d’Angiò aveva mandato in quel territorio allo scopo di
difendere l’area dalle incursioni saracene. È una varietà che è stata contaminata dal dialetto foggiano.

Il francese è riconosciuto come minoranza linguistica in tutta la Valle d’Aosta e in una trentina di comuni in provincia di
Torino (principalmente Val di Susa e delle Valli Valdese). Considerato come lingua di prestigio, non viene parlata né in
Valle d’Aosta né in Piemonte, in Valle d’Aosta il francese sostituì il latino della documentazione legislativa. In Piemonte
a partire dalla metà del XIV secolo diventa lingua molto nota, non ufficiale. A Torino dopo l’Unità d’Italia la nobiltà
italiana parlava il francese e non l’italiano. Lo stesso Cavour nelle sue lettere non scriveva in italiano, ma in francese,
Cavour non sapeva l’italiano, scriveva male in italiano. Manzoni stesso disse che aveva scritto il “Fermo e Lucia” male, e
dice che voleva impararlo meglio. Fu la lingua di culto delle vallate Valdesi. Il francese è lingua coufficiale dell’italiano, i
valdesi lo studiano accanto all’italiano, anche se poi non viene utilizzato a livello quotidiano. In Piemontese questo non
avviene.

Intorno al Massiccio del Monte Rosa esistono delle comunità di lingua walser, varietà del tedesco. Questa lingua è
presente in questi territori dal XII secolo. A Gressoney, Alagna e Val Sesia, oggi sono una decina i comuni che parlano
questa lingua, sono poche centinaia di parlanti, e ha una vitalità compromessa perché non si trasmette più.

Nell’area alpina centro-orientale sono presenti il ladino e il friulano. Ci sono però anche altre lingue, ovvero il tedesco e
lo sloveno. Nell’area di Bolzano due individui su tre parlano tedesco, gli italofoni non raggiungono il 30%, e sono tutti
concentrati nelle grandi città, il resto è tedescofono. La germanizzazione di quest’area è stata precoce. Territori che
passano all’Italia solamente dopo la Prima guerra mondiale, durante il regime fascista quest’area ne soffre. Il tedesco
diventa successivamente lingua ufficiale accanto all’italiano. Bilinguismo paritario a livello istituzionale, unico territorio
italiano, e uno dei pochi in Europa.

Sono anche presenti delle comunità che parlano dialetti tedeschi al confine della provincia di Trento e la provincia di
Vicenza. Ma sono comunità molto circoscritte.

Al confine con la Slovenia, in provincia di Udine, Gorizia e Trieste si parla anche sloveno, soprattutto nella provincia di
Gorizia e Trieste, furono territori sempre legati alla Slovenia fino alla fine della Prima guerra mondiale. hanno
mantenuto un forte legame con la lingua di appartenenza, lo sloveno è riconosciuto come lingua coufficiale accanto
all’italiano.

AREA CENTRO-MERIDIONALE

Il serbocroato è parlato in tre comuni del Molise, è il residuo della lingua parlata da una comunità serbo-croata che nel
Medioevo si trasferì lì per sfuggire dalle invasioni dei turchi. Inizialmente era un territorio molto più vasto.

La varietà più parlata nel sud Italia è l’albanese, in Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia (anche
Campagna). Queste comunità sono l’effetto di migrazioni del XIII-XIV secolo per motivi storici politici, scappare da aree
invase dai turchi. Favoriti anche dal re Alfonso I di Aragona aveva promosso dei fenomeni migratori dall’Albania e sud
dei Balcani per favorire delle istituzioni nel Regno di Napoli di culto greco. In Sicilia è presente una località denominata
Piana degli Albanesi. È l’albanese che si parlava tra il ‘300 e il ‘400. Per questo vengono chiamate arbëreshë dagli
albanesi di Albania per distinguere la loro lingua.

Ci sono due isole grecofone, 9 comuni a sud di Lecce, e 6 nella provincia di Reggio Calabria. La presenza del greco è
stato oggetto di ricostruzioni e ipotesi sull’origine, si pensa sia caratterizzato da fenomeni migratori del periodo
bizantino.

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In Sardegna il sardo è riconosciuto come vera e propria lingua, a differenza dei dialetti italiani risulta come una
minoranza linguistica (per ragioni di particolare isolamento e vicenda storica). Inoltre in Sardegna si viene parlata la
lingua catalana dal 1353 nella città di Alghero. A partire dalla seconda metà del ‘700 però il catalano perde la sua
influenza e l’uso. Sempre in Sardegna nell’Arcipelago dei Sulcis è presente il tabarchino, non è una lingua riconosciuta
tra le minoranze linguistiche storiche (nonostante rientri nei parametri per esserlo)  considerato come dialetto
genovese con elementi di sardo e arabo.

Non sono riconosciute come minoranze linguistiche alcune colonie galloitaliche presenti in Basilicata e Sicilia, le quali
presentano un dialetto ligure-piemontese. Probabilmente dovevano risiedere tra il Piemonte e la Liguria (dialetti
galloitalici). In Sicilia la comunità è più ampia, si divide su tre provincie: Potenza, Enna e Siracusa.

Sul nostro territorio sono inoltre presenti le comunità zingare di lingua romanì o romanès  è una lingua distribuita su
tutto il territorio nazionale, ma non è considerata come minoranza linguistica. Ci sono Paesi europei dove la lingua degli
zingari è riconosciuta come minoranza linguistica.

L’ebraico non è considerata minoranza linguistica storica.

Alcune lingue vengono raggruppate in base alla genealogia: ceppo slavo, germanico e celtico.

Le minoranze linguistiche possono essere classificate attraverso:


 Criterio geografico
 Criterio genealogico
 Criterio sociolinguistico

Esistono altre lingue che sono in grado di mantenere una buona vitalità, come il francoprovenzale parlato in Valle
d’Aosta dall’80% della popolazione; altre lingue invece hanno una vitalità compromessa (es. walser).

Tra le 12 minoranze si possono riconoscere 4 gruppi:


 Minoranze ufficiali = lingue nazionali in altri Paesi al difuori dell’Italia (sloveno, tedesco, francese);
 Minoranze regionali = lingue che appartengono al territorio italiano (nate in questo territorio), non
appartengono a uno Stato al difuori dell’Italia, e parlate in alcune specifiche regioni (sardo, friulano, ladino);
 Penisola linguistica = è una comunità in cui si parla una lingua non storicamente presente nel nostro territorio,
ma che confina con il nostro territorio (provenzale, francoprovenzale), sono un’appendice di un’aria a confine
con l’Italia;
 Isole linguistiche = piccola comunità di parlanti che utilizza una lingua presente in un altro territorio, isolato
rispetto al Paese della lingua (comunità greche, albanesi, francoprovenzali al sud).

Nella Costituzione italiana sono presenti delle leggi per la tutela delle minoranze linguistiche.
La Legge n. 482/1999 tutela le minoranze linguistiche sul territorio italiano. La prima attenzione concreta alle minoranze
linguistiche è contenuta nella Costituzione. La Legge dice che le minoranze linguistiche in Italia sono 12, queste 12
lingue devono corrispondere ai requisiti di storicità e temporalità, i comuni coinvolti in una di queste 12 minoranze
linguistiche possono richiedere lo statuto di minoranza linguistica (comuni o cittadini dei comuni), una volta
riconosciuto questo statuto la comunità ha diritto a una serie tutele linguistiche, queste lingue possono essere utilizzate
in ambiti in cui prima non potevano essere utilizzate (amministrazione, atti giuridici dei singoli comuni)  il testo deve
essere bilingue (l’italiano deve essere presente). Stanziamento di soldi per iniziative culturali ed educative.

L’ITALIA DIALETTALE
Nel passato il dialetto è spesso stato utilizzato in politica per rivendicare una presunta superiorità (il nord Italia che
reclama la sua superiorità rispetto a Roma). In un passato esclusivamente italiano sono presenti episodi di condanna dei
dialetti, in particolare dei dialetti meridionali. Durante gli anni ’50 i lavoratori meridionali che arrivavano al nord
venivano discriminati. Non esiste un dialetto più giusto di un altro. Il rapporto tra realtà e lingua è un rapporto reale e
concreto. Le parole sono gli strumenti che ci consentono di dare un nome alla nostra realtà. Il dialetto, più dell’italiano,
ha una ricchezza, affonda le sue radici nella storia e nella cultura.

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DIALETTO = “sistema linguistico usato in zone geograficamente limitate e in un ambito socialmente e culturalmente
ristretto. Divenuto secondario rispetto a un altro sistema dominante, e non utilizzato in ambito ufficiale o tecnico-
specialistico.” questa definizione, di Tullio de Mauro, contiene tutti i punti essenziali. Il dialetto è una lingua (sistema
linguistico), parlata solamente in alcuni territori della Nazione, e di conseguenza usato soltanto da alcune persone e non
da tutte, all’interno di una stessa regione, zona, viene utilizzato da una determinata categoria di persone. Il dialetto è
diventato una realtà linguistica secondaria solamente da un certo punto in poi. Il dialetto non può essere utilizzato in
contesto formale. A differenza della lingua nazionale non ha una grammatica normativa (lingua non “standardizzata”),
la grammatica è mentale (una norma non scritta).

LINGUA = l’italiano è una lingua “standard” cioè ha un suo modello di riferimento (fiorentino trecentesco) sulla base del
quale viene creata una grammatica normativa. È una lingua divenuta tale per ragioni storiche, politiche e culturali, non
per ragioni linguistiche. Questo processo di ascesa di lingua nazionale si concretizza nel 1525 che corrisponde alla
pubblicazione delle prose della “Vulgare lingua” di Pietro Bembo. Dal momento in cui abbiamo una lingua (un volgare
che si eleva) valida per tutto il territorio, tutti gli altri volgari retrocedono a dialetti. Dopo la pubblicazione delle prose di
Bembo si continua a parlare il dialetto nelle varie zone (per uso orale). Per molti secoli (tre o quattro secoli) l’italiano
resta uno strumento di espressione esclusivamente scritto, e impiegato nella scrittura solamente dai ceti più colti. Dopo
un percorso molto lungo l’italiano diventa effettivamente la lingua di tutti (una minoranza ancora non parla italiano);
una serie di episodi fanno sì che l’italiano diventi effettivamente la lingua parlata.

Il termine “dialetto” non ha un significato univoco, viene associato a significati diversi. La percezione può essere diversa
da caso a caso. Per alcuni è una lingua come un'altra, per altri è una lingua minore; per alcuni è una variante locale di
una lingua nazionale, per altri porta con sé una valutazione negativa (parlata rustica, delle fasce sociali più arretrate),è
una lingua senza una tradizione scritta, o è una minoranza linguistica.

“Dialetto” è una parola di origine greca, dialektos  lingua.


Dante, nel De vulgari eloquentia individuò 7 volgari a ovest dell’Appenino e 7 a est dell’appenino. Al termine della sua
ricerca non è convinto che ci sia un volgare illustre che faccia da riferimento a tutti gli altri parlati nella penisola. Il
romano e il lombardo li considera come i peggiori, al contrario il siciliano, il bolognese (dello stil novo) e il fiorentino
sono quelli che lui considera più illustri. Dante dimostra la superiorità del volgare (tutti) rispetto al latino (la chiama
“grammatica”), lo considera un modello invariabile, immobile. Il volgare è maggiore perché è una lingua variabile, la
prima a essere pronunciata dagli individui. È una lingua che può essere utilizza per occuparsi di argomenti alti, quegli
argomenti che fino ad allora si riteneva opportuno l’uso del latino. Tra tutti i volgari ne vorrebbe trovare uno che fosse
illustre (dà lustro a chi lo parla  il volgare inteso al contrario di com’era inteso fino ad allora), cardinale (agire come
cardine, punto di riferimento per tutti gli altri), curiale e regale (strumento linguistico usato a corte e nei tribunali 
una lingua che possa svolgere le funzioni più alte).

La prima classificazione di tipo pseudoscientifico fu fatta da Ascoli, tra il 1882 e 1885. Fa una classificazione tipologica in
quattro gruppi:
- Toscano = le parlate che meno si sono allontanate dal latino;
- Dialetti che si allontanano più o meno dal toscano ma che costituiscono un sistema di dialetti “neolatini”
(veneziano, dialetti della Corsica, dialetti centrali e i dialetti meridionali);
- Dialetti che si distaccano dal sistema toscano e neolatino, ma che nonostante ciò non si possono ricondurre a
sistemi linguistici estranei all’Italia (dialetti galloitalici e dialetti sardi);
- Dialetti appartenenti a sistemi neolatini ma non italiani, perché allora erano al di fuori dei confini linguistici
(provenzale, francoprovenzale, ladino e friulano).
La proposta di Ascoli non è così diversa dalla più recente mappa dei dialetti italiani.

GEOGRAFIA LINGUISTICA = è una particolare disciplina della linguistica che studia la distribuzione nello spazio
geografico dei fenomeni linguistici. Nasce nel momento in cui per avere dei dati precisi è richiesta l’inchiesta sul campo,
iniziano quindi missioni di ricercatori che girano per il territorio italiano con l’obiettivo di interrogare quante più
persone possibili sul modo che hanno di chiamare determinate cose, perché soltanto attraverso la loro voce possiamo
ottenere dei dati reali, ed è l’unico modo per capire dove finisce un dialetto e ne inizia un altro. L’obiettivo concreto
della geografia linguistica è la creazione degli atlanti linguistici (grossi volumi dove ogni pagina contiene una cartina
dell’Italia, che a posto dei nomi di luogo contiene i nomi dei dialetti  ciascuna carta riproduce i modi con i quali gli
informatori chiamano una cosa).

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Mettendo insieme tutte le carte linguistiche i dialettologi e i linguisti sono in grado di determinare dove dei dialetti
hanno determinate caratteristiche che non sono presenti in altri dialetti nella stessa area.

Il primo trattato dialettale risulta con Dante, è il primo che classifica i volgari. Il primo tentativo di classificazione
parascientifico è stato fatto da Ascoli, dove divise i dialetti in 4 gruppi. Un approccio scientifico per lo studio dei dialetti
è reso possibile grazie alla geografia scientifica. Serve un approccio scientifico per capire dove termina un dialetto e ne
inizia un altro.

Dall’osservazione degli atlanti linguistici i linguisti e dialettologi sono stati in


grado di tracciare delle isoglosse.

Isoglossa = è una linea immaginaria nello spazio che in un territorio


distingue un’area linguistica che presenta dei fenomeni che nell’area
adiacente non sono presenti.

I dialetti italiani sono lingue che non sono divisi da confini netti, vi sono dei
passaggi graduali che portano alle differenze tra un dialetto all’altro
(continuum dialettale)  rappresentato da una serie numerosa di dialetti,
adiacenti tra loro, ma non chiaramente distinti tra di loro, e quindi sfumano
l’uno nell’altro. Questo sfumare da un dialetto all’altro diminuisce con la
lontananza (i parlanti di un punto B capiscono i parlanti di un punto A,
quelli del punto B capiscono quelli del punto C, ma quelli di A fanno fatica a
capire quelli di C, a loro volta quelli del punto C capiscono quelli del punto
B e D, quelli del punto D fanno fatica a capire quelli del punto A).

Servono però più isoglosse per differenziare i dialetti, bisogna analizzare più fenomeni. Aree delimitate da una serie di
isoglosse, e non di solamente una.

Gerhard Rohlfs era uno studioso di linguistica di Berlino, ebbe il compito dal direttore dell’AIS di svolgere delle inchieste
nel sud Italia. Studiò la componente latina e greca nei dialetti del sud. Si appassionò ai dialetti perché si rese conto che
le persone non parlavano italiano, e che passando da una regione all’altra le persone parlavano lingue diverse. Nel sud
scoprì le colonie galloitaliche, e individuò le isoglosse che consentono di distinguere l’area meridionale da quella
meridionale estrema. Individuò anche i due sparti acque del territorio italiano, la divisione tra l’area settentrionale da
quella centrale, e l’area centrale da quella meridionale. La moderna classificazione dei dialetti è data dallo studio di
Gerhard Rohlfs. A lui dobbiamo la migliore grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. E li dobbiamo
ancora i migliori dizionari dei dialetti salentini e calabresi (“nuovo dizionario delle tre Calabrie”).

Due fasci di isoglosse, uno da La Spezia a Rimini, al disopra di questa linea c’è
un fenomeno linguistico che al di sotto non c’è più. Sono fasci di linee che
identificano diversi fenomeni, praticamente sovrapponibili, e identificano i
dialetti settentrionali da quelli centro-toscani.

LINEA 1 rappresenta il limite meridionale per ortiga, al disopra di questa linea


la parola ortica è detta ortiga, al disopra della linea la consonante c è sempre
sonora, al disotto della linea la consonante c rimane sorda (nei dialetti
settentrionali le consonanti occlusive sorde diventano le corrispondenti
sonore  t > d, p > b, c > g).

LINEA 2 rappresenta il limite meridionale per sal, al disopra di questa linea la


parola sale viene pronunciata sal, al disopra della linea cade la vocale atona
finale, a eccezione della a. Al disotto della linea si dice sale.

LINEA 4 rappresenta il limite meridionale per spala, al disopra di questa linea


la parola spalla viene detta spala. Al disopra della linea sono presenti le consonanti semplici (non doppie), al disotto
della linea sono presenti le consonanti intense.

Il secondo gruppo di isoglosse collega Roma e Ancona. Permettere di riconoscere i dialetti centrali da quelli meridionali.

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LINEA 10 al disotto di questa linea per dire donna si usa la parola femmina.

LINEA 11 al disotto di questa linea per dire mio figlio si usa il tipo figlio mio. Aggettivo possessivo posposto al nome,
fenomeno di tipo morfosintattico.

LINEA 12 al disotto di questa linea il possesso dal punto di vista verbale, avere, viene espresso con tenere.

Entrambi questi confini sono coincidenti con confini/territori che hanno un rilievo dal punto di vista storico, geografico.
La linea La Spezia-Rimini corrisponde con l’Appenino tosco-emiliano, e l’Appenino ha reso storicamente complicate le
comunicazioni tra nord e sud, per questo ha permesso di mantenere certi tratti linguistici. Ma coincide anche con il
confine tra il territorio degli etruschi con quelli celtici. Il dato linguistico trova conferme attraverso fattori geografici e
storico-culturali. Nell’Italia medievale quella linea divideva i territori sotto il controllo di Roma e quelli sotto il controllo
di Ravenna. La linea Roma-Ancona corrisponde per buona parte alla linea del Tevere, che anticamente era la frontiera
tra l’Etruria e gli italici, che stavano a est del fiume Tevere. In epoca medievale questa linea rappresentava la linea dei
territori controllati da Roma e quelli controllati dai longobardi. E corrisponde grossomodo alla linea Salaria, antica
strada romana che la collegava al porto di Ascoli Piceno.

Isoglossa Taranto-Astuni divide i dialetti pugliesi al nord dai dialetti salentini a


sud, lo stesso vale per la Calabria. In Calabria è presente la linea Diamante-
Cassano, che divide i dialetti del nord della Calabria ai dialetti calabresi
meridionali estremi.

Il Veneto non rientra nei dialetti settentrionali per molti aspetti, non tutti. I
territori del Trentino orientale, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia (solo in parte)
costituiscono un sistema autonomo all’interno di questo gruppo. Presentano
dei tratti simili, ma tuttavia presentano dei fenomeni diversi o non presentano
dei fenomeni degli altri dialetti settentrionali. I celti non sono mai arrivati a
conquistare il Veneto.

Oggi la situazione è un po’ diversa perché nelle diverse regioni ci sono dialetti
più forti che hanno annacquato le differenze tra i vari dialetti della regione.

L’italiano regionale è una varietà dell’italiano all’interno di una regione. Il dialetto è una lingua a sé stante. Questo per
come intendiamo noi il dialetto. In altre lingue per dialetto si intendono altre cose. Per questo possiamo parlare di
dialetti primari e secondari:
 Dialetti primari = varietà italo-romanze autonome e indipendenti le une dalle altre che hanno tutte la
medesima origine (latino), e sono subordinate all’italiano, un sistema linguistico più forte (dialetto per noi);
 Dialetti secondari = sono varietà locali di una lingua nazionale, varietà di una stessa lingua che nascono per
effetto della differenziazione geografica (come viene inteso il dialetto per parlanti non italiani), es. i dialetti
dell’inglese (americano, australiano…), lo spagnolo parlato nel Sud America.

Il caso della Germania è molto più simile alla situazione italiana rispetto agli altri Paesi romanzi. Il walser è un dialetto
(primario) tedesco.

In Italia ci sono dei dialetti secondari che noi denominiamo italiani regionali, una varietà di italiano propria di una
determinata regione, non per forza amministrativa (es. l’italiano parlato a Torino non è standard anche se un parlante
torinese pensa di parlare correttamente, ma l’italiano di Torino è diverso da quello di Asti, da quello di Casale, ecc.). è
una varietà media tra italiano standard e dialetto. L’italiano importato nelle diverse regioni assume delle variazioni
derivanti dall’”italianizzazione” di alcune forme dialettali. È una sorta di sostrato dialettale.

Es.
 [ma′kkɔ:sati′vjɛ:nei′mmente]
 [ma′kowsati′vjeinɛi′mmɛndɛ]
 [ma′čœkkətə′ve:nəŋ′gɛipə]

In Italia esiste una serie numerosa di dialetti che sono adiacenti, confinanti, ma non nettamente distinti fra loro.

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Principio del continuum = una serie di macrogruppi che caratterizzano i dialetti italiani, raggruppamenti che sono il
risultato dei lavori sul campo della geografia linguistica; sono dialetti geograficamente adiacenti la cui mutua
intelligibilità decresce stabilmente al crescere della distanza geografica.

In Italia è presente una serie numerosa di macroaree dialettali, si fa riferimento alle isoglosse:
 Area settentrionale = La Spezia-Rimini;
 Area centrale = tra La Spezia-Rimini e Roma-Ancona;
 Area centro-meridionale = da Roma-Ancona;
 Area sarda

AREA SETTENTRIONALE

In Svizzera si parla l’italiano ma anche alcuni dialetti italiani, gallo-italici.

L’area settentrionale presenta due gruppi di dialetti:


 Dialetti galloitalici
 Dialetti veneti

I dialetti galloitalici presentano un sostrato di tipo celtico. Sono i dialetti piemontese, ligure, i dialetti lombardi,
dell’Emilia Romagna, delle Marche settentrionali e della Toscana settentrionale, della Lunigiana e della Garfagnana.

Caratteristiche dei dialetti gallo-italici


- Presenza delle vocali turbate (suoni condivisi con il francese);
- Caduta delle vocali finali diverse da a;
- Mancanza di doppie;
- Pronome personale esplicitato.

Questi fenomeni non sono presenti nell’area veneta. Questo sta a indicare che questi fenomeni sono di origine celtica.
Le consonanti non sono mai intense; è un processo di indebolimento dei suoni consonantici (tutta l’area nord). Anche
da una consonante sorda a sonora è un processo di indebolimento. Esplicitazione obbligatoria del pronome personale
soggetto, differente dall’italiano. Tratto condiviso con tutta l’area gallo-italica e veneta.

AREA CENTRALE

Del gruppo toscano fanno parte quasi tutti i parlati della regione, tranne all’altezza La Spezia-Rimini, dove si parlano
dialetti di transizione appartenenti al gruppo galloitalico. L’influenza del fiorentino ha annacquato le differenze degli
altri dialetti toscani. Questi dialetti si dividono in 4 sottogruppi:
- Dialetti fiorentini = Prato e Grosseto;
- Dialetti toscani occidentali = fanno riferimento al pisano (Pisa, Lucca e Pistoia);
- Dialetti aretini = centro della Toscana;
- Dialetti toscano-meridionali = verso l’Umbria.
Anche i dialetti della Corsica rientrano nel gruppo dei dialetti toscani.

A sud della Toscana amministrativa si trova il raggruppamento dei dialetti centrali (laziali, romano, e dialetti centrali non
laziali)  grossomodo il corso del Tevere.

Il dialetto più forte è il romanesco, difficile da stabilire se un dialetto vero o proprio o un italiano regionale molto
marcato.

AREA MERIDIONALE

Si divide in due raggruppamenti: l’area alto-meridionale (dialetti centro-meridionali  Lazio meridionale, Marche
meridionali, Abruzzo, Molise, Campagna, Basilicata, parte della Puglia e Calabria più settentrionale), e l’area
meridionale estrema (Sicilia, parte della Calabria e il Salento).

Caratteristiche dialetti alto-meridionali


- Indebolimento delle vocali finali, a eccezione della a;
- Pronuncia debole;

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- Assimilazione consonantica;
- Trasformazione del pronome personale di 3° persona singolare egli;
- Accusativo preposizionale, derivante dallo spagnolo.

Caratteristiche dialetti meridionali estremi


- Esistono solamente tre vocali finali, a, i, u (la e finale evolve in i e la o tonica diventa una u);
- Retroflessione = pronuncia particolare di alcuni suoni che avviene per l’arretramento della lingua (es. bello 
beggio).

CHI PARLA DIALETTO OGGI?

Oggi poco più del 50% delle persone dichiara di parlare dialetto in famiglia. Il 60% dice di usare prevalentemente
l’italiano quando si intrattiene con gli amici, e l’85% utilizza l’italiano quando parla con estranei.

Dalla fine degli anni ’90 a oggi è regredita notevolmente la percentuale di chi dichiara di utilizzare solamente il dialetto.
Vi è una regressione del dialetto come codice primario (o esclusivo, o privilegiato)  sta regredendo anche al sud.
Questi dati devono essere filtrati con dati più prelevanti. Tra gli anziani esistono ancora delle percentuali sostantive di
chi utilizza prevalentemente il dialetto. L’area più dialettofona corrisponde a quella meridionale e a quella del nord-est
(Veneto)  dichiarano di utilizzare preferibilmente il dialetto (i giovani). A utilizzare il dialetto sono in linea di massima
le persone meno istruite.

Negli ultimi vent’anni è stata registrata una crescita della percentuale di chi afferma di mischiare italiano e dialetto
(inserire frammenti di dialetto all’interno di un discorso italiano). Questa è una via di salvezza per il dialetto.

Dal punto di vista linguistico il passaggio può essere:


 Interfrasale (code switching) = tra frasi differenti, prevede un’enunciazione in italiano e poi il passaggio a
un’altra lingua per frasi intere;
 Intrafrasale (code mixing) = avvengono all’interno della stessa frase

Code switching (o commutazione di codice) = è il passaggio da una lingua all’altra all’interno di un discorso.

Code mixing (o enunciazione mistilingue) = è il passaggio da una lingua all’atra all’interno di una frase inserendo una
sola parola o espressione.

Dal punto di vista funzionale il code switching è sempre intenzionale, esigenza del parlante, non avviene in modo
casuale. Il code mixing invece può essere a volte intenzionale, ma può essere anche una inserzione involontaria (lacuna
a livello lessicale del parlante).

Passaggio dall’italiano al dialetto per marcare l’emotività, i sentimenti espressi mediante le parole del dialetto, hanno
maggiore potenza rispetto alle parole dell’italiano. Questo possibile si conoscono entrambe le lingue (code switching). A
volte può anche non essere motivata da una esigenza specifica (forte legame tra dialetto e linguaggio dei sentimenti).
Altre volte il code switching si utilizza per marcare un passaggio ironico o scherzoso, per far sorridere. Ulteriore
funzione, legata alla prima, è di mettere in risalto i sentimenti del parlante, il dialetto è particolarmente espressivo in
alcuni contesti comunicativi, alcuni settori della comunicazione (lingua nella quale si pensa, con la quale si parla agli
animali). Altre situazioni in cui può avvenire l’alternanza di codice sono la riformulazione, per autocorrezione o
autocensura, e l’adeguamento all’interlocutore.

L’alternanza tra una lingua e un’altra può anche avvenire per ragioni non intenzionali, in questi casi la commutazione di
codici è quasi sempre intrafrasale (code mixing), e può essere determinata da una lacuna del parlante, all’interno di un
discorso in italiano viene messa una parola in dialetto perché non si conosce la parola corrispondente in italiano (lacuna
soggettiva del parlante). Possono essere presenti situazioni in cui la lacuna sia oggettiva, la mancanza di una parola in
italiano per esprimere un determinato concetto ma riconosciuta nell’assenza nel vocabolario italiano di un
corrispondente della parola dialettale. Non manca per forza una parola corrispondente italiana simile a quella dialettale
perché non soddisfa: non comprende tutte le sfumature semantiche che una parola in dialetto ha, o perché non è
sufficientemente precisa per indicare un particolare referente. I termini dialettali inseriti nell’italiano regionale
vengono, in specifiche situazioni, definiti come code mixing (es. esame universitario).

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L’alternanza di codice è oggi possibile perché il dialetto viene valutata in maniera differente rispetto a un tempo dalla
comunità di parlanti.

Nel 1900 il dialetto subisce un processo di stigmatizzazione, viene censurato per l’esigenza di far arrivare l’italiano a
quante più persone possibili, viene quindi percepito come veicolo comunicativo di persone poco istruite, questo quadro
è stato percepibile fino a pochi anni fa. Disapprovazione della lingua. Oggi non è più così, il dialetto non rappresenta più
un pericolo perché in tutta Italia si parla l’italiano, quindi il dialetto non è più percepito come mancata conoscenza,
ignoranza. Oggi l’uso del dialetto viene visto positivamente, perché visto come un’aggiunta al repertorio linguistico
individuale e comunitario, è una risorsa. Proprio negli ultimi decenni le lingue locali hanno fatto il loro ingresso in
contesti linguistici in cui prima veniva evitato (es. televisione, cinema, canzone  Fabrizio D’André pubblicò un disco
completamente in dialetto genovese cinquecentesco mischiato con quello attuale, ma anche con altre lingue; nel rap il
dialetto è la lingua principale, nel sud Italia; pubblicità). Assume funzioni simboliche (denuncia sociale). Nel web inizia a
comparire anche il dialetto sotto forma scritta (il dialetto non ha una tradizione scritta), non si scrivono testi
interamente in dialetto, ma si assiste a un’alternanza tra l’italiano e il dialetto.

Se le parole del dialetto sopravvivono oggi è perché i parlanti la ritengono efficace.

Pier Paolo Pasolini scrisse il saggio “Dialetto o poesia popolare” nel 1951, un’epoca in cui il dialetto era ancora vivo,
scrisse: «il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà». Qualche anno più tardi Luigi Meneghello
scrisse “Libera nos a Malo”: «La parola in dialetto è sempre incavicchiata alla realtà, per la ragione che è la cosa stessa,
percepita prima che imparassimo a ragionare Questo vale soprattutto per i nomi delle cose».

C’è l’impressione che nel dialetto le cose e le parole coincidono, aderiscono. Queste parole vengono definite dai
linguisti come parole-baule. Parole-baule sono contenitori di significati, conoscenze. Le parole dialettali sono nate in
epoche lontane e in alcuni casi sono sparite, portandosi dietro tutta la loro conoscenza.

La lingua italiana è meno efficace in certi contesti quali il mondo familiare e affettivo, il sesso, l’ingiuria e l’imprecazione.
Perché la lingua italiana è stata sottoposta a un processo di selezione che ha portato a scartare la crusca (Accademia
della Crusca). (es. esistono circa 230 parole piemontesi per definire lo “sciocco”, in italiano sono una dozzina, non di
origine dialettale).

Un’espressione tipicamente piemontese è buja nein = persona pigra, è formazione scherzosa che significa letteralmente
non muoverti, in origine era di carattere positivo. Da un episodio storico si è sviluppata fino a essere conosciuta non
solo a livello locale. Altra locazione tipicamente piemontese è Bastian contrari = Bastiano contrario, da un nome e
cognome di personaggio davvero esistiti si ottiene un’espressione proverbiale, circolante anche nell’italiano delle altre
regioni.

L’italiano ha preso in prestito un sacco di parole dialettali per colmare i vuoti lessicali in quegli ambiti considerati bassi e
che quindi non presentano le parole adatte per esprimere i concetti.

Dialettismi = sono tutte le parole, espressioni e i modi di dire che fanno parte dell’italiano ma che hanno origine
dialettale. La lingua italiana le ha prese in prestito per vari motivi.

I prestiti possono essere esogeni, da una lingua esterna, o endogeni, da una lingua interna (solitamente perché nella
lingua nazionale non esiste un corrispondente), es. pizza dal dialetto napoletano, nel momento in cui si diffonde in tutta
la Nazione c’è bisogno di una parola che disegni questo specifico prodotto perciò si prende in prestito la parola
dialettale. Nella gastronomia si trovano moltissimi dialettismi. Le parole dialettali vengono adattate alla lingua
nazionale. capita che ci siano anche dei prestiti non adattati. La parola ciao deriva dal dialetto veneziano, la quale
subisce un processo di cambiamento morfologico.

I dialettismi in italiano si fanno consistenti dopo l’unità d’Italia, soprattutto nel corso del ‘900. Questo perché c’è
maggiore contatto tra le regioni, i prodotti quindi iniziano a circolare a livello nazionale. il secondo maggiore afflusso di
dialettismi in italiano è ricondotto alla perdita di prestigio del toscano.

Le varietà dialettali che hanno dato maggior contributo all’italiano sono il romanesco, napoletano, siciliano. Molte di
queste parole sono entrate nell’italiano soprattutto grazie al cinema, e successivamente grazie alla televisione. Sono
circa tra 6.000/7.000 i dialettismi in italiano.

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LA VARIAZIONE LINGUISTICA
L’italiano non è una lingua monolitica. Non si presenta sempre attraverso la stessa fisionomia. Ciascuna lingua viva
presenta diverse forme dovute da ragioni diverse. Una lingua che si presenta sotto diverse forme, o varietà

Varietà = sono le diverse forme che una lingua può assumere al variare di determinati fattori, o condizioni.

La variazione linguistica è la caratteristica fondamentale delle lingue vive, storico-naturale, di essere mutevoli e di
presentarsi sotto forme diverse nei comportamenti dei parlanti. Ciascuno di noi è in grado di utilizzare diversi registri di
italiano al variare delle condizioni comunicative. Le diverse lingue presenti nel repertorio di una comunità non sono
ugualmente possedute da tutti i parlanti delle lingue.

La sociolinguistica ha come obiettivo lo studio di una lingua in relazione a fattori sociali, si concentra sulla variazione.

Due aree diverse della variazione


 Interlinguistica = è la differenza tra lingue diverse, interazione tra lingue diverse;
 Intralinguistica = area della linguistica che studia la differenziazione interna a una lingua. Indaga le cause delle
forme diverse e delle modalità che una lingua può avere. Quando si parla solamente di variazione in linguistica
si intende solitamente quella intralinguistica.

L’italiano è sottoposto a una vasta variazione interna, presenta tante varietà. La variazione di una lingua non è casuale,
la variazione è correlata principalmente a fattori sociali, quindi esterni alla lingua, è fondamentale quindi individuare
questi fattori e descriverli. I fattori principali della variazione linguistica sono riconducibili a 4 grandi aree (il tempo, lo
spazio, la collocazione sociale dei parlanti e la situazione comunicativa) da cui si possono ricavare 4 assiomi:
1. La lingua varia attraverso il tempo;
2. La lingua varia attraverso lo spazio;
3. La lingua varia attraverso gli strati sociali di parlanti;
4. La lingua varia attraverso le diverse situazioni comunicative.

Il tempo determina la variazione di una lingua nel corso dei secoli, dà vita quindi a una serie di strati linguistici successivi
(la lingua di un determinato periodo storico), questo fattore viene considerato con una certa cautela perché
determinato da fattori naturali più che sociali, può essere definito anche mutamento. Altrimenti la si può definire
variazione diacronica (dia – cronos = attraverso il tempo), prevede la variazione della lingua lungo la linea del tempo,
studiata dalla linguistica storica. Una lingua può variare anche in un tempo molto breve (es. il linguaggio giovanile),
questa varietà si presenta anche in un quadro micro.

Lo spazio dà vita alla variazione su base geografica, varia a seconda dell’area geografica in cui viene parlata una lingua.
La capacità di una lingua di variare è tanto maggiore quanto maggiore è lo spazio nella quale viene utilizzata (es. il latino
parlato era molto differente da area ad area). Il territorio italiano è poco esteso rispetto ad altre aree linguistiche,
eppure il fattore spazio è uno dei più determinanti nell’individuazione di diverse varietà di italiano, questo perché in
ogni regione l’italiano deve fare conto con i dialetti. La dimensione della variazione determinata dall’area geografica si
chiama variazione diatopica, o diatopia, variazione di una lingua su base geografica, al variare dello spazio geografico in
cui viene parlata.

La classificazione sociale dei parlanti è il fattore più sociale, l’italiano varia al variare dei gruppi sociali che lo utilizzano.
Non tutti gli individui di una comunità linguistica sono padroni allo stesso modo della stessa lingua. A determinare la
differente capacità degli individui di una stessa comunità linguistica di maneggiare una stessa lingua sono alcuni fattori
chiave: competenza linguistica (livello di studio), età dei parlanti (l’italiano dei giovani è una varietà di italiano diversa
dalle altre varietà), opposizione di genere. La dimensione della variazione legata alla classificazione sociale si chiama
variazione diastratica, o diastratia (dia – stratos = attraverso lo strato sociale).

La dimensione della variazione legata alla situazione comunicativa è detta variazione diafasica, o diafasia (attraverso la
fase), ogni individuo può variare il proprio italiano in base al contesto in cui si trova, ci sono situazioni informali che
richiedono un certo tipo di registro, e al contrario situazioni più informali che richiedono un altro tipo di registro, meno
controllato. Esistono quindi due poli: uno alto (formale), e uno basso (informale).

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A queste 4 dimensioni della variazione bisogna aggiungerne un’altra, è una dimensione che non è condivisa da tutti
perché è più che altro un aspetto della variazione linguistica che è interno agli altri fattori. La quinta dimensione è
determinata dal mezzo fisico-ambientale, o canale, attraverso il quale avviene la comunicazione (scritto o orale) 
esistono delle variazioni intermedie (es. scrittura digitata, parlato filmico). La scrittura possiede delle caratteristiche, il
parlato ne possiede delle altre, in parte possono essere condivise. Questa quinta dimensione è la variazione diamesica,
o diamesia (attraverso il mezzo).

Queste dimensioni sono fondamentali per classificare ogni testo prodotto di una lingua, a eccezione delle produzioni
riconducibili all’italiano standard.

Es.
«Ahò, rega, s’annamo a fà ‘na bbira?»
o Tempo = contemporaneo;
o Area geografica = Roma, romanesco;
o Strato sociale = giovani;
o Situazione comunicativa = informale, con amici.
o Mezzo fisico-ambientale = parlato.

Marcatezza = è la caratteristica propria di un testo di possedere una o più marche, delle caratteristiche, dei tratti che lo
rendono non neutro, non standard, possiedono una marcatezza, tratti peculiari, riconducibili a ciascuna delle assi,
dimensioni della variazione.

Le varietà di una lingua si dispongono gerarchicamente su uno spazio linguistico. Ci sono varietà che tendono di più alla
formalità, altre di più all’informalità. Per disporre le diverse varietà di una lingua al meglio si utilizza un sistema di
riferimento cartesiano. Viene usata l’espressione “architettura della lingua” per identificare lo spazio linguistico
all’interno del quale si collocano le diverse varietà. La lingua è un complesso multistrato, pluridimensionale che può
essere riprodotto attraverso un sistema cartesiano. È fondato su tre rette orientate:

 Asse verticale = si dispongono le varietà dal punto di vista diastratico, verso l’alto si trovano i registri più colti,
verso la polarità inferiore si trovano le varietà di italiano meno colte;
 Asse obliquo = è l’asse della variazione diafasica, quindi le varietà che dipendono dalla situazione
comunicativa, dall’italiano più formale all’italiano più informale;
 Asse orizzontale = è l’asse della variazione diamesica, quindi in base al canale per il quale avviene la
comunicazione, il canale scritto è quello più formale mentre in quello orale è quello più informale e colloquiale.

Questo sistema cartesiano è stato elaborato da Gaetano Berutto (per quanto riguarda l’italiano), e ci permette di
inserire in maniera più o meno precisa le varietà dell’italiano, questo significa che non sono disposte a caso nello spazio,
ma occupano un posto preciso. Questo vale anche per le altre lingue.

In questo sistema non presenta la variazione diacronica, perché l’architettura della lingua è possibile solamente in
maniera sincronica, bisogna riflettere su una lingua in un determinato periodo storico. È assente anche il piano della
dimensione diatopica, è un difetto. Questa è parsa la soluzione migliore, non è completamente precisa.

Dal polo più alto si trova l’italiano formale aulico


(letteratura delle origini), dopodiché è collocato il
linguaggio tecnico-scientifico che è un insieme di
linguaggi principalmente scritti, appena sotto si trova
l’italiano burocratico (dei documenti dei diversi enti
pubblici e privati), è principalmente scritto. Anche
l’italiano della Chiesa deve essere diviso, quello dei
testi sacri più formale, e quello parlato durante le
prediche che un italiano parlato di carattere più
informale. Al di sotto dell’italiano burocratico si trova
quello standard letterario, varietà scritta, è quella su
cui si basa la grammatica. Al centro si trova l’italiano

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neo-standard che è l’italiano medio parlato oggi (sia nella scrittura che nel parlato), viene impiegato dalle persone
mediamente colte. Nel quadrato di destra si trova la varietà del parlato colloquiale, dopodiché l’italiano regionale
popolare, si tende a impiegare meno nelle situazioni formali. Sul fondo si trova l’italiano informale trascurato, parlato
non controllato. L’italiano parlato possiede una vasta gamma di possibili varietà. Queste sono delle macroaree che
vengono collocate nello spazio.

L’italiano scritto ma digitato, quello che oggi usiamo quotidianamente, con regolarità, quando chattiamo. Il grosso della
comunicazione oggi passa attraverso l’italiano digitato. Quei testi digitati sono scritti però sono particolari, perché da un
punto di vista linguistico presentano tratti caratteristici dell’oralità, non si bada alla scrittura tradizionale. Questo nuovo
tipo di italiano è una varietà che presenta al suo interno altre varietà. È l’unica forma di scrittura posta a sinistra sotto lo
zero, perché l’unico tipo di scrittura informale. Non viene considerato l’italiano scritto nelle lettere poiché oggi non si
scrivono più lettere (una volta erano solo le persone colte a scriverle, si trovano poi le lettere scritte da soldati o
migranti che non avevano le capacità per scriverle).

La trasmissione di un messaggio in italiano può essere espressa mediante ciascuna di queste varietà.

ITALIANO STANDARD

“La informo che non potremo venire” è italiano standard, privo di marcatezza perché è l’italiano della norma, sono
neutri dal punto di vista grammaticale. Le altre varietà ruotano intorno allo standard. In linguistica il concetto di
standard identifica una varietà di lingua che è soggetta a codifica grammaticale, la lingua che risponde alle regole. È
quello che viene insegnato nelle scuole, a livello teorico. Se si riconosce nello standard l’unico modello buono,
accettabile, della lingua, nessuno parlerebbe in maniera accettabile. La varietà standard non si usa quasi mai. In senso
stretto lo standard è caratterizzato da una serie di qualità: codificato, sovraregionale, elaborato, proprio dei ceti colti,
invariante e scritto.

Codificato perché basato su una serie di testi scritti che vengono presi come riferimento (letteratura) dai quali viene
elaborata una serie di norme, le regole grammaticali. Sovraregionale perché essendo legato a delle regole grammaticali
non deve possedere nessun tratto regionale. Elaborato perché possiede tutte le risorse linguistiche per adempiere a
tutti gli usi comunicativi in tutti i domini comunicativi, anche quelli tecnico-scientifici. Proprio dei ceti colti, socialmente
alti, è un effetto della storia dell’italiano perché è stata a lungo impiegata solamente dalle persone più istruite, e in
particolare nei testi scritti più che nel parlato, nel momento in cui diventa la lingua parlata da tutti perde lo standard.
L’invarianza è una conseguenza della codifica grammaticale, la lingua non può modificare le sue strutture più profonde.
Scritto prima di tutto perché è una lingua che nasce da un modello scritto, e perché l’italiano standard si trova quasi
esclusivamente nei testi scritti.

In natura non esistono varietà standard di una lingua. I dialetti sono lingue storico-naturali ma non hanno una varietà
standard, perché non c’è stato il bisogno di codificarle, ci sono delle regole non scritte. La formazione dello standard è
un processo storico, culturale, sociale, e di conseguenza è sempre un prodotto che ha un certo grado di artificialità,
perché opera di una creazione. Si realizza attraverso una serie di interventi o agenti: ci devono essere dei parlanti o
scriventi che abbiano prodotto dei testi che vengono reputati modello per la formazione dello standard (Tre Corone), ci
devono essere delle istituzioni che stabiliscono le norme, decidono le regole (l’Accademia della Crusca ha realizzato il
primo dizionario), produzione di grammatiche e manuali di grammatica, ci devono essere degli esperti di lingua che
giudicano i testi aderenti allo standard.

La lingua che usiamo nella quotidianità è l’italiano neo-standard.

ITALIANO NEO-STANDARD

L’italiano standard è una varietà alta, colta che nasce dal fiorentino scritto che continua a vivere nei testi scritti alti, e
nei manuali di testo. Non è quindi una varietà media e non coincide con nessuna varietà pienamente parlata. Dopo gli
anni ’50 del ‘900 è a poco a poco diventata la lingua parlata da tutte le classi sociali. Questo ha comportato delle
modifiche nella lingua parlata, la lingua nazionale ha dovuto abbassare il proprio livello per ragioni linguistiche. Ha
dovuto adattare suoi mezzi linguistici. Da un lato l’italiano standard accoglie degli elementi lessicali propri dei dialetti
nelle diverse regioni. Il secondo grande effetto è stata l’accettazione di fenomeni linguistici non accettabili
grammaticalmente, determinante per la nascita di una varietà parlata. Italiano neo-standard, o colto-medio, si tratta di

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un nuovo standard più basso che trova impiego nella comunicazione parlata. Francesco Sabatini fu il primo a coniare la
denominazione dell’italiano di uso medio.

L’italiano neo-standard possiede dei tratti caratteristici che lo differenziano da quello standard:
 Morfologia
o Riorganizzazione del sistema pronominale, prevede un processo di semplificazione che porta
all’impiego di lui e lei e loro come soggetti; presenza del te oltre a tu (sovra estensione); uso sovra
esteso del pronome gli come dativo generalizzato;
o Riorganizzazione del sistema dei dimostrativi, scomparsa di uno dei tre dimostrativi (questo, quello,
codesto)  codesto non viene mai utilizzato nel parlato (eccetto i fiorentini in situazioni specifiche);
anche il ciò viene sostituito con il corrispondente maschile o femminile;
o Selezione di congiunzioni, in italiano sono molte, possono essere subordinate o coordinante,
nell’italiano parlato vengono utilizzate solo alcune di queste (privilegiata l’anche);
o Semplificazione del sistema verbale, i verbi sono un ostacolo nell’apprendimento della lingua perché
ci sono molti tempi e modi, riorganizzazione nell’uso dei tempi e dei modi, rimodellamento che porta
a un sistema verbale che utilizza prevalentemente il presente, anche in funzione futura o passata; il
futuro oggi viene impiegato in usi diversi da quelli previsti dalla norma, per esempio per esprimere dei
dubbi o incertezza (uso epistemico); l’imperfetto viene utilizzato anche come formula di cortesia (in
contrapposizione al condizionale)  viene utilizzato l’imperfetto perché il condizionale a livello orale
è molto poco utilizzato, in questo caso deve essere sostituito da un altro tempo e modo; per quanto
riguarda i modi nel parlato viene applicato un minor impiego del congiuntivo, il quale viene sostituito
da un doppio imperfetto nel periodo ipotetico, similmente vale per le frasi che contengono verbi di
opinione o nelle relative restrittive;
o Usi sovraestesi del che, oggi definito polivalente, fino a diventare un elemento che introduce una
subordinata (in particolare causali, consecutive, temporali e finali);
o Usi ridondanti, ovvero il rafforzamento di elementi (es. a me mi, né);
 Sintassi
o Sintassi marcata, l’italiano presenta una struttura sogg. – verbo – ogg., dal punto di vista enfatico
potrebbe non essere così, casi di sintassi marcata (dare enfasi a un determinato elemento che
comporta lo spostamento del complemento oggetto in posizione iniziale), es. i compiti li (elemento
ridondante) hai fatti? (la dislocazione a sinistra prevede il complemento oggetto all’inizio della frase
anziché con posizione di coda, aggiungendo anche un pronome); accanto alla dislocazione a sinistra
abbiamo la dislocazione a destra, es. li hai fatti i compiti? (il complemento ogg. viene anticipato dal
pronome, non c’è un vero e proprio spostamento), la dislocazione a sinistra compare già nei primi
documenti della nostra lingua (“Placito Capuano” è il primo testo scritto pervenuto che documenta
l’esistenza dei volgari, o dialetti, italiani); frase scissa è un terzo caso di frase marcata, es. è Luca che
compra il pane, si chiama scissa perché da una frase semplice ricaviamo due frasi (verbo essere
coniugato – sogg. – che – verbo – compl. ogg.), la frase scissa è un francesismo;
o Il ma a inizio frase, come elemento che introduce una subordinata per ragioni enfatiche;
o Prevalenza della paratassi (coordinazione delle frasi) sull’ipotassi (tendenza a un rapporto di
subordinazione delle frasi), nell’italiano dell’uso medio è preferibile la paratassi;
Alcuni fenomeni linguistici dell’italiano neo-standard sono in parte riconducibili a tempi recenti. Ma non sono accettabili
nell’italiano standard, quindi in testi scritti di un certo valore.
 Lessico = l’italiano come ciascun’altra lingua rinnova costantemente il proprio vocabolario. Negli ultimi anni
questi rinnovamenti lessicali avvengono a una velocità superiore a quella precedente. Nell’italiano neo-
standard troviamo nel lessico parole e forme che fino a poco fa erano sconsigliate;
o Uso spropositato dei superlativi (grammaticalmente significa che una cosa è la più bella, anziché
molto bella);
o Uso spropositato di termini con significato iperbolico o significato massimo (mitico, straordinario,
stupendo);
o Tendenza all’uso di forme diminutivali (con forma di cortesia);
o Uso di prefissi (super, mega, ultra), sostituzione di molto con troppo (termine di grado superiore);

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o Uso di assolutamente al posto di sì, nella nostra lingua ha valore negativo in situazioni contrari in
maniera assoluta, non è previsto l’uso di questa forma in ambito positivo accompagnato da sì o in sua
sostituzione (deriva dal dover trovare un corrispondente di absolutly nel doppiaggio cinematico);
o Saluti = nell’italiano si prevedono saluti diversi in base al momento della giornata, con chi ci si
incontra, nel momento del saluto (d’incontro, commiato…) e natura del saluto. Nell’italiano dell’uso
medio prevalgono alcune forme, e vengono escluse altre, si preferiscono le forme più generiche,
neutre e polivalenti  es. salve viene utilizzato in contesti più formali ma non viene ben visto dai
puristi della lingua, andrebbe evitata perché non specifica;
o Presenza massiccia di parole nuove che caratterizzano l’italiano medio, che non seguono
necessariamente le regole grammaticali. Ci sono dei prestiti che sono necessari (prestiti di
necessarietà), dei prestiti non necessari (un anglicismo o francesismi utilizzati accanto a parole
esistenti in italiano), le parole di una lingua sono solitamente polisemiche (hanno più di un
significato), ma dal momento in cui le parole di una lingua entrano in un’altra lingua perdono la
propria natura polisemica (vengono usate per esprimere concetti ben specifici, solitamente utilizzati
come tecnicismi).

LA VARIAZIONE DIAMESICA
Per variazione diamesica si intende la capacità di una lingua di variare a seconda del mezzo/canale di comunicazione.
All’interno della dimensione scritta si trovano diverse tipologie di lingua (si può scrivere sul computer, un foglio,
smartphone)  cambiando il supporto cambia anche la tipologia di scrittura. Lo stesso vale per il canale acustico
(telefono, televisione, lettore DVD, radio). Accanto al canale fonico-acustico si trova anche il canale visivo (gesti delle
mani, espressioni facciali, tono della voce, posizione del corpo).

La variazione diamesica individua due poli:


 Polo alto = scrittura tradizionale
 Polo basso = parlato

Vale il principio del continuum, in mezzo a questo asse, tra i due poli, troviamo un insieme molto numeroso di varietà
che sfumano le une dalle altre, è un passaggio graduale. Non tutte le varietà di scritto sono uguali: ci sono scritti molto
formali (testi universitari).

Scrittura e oralità sono diversi perché vengono utilizzati mezzi diversi. La scrittura deve rispettare determinate cose, il
parlato meno.

Proprietà specifiche
- Grado di pianificazione del discorso = possibile nello scritto e non nell’orale (a livelli massimi)  può essere
preparato il testo orale partendo da una base scritta (a livelli minimi);
- La scrittura deve necessariamente esprimere un messaggio chiaro e impeccabile nella forma, a livello orale
conta di più il contenuto rispetto alla forma (presenta delle sporcature);
- Legame con il contesto, ambiente e con interlocutore  in un testo scritto non si può dare conto delle
espressioni facciali e corporali, e dei gesti. Il testo orale può risultare più semplice perché permette di saltare
alcuni passaggi logici.

Ci sono delle caratteristiche tipiche dell’oralità che non esistono nella scrittura, e viceversa (voce, gestualità,
condivisione spazio fisico-individuale, segni ortografici). Esistono tuttavia dei fenomeni comuni a entrambi i codici, ma
che si presentano sotto forma diversa, a seconda della situazione comunicativa.

Bisogna tenere come punto di riferimento la lingua scritta dell’italiano standard. Il parlato come tipologia testuale
specifica che si realizza attraverso il canale fonico-acustico e che si differenzia per una serie di fenomeni rispetto alla
scrittura tradizionale.

Scrittura: quella standard.


Parlato: quello informale.

Macrodifferenze

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- Parlato-parlato = parlato più spontaneo (al polo più basso), tipica delle situazioni più colloquiali, che presenta il
minor grado di attenzione alla lingua;
- Scritto-scritto = scritto formale di testi di un certo livello comunicativo (al polo alto);
- Parlato-scritto = dato dalla varietà di testi scritti che per molti aspetti sono più vicini all’oralità; testi parlati che
vengono scritti (messaggi su whatsapp), perché scritti senza nessuna pianificazione;
- Scritto-parlato = testi parlati che nascono da un testo, modello scritto, nascono in forma scritta che vengono
poi riprodotti in forma orale (medium cinematografico),in questo caso la produzione orale non è libera perché
dipende da un copione, questa tipologia di parlato ha delle caratteristiche differenti rispetto al parlato.

Lo studio delle peculiarità proprie di una varietà di lingua avviene attraverso l’osservazione dei diversi livelli di analisi:
testualità, sintassi, morfologia, fonetica, grafia e lessico.

Testualità
La testualità è la caratteristica di un testo di presentarsi come un’unità complessa e compiuta. Insieme di tante parti che
danno vita a un prodotto compiuto. Formata da frasi e periodi logicamente legati fra di loro. Un testo può più o meno
essere aderente alla norma. La coesione logica sintattica e la coerenza sono delle peculiarità necessarie per conferire un
livello alto di testualità a un testo.

Tutti i nessi logico sintattici sono esplicitati in modo che la coesione e la coerenza siano di livello massimo. Lo stesso non
può avvenire in un discorso orale [esempio slide]: è un testo orale, presenta delle pause vuote (per pensare a come
continuare la frase), cambiamenti di microprogettazione con autocorrezione e presenta delle caratteristiche tipiche del
parlato (ripetizione, parafrasi  giro di parole), il sì e il insomma possono essere tolti, sono particelle discorsive tipiche
dell’oralità, permettono di mantenere una certa coesione logica dove la sintassi non può intervenire, anche boh; nel
senso  è un neo-passe-partout, anche il ce è un neo-passe-partout [il ce è la contrazione di cioè]. Il piuttosto che
utilizzato come un o...o, in realtà ha funzione avversativa (viene erroneamente interpretato dai parlanti come elemento
che comporta un innalzamento del discorso). Si procede per piccoli blocchi sintattici (semantici), non correlati
attraverso le congiunzioni. Uso massiccio dei segnali discorsivi.

Segnali discorsivi: possono essere singole parole, espressioni o intere frasi. Assumono delle funzioni nuove rispetto alle
loro funzioni proprie. Hanno la funzione di articolare e strutturare con mezzi non sintattici il discorso, e la funzione di
gestire l’interazione con l’interlocutore, e infine la funzione di rimediare a eventuali lacune (logico sintattiche). Possono
essere polifunzionali (cioè). I segnali discorsivi possono essere:
 Demarcativi = sono quelli che danno conto della posizione del discorso, segnalano l’attacco di parola o la
conclusione di un’unità linguistica:
o Apertura = allora, comunque, praticamente, niente, bene, ecc.;
o Apertura e chiusura = insomma, ecco, ecc.;
 Di attenuazione = usati per alleggerire quanto si sta dicendo o quanto si è detto (es. diciamo, in realtà);
 Fatismi = servono per gestire il rapporto con l’interlocutore, stabilisce un contatto con le persone a cui mi sto
rivolgendo, per richiamare l’attenzione, compaiono molte volte sottoforma di domanda (es. capito?,
d’accordo?, tutto bene?, vero?, no?), possono avere anche funzione non interrogativa ma positiva (es. guarda,
senti, ascolta, dai, sai, ehi);
 Connettivi pragmatici = segnali discorsivi che hanno una funzione pragmatica, agiscono principalmente per
gestire i rapporti tra le frasi, o per riempire un testo (riempitivi generici(, (es. nel senso, come dire, tipo, vabbè,
boh, ecc.);
 Particelle modali = avverbi di modo (es. veramente, praticamente).
Sono elementi del discorso che non hanno una funzione semantica, ma che sono fondamentali dal punto di vista
pragmatico per il locutore. I segnali discorsivi possono coniugarsi tra loro e generare delle sequenze (es. cioè nel senso).
Possono trasformarsi in intercalari, ovvero particelle del discorso che il parlante inserisce qua e là all’interno del
discorso, sono personali forme di routine, a volte per prendere tempo o per funzioni emotive, il problema è che poi
diventano un’abitudine, (il bene oggi viene utilizzato con la funzione di well).

Sintassi
3 principali ambiti nei quali si può osservare un’ampia divergenza tra codice scritto e codice orale:

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 Sintassi del periodo = organizzazione di un discorso all’interno di un testo ampio che abbia autonomia
semantica e logica;
 Sintassi della frase semplice;
 Coesione sintattica.

Sintassi del periodo


Le frasi in un testo scritto seguono il principio della subordinazione (ipotassi)  è il rapporto di dipendenza che lega alla
principale tutte le altre frasi non coordinate alla principale (principale e subordinate). Rapporto ipotattico. Nei registri
parlati si trova la paratassi (principio di coordinazione), ovvero il rapporto tra le varie frasi, prevede tutte le frasi legate
su uno stesso livello, perché manca il tempo per organizzare il discorso. Lo stesso fenomeno lo si ritrova nella scrittura
digitata. Nel parlato si usano molte meno congiunzioni, e si tende ad utilizzare sempre le stesse.

Sintassi della frase semplice


Il secondo ambito della sintassi è la sintassi della frase semplice e l’ordine dei costituenti frasali. Una caratteristica tipica
dell’oralità è quella di intervenire modificando l’ordine dei nessi frasali (frase semplice sogg. – v – ogg.). Ci sono tre
manifestazioni che hanno la funzione di marcare espressivamente un elemento della frase:
 Dislocazione a destra;
 Dislocazione a sinistra;
 Frase scissa.

In un contesto scritto bisogna evitare questi costrutti, perché propri dell’oralità.

Coesione sintattica
Il testo scritto scorre in maniera lineare e pulita, perché rispetta dei paesaggi logici che rientrano negli ambiti della
coesione e della coerenza  non presenti invece nella produzione orale.

Caratteristiche coesione sintattica:


- Frasi incomplete;
- Anacoluto, tema sospeso = il soggetto rimane in sospeso, che non è adeguatamente collegato ad altro. Viene
usato a livello letterario per conferire una veste realistica del parlato;
- Cambiamenti di microprogettazione.

Morfologia
Il parlato si caratterizza per un processo di semplificazione rispetto alla scrittura.

 I verbi:
o sottoutilizzazione di alcuni tempi e modi (congiuntivo, condizionale, alcuni tempi dell’indicativo meno
utilizzati);
o concentrazione di valori e impieghi su alcuni tempi dell’indicativo;
o presente, passato prossimo, imperfetto sono i tempi più utilizzati dell’indicativo (trapassato prossimo
nei rapporti di anteriorità);
o imperfetto come modo a scapito del condizionale (imperfetto di cortesia);
o diminuzione del congiuntivo nei verba putandi (verbi che esprimono opinione);
o maggiore frequenza di pronomi personali (per enfasi espressiva).
 I pronomi:
o uso di lui, lei, loro al posto di egli, essa, essi;
o gli come clitico dativo (gli ho dato: m. e f. sing. e pl.);
o ci è egemone su vi (ci sono stato > vi sono stato), vi con funzione locutiva deriva dal latino ibi, il ci è
stato frainteso;
o questo/quello vs ciò (dimostrativo neutro);
o che relativo prevalente su (il) quale, forma più precisa rispetto al che.

Lessico
Un parlante nel corso della sua vita userà circa 10.000 parole, molto poche rispetto a quelle della nostra lingua
(260.000). Di conseguenza vi sono delle ripetizioni. Il lessico del parlato è composto da parole meno precise, parole con

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significato generico (genericismi), es. cosa, roba, affare, coso, tipo, fare, venire, andare ecc. Di conseguenza una
riduzione del linguaggio tecnico-specialistico.

Tendenza a usare parole iperboliche, con significato forte, eccessivo (es. importante, clamoroso, mitico, eccezionale,
allucinante). Accanto a questo fenomeno si trova l’uso dei superlativi assoluti morfologici in -issimo. Di contro la
tendenza a usare i diminutivi morfologici in -ino (errata della percezione sulla cortesia). Abuso dell’aggettivo
importante, perde importanza con la sua proliferazione, è il risultato una soluzione in cui questo aggettivo può
significare tutto o nulla, rappresenta un impoverimento nel momento in cui ci impigrisce nel trovare una parola più
adeguata.

Anche la lingua presenta dei tormentoni, sono parole o espressioni molto spesso legate a episodi marginali legati alla
diffusione sui mezzi di comunicazione di massa o legate a un episodio di specifico, per questo nell’oralità possono
diffondersi fino a diventare dei tormentoni linguistici (es. piuttosto che, e quant’altro, quello che è  persone sono
convinte di darsi un tono, in realtà rappresenta solo un allungamento della frase, settimana prossima, barra, ni, andare
a + infinito  perifrasi dell’imminezialità, ecc.). Alcuni tormentoni si insediano nella lingua, altri invece sono solamente
momentanei.

Perifrasi dell’imminenzialità = indica un’azione che si sta per compiere (con andare a), preso probabilmente dall’inglese.
Espressione che si è diffusa probabilmente con i video di cucina.

Lingua di plastica = etichetta efficace per indicare alcune modalità mediocri del parlato che si compongono di frasi fatte
o espressioni che ripetiamo meccanicamente. Sono delle merci pronte per l’uso (plastismi). Non richiede sforzo.
Il problema del riuso: i parlanti assorbono come spugne queste “novità” linguistiche e a riutilizzarle. Il problema è che
diventino uno stereotipo linguistico. Limitano la capacità umana di descrivere la realtà.

L’”E-TALIANO”

Varietà rappresentativa che non può essere trascurata. È una serie di varietà che compongono una “nuova” lingua.
Viene denominato “e-taliano”, sono state proposte anche altre denominazioni, che però non danno conto dell’estrema
differenza, è un nuovo codice che presenta una fisionomia variegata.

Oggi si assiste a un dinamismo della scrittura prima di adesso sconosciuto, per la prima volta l’italiano si trova a essere
scritto quotidianamente dalla maggior parte degli italiani. È una novità considerabile paradossale, siccome l’italiano
viene vista per secoli come lingua scritta di carattere letterario per pochi. È diventata con difficoltà una lingua parlata, in
diversi secoli. In pochissimo tempo è diventata una lingua scritta utilizzata da tutti, a scapito del non uso. È una novità
che si è manifestata nel giro di pochissimi anni che ha portato una massa di tantissime persone che non avrebbero mai
scritto a scrive quotidianamente, a produrre una mole enorme di testi digitati. Questa mutazione sociale antropologica
ha comportato il venir meno le coordinate che aveva la nostra lingua scritta. L’architettura dell’italiano scritto originale
è stata ritoccata. Bisogna tener conto di una nuova varietà che deve trovare una collocazione. Questa varietà ha un
profilo diverso da tutte le altre: è una lingua scritta, ma bassa (l’unica varietà che non si colloca nei piani alti). Può
quindi definita come una terza lingua accanto all’oralità e alla scrittura, benché sia estremamente differente da
entrambe. Ha una spinta dal basso, effetto di appropriamento della lingua da parte di chi non aveva la competenza di
scrivere. Inevitabile che questa nuova lingua deriva dall’oralità più trascurata, anche l’oralità deriva dalla scrittura. È una
spinta che da sempre risultati nuovi e imprevedibili.

È una nuova forma di scrittura, che sostituisce quella tradizionale. È ritenuta paritaria, che può essere privata o semi-
privata, vi è la percezione di una parità di ruoli, che però non è così. Consente di recuperare la natura comunicativa del
parlato in presenza, seppur a distanza. Deve essere efficace, nonostante la scrittura sia un processo più lento del
parlato. Deve comunicare in forma scritta riproducendo l’attività dello scritto, in maniera veloce ed efficace. Serve un
nuovo sistema di codici.

Possiede anche una nuova fascia di utenza: prima di tutto i nativi digitali, i giovani di oggi sono cresciuti insieme ai
social, respirandoli come l’aria; migrante digitale o tardivo digitale, etichetta che individua quelle persone che sono
cresciute senza il digitale, e quindi che hanno appreso in seguito questo nuovo modo di comunicare, hanno una
dimestichezza solo parziale, e scarsa; tra queste due generazioni vi è un approccio mentale diverso della scrittura sui
social.

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Non esiste un solo italiano del web, è impossibile data la mole di testi e video pubblicati. Bisogna considerare chi parla,
cosa scrive, i contesti e i diversi canali in cui questo avviene. Bisognerebbe considerare anche la presenza di vere e
proprie comunità on-line, ci sono delle caratteristiche particolari per considerare una comunità on-line tale, vi sono
inoltre delle norme non scritte che gestiscono la comunicazione all’interno della comunità  osservazioni linguistiche
delle comunità on-line, mettono a punto un sistema comunicativo nuovo.

È una lingua mobile, non legata a delle norme grammaticali, deve anzi forzare la grammatica per esigenze
comunicative. Tra gli aspetti più caratteristici si riconosce la presenza di grafie non ortodosse, si scrive in maniera non
sempre corretta, presenza di anomalie, soprattutto nell’uso di accenti, asterischi, divisione di parole (si utilizza nella
scrittura ciò che è tipico nell’uso orale). La consapevolezza dei confini di parola non è sempre chiara, si assiste a casi di
scrittura continua. Scarsa attenzione all’interpunzione.

Estremismo interpuntivo: uso espressivo della punteggiatura con finalità comunicativa, generando degli usi anomali.
Uso della punteggiatura anche in negativo, es. omissione del punto fermo alla fine (sembrare arrabbiato/distacco,
sottointeso, segnalare la fine dell’intera conversazione).

Presenza di elementi extra-verbali: il messaggio sui social non si esaurisce con il componimento di un messaggio, questo
atteggiamento nasce con le emoticon, inizialmente erano create con dei segni, per dare un senso emotivo, nascono poi
le emoji, un insieme di segni non verbali che continua ad arricchirsi. Oggi le emoji formano un vocabolario universale.

Chi produce quotidianamente, ma non possiede le capacità di produrre, cosa scrive? Anche le persone senza
competenza o con una competenza di scrittura hanno iniziato a produrre regolarmente testi sul web.

L’italiano del web non è sorvegliato, per questo si trovano spesso delle anomalie ortografiche dovute da un lato alla
scrittura veloce (errori di battitura o distrazione), dall’altro lato gli errori sono determinati dalla mancata conoscenza di
determinati costrutti della nostra lingua (punteggiatura, maiuscole, ecc.).

Tachigrafia e brachigrafia = la scrittura veloce e quella abbreviata. Al loro interno si riconoscono alcuni elementi:
acronimi o sigle (GLS, LOL, OMG…) oppure abbreviazioni (xhé, ke, cmq…).

L’uso del maiuscolo per esprimere il parlato-urlato, rientra nella punteggiatura “espressiva”. Elemento che può essere
correlato a una bassa competenza scritta.

Iconismi: emoticon, prima modalità extra-verbale, oggi vi è la percezione di simboli extra-verbali che permettono di
comunicare qualcosa o quasi tutto senza scrivere parole. Rientrano nel linguaggio non verbale i meme (dal greco
mimesis significa imitazione), il meme è uno stile comunicativo che si propaga per il web partendo da un episodio reale,
diventa quindi un tormentone, in grado di trasmettere un messaggio grazie alla popolarità che ha acquisito (possono
essere “umani” o non “umani”), possono nascere dal cinema, ecc. i testi che accompagnano le immagini sono un
elemento di corredo, possono anche non esserci, nei meme in italiano si possono trovare anche elementi di code
mixing o code switching, molti meme possono essere considerati metalinguistici perché riflettono sulla lingua, per
finalità ironiche e scherzose.

È difficile analizzare il lessico perché c’è un’utenza molto varia. Buona parte delle novità linguistiche presente nei social
più giovanili possono essere in grado di diffondersi e di diventare parole nuove all’interno della lingua. Questi
neologismi o modismi sono soprattutto legati al mondo giovanile (giovanilismi). Sono molto frequenti anche gli
anglicismi, si parla di anglofilia digitale, un atteggiamento di posizione amichevole verso l’inglese che si manifesta
attraverso i social. I nativi digitali nascono con un atteggiamento di naturale disposizione verso l’inglese perché
riconoscono l’inglese, anglicismo, come elemento naturale. Tra i neologismi più recenti si trova crashare, crush, nabbo,
snitch, challenge. Le lingue locali non vengono più utilizzate per situazioni colloquiali, però i giovani sono in grado di
usare le espressioni dialettali all’interno del discorso.

Il citazionismo è la tendenza a utilizzare citazioni o riferimenti provenienti dal cinema, serie televisive, dalla canzone, dal
mondo del trash, dalla letteratura. Spesso legato al fenomeno del tormentone.

Il turpiloquio è il fenomeno in sé, non utilizzabile al plurale. È il parlare o scrivere in maniera volgare, attraverso l’uso
delle parolacce. Un tempo erano per lo più per effetto espressivo e non tanto per offendere, al contrario di oggi. Oggi
diventa uno strumento per offendere.

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L’italiano digitato è assimilabile all’italiano parlato, invece che a operare per dare un ordine al testo, scomponiamo il
testo in tante piccole frasi, manca la coesione testuale. Mancanza di elaborazione testuale che può dare l’idea di
trascuratezza, sia stilistica che sintattica, come se si trascrivesse quello che si vuole dire.

Sono dei fenomeni che non sono ritenuti sbagliati se valutati all’interno del loro contesto. I problemi sorgono nel
momento in cui la familiarità con questo tipo di scrittura lo si riporta in altri contesti che richiedono un testo coerente e
coeso.

I testi del web, delle chat, sono ipotesti, ovvero dei testi che non possono essere considerati tali perché contengono
solamente delle piccole parte di un testo. La tendenza a utilizzare questo tipo di scrittura può portare alla lunga a un
processo di ipoalfabetizzazione. Ci sono problemi legati ad alcuni “tipi” da social: i “tecnolesi” sono boomer che scopre i
social e che inizia a cannibalizzare il medium pubblicando senza limiti, spesso i boomer sono anche i tuttologhi, quelli
che sanno tutto. Il risultato è lo scontro che ha generato il fenomeno dell’odio da tastiera, gli haters. L’odio on-line è
anche detto comunicazione deragliata, rientrano tutte le forme di distorsione come le fake news (molto più popolari
rispetto a quelle controllate), iniziano a divulgarsi durante le prime elezioni di Donald Trump.

Post-verità = situazione secondo cui in una discussione o diffusione di notizie la verità viene considerata una questione
secondaria, a determinare la convinzione è invece l’aspetto falso di una notizia che fa leva sull’emotività.

Infodemia = flusso eccessivo di informazioni che porta alla formazione di fake news.

Comunicazione deragliata = l’odio on-line, favorito dalla rete. Le persone sembrano poter dare il peggio di sé. L’odio on-
line è stato diviso in differenti categorie:
 Cyberbullismo = l’odio, atto di bullismo, che si manifesta all’interno dei social tra minorenni, diverso dalla
cybermolestia, forma di odio da adulti verso i minorenni;
 Body shaming = deridere qualcuno per il suo aspetto fisico, riguarda soprattutto le donne, si manifesta
attraverso un ciclone di commenti negativi, sarcastici, verso chi si pone diversamente dai parametri della
società;
 Revenge porn = forma di odio on-line nuova perché strettamente legata all’avvento di internet, rispecchia la
volontà di vendicarsi, condivisione di immagini o video senza il consenso dei protagonisti;
 Shit storm = si svolge in forma collettiva, viene rivolto verso un obiettivo che viene prima concordato, inviti
diretti o meno.

Analfabetismo di ritorno = perdita delle capacità elementari, sono quelle persone particolarmente attive nella
produzione e diffusione di testi sui social. O comunque persone che hanno un’istruzione media-bassa che sfruttano i
media digitali che non sono alfabetizzanti.

L’italiano digitato è quindi un nuovo codice, una varietà scritta che si colloca in una posizione bassa. La scrittura dopo
anni in cui è rimasta ai margini torna in questa maniera.

LA VARIAZIONE DIASTRATICA
La variazione diastratica riguarda lo strato sociale di una comunità di parlanti. È una dimensione della variazione
linguistica che nasce da una constatazione ovvia sin dall’antichità. Non tutti dispongono della propria L1 allo stesso
modo. Viene anche chiamata variazione sociale.

Principali fattori che determinano le variazioni dell’italiano che riguardano la società:


- Grado di istruzione
- Modelli di riferimento = incidono sul nostro modo di parlare e di scrivere
- Età
- Genere biologico (probabilmente) = miglior soggetto da intervistare (passato).

Per l’appartenenza a una classe sociale si prendevano come punti di riferimento alcuni parametri:
 Livello di istruzione
 Occupazione
 Reddito (reddito alto = livello linguistico alto).

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Fino a pochi anni fa si pensava che il reddito alto significasse avere una competenza linguistica mediamente alta. Oggi si
sa che non è necessariamente così.

Un modello di riferimento fino a qualche anno fa era la letteratura, oggi i ragazzi leggono molto meno. Gli effetti sulla
lingua esercitati su quel modello di riferimento sono stati molto sensibili. La difficoltà dei ragazzi di oggi è dovuta dai
modelli di riferimento attuali.

Dal punto di vista diastratico il fattore generazionale dà vita a varietà di lingue diverse (es. varietà giovanile).

Anche il genere biologico può essere un fattore determinante. La geografia linguistica ha sempre preferito gli
interlocutori femminili (in passato), perché sulla base degli studi le donne rappresenterebbero una conservazione
sociale e linguistica (utilizzano un dialetto più conservativo, e meno contaminato). Gli studi di socio linguistica più
recenti riconoscono nella componente femminile un’inclinazione alla riproduzione di modelli linguistici meno elevati.

Al polo alto si colloca l’italiano formale-aulico, vale a dire l’italiano colto delle persone che possiedono una competenza
linguistica alta, che tende all’italiano standard. Al polo basso si colloca l’italiano popolare, è la varietà più bassa, quella
dei ceti o gruppi sociali meno istruiti.

ITALIANO POPOLARE

Tullio de Mauro fu il primo a identificare l’italiano popolare nel 1970: «Modo di esprimersi di un incolto che, sotto la
spinta di comunicare e senza addestramento, maneggia quella che ottimisticamente si chiama la lingua ‘‘nazionale”
l’italiano». Quindi è quella lingua utilizzata da un incolto che per esigenze comunicative è obbligato a utilizzare la lingua
nazionale. I dialettofoni esclusivi parlavano quotidianamente in dialetto e non utilizzava, se non in condizioni particolari,
l’italiano.

Un paio di anni dopo Cortelazzo fornì una definizione un po’ diversa: «Il tipo di italiano imperfettamente acquisito da
chi ha per madrelingua il dialetto». Sono due affermazioni diverse che riflettono le stesse condizioni.

Successivamente prima Bruni e poi D’Achille rifletto sulla situazione e definiscono l’italiano popolare come «Italiano dei
semicolti», è una varietà orale che talvolta si manifesta nella scrittura, principalmente in quella privata (es. lettere di
immigrati).

L’italiano popolare nasce nel momento in cui l’italiano inizia a diffondersi all’interno delle regioni. Fino agli anni ’70 la
lingua più parlata nelle diverse regioni erano i diversi dialetti. Per questo l’italiano appreso parlato sarà pieno di
anomalie, all’interno dell’italiano vengono aggiunti elementi delle L1 dei parlanti. È quindi una varietà che nasce dal
basso.

È la varietà più bassa dal punto di vista diastratico, è stata una varietà fondamentale.

Da un punto di vista strettamente linguistico l’italiano popolare presenta tantissime devianze (lo scarto rispetto a una
norma), dovute da diverse ragioni:
 Contatto stretto con il dialetto retrostante;
 Mancata conoscenza dei fenomeni grammaticali.

Queste devianze possono essere studiate dal punto di vista della sintassi, della morfologia, della grafia e fonetica, e dal
lessico.

Sintassi
Una caratteristica è la difficoltà nel costruire alcune frasi dal punto di vista grammaticale che riguardano la coniugazione
dei verbi:
- periodo ipotetico dell’irrealtà (protasi e apodosi) = il parlante tende a usare il doppio condizionale, solitamente
congiuntivo nella protasi e condizionale nell’apodosi;
- concordanza a senso = un sostantivo, attributo o aggettivo che si collegano non sono concordati a genere o
numero, spesso capita con sostantivi singolari che fanno riferimento a un’unità plurale (es. la gente sono
ignoranti);

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- il che polivalente o indicatore generico di subordinazione = es. il paese che sono stato domenica scorsa si
chiama Villafranca, il che ha il compito di introdurre una relativa, ma si ritrova a introdurre tutti i gradi di
subordinazione.

Morfologia
- Pronome: in italiano i pronomi sono tanti e difficili si tende quindi a semplificarli;
o il ci (particella pronominale di prima pers. pl.) utilizzato come clitico “tuttofare” e dativo generalizzato
(es. dico che è brutto emigrare; c’era la sentinella, io ci metto uno spintone);
- Verbo: molti verbi presentano delle forme irregolari;
o ricorrenza a forme analogiche = vada, venghino, stassi, potiamo, faciuto, ecc., forme irregolari che
vengono ricostruite come se fossero regolari, per analogia (ricostruzione analogica);
o scambi ausiliari = dal verbo essere al verbo avere;
- Nome: è sempre legato a un articolo, e possono essere devianti per quanto riguarda la forma (singolari
femminili in e invece che a…);
o Regolarizzazione dell’articolo = estensione di il in luogo di lo, e l’estensione di i in luogo di gli;
o Estensione analogica delle desinenze più regolari dei nomi = le cimice, l’uniforma, la moglia.

Grafia
- Solitamente i suoni dialettali vengono riprodotti nello scritto = Antonio > Andonio, mangiare > manciare;
- Resa dei suoni grafici intensi = non vengono percepiti i suoni intensi delle consonanti quindi non le mette o le
mette a caso (ipercorrettismo)  per un semicolto di area piemontese non metterà le doppie, al contrario del
sardo dove tutti i suoni consonantici vengono prodotti con intensità, avrà quindi il problema contrario (inserire
le doppie d’dappertutto);
- Uso casuale delle maiuscole = il parlante di italiano popolare non sa che i nomi propri si scrivono con la
maiuscola, o che solo loro si scrivono con la maiuscola. Spesso scrivono nomi comuni con la maiuscola, questo
si chiama uso reverenziale, lo fanno per dare un’importanza al nome, si vuole marcare un nome (nomi di
parentela, nomi per riferirsi alle persone amate);
- Mancata percezione dei confini delle parole = soprattutto in costrutti che prevedono l’elisione dell’articolo
davanti al nome;
o Univerbazione = prevede la scrittura di due parole distinte come se fossero una parola sola (es.
lamico, apposto), concrezione dell’articolo o preposizione;
o Segmentazione impropria = una parola viene spezzata in due (es. con toni, di spetto), discrezione del
(presunto) articolo e della (presunta) preposizione;
- Ortografia = problemi con l’h etimologica perché è muta, lo stesso vale per la q che ha la stessa pronuncia della
c di cuore, si ha poi i problemi con i digrammi (cielo) e i trigrammi (moglie);
- Semplificazione dei nessi consonantici = difficoltà nella produzione orale di alcuni suoni vicini, proprio > propio;
- Punteggiatura e altri segni interpuntivi = non si sa quando usare i segni di punteggiatura, non possiede delle
regole molto chiare, sono poche le regole precise.

Fonetica
- Fenomeni marcatamente regionali = tendenza a utilizzare suoni tipici del dialetto retrostante;
- Epentesi = difficoltà ad articolare certi suoni consonantici complessi (ps, tm  pissicologo, aritemetica), viene
inserita una vocale, chiamata eufonica tra le due consonati per semplificarne la pronuncia;
- Assimilazione = uno dei due suoni consonantici viene assorbito dall’altro (arimmetica);
- Frequenti errori nell’accentazione = molte parole della lingua non vengono pronunciate nella maniera corretta,
questo avviene solitamente con parole polisillabiche e con parole che non vengono utilizzati di frequente.

Lessico
- Malapropismi (deriva da un personaggio di una commedia inglese) = un vocabolo che sostituisce un altro
vocabolo e che determina un risultato spesso quasi comico, la sostituzione avviene tra una parola con un’altra
non per il significato, ma per la somiglianza nei suoni, si sostituisce una parola non nota con una più comune;
- Storpiature = è una deformazione di una parola solitamente per uno scambio/attribuzione di prefissi o suffissi
non corretti;

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- Burocratismi, cultismi, tecnicismi, espressioni stereotipate da scuola, mass-media, ecc. = il parlante dell’italiano
popolare cerca di camuffare la propria ignoranza utilizzando delle parole che vengono ritenute da lui più
difficili (la lingua del burocratese  stile comunicativo inutilmente difficile utilizzato dai burocrati, lingua pieno
di tecnicismi e arcaismi).

ESISTONO ANCORA PARLANTI DI ITALIANO POPOLARE?

Anche se oggi non sussistono più le condizioni individuale che permettano di sostenere l’esistenza dell’italiano
popolare, tuttavia l’italiano popolare continua a esserci. Non è più una lingua parlata da analfabeti o esclusivi
dialettofoni, ma sono persone che hanno studiato, che parlano o scrivono una lingua simile a quella dei dialettofoni di
ieri. Non si può più definire nella stessa maniera di un tempo, perché le persone oggi sono mediamente istruite, a parte
quel 3% in Italia non esistono più esclusivamente dialettofoni. Si parla quindi di neo-italiano popolare, “nuovo italiano
popolare”, che rappresenta le stesse caratteristiche dell’italiano popolare. Non è una lingua nemmeno così rara, Paolo
d’Achille sostiene che sia a oggi una nuova varietà d’italiano, che viene utilizzata da giovani e da meno giovani. E una
lingua prodotta attraverso l’oralità, ma che oggi si ritrova anche nella scrittura, soprattutto digitata (su Facebook si
trovano costantemente degli ipotesti).

Le ragioni per cui esista ancora questa varietà sono due ordini di fattori:
 Problemi socio-culturali = la scuola negli ultimi decenni ha perso il proprio prestigio anche nell’insegnamento
della lingua, il problema parte dalla politica, dal mancato finanziamento nella scuola in generale. Il problema è
collegato a un dato sociale, le famiglie ripongono oggi meno considerazione nella scuola come istituzione
culturale primaria ed essenziale, sono cambiati i modelli culturali di riferimento (letteratura, si legge meno
letteratura, si naviga di più), i modelli culturali di riferimento dei giovani sono cambiati influenzando i modelli
linguistici. Scarsa attenzione rivolta alla parola, si reputa meno basilare;
 Problemi linguistici = il parlare e scrivere bene è una competenza che viene considerata subordinata ad altri
ricorsi comunicativi, o modalità attraverso le quali si appare (modo di vestirsi…). Inoltre a incidere sulle
conoscenze linguistiche non sono più i modelli di lingua come la letteratura ecc. ma sono testi prodotti da altri
mezzi (televisione). Infine si riflette una scarsa riflessione sulla lingua, oggi appare mediamente ridotta la
capacità di riflettere su una parola della nostra lingua, o sul registro da utilizzare della nostra lingua.

Il neo-italiano popolare è la manifestazione linguistica concreta dell’analfabetismo funzionale, situazione largamente


diffusa nel nostro Paese e non solo.

Analfabetismo funzionale = incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni
della vita quotidiana. Si traduce nell’incapacità di comprendere, analizzare le situazioni che ci capitano nella
quotidianità.

Esistono numerosi studi che dimostrano che oggi si legge meno di un tempo, costante impoverimento, calo, nella
lettura individuale. Oltre il 50% dei minori non ha letto un solo libro nell’ultimo anno. È possibile riconoscere un effetto
di familiarità nella lettura, se all’interno di un nucleo famigliare se un genitore legge il ragazzo è più tendente alla
lettura.

LA VARIAZIONE DIAFASICA
La diafasia si manifesta attraverso le diverse situazioni comunicative, individua una serie di varietà di lingua in base alla
situazione comunicativa.

Situazione comunicativa = è l’insieme di circostanze, concrete e astratte, in cui avviene un evento di comunicazione
linguistica. È data quindi da un contesto, da un argomento di discussione e anche da una modalità comunicativa.

Fattori che determinano il modo in cui parliamo, o la influenzano, al variare di questi fenomeni varia anche la maniera
in cui la lingua viene impiegata, tre categorie extralinguistiche ma che agiscono direttamente sulla lingua:
 Campo
 Tenore
 Luogo

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Il campo è il tipo di attività che viene svolto nella situazione comunicativa (es. due chiacchere al bar, chattare con il
fidanzato, lezione universitaria)  modalità che richiedono diverse soluzioni sul piano linguistico. Rientra nel campo
anche l’argomento del discorso, ciò di cui si parla.

Il tenore, o tono, è il tipo di rapporto tra gli interlocutori in una interazione, o situazione, comunicativa; rapporto di
confidenza (amicizia), e dei ruoli sociali reciproci che vengono assunti (docente, studente).

Il modo ovvero il mezzo o canale fisico, fisico-ambientale attraverso il quale passa la comunicazione (diamesia, interna a
ciascuna delle altre), canal orale o scritto.

Due diverse categorie di sottocodici, dipendenti da questi fattori:


- I registri
- Le lingue speciali

I registri dipendono dal tenore, quindi dai ruoli reciproci che vengono svolti dagli interlocutori in una situazione
comunicativa e dal loro rapporto. I registri sono le diverse manifestazioni di una lingua che uno stesso parlante utilizza
al variare del proprio interlocutore, utilizzare un registro alto e formale (con un superiore, in università) o basso e
colloquiale (con amici). Il registro alto e formale (polo alto) si accavallerà con l’italiano scritto-scritto (della grammatica).
I registri alti-formali sono caratterizzati dalla iper-articolazione cioè dall’esplicitazione fonetica del parlato di tutti i
passaggi, che si traduce in una lentezza dei discorsi, si tende dare il grado massimo di esplicitazione della lingua (dei
suoni). Sul piano lessicale i registri alti-formali si caratterizzano per un lessico più ampio e ricco, ciò significa parole di
uso non quotidiano, più complicato, cultismi, in aggiunta varianti di parole arcaizzanti, che rimandano al passato (ove,
giacché, rammentare), nella grafia manifestano una maggiore cura, uso di accenti circonflessi (principî), uso dell’accento
per differenziare gli omografi, parole che si scrivono nello stesso modo.

Al contrario i registri basso-colloquiali corrispondono con il parlato-parlato. Minima esplicitazione sintattica. Dal punto
di vista lessicale si caratterizzano per un vocabolario più povero, basato sui termini che vengono alla mente, termini
quotidiani e genericismi. Sul piano orale si caratterizzano per una maggiore velocità dell’eloquio, che porta a una
ipoarticolazione, minore esplicità dei suoni, il nostro parlato risulterà quindi scarso dal piano fonetico. Errata percezione
di chi sa parlare velocemente sa parlare bene.

Il campo identifica le lingue speciali, sono un risultato della variazione diafasica in rapporto al fattore del campo.
L’attività che si svolge nell’azione e l’argomento. Vengono usate parole specifiche per parlare in maniera precisa di
determinati argomenti (tecnicismi).

LA VARIAZIONE DIATOPICA
È la variazione all’interno dello spazio, area geografica. Lo spazio determina la differenziazione di una lingua all’interno
di un territorio, e la variazione è tanto maggiore quanto più il territorio è esteso (es. l’India), e di solito l’incidenza della
diatopia è minore se il territorio è limitato. In Italia nonostante un’estensione non eccessiva del territorio la variazione
linguistica è marcata, più che in altri Paesi dell’Europa. Questo fenomeno legato al fatto che l’italiano si sia diffuso
storicamente in ritardo, al contrario in altri Paesi le lingue nazionali (francese, tedesco e spagnolo) si sono diffuse
precocemente e in maniera uniforme e unitaria, in Italia questo non è avvenuto. Anche la presenza dei dialetti ha
contribuito a questa estesa variazione dell’italiano, i dialetti sono state le uniche lingue parlate nelle diverse regioni per
secoli. L’italiano che si parla in Piemonte presenta molti elementi e tratti presi dal dialetto, lo stesso principio vale per le
altre regioni italiane. Questa situazione non si ritrova in nessun altro Paese europeo.

In Italia manca una vera e propria varietà standard orale. Le varietà di italiano parlato nelle diverse regioni prendono il
nome di “italiani regionali”. L’italiano regionale è «quella varietà di italiano usata in una determinata area, che denota
sistematicamente, ai diversi livelli di analisi, caratteristiche in grado di differenziarla sia dalle varietà usate in altre zone
sia anche dal cosiddetto italiano standard» (D’Achille).

Nel polo alto troviamo l’italiano standard, privo di qualsiasi inflessione, e nel polo basso troviamo l’italiano regionale più
marcato. La variazione diatopica, le variazioni di italiano nei territori seguono il principio del continuum, sfumano le une
nelle altre. Ma lo sono anche perché non esiste una grammatica delle varie varietà regionali, hanno maggiore libertà di
movimento. Possono variare con facilità nel corso del tempo. L’italiano regionale è l’italiano che si parla tutti i giorni, è

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una variazione principalmente orale, ma capita di trovarlo anche nella scrittura meno sorvegliata (es. italiano digitato).
Nel ‘900 si è fatto largo la tendenza nella letteratura di riprodurre per iscritto l’italiano parlato dalle persone locali (es.
Verga, Cesare Pavese).

Riproduzione dell’italiano regionale in letteratura:


 Cesare Pavese lo fa per il piemontese in maniera consapevole con esiti artistici di altissimo livello, la lingua è
sottoposta a rielaborazione stilistica;
 Alessandro Baricco = nei suoi romanzi si possono trovare tratti regionali piemontesi inseriti in maniera non
consapevole.

L’italiano regionale nasce nel momento in cui l’italiano arriva nelle varie regioni come se fosse piovuto dall’alto, e dove
le persone parlavano già una loro lingua che non hanno abbandonato per l’italiano.

Tratti lessicali regionali torinesi/piemontesi:


 Regionalismi lessicali = avere un figlio > comprare, guadagnare > grilletto, marinare la scuola > tagliare, venire
> diventare, gomma da masticare > cicles, scemo > cottolengo, bambino > gagno, schiaffo > lordone, figuraccia
> tampa;
 Polirematiche = avere la mano, dare dei nomi, fare amico, fare conto, tenere da conto, trovare da dire, ecc.;
 Enunciati = o basta là, sì che so, ecc.

Morfosintassi
 Avverbi e sintagmi avverbiali = solo più, già;
 Verbi pronominali = osarsi;
 Verbi sintagmatici = rimanere lì;
 Altre perifrasi = fare che + infinito;
 La particella neh = indicatore di domanda orientata o di domande-coda;
 Profrase è (terza pers. sing. del verbo essere) = elemento del discorso, una sola parola, che ha la funzione di
un’intera frase.

Ogni grande centro all’interno della stessa regione presenta dei tratti leggermente diversi, presentano tratti simili e
condivisi e altri propri dell’area, ciascun’area presenta delle differenze perché derivano dai dialetti locali, per questo
qualche linguista ha proposto la denominazione di “italiani locali”. L’aggettivo “regionale” va inteso come “relativo a
una regione che rappresenta tratti affini”.

Possiamo dividere le varietà di italiano regionale in alcune macroaree, all’interno delle aree troviamo molte altre
varietà, e alcune varietà sono considerate più autorevoli di altre (varietà settentrionale è considerata più prestigiosa):
 Area settentrionale
 Area toscana
 Area centrale e romana
 Area meridionale
 Area meridionale estrema
 Area sarda

AREA SETTENTRIONALE

Al di sopra della linea La Spezia-Rimini.

Fonetica
- Scarsa sensibilità alla distinzione tra timbro aperto e chiuso di e e o;
- Maggiori difficoltà nella realizzazione di consonanti forti, soggette a semplificazione: [‘gato], [‘fano], [ka’valo];
- Pronuncia sistematicamente sonora della s intervocalica: [‘kaza], [‘koza].

Morfosintattico
- Passato prossimo preferito al passato remoto;
- Impiego dell’articolo determinativo davanti a nome proprio: la Francesca;
- Formazione della frase negativa con mica: ti ho sentito, mica sono sordo.

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AREA TOSCANA

Fonetica
- La gorgia;
- Mantenimento delle aperture e chiusure vocaliche: [‘pɛska] > [‘peska], [‘bɔtte] > [‘botte];
- Realizzazione fricativa delle affricate palatali [tʃ] e [dʒ];
- Monottongamento di /wɔ/;
- Epitesi dopo consonante finale: barre, busse.

Morfosintassi
- Passato prossimo preferito al passato remoto;
- Sistema tripartito dei deittici (questo, quello, codesto);
- Preferenza per la forma impersonale rispetto alla prima pers. pl.: si va;
- Anteposizione obbligatoria dell’articolo al pronome possessivo: la mia mamma.

AREA CENTRALE E ROMANA

Fonetica
- Affricamento di [s] preceduto da l e n: [‘pɛntso], [‘poltso];
- Rafforzamento di [b] e [g] intervocaliche: [‘rɔbba], [‘adʒʒile];
- [s] intervocalica sempre sorda: [‘vi:zo] > [‘vi:so];
- Rotacizzazione di [l] davanti a consonante: [ar’tsare], [ar’kilo];
- Scempiamento di r intensa: [‘gwerra] > [‘gwera].

Morfologia
- stare per essere;
- stare + a + infinito: lo stammo a menà, valore di simultaneità;
- che enfatico interrogativo: che, vieni al cinema?;
- Accentazione rizotonica nella prima pers. pl. del presente indicativo: famo, dimo;
- Uso di mia, tua, sua con sostantivi maschili pl.: sono fatti mia!.

AREA ALTA-MERIDIONALE

Area molto variegata dal punto di vista dell’italiano regionale. Alcuni fenomeni riguardano solo alcune parti.

Fonetica
- Arretramento degli accenti nei dittonghi, l’accento cadrà quindi sulle semivocali, fenomeno non condiviso
dall’area centro meridionale: [‘pjɛde] > [‘piede];
- Sonorizzazione consonanti occlusive dopo le nasali: [‘kampo] > [‘kambo];
- Sonorizzazione di [ts] dopo [l] > [dz]: [al’tsare] > [al’dzare];
- Vocale atona indistinta finale, la ǝ: [‘finǝ], [‘panǝ].

Morfosintassi
- Accusativo preposizionale, esigenza di distinguere due sostantivi che possono essere entrambi soggetto: ho
visto a Davide;
- Verbi intransitivi usati come transitivi: scendere, salire, uscire, tornare, ecc.;
- Utilizzo di esserci anziché fare in costrutti metereologici: c’è caldo.

AREA MERIDIONALE ESTREMA

Fonetica
- Apertura generalizzata delle vocali [e] e [o]: [‘sɔle], [‘pɛra];
- Assenza di [e] e [o] a fine parola, vocalismo atono a tre unità;
- Pronuncia retroflessa dei nessi dei nessi tr, dr, ll.

Morfosintassi
- Collocazione del verbo a fine frase: io sono!;

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- Futuro epistemico espresso da dovere + infinito: a luglio mi devo laureare.
- Preferenza del passato remoto rispetto al passato prossimo: chi bussò alla porta?.

AREA SARDA

Fonetica
- Tendenza alla iatizzazione, passaggio da un dittongo a due vocali: pi.e.no, fi.u.me, bu.o.no;
- Rafforzamento consonantico iniziale e interno.

Morfosintassi
- Accusativo preposizionale;
- Iterazione espressiva dell’aggettivo, duplicazione dell’aggettivo: diventa rosso rosso; va svelto svelto;
- Omissione dell’articolo determinativo con agg. possessivo + nomi di parentela: telefono a miei fratelli; la casa
di tuoi figli;
- Posposizione del verbo nelle interrogative e nelle risposte: - il giornale vuoi? – il giornale voglio;
- Uso di volere come ausiliare per indicare necessità o dovere: la macchina vuole pagata, questo vuole fatto.

Le varietà regionali si differenziano tra di loro anche sul piano lessicale, si usano delle parole presenti solamente in una
regione o in un territorio circoscritto. Tratti lessicali presenti nelle diverse regioni. Una parola di uso regionale è detta
regionalismo, è una parola che può passare all’italiano (nazionale), e viene utilizzata nell’italiano regionale di una
specifica area.

Geosinonimi = sono dei regionalismi che nelle diverse parti del nostro territorio designano uno stesso referente, come i
sinonimi. A differenza dei sinonimi tradizionali hanno una diffusione areale limitata.

Geomonimo = stesse parole che nelle diverse regioni hanno significati diversi, es. cicca in piemontese significa
mozzicone di sigaretta, in lombardo significa gomma da masticare.

Non tutti i regionalismi sono geosinonimi o geomonimi, es. dehors è un regionalismo piemontese che non trova un suo
corrispondente nelle altre regioni (es. pizza, bagna cauda, gondola, panettone).

Robert Ruegg nel corso degli anni ’50 per la sua tesi di dottorato intervistò circa 200 persone in tutte le regioni italiane
chiedendole come chiamano 242 cose o nozioni della vita quotidiana, es. caffè che si prende al bar, tutti hanno risposto
espresso (unica parola uguale).

Da quel momento sono fioriti gli studi sui geosinonimi. Prima classificazione fatta da De Felice basata sul criterio del
“rango” o della forza espansiva.
 Geosinonimi di rango nazionale, che hanno un’area di diffusione panitaliana;
 Geosinonimi di rango regionale, che, adattati ai paradigmi fonomorfologici dell’italiano non raggiungono una
diffusione nazionale:
o Parole sovraregionali: stracco > stanco, abbuffarsi > mangiare smodatamente, faticare > lavorare;
o Parole propriamente regionali: bagnetto > salsa, brocco > scarso, incapace, caciara > frastuono,
caruso > ragazzo, conca > testa;
 Geosinonimi di rango dialettale, con estensione d’uso e di notorietà locali: piola > osteria, ramazza > scopa,
babbiare > scherzare.

Successivamente fu fatta una seconda classificazione basata sul criterio del raffronto con il toscano da parte di Sobrero
nel 1988.
 Geosinonimi toscani forti, con buona capacità espansiva nel resto d’Italia;
 Geosinonimi non toscani forti, concorrenziali rispetto ai tipi toscani corrispondenti: insipido, insulso vs tosc.
sciocco > privo di sale;
 Geosinonimi che coesistono alla pari, ognuno in un proprio àmbito geografico: il tosc. babbo e il sett. papà e il
tosc. ciotola vs il sett. scodella vs il merid. tazza;
 Geosinonimi deboli, assorbiti dal tosc.: il veneto santolo, il merid. compare, il sardo nonno, rispetto a padrino.

Alcuni geosinonimi assumono anche un certo prestigio.


 Il prestigio culturale o economico: formaggio, panetteria, ecc.;

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 Il prestigio “nascosto” (ingl. covert prestige) e il medium giornalistico-televisivo-cinematografico: inciucio,
monnezza, pennica bella, scialla, tardona, patacca, una cifra, ecc.;
 Geosinonimi locali e regionalismi «alimentari»: gondola, catasto, pizza, panettone, grissini, ecc.

VARIETÀ GERGALI
Il gergo è una varietà di lingua (o dialetto) dotata di un lessico specifico utilizzato da particolari gruppi di persone, in
determinate situazioni, per non rendere trasparente la comunicazione agli estranei e sottolineare l’appartenenza al
gruppo.

Il gergo è una lingua parassitaria e artificiale, di conseguenza criptica (è un codice segreto). Es. “usare l’amaro con
zaraffo per improsare il vincenzo” gergo della malavita italiana. La sintassi è italiana, come la morfologia, il lessico è
italiano (gaggio = figo, spaccone  deriva dalla lingua degli zingari). Non si può dare un significato a questo testo
perché le parole hanno acquisito un significato particolare. Il nome troppo diffuso nel gergo sta a indicare una persona
non troppo interessante e quindi lo sciocco e stupido che viene fregato (es. Vincenzo, Gino).

Oggi viene definito gergo i linguaggi settoriali (es. teatro, giornalismo, medico). Però parlando di gergo in senso stretto
queste lingue non possono essere definite con il termine di gerghi. Manca la segretezza del gergo.

Esistono delle varietà intermedie che sono definite transitorie, e sono il linguaggio di caserma e il linguaggio giovanile.
Sono distinti dal gergo in senso stretto perché sono varietà recenti (il gergo in senso stretto esiste sin dalla nascita della
nostra lingua), e a volte non presentano la cripticità, tuttavia presentano delle caratteristiche molto simili perché i
giovani sono gruppi sociali che condividono gli stessi spazi dei gerganti (esclusi). Questo contatto fa sì che i giovani
entrino in contatto con il gergo, i giovani prendono le parole del gergo che riescono a comprendere, le assorbono, e le
fanno proprie utilizzandole per esprimersi quando si trovano in gruppo.

La caserma è stata un ambito sociale determinante perché tutti i giovani di sesso maschile hanno trascorso almeno un
anno della loro vita all’interno della caserma, hanno condiviso quindi con le stesse persone uno spazio dove gli adulti
(generali) davano ordini, elaborarono un nuovo modo di parlare per non essere compresi dai superiori (es. in Piemonte
 battere la fiacca, marcare visita, lavativo, imbranata, sbobba, sfottere, cicchetto, cazziare).

Transitori perché sono destinati a passare, che un individuo utilizza solamente in un momento passeggero della propria
vita.

I gerganti sono degli emarginati sociali che campano di espedienti, e che spesso vivono al confine tra la legalità e
illegalità. Bisogna pensare alla marginalità del passato. Oggi questa marginalità è drasticamente ridotta perché il
controllo sociale è molto più esteso (es. furbo, dritto e furfante sono tutti termini gergali  sono caratterizzati da suoni
consonantici duri). Il gergo nelle diverse lingue del mondo dà vita a parole che presentano la stessa sequenza di suoni. Il
gergo come lingua del complesso gruppo sociale marginale.

È una varietà che nasce parallelamente alla lingua, i primi esempi appartengono ad alcuni dei testi più antichi della
nostra tradizione. Proverbia  primo testo misogino. Per non essere troppo espliciti vengono utilizzate parole di gergo.
Cecco Angiolieri nelle sue poesie utilizza termini gergali. La lettera di Luigi Pulci a Lorenzo il Magnifico dovevano
organizzare delle feste frequentate da prostitute, però non potevano parlarne esplicitamente. Il periodo di maggiore
espansione del gergo a livello europeo è il XVI secolo. In Spagna nasce il genere letterario della picaresca. In Italia si
trovano esempi di gergo in Pulci e nella commedia di Ariosto e Ruzante. I primi studi vengono iniziati da Ascoli. È difficile
entrare a contatto con i gerganti.

Oggi il gergo è molto meno diffuso, poiché è molto meno diffusa la marginalità. Non è sparito del tutto, diffuso di più
nelle città che nelle campagne e di più al nord rispetto che al sud. Sopravvivono principalmente nelle attività illecite e
nella criminalità organizzata (mafia, camorra)  pizzini.

Il gergo trasforma anche la grafia, il codice di San Luca n’è un esempio, il quale è stato decriptato dagli investigatori.
Oggi utilizzano codici e sistemi molto più complessi.

Il gergo sopravvive anche nel sottoproletariato delle città. Nella letteratura esistono casi in cui vengono descritti i luoghi
gergali (Pier Paolo Pasolini).

Cohen uno dei primi studianti del gergo: «Il gergo utilizza la grammatica e la fonetica della lingua o del dialetto locale
(“lingua ospite”), e vi innesta un proprio lessico, largamente comune in tutta l’Italia e in parte anche comune agli altri
gerghi europei».

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Rilessicalizzazione = è un procedimento che riguarda la forma delle parole, si compone di una serie di procedimenti che
modificano le parole. Deformazione mediante suffisso o prefisso (allungamento di parole); troncamenti (accorciando le
parole); inversioni sillabiche (riocontra = utilizzato nel nome dei rapper); inserzione di sillabe con f (alfabeto farfallino).

Parafonia: utilizzo di parole simili in sostituzione di termini diretti, il no espresso con forme tipo nisba, nicolò, lo stesso
vale per l’affermazione siena, cortesia. Marchese per definire il ciclo mestruale.

Risemantizzazione = attribuire a parole esistenti un nuovo significato.

Quando la parola di gergo viene conosciuta al di fuori del gruppo, il gruppo l’abbandona.

LE VARIETÀ GIOVANILI
I giovani sono una fascia considerevole, molto diversi tra loro in un dato momento (vi sono giovani di 15 anni, di 25
anni, ecc.), e diversi nel corso del tempo (i giovani degli anni ’70 sono diversi da quelli di oggi). Un tempo venivano
considerati giovani solamente i ragazzi di 15 anni, il limite superiore dei 18 individuava un giovane che doveva sposarsi.
Per questo non esiste solamente un linguaggio giovanile ma una serie numerosa di linguaggi giovanili diversi.

Il linguaggio del giovane nasce quando questi cominciano a comporre i primi gruppi giovanili, cioè a partire dagli anni
’50, i giovani cominciano a riconoscersi in determinate forme di cultura (es. musica, abbigliamento). Questi giovani
iniziano a diffondersi dagli Stati Uniti che portarono alla produzione di modelli culturali, diventano una fascia isolabile
dalle altre (non esisteva prima). La cultura giovanile nacque in America negli anni ’50 ed entrò nella storia con il
desiderio di libertà, anche grazie al rock (i desideri di libertà e di esigenza erano marcati da personaggi come Elvis).

Mutamento della famiglia = con l’urbanizzazione si è passato da una famiglia patriarcale a una famiglia nucleare  vi è
un ritardo nell’età della riproduzione. La fascia giovanile subisce positivamente un effetto di cambiamento.

Le varietà giovanili risultano marcate in tutti i parametri. Il linguaggio giovanile è attraversato da numerose fasi, e
presenta delle differenze dal punto di vista diacronico, non sono nate tutte nello stesso momento. Le varietà giovanili si
sono sviluppate prima in alcuni territori e successivamente in altre più tardi.

Piano diatopico
Non tutti sono nati nello stesso momento in Italia. Già a partire dalla metà degli anni ’50 vi sono i primi gruppi giovanili
che hanno elaborato un loro linguaggio giovanile (Torino e Milano), i giovani hanno maggiore disponibilità di tempo
libero e possono ritagliarsi degli spazi esterni a quelli della casa.

Al nord i giovani smettono di parlare dialetto, l’italianizzazione al nord d’Italia riguarda anche i giovani, nel momento in
cui ai giovani viene a mancare il dialetto si rende necessaria una lingua nuova. Bisogna lavorare sull’italiano per far sì
che si ottenga una varietà diversa da quella standard e in questo modo alla lunga nascono le prime forme di linguaggio
giovanile. I giovani imparano a giocare con la lingua dai gerganti perché condividono con loro spazi comuni.

Piano diastratico
È una varietà solo di alcuni gruppi sociali, l’italiano giovanile è di tipo sub-standard ma a differenza di altre varietà
questo abbassamento è dovuto dal fatto che gli stessi giovani vogliano un linguaggio più basso, standard.

Piano diafasico
Non è la lingua che i giovani usano sempre ma è uno stile che i giovani decidono di utilizzare solo in casi specifici.

Piano diamesico
Fino a qualche anno fa gli studi rilevavano come il linguaggio giovanile fosse esclusivamente orale ma oggi non è più
così, perché alcune caratteristiche del linguaggio giovanile sono anche scritte, è una varietà limitata a situazioni
informali, di gruppo.

Letteratura generazionale
Negli anni ’70 prende forma la prima letteratura generazionale e giovanile (narrativa, romanzi, racconti scritti da autori
giovani  vengono privilegiati perché raccontano storie giovanili, il pubblico è desideroso di conoscere le vicende.

Le varietà dei giovani possono essere definite come varietà di lingua usata nelle relazioni di gruppo dei pari, da
adolescenti, e post-adolescenti, costituita da particolarità lessicali e fraseologiche. Il linguaggio giovanile che viene
usato all’interno del gruppo giovanile è caratterizzato da espressioni, modi di dire, dall’intonazione (caratteristica
fonetica, es. il corsivo). Inoltre altri elementi sono la trascuratezza della frase, la presenza della gestualità (i giovani
hanno dei gesti che possono isolarli in una particolare fascia generazionale).

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Tutto ciò è accompagnato da altre modalità internazionali specifiche legate ai modelli del gruppo (modo di vestire,
piercing, tatuaggi). Da sempre i giovani sono avanti in fatto di moda e quasi da sempre i gruppi giovanili elaborano degli
stili.

Sfere di riferimento più sensibili


- La scuola = è il primo ambiente in cui si formano i gruppi giovanili;
- La musica
- La droga = gergo “droghese”, il consumo di droga diventa quasi esclusivamente dei giovani;
- La sfera privata e il sesso
- La letteratura
- La caserma = il gergo di caserma è una varietà che rientra nel linguaggio giovanile, utilizzato all’interno del
gruppo;
- La politica = la politica è argomento fondamentale, soprattutto dei gruppi di sinistra e della destra
parlamentare;
- Lo sport = che mette in comune ragazzi e ragazze;
- I mass-media = parlato dei problemi dei giovani per la prima volta, la radio come primo strumento mediatico
che si occupa dei giovani.

Funzioni del linguaggio giovanile


 Funzione sociale = il linguaggio giovanile è un collante sociale che consente ai membri del gruppo di definirsi,
una varietà che indica un gruppo o più gruppi;
 Funzione espressiva = il linguaggio giovanile è più espressivo rispetto a quello standard, si cerca un linguaggio
più espressivo;
 Funzione ludica = è una lingua con la quale si scherza, è una lingua per volersi bene, ma anche per volersi male,
deve essere però ricordata come lingua per giocare e per ottenere u linguaggio nuovo;
 Funzione di opposizione = è stata definita come anti-lingua, l’italiano giovanile si oppone all’italiano standard;
 Funzione criptica = fondamentale nel gergo, questo è l’ambito in cui il linguaggio giovanile si distingue dal
gergo, i giovani elaborano il proprio modello non per non farsi capire, ma piuttosto è una conseguenza.

Il linguaggio giovanile si tratta della varietà diastratica più influente sull’italiano. Genera anche innovazioni che ricadono
spesso sull’italiano di tutti i giorni, utilizzato anche da chi giovane non è.

Fasi
- La prima metà del Novecento
- 1954-1968
- 1968-1977
- Il post ‘77
- Gli anni Ottanta
- Gli anni Novanta
- Gli anni Zero
- Gli ultimi anni

Alle origini del giovanilese (1954-1968) = si diffonde a Milano: i montenapi (ragazzi di Via Monte Napoleone 
caratterizzati dalla r ovulare, a livello morfologico erano presenti gli accrescitivi in -one o in -super come iperbole) e le
varietà snob (abbreviazioni, lessico metaforico, si utilizzano per la prima volta parole come bikini, blue-jeans. Presente
anche qualche traccia di turpiloquio. Milano, anni Cinquanta, giovani benestanti. Modello scritto che non ha diffusione
a livello nazionale e che quindi non influenza altre varietà. Modello comunicativo elitario. Può essere definito un
fenomeno propedeutico precursore alla nascita del vero linguaggio giovanile. Gergalizzazione che non si diffonde a
livello nazionale. Nessun riscontro sui mass-media. Tracce del linguaggio giovanile si ritrovano anche in alcuni scritti
letterari, in alcuni romanzi di ambientazione milanese, come ad esempio Tirar mattina di Umberto Simonetta e in Il
ballo dei sapienti di Maria Corti.

Il 1968 e dintorni = un linguaggio che ha una connotazione meno appariscente dal punto di vista della creatività dei
giovani. Si allontana dalla caratterizzazione peculiare per avvicinarsi alla politica  anti-lingua. È un linguaggio che
deriva dalla maggiore partecipazione dei giovani alla vita culturale e sociale. Ci sono varietà indipendenti su scala
nazionale. Compaiono per la prima volta testi come i volantini che prima stavano solo nelle fabbriche.

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Il post ’77 = il “riflusso”, il linguaggio giovanile torna a essere una varietà particolarmente originale, caratterizzata da
inventiva e da alcune esigenze comunicative specifiche. Le radio libere vivono il loro momento di massima popolarità,
sono strumento per diffondere le richieste e la lingua dei giovani.
 La letteratura giovanile nasce grazie a una serie di autori giovani che scrivono storie di giovani o sulla
condizione giovanile. Sono opere rivolte ai giovani, si forma un gruppo di lettori giovani. Presenza per la prima
volta del linguaggio giovanile nella letteratura. Traduzione di alcuni romanzi fondamentali per i giovani (J.D.
Salinger The Catcher in the Rye e A. Burgess A clockwork orange). Poi ci sono le opere generazionali italiane
(Rocco e Antonia, Porci con le ali (1976)  diario sessuo-politico di due adolescenti. Enrico Palandri, Boccalone
(1979) e P. V. Tondelli, Altri libertini (1980)  caratterizzato da alcune peculiarità linguistiche e anche
letterarie). Gli Ottanta e Novanta sono i più ricchi per la letteratura giovanile. La letteratura generazionale si
banalizza.
- Tabù linguistico = proibizione di nominare determinate cose ritenute pericolose o per sacralità. Le parole
devono essere quindi sostituite con altre parole che non ricordino quella determinata cosa (eufemismi). Il tabù
è presente in tutte le culture, ma possono presentarsi in maniera differente (es. bagno  toilette, WC). Per
superare l’interdizione si ricorre a gesti o attraverso dei sostituti, gli eufemismi (termini generici, cultismi,
alterazione di parole, metafore, forestierismi…). Esiste un confine che separa ciò che si può dire da quello che
non si può dire. Fino a dopo il ’68 il confine del dicibile è spostata verso il non dicibile. Negli anni successivi il
confine del dicibile viene spostato soprattutto in ambito sessuale.

Gli anni Ottanta = rappresentato a livello simbolico con i paninari, nascono nella “Milano da bere”. Nasce un gergo
giovanile che si diffonde per la prima volta a livello nazionale, dovuta particolarmente ai mass-media.

Gli anni Novanta = caratterizzati dall’espansione del linguaggio giovanile verso i centri più piccoli, e sembra spostarsi
verso il sud, non così evidente. Il linguaggio giovanile diventa una varietà nazionale. cominciano a svilupparsi le prime
indagini sul linguaggio giovanile.

Gli anni Zero = con il nuovo millennio si assiste a una nuova fase generazionale, il linguaggio giovanile è una varietà che
si modifica e aggiorna molto velocemente, incessante processo di ricambio lessicale. Gli anni in cui l’innovazione
lessicale ha una diffusione virale tramite i social network. Crescita di parole con forte carattere emotivo.

Oggi = oggi attraversa una fase nuova, forse una prima fase di crisi. Ci sono dati extralinguistici che hanno determinato
dei cambiamenti. L’aggregazione si sposta dalla strada ai social. Sono sempre meno le novità lessicali rispetto alle
generazioni precedenti. Ciò che molti giovani percepiscono come nuovo in realtà sono elementi linguistici usati da
decenni. Anglofilia dilagante. Sempre meno utilizzato il dialetto, pressoché scomparso nelle grandi città, presente
invece nelle periferie e nelle provincie dove il dialetto è molto vivo. Nascono i tormentoni come parole e/o espressioni
che nascono in particolare dalla televisione. Novità di tipo diamesico, il linguaggio giovanile passa attraverso la scrittura
digitata dei social (dal parlato allo scritto), questo negli anni Zero, ora si osserva un processo inverso, dallo scritto al
parlato.

Aspetti linguistici
Il linguaggio giovanile è “multistrato”:
 Strato dialettale = fatto ricorso al dialetto, anche da dialetti non del proprio dialetto;
 Strato costituito dagli apporti delle lingue straniere = anglicismo, più delle altre lingue, sia attraverso il canale
digitale, sia con i pseudoanglicismi (es. bomber);
 Strato costituito dal gergo e dalle lingue speciali = il linguaggio giovanile assorbe il linguaggio del gergo, anche
dalle lingue speciali;
 Strato dei mezzi di comunicazione di massa = radio, cinema, serie tv, la canzone;
 Strato gergale tradizionale = insieme di parole create dai giovani che si sono mantenute nel corso degli anni;
 Strato gergale ‘innovante’ ed effimero = quelle parole ed espressioni elaborate dai giovani utilizzate per un
periodo e poi vengono abbandonate.

Le parole vengono prese da una lingua già esistente e vengono modificate:


 Metafore
 Metonimie
 Iperbole
 Ellissi
 Scorciamenti
 Antonomasia

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 Sigle

È una lingua che oggi rappresenta un repertorio linguistico essenziale. È una lingua per il gruppo, non controllata,
colorata ed esagerata. È una anti-lingua, e una lingua che fa crescere anche l’italiano.

LE SORTI DELL’ITALIANO
Secondo alcuni non linguisti l’italiano è a rischio perché si ritrova in una tempesta linguistica, però questo dato non è
preoccupante, la tempesta permetta a una lingua di elevarsi e modificarsi, è un problema apparente. La nostra lingua
non sta male, chi non sta bene è chi la parla. L’italiano è una lingua viva, ma ancora molto legata alla tradizione. Rimane
ancora oggi una delle lingue più studiate al mondo (problemi apparenti).

Esistono anche dei problemi reali: secondo delle indagini di De Mauro l’Italia rimane ai primi posti per livello di
istruzione primaria, ma la cosa cambia con l’istruzione secondaria. L’Italia è uno dei Paesi con il più alto rischio di
analfabetismo funzionale (non in grado di comprendere testi molto semplice).

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