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L’Età del Mondo nella Postilla di Cristoforo Colombo annotata nella Historia
Rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)."
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CUCCARO 2009
Con il contributo di:
Copyright © 2009 Centro Studi Colombiani Monferrini. Vietata la riproduzione, anche parziale.
ATTI
del
II
Congresso Internazionale Colombiano
“Cristoforo Colombo
dal Monferrato alla Liguria
e alla Penisola Iberica”
Nuove ricerche e documenti inediti
a cura di
Giorgio Casartelli Colombo di Cuccaro, Peter J. Mazzoglio,
Gianfranco Ribaldone, Carlo Tibaldeschi
ORGANIGRAMMA DEL CONGRESSO
COMITATO SCIENTIFICO
– Amb. Ludovico INCISA di CAMERANA, Università di Pavia e Commissione Scientifica del
Comitato Nazionale per le Celebrazioni di Cristoforo Colombo
– Prof. Giorgio LOMBARDI, Università di Torino
– Prof. Gian Savino PENE VIDARI, Università di Torino
– Prof. Isidoro SOFFIETTI, Università di Torino
– Prof. Enrico GENTA TERNAVASIO, Università di Torino
– Prof.ssa Elisa MONGIANO, Università del Piemonte Orientale
– Prof.ssa Angelica VALENTINETTI, Università di Siviglia
– Avv. Giorgio CASARTELLI COLOMBO di CUCCARO, Presidente CE.S.CO.M. e Commissione
Organizzativa del Comitato Nazionale per le Celebrazioni di Cristoforo Colombo
ORGANIZZAZIONE
– Associazione CE.S.CO.M. CENTRO STUDI COLOMBIANI MONFERRINI
Con la collaborazione del
– CENTRO STUDI E RICERCHE STORICHE - O.N.L.U.S.
Con il patrocinio di
– COMITATO NAZIONALE PER LE CELEBRAZIONI DI CRISTOFORO COLOMBO
– REGIONE PIEMONTE
– PROVINCIA DI ALESSANDRIA
– ASOCIACION DE HIDALGOS A FUERO DE ESPAÑA JUNTA DE ITALIA
Con il contributo di
– COMITATO NAZIONALE PER LE CELEBRAZIONI DI CRISTOFORO COLOMBO
– PRESIDENZA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL PIEMONTE
– ASSESSORATO ALLA CULTURA DELLA REGIONE PIEMONTE
– PROVINCIA DI ALESSANDRIA
– COMUNE DI CUCCARO MONFERRATO
– FONDAZIONE CRT CASSA DI RISPARMIO DI TORINO
– MARCHIO CITTADINI DELL’ORDINE
– ASSOCIAZIONE IMMAGINE PER IL PIEMONTE
– GRUPPO CROCE BIANCA
E la collaborazione di
– PROMOTUR VIAGGI E CONGRESSI
COMITATO ORGANIZZATORE
– Avv. Giorgio CASARTELLI COLOMBO di CUCCARO, Presidente del CE.S.CO.M. CENTRO STUDI
COLOMBIANI MONFERRINI e componente della COMMISSIONE ORGANIZZATIVA DEL
COMITATO NAZIONALE PER LE CELEBRAZIONI di CRISTOFORO COLOMBO
– Sig. Pier Giuseppe BRUSASCO, Sindaco di CUCCARO MONFERRATO
– Prof. Peter MAZZOGLIO, Presidente del CENTRO STUDI E RICERCHE STORICHE O.N.L.U.S.
V
VI
DOMENICA 18 giugno 2006 con il contributo di:
Rievocazione storica della visita effettuata a Cuccaro nel 1671 da MARCHIO CITTADINI DELL’ORDINE con il Patrocinio di:
Don Pedro COLON de PORTUGAL Duca di VERAGUA, ad COMITATO NAZIONALE PER LE CELEBRAZIONI DI CRISTOFORO
opera del Gruppo Storico di QUARGNENTO. ASSOCIAZIONE IMMAGINE PER IL PIEMONTE COLOMBO
Cerimonia di inaugurazione alla presenza delle Autorità e visita
guidata del Museo per le Autorità, con inaugurazione della mostra GRUPPO CROCE BIANCA REGIONE PIEMONTE-PROVINCIA DI ALESSANDRIA
di opere d’arte ispirate alla vita e alle imprese di Cristoforo
Colombo. e la collaborazione di COMUNE DI CUCCARO MONFERRATO
Presidente Amb. Ludovico INCISA di CAMERANA, Università di Prof.ssa Carmen RADULET, Università della Tuscia, Cristoforo ORE 12,30 pausa
Pavia, Commissione Scientifica del Comitato Nazionale per le Colombo navigatore e i suoi rapporti con la comunità italiana
Celebrazioni di Cristoforo Colombo residente in Portogallo.
ORE 14,30
Avv. Giorgio CASARTELLI COLOMBO di CUCCARO, Presidente Intervallo
CE.S.CO.M., Commissione Organizzativa del Comitato Nazionale Presidente Prof. Giorgio LOMBARDI, Università di Torino,
per le Celebrazioni di Cristoforo Colombo, Introduzione del Prof. Joseph A. LEVI, Rhode Island College, L’età del mondo nella Conclusioni.
Convegno. postilla di Cristoforo Colombo annotata nella Historia rerum di Enea
Silvio Piccolomini. Prof. Carlo TIBALDESCHI, Università di Pavia, Il processo del
Dott. Peter John MAZZOGLIO, Presidente Centro Studi e Ricerche maggiorasco: le ragioni genealogiche di Baldassarre Colombo di
Storiche Onlus, Le ricerche colombiane in Portogallo. Prof.ssa Maria de DEUS BEITES MANSO, Università di Evora, Cuccaro attraverso le testimonianze di personaggi del Basso
Cristoforo Colombo nella storiografia portoghese. Monferrato.
Prof.ssa Gabriella AIRALDI, Università di Genova, Commissione
Scientifica del Comitato Nazionale per le Celebrazioni di Cristoforo Dott. Josè Manuel da COSTA RODRIGUES GARCIA, Archivio Prof. Gian Luigi RAPETTI BOVIO della TORRE, Cenni storici sulla
Colombo. Colombo, l’uomo dei genovesi. Nazionale Torre do Tombo di Lisbona, Sull’incontro fra Colombo e famiglia Della Porta e sui testimoni della causa del maggiorasco
don Giovanni II: origine e divergenza di due strategie. appartenenti a famiglie dell’Alto Monferrato.
Prof.ssa Simonetta CONTI, Seconda Università di Napoli,
Commissione Scientifica del Comitato Nazionale per le Celebrazioni ORE 18,00 fine lavori Avv. Giorgio CASARTELLI COLOMBO di CUCCARO, Centro
di Cristoforo Colombo, La cartografia dell’America dal 1492 a metà Studi Colombiani Monferrini CE.S.CO.M., I rapporti e le parentele
del XVI secolo. SABATO 17 giugno 2006 genovesi di Cristoforo Colombo e dei Colombo di Cuccaro.
Intervallo
Presidente Prof.ssa Angelica VALENTINETTI, Università di Siviglia Torino – Palazzo Lascaris Consiglio Regionale del Piemonte Intervallo
Via Alfieri n. 15
Prof. Gianfranco RIBALDONE, Traccia biografica su Cristoforo Dott. Gabriele REINA, Rimembranze Colombine a Milano e in
ORE 9,00 Lombardia.
Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni per tracciare
un discrimen tra congettura e certezza. Presidente Prof. Gian Savino PENE VIDARI, Università di Torino
Prof.ssa Orsolamalia BIANDRÀ di REAGLIE, Università di Torino,
Dott. Riccardo MUSSO, Archivio Generale del Comune di Albenga, Prof. Gianfranco RIBALDONE, La famiglia Colombo di Cuccaro: Feudi colombiani in Lombardia all’epoca della dominazione
Savona ai tempi di Cristoforo Colombo. dentro il cuore di una storia paleologa. straniera.
Andrea LERCARI, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Le famiglie Prof.ssa Anunciada COLON de CARVAJAL, Fondazione MAPFRE Prof. Roberto COALOA, Giornalista Il Sole 24 ORE e Storico, La
storiche di Genova nella società ligure del XV secolo. TAVERA-Madrid, Las finanzas de Cristobal Colon. storiografia del secolo XIX sulla questione colombiana. Nuovi
contributi.
Prof. Enrico BASSO, Università di Torino, Uno spazio, che si Dott. Fabio CASSANI PIRONTI, Ministero degli Affari Esteri del
restringe: i problemi della navigazione mediterranea in età Venezuela La successione ereditaria attraverso gli agnati, nel diritto Avv. Alfonso MARINI DETTINA, Dottore in diritto Canonico,
colombiana tra pirateria, corsa e “minaccia turca”. nobiliare spagnolo; riferimenti nel testamento di Cristoforo Colombo. Suppliche per la Beatificazione di Cristoforo Colombo.
VII
PRESENTAZIONE
Sono lieto di presentare, agli studiosi e a tutti i lettori e gli appassionati, il volume degli Atti del
II Congresso Internazionale Colombiano “Cristoforo Colombo dal Monferrato alla Liguria e alla
Penisola Iberica” – Nuove ricerche e documenti inediti – svoltosi nella nostra sede di Palazzo Lascaris
il 16 e il 17 giugno del 2006.
I lavori si sono sviluppati nella sala Viglione e hanno visto la partecipazione di un pubblico
numeroso ed attento.
Innanzitutto desidero sottolineare la collaborazione tra le istituzioni, anche universitarie, che, a
seguito della spinta dei Consiglieri Regionali di area alessandrina, hanno contribuito alla realizzazione
della iniziativa, sotto l’egida del Comitato Nazionale per le Celebrazioni di Cristoforo Colombo, in
occasione del 5° centenario della morte del Grande Navigatore.
Va evidenziata altresì l’importanza scientifica del Convegno, che ha visto la partecipazione di
numerosi e importanti studiosi, anche universitari, italiani, spagnoli, portoghesi e americani, tra cui la
Prof.ssa Doña Anunciada Colon de Carvajal, docente universitaria e discendente diretta
dell’Ammiraglio, che hanno fatto conoscere le nuove ricerche colombiane, svolte negli ultimi anni
negli Archivi italiani e stranieri.
I ricercatori hanno fatto emergere una nuova ipotesi che ha destato interesse: l’origine monferrina
della famiglia di Cristoforo Colombo.
Viene quindi naturale paragonare le scoperte scientifiche dell’Ammiraglio all’approccio
scientifico delle affermazioni storiche, espresse nel Congresso, basate sui documenti inediti, pubblicati
dagli studiosi intervenuti.
Inoltre va sottolineata l’importanza dello studio della storia del nostro territorio, non allo scopo
di appropriarcene in modo sterile, ma per approfondirla sempre più e divulgarla.
Così, anche ispirandoci alla determinazione di una “grande” personalità come Cristoforo
Colombo, impareremo a essere orgogliosi della storia del nostro Piemonte.
Davide Gariglio
Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte
IX
PREFAZIONE
XI
Avv. G. Casartelli Colombo - V. Presidente Cons. Reg. Piemonte R. Placido
Sindaco P.G. Brusasco - Dott. P.J. Mazzoglio
XII
SALUTI DELLE AUTORITÀ
Nella seduta di apertura del Congresso, tenutasi a Torino il 16 giugno 2006 presso Palazzo
Lascaris, sede del Consiglio Regionale del Piemonte il dott. Roberto Placido, Vice Presidente del
Consiglio Regionale del Piemonte ha porto il benvenuto a tutti i relatori ed ospiti del Convegno e alle
Autorità presenti e comunicato i saluti del Presidente del Consiglio Regionale Avv. Davide Gariglio.
Il Dott. Placido ha sottolineato l’importanza delle manifestazioni colombiane, celebrate in occasione
della ricorrenza del quinto centenario della morte dell’Ammiraglio, tra le quali sono inserite il presente
Congresso e l’inaugurazione a Cuccaro del Museo intitolato a Cristoforo Colombo. Il Vice Presidente
del Consiglio ha inoltre evidenziato che, in questa occasione, è sfatato il detto secondo cui “nessuno
è profeta in patria”, perché invece nel Convegno vengono sottolineati i natali cuccaresi della famiglia
di Cristoforo Colombo, tema del resto molto importante, quale è la ricerca delle radici delle famiglie
italiane, e in particolare piemontesi, popolo di navigatori ed emigranti.
Ha poi preso la parola il sig. Pier Giuseppe Brusasco Sindaco di Cuccaro Monferrato, che ha
ringraziato la Regione Piemonte e il Comitato Nazionale per le Celebrazioni di Cristoforo Colombo
per l’appoggio accordato al piccolo Comune di Cuccaro Monferrato, che conta soltanto
trecentosessanta abitanti, per l’organizzazione del Congresso e la fondazione a Cuccaro del Museo
dedicato al Grande Navigatore.
Dopo aver ringraziato tutti i relatori per la loro presenza e in particolare gli ospiti spagnoli e
portoghesi, il Sindaco ha riconosciuto che l’intervento del Comune si è limitato alla ricerca dei
finanziamenti e ha quindi espresso la sua gratitudine al Centro Studi Colombiani Monferrini
CE.S.CO.M e al suo Presidente Avv. Giorgio Casartelli Colombo di Cuccaro, vero artefice delle
iniziative e promotore delle ricerche, che da anni sono svolte da numerosi e capaci studiosi.
È poi intervenuto l’Avv. Giorgio Casartelli Colombo di Cuccaro, Presidente del Centro Studi
Colombiani Monferrini CE.S.CO.M. e componente del Comitato Nazionale per le Celebrazioni di
Cristoforo Colombo, che ha espresso i più vivi ringraziamenti alla Regione Piemonte, al Consiglio
Regionale del Piemonte, alla Provincia di Alessandria e al Comune di Cuccaro Monferrato, per
l’appoggio e l’aiuto anche economico accordato all’iniziativa.
Il Presidente del CE.S.CO.M. ha inoltre riferito al Congresso il messaggio di saluto inviato da
S.A.S. il Principe Maurizio Gonzaga di Vescovato, Capo della Casa dei duchi di Mantova e Monferrato
che purtroppo non è potuto intervenire al Congresso, e ha formulato a nome del CE.S.CO.M. i saluti
e auguri più sinceri per la buona riuscita del Convegno, anticipando i saluti del Comitato Nazionale
per le Celebrazioni di Cristoforo Colombo, che sono stati ripetuti personalmente, nel corso della
giornata successiva, dal Segretario Generale del Comitato Avv. Mario Falciatore.
L’Avv. Giorgio Casartelli Colombo di Cuccaro ha infine ringraziato tutti i presenti, in particolare
Doña Anunciada Colon de Carvajal, diretta discendente dell’Ammiraglio, accompagnata dal consorte,
nonché D. João Luis e D. Margarida Perestrello, discendenti della famiglia della moglie di Cristoforo
Colombo, che sono intervenuti accompagnati rispettivamente dalla figlia e dal marito.
Infine hanno preso la parola il Prof. Massimo Carcione, dell’Università del Piemonte Orientale,
che ha portato i saluti della Provincia di Alessandria e il dott. Giampiero Leo, già Assessore alla Cultura
della Regione Piemonte che ha ricordato l’appoggio alle manifestazioni colombiane accordato dalla
Regione anche nella passata legislatura.
La seconda giornata del Congresso è stata aperta dal saluto rivolto ai congressisti dall’Avv.
Davide Gariglio Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte, che ha sottolineato l’importanza
scientifica del convegno.
XIII
AVV. MARIO FALCIATORE1
Segretario Generale del Comitato Nazionale per le Celebrazioni di Cristoforo Colombo
Ho voluto essere presente per ovviamente portare il saluto del Comitato Nazionale per le
Celebrazioni di Cristoforo Colombo e del suo presidente, l’Onorevole Claudio Scajola, ma anche per
testimoniare il compiacimento per le passione, la cura, la professionalità con cui da anni il Centro
Studi Colombiani Monferrini si impegna nello studio della figura e delle opere dell’Ammiraglio
dell’Oceano. Per questo a suo tempo il Comitato Nazionale ha accolto la richiesta del CE.S.CO.M. di
entrare a far parte della sua Commissione Organizzativa. In effetti gli scopi del CE.S.CO.M. sono gli
stessi del Comitato Nazionale, celebrare Colombo, favorire gli studi sulla sua complessa e, per molti
versi, ancora oscura vicenda umana. Celebrare Colombo, perché? Perché al di là delle questioni
scientifiche, delle diatribe ancora in corso, come del resto avete potuto notare anche in questi giorni
di lavoro, Colombo fu un grande marinaio, un grande italiano, e compì un’impresa che ha cambiato
il corso della storia dando inizio all’Era Moderna. So bene che anche su queste affermazioni c’è chi
avanza dei dubbi, per quanto mi riguarda queste affermazioni, sulle basi di studi seri e ampiamente
condivisi, non mi pare possano oggi essere più messi in discussione.
E allora si comprende perché il governo italiano, con ritardo, con notevole ritardo rispetto ad altri
paesi, la giornata del 12 ottobre l’ha dedicata a Cristoforo Colombo ed è diventata la Giornata
Nazionale Cristoforo Colombo. E si capisce perché sempre il Governo ha istituito il Comitato
Nazionale di cui io sono Segretario. Il nostro Paese deve essere orgoglioso di questo suo illustre figlio,
tenendone viva la memoria, certamente con manifestazioni celebrative ma anche diffondendone la
conoscenza specie tra le nuove generazioni. Conoscere Colombo, favorirne gli studi: su questo fronte
le iniziative promosse dal Comitato sono state numerose: dai convegni, come questo, alle mostre, alle
pubblicazioni. Ho letto gli atti del I Congresso Internazionale proposto dal CE.S.CO.M. e il libro di
Canepa pubblicato nel ’92, “L’altro Colombo”. Non sono uno storico e lungi da me la tentazione di
avventurarmi su percorsi che la mia formazione non mi consentirebbero neanche di cominciare. Posso
soltanto con tranquillità affermare che gli studi del CE.S.CO.M. trattano la storia di Colombo con
passione certamente, ma anche con grande rispetto. Quando è così, in una materia in cui ci sono ancora
grandi lacune e molti margini di approssimazione, ben vengano questi momenti di riflessione, ed è dal
confronto che ci si avvicina con gradualità al cuore della storia. Abbiamo avuto un Convegno
Internazionale a Genova, molto importante, con la partecipazione di illustri studiosi italiani, portoghesi
e spagnoli. Purtroppo, l’impostazione molto seria del Convegno ha avuto uno strascico sulla stampa,
perché la stampa, purtroppo, su Colombo ha l’abitudine di interessarsene soltanto per farne degli
scoop, dalla ricerca del DNA agli atti del processo di cui ha parlato la professoressa Consuelo Varela,
per cui l’immagine di Colombo viene spesso proiettata in maniera negativa e non rispettosa di quello
che questa figura, quest’uomo, questo vanto dell’umanità, tutto sommato merita. E allora posso dire
che queste occasioni di confronto, di dialogo, fatte con serietà certamente hanno un loro valore, e lo
hanno ancora di più se il confronto poi porta a delle conclusioni, altrimenti ognuno rimane sulle sue
posizioni, ognuno rivendica un pezzetto di Colombo o un qualcosa della storia di Colombo e poi alla
fine Colombo viene riportato agli onori della cronaca soltanto per aspetti immaginari e non
scientificamente provati. Io ringrazio l’avvocato Casartelli per il lavoro che ha fatto di organizzazione
e per la passione di tutti i suoi collaboratori del Centro degli Studi Monferrini, ringrazio la Regione
che ha ospitato questa importante sessione di lavori e porgo di nuovo il saluto a tutti voi, augurando
un buon proseguimento.
1
Nell’agosto del 2008, l’Avv. Mario Falciatore è purtroppo mancato ai vivi; con l’autorizzazione della vedova si procede
alla pubblicazione della registrazione del Suo intervento, pronunciato al Congresso sabato 17 giugno 2006.
XV
PETER JOHN MAZZOGLIO1, Presidente Centro Studi e Ricerche Storiche Onlus
1
Centro Studi e Ricerche Storiche Onlus, www.storia.suinternet.it
2
P. PERAGALLO, Disquisizioni colombine. La nuova scuola spagnola anticolombina, Lisbona, 1893. P. PERAGALLO,
L’autenticità delle historie di Fernando Colombo e le critiche del signor Enrico Harrisse, con ampli frammenti del testo
spagnuolo di D. Fernando, Genova, R. Istituto Sordo-Muti, 1884. P. PERAGALLO, Cristoforo Colombo e la sua famiglia.
Rivista generale degli errori del sig. R. Harrisse, Lisbona, 1888. P. PERAGALLO, Epoca dell’arrivo di Colombo in
Portogallo. La sfera di Dante de Rinaldi e il sig. Harrisse, Lisbona, 1894. P. PERAGALLO, Cenni intorno alla colonia
italiana in Portogallo nei secoli XIV, XV e XVI, Torino, 1904.
3
F. COLOMBO, Historie della vita e dei fatti dell’Ammiraglio don Cristoforo Colombo, traduzione di A. Ulloa, Venezia,
Lovisa, 1728.
4
B. DE LAS CASAS, História de las Indias, Madrid, Ginesta, 1875-76.
5
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1535.
6
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Mondo - Cristoforo Colombo 5 secoli dopo, Genova, 2007.
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209-228.
I. LUZZANA CARACI, Columbus and the Portuguese Voyages in the Columbian Sources, RUC, Coimbra, BGUC, 1988,
XXXIV, 561-570.
1
Peter John Mazzoglio
Quali sono le cause di una tale lacuna? Le spiegazioni più correnti sono due: la teoria del sigillo
e il terremoto del 1755. Con la teoria del sigillo di stato, di moda fino a metà del secolo passato, alcuni
studiosi giustificavano l’assenza dei documenti relativi a determinati momenti chiave della storia delle
scoperte geografiche portoghesi e dell’espansione7. Con la distruzione di Lisbona – che nel 1755 fu
colpita da un terremoto molto violento, seguito da un maremoto apocalittico e dall’incendio che ha
cancellato il resto della città, inclusi gli archivi della corona e quelli che conservavano la
documentazione relativa all’espansione portoghese8 – viene ugualmente giustificata l’assenza di
documentazione su episodi importanti della storia del Portogallo.
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7
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Geografica Italiana», s. XI, VII (4-6) (1990), Roma, 181-198.
8
C.M. RADULET e A. VICINI MISTRANGELI, Lisboa antes do Terramoto de 1755 no Imaginário Europeu. Lisboa, Chaves
Ferreira, 2003.
2
Le ricerche colombiane in Portogallo
Per ciò che concerne quest’ultimo aspetto, quasi tutta la storia documentaria delle scoperte
portoghesi fu spazzata via in un attimo a causa della distruzione di alcuni degli archivi più importanti,
come quello della Casa da Guinè e da India e della Casa do Risco (l’istituzione che gestiva la
costruzione navale). Rimasero gli archivi di città non toccate dal cataclisma e archivi privati dislocati
in località all’interno del Portogallo, ma si trattava di ben poco in confronto a quanto perduto.
Chi, negli anni, si è cimentato in ricerche colombiane in Portogallo9, ha potuto soltanto
raccogliere notizie provenienti dagli studi storici dell’epoca, o testimonianze custodite altrove:
corrispondenze con corti e famiglie italiane, relazioni di diplomatici stranieri in Portogallo, notizie di
viaggiatori e commercianti.
9
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L’Ouest Pendant le XV Siécle, Coimbra, França Amado, 1913.
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4
Le ricerche colombiane in Portogallo
fonti archivistiche e degli studi realizzati non soltanto da ricercatori portoghesi, ma di tutte le
nazionalità.
Malgrado lo sforzo di recuperare e rendere accessibili le fonti documentarie conservate negli
archivi pubblici nessun documento di rilievo è stato trovato relativamente alla permanenza di Colombo
in Portogallo e ai suoi rapporti con la società, forse qualche documento inedito potrebbe o poteva
sorgere da uno dei numerosi archivi privati esistenti nel Paese e che solo in piccola parte sono stati
inventariati e studiati. Purtroppo, soprattutto negli ultimi decenni del secolo passato una parte
considerevole di questo patrimonio è stata dispersa attraverso aste e vendite a facoltosi acquirenti
stranieri (sovente si trattava di università americane). Un filone di ricerca potrebbe riguardare
l’identificazione e la collaborazione con questi acquirenti, perlomeno per l’inventariazione del
materiale ormai di loro proprietà. Mentre, va da sé che gli archivi privati ancora esistenti in Portogallo
sono assolutamente da privilegiare negli studi con il tentativo di rendere pubblico il materiale ivi
contenuto.
Merita un approfondimento lo studio delle famiglie liguri e dei loro archivi alla ricerca di missive
e documenti che possano testimoniare la presenza o fatti che riguardano il grande navigatore in
Portogallo. Ovviamente lo spoglio dei cartulari dei notai liguri del Quattrocento va proseguito con il
medesimo intento. Un altro filone di ricerca che mi sembra promettente, è rivolto alla documentazione
relativa all’attività di corsari al soldo degli Angiò, della Francia e del Portogallo negli anni 60, 70 e
80 del XV secolo e di cui rimando all’appendice. Infine, il grande argomento della comunità italiana
in terra lusitana, i suoi rapporti con la madre patria e con le istituzioni, con i personaggi e i connazionali
in Portogallo; si tratta di un argomento che conosce sviluppi notevoli in questi anni e che potrà fornire
documenti interessanti anche per chiarire l’ambiente in cui si mosse Cristoforo Colombo in anni
preparatori per il suo grande progetto.
Ringraziamenti
Sono infinitamente debitore nei confronti della compianta Carmen Radulet per le preziose
informazioni fornitemi e la rilettura critica del manoscritto, nonché per gli spunti e i suggerimenti che
hanno arricchito e integrato il testo ed elevato il rigore sostanziale dei contenuti e delle citazioni
bibliografiche. La sua prematura scomparsa ha gettato nella costernazione tutti quanti l’avessero
conosciuta ed apprezzata dal punto di vista storico, ma soprattutto umano. Devo ringraziare Gianfranco
Ribaldone per l’assistenza nell’interpretazione di documenti in lingua latina, di cui non sono un degno
cultore, e per il continuo supporto, con segnalazioni e ragionamenti sulle questioni che gli proponevo.
Un ringraziamento particolare a Joseph Levi per la bibliografia procuratami e lo sprone perpetuo
all’impegno serio e dotto e a Oscar Antonucci per l’aiuto insostituibile nella creazione della mappa che
illustra il testo.
5
Peter John Mazzoglio
APPENDICE:
“Cronologia della documentazione sui corsari Colombo e vicende correlate”
10
LAS CASAS, História de las Indias.
11
G. RIBALDONE, Palabra maravillosa. La vita di Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492. Una riflessione sui documenti,
Cuccaro, CE.S.CO.M., 20052, pp. 81, 84.
12
P. ANSELME DE SAINTE MARIE, Histoire généalogique et chronologique &c. continué par Du Fourny, 1773.
13
J.J. EXPILLY, Dictionnaire géographique, historique et politique des Gaules et de France, Paris, 1862, I, Amirauté, p. 163.
14
ANSELME, Histoire généalogique, VII, p. 856. H. HARRISSE, Les Colombo de France et d’Italie, fameux marins du XVe
siècle, Paris, Tross, 1874, p. 72.
15
HARRISSE, Les Colombo, p. 10. C. DE LA RONCIÈRE, Histoire de la marine française, Paris, Plon-Nourrit et Cie, 1914, p. 334.
16
HARRISSE, Les Colombo, doc. I.
17
F.A. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo e i corsari Colombo suoi contemporanei, in Raccolta di documenti e studi
pubblicati dalla R. Commissione Colombiana, Roma, 1894, p. 157.
18
HARRISSE, Les Colombo, docc. II e XXV.
19
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 59.
20
RONCIÈRE, Histoire.
21
A. DE PALENCIA (Palentini Alfonsi), Gesta hispaniensia ex annalibus suorum dierum colligentibus decades. Ms. Biblioteca
Nazionale di Spagna, Madrid.
22
ANSELME, Histoire généalogique.
23
HARRISSE, Les Colombo.
6
Le ricerche colombiane in Portogallo
1468 Avvengono attacchi corsari portoghesi alla costa andalusa e negli anni seguenti
anche alla costa catalana24.
Fin da quest’anno il re di Portogallo, Alfonso V, aveva imposto un «fuoco di
sbarramento» contro gli Andalusi, i principali avversari nei mari africani. Corsari,
pirati e pescatori potevano attaccare qualsiasi naviglio andaluso25.
1469 Fernando, fratello di Alfonso V, comanda una spedizione ad Anafé (Casablanca)26 e
diverse altre armate fino a quest’anno. Aveva iniziato la sua attività corsara nel
Mediterraneo nel 1454. Morì nel settembre 147027.
In quest’anno spira un accordo del Portogallo con la Bretagna, ma già in precedenza
avvenivano conflitti e azioni di corsa e pirateria fra le reciproche navi. Dal 1448 al
1476 si succedettero vari accordi fra le corti bretone e portoghese senza molti effetti
pratici28.
1469 GEN-FEB Pero de Ataíde, nobile (fidalgo da casa real), corsaro almeno da quest’anno, cattura
una nave bretone, per la quale il duca di Bretagna reclama l’indennizzo di 2000
réis29.
1469 MAR 15 Viene scritta una lettera da parte degli anziani di Genova e del vicegovernatore di
Milano a Genova, Corrado di Fogliano, al re di Francia per danni arrecati ai genovesi
Teramo Centurione e Iacopo Cattaneo a causa del sequestro delle merci presenti
sulle navi veneziane assalite nel mar d’Inghilterra dal corsaro «Columbus»30
(Casenove secondo Harrisse31). Nel mare d’Inghilterra Colombo aveva attaccato,
con otto navi sotto bandiera francese, tre navi commerciali veneziane, catturandone
una (la Miane di Alvise Miani)32, perché Venezia viene considerata nemica della
Francia per essersi alleata con il duca di Borgogna in una lega antifrancese33.
L’attacco deve risalire a febbraio o a fine gennaio34.
1469 MAG 18 Viene scritta una lettera di lagnanza da parte del senato veneto al re di Francia per
lo stesso attacco alla nave veneziana presa «ab Columbo viceadmirante» suddito di
sua maestà35 (Casenove secondo Gomes Pedrosa36).
1469 GIU Il corsaro Colombo sta minacciando la costa nord del Portogallo37.
La città di Oporto manda una caravella ad avvisare le navi che stanno in Irlanda per
cautelarsi contro corsari francesi38.
1469 LUG 20 Il senato veneziano viene avvisato dal console a Londra, e da molte lettere di
mercanti veneziani a Bruges e Londra, che «Columbum pyratam», con otto navi e
24
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário.
25
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 23.
26
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 76.
27
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 674.
28
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 21.
29
J. VERISSIMO SERRÃO, Relações diplomáticas entre Portugal e a França (1430-1481), Paris, 1975a, p. 69. GOMES
PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 650.
30
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. I, p. 158. H. VIGNAUD, Études critiques sur la vie de Colomb avant ses découvertes,
Paris, H. Welther, 1905, p. 141.
31
HARRISSE, Les Colombo.
32
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. I.
33
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. I, p. 159.
34
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 65.
35
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. II, p. 158.
36
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 667.
37
A.J. DIAS DINIS, Dois embaixadores de El-Rei D. Afonso V, «Itinerarium», Buenos Aires, 1955. GOMES PEDROSA,
Cristóvão Colombo corsário, p. 77.
38
A. CRUZ, O Porto nas navegações e na expansão, Lisboa, Ministério da Educação, Instituto de Cultura e Língua
Portuguesa, 1983, p. 81. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 75.
7
Peter John Mazzoglio
baleniere, incrocia nel canale di Fiandra in attesa di galere e navi veneziane. Il fatto
deve risalire a giugno39. Venezia informa i suoi consoli di Londra e Bruges di
mettersi a disposizione del capitano delle galere di Fiandra e di scortare le navi
venete in quelle acque40.
1469 AGO 30 La camera di Oporto dà istruzioni ai suoi procuratori presso il re «di porre rimedio
al caso delle navi prese da Inglesi, Bretoni e Galleghi, o si dichiara guerra o si fa la
pace con Inglesi e Bretoni, mentre per i Galleghi il re non dà alcuna assicurazione»41.
1469 SET 9 Viene scritta una lettera da parte dell’ambasciatore di Milano a Bruges, Luchino
della Chiesa, al duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, «Colombo, homo de guerra
del signor re di Franza per mare, se trova en lo canale de Inghilterra, e là aspetta le
gallee veneziane, ma dubito non gli poterà nuocere, perché hano con loro IIII nave».
Il fatto deve risalire a fine agosto o agli inizi di settembre42 (secondo Gomes Pedrosa
si tratterebbe di Colombo il Vecchio43).
Luigi XI prepara un’armata contro gli inglesi senza Casenove che sta in Portogallo44.
1469 OTT 8 Nella città di Oporto si è organizzata un’armata contro il corsaro francese «Collom».
Il fatto risalirebbe a giugno-luglio45. Una seconda armata sarebbe di ottobre,
novembre o dicembre e si riesce a catturare una delle navi di Colombo46. Una nota
di Vasco de Ataíde, priore del Crato, sulle spese della Casa Reale: Dom Alfonso V
inviò altre armate contro «Coulão» al costo di 10.000 doppie47. A comandare la flotta
era il conestabile infante Don Fernando48.
1469 OTT 23 Arriva a Venezia la notizia che «Columbus pyrata francese» (Colombo il Vecchio
secondo Gomes Pedrosa49) ha attaccato, con otto navi, quattro navi commerciali
veneziane in acque portoghesi. Ne prende una (la nave Coppe di Giuliano Coppo)
e trucida il patrono e maggior parte dell’equipaggio, tre navi sfuggono all’attacco
fingendosi genovesi. Il senato di Venezia protesta col re di Francia50. Il fatto
risalirebbe a inizio mese o a fine settembre51. Il danno subito sarebbe di 10.000 ducati
per l’attacco di inizio anno alla Miane e 30.000 per la Coppe52.
1469 NOV 18 Venezia scrive all’oratore presso la Santa Sede, Francesco Giustiniani, per
informarlo della cattura mesi fa di una nave (Miane) e della cattura recentemente
della nave Coppe e di avvisare il papa di tanta crudeltà verso uomini di uno stato che
solo fra i Cristiani combatte contro gli infedeli e subisce ingiurie peggiori da uomini
di un re che si definisce cristianissimo53.
39
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 77.
40
HARRISSE, Les Colombo, p. 78. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. IV, p.158. RONCIÈRE, Histoire, p. 337.
41
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 67.
42
HARRISSE, Les Colombo, p. 80. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. V.
43
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 78.
44
RONCIÈRE, Histoire, p. 337.
45
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 673.
46
A. DE MAGALHÃES BASTO, Livro antigo das cartas e provisões dos senhores reis D. Afonso V, D. João II e D. Manuel do
Aquivo Municipal do Porto, Porto, Camara Municipal, 1940, pp. 8-9. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 76.
47
R. DE PINA, Crónica de D. Afonso V, 1790, I, p. 520. A. CAETANO DE SOUSA, Provas da história genealógica da casa real
portuguesa, Coimbra, 1946-1954.
48
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 76.
49
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 68.
50
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. VI, p. 159.
51
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 78.
52
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. X.
53
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. VIII, p. 159.
8
Le ricerche colombiane in Portogallo
1469 DIC 4 Venezia invita il suo oratore presso il duca di Borgogna, Antonio Dandolo, a
informare il duca della cattura della nave Miane di Alvise Miani da parte di Colombo
e del fatto atroce della nave Coppe, e di come sia già stato inviato Antonio Donato
in qualità di oratore presso il re di Francia; segue una lettera del senato a Donato del
17 dicembre54.
Fine 1469 / Il corsaro Colombo attacca anche navi portoghesi e Alfonso V invia navi a caccia del
inizi 1470 corsaro55. Nei documenti Colombo è chiamato «Culam francês corsário»56.
1470 Alfonso V assolda il corsaro Colombo (Colombo il Vecchio secondo Gomes
Pedrosa57).
Il principe Giovanni di Portogallo all’età di 15 anni già governa «di fatto» i mari di
Guinea58.
1470 GEN-FEB Casenove sta organizzando la difesa navale della costa francese e partecipa poi a un
attacco contro l’Inghilterra59.
1470 APR Venezia richiama dalla Francia l’ambasciatore Antonio Donato, che non ha ottenuto
alcunché da Luigi XI per le navi assaltate60.
1470 MAG 17 Viene scritta una lettera da parte dell’ambasciatore veneziano in Francia per
informare il senato di Venezia che «Columbus pyrata» sta preparando una
spedizione contro navi commerciali veneziane (galere di Fiandra dei Veneziani). La
Repubblica di Venezia fa scortare le sue galere dalle navi Malipiera e Squarta e
invia lettere al capitano delle galere di Fiandra, Gabriele Trevisan, e ai consoli di
Londra e Bruges61.
1470 LUG 19 Il senato di Venezia riceve la notizia della cattura di una nave veneziana (la Mudacia
di Daniele Muazzo) in Galizia «prexa da alguni navilii armati» e della presenza in
quelle acque di numerose navi armate, sia sotto Colombo sia sotto quello portoghese
(corsaro), l’autore della cattura «dicese esser el corsaro portugalexe»62. Venezia
considera quelle acque pericolose per le sue galere di Fiandra, Barberia e Aigues
Mortes e scrive lettere per informare i suoi capitani di quei luoghi e il suo console
di Valencia affinché presti aiuto ai capitani63. Il fatto dovrebbe essere avvenuto in
giugno64. Sanudo specifica che l’attacco è avvenuto in Galizia65.
1470 OTT 31 Cristoforo Colombo, figlio del lanaiolo Domenico, figura essere presente a Genova66.
1470-1473 Tregua fra Venezia e Francia grazie all’attività dei diplomatici veneziani presso Luigi
XI, nell’ambito della trattativa di tregua fra Luigi XI e il duca di Borgogna67.
Colombo (Colombo il Vecchio secondo Gomes Pedrosa68) compie almeno quattro
54
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. IX e X, p. 159.
55
DIAS DINIS, Dois embaixadores. D. PERES, O livro de recebimentos de 1470 da chancelaria da Câmara, Lisboa, 1974,
pp. XV-XVI, 4-5.
56
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 76.
57
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 78.
58
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 108.
59
VIGNAUD, Études critiques, p. 142. RONCIÈRE, Histoire, p. 337.
60
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 159.
61
HARRISSE, Les Colombo, p. 80. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XII, p. 159.
62
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. XIII-XIV.
63
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XIV.
64
M. SANUDO, Cronaca Veneta (Vitae ducum), in Sumario de cronicha de Veniexia, cod. Marciano VII it., autografo, CXXV.
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 668
65
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XIII.
66
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 139. RIBALDONE, Palabra maravillosa, p. 83.
67
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XV, p. 160.
68
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 80.
9
Peter John Mazzoglio
missioni in Guinea (sotto il nome di Pero João Cullão)69 al costo di 22.000 doppie,
cifra ragguardevole rispetto ai soliti viaggi in Guinea70.
Cristoforo Colombo sarebbe lanaiolo e collaboratore del padre fra Genova e
Savona71.
1471 Il principe Giovanni di Portogallo inizia ad amministrare le tratte e le rendite della
Guinea72.
Il principe Giovanni di Portogallo prende parte alla spedizione paterna in Marocco
(conquista di Arzila e Tangeri), ove viene nominato governatore a 17 anni di età. Alla
spedizione partecipa Antonio Leme, fiammingo, che fece poi il navigatore, visse a
Madera e, secondo Bartolomeo de Las Casas, informò Cristoforo Colombo di un
viaggio che fece verso ponente durante il quale avvistò tre isole73. Gomes Pedrosa
ipotizza la partecipazione di Cristoforo Colombo alla presa di Arzila, citando
Fernando Colombo74, che descrive l’invio di Bartolomeo Colombo da parte di
Cristoforo nel 1502 per rendere omaggio al capitano di Arzila.
Luigi XI vieta ai mercanti veneziani di metter piede nel suo regno e di importare le
loro merci75.
1471 FEB Il corsaro Colombo (Guillaume de Casenove) sarebbe a corte in Francia o in
Normandia76.
1471 OTT 4 Il consiglio degli anziani di Genova e il vicegovernatore di Genova Giovanni
Pallavicino scrivono al duca di Milano in merito alla nave Negrona, diretta con merci
in Inghilterra, catturata da «Columbus normandus», suddito del re di Francia, per
chiedere di intercedere presso Luigi XI tramite l’oratore alla corte francese,
Alessandro Spinola, per la restituzione del maltolto. Il fatto avvenne in agosto 1471
nel mare d’Inghilterra77.
Il senato di Venezia manda un ambasciatore in Francia per chiedere salvacondotti
onde evitare gli attacchi di «Columbi pirata». Per due anni cessano gli attacchi78. Il
senato cita la Miane e la Coppe, ma non include il fatto della Mudacia (che era stata
assalita da un pirata portoghese).
1471 NOV 16 Viene scritta una lettera da parte del duca di Milano diretta agli anziani di Genova
e al vicegovernatore Giovanni Pallavicino sulla notizia di «Columbo» (Colombo il
Vecchio secondo Gomes Pedrosa79), «homo della maestà del re de Franza», che
sequestra una nave genovese, la «Negrona». Il duca di Milano scrive una lettera di
lagnanze al re di Francia e all’ammiraglio (Luigi di Borbone?) e allo Sforza di
Firenze e ottiene la restituzione della nave80.
69
J. FARO, Duas expedições à Guiné anteriormente a 1474 e custeados pela Fazenda de D. Afonso V, «Boletim cultural
da Guiné Portuguesa», 45 (1957), pp. 71 e segg. J. FARO, Receitas e despesas da Fazenda Real de 1384 a 1481 (subsidios
documentais), Lisboa, Instituto Nacional de Estatística, 1965, p. 55 e segg.
70
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 80.
71
RIBALDONE, Palabra maravillosa, pp. 81, 83, 84.
72
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 659.
73
G. DE RESENDE, Crónica de D. João II, 1545, cap. 181. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 38.
74
COLOMBO, Historie, p. 387. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 81.
75
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, pp. 159-160.
76
HARRISSE, Les Colombo, p. 15. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 160.
77
F. CICILIOT, M. MACCONI, Il quinto centenario della morte di Cristoforo Colombo, Atti e Memorie della Società Savonese
di Storia Patria, n.s. 43, 2007, p. 65-66.
78
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XV, p. 160.
79
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 72.
80
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XVI.
10
Le ricerche colombiane in Portogallo
1471 DIC 10 Alfonso V dichiara guerra all’Inghilterra per la cattura di 12 navi commerciali
portoghesi nella Manica, che tornavano dalle Fiandre, da parte del corsaro inglese
Phoccumbrix. Autorizza i suoi vascelli a esercitare rappresaglie81.
1472 MAR 20 Cristoforo Colombo, figlio del lanaiolo Domenico, figura essere presente a Savona82.
1472 GIU 20 Ferdinando d’Aragona lamenta attacchi di molti corsari portoghesi a navi commerciali
aragonesi senza giusta causa, perché Aragona e Portogallo sono in pace83.
1472 GIU-LUG Il corsaro Colombo (Coullon) (Casenove secondo Gomes Pedrosa84) è nel mare
d’Inghilterra e lotta contro gli Inglesi con 18 e 25 navi, rispettivamente in giugno e
in luglio85.
1472 LUG 27 Arriva una lettera da Londra al cardinale Bartolomeo Roverella, che la gira al duca
Ercole I d’Este, e che informa che «Colom» con 25 navi francesi è entrato nel mar
d’Inghilterra, si è sistemato alle Dune (rada sulla costa orientale del Kent, tra
Sandwich e Dover), blocca la Manica fra Sandwich e Calais e non lascia passare
alcuna nave senza averla controllata86.
Edoardo IV d’Inghilterra arma 20 navi che accompagna contro Colombo. Questi
fugge in Normandia perdendo soltanto una piccola nave con 140 uomini. In seguito
l’armata inglese intercetta pirati tedeschi (Sterlini) che avevano preso una nave di
Dover e li sbaragliano, catturando 10 loro navi e liberando quel tratto di mare da
questa minaccia che durava da lungo tempo87.
1472 AGO 26 Cristoforo Colombo, figlio del lanaiolo Domenico, figura essere presente a Savona88.
1472/73 Periodo in cui si ipotizza la collocazione temporale del servizio di Cristoforo
Colombo, il futuro Ammiraglio del mare Oceano, per Renato d’Angiò: Marsiglia –
Isola di S. Pietro (Sardegna) – Tunisi, per attaccare la galeazza Fernandina (nave
del regno di Napoli) presente in quel porto89.
1473-1476 Álvaro Mendes Cerveira, nobile, è pirata e corsaro al comando di diverse spedizioni
navali sulle coste dell’Algarve e dell’Andalusia. Fu il comandante navale portoghese
della zona sud in questo periodo90.
Figura essere attivo in questo periodo un corsaro Juan Colom, catalano91.
1473 Viene siglata la tregua di un anno fra il re d’Aragona, Giovanni Senza Fede, e Luigi
XI nella lotta per il dominio della Catalogna92. I consoli antirivoluzionari del re
d’Aragona governano Barcellona93.
1473 AGO 7 Cristoforo Colombo, figlio del lanaiolo Domenico, risulta essere presente a Savona94.
1473 fine SET / Il 30 ottobre 1473 il senato di Venezia riceve la notizia che «Collumbus pyratam»
inizio OTT (Colombo il Vecchio secondo Gomes Pedrosa95) è entrato nello stretto di Gibilterra
81
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 21.
82
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 146. RIBALDONE, Palabra maravillosa, p. 83.
83
L. ADÃO DA FONSECA, Navegación y corso en el Mediterraneo occidental, los portugueses a mediados del siglo XV,
Pamplona, 1978, pp. 100-104.
84
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 69.
85
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XVII. VIGNAUD, Études critiques, p. 143. RONCIÈRE, Histoire, p. 353.
86
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XVII, p. 160. RONCIÈRE, Histoire, p. 353.
87
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XVII.
88
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 146. RIBALDONE, Palabra maravillosa, p. 83.
89
COLOMBO, Historie, cap. IV, p. 15. LAS CASAS, História de las Indias. C. VARELA, Cristobál Colón, textos y documentos
completos. Relaciones de viajes, cartas y memoriales, Madrid, 1982, doc. IX, p. 169.
90
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 34.
91
L. ULLOA, El pre-descubrimiento hispano-catalan de América en 1477, Paris, 1928, p. 297.
92
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 70.
93
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 670.
94
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 131. RIBALDONE, Palabra maravillosa, p. 84.
95
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 670.
11
Peter John Mazzoglio
con alcune navi armate per attaccare galere di Fiandra e di Barberia e scrive che
«Collumbus est homo serenissimi regis Tunisii» e «notorius hostis nostri domini et
universe nationis nostre»96.
1473 OTT 3 Viene redatto un documento da parte dei consoli di Barcellona in seguito a un avviso
proveniente da Valencia il 28 settembre: un corsaro chiamato «Colom» è arrivato ad
Alicante con sette navi e ha attaccato le galere del conte di Prades. Ha due navi da
mille botti, tre da 700 botti, due bottaniere. Hanno affondato le galere del conte di
Prades. Il corsaro batterà tutta la costa e tutti i mari97. In quel periodo il conte di
Prades era un importante capo militare del regno di Aragona in lotta contro i rivoltosi
catalani che appoggiavano Renato d’Angiò98.
1473 inizio Il 7 novembre 1473 il senato di Venezia riceve la notizia che «Columbum» (Colombo
o metà OTT il Vecchio secondo Gomes Pedrosa99) con sei navi ha attaccato navi commerciali
veneziane (galere di Fiandra e di Barberia) presso Almeria, ma fu obbligato a
rifugiarsi nel mare di Valencia. Viene scritto «Columbus ipse homo est regis
Franciae»100.
1473 OTT «Columbo» (Colombo il Vecchio secondo Gomes Pedrosa101) attacca una nave
o NOV fiorentina102.
1474 Alfonso V incarica il figlio Giovanni di presiedere alle esplorazioni, ai commerci e
alla difesa degli interessi portoghesi in Guinea103.
Il principe Giovanni istituisce il «mare clausum» di Guinea, che difende assoldando
corsari104.
Salvagnini colloca in quest’anno il viaggio a Chio di Cristoforo Colombo,
menzionato nel giornale di bordo del primo viaggio105.
1474 GEN 21 Viene scritta una lettera da parte del vicegovernatore di Genova, Guido Visconti, al
duca di Milano per informarlo dei danni che «Columbo prefecto classis
christianissimi regis Francie» ha causato a mercanti genovesi residenti in Spagna e
chiede al duca di intercedere presso il re di Francia106.
1474 MAG 10-12 Il senato di Venezia dispone di armare due navi, la Contarina e la Mora, per scortare
una nave che sta nelle Fiandre «ad offensionem Columbi et Caietani pyratarum». Ma
il 12 maggio il patrono della Contarina rifiuta la proposta107.
1474 MAG 12 Il senato di Venezia fa scrivere dal collegio al re di Portogallo esortandolo a
provvedere contro «Columbum pyratam»108. Probabilmente il corsaro Colombo (il
Vecchio secondo Gomes Pedrosa109) aveva già la sua base a Lisbona.
1474 GIU 25 Lettere fra il cosmografo Paolo Toscanelli e il principe Giovanni del Portogallo
96
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XVIII, p. 160.
97
L. ULLOA, Christophe Colomb catalan, Paris, 1927, p. 300. R. CARRERAS VALLS, El catalá Xpo Ferens Colom de Terra
Rubra, descubridor d’America, Barcelona, 1930.
98
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 70.
99
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 670.
100
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XIX, p. 160. VIGNAUD, Études critiques, p. 143. RONCIÈRE, Histoire, p. 358.
101
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 671.
102
VIGNAUD, Études critiques, p. 143.
103
C.M. RADULET, A política atlántica de D. João II e as viagens de discobrimento, in Actas do Congresso ‘Bartolomeu
Dias e a sua Epoca’, II, Porto, 1988, p. 190. RIBALDONE, Palabra maravillosa, p. 29.
104
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 649.
105
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 146. VARELA, Cristobál Colón, doc. II, pp. 50-51.
106
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XX.
107
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. X e XXI, p. 146.
108
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XXII, p. 161.
109
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 73.
12
Le ricerche colombiane in Portogallo
tramite Fernão Martins. Il principe domanda ragguagli sul cammino di qua alle Indie
per la via del mare110.
1474 GIU 27 Venezia scrive al suo capitano delle galere di Fiandra, Antonio Malipiero,
invitandolo ad unirsi alle galeazze del loro confederato re Ferdinando (di Sicilia)
per il ritorno in patria, a causa del minaccioso «Colombo corsaro de nave et
navilii»111.
1474 LUG 21 Viene licenziata la nave Contarina dal senato di Venezia, considerando che nel
Ponente non giungono più minacce dal «Columbo pyrata», stante le trattative fra il
re di Francia e il duca di Borgogna112.
1474 OTT 1 Il «corsale Colombo» (Colombo il Vecchio secondo Gomes Pedrosa113; Guillaume
de Casenove di soprannome «Coulomp» secondo Nicola Toynard114) con sette navi
prende due galere (triremi) del re di Napoli al largo di Vivero (Galizia), con merci
napoletane, genovesi e fiorentine, e le conduce in Normandia115. Queste navi avevano
lasciato Napoli il 5 novembre 1473 dirette in Fiandra e Inghilterra e furono catturate
nel ritorno. Il re Ferdinando di Napoli protestò vivamente in una lettera del 9
dicembre e il re di Francia rispose il 31 gennaio 1475 riconoscendo che il corsaro
Colombo fosse suo suddito116, ma ne difende l’operato117.
1474 OTT 20 Ferdinando d’Aragona protesta per nuovi attacchi di corsari portoghesi118.
1474 NOV 19-21 In varie lettere «Columbum gallicum» viene definito dal vicegovernatore di Genova,
Guido Visconti, e dal consiglio degli Anziani «magnifico» «capitano dell’armata
della maestà de re di Franza». Questi chiedono al duca di Milano di intercedere
presso il re di Francia e scrivono direttamente a Luigi XI e al loro inviato presso la
corte, Filippo Lomellino, al fine di ottenere la restituzione delle merci genovesi
caricate sulle galeazze napoletane. Indicano, a motivo del fatto di aver caricato le
loro merci su queste navi, l’assenza di atti di guerra fra il Regno di Napoli e la
Francia negli ultimi tempi119.
1474 NOV 25 Il duca di Milano scrive in merito all’oratore presso Luigi XI, Cristoforo di
Bollate120.
1475 Luigi XI dietro insistenza dei Veneziani pare abbia ordinato ai suoi ammiragli una
tregua con Venezia per quest’anno121.
Essendo vacante il trono di Castiglia, dopo la morte di Enrico IV, Alfonso V
appoggia l’infanta Giovanna, sua nipote, pretendente al trono e voluta anche dai
sostenitori di Enrico IV. Il trono era rivendicato anche da Ferdinando d’Aragona e
Isabella di Castiglia, i futuri re cattolici. Alfonso V ottiene dal re di Francia Luigi XI
un appoggio dubbio e poco efficace, ingaggia comunque una guerra per la conquista
della Castiglia nel mese di maggio122. Alfonso V, vedovo dal 1455, si impegna nel
110
RESENDE, Crónica, cap. 181. RIBALDONE, Palabra maravillosa, pp. 29 e 49.
111
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XIII, p. 161.
112
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. XXIV e XXV.
113
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 73.
114
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. p. 131.
115
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. XXVII e XXXIV, p. 161.
116
HARRISSE, Les Colombo, pp. 1 e segg. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. XXVI, XXXIV e XXXV, p. 131. VIGNAUD,
Études critiques, p. 144. RONCIÈRE, Histoire, p. 360.
117
G.W. LEIBNIZ, Codex iuris gentium diplomaticus, Prodromus, docc. XVII e XVIII, Hannover, 1693. SALVAGNINI,
Cristoforo Colombo, p. 161.
118
ADÃO DA FONSECA, Navegación y corso, pp. 100-104.
119
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. XXVIII e XXXII.
120
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XXXIII.
121
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 162.
122
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 85.
13
Peter John Mazzoglio
123
J. FARO, Expedicões realizadas por espanhóis à Guiné de 1475 a 1479, «Boletim cultural da Guiné Portuguesa», XIV,
1959. A. DE LA TORRE e L. SUAREZ FERNÁNDEZ, Documentos referentes a las relaciones con Portugal durante el reinado
de los Reyes Católicos, Valladolid, 1960. M.M. MATOS FERNANDES, O significado do comércio da costa africana nas
relações políticas entre Portugal e Castela na última metade do século XV, in Actas des II jornadas luso-espanholas de
história medieval, Porto, Centro de História da Universidade do Porto, 1987.
124
M.D. DE VALERA, Crónica de los Reyes Católicos, Madrid, 1927.
125
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XXXVI.
126
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XXXVII, p. 161.
127
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 74.
128
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XXXVIII, p. 162.
129
RONCIÈRE, Histoire, p. 367.
130
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. LXXXVIII e CXIII.
131
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, pp. 61-62.
132
RONCIÈRE, Histoire, p. 365.
133
PALENCIA, Gesta hispaniensia. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LVIII.
14
Le ricerche colombiane in Portogallo
134
PALENCIA, Gesta hispaniensia.
135
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 75.
136
M. SARASOLA, Vizcaya y los Reyes Católicos, Madrid, Consejo Superior De Investigaciones Científicas, 1950, pp. 144-145.
137
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 74-75.
138
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 109.
139
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 171.
140
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 72.
141
Archivio Municipale di Barcellona, doc. 26 maggio 1476. M.F. COSTA, As navegações atlánticas no séc. XV, Bertrand,
Amadora, 1979, pp. 24-25.
142
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XXXIX.
143
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 85.
144
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 85.
145
PALENCIA, Gesta hispaniensia. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 88.
146
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 88.
147
F.-D. CAMUSAT, Nouvelle biographie générale depuis les temps les plus reculés jusqu’à nos jours avec les renseignements
bibliographiques et l’indication des sources à consulter, art. Alfonso V, Firmin Didot frères, 1852. SALVAGNINI, Cristoforo
Colombo, p. 150.
15
Peter John Mazzoglio
1476 MAG Il corsaro Colombo potrebbe entrare nel Mediterraneo poiché ha recapito a Marsiglia
(secondo il vicegovernatore di Genova, Guido Visconti, in una sua lettera da Genova
per il duca di Milano del 23 maggio 1476)148.
Inizia l’assedio di Ceuta da parte dei Mori. La guarnigione portoghese chiede aiuto
ai Castigliani delle navi ancorate al porto, ma questi si alleano con i Mori149.
1476 MAG 23 Guido Visconti scrive una lettera da Genova al duca di Milano: mercanti che
vengono da Bruges dicono che «Columbo» arma 16 navi per andare nel mare di
Spagna a far guerra ai nemici del re (di Francia), ma il 28 maggio rettifica: le navi
sono 26150.
1476 GIU Colombo (Colombo il Vecchio secondo Gomes Pedrosa151) esce con la sua flotta dai
porti di Normandia ed entra nel porto di Brest, diretto a Bermeo, con 17 navi e vi
trova quattro navi spagnole armate, passa gli equipaggi a filo di spada e sequestra le
navi. Ne informa il duca di Milano Guido Visconti da Genova il 26 luglio152.
1476 GIU 12 Alfonso V, tornato dalla battaglia di Toro lungo il Duero arriva a Miranda do Douro
e comanda di preparare le navi per il viaggio in Francia, prosegue poi per Oporto153.
1476 LUG Il corsaro Colombo è con Giorgio Greco «cum magno numero navium» (13-16) e
rappresentano un pericolo per le navi veneziane nelle acque dell’Atlantico154. Le
loro basi sono Honfleur e Marsiglia155.
Alfonso V è a Oporto con l’intenzione di viaggiare per ponente (nord) e invia un
ambasciatore ad avvisare il re di Francia del suo arrivo, poi decide di cambiare
percorso e di andare per levante (Mediterraneo)156, siccome le flotte della Galizia e
della Biscaglia possono causargli problemi157.
1476 LUG 9 Il corsaro Colombo arriva alla costa di Guipuscoa nei pressi di Fuenterrabía e di lì
passa a Bermeo in Biscaglia a fine giugno. Colombo perde una nave (l’ammiraglia
secondo Salvagnini158) durante un temporale nel golfo di Biscaglia, raggiunge la
Galizia e Rivadeo e qui combatte contro le truppe castigliane, perdendo navi e
uomini159.
1476 LUG 23 Giovanni II di Portogallo nomina Pero de Ataíde capo della sua flotta che serve per
liberare Ceuta dall’assedio160.
Venezia invia Francesco Donato (Donà) presso il re di Francia per perorare la sua
causa e stipulare la pace con la Francia. Francesco Donato, piemontese, era
conosciuto e apprezzato da Luigi XI già quando era delfino e pochi mesi prima
Francesco Donato gli aveva fatto visita a Lione161.
1476 AGO 1 Il senato di Venezia annuncia all’oratore Francesco Donato il pericolo a cui
soggiacciono le navi venete per «Columbo et de uno altro Zorzi Greco cum potente
148
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XL.
149
VALERA, Crónica, p. 86.
150
HARRISSE, Les Colombo, p. 87. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. XL e XLI.
151
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 85.
152
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XLIII, p. 162. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 85.
153
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 85.
154
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XLII.
155
PALENCIA, Gesta hispaniensia.
156
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 85.
157
PINA, Crónica, p. 567.
158
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 140.
159
PALENCIA, Gesta hispaniensia. J. ZURITA, Anales de la corona de Aragon, 1660-1671, Saragoza, 1892. SALVAGNINI,
Cristoforo Colombo, p. 162. VALERA, Crónica. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 86.
160
J.A. IRIA, O Algarve e a Andaluzia no século XV (1466-1480), Lisboa. Academia Portuguesa da História, 1975, p.70.
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 89.
161
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XLVI.
16
Le ricerche colombiane in Portogallo
armata». Si susseguono quattro lettere del senato, una indica «Columbo et altri
navilii armati de la maestà del re [di Francia]». Venezia preme affinché Francesco
Donato si adoperi presso Luigi XI perché siano dati salvacondotti alle sue navi in
transito contro il pericolo rappresentato da «Colombo, Zorzi Grecho et altri soi
homeni», o meglio, sia raggiunto un accordo perpetuo di amicizia. Nei mesi
precedenti Venezia aveva inviato un corriere con lettere presso Luigi XI per
richiedere salvacondotti, invano162.
1476 AGO Il corsaro Colombo fa scalo a Lisbona. «Cullam» «famoso cossairo frances» (così
narra Rui de Pina) e Pero de Ataíde (al comando della nave Lopiana)163 partono da
Lisbona nella prima metà di agosto. L’armata franco-portoghese comandata dal
corsaro Colombo è formata da 14 navi (12 francesi e 2 portoghesi)164 e raggiunge
Ceuta assediata165.
L’armata con Alfonso V parte da Oporto il 2 agosto e arriva a Lisbona a metà agosto.
Il 27 agosto a Lisbona il re scrive la procura al principe Giovanni, vittorioso sugli
Aragonesi, per governare il regno di Castiglia. Fra il 27 e il 31 agosto si imbarca con
un’armata portoghese di 22 navi a Belém166 (secondo Salvagnini167: 12 navi e 5
caravelle, 2200 soldati e 470 uomini a cavallo) e arriva a Lagos, qui si incontra con
Cullam168 (Colombo il Vecchio secondo Gomes Pedrosa169). Il corsaro Colombo e
Pero de Ataíde erano tornati intanto da Ceuta, dove avevano sbloccato l’assedio dei
Castigliani, inviati dal duca di Medinaceli, e dei Mori170. Colombo comunica ad
Alfonso V che è sua intenzione correre le coste dall’Andalusia a Gibilterra per
attaccare tutte le navi del nemico171. Da Lagos Alfonso V prosegue per la Francia con
l’armata portoghese comandata da Giorgio Greco172 e formata da quattro navi e
dodici caravelle173.
Successivamente, con Pero de Ataíde, Colombo assalta 5 caracche genovesi dirette
in Inghilterra al largo di Lagos e del capo di S. Vincenzo, o fra quest’ultimo e il capo
di S. Maria174. La battaglia dura dieci ore, in tutto affondano sette navi (Salvagnini175
dice otto navi: cinque del corsaro Colombo e tre dei Genovesi). Il fuoco divampa fra
una nave genovese e la Lopiana, che sono agganciate, e muore Pero de Ataíde176.
Pare che il fuoco fosse stato appiccato dagli aggrediti per non lasciare le merci in
mano nemica. Il fuoco si diffonde e nella battaglia affondano quattro navi corsare:
una con a bordo Cristoforo Colombo177, la Lopiana di Pero de Ataíde, una nave
portoghese e una francese. Le navi genovesi perite sono quella di Borgogna (detta
162
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. XLIV-XLVI, p. 163.
163
PINA, Crónica, p. 567.
164
E. DE GANDIA, Historia de Cristóbal Colón, Buenos Aires, 1942, p. 143. A. BALLESTREROS BERETTA, Historia de
America, Barcelona, 1945, p. 268.
165
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 140.
166
ZURITA, Anales, IV, p. 262.
167
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 163.
168
PALENCIA, Gesta hispaniensia.
169
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 89.
170
PINA, Crónica, p. 567.
171
VIGNAUD, Études critiques, pp. 154-155.
172
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 85.
173
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LVIII.
174
PINA, Crónica, p. 567. VALERA, Crónica. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 678.
175
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 163.
176
PINA, Crónica, p. 567.
177
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 20.
17
Peter John Mazzoglio
178
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 153.
179
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XLIX.
180
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LX. GANDIA, Historia de Cristóbal Colón, pp. 142 e segg. VERLINDEN e PÉREZ
EMBID, Christobal Colon y el descrubrimiento, p. 30.
181
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. XLVII, LII e LX, p. 163.
182
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. L. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 678.
183
PALENCIA, Gesta hispaniensia, doc. III; lib. 27, cap. 5, cc. 524-526.
184
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 152. VALERA, Crónica, pp. 77-78.
185
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 141.
186
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 87.
187
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 20.
188
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 149.
189
BALLESTREROS BERETTA, Historia de America, p. 275.
190
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XLVIII.
191
ZURITA, Anales, IV, lib. XIX, capp. 50, 51, 55.
18
Le ricerche colombiane in Portogallo
192
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LII.
193
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. IL-LI.
194
ZURITA, Anales.
195
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 686.
196
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LV, p. 164.
197
HARRISSE, Les Colombo, p. 19.
198
PERAGALLO, L’autenticità delle historie, p. 71.
199
ALTOLAGUIRRE, Llegada de Colón, p. 17.
200
J. SILVA MARQUES, Descubrimentos portugueses, Lisboa, Instituto para a Alta Cultura, 1971, III, p. 169.
201
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LVIII. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 686.
202
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 92.
203
VALERA, Crónica, pp. 88-90.
204
PALENCIA, Gesta hispaniensia.
205
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LIX.
206
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LX, p. 163.
207
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXV.
208
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXIX, p. 165.
209
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXI, p. 163.
19
Peter John Mazzoglio
1476 DIC I Lucchesi scrivono al Vescovo di Agde, ministro del re di Francia a Roma e loro
concittadino. Definiscono Colombo «magnifico» e menzionano il danno subito per
le merci catturate ai mercanti fiorentini nel 1474 e di intercedere presso il re di
Francia210.
1476 DIC 15 Il segretario ducale di Milano, Giovanni Simonetta, scrive al vicegovernatore di
Genova dolendosi per i detenuti genovesi e menziona quanto egli stia facendo per
la liberazione di detti detenuti dopo la cattura della nave di Tobia Pallavicino211.
1476 DIC 18 Viene scritta una lettera da parte di Gregorio Lomellino da Genova per il segretario
ducale di Milano, Giovanni Simonetta: una nave che partì da Cadice il 19 novembre
informa che l’armata biscaglina è in disarmo e Colombo sta a Lisbona disarmato212.
1477 Giorgio Greco accompagna Alfonso V di ritorno dalla Francia213. Per l’intromissione
di Luigi XI e per volontà di Giovanni II del Portogallo, Alfonso V ritorna in possesso
del trono portoghese, sebbene di malavoglia, fino alla morte (28 agosto 1481)214.
Gente di mare di Palos saccheggia Tavira e cattura alcune caravelle portoghesi in
arrivo dalla Guinea con oro della Mina, schiavi e altre merci. Il 2 novembre
Ferdinando d’Aragona manda a recuperare il quinto del bottino delle caravelle
portoghesi catturate215.
1477 GEN Il 12 febbraio 1477 una lettera di Genova al duca di Milano lo informa che nei primi
giorni di gennaio «Columbo» sta con nove navi armate al capo di S. Vincenzo in
attesa delle galeazze veneziane che erano a Cadice e che sono partite con più di 40
navigli per il ponente216.
1477 FEB Cristoforo Colombo, il futuro Ammiraglio del mare Oceano, viaggia per
l’Inghilterra, l’Irlanda, l’Islanda e 100 leghe oltre217.
1477 MAG 3 Il doge di Venezia scrive a Domenico Gradenigo («Gradonico») per auspicare che
riesca ad ottenere salvacondotti per le navi veneziane contro «Columbo, Georgio
Greco et reliquis suis admiratis et prefectis [del re di Francia]»218.
1478 Intanto la morte di Carlo il Temerario (5 gennaio 1477) induce Luigi XI a cambiare
atteggiamento con Venezia e concedere la pace il 9 gennaio. Il trattato di pace fra
Francia e Venezia andava concluso entro il 15 maggio 1478. Già il 23 agosto 1477
si era intavolato una trattativa con Lorenzo Gradenigo, ma affinché questi ottenesse
i pieni poteri fu necessaria una tregua di tre mesi. Da quel momento in poi il re
comanda di non fare guerra od ostilità, né usar pregiudizio o danno ai Veneziani,
acciocché possano andare, venire, navigare e mercanteggiare sicuramente, con tutte
le loro navi, galere e navigli armati e disarmati, per mare come per terra, in Ponente,
in Levante e altrove. Queste lettere andarono a tutti gli ammiragli, viceammiragli,
capitani e genti d’arme sia di mare come di terra del re di Francia e certamente anche
al corsaro Colombo. Luigi XI rinnova anche l’amicizia con la signoria di Firenze219.
Le acque del mare di Leone sono infestate da navi di pirati e Venezia manda in quelle
acque alcune navi armate sotto il comando di Girolamo Malipiero. Nel tragitto
queste navi si scontrano con alcuni corsari biscaglini e ne bruciano i navigli nel porto
210
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXVII.
211
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXII, p. 164.
212
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXIII.
213
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 60.
214
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 151.
215
FARO, Expedicões. IRIA, O Algarve e a Andaluzia.
216
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXX.
217
LAS CASAS, História de las Indias. COLOMBO, Historie, cap. IV, p. 16. VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. IX, p. 169.
218
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXI.
219
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. LXXIV-LXXV, p. 166.
20
Le ricerche colombiane in Portogallo
21
Peter John Mazzoglio
229
C.M. RADULET, Documenti delle scoperte portoghesi, Bari, Adriatica, 1983, pp. 103-113. C.M. RADULET, Os
descobrimentos portugueses e o Tratado de Alcáçovas, in L. de ALBUQUERQUE (a cura di), Portugal no Mundo, II, Lisboa,
Alfa, 1989, pp. 13-26.
230
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, pp. 29-30.
231
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXX, p. 167.
232
C. DE LOLLIS, Cristoforo Colombo nella leggenda e nella storia, Milano, 1892, p. 49. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo,
p. 148.
233
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 168.
234
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 21.
235
COLOMBO, Historie, cap. VIII, pp. 42, 45. RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 25-27.
236
HARRISSE, Les Colombo, pp. 24-25.
237
COLOMBO, Historie, cap. V, pp. 32, 42-45.
238
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 22.
239
RIBALDONE, Palabra maravillosa, p. 49.
240
R. de ALBUQUERQUE, As represálias, estudo de história do dreito portugués (Sécs. XV-XVI), Lisboa, 1972.
241
HARRISSE, Les Colombo, pp. 24-25.
22
Le ricerche colombiane in Portogallo
242
R. DE PINA, Crónica de D. João II, cap. 2. A.A. MARQUES de ALMEIDA, As consequências políticas e económicas do
convénio com Castela, in L. de ALBUQUERQUE (a cura di), Portugal no Mundo, II, Lisboa, Alfa, 1989, II, pp, 27-43.
243
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 29.
244
LAS CASAS, História de las Indias, I, lib. I, cap. IV, pp. 34 e 36. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 30.
245
HARRISSE, Les Colombo, pp. 24-25.
246
VARELA (a cura di), Gli scritti, docc. I, 2, 7, pp. 3-5. RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 33 e 35.
247
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. IX, p. 169. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 39.
248
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 60.
249
J. BERNARD, Navires et gens de mer à Bordeaux (vers 1400 – vers 1500), Paris, Sevpen, 1968.
250
HARRISSE, Les Colombo, doc. XXV.
251
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 176.
252
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 169.
253
VARELA (a cura di), Gli scritti, docc. XLII, LV, LXVI, pp. 283-284, 313, 336. RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc.
41-43, pp. 41-42.
254
TAVIANI e VARELA (a cura di), Cristoforo Colombo, il giornale, II, p. 205.
255
LAS CASAS, História de las Indias, I, lib. I, cap. XXIX, p. 85. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 45, p. 45.
256
RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 44 e 102.
257
J. VERISSIMO SERRÃO, Itinerários de El-Rei D. João II (1481-1488), 1975b.
258
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 36.
23
Peter John Mazzoglio
1484 2ª metà Cristoforo Colombo ritorna in Portogallo e propone a Giovanni II la via occidentale
per le Indie259, intanto postilla il libro di Enea Silvio Piccolomini Historia rerum260.
1485 Giovanni II invia in Guinea il maestro Giuseppe (José Vizinho), suo fisico e
astronomo, per misurare l’altezza del sole261.
Riprendono le rappresaglie spagnole contro il Portogallo262.
1485 FEB 5 e 7 Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona garantiscono sicurezza nei loro porti
a Venezia con menzione speciale delle galere del viaggio di Fiandra, di cui era
capitano Bartolomeo Minio263.
1485 MAG L’oratore francese presso la Santa Sede passa a Venezia dove viene accolto con
onore264.
Il medico-cosmografo José Vizinho narra a Giovanni II, con la presenza di Cristoforo
Colombo, della misurazione delle latitudini della costa di Guinea265.
1485 1ª metà La commissione di saggi di Giovanni II rigetta la proposta di Cristoforo Colombo
di raggiungere le Indie per la via di ponente266.
1485 AGO Il primo di agosto sette navi francesi salpano da Honfleur e portano nel Galles Enrico
Tudor (il futuro re d’Inghilterra Enrico VII)267.
Le navi di Bartolomeo Minio fanno scalo a Cadice il 20 agosto e incontrano di notte
sei o sette vascelli che navigano sotto la bandiera di Carlo VIII re di Francia268. La
squadra francese è comandata da un corsaro di nome Colombo che li attacca, come
si fa giorno, il 21 agosto269. Si dice che si tratta della stessa flotta che ha
accompagnato Enrico Tudor270.
Sopra il capo di S. Vincenzo il corsaro Colombo intercetta quattro galere veneziane
che vanno verso l’Inghilterra. Dopo 20 ore di lotta viene catturata la galera Dolfina,
mentre le altre navi si arrendono; i Veneziani lamentano più di 300 feriti e 130 morti,
fra cui Lorenzo Michiel (fratello del patrono di una nave) e Girolamo (o Nicolò)
Dolfin (figlio del veneziano Delfino Dolfin, patrono di un’altra nave). La battaglia
al largo di San Vincenzo vede Colombo il Giovane, Giorgio Greco, Crocalagus e altri
capitani al comando delle navi pirate francesi. Il comandante è il vice-ammiraglio
«Colombo corsaro, el zovene, fio de Colombo corsaro»271; egli viene definito vice-
ammiraglio soltanto dai re spagnoli272. I superstiti vengono portati dai corsari a
Lisbona e lì liberati. Le galeazze vengono lasciate completamente spoglie delle
merci, degli arredi e delle armi nel porto di Lisbona273.
Giovanni II accoglie i superstiti, ristorandoli e aiutandoli a tornare in patria, proibisce
ai suoi sudditi di comprare le merci predate perché la Francia non è in guerra con
Venezia, a meno che i corsari non avessero mostrato una lettera del re di Francia
259
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 41, p. 43.
260
VARELA (a cura di), Gli scritti, p. XXIII. RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 46-48.
261
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. I, 6, p. 5. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 51.
262
ALBUQUERQUE, As represálias.
263
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 170.
264
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 169.
265
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 47. VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. I, 6, p. 5. RIBALDONE, Palabra
maravillosa, doc. 51.
266
MORISON, Cristoforo Colombo, p. 75. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 52.
267
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 96.
268
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. LXXXVIII e XCI.
269
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXXII. RESENDE, Crónica, p. 91.
270
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XCVI, p. 171.
271
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 170. RESENDE, Crónica.
272
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CI.
273
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. LXXXII-LXXXIII.
24
Le ricerche colombiane in Portogallo
che li avesse autorizzati ad attaccare, e offre a Bartolomeo Minio 50.000 ducati per
il riscatto delle galere, ma questi respinge l’offerta274.
Però a Venezia si sospettava che Giovanni II avesse dato licenza al corsaro Colombo
di assalire e spogliare le galere veneziane, perché Colombo era a Lisbona già prima
dell’attacco275.
Il corsaro torna con le proprie navi, e con altre due navi bretoni noleggiate per il
trasporto delle merci rubate276, verso l’Inghilterra per vendere il bottino277. Intanto
dona le galere vuote ai religiosi o le vende ai patroni locali278.
Nella battaglia c’era «un nevodo de Colombo e uno Zorzi Griego»279, altri dicono che
fossero la stessa persona280. In due documenti Giorgio Greco viene chiamato
«Zoanne Greco»281 e «Ioannes Grecus»282.
Secondo il Sabellico Colombo il Giovane sarebbe figlio o nipote del corsaro
Colombo (Colombo il Vecchio secondo Gomes Pedrosa283) e attacca navi di infedeli
e di nemici del suo paese284.
I secreti del senato veneto indicano Colombo il Giovane «il nepote del Collombo»,
«Filius Columbi», «filio Columbi» e «fiol de Colombo»285. Nella Cronaca Savina
Colombo il Giovane è definito «famoso»286.
Fernando, nella biografia del padre, indica che Cristoforo viaggiò a lungo con
Colombo el Mozo = il giovane, che combatteva contro gli infedeli e contro i nemici
del suo paese287. Il motivo dell’attacco va ricercato nel fatto che le navi veneziane
erano dirette in Inghilterra, il cui re Riccardo III era in guerra con la Francia che ne
proteggeva il rivale Enrico Tudor. La battaglia avvenne alla vigilia della battaglia di
Bosworth (22 agosto), in cui Riccardo III fu ucciso e la sorte arrise a Enrico Tudor.
Il danno causato a Venezia dall’attacco fu di oltre 200.000 ducati288.
Il senato veneziano «ringrazia Giovanni II per gli aiuti impartiti a una galera
veneziana presa con altre di conserva al capo di San Vincenzo nell’oceano da
Colombo corsaro, sotto pretesto della scomunica fulminata dal papa contro la
Repubblica» (Salvagnini specifica che nel documento era scritto Cristoforo
Colombo, ma si trattava di una confusione dell’autore ai primi del ‘500 che scambiò
lo scopritore per quel corsaro289. L’indicazione Colombo corsaro genovese compare
ugualmente in Verdizzotti290 e nelle Vite dei Pontefici291.
274
PERAGALLO, Disquisizioni colombine, B.N.L. Pombalina, codice 443 fl. 24v. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc.
LXXXII, p. 170.
275
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXXIV, p. 171.
276
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XCVIII.
277
SANUDO, Cronaca Veneta. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XCVII.
278
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CII.
279
Cronica de Venetia traduta de verbo ad verbum, Bibl. Marciana, VII it. CCCXXIII. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo,
doc. LXXXVII.
280
SANUDO, Cronaca Veneta. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXXVIII, p. 175.
281
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CIII.
282
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XCI.
283
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 98.
284
M.A.C. SABELLICO, Rerum venetarum decades, dec. IV, lib. III. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 175.
285
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XCI, p. 175.
286
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXXIII.
287
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 18.
288
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. LXXXII-LXXXIII.
289
Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea Codici, n. 122, c. 187. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 132.
290
F. VERDIZZOTTI, Dei fatti veneti dall’origine della repubblica sino all’anno MDIIII, Venezia, 1686.
291
Vite dei Pontefici, Bologna, 1507. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 132.
25
Peter John Mazzoglio
1485 SET Appena avvenuto l’attacco del capo di San Vincenzo, il senato veneto inviò presso
il re di Francia Girolamo Zorzi, ambasciatore a Milano, per ottenere la restituzione
del carico rubato alle galeazze di Fiandra. Il re parve accondiscendere, ma inviando
in Normandia a Honfleur con lettere reali due agenti dell’oratore veneziano,
Traversino e Rossetto della Rocca, per riprendere le mercanzie ivi nascoste, il
Rossetto fu barbaramente trucidato e il Traversino scampò per miracolo alla stessa
sorte. Il re fece arrestare i colpevoli, ma 14 giorni dopo vennero rilasciati. Il re aveva
anche condannato il corsaro Colombo ad un’ammenda, ma la restituzione non
avvenne. Le trattative si protrassero fino al termine dell’anno 1487, quando la stessa
repubblica di Venezia dovette venire incontro ai suoi cittadini danneggiati292.
Il senato veneto invia Girolamo Donato, oratore presso il re di Portogallo per
ringraziarlo dei soccorsi prestati dal sovrano portoghese ai superstiti veneziani293.
La notizia dell’attacco giunge a Venezia il 17 settembre294. Mentre nelle prime
comunicazioni si fa menzione di Colombo e Giorgio Greco, ma soprattutto del
primo, il nome di Colombo scompare in seguito nelle trattative per la restituzione
delle merci rubate fra Venezia e Francia e rimane soltanto il nome di Giorgio
Greco295. Secondo Harrisse296 è Giorgio Greco che si faceva chiamare Colombo il
Giovane297.
Cristoforo Colombo ritorna in Spagna, a Cordova; i sovrani spagnoli sono a Cordova
fino al 3 settembre, la corte vi resta fino al 6 ottobre298. È da quest’anno che
Cristoforo Colombo considera l’inizio delle trattative per farsi finanziare il viaggio
verso le Indie dai reali spagnoli299. Cristoforo Colombo si affida al vescovo di
Palencia, Diego de Deza, che lo tratta fraternamente, sostenendo la sua tesi300.
1485 OTT 30 Ferdinando di Aragona protesta con la Francia per l’attacco del corsaro Colombo,
suo viceammiraglio301 e offre scorta ai Veneziani302.
1485 NOV 3 Il senato della repubblica di Venezia: intende sequestrare una galeazza francese in
partenza da Alessandria per rappresaglia303.
1485 NOV 4 I capi del consiglio dei Dieci di Venezia ordinano al loro console di Londra di
chiedere al corsaro Colombo di poter riscattare le merci rubate304.
1485 NOV 5 I re spagnoli si lamentano per le merci sequestrate ai loro sudditi e, siccome tale
cattura è contraria ai trattati esistenti con la Francia (il corsaro Colombo aveva
preferito andare in un porto inglese a dividere il bottino), chiedono al re d’Inghilterra
di arrestare «Columbus, vice-almirante e chefe de esquadra do rei de França» e di
far restituire le mercanzie ai proprietari305.
1485 NOV 18 Viene scritta una lettera da parte dell’ambasciatore estense a Venezia al duca Ercole
che scagiona Giovanni II da colpe nei confronti del corsaro Colombo. Dice che fu
292
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXXII, pp. 173-174.
293
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 173.
294
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. LXXXII e LXXXVII.
295
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 176.
296
HARRISSE, Les Colombo.
297
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 176.
298
RIBALDONE, Palabra maravillosa, p. 53.
299
VARELA (a cura di), Gli scritti, docc. XXVI, XLI e LXVI, pp. 250, 274-275 e 347.
300
VARELA (a cura di), Gli scritti, docc. II e LXXXIV, pp. 115-116 e 374-375. RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 63-64.
301
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 690.
302
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XCVI.
303
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XCVIII.
304
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. IC.
305
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CI. GANDIA, Historia de Cristóbal Colón, p. 146.
26
Le ricerche colombiane in Portogallo
convinto dai patroni a firmare salvacondotti a Colombo perché detti patroni avevano
interessi con i corsari. I corsari chiesero 30.000 ducati per il bottino, che i patroni non
vollero dare, allora i corsari scaricarono le galere e le lasciarono ai patroni306.
1485 DIC 2 Il senato di Venezia scrive all’ambasciatore di Londra affinché interceda presso il re
d’Inghilterra per il recupero del bottino del «fiol de Colombo et Zorzi Griego»307 lo
stesso viene fatto con il console di Bruges presso il duca di Borgogna e, il 15
dicembre, con l’oratore presso il re di Francia.
1486 GEN 2 L’ambasciatore estense a Venezia scrive al duca Ercole sulla richiesta di restituzione
dei beni sequestrati ai Veneziani dai sudditi del re di Francia. L’ambasciatore di
Venezia scrive che sono tornati i due messi del re, che furono inviati a tale proposito,
e questi dicono che i corsari rispondono di aver fatto bene perché Venezia era in
guerra con il precedente re di Francia, poi perché un editto francese impone che tutti
i navigli devono calare le vele di fronte al capitano regio, altrimenti si intendono
ribelli alla corona, infine perché Venezia fu scomunicata per la guerra di Ferrara.
L’ambasciatore rispose che la pace fu fatta da tempo con la Francia e dalla scomunica
furono assolti. Il re di Francia dà ragione ai Veneziani308.
Inoltre dalla Spagna l’ambasciatore veneziano scrive che si lamentano della nave
bruciata a Siracusa nel 1478 dall’armata veneziana e che vogliono soddisfazione,
quindi hanno arrestato gli equipaggi delle galere veneziane catturate. L’ambasciatore
risponde che gli spagnoli hanno preso tanti di quei navigli veneziani che quello
bruciato è più che pagato. L’ambasciatore dà tempo otto mesi per restituire la nave
presa a Giacomo Bembo e la galera veneziana che veniva dalla Barberia, dopodiché
Venezia farà rappresaglia sulle navi siciliane e di altri sudditi del re di Spagna309.
1486 GEN 12 Una lettera dell’ambasciatore estense a Venezia informa il duca Ercole che il re di
Francia ha ordinato che tutte le merci veneziane recuperate siano restituite.
L’ambasciatore veneziano farà condurre la merce ad «Antona» a «Roam» dove possa
viaggiare più sicuramente, anche se c’è il dubbio che il duca Massimiliano possa
accordarsi col duca di Borbone per danneggiare i Veneziani310.
1486 GEN 20 Cristoforo Colombo entra a servizio dei re di Spagna e riceve delle sovvenzioni.
Espone loro il suo progetto di raggiungere le Indie per la via di ponente311.
1486 FEB fine Un frate francescano astronomo, Antonio de Marchena, lo aiuta a dimostrare la sua
tesi a corte312. Viene costituita una commissione regia presieduta dal priore del Prado,
Hernando de Talavera313.
1486 APR 9 L’ambasciatore di Venezia in Francia, Girolamo Zorzi, scrive che il re di Francia è
disposto a risarcire il maltolto. Il corsaro ha chiesto salvacondotto per tre settimane
per spiegare le sue ragioni: cioé l’interdetto e la scomunica del papa. Ma il re ha
sentenziato che deve restituire tutto, le galere e la merce custodita sia a Honfleur, in
Bretagna e sia in Biscaglia e altrove, al costo di rivalersi sui suoi beni e se non
basterà, sarà il re a pagare il resto. Il re è uomo giusto e ha lo scopo di conquistare
il regno di Napoli314.
306
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CIII.
307
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CV.
308
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CX.
309
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. CVII e CX.
310
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CXI.
311
RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 65-66.
312
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. XXVI, p. 250. RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 67-69.
313
COLOMBO, Historie, cap. XII, pp. 64-65. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 70.
314
HARRISSE, Les Colombo, doc. XXXV. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CXII.
27
Peter John Mazzoglio
Questo corsaro, con sede a Honfleur, è Giorgio Greco. Marin Sanudo lo chiama
«Nicolò Griego ditto Colombo zovene»315.
1486 APR 20 Il senato di Venezia scrive all’ambasciatore in Francia ordinandogli di trattare con
«Giorgio Greco et reliquis»316.
1487 Cristoforo Colombo è in Andalusia, soprattutto a Siviglia, e fa il libraio per vivere.
Viene detto «uomo della terra di Milano»317.
1487 MAG 5 I sovrani spagnoli inviano alcune sovvenzioni a Cristoforo Colombo (tremila
maravedìs), ché sta facendo alcune cose a loro servizio318.
1487 LUG 3 Cristoforo Colombo riceve altri 3000 maravedìs per il suo sostentamento319.
1487 AGO 27 Cristoforo Colombo riceve altre sovvenzioni reali (4000 maravedìs) per recarsi a
corte320.
1487 OTT 15 Cristoforo Colombo riceve 4000 maravedìs per il suo sostentamento321.
1487 inverno Cristoforo Colombo scrive a Giovanni II322.
1488 Cristoforo Colombo è in Andalusia, soprattutto a Siviglia, e fa il mercante di libri
stampati per vivere. Viene detto uomo della terra di Milano, di gran ingegno, letterato
e astuto cosmografo323.
1488 primavera Cristoforo Colombo frequenta Pietro de Velasco gallego a Murcia che gli narra di
terre oltre l’Irlanda324.
1488 MAR 22 Giovanni II scrive a Cristoforo Colombo per invitarlo in Portogallo; gli serve la sua
esperienza e il suo ingegno per scoprire la via per le Indie325.
1488 GIU Cristoforo Colombo riceve il primo rifiuto dei re spagnoli326.
1488 GIU 16 I sovrani spagnoli inviano 3000 maravedìs a Cristoforo Colombo come benservito327.
1488 AGO 15 Nasce il figlio naturale di Cristoforo Colombo, Fernando, da una relazione con
Beatrice Enríquez328.
1488 DIC Cristoforo Colombo si reca di nuovo in Portogallo, a Lisbona329.
Bartolomeo Dias attracca a Lisbona e porta a corte, con la presenza di Cristoforo
Colombo, la notizia di aver doppiato il capo Tempestoso (capo di Buona
Speranza)330.
1489 GEN Cristoforo Colombo ritorna in Spagna, a Siviglia331.
1489 Cristoforo Colombo propone invano il suo progetto anche al duca di Medina Sidonia,
Enrico de Guzmán. Si reca quindi dal duca di Medinaceli, Luis de la Cerda, al Porto
315
HARRISSE, Les Colombo, doc. XXXIV. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CXIII.
316
HARRISSE, Les Colombo, doc. XXXVI. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CXIV.
317
RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 5G e 77.
318
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 72.
319
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 73.
320
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 73.
321
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 76.
322
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 79.
323
RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 5G e 77.
324
COLOMBO, Historie, cap. IX, p. 45. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 83.
325
J. MANZANO Y MANZANO, Cristoforo Colombo. Sette anni decisivi della sua vita (1485-1492), in Nuova Raccolta
Colombiana, XV, Roma, 1990, p. 129. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 79.
326
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. XXIV, pp. 207-208. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 82.
327
M.F. DE NAVARRETE, Colección de los viajes y descrubrimientos que hicieron por mar los españoles desde fines del
siglo XV, Madrid, 1825, II, doc. II, p. 4. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 82.
328
VARELA (a cura di), Gli scritti, docc. LXVI e XCIII, pp. 335-336 e 386. RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 84-85.
329
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. I, 7, pp. 5-6. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 86.
330
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. I, 7, pp. 5-6. RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 86-87.
331
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. LV, p. 313. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 42.
28
Le ricerche colombiane in Portogallo
di Santa Maria, che lo ospita per due anni332 e dove si intrattiene con marinai che gli
raccontano di terre oltre l’Irlanda333.
Cristoforo Colombo è in ristrettezze economiche ed è intenzionato a recarsi in
Francia per presentare al re il suo progetto per le Indie334.
Il duca di Medinaceli si propone di finanziare l’impresa, ma poi scrive alla regina
Isabella e la convince a riprendere in considerazione il progetto di Colombo335.
1489 MAG 12 I re spagnoli ordinano a tutte le città, villaggi e luoghi di fornire, a Cristoforo
Colombo e i suoi, vitto e alloggio perché sta facendo alcune cose a loro servizio e
deve recarsi a corte, chiamato da Isabella336. Cristoforo Colombo viene affidato al
ragioniere generale dello Stato Alonso de Quintanilla337. Il nunzio pontificio in
Spagna, Antonio Geraldini, prende a cuore Cristoforo e lo sostiene338.
1489 GIU 20 Venezia regala al re di Portogallo le tre galere grosse di Fiandra che furono prese dal
corsaro Colombo a Bartolomeo Minio, perché detto re le aveva richieste ed è un
grande amico della nazione veneta339.
1489 AGO Muore Antonio Geraldini, protettore di Cristoforo Colombo a corte340.
1490 Cristoforo Colombo è in ristrettezze economiche; riprende la volontà di recarsi in
Francia per presentare al re il suo progetto per le Indie, al quale aveva già scritto in
passato, e se avesse fallito anche lì, è intenzionato a proseguire per l’Inghilterra
anche alla ricerca del fratello Bartolomeo, del quale non aveva più notizie341.
1491 Cristoforo Colombo si reca di nuovo al monastero di Santa Maria de la Rábida, in
estrema povertà342.
1491 autunno I frati aiutono Cristoforo Colombo a riprendere i contatti con la corte343.
1491 DIC Cristoforo Colombo riceve nuovamente delle sovvenzioni reali, 20.000 maravedìs
in fiorini per abiti e un cavallo per recarsi a corte344.
1492 GEN 2 Avviene la caduta di Granada, con la presenza di Cristoforo Colombo345.
1492 GEN Grazie anche all’intercessione di Alessandro Geraldini, fratello del defunto Antonio,
di Luis de Santángel e di Diego de Deza avviene l’affidamento della missione a
Cristoforo Colombo da parte dei re cattolici346.
1492 APR 17 Si redigono le Capitolazioni (o Articoli di Convenzione) fra i reali e Cristoforo
Colombo relative al viaggio che intende intraprendere347.
1493 Nell’ed. 1507 delle Vite dei Pontefici si legge «Fu anchora da questi re mandato
Christophoro Cholombo corsale di natione genovese ad cercare terre nove in mare».
332
LAS CASAS, História de las Indias, I, lib. I, cap. XXX, pp. 101 e 103.
333
COLOMBO, Historie, cap. IX, pp. 44-45.
334
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 90.
335
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 91.
336
NAVARRETE, Colección. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 93.
337
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 91.
338
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 95.
339
SANUDO, Cronaca Veneta. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CXXII.
340
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 96.
341
COLOMBO, Historie, cap. XII, p. 68. RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 96 e 98-101.
342
RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 101-102.
343
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 103.
344
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 107.
345
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. II, pp. 10-11. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 109.
346
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. LXXIX, p. 367. RIBALDONE, Palabra maravillosa, docc. 111 e 115, p. 42.
347
COLOMBO, Historie, cap. XIV, p. 75.
29
Peter John Mazzoglio
CONSIDERAZIONI
Risulta chiaro dai documenti e dalla cronologia dei fatti che Luigi XI impiegò durante tutto il
suo regno (1461-1483) il corsaro Colombo (non ci interessa, a questo punto, se è identificabile con
Guillaume de Casenove o se fosse un’altra persona) e altri corsari e uomini armati sia in mare sia in
terra per combattere coloro che avevano aderito contro di lui alla Lega del bene pubblico nel 1465 (i
duchi di Bretagna, di Borbone, di Calabria, di Nemours, di Lorena, il fratello del re Carlo di Berry, i
conti di Armagnac e di Dammartin, Dunois, gli Angiò e, soprattutto, Carlo il Temerario, duca di
Borgogna) e i loro alleati (nel nostro caso Venezia), legandosi invece a chi lo aveva aiutato (il duca di
Milano, gli Svizzeri).
Sovrano irascibile, machiavellico e vendicativo, Luigi XI sfruttò gli eventi a lui favorevoli per
unire alla corona i feudi via via spodestati o acquisiti tramite eredità imposte (vedi il caso della
Provenza), lottando contro nazioni limitrofe ostili (Inghilterra, Spagna, Germania) e riuscendo persino
a imporre il “suo” sovrano d’Inghilterra, nel 1485, nella persona di Enrico VII Tudor. Esiste anche il
sospetto che Luigi XI fosse il mandante dell’assassinio di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano,
suo alleato di sempre, che, però, sei mesi prima, nel giugno 1476, divenne alleato dell’eterno nemico
numero uno del sovrano francese, Carlo il Temerario, duca di Borgogna, in una battaglia contro gli
Svizzeri a Grandson, da cui uscì sconfitto. Però, secondo i Veneziani, il duca di Milano era già alleato
del duca di Borgogna dall’inizio del 1475348.
L’alleanza di Luigi XI col Portogallo contro il comune nemico spagnolo è alla base di gran parte
delle attività corsare di Colombo il Vecchio nell’Atlantico e nel Mediterraneo. Con Carlo VIII la
situazione cambia radicalmente.
Renato I d’Angiò è l’altro regnante che ci interessa da vicino nelle vicende colombiane. Duca
d’Angiò e conte di Provenza (1434-1480), duca di Bar (1430-1480) e di Lorena (1431-1453), re titolare
di Napoli e di Sicilia (1434-1480) fu suo malgrado coinvolto nelle iniziative politiche del figlio
Giovanni (duca di Lorena dal 1453), che cospirò contro Luigi XI aderendo alla Lega del bene pubblico.
Avendo Luigi XI occupato i ducati di Bar e d’Angiò, Renato poté recuperarli soltanto violando l’antica
legge di successione della contea di Provenza: invece di lasciare quest’ultima in legato a suo nipote,
Renato di Lorena, egli la diede al nipote Carlo del Maine. La designazione di questo principe
malaticcio e senza prole (testamento del 22.VII.1474) facilitò notevolmente le ambizioni di Luigi XI:
meno di due anni dopo la morte di re Renato (1480), la Provenza veniva riunita alla Francia.
Durante le guerre per il dominio del regno di Napoli (1438-1442), che lo videro perdente di
fronte alla corona d’Aragona, Renato d’Angiò trovò l’appoggio di Milano, Firenze e Venezia.
Gli interessi angioini in Italia riguardavano anche la Liguria: la flotta franco-provenzale di
Renato d’Angiò controllava dal 1458 la costa ligure con l’aiuto del corsaro onegliese Scarincio,
tenendo lontano le forze navali aragonesi. Genova e Savona vennero presidiate da una guarnigione
franco-provenzale, la prima fino a marzo 1461, la seconda fino a febbraio 1464, quando dovettero
cedere di fronte all’attacco genovese349. In questo periodo si collocherebbero le prime navigazioni di
Cristoforo Colombo.
Intervenuto nei conflitti per la successione della Catalogna, i Catalani offrirono a Renato d’Angiò
la corona nel 1466, e trovarono finalmente un capo, che sembrò guidare la rivolta alla vittoria, in
Giovanni, suo figlio. Soltanto dopo la morte di questi (1470) la Catalogna fu definitivamente domata
da Giovanni II d’Aragona (caduta di Barcellona, 1472).
348
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XXXVI.
349
R. MUSSO, ‘Viva el Duca et lo Sancto Padre’, Savona al tempo degli Sforza e di Sisto IV (1464-1478), «Atti e Memorie
della Società Savonese di Storia Patria», 37 (2001), Savona.
30
Le ricerche colombiane in Portogallo
Cosa dicono dell’Ammiraglio del mare Oceano coloro che lo hanno conosciuto? A questo
proposito vengono prese in considerazione le notizie riferite da suo figlio Fernando nelle Historie.
Qui non si dà credito agli autori che insinuano falsificazioni posteriori oppure velleità di grandezza e
quindi alterazioni volute della realtà dei fatti narrati. Se Cristoforo e Fernando Colombo sono incorsi
in errori nelle loro narrazioni, questi possono essere dovuti a circostanze esterne e non ad una volontà
di alterare la verità.
[…] io non hò piena notizia [della prima parte della vita di Cristoforo Colombo], perciocché
egli venne a morte in tempo, che io non aveva tanto ardire, o prattica, per la riverenza filiale, che io
ardissi di richiederlo di cotal cose, o per parlar più veramente, allora mi ritrovava io come Giovane,
molto lontano da cotal pensiero […]350.
Quando muore Cristoforo Colombo, Fernando aveva 17 anni e aveva convissuto col padre
soltanto durante il quarto viaggio per le Indie (1502-1504). Se non avesse tratto le notizie che narra
da suo padre, da quale altra fonte può aver attinto? Gli zii Bartolomeo e Diego? Il fratellastro Diego?
Compagni di viaggio di Cristoforo? Sicuramente Bartolomeo de Las Casas. Cosa gli fu detto dai
Colombo di Piacenza, che Fernando identificò come congiunti di suo padre?
[…] nella qual Città [Piacenza] sono alcune onorate persone della sua Famiglia, e sepolture con
arme, e lettere di Colombo, perché in effetto questo era già l’usato cognome de’ suoi maggiori […]351,
[…] ritornando alle qualità, e persone de’ suoi Genitori, dico, che quantunque essi fossero buoni
in virtù, essendo per cagione delle guerre, e partialità della Lombardia, ridotti a bisogno, e povertà non
trovò, come vivessero, ed abitassero: avvengache lo stesso Ammiraglio in una lettera, che il suo trafico
e de’ suoi maggiori fu sempre per Mare […]352.
350
COLOMBO, Historie, cap. IV, p. 14.
351
COLOMBO, Historie, cap. I, p. 3.
352
COLOMBO, Historie, cap. II, p. 5.
353
RIBALDONE, Palabra maravillosa, p. 82.
354
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 5P.
31
Peter John Mazzoglio
[…] nella sua picciola età [Cristoforo Colombo] imparò lettere […]355.
[...] [Cristoforo Colombo] studiò in Pavia [fra i 12 e i 14 anni?] tanto, che gli bastava per
intendere i Cosmografi [...] si diede all’Astrologia, ed alla Geometria [...] Partecipò ancora del
dissegno, per piantar le terre, e confermare i corpi Cosmografici in piano, ed in tondo [...]356.
L’università di Pavia, come le altre università dell’epoca, accoglievano allievi già in età
adolescenziale357.
[...] [Cristoforo Colombo] cominciò a navigar di quattordici anni [con un suo parente?], ed
sempre seguì il Mare [...]358.
Riportando il contenuto di una lettera del padre ai re cattolici del gennaio 1495:
[...] Della Navigatoria mi fece [il Signore] molto intendente: d’Astrologia mi diede quel, che
bastava; e così di Geometria, e d’Aritmetica; l’animo mi donò ingegnoso, e le mani atte a disegnar
questa sfera, ed in essa le Città, i fiumi, l’Isole, e i Porti tutti nel loro convenevol sito [...]359.
[...] Ora l’Ammiraglio, avendo cognizione delle scienze, cominciò ad attendere al Mare ed a
fare alcuni viaggi in Levante, ed in Ponente [...]360.
355
COLOMBO, Historie, cap. III, p. 13.
356
COLOMBO, Historie, cap. III, p. 13.
357
P. CANEPA, L’altro Colombo, Valenza, 1992, p. 31.
358
COLOMBO, Historie, cap. IV, p. 17.
359
COLOMBO, Historie, cap. IV, p. 14.
360
COLOMBO, Historie, cap. IV, p. 13.
361
OVIEDO Y VALDÉS, Historia general, lib. II, cap. 2.
362
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 146.
363
COLOMBO, Historie, cap. IV, p. 15.
364
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 20.
365
COLOMBO, Historie, cap. IV, p. 16.
366
COLOMBO, Historie, cap. IV, p. 17.
367
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 18.
32
Le ricerche colombiane in Portogallo
Fin qui si configura una carriera corsara di Cristoforo Colombo ostile alla Spagna, essendo
quattro eventi su cinque a favore di stati nemici dei sovrani spagnoli.
Ricordiamo che all’epoca il limite fra pirateria e corsa era molto tenue, fondamentalmente la
licenza di corsa era un contratto stipulato col sovrano, mentre la pirateria era una faccenda privata e
poteva tranquillamente commutarsi in corsa, e viceversa, a seconda della convenienza. I principali
corsari portoghesi erano nobili di casa reale, legati direttamente al re, ciò che contrastava con gli
omologhi stranieri che erano, in gran parte, membri delle principali famiglie dedite al commercio
marittimo (come in Biscaglia, Bretagna e nel Mediterraneo) o pirati di professione (come in Francia
e a Genova)368.
Che cosa racconta il figlio Fernando?
[...] alla causa della venuta dell’Ammiraglio in Ispagna, e di esser egli dato alle cose del Mare,
ne fù cagione un’uomo segnalato del suo nome, e Famiglia, chiamato Colombo molto nomato per
Mare, per cagion dell’armata, che conduceva contra gl’infedeli, ed ancora [nemici] della sua Patria [...]
una volta prese quattro Galee grosse Veneziane [...] Questi fu chiamato Colombo il Giovane a
differenza d’un’altro [Colombo il Vecchio], che avanti era stato grand’uomo per Mare [...]369.
Si tratta dell’evento del 1485. Da queste parole di Fernando non risulta che Cristoforo abbia
mai navigato con Colombo il Vecchio.
[...] quegli due illustri Coloni suoi Parenti, de’ quai il Sabellico descrive una gran Vittoria contra
i Veneziani ottenuta; secondo che nel quinto Capitolo da noi raccontato [...]370.
Fernando considera i Colombo corsari parenti suoi e definisce «Colombo giovane corsale
famoso»371.
[...] mentre in compagnia del detto Colombo giovane l’Ammiraglio navigava, il che fè
lungamente; avvenne, che intendendo, che le dette quattro Galee grosse Veneziane tornavano di
Fiandra [...] si attaccò il fuoco fra la Nave dell’Ammiraglio, ed una Galea grossa Veneziana [...] [qui
Fernando racconta l’evento dell’attacco del 1476, che però fu contro navi genovesi372] essendo
l’Ammiraglio grandissimo notatore, e vedendosi due Leghe, o poco più discosto da terra, prendendo
un remo, che la sorte gli appresentò, ed aiutandosi con quello, talvolta, ed talvolta nuotando, piacque
a Dio [...] onde giungesse a terra, benché tanto stanco, e travagliato dall’umidità dell’acqua, che egli
stette molti dì a rifarsi. E perciocché non era lontano da Lisbona a dove sapeva, che si ritrovano molti
della sua nazione Genovese, più presto, che poté, si trasferì quivi [...] e tolse moglie [...]373.
Ciò conferma che si tratta dell’attacco del 1476. Allora il corsaro con cui navigò lungamente era
Colombo il Vecchio? Oppure Colombo il Giovane già capitanava un’altra nave su cui si trovava
Cristoforo Colombo?
Il grossolano errore di Fernando nella narrazione dell’arrivo di suo padre in Portogallo in seguito
all’affondamento della sua nave al largo del capo di San Vincenzo è dovuto al Sabellico374, che egli
cita, e, evidentemente, a ricordi confusi di parole del padre, che gli deve aver narrato del rischio di
morire in quell’occasione.
368
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário, p. 9.
369
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 18.
370
COLOMBO, Historie, cap. I, p. 2.
371
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 19.
372
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 141.
373
COLOMBO, Historie, cap. V, pp. 20-21.
374
M.A.C. SABELLICO, Enneades seu Rapsodiae historicae, enn. X, lib. VIII. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 144.
33
Peter John Mazzoglio
[...] [L’Ammiraglio] abitava in quella Città [Lisbona] avanti [l’arrivo di Bartolomeo], ed egli
insegnò al fratello [la Cosmografia] [...]375.
E gli spiegò il progetto? Giustiniani menziona nel 1516 che, invece, Cristoforo Colombo apprese
la cosmografia da suo fratello Bartolomeo che a Lisbona disegnava carte per la navigazione. Anche
per questo motivo fu oggetto di critiche da parte di Fernando376.
375
COLOMBO, Historie, cap. II, p. 9.
376
COLOMBO, Historie, cap. II, p. 9.
377
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal. GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo corsário.
378
HARRISSE, Les Colombo.
379
RONCIÈRE, Histoire, p. 337.
380
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XIII.
381
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CI.
34
Le ricerche colombiane in Portogallo
Il Pero João Cullão, che compie quattro missioni alla Mina per il re di Portogallo prima del
382
1474 , è forse Jean Coullomb, figlio o nipote di Guillaume de Casenove? Quest’ultimo viene
nominato, in qualità di viceammiraglio, da Luigi XI nel 1475 e indicato come viceammiraglio e uomo
d’armi nel 1479383. Essendoci, però, un figlio di Guillaume de Casenove di nome Jean, che risulta
essere minorenne nel 1483 e non uomo d’armi384, è ipotizzabile che il viceammiraglio Jean de
Casenove, se parente, fosse un nipote, e che il corsaro portoghese, Pietro Giovanni Colombo, fosse
ancora un’altra persona.
Il corsaro Colombo comanda sempre una flotta di 6-7 navi armate (ogni nave poteva caricare
250-300 uomini), idem Giorgio Greco, e una delle loro basi è Honfleur, sulla Manica, in Normandia,
sotto la giurisdizione del re di Francia dal 1468, l’altra è Marsiglia nel Mediterraneo, sotto la
giurisdizione di Renato d’Angiò fino al 1480, poi del re di Francia. È da quest’ultima base che parte
Cristoforo Colombo, il futuro Ammiraglio del mare Oceano, nell’attacco alla galeazza aragonese a
Tunisi, probabilmente nel 1472/1473.
Il corsaro Colombo, pur essendo al soldo del re di Francia, è anche al soldo del Portogallo dal
1470 al 1477, e del re di Tunisi nel 1473. In questo periodo anche Lisbona diventa la sua base.
L’operazione corsara più eclatante a cui partecipa il corsaro Colombo nell’Atlantico è la battaglia
navale dell’agosto 1476, ma le date di questa battaglia sono controverse: la partenza di Alfonso V da
Lagos va considerata successiva alla battaglia e il suo incontro col corsaro Colombo a Lagos dev’essere
nel momento di recupero dei superstiti.
Lo sblocco dell’assedio di Ceuta quando avvenne? Ovviamente prima della battaglia navale,
visto che vi partecipa Pero de Ataíde, che muore poi nella battaglia navale. Avvenne nella prima metà
di agosto?
Giorgio Greco era al comando della flotta di Alfonso V già da Lisbona? Se Alfonso V parte da
Lisbona con 22 navi e da Lagos con 16, lascia 6 navi a Colombo per le sue scorrerie? O per sostituire
le 4 o 5 navi perse? O per andare alla liberazione di Ceuta?
Se le cronache spagnole indicano che la battaglia è stata combattuta il 13 agosto, lo sblocco di
Ceuta dev’essere avvenuto almeno una settimana prima (quando?). Ci furono delle perdite a Ceuta?
Nella battaglia navale Colombo ha 14 navi e ne perde 4 o 5, ma partì dalla Normandia con 17
navi (non 26 come afferma in un secondo tempo il vicegovernatore di Genova Guido Visconti), arriva
a Brest con 17 navi, è con Giorgio Greco, sequestra 4 navi spagnole (17+4=21), perde una nave
(l’ammiraglia) nel Golfo di Biscaglia per un temporale (21-1=20) e a Rivadeo perde alcune navi nella
battaglia (2?) (20-2=18).
Intanto a Lisbona Pero de Ataíde prepara la flotta per la liberazione di Ceuta. Sono le due navi
portoghesi che formano la flotta franco-portoghese di Colombo? Vi faceva parte Cristoforo Colombo?
Allora il numero delle navi della flotta ritorna a 20.
A Lisbona è rimasto Giorgio Greco con quante navi per accompagnare Alfonso V? (È possibile
che Giorgio Greco vi fosse rimasto con le sue 6 navi, visto che la flotta franco-portoghese di Colombo
e Ataíde è di 12+2 navi e parte ai primi di agosto da Lisbona). Le 6 navi di Giorgio Greco andrebbero
a formare le 22 che accompagnano Alfonso V in partenza a fine agosto da Lisbona (potrebbero essere
le 6 navi che il re lascia a Colombo a Lagos, ma Giorgio Greco, che continua con Alfonso V fino in
Francia, si separerebbe dalle sue navi?).
Fernando Colombo scrisse che suo padre navigava con Colombo il Giovane, ma si riferiva al
naufragio del 1476, dunque era Colombo il Vecchio, oppure navigò con entrambi? Colombo il Giovane
era già attivo in quell’anno? Era Giorgio Greco? O era Cristoforo Colombo stesso?
382
GOMES PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal, p. 676.
383
ANSELME, Histoire généalogique. HARRISSE, Les Colombo, p. 51. RONCIÈRE, Histoire, p. 365.
384
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, p. 176.
35
Peter John Mazzoglio
La confusione d’identità fra Colombo il Giovane e Giorgio Greco, ovvero Giovanni Colombo
(figlio di Guglielmo di Casenove, detto Colombo) e Giovanni Greco o il Greco, pare esista soltanto
in alcuni documenti. Relativamente alla battaglia dell’agosto 1485, il senato di Venezia tiene le due
persone sempre separate:
Malipiero menziona soltanto «Colombo corsaro, el zovene, fio de Colombo corsaro»385.
Callimachus Experiens (Filippo Buonaccorsi) menziona soltanto «Columbus maxime insignis
pyrata»386.
Sabellico scrive soltanto «Columbus iunior archipirata illustris»387.
La Cronica de Venetia indica «uno nevodo de Colombo, e uno Zorzi Griego»388.
Sanudo scrive «Colombo zovene, zoè Nicolò Griego» oppure «ditto Nicolò Griego»389 o ancora
soltanto «Colombo»390.
Il Senato di Venezia elenca «filius Columbi et Ioannes Grecus»391 oppure «nepote del
Collombo»392.
L’ambasciatore estense a Venezia scrive «Colombo e Zoanne Greco»393.
Sempre il Senato di Venezia scrive «filio Columbi et Georgio Greco»394, «fiol de Colombo et
Zorzi Griego»395, «Columbo et Georgio Greco»396, «Georgium Greco et Columbum»397, e soltanto
«Georgio Greco»398.
Il capitano di Brescia scrive soltanto «Columbo»399.
Colombo il Giovane viene indicato una sola volta nella storia della corsa: nella battaglia di
agosto 1485, poi scompare. Perché lo definiscono famoso corsaro, archipirata illustre? È confusione
con il suo parente più anziano? O le cronache non ci dicono che buona parte delle azioni narrate in
precedenza sono (anche) opera sua?
Il fatto che le navi pirata siano 6-7 nel fatto dell’agosto 1485 e che Giorgio Greco ne avesse da
sempre comandato un tal numero, fa pensare che, alla morte di Colombo il Vecchio, egli avesse
adottato il soprannome di Colombo il Giovane, ma la confusione depone anche per la compresenza di
un Colombo parente del Vecchio, probabilmente al comando di una nave, l’ammiraglia, e insignito
della carica di viceammiraglio da parte del re. Probabilmente di nome Giovanni, da qui lo scambio di
nome fra Giovanni Colombo e Giorgio Greco. Nel 1476 non ci si sbagliò mai.
Nel 1485 le proteste di Ferdinando d’Aragona contro l’attacco di Colombo ammiraglio francese
(Colombo il Giovane) non riguardano Cristoforo Colombo, che si reca alla corte spagnola pochi mesi
dopo.
Nell’aprile 1486 le trattative fra Venezia e il re di Francia riguardo le galere e la merce rubata
da Colombo il Giovane e Giorgio Greco contemplano soltanto più Giorgio Greco, mentre il senato
veneto, sempre molto bene informato grazie alla sua rete di agenti, ha menzionato sia Colombo il
Giovane sia Giorgio Greco nelle lettere dal settembre 1485 al gennaio 1486400. Che fine ha fatto
385
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXXII.
386
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXXIV.
387
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXXV.
388
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXXVII.
389
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. LXXXIX.
390
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CXXII.
391
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XCI.
392
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. XCVIII.
393
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CIII.
394
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CIV.
395
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CV.
396
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CVII.
397
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CIX.
398
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CXIV.
399
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CXIX.
400
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. XCI-CIX.
36
Le ricerche colombiane in Portogallo
Colombo il Giovane? Non è a Honfleur? È morto? In alcuni documenti pare che il pirata sia in un porto
inglese, nazione ora amica della Francia, e soprattutto dei corsari di Honfleur, dopo l’incoronazione
di Enrico VII. In particolare, il senato di Venezia scrive il 2 dicembre 1485 all’ambasciatore a Londra
per il recupero del bottino401.
Indubbiamente i corsari di Honfleur sono comunque caduti in disgrazia nei confronti del nuovo
re di Francia Carlo VIII (appena quindicenne) e il re ha risarcito sia i reali spagnoli per assalti corsari
precedenti402 sia Venezia403. Bisogna anche considerare l’affronto al re nel settembre 1485, quando i
corsari gli disubbidiscono e non restituiscono il maltolto dell’assalto alle navi veneziane, addirittura
uccidendo uno degli inviati di Venezia con salvacondotto del re, e a fine 1485 quando i messi del re
tornano nuovamente a corte con un rifiuto da parte dei corsari404.
Continuando con la biografia dell’Ammiraglio del mare Oceano scritta dal figlio Fernando:
[...] avvenne che una gentildonna, chiamata Donna Filippa Mogniz, di nobil sangue, Cavalliera
nel Monasterio d’ogni Santi, dove l‘Ammiraglio usava di andare a messa [...] divenne sua Moglie [...]
se n’andarono a star con la Suocera [...] vedendolo essa [la suocera] tanto affezionato alla Cosmografia,
gli raccontò, come il detto Perestrello suo Marito era stato grand’uomo per Mare [...]405.
La Perestrello era figlia illegittima? Filippa, moglie di Cristoforo Colombo, è considerata figlia
di Isabela Monis e Bartolomeu Perestrelo I, capitano donatario dell’isola di Porto Santo, ma vi è
l’ipotesi che Filippa fosse una Monis della linea dell’Algarvia per parte di suo padre e non una
Perestrello406. Nei due testamenti di Diego Colombo, Dona Felipa non porta il cognome Perestrelo; vari
autori concludono che fosse figlia di Isabela, la quale sposò Bartolomeu Perestrelo successivamente407.
[...] perché l’intendere cotali navigazioni, e Istoria piaceva molto all’Ammiraglio, la Suocera
gli diede le scritture, e carte da navigare, che di suo marito gli erano rimase, perlocche l’Ammiraglio
si accese più, e s’informò degl’altri viaggi, e navigazioni, che allora i Portoghesi facevano per la Mina,
e per la costa di Guinea, e gli piaceva molto ragionar con quelli, che per quella navigavano [...]408.
[...] notava tutti gli indici, de’ quali ad alcune persone, e Marinari sentiva parlare [...]
indubitatamente venne a credere, che all’Occidente dell’Isole di Canaria, e di Capo Verde v’erano
molte terre [...]409.
Dunque il progetto non era ancora stato pensato prima del 1480/81?
[...] Andò ancora a cercar quest’Isola [degli Astori] un certo Diego da Tiene, il cui Pilota,
chiamato Pietro di Velasco, nativo di Palos di Molier in Portogallo [Spagna], disse all’Ammiraglio in
Santa Maria della Rabida, ch’essi partirono dai Fagial, e navigarono più di cento, e cinquanta leghe
per Libecchio, e nel tornare indietro scoprirono l’Isola de’ Fiori [...] Ciò fu poi di quaranta anni avanti,
che si scoprissero le nostre Indie. Ciò gli erano confermato dalla relazione fattagli da un marinaro
401
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CV.
402
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CXVIII.
403
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, doc. CXII.
404
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, docc. LXXXII e CX.
405
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 21.
406
H. HARRISSE, Christophe Colomb, son origine, sa vie, ses voyages, sa famille et ses descendants, Paris, 1884, pp. 279,
281 e 290-291.
407
L. HUGUES, Di alcuni punti controversi nella vita di Cristoforo Colombo a proposito di un lavoro recente del signor
Enrico Vignaud, Casale Monferrato, 1906, pp. 39-43.
408
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 22.
409
COLOMBO, Historie, cap. V, p. 23.
37
Peter John Mazzoglio
guercio nel porto di Santa Maria, il quale dissegli, che in un suo viaggio, fatto in Irlanda, vide detta
terra, che all’or pensava esser parte di Tartaria, che volgeva per l’occidente, la qual doveva essere
quella, c’or chiamiamo terra di Bacalaos [...] Con la qual cosa dice, che si confermava un Pietro di
Velasco Galego, il quale gli affermò nella città di Murcia in Castiglia, che facendo egli quel camino,
d’Irlanda, s’avvicinarono tanto al Morooste, che videro terra verso l’occidente d’Irlanda [...]410.
[...] un Maestro Paolo fisico di Maestro Domenico fiorentino, contemporaneo dell’Ammiraglio,
fosse cagione in gran parte, ch’egli con più animo imprendesse questo viaggio. Percioche, essendo
detto Maestro Paolo amico d’un Ferdinando Martinex, canonico di Lisbona, e scrivendosi lettere l’uno
all’altro sopra la navigazione, che al paese di Guinea si faceva, in tempo del Re Don Alfonso di
Portogallo, e sopra quella, che si potea fare nelle parti dell’occidente, venne ciò a notizia
dell’Ammiraglio, curiosissimo di queste cose: e tosto col mezo di Lorenzo Girardi Fiorent. ch’era in
Lisbona, scrisse sopra ciò al detto Maestro Paolo, e gli mandò una picciola sfera, scoprendogli il suo
intento [...]411.
Seguono due lettere di Paolo Toscanelli custodite nel carteggio di Cristoforo Colombo:
[...] Io ho ricevuto le tue lettere con le cose, che mi mandasti, le quali io ebbi per gran favore,
ed estimai il tuo desiderio nobile, e grande, bramando tu di navigar dal Levante al Ponente, come per
la carta, ch’io ti mandai, si dimostra, la quale si dimostrerà meglio in forma di sfera rotonda [...]412.
[...] conoscendo, così fatta impresa non convenirsi, se non a Principe, che potesse farla, e
sostentarla, volle [l’Ammiraglio] proporla al Re di Portogallo, per l’abitazione, che quivi aveva. E,
benché il Re Don Giovanni, che all’or regnava ascoltasse con attenzione quel che l’Ammiraglio gli
proponeva nondimeno si mostrò freddo in accettar la sua proposta [...]413.
Cristoforo Colombo non propose mai il suo progetto ad Alfonso V, è anche vero che dal 1476 il
principe Giovanni divenne re anche se temporaneamente.
[...] detto Re, consigliato da un Dottor Calzadiglia, di cui molto egli confidava, deliberò di
mandare una Caravella secretamente, la qual tentasse ciò, che l’Ammiraglio offerto gli aveva;
percioche, trovandosi in cotal modo le dette terre, gli parea di non esser tenuto ai gran premi, che gli
chiedeva alcuno per lo scoprimento loro. E così con ogni brevità, e secreto, armata una Caravella,
fingendo di voler mandarla con vettovaglie, e soccorso a quelle, che erano nelle Isole di Capoverde,
la mandò verso l’Ammiraglio s’era affetto di andare. Ma, percioche a quelli, che mandò, mancava il
sapere, e la costanza, e la persona dell’Ammiraglio, dopo essere andati per molti giorni vagando per
mare, rivoltisi all’Isole di Capoverde, se ne ritornarono, ridendosi dell’impresa, e dicendo che era
impossibile, che per quei mari terra alcuna si ritrovasse il che essendo venuto a notizia all’Ammiraglio,
ed essendogli già morta la moglie, prese tanto odio a quella Città, e nazione, che deliberò di andarsene
in Castiglia con un figliuolino, rimaso a lui della moglie, chiamato Diego Colon; che dopo la morte
del padre nel suo stato successe. Ma temendo, se parimente il Re di Castiglia non assentissero alla sua
impresa, non gli bisognasse proporla di nuovo a qualche altro Principe, e così in ciò passasse lungo
tempo, mandò in Inghilterra un suo fratello, che aveva appresso di sé chiamato Bartolomeo Colon: il
qual quantunque non avesse letter Latine, era però uomo prattico, e giudicioso nelle cose del mare, e
sapea molto bene far carte da navigare, e sfere, e altre instromenti di quella professione, come
dall’Ammiraglio suo fratello, era instrutto. Partito adunque Bartolomeo Colon per Inghilterra, volle
la sua sorte, che desse in mano di Corsali, i quali lo spogliarono insieme con gli altri della sua nave.
410
COLOMBO, Historie, cap. VII, pp. 44-45.
411
COLOMBO, Historie, cap. VII, p. 30.
412
COLOMBO, Historie, cap. VII, p. 36.
413
COLOMBO, Historie, cap. XI, p. 60.
38
Le ricerche colombiane in Portogallo
Per la qual cosa, e per la sua povertà, e infermità, che in così diverse terre lo assalirono crudelmente,
prolungò per gran tempo la sua ambasciata, fin che, acquistata un poco di facoltà con le carte, ch’ei
fabricava, cominciò a far prattica col Re Enrico settimo, padre d’Enrico Ottavo, ch’all’ora regnava: a
cui appresentò un Mappamondo [...]414.
Fernando Colombo scrive che Bartolomeo Colombo disegnò un mappamondo a Londra nel
1480 (che vide personalmente fra le carte di famiglia) e che lo consegnò al re Enrico VII, ma in
quell’anno regnava Edoardo IV. Il Las Casas (1875) indica che tale carta è datata 1488, a questo punto
l’anno scritto da Fernando va considerato un refuso e le vicende si collocano in un periodo di tempo
più consono. Considerando che Bartolomeo dev’essere partito per l’Inghilterra nel 1484 circa e vi
rimase almeno fino al 1490 (probabilmente fino al 1493), è possibile che avesse presentato il progetto
insieme al mappamondo a Enrico VII (re dal 1485) in un periodo successivo al 1488.
Alessandro Geraldini, vescovo amico di Colombo, scrive in Itinerarium ad regiones sub
equinoctiali415 che Colombo presentò il suo progetto prima in Francia, poi in Inghilterra e in seguito
in Portogallo. Lo stesso dice Fernando416 e perfino Cristoforo417. Ma nelle prime due nazioni fu
Bartolomeo a farlo418?
[...] Ma tornando al Re d’Inghilterra, dico, che da lui il Mappamondo veduto, e ciò che
l’Ammiraglio gli offeriva, con allegro volto accettò la sua offerta, e mandollo a chiamare. Ma percioche
Dio l’aveva per Castiglia serbato, già l’Ammiraglio in quel tempo era andato, e tornato con la vittoria
della sua impresa [...]419.
Dunque Enrico VII si decide quando le Indie furono già scoperte, ovvero nel 1493. È probabile
che Bartolomeo lo avesse contattato poco prima, o perlomeno fosse riuscito nel suo intento soltanto
pochi mesi prima. Ovviamente Bartolomeo ritornerà subito in Spagna a portare la notizia al fratello.
Facciamo, però, un passo indietro:
[...] nel fine dell’anno 1484 col suo figliuolino Don Diego si partì (l’Ammiraglio) segretamente
di Portogallo per paura d’essere impedito dal Re; percioche, conoscendo, quanto gli mancarono quelli,
che egli aveva con la Caravella mandati, voleva ridurre alla sua grazia lo Ammiraglio, e desiderava
ch’egli tornasse alle prattiche dell’impresa [...] Lasciato adunque il figluolo in un monastero di Palos,
chiamato la Rabida, se n’andò tosto alla corte dei Re Cattolici, ch’allora era a Cordova [...]420.
Non è chiaro il motivo della partenza di Cristoforo Colombo dal Portogallo. Aveva già contratto
debiti a Lisbona ed era partito dal Portogallo già a fine 1483 (evento che il figlio Fernando non cita)
e vi ritorna nella seconda metà del 1484. Nel 1483 si interrompono apparentemente le sue attività
marittime fino al 1492.
Se dovessimo dare credito alle parole di Fernando relativamente alla battaglia navale del 1485
e ai passati corsari del padre in compagnia di Colombo il Giovane, suo padre potrebbe aver partecipato
all’attacco corsaro del 1485. Avvenne in agosto e Cristoforo Colombo era male in arnese. Fino a
maggio di quell’anno è attestato a Lisbona421 e, conoscendo bene i Colombo corsari che hanno base
nella capitale portoghese, perché non tentare ancora la fortuna sul mare? Peccato che vada male
414
COLOMBO, Historie, cap. XI, pp. 61-62.
415
A. GERALDINI, Itinerarium ad regiones sub aequinoctiali plaga constitutas, Roma, 1631, lib. XIV.
416
COLOMBO, Historie, cap. XII.
417
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. XXVI, 1, p. 250.
418
COLOMBO, Historie, cap. X, p. 63.
419
COLOMBO, Historie, cap. XI, p. 63.
420
COLOMBO, Historie, cap. XII, p. 64.
421
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 51.
39
Peter John Mazzoglio
l’impresa di rivendere a Lisbona il bottino. Non resta che tornare in Spagna a insistere presso la corte
e, finalmente il 20 gennaio 1486, ricevere le prime sovvenzioni. Quanto detto è pura fantasia? Chissà?
Cristoforo Colombo, nel 1487 e 1488 in Andalusia e soprattutto a Siviglia, vendeva libri (e carte
geografiche?)422. Aveva già svolto quest’attività in passato, insieme a Bartolomeo, cartografo in
Portogallo prima del 1484?
[...] Mentre che ciò (l’impresa delle Indie) si trattava i Re Catolici non erano stati sempre saldi
in un luogo per cagion della guerra, che in Granata facevano. La onde fu differita per lungo tempo la
risoluzione, e risposta. Onde lo Ammiraglio se ne venne a Siviglia [...] propose di render conto della
sua impresa al Duca di Medina Sidonia. Ma dopo molte prattiche, vedendo, che non v’era modo di
poter concludere, si come ei bramava, in Spagna, e che tardava troppo a dare effetto alla sua impresa,
deliberò d’andare a trovare il Re di Francia, al quale gli aveva scritto sopra questo, con proponimento,
se quivi non fosse udito, di andar poi in Inghilterra a cercare il fratello, del quale non aveva novella
alcuna. E con tal deliberazione se n’andò alla Rabida, per mandar Don Diego suo figliuolo, quivi da
lui lasciato, a Cordova, e seguir poi il suo camino [...]423.
[...] per lo desiderio, che dall’altra parte era in lui di donar questa impresa a Spagna, si acquetò
al volere, e a’ preghi del Frate [Gian Perez] percioche parea a lui veramente d’esser naturale oggimai
della Spagna, per lo gran tempo, che vi era stato, mentre aveva atteso a cotal sua impresa, e per avere
ancora acquistati figliuoli in essa [un figlio da Beatrice Enriquez: Fernando, per quanto ne sappiamo].
Il che fu cagione, ch’egli avea rifiutate le altre offerte, che gli altri Principi gli avevano fatte, si come
egli riferisce in una sua lettera scritta alle loro Altezze, dicendo così: Per servir le Altezze vostre io non
hò voluto impacciarmi con Francia, né con Inghilterra, né con Portogallo, de’ quali Principi le Altezze
vostre videro le lettere per mano del Dottor Vigliallano [...]424.
[...] essendo egli [l’Ammiraglio] così sventurato in ciò, e sì desideroso, come hò detto, di
rimanere in questi regni, essendo ridotto in tempo, ed in stato, che di qualunque cosa, e partito dovea
contentarsi, fu animosissimo in non voler accettar, se non grandi titoli, e stato [...] e le Altezze loro non
volendo concederle, l’Ammiraglio tolse commiato da’ suoi amici, e se n’andò alla volta di Cordova
per dare ordine alla sua andata in Francia, percioche in Portogallo s’era già risoluto di non voler tornare,
ancora che il Re ne avesse scritto [...]425.
[...] Essendo già entrato il mese di Genaio dell’anno 1492, lo stesso giorno, che l’Ammiraglio
partì da S. Fede, percioche frà gli altri, a chi dispiaceva la sua partita, Luigi di S. Angelo [...] andò a
tornar la Reina [...] per persuaderla [...] l’Ammiraglio non chiedeva altro, che 2500 scudi, per metter
l’armata in ordine, e però, accioche non si dicesse, che la paura di sì poca spesa la riteneva, non dovea
in modo alcuno abbandonar quella impresa. Alle quali parole la Catolica Reina, conoscendo il buon
desiderio del Santo Angelo, rispose, ringraziandolo del suo buon consiglio, e dicendo ch’era contenta
di accettarlo con patto, che si differisse la essecuzione, fin che rispirasse alquanto da’ travagli di quelle
guerre. E quando pur’anco altro a lui paresse, contentava, che sopra le gioie della sua camera si
cercasse imprestito della quantità dei denari necessari per far detta armata. Ma Santo Angelo, veduto
il favor fattogli dalla Reina in accettar per suo consiglio quel, che per consiglio d’ogni altro avea
422
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 77.
423
COLOMBO, Historie, cap. XII, p. 68.
424
COLOMBO, Historie, cap. XII, p. 69.
425
COLOMBO, Historie, cap. XIII, pp. 70-72.
40
Le ricerche colombiane in Portogallo
rifiutato, rispose, che non facea misterio d’impegnar le gioie, percioche egli farebbe lieve servizio a
sua Altezza imprestandole i suoi denari. E con tal risoluzione la Regina spedì tosto un capitano per le
poste, per far tornar a dietro l’Ammiraglio. Questi arrivollo presso alla porta di Pivos due leghe da
Granata lontano; è, quantunque l’Ammiraglio si dolesse delle dilazioni, e difficoltà, che nella sua
impresa aveva trovate, nondimeno informato della determinazione, e volontà della Reina, tornò a
dietro a Santa Fede, ove fu ben veduto da’ Re Catolici, e subito fu commessa la sua capitolazione, ed
espedizione al Secretario Giovan di Coloma, il quale per commandamento di loro Altezze, e con la lor
real sottoscrizione, e sigillo gli concessero, consegnò tutti i Capitoli, e clausule, che di sopra habbiamo
narrato essere state da lui dimandate, senza, che ne levasse, ò mutasse cosa alcuna [...]426.
[...] Conceduti adunque da’ Serenissimi Re Catolici all’Ammiraglio i Capitoli sopradetti, egli
subito a’ 12 di Maggio del detto anno 1492 partì di Granata per Palos, che è il porto dove egli aveva
a far la sua armata, per esser quella terra obligata a servir le loro Altezze tre mesi con due Caravelle
le quali commandarono, che fossero date all’Ammiraglio. Queste, e un altro naviglio egli armò con la
sollecitudine, e diligenza necessaria, la Capitana nella quale el montò si chiamò Santa Maria, l’altra
fu nominata la Pinta, della quale era capitano Martino Alonzo Pinzone, e della Nigna che era Latina,
e l’ultima, era capitano Vicenzo Agnez Pinzon fratello del sopradetto Alonso della sopranominata terra
di Palos. Essendo elleno adunque fornite di tutte le cose necessarie con novanta, uomini a’ tre di Agosto
all’apparir del giorno fecero vela alla dritta verso le Canarie [...]427.
Nel periodo 1468-1479 Martin Alonso Pinzón di Palos, che comandò la Pinta, fu in guerra con
1-3 navi contro i Portoghesi. Era corsaro anche Vincenzo Yáñez Pinzón, suo fratello, che comandò la
Niña428. Che non corresse buon sangue fra i Pinzón e Cristoforo Colombo lo si legge nel Giornale di
Bordo del primo viaggio. Può essere che ciò riguardasse i trascorsi corsari di tutti e tre?
426
COLOMBO, Historie, cap. XIV, pp. 72-75.
427
COLOMBO, Historie, cap. XV, pp. 75-76.
428
C.F. DURO, Los hermanos Pinzón, Buenos Aires, 1944. F. MORALES PADRÓN, História del descrubrimiento y conquista
de América, Madrid, Nacional, 1971, p. 84.
429
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. II, pp. 115-116. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 65.
430
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. LXVI, p. 347. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 2.
431
LAS CASAS, História de las Indias.
432
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. XLV, pp. 289-290. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 12.
433
LAS CASAS, História de las Indias.
434
MUSSO, Viva el Duca, pp. 65-71. RIBALDONE, Palabra maravillosa, p. 25.
435
COLOMBO, Historie, cap. IV, p. 15.
41
Peter John Mazzoglio
436
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. LXXXIX, p. 380. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 18.
437
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. XCIII, pp. 386-387.
438
RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 29.
439
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. XXIV, p. 225.
440
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. LXXXIX, p. 380. RIBALDONE, Palabra maravillosa, doc. 18.
42
Le ricerche colombiane in Portogallo
441
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. XLII, pp. 283-284.
442
VARELA (a cura di), Gli scritti, doc. XCIII, pp. 386-387.
443
D. ROSCELLI, Cristoforo Colombo, archeologia della scoperta. Foggia, Bastogi, 2006, p. 218.
444
O. DE POLI, Les Colomb au service de France. Paris, Annuaire du Conseil Héraldique de France, VI, 1893, p. 50.
445
F. CICILIOT e M. MACCONI, Il quinto centenario della morte di Cristoforo Colombo. «Atti e Memorie», n.s. XLIII (2007),
Savona, Società Savonese di Storia Patria, 59-68.
446
http://home.casema.nl/r.vanderkrogt/columbus_gallery/portraits3.html
43
Peter John Mazzoglio
L’unica conclusione che si può trarre da quest’ultimo, infelice, capitolo della storia colombiana
è che occorre continuare con umiltà le ricerche negli archivi e sperare di rinvenire molti nuovi
documenti chiarificatori su chi fossero questi Colombo corsari, come si chiamassero, da quali famiglie
provenissero, e, ovviamente, quali legami avesse avuto con essi il nostro Scopritore prima del suo
periodo portoghese e, per quanto ci interessa in questa sede, durante la sua permanenza in Portogallo.
Carta che riporta i luoghi citati nel testo. I cerchi indicano le aree in cui, per quanto se ne sappia,
si sono svolte le battaglie che hanno coinvolto i corsari Colombo il Vecchio e Colombo il Giovane
44
GABRIELLA AIRALDI, Università di Genova
45
Gabriella Airaldi
secoli titolari dell’ammiragliato portoghese. Come Lisbona anche Siviglia, Cadice, Cordoba, Valencia,
Malaga, Jerez de la Frontera pullulavano di grandi nomi e piccoli nomi genovesi. Ventotto “alberghi”
genovesi avevano piantato là le loro radici, con i loro uomini e le loro attività, con terre e titoli in
Portogallo e in Castiglia fin dalla prima età basso medievale, pur restando bene ancorati all’economia
dell’area islamica, a Malaga e a Granada.
In effetti, in ognuno dei luoghi dove era stato nel corso della sua vita Colombo aveva sempre
trovato “un’altra Genova” (definizione coniata già nel Trecento dall’Anonimo poeta genovese) e cioè
un sistema che gli era familiare. Ogni volta si era trovato come a casa sua, uguali le regole, uguali i nomi.
E così l’Ammiraglio aveva voluto che diventasse l’Española, che egli interpretava come una nuova
“testa di ponte”, destinata ad offrire un’opportunità in più a quei liguri che, trapiantati nelle varie parti
del mondo, ne aveva create a decine fino a dar vita – tra Cinque e Seicento – al “secolo dei genovesi”.
A dare ascolto a qualche voce spagnola del tempo, l’intenzione sua e dei genovesi non era stata
nemmeno troppo nascosta né Colombo, strumento consapevole delle potenti lobby genovesi sparse
dappertutto si era mai preoccupato di nasconderla. Lo attestavano le Capitolazioni di Santa Fe,
chiarissime nel regolare, tramite lui, il passaggio del mercato nelle isole “descubiertas e por descubrir”.
Ad un certo momento però la Corona castigliana, che da secoli conosceva bene il funzionamento del
sistema genovese e i progetti e le pretese della grande lobby locale (non per nulla esisteva a Siviglia
un “Libro dei privilegi” soltanto per i genovesi e non per le altre comunità mercantili) e la forza del
grande network di riferimento, aveva cercato di stringere i freni e di limitare la sua azione e quella degli
importanti clan genovesi che lo avevano sostenuto. Essi, abituati a un’attenta politica del segreto,
avevano agito con la prudenza di sempre anche nell’impresa americana, seguendolo però sempre nei
suoi viaggi e innestando subito oltre Oceano (come già avevano fatto nelle isole atlantiche) qualcuno
dei membri delle famiglie di gran nome, Cattaneo e Grimaldi tra i primi. Alla fine la Corona aveva
addirittura imbastito un processo – nel 1500 – per frenare almeno in parte una dinamica che, nelle
novità emergenti e sfuggenti, proponeva panorami nuovi e diversi. Ma la dinamica era ormai
inarrestabile, anche se al momento gli uomini dell’élite capitalista avrebbero dovuto far buon viso a
cattivo gioco. Colombo era stato bloccato, ma loro, detentori di capitali estremamente necessari alle
Corone europee, non si sarebbero certamente fermati. Come in effetti accadde.
Appare chiaro però che Colombo intende difendersi. La corrispondenza degli ultimi anni è
rivelatrice: le sue lettere lasciano intendere una certa disponibilità a passare ad altri le sue preziose
informazioni o, addirittura, la sua stessa persona. Dopotutto non è forse vero che l’Ammiraglio aveva
in gioventù servito Renato d’Angiò? Ad eccezione del caso dei Pessagno, è normale per gli ammiragli
genovesi, assai richiesti in questa funzione, trasferire i loro servizi, i loro uomini e le loro navi dall’una
all’altra Corona. Era capitato con i Normanni, con lo svevo Federico II; poi con le Corone portoghesi,
francesi e infine con la Corona castigliana. Ma non erano solo gli ammiragli a muoversi liberamente
tra diverse Corone. Lo dimostravano i comportamenti di Antonio da Noli, colonizzatore delle isole
capoverdiane, che a sua volta aveva oscillato tra Castiglia e Portogallo.
D’altra parte nel 1499, onde porre un temporaneo limite alle loro abituali risse interne, i genovesi
di Genova si erano ricollocati all’ombra della corona francese, il che mutava nuovamente il quadro.
Qualche anno dopo sarebbe asceso al soglio pontificio ancora una volta un savonese, Giulio II, l’amico
cardinale Giuliano, con il quale Colombo aveva forse operato in gioventù a sostegno dell’angioino roi
René contro Napoli aragonese.
Come molti altri genovesi e liguri, Colombo aveva navigato dappertutto, alternando azioni di
guerra e azioni di pace, atti pirateschi e corsari ad attività commerciali. Guerriero e mercante, Colombo
era stato forgiato dalle regole di un sistema allora celebrato per l’abilità dei suoi uomini nelle arti
marittime e navali e nella guerra sul mare. Un sistema particolare, che obbediva a regole duttili e
rigide al tempo stesso, sennò lui non sarebbe mai diventato ammiraglio del mare Oceano della Corona
castigliana. Era questo il suo vero titolo, quello per il quale era diventato anche viceré e governatore.
Un titolo che era per lui e di fronte al mondo, prima di tutto e soprattutto, un riconoscimento di identità
46
Colombo, l’uomo dei genovesi
come lo era stato per i Pessagno e per molti altri prima di lui e di loro; un titolo che riconosceva ai
“signori della repubblica internazionale del denaro” il carattere più originale della loro identità, la
capacità di dominare il mare, la titolarità di una sorta di “mestiere delle armi”, che consentiva di fare
insieme mercato e guerra, un altro “monopolio” per il quale i genovesi erano famosi e ricercati.
Per questo ora la memoria di Colombo oscillava tra Genova e l’Española. Come ha detto molto
tempo fa Roberto Lopez, la storia di Genova non è chiusa tra le sue mura, la storia di Genova è storia
dei genovesi; la storia di Genova sta nelle “atre Zenoe”, diverse una dall’altra, che essi creano in tutto
il mondo, rivelando la forza del loro sistema, solido ed elastico. In realtà Colombo non era mai stato
un uomo solo, nessun genovese lo era mai, e a maggior ragione quando era lontano da Genova. La rete
spinge e potenzia l’individuo, ne sostiene capacità e volontà.
Colombo aveva lasciato definitivamente Genova ormai da quasi trent’anni o forse da molto più
tempo, allontanandosene per mesi e mesi o per anni, fin da quando aveva preso a navigare “in
giovanissima età”, forse attorno ai quattordici anni o forse prima. Tanto duravano allora e tanto
sarebbero durati, al tempo della navigazione a remi e a vela, i viaggi sulle rotte dei genovesi anche per
i ragazzini che venivano imbarcati. Prima però aveva cominciato a lavorare con il padre Domenico,
lo dicono le molte testimonianze notarili, e con i suoi fratelli, tessendo lana nella piccola bottega sotto
casa, in prossimità dell’antica porta di Sant’Andrea, dove la famiglia si era trasferita, quando lui aveva
pochi anni, da un’altra abitazione in città.
La vita degli artigiani genovesi e liguri era assai modesta e nel loro ambito non esistevano certo
le solidarietà ricche e fortunate dei grandi “alberghi aristocratici”, grandi famiglie-azienda, che, nei
secoli, guidando dal punto di vista politico ed economico le scelte del Comune genovese, avevano
costruito un network mondiale di rara potenza, dal quale dipendevano pure le “arti”, per le quali
esistevano di fatto solo solidarietà di carattere corporativo e assistenziale. Ma se per medici e speziali,
giudici e notai la ricchezza era assicurata, in un sistema votato esclusivamente al mercato e alla finanza,
il resto delle “arti” se la passava molto modestamente, sicchè non era inusuale, anzi era molto comune
(lo dimostrano i ruoli d’imbarco), che qualche membro della famiglia finisse per andare per mare,
sporadicamente o definitivamente. Il movimento umano intorno al grande porto era intenso, favorito
da un naviglio costantemente in mano privata e dalle fervide dinamiche portuali che interessavano
anche la Riviera, a partire dalla vicina attivissima Savona e dai minori porti, come Noli, Varazze,
Cogoleto e Recco, dove si formavano maestranze molto ricercate all’estero, in grado di mettere a
punto natanti perfetti per il cabotaggio come per la navigazione d’altura. I liguri si erano orientati e
formati progressivamente a questa attività, soprattutto a partire dalla fine dell’XI secolo, quando una
convergenza di interessi verso il Mediterraneo aveva spinto le frammentate forze dell’Europa
occidentale a fare di Genova il loro porto principale. Da quel momento in poi il Mediterraneo
occidentale era diventato la “porta” dell’Oceano.
Fin dal 1493, quando gli ambasciatori genovesi, tra cui c’era un interessatissimo Grimaldi,
avevano portato a Genova la notizia del rientro di Colombo dal primo viaggio, la presenza dei suoi
conterranei più o meno importanti attorno a lui si era infittita, palesandosi infine in tutta la sua forza.
E non è un caso che, anche nel momento estremo, Colombo abbia accanto un genovese, Bartolomeo
Fieschi, un personaggio che porta un nome che da solo già è sufficiente per raccontare tutta intera la
storia dell’Ammiraglio.
Con Bartolomeo Fieschi l’Ammiraglio ha condiviso i momenti più duri. La presenza del Fieschi
è stata costante, testimoniando già di per sé la presenza della “cupola” dei genovesi, che ne segue
costantemente le vicende dalla nascita alla morte. Non a caso, nel corso dell’ultimo, tormentato
soggiorno alla Giamaica, Colombo scrive a Nicolò di Ovando: “Tambien os pido pro merced que ayàis
Diego Mendez de Segura muy encomandado y a Flisco que es tan deudo mio y que sale de los
principales de su tierra”. Il senso profondo di queste parole si coglie soprattutto nel termine “deudo”,
da intendere in questo caso non nel significato più ovvio di “parente”, ma in quello di “sostegno” o
“appoggio” e da collegarsi all’espressione “que sale de los principales de su tierra”.
47
Gabriella Airaldi
Bisogna dunque rileggere il progetto di Colombo alla luce di un panorama più ampio; non
fermarsi soltanto sui dinieghi ricevuti in Portogallo da lui e in Francia e Inghilterra dal fratello
Bartolomeo, ma considerare gli aiuti che lui e la sua famiglia, più o meno apertamente, ricevono in
ogni momento. Il suo viaggio rientra in una prassi di investimenti consueti in quell’area; tutti infatti
ne parlano tranquillamente e dappertutto, le lobby che formano il potente network genovese sono forti
e nessuno ha qualcosa da obiettare. Non a caso Colombo può tranquillamente riprendere i rapporti
come e quando vuole con il re portoghese, avere contatti abituali con la nobiltà andalusa, buone
relazioni coi mercanti fiorentini e ovviamente con le grandi famiglie della sua terra, sempre bene
attente a ogni mutar di vento. Colombo può far riferimento alla potente accoppiata Santángel e Pinelli,
un converso e un genovese, quest’ultimo parente dei potenti Centurione, del papa Cybo – il genovese
Innocenzo VIII –. Un uomo e un clan potente e protetto a tutti i livelli, che manovra anche capitali
derivanti dalla gestione comune delle entrate della “cruzada” voluta dal savonese Sisto IV della Rovere,
imparentato con i Fieschi. Colombo può contare su una Curia romana dominata dai Fieschi e dai loro
amici, avere relazioni costanti con i loro alleati Grimaldi, Cattaneo, Interiano, Doria, Spinola, Gentile,
Calvo, e poi con i Rivarolo, gli Oderico, i Gallo, vecchie e nuove famiglie tutte a loro legate. Non a
caso nel suo stemma compare la banda azzurra fliscana. Bartolomeo Fieschi, più tardi conosciuto a
Genova come “Bartolomeo delle Indie”, nipote della santa Caterina Fieschi Adorno, appartiene a una
grande famiglia che a quel tempo si gioca con i Doria il primato della storia genovese e internazionale.
Grandi uomini d’affari e feudatari potentissimi, ammiragli famosi, ricchi di molte decine di cardinali
e di due papi, i Fieschi sono presenti e attivi in tutte le corti europee e non solo nella finanza
internazionale, come capita alla trentina di altri nomi presenti a quel tempo negli stessi ambiti, che nella
loro costante presenza a fianco di Colombo ancora una volta dimostrano quanti volti abbia il potere
della “repubblica genovese del denaro” e come esso si sia dipanato nei secoli fino a oltrepassare
l’Oceano, accompagnando le prime esperienze nel Nuovo Mondo.
Quando Colombo sta per morire, i Cattaneo e i Grimaldi si sono già installati a Santo Domingo
così come i Centurione che, poco più tardi, celebreranno nel loro palazzo genovese le glorie del loro
itinerario colombiano. Dall’inizio del XII secolo, i genovesi e i liguri sono pronti al grande balzo. Ora
il grande balzo è compiuto e, una volta di più, si è ampliato l’orizzonte. Colombo ha seguito un
comportamento inscritto ormai da secoli nei geni dei liguri. Si è comportato come si sono comportati
i suoi antenati, seguendo le stesse formule, credendo in una geografia tradizionale, ma continuando a
navigare acque malnote; mettendo in pratica ancora una volta il comportamento abituale dei genovesi
fin dal Mille, quando il magister Ogerius era andato con i suoi uomini a costruire galee per il vescovo
di Santiago di Compostela, negli stessi anni in cui Guglielmo Embriaco e suo fratello Primo – come
racconta il mito delle origini – avevano volontariamente distrutto le loro due galee sulla costa prossima
a Gerusalemme, intenzionati a imprese destinate ad andare ben oltre la liberazione del Santo Sepolcro,
verso le lontane fonti di approvvigionamento delle spezie e il loro controllo strategico.
Ma a Genova e in Liguria espansione e conoscenza del mondo non sono mai stati patrimonio solo
di un’élite, anche se dall’élite appartiene la scelta di fondo destinata a caratterizzare e condizionare la
vicenda genovese e ligure nella storia. Va subito detto infatti che, in questa spinta operativa, genovesi
e liguri, nomi maggiori o minori, sono stati una cosa sola; che sul mare è scattata e si è realizzata una
solidarietà più larga, che le avventure di chi vive tutte le esperienze a bordo della stessa nave, hanno
contribuito a rafforzare. È questa solidarietà, peculiare dei genovesi e dei liguri, una caratteristica
originale e decisiva per capire perché Colombo riesce ad arrivare in America..
Bartolomeo Fieschi e Colombo, un uomo la cui famiglia ha le sue radici nella fliscana
Fontanabuona, sono il vertice e la base di un sistema silenziosamente costruito nei secoli; un sistema
che non ha nulla a che vedere con le gloriose imprese mercantili di fiorentini, veneziani, milanesi,
tedeschi di potenza specifica vivace, ma molto minore, come dimostrano nell’età di Colombo i Medici
e i Fugger. Per i genovesi i fattori di successo sono altri: il numero e la precocità delle loro presenze
nel mondo secondo un sistema che, mettendo sempre al centro la grande famiglia e piegandola alle
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Colombo, l’uomo dei genovesi
crescenti esigenze dell’economia di mercato, sa come muovere capitali e uomini, sfruttandone appieno
le capacità e le potenzialità. In realtà, come capita pure a genovesi allora più famosi di lui, il nome di
Colombo fluttua inafferrabile tra i vuoti e i pieni di una documentazione, che sembra fatta apposta per
renderne incerta l’identità; un’incertezza che però trova le sue ragioni anche nelle due componenti-base
del “canone genovese”: il funzionamento inesorabile del network, in cui ogni cellula svolge un ruolo
multiplo e variabile; il collegamento continuo e indispensabile con quello che per i genovesi resta
sempre lo strumento “virtuoso” per eccellenza, ossia il mare. Si tratta di un rapporto costante, giocato
su più formule: di un mare perfettamente dominato sul piano tecnico, che la “più atlantica delle città
italiane” domina con sicurezza nel momento stesso in cui si immette nell’economia mondo, cioè dalla
fine del Mille, quando già entra in contatto anche con l’Atlantico e le culture che vi si affacciano.
Il nome di Colombo richiama dunque necessariamente una serie di altri nomi. Il primo e più
importante è quello dei Fieschi, costantemente presenti nella Curia romana e nell’apparato ecclesiastico
internazionale nonché nelle più importanti Corti europee. Occorre anche ricordare che, fin dal tempo
di Innocenzo IV, il grande clan è pienamente inserito in ambito occidentale e orientale e si segnala per
una fitta presenza nelle corti inglese e francese, sicché non è difficile capire perché i fratelli Colombo
e poi i figli dell’Ammiraglio possano godere di protezioni ampie e diffuse. In realtà il rapporto con i
Fieschi parte da lontano, nelle zone originarie del ramo dei Colombo al quale appartiene Cristoforo.
I Fieschi, pure inurbatisi a Genova fin dal XII secolo, mantengono sempre le radici della loro forza
nell’ampio territorio del Levante genovese e ligure, in cui si concentra la maggior parte dei loro beni
terrieri con ampie propaggini nell’area padana e nel Parmense, ciò che consente loro per secoli il
controllo di un grande fascio di vie di comunicazione. Assieme con quelli dei Doria, dei Grimaldi e
degli Spinola, il nome dei Fieschi – spesso filo francesi – ha un rilievo particolare nella rassegna dei
grandi “clan”, che manovrano le fila della politica genovese come potere-ombra, alle spalle dei dogi
popolari, di più recenti origini e fortune, come gli Adorno e Fregoso, in alleanza temporanea o
prolungata con Milano, il regno di Francia e poi, in maniera sempre più evidente e definitiva, con la
Corona spagnola. In questa chiave vanno lette le altalenanti vicende della famiglia Colombo.
Ma quando ci si sofferma sulla figura di Bartolomeo Fieschi, i dati sono scarsi e rarefatti, anche
se, diversamente da Colombo, l’uomo appartiene ad un clan importante, famoso per ricchezza e potere.
Di fatto però, nel sistema genovese, come Colombo anche Bartolomeo è solo un piccolo tassello, uno
dei tanti che sostengono il grande network. La sua fortuna individuale coincide con la fortuna del suo
clan; e quella del suo clan si identifica con quella della grande rete a cui appartiene. Al di là della pur
forte tutela familiare, anche un Fieschi deve costruire in prima persona il proprio destino. Il canone
genovese non ammette cedimenti né consente che si viva di sola rendita, neppure se si appartiene al
più alto ceto sociale. La “cupola” genovese è un sistema solidissimo che, sotto la guida dei grandi
clan familiari, abbraccia le famiglie minori, gli affini e gli amici, guida e protegge i più deboli, in una
catena di solidarietà verticali e trasversali, che saldano la grande rete e la rendono elastica e adattabile.
Nessuna frontiera la ferma. Infatti i genovesi le superano tutte fino ad arrivare per primi anche in
America. Operano senza remore, senza limiti e pregiudizi, secondo una regola non scritta, ma che
tuttavia non ammette deroghe. La “cupola genovese”, da sempre creditrice e privilegiata partner della
Corona castigliana così come lo sarà poi dell’Impero spagnolo, agisce indubbiamente alla luce della
guerra e del commercio, ma lavora preferibilmente nei più bui e riservati meandri della finanza; si
muove silenziosamente, come capita a chiunque basi le sue fortune sul capitale e sull’investimento;
disposta a rivelarsi soltanto in casi estremi, quando la pressione esterna per qualche ragione lo richieda.
Dunque è davvero un’inutile operazione cercare di misurare, come ancora oggi si fa, la quantità di
denaro investita dai genovesi nei viaggi di Colombo, trascurando questa linea di fondo. Occorre invece
prendere in esame tutte le sfumature di un rapporto triangolare, tener conto delle diverse forze in
gioco, del peso specifico e concreto di ognuna di esse nel momento dato.
Nel caso di Colombo sappiamo che, ad un certo punto, la tensione cresce talmente che, a causa
dell’entrata del Nuovo Mondo nella storia europea, per un attimo sembra che persino i tradizionali
49
Gabriella Airaldi
buoni rapporti tra genovesi e castigliani si incrinino, come appare evidente nell’inchiesta-processo
all’Ammiraglio e nelle parole veementi dei francescani di Cisneros contro di lui e contro i genovesi
all’Española. Tuttavia anche questo delicato momento che, in definitiva, colpisce però soltanto il
vertice più sensibile del triangolo, ossia l’individuo Colombo, non indebolisce i programmi della rete
genovese né i risultati della sua ennesima operazione atlantica. Tanto è vero che, come si è detto, dalla
collaborazione tra i genovesi e l’Impero spagnolo prenderà vita il famoso “secolo dei genovesi”.
Solo dopo la “caduta” di Colombo, e soltanto dagli atti da lui compiuti e nelle parole da lui stese
alla fine della vita, al di là del silenzio che ormai sembra avvolgerlo, si può cogliere perfettamente la
forza della presenza genovese e la qualità del suo investimento sull’uomo e sull’impresa. Nel codicillo
del 19 maggio 1506, oltre al nome di Bartolomeo Fieschi, l’uomo che sta sempre al suo fianco, tra i
nomi dei creditori ricordati ci sono quelli di Battista Spinola, genero di Luigi Centurione Scotto e
quello di Paolo di Negro, protagonisti della diatriba sullo zucchero madeirense, ricordata nell’atto
notarile genovese del 1479, in cui Colombo, a Genova per essere sentito come persona informata dei
fatti, dichiara di avere allora “all’incirca ventisette anni”. Nel codicillo compare, inoltre, un Antonio
Basso, un nome che potrebbe ricondurre ai savonesi della Rovere con cui i Basso della Rovere saranno
imparentati. Un altro nome riconduce alla giovinezza di Colombo e alle relazioni sue e della sua
famiglia. Compare infatti pure il nome di Gerolamo da Porto, l’uomo con cui era indebitato Domenico,
padre di Colombo, secondo un documento del 1470. Gerolamo è il padre del cancelliere genovese
Benedetto da Porto, che insieme con l’ambasciatore Nicolò Oderico e con Antonio Gallo, cancelliere
del Banco di San Giorgio, vicino di casa e protettore dei Colombo, è tra gli amici più fedeli
dell’Ammiraglio, ai quali egli invia o consegna lettere e documenti importanti, quale il “Libro dei
Privilegi”. Infine, Colombo è in corrispondenza con papa Giulio II, il savonese Giuliano della Rovere.
Nel 1504, l’Ammiraglio gli scrive perché il papa si è lamentato di non avere sue notizie. Poi, come
già si è detto, compaiono i nomi di Francesco Pinelli e dei suoi familiari, di Bernardo Grimaldi, di
Francesco Rivarolo, di Agostino e Pantaleone Italiano (Interiano), di Francesco Doria, della gente che
lo finanzia o finanzia in parte i suoi viaggi successivi al primo e sostiene anche la sua famiglia.
Infine, last but not least, Colombo scrive anche direttamente al grande patriarca della famiglia
Fieschi, e cioè a Gianluigi Fieschi, grande ammiraglio e uomo importantissimo nella storia politica di
quel tempo; che (lo dimostra un’ampia serie di documenti genovesi) è – con altri Fieschi – protettore
della famiglia Colombo, sia del ramo che resta a Genova sia di quello che è emigrato o, sulla scia di
Colombo, emigrerà all’ombra del suo successo. A lui – dice l’Ammiraglio – giungeranno, in tutta
segretezza, notizie riservate. Che cosa voleva fargli sapere l’Ammiraglio? Non lo sappiamo e forse non
lo sapremo mai. Ma certamente lo sapeva Bartolomeo, che gli era sempre vicino. Probabilmente
avevano ragione Andrès Bernaldez e i Francescani di Cisneros quando dicevano che, in realtà,
Colombo aveva compiuto la sua impresa perché voleva dare l’isola ai genovesi o, come più tardi
avrebbe detto Aspa, addirittura l’aveva “scoperta” per gli accordi che aveva con i genovesi.
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Colombo, l’uomo dei genovesi
Prof.ssa M. de Deus Beites Manso - Prof. A.A. Marques de Almeida - Prof. E. Genta Ternavasio
D.J.L. Perestrello - Dott. P.J. Mazzoglio
51
Gabriella Airaldi
NOTA BIBLIOGRAFICA
I documenti colombiani sono stati editi in varie sedi e da ultimo da C.VARELA e, per la parte genovese,
da A. AGOSTO. Sulla presenza genovese nella Penisola iberica esiste una larga messe di lavori citata
peraltro in molte sedi. Per i temi qui affrontati cfr.
G. AIRALDI, Ritorno a las orígenes: “siendo yo nacído en Génova”, in AA.VV.,“Colón desde
Andalucía, 1492-1505”, Archivo General de Indias, Sociedad Estatatal de Comunicaciones
Culturales, Sevilla, 2006, pp. 97-112;
id., “De more gentis in navigationem exiverat”. Cristóbal Colón en Génova, in AA.VV., Cristóbal
Colón, a cura di C. MARTINEZ SHAW e C. PARCERO TORRE, Junta de Castilla y León, Valladolid,
2006, pp. 41-62;
id., “...porque las Indias no se pierdan…”. Gli italiani sulle navi di Colombo, in AA.VV., “Cristóbal
Colón, 1506-2006. História y leyenda”, Universidad Internacional de Andalusia - Sede
iberoamericana Santa Maria de la Rábida - CSIC - Ayuntamiento de Palos de la Frontera, Huelva,
2006, pp. 147-170;
id., Da Genova al Nuovo Mondo e ritorno. Passando per Colombo, in “Palabras e Ideas. Ida y
Vuelta”, a cura di P.L. CROVETTO e L. SANFELICI, Roma, 2007, pp. 23-33;
id., “Lì mi giudicano come se fossi un governatore della Sicilia…” (prefazione), in C. VARELA - I.
AGUIRRE, Inchiesta su Cristoforo Colombo. Il dossier Bobadilla, Centro di Studi “Paolo Emilio
Taviani” sulle relazioni internazionali dal medioevo all’età contemporanea”, Genova, 2008, pp.
5-13 (Madrid, 2006).
52
SIMONETTA CONTI, Seconda Università di Napoli
Con il 1492 ed i successivi viaggi di scoperta e di conquista europea nelle terre del Nuovo Mondo
non solo naviganti, governanti, conquistadores, emigranti presero atto dell’esistenza di un quarto
continente, ma questa realtà fu fatta propria anche dal mondo scientifico ed in questo caso specifico
dai cartografi, sia terrestri che nautici. L’ampliamento del mondo attraverso la delineazione
dell’America risulta particolarmente interessante proprio nelle carte che dal 1500 in poi, allargano
mano a mano, soprattutto in seguito alle relazioni dei viaggiatori, il periplo del nuovo continente, in
tutti i suoi aspetti, anche i più difficili da esaminare.
Prima di iniziare a parlare delle carte che in circa 60 anni hanno testimoniato di come l’ecumene
si andasse espandendo, sconvolgendo tutte quelle che erano state le credenze medievali sulle terre
abitate o no, ma soprattutto dimostrando la non compatibilità tra sacre scritture, padri della chiesa e
teorie cosmografiche, è opportuno citare almeno una tra le più importanti raffigurazioni del nostro
globo, nata proprio nello stesso anno dell’approdo di Colombo a San Salvador, il globo di Martin
Behaim. Il documento, per quanto è dato sapere, il più antico globo terrestre giunto sino a noi, è
importante in quanto ci rende pienamente consapevoli di quello che dovette credere Cristoforo
Colombo sulla grandezza della terra e sulle distanze che separavano l’Europa e in particolar modo la
penisola iberica dalle terre “favolose” di Catai e Cipango, secondo quelle che erano le nozioni a lui
note attraverso il Milione di Marco Polo. Come ben sappiamo la realtà si dimostrò molto diversa e dal
12 ottobre del 1492 inizia una nuova storia.
La prima testimonianza del profilo delle coste del Nuovo Mondo è fornita dalla carta di Juan de
la Cosa eseguita nel 1500 nel Puerto de Santa María e che appare di notevole interesse, basti pensare
alle scritte che il suo autore vi ha inserito, sia nella Nuova Francia che nel Brasile. Nel primo caso si
legge: «mar descubierto por ingleses» con un chiarissimo riferimento al primo viaggio di Giovanni
Caboto del 1497 con il quale erano state scoperte le terre che entrarono a far parte della corona
britannica, mentre nel secondo è detto: «este cabo se descubrió en el año de mil y IIII XCIX por
castilla, syende descubridor vicentiañs».
Chiara è l’allusione di Juan de la Cosa a Vicente Yáñez Pinzón che, oltre ad aver partecipato
all’impresa del 1492 al comando della Niña, dopo aver ottenuto nel giugno del 1499 dai Re Cattolici
la concessione al viaggio, nel mese di novembre dello stesso anno, al comando di quattro piccole navi
scopriva il capo di Sant’Agostino posto a 8° di lat. sud. Dal momento che l’annotazione di Juan de la
Cosa si riferisce a questa impresa dobbiamo supporre che la carta sia stata composta tra l’ottobre e il
dicembre del 1500, dal momento che lo stesso Pinzón fece ritorno a Palos il 30 settembre del 1500. La
carta di Juan de la Cosa che pure interessa una gran parte dell’America orientale continentale è eloquente
soprattutto per ciò che concerne le raffigurazioni delle isole caribiche e antillane nel loro insieme.
Molto interessante appare il disegno di Cuba che ritroviamo quasi identica nei manoscritti i cui
disegni sono stati attribuiti a Bartolomeo Colombo, conservati in due manoscritti a Firenze e a Ferrara.
Si tratta di un disegno abbastanza dissimile dalla forma reale, con l’isola che presenta a sud ovest una
curva molto accentuata e nei due disegni la mano è totalmente nautica. Cuba appare per ben due volte
nel manoscritto fiorentino, con schizzi che presentano tra loro alcune piccole ma significative
differenze. Sicuramente lo Zorzi quando ha compilato i codici e ha disegnato le varie terre, teneva
sott’occhio una carta del tipo Cantino o Caverio. Nella carta di Juan de la Cosa la toponomastica, per
ciò che concerne la costa sudamericana, ripercorre il terzo viaggio colombiano e quelli dei primi viaggi
di rescate di Alonso de Ojeda, Amerigo Vespucci, lo stesso de la Cosa, e quello di Vicente Yáñez
Pinzón. Tutto ciò fa riflettere sulla velocità con la quale anche in quei tempi lontani tali informazioni
arrivassero agli autori, ai redattori e ai compilatori delle carte nautiche.
53
Simonetta Conti
Ma se è pur vero che il primo insieme di questa nuova visione del mondo è dovuta allo spagnolo
Juan de la Cosa, è all’Ammiraglio Colombo che dobbiamo la raffigurazione dell’isola denominata in
seguito da Filippo II di Spagna «escala, puerto y clave de todas las Indias»: Hispaniola. Questo schizzo
è l’unico ritenuto autografo di Cristoforo Colombo ed è indubbiamente tracciato da una mano pratica
di disegno nautico, e anche la toponomastica è ridotta all’essenziale.
Hispaniola era considerata la terra più importante nei primissimi anni di scoperta se, oltre allo
schizzo colombiano la ritroviamo nel De Orbe Novo decades di Pietro Martire d’Anghiera conservato
nella Biblioteca Capitular Colombina di Sevilla, e in una carta conservata presso la Biblioteca
Universitaria di Bologna, che risale ai primi anni del 1500 e che dimostra compiutamente come l’isola
fosse già stata ampiamente colonizzata ed abitata. Quella di Pietro Martire presenta alcuni problemi
di datazione. Si tratta della carta del golfo del Messico e di Cuba inserita nell’ Editio Princeps di Pietro
Martire d’Anghiera del 1511. Se effettivamente la carta di d’Anghiera fosse del 1511 bisognerebbe
pensare ad una sua preveggenza per ciò che concerne la scoperta e della Florida e di Bimini, dal
momento che nella medesima carta troviamo il toponimo di Illa de Beimeni attribuito alla punta della
penisola di Florida. C’è invece ovviamente da pensare che la carta sia stata inserita più tardi nella
prima edizione delle Decadi. D’altronde al contrario di ciò che succede oggi, gli umanisti non
consideravano di agire scorrettamente se si inseriva in un libro edito in un determinato anno, elementi
più recenti ma che potevano servire all’intelligibilità dello stesso. Dal punto di vista geopolitica la
seconda appare molto più importante.
All’interno il disegno riporta la configurazione delle sierre centrali e del reticolo fluviale, così
come molto dettagliata è la raffigurazione dei centri abitati, di cui se ne contano almeno sedici. I
toponimi indicati non stanno a indicare solo i centri fondati e dal primo Ammiraglio e da Nicolás de
Ovando, ma siamo di fronte alla ripartizione politico-amministrativa di Hispaniola che servì alla corona
nel 1514 per effettuare un censimento necessario alla divisione o repartimiento dell’isola nelle varie
Encomiendas. Questo censimento che porta il nome di Albuquerque, da uno dei funzionari spagnoli
che lo eseguirono, servì sia per contare gli spagnoli che risiedavano nell’isola, sia per ripartirsi gli
indios rimasti.
La conoscenza di tutte le isole caribiche, grandi e piccole, era già completa e ben documentata
alla fine del secolo XV come si vede dai due codici anonimi della fine del XV o degli inizi del XVI
secolo conservati, come gia detto, a Ferrara e a Firenze. In questi due codici: Ms.II 10 della Biblioteca
Comunale Ariostea di Ferrara e B.Rari 234 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ambedue
dal titolo Miscellanea di cose geografiche, anonimi ma sicuramente ascrivibili alla mano dell’erudito
veneziano Alessandro Zorzi, e composti entro i primi dieci anni del secolo XVI, troviamo tutta una
serie di disegni che illustrano, con particolare esattezza, le numerose isole delle grandi e delle piccole
Antille. Ci si trova quindi di fronte a tutta una schiera di terre che vanno da Cuba, Hispaniola e
Giamaica a Matinino (Martinica), Guadalupe e Dominica, Maria Antica, S.Maria Rotonda, Montserrat,
Buchina, S.Martino. Sempre nella tradizione colombiana di considerare il continente sudamericano
facente parte dell’Asia è il disegno d’insieme del Codice Zorzi di Firenze, dove il toponimo Mondo
Novo interessa la zona di Paria, con la Boca del Dragón e il Capo S.Croce, mentre tutta l’area che dal
Puerto de los Bastimentos e Beragua in Panamá dirige verso nord in direzione dell’odierno Honduras,
è ancora chiamata dall’anonimo autore Asia. Quindi se è pur vero che i disegni non sono di mano di
Bartolomeo Colombo né tanto meno dell’Ammiraglio, la fonte è da considerarsi senza dubbio di
matrice colombiana in quanto, alcune note potevano uscire solo dalle indicazioni nautiche precise dei
“cartografi” Colombo.
Differente è il discorso che si può fare a proposito delle terre continentali. Dal 1501 al 1513
esiste tutta una serie di carte, per lo più anonime e non datate che illustrano passo per passo
l’esplorazione delle coste americane, per giungere verso la metà del secolo alla raffigurazione di
tutto il continente meridionale, di quello centrale e in parte di quello settentrionale. Le prime due
sono la «Carta del Cantino» e il mappamondo a firma di Nicolaus de Caverio «ianuensis». Ambedue
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La cartografia dell’America dal 1492 a metà del XVI secolo
realizzate tra il 1500 ed il 1502 e ambedue risentono della medesima fonte, sicuramente ispano-
lusitana.
La pergamena del Cantino è di grandi dimensioni, non datata e anonima. Alberto Cantino, che
era un agente diplomatico di Ercole I d’Este, ebbe dal suo signore l’incarico di acquistare in Portogallo
una carta nautica, che fu recapitata al Duca nel 1502. Dalla relazione inviata insieme con la carta si sa
che la medesima fu disegnata a Lisbona tra il dicembre 1501 e l’ottobre 1502. Nel giungere in Italia
la Carta si era fermata a Genova prima di proseguire per Ferrara. La sosta genovese diviene tanto più
importante tenendo presente che la seconda carta, quella del Caverio, fu composta proprio a Genova
all’incirca nello stesso periodo. Ambedue i cimeli contengono la medesima parte dell’ecumene
geografico fino ad allora conosciuto, tutto il Vecchio Mondo, compreso di Europa, Africa e Asia e di
una minima porzione, l’unica conosciuta, del Nuovo. Confrontando il disegno dell’America è
estremamente importante notare le diversità fra le due realizzazioni, quella portoghese e quella
genovese. La differenza più importante appare quella del profilo costiero dell’America meridionale che
nel Cantino è stato modificato dal suo anonimo autore, sicuramente dopo il viaggio di Amerigo
Vespucci. Al largo delle coste del Brasile si legge la seguente scritta: «La Vera Croce, così nominata
per nome, la quale trovò Pedro Alvares Cabral, gentiluomo della casa del Re di Portogallo, egli la
scoprì andando come capitano maggiore di quattordici navi che il detto re mandava a Calicut, e
andando nel suo cammino incontrò questa terra, qual terra si crede che sia terraferma e vi è molta
gente ragionevole, van nudi uomini e donne come la lor madre li partorì; sono più bianchi che bruni
e con capelli molto lisci. Fu scoperta questa terra nell’anno cinquecento». Sotto la grande scritta che
comprende le grandi e piccole Antille si legge: «Scoperte da Colombo ammiraglio, quelle dette isole
furono scoperte per mandato del molto alto e poderoso principe Re don Fernando Re di Castiglia».
Verrebbe a questo punto da chiedersi perché l’anonimo autore cita solo Fernando quale re di Castiglia,
quando doveva essere ancora viva la regina Isabella, scomparsa nel 1504.
La carta del Caverio è molto simile all’altra. Il tracciato delle Antille è differente e distante dal
prototipo di Juan de la Cosa, il che mostra con molta chiarezza come in Portogallo ancora non fosse
giunta la veridicità sulla forma e sull’esatta posizione sia di Cuba che di Hispaniola. Al contrario del
Cantino il Caverio mostra una sia pur minima porzione dell’area continentale del centro America. Si
tratta di un accenno neppure molto esatto, ma è comunque una testimonianza di tutto rispetto,
rifacentesi quasi esclusivamente al terzo itinerario colombiano.
Altri due planisferi, all’incirca databili ambedue intorno al 1504 e conservati rispettivamente a
Pesaro ed a Fano, presentano molti aspetti di similitudine e ci aiutano a capire come i geocartografi
procedessero nel disegnare le nuove terre. Quello di Fano è a firma di Vesconte Maggiolo che nella
legenda così scrive: «Ego Vesconte de Maiollo composuy anc cartam de anno dnj 1.5.4. die VIII Juni
in civitatem Janua...». L’interessante di questa carta è costituito dalla mancanza di una porzione di
costa nella zona nord est del sud America. Ciò è forse dovuto, da parte del Maggiolo, al fatto di non
voler disegnare di fantasia una zona che non aveva conosciuto personalmente da fonti sicure. Al
contrario è molto ben individuata l’isola di Hispaniola, così come Puerto Rico e tutte le piccole Antille.
Vesconte Maggiolo è sicuramente uno dei cartografi che, ad iniziare, dall’atlante del 1511 ha
sempre dato una grande importanza alla raffigurazione dell’America. Si tratta di un atlante di 10 tavole,
alcune doppie, altre singole. È una delle opere più importanti della sua età giovanile, e quello che
colpisce è la modernità del disegno.
Anche due altri cimeli della sua produzione napoletana si pongono con autorevolezza
all’attenzione degli studiosi, e l’area dei lavori di Vesconte che risulta particolarmente interessante è
quasi sempre incentrata sulla raffigurazione del Nuovo Mondo.
La seconda carta, conservata presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro, anch’essa anonima e
non datata, ha posto numerosi problemi d’interpretazione, soprattutto per questa sua seconda
peculiarità, piuttosto che per l’anonimato. Anche in questo caso sono state proposte diverse date, ma
la più attendibile è quella del 1504.
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Simonetta Conti
…nuper repertae…et quarta orbis pars (quam quia Americus invenit Amerigen quasi Americi terram,
sive Americam nuncupare licet) sitae sunt….
Se è vero che l’America era stata scoperta dagli europei e che la sua prima cartografazione risulta
ovviamente tutta di matrice europea, ben presto, seppure in maniera forse fortuita, la sua conoscenza
giunse al mondo islamico, e a uno dei suoi più valenti cartografi del secolo XVI. È all’ammiraglio della
flotta ottomana Piri Reis che dobbiamo la prima visione delle nuove terre, da poco scoperte, da parte
musulmana, con la sua carta datata 1513, realizzata anche in base alle informazioni avute da uno
schiavo cristiano che serviva sulle galere turche e che, dalle legende inserite nella carta medesima, ci
viene detto che aveva compiuto ben tre viaggi al nuovo mondo insieme con l’ammiraglio Colombo.
La pergamena si discosta alquanto dalla consueta iconografia islamica in quanto la carta è piena di
raffigurazioni d’animali, di uomini e di navi, elementi che non si riscontrano nel successivo atlante di
Piri Reis. Dettagliata, anche leggermente anomala, ci appare la dislocazione delle Antille e di tutte le
isole caribiche. C’è però da dire che nella carta di Piri Reis, cominciano a vedersi non solo le coste
continentali del centro America, ma anche la segnalazione di città recentemente impiantatevi. È invece
assolutamente una delle tante bufale che escono ogni tanto nell’epopea colombiana e della scoperta
dell’America che si tratti di una carta redatta prima della scoperta dell’America e soprattutto che la sua
punta estrema stia ad indicare l’Antartide.
L’interesse dei cartografi italiani verso l’America è rimasto vivo molto a lungo, anche perché
numerosi erano gli interessi soprattutto economici che legavano i singoli stati italiani alla Spagna e alle
sue nuove terre, ove si erano insediate molte filiali di case commerciali italiane e in questo senso va
vista una carta di mano del Freducci, conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, alla segnatura
Cart. Naut. 15. La carta manca di datazione in quanto la pergamena è stata tagliata proprio in direzione
della data. Piuttosto ampia, comprende le coste occidentali del vecchio continente e quelle orientali
del nuovo, e non c’è nessuna traccia né delle coste della Florida, scoperte nel 1513 da Juan Ponce de
León, né dell’Oceano Pacifico raggiunto, sempre nello stesso anno da Vasco Nuñez de Balboa. Molto
ben delineate sono invece le isole caribiche, grandi e piccole, e in questo caso si nota come le numerose
spedizioni che, nei primi anni del secolo si erano susseguite in quella zona fossero servite per conoscere
pienamente tutte le particolarità delle numerose isole. Anche in questo caso la mancanza della data ha
dato l’avvio a molte congetture che la pongono redatta in un ristretto pugno di anni, tra il 1512 e il
1515-18. È la prima carta nautica ove appare l’isola di Bimini, e dal momento che della carta non si
conosce l’anno di composizione essendo stata erasa la data, ma la presenza dell’isola, posta tra la costa
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La cartografia dell’America dal 1492 a metà del XVI secolo
nord di Cuba e le isole antistanti la Florida, può benissimo ipotizzare la sua costruzione dopo il 1513
e quindi la scoperta della Florida e di Bimini possono essere presi come uno dei termini temporali del
documento.
Se la cartografia nautica ha sempre mantenuto un carattere notevole di empiria, diverso è il
discorso che si può fare sulla cartografia a stampa. Quella a stampa diviene in tutta Europa e, in special
modo in Italia, un veicolo per scienziati, eruditi, studiosi, strettamente legati al sistema tolemaico, e
che proprio mediante una rilettura di Tolomeo, per ciò che riguarda la mappa di tutto il mondo
conosciuto, entravano in questo mondo che si ampliava di anno in anno in seguito alle scoperte dei
navigatori.
Nel giro di un pugno d’anni, tra il 1506 ed il 1522 vedono la luce tutta una serie di carte e
Tolomei a stampa che allargano l’ecumene e che per molti anni mostrano una strana dicotomia, da un
lato la vecchia concezione tolemaica delle terre del vecchio mondo, dall’altra le nuove terre scoperte,
quelle novità che irrompevano a scardinare le conoscenze fino a quel momento irremovibili. In un
primissimo momento questi nuovi tentativi vennero effettuati solo nella tavola che comprende tutto il
mondo conosciuto, ed una delle cose più interessanti è la varietà delle modificazioni che i cartografi
operano sulla proiezione conica tolemaica, per farvi entrare quella parte di ecumene che Tolomeo non
conosceva e nello stesso tempo per non stravolgere l’impianto tolemaico tradizionale.
Il primo esempio di questi Tolomei “rivisitati” venne stampato a Firenze nel 1506 a firma di
Giovanni Matteo Contarini e Francesco Rosselli «Joani Mathei Contareni…Arte et ingenio Francisci
Rosselli florentini…1506».
La concezione del mondo in questo planisfero del 1506 è ancora estremamente legata alla
vecchia concezione tolemaica, e nel suo anno di costruzione (lo stesso della morte del primo
Almirante del Mare Oceano e Viceré delle Indie, Cristoforo Colombo) vediamo dalla carta che la
conoscenza delle nuove terre scoperte è ancora marginale e riflette quella del terzo viaggio
colombiano, come è facilmente riscontrabile dal disegno della parte nord della Terra S. Crucis e
dalle legende che vi si leggono:
HIC EST SINUS ILLE IN QUO HISPANI QUÃ PLURES MARGARITAS NECNO PER HANC ORAM LEONES SUES AC
CERVOS ALIASQUE ANIMALIUM SPETIERUM INVENERE
HEC SUNT INSULE QUAS DOMINUM CHRISTOPHORUS COLVMBUS AD INSTANTIAM SERENISSIMI HISPANIE
REGIS INVENIT.
Anche il disegno delle nuove terre raffigurate, soprattutto per ciò che concerne le isole, si rifà
alla forma dei primi grandi planisferi nautici, ed in questo caso a quelli del Cantino e del Caverio. Ma
la cosa ancora più importante da notare è la continuazione delle terre asiatiche che giungono fin sopra
Cuba e anche la minima distanza che separa Cuba da Cipango (Giappone), anche se sulle sue estreme
propaggini si legge un cartiglio che dice:
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Simonetta Conti
Planispherium Cl. Ptolomaei noviter recognitûm & diligentiss. Emendatum a Marco Beneuentano
Monacho celestino. Noua orbis descriptio ac noua Oceani navigatio qua Lisbona ad Indicû
pervenitur pelagus Marco Beneuentano monacho cælestino ædita.
Cuius modi mappa quaedam universalis a quodam fiorentino non inconcine designata est.
Columbus primus et nepos orientale descripserunt mare Lusitani meridionale…, Restat describenda
tellus quaedam quam tum Columbus tum Lusitani observaverunt, quam terram Sanctae Crucis
appellant, quod in die illius gloriosi vexilli signique ad cuius aspectum consternantur demones
inventa sit quamque Mundum Novum vocant ob sui vastam quantitatem.
Francesco Rosselli che già aveva ampiamente collaborato alla stesura nel 1506 del Planisfero del
Contarini è un infaticabile autore che, non contento di aver al suo attivo carte di notevolissima
importanza, nel 1508 disegna ben tre planisferi che risultano importantissimi per la concezione che in
una delle capitali del vecchio mondo, quale era Firenze si aveva del Mondo Nuovo e quindi delle
notizie che vi giungevano. Il più conosciuto dei tre è sicuramente il Planisfero conservato presso il
National Maritime Museum di Greenwich, che oltre tutto è splendidamente colorato.
Si tratta di un planisfero a stampa ove il colore ha però coperto in parte una toponomastica che
riporta al IV viaggio colombiano, e l’avvenimento è tanto più importante in quanto il quarto viaggio
era terminato solo quattro anni prima.
Uguale a quello di Greenwich è un planisfero conservato in una collezione privata, che però, non
essendo a colore permette di leggere tutta la toponomastica che, il cartografo fedele all’idea colombiana
di essere giunto in Asia, pone sulle coste della Cina.
Particolarmente importante è l’opera del Rosselli oltre che per i contenuti geografici, anche
perché sembra essere stato il primo ad avere inventato quella proiezione che diverrà normale in tutte
le opere di grandi cartografi quali Benedetto Bordone, Sebastiano Münster, Giacomo Gastaldi e
Abramo Ortelio che la renderà nota a tutti inserendola nei suoi Civitates Orbis Terrarum, si tratta della
proiezione ovale equidistante, ovvero hanno incluso l’intera superficie della sfera terrestre entro un
ovale avente un diametro doppio dell’altro.
Ma la realizzazione più originale uscita dal laboratorio di Francesco Rosselli è senza dubbio
una particolarissima carta nautica, non manoscritta, ma stampata, eseguita sempre su pergamena e
che presenta una grande quantità di cose interessanti e che la pongono ai primissimi vertici della
cartografia nautica dell’epoca.
È una carta che comprende tutto il mondo, sia il vecchio che quella parte del nuovo mondo che
si conosceva e che ci presenta molte particolarità. La prima concerne la scala delle latitudini ed è
sicuramente una delle prime volte, se non addirittura la prima che compare in una carta nautica.
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La cartografia dell’America dal 1492 a metà del XVI secolo
Nel Mediterraneo non ce n’era assolutamente bisogno, ma è indubbio che con la scoperta di un nuovo
continente la graduazione delle carte avrebbe risolto più facilmente i problemi della navigazione.
Particolare è anche il disegno delle terre del Nuovo Mondo, raffigurato come una grande isola che
termina con la Terra S. Crucis. A sud non conoscendo la forma del continente Rosselli ha disegnato
tutta una serie di isole, come una terra è disegnata anche a sud del Capo di Buona Speranza. La
toponomastica data da Cristoforo Colombo nel quarto viaggio è disegnata su un’ipotetica costa
dell’estremo oriente, così come il nord America è, per il cartografo fiorentino, sicuramente una
prosecuzione dell’Asia di nord est. Una caratteristica importantissima di questo planisfero riguarda il
Mediterraneo ove il disegno della parte orientale di questo mare riprende per le prime volte la sua
lunghezza e soprattutto l’angolazione giusta rispetto alle terre emerse. È facile notarlo guardando
l’allineamento Creta - Cipro.
La data del 1511 è particolarmente importante nella storia della cartografia italiana, dal momento
che sempre in questo stesso anno si ha l’edizione di un altro Tolomeo, quale quello di Bernardo Silvano
da Eboli stampato a Venezia, che si pone in una posizione particolarissima rispetto agli altri Tolomei
e che, come dice Roberto Almagià:
«ha fatto un lavoro opposto a quello di Niccolò Germanico; questi aveva infatti cercato di costringere
gli elementi corografici desunti dalle carte nautiche nel quadro tolemaico, Bernardo cerca di
affiancare la corografia tolemaica ad un’Italia rappresentata conformemente alle carte nautiche,
correggendo all’uopo senza scrupolo le coordinate dell’astronomo alessandrino».
Bernardo Silvano, figura non particolarmente studiata è da mettere in luce anche perché pur
stampando a Venezia è un cartografo formatosi nell’ambiente scientifico napoletano, in quell’ambiente
aragonese - italiano il cui contributo al pensiero moderno che ruota intorno alla scoperta non è stato
ancora del tutto reso noto.
D’altronde a quell’ambiente vanno certamente fatti risalire, oltre al Silvano, anche Marco
Beneventano e come già detto Vesconte Maggiolo che, pur essendo genovese, proprio nel periodo
napoletano pone una grandissima attenzione alla raffigurazione del nuovo Mondo.
Ma la tavola che, maggiormente mette in correlazione l’opera di Bernardo Silvano con cartografi
che hanno ispirato anche Maggiolo, è senz’altro il planisfero cordiforme.
Mano a mano che si allargava il raggio d’azione delle corone europee e che i viaggi di conquista
di Ojeda, Nicuesa, Ocampo, Núñez de Balboa, Ponce de León, Pánfilo de Narváez, Núñez Cabeza de
Vaca, e Cortés facevano entrare nell’orbita della Spagna tutta l’America centrale e caribica, i cartografi
iberici e italiani allargavano le loro pergamene per raccogliervi e disegnarvi il loro mondo, e le
realizzazioni di quel mondo che si andava sempre più ingrandendo e modificando.
In questo viaggio, immaginato e compiuto sulle pergamene nautiche, tra il 1523 ed il 1529, si
arriva all’Oceano Pacifico, sia attraversando il continente, sia circumnavigandolo.
Una tappa fondamentale nell’esplorazione e nell’acquisizione dell’America da parte dell’Europa
ci viene fornita dall’anonimo “Planisfero” di Torino è qui che per la prima volta troviamo raffigurato
lo Stretto di Magellano, ancora con il nome di Todos Los Santos, datogli dal navigatore portoghese
dopo il lungo travaglio della sua traversata. Dal momento che, oltre ad essere anonimo è anche senza
datazione, quest’ultima la si può ricavare, con buonissima approssimazione, solo dal suo contenuto.
È sicuramente indubitabile che debba essere stato redatto dopo il 1522, al ritorno della Vitoria, l’unica
nave che, al comando di Juan Sebastián Elcano, nell’aprile di quello stesso anno, era rientrata a San
Lucar de Barrameda. Probabilmente questo anonimo, copia conforme di un Padrón Real, fu ordinato
dallo stesso sovrano dopo l’incontro con Pigafetta avvenuto, sempre nel 1522, a Valladolid. Alla sua
datazione, oltre l’evidente viaggio di Magellano, contribuiscono in America almeno altri tre fattori. Il
primo è dato dal disegno della città di Tenoctitlán, conquistata da Cortés tra il 1520 e il 1521, ma di
cui lo stesso conquistatore aveva già inviato a Carlo V più di una relazione, con disegni annessi.
Bisogna infatti notare come nella carta di Torino la città sia raffigurata non solo in una laguna, come
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Simonetta Conti
divenne poi d’uso comune, ma anche con i quattro grandi ponti che la univano alla terraferma. Il
secondo elemento è dato dal disegno della costa che unisce il Messico alla penisola di Florida. Se
infatti il Padrón Real è stato compilato tra il 1522 e il 1523, non potevano essere ancora giunte le
relazioni di coloro che nelle intenzioni di Diego Velásquez, il governatore di Cuba, dovevano
conquistare la Florida e tutte le terre vicine. Il terzo è la raffigurazione della penisola dello Yucatán,
disegnato unito alla costa messicana, anche se ancora con una forma leggermente anomala.
Ancora più collegate al viaggio di Magellano sono le tavole disegnate da Antonio Pigafetta, uno
dei pochi superstiti della spedizione, tornato insieme con Juan Sebastian Elcano a bordo della Vitoria,
che illustrano le terre toccate dalla spedizione.
Successivo è il “Planisfero Castiglioni”, conservato a Mantova e datato al 1525. La carta si
presenta veramente in un ottimo stato di conservazione. In questo se pur appare unita la costa nord del
Golfo del Messico, c’è, al contrario, una anomala raffigurazione della penisola dello Yucatán, disegnata
come fosse un’isola, e anche il tratto di costa che dovrebbe unire lo Yucatán al resto del continente
appare non conforme alle altre realizzazioni. Manca anche qualsiasi indicazione di Città del Messico.
Probabilmente quindi l’importanza di questo documento cartografico va ricercata nella sfera politica,
più che in quella scientifica, come è dato vedere dalla raffigurazione delle due Rayas, l’una
nell’Atlantico e la seconda nel Pacifico, a testimoniare le due sfere d’influenza in cui era stato diviso
il pianeta.
Seguendo la scia del Planisfero Castiglioni è stato realizzato il Planisfero Salviati, conservato
presso la Biblioteca Mediceo - Laurenziana di Firenze, anch’esso anonimo e non datato, ma attribuito
al 1528, nel quale a un ottimo disegno del Golfo del Messico, della Florida e delle isole dei Caraibi,
segue un buon istmo centroamericano, ma anche qui lo Yucatán ha forma di isola quadrangolare,
notevolmente distante dal resto del Messico. Subito accosto al bordo del continente appare la città di
Temistitán.
A parte l’anomalia del disegno della penisola dello Yucatán, questa carta fornisce ai suoi
esaminatori un quadro abbastanza esatto della delineazione della costa orientale del continente
americano. Mentre non c’è più nessun tentativo di disegnare il fantomatico passaggio che avrebbe
dovuto mettere in comunicazione l’oceano Atlantico con il Pacifico, resiste ancora nell’estremo nord
del continente americano l’ipotetico passaggio a nord - ovest. Infatti tra la Tierra del Labrador e la costa
nordamericana il cartografo non ha tracciato nessun segno di costa.
Se questi planisferi che derivano tutti dal Padrón Real ufficiale, realizzato presso la Casa de la
Contratación de Sevilla sono anonimi e si possono inserire nella cartografia italiana del XVI secolo
in quanto il più delle volte realizzati per personalità italiane, di mano italiana sono due bellissime carte
a firma di Giovanni Vespucci che lavorava come cosmografo ed era stato Piloto mayor sempre per la
Casa de la Contratación.
Il primo è un mappamondo «in proiezione prospettica polare dell’intero emisfero boreale situato
al centro della figurazione, lateralmente collegato ai due lati con altrettanti mezzi emisferi australi di
identica proiezione e con la stessa scala». Si trattò indubbiamente di una realizzazione singolare che
non trovò però molti seguaci, probabilmente per la sua difficoltà. Il secondo è un planisfero nautico
di stupenda fattura e dove si ha una bella visione d’insieme di tutto il mondo conosciuto.
Tra il 1529 e il 1530 troviamo quattro realizzazioni, dovute rispettivamente e al portoghese
Diego Ribeiro e a Gerolamo da Verrazzano, che mettono un punto fermo nella storia delle grandi carte
nautiche. Quelle di Diego Ribeiro costituiscono veramente una “summa” delle conoscenze nautiche
di coloro che nella Casa de Contratación di Siviglia sovrintendevano alla preparazione e alla stesura
del Padrón Real. La conoscenza della costa orientale di tutto il continente americano è pressoché
perfetta, mentre quella occidentale è visibile solo a tratti. Infatti la linea di costa è ininterrotta dal Perù
al Guatemala. La penisola dello Yucatán è ormai saldamente annessa al continente, la toponomastica
costiera è molto ricca e così si è ampliata di molto anche quella regionale che al centro comprende le
seguenti diciture: Nueva España,Guatimala, Iucatan, Castilla de loro e molte altre se ne leggono al
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La cartografia dell’America dal 1492 a metà del XVI secolo
nord e al sud. Sotto il toponimo di Nueva España si legge: dixose asy por que se allo aqui muchas
cossas que ay en España. Nella seconda carta di Diego Ribeiro, quella di Weimar, le didascalie sono
ancora più ampie e in alcuni casi differenti. Infatti per la Nueva España leggiamo:
dixole así por ay aquy muchas cosas que ay en españa, ay ya mucho trigo q an allevado de aca en
tanta cantitad q lo pueden cargar para otras partes.ay aquy mucho oro de nacimiento, alla Castilla
de Oro sono legate queste parole: dixose asi por que aqui se alla mucho oro. los Indios son mas
belicosos de lo q son los de sancto Domingo ni de las otras parte por que usan las flechas y hierva.
aqui esta un pueblo que se dize S. marta donde se alla mucha cantitad de oro por la rietta adentro.
Aqui tienen lo alemanes su governaciõ dende CABO LA VELA hasta CUMANA que seran 140 o
150 leguas.
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Simonetta Conti
della Cosmografia e prima dell’inizio delle Tabulæ vere e proprie, solo in un secondo momento, forse
proprio per rendere noto lo stato delle scoperte. Sembra che due mani diverse si siano succedute nella
facitura del planisfero rispettivamente per il vecchio e per il nuovo mondo. La metà di destra presenta
un impianto tolemaico di vecchio stile, cui forse in un secondo momento sono state apportate alcune
significative modifiche. Ad una delineazione tolemaica dell’Asia, in cui particolarmente incisiva risulta
la quarta penisola asiatica, risalente quasi sicuramente ad un modello quale Enrico Martello, fa
riscontro la raffigurazione quasi completa del Nuovo Mondo.
Le scoperte geografiche avvenute nell’Oceano Pacifico con Magellano, e culminate con la
scoperta delle Molucche, non sembra che inizialmente fossero state inserite nel disegno, ma aggiunte
in un secondo momento. Non vi si trova nessun accenno al navigatore portoghese e, solo presso un
piccolo gruppo di isole si legge: «arcipelago do magaliahanes». Sempre nell’area di destra si nota
come l’isola di Cipango è raffigurata molto distante dalla costa continentale e situata in prossimità della
parte occidentale dell’America centrale.
Un’altra caratteristica molto importante che si riscontra in questo planisfero è da ricercare nella
delineazione molto ben individuata dello stretto di Anian, e quindi una netta differenziazione tra il
vecchio e il nuovo continente. La raffigurazione del Mondo Nuovo è abbastanza singolare e abbastanza
dissimile da altri planisferi coevi. La linea di costa del continente sudamericano presenta notevoli
margini d’errore, soprattutto per quanto riguarda la costa occidentale, e spesso senza agganci con la
realtà.
L’elemento, però, più caratterizzante è dato dalle numerose scritte che si notano, sia all’esterno,
come pure all’interno del continente medesimo, e che si riferiscono alla geografia del nuovo mondo.
Una nota di carattere botanico dice: In hoc loco sunt multas palmarum et cassia grossissima; mentre
la seconda, inserita dall’autore al largo delle coste del Venezuela, riporta: Questo golfo di Marañon in
fino ala bocha del fiume grande, sono miia 600, miste aqua salsa.
Ma la scritta senza dubbio più interessante, per chiarire il modo in cui erroneamente circolavano
le notizie delle varie scoperte geografiche, la si legge inserita al centro del continente sudamericano,
contornante le parole Mundus Novus che recitano: Tota hanc provincia, invenit nuper a. 1495 Petrus
Alvarez equus Regis Hispaniae.
Ma questo planisfero è interessante anche per un’altra sua peculiarità, riscontrabile anche in
altre carte, come nel planisfero di Francesco Rosselli; vi si vede infatti il disegno di un grande braccio
di mare che si insinua tra l’America centrale e quella settentrionale, che divide in due il continente,
rendendo quindi reale l’ipotesi fantasiosa di un passaggio fra l’Oceano Atlantico e quello Pacifico. La
toponomastica non è numerosa e nella parte nord del continente si trova la notazione della morte di
Giovanni da Verrazzano per mano dei cannibali, nota che è servita all’Almagià per una datazione di
massima del planisfero.
Anche la cartografia nautica tradizionale iniziò a far proprie le conoscenze delle nuove terre.
Dopo le grandi realizzazioni cartografiche degli inizi del secolo XVI e le prime grandi immagini a
stampa, sempre risalenti ai primi 20 anni del 1500, inizia una lunga serie di atlanti nautici e corografici,
in molti dei quali la presenza del continente americano è predominante. Si tratta evidentemente di
opere che non servono più per motivi pratici, ma sono realizzate per studio e per abbellimento di
biblioteche. Il più delle volte sono lavori di estremo interesse, non solo per la loro bellezza di tratto o
di realizzazione, ma alcune volte anche per i loro contenuti scientifici. Ne sono esempi Battista Agnese,
Aloisio Cesani, e molti altri.
In ogni atlante di Battista Agnese almeno tre o quattro tavole sono dedicate al Nuovo Mondo,
la prima è quasi sempre una realizzazione nautica, ancora con la penisola dello Yucatán isolata dal resto
del corpo continentale (viene detta infatti Insula IVCATAN) e solo una piccola parte delle coste
occidentali, cui spesso fa seguito una carta corografica. Nella tavola centrale è normalmente raffigurato
l’oceano atlantico con le terre continentali sia a destra che a sinistra. Per l’America una buona
conoscenza della zona centrale, bene tutta la costa orientale sia del nord che del sud, così come per
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La cartografia dell’America dal 1492 a metà del XVI secolo
Battista Agnese è corrente disegnare la tavola nautica del Pacifico, con l’America, le isole da poco
scoperte del Pacifico e la costa della Cina. Per ciò che concerne le tavole corografiche l’autore disegna
spesso buona parte dell’America settentrionale e della centrale, in un modo molto reale. Vi si vedono
Città del Messico, Cibola e molti altri centri e un’importante notazione: «Fin qui scoperse Vasquez de
Coronado». Segue poi, in ogni atlante, il caratteristico planisfero nel quale spiccano la rotta di
Magellano e la cosiddetta Ruta della Plata, ossia quella particolare rotta attraverso la quale giungevano
in Spagna i galeoni ricolmi delle ricchezze del nuovo Mondo.
La carta di Aloisio Cesani, conservata a Parma, pone molti problemi per cercare di individuare
quali possano essere state le sue fonti, date le numerose anomalie che la carta stessa presenta. Molto
anomala si presenta infatti la raffigurazione del Nuovo Mondo, soprattutto per ciò che concerne la
parte meridionale del continente. Anche la toponomastica si presenta con numerosi sbagli, come
Anerica per America e altri.
L’ultima importantissima carta con la quale si chiude la metà del XVI secolo è il planisfero di
Sebastiano Caboto redatto ad Anversa nel 1544.
Si tratta di una carta veramente eccezionale che racchiude tutto il mondo conosciuto. Anche in
questo, come in altri planisferi, si può notare una differenza tra il disegno del vecchio continente e del
nuovo. All’interno del vecchio il reticolo idrografico è ancora improntato al disegno tolemaico mentre
quello del nuovo rispecchia le conoscenze che le varie esplorazioni avevano portato alla luce. Nel
vecchio solo gli arcipelaghi del Pacifico risentono delle esplorazioni effettuate da Magellano in poi.
In circa sessant’anni, dalla fine del XV secolo, con la scoperta fortuita di Cristoforo Colombo,
il mondo che aveva resistito pressoché uguale per tanti secoli, viene completamente rinnovato,
cambiato e aumentato. Nuovi popoli, nuove civiltà, nuovi prodotti entrano a far parte integrante della
vita degli europei e a questa epopea bisogna dare il merito in primis ai quattro grandi navigatori italiani
che, senza mezzi propri, ma con la loro testardaggine e con il loro coraggio e con il beneplacito delle
quattro potenze più importanti dell’epoca, hanno permesso questo exploit. Ma in questo poker d’assi,
Colombo, Caboto, Vespucci e Verrazzano, il primato non può che spettare a Cristoforo Colombo, il
primo che ha osato sfidare il Mar Tenebroso con tutto quello che comportava e vincerlo.
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Francesco Rosselli, 1508. Planisfero nautico (Greenwich, National Maritime Museum)
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GIANFRANCO RIBALDONE
1. Genesi di una ricerca. Da una storia di paese all’Ammiraglio del mare Oceano
Una goccia di pioggia scivolò sul finestrino accanto a me, poi si divise in due fili: uno solcò il
vetro in una perfetta verticale, l’altro ripiegò per disegnare una tremolante curva. Sul pullman, che
percorreva la pianura vercellese, tornavo da Alessandria dopo la mia prima giornata di ricerca in un
Archivio di Stato. E da un CD usciva una canzone, una delle più belle del nostro Novecento...
Eppure il vento soffia ancora
spruzza l’acqua alle navi sulla prora
e sussurra canzoni tra le foglie
bacia i fiori li bacia e non li coglie.
Il pullman terminò la sua corsa presso la stazione ferroviaria di Vercelli, da lì avrei preso la
coincidenza per la mia città. Nella nebbia, le parole della canzone diventavano metafora di quella
giornata trascorsa tra le carte degli antichi notai di paese: il latino soffia ancora, dagli atti notarili del
Quattro e Cinquecento spruzza l’acqua fin sulla prora del nostro presente, sussurra tra le foglie della
nostra microstoria.
Era quello il paese dei miei avi? Proprio lì trascorsi ore liete nella mia fanciullezza? Erano passati
due anni da quel primo giorno di ricerche negli Archivi di Stato. Ogni sabato scioglievo un mazzo di
carte notarili del Quattro o Cinquecento, storia minima: atti di dote, testamenti, compravendite,
permute, liti, riconciliazioni, inventari, delibere consiliari.
L’ultima domenica di ogni mese tornavo in paese per pubblicare il frutto delle esplorazioni.
Puntualmente nel bar vedevo un melanconico vecchietto, tutto chino sulla carta di un solitario ma,
osservandolo con attenzione, misuravo l’angolo tra il suo occhio e la carta da gioco. La distanza era
una verticale quasi perfetta, intorno a cui tracciavo con l’immaginazione un cerchio largo quanto lo
squallido locale, poi sempre più ampio, fino a comprendere le mura e i confini del territorio, poi ancora
più grande, fino ad abbracciare l’Archivio di Stato del capoluogo, là dove stava il mondo degli antichi
notai del Monferrato. Per questo, sul giornale locale, rilevavo con forte evidenza le fonti dei pezzi che
via via pubblicavo, perché le fonti stesse della ricerca storica dalle remote vene di un archivio
zampillassero proprio dentro il cerchio di vita di un paese.
Che tempo farà domani? È così semplice comunicare in un piccolo paese, quando si toccano
argomenti che appartengono ad un orizzonte condiviso. Ma la storia e le sue fonti?
Dalle carte dei notai quattrocenteschi usciva una scrittura simile a filo di nebbia. Scoprendola,
sillabandola, decifrandola, la vita mi appariva com’è da lontano, dolorosa e pur bellissima, anche
quando è un’onda passata, da cinque secoli inabissata. L’onda finalmente investì la piazza, le contrade,
le chiese, la torre, le mura del paese: il vecchio e il nuovo s’incontrarono. Nuova era la realtà quale
veniva restituita dai rogiti: il luminoso fiore della pubblica piazza; il reticolo di vie che si spezzava e
si apriva su interni di vita domestica; le chiese, dove stava chiusa la feroce bellezza del sacro; le mura
poderose, che stringevano il paese; la torre, che bucava il cielo. Tuttavia il latino notarile, affacciandosi
sul presente, crudamente illuminava tutte le ferite e le dissennate recenti distruzioni d’antichità. La luce
brillò impietosa.
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Gianfranco Ribaldone
I saggi di storia, ogni mese pubblicati in terza pagina, non contenevano alcuna esplicita polemica.
Tuttavia le citazioni dal chiaro latino dei protocolli (che oggettivavano la testimonianza) e la cura
nell’indicazione e illustrazione delle fonti fecero sì che il pezzo di storia a pagina tre a poco a poco
cominciasse ad esser letto non più solo come espressione di un “appassionato” (con queste termine si
suole in Italia isolare chiunque coltivi, per amore, il fiore comune o patrimonio culturale) ma come
“documento”. Migliaia di documenti irriverenti, come gli uccelli di Hitchcock, si posarono su ciò che
restava delle mura di cinta, su ciò che restava delle chiese campestri, su ciò che restava della torre
quattrocentesca. I documenti di storia erano entrati nell’orizzonte del mio paese.
Intanto avevo iniziato a raccogliere i rogiti quattrocenteschi relativi alla nobile famiglia dei
Colombo di Cuccaro, paese al confine con quello dei miei avi: gli atti via via recuperati parevano fili
recisi, tra loro divisi da vuoti profondi.
È penosa la coscienza del vuoto, ma occorre evitare di legare arbitrariamente atti isolati. Il vuoto,
che era dentro di me, mi educò in quel periodo ad accettarlo fra i documenti. Al volo il primo treno in
partenza dalla mia città, al volo l’ultimo del ritorno, ogni sabato a visitare un archivio tra Alessandria,
Torino, Savona, Genova, Milano, Venezia sulle tracce quattrocentesche dei Colombo di Cuccaro.
Documento aggiunto a documento, i vuoti divennero distanze. Alcune nel corso delle
esplorazioni archivistiche si riducevano, altre persino s’annullavano quando atto nuovo si legava in
sequenza ad atto già conosciuto. Il metodo di lavoro diveniva più importante dei contenuti stessi:
anche dagli errori a poco a poco imparavo ad amare la ricerca in quanto tale, che è una cosa fragile.
Un’ardita ipotesi, quando è irriverente verso convinzioni consolidate più dalla pigrizia intellettuale che
dalle fonti, vola leggera di archivio in archivio, scoprendo nuove carte; se però anch’essa si cristallizza,
facendosi gemma anziché scalpello, la ricerca si blocca.
I documenti degli anni Venti del Quattrocento, che rinvenivo attraverso lo spoglio dei Protocolli
del Monferrato condotto nell’Archivio di Stato di Torino, coglievano i Colombo di Cuccaro dentro la
corte di Giovanni Giacomo paleologo, marchese di Monferrato, e illuminavano la loro arteria estrema,
la nobiltà di Borgogna e di Bar, a cui i de Cucharo si legarono con vincoli matrimoniali (Franceschino
Colombo, figlio di Lancia, aprile 1422) e missioni ufficiali (Berrettino Colombo, figlio di Lancia,
giugno 1422). Negli anni Trenta e nei primi Quaranta la burrasca sul marchesato divise i destini dei
nobili Colombo, ma ne allargò mirabilmente l’orizzonte. La prima onda, l’invasione del Monferrato
da parte delle truppe viscontee, costrinse il marchese a rifugiarsi nell’alleata Venezia, dove giunse il
giorno 8 maggio 1432 (nell’Archivio di Stato di questa città leggevo la cronaca manoscritta di Donato
Contarini, testimone dell’arrivo del marchese de Monferà, che fò onorevolmente recevudo e gli fu
assegnata come dimora la casa che fò del conte Carmagnola, che era stato decapitato, aggiungiamo
noi, tre giorni prima come traditore). Anche i Colombo furono sbalzati lontano dal castrum avito, dove
tutti i beni sia dei ribelli sia dei non ribelli furono confiscati. Qualcuno di loro coltivò un privato
destino: nell’Archivio di Stato di Savona trovavo gli atti della presenza, almeno dall’anno 1435, di
Giovanni Colombo di Cuccaro, figlio di Lancia, che voltò le spalle al feudale mondo del marchesato,
sposando poi la figlia del mercante Paolino della Porta.
Ci fu chi tra i Colombo, verso la fine della crisi, quando il marchese era già tornato in Monferrato,
venne rapito dai sogni di re Renato d’Angiò che cavalcavano l’onda del Mediterraneo, il mare conteso
nel conflitto angioino-aragonese. La situazione andò precipitando: il 9 novembre 1440 Luchino
Colombo di Cuccaro, familiaris del duca di Milano, stava dentro Napoli assediata dalla flotta aragonese,
condividendo la sua sorte con il principe Guglielmo (figlio del marchese di Monferrato e qualificato del
titolo di cousin du roi de Sicile, oltre che membro del Gran Consiglio dell’Angiò), quando ricevette
dall’angioino Traiano Caracciolo il mandato di perorare una tregua presso re Alfonso d’Aragona. Napoli
tuttavia fu espugnata dall’aragonese, Renato fuggì e tornò in Provenza. Anche a Cuccaro ci fu il ritorno
degli ultimi reduci tra i Colombo, come quello di Luchino che portò con sé la pergamena del mandato
dell’Angiò, oggi ritrovata nell’Archivio Storico del Comune di Casale Monferrato.
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
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Gianfranco Ribaldone
Gli anni dal 1483 al 1494 furono sotto il segno dell’anziano Bonifacio, il nuovo marchese
subentrato al defunto fratello Guglielmo. La svalutazione monetaria rendeva più appetibili i beni
fondiari, le riforme e provvidenze agricole di Bonifacio rivitalizzavano la campagna monferrina. Con
un processo ben tracciabile attraverso l’analisi dei rogiti, il baricentro degli interessi dei Colombo di
Cuccaro, anche dei rami più urbanizzati, tornò ad essere la terra del loro feudo. Lo scorcio del secolo
ne sorprese molti impegnati in compravendite, liti ed arbitrati attorno all’avito castrum.
Quella sera di un giorno di cinque anni fa, andando a letto, non sapevo che la mattina seguente
il sole non avrebbe brillato per me come gli altri giorni. Verso le ore 6 mi svegliò un rumore strano:
mia madre era caduta per un malore. Nei giorni seguenti non camminava più, aveva perso fiducia in
se stessa.
Le notti seguenti stendevo il mio materasso sul pavimento accanto al suo letto, lì dormivo per
assisterla. Accadde durante una veglia, a terra supino una notte formulai una domanda a me stesso:
“Quali dati sulla vita di Cristoforo Colombo prima del 1492 si possono considerare sicuri o altamente
probabili? Quali invece semplicemente ipotetici?” La domanda rimbalzò più volte nel silenzio, la
riformulai: “Che cosa disse di sé e del proprio passato l’Ammiraglio del mare Oceano?” Fu allora che
mia madre (non capisco come) intuì: “Hai forse intenzione di riprendere gli studi su Colombo?”.
Risposi di no. Due giorni dopo, ero già sul treno diretto a Genova, obbiettivo Biblioteca Berio.
Iniziava così un periodo di indagini condotte nelle biblioteche più che negli archivi. Ogni sabato
andavo alla ricerca di documenti già editi, ma purtroppo in forma frammentaria e al servizio della
causa dello storico più che della storia. Li volevo in lingua originale e, se non disponevo della fonte
edita qui in Italia, telefonavo a Siviglia o a Madrid. Li volevo tutti assieme per ordinarli, confrontarli,
vagliarli. Ricordo quelle notti quando, davanti al monitor, trascrivevo e commentavo i documenti,
quando nella mia vita ogni cosa sembrava volgere al peggio, eppure erano notti luminose: ogni
mezzora interrompevo il lavoro per scendere ad assistere mia madre, e lei inconsapevolmente riceveva
la calma serena che mi trasmettevano i documenti. Notavo allora un’inaspettata affinità tra lo studium
rivolto alle carte e lo studium richiesto per assistere una persona inferma; forse solo allora, pur dedito
da una vita agli studi umanistici, comprendevo il significato di studia humanitatis.
Chi era Colombo? Quale il suo rapporto con il passato?
All’inizio del primo diario di bordo, i ricordi della fresca capitolazione di Granada cadono sulla
pagina come blocchi di cristallo, quasi eventi già scritti ab aeterno, disponendosi ad uno ad uno in
ordinata sequenza: vidi spiegati i vessilli reali delle Vostre Altezze sulle torri dell’Alfambra… vidi
uscire il re moro sulle porte della città a baciare le reali mani. Poi, con passaggio repentino, non
infrequente negli scritti dell’Ammiraglio del mare Oceano, al ricordo subentra altrettanto certo e come
infallibile l’obbiettivo del viaggio, l’Oriente e un Principe che è chiamato Gran Can da raggiungere
per il cammino d’Occidente.
Questo il singolare modo di vedere del cavaliere medievale Cristoforo Colombo, che sette anni
prima si presentò quale ambasciatore della Santa Trinità ai Reali di Castiglia, e non per chiedere
mezzi e risorse con cui tentare vie mai tentate ma, come avrebbe poi scritto in un autografo della Casa
de Alba parlando di sé in terza persona, per offrire loro le isole e terra ferma che si trovano al di là
della sopra detta linea nel mare Oceano… poiché tutto stava nelle mani del detto Ammiraglio, dopo
che in quelle di Dio Nostro Signore, ed egli avrebbe potuto darle a qualsiasi principe con cui si fosse
accordato. Tra un passato e un futuro già scritti, sta però il presente dal volto di medusa, a cui
l’Ammiraglio guarda con assoluto fastidio.
Quali dati sulla vita di Cristoforo Colombo prima del 1492, ma soprattutto prima dell’arrivo in
Castiglia avvenuto al tramonto del 1483, si possono considerare sicuri o altamente probabili? Quali
invece semplicemente ipotetici? Discrimen in parte affidato a considerazioni di carattere oggettivo, in
parte alla sensibilità e alla competenza dello storico; comunque una base per un razionale e onesto
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
dibattito. Usi e abusi della storia: protetti dall’ombra di un campanile, accogliere benevolenti ogni
carta che sembri farlo nascere in un luogo nostro diletto, leggere con spirito ipercritico gli scritti
dell’Ammiraglio che oggettivamente contrastino con tale interpretazione. Ma noi continueremo a
leggere i suoi scritti. Non è vero che l’Ammiraglio del mare Oceano abbia cercato di occultare al
mondo la sua passata esperienza: la leggeva come un profeta (o uno che profeta si senta) legge il
tempo già consumato, gli eventi tesi a grandi folate verso il compimento di una meta, gli eventi come
prefigurazione della futura plenitudine.
Non è vero che abbia nascosto l’origine della sua vita: senza compagni e ridotto a pezzo di carne
dolente su quella costa tanto selvaggia alla foce del Belén, ormai spenta ogni speranza e in preda a
una febbre altissima, si arrampicò con gran pena fin sul punto più alto della nave arenata e piangeva
e gridava all’Oceano, era l’Ammiraglio del mare Oceano, invocava i maestri della guerra delle Vostre
Altezze; poi, scivolato sul ponte della nave, la febbre ebbe finalmente il sopravvento piegando il suo
corpo, pupazzo disarticolato, ma nel sonno una voce, “Da quando nascesti, Egli ti ebbe in grande
cura”. Non è una data di luogo e di tempo, è vero. Molto di più: il senso di un destino.
Ma agli storici, si dice, non serve il senso di un destino, bensì documentazione di eventi, date e
luoghi. Forti di questa convinzione, non si volge occhio attento all’orizzonte atlantico-portoghese di
Cristoforo, mondo dalla cultura sommamente complessa, nove anni (1474-1483) in cui maturò il senso
di un destino: E con questo fuoco venni alle Vostre Altezze. Salvo poi accettare il tanto vilipeso
Fernando (o chi per lui) delle Historie, in un punto in cui palesemente non è credibile, quando cita non
le carte di suo padre né voce di gente che lo frequentò, ma il Sabellico, che egli del resto mal interpreta,
facendo così fiorire il fiore della leggenda eroica: dopo la battaglia, il naufrago Cristoforo raggiunge
a nuoto la costa di Lisbona.
Neppure è vero che Colombo sia avaro di indicazioni su luoghi e tempi del suo passato. Con la
crudele geometria della danza di una libellula, la sua mente passava e ripassava sull’età del mondo
come sulla propria, nessuna falda lasciando al caso, impietosamente eliminando ogni accidente,
misurando e postillando nella storia del mondo e nella sua ciò che fosse leggibile come compimento
della Sacra Scrittura, perché sta scritto che todo pasaría mas no su palabra maravillosa, ogni cosa avrà
da passare ma non la sua mirabil parola. Se ogni cosa era già scritta con aritmetica precisione nel libro
umano-divino della storia, prossima la fine del mondo, imminente la ricapitolazione della terra sotto
il segno della croce annunciata da Isaia, non poteva colui che sentiva anche le lettere del proprio nome
unte dallo Spirito sotto il segno della divina missione, non poteva il Christo ferens, colui che a Cristo
riportava il globo terracqueo prima che ogni cosa finisse, non poteva non leggere la propria vita
secondo la danza sacra dei numeri.
Fissando il numero degli anni trascorsi l’Ammiraglio cucì, nella memoria e qua e là negli scritti,
frammenti di esperienze vissute dal giorno in cui re Renato d’Angiò lo inviò a dar l’assalto ad una
galeazza fernandina fino all’anno 1492, cucitura rada ma fatta di fili di ferro, senza l’alone opalescente
in cui solitamente fluttuano le acque dei ricordi.
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Gianfranco Ribaldone
ARCHIVIO DI STATO DI VENEZIA, Miscellanea Codici, I, Storia Veneta, 57, Cronaca di Donato Contarini, VII,
p. 213.
..
Per la presen.za a Napoli di Guglielmo, figlio del marchese di Monferrato, nell’anno 1440:
A. LECOY DE LA MARCHE, Le roi René, I, Paris 1873, p. 199.
Per le rogatorie presentate a Madrid da Baldassarre Colombo di Cuccaro nella causa per la successione al
Maggiorasco:
ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejos, fasc. 21815, sottof. 62, ff. 129r-257r;
ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejos, fasc. 21476, sottof. 71, ff. 26r-44v;
ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejos, fasc. 21474, sottof. 24, ff. 11r-41r;
ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejos, fasc. 21475, sottof. 8 (antica numeraz. 4);
inoltre, nel presente volume, gli studi:
ANGELICA VALENTINETTI, Causa per il maggiorasco di Cristoforo Colombo; domande di Baldassarre Colombo
di Cuccaro e testimonianze raccolte in Monferrato e in Spagna;
CARLO TIBALDESCHI, Il processo del maggiorasco: le ragioni genealogiche di Baldassarre Colombo di Cuccaro.
.
Per il tentativo di riconciliazione, su iniziativa di Renato d’Angiò, tra il marchese di Monferrato e il duca di
Milano negli anni 1453 e 1454:
ARCHIVIO DI STATO DI MILANO, Archivio ducale visconteo-sforzesco, Registri ducali, 35, ff. 29r-31r; f. 37r.
Per i documenti relativi alla figura di Cristoforo Colombo citati dal presente studio:
vidi spiegati i vessilli reali delle Vostre Altezze sulle torri dell’Alfambra (traduzione da doc. 109);
vidi uscire il re moro sulle porte della città a baciare le reali mani (traduzione da doc. 109);
l’Oriente e un Principe che è chiamato Gran Can da raggiungere per il cammino d’Occidente (traduzione da
doc. 120);
ambasciatore della Santa Trinità (traduzione da doc. 56);
le isole e terra ferma che si trovano al di là della sopra detta linea nel mare Oceano (traduzione da doc. 55);
poiché tutto stava nelle mani del detto Ammiraglio, dopo che in quelle di Dio Nostro Signore, ed egli avrebbe
potuto darle a qualsiasi principe con cui si fosse accordato (traduzione da doc. 55);
su quella costa tanto selvaggia alla foce del Belén, ormai spenta ogni speranza e in preda a una febbre altissima,
si arrampicò con gran pena fin sul punto più alto della nave arenata e piangeva e gridava all’Oceano, era
l’Ammiraglio del mare Oceano, invocava i maestri della guerra delle Vostre Altezze; poi, scivolato sul ponte
della nave, la febbre ebbe finalmente il soppravvento piegando il suo corpo, pupazzo disarticolato, ma nel sonno
una voce, “Da quando nascesti, Egli ti ebbe in grande cura” (traduzione da doc. 1);
E con questo fuoco venni alle Vostre Altezze (traduzione da doc. 53);
ogni cosa avrà da passare, ma non la sua mirabil parola (traduzione da doc. 57);
Christo ferens (da doc. 8).
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
Definizione dell’oggetto
Una silloge di documenti sulle esperienze da Colombo vissute fino al gennaio 1492.
Criterio di selezione
Una selezione fondata sull’attendibilità del documento in relazione alla vita di Colombo.
Oggetto di particolare attenzione gli scritti dell’Ammiraglio (autografi o, se questi non sono pervenuti,
copie o sunti di Bartolomeo de Las Casas), costituenti il 50% del materiale selezionato; le lettere
private o ufficiali a (o su) Colombo (13%), i Pleitos relativi agli anni 1512-1535 (10%); a questa
documentazione si sono aggiunte, vagliando caso per caso, alcune testimonianze contenute nelle
Historie di Fernando Colombo (16%), nella Historia general de las Indias di Bartolomeo de Las Casas
(4%), nell’Itinerarium di Alessandro Geraldini (4%), nell’Asia di João de Barros (1%), nella Historia
de los Reyes Catolicos di Andrés Bernáldez (1%), nella Historia general y natural de las Indias di
Gonzalo Fernández de Oviedo (1%).
Esclusioni
Molti documenti, forse riferibili alle origini del futuro Ammiraglio del mare Oceano, ma sui quali
almeno per me non v’è certezza, sono esclusi dalla raccolta e discussi nel capitolo finale “Ipotesi e
dintorni”.
Schema di presentazione
I documenti vengono disposti in sequenza, con un numero progressivo, secondo un ordine cronologico
fondato sul tempo a cui risale non la redazione del documento, ma l’oggetto del ricordo o della
testimonianza. Al numero progressivo seguono, dentro un’unica parentesi e separate da una freccia,
la data di generazione del documento e la data dell’esperienza colombiana ivi ricordata o testimoniata.
Sotto, in grassetto e in sintesi, l’informazione biografica ricavabile dal testo presentato.
Ogni documento, estratto o completo, viene proposto in lingua originale se così ci è pervenuto, a cui
segue la traduzione. Ove possibile, ho privilegiato per l’edizione degli originali la Nuova Raccolta
Colombiana pubblicata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, mentre per la traduzione ho preferito
ricorrere al più agile (ma privo dei testi originali, tranne alcune postille colombiane) e più facilmente
reperibile CRISTOFORO COLOMBO, Gli scritti, a cura di Consuelo Varela, edizione italiana a cura di Paolo
Collo, Torino, Giulio Einaudi editore, 1992 oppure a AAVV, Nuovo Mondo. Gli Italiani. 1492-1565, a
cura di Paolo Collo e Pier Luigi Crovetto, Torino, Giulio Einaudi editore, 1991. Infine l’indicazione della
fonte archivistica e di quella edita, a cui segue una nota sul contenuto del documento.
Suddivisione in quattro periodi
I documenti della raccolta scandiscono e coprono quattro periodi della vita di Cristoforo Colombo:
Origini (14??-1460).
Orizzonte angioino-mediterraneo (1460-1474).
Orizzonte atlantico-portoghese (1474-1483).
Inquieto periodo di terra tra Spagna e Portogallo (fine 1483-gennaio 1492).
La suddivisione è fondata sull’analisi dei documenti, in particolare di quelli in cui Colombo,
rievocando un evento, indicò la data o il numero dei trascorsi anni: era allora il passato, quale si
dipanava nella sua tesa memoria; è oggi l’esile filo, di cui a stento teniamo ancora un capo.
Un ringraziamento particolare a
Archivio di Stato di Genova e Biblioteca Berio di Genova;
Carmen Radulet (ci manchi tanto), Università degli Studi della Tuscia, Viterbo;
Joseph Abraham Levi, Rhode Island College, Providence, Stati Uniti;
Maria de Deus Beites Manso, Universidade de Évora, Portogallo;
Peter John Mazzoglio, Università degli Studi di Torino.
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Gianfranco Ribaldone
ANGHIERA
PIETRO MARTIRE D’ANGHIERA, Opus epistolarum Petri Martyris Anglerii Mediolanensis, Alcalá 1530 (le nostre
citazioni da La scoperta del Nuovo Mondo negli scritti di Pietro Martire d’Anghiera, a cura di Ernesto Lunardi,
Elisa Magioncalda, Rosanna Mazzacane, “Nuova Raccolta Colombiana” 6, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca
dello Stato, 1988).
BERNÁLDEZ
ANDRÉS BERNÁLDEZ, Historia de los Reyes Católicos don Fernando y doña Isabel, Siviglia 1870, in Le scoperte
di Cristoforo Colombo nelle testimonianze di Diego Alvarez Chanca e di Andres Bernaldez, a cura di Anna
Unali, “Nuova Raccolta Colombiana” 7, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1991.
COLOMBO LETTERE
CRISTOFORO COLOMBO, Lettere e scritti (1495-1506), a cura di Paolo Emilio Taviani e Consuelo Varela, “Nuova
Raccolta Colombiana” 3, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1994.
COLOMBO LIBRO BORDO
CRISTOFORO COLOMBO, Il giornale di bordo. Libro della prima navigazione e scoperta delle Indie, a cura di
Paolo Emilio Taviani e Consuelo Varela, “Nuova Raccolta Colombiana” 1, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca
dello Stato, 1988.
COLOMBO RELAZIONI
CRISTOFORO COLOMBO, Relazioni e lettere sul secondo, terzo e quarto viaggio, a cura di Paolo Emilio Taviani,
Consuelo Varela, Juan Gil, Marina Conti, “Nuova Raccolta Colombiana” 2, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca
dello Stato, 1992.
DE BARROS
JOÃO DE BARROS, Ásia, Lisbona 1552-1563 (le nostre citazioni da JOÃO DE BARROS, Ásia, Lisbona 1945).
DE CUNEO
MICHELE DE CUNEO, De novitatibus insularum, Roma 1893, in La scoperta nelle relazioni sincrone degli
Italiani, a cura di Gabriella Airaldi e Luciano Formisano, “Nuova Raccolta Colombiana” 5, Roma, Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato, 1996.
DE LAS CASAS
BARTOLOMEO DE LAS CASAS, Historia de las Indias, Madrid 1875 (le nostre citazioni da Le scoperte di
Cristoforo Colombo nei testi di Bartolomeo de Las Casas, a cura di Francesca Cantù, “Nuova Raccolta
Colombiana” 9, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1993).
FERNANDO
FERNANDO COLOMBO, Le historie della vita e dei fatti dell’Ammiraglio don Cristoforo Colombo, trad. di Alfonso
Ulloa, Venezia 1571, in FERNANDO…, “Nuova Raccolta Colombiana” 8, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca
dello Stato, 1990.
GERALDINI
ALESSANDRO GERALDINI, Itinerarium ad regiones sub aequinoctiali plaga constitutas, Roma 1631 (le nostre
citazioni da La scoperta nelle relazioni sincrone degli Italiani, a cura di Gabriella Airaldi e Luciano Formisano,
“Nuova Raccolta Colombiana” 5, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1996).
MANZANO SETTE ANNI
JUAN MANZANO MANZANO, Cristoforo Colombo. Sette anni decisivi della sua vita (1485-1492), “Nuova Raccolta
Colombiana” 15, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1990.
MANZANO SIETE AÑOS
JUAN MANZANO MANZANO, Cristóbal Colón. Siete años decisivos de su vida (1485-1492), Madrid, Ediciones
Cultura Hispánica, 1964.
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
MONLEONE
GIOVANNI MONLEONE, GIUSEPPE PESSAGNO (a cura di), Cristoforo Colombo. Documenti e prove della sua
appartenenza a Genova, Bergamo 1931.
MORISON
SAMUEL ELIOT MORISON, Cristoforo Colombo Ammiraglio del Mare Oceano, Bologna, Società editrice il
Mulino, 1962.
NAVARRETE
FERNANDEZ DE NAVARRETE, Coleccion de los viages y descubrimientos, Madrid 1825.
NUOVO MONDO
AA.VV., Nuovo Mondo. Gli Italiani. 1492-1565, a cura di Paolo Collo e Pier Luigi Crovetto, Torino, Giulio
Einaudi editore, 1991.
OVIEDO
GONZALO FERNÁNDEZ DE OVIEDO Y VALDÉS, Historia general y natural de las Indias, Islas y Tierra firme del
mar Océano, Siviglia 1535; Madrid 1851-1855 (le nostre citazioni da Le scoperte di Cristoforo Colombo nei
testi di Fernández de Oviedo, a cura di Francesco Giunta, “Nuova Raccolta Colombiana” 10, Roma, Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato, 1991).
VARELA PARTICULARES
JUAN GIL, CONSUELO VARELA, Cartas de particulares a Colón y Relaciones coetáneas, Madrid, Alianza Editorial,
1984.
VARELA SCRITTI
CRISTOFORO COLOMBO, Gli scritti, a cura di Consuelo Varela, ed. italiana a cura di Paolo Collo, Torino, Giulio
Einaudi editore, 1992.
VARELA TEXTOS
CRISTOFORO COLOMBO, Textos y documentos completos. Relaciones de viajes, cartas y memoriales, a cura di
Consuelo Varela, Madrid, Alianza Editorial, 1982.
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Gianfranco Ribaldone
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
4. Elenco documenti
* Autografi (o copie o sunti da scritti) di Colombo # Lettere private o ufficiali a (o su) Colombo π Pleitos anni 1512-1535
■ Alessandro Geraldini, Itinerarium ~ B. de Las Casas, Historia de las Indias + F. Colombo, Historie
Origini (14??-1460)
* Da quando nascesti Egli ti ebbe in gran cura (doc. 1)
* Io venni a servire di età di ventott’anni (doc. 2)
* Origine italica (doc. 3)
* Origine italica (doc. 4)
Origine ligure (doc. 5)
+ Bartolomeo Colombo di Terra Rubra e con patria Genova, fratello (doc. 6)
~ Bartolomeo e Diego fratelli; Juan Antoño Columbo, genovese, parente (doc. 7)
* Don Andrea, fratello di Juan Antonio (doc. 8)
+ Domenico, padre (doc. 9)
+ Precarie condizioni economiche della famiglia d’origine (doc. 10)
Aspetto fisico: alto, carnagione rossa, viso allungato (doc. 11)
* Formazione culturale tra conversazione, studio ed esperienza (doc. 12)
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
# 1489 (12 maggio), corte castigliana. Da Cordova, lettera patente dei re per favorire l’arrivo di Colombo a Corte
(doc. 93)
# 1489 (maggio), corte castigliana. A Jaén, la regina riceve Colombo e lo dà in carico al ragioniere dello Stato
(doc. 94)
■ 1489 (maggio-agosto), corte castigliana. A Jaén, Colombo appoggiato dal nunzio apostolico Antonio Geraldini
(doc. 95)
■ 1489 (agosto-settembre), corte castigliana. A Jaén, Colombo in difficoltà per la morte di Antonio Geraldini
(doc. 96)
# 1489 (autunno)-1491 (autunno), Puerto de Santa María. Colombo per due anni ospite del duca di Medinaceli
(doc. 97)
+ 1491 (autunno), Palos. Colombo di nuovo intenzionato a recarsi in Francia (doc. 98)
π 1491 (autunno), Palos. Colombo, diretto a Huelva, chiede al convento de La Rábida pane e acqua per Diego
(doc. 99)
π 1491 (autunno), Palos. Colombo, in stato di estrema povertà, viene ospitato nel convento (doc. 100)
π 1491 (autunno), Palos. Colombo, in stato di estrema povertà, scende spesso a Moguer (doc. 101)
π 1491 (autunno), Palos. Colombo scende spesso a Palos a parlare con Pietro de Velasco (doc. 102)
π 1491 (autunno), Palos. Colombo a La Rábida parla con frate Juan Pérez e con il medico di Palos (doc. 103)
π 1491 (autunno), Palos. Frate Juan Pérez invia una lettera alla regina (doc. 104)
π 1491 (autunno), Palos. Frate Juan Pérez, dopo due settimane, riceve dalla regina l’invito a Corte (doc. 105)
π 1491 (autunno), Palos. Frate Juan Pérez si reca a Corte (doc. 106)
π 1491 (dicembre), Palos. Colombo riceve dalla regina l’invito a Corte e 20000 maravedís (doc. 107)
* 1491 (dicembre), corte castigliana. A Santa Fe, frate Juan Pérez e Colombo parlano alla regina (doc. 108)
* 1492 (2 gennaio), corte castigliana. A Granada, presenza di Colombo alla resa del re moro (doc. 109)
■ 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, una giunta discute con Colombo sul progetto (doc. 110)
■ 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, Alessandro Geraldini difende il progetto (doc. 111)
■ 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, Alessandro Geraldini difende il progetto e nasce un’amicizia
(doc. 112)
+ 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, la giunta e i re respingono infine il progetto (doc. 113)
+ 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, Colombo si congeda e parte per Cordova (doc. 114)
* 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, perorazione di Diego de Deza presso il re (doc. 115)
+ 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, perorazione di Luis de Santángel presso la regina (doc. 116)
+ 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, la regina fa tornare Colombo (doc. 117)
* 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, dalla regina l’estremo atto di sostegno a Colombo (doc. 118)
π 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, il re affida a Deza e a Talavera il compito di parlare con Colombo
(doc. 119)
* 1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, i re affidano a Colombo la spedizione verso le Indie (doc. 120)
81
Gianfranco Ribaldone
5. Origini
(14??-1460)
Periodo oscuro della prima giovinezza di Cristoforo Colombo, periodo definibile “ligure” grazie a
testimonianze indirette (vedi i docc. 5-7; e, solo per la provenienza italica, i docc. 3 e 4, che
testimoniano l’uso, sia pure occasionale, di una lingua natia non del tutto dimenticata da Colombo) e
la cui data iniziale (come anche l’anno natale e non è detto che le due cose coincidano) è ignota.
Nella relazione del quarto viaggio scritta nell’isola di Giamaica, l’Ammiraglio del mare Oceano,
trovatosi più volte vicino alla morte, apre due spiragli sul tempo della sua nascita: uno di natura
mistico-provvidenziale (doc. 1), l’altro con un’indicazione di età (doc. 2; leggi però anche l’ultimo
capoverso del capitolo finale “Ipotesi e dintorni”).
Attraverso due importanti indicazioni dello stesso Cristoforo (docc. 13 e 14) è possibile risalire all’anno
conclusivo del periodo “ligure”, il 1460/1461, che fu anche l’inizio di ventitré intensi anni di
navigazione con minime soste a terra (doc. 14).
Per il resto, poche le informazioni sicure sulla famiglia e sulla persona: i genitori ridotti in povertà (doc.
10); il padre di nome Domenico (doc. 9), i fratelli Bartolomeo e Diego, che condivideranno le gioie e
più spesso gli affanni dell’Ammiraglio (docc. 6 e 7), un parente di nome Giovanni Antonio, che
comanderà una nave durante il terzo viaggio, e il fratello di costui, di nome Andrea, che sarà latore di
una lettera dell’Ammiraglio a Gaspar de Gorricio nell’anno 1505 (docc. 7 e 8); il corpo di Colombo
era alto e asciutto, la pelle chiara tirante al rosso acceso, i capelli biondi, il viso allungato, il naso
aquilino, gli zigomi pronunciati, gli occhi chiari (doc. 11); nell’animo un inesausto desiderio di
conoscere il mondo e i suoi segreti, che lo porterà, negli anni prima della scoperta, ad acquisire una
grande arte marinara, vivendo forti esperienze mediterranee ed atlantiche, a coltivare comunicazioni
in un arcobaleno di etnie e di culture, a compulsare libri di cosmografia, di storia, di filosofia e di altre
arti, a raggiungere sufficienti conoscenze cosmografiche e matematiche, a disegnare con maestria la
sfera con le città, i fiumi, i monti, le isole e i porti (doc. 12).
doc. 1
(1503 —› origini di Colombo)
Da quando nascesti Egli ti ebbe in gran cura
Mi hermano y la otra gente toda estavan en un navío que quedó adentro, yo muy solo de fuera en tan brava
costa, con fuerte fiebre; en tanta fatiga la esperança de escapar era muerta. Subí assí trabaxando lo más alto,
llamando a voz temerosa, llorando y muy aprisa los maestros de la guerra de Vuestras Altezas, a todos quatro
los vientos, por socorro, más nunca me respondieron. Cansado me dormeçí gimiendo. Una voz muy piadosa oí
diciendo: “O estulto y tardo a creer y a servir a tu Dios, Dios de todos, ¿qué hizo El más por Moises o por
David, su siervo? Desque nasçiste, siempre El tuvo de ti muy grande cargo. (...)”.
Mio fratello e l’altra gente si trovava tutta su una nave che era rimasta sul fiume e io ero restato solo, fuori, su
quella costa tanto selvaggia in preda a una febbre altissima; e fra tante tribolazioni si era ormai spenta ogni mia
speranza di salvezza. Salii con gran pena fin sul punto più alto della nave, invocando con voce tremante, e
piangendo, i maestri della guerra delle Vostre Altezze, gridando ai quattro venti e chiedendone aiuto, ma non
ricevetti risposta. Stremato, mi addormentai, gemendo. Allora udii una voce pietosa che diceva: “Oh stolto e
tardo a credere e a servire il tuo Dio, il Dio di tutti gli uomini. Fece Egli forse di più per Mosè e per David, il
Suo servo? Da quando nascesti, Egli ti ebbe in gran cura. (...)”.
Copia della relazione del quarto viaggio scritta nell’isola di Giamaica il 7 luglio 1503; BIBLIOTECA
UNIVERSITARIA DI SALAMANCA, Ms. 2327, ff. 14-26.
Edizione: COLOMBO RELAZIONI, t. I, p. 142. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXVI, p. 340.
Nota: Da quando nascesti, Egli ti ebbe in gran cura, ossia il senso di un destino.
82
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
doc. 2
(1503 —› origini di Colombo)
Io venni a servire di età di ventott’anni
Yo vine a servir de veinteocho años, y agora no tengo cavello en mi persona que no sea cano y el cuerpo
enfermo y gastado quanto me quedó de aquellos, y me fue tomado y bendido y a mis hermanos fasta el sayo,
sin ser oído ni visto, con gran deshonor mío.
Io venni a servire < le V. Al. > di età di ventott’anni, e al presente non ho un solo capello che non sia canuto e
il corpo malato e consunto, che è quanto mi è restato di allora; senza contare quello che mi è stato sottratto con
dolo e venduto, che ai miei fratelli non è rimasto neppure un saio con mio massimo scorno e disonore.
Copia della relazione del quarto viaggio scritta nell’isola di Giamaica il 7 luglio 1503; BIBLIOTECA
UNIVERSITARIA DI SALAMANCA, Ms. 2327, ff. 14-26.
Edizione: COLOMBO RELAZIONI, t. I, pp. 156 e 158. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXVI, p. 347.
Nota: per i problemi riguardanti la data di nascita, leggi l’ultimo capoverso di “Ipotesi e dintorni”.
doc. 3
(1501 —› origini di Colombo)
Origine italica
Dopo el peccato delli primi parenti cadendo l’homo de male en pegio perdete la simigliança de Dio et, como
dice el psalmista, prese similitudine de bestia.
Annotazione contenuta nel Libro delle Profezie (in parte compiuto il 13 settembre 1501; cfr. VARELA SCRITTI,
doc. L, p. 298); BIBLIOTECA COLOMBINA DI SIVIGLIA, n. 2091 del Registro di Don Fernando, f. 58r.
Edizione: VARELA SCRITTI, doc. I, 14, p. 9.
Nota: con il doc. 4, la testimonianza di una lingua natia non del tutto obliata.
doc. 4
(? —› origini di Colombo)
Origine italica
Del ambra es çierto nascere in India soto tierra, he yo ne ho fato cauare in molti monti in la isola de Feyti uel
de Ofir uel de Cipango, a la quale habio posto nome Spagnola, y ne o trouato pieça grande como el capo, ma
no tota chiara, saluo de chiaro y parda, y otra negra; y ve n’e asay.
Autografa postilla annotata nell’Historia di Plinio; BIBLIOTECA COLOMBINA DI SIVIGLIA, n. 3358 del Registro,
Racc. 23, f. 242v.
Edizione: VARELA SCRITTI, doc. I, 15, p. 9.
Nota: con il doc. 3, la testimonianza di una lingua natia non del tutto obliata.
doc. 5
(testimonianze 1493-1550 circa —› origini di Colombo)
ORIGINE LIGURE
A)
Ioanni Borromeo, aurato equiti
(…). Post paucos inde dies, rediit ab antipodibus occiduis Christophorus quidam Colonus, vir ligur, qui a meis
Regibus ad hanc provinciam tria vix impetraverat navigia, quia fabulosa quae dicebat arbitrabantur; rediit,
preciosarum multarum rerum, sed auri praecipue, quae suapte natura regiones illae generant, argumenta tulit.
Sed aliena omittamus, Comes egregie, omittamus. In Italiam vocantur Galli: quibus colubris agitamini, miselli
homines! Sentio te domumque tuam a Ludovico dissentire, sed prodesse parum. (…).
Barchinonae, pridie Idus Maii. M.CCCC.XCIII.
A Giovanni Borromeo, cavaliere dello Sperone d’oro
(…). Da pochi giorni è tornato dagli antipodi occidentali un tale Cristoforo Colombo, un ligure che dai miei Re
aveva a stento ottenuto tre imbarcazioni per questa missione, poiché ritenevano fantasiose le cose che diceva;
è tornato, ha portato testimonianze di molte cose preziose, ma soprattutto di oro, che quelle regioni producono
spontaneamente. Ma tralasciamo argomenti che non ci riguardano da vicino, egregio Conte, tralasciamoli! In
Italia vengono chiamati i Francesi: poveri uomini, da quali serpenti siete turbati! Sento che tu e la tua famiglia
non siete d’accordo con Ludovico, ma serve a poco.
Barcellona, 14 maggio 1493.
Edizione: ANGHIERA, ep. 131, p. 34. Traduzione: ANGHIERA, ep. 131, p. 35.
83
Gianfranco Ribaldone
B)
Comiti Tendillae et Archiepiscopo Granatensi
Attollite mentem sapientissimi duo senescentes, audite novum inventum! Meministis Colonum Ligurem, institisse
in castris apud Reges de percurrendo per occiduos antipodes, novo terrarum hemispherio; meminisse oportet,
quia de re vobiscum aliquando actum est, nec sine vestro, ut arbitror, consilio rem hic aggressus est. Is rediit
incolumis, mira se reperisse praedicat, aurum aurifodinarum in eis regionibus argumentum ostentat,
gossampium aromataque, tum oblonga, tum teretia, Caucaseo pipere acutiora, detulit, quae simul et coccineas
arbores suapte natura tellus parit. (…).
Barchinonae, Idibus Septembris. M.CCCC.XCIII.
Al conte di Tendilla e all’arcivescovo di Granada
Prestate attenzione voi due, ormai anziani e molto saggi, ascoltate la notizia della nuova scoperta! Voi ricordate
che il ligure Colombo faceva pressioni nell’accampamento presso i Re a proposito del viaggio nel nuovo
emisfero attraverso gli antipodi occidentali; dovete ricordarlo necessariamente, poiché sull’argomento si è
discusso talvolta con voi e non senza il vostro appoggio, come penso, questi si è accinto all’impresa. Egli è
ritornato sano e salvo, va dicendo di aver trovato cose meravigliose, mostra come prova l’oro delle miniere che
si trovano in quelle regioni, ha portato cotone, spezie di forma sia allungata, sia rotonda, di odore più penetrante
del pepe nero del Caucaso, prodotti che la terra produce spontaneamente, insieme anche ad alberi di colore
scarlatto. (…).
Barcellona, 13 settembre 1493.
Edizione: ANGHIERA, ep. 134, pp. 36 e 38. Traduzione: NUOVO MONDO, p. 605.
C)
Ioanni Borromeo, aurato equiti, civi Mediolanensi, comiti lacus Verbani
(…). Mira in dies magis ac magis ab orbe novo, per Colonum eum Ligurem Praefectum maritimum, ob res bene
gestas a meis Regibus effectum, afferuntur. Auri copia ingens in terrae superficie reperitur. Percurrisse inquit
se, ab Hispaniola rotati orbis ad occidentem tantum terrae, ut Auream fere Chersonesum ab oriente cogniti orbis
termini ultimi attigerit; duas tantum horas de quattuor et viginti, quibus sol ambiens perlabitur, universum se
putat reliquisse. Homines reperit humana carne depastos (Canibales vocat vicinia eorum) et hos nudos veluti
universa est gens illa. Libros coepi de tantae rei invento perscribere. Si dabitur vivere, nil memoratu dignum
praetermittam; qualescunque decussi evadent, illorum ad te mittetur exemplar. Praebebo saltem viris doctis,
magna scribere aggredientibus ingens ac novum materiae pelagus. Valete!
Ex oppido Compluto in Oretania, quod dicitur Alcalá, .XIII. Kalendas Novembris. M.CCCC.XCIIII.
A Giovanni Borromeo, cavaliere dello Sperone d’oro, cittadino milanese, conte del lago Verbano
(…). Di giorno in giorno, notizie sempre più straordinarie sono riportate dal nuovo mondo, grazie a quel ligure
Colombo, nominato Ammiraglio dai miei Re per le sue imprese portate a buon fine. Una grande quantità d’oro
si trova sulla superficie della terra. Dice di aver percorso da Hispaniola verso occidente del mondo che gira,
tanta terra che ha quasi toccato l’Aurea Chersoneso, ultimo confine del mondo conosciuto ad oriente; pensa che
gli siano rimasti da attraversare solo i paesi che il sole illumina in due delle ventiquattro ore durante le quali,
girando intorno, rischiara l’universo. Trova uomini che mangiano carne umana (i loro vicini li chiamano
Cannibali), anche questi nudi, come è nuda tutta quella gente. Ho cominciato a scrivere dei libri su una scoperta
dì così grande importanza. Se mi sarà concesso vivere, non tralascerò nulla che sia degno di ricordo; man mano
che, una volta stesi, usciranno, te ne sarà mandata una copia. Offrirò, se non altro, a uomini dotti e che si
accingono a scrivere su argomenti importanti, un grande e nuovo mare di materiale. State bene!
Dalla città di Complutum in Oretania, che è detta Alcalá, 20 ottobre 1494.
Edizione: ANGHIERA, ep. 143, pp. 48 e 50. Traduzione: ANGHIERA, ep. 143, pp. 49 e 51.
D)
Cristoforo Colombo zenovese, omo de alta e procera statura, rosso, de grande inzegno e faza longa, seguitò
molti zorni, mesi e anni li serenissimi re di Spagna in qualunque loco andavano, procurando lo aiutassero ad
armar qualche naviglio, ch’el se offeriva trovar per ponente insule finitime a la India: dove è copia de pietre
preciose, speciarie e oro, che facilmente se porría consequir.
ANGELO TREVISAN, inizio del primo libro de la prima navigazione del admirante del mar Oceano, ditto el
Columbo; in questo libro, che inviò al signore veneziano Domenico Malipiero, assieme ad una lettera scritta
nella città di Granada il 21 agosto 1501, il Trevisan sostanzialmente ha traslato in vulgar un trattato del viazo
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
del ditto Columbo, composto, ma all’epoca non ancora pubblicato, da Pietro Martire d’Anghiera; il Trevisan
attinge però anche direttamente da Colombo, con cui prese pratica e grandissima amicizia;
Edizione: NUOVO MONDO, p. 634.
E)
Adì VII de questo arivorono qui a salvamento XII caravelle venute dalle nuove isole trovate per Colonbo
savonese, armiraglio del Oceano per lo re de Castiglia, venute in dí XXV dalle ditte isole d’Anteglia tenendo
alla quarta de greco verso tramontana, aderittura, arivorono qui sopra a Calis a XXIII ore senza mai descoprire
altra terra.
GIAMBATTISTA STROZZI, inizio della lettera scritta nella città di Cadice il 19 marzo 1494 e pervenuta alla corte
di Mantova direttamente dalla Spagna, forse - ipotizza il Berchet - a opera di Antonio Salimbeni, inviato di
Francesco II Gonzaga.
Edizione: NUOVO MONDO, p. 615.
F)
De novitatibus insularum Occeani Hesperii repertarum a Don Christoforo Columbo Genuensi.
MICHELE DE CUNEO, intitolazione della relazione contenuta nella lettera scritta nella città di Savona il 15 ottobre
1495 al nobile genovese Gerolamo Annari (o, forse, Aimari, supponendo un errore del copista).
Edizione: DE CUNEO, p. 177.
G)
En el nonbre de Dios todopoderoso: Ovo un honbre de tierra de Milán, mercader de libros de estanpa, que
tratava en esta tierra del Andaluzía, y principalmente en Sevilla, que llamavan Cristóval Colón, onbre de muy
alto engenio sin saber muchas letras, muy astuto en el arte de la cosmografía del repartir del mundo.
Nel nome di Dio Onnipotente; vi fu un uomo della terra di Milano, mercante di libri stampati, che operava in
questa terra di Andalusia e specialmente a Siviglia, che chiamavano Cristoforo Colombo, uomo di molto alto
ingegno, senza essere particolarmente colto, assai esperto però nell’arte della cosmografia e della cartografia
del mondo.
Edizione: BERNALDEZ, cap. CXVIII, p. 60. Traduzione: BERNALDEZ, cap. CXVIII, p. 61.
H)
El cual dicho almirante don Cristóval Colón, de maravillosa e onrrada memoria, natural de la provincia de
Milán, estando en Valladolid el año de mill e quinientos y seis, en el mes de mayo, murió, inventor de las Indias,
de hedad de setenta años: Dios le ponga en gloria. Subcedióle su hijo mayor, don Diego Colón, en el
almirantazgo e rentas e onrra que él por su trabaxo e industria e buena ventura ganó, con los navíos que para
ello el rey e la reina le dieron.
Il quale suddetto ammiraglio Cristoforo Colombo, di meravigliosa e onorata memoria, originario della
provincia di Milano, scopritore delle Indie, mentre si trovava a Valladolid, l’anno mille e cinquecento e sei, nel
mese di maggio, morì, all’età di settanta anni. Dio lo abbia in gloria. Gli succedette suo figlio maggiore, don
Diego Colombo, nell’ammiragliato, nelle rendite e negli onori, che egli, per il suo impegno, e la sua operosità
e la sua fortuna aveva guadagnato servendosi delle navi che a lui il Re e la Regina avevano concesso.
Edizione: BERNALDEZ, cap. CXXXI, p. 206. Traduzione: BERNALDEZ, cap. CXXXI, p. 207.
I)
Mas, porque es bien que a hombre que tanto se le debe, pongamos por principio e fundador de cosa tan grande
como ésta, a quien él dió comienzo e industria, para todos los que viven y después dél nos vinieren, digo que
Cristóbal Colom, según yo he sabido de hombres de su nasción, fué natural de la provincia de Liguria, que es
en Italia, en la cual cae la cibdad e señoría de Génova: unos dicen que de Saona, e otros que de un pequeño
lugar o villaje, dicho Nervi, que es a la parte del Levante y en la costa de la mar, a dos leguas de la misma
cibdad de Génova; y por más cierto se tiene que fué natural de un lugar dicho Cugureo, cerca de la misma
cibdad de Génova.
Ma, poiché è giusto che un uomo a cui tanto si deve sia considerato promotore e fondatore di qualcosa di grande
come questo, a cui dette inizio e per cui si prodigò, per tutti i contemporanei e per i posteri, dico che Cristoforo
Colombo, a quanto ho saputo da suoi connazionali, fu originario della provincia di Liguria, che si trova in Italia,
85
Gianfranco Ribaldone
e in cui c’è la città e la Signoria di Genova: alcuni dicono che nacque a Savona ed altri in una piccola località
o villaggio, che si chiama Nervi, che si trova a Levante, sulla costa, a due leghe dalla stessa Genova; l’ipotesi
più sicura è che nascesse in una località che si chiama Cogoleto, vicino alla stessa città di Genova.
Edizione: OVIEDO, lib. III, cap. II, p. 42. Traduzione: OVIEDO, lib. III, cap. II, p. 43.
L)
Per lo che alcuni che in una certa maniera pensano oscurare la sua fama dicono che fu di Nervi, altri che di
Cugureo e altri che di Bugiasco, che tutti sono luoghi piccioli presso alla città di Genova e nella sua stessa
riviera; e altri che vogliono essaltarlo più dicono che era savonese, e altri genovese; e ancor quelli che più
sagliono sopra il vento lo fanno di Piacenza, nella qual città sono alcune onorate persone della sua famiglia,
e sepolture con arme e lettere di Colombo (…).
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. I, p. 20.
M)
Y por llevar por orden de historia lo que de su persona entendemos referir, primero se requiere, hablando de
personas notables, comenzar por el origen y patria dellas. Fué, pues, este varón escogido de nación genovés,
de algún lugar de la provincia de Génova; cuál fuese, donde nació o qué nombre tuvo el tal lugar, no consta
la verdad dello, más de que se solía llamar antes que llegase al estado que llegó, Cristóbal Columbo de Terra-
rubia, y lo mismo su hermano Bartolomé Colón, de quien después se hará no poca mención. Una historia
portuguesa que escribió un Juan de Barros, portugués, que llamó Asia, en el lib. III, cap. 2- de la primera
década, haciendo mención deste descubrimiento, no dice sino que, según todos afirman, este Cristóbal era
genovés de nación.
E per mettere in ordine narrativo ciò che intendiamo riferire della sua persona si richiede, in primo luogo, di
iniziare dalla sua origine e dalla sua patria, come nel caso di persone insigni. Fu dunque quest’uomo eletto di
nazione genovese, di qualche luogo della provincia di Genova; quale fosse il luogo dove nacque o quale nome
avesse per la verità non consta, oltre al fatto che, prima di elevarsi alla condizione cui poi giunse, egli soleva
chiamarsi Cristoforo Colombo di Terra-rossa, ed ugualmente suo fratello Bartolomeo Colombo, del quale si farà
oltre non scarsa menzione. Una storia portoghese, scritta da un tale Juan de Barros, portoghese, che l’intitolò
Asia, rammentando tale scoperta, nel libro 3°, cap. II della prima decade, non dice altro che, secondo quanto
da tutti affermato, questo Cristoforo era genovese di nascita.
Edizione: DE LAS CASAS, t. I, lib. I, cap. II, p. 12. Traduzione: DE LAS CASAS, t. I, lib. I, cap. II, p. 13.
N)
Segundo todos afirmam, Cristóvão Colom era genoês de nação, homem esperto, eloqüente e bom latino, e mui
glorioso em seus negócios.
Come tutti concordano nell’affermare, Cristovão Colom era nativo di Genova; uomo esperto, eloquente, buon
latinista, e assai precipitoso e irruente nei suoi negozi.
Edizione: DE BARROS, dec. I, lib. III, cap. XI, p. 119. Traduzione: MORISON, p. 74.
O)
Quoniam omnes qui aliquid scripsere, ante omnia, nomen, genus et patriam eorum qui aliquid memoria dignum,
qui aliquod facinus posteritati demandatum peregere, commemoravere, ego, Pater Beatissime, eorum opinionem
sequutus, ita faciam: eo enim modo omnia melius explanabo, omni aetati venturae plana magis efficiam.
Christophorus Colonus, Sanctissime Pater, natione Italus, e Genua Liguriae urbe fuit, cosmographia,
mathematica, omni coeli, terrae dimensione clarus, et ante omnia magnitudine animi illustris.
Tutti quelli che scrivono su qualche avvenimento importante, per prima cosa ricordano il nome di chi ha
compiuto l’impresa, poi il paese di origine della persona, il cui ricordo deve essere trasmesso ai posteri. Anch’io,
Padre beatissimo, mi comporterò allo stesso modo, seguendo lo stesso schema: in tale guisa spiegherò meglio
ogni cosa e la renderò più chiara alle persone che verranno in futuro. Cristoforo Colombo, santissimo Padre,
era italico per nascita, di Genova, città della Liguria, studioso di cosmografia, di matematica e conoscitore delle
dimensioni del cielo e della terra. Ma, quel che più conta, di animo grande.
Edizione: GERALDINI, lib. XIV, p. 390. Traduzione: NUOVO MONDO, lib. XIV, pp. 370-371 (tuttavia la
traduzione di “natione italicus e Genua Liguriae urbe fuit” in “era italiano, nato a Genova, città della Liguria”
è stata da me corretta in “era italico per nascita, di Genova, città della Liguria”).
86
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
P)
a) Christoval Colon, ginovés, è que era natural de la Saona que es una villa çerca de Génova (…).
b) Christoval Colon, è oyo dezir que hera ginovés, pero que ne sabe dondes natural (…).
c) Christoval de Colon sienpre oyo dezir que era de la senoria de Génova, de la çibdad de Saona; è a todos
los ginoves<es> que este testigo converso, que fueron muchos, vido que todos le tenian por natural ginovés.
a) Cristoval Colon, genovese, ed era nativo di Savona, che è un paese presso Genova (…).
b) Cristoval Colon, e sentì dire che era genovese, però non sa di dove fosse nativo (…).
c) e che sentì sempre dire che Cristoval Colon era della signoria di Genova, della città di Savona e vide che
tutti i genovesi coi quali parlò, che furono molti, lo ritenevano nativo genovese.
Testimonianze rese nell’anno 1535, rispettivamente da Diego Mendez, Pedro de Arana, Rodrigo Barreda, per
l’accettazione di Diego, figlio di Diego senior e nipote di Cristoforo Colombo, nell’Ordine di Santiago; ARCHIVO
HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, leg. 172, exp. 804 (signatura dell’«Archivo de Ucles»: Sant.o 1535. D.n
Diego Colon nieto de Christoval Colon natural de Santo Domingo), ff. 2v-4v.
Edizione: MONLEONE, pp. 184 e 185. Traduzione: MONLEONE, p. 184.
Q)
Año 1535. Genealogia de Don Diego Colon natural de Santo Domingo.
Padres. Don Diego Colon, virrey de las Indias del Mar Occeano, natural de Lisbona, y Doña Maria de Toledo.
Abuelos Paternos. Christoval Colon, natural de Saona, cerca de Génova, y Doña Felipa Moniz, natural de
Lisboa.
Anno 1535. Genealogia di Don Diego Colon nativo di San Domingo.
Genitori. Don Diego Colon, viceré delle Indie del Mar Oceano, nativo di Lisbona, e Donna Maria di Toledo.
Avi paterni. Cristoval Colon, nativo di Savona presso Genova, e Donna Felipa Moniz, nativa di Lisbona.
Registro di estratti di genealogie di cavalieri che vestirono l’abito dell’Ordine di Santiago, dal 1501 al 1599
(Genealogias de los caballeros que se han puesto el Hábito de la Orden de Santiago, desde el año de 1501 hasta
el de 1599 inclusive. Sacadas y Extractadas por Orden del Consejo, de las Pruebas que existen en el Archivo
General del Real Convento de Velés: y de las Genealogias originales, que se custodian en la Escribania de
Cámara de la Orden de Santiago. Tomo primero); ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Archivio segreto
degli Ordini Militari, Genealogias de los caballeros que se han puesto el Hábito de la Orden de Santiago,
desde el año de 1501 hasta el de 1599 inclusive, t. I, f. 46.
Edizione: MONLEONE, pp. 186-187. Traduzione: MONLEONE, p. 186.
Nota: nessuna indicazione da parte di Cristoforo stesso (eccetto nella copia sospetta del testamento-maggiorasco
del 1498) ma unanimi testimonianze di storici e cronisti o generici testimoni a lui contemporanei (o che
conobbero personalmente il figlio Diego) su Cristoforo Colombo genovese o savonese o genericamente ligure
o della terra di Milano (probabilmente per l’influenza prima viscontea e poi sforzesca sulla Liguria e sull’Italia
nord-occidentale in genere); questo non significa necessariamente che sia nato a Genova o a Savona, ma è un
serio indizio che il territorio genovese o comunque ligure sia stato per lo meno il punto di partenza di quelli che
sarebbero stati i ventitré anni di navigazione con minime soste a terra (doc. 14).
Tuttavia l’ombra rimane: il luogo d’origine di Colombo era una parola che passava di bocca in bocca, piuttosto
che una definita certezza; non solo, ma sia Fernando (leggi la succitata testimonianza dalle Historie) sia Diego
(leggi la succitata testimonianza delascasiana, che può essere considerata opinione di Diego, amico di
Bartolomeo de Las Casas) non avevano (o mostravano di non avere) idee più precise.
doc. 6
(15?? —› origini di Colombo)
Bartolomeo Colombo di Terra Rubra e con patria Genova, fratello
Ma temendo, se parimente i re di Castiglia non assentissero alla sua impresa, non gli bisognasse proporla di
nuovo a qualche altro principe e così in ciò passasse lungo tempo, mandò in Inghilterra un suo fratello che
aveva appresso di sé, chiamato Bartolomeo Colón; il qual, quantunque non avesse lettere latine, era però uomo
prattico e giudìcioso nelle cose del mare, e sapea molto bene far carte da navigare e sfere e altri ìnstrumenti
di quella professione, come dall’Ammiraglio suo fratello era instrutto. Partito adunque Bartolomeo Colón per
Inghilterra, volle la sua sorte che desse in man di corsali, i quali lo spogliarono insieme con gli altri della sua
nave. Per la qual cosa, e per la sua povertà e infermità che in così diverse terre lo assalirono crudelmente,
prolungò per gran tempo la sua ambasciata, fin che, acquistata un poco di facoltà con le carte ch’ei fabricava,
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Gianfranco Ribaldone
cominciò a far prattiche col re Enrico Settimo, padre di Enrico Ottavo che al presente regna; a cui appresentò
un mappamondo, nel quale erano scritti questi versi che fra le sue scritture io trovai, e da me saranno qui
posti, più tosto per l’antichità che per la loro eleganza:
“Terrarum quicumque cupis feliciter oras
Noscere, cuncta decens docte pictura docebit,
Quam Strabo affirmat, Ptolemaeus, Plinius, atque
Isidorus: non una tamen sententia quisque.
Pingitur hic etiam nuper sulcata carinis
Hispanis zona illa, prius incognita genti,
Torrida, quae tandem nunc est notissima multis”.
E più di sotto diceva:
“Pro auctore, sive pictore.
Ianua, cui patriae est nomen, cui Bartholomaeus
Columbus de Terra Rubra opus edidit istud
Londoniis anno Domini 1480 atque insuper anno
Octavo decimaque die cum tertia mensis
Februarii. Laudes Christo cantentur abunde”.
E percioché avvertirà alcuno che dice “Columbus de Terra Rubra”, dico che medesimamente io vidi alcune
sottoscrizioni dell’Ammiraglio, prima che acquistasse lo stato, ov’egli si sottoscriveva “Columbus de terra
Rubra”.
Ma tornando al re d’Inghilterra, dico che da lui il mappamondo veduto e ciò che l’Ammiraglio gli offeriva, con
allegro volto accettò la sua offerta e mandollo a chiamare. Ma percioché Dio l’aveva per Castiglia serbata,
già l’Ammiraglio in quel tempo era andato e tornato con la vittoria della sua impresa, secondo che per ordine
si racconterà.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. XI, pp. 62-63.
Nota: negli archivi portoghesi si potrà forse trovare la conferma alla testimonianza fernandina su Columbus de
terra Rubra, se l’informazione (del resto ripresa da Bartolomeo de Las Casas; leggi, alla lettera M, il precedente
documento) risponde a verità.
doc. 7
(1550 circa —› 1498 —› origini di Colombo)
Bartolomeo e Diego fratelli; Juan Antoño Columbo, genovese, parente
Aquí en la isla de la Gomera determinó el Almirante de enviar los tres navíos derechos a esta isla Española,
porque si él se detuviese, diesen nueva de sí, e alegrar y consolar los cristianos con la provisión de los
bastimentos, mayormente dar alegría a sus hermanos el Adelantado y D. Diego, que estaban por saber dél
harto deseosos; puso por capitán de un navío a un Pedro de Arana, natural de Córdoba, hombre muy honrado
y bien cuerdo, el cual yo muy bien cognoscí, hermano de la madre de D. Hernando Colón, hijo segundo del
Almirante y primo del Arana, el que quedó en la fortaleza con los 38 hombres que halló a la vuelta muertos el
Almirante; el otro capitán del otro navío se llamó Alonso Sánchez de Carvajal, regidor de la ciudad de Baeza,
honrado caballero. El tercero, para el otro navío, fué Juan Antonio Columbo, ginovés, deudo del Almirante,
hombre muy capaz y prudente y de autoridad y con quien yo tuve frecuente conversación; dióles sus
instrucciones según convenía y en ellas les mandó que una semana uno y otra semana otro, fuese cada uno de
ellos capitán general de todos tres navíos, cuanto a la navegación y a poner farol de noche, que es una lanterna
con lumbre que ponen en la popa del navío, para que los otros navíos sepan y sigan por donde va y guía la
capitana.
Qui, nell’isola di Gomera, l’Ammiraglio decise di inviare tre delle sue navi direttamente a quest’isola Española,
in modo che, se egli si fosse trattenuto, potessero dare notizia di sé, e per rallegrare e consolare i cristiani con
la provvista dei rifornimenti, e ancor più per dare conforto ai suoi fratelli, l’Adelantado e don Diego, che
avevano gran desiderio di ricevere sue notizie. Mise al comando di una delle navi un tal Pedro de Arana, nativo
di Córdoba, uomo di buona reputazione e molto assennato, che io conobbi molto bene, fratello della madre di
don Fernando Colombo, secondogenito dell’Ammiraglio, e cugino di quell’Arana che era rimasto nella fortezza
con i trentotto uomini che l’Ammiraglio trovò morti al suo ritorno; a capitano dell’altra nave venne chiamato
Alonso Sánchez de Carvajal, regidor della città di Baeça, uomo d’onore; il terzo, per l’altra nave, fu Juan Antoño
Columbo, genovese, parente dell’Ammiraglio, uomo assai capace e prudente e di autorità, con il quale io ebbi
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
frequenti conversazioni; diede loro le opportune istruzioni, con le quali ordinò che, una settimana uno e una
l’altro, ciascuno di loro fosse capitano generale di tutte e tre le navi, per tutto ciò che riguardava la navigazione
e i segnali luminosi da fare durante la notte, cioè una lanterna illuminata che si colloca a poppa della nave, in
modo che le altre navi sappiano e seguano il cammino lungo il quale la capitana va e le conduce.
Edizione: DE LAS CASAS, t. II, lib. I, cap. CXXX, p. 756. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XXIV (Il terzo
viaggio di Cristoforo Colombo dalla Historia de Las Indias di Bartolomé de Las Casas), p. 226; tuttavia ho
integrato in due punti (che ho evidenziato in corsivo) la traduzione mancante in VARELA SCRITTI.
Nota: Juan Antoño Columbo è da molti identificato con Giannetto Colombo, nipote del lanaiolo Domenico e
fratello di Matteo e Amighetto; su Giannetto, leggi il capitolo finale “Ipotesi e dintorni”.
Leggi nota al doc. 8.
doc. 8
(1505 —› origini di Colombo)
DON ANDREA, FRATELLO DI JUAN ANTONIO
Reberendo y muy deboto Padre: Diego Méndez es venido de la Corte. Don Diego queda bueno. El Señor
Adelantado y Don Fernando non eran llegados. Yo os le enbiaré allá con las nuebas de todo. Yo non sey ya qué
diga a mi deseu de veros y comunicar algo que non es de péndula. Las escrituras que tenéis querríalas ver, y
eses privilegios querría mandar a hazer una casa de corcha enforrada de çera. Pídos por merçed que si el
Donato, aquel hombre honrado, oviere de venir acá, que con él me enbiéis todo, o con Andrea, hermano de Juan
Antonio, portador d’esta. De mi mal cada día estoy mejor, gracias a Nuestro Señor.
Al padre priol en su merçed me encomiendo, y de todos eses religiosos.
Fecha oy sábado IIII de Henero.
A lo que Vuestra reverencia mandare.
.S.
.S.A.S.
XMY
:Xpo FERENS./
Reverendo e devotissimo Padre: Diego Méndez ha fatto ritorno da Corte. Don Diego gode di buona salute. II
Signor Adelantado e Don Fernando non m’hanno ancora raggiunto. Ve lo invierò, insieme con il rendiconto di
tutto. Non so come significarvi il desiderio che ho di vedervi di persona, e dirvi cose che non sono da mettersi
per iscritto. Molto bramerei di vedere le carte che voi serbate e di far fare una cassetta di sughero, foderata di
cera. Di grazia, vi supplico che se mai il Donato, quell’uomo dabbene, avesse da venir dove io sono, che ogni
cosa affidiate a lui, ovvero a don Andrea, fratello di Juan Antonio, latore delIa presente. Il mio male, ne siano
rese grazie a Dio, va migliorando.
Mi affido alla grazia del padre priore e di tutti codesti buoni religiosi.
Fatta oggi, sabato IIII di gennaio.
Servo di vostra reverenza.
.S.
.S.A.S.
X MY
:XPO FERENS./
Autografa lettera a fra’ Gaspar de Gorricio, scritta a Siviglia il 4 gennaio 1505; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS
DI SIVIGLIA, Patronato 295, 57.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 398. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXXXIII, pp. 373-374.
Nota: se Juan Antonio è lo stesso Juan Antoño Columbo, parente dell’Ammiraglio attestato nel doc. 7, la
presenza di Andrea escluderebbe l’identificazione con il genovese Giannetto Colombo, che dai rogiti liguri non
risulta aver avuto un fratello (o un figlio o qualche altro parente) di nome Andrea.
Se Andrea è lo stesso messer Andrea Colombo, nipote di quel tanto onorato e animoso capitano Christophoro
Colombo (RONCINOTTO, p. 399), che il viaggiatore veneziano Luigi Roncinotto incontrò a Lisbona nell’anno
1532 e con cui s’imbarcò alla volta di Calicut a bordo di una caravella dello stesso Andrea (leggi il passo
completo in RONCINOTTO, p. 399), Juan Antonio non era cugino (come invece lo era Giannetto: leggi il primo
capoverso del nostro capitolo finale “Ipotesi e dintorni” e le relative note), ma nipote dell’Ammiraglio.
89
Gianfranco Ribaldone
doc. 9
(15??; 1535 —› origini di Colombo)
Domenico, padre
A)
E con ammirazione di questo e con dolore che gli mancasse la commodità per seguir la costa della terra ferma,
navigò quasi tutto quel camino al Norveste, fin che il lunedì a’ XX di agosto diede fondo tra la Beata e la
Spagnuola, e quindi per alcuni indiani a posta mandò lettere al Prefetto suo fratello, facendogli sapere la sua
venuta e il buon successo; ancor che si trovasse pien di maraviglia per vedersi tanto al Ponente, conciosia che
quantunque ei conoscesse che le forze delle correnti mancavano, non pensò già che fosse in tanto grado. Là
onde, accioché non gli mancassero a fatto le vettovaglie che egli aveva, ascese subito verso l’Oriente alla via
di San Domenico, nel cui porto o fiume entrò a’ XXX d’agosto; perché il Prefetto aveva destinato quivi il sito
della città, nella parte orientale del fiume, dove oggidì giace, e chiamatala San Domenico in commemorazion
di suo padre che si chiamava Domenico.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. LXXII, p. 252.
B)
Viviendo Domínico Colom, su padre, este su hijo, seyendo mancebo, e bien doctrinado, e ya salido de la edad
adolescente, se partío de aquella su patria e pasó en Levante, e anduvo mucha parte, o lo más, del mar
Mediterráneo, donde aprendió la navegación y ejercicio della por experiencia; e después que algunos viajes
hizo en aquellas partes, como su ánimo era para más extendidas mares e altos pensamientos, quiso ver el
grandísimo mar Océano, e fuese en Portugal. E allí vivió algún tiempo en la cibdad de Lisbona, desde la cual,
e de donde quiera que estuvo siempre, como hijo grato, socorría a su padre viejo con parte del fructo de sus
sudores, viviendo en una vida asaz limitada, e no con tantos bienes de fortuna que pudiese estar sin asaz
nescesidad.
Quando era vivo Domenico Colombo, suo padre, il figlio, giovane, ben istruito e già uscito dall’adolescenza,
partì dalla patria e andò in Levante. Percorse gran parte, o il più, del Mar Mediterraneo dove apprese, per
esperienza, l’arte della navigazione e la sua applicazione. Dopo aver fatto diversi viaggi in quelle zone, poiché
il suo animo aspirava a mari più estesi e a pensieri più alti, volle vedere il grandissimo mar Oceano e andò in
Portogallo. Lì visse per qualche tempo nella città di Lisbona, da dove, così come da tutte le altre parti in cui
sempre si trovò, da figlio riconoscente, aiutava il vecchio padre con una parte dei suoi guadagni, vivendo in
modo assai limitato e senza avere tanti beni di fortuna da poter vivere senza tante difficoltà.
Edizione: OVIEDO, lib. III, cap. II, pp. 42 e 44. Traduzione: OVIEDO, lib. III, cap. II, pp. 43 e 45.
C)
E llegó a este puerto, segund algunos dicen, domingo día del glorioso Sancto Domingo, a cinco días de agosto,
año de mill e cuatrocientos y noventa e cuatro años. E fundó el dicho adelantado don Bartolomé aquesta cibdad,
no donde agora está, por no quitar de aquí a la cacica Catalina e a los indios que aquí vivían, sino de la otra
parte deste río de la Ozama, junto a la costa y enfrente desta población nuestra. Pero, inquiriendo yo e deseando
saber la verdad por qué esta cibdad se llamó Sancto Domingo, dicen que, demás de haber allí venido a poblar
en domingo e día de Sancto Domingo, se le dió tal nombre, porque el padre del primero Almirante y del
Adelantado, su hermano, se llamó Domínico, y que en su memoria, el fijo llamó Sancto Domingo a esta cibdad.
Giunse a questo porto, a quanto dice qualcuno, di domenica, giorno dedicato al glorioso San Domenico, il 5
agosto del 1494. II detto adelantado don Bartolomeo fondò questa città, non dove si trova ora, per non far
andare via la cacicca Caterina e gli indios che vivevano qui, ma dall’altra parte del fiume Ozama, vicino alla
costa e di fronte a questo nostro insediamento. Ma, informandomi per sapere la verità sul perché questa città si
chiamò Santo Domingo, mi hanno detto che oltre ad essere giunti per colonizzare di domenica, giorno di San
Domenico, gli fu dato questo nome perché il padre del primo Ammiraglio e dell’Adelantado, suo fratello, si
chiamava Domenico e che in suo ricordo il figlio chiamò Santo Domingo questa città.
Edizione: OVIEDO, lib. III, cap. XIII, p. 170. Traduzione: OVIEDO, lib. III, XIII, p. 171.
Nota: il nome del padre non compare negli scritti di Cristoforo.
Se non sono tradito da carenza di documentazione, sono queste le prime testimonianze storiografiche su
“Domenico” come nome del padre dell’Ammiraglio, le quali hanno un non so che di accidentale, sembrando
tutte dipendere (le testimonianze A e C sicuramente, la testimonianza B probabilmente) dall’occasionale
tentativo di spiegare l’origine del nome che Bartolomeo Colombo assegnò alla nuova capitale dell’Española.
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
Sia detto per inciso che, nella relazione sul secondo viaggio, scritta da Cristoforo nella città di Isabela e giuntaci
grazie alla recente scoperta del cosiddetto Libro copiador, l’Ammiraglio scrive che domenica tre novembre
1493 giunse ad un’isola che chiamò Dominica per esservi giunto nel giorno del Signore (cfr. VARELA SCRITTI,
p. 391).
Il primo a dichiarare “tessitore” il padre di Cristoforo (tacendone però il nome) fu Antonio Gallo (leggi anche
il nostro capitolo finale “Ipotesi e dintorni”) nel De navigatione Columbi (1506-1509 circa). Il primo ad
associare al nome “Domenico” il mestiere di tessitore o, meglio, di lanerius fu Giulio Salinerio nelle
Annotationes ad Cornelium Tacitum (1602), ove pubblicò dodici rogiti (SALINERIUS, pp. 331-359).
doc. 10
(15?? —› origini di Colombo)
Precarie condizioni economiche della famiglia d’origine
Percioché una delle principali cose che s’appartengono alla istoria di ogni uomo savio è che si sappia la sua
patria e origine, perché sogliono essere più stimati quelli che da grandi città e da generosi progenitori
procedono, alcuni volevano che io mi occupassi in dichiarare e dire come l’Ammiraglio procedette di sangue
illustre, ancora che i suoi padri per malvagità della fortuna fossero venuti a grande necessità e bisogno; e che
avessi mostrato come procedevano da quel Colone di cui Cornelio Tacito nel principio del duodecimo libro della
sua opera dice che condusse prigione in Roma il re Mitridate, per lo che dice che a Colone furono date dal
popolo romano le dignità consolari e le aquile e tribunale, o tenda consolare. E volevano che io facessi gran
conto di quelli dui illustri Coloni suoi parenti, de’ quali il Sabellico descrive una gran vittoria contra Viniziani
ottenuta, secondo che nel quinto capitolo fia da noi raccontato.
Ma io mi ritrassi da questa fatica (…).
Lasciando ora la etimologia o derivazione e significato del nome dell’Ammiraglio, e ritornando alle qualità e
persone de’ suoi genitori, dico che quantunque essi fossero buoni in virtù, essendo per cagione delle guerre e
parzialità della Lombardia ridotti a bisogno e povertà, non trovo come vivessero e abitassero, avvenga che lo
stesso Ammiraglio in una lettera dica che il suo trafico e de’ suoi maggiori fu sempre per mare. Di che per
meglio certificarmi, passando io per Cugureo, procurai di avere informazione di due fratelli Colombi, che
erano i più ricchi di quel castello, e si diceva ch’erano alquanto suoi parenti; ma perché il men vecchio passava
i cento anni, non seppero darmi notizia di ciò. (…).
Però io tornerò al principal nostro intento, concludendo con dire che l’Ammiraglio fu uomo di lettere e di
grande esperienza, e che non spese il tempo in cose manuali né in arte mecanica, come la grandezza e la
perpetuità de’ suoi maravigliosi fatti ricercavano; e metterò fine a questo capitolo con quel ch’egli scrisse in
una sua lettera alla nutrice del principe Don Gioan di Castiglia con tai parole:
“Io non sono il primo Ammiraglio della mia famiglia. Mettanmi pure il nome che vorranno, che in ultimo
David, re sapientissimo, fu guardiano di pecore, e poi fu fatto re dì Gerusalemme; e io servo son di quello
istesso Signore che mise lui in tale stato”.
Edizione: FERNANDO, t. I, capp. I-II, pp. 19, 22, 25-26.
Nota: la famiglia d’origine di Colombo era in condizioni precarie, ridotta a bisogno e povertà; Fernando qui
non avrebbe alcun motivo per dichiarare qualcosa di cui non fosse a conoscenza; anzi, più d’una ragione per
soprassedere su questo particolare.
doc. 11
(testimonianze anni 1501 e 15??)
Aspetto fisico: alto, carnagione rossa, viso allungato
A)
Cristoforo Colombo zenovese, omo de alta e procera statura, rosso, de grande inzegno e faza longa
ANGELO TREVISAN, inizio del primo libro de la prima navigazione del admirante del mar Oceano, ditto el
Columbo, scritto nella città di Granada il 21 agosto 1501, sostanzialmente traducendo da Pietro Martire
d’Anghiera; il Trevisan attinge però anche direttamente da Colombo, con cui prese pratica e grandissima
amicizia.
Edizione: NUOVO MONDO, p. 634.
91
Gianfranco Ribaldone
B)
L’Ammiraglio fu uomo di ben formata e più che mediocre statura, dì volto lungo e di guance un poco alte,
senza che declinasse a grasso o macilento. Aveva il naso aquilino e gli occhi bianchi., bianco e acceso di vìvo
colore. Nella sua gioventù ebbe i capelli biondi, benché giunto che fu a’ trenta anni tutti gli divennero bianchì.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. III, p. 27.
Nota: le testimonianze del figlio Fernando e del Trevisan, che ebbe con l’Ammiraglio pratica e grandissima
amicizia, concordano dunque su tre dettagli fisici, ossia alta statura, carnagione rossa, viso allungato.
doc. 12
(1501 —› ante 1484)
Formazione culturale tra conversazione, studio ed esperienza
Muy altos Reyes: de muy pequeña hedad entré en la mar navegando y lo he continuado fasta oy. La mesma arte
inclina a quien le prosiguie a desear de saber los secretos d’este mundo. Ya pasan de XL años que yo voy en
este uso. Todo lo que fasta oy se navega todo lo he andado. Trauto y conversaçión he tenido con gente sabia,
heclesiásticos e seglares, latinos y griegos, judíos y moros y con otros muchos de otras setas. A este mi deseo
fallé a Nuestro Señor muy propicio y ove d’El para ello espírito de inteligençia. En la marineria me fiso
abondoso, de astrología me dio lo que abastava y ansí de geometría y arismética y engenio en el ánima y
manos para debusar espera y en ellas las cibdades, ríos y montañas, islas y puertos, todo en su propio sitio.
En este tiempo he yo visto y puesto estudio en ver de todas escrituras cosmografía, istorias, corónicas y filosofía
y de otras artes (…).
Altissimi re: in giovanissima età cominciai a navigare e ancor oggi vado per mare. Questa medesima arte
inclina chi la segue a desiderare di conoscere i segreti di questo mondo. Sono al presente più di XL anni ch’io
la pratico. Ho percorso tutte le rotte conosciute. Trattai ed ebbi conversazione con uomini dotti, ecclesiastici
e secolari, latini e greci, ebrei e mori, e con altri molti di sette diverse. A questa mia inclinazione si mostrò
Nostro Signore assai propizio; e così ebbi da Lui spirito d’intelligenza. Di marineria mi fece esperto, in materia
di astrologia mi dotò di quanto bastava, e così di geometria e di aritmetica, l’animo mi diede ingegnoso, e
perizia di mano per disegnar la sfera con le città, i fiumi, i monti, le isole e i porti, e tutto al suo posto.
In quel tempo, ho visto e mi sono studiato di compulsare tutti i libri di cosmografia, di storia, le cronache, i libri
di filosofia e di altre arti (…).
Copia di Bartolomé de Las Casas da una lettera che Colombo scrisse ai re (Bartolomé de Las Casas accompagnò
la trascrizione di alcuni frammenti di tale lettera, tra cui il nostro estratto, con una chiosa che, tradotta, suona
così: “Queste sono parole dell’Ammiraglio, il quale scrisse ai Re nell’anno 1501, credo dalla città di Cadice o
Siviglia. Allegò a questa lettera una certa figura o sfera”); BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms Res. 21, f. 7r.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 210. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XLV, pp. 289-290.
Nota: splendida sintesi di un percorso di vita.
Il figlio Fernando scrive che Colombo nella sua picciola età imparò lettere e studiò in Pavia, tanto che gli
bastava per intendere i cosmografi, alla cui lezione fu molto affezionato; per lo qual rispetto ancora si diede
all’Astrologia e alla Geometrìa, percioché queste scienze sono in tal maniera concatenate che l’una non può
star senza l’altra, e ancora perché Tolomeo nel principio della sua Cosmografia dice che niuno può esser buon
cosmografo se ancora non sarà pittore, participò ancora del disegno, per piantar le terre e fermar i corpi
cosmografici in piano e in tondo (FERNANDO, t. I, cap. III, pp. 27-28); la testimonianza fernandina, che per il
resto si fonda sul succitato documento paterno (che Fernando citerà integralmente nel cap. IV delle Historie),
contiene l’importante informazione sullo studio da Cristoforo coltivato nella città di Pavia. Se studio fu (o,
meglio, conversaçión con gente sabia, per usare le succitate parole di Cristoforo), il soggiorno a Pavia non
dovette comunque essere molto lungo, poiché in giovanissima età iniziò a navigare e furono 23 anni di
esperienza di mare quasi ininterrotta (leggi docc. 13 e 14 e relative note).
92
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
6. Orizzonte angioino-mediterraneo
(1460-1474)
Periodo della vita di Colombo di cui possediamo solo due indizi, emblematici e tra loro convergenti:
1) l’esperienza di mare che durerà ventitré anni, con sosta a terra per minimo spazio di tempo (doc.
14), inizia per il giovane Cristoforo intorno all’anno 1460/1461 (docc. 13 e 14), proprio quando la
costa ligure è presidiata dalla flotta franco-provenzale di Renato d’Angiò e dalle navi del corsaro
onegliese Scarincio (nota a doc. 13), impegnate a tenere al largo le forze aragonesi, frangente che
renderebbe difficile o forse impossibile l’inizio della prima seria esperienza di mare, se tale
battesimo fosse semplicemente di tipo mercantile;
2) similmente, l’episodio più antico ch’egli cita della sua vita (doc. 16) è un’avventura di stampo
corsaresco, che lo vede comandante proprio al soldo di Renato d’Angiò, impegnato in una spavalda
incursione contro l’aragonese galeazza fernandina e in disinvolta intesa con la nave pirata che
incrocia la sua rotta.
L’episodio della Fernandina si svolge in un orizzonte mediterraneo, aperto a levante e a ponente (doc.
15), che va però sempre più restringendosi per il crescere della pressione islamica sull’Egeo, dove
Chio resiste, ultimo orientale baluardo di interessi europei. Vi approda anche Cristoforo (doc. 17).
doc. 13
(1501 —› esperienza di mare nell’arco temporale 1460-1501)
1460, inizio della navigazione. Contesto angioino
Muy altos Reyes: de muy pequeña hedad entré en la mar navegando y lo he continuado fasta oy. La mesma arte
inclina a quien le prosiguie a desear de saber los secretos d’este mundo. Ya pasan de XL años que yo voy en
este uso. Todo lo que fasta oy se navega todo lo he andado. Trauto y conversaçión he tenido con gente sabia,
heclesiásticos e seglares, latinos y griegos, judíos y moros y con otros muchos de otras setas.
Altissimi re: in giovanissima età cominciai a navigare e ancor oggi vado per mare. Questa medesima arte inclina
chi la segue a desiderare di conoscere i segreti di questo mondo. Sono al presente più di XL anni ch’io la pratico.
Ho percorso tutte le rotte conosciute.
Copia di Bartolomé de Las Casas da una lettera che Colombo scrisse ai re (Bartolomé de Las Casas accompagnò
la trascrizione di alcuni frammenti di tale lettera, tra cui il nostro estratto, con una chiosa che, tradotta, suona
così: “Queste sono parole dell’Ammiraglio, il quale scrisse ai Re nell’anno 1501, credo dalla città di Cadice o
Siviglia. Allegò a questa lettera una certa figura o sfera”); BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms Res. 21, f. 7r.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 210. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XLV, p. 289.
Nota: se dall’anno 1501, indicato dalla succitata chiosa di Bartolomé de Las Casas come data di composizione
del presente documento, sottraiamo “più di XL anni”, otteniamo il 1460/1461 come anno d’inizio delle
navigazioni di Cristoforo; il presente doc. 13 è in consonanza con il seguente doc. 14.
Che cosa accadeva in Liguria nell’anno 1460/1461?
Genova e Savona furono consegnate dai Fregoso al re di Francia nel 1458; Genova rimase presidiata da una
guarnigione francese fino al marzo 1461 (quando i fuorusciti genovesi, appoggiati da Ferrante d’Aragona e da
Francesco Sforza duca di Milano, riuscirono a rientrare in città, per poi respingere nel mese di luglio in
sanguinosa battaglia le forze franco-provenzali di Renato d’Angiò) e Savona fino al febbraio 1464. La flotta
franco-provenzale di Renato d’Angiò, con l’ausilio del corsaro onegliese Scarincio, controllava in quegli anni
la costa ligure, tenendo lontano le forze navali aragonesi. Cfr. MUSSO, pp. 65-72.
L’inizio dei ventitré anni di navigazione con minime soste a terra avviene dunque in un momento in cui la flotta
franco-provenzale è dispiegata lungo la costa ligure.
doc. 14
(1492 —› esperienza di mare ininterrotta 1460-1483)
1460, inizio della navigazione che durerà 23 anni
“Yo e andado veinte y tres años en la mar, sin salir d’ella tiempo que se aya de contar (…)”.
“Ventitré anni sono andato per mare, non allontanandomene mai, se non per minimo spazio di tempo (…)”.
Copia di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Colombo, annotazione del 21-12-1492;
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms bacheca 6-7.
93
Gianfranco Ribaldone
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, p. 184. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, p. 86.
Nota: l’anno da cui sottrarre i ventitré di navigazione quasi ininterrotta è il 1483.
Naviga infatti fino al 1483 (docc. 13-21 e 29-40), con una sosta a terra per minimo spazio di tempo tra il 1480
e il 1482, a Lisbona, probabilmente per il matrimonio con Filipa (docc. 22-28); alla fine del 1483 è fermo a terra
(docc. 41-43) e tale resterà fino alla primavera del 1492 per le vicissitudini in terra di Spagna; secondo il presente
doc. 14, l‘anno d’inizio delle navigazioni è dunque il 1460/1461, in consonanza con il doc. 13.
Per gli eventi che toccarono la Liguria intorno all’anno 1460, leggi nota al doc. 13.
doc. 15
(1492 —› esperienza mediterranea 1460-1483)
1460-1474, Ho veduto il levante e il ponente
“Yo e andado veinte y tres años en la mar, sin salir d’ella tiempo que se aya de contar, y vi todo el Levante y
Poniente, que dizé por ir al camino de Septentrión, que es Inglaterra, y e andado la Guinea (…)”.
“Ventitré anni sono andato per mare, non allontanandomene mai, se non per minimo spazio di tempo, e ho
veduto il levante e il ponente, rotte che lasciai per veleggiare a settentrione, alla volta dell’Inghilterra, e ho
corso la rotta della Guinea (…)”.
Copia di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Colombo, annotazione del 21 dicembre 1492;
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms bacheca 6-7.
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, p. 184. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, p. 86.
Nota: dal contesto della testimonianza è evidente che Colombo intende il levante e ponente mediterraneo.
doc. 16
(1495 —› Sardegna-Cartagine 146? o 147?)
1459 (post)-1475 (ante), Marsiglia-Tunisi. Mi accadde che il re Reynel
“A mí acaeçió que el rey Reynel, que Dios tiene, me enbió a Túnez para prender la galeaça Fernandina, y
estando ya sobre la isla de Sant Pedro, en Cerdeña, me dixo una saltía que estavan con la dicha galeaça dos
naos y una carraca; por lo qual se alteró la gente que iva conmigo, y determinaron de no seguir el viaje, salvo
de se bolver a Marsella por otra nao y más gente. Yo, visto que no podía sin algún arte forçar su voluntad,
otorgué su demanda, y mudando el çevo del aguja, di la vela al tiempo que anocheçía, y otro día, al salir del
sol, estávamos dentro del cabo de Carthágine, tenido todos ellos por çierto que ívamos a Marsella (…)”.
“Mi accadde che il re Reynel, che Dio abbia in gloria, mi inviò a Tunisi per catturare la galeazza fernandina, e
trovandomi io già sopra l’isola di San Pietro, in Sardegna, mi si disse da una nave pirata che insieme con la detta
galeazza venivano pure due navi e una caracca; e a causa di ciò gli uomini che navigavano con me si agitarono
e determinarono di non continuare il viaggio, ma di fare piuttosto ritorno a Marsiglia a procurarsi un’altra nave
e rinforzi. Io, atteso che in nessun modo potevo sviarli dal loro proposito se non giocando d’astuzia, accondiscesi
alla loro richiesta e, alterato che ebbi l’ago della bussola, diedi vela sul far della notte e l’indomani, al levar del
sole, ci trovammo entro il capo di Cartagine, mentre tutti davan per certo che stessimo veleggiando alla volta
di Marsiglia (…)”.
Copia-estratto di Bartolomé de Las Casas da una lettera che Colombo scrisse ai re nel gennaio 1495 dalla
Española; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms. Res. 21, ff. 7 sgg.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 14. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. IX, p. 169.
Nota: il servizio di Cristoforo al soldo di re Renato (che è l’episodio più antico che Cristoforo cita di se stesso)
ha con ogni probabilità un rapporto con la giovanile partenza dalla costa ligure, quando questa era controllata
dalla flotta franco-provenzale di Renato d’Angiò e dalle sue alleate navi corsare (docc. 13-14).
Leggi anche nota al doc. 39.
doc. 17
(1492 —› Chio 146? o 147?)
1459 (post)-1475 (ante), Chio. Io vidi nell’isola di Chio
Y en este río de Mares, de adonde partí esta noche, sin duda ha grandíssima cantidad de almáçiga y mayor, si
mayor se quisiere hazer, porque los mismos árboles plantándolos prenden de ligero, y ha muchos y muy grandes,
y tienen la hoja como lentisco y el fruto, salvo que es mayor así los árboles como la hoja, como dize Plinio e
yo e visto en la isla de Xío en el Arcipiélago; y mandé sangrar muchos d’estos árboles para ver si echaría
resina para la traer, y como aya siempre llovido el tiempo que yo e estado en el dicho río, no e podido aver
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
d’ella, salvo muy poquita que traigo a Vuestras Altezas; y también puede ser que no es el tiempo para los
sangrar, que esto creo que conviene al tiempo que los árboles comiençan a salir del invierno y quieren echar
la flor, y acá ya tienen el fruto quasi maduro agora (…). Y aquí ha también infinito lignáloe, aunque no es cosa
para hazer gran caudal; mas del almáçiga es de entender bien, porque no la ha salvo en la dicha isla de Xío,
y creo que sacan d’ello bien cinquenta mill ducados, si mal no me acuerdo.
E in questo Rio de Mares, dal quale salpai questa notte, v’è senza dubbio grandissima abbondanza di mastice,
la quale si potrà aumentare soltanto a volerlo, ché i medesimi polloni, piantati, prendono subito, e vi sono alberi,
molti e molto grandi, e hanno la foglia e il frutto come lentisco, salvo che sono più grandi, gli alberi come la
foglia, di quelli che Plinio menziona e che io vidi nell’isola di Chio, nell’Arcipelago, e io feci incidere molti di
questi alberi, per vedere se buttassero resina e raccoglierla ma, avendo sempre piovuto nel tempo in cui stetti
sul detto fiume, non ho potuto averne che poca: e questa reco alle Vostre Altezze; e inoltre può essere non sia
questo il tempo adatto per inciderli, che credo convenga farlo nel momento in cui gli alberi iniziano a uscire
dall’inverno e vogliono mettere il fiore mentre qui hanno al presente il frutto quasi maturo. (…). E qui, inoltre,
v’è infinito legno di àloe anche se non è cosa da cavarne gran capitale; quanto invece al mastice, è cosa di
grande momento perché non ve n’è, se non nella detta isola di Chio e credo ne ricavino cinquantamila ducati,
se non ricordo male.
Copia di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Colombo, annotazione del 12 novembre 1492;
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms bacheca 6-7.
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, pp. 102 e 104. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, pp. 50-51.
Nota: il documento non permette di datare l’esperienza di Cristoforo a Chio, che del resto potrebbe essere
fondata anche su più viaggi.
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Gianfranco Ribaldone
7. Orizzonte atlantico-portoghese
(1474-1483)
Nove anni (doc. 18 e relativa nota), di cui sei o sette trascorsi sull’Atlantico, prima veleggiando verso
il nord (docc. 19-21), poi verso il sud fino in Guinea (docc. 30-38) con successivo ritorno in Portogallo
(doc.39), e tra le due esperienze una sosta a terra di circa due anni, a Lisbona (docc. 22-29). Periodo
in cui dentro Colombo s’accende l’idea di una missione: navigando verso Occidente attraverso il mare
Oceano raggiungere un giorno l’Oriente estremo, raggiungere Catai e Cipango, cieli nuovi e nuove
terre da portare a Cristo (docc. 25-28).
Autorità del grande Toscanelli (docc. 25-28), novità di esperienze atlantiche (docc. 19-21, 32-38),
finezza di cartografo (docc. 24 e 33), genio di marinaio (docc. 21 e 39) corroborano tale fede, la quale
d’altra parte non tollera impedimenti, il suo fuoco torcendo (a volte distorcendo) le fonti scritte e i dati
dell’esperienza (doc. 33); rendendo difficile il dialogo con il pur illuminato e amico re di Portogallo
(doc. 18), segnando anche la vita domestica e familiare (docc. 24, 29-31) e un giorno strappando
Colombo agli affetti e alla terra lusitana (doc. 40).
doc. 18
(1505 —› Portogallo 1474-1488)
1474, Portogallo. Inizio del rapporto con Giovanni II, che durerà 14 anni
Muy alto Rey: Dios Nuestro Señor milagrosamente me enbió acá porque yo sirviese a Vuestra Alteza; dixe
milagrosamente, porque fui <a> aportar a Portugal, adonde el rey de allí entendía en el descubrir más que otro;
El le atajó la vista, oído y todos los sentidos, que en catorze años no le pude hazer entender lo que yo dixe.
También dixe milagrosamente, porque ove cartas de ruego de tres Príncipes, que la Reina, que Dios aya, vido
y se las leyó al doctor Villalón.
Altissimo Re: Fu cosa per vero mirabile che Dio Nostro Signore mi conducesse da voi, perché io prestassi i miei
servigi alla Vostra Altezza; ho detto fu cosa per vero mirabile, ché prima ero approdato in Portogallo, su cui
regnava un sovrano intento come nessuno a navigare e scoprire; Egli gli impedì di vedere, e di udire; che in
quattordici anni non mi riuscì di fargli intendere quello che venivo dicendo. E pure ho parlato di cosa per vero
mirabile, perché ricevetti solleciti da tre principi diversi, i quali la Regina, che Iddio l’abbia in gloria, li vide e
ne lesse al dottor Villalón.
Copia di Bartolomé de Las Casas da una lettera di Colombo al re don Fernando, scritta probabilmente nell’anno
1505; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Res. 22, f. 105v.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 420. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXXXIX, p. 380.
Nota: l’anno da cui sottrarre i quattordici di pressioni colombiane sulla corte lusitana è il 1488 (docc. 86 e 87);
l’anno d’arrivo in Portogallo (o d’inizio delle pressioni sulla corte lusitana) è dunque il 1474.
Nel 1474 il re portoghese Alfonso V incarica il figlio Giovanni (il futuro re Giovanni II) di presiedere alle
esplorazioni, ai commerci, alla difesa degli interessi portoghesi sulle partes de gujnee (SILVA MARQUES, vol.
II, pp. 220-222, citato da RADULET, pp. 190), dove intanto le navi del mercante ed esploratore Fernando Gomes
si sono spinte fino all’estremità orientale del Golfo di Guinea, raggiungendo l’isola di Fernando Po, a 3° 30’ di
latitudine N, dove la costa africana volge nuovamente verso il sud (MORISON, p. 37). Per dare nuovo impulso
alle esplorazioni e ai commerci atlantici, il 4 novembre dello stesso anno il re promette premi, privilegi ed
esenzioni ai sudditi che, entro dieci anni, costruiranno navi di stazza superiore alle 100 tonnellate (SILVA
MARQUES, vol. III, p. 156).
La rivendicazione alfonsina di monopolio sulle coste e sulle acque atlantico-africane, contestata dalla Spagna,
fa accendere nello stesso anno le guerre di Castiglia. Il fisico fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli, il 25 giugno
1474, poco prima dell’inizio del conflitto (avanti le guerre di Castiglia), risponde a Fernando Martins, canonico
di Lisbona, che per commissione del re lusitano gli ha domandato ragguagli sul cammino di qua alle Indie per
la via del mare (docc. 26 e 48).
Forse non è casuale che le pressioni di Colombo sulla corte lusitana decorrano da questo anno.
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
doc. 19
(1492 —› verso l’Inghilterra 147?)
1477 (almeno dal), Nord. Veleggiai a settentrione alla volta dell’Inghilterra
“Yo e andado veinte y tres años en la mar, sin salir d’ella tiempo que se aya de contar, y vi todo el Levante y
Poniente, que dizé por ir al camino de Septentrión, que es Inglaterra, y e andado la Guinea (…)”.
“Ventitré anni sono andato per mare, non allontanandomene mai, se non per minimo spazio di tempo, e ho
veduto il levante e il ponente, rotte che lasciai per veleggiare a settentrione, alla volta dell’Inghilterra, e ho
corso la rotta della Guinea (…)”.
Copia di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Colombo, annotazione del 21 dicembre 1492;
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms bacheca 6-7.
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, p. 184. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, p. 86.
Nota: la prima esperienza atlantica di Colombo, in un rapporto di legame (doc. 18) con la corte lusitana, si
svolse dunque al nord.
doc. 20
(? —› Irlanda 1477 ?)
1477 (?), Irlanda. Un uomo e una donna su due legni
<Homine>s de Catayo uersus oriens uenierunt. <N>os uidi[mi]mus multa notabilia et <spe>cialiter in Galuei
Ibernie uirum et <ux>orem in duobus lignis arreptis ex mirabili <for>ma.
Uomini del Catai vennero a Oriente. Noi abbiamo visto molte cose degne di nota e in ispecie a Galway, Irlanda,
un uomo e una donna su due legni mirabilmente trascinati dalla tempesta.
Autografa postilla annotata nella Historia rerum ubique gestarum di Enea Silvio Piccolomini; BIBLIOTECA
COLOMBINA DI SIVIGLIA, n.3123 del Registro di Don Fernando, f. 2v, Racc. 10.
Edizione: VARELA SCRITTI, doc. I, 1, p. 3. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. I, 1, p. 3.
Nota: forse nell’ambito del viaggio testimoniato dal doc. 21.
doc. 21
(1495 —› cento leghe oltre l’Islanda 1477)
1477 (febbraio), Islanda. Cento leghe oltre
“Yo navegué el año de quatrocientos y setenta y siete, en el mes de Hebrero, ultra Tile isla cient leguas, cuya
parte austral dista del equinoçial setenta y tres grados, y no sesenta y tres, como algunos dizen, y no está dentro
de la línea que incluye el Ocçidente, como dize Ptolomeo, sino mucho más ocçidental. Y a esta isla, que es tan
grande como Inglaterra, van los ingleses con mercadería, espeçialmente los de Bristol, y al tiempo que yo a
ella fue no estaba congelado el mar, aunque avía grandíssimas mareas, tanto que en algunas partes dos vezes
al día subía veinte y cinco braças y desçendía otras tantas en altura”.
“Io navigai l’anno quattrocentosettantasette nel mese di febbraio, cento leghe oltre l’Isola di Tile, la cui banda
australe dista dall’equinoziale settantatré gradi, e non sessantatré, come si vuole da alcuni, e non sta dentro la
linea che include l’Occidente, come vuole Tolomeo, ma molto più a occidente. E a quest’isola, che è grande
quanto l’Inghilterra, veleggiano gli inglesi con le loro merci e in specie quelli di Bristol e, quando io vi andai,
il mare non era ghiacciato, ancorché vi fossero maree grandissime, tanto che in alcuni luoghi il mare s’alzava
di venticinque braccia due volte il giorno e ne scendeva di altrettante”.
Copia-estratto di Bartolomé de Las Casas da una lettera che Colombo scrisse ai re nel gennaio 1495 dalla
Española; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms. Res. 21, ff. 7 sgg.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 14. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. IX, p. 169.
Nota: l’inverno 1476-1477 fu eccezionalmente mite, il che rese possibile a Cristoforo l’avvicinamento alla
Groenlandia senza l’ostacolo dei ghiacci (cfr. STEFANSSON).
Leggi anche nota al doc. 39.
doc. 22
(1492 —› esperienza di mare ininterrotta 1460-1483; a terra per minimo tempo)
1480-1481 (?), a terra. Per minimo spazio di tempo
“Yo e andado veinte y tres años en la mar, sin salir d’ella tiempo que se aya de contar, y vi todo el Levante y
Poniente, que dizé por ir al camino de Septentrión, que es Inglaterra, y e andado la Guinea (…)”.
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Gianfranco Ribaldone
“Ventitré anni sono andato per mare, non allontanandomene mai, se non per minimo spazio di tempo, e ho
veduto il levante e il ponente, rotte che lasciai per veleggiare a settentrione, alla volta dell’Inghilterra, e ho
corso la rotta della Guinea (…)”.
Copia di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Colombo, annotazione del 21 dicembre 1492;
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms bacheca 6-7.
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, p. 184. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, p. 86.
Nota: leggi nota al doc. 14.
doc. 23
(15?? —› Lisbona 1480-1481 ?)
1480-1481 (?), Lisbona. Matrimonio con Filipa Perestrello.
E percioché si portava molto onoratamente e era uomo di bella presenza e che non si partiva dall’onesto,
avvenne che una gentildonna, chiamata Donna Filippa Mogniz, di nobil sangue, cavalliera nel monasterio
d’Ogni Santi dove l’Ammiraglio usava di andare a messa, prese tanta prattica e amicizia con lui che divenne
sua moglie. Ma percioché il suo suocero, chiamato Pietro Mogniz Perestrelo, era già venuto a morte, se
n’andarono a star con la suocera (…).
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. V, p. 34.
Nota: Filipa era figlia di Bartolomeo (Pietro, secondo le Historie) Perestrello, gentiluomo discendente dalla
famiglia piacentina dei Pallastrelli, emigrata in Portogallo nella seconda metà del secolo precedente.
Per le famiglie Moñiz e Perestrello: DE SAINZ-TRUEVA, pp. 89-93.
doc. 24
(15?? —› Lisbona 1480-1481 ?)
1480-1481 (?), Lisbona. Carte di Bartolomeo Perestrello
Ma percioché il suo suocero, chiamato Pietro Mogniz Perestrelo, era già venuto a morte, se n’andarono a star
con la suocera; dove vivendo insieme e vedendolo essa tanto affezionato alla Cosmografia, gli raccontò come
il detto Perestrelo suo marito era stato grand’uomo per mare, e che insieme con altri duo capitani con licenza
del re di Portogallo era andato a scoprir terre, con patto che, fatte tre parti di quel che trovassero, eleggesse
colui a chi toccasse la sorte. Col quale accordo partiti alla volta del Sudoeste, giunsero all’isola della Madera
e di Porto Santo, luoghi che fino a quei tempi non erano stati scoperti. E percioché l’isola della Madera era
maggiore, fecero di quella due parti, e la terza fu l’isola di Porto Santo, che toccò per sorte al detto Perestrelo
suo suocero, il quale n’ebbe il governo fin che venne a morte.
Là onde, perché l’intendere cotali navigazioni e istoria piaceva molto all’Ammiraglio, la suocera gli diede le
scritture e carte di navigare che di suo marito gli erano rimase; per lo che l’Ammiraglio si accese più, e
s’informò de gli altri viaggi e navigazioni che allora i Portoghesi facevano per la Mina e per la costa di Guinea,
e gli piaceva molto ragionar con quelli che per quella navigavano.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. V, p. 34.
Nota: l’interesse atlantico di Colombo segna nel profondo anche la sua vita familiare.
Per i problemi legati alla figura di Bartolomeo Perestrello esploratore: VERISSIMO, pp. 23-25.
doc. 25
(15?? —› post 1478-ante 1483)
1480-1481 (?), Lisbona. La 1ª lettera a Toscanelli
“A Cristoforo Colombo, Paolo fisico salute.
Io veggo il nobile e gran desiderio tuo di voler passare là dove nascono le specierie, onde per risposta d’una
tua lettera ti mando la copia d’un’altra lettera che alquanti giorni fa io scrissi ad un mio amico, domestico del
serenissimo re di Portogallo, avanti le guerre di Castiglia, in risposta d’un’altra che per commissione di Sua
Altezza egli mi scrisse sopra detto caso; e ti mando un’altra carta navigatoria simile a quella ch’io mandai a
lui, per la quale resteran sodisfatte le tue dimande. (…)”.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. VIII, p. 42.
Nota: dalla prima lettera di Toscanelli a Colombo (doc. 26), se si accetta la sua autenticità (e io l’accetto, in
mancanza di solide prove contrarie) apprendiamo dunque che Colombo, desideroso di passare là dove nascono
le specierie, scrisse al fisico fiorentino ponendogli alcune dimande.
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
doc. 26
(15?? —› post 1478-ante 1483)
1480-1481 (?), Lisbona. La 1ª lettera da Toscanelli
“A Cristoforo Colombo, Paolo fisico salute.
Io veggo il nobile e gran desiderio tuo di voler passare là dove nascono le specierie, onde per risposta d’una
tua lettera ti mando la copia d’un’altra lettera che alquanti giorni fa io scrissi ad un mio amico, domestico del
serenissimo re di Portogallo, avanti le guerre di Castiglia, in risposta d’un’altra che per commissione di Sua
Altezza egli mi scrisse sopra detto caso; e ti mando un’altra carta navigatoria simile a quella ch’io mandai a
lui, per la quale resteran sodisfatte le tue dimande. La copia di quella mia lettera è questa.
A Fernando Martinez canonico di Lisbona, Paolo Fisico salute. Molto mi piacque intendere la domestichezza
che tu hai col tuo serenissimo e magnificentissimo re; e quantunque molte altre volte io abbia ragionato del
brevissimo cammino che è di qua all’Indie, dove nascono le specierie, per la via del mare, il quale io tengo più
breve di quel che voi fate per Guinea, tu mi dici che Sua Altezza vorrebbe ora da me alcuna dichiarazione o
dimostrazione, accioché s’intenda e si possa prendere detto camino. Là onde, come ch’io sappia di poter ciò
mostrarle con la sfera in mano e farle vedere come sta il mondo, nondimeno ho deliberato per più facilità e per
maggior intelligenza dimostrar detto camino per una carta simile a quelle che si fanno per navigare. E così la
mando a Sua Maestà, fatta e disegnata di mia mano; nella quale è dipinto tutto il fine del Ponente, pigliando
da Irlanda all’Austro insino al fin di Guinea, con tutte le isole che in tutto questo cammino giacciono, per
fronte alle quali dritto per Ponente giace dipinto il principio dell’Indie, con le isole e luoghi dove potete andare;
e quanto dal polo Artico vi potete discostare per la linea equinoziale e per quanto spazio, cioè in quante leghe,
potete giungere a quei luoghi fertilissimi d’ogni sorte di specieria, e di gemme e pietre preziose. E non abbiate
a maraviglia se io chiamo Ponente il paese ove nasce la specieria, la quale comunemente dicesi che nasce in
Levante, percioché coloro che navigheranno al Ponente, sempre troveranno detti luoghi in Ponente, e quelli che
anderanno per terra al Levante, sempre troveranno detti luoghi in Levante. Le linee dritte che giacciono al lungo
in detta carta dimostrano la distanza che è dal Ponente al Levante; le altre che sono per obliquo dimostrano
la distanza che è dalla Tramontana al Mezogiorno. Ancora io dipinsi in detta carta molti luoghi nelle parti
dell’India dove si potrebbe andare avvenendo alcun caso di fortuna o di venti contrari, o qualunque altro caso
che non si aspettasse che dovesse avvenire.
E appresso, per darvi piena informazione di tutti quei luoghi i quali desiderate molto conoscere, sappiate che
in tutte quelle isole non abitano nè pratticano altri che mercatanti; avvertendovi quivi essere così gran quantità
di navi e di marinari con mercatantie come in ogni altra parte del mondo, specialmente in un porto nobilissimo
chiamato Zaiton, dove caricano e discaricano ogni anno cento navi grosse di pepe, oltre alle molte altre navi
che caricano altre specierie. Questo paese è popolatissimo, e sono molte province e molti regni e città senza
numero, sotto il dominio di un principe chiamato il Gran Cane, il qual nome vuol dire re de’ re, la residenza
del quale la maggior parte del tempo è nella provincia del Cataio.
I suoi antecessori desiderarono molto aver prattica e amicizia con cristiani, e già dugento anni mandarono
ambasciatori al Sommo Pontefice, supplicandolo che gli mandasse molti savii e dottori che gl’insegnassero la
nostra fede; ma per gl’impedimenti ch’ebbero detti ambasciatori, tornarono a dietro senza arrivare a Roma.
E ancora a papa Eugenio IV venne uno ambasciatore, il quale gli raccontò la grande amicizia che quei principi
e i loro popoli hanno co’ cristiani; e io parlai lungamente con lui di molte cose, e delle grandezze delle fabriche
regali e della grossezza de’ fiumi in larghezza e in lunghezza; e ei mi disse molte cose maravigliose della
moltitudine delle città e luoghi che son fondati nelle rive loro, e che solamente in un fiume si trovano dugento
città edificate con ponti di pietre di marmo, molto larghi e lunghi, adornati di molte colonne.
Questo paese è degno tanto quanto ogni altro che si abbia trovato, e non solamente vi si può trovar grandissimo
guadagno e molte cose ricche, ma ancora oro, argento, e pietre preziose, e di ogni sorta di specieria in grande
quantità, della quale mai non si porta in queste nostre parti. Ed è il vero che molti uomini dotti, filosofi e
astrologi, e altri grandi savii in tutte le arti e di grande ingegno governano quella gran provincia e ordinano
le battaglie.
Dalla città di Lisbona per dritto verso Ponente sono in detta carta ventisei spazii, ciascun de’ quali contien
dugento e cinquanta miglia, fino alla nobilissima e gran città di Quisai, la quale gira cento miglia, che sono
trentacinque leghe, ove sono dieci ponti di marmoro. Il nome di questa città significa “Città del cielo”, della
quale si narrano cose maravigliose intorno alla grandezza degl’ingegni e fabriche e rendite. Questo spazio è
quasi la terza parte della sfera. Giace questa città nella provincia di Mango, vicina alla provincia del Cataio,
nella quale sta la maggiore parte del tempo il re. E da l’isola di Antilia, che voi chiamate di Sette Città, della
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Gianfranco Ribaldone
quale avete notizia, fino alla nobilissima isola di Cipango sono dieci spazii, che fanno due mila e cinquecento
miglia, cioè dugento e venticinque leghe; la quale isola è fertilissima d’oro, di perle e di pietre preziose. E
sappiate che con piastre d’oro fino coprono i tempii e le case regali. Di modo che, per non esser conosciuto il
camino, tutte queste cose si ritrovano nascoste e coperte, e ad essa si può andar sicuramente.
Molte altre cose si potrebbono dire, ma come io vi ho già detto a bocca e voi siete prudente e di buon giudicio,
mi rendo certo che non vi resta cosa alcuna da intendere, e però non sarò più lungo. E questo sia per
sodisfazione delle vostre richieste, quanto la brevità del tempo e le mie occupazioni mi hanno concesso. E così
io resto prontissimo a sodisfare e servir Sua Altezza compiutamente in tutto quello che mi si comanderà.
Da Fiorenza, a’ XXV giugno, dell’anno MCCCCLXXIV”.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. VIII, pp. 42-45.
Nota: l’anno conclusivo delle guerre di Castiglia e l’anno di morte di Paolo dal Pozzo Toscanelli costituiscono
i termini rispettivamente post e ante quem della prima lettera a Colombo.
Mentre l’autenticità della lettera di Toscanelli al canonico portoghese Fernando Martins trova concorde la
maggior parte degli storici (si confronti l’estratto della lettera, contenuto nel presente doc. 26, con il doc. 49),
non altrettanto si può dire delle due epistole che Toscanelli avrebbe diretto a Colombo. Ritengo tuttavia che,
fino a solida prova contraria, si possa prestar fede alla testimonianza di Fernando.
Per i problemi legati alle lettere di Toscanelli: VARELA PARTICULARES, pp. 129-141.
Leggi anche nota al doc. 47.
doc. 27
(15?? —› post 1478-ante 1483)
1480-1481 (?), Lisbona. La 2ª lettera a Toscanelli
“A Cristoforo Colombo Paolo Fisico salute.
Io ho ricevuto le tue lettere con le cose che mi mandasti, le quali io ebbi per gran favore; e estimai il tuo
desiderio nobile e grande, bramando tu di navigar dal Levante al Ponente, come per la carta ch’io ti mandai
si dimostra, la quale si dimostrerà meglio in forma di sfera rotonda. Mi piace molto che ella sia bene intesa, e
che detto viaggio non sol sia possibile, ma vero e certo, e di onore e guadagno inestimabile, e di grandissima
fama appresso tutti i cristiani. (…). Per le quali cose, e per molte altre che si potrebbono dire, non mi maraviglio
che tu che sei di gran cuore e tutta la nazione portoghese, la quale ha avuto sempre uomini segnalati in tutte
le imprese, sii col cuore acceso e in gran desiderio di esseguir detto viaggio”.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. VIII, p. 45.
Nota: dalla seconda lettera di Toscanelli a Colombo (doc. 28), se si accetta anche di questa l’autenticità (e
anche di questa io l’accetto, in mancanza di solide prove contrarie) apprendiamo dunque che Colombo scrisse
almeno una seconda volta a Toscanelli, confessando il proprio cuore acceso dal desiderio di navigar dal Levante
al Ponente.
doc. 28
(15?? —› post 1478-ante 1483)
1480-1481 (?), Lisbona. La 2ª lettera da Toscanelli
“A Cristoforo Colombo Paolo Fisico salute.
Io ho ricevuto le tue lettere con le cose che mi mandasti, le quali io ebbi per gran favore; e estimai il tuo
desiderio nobile e grande, bramando tu di navigar dal Levante al Ponente, come per la carta ch’io ti mandai
si dimostra, la quale si dimostrerà meglio in forma di sfera rotonda. Mi piace molto che ella sia bene intesa, e
che detto viaggio non sol sia possibile, ma vero e certo, e di onore e guadagno inestimabile, e di grandissima
fama appresso tutti i cristiani. Voi non lo potete conoscere perfettamente se non con la esperienza o con la
prattica, come io l’ho avuta copiosissimamente, e con buona e vera informazione di uomini illustri e di gran
sapere che son venuti di detti luoghi in questa corte di Roma, e di altri mercatanti che hanno traficato lungo
tempo in quelle parti, persone di grande auttorità. Di modo che quando si farà detto viaggio, sarà in regni
potenti e in città e province nobilissime, ricchissime, e di ogni sorte di cose a noi molto necessarie abondanti;
cioè di ogni qualità di specierie in gran somma e di gioie in gran copia. Ciò sarà caro eziandio a quei re e
principi che sono desiderosissimi di pratticare e contrattar con cristiani di questi nostri paesi, sì per esser
parte di lor cristiani, e sì ancora per aver lingua e prattica con gli uomini savii e d’ingegno di questi luoghi,
così nella religione come in tutte le altre scienze, per la gran fama degl’imperi e reggimenti che hanno di queste
parti. Per le quali cose, e per molte altre che si potrebbono dire, non mi maraviglio che tu che sei di gran cuore
100
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
e tutta la nazione portoghese, la quale ha avuto sempre uomini segnalati in tutte le imprese, sii col cuore acceso
e in gran desiderio di esseguir detto viaggio”.
Edizione: FERNANDO COLOMBO, t. I, cap. VIII, p. 45.
Nota: leggi nota al doc. 26 e al doc. 48.
doc. 29
(1506 —› Lisbona 1482)
1482 (inizio?), Lisbona. Debito con Battista Spinola e con altri
Relación de ciertas personas a quien yo quiero que se den de mis bienes lo contenido en este memorial, sin que
se le quite cosa alguna d’ello. Hásele de dar en tal forma que no sepa quién se las manda dar.
Primeramente a los herederos de Gerónimo del Puerto, padre de Venito del Puerto, chanceller de Génova,
veinte ducados o su valor.
A Antonio Vazo, mercader ginovés, que solía vevir en Lisboa, dos mil e quinientos reales de Portugal, que son
siete ducados poco más, a razón de treszientos e setenta y cinco reales el ducado.
A un judío que morava a la puerta de la judería en Lisboa, o a quien mandare un sacerdote, el valor de medio
marco de plata.
A los herederos de Luis Centurión Escoto, mercader ginovés, treinta mil reales de Portugal, de los quales vale
un ducado trescientos ochenta y cinco reales, que son setenta y cinco ducados poco más o menos.
A esos mismos herederos y a los herederos de Paulo Negro, ginovés, cien ducados o su valor; han de ser la mitad
a los unos herederos y la otra a los otros.
A Baptista Espínola o a sus herederos, si él es muerto, veinte ducados. Este Baptista Espínola es yerno del
sobredicho Luis Centurión. Era hijo de Miçer Nicolao Espínola de Locoli de Ronco, y por señas el fue estante
en Lisboa el año de mil quatrocientos ochenta y dos. .
La qual dicha memoria a descargo sobredicho, yo el escrivano doy fe que estaba escripta de la letra propia del
dicho testamento del dicho don Cristóbal, en fe de lo qual lo firmé de mi nombre.
Pedro de Azcoitia
Relazione di certe persone che io desidero beneficiari dei beni contenuti in questo moriale, senza deroga alcuna.
E lo si dia in forma tale che non si sappia chi dispone di darlo.
Primieramente, agli eredi di Gerónimo del Puerto, padre di Venito del Puerto, cancelliere in Genova, venti
ducati o il valore corrispondente.
Ad Antonio Vazo, mercante genovese, che era solito vivere a Lisbona, duemilacinquecento reales di Portogallo,
che sono sette ducati o poco più, in ragione di trecentosettantacinque reales il ducato.
A un ebreo che stava alla porta del ghetto a Lisbona, o ad altra persona designata da un sacerdote, il valore di
mezzo marco d’argento.
Agli eredi di Luis Centurión Escoto, mercante genovese, trentamila reales di Portogallo, dei quali un ducato vale
trecentottantacinque reales, che fanno settantacinque ducati, a un dipresso.
Agli stessi eredi o agli eredi di Paulo Negro, genovese, cento ducati o il valore corrispondente; somma che
andrà per metà agli uni e per l’altra metà agli altri eredi.
A Baptista Espínola o ai suoi eredi, nel caso egli fosse morto, venti ducati. Questo Baptista Espínola è genero
del sopra citato Luis Centurión. Era figlio di messer Nicolao Espínola di Locoli di Ronco, e di lui si sa che
dimorò a Lisbona nell’anno millequattrocentottantadue.
La quale detta memoria a sgravio di quanto sopra detto, io, lo scrivano, attesto che era scritta con la stessa
calligrafia del detto testamento del detto don Cristoforo, e in fede di ciò ho apposto il mio nome.
Pedro de Azcoitia.
Copia autentica di un memoriale di debiti allegato al testamento del 19 maggio 1506; ARCHIVO GENERAL DE
INDIAS DI SIVIGLIA, 295, 61.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, pp. 450 e 452. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XCIII, pp. 386-387.
Nota: Questo Baptista Espínola (…) si sa che dimorò a Lisbona nell’anno millequattrocentottantadue.
Colombo si trovava dunque a Lisbona nell’anno 1482, in precarie condizioni economiche.
Il prestito è probabilmente in stretta relazione con il successivo viaggio verso Portosanto-Madera e poi verso
la Guinea.
101
Gianfranco Ribaldone
doc. 30
(1550 circa —› 1482 ?)
1482 (?), Portosanto. Nascita del figlio Diego
Y así navegó algunas veces aquel camino en compañía de los portugueses, como persona ya vecino y cuasi
natural de Portugal; y porque algún tiempo vivió en la dicha isla de Puerto Santo, donde dejó alguna hacienda
y heredades su suegro Perestrello (segùn que me quiero acordar que me dijo su hijo D. Diego Colón, primer
sucesor que tuvo y segundo Almirante, el año de 1519 en la ciudad de Barcelona, estando allí el rey de España
D. Carlos, cuando la primera ves vino de Flandes a reinar y donde le vino el decreto de su imperial elección);
así que fuése a vivir Cristóbal Colón a la dicha isla de Puerto Santo, donde engendró al dicho su primogénito
heredero D. Diego Colón, por ventura por sola esta causa de querer navegar, dejar allí su mujer, y porque allí
en aquella isla y en la de la Madera, que está junto, y que también se había descubierto entonces, comenzaba
a haber gran concurso de navíos sobre su población y vecindad y frecuentes nuevas se tenían cada día de los
descubrimientos que de nuevo se hacían.
E così navigò alcune volte per quelle rotte in compagnia dei portoghesi, come persona già cittadina e quasi nativa
del Portogallo, perché visse per qualche tempo nell’isola di Porto Santo, dove aveva lasciato qualche proprietà
ed eredità suo suocero Perestrello, secondo quanto ricordo avermi detto suo figlio don Diego Colombo, primo
successore ch’egli ebbe e secondo Ammiraglio, l’anno 1519 nella città di Barcellona, mentre vi si trovava il re
di Spagna don Carlo, quando giunse di Fiandra la prima volta per regnare e dove lo raggiunse il decreto della
sua elezione imperiale. Accadde così che visse Cristoforo Colombo nell’isola di Porto Santo, dove generò il suo
sunnominato primogenito ed erede don Diego Colombo, per caso, perché soltanto per il motivo che voleva
navigare vi lasciò sua moglie e perché lì, in quell’isola, ed in quella di Madera, che le sta vicino e che ugualmente
s’era scoperta allora, cominciava a verificarsi gran concorso di navi per il suo popolamento, l’insediamento
stabile della gente e correvano le frequenti notizie, che si avevano ogni giorno delle scoperte nuovamente fatte.
Edizione: BARTOLOMEO, t. I, lib. I, cap. IV, pp. 34 e 36. Traduzione: BARTOLOMEO, t. I, lib. I, cap. IV, pp.
35 e 37.
Nota: non è determinabile con sicurezza l’anno di nascita di Diego; ritengo che, almeno per quanto riguarda il
luogo, sia credibile l’informazione di Bartolomeo de Las Casas, che fu amico del primogenito di Cristoforo.
Per i problemi legati all’anno e al luogo di nascita di Diego: VERISSIMO, pp. 11-13.
doc. 31
(1550 circa —› 1498 —› Madera 1482 ?)
1482 (?), Madera. Aveva vissuto lì per un certo periodo
Llegó a la isla del Puerto Sancto, jueves, 7 de junio, donde paró a tomar leña y agua y refresco; y luego aquella
noche se partió para la isla de la Madera (…), y llegó a ella el domingo siguiente, a 10 de junio. En la villa le
fué hecho muy buen recibimiento y mucha fiesta por ser allí muy conocido, que fué vecino de ella en algún
tiempo; estuvo allí proveyéndose cumplidamente de agua y leña y lo demás necesario para su viaje seis días.
Giunse all’isola del Puerto Sancto giovedì 7 giugno, dove si fermò per caricare legna, prendere acqua e riposare,
e poi, quella stessa notte, partì per l’isola di Madera (…), dove arrivò la domenica seguente, dieci di giugno.
Nella città fu assai ben accolto e gli si fece gran festa, essendo conosciuto da quelle parti, dato che aveva vissuto
lì per un certo periodo. Si fermò sei giorni, facendo adeguata scorta d’acqua e di legna e di tutte le altre cose
necessarie per il suo viaggio.
Edizione: BARTOLOMEO, t. II, lib. I, cap. CXXX, p. 754. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XXIV (Il terzo
viaggio di Cristoforo Colombo dalla Historia de Las Indias di Bartolomè de Las Casas), p. 225.
Nota: per i problemi legati alle ragioni, alla durata e alle conseguenze del soggiorno a Madera, cfr. VERISSIMO,
pp. 22-29.
doc. 32
(1492 —› Lisbona-Guinea 1482 e/o 1483)
1482 e/o 1483, Guinea. E corsi la rotta della Guinea
“Yo e andado veinte y tres años en la mar, sin salir d’ella tiempo que se aya de contar, y vi todo el Levante y
Poniente, que dizé por ir al camino de Septentrión, que es Inglaterra, y e andado la Guinea (…)”.
“Ventitré anni sono andato per mare, non allontanandomene mai, se non per minimo spazio di tempo, e ho
veduto il levante e il ponente, rotte che lasciai per veleggiare a settentrione, alla volta dell’Inghilterra, e ho
corso la rotta della Guinea (…)”.
102
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
Copia di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Colombo, annotazione del 21-12-1492;
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms bacheca 6-7.
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, p. 184. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, p. 86.
Nota: leggi i docc. 33-38 e le note ai docc. 33 e 35.
Leggi anche nota al doc. 39.
doc. 33
(post 1483 —› Lisbona-Guinea 1482 e/o 1483)
1482 e/o 1483, Guinea. Navigando alla volta della Guinea presi l’altezza del sole
Nota quod sepe nauigando ex Ulixbona ad austrum in Guinea notaui cum diligentia uiam, ut solent naucleres
et malinerios, et postea accepi altitudinem solis cum quadrantem et aliis instrumentis plures vices, et inueni
concordare cum Alfragano, uidelicet respondere quolibet gradu miliaria 56 2/3. Quare ad hanc mensuram
fidem adhibendam est. Igitur posimus dicere quod circuitus terre sub arcu equinociali est 20400 miliaria;
similiter quod id inuenit magister Iosepius fixicus et astrologus et alii plures, misi solum ad hoc per
serenissimum regem Portugalie. Idque potest uideri quisquam me[n]tientem per cartas nauigationum,
mensurando de septentrione in austro per occeanum extra omnem terram per lineam rectam; quod bene potest
incipiendo in Anglia uel Hibernia per lineam rectam ad austrum usque in Guinea.
Nota che sovente, navigando da Lisbona a mezzogiorno alla volta della Guinea, osservai con diligenza la rotta,
come sono usi fare i capitani e i marinai, e quindi presi l’altezza del sole con il quadrante e altri strumenti più
e più volte, e riscontrai che concordava con Alfragano, ovvero che a ciascun grado corrispondevano 56 miglia
e 2/3. Per detta ragione, v’è da prestar fede a questa misura. Di conseguenza potremmo dire che il perimetro
della terra, all’altezza del circolo equinoziale è di 20400 miglia. Lo stesso notò il maestro Giuseppe, fisico e
astrologo e con lui tanti altri, invitati a questo fine dal serenissimo re di Portogallo. E tanto balza evidente a
chiunque misuri sulle carte di navigazione, prendendo le distanze da nord a sud, sull’Oceano, e non a terra, in
linea retta, ciò che ben si può fare principiando dall’Inghilterra o dall’Irlanda in linea retta verso il sud fino alla
Guinea.
Autografa postilla annotata nell’Imago mundi di Pierre d’Ailly; BIBLIOTECA COLOMBINA DI SIVIGLIA, n. 3122
del Registro di Don Fernando, f. 42r, Racc. 490.
Edizione: VARELA SCRITTI, doc. I, 7, p. 4. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. I, 7, pp. 4-5. Tuttavia ho
operato una piccola, ma importante correzione, ritenendo errata l’interpretazione “Nota che, navigando sovente
da Lisbona a mezzogiorno, alla volta della Guinea, osservai” e correggendo in “ Nota che sovente, navigando
da Lisbona a mezzogiorno alla volta della Guinea, osservai”.
Nota: leggi i docc. 32 e 34-38 e la nota al doc. 35.
Leggi anche nota al doc. 39.
Per la corretta interpretazione dell’avverbio sepe in “Nota quod sepe nauigando ex Ulixbona ad Austrum in
Guinea notaui cum diligentia uiam”, che allude non a una pluralità di viaggi, ma alla frequenza con cui Colombo
effettuò, nel corso della navigazione verso la Guinea, osservazioni del sole: MORISON, p. 47.
Per l’utilizzo da parte di Colombo del modulo del cosmografo arabo Alfragano, senza rendersi conto che le
miglia arabe erano più lunghe di quelle italiche da lui utilizzate: MANZANO SETTE ANNI, pp. 70-71.
doc. 34
(1493 —› Guinea 1482 e/o 1483)
1482 e/o 1483, Guinea. Disse che in Guinea sulla costa Managueta
El día passado, quando El Almirante iva al río del Oro, dixo que vido tres serenas que salieron bien alto de la
mar, pero no eran tan hermosas como las pintan, que en alguna manera tenían forma de hombre en la cara;
dixo que otras vezes vido algunas en Guinea en la Costa Manegueta.
Il giorno avanti, andando l’Ammiraglio alla volta del Río del Oro, disse aver vedute tre sirene, che uscirono ben
fuori dal mare, le quali purtuttavia non erano belle quanto le si dipinge, ché in nessun modo avevano sembianze
umane; disse che, altre volte, ne aveva visto qualcuna in Guinea, sulla costa Managueta.
Sunto di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Colombo, annotazione del 9 gennaio 1493;
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms bacheca 6-7.
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, p. 236. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, p. 110.
Nota: leggi i docc. 32 e 33, 35-38 e le note ai docc. 33 e 35.
Leggi anche nota al doc. 39.
103
Gianfranco Ribaldone
doc. 35
(post 1483 —› fortezza della Mina 1482 e/o 1483)
1482 e/o 1483, Guinea. Fortezza della Mina
Sub linea equinociali perpendiculariter est castrum Mine serenissimi regis Portugalie, quem uidimus.
Sotto la linea equinoziale, in perpendicolare, si trova la fortezza della Mina del serenissimo re di Portogallo,
che abbiamo veduta.
Autografa postilla annotata nella Historia rerum ubique gestarum di Enea Silvio Piccolomini; BIBLIOTECA
COLOMBINA DI SIVIGLIA, n. 3123 del Registro di Don Fernando, f. 3v, Racc. 22.
Edizione: VARELA SCRITTI, doc. I, 2, p. 3. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. I, 2, p. 3.
Nota: leggi i docc. 32-34, 36-38 e la nota al doc. 33.
Leggi anche nota al doc. 39.
Per lo stabilimento commerciale fortificato di San Giorgio della Mina, fatto costruire da Giovanni II sulla Costa
d’Oro con una spedizione appositamente inviata sul finire del 1481: MORISON, pp. 46-47.
doc. 36
(post 1483 —› fortezza della Mina 1482 e/o 1483)
1482 e/o 1483, Guinea. Fortezza della Mina
Zona torida non est inhabitabilis, quia per eam hodie nauigant Portugallenses, imo est populatissima; et sub
linea equinoxialis est castrum Mine serenissimi regis Portugalie, quem uidimus.
La zona torrida non è inabitabile, ché in essa navigano al presente i portoghesi, ma anzi è assai popolata; e
sotto la linea equinoziale si trova la fortezza della Mina del serenissimo re di Portogallo, che abbiamo veduta.
Autografa postilla annotata nell’Imago mundi di Pierre d’Ailly; BIBLIOTECA COLOMBINA DI SIVIGLIA, n. 3122
del Registro di Don Fernando, f. 12r, Racc. 16.
Edizione: VARELA SCRITTI, doc. I, 3, p. 3. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. I, 3, pp. 3 e 4.
Nota: leggi i docc. 32-35, 37-38 e le note ai docc. 33 e 35.
Leggi anche nota al doc. 39.
doc. 37
(post 1483 —› fortezza della Mina 1482 e/o 1483)
1482 e/o 1483, Guinea. Fortezza della Mina
Africa in duplo est quam Europa, et quamuis in medio ipsius sit terra arenoza, tamen (tq corretto in tn) in
aliquibus locis habitantur. A parte australi et septentrionali habitant gentes sine numero, nec impedit maximum
calorem. Et sub linea equinociali, ubi dies semper sunt horarum 12, habet castrum serenissimi regis Portugalie,
in quo fui, et inueni locus temperatus esse.
L’Africa è il doppio dell’Europa; ancorché il suo centro sia di terra sabbiosa, è in alcune delle sue parti abitata.
Dalla parte del sud e del nord è popolata da genti in numero infinito, né lo impedisce il grandissimo calore. E
sotto la linea equinoziale, dove le giornate sono sempre di dodici ore, si trova la fortezza del serenissimo re di
Portogallo, in cui mi fermai; e vidi trovarsi in luogo temperato.
Autografa postilla annotata nell’Imago mundi di Pierre d’Ailly; BIBLIOTECA COLOMBINA DI SIVIGLIA, n. 3122
del Registro di Don Fernando, f. 25r, Racc. 234.
Edizione: VARELA SCRITTI, doc. I, 4, p. 4. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. I, 4, p. 4.
Nota: leggi i docc. 32-36, 38 e le note ai docc. 33 e 35.
Leggi anche nota al doc. 39.
doc. 38
(post 1483 —› fortezza della Mina 1482 e/o 1483)
1482 e/o 1483, Guinea. Fortezza della Mina
“Yo estuve en el castillo de la Mina del Rey de Portogal, qu’está debaxo de la equinoçial, y así soy buen testigo
que no es inhabitable como dizen (…)”.
“Io andai al castello della Mina del Re di Portogallo, che si trova sotto la linea equinoziale, e sono pertanto buon
testimone che non è inabitabile come si dice (…)”.
Copia-estratto di Bartolomé de Las Casas da una lettera che Colombo scrisse ai re nel gennaio 1495 dalla
Española; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms. Res. 21, ff. 7 sgg.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 14. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. IX, p. 169.
Nota: leggi i docc. 32-37 e le note ai docc. 33 e 35.
Leggi anche nota al doc. 39.
104
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
doc. 39
(1495 —› Portosanto-Lisbona 14??)
14??, Portosanto-Lisbona. Io mi sono trovato a comandare due navi
“Yo me e hallado traer dos naos y dexar la una en el Puerto Sancto a hazer un poço en que se detuvo un día,
e yo llegué a Lisboa ocho días antes que ella, porque yo llevé tormenta de viento de Sudueste, y ella no sintió
sino poco viento Nornordeste, qu’es contrario (…)”.
“Io mi sono trovato a comandare due navi, e a lasciare una a Puerto Sancto, a fare sentina, per la qual cosa vi
indugiò un giorno, e io approdai a Lisbona ben otto giorni avanti ad essa, ché ebbi tormenta di vento di sud-
ovest, e quella non ebbe che scarso vento da nord-nord-est che è vento contrario (…)”.
Copia-estratto di Bartolomé de Las Casas da una lettera che Colombo scrisse ai re nel gennaio 1495 dalla
Española; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms. Res. 21, ff. 7 sgg.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 14. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. IX, p. 169.
Nota: è l’ultimo di quattro frammenti (docc. 16, 20, 38, 39) estratti da Bartolomeo de Las Casas da una lettera
ai re, in cui Colombo intende comprovare ai sovrani la sua esperienza di navigatore.
I primi tre sono sicuramente disposti in senso cronologico. È dunque probabile che il quarto sia l’episodio più
recente, che dunque si collocherebbe dopo l’esperienza alla fortezza della Mina (terzo frammento), forse durante
il viaggio di ritorno.
doc. 40
(1500 —› Spagna, fine 1483-fine 1500)
1483 (fine), 1ª partenza dal Portogallo. Lasciai moglie e figli, che per questo non vidi mai
Señores: Ya son XVII años que yo vine a servir estos Prinçipes con la impresa de las Indias. Los ocho fui traído
en desputas, y en fin se dio mi aviso por cosa de burla. (...).
Suplico a Vuestras Mercedes que con zelo de fielíssimos cristianos y de quien Sus Altezas tanto fian, que miren
todas mis escrituras, y cómo vine a servir estos Príncipes de tan leisos y desé mujer y fijos, que jamás vi por
ello (…).
Signori: sono ormai XVII anni che sono venuto a servire questi Principi con l’impresa delle Indie. I primi otto
li passai in dispute, e infine la mia opinione fu tenuta per cosa di burla. (...).
Supplico le Grazie Vostre che, con zelo di fedelissimi cristiani e di persone nelle quali le Loro Altezze tanto
confidano, guardino tutte le mie scritture, e come venni a servire questi Principi da tanto lontano, e lasciai
moglie e figli, che a causa di questo non vidi mai (…).
Autografa lettera ai membri del Consiglio di Castiglia, scritta probabilmente nel mese di novembre o all’inizio
di dicembre dell’anno 1500, in un momento di grandissima frustrazione, dopo le catene del Bobadilla e prima
che i sovrani dessero il 12 dicembre (MORISON; p. 584) l’ordine di rilasciarlo e lo convocassero a Corte;
ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato 295, 41.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 206. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XLII, pp. 283-284.
Nota: le parole “lasciai moglie e figli, che a causa di questo non vidi mai” suscitano un problema.
Non ebbe egli forse da Filipa Moñiz un solo figlio, Diego? Forse no, se interpretiamo alla lettera le parole del
presente documento (e mi domando in quale altro senso potrebbero essere interpretate), che del resto è un
autografo… Comunque portò Diego con sé in Spagna (doc. 45).
Ritengo che il viaggio in Spagna sia avvenuto di ritorno dalla Guinea e da Madera-Portosanto (da dove prelevò
il piccolo Diego); a tali conclusioni m’inducono, oltre che i dati cronologici dei documenti precedenti e seguenti,
anche le parole “come venni a servire questi Principi da tanto lontano” (leggi anche doc. 42: ed è venuto da
tanto lontano a servire le Loro Altezze).
105
Gianfranco Ribaldone
Otto inquieti anni, che iniziano con l’arrivo in terra di Spagna verso la fine del 1483 (docc. 41-43).
Forse avviato verso Huelva per affidare il piccolo Diego alla cognata, si ferma non lontano, nel
convento francescano de La Rábida, nei pressi di Palos. Qui lo raggiunge e con lui colloquia il vecchio
pilota ed esploratore Pietro de Velasco (doc. 44). Le difficoltà a proporre il progetto (doc. 43) inducono
Colombo ad un primo ritorno in Portogallo, dopo aver affidato Diego ai frati del convento (doc. 45).
Dalla metà del 1484 alla metà circa dell’anno seguente, Colombo frequenta la corte portoghese. Sono
mesi fondamentali, segnati dalla lettura attentissima della Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini,
che Colombo postilla di fitte note (docc. 46-48) nelle quali va coagulandosi la sua visione del globo
terracqueo, dell’età del mondo, del senso ultimo della storia, dell’imminenza di una nautica impresa
che ricapitolerà il mondo per consegnarlo nelle mani del suo Fattore. Ogni indizio proveniente
dall’esperienza propria e altrui viene vagliato e discusso, anche con re Giovanni II (docc. 49 e 50), che
invia in Guinea il fisicus Giuseppe a misurare il grado equinoziale (doc. 51). Il parere negativo espresso
dalla reale commissione di saggi sulla possibilità di raggiungere l’Oriente per la via d’Occidente (doc.
52) induce Colombo a ritornare per la seconda volta in Castiglia.
Ormai infiammato dalla fiamma di una celeste missione da compiere (doc. 53), il cavaliere medievale
Cristoforo Colombo cerca di presentarsi ai reali di Castiglia e d’Aragona quale divino ambasciatore,
per annunciare e insieme reclamare l’alto compito (docc. 53-55), suscitando ilarità (docc. 58 e 62) o
scetticismo (docc. 56-57, 59-61, 63). L’unico sostegno gli viene da due frati saldi e fidenti (doc. 62),
fra’ Diego de Deza (docc. 63 e 64) e fra’ Antonio de Marchena (docc. 67-69). Probabilmente grazie a
costoro, il 20 gennaio 1486 Cristoforo Colombo entra ufficialmente al servizio della Corona di Spagna
(doc. 65), cioè la sua proposta è ufficialmente oggetto di attenzione da parte dei re (quasi nove anni
più tardi, a scoperta avvenuta, ciò che Colombo disse in quell’udienza iniziale sembrerà ai sovrani
essersi esattamente compiuto: doc. 66). Verso la fine di febbraio dello stesso anno, grazie anche
all’intervento di fra’ Antonio de Marchena (docc. 67 e 69), astrologo che è in perfetta sintonia con
Colombo (doc. 68), i re affidano a Hernando de Talavera, priore del Prado, l’incarico di eleggere una
giunta per esaminare il progetto (doc. 70). Questa, formata da dotti ed esperti e marinai, disputa con
Colombo (doc. 71), probabilmente a Salamanca tra novembre 1486 e gennaio 1487. Le traversie della
guerra contro i Mori e i conseguenti e frequenti spostamenti della Corte contribuiscono a ritardare il
verdetto, ma nella primavera ed estate del 1487 Colombo riceve alcuni sussidi dalla Corona, poiché,
stando la giunta per comunicare la sua decisione, egli dovrà essere presente (docc. 72-74). All’inizio
di settembre, nel campo di Malaga, i re lo informano che ogni decisione è differita a causa della guerra
(doc. 75). Ritirato l’ultimo sussidio reale (doc. 76), Colombo per sostentarsi si dedica nella città di
Siviglia al commercio di libri stampati (doc. 77). Agli inizi del 1488 scrive a Giovanni II, re di
Portogallo (doc. 78). Giunta la risposta affettuosa del re lusitano, che lo invita a venire in Portogallo
(doc. 79), Colombo se ne serve per tentare di acquistare maggiore credibilità agli occhi dei reali di
Spagna (docc. 80 e 81), ma le speranze sono ancora deluse; a Murcia, dove intanto parla con
l’esploratore gallego Pietro de Velasco (doc. 83), Colombo riceve dai re un ulteriore misero sussidio,
forse come definitivo congedo (doc. 82). La nascita, nell’agosto 1488, del figlio naturale Fernando da
una relazione con Beatrice Enriquez (docc. 84 e 85) non è sufficiente a trattenerlo in terra di Spagna:
nel dicembre dello stesso anno, accolto l’invito di Giovanni II (doc. 79), Colombo è già in Portogallo,
alla corte di Lisbona. In tempo per assistere alla fine delle proprie ambizioni lusitane: Bartolomeo
Dias porta al re l’annuncio d’aver doppiato il Capo di Buona Speranza (docc. 86 e 87); la via africana
per le Indie è dunque aperta, il progetto di Colombo perde ogni interesse agli occhi di Giovanni II.
All’inizio del 1489 ritorna in terra di Spagna. A Siviglia tenta, ma invano, di convincere della bontà
del progetto il duca di Medina Sidonia (doc. 88). A Puerto de Santa María riceve importanti rivelazioni
da un marinaio guercio su un viaggio fatto al largo dell’Irlanda (doc. 89). Deciso a proseguire verso
106
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
la Francia (doc. 90), Colombo viene dissuaso dal duca di Medinaceli; costui, inizialmente intenzionato
a finanziare il progetto (doc. 91), demanda poi tutto alla regina (doc. 92). A maggio Isabella fa venire
a sé Colombo (doc. 93) e gli concede udienza, ma alla fine rimanda ogni decisione, affidandolo in
carico a Quintanilla, ragioniere dello Stato (doc. 94). Tra la primavera e l’estate è prezioso il sostegno
del nunzio apostolico Antonio Geraldini (doc. 95), ma la morte di costui lo fa precipitare in nuove
difficoltà (doc. 96). Per circa due anni, dall’autunno del 1489 all’autunno del 1491, Colombo è ospite
del duca di Medinaceli (doc. 97). Poiché i reali, impegnati contro i Mori, differiscono la decisione sul
progetto, Colombo, nuovamente intenzionato a recarsi presso la corte del re di Francia (doc. 98),
nell’autunno 1491 s’avvia verso Huelva con il figlioletto Diego, probabilmente per lasciarlo presso la
cognata. Si ferma al convento de La Rábida, chiedendo pane e acqua per Diego (doc. 99); lì viene
momentaneamente ospitato, essendo in uno stato di estrema povertà (docc. 100 e 101). Durante il
soggiorno, scende spesso a Moguer e a Palos (docc. 101 e 102); in quest’ultima città, sovente si
trattiene a parlare con il vecchio pilota ed esploratore Pietro de Velasco (doc. 102) già conosciuto sei
anni prima (doc. 52). Nel convento de La Rábida si confida con fra’ Juan Pérez e con il medico di Palos,
dichiarando i suoi progetti e dicendo loro le delusioni e le umiliazioni ricevute a Corte (doc. 103). Il
frate invia una lettera alla regina (doc. 104), che dopo due settimane fa giungere una risposta: Pérez è
convocato a Corte (doc. 105); subito il frate s’avvia (doc. 106). Infine anche a Colombo giunge l’invito
a recarsi alla real corte, ricevendo anche un sussidio di 20000 maravedís per procurarsi un
abbigliamento decente e un buon cavallo (doc. 107). Nella piazzaforte di Santa Fe, dove le milizie reali
sono impegnate nell’assedio alla città moresca di Granada, Colombo e Pérez persuadono la regina a
riesaminare il progetto (doc. 108). Il 2 gennaio 1492 la città di Granada capitola e Cristoforo assiste
alla resa del re moro (doc. 109). Nello stesso mese una giunta riesamina il progetto, discutendo
animatamente con Colombo (doc. 110). Alessandro Geraldini, fratello del defunto Antonio, appoggia
le tesi di Colombo (doc. 111), procurandosi l’imperitura amicizia del navigatore (doc. 112); tuttavia
il parere della maggioranza della giunta e, conseguentemente dei reali, è negativo (doc. 113). Sembra
la fine di ogni speranza; Colombo si congeda e parte per Cordova, definitivamente deciso a
raggiungere la Francia (doc. 114). L’estrema perorazione di Diego de Deza presso il re (doc. 115) e
di Luis de Santángel presso la regina (doc. 116) ottengono l’insperato: la regina fa richiamare
Colombo, ormai sulla strada per Cordova (doc. 117), l’ennesimo ed estremo atto di fiducia che lei
dimostra nei suoi confronti (doc. 118); il re si adegua e affida a Hernando de Talavera e a Diego de
Deza il compito di verificare il fondamento del progetto (doc. 119). Non è ancora l’assenso definitivo
ma, di lì a qualche mese, l’Ammiraglio del mare Oceano, iniziando ad appuntare il libro di bordo,
ricorderà quel giorno di fine gennaio come l’inizio dell’alta missione, per la via d’Occidente, verso
la terra del Gran Can (doc. 120).
doc. 41
(1503 —› 1483)
1483 (fine), arrivo in Spagna
Mi hermano estaba en el peor navío y más peligroso. Gran dolor era el mío, y mayor porque lo truxe contra
su grado, porque, por mi dicha, poco me an aprovechado veinte años de serviçio que yo he servido con tantos
trabaxos y peligros, que oi día no tengo en Castilla una teja; si quiero comer o dormir no tengo salvo al mesón
o taverna, y las más de las vezes falta para pagar el escote.
Mio fratello era sulla nave più guasta e più pericolosa. Grande dolore era il mio e più grande pel fatto che ve
lo avevo condotto contro la sua volontà, perché, per somma sventura, poco mi hanno giovato vent’anni di
servizio che io ho servito con tanti travagli e pericoli, che al presente non posseggo un tetto in Castiglia e se
voglio mangiare o dormire non mi resta che andare in locanda o taverna e il più delle volte mi manca di che
pagare lo scotto.
Copia della relazione del quarto viaggio scritta nell’isola di Giamaica il 7 luglio 1503; BIBLIOTECA
UNIVERSITARIA DI SALAMANCA, Ms. 2327, ff. 14-26.
Edizione: COLOMBO RELAZIONI, t. I, pp. 132 e 134. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXVI, p. 336.
107
Gianfranco Ribaldone
Nota: l’indicazione cronologica contenuta nel presente doc. 41, con quella dei docc. 42 e 43, dimostra che il
primo arrivo di Colombo in terra di Spagna risale alla seconda metà (forse alla fine) dell’anno 1483.
È vero che il figlio Fernando fa risalire la partenza per la Spagna alla fine del 1484 (FERNANDO, t. I, cap. XII,
p. 64); tuttavia mi sembra che anche il suo sia un tentativo di ricostruzione cronologica, dovendo giustificare
la documentata presenza di Colombo in terra lusitana ancora nel corso del 1484 (doc. 50). Tale presenza
spiegherei con un primo ritorno di Colombo in Portogallo, avvenuto verso la metà del 1484 (leggi docc. 46-51
e la nota al doc. 46).
doc. 42
(1500 —› Spagna, fine 1483-fine 1500)
1483 (fine), arrivo in Spagna
Y pues ya son ganadas y él aventuró su persona y de sus hermanos y vino de tan leisos a servir a Sus Altesas
y ha gastado XVII años, los mejores de su vida, en ello, sin ningún provecho fasta agora, le pertenece y ha de
haber la tercia parte y la ochava parte y la décima parte de todo ello y de quanto ha en las dichas islas y tierra
firme, porque ellas ya están ganadas, y todo lo que de aquí en adelante se ficiere ya non es para las ganar,
solamente es para las grangear y haber provecho d’ellas.
E dato che ormai sono conquistate e che egli ha rischiato la sua persona e quella dei suoi fratelli ed è venuto da
tanto lontano a servire le Loro Altezze e ha speso in questo ben XVII anni, i migliori della sua vita, senza trarne
fino a ora alcun profitto, gli spettano e gli toccano la terza parte, e l’ottava parte, e la decima parte di tutto
questo e di tutto quanto vi sia nelle dette isole e terra ferma, dato che sono ormai conquistate e che tutto ciò che
da qui in avanti si facesse già non sarebbe per conquistarle, ma soltanto per sfruttarle meglio e trarne profitto.
Autografo memoriale scritto probabilmente nel mese di novembre o all’inizio di dicembre dell’anno 1500, in
un momento di grandissima frustrazione, dopo le catene del Bobadilla e prima che i sovrani dessero il 12
dicembre (MORISON; p. 584) l’ordine di rilasciarlo e lo convocassero a Corte; ARCHIVO DE LA CASA DE ALBA
DI MADRID, Autografi.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 248. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LV, p. 313.
Nota: leggi docc. 41 (con relativa nota) e 43.
doc. 43
(1500 —› Spagna, fine 1483-fine 1500; Spagna, fine 1483-fine 1491; conquista, 1492-1499; 1500)
1483 (fine)-1484 (inizio), Spagna. Le prime incomprensioni
Señores: Ya son XVII años que yo vine a servir estos Prinçipes con la impresa de las Indias. Los ocho fui traído
en desputas, y en fin se dio mi aviso por cosa de burla. Yo con amor proseguí en ello, y respondí a Françia y a
Inglaterra y a Portugal que para el Rey y la Reina, mis Señores, eran esas tierras y señoríos. Las promesas non
eran pocas ni vanas. Acá me ordenó Nuestro Redemptor el camino, allá he puesto so su Señorío más tierra que
non es Africa y Europa y más de mil sieteçientas islas allende la Española, que boja más que toda España. En
ellas se crehe que floreçerá la Santa Iglesia grandemente. Del temporal se puede esperar lo que ya diz el bulgo.
En siete años hize yo esta conquista por voluntad divina. Al tiempo que yo pensé de haber merçedes y descanso,
de improvisto fui preso y traído cargado de fierros, con mucho deshonor mío y por servicios de Sus Altezas.
Signori: sono ormai XVII anni che sono venuto a servire questi Principi con l’impresa delle Indie. I primi otto
li passai in dispute, e infine la mia opinione fu tenuta per cosa di burla. Io con amore continuai a sostenere la
mia opinione, e risposi alla Francia, all’Inghilterra e al Portogallo che quelle terre e quei domini erano per il
Re e la Regina, miei Signori. Le promesse non erano poche né vane. Qui il Nostro Redentore mi ordinò il
cammino, là ho posto sotto il suo Dominio più terra di quanta non ve ne sia in Africa e in Europa e più di
millesettecento isole, oltre alla Española, che misura più dell’intera Spagna. In queste terre si crede che la Santa
Chiesa fiorirà grandemente. Sul versante temporale ci si può aspettare ciò che il volgo ne dice. In sette anni io
feci questa conquista per volontà divina. Nel momento in cui io pensai di avere benefici e riposo, all’improvviso
fui imprigionato e messo ai ferri con molto disonore mio e dei servigi resi alle Loro Altezze.
Autografa lettera ai membri del Consiglio di Castiglia, scritta probabilmente nel mese di novembre o all’inizio
di dicembre dell’anno 1500, in un momento di grandissima frustrazione, dopo le catene del Bobadilla e prima
che i sovrani dessero il 12 dicembre (MORISON; p. 584) l’ordine di rilasciarlo e lo convocassero a Corte;
ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato 295, 41.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 206. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XLII, p. 283-284.
108
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
Nota: le due notazioni cronologiche (sono ormai XVII anni che sono venuto a servire questi Principi… I primi
otto li passai in dispute) fanno risalire alla fine del 1483 il primo arrivo di Colombo in terra di Spagna.
Leggi anche i docc. 41 (e relativa nota) e 42.
Il termine ante quem del periodo delle prime incomprensioni in terra di Castiglia è dato dai successvi docc. 46-52.
doc. 44
(15?? —› Spagna, fine 1483-inizio 1484 ?)
1483 (fine)-1484 (inizio), Palos. Nel convento de La Rábida rivelazioni di Pietro de Velasco di Palos
Andò ancora a cercar quest’isola un certo Diego da Tiene, il cui piloto, chiamato Pietro di Velasco, nativo di
Palos di Mogher in Portogallo, disse all’Ammiraglio in Santa Maria della Rábida ch’essi partirono dal Fagial
e navigarono più di cento e cinquanta leghe per Libecchio, e nel tornare indietro scoprirono l’isola de’ Fiori,
alla quale furono guidati da molti uccelli, che vedevano andare a quella volta, perché essendo tali uccelli
terrestri e non marini fu da lor giudicato che non potevano andare a riposarsi se non ad alcuna terra; e poi
caminarono tanto per Nordeste che presero il Capo di Chiara in Irlanda per Loeste, nel qual paraggio trovarono
grandissimi venti Ponentì e il mar non turbarsi. Il che stimavano potere avvenire per alcuna terra che li coprisse
di verso Occidente. Ma percioché era già entrato il mese d’agosto, non volsero tornarsi all’isola per paura del
verno. Ciò fu più di quaranta anni avanti che si scoprissero le nostre Indie.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. IX, pp. 50-51.
Nota: da Lisbona, Colombo si portò a Palos, in terra di Spagna (doc. 45).
Concordo con Juan Manzano Manzano, che ritiene che la testimonianza di García Hernández, medico di Palos,
nei Pleitos del 1515 (docc. 99, 103-107), sia in tutto e per tutto riferita al secondo soggiorno di Colombo al
convento de La Rábida, nell’anno 1491, anziché a questo primo, che io situo nell’inverno 1483/1484.
Ritengo che Colombo, oltre forse l’urgenza di contattare la cognata Violante Moñiz de Perestrello nella vicina
Huelva (dove probabilmente aveva intenzione di condurre il piccolo Diego), avesse il forte desiderio di parlare
con il vecchio pilota ed esploratore Pietro de Velasco, nativo di Palos (città della Spagna e non del Portogallo,
come invece è scritto nelle Historie), con cui avrebbe colloquiato anche sei anni più tardi, in occasione della
seconda sosta a La Rábida (doc. 102).
Per le due venute al convento de La Rábida e per le relative questioni: MANZANO SETTE ANNI, pp. 13-26;
191-217.
doc. 45
(1550 circa —› 1484 ?)
1484 (primavera?), Palos. Ai frati del convento de La Rábida lascia affidato il figlioletto Diego
dió consigo en la villa de Palos, donde quizá tenía cognoscimiento con alguno de los marineros de allí, e
también, por ventura, con algunos religiosos de Sant Francisco, del monasterio que se llama Santa María de
la Rábida, que está fuera de la villa, un cuarto o algo más de legua, donde dejó encomendado a su hijo chiquito,
Diego Colón.
Si recò nel villaggio di Palos, dove forse conosceva qualche marinaio del luogo, ed eventualmente anche alcuni
religiosi di San Francesco, del monastero che si chiama Santa Maria de la Rábida, che si trova fuori del paese
per circa un quarto di lega o forse più, dove lasciò in affidamento il suo figlio piccolino, Diego Colombo.
Edizione: DE LAS CASAS, t. I, lib. I, cap. XXIX, p. 84. Traduzione: DE LAS CASAS, t. I, lib. I, cap. XXIX, p. 85.
Nota: non sono chiare le ragioni che indussero Colombo a lasciare il figlio in convento (il fatto è confermato
anche in FERNANDO, t. I, cap. XII, p. 64), anziché condurlo subito presso la cognata Violante Moñiz de
Perestrello, moglie di Miguel Muliart, nella vicina Huelva; è possibile che Diego, in un secondo tempo, sia stato
ospitato dai Muliart, con cui Cristoforo ebbe sempre ottimi rapporti (cfr. MANZANO SETTE ANNI, pp. 25-26).
doc. 46
(post 1484 —› 1484)
1484 (2ª metà), corte portoghese. Historia rerum, postille agli ultimi 5 fogli
Nota quod regnum Tharsis est in fine Orientis in fine Katay... Vide in libro 3, Regum c. 9... et Nicolaus de Lira...
et actor iste Petrus de Ayliaco... et translator Ptholomei... et uide in nostris cartis a papiri ubi est spera.
Hec omnia habemus de uerbo ad uerbum in papiris.
Nota che il regno di Tarsis si trova all’estremo d’Oriente, alla fine di Catay... Vedi il libro 3, cap. 9 dei Re… e
Niccolò di Lira... e questo autore Pierre d’Ailly... e il traduttore di Tolomeo... e vedi le nostre carte dove è
tracciata la sfera.
109
Gianfranco Ribaldone
doc. 47
(1484)
1484 (2ª metà), corte portoghese. Historia rerum, postille 5 fogli: l’età del mondo per gli Ebrei
Esta es la coenta de la criaçión del mondo segondo lo judíos. Vivio Adán 120 años y estonçes engendró Aset.
Vivio Aset 105 años y estonçes ingendró Enos. Vivio Enos 90 años y estonçes ingendró Cainán. Vivio Cainán
70 años y estonçes ingendró Malalchel. Vivio Malachel 65 años y estonçes ingendró Jared. Vivio Jared 162 años
y estonçes ingendró Enoch. Vivio Enoch 65 años y estonçes ingendró Mathusalén. Vivio Mathusalén 187 años
y estonçes ingendró Lamech. Vivio Lamech 182 años y estonçes ingendró Noé. Vivio Noé 500 años y estonçes
ingendró Sen. Y Sen havía ciento quando foe el diluvio. Así que de la criaçión del mondo hasta el dilubio son
1656 años. Vivio Sen dos años despois de los ciento sobredichos, y despois del dilubio estonces ingendró
Arfaxat. Vivio Arfaxat 35 años y estonçes ingendró Sala. Vivio Sala 30 años y estonçes ingendró Heber. Vivio
Heber 34 años y estonçes ingendró Phalech. Vivio Phalech 30 años y estonçes ingendró Reu. Vivio Reu 35
años y estonçes ingendró Saruch. Vivio Saruch 30 años y estonçes ingendró Nacor. Vivio Nacor 29 años y
estonçes ingendró Thare. Vivio Thare 70 años y estonçes ingendró Abraam. Y desd’el diluvio hasta que naçio
Abraam son 295 años, y segundo los judíos son 292. Vivio Abraam ciento años y estonçes ingendró Isac.
<Vi>veo Isac * * * <Des>que naçio Isac hasta que saliron de Egipto 400 años. <Y des>que saliron de Egipto
has<t>a que se fabricó la primera Casa 480 años. <Y des>que foi fabricada la primera Casa fasta su destruçión
son 410 años. <Y des>que foi destruída la primera Casa fasta la salida del cativerio <de Ba>bilonia a 70 años,
y estonçes se començó la segunda Casa. <Y duró> la segunda Casa 400 años. Y desque nacio Abraam fasta
que foe destruído la segunda Casa 1088 años. Y desde la destrución de la 2.a Casa [fasta] segundo los judíos,
fasta agora, <siendo> el año del naçimento de Nuestro Señor de 1481, son 1413 años. <Y desde el> çomienço
fasta esta era de 1481 son 5241 años * * * <mundo> * * * 5244.
Questo è il computo degli anni dalla creazione del mondo, secondo gli ebrei. Visse Adamo 120 anni, e allora
generò Seth. Visse Seth 105 anni, e allora generò Enos. Visse Enos 90 anni, e allora generò Cainan. Visse
Cainan 70 anni, e allora generò Malaleel. Visse Malaleel 65 anni, e allora generò Jared. Visse Jared 162 anni,
e allora generò Henoch. Visse Henoch 65 anni, e allora generò Matusalemme. Visse Matusalemme 187 anni, e
allora generò Lamech. Visse Lamech 182 anni, e allora generò Noè. Visse Noè 500 anni, e allora generò Sem.
110
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
E Sem aveva cento anni quando ci fu il diluvio. Per tal modo dalla creazione del mondo fino al diluvio fanno
1556 anni. Visse Sem due anni dopo i sopraddetti cento e dopo il diluvio, e allora generò Arphaxad. Visse
Arphaxad 35 anni, e generò Sale. Visse Sale 30 anni, e allora generò Heber. Visse Heber 34 anni, e allora generò
Phaleg. Visse Phaleg 30 anni, e allora generò Reu. Visse Reu 35 anni, e allora generò Sarug. Visse Sarug 30 anni,
e allora generò Nachor. Visse Nachor 29 anni, e allora generò Thare. Visse Thare 70 anni, e allora generò
Abramo. E dal diluvio fino alla nascita di Abramo sono 295 anni e secondo gli ebrei sono 292. Visse Abramo
100 anni, e allora generò Isacco. <Vi>sse Isacco *** <Da> che nacque Isacco fino alla fuga dall’Egitto sono
400 anni. <E da> che lasciarono l’Egitto fino a che si edificò la prima Casa 480 anni. <E da> che fu edificata
la prima Casa fino alla sua distruzione sono 410 anni. <E da> che fu distrutta la prima Casa fino alla liberazione
dalla schiavitù di <Ba>bilonia 70 anni, e allora cominciò la seconda Casa. <E durò> la seconda Casa 400 anni,
e da che nacque Abramo fino a che fu distrutta la seconda Casa 1088 anni. E dalla distruzione della 2ª Casa
[fino] secondo gli ebrei, fino a oggi, <essendo> l’anno dalla nascita di Nostro Signore 1481, sono 1413 anni.
<E dall’>inizio fino a questa era del 1481 sono 5241 anni *** <mondo> *** 5244.
Postilla di Colombo o dello scriptorium annotata nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini; BIBLIOTECA
COLOMBINA DI SIVIGLIA, f. penultimo, verso, Racc. 858.
Edizione: VARELA TEXTOS, doc. I, 16, p. 14. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. I, 16, pp. 9-10.
Nota: Juan Gil (VARELA SCRITTI, p. XXIII) rileva che la postilla risale al 1484 (e non al 1481).
Leggi anche la nota al doc. 46.
doc. 48
(1484)
1484 (2ª metà), corte portoghese. Historia rerum, postille 5 fogli: lettera di Toscanelli a Martins
Ferdinando Martini canonico Vlixbonensi Paulus phisicus salutem. De tua ualitudine, de gracia et familiaritate
cum Rege uestro generosissimo <et> magnificentissimo Principe iocundum mihi fuit intelligere. Cum tecum
allias locutus sum de breuiori uia ad loca aromatum per maritimam nauegacionem quam sit ea quam facitis
per Guineam; querit nunc Serenissimus Rex a me quandam declaracionem, ymo potius ad oculum ostensionem,
ut etiam mediocriter doti illam uiam caperent et intelligerent. Ego autem, quamuis cognoscam posse hoc ostendi
per formam spericam, ut est mundus, tamen determinaui, pro faciliori intelligencia ac etiam pro faciliori opere
ostendendi uiam illam, <ratione> per quam carte nauigacionis fiunt illud declarare. Mito ergo Sue Maiestati
cartam manibus meis factam in qua designantur litora uestra et insule, ex quibus incipiatis iter facere uersus
occasum senper, et loca ad que debeatis peruenire et quantum a polo uel a linea equinotiali debeatis declinare
et per quantum spacium, scilicet, per quot miliaria debeatis peruenire ad loca fertilissima omnium aromatum
et gemarum. Et non miremini si uoco occidentales partes ubi sunt aromata, cum comuniter dicantur orientales,
quia nauigantibus ad occidentem senper ille partes inueniuntur per subterraneas nauigaciones; si enim per
terram et per superiora itinera, ad orientem senper reperirentur. Linee ergo recte in longitudine carte signate
ostendunt distanciam ab oriente[m] uersus occidens; que autem transuerse sunt ostendunt spacia a meridie
uersus septentrionem. Notaui autem in carta diuersa loca ad que peruenire potestis pro maiori noticia
nauigacionis; scilicet <si> uentis uel casu aliquo alibi quam existimarent uenirent † pertin autem ut ostendant
incolis ipsos habere noticiam aliquam patrie illius, quod debebit esse iocundum satis. Non considant autem in
insulis nisi mercatores scite: ibi enim tanta copia nauigancium est cum mercimoniis, ut in toto reliquo orbe non
sint sicuti in uno portu nobilisimo uocato Zaiton: aserunt enim centum naues piperis magne in eo portu singulis
annis deferri sine aliis nauibus portantibus allia aromata. Patria illa est populatissima, ditissima, multitudine
prouinciarum et regnorum et ciuitatum sine numero, sub uno principe, qui dicitur Magnus Kan, quod nomen
significat in Latino “rex regum”, cuius sedes et residencia est ut plurimum in prouincia Katay. Antiqui sui
desiderabant consorcium Christianorum: iam sunt 200 anni miscerunt ad Papam et postulabant plurimos dotos
in fide ut illuminarentur; sed qui missi sunt inpediti in itinere redierunt; etiam tempore Eugenii uenit unus ad
Eugenium qui de beniuolentia magna erga Christianos afirmabat; et ego secum longo sermone locutus sum de
multis: de magnitudine edifìciorum regalium et de magnitudine fluminum in latitudine et longitudine mirabili
et de multitudine ciuitatum in ripis fluminum, ut in uno flumine 200e ciuitates sint constitute et pontes marmorei
magne latitudinis et longitudinis undique colonpnis ornati. Hec patria digna est ut per Latinos queratur, non
solum quia lucra ingencia ex ea capi possunt auri, argenti, gemarum omnis generis et aromatum que numquam
ad nos deferuntur, uerum <etiam > propter doctos uiros philosofos et astrologos peritos, et quibus ingeniis et
artibus i<s>ta potens et magnifica prouincia guberne[n]tur ac etiam bella conducant. Hec pro aliquantula
satisfeci ad suam peticionem, quantum breuitas temporis dedit et occupaciones mee concepscerunt, paratus in
111
Gianfranco Ribaldone
futurum Regie Maiestati quantum uolet latius satisfacere. Data Florentie 25 iunii 1474. A ciuitate Vlixbonis per
occidentem in directo sunt 26 spacia in carta signata, quorum quolibet habet miliaria 250, usque ad
nobilissimam et maximam ciuitatem Quinsay; circuit enim centum miliaria et habet pontes decem <milia> et
nomen eius sonat “cita del cielo” ciuitas celi; et multa miranda de ea narrantur de multitudine artific[i]um et
de redditibus. Hoc spacium est fere tercia pars tocius spere. Que ciuitas est in prouincia Mangi, scilicet uicina
prouincie Katay, in qua residencia terre regia est. Sed ab insula Antilia uobis nota ad insulam nobilisimam
Çippangu sunt decem spacia; est enim illa insula fertilissima auro, margaritis et gemis, et auro solido
cooperiunt tenpla et domos regias, ita quod per ygnota itinera non magna maris spacia transeundum. Multa
fortasse essent apertius declaranda, sed diligens considerator per hec poterit ex se ipso reliqua prospicere.
Vale, dilectissime.
Fernando Martins, canonico di Lisbona, Paolo fisico saluta. Mi compiaccio di sapere della tua buona salute e
della grazia e familiarità con il vostro Re, principe nobilissimo e magnifico. In altre occasioni ho parlato con
te della via ai luoghi delle spezie per navigazione marittima, via più breve di quella che fate attraverso la Guinea;
ora mi chiede il Serenissimo Re una dichiarazione, o per meglio dire, una dimostrazione visiva, affinché anche
i mezzi dotti prendano e comprendano quella via. Pertanto io, quantunque sappia che si può mostrare con una
rappresentazione sferica, così come è il mondo, tuttavia, per facilitare la comprensione e anche per alleviare la
fatica di mostrare quella via, mi decisi a renderlo evidente nel modo con cui si fanno le mappe nautiche. Pertanto,
invio a Sua Maestà una carta fatta di mio pugno in cui si marcano la vostra costa e le isole da cui dovete
cominciare il viaggio sempre verso ponente, e i luoghi ai quali dovete giungere e quale distanza dovete tenere
dal polo e dalla linea equinoziale e a quanto spazio, cioè in quante miglia, dovete arrivare ai luoghi fertilissimi
in spezie di ogni tipo e pietre preziose. E non meravigliatevi se qualifico come occidentale la regione dove si
trovano le spezie, quando comunemente la si definisce orientale, giacché per i marinai quella regione si trova
sempre a occidente navigando per gli antipodi: se andassero via terra o per le vie dell’emisfero superiore,
sarebbe sempre a oriente. Pertanto, le linee rette marcate lungo la carta indicano le distanze da oriente a
occidente, mentre quelle trasversali indicano gli spazi dal mezzogiorno al settentrione. Ho annotato anche sulla
carta diversi luoghi a cui potete arrivare per maggior conoscenza degli abitanti; per questo, affinché, se si desse
il caso che per venti o altre circostanze contrarie arrivino in altro luogo da quello che pensavano, possano
mostrare agli abitanti che hanno qualche nozione della loro terra, cosa che farà loro gran piacere. Sapete come
non si incontrino nelle isole altro che mercanti, e c’è lì tanto grande moltitudine di marinai con le loro mercanzie,
che in tutto il resto del mondo non ce ne sono tanti come in un porto nobilissimo chiamato Zaiton, che si dice
vadano tutti gli anni a quel porto cento navi grandi di pepe, senza contare le altre imbarcazioni che trasportano
altre spezie. Quella terra è molto popolata e ricchissima, con una moltitudine di province, regni e città senza
fine, sotto il potere di un solo principe che si chiama Magnus Kan, nome che significa in latino “re dei re”, la
cui sede e residenza, di solito, è nella provincia di Katay. I suoi antenati desideravano l’amicizia con i cristiani,
e ormai 200 anni fa inviarono un’ambasciata al Papa per chiedere di inviar loro molti sapienti per illuminarli
nel cammino della fede; ma gli ambasciatori, non potendo proseguire il loro viaggio, fecero ritorno. Anche
all’epoca di Eugenio venne un uomo a Eugenio che affermava la loro gran benevolenza verso i cristiani. E io
ho parlato a lungo con lui a proposito di molte cose: la grandezza degli edifici reali, l’ampiezza ammirevole dei
fiumi, tanto in larghezza come in lunghezza, e la moltitudine delle città insediate sulla sponda dei fiumi, di
modo che sulla riva di uno solo di questi si innalzano 200 città, con ponti di marmo di enorme ampiezza e
lunghezza, adorni da una sponda all’altra di colonne. Questa terra merita che i Latini la cerchino, non solo
perché possono ottenere da essa immensi guadagni in oro, argento, gemme di ogni tipo e spezie come mai
giunsero fino a noi, ma anche per i dotti filosofi e i consumati astrologi, attraverso il cui sapere e le cui arti si
governa questa potente e magnifica terra e si conduce perfino la guerra. Per il poco che ho potuto, ho tentato
di soddisfare la Sua richiesta, disposto, nella misura in cui lo permettano la brevità del tempo e lo consentano
le mie occupazioni, nel dare soddisfazione in futuro con ulteriori particolari alla Maestà Reale in quanto più
desideri. In Firenze, 25 giugno 1474.
Sulla carta sono marcati dalla città di Lisbona a ponente in linea retta 26 spazi, ciascuno dei quali comprende
250 miglia, fino alla nobilissima e potentissima città di Quinsay, che ha un perimetro di cento miglia e ha
diecimila ponti e il suo nome vuol dire “città del cielo” e si raccontano di essa molte meraviglie sulla moltitudine
di artigiani e sui loro guadagni. Questo spazio è quasi la terza parte di tutta la sfera terrestre. Quella città si trova
nella provincia di Mango, confinante con la provincia del Katay, in cui si trova la residenza del re. Ma dall’isola
Antilla, che conoscete, fino alla nobilissima isola del Cippangu ci sono dieci spazi; questa isola è molto
abbondante in oro, perle e gemme, e ricoprono con oro puro i templi e i palazzi del re, in modo che non è
112
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
necessario attraversare un grande tratto di mare per rotte sconosciute. Forse bisognerebbe spiegare con più
chiarezza molte cose; ma chi esamini tutto ciò con accuratezza, potrà con ciò dedurre il resto da solo. Stai bene,
carissimo.
Copia autografa di Colombo, trascritta sul foglio di guardia della Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini;
BIBLIOTECA COLOMBINA DI SIVIGLIA, n. 3123 del Registro di Don Fernando, f. 3v, Racc. 854.
Edizione: VARELA PARTICULARES, pp. 134-137. Traduzione: NUOVO MONDO, pp. 595-597.
Nota: Leggi nota al doc. 46.
Ammesso (ma non da tutti gli studiosi concesso) che i documenti siano tutti autentici, la sequenza della
corrispondenza “portoghese” di Toscanelli dovrebbe così configurarsi:
1) il re di Portogallo, tramite una lettera di Fernando Martins, canonico di Lisbona, domanda al fisico fiorentino
Paolo dal Pozzo Toscanelli ragguagli sul cammino per via di mare di qua alle Indie;
2) il 25 giugno 1474 Toscanelli invia una lettera di risposta a Fernando Martins;
3) in un anno compreso tra il 1479 (fine della guerra di Castiglia) e il 1482 (morte di Toscanelli) Colombo
scrive una prima lettera al fisico fiorentino;
4) Toscanelli risponde (doc. 26, che è la testimonianza fernandina, nella versione italiana di Ulloa; ma esiste
anche la testimonianza delascasiana) allegando l’epistola a Martins;
5) Colombo gli indirizza una seconda lettera;
6) Toscanelli gli risponde (doc. 28, che è la testimonianza fernandina, nella versione italiana di Ulloa; ma esiste
anche la testimonianza delascasiana );
7) Colombo trascrive la lettera di Toscanelli a Martins sul foglio di guardia della Historia rerum di Enea Sivio
Piccolomini (è il presente doc. 48).
Per un quadro problematico: VARELA PARTICULARES, pp. 129-141.
doc. 49
(15?? —› 1484)
1484 (2ª metà), corte portoghese. Analisi di testimonianze su avvistamenti di galleggianti e isole
La terza e ultima cagione che mosse lo Ammiraglio allo scoprimento delle Indie fu la speranza che egli aveva
di poter trovar prima che arrivasse a quelle alcuna isola o terra di grande utilità, dalla quale potesse poi
seguire il suo principale intento. Confermava cotal sua speranza l’auttorità di molti uomini savii e filosofi, i
quali avevano per cosa certa la maggior parte di quella sfera d’acqua e di terra esser secca, cioè esser maggior
lo spazio e la superficie della terra che dell’acqua. Il che essendo così, argomentava che dal fine della Spagna
insino a’ termini dell’India allor conosciuti ci fossero molte isole e terre, come poi la esperienza ne ha
dimostrato. A che prestava più facilmente credenza, spinto da molte favole e novelle ch’ei sentìa narrare a
diverse persone e marinari i quali traficavano l’isole e i mari occidentali de gli Astori e della Madera. I quali
indicii, percioché facevano alquanto a suo proposito, non lasciava egli di metterlisi in memoria. Però io non
lascerò di riferirli, per sodisfare a coloro che si dilettano di simiglianti curiosità.
Là onde fa mistier che si sappia che un piloto del re di Portogallo, chiamato Martin Vincenzo, gli disse che
ritrovandosi egli una volta quattrocento e cinquanta leghe verso Ponente dal Capo di San Vincenzo, trovò e
pigliò in mare un pezzo di legname ingegnosamente lavorato, ma non con ferro; dalla qual cosa e dall’aver per
molti dì soffiato venti da Ponente conobbe che detto legno veniva da alcune isole ch’ivi verso l’Occidente
fossero. E appresso un Pietro Correa, maritato con una sorella della moglie dello stesso Ammiraglio, gli disse,
nell’isola di Porto Santo aver veduto un altro legno venutovi con gli stessi venti, ben lavorato come il
sopradetto; e che medesimamente v’erano recate canne così grosse che dall’un nodo all’altro contenevano
nove caraffe di vino. Il che dice che affermava eziandio lo stesso re di Portogallo, ragionando con lui di queste
cose, e che gli furono mostrate; e non essendo luoghi nelle nostre parti dove nascono cotai canne, aver per certo
che i venti le avevano portate da alcune isole vicine, o almeno dall’India, percioché Tolomeo nel primo libro
della sua Cosmografia, al capitolo XVII, dice che nelle parti orientali delle Indie sono di queste canne. E
medesimamente alcuni delle isole degli Astori gli dicevano che soffiando molto tempo i Ponenti, il mar gittava
alcuni pini in quelle isole, specialmente nella Graziosa e nel Fagial, ove si sa che non sono, né in tutte quelle
parti, di così fatti arbori; e che altresì nell’isola de’ Fiori, la quale è una delle isole degli Astori, il mare gittò
al lito duo corpi d’uomini morti, di faccia molto larga e di aspetto diverso da’ cristiani; e nel capo della Verga
e per quel paese dicesi che furono vedute una volta alcune almadie, o barche con capanne, le quali credesi che
traversando elle da un’isola all’altra fossero dalla forza de i tempi distolte dal loro camino. Né solamente
allora vi erano così fatti indicii, i quali appareano ragionevoli in alcun modo, ma non mancava appresso chi
113
Gianfranco Ribaldone
gli dicesse aver vedute alcune isole; tra’ i quali fu uno Antonio Leme, maritato nell’isola della Madera, il quale
gli disse che avendo una fiata corso con una sua caravella buon pezzo verso Ponente, aveva veduto tre isole.
A costoro egli non dava fede, percioché dalle sue parole e relazioni conosceva che non aveano ancor navigato
per cento leghe verso Ponente e che erano stati ingannati da certi scogli, credendo che fossero isole; o che per
avventura erano di quelle cuore che van sopra l’acqua, dette da’ marinari aguade, delle quali anco Plinio fa
menzione al capitolo XCVII del II libro della Naturale sua Istoria, dicendo che nelle parti settentrionali il mare
scopriva alcune terre nelle quali sono arbori di molto grosse radici, le quai terre son portate insieme co’
tronconi quasi come zattare o isole sopra l’acqua. Delle quali isole così fatte volendo Seneca render la ragion
naturale, dice nel terzo libro de’ Naturali esserci proprietà di pietre tanto spugnose e leggere, che le isole che
di quelle nell’India si fanno vanno sopra l’acqua nuotando. Di modo che, quantunque fosse vero che detto
Antonio Leme avesse veduto alcuna isola, pareva all’Ammiraglio che non poteva essere altra che alcuna delle
sopradette, come si presume che fossero quelle che si dicono di San Brandan, dove si racconta essere state
vedute molte maraviglie.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. IX, pp. 47-49.
Nota: la testimonianza fernandina, attinta da un promemoria di Cristoforo, mostra che il futuro Ammiraglio del
mare Oceano sceverava le voci tese a dimostrare l’esistenza di terre nel lontano Ponente, distinguendo gli indizi
concreti, come i reperti portati dai venti occidentali, dalle illusioni ottiche di marinai inesperti.
doc. 50
(15?? —› 1484)
1484 (2ª metà), corte portoghese. Analisi di testimonianze su avvistamenti di isole
Dize el Almirante que juravan muchos hombres honrados españoles que en la Gomera estavan con doña Ines
Peraça, madre de Guillén Peraça que después fue el primer conde de la Gomera, que eran vezinos de la isla
del Hierro, que cada año vían tierra al Vueste de las Canarias, que es al Poniente, y otros de la Gomera
afirmavan otro tanto con juramento. Dize aquí el Almirante que se acuerda qu’estando en Portogal el año de
1484 vino uno de la isla de la Madera al Rey a le pedir una caravela para ir a esta tierra que vía, el qual
jurava que cada año la vía y siempre de una manera. Y también dize que se acuerda que lo mismo dezían en
las islas de los Açores y todos estos en una derrota y en una manera de señal y en una grandeza.
Dice l’Ammiraglio che molti spagnoli, uomini dabbene e fededegni, che vivevano nell’isola del Ferro e si
trovavano alla Gomera con Doña Inés Peraça, madre di Guillén Peraça che divenne in seguito primo conte della
Gomera, giuravano che ogni anno vedevano terra a ovest delle Canarie, in direzione di ponente, e altri della
Gomera affermavano lo stesso sotto giuramento. Dice qui l’Ammiraglio di rammentare che, trovandosi egli in
Portogallo l’anno 1484, venne al re uno dall’isola Madeira a chiedergli una caravella per veleggiare a questa terra
che vedeva, il quale giurava vederla ogni anno e sempre nella stessa guisa. E dice pure di ricordare che lo stesso
raccontavano nelle isole Azzorre e tutti erano di un unico avviso in quanto alla rotta, alla forma e alle dimensioni.
Sunto di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Cristoforo Colombo, annotazione del 9 agosto
1492; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms. bacheca 6-7.
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, p. 14. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, pp. 13-14.
Nota: leggi doc. 49 e relativa nota.
doc. 51
(post 1485 —› Lisbona 1485)
1485 (1ª metà), corte portoghese. Relazione del fisicus Giuseppe sulla misura del grado
<Rex> Portugalie misit in Guinea anno Domini 1485 magister Ihosepius, fixicus eius et astrologus, <ad
comperien>dum altitudinem solis in totta Guinea. Qui omnia adinpleuit et renunciauit dito serenissimo regi,
me presente, quod (...) is in die XI Marcii inuenit se distare ad equinoxiali gradus V minute in insula uocata
“de los Ydolos”, que est prope <ser>ra Lioa; et hoc cum maxima diligentia procurauit. Postea uero sepe ditus
serenissimus rex misit in Guinea in alliis locis postea (...) et semper inuenit concordari com ipso magistro
Iosepio; quare sertum habeo esse castrum Mine sub linea equinoxiali.
Il re di Portogallo inviò in Guinea, nell’anno del Signore 1485, il maestro Giuseppe, suo fisico e astrologo, per
misurare l’altezza del sole in tutta la detta Guinea. Questi fece tutto ciò che gli era stato assegnato, e ne diede
conto al detto serenissimo re, quando io mi trovavo presente, che (...) il giorno 11 di marzo trovò che distava
dall’equinoziale 5 gradi e minuti, nell’isola chiamata degli Idoli, che si trova vicino alla Sierra Leona. E tutto
venne adempiuto con la massima diligenza. Quindi il menzionato serenissimo re inviò ad altri luoghi della detta
114
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
Guinea (...) e sempre trovò concordare con il maestro Giuseppe. Per le quali ragioni, sono persuaso trovarsi la
fortezza della Mina sotto la linea equinoziale.
Autografa postilla annotata nella Historia rerum ubique gestarum di Enea Silvio Piccolomini; BIBLIOTECA
COLOMBINA DI SIVIGLIA, n. 3123 del Registro di Don Fernando, f. V, Racc. 860.
Edizione: VARELA SCRITTI, doc. I, 6, p. 5. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. I, 6, p. 5.
Nota: almeno fino a marzo-aprile 1485 Cristoforo è dunque ancora in Portogallo e in particolare (e ne diede
conto al detto serenissimo re, quando io mi trovavo presente) alla corte del re.
doc. 52
(1552 —› 1485)
1485 (1ª metà), corte portoghese. Risposta negativa della commissione di saggi
El-Rei, porque via ser êste Cristóvão Colom homem falador e glorioso em mostrar suas habilidades, e mais
fantástico e de imaginações com sua Ilha Cipango, que certo no quedizia, dava-lhe pouco crédito. Contudo, a
fõrça de suas importunações, mandou que estivesse com Dom Diogo Ortiz, Bispo de Ceita, e com Mestre
Rodrigo e Mestre Josepe, a quem êle cometia estas cousas da cosmografia e seus descobrimentos, e todos
houveram por vaidade as palavras de Cristóvão Colom, por tudo ser fundado em imaginações e cousas da
Ilha Cipango, de Marco Paulo.
Il re, vedendo questo Cristovão Colom essere un gran parlatore, e molto vanaglorioso nel vantare i suoi meriti,
e assai più pieno di fantasia e di immaginazione a riguardo di questa sua Isola Cipango che certo di quanto
asseriva, gli prestò scarsa fede. Tuttavia, a cagione del suo incessante insistere, il re lo fece conferire con Diogo
Ortiz, vescovo di Ceuta, e con maestro Rodrigo e maestro José, cui aveva affidato siffatte questioni di
cosmografia e di scoperta; ed essi tutti considerarono le parole di Cristovão Colom come vane, semplicemente
fondate sull’immaginazione, come quella tale Isola Cipango di Marco Polo.
Edizione: DE BARROS, dec. I, lib. III, cap. XI, p. 120. Traduzione: MORISON, p. 75.
Nota: è la prima rottura di Colombo con Giovanni II, anche se non cancella la reciproca stima (leggi docc. 78
e 79); la seconda verrà provocata non dalla decisione di una giunta, ma dagli eventi stessi, la scoperta portoghese
di una via per circumnavigare l’Africa e raggiungere così l’Oriente per la via d’Oriente (docc. 86 e 87).
doc. 53
(1501 —› 1485)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, ambasciata del divino progetto
A este mi deseo fallé a Nuestro Señor muy propicio y ove d’El para ello espírito de inteligençia. En la marineria
me fiso abondoso, de astrología me dio lo que abastava y ansí de geometría y arismética y engenio en el ánima
y manos para debusar espera y en ellas las cibdades, ríos y montañas, islas y puertos, todo en su propio sitio.
En este tiempo he yo visto y puesto estudio en ver de todas escrituras cosmografía, istorias, corónicas y filosofía
y de otras artes, a que me abrió Nuestro Señor el entendimiento con mano palpable a que era hasedero navegar
de aquí a las Indias, y me abrió la voluntad para la hexecuçión d’ello. Y con este fuego vine a Vuestras Altezas.
A questa mia inclinazione si mostrò Nostro Signore assai propizio; e così ebbi da Lui spirito d’intelligenza. Di
marineria mi fece esperto, in materia di astrologia mi dotò di quanto bastava, e così di geometria e di aritmetica,
l’animo mi diede ingegnoso, e perizia di mano per disegnar la sfera con le città, i fiumi, i monti, le isole e i porti,
e tutto al suo posto.
In quel tempo, ho visto e mi sono studiato di compulsare tutti i libri di cosmografia, di storia, le cronache, i libri
di filosofia e di altre arti, alle quali Nostro Signore mi aprì l’intelletto con mano palpabile, per darmi a intendere
ch’era possibile navigare di qui alle Indie, e mi provvide di volontà per mandare a esecuzione il mio progetto.
E con questo fuoco venni alle Vostre Altezze.
Copia di Bartolomé de Las Casas da una lettera che Colombo scrisse ai re (Bartolomé de Las Casas accompagnò
la trascrizione di alcuni frammenti di tale lettera, tra cui il nostro estratto, con una chiosa che, tradotta, suona
così: “Queste sono parole dell’Ammiraglio, il quale scrisse ai Re nell’anno 1501, credo dalla città di Cadice o
Siviglia. Allegò a questa lettera una certa figura o sfera”); BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms Res. 21, f. 7r.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 210. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XLV, pp. 289-290.
Nota: il senso di una sacra missione (leggi anche doc. 1), fiamma che brucia nell’animo suo di cavaliere
medievale, lo porta a reclamare un contatto con le Altezze di Castiglia e d’Aragona (leggi anche docc. 54-56).
Per la residenza della Corte a Cordova, dal 18 marzo al 3 settembre, e del solo Consiglio fino al 6 ottobre:
MANZANO SETTE ANNI, pp. 28-30.
115
Gianfranco Ribaldone
La sequenza “Ambasciata del divino progetto” (docc. 53-56) – “Contrasti” (docc. 57-61) – “Aiuti” (docc. 62-
64 e 67-69) non deve essere intesa in senso strettamente cronologico. Infatti il soccorso offerto da frate Antonio
de Marchena (che Colombo probabilmente conobbe al convento de La Rábida) e da frate Diego de Deza non
solo aiuta Colombo a far fronte ai contrasti e alle burle, ma, prima ancora, gli permette di avvicinare l’ambiente
della corte reale e di proporre il progetto. Ricordo inoltre che l’ufficiale ingresso in Corte avverrà solo il 20
gennaio 1486 (doc. 65).
doc. 54
(1500 —› Spagna 1485-1492; impegno per l’impresa: inizio 1492-fine 1500)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, ambasciata del divino progetto
Yo vine con amor tan entrañable a servir a estos Príncipes, y e servido de servicio de que jamás se oyó ni vido.
Del nuevo cielo y tierra que dezía Nuestro Señor por Sant Juan en el Apocalipsi, después de dicho por boca de
Isaías, me hizo mensajero y amostró aquella parte. En todos ovo incredulidad, y a la Reina, mi Señora, dio
d’ello el espíritu de intelligençia y esfuerço grande y lo hizo de todo heredera, como a cara y muy amada hija.
La possessión de todo esto fue yo a tomar en su real nombre. (…).
Siete años me passaron en la plática y nueve executando cosas señaladas y dignas de memoria se passaron en
este tiempo; de todo no se fizo concepto.
Io venni con amore infinitamente profondo a servire questi Principi, e li ho serviti di servigi tali quali mai si
udì né si vide. Del nuovo cielo e della nuova terra che Nostro Signore annunciò per mano di San Giovanni
nell’Apocalisse, e prima disse per bocca di Isaia, mi fece messaggero, indicandomene il cammino. In tutti trovai
incredulità e alla Regina, mia Signora, Egli diede spirito d’intelligenza e grande ardire e la scelse quale erede
d’ogni cosa, come la più cara e amatissima tra le sue figlie. E io fui chiamato a prender possesso di tutto nel
suo reale nome.(...). Sette anni se ne andarono via in discussioni: per nove mandai a esecuzione cose
segnalatissime e degne di memoria, quali accaddero in questo nostro tempo. Ma fu tutto inutile.
Copia di Bartolomé de Las Casas dalla lettera che Colombo scrisse, probabilmente nel mese di ottobre o di
novembre o all’inizio di dicembre del 1500, a Doña Juana de la Torre, nutrice del Principe Don Juan, in un
momento di grandissima frustrazione, dopo le catene del Bobadilla e prima che i sovrani dessero il 12 dicembre
(MORISON; p. 584) l’ordine di rilasciarlo e lo convocassero a Corte; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms
Res. 21, ff. 490v sgg.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 184. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XLI, pp. 274-275.
Nota: leggi nota al doc. 53.
doc. 55
(1500 —› Spagna 1485 ?)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, ambasciata del divino progetto
Digo que el dicho Almirante descobrió y ganó a Sus Altezas las islas y tierra firme que son allende la línea
sobredicha en la mar Océano, y las han habido por su mano e industria y son señores d’ellas, de las quales
non lo eran antes, porque en su mano estaba del dicho Almirante, después de Dios Nuestro Señor, de las dar
a qualquier Príncipe con quien él se concertase.
Dico che il detto Ammiraglio scoprì e conquistò per le loro Altezze le isole e terra ferma che si trovano al di là
della sopra detta linea nel mare Oceano, e che le dette isole le hanno avute dalla sua mano e dal suo ingegno e
ne sono signori, e prima non lo erano, poiché tutto stava nelle mani del detto Ammiraglio, dopo che in quelle
di Dio Nostro Signore, ed egli avrebbe potuto darle a qualsiasi principe con cui si fosse accordato.
Autografo memoriale scritto probabilmente nel mese di novembre o all’inizio di dicembre dell’anno 1500,
in un momento di grandissima frustrazione, dopo le catene del Bobadilla e prima che i sovrani dessero il
12 dicembre (MORISON; p. 584) l’ordine di rilasciarlo e lo convocassero a Corte; ARCHIVO DE LA CASA DE
ALBA DI MADRID, Autografi.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 246. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LV, p. 313.
Nota: leggi nota al doc. 53.
doc. 56
(1498 —› Spagna 1485-1491/1492)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, ambasciata del divino progetto
Sereníssimos e muy altos e muy poderosos Príncipes Rey e Reina, Nuestros Señores:
La sancta Trinidad movió a Vuestras Altezas a esta empresa de las Indias y por su infinita bondad hizo a mí
mensajero d’ello, † al qual vine con el embaxada a su real conspetu movido como a los más altos Prínçipes de
116
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
cristianos y que tanto se exerçitavan en la fe y acreçentamiento d’ella. Las personas que entendieron en ello
lo tuvieron por impossible, y el caudal hazían sobre bienes de fortuna, y allí echaron el clavo. Puse en esto seis
o siete años de grave pena, amostrando, lo mejor que yo sabía, quánto servicio se podía hazer a Nuestro Señor
en esto, en divulgar su sancto nombre y fe a tantos pueblos, lo cual todo era cosa de tanta exçelençia y buena
fama y gran memoria para grandes Prínçipes.
Serenissimi, altissimi e potentissimi Principi, Re e Regina, Nostri Signori:
La Santa Trinità indusse le Vostre Altezze a questa impresa delle Indie e per la sua infinita bontà mi elesse per
annunziarvela, † per tal modo venni quale ambasciatore al vostro reale cospetto, come innanzi ai più alti Principi
della Cristianità, solleciti come nessuno nelle cose della fede e del suo incremento. Coloro che prestarono
orecchio al mio proposito lo tennero per impossibile, ché ogni loro speranza riponevano sui beni temporali e
solo a essi con ostinazione attendevano. Sei o sette anni spesi in gravissime angustie, durante i quali m’industriai
a mostrare, come meglio potevo, quanto vantaggio potesse ridondare da ciò al servizio di Nostro Signore,
divulgando il suo santo nome e la fede tra tanti popoli; impresa tanto eccellente in sé e tale da assicurare buona
memoria e imperitura fama ai maggiori Principi del mondo.
Copia di Bartolomé de Las Casas di una lettera che, scritta poco dopo l’arrivo a Santo Domingo (31 agosto
1498), Colombo inviò ai re il 18 ottobre dello stesso anno, con allegato un “disegno” (cfr. Las Casas, I, 154);
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms Bac. 6, n. 7, ff. 67v sgg.
Edizione: COLOMBO RELAZIONI, t. I, p. 60. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XXIV, p. 207.
Nota: leggi nota al doc. 53.
doc. 57
(1501 —› Spagna 1485-1492)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, contrasti
Milagro ebidentísimo quiso faser Nuestro Señor en esto del viaje de las lndias por me consolar a mí y a otros
en estotro de la Casa Santa: siete años pasé aquí en su Real Corte disputando el caso con tantas presonas de
tanta abtoridad y sabios en todas artes, y en fin concluyeron que todo hera vano, y se desistieron con esto
d’ello; después paró en lo que Jhesucristo Nuestro Redentor diso, y de antes avía dicho por boca de sus Santos
Profetas. Y así se debe de creher que parerá estotro, y en fee d’ello, si lo dicho no abasta, doy el sacro
Ebangelio, en que dixo que todo pasaría, mas no su palabra maravillosa; y con esto diso que todo hera
nesçesario que se acabase quanto por él y por los Profetas estava escrito.
Miracolo evidentissimo volle operare Nostro Signore con questo mio viaggio alle Indie, al fine di animare me,
e altri dopo di me, a quest’altra magnanima impresa della Casa Santa: sette anni passai qui nella vostra Real
Corte, discutendo del caso con tante persone di molta autorità, esperte in tutte le arti, le quali convennero infine
che tutto era vano, e per questa ragione desistettero; dopo si vide ciò che Gesù Cristo Nostro Redentore disse,
e ancor prima aveva detto per bocca dei suoi Santi Profeti. Per tal modo ha da credersi che presteranno fede a
quest’altra cosa; e in fede di ciò, se quanto detto non basti, allego il sacro Evangelo, nel passo in cui sta scritto
che ogni cosa avrà da passare, ma non la sua mirabil parola; per la qual cosa io dico che era necessario si
compisse quanto in esso stava annunciato e nei Suoi Profeti.
Copia di Bartolomé de Las Casas da una lettera che Colombo scrisse ai re (Bartolomé de Las Casas accompagnò
la trascrizione di alcuni frammenti di tale lettera, tra cui il nostro estratto, con una chiosa che, tradotta, suona
così: “Queste sono parole dell’Ammiraglio, il quale scrisse ai Re nell’anno 1501, credo dalla città di Cadice o
Siviglia. Allegò a questa lettera una certa figura o sfera”); BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms Res. 21, f. 7r.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 212. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XLV, p. 290.
Nota: leggi nota al doc. 53.
doc. 58
(1503 —› Spagna 1485-1492)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, contrasti
Siete años estuve yo en su Real Corte, que a quantos se fabló de esta empresa todos a una dixeron que era burla.
Sette anni stetti presso la Vostra Real Corte, che a quanti si diceva di questa impresa, tanti rispondevano ad una
voce trattarsi di cosa da burla.
Copia della relazione del quarto viaggio scritta nell’isola di Giamaica il 7 luglio 1503; BIBLIOTECA
UNIVERSITARIA DI SALAMANCA, Ms. 2327, ff. 14-26.
Edizione: COLOMBO RELAZIONI, t. I, p. 156. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXVI, p. 347.
Nota: leggi nota al doc. 53.
117
Gianfranco Ribaldone
doc. 59
(1500 —› Spagna 1485-1492; impegno per l’impresa: inizio 1492-fine 1500)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, contrasti
Yo vine con amor tan entrañable a servir a estos Príncipes, y e servido de servicio de que jamás se oyó ni vido.
(…).
Siete años me passaron en la plática y nueve executando cosas señaladas y dignas de memoria se passaron en
este tiempo; de todo no se fizo concepto.
Io venni con amore infinitamente profondo a servire questi Principi, e li ho serviti di servigi tali quali mai si
udì né si vide. (…).
Sette anni se ne andarono via in discussioni: per nove mandai a esecuzione cose segnalatissime e degne di
memoria, quali accaddero in questo nostro tempo. Ma fu tutto inutile.
Copia di Bartolomé de Las Casas dalla lettera che Colombo scrisse, probabilmente nel mese di ottobre o di
novembre o all’inizio di dicembre del 1500, a Doña Juana de la Torre, nutrice del Principe Don Juan, in un
momento di grandissima frustrazione, dopo le catene del Bobadilla e prima che i sovrani dessero il 12 dicembre
(MORISON; p. 584) l’ordine di rilasciarlo e lo convocassero a Corte; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms
Res. 21, ff. 490v sgg.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 184. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XLI, pp. 274-275.
Nota: leggi nota al doc. 53.
doc. 60
(1498 —› Spagna 1485-1492)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, contrasti
Ya saben Vuestras Altezas que anduve siete años en su corte importunándoles por esto. Nunca en todo este
tiempo se halló piloto ni marinero ni philósopho ni de otra sçiençia que todos no dixessen que mi empresa era
falsa; que nunca yo hallé ayuda de nadie, salvo de fray Antoñio de Marchena, después de aquella de Dios
eterno...
Le Vostre Altezze già sanno che per sette anni mi aggirai per la loro Corte importunandole a questo proposito.
Mai in tutto questo tempo si trovò un pilota, un marinaio, un filosofo o un qualche esperto di qualche altra
scienza che non dicessero che la mia impresa era falsa; e io non ebbi mai aiuto da nessuno, fatta eccezione per
fra’ Antonio de Marchena, oltre e dopo quello di Dio eterno...
Copia di Bartolomé de Las Casas da frammenti di lettere scritte ai sovrani da Colombo e spedite con la flotta
che salpò il 18 ottobre 1498 da Santo Domingo; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms Res. 21, f. 110r.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 116. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XXVI, p. 250.
Nota: leggi nota al doc. 53.
doc. 61
(1498 —› Spagna 1485-1491/1492)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, contrasti
Las personas que entendieron en ello lo tuvieron por impossible, y el caudal hazían sobre bienes de fortuna, y
allí echaron el clavo. Puse en esto seis o siete años de grave pena, amostrando, lo mejor que yo sabía, quánto
servicio se podía hazer a Nuestro Señor en esto, en divulgar su sancto nombre y fe a tantos pueblos, lo cual
todo era cosa de tanta exçelençia y buena fama y gran memoria para grandes Prínçipes.
Coloro che prestarono orecchio al mio proposito lo tennero per impossibile, ché ogni loro speranza riponevano
sui beni temporali e solo a essi con ostinazione attendevano. Sei o sette anni spesi in gravissime angustie,
durante i quali m’industriai a mostrare, come meglio potevo, quanto vantaggio potesse ridondare da ciò al
servizio di Nostro Signore, divulgando il suo santo nome e la fede tra tanti popoli; impresa tanto eccellente in
sé e tale da assicurare buona memoria e imperitura fama ai maggiori Principi del mondo.
Copia di Bartolomé de Las Casas di una lettera che, scritta poco dopo l’arrivo a Santo Domingo (31 agosto
1498), Colombo inviò ai re il 18 ottobre dello stesso anno, con allegato un “disegno” (cfr. Las Casas, I, 154);
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms Bac. 6, n. 7, ff. 67v sgg.
Edizione: COLOMBO RELAZIONI, t. I, p. 60. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XXIV, p. 207.
Nota: leggi nota al doc. 53.
118
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
doc. 62
(1498 —› Spagna 1485-1492)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, aiuti da due frati saldi e fidenti
En fin Vuestras Altezas determinaron qu’esto se pusiese en obra. Aquí mostraron el grande coraçón que siempre
fiçieron en toda cosa grande, porque todos los que avían entendido en ello y oído esta plática todos a una
mano lo tenían a burla, salvo dos frailes que siempre fueron constantes.
Finalmente, le Altezze Vostre disposero vi si mettesse mano. In ciò mostrando quell’alto cuore che sempre
avevano riposto in ogni magnanima impresa, ché quanti erano stati messi a parte della cosa e ne avevano udita
l’esposizione, tutti a una voce l’avevano tenuta per cosa da burla, salvo due frati, i quali s’eran sempre mostrati
saldi e fidenti.
Copia di Bartolomé de Las Casas di una lettera che, scritta poco dopo l’arrivo a Santo Domingo (31 agosto
1498), Colombo inviò ai re il 18 ottobre dello stesso anno, con allegato un “disegno” (cfr. Las Casas, I, 154);
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms Bac. 6, n. 7, ff. 67v sgg.
Edizione: COLOMBO RELAZIONI, t. I, p. 60. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XXIV, pp. 207-208.
Nota: i due frati saldi e fidenti sono Diego de Deza (docc. 63 e 64) e Antonio de Marchena (docc. 67-69).
Un terzo frate offrirà un grande aiuto a Colombo, ma sei anni più tardi: Juan Pérez (docc. 103-108).
doc. 63
(1504 —› Spagna 1485)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, frate Diego de Deza aiuta Colombo
El Señor Obispo de Palençia sienpre desque yo vine a Castilla me ha feboreçido y deseado mi honra.
Il Signor Vescovo di Palençia sempre, dacché venni in Castiglia, mi ha sostenuto, e ha desiderato la mia gloria.
Lettera autografa al figlio Diego, scritta a Siviglia il 21 novembre 1504; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI
SIVIGLIA, Patronato 295, 50.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 334. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXXIII, pp. 354-355.
Nota: leggi docc. 62, 64, 115, 119.
doc. 64
(1505 —› Spagna 1485)
1485 (estate), corte castigliana. A Cordova, nasce amicizia fraterna tra frate Diego de Deza e Colombo
Si el Señor Obispo de Palençia es venido o viene, dile quánto me ha plazido de su prosperidad, y que si yo voy
allá, que he de posar con su merçed aumque él non quera, y que habemos de bolver al primer amor fraterno,
y que non lo puderá negar, porque mi servicio le fará que sea ansí.
Se il signor vescovo di Palençia è arrivato, digli che molto ho gioito della sua prosperità e che, nel caso mi rechi
a Corte, mi fermerò da sua grazia, lo voglia o no, in modo di riannodare l’antico amor fraterno che ci legava;
ed egli non potrà negarsi, che procurerò che i miei servigi lo obblighino a corrispondere.
Lettera autografa al figlio Diego, scritta a Siviglia il 18 gennaio 1505; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI
SIVIGLIA, Patronato 295, 58.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 402. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXXXIV, pp. 374-375.
Nota: Colombo, nella lettera scritta al figlio Diego il 18 gennaio 1505, si riferisce a Diego de Deza, il vescovo
di Palençia per antonomasia, anche se (cfr. VARELA SCRITTI, p. 374; n. 3, dove però Valencia deve essere
corretto in Palençia) da quasi due settimane il nuovo vescovo era Juan Rodríguez de Fonseca.
doc. 65
(1493 —› Spagna 1486)
1486 (20 gennaio), corte castigliana. Alcalá, inizio ufficiale del servizio
“Y an seído causa que la Corona Real de Vuestras Altezas no tenga cient cuentos de renta más de la que tiene
después que yo vine a les servir, que son siete años agora, a veinte días de henero este mismo mes, y más lo
que acreçentado sería de aquí en adelante; mas aquel poderoso Dios remediará todo”.
“Son stati cagione per cui la Corona Reale delle Vostre Altezze non ha incrementato il proprio tesoro di cento
milioni di rendita, più di quanti ne avesse quand’io venni al loro servizio, che saran giusti sette anni il 20 di
questo mese di gennaio, senza contare l’aumento che ci s’attende dal presente in avanti. Ma Dio onnipotente a
tutto saprà porre rimedio”.
Copia di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Colombo, annotazione del 14-1-1493;
BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms bacheca 6-7.
119
Gianfranco Ribaldone
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, p. 248. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, pp. 115-116.
Nota: Cristoforo entrò dunque al servizio dei reali di Spagna il 20 gennaio 1486.
Entrare al servizio significava per Colombo offrir ufficialmente ai sovrani il progetto delle Indie ed esser da loro
ufficialmente ascoltato.
doc. 66
(1494 —› 1486)
1486 (20 gen.), corte castigliana. Ad Alcalá, Colombo rivela il progetto ai sovrani
Parécenos que todo lo que al principio nos dejistes que se podría alcanzar, por la mayor parte todo ha salido
cierto, como si lo hobiérades visto antes que nos lo dijésedes.
Ci sembra che tutto quello che ci avete detto fino dal principio che si sarebbe potuto raggiungere, per la maggior
parte si sia realizzato, come se lo aveste visto prima di dircelo.
Copia di Bartolomeo de Las Casas (Historia de las Indias, lib. I, cap. CIII) di una lettera che i re scrissero a
Colombo il 16 agosto 1494.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 58. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 46.
Nota: che cosa Colombo aveva detto ai sovrani fin dal principio?
Probabilmente Colombo aveva assicurato che a 750 leghe dalle Canarie sarebbe stato trovato il Cipango
(Giappone) e, a 375 leghe dal Cipango, sarebbe stata raggiunta la meta finale, le favolose terre del Catai
governate dal Gran Can (per tale ipotesi sul progetto colombiano e sul contenuto del colloquio con i sovrani,
leggi MANZANO SETTE ANNI, pp. 45-46; 72-81).
doc. 67
(1512 —› 1486)
1486 (fine febbraio), corte castigliana. A Madrid, Colombo fa venire a Corte un frate come testimone
Este testigo, estando en la corte, en Madrid, con el dicho Almirante, al tiempo que negociava con sus Altezas
la venida a descobrir, el dicho Almirante, viendo como los del Consejo e otros muchos le eran contrarios,
dixera a sus Altezas que pues no le creian a él, que él daría persona a quien creyesen, e que entonces llegó un
flayre de la horden de San Francisco, cuyo nombre no sabe, el qual dixo a sus Altezas que hera verdad lo que
aquél Almirante desía (…).
Questo testimone, trovandosi a Corte, a Madrid, con il suddetto Ammiraglio, al tempo in cui questi trattava con
le loro Altezze la futura scoperta, l’Ammiraglio, vedendo che i membri del Consiglio e molti altri gli erano
contrari, disse alle loro Altezze che, dal momento che non credevano in lui, avrebbe presentato egli stesso
qualcuno in cui potessero credere, e che allora venne un frate dell’ordine di San Francesco, del quale egli non
conosce il nome, che disse alle loro Altezze che era pura verità ciò che diceva l’Ammiraglio (…).
Testimonianza resa da Andrés del Corral, nei Pleitos colombiani, alla nona domanda dell’interrogatorio nella
prima Probanza dell’ammiraglio don Diego, che ebbe luogo a Santo Domingo nell’anno 1512; ARCHIVO
GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato, 12, R° 1, f. 18.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 60. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 48.
Nota: il francescano che Colombo fa venire a Corte per vincere le perplessità dei re è l’astrologo Antonio de
Marchena (leggi docc. 68 e 69).
Per il luogo e il tempo dell’episodio: MANZANO SETTE ANNI, pp. 48-49.
doc. 68
(1493 —› 1486)
1486 (fine feb.), corte castigliana. A Madrid, Colombo aiutato a Corte da frate Antonio de Marchena
E platicando acá estas cosas, nos parece que sería bien que llevásedes con vos un buen astrólogo; y nos
paresció que sería bueno para esto fray Antonio de Marchena, porque es un buen estrólogo, y siempre nos
paresció que se conformaba con vuestro parecer (…).
E conversando qui di queste cose, ci sembra che sarebbe bene che portaste con voi un buon astrologo; e ci
sembrò adatto a questo compito fra Antonio de Marchena, perché è un buon astrologo, e sempre ci sembrò che
fosse d’accordo con le vostre opinioni (…).
Lettera d’istruzioni che i re scrissero a Colombo il 5 settembre 1493, prima che partisse per il secondo viaggio.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 63. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 51.
Nota: leggi docc. 67 e 69.
120
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
doc. 69
(1498 —› Spagna 1485-1492)
1486 (fine febbraio), corte castigliana. A Madrid, frate Antonio de Marchena crede nel progetto
Ya saben Vuestras Altezas que anduve siete años en su corte importunándoles por esto. Nunca en todo este tiempo
se halló piloto ni marinero ni philósopho ni de otra sçiençia que todos no dixessen que mi empresa era falsa; que
nunca yo hallé ayuda de nadie, salvo de fray Antoñio de Marchena, después de aquella de Dios eterno...
Le Vostre Altezze già sanno che per sette anni mi aggirai per la loro Corte importunandole a questo proposito.
Mai in tutto questo tempo si trovò un pilota, un marinaio, un filosofo o un qualche esperto di qualche altra
scienza che non dicessero che la mia impresa era falsa; e io non ebbi mai aiuto da nessuno, fatta eccezione per
fra’ Antonio de Marchena, oltre e dopo quello di Dio eterno...
Copia di Bartolomé de Las Casas da frammenti di lettere scritte ai sovrani da Colombo e spedite con la flotta
che salpò il 18 ottobre 1498 da Santo Domingo; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms Res. 21, f. 110r.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 116. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XXVI, p. 250.
Nota: leggi docc. 67 e 68.
L’aiuto a cui Colombo si riferisce è, per così dire, una solidarietà di natura scientifica, una consonanza tra
Cristoforo e il frate astrologo de Marchena nella visione del mondo.
doc. 70
(15?? —› 1486)
1486 (fine febbraio), corte castigliana. A Madrid, al priore del Prado il compito di eleggere una giunta
Ma percioché la cosa dovea trattarsi più con fondamento di dottrina che con parole o favori, le Altezze Loro
la commisero al prior di Prado, che poi fu arcivescovo di Granata, commandandogli che insieme con gli
intendenti della Cosmografia s’informassero di ciò a pieno, e poi gli riferissero quel che sentissero.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. XII, pp. 64-65.
Nota: il priore del Prado è padre Hernando de Talavera, direttore spirituale della regina Isabella e personaggio
stimatissimo e influentissimo a Corte (cfr. MANZANO SETTE ANNI, pp. 54-56).
doc. 71
(1515 —› 1486-1487)
1486 (nov. ?)-1487 (gen. ?), corte castigliana. A Salamanca (?), la giunta disputa con Colombo
A la otava pregunta dixo que lo que de esta pregunta sabe es que este testigo con el Prior de Prado que a la
sazón hera, que después fue arçobispo de Granada, e con otros sabios e letrados e marineros platycaron con
el dicho Almirante sobre su hida a las dichas yslas, e (...) todos ellos concordavan que era ynposyble ser verdad
lo que el dicho Almirante desya.
All’ottava domanda rispose che ciò che egli sa a proposito di questa domanda è che questo testimone, con il
Priore del Prado d’allora, che poi fu arcivescovo di Granada, e con altri esperti e dotti e marinai discussero con
il detto Ammiraglio sul suo viaggio alle dette isole e (…) tutti essi erano d’accordo sul fatto che era impossibile
che fosse vero ciò che diceva il suddetto Ammiraglio.
Testimonianza resa da Rodrigo Maldonado, membro del Consiglio Reale, nei Pleitos colombiani, su richiesta
di Diego Colombo, nella città di Salamanca il 26 febbraio 1515; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA,
Patronato, 12, R° 4, f. 7.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, pp. 70 e 105. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, pp. 56 e 90.
Nota: dal 7 novembre 1486 al 30 gennaio 1487 la Corte risiede a Salamanca e, come riferisce il cronista Pulgar
nella sua Crónica, profitta dell’occasione per sbrigare tutta una serie di questioni in sospeso; è probabile che
la giunta del priore del Prado in questa circostanza esamini il progetto di Colombo (cfr. MANZANO SETTE
ANNI, pp. 62-65).
doc. 72
(5 maggio 1487)
1487 (5 maggio), corte castigliana. A Cordova, sussidio reale in attesa di udire la decisione
En dicho dia dí á Cristóbal Colomo, extrangero, tres mil maravedis, que está aquí faciendo algunas cosas
complideras al servicio de sus Altezas, por cédula de Alonso de Quintanilla, con mandamiento del Obispo.
In questo giorno ho dato tremila maravedís a Cristoforo Colombo, straniero, che si trova qui trattando cose che
devono essere fatte al servizio delle Loro Altezze, su mandato di Alfonso de Quintanilla, per ordine del Vescovo.
121
Gianfranco Ribaldone
Partita del 5 maggio 1487, contenuta in un libro di conti del tesoriere reale Francisco Gonzáles di Siviglia,
datato anni 1485-1489; ARCHIVO REAL DI SIMANCAS.
Edizione: NAVARRETE, t. II, doc. II, p. 4. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 66.
Nota: la giunta, stando per emettere una sentenza sul progetto, convoca ufficialmente Colombo, trattenendolo
a Corte e pagandogli le spese.
Per il soggiorno della Corte a Cordova: MANZANO SETTE ANNI, pp. 65-66.
doc. 73
(27 agosto 1487 —› 3 luglio 1487)
1487 (3 luglio), corte castigliana. A Cordova, sussidio reale in attesa di udire la decisione
En 27 de dicho mes dí á Cristóbal Colomo cuatro mil maravedis para ir al Real, por mandado de sus Altezas,
por cédula del Obispo.
Son siete mil maravedis con tres mil que se le mandaron dar para ayuda de su costa por otra partida de 3 de
Julio.
Il 27 del detto mese detti a Cristoforo Colombo 4000 maravedís perché andasse al Campo, per ordine delle
Loro Altezze e su decreto del vescovo.
Si tratta di 7000 maravedís con i 3000 che gli si mandarono come sovvenzione per il sostentamento, con un’altra
partita, il 3 di luglio.
Partita del 27 agosto 1487 (dove viene citata una precedente partita del 3 luglio 1487) contenuta in un libro di
conti del tesoriere reale Francisco Gonzáles di Siviglia, datato anni 1485-1489; ARCHIVO REAL DI SIMANCAS.
Edizione: NAVARRETE, t. II, doc. II, p. 4. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 94.
Nota: leggi nota al doc. 72.
doc. 74
(27 agosto 1487)
1487 (27 agosto), corte castigliana. A Cordova, sussidio reale per venire al campo di Malaga
En 27 de dicho mes dí á Cristóbal Colomo cuatro mil maravedis para ir al Real, por mandado de sus Altezas,
por cédula del Obispo.
Il 27 del detto mese detti a Cristoforo Colombo 4000 maravedís perché andasse al Campo, per ordine delle
Loro Altezze e su decreto del vescovo.
Partita del 27 agosto 1487, contenuta in un libro di conti del tesoriere reale Francisco Gonzáles di Siviglia,
datato anni 1485-1489; ARCHIVO REAL DI SIMANCAS.
Edizione: NAVARRETE, t. II, doc. II, p. 4. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 94.
Nota: l’assedio ai Mori della città di Malaga è iniziato il 7 maggio e si è vittoriosamente concluso il 18 agosto
(cfr. MANZANO SETTE ANNI, pp. 66 e 93).
Molto probabilmente i re chiamano Colombo per comunicargli il verdetto sul suo progetto.
doc. 75
(15?? —› 1487)
1487 (settembre), corte castigliana. A Malaga, i re differiscono ogni decisione
Là onde, dopo l’aver consumato molto tempo in questa materia, le loro Altezze risposero all’Ammiraglio
ritrovarsi impediti in molte altre guerre e conquiste, specialmente nella conquista di Granata che allora
facevano, e però non aver la commodità di attendere a nuova impresa, ma che col tempo si sarebbe trovata
maggiore opportunità per essaminare e intender quel ch’egli offeriva. E in fatti i Re non volsero prestare
orecchie alle gran promesse che lor facea lo Ammiraglio.
Edizione: FERNANDO COLOMBO, t. I, cap. XII, p. 66.
Nota: certamente il verdetto della giunta fu sfavorevole a Colombo; ma i re, anche se avessero voluto finanziare
la spedizione verso le Indie, non avrebbero potuto, per le enormi spese richieste dalla guerra di Granada.
doc. 76
(15 ottobre 1487)
1487 (15 ottobre), corte castigliana. A Cordova, ultimo sussidio reale
En dicho dia dí á Cristóbal Colomo cuatro mil maravedis que sus Altezas le mandaron dar para ayuda á su
costa por cédula del Obispo.
122
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
In questo giorno ho dato a Cristoforo Colombo 4000 maravedís che le Loro Altezze gli fecero dare per aiuti di
sostentamento, su decreto del vescovo.
Partita del 15 ottobre 1487, contenuta in un libro di conti del tesoriere reale Francisco Gonzáles di Siviglia,
datato anni 1485-1489; ARCHIVO REAL DI SIMANCAS.
Edizione: NAVARRETE, t. II, doc. II, p. 4. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 97.
Nota: un piccolo, ultimo aiuto per sostentamento.
I re, espugnata Malaga, si trasferiscono a Cordova e qui rimangono dal 20 settembre al 17 ottobre (cfr.
MANZANO SETTE ANNI, p. 96).
doc. 77
(15?? —› Siviglia 1487-1488 ?)
1487-1488 (inizio), Siviglia. Colombo mercante di libri stampati
En el nonbre de Dios todopoderoso: Ovo un honbre de tierra de Milán, mercader de libros de estanpa, que
tratava en esta tierra del Andaluzía, y principalmente en Sevilla, que llamavan Cristóval Colón, onbre de muy
alto engenio sin saber muchas letras, muy astuto en el arte de la cosmografía del repartir del mundo.
Nel nome di Dio Onnipotente; vi fu un uomo della terra di Milano, mercante di libri stampati, che operava in
questa terra di Andalusia e specialmente a Siviglia, che chiamavano Cristoforo Colombo, uomo di molto alto
ingegno, senza essere particolarmente colto, assai esperto però nell’arte della cosmografia e della cartografia
del mondo.
Edizione: BERNALDEZ, cap. CXVIII, p. 60. Traduzione: BERNALDEZ, cap. CXVIII, p. 61.
Nota: in un momento difficile non solo psicologicamente, ma anche economicamente, Colombo si dedica nella
città di Siviglia (ma con ogni probabilità anche a Cordova, dove conosce Beatrice Enriquez, da cui avrà un
figlio; leggi docc. 84 e 85) al commercio di libri stampati; questo è appunto il contesto in cui deve essere
collocata la testimonianza di Bernáldez.
doc. 78
(Siviglia, inverno 1487-1488)
1487-1488 (inizio), Siviglia. Colombo scrive a Giovanni II, re di Portogallo
A Xpouam Collon nosso espicial amigo, en Seuilha.
Xpoual Colon. Nos dom Joham, per graça de Deus, Rey de Portugall (…). Vymos a carta que Nos screpuestes
e a booa vontade e afeiçam que por ella mostraees teerdes a nosso serviço vos agardeçemos muyto. E quanto
a vossa vynda ca certo assy pollo que apontaaes como por outros respeitos pera que vossa industria e boô
engenho nos sera necessareo nos a desejamos e prazernos ha muyto de vyrdes (…). E porque por ventura
teerees alguû rreçeo de nossas justiças por razam dalguûas cousas a que sejaees obligado Nos por esta nossa
carta vos seguramos polla vynda stada e tornada (…). Scripta em Avis a XX dias de março de 1488. El Rey.
A Xrouam Colón nostro speciale amico, in Siviglia.
Xroval Colón. Noi, Re Giovanni, per grazia di Dio, Re del Portogallo (…). Vedemmo la lettera che Ci scriveste
e la buona volontà e l’affezione che attraverso essa mostrate di avere al nostro servizio e vi ringraziamo molto.
E per ciò che riguarda la vostra venuta qui certo per quello che dite come per altri rispetti poiché la vostra
industria e buon ingegno ci saranno necessari desideriamo e ci piace molto che veniate (…). E poiché forse avete
qualche dubbio sulla nostra giustizia, per motivo di qualcosa, alla quale siete obbligato, Noi con questa nostra
lettera vi assicuriamo per la venuta, soggiorno e ritorno (…). Scritta in Avis il XX marzo del 1488. Il Re.
Lettera di Giovanni II a Colombo; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato, 295, 1.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 149. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 129.
Nota: dalla lettera di Giovanni II a Colombo, sappiamo dunque che essa è a sua volta la risposta alla richiesta
da parte di Colombo di poter tornare, senza pericoli, in Portogallo.
Per i rapporti di Colombo con Giovanni II, leggi docc. 18 e 46-52.
doc. 79
(Siviglia, 20 marzo 1488)
1488 (20 marzo), Siviglia. Colombo destinatario di un invito di Giovanni II, re di Portogallo
A Xpouam Collon nosso espicial amigo, en Seuilha.
Xpoual Colon. Nos dom Joham, per graça de Deus, Rey de Portugall e dos Algarues daaquê e dallê mar em
Africa, senhor de Guinee, vos enuyamos muyto saudar. Vymos a carta que Nos screpuestes e a booa vontade e
123
Gianfranco Ribaldone
afeiçam que por ella mostraees teerdes a nosso serviço vos agardeçemos muyto. E quanto a vossa vynda ca
certo assy pollo que apontaaes como por outros respeitos pera que vossa industria e boô engenho nos sera
necessareo nos a desejamos e prazernos ha muyto de vyrdes porque em o que a vos toca se dara tal forma de
que vos devaaes seer contente. E porque por ventura teerees alguû rreçeo de nossas justiças por razam dalguûas
cousas a que sejaees obligado Nos por esta nossa carta vos seguramos polla vynda stada e tornada que nom
sejaees preso rreteudo acusado citado nê demandado por nenhuûa cousa ora seja ciuil ora crime de qualquer
qualidade. E polla meesma mandamos a todas nossas justiças que ho cumpram asy e portanto vos Rogamos e
encomendamos que vossa vynda seja loguo e pera ysso nô tenhaaes pejo alguû e agardeceruoloemos e teeremos
muyto em serviço. Scripta em Avis a XX dias de março de 1488. El Rey.
A Xrouam Colón nostro speciale amico, in Siviglia.
Xroval Colón. Noi, Re Giovanni, per grazia di Dio, Re del Portogallo e delle Azzorre e dei mari di qua e di là
dell’Africa, signore di Guinea vi salutiamo molto. Vedemmo la lettera che Ci scriveste e la buona volontà e
l’affezione che attraverso essa mostrate di avere al nostro servizio e vi ringraziamo molto. E per ciò che riguarda
la vostra venuta qui certo per quello che dite come per altri rispetti poiché la vostra industria e buon ingegno
ci saranno necessari desideriamo e ci piace molto che veniate perché in ciò che vi riguarda si userà tal forma
che sarete contento. E poiché forse avete qualche dubbio sulla nostra giustizia, per motivo di qualcosa, alla
quale siete obbligato, Noi con questa nostra lettera vi assicuriamo per la venuta, soggiorno e ritorno che non
sarete catturato trattenuto accusato citato né tradotto in giudizio per nessun motivo, civile o penale di alcun
tipo. E tramite la medesima ordiniamo a tutti i nostri giudici che facciano così e pertanto vi preghiamo ed
abbiamo speranza che il vostro arrivo avvenga presto e perciò non abbiate nessun timore e lo gradiremo e lo
riterremo un gran servigio. Scritta in Avis il XX marzo del 1488. Il Re.
Lettera di Giovanni II a Colombo; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato, 295, 1.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 149. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 129.
Nota: non è ancora stata scoperta dai Portoghesi la via marittimo-orientale per raggiungere l’Oriente; l’industria
e il buon ingegno di Colombo sono, in questo momento, necessari al re lusitano.
doc. 80
(1498 —› 1488 ?)
1488 (giugno?), corte castigliana. A Murcia, la regina conosce inviti di tre Principi a Colombo
Por seguir a Vuestras Altezas yo no quise entender con Francia ni Inglaterra ni Portogal, de los cuales prínçipes
vieron Vuestras Altezas las cartas por mano del doctor Villalano.
Per seguire le Vostre Altezze io non volli accordarmi con la Francia, l’Inghilterra e il Portogallo, dei cui principi
le Vostre Altezze hanno visto le lettere, grazie al dottor Villalano.
Copia di Bartolomé de Las Casas da frammenti di lettere scritte ai sovrani da Colombo e spedite con la flotta
che salpò il 18 ottobre 1498 da Santo Domingo; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms Res. 21, f. 106v.
Edizione: VARELA TEXTOS, doc. XXVII, n. 2, p. 224. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XXVI, n. 1, p. 250.
Nota: intenzionati a terminare vittoriosamente la crociata contro i musulmani del regno granadino, nella
primavera del 1488 i re si sono portati nella città di Murcia (cfr. MANZANO SETTE ANNI, pp. 133-136).
Colombo, astutamente, cerca di mettere a frutto presso i reali di Spagna il credito che gli viene dalla missiva
di Giovanni II. Che il tentativo non abbia avuto esito è dimostrato dal fatto che Colombo andrà in Portogallo
e, tornato deluso anche da lì, chiederà aiuto al duca di Medina Sidonia e, non ottenutolo, deciderà di recarsi in
Francia (docc. 86-87, 88, 90).
doc. 81
(1505 —› 1488 ?)
1488 (giugno?), corte castigliana. A Murcia, la regina conosce inviti di tre Principi a Colombo
También dixe milagrosamente, porque ove cartas de ruego de tres Príncipes, que la Reina, que Dios aya, vido
y se las leyó al doctor Villalón.
E pure ho parlato di cosa per vero mirabile, perché ricevetti solleciti da tre Principi diversi, i quali la Regina,
che Iddio l’abbia in gloria, li vide e ne lesse al dottor Villalón.
Copia di Bartolomé de Las Casas da una lettera di Colombo al re don Fernando, scritta probabilmente nell’anno
1505; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Res. 22, f. 105v.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 420. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXXXIX, p. 380.
Nota: leggi doc. 80.
124
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
doc. 82
(16 giugno 1488)
1488 (16 giugno), corte castigliana. A Murcia, sussidio reale
En 16 de Junio de 1488 dí á Cristóbal Colomo tres mil maravedis por cédula de sus Altezas.
Il 16 giugno del 1488 detti a Cristoforo Colombo tremila maravedís, su cedola delle Loro Altezze.
Partita del 16 giugno 1488, contenuta in un libro di conti del tesoriere reale Francisco Gonzáles di Siviglia,
datato anni 1485-1489; ARCHIVO REAL DI SIMANCAS.
Edizione: NAVARRETE, t. II, doc. II, p. 4. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 138.
Nota: nella concessione di quest’ultima sovvenzione non interviene più, come invece in quelle precedenti
(docc. 72-74, 76), il vescovo di Avila, l’ex priore del Prado; la giunta da lui presieduta ha infatti già terminato
la sua missione.
La sovvenzione va intesa come una specie di benservito a Colombo e alle sue speranze; insomma, se vuole,
Colombo vada pure in Portogallo.
doc. 83
(15?? —› Murcia 1488)
1488 (giugno?), corte castigliana. A Murcia, rivelazioni di Pietro de Velasco gallego
Con la qual cosa dice che si conformava un Pietro di Velasco galego, il quale gli affermò nella città di Murcia
in Castiglia che, facendo egli quel camino d’Irlanda, s’avvicinarono tanto al Nordeste che videro terra di verso
l’Occidente d’Irlanda; la qual terra egli crede esser quella che un Femaldolmos tentò di scoprir nel modo che
qui narrerò fedelmente sì come ho trovato ne gli scritti del padre mio, accioché si sappia come da picciol cosa
vengono alcuni a far fondamento d’un’altra maggiore.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. IX, p. 51.
Nota: Colombo profitta della sosta a Murcia per parlare con il navigatore gallego Pietro de Velasco (da non
confondere con l’omonimo vecchio navigatore di Palos; leggi docc. 44 e 102).
doc. 84
(1503 —› Spagna 1488)
1488 (agosto), Cordova. Nascita del figlio naturale Fernando
En todo este tiempo no entré en puerto ni pude, ni me dexó tormenta del çielo, agua y trombones y relámpagos
de continuo, que parecía el fin del mundo. Llegué al cabo de Gracias a Dios y de allí me dio Nuestro Señor
próspero el viento y corriente. Esto fue a doce de Septiembre. Ochenta y ocho días avía que no me avía dexado
espantable tormenta, atanto que no vide el sol ni estrellas por mar, que a los navíos tenía yo abiertos, a las velas
rotas, y perdidas anclas y xarcia, cables con las barcas y muchos vastimentos, la gente muy enferma y todos
contritos y muchos con promesa de religión, y no ninguno sin otros votos y romerías. Muchas vezes avían
llegado a se confessar los unos a los otros. Otras tormentas se an visto, mas no durar tanto ni con tanto espanto.
Muchos esmoreçieron harto y hartas vezes que teníamos por esforzados. El dolor del fijo que yo tenía allí me
arrancava el ánima, y más por verle de tan nueva edad de treçe años en tanta fatiga y durar en ello tanto.
Nuestro Señor le dio tal esfuerzo, que él avivava a los otros, y en las obras haçía él como si uviera navegado
ochenta años, y él me consolava.
In tutto questo tempo non entrai né m’avvicinai a porto, né un solo istante m’abbandonò la tormenta, con acqua
a scrosci e trombe di mare e lampi continui, che sembrava giunta la fine del mondo. Giunsi a Cabo de Gracias
a Dios; e, a partire di lì, mi concesse Nostro Signore prospero vento e correnti favorevoli. Era il dodici di
settembre. Per ottantotto giorni aveva infuriato la tormenta non concedendomi tregua, tanto che per tutto quel
tempo non vidi sole né stelle sul mare; e già avevo le navi coperte di falle, e le vele a brandelli, perduti gli
ormeggi e le sartie e le gomene, insieme con le scialuppe e molte provviste; e la gente malata, e afflitta, e da
molti s’era fatto voto d’entrare in religione, e non v’era nessuno che non avesse sciolto un voto e fatto promesse
di pellegrinaggi. Più e più volte erano giunti agli estremi di confessarsi l’uno con l’altro. Altre tormente si erano
viste, ma mai tanto lunghe e terribili. Molti dei nostri uomini, quelli che reputavo i più forti e coraggiosi, si
persero d’animo più e più volte. L’angoscia per il figlio che avevo con me mi feriva nell’anima e maggiormente
il vederlo in così tenera età, a soli tredici anni, patire tanti travagli e resistere sì stoicamente. Nostro Signore gli
diede tanta forza d’animo che lui gli altri animava e nelle opere sue si portava come se avesse navigato
ottant’anni ed era lui a darmi conforto.
Copia della relazione del quarto viaggio scritta nell’isola di Giamaica il 7 luglio 1503; BIBLIOTECA
UNIVERSITARIA DI SALAMANCA, Ms. 2327, ff. 14-26.
125
Gianfranco Ribaldone
Edizione: COLOMBO RELAZIONI, t. I, p. 132. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXVI, pp. 335-336.
Nota: durante la tormenta che, nel terzo viaggio di Colombo, infurierà quasi ininterrottamente dalla metà di
giugno al 12 settembre 1502, sarà il figlio tredicenne, Fernando, a confortare il padre; egli dunque nacque nel
1488 o nel 1489.
La data di nascita fu fissata dal Navarrete al 15 agosto 1488 sulla base di un manoscritto originale di Fernando
conservato nella Biblioteca Colombina e sulla base della testimonianza di Marcos Felipe, suo curatore
testamentario (cfr. NUTI, p. 191).
doc. 85
(1506)
1488 (agosto), Cordova. Fernando, figlio da Beatriz Enríquez
Digo e mando a don Diego, mi hijo, o a quien heredare, que pague todas las deudas que dexo aquí en un
memorial, por la forma que allí diçe, e más las otras que justamente pareçerán que yo deva. E le mando que
aya encomendada a Beatriz Enríquez, madre de don Fernando, mi hijo, que la probea que pueda bevir
honestamente, como presona a quien yo soy en tanto cargo. Y esto se haga por mi descargo de la conçiençia,
porque esto pesa mucho para mi ánima. La razón d’ello non es líçito de la escrevir aquí.
Dico e comando a don Diego, mio figlio, o a chi ereditasse, che paghi tutti i debiti che ho annotato in un
memoriale nella forma ivi indicata oltre agli altri che dovessero essere a buon titolo pretesi. Dispongo inoltre
che egli si prenda cura di Beatriz Enríquez, madre di don Fernando mio figlio, e la provveda di quanto le
consenta di vivere con dignità, come persona cui sono grandemente debitore. E tanto sia fatto per sgravare la
mia coscienza, ché ciò pesa molto sull’anima mia. E la ragione di ciò non è lecito qui riferire.
Copia autenticata dell’ultimo testamento rogato a Valladolid il 19 maggio 1506; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS
DI SIVIGLIA, 295, 61.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 448. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XCIII, p. 386.
Nota: Fernando era figlio naturale (ma poi legittimato) che Colombo ebbe da Beatriz Enriquez (cfr. MANZANO
SETTE ANNI, pp. 99-124).
doc. 86
(1488 —› Lisbona 1488)
1488 (dicembre), corte portoghese. Fine del rapporto con Giovanni II
Nota quod hoc anno de 88, in mense decembri apulit in Ulixbona Bartholomeus Didacus, capitaneus trium
carauelarum, quem miserat serenissimus rex Portugalie in Guinea ad temtandum terram. Et renunciauit ipso
serenissimo regi prout nauigauerat ultra yan nauigatum leuche 600, uidelicet 450 ad austrum et 250 ad
aquilonem, usque uno promontorium per ispum nominatum “cabo de boa esperança”, quem in Agesinba
estimamus. Quique in eo loco inuenit se distare per astrolabium ultra linea equinociali gradus 45, quem ultimum
locum distat ab Ulixbona leuche 3100. Quem uiagium pictauit et scripsit de leucha in leucha in una carta
nauigacionis, ut occuli uisui ostenderet ispo serenissimo regi, in quibus omnibus interfui. Hoc concordat cum
dita Marini, quem Ptholomeus emendat, de peragracione ad Garamantes, que disit peragratum fuisse ultra
equinocialem stadii 27500, quod Ptholomeus impugnat et emendat.
Nota che nel corrente anno 88, nel mese di dicembre, attraccò a Lisbona Bartolomeus Dias, capitano di tre
caravelle, che il serenissimo re di Portogallo aveva inviate in Guinea a esplorare la terra. E diede conto al
serenissimo re di come avesse navigato 600 leghe oltre il già navigato, ovvero 450 a sud e 250 a nord, fino a
un promontorio da lui chiamato Cabo de Boa Esperança, che pensiamo trovarsi in Agesinba [Abissinia]. E in
detto luogo s’avvide che l’astrolabio segnava una distanza di 45 gradi dalla linea equinoziale; e il punto più
remoto dista da Lisbona 3100 leghe. Il quale viaggio lo disegnò e appuntò lega per lega su una carta di
navigazione, per presentarlo al serenissimo re. E io a tutto assistetti. E tanto concorda con le parole di Marino
sul viaggio ai Garamanti, il quale scrisse che percorsero 27500 stadi oltre l’equinoziale, che è quanto impugna
e corregge Tolomeo.
Autografa postilla annotata nell’Imago mundi di Pierre d’Ailly; BIBLIOTECA COLOMBINA DI SIVIGLIA, n. 3122
del Registro di Don Fernando, f. 13r, Racc. 23.
Edizione: VARELA SCRITTI, doc. I, 7, pp. 5-6. Traduzione: COLOMBO LETTERE, doc. I, 7, p. 6.
Nota: a differenza di MANZANO SETTE ANNI, pp. 125, che attribuisce a Bartolomeo Colombo le postille che
costituiscono i nostri docc. 86 e 87 e che situa nell’ultima settimana del dicembre 1487 (segnato 1488, secondo
l’uso dell’epoca di far iniziare l’anno con il giorno di Natale) l’arrivo del Dias a Lisbona con l’annuncio di
126
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
aver scoperto il Capo di Buona Speranza, ritengo che le postille siano di Cristoforo e che l’arrivo del Dias sia
avvenuto nel dicembre 1488, prima di Natale.
L’annuncio della scoperta di una via orientale verso le Indie segna la fine delle aspirazioni lusitane di Colombo,
durate 14 anni (leggi doc. 18).
Leggi anche il seguente doc. 87.
doc. 87
(14?? —› Lisbona 1488)
1488 (dicembre), corte portoghese. Fine del rapporto con Giovanni II
Serenissimo regi Portugalie renunciatum fuit ab uno suo capitaneo anno de 88, quem miserat ad temtandum
terram in Guinea, quod nauigauit ultra equinocialem gradus 45.
Al serenissimo re di Portogallo riferì, nell’anno 1488, uno dei suoi capitani da lui inviati in Guinea al fine di
esplorare la terra, come avesse navigato 45 gradi oltre la linea equinoziale.
Autografa postilla annotata nella Historia rerum ubique gestarum di Enea Silvio Piccolomini; BIBLIOTECA
COLOMBINA DI SIVIGLIA, n. 3123 del Registro di Don Fernando, f. 2r, Racc. 6.
Edizione: VARELA SCRITTI, doc. I, 8, p. 6. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. I, 8, p. 6.
Nota: leggi doc. 86.
doc. 88
(1550 circa —› 1489 ?)
1489 (gennaio?), Siviglia. Colombo propone invano il progetto al duca di Medina Sidonia
Venido a la ciudad de Sevilla, como tuviese noticia de las riquezas y magnanimidad del duque de Medina
Sidonia D. Enrique de Guzmán, el cual, por aquella causa, obraba cosas egregias y de señor de gran
magnificencia, como fué proveer copiosamente por mar y por tierra al real y cerco que los Reyes Católicos
tenían puesto sobre la ciudad de Málaga, que estaban en gran necesidad de bastimentos y dineros, y por esto
se dijo ser mucha causa el dicho duque de la toma de aquella ciudad, y también descercó al marqués de Cáliz,
D. Rodrigo de León, el cual estaba cercado de todo el poder del rey de Granada, en Alhama, así que propuesto
su negocio, Cristóbal Colón, ante el dicho duque, o porque no lo creyó, o porque no entendió la grandeza de
la demanda, o porque, como estaban ocupados todos los grandes del Reino, mayormente los de Andalucía,
con el cerco de la ciudad de Granada, y hacían grandes gastos, aunque no había en aquellos tiempos en toda
España otro señor que más rico fuese (y, según la fama publicada, tenía gran tesoro allegado), finalmente,
pareció no atreverse a gastar lo que tan poca mella hiciera en sus tesoros y tanto esclareciera el resplandor
de su magnificencia y multiplicara la grandeza de su estado. Dejado el duque de Medina Sidonia, acordó
pasarse Cristóbal Colón al duque de Medinaceli, don Luis de la Cerda, que a la sazón residía en su villa del
Puerto de Santa María; este señor, puesto que no se le habían ofrecido negocios en que la grandeza de su
ánimo y generosidad de su sangre pudiese haber mostrado, tenía, empero, valor para que, ofreciéndosele
materia, obrase cosas dignas de su persona.
Giunto nella città di Siviglia, avuta notizia della ricchezza e della magnanimità del duca di Medina Sidonia, don
Enrico di Guzman, che compiva opere egregie e magnifiche quali si addicevano ad un gran signore, come ad
esempio provvedere ampiamente, sia per mare sia per terra, all’accampamento ed all’assedio che i Re Cattolici
avevano posto attorno alla città di Malaga (e poiché i Sovrani si trovavano in grande necessità di
approvigionamenti e di denaro, si disse che il Duca ebbe parte grande nella presa di quella città), ed ancora avere
egli liberato dall’assedio il marchese di Cadice, don Rodrigo de Leon, che si trovava in Alhama, accerchiato
da tutte le forze del re di Granada, gli propose il suo affare. E questi, sia perché non gli credette, sia perché non
intese la grandezza della richiesta, in ultima analisi sembrò non osare spendere quella somma, che tanto poco
avrebbe intaccato i suoi tesori e tanto avrebbe illuminato di splendore la sua magnificenza e moltiplicato la
grandezza del suo stato, dato che tutti i Grandi del Regno, ed a maggior ragione quelli dell’Andalusia, si
trovavano impegnati con l’assedio di Granada e sostenevano grandi spese, sebbene non vi fosse in quel tempo
in Spagna un altro signore più ricco di lui (e secondo la fama che correva, aveva riunito un grande tesoro).
Lasciato il duca di Medina Sidonia, Cristoforo Colombo decise di trasferirsi presso il duca di Medinaceli, don
Luis de la Cerda, che all’epoca si trovava nella sua residenza di Porto di Santa Maria. Questo signore, sebbene
non gli si fossero presentati affari in cui poter dimostrare la grandezza del suo animo e la generosità del suo
sangue, aveva tuttavia il coraggio di opere degne della sua persona, qualora gli si fosse presentata l’occasione.
Edizione: DE LAS CASAS, t. I, lib. I, cap. XXX, pp. 100 e 102. Traduzione: DE LAS CASAS, t. I, lib. I, cap.
XXX, pp. 101 e 103.
127
Gianfranco Ribaldone
Nota: per la cronologia delle visite di Colombo ai duchi andalusi e per la questione dei rapporti con Enrique
de Guzmán, duca di Medina Sidonia, leggi MANZANO SETTE ANNI, pp. 143-147.
doc. 89
(15?? —› 1489)
1489 (gennaio?), Puerto de Santa María. Rivelazioni di un marinaio guercio
Ciò gli era confermato dalla relazione fattagli da un marinaio guercio nel porto di Santa Maria, il quale dissegli
che in un suo viaggio fatto in Irlanda vide detta terra, che allora pensava essere parte di Tartaria, che volgeva
per l’Occidente, la qual doveva essere quella ch’or chiamiamo Terra di Bacalaos; e che per li cattivi temporali
accostar non vi si poterono.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. IX, p. 51.
Nota: uno dei preziosi contatti di Colombo con marinai che avevano fatto l’esperienza di viaggi estremi verso
il Nordovest (leggi anche docc. 44, 83, 102).
Per la cronologia: MANZANO SETTE ANNI, pp. 143-145.
doc. 90
(1493 —› 1489)
1489 (gennaio?), Puerto de Santa María. Colombo intenzionato a recarsi in Francia
Reverendísimo Señor: No sé si sabe vuestra Señoría, cómo yo tove en mi casa mucho tiempo á Cristóbal
Colomo, que se venia de Portogal, y se queria ir al Rey de Francia para que emprendiese de ir á buscar las
Indias con su favor y ayuda (…).
Reverendissimo Signore: non so, se Vostra Signoria sa che ebbi in casa mia per molto tempo Cristoforo
Colombo, che veniva dal Portogallo, e che voleva andare dal Re di Francia per organizzarsi per andare a cercare
le Indie col suo consenso ed aiuto (…).
Lettera del duca di Medinaceli al cardinal Pedro Gonzáles de Mendoza, scritta il 19 marzo 1493; ARCHIVO
GENERAL DI SIMANCAS, Estado, leg. 1-2, f. 342.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 172. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 150.
Nota: la tentazione francese tornerà prepotente nel gennaio 1492 (docc. 114 e 117).
Per la cronologia: MANZANO SETTE ANNI, pp. 143-145.
doc. 91
(1493 —› 1489)
1489 (gennaio?), Puerto de Santa María. Il duca di Medinaceli inizialmente intenzionato a finanziare il
progetto
Reverendísimo Señor: No sé si sabe vuestra Señoría, cómo yo tove en mi casa mucho tiempo á Cristóbal
Colomo, que se venia de Portogal, y se queria ir al Rey de Francia para que emprendiese de ir á buscar las
Indias con su favor y ayuda, é yo lo quisiera probar y enviar desde el Puerto, que tenia buen aparejo, con tres
ó cuatro carabelas, que no me demandaba más; pero como ví que era ésta empresa para la Reina nuestra
Señora, escrebilo á su Alteza desde Rota, y respondióme que gelo enviase; yo gelo envié entonces, y supliqué
á su Alteza, pues yo no lo quise tentar y lo aderezaba para su servicio, que me mandase hacer merced y parte
en ello, y que el cargo y descargo deste negocio fuese en el Puerto. Su Alteza lo recibió y lo dió en cargo á
Alonso de Quintanilla, el cual me escribió de su parte que no tenia este negocio por muy cierto, pero que si se
acertase, que su Alteza me haria merced y daria parte en ello; y después de haberle bien examinado, acordó
de enviarle á buscar las Indias. Puede haber ocho meses que partió, y agora él es venido de vuelta a Lisbona,
y ha hallado todo lo que buscaba, y muy complidamente, lo cual luego yo supe, y por facer saber tan buena
nueva á su Alteza ge lo escribo con Xuares, y le envio á suplicar me haga merced que yo pueda enviar en cada
año allá algunas carabelas mias. Suplico á vuestra Señoria me quiera ayudar en ello, é ge lo suplique de mi
parte, pues á mi cabsa y por yo detenerle en mi casa dos años, y haberle enderezado á su servicio, se ha hallado
tan grande cosa como esta. Y porque de todo informará más largo Xuarez á vuestra Señoria, suplícole le crea.
Guarde nuestro Señor vuestra Reverendisima persona como vuestra Señoria desea. De la villa de Cogolludo,
á diez y nueve de Marzo. Las manos de vuestra Señoria besamos. El Duque.
Reverendissimo Signore: non so, se Vostra Signoria sa che ebbi in casa mia per molto tempo Cristoforo
Colombo, che veniva dal Portogallo, e che voleva andare dal Re di Francia per organizzarsi per andare a cercare
le Indie col suo consenso ed aiuto, e io lo volli provare e mandare dal Puerto, in cui tenevo una buona
128
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
attrezzatura, con tre o quattro caravelle, che non mi chiedeva di più; ma quando vidi che questa impresa era per
la Regina nostra Signora, io scrissi a sua Altezza, da Rota, e mi rispose che glielo mandassi; io lo mandai allora,
e supplicai Sua Altezza, infatti non volli provarlo e lo indirizzavo al suo servizio, che mi facesse aver grazia e
parte in esso, e che il carico e lo scarico delle merci relative a questo affare avvenissero nel Puerto. Sua Altezza
lo ricevette e lo dette in carico ad Alonso de Quintanilla, che mi scrisse da parte sua che non riteneva quest’affare
molto sicuro, ma che, se fosse diventato sicuro, Sua Altezza mi avrebbe fatto grazia e mi avrebbe dato parte in
esso; e dopo averlo ben esaminato, decise di mandarlo a cercare le Indie. Saranno otto mesi da quando partì,
ed ora è tornato a Lisbona, ed ha trovato tutto ciò che cercava, e molto bene, cosa che seppi dopo, e per far sapere
una così buona notizia a Sua Altezza glielo scrivo con Xuares, e la mando a supplicare ehe mi faccia la grazia
che io possa ogni anno mandare lì alcune mie caravelle. Supplico vostra Signoria, perché mi aiuti in ciò e lo
chieda da parte mia, infatti è per merito mio e per il fatto che l’ho tenuto in casa mia due anni, e per averlo
indirizzato al suo servizio, se ha trovato una cosa così grande come questa. E poiché Xuares informerà di tutto
più ampiamente vostra Signoria, supplico che gli creda. Nostro Signore protegga la vostra Reverendissima
persona come vostra Signoria desidera. Dalla città di Cogolludo, il diciannove di Marzo. Baciamo le mani di
vostra Signoria. Il Duca.
Lettera del duca di Medinaceli al cardinal Pedro Gonzáles de Mendoza, scritta il 19 marzo 1493; ARCHIVO
GENERAL DI SIMANCAS, Estado, leg. 1-2, f. 342.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 172. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 150.
Nota: per alcune osservazioni sulle proposte di Colombo al duca di Medinaceli, leggi MORISON, pp. 86-87 e
105.
Non condivido la datazione di Morison sulla visita ai duchi; per la cronologia, leggi MANZANO SETTE ANNI,
pp. 143-145.
doc. 92
(1493 —› 1489)
1489 (gennaio?), Rota. Lettere del duca di Medinaceli alla regina
Pero como ví que era ésta empresa para la Reina nuestra Señora, escrebilo á su Alteza desde Rota, y
respondióme que gelo enviase; yo gelo envié entonces, y supliqué á su Alteza, pues yo no lo quise tentar y lo
aderezaba para su servicio, que me mandase hacer merced y parte en ello, y que el cargo y descargo deste
negocio fuese en el Puerto.
Ma quando vidi che questa impresa era per la Regina nostra Signora, io scrissi a sua Altezza, da Rota, e mi
rispose che glielo mandassi; io lo mandai allora, e supplicai Sua Altezza, infatti non volli provarlo e lo
indirizzavo al suo servizio, che mi facesse aver grazia e parte in esso, e che il carico e lo scarico delle merci
relative a questo affare avvenissero nel Puerto.
Lettera del duca di Medinaceli al cardinal Pedro Gonzáles de Mendoza, scritta il 19 marzo 1493; ARCHIVO
GENERAL DI SIMANCAS, Estado, leg. 1-2, f. 342.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 172. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 150.
Nota: per un’ipotesi sul contenuto della prima lettera, inviata alla regina, di Luis de la Cerda, duca di Medinaceli
(la seconda, come si arguisce dal presente documento, è la richiesta di monopolio sul carico e sullo scarico
delle merci relative all’affare), leggi MANZANO SETTE ANNI, pp. 152-153.
Per la cronologia: MANZANO SETTE ANNI, pp. 143-145.
doc. 93
(Cordova 1489)
1489 (12 maggio), corte castigliana. Da Cordova, lettera patente dei re per favorire l’arrivo di Colombo
a Corte
El Rey e la Reyna:
Conçejos, justiçias, regidores, cavalleros, escuderos e omes buenos de todas las çibdades e villas e logares de
los nuestros Reynos e señorios: Xpoval Colomo ha de venir a esta nuestra corte e ha otras partes e logares de
estos dichos nuestros Reynos ha entender en algunas cosas conplideras a nuestro servicio; por ende Nos vos
mandamos que cuando por esas dichas çibdades e villas e logares o por alguna dellas se acaesçiere, le
aposentedes e dedes buenas posadas en que pose él e los suyos, sin dineros, que non sean mesones, e los
mantenimientos, a los preçios que entre vosotros valieren, por sus dineros. E non revolvades con él ni con los
que llevare consigo, ni con alguno dellos, roydos. E non fagades ende al por alguna manera, so pena de la
129
Gianfranco Ribaldone
nuestra merçed e de dies mil maravedis para la nuestra Cámara a cada uno que lo contrario fiziere. Fecha en
la çibdad de Cordova, a doze de mayo de ochenta e nueve años. Yo el Rey. Yo la Reyna. Por mandado del Rey
e de la Reyna, Juan de Coloma.
Il Re e la Regina:
Consiglio, giudici, assessori, cavalieri, scudieri e buona gente di tutte Ie città e villaggi e luoghi dei nostri regni
e dominî: Cristoforo Colombo deve venire a questa nostra Corte ed in altre parti e località di questi nostri detti
Regni ad occuparsi di alcune cose che deve compiere in nostro servigio; perciò Noi vi ordiniamo che, quando
si dovesse trovare per quelle dette città e villaggi e località o per qualcuno di essi, gli diate alloggio e gli offriate
buoni alloggi nei quali possano riposare egli e i suoi, senza pagare e che non siano osterie, ed i viveri, al prezzo
che varranno tra voi, al denaro che avrà. E non intentate con lui e con quelli che porterà con sé, con nessuno
d’essi, nessuna questione. E non fatelo per nessun motivo, pena la perdita della nostra benevolenza e diecimila
maravedís per la nostra Camera a chiunque faccia il contrario. Emanata nella città di Cordova, il dodici maggio
ottantanove. Io il Re. Io la Regina. Per ordine del Re e delIa Regina, Juan de Coloma.
Lettera patente dei reali di Spagna; ARCHIVO MUNICIPAL DI SIVIGLIA, Tumbo de los Reyes Católicos, tomo III,
f. 246.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 186. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 162.
Nota: essendo la campagna contro i Mori andalusi nella sua fase finale, la regina è maggiormente disposta a
prestare attenzione alle proposte di Colombo (cfr. MANZANO SETTE ANNI, p. 158).
doc. 94
(1493 —› Jaén 1489)
1489 (maggio), corte castigliana. A Jaén, la regina riceve Colombo e lo dà in carico al ragioniere dello
Stato
Su Alteza lo recibió y lo dió en cargo á Alonso de Quintanilla (…).
Sua Altezza lo ricevette e lo dette in carico ad Alonso de Quintanilla (…).
Lettera del duca di Medinaceli al cardinal Pedro Gonzáles de Mendoza, scritta il 19 marzo 1493; ARCHIVO
GENERAL DI SIMANCAS, Estado, leg. 1-2, f. 342.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 172. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 150.
Nota: per la figura di Alonso de Quintanilla, ragioniere generale dello Stato, leggi MANZANO SETTE ANNI,
p. 160-161.
Per la cronologia: MANZANO SETTE ANNI, pp. 143-145.
doc. 95
(1522 —› Jaén 1489)
1489 (maggio-agosto?), corte castigliana. A Jaén, Colombo appoggiato dal nunzio apostolico Antonio
Geraldini
Ubi ab Antonio Geraldino fratre meo, Pontificis legato et homine clarissimo, qui paulo ante e publica ad
Innocentium octavum Pontificem Maximum legatione redierat, vehementissime adiutus est. Verum morte fratris
mei succedente (…).
Alla Corte spagnola fu aiutato con entusiasmo da mio fratello Antonio Geraldini, nunzio pontificio in Spagna,
uomo molto noto e stimato, da poco rientrato da una missione diplomatica presso il pontefice Innocenzo VIII.
Colombo ebbe un valido sostegno in mio fratello, fino a quando questi morì (…).
Edizione: GERALDINI, lib. XIV, p. 392. Traduzione: NUOVO MONDO, lib. XIV, p. 371.
Nota: per i rapporti di Colombo con i fratelli Geraldini, leggi anche docc. 96 (e relativa nota), 111 e 112 (e
relativa nota).
doc. 96
(1522 —› Jaén 1489)
1489 (agosto-settembre), corte castigliana. A Jaén, Colombo in difficoltà per la morte di Antonio Geraldini
Verum morte fratris mei succedente, cum humana omni parte ope destitueretur, Colonus in tantam calamitatem
incidit, et familiarium infidelitate et pauperie eum premente (…).
Fino a quando questi morì: a quel punto si trovò privo di appoggio, e cadde in sventura. Oppresso dalla miseria
e dalla infedeltà degli amici (…).
Edizione: GERALDINI, lib. XIV, p. 392. Traduzione: NUOVO MONDO, lib. XIV, p. 371.
130
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
Nota: a differenza di MANZANO SETTE ANNI, pp. 155-160, non ritengo sufficientemente documentato il
sostegno dato a Colombo in questa fase dal cardinal Mendoza e dal Quintanilla.
Sicuro fu l’appoggio offerto dal nunzio apostolico Antonio Geraldini, la cui morte (avvenuta in Spagna poco
prima del 23 agosto 1489, quando Pietro Martire d’Anghiera scrisse ad Alessandro un’epistola consolatoria
per la scomparsa del fratello; cfr. BUSI, p. 322) mise subito Colombo in difficoltà.
doc. 97
(1493 —› Puerto de Santa María 1489-1491)
1489 (autunno)-1491 (autunno), Puerto de Santa María. Colombo per due anni ospite del duca di
Medinaceli
Yo detenerle en mi casa dos años (…).
L’ho tenuto in casa mia due anni (…).
Lettera del duca di Medinaceli al cardinal Pedro Gonzáles de Mendoza, scritta il 19 marzo 1493; ARCHIVO
GENERAL DI SIMANCAS, Estado, leg. 1-2, f. 342.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 172. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 150.
Nota: due anni di cui nulla sappiamo se non che, al loro termine, Colombo si troverà in condizioni psicologiche
(doc. 98) ed economiche (docc. 99-101, 107) assai difficili.
doc. 98
(15?? —› La Rábida 1491)
1491 (autunno), La Rábida. Colombo di nuovo intenzionato a recarsi in Francia
Ma dopo molte prattiche, vedendo che non v’era modo di poter concludere sì come ei bramava in Spagna e che
tardava troppo a dare effetto alla sua impresa, deliberò di andare a trovare il re di Francia, al quale già aveva
scritto sopra questo, con proponimento, se quivi non fosse udito, di andar poi in Inghilterra a cercare il fratello,
del quale non aveva novella alcuna.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. XII bis, p. 67.
Nota: leggi anche doc. 90.
doc. 99
(1515 —› La Rábida 1491)
1491 (autunno), Palos. Colombo, diretto a Huelva, chiede al convento de La Rábida pane e acqua per
Diego
A la trezena (pregunta) dixo (...) que sabe quel dicho almirante don Christóval Colón, viniendo a la Rábida con
su yjo don Diego, ques agora almirante, a pie se vino a la Rábyda, ques monesterio de frayles en esta villa, el
qual demandó a la porterya que le diesen para aquel ninnico, que era ninno, pan y agua que beviese (…) e (…)
dixo quél (…) se yva derecho desta villa a la villa de Huelva para fablar e verse con un su cunnado, casado
con hermana de su muger, e que a la sazón estava, e que avía nonbre Mulyar.
Alla tredicesima (domanda) disse (...) che sa che il suddetto ammiraglio Cristoforo Colombo, venendo a La
Rábida con suo figlio don Diego, che ora è ammiraglio, venne a piedi a La Rábida, che è il monastero dei frati
in questa città, ed egli domandò in portineria che gli dessero per quel bimbetto, perché era un bimbo, pane ed
acqua da bere (…) e (…) disse che (…) andava diritto da questa città a quella di Huelva per parlare e vedersi
con un cognato, sposato con una sorella della moglie, e che in quell’occasione c’era, e che si chiamava Mulyar.
Testimonianza resa da García Hernández, medico di Palos, nei Pleitos colombiani, su richiesta del
procuratore del re, nella città di Tinto il 1° ottobre 1515; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato,
12, R° 23, f. 58.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 227. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 197.
Nota: leggi nota al doc. 44.
doc. 100
(1532 —› La Rábida 1491)
1491 (autunno), Palos. Colombo, in stato di estrema povertà, viene ospitato nel convento
A)
Al dicho Almirante vido este testigo en el monesterio de Santa María de la Rábida, e allí estuvo. (…) el dicho
Almirante estava muy pobre y los frayles lo sustentavan.
131
Gianfranco Ribaldone
Questo teste vide il detto Ammiraglio nel monastero di Santa Maria de La Rábida, e si fermò lì. (…) il detto
Ammiraglio era molto povero e i frati lo nutrivano.
B)
Quel dicho Almirante tenía mucha nesçesidad y le proveyan en el monesterio de la Rábida (…).
Il detto Ammiraglio era in gran necessità e lo aiutavano nel monastero de La Rábida (…).
C)
El dicho Almirante a la sazón estava nesçesitado e los frayles de la Rábida le proveyan de comer.
Il detto Ammiraglio al momento era in necessità e i frati de La Rábida gli davano da mangiare.
D)
Oyó dezir en aquel tiempo que (Colón) hera un onbre nescesytado e que los frayles de la Rábida le davan de
comer (…).
Sentì dire in quel tempo che era un uomo bisognoso e che i frati de La Rábida gli davano da mangiare (…).
E)
... quel dicho Almirante estava necesitado e prove e no tenía posibilidad, e que los frayles lo proveyan en el
monesterio de la Rábida (…).
... che il detto Ammiraglio era in stato di necessità e povero e non aveva possibilità, e che i frati provvedevano
a lui nel monastero de La Rábida (…).
Testimonianze rese rispettivamente da Pedro Arias, Bartolomé Martín de la Donosa, Pedro Alonso Ambrosio,
Juan Domínguez abitante di Huelva, Rodrigo Prieto, nei Pleitos colombiani, nell’interrogatorio della probanza
di Juan Martín Pinzón, che si svolse nell’anno 1532; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato, 12,
R° 5, foll. rispettivamente 53v; 57v; 54; 111v-112; 47.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, pp. 236-237. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, pp. 206-207.
Nota: leggi nota al doc. 44.
doc. 101
(1535 —› La Rábida 1491)
1491 (autunno), Palos. Colombo, in stato di estrema povertà, scende spesso a Moguer
A)
Antes quel dicho Colón viniese a la dicha villa de Palos a entender en yr a facer el dicho descubrimiento, este
testigo lo vió al dicho Colón en la villa de Moguer, e le vió como a un onbre que no tenia muncho e estava en
nescesidad e que no hera conosçido ni tenía favor ninguno (...).
Prima che il detto Colombo giungesse nella detta città di Palos dandosi da fare per andare a compiere la detta
scoperta, questo teste lo vide, il detto Colombo, nella città di Moguer, e lo vide come un uomo che non aveva
molto e che si trovava in necessità e che non era conosciuto né godeva di alcun favore (...).
B)
Antes quel dicho don Xpoval Colon viniese a entender en querer yr el dicho biaje, este testigo lo vió en la villa
de Moguer como onbre nescesitado, e que ningund favor tenía ni crédito para yr a fazer ningund viaje (...).
Prima che il detto Cristoforo Colombo venisse dandosi da fare per compiere il detto viaggio, questo teste lo vide
nella città di Moguer come un uomo in necessità, e che non aveva nessun favore né credito per poter fare nessun
viaggio (...).
Testimonianze rese rispettivamente da Fernán Ianez de Montiel, ottantenne, e da Fernán Pérez Camacho,
ottantacinquenne, nei Pleitos colombiani, nell’interrogatorio della probanza del procuratore Villalobos, iniziata
a Siviglia il 22 dicembre 1535; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato, 12, R° 5, ff. rispettivamente
101 e 99.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 238. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 208.
Nota: i testimoni concordano sullo stato di estrema povertà di Colombo in questo momento della sua vita (leggi
anche docc. 100 e 107).
132
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
doc. 102
(1535 —› La Rábida 1491)
1491 (autunno), Palos. Colombo scende spesso a Palos a parlare con Pietro de Velasco
A)
A la deçima pregunta dixo que lo que sabe desta pregunta es quel dicho Cristóbal Colón, antes que fuese a
negociar con los Reyes Cathólicos sobrel dicho descubrimiento, vino a esta villa de Palos (...) e posó en el
monesterio de la Rábida, e de allí venía algunas vezes a esta villa e hablava con un Pero Vasques de la Frontera,
que hera onbre muy sabio en el arte de la mar e avía ydo una ves a fazer el dicho descubrimiento con el ynfante
de Portogal (...) e este testigo vió quel dicho Colon se partió, e se dixo que se yba a la Corte a negoçiar con
los Reyes Cathólicos que le diesen dineros e recabdo para encaminar el armada; e despues vino a esta villa.
Alla decima domanda disse che ciò che sa di questa domanda è che il detto Cristoforo Colombo, prima di
andare a trattare con i Re Cattolici a proposito della detta scoperta, venne in questa città di Palos (...) e si fermò
nel monastero de La Rábida, e di lì veniva a volte in questa città e parlava con un certo Pero Vasques de la
Frontera, che era un uomo assai esperto nell’arte della navigazione ed era andato una volta a fare la detta
scoperta con l’infante di Portogallo (...) e questo teste vide che il detto Colombo partì, e si disse che andava a
Corte per negoziare con i Re Cattolici, perché gli dessero denari e garanzia per avviare la flotta; e poi venne in
questa città.
B)
Conosció (a Colón) y le vió harto pobre y nesçesitado (...) y oyo dezir a un Pero Vasques de la Frontera, vezino
de la villa de Palos, al tiempo que el dicho Colón vino a querer yr al dicho viaje, quel dicho Colón venía a tomar
lengua y aviso del dicho Pero Vasques de la Frontera como persona que avía sydo criado del rey de Portugal
y tenía noticia de la tierra de las dichas Yndias; y asi mismo le dezía a este testigo quel dicho Colón avía ydo
a pedir favor e ayuda al rey de Portugal para yr a fazer el dicho descubrimiento, y quél no se lo quiso dar
pensando que hera cosa de burla (…).
Conobbe (Colombo) e lo vide assai povero e bisognoso (...) e sentì dire a un certo Pero Vasques de la Frontera,
abitante della città di Palos, nel tempo in cui il detto Colombo venne per cercare di intraprendere il detto viaggio,
che il detto Colombo veniva a parlare e a prendere consigli dal detto Pero Vasques de la Frontera poiché questi
era stato servitore del Re di Portogallo ed aveva notizie della terra e delle dette Indie; e insieme, diceva questo
teste, che il detto Colombo era andato a cercare protezione ed aiuto dal Re del Portogallo per andare a compiere
la detta scoperta, e che quello non glieli volle accordare pensando che fosse una cosa senza fondamento (…).
Testimonianze rese rispettivamente da Fernando Valiente e Alonso Gallego, nei Pleitos colombiani,
nell’interrogatorio della probanza del diplomatico Villalobos, procuratore del Consiglio, che iniziò a Siviglia
il 22 dicembre 1535; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato, 12, R° 5, f. 119.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 237. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 207.
Nota: Pietro de Velasco de la Frontera era già stato incontrato da Colombo durante il primo soggiorno a La
Rábida (doc. 44).
doc. 103
(1515 —› La Rábida 1491)
1491 (autunno), Palos. Colombo a La Rábida parla con frate Juan Pérez e con il medico di Palos
Un frayle que se llamava frey Juan Peres, ques ya difunto, quiso fablar con el dicho Christóval Colón, e viéndole
dispusysyón de otra tierra o reyno ageno en su lengua, le preguntó que quién era e [de] donde venía; e quel
dicho Christóval Colón le dixo quél venia de la corte de su Altesa, e le quiso dar parte de su enbaxada, a qué
fué a la corte e cómo venía; e que dixo el dicho Christóval Colón al dicho frey Juan Peres cómo avía puesto
en plática a descubryr ante su Altesa, e que se obligava a dar la tierra fyrme queryéndole ayudar su Altesa con
navios e las cosas pertenesçientes para el dicho viaje e que convinyesen; e que muchos de los cavalleros e
otras personas que ay se fallaron al dicho rasonamiento le bolaron su palabra e que no fué acogida, mas que
antes fazían burla de su rasón, diziendo que tantos tiempos acá se avían provado e puesto navios en la buscar
e que todo era un poco de ayre e que no avía rasón dello; quel dicho Christóval Colón, viendo ser su rasón
disuelta en tan poco conosçimiento de lo que se ofreçía de fazer e conplyr, él se vino de la corte e se yva derecho
desta villa a la villa de Huelva para fablar e verse con un su cunnado, casado con hermana de su muger, e que
a la sazón estava, e que avía nonbre Mulyar. E que viendo el dicho frayle su rasón, enbió a llamar a este testigo,
133
Gianfranco Ribaldone
con el qual tenía mucha conversacion de amor e porque alguna cosa sabía del arte astronomica, para que
hablase con el dicho Christóval Colón e viese rasón sobre este caso del descubryr. Y que este dicho testigo vino
luego e fablaron todos tres sobre el dicho caso (…).
Un frate, che si chiamava fra Juan Pérez, che ora è morto, volle parlare con il detto Cristoforo Colombo, e
accorgendosi che veniva da altra terra o regno diverso per il suo linguaggio, gli chiese chi fosse e da dove
venisse; e che il detto Cristoforo Colombo gli disse che veniva dalla Corte di sua Altezza, e lo volle far partecipe
del suo messaggio, e fargli sapere che era stato a Corte e come veniva; e che il detto Cristoforo Colombo disse
al detto fra Juan Pérez come aveva parlato di scoperte di fronte a sua Altezza, e che si impegnava a dar la
terraferma se sua Altezza l’avesse voluto aiutare con navi e cose acconce e necessarie al suddetto viaggio; e che
molti cavalieri e altre persone che furono presenti al detto ragionamento schernirono il suo discorso e che non
fu accolto, ma che anzi si facevano beffe del suo discorso, dicendo che per tanto tempo nel passato avevano
tentato di farlo e avevano usato navi per cercarla e che tutto consisteva in un po’ d’aria e che non c’era motivo;
che il detto Cristoforo Colombo, vedendo che i suoi ragionamenti venivano distrutti dalla mancanza di
conoscenza di ciò che offriva di fare e di compiere, se ne andò dalla Corte e andava diritto da questa città a quella
di Huelva per parlare e vedersi con un cognato, sposato con una sorella della moglie, e che in quell’occasione
c’era, e che si chiamava Mulyar. E che vedendo il detto frate le sue ragioni, mandò a chiamare questo teste, con
il quale aveva molte amichevoli conversazioni e che sapeva un po’ d’astronomia, perché parlasse col detto
Cristoforo Colombo e si rendesse conto di questa faccenda della scoperta. E che poi questo teste venne e
parlarono tutti e tre sul detto caso (…).
Testimonianza resa da García Hernández, medico di Palos, nei Pleitos colombiani, su richiesta del
procuratore del re, nella città di Tinto il 1° ottobre 1515; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato,
12, R° 23, f. 58.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 227. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, pp. 197-198.
Nota: per la corretta datazione dell’intero episodio, leggi nota al doc. 44.
doc. 104
(1515 —› La Rábida 1491)
1491 (autunno), Palos. Frate Juan Pérez invia una lettera alla regina
... e que de aquí eligieron luego un ombre para que llevase una carta a la Reyna donna Ysabel (que aya santa
gloria), del dicho frey Juan Peres, que era su confesor; el qual portador de la dicha carta fué Sebastián
Rodrigues, un piloto de Lepe, e que detuvieron al dicho Christóval Colón en el monesterio fasta saber respuesta
de la dicha carta de su Altesa, para ver lo que por ella proveyan. Y asy se fyzo.
... e che di qui scelsero poi un uomo perché portasse una lettera alla Regina Isabella (che Dio l’abbia in gloria),
del detto frate Juan Pérez, che era suo confessore; e che il latore della detta lettera fu Sebastián Rodrígues, un
pilota di Lepe, e che trattennero il detto Cristoforo Colombo nel monastero fino a quando conobbero la risposta
della citata lettera di Sua Altezza, per vedere che cosa, sulla sua base, dovessero fare. E così si fece.
Testimonianza resa da García Hernández, medico di Palos, nei Pleitos colombiani, su richiesta del procuratore
del re, nella città di Tinto il 1° ottobre 1515; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato, 12, R° 23, f.
58.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, pp. 227-228. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 198.
Nota: per la corretta datazione dell’intero episodio, leggi nota al doc. 44.
doc. 105
(1515 —› La Rábida 1491)
1491 (autunno), Palos. Frate Juan Pérez, dopo due settimane, riceve dalla regina l’invito a Corte
E dende a catorze días la Reyna, nuestra señora, escryvió al dicho frey Juan Peres agradeçíendole mucho su
buen propósyto e que le rogava e mandava que luego, vista la presente, pareçiese en la corte ante su Altesa, e
que dexase al dicho Christóval Colón en segurydad de esperança fasta que su Altesa le escriviese.
Ed entro quattordici giorni la Regina, nostra signora, scrisse al detto frate Juan Pérez, ringraziandolo molto per
la sua intenzione e lo pregava e gli ordinava che poi, letta la presente, si presentasse a Corte davanti a Sua
Altezza, e che lasciasse il detto Cristoforo Colombo in una salda speranza finché Sua Altezza non gli scrivesse.
Testimonianza resa da García Hernández, medico di Palos, nei Pleitos colombiani, su richiesta del
procuratore del re, nella città di Tinto il 1° ottobre 1515; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato,
12, R° 23, f. 58v.
134
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 239. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 209.
Nota: per la corretta datazione dell’intero episodio, leggi nota al doc. 44.
Per l’ormai imminente capitolazione di Granada, che senza dubbio rese la regina più serena e disponibile a
riconsiderare il progetto di Colombo: MANZANO SETTE ANNI, pp. 211-216.
doc. 106
(1515 —› La Rábida 1491)
1491 (autunno), Palos. Frate Juan Pérez si reca a Corte
E vista la dicha carta e su dispusiçión, secretamente se partió antes de media noche el dicho frayle del
monesterio, e cavalgó en un mulo, e cumplió el mandamiento de su Alteza, e paresció en la Corte (...).
E letta la suddetta lettera e il suo ordine, in segreto, partì il detto frate prima di mezzanotte dal monastero, e
cavalcò un mulo, e obbedì all’ordine di Sua Altezza, e si presentò a Corte (...).
Testimonianza resa da García Hernández, medico di Palos, nei Pleitos colombiani, su richiesta del
procuratore del re, nella città di Tinto il 1° ottobre 1515; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato,
12, R° 23, f. 58v.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 239. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 209.
Nota: per la corretta datazione dell’intero episodio, leggi nota al doc. 44.
doc. 107
(1515 —› La Rábida 1491)
1491 (dicembre), Palos. Colombo riceve dalla regina l’invito a Corte e 20000 maravedís
La Reyna, nuestra sennora, enbió veynte mill maravedís en florynes, los quales truxo Diego Prieto, vesino
desta villa, e los dió, con una carta, a este testigo para que los diese a Christóval Colón, para que se vistiese
onestamente e mercase una bestezuela e paresçiese ante su Alteza. E quel dicho Christóval Colón resçibió los
dichos veynte mill maravedís e paresció ante su Alteza.
La Regina, nostra signora mandò ventimila maravedís in fiorini, che portò Diego Prieto, abitante di questa città,
e li consegnò, con una lettera, a questo teste perché li desse a Cristoforo Colombo, perché si vestisse
decorosamente e comprasse un buon cavallo e si presentasse a Sua Altezza. E che il detto Cristoforo Colombo
ricevette i suddetti ventimila maravedís e si presentò davanti a Sua Altezza.
Testimonianza resa da García Hernández, medico di Palos, nei Pleitos colombiani, su richiesta del
procuratore del re, nella città di Tinto il 1° ottobre 1515; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato,
12, R° 23, f. 59.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 243. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 211.
Nota: un’ulteriore conferma delle precarie condizioni economiche di Colombo.
doc. 108
(1500 —› Santa Fe 1491)
1491 (dicembre), corte castigliana. A Santa Fe, frate Juan Pérez e Colombo parlano alla regina
Yo creo que se acordarán que aquel buen religioso, fray Juan Pérez, el qual inçitó a V. Al. a otras enpresas, ansí
como a la de Granada y de los judíos, qu’él y yo benimos a su real solio con ésta de las Yndias y apropiada
para la conquista de la Casa Santa. El es muerto y yo les suplico que me la confirmen y me hagan merçed de
la capitanía y impresa, porque agora, que Nuestro Señor me vido tan injustamente desamparado de todo el
mundo, paresze que me quiere socorrer bivamente, como siempre hizo, y no quiere que aya yo hablado en ello
en balde, ansí que me hará merçed grandísima a me confirmar el prometido y acresçentar estotro de la
conquista en su real nombre, para quando le aplazerá de amostrar que se puede dar comienzo a ello, lo qual
será muy presto, si prosigue en lo que de pocos días acá ha començado.
Credo che si ricorderanno di quel religioso, fra Juan Pérez che esortò Vostra Altezza ad altre imprese, così come
a quella di Granada e degli ebrei, quando lui ed io venimmo al vostro trono a parlare di questa impresa delle
Indie utile anche per la conquista della Casa Santa. Egli ora è morto e io Vi supplico che mi confermino e mi
diano il comando dell’impresa, perché ora che Nostro Signore mi vide così ingiustamente abbandonato da tutti,
sembra che mi voglia aiutare vivamente come ha fatto sempre e non vuole che io abbia parlato di ciò invano.
Così mi farà una grandissima grazia confermandomi quanto promesso aggiungendo quest’altro compenso per
la conquista nel suo nome regale, quando Gli piacerà far vedere di poter dare inizio a ciò che sarà prestissimo,
se prosegue come da pochi giorni ha cominciato.
135
Gianfranco Ribaldone
Copia d’anonimo, risalente al tardo Cinquecento, di una lettera di Colombo ai re, scritta nell’isola di Hispaniola
il 3 febbraio dell’anno 1500, l’ottava delle nove lettere indirizzate da Colombo ai re tra il 1493 e il 1503,
costituenti il cosiddetto Libro Copiador, scoperto in una libreria antiquaria di Tarragona nell’anno 1985;
ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Libro Copiador, pp. 65-66.
Edizione: COLOMBO RELAZIONI, t. I, p. 402. Traduzione: COLOMBO RELAZIONI, t. I, p. 403.
Nota: una delle informazioni più preziose tra quelle offerte dal Libro Copiador.
doc. 109
(1492 —› Granada 1492)
1492 (2 gennaio), corte castigliana. A Granada, presenza di Colombo alla resa del re moro
Porque, cristianíssimos y muy altos y muy excelentes y muy poderosos Prínçipes, Rey e Reina de las Españas
y de las islas de la mar, Nuestros Señores, este presente año de 1492, después de Vuestras Altezas aver dado
fin a la guerra de los moros, que reinavan en Europa, y aver acabado la guerra en la muy grande ciudad de
Granada, adonde este presente año, a dos días del mes de enero, por fuerça de armas vide poner las vanderas
reales de Vuestras Altezas en las torres de la Alfambra, que es la fortaleza de la dicha ciudad, y vide salir al
rey moro a las puertas de la ciudad, y besar las reales manos de Vuestras Altezas y del Príncipe mi Señor (…).
Perché, cristianissimi e altissimi ed eccellentissimi e molto potenti Principi, Re e Regina delle Spagne e delle
isole del mare, Nostri Signori, questo presente anno 1492, terminata che ebbero le Vostre Altezze la guerra dei
Mori, che regnavano in Europa, e aver posto fine alla guerra nella molto grande città di Granada, dove questo
presente anno, il giorno due del mese di gennaio, per forza delle armi vidi spiegati i vessilli reali delle Vostre
Altezze sulle torri dell’Alfambra, che è fortezza della suddetta città, e vidi uscire il re moro sulle porte della città
a baciare le reali mani delle Vostre Altezze e del Principe mio Signore (…).
Copia di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Cristoforo Colombo, annotazione introduttiva
del 3 agosto 1492; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms. bacheca 6-7.
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, p. 8. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, pp. 10-11.
Nota: è l’inizio del diario di bordo del primo viaggio; per il significato, leggi l’introduzione al presente studio.
doc. 110
(1522 —› Santa Fe 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, una giunta discute con Colombo sul progetto
... in Illiberim urbem, quam nostro saeculo Granatam vocant (…), cum coadunato primariorum consilio variae
sententiae essent, eo quod multi antistites patriae Hispanae manifestum reum haereseos esse plane asserebant,
eo quod Nicolaus a Lyra totam terrae humanae compaginem ab insulis Fortunatis in Orientem usque supra
mare extentam nulla latera habere per inferiorem partem sphaerae obtorta dicit, et divus Aurelius Augustinus
nullos esse Antipodas affirmat; (…) tunc Sanctus Angelus, rationum patriae Valentinae magister, a Colono
petiit qua summa pecuniarum, quo navium numero ad longam adeo navigationem opus esset.
... nella città di Illiberi, che ai nostri giorni si chiama Granada (…). Si radunò il consiglio dei Grandi di Corte,
ma i loro pareri erano discordi: molti vescovi spagnoli erano convinti che Colombo fosse sicuramente colpevole
di eresia: sostenevano, infatti, che Niccolo di Lira dice che tutta la terra abitata si estende sopra il mare, dalle
Isole Fortunate fino a oriente, e che non esiste nella parte inferiore alcun lato piegato a guisa di sfera; e che pure
Sant’Aurelio Agostino afferma che non esistono gli Antipodi. (…). A questo punto Santángel, tesoriere del
regno nato a Valentina, chiese a Colombo di quale somma di denaro e di quante navi avesse bisogno per un
viaggio in mare così lungo.
Edizione: GERALDINI, lib. XIV, pp. 392, 394, 396. Traduzione: NUOVO MONDO, lib. XIV, pp. 371-372.
Nota: da Alessandro Geraldini apprendiamo dunque che molti vescovi spagnoli erano convinti che Colombo
fosse sicuramente colpevole di eresia.
doc. 111
(1522 —› Santa Fe 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, Alessandro Geraldini difende il progetto
Tunc ego, qui forte iuvenis retro eram, Didacum Mendozam, Sanctae Romanae Ecclesiae cardinalem, hominem
genere, integritate, prudentia, rerum notitia et omnibus praeclarae naturae ornamentis illustrem, petii. Qui
cum referrem Nicolaum a Lyra virum sacrae theologiae exponendae egregium fuisse, et Aurelium Augustinum
doctrina et sanctitate magnum, tamen cosmographia caruisse, eo quod Lusitani ad inferiores eo modo partes
alterius hemisphaerii tenderant, quod, Arctico nostro relicto, alium sub alio polo Antarcticum detexerant, omnia
sub zona Torrida populo plena repererant, nova in axe Antipodum sidera conspexerant (…).
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
Allora io, che mi tenevo in disparte forse perché di giovane età, mi avvicinai a Diego Mendoza, cardinale della
Santa Romana Chiesa, uomo illustre per nascita, onestà, prudenza e per la sua grande e profonda cultura, e per
tutte quelle doti che dispensa una natura superiore: gli ricordai che Niccolo di Lira era stato maestro egregio
nell’insegnamento della teologia; e che Aurelio Agostino era stato grande per la sua santità e la sua cultura: ma
che entrambi mancavano di conoscenze sul cosmo; tant’è vero che i lusitani erano arrivati alle regioni sottostanti
dell’altro emisfero; e lasciato il nostro Polo artico, avevano scoperto l’Antartico sotto un altro Polo; avevano
anche trovato sotto la zona torrida regioni molto popolate, e avevano osservato nuove costellazioni nel cielo
degli Antipodi.
Edizione: GERALDINI, lib. XIV, p. 394. Traduzione: NUOVO MONDO, lib. XIV, p. 372.
Nota: già Antonio, fratello di Alessandro, aveva prestato un grande aiuto a Colombo (docc. 95 e 96).
doc. 112
(1522 —› Santa Fe 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, Alessandro Geraldini difende il progetto e nasce un’amicizia
Et tandem, ut ad iter meum redeam, Beriquaeiam insulam deteximus, qua<e> modo Gratiosa dicitur, et nobile
matris meae nomen a Colono Ligure inditum tenet, quae genere, sanctitate, antiquis moribus, multa doctrina
et testata in Deum pietate clara fuit. Tunc ego laetus quod antiquam mecum amicitiam Colonus servasset, eo
scilicet tempore quo eum ad talem in magno Oceano expeditionem capiendam iuvi: nam cum ego genitricem
meam summopere, me minime petente, commendarem, ipse mihi respondit se illustre matris meae nomen alicui
nobili insulae inditurum esse; et tunc ego cum grandi ubique gaudio in proximum portum descendi, inde insulam
intravi altis arboribus plenam, herbiferis campis insignem, gelidis fontibus et multis rivis celebrem.
Per continuare poi con il mio viaggio, arrivammo finalmente alla isola Berequeya che ora si chiama Graziosa:
così battezzata dal ligure Colombo con il nome della mia nobile madre, che si distinse per la grande santità, per
la morigeratezza dei costumi, per il grande sapere e per la straordinaria fede in Dio.
Io fui felice di vedere come Colombo nutrisse ancora per me l’antica amicizia, nata al tempo in cui l’avevo
aiutato ad intraprendere la spedizione attraverso il grande Oceano; gli avevo infatti parlato più volte e con molto
entusiasmo di mia madre, ed egli mi aveva promesso – pur non avendogli io mai chiesto una simile cosa – che
avrebbe dato l’illustre nome di mia madre a una qualche lontana isola. Arrivati dunque all’isola Graziosa, ci
fermammo nella baia più vicina: e io, con animo lieto, scesi a terra senza esitare, addentrandomi nell’isola ricca
di alti alberi, di superbi prati erbosi, di freschissime fonti e di molti torrenti.
Edizione: GERALDINI, lib. XII, pp. 376 e 378. Traduzione: NUOVO MONDO, lib. XII, p. 364.
Nota: leggi nota al doc. 111.
Battezzando l’isola di Berequeya con il nome della madre di Alessandro, Colombo intenderà certamente pagare
un debito di riconoscenza anche nei confronti del defunto Antonio, fratello di Alessandro.
doc. 113
(15?? —› Santa Fe 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, la giunta e i re respingono infine il progetto
Ma percioché il parer del Prior di Prado e de gli altri suoi seguaci gli era contrario, e dall’altro canto
l’Ammiraglio dimandava l’ammiragliato e titolo di viceré e altre cose di grande stima e importanza, le parve
cosa dura concedergliele, conciosia che riuscendo vero quel ch’ei proponeva, stimavano molto quel ch’egli
dimandava, e riuscendo in contrario, gli parea leggerezza il concederlo; da che seguì che il negocio totalmente
andò in fumo.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. XIII, p. 69.
Nota: si conclude ufficialmente una vicenda ufficialmente iniziata sei anni addietro (doc. 65).
doc. 114
(15?? —› Santa Fe 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, Colombo si congeda e parte per Cordova, intenzionato a
recarsi in Francia
Là onde, essendo cotai cose così importanti e le Altezze Loro non volendo concederle, l’Ammiraglio tolse
commiato da’ suoi amici e se n’andò alla volta di Cordova per dare ordine alla sua andata in Francia, percioché
in Portogallo s’era già risoluto di non voler tornare, ancora che il re glie ne avesse scritto, come si dirà.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. XIII, p. 70.
Nota: leggi docc. 80-81 e 90.
137
Gianfranco Ribaldone
doc. 115
(1504 —› 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, perorazione di Diego de Deza presso il re
Acá, si posible fuese, querría cada día cartas. De Diego Méndez me queso si non lo haz y de Gerónimo, y
después de los otros quando allá llegaren. Es de trabajar de saber si la Reina, que Dios tiene, dexó dicho algo
en su testamento de mí, y es de dar priesa al Señor Obispo de Palençia, el que fue causa que Sus Altezas oviesen
las Indias y que yo quedase en Castilla, que ya estaba yo de camino para fuera, y ansí al señor camarero de
Su Alteza.
Qui, se fosse possibile, vorrei ricevere lettere ogni giorno. Mi lagno di Diego Méndez, che non mi scrive e di
Gerónimo, e di tutti coloro che vengono a Corte. Bisogna industriarsi a sapere se la Regina, che Dio serba nella
sua gloria, ha lasciato scritto di me nel suo testamento; e sollecitare il Signor Vescovo di Palençia che fu causa
per cui le Loro Altezze han guadagnato le Indie e io mi trattenni in Castiglia quando ero già in procinto di
lasciarla; e altrettanto va fatto con il ciambellano di Sua Altezza.
Lettera autografa al figlio Diego, scritta a Siviglia il 21 dicembre 1504; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI
SIVIGLIA, Patronato 295, 55.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 372. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. LXXIX, p. 367.
Nota: nella lettera al figlio Diego, dodici anni più tardi, Colombo ricorderà appunto il Signor Vescovo di
Palençia che fu causa per cui le Loro Altezze han guadagnato le Indie e io mi trattenni in Castiglia quando ero
già in procinto di lasciarla.
Per l’intervento di Diego de Deza presso il re, che nei mesi successivi (una volta ottenuto il regale assenso al
progetto; leggi doc. 119) sarebbe continuato per la definizione di ulteriori dettagli, anche con l’attiva
collaborazione del ciambellano Juan Cabrero e con l’assistenza di Hernando de Talavera: MANZANO SETTE
ANNI, pp. 227-241.
Leggi nota al doc. 116.
doc. 116
(15?? —› Santa Fe 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, perorazione di Luis de Santángel presso la regina
Essendo già entrato il mese di genaio dell’anno MCCCCXCII, lo istesso giorno che l’Ammiraglio partì da
Santa Fede, percioché fra gli altri a chi dispiaceva la sua partita Luigi di Santo Angelo, di cui di sopra abbiamo
fatta menzione, bramando a ciò alcun rimedio, andò a trovar la reina, e con parole che il desiderio gli
somministrava, per persuaderla e riprenderla insieme, le disse ch’ei si maravigliava molto di vedere che
essendo sempre avanzato animo a Sua Altezza per ogni cosa grave e importante, le mancasse ora per
imprenderne una nella quale sì poco si avventurava, e dalla quale tanto servizio a Dio e a essaltazione della
sua Chiesa potea ritornare, non senza grandissimo accrescimento e gloria de’ suoi regni e stati, e tale finalmente
che se alcun altro principe la conseguisse come l’offerìa l’Ammiraglio, era chiaro il danno che al suo stato
ritornerebbe; e che in tal caso da’ suoi amici e servitori sarebbe con giusta causa gravemente ripresa, e da’ suoi
nimici biasimata, onde tutti poscia direbbono esserle bene impiegata tanta disavventura; e che ancora ella
stessa se ne dorrebbe, e i suoi successori giusto cordoglio ne sentirebbono. Là onde, poi che pareva il negocio
aver buon fondamento e l’Ammiraglio che il proponeva era di buon giudicio e sapere, e non chiedeva altro
premio se non di quel che trovasse, e si contentava di concorrere in parte della spesa e avventurava la sua
persona, non doveva Sua Altezza stimarla cosa tanto impossibile come que’ letterati le dicevano; e che quel
ch’essi dicevano, che sarebbe cosa biasimevole lo aver aiutata così fatta impresa quando ella non riuscisse così
bene come proponea l’Ammiraglio, era vanità; anzi ch’egli era di contrario parere a loro, il qual credea che
più tosto sarebbono giudicati principi magnanimi e generosi, per aver tentato di saper le grandezze e i secreti
dell’universo. Il che avevano fatto altri re e signori, e era loro stato attribuito a gran laude. Ma quando anche
fosse tanto incerta la riuscita, per trovar la verità di cotal dubbio era bene impiegata ogni gran somma d’oro.
Oltra che l’Ammiraglio non chiedeva altro che MMD scudi per metter l’armata ad ordine, e però, accioché non
si dicesse che la paura di sì poca spesa la riteneva, non dovea in modo alcuno abandonar quella impresa.
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. XIV, pp. 71-72.
Nota: in attuazione di una strategia degli amici di Colombo, probabilmente tra loro concordata, Luis de
Santángel interviene presso la regina, mentre Diego de Deza presso il re (doc. 115).
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Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
doc. 117
(15?? —› Santa Fe 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, la regina fa tornare Colombo
Alle quai parole la Catolica Reina, conoscendo il buon desiderio del Santo Angelo, rispose ringraziandolo del
suo buon consiglio e dicendo ch’era contenta di accettarlo, con patto che si differisse la essecuzione fin che
rispirasse alquanto da’ travagli di quelle guerre. E quando pure anco altro a lui paresse, contentava che sopra
le gioie della sua camera si cercasse imprestito della quantità de’ denari necessaria per far detta armata. Ma
Santo Angelo, veduto il favore fattogli dalla reina in accettar per suo consiglio quel che per consiglio di ogni
altro avea rifiutato, rispose che non facea mistiero d’impegnar le gioie, percioché egli farebbe lieve servizio a
Sua Altezza imprestandole i suoi denari. E con tal risoluzione la reina espedì tosto un capitano per le poste,
per far tornar a dietro l’Ammiraglio. Questi arrivollo presso alla porta di Pinos, due leghe da Granata lontano;
e quantunque l’Ammiraglio si dolesse delle dilazioni e difficultà che nella sua impresa aveva trovate,
nondimeno, informato della determinazione e volontà della reina, tornò a dietro a Santa Fede, ove fu ben
veduto da’ Re Catolici (…).
Edizione: FERNANDO, t. I, cap. XIV, p. 72.
Nota: leggi nota al doc. 118.
doc. 118
(1500 —› Spagna 1485-1492; 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, dalla regina l’estremo atto di sostegno a Colombo
Yo vine con amor tan entrañable a servir a estos Príncipes, y e servido de servicio de que jamás se oyó ni vido.
Del nuevo cielo y tierra que dezía Nuestro Señor por Sant Juan en el Apocalipsi, después de dicho por boca de
Isaías, me hizo mensajero y amostró aquella parte. En todos ovo incredulidad, y a la Reina, mi Señora, dio
d’ello el espíritu de intelligençia y esfuerço grande y lo hizo de todo heredera, como a cara y muy amada hija.
La possessión de todo esto fue yo a tomar en su real nombre. La ignorancia en que avían estado todos, quisieron
enmendallo traspassando el poco saber a fablar en inconvenientes y gastos. Su Alteza lo aprobava, al contrario,
y lo sostuvo hasta que pudo.
Siete años me passaron en la plática (…).
Io venni con amore infinitamente profondo a servire questi Principi, e li ho serviti di servigi tali quali mai si
udì né si vide.
Del nuovo cielo e della nuova terra che Nostro Signore annunciò per mano di San Giovanni nell’Apocalisse, e
prima disse per bocca di Isaia, mi fece messaggero, indicandomene il cammino. In tutti trovai incredulità, e alla
Regina, mia Signora, Egli diede spirito d’intelligenza e grande ardire e la scelse qual erede d’ogni cosa, come
la più cara e amatissima tra le sue figlie. E io fui chiamato a prender possesso di tutto, nel suo reale nome. Tutti
s’ingegnavano a emendare l’ignoranza nella quale s’eran dibattuti, e questo cercavano volgendo il loro poco
sapere a dire d’ostacoli e di spese. Solo Sua Altezza mi dava conforto, e mi sostenne fin quanto potè.
Sette anni se ne andarono via in discussioni (…).
Copia di Bartolomé de Las Casas dalla lettera che Colombo scrisse, probabilmente nel mese di ottobre o di
novembre o all’inizio di dicembre del 1500, a Doña Juana de la Torre, nutrice del Principe Don Juan, in un
momento di grandissima frustrazione, dopo le catene del Bobadilla e prima che i sovrani dessero il 12 dicembre
(MORISON; p. 584) l’ordine di rilasciarlo e lo convocassero a Corte; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms
Res. 21, ff. 490v sgg.
Edizione: COLOMBO LETTERE, t. II, p. 184. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. XLI, pp. 274-275.
Nota: il consenso della regina all’invito del Santángel rimarrà per sempre impresso nella memoria di Colombo.
Per la consonanza di carattere tra la regina Isabella e Colombo: MORISON, pp. 90-91 e 107-108.
doc. 119
(1515 —› Santa Fe 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, il re affida a Deza e a Talavera il compito di parlare con
Colombo
Muy poderoso sennor: Las preguntas a que V.A., si fuere servido, por hacer merçed al Almirante de las Indias,
ha de responder, son estas:
I. Primeramente, que quando el Almirante, su padre, vino a estos vuestros reynos y se ofreçió que descubriría
estas tierras, vuestras Altezas lo tenían por ynposible y por cosa de burla.
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Gianfranco Ribaldone
II. Ytem, quel dicho Almirante anduvo más de siete annos suplicando a V.A. que tomase asiento con él y
favoresçiese la negoçiaçión y quél descubriría las dichas Yndias; y V.A. lo cometió a los arçobispos de Sevilla
y Granada que platicasen con el dicho Almirante para ver si traya camino lo que dezía.
III. Ytem, que los dichos arçobispos platicaron con el dicho Almirante muchas vezes, y, vistas sus razones,
ellos y Juan Cabrero, camarero de V.A., dieron su pareçer que V.A. devía mandar hazer esta espiriençia aunque
se gastase alguna cantidad, por el grand provecho y honrra que se esperava de descobrirse las dichas Yndias.
IV. Ytem, visto este parecer, V.A. mandó dar un quento al dicho Almirante para el gasto del armada que se ovo
de fazer para descobrir aquellas tierras, y se tomó con el dicho Almirante çierta capitulación, y se le
conçedieron previlegios sobre ello. Y él se partió estando V.A. en Granada el anno M.CCCC.XCII, y se fue al
puerto de Palos, donde armó tres navíos de gente y mantenimientos, y se enbarcó y tomó su viaje.
Potentissimo signore: Le domande alle quali V.A., se vorrà, per fare cosa grata all’Ammiraglio delle Indie,
dovrà rispondere, sono queste:
I. Per prima cosa, che, quando l’Ammiraglio, suo padre, venne in questi vostri regni e si offrì di scoprire queste
terre, le Vostre Altezze la ritennero cosa impossibile e fantastica.
II. Ugualmente, che il detto Ammiraglio supplicò per più di sette anni V.A. che sedesse con lui e favorisse il
negoziato e che egli avrebbe scoperto le dette Indie; e V.A. affidò agli arcivescovi di Siviglia e di Granada il
compito di parlare con il detto Ammiraglio per vedere se ciò che diceva aveva fondamento.
III. Ugualmente, che i suddetti arcivescovi discussero con il detto Ammiraglio molte volte, e, visti i suoi motivi,
essi e Juan Cabrero, cameriere di V.A., dettero il loro parere che V.A. doveva ordinare di fare questa esperienza
anche se si fosse dovuto spendere un po’, a causa del gran profitto e onore che si speravano con la scoperta delle
dette Indie.
IV. Ugualmente, visto questo parere, V.A. fece aprire un conto per il detto Ammiraglio per le spese della flotta
che si dovè creare per scoprire quelle terre, e si redasse con il detto Ammiraglio una certa capitolazione, e gli
si concessero privilegi su ciò. Ed egli partì mentre V.A. si trovava a Granada nell’anno 1492, andò al porto di
Palos, dove armò tre navi di equipaggio e viveri, e si imbarcò e fece il suo viaggio.
Prime quattro domande di un questionario diretto a re Ferdinando e redatto da Diego Colombo, figlio di
Cristoforo, nei Pleitos colombiani, nella città di Valladolid il 3 febbraio 1515; ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI
SIVIGLIA, Patronato, fasc. 11, n. 1, R° 5, f. 85.
Edizione: MANZANO SIETE AÑOS, p. 264. Traduzione: MANZANO SETTE ANNI, p. 228.
Nota: gli arcivescovi di Siviglia e di Granada, citati nella seconda domanda del questionario di Diego Colombo,
diretto a re Ferdinando, sono rispettivamente Diego de Deza e Hernando de Talavera (arcivescovi delle rispettive
sedi nell’anno in cui fu redatto il questionario).
Il fatto che il re affidi a Deza e a Talavera il compito di parlare personalmente con Cristoforo Colombo, non
più delegando una giunta, di lì a qualche mese verrà ricordato dall’Ammiraglio del mare Oceano come il primo
regale assenso (doc. 120).
doc. 120
(1492 —› Santa Fe 1492)
1492 (gennaio), corte castigliana. A Santa Fe, i re affidano a Colombo la spedizione verso le Indie
Porque, cristianíssimos y muy altos y muy excelentes y muy poderosos Prínçipes, Rey e Reina de las Españas
y de las islas de la mar, Nuestros Señores, este presente año de 1492 (…) a dos días del mes de enero, por
fuerça de armas vide poner las vanderas reales de Vuestras Altezas en las torres de la Alfambra (…) y luego
en aquel presente mes, por la informaçión que yo avía dado a Vuestras Altezas de las tierras de India y de un
Príncipe que es llamado Gran Can (que quiere dezir en nuestro romançe Rey de los Reyes), como muchas vezes
él y sus anteçessores avían enbiado a Roma a pedir doctores en nuestra sancta fe porque le enseñasen en ella,
y que nunca el Sancto Padre le avía proveído y se perdían tantos pueblos, cayendo en idolatrías e resçibiendo
en sí sectas de perdiçión; y Vuestras Altezas, como cathólicos cristianos y prínçipes amadores de la sancta fe
cristiana y acreçentadores d’ella y enemigos de la secta de Mahoma y de todas idolatrías y heregías, pensaron
de enbiarme a mí, Cristóval Colón, a las dichas partidas de India para ver los dichos prínçipes y los pueblos
y las tierras y la disposiçión d’ellas y de todo, y la manera que se pudiera tener para la conversión d’ellas a
nuestra sancta fe, y ordenaron que yo no fuese por tierra al Oriente, por donde se costumbra de andar, salvo
por el camino de Occidente, por donde hasta oy no sabemos por cierta fe que aya passado nadie; así que,
después de aver echado fuera todos los judíos de todos vuestros reinos y señoríos, en el mismo mes de Enero,
mandaron Vuestras Altezas a mí que con armada suffiçiente me fuese a las dichas partidas de India (…).
140
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
Perché, cristianissimi e altissimi ed eccellentissimi e molto potenti Principi, Re e Regina delle Spagne e delle
isole del mare, Nostri Signori, questo presente anno 1492 (…) il giorno due del mese di gennaio, per forza
delle armi vidi spiegati i vessilli reali delle Vostre Altezze sulle torri dell’Alfambra (…) e quindi, in quello
stesso mese, mossi dall’informazione che io avevo dato alle Vostre Altezze sulle terre d’India e intorno a un
Principe che è chiamato Gran Can (che significa nella nostra lingua Re dei Re), posto che molte volte egli, al
pari dei suoi predecessori, aveva inviato a Roma a sollecitare dottori nella nostra santa fede acciocché ne fossero
istruiti, e che mai il Santo Padre aveva a ciò provveduto e si perdevano tanti popoli, che cadevano in idolatria
e accoglievano fra loro sette di perdizione; e le Vostre Altezze, quali cattolici cristiani e principi zelanti della
santa fede cristiana, e solleciti del suo aumento e diffusione, e nemici della setta di Maometto e di tutte le
idolatrie ed eresie, pensarono di mandare me, Cristoforo Colombo, alle dette contrade dell’India, per vedere i
detti principi e i popoli e le terre e la disposizione loro e lo stato d’ogni cosa e il modo in cui si potesse arrivare
alla conversione loro alla nostra santa fede; e disposero ch’io non movessi alla volta di Oriente per via di terra,
per dove si è usi passare, ma per il cammino di Occidente, attraverso cui fino al presente non sappiamo a scienza
certa esser passata persona; cosicché, cacciati tutti i giudei da tutti i vostri regni e signorie, nello stesso mese
di gennaio, ordinarono le Vostre Altezze a me che con flotta adeguata fossi alle dette parti dell’India (…).
Copia di Bartolomé de Las Casas dal diario del primo viaggio di Cristoforo Colombo, annotazione introduttiva
del 3 agosto 1492; BIBLIOTECA NACIONAL DI MADRID, Ms. bacheca 6-7.
Edizione: COLOMBO DIARIO, t. I, pp. 8 e 10. Traduzione: VARELA SCRITTI, doc. II, pp. 10 e 11.
Nota: nello stesso mese di gennaio, ordinarono le Vostre Altezze a me che con flotta adeguata fossi alle dette
parti dell’India.
In realtà le discussioni si prolungarono ben oltre il mese di gennaio (i suddetti arcivescovi discussero con il detto
Ammiraglio molte volte, leggi la terza domanda del doc. 119); seguiranno poi le faticose trattative che
condurranno alle Capitolazioni (o Articoli di Convenzione) del 17 aprile 1492 (cfr. MORISON, pp. 108-110).
Tuttavia leggi nota al doc. 119.
141
Gianfranco Ribaldone
9. Ipotesi e dintorni
Non ritengo assodata, ma solo ipotetica, l’identificazione del padre dell’Ammiraglio del mare
Oceano (e padre anche di Bartolomeo e di Giacomo, che in Spagna fu detto Diego) con Domenico di
Quinto, tessitore di panni di lana (e, in alcuni momenti della sua vita, taverniere e formaggiaio). È
ben documentata l’esistenza di Domenico di Quinto ed è provato che ebbe (oltre a Bianchinetta)
almeno due figli maschi (Cristoforo, a Genova e a Savona dal 1470 al 1473 lanaiolo e collaboratore
del padre lanaiolo e taverniere, e Giovanni Pellegrino, presente con il fratello Cristoforo in un atto
rogato a Savona il 7 agosto 1473) o più probabilmente tre (in un atto rogato a Genova il 25 agosto 1487
compare come testimone Giacomo Colombo, tessitore di panni di lana, figlio di Domenico), ma l’unico
rogito manoscritto in cui Domenico appare come parte agente a nome di tre figli assenti, chiamati
Cristoforo, Bartolomeo e Giacomo (insomma compare all’improvviso un Bartolomeo, mentre di
Giovanni Pellegrino nulla più sappiamo...), datato 21 luglio 1489, appartiene ad una filza sciolta, in
cui era molto facile la sostituzione fraudolenta di una carta con un’altra. Inoltre la tradizione sul
tessitore, padre dell’Ammiraglio del mare Oceano, risale al De navigatione Columbi del notaio Antonio
Gallo, morto tra l’ottobre 1509 e il febbraio 1510, cancelliere di quella Casa di San Giorgio fortemente
creditrice nei confronti dell’Ammiraglio. Cristoforo stesso nella lettera autografa a Juan Luis de Mayo
del 27 dicembre 1504 (da non confondere con quella scritta lo stesso giorno a Niccolò Oderigo, in cui
lamenta la mancata risposta della Casa) precisa che l’offerta alla Casa di San Giorgio della decima delle
sue rendite (virtuali, essendo in atto la controversia colombiana con la Corte sul metodo di calcolo delle
stesse, disputa che si concluderà con una sentenza arbitrale trentanni dopo la morte dell’Ammiraglio...)
va intesa come acconto ai diritti della Casa stessa. Non è dunque improbabile che la Casa di San
Giorgio, profittando di omonimie, abbia adottato alcuni sedicenti parenti genovesi come prestanome,
per entrare nel gioco della successione in caso di morte precoce senza eredi dei fratelli e dei figli di
Cristoforo, volendo far fruttare i finanziamenti da lei concessi alle spedizioni colombiane. Del resto i
sedicenti parenti genovesi, Giannetto, Matteo e Amighetto Colombo, figli di un fratello del lanaiolo
Domenico, che secondo un atto del 1496 si sarebbero accordati per pagare il viaggio al primo di loro
perché andasse in Spagna a trovare l’Ammiraglio, erano fortemente indebitati (dunque facilmente
manipolabili) proprio verso il succitato notaio Antonio Gallo, cancelliere di San Giorgio; Bertonia,
moglie di Giannetto, fu persino costretta a lavorare con la conocchia al servizio di Damianina, seconda
moglie di Antonio Gallo, per rimborsarle un prestito, come risulta dal registro dei conti del Gallo in
data 3 aprile 1504. Concludere tuttavia che sia cosa certa un piano di falsificazione ordito dalla Casa
di San Giorgio, attraverso la regia di Antonio Gallo, significa cadere nell’errore eguale e opposto di
chi non ha dubbi sull’identità tra lo scopritore delle Nuove Indie e il figlio del lanaiolo (e taverniere
e formaggiaio) Domenico Colombo di Quinto.
Un’ultima riflessione, che vorrei proporre in forma di domanda: i dati cronologici riguardanti
Cristoforo di Domenico di Quinto, personaggio realmente esistito, nato verso il 1451 (come risulta
dall’atto rogato il 31 ottobre 1470) e impegnato (come risulta dai rogiti del periodo) con una certa
continuità tra il 1470 e il 1472 nella bottega paterna, come lanaiolo e come collaboratore del padre
lanaiolo e taverniere, prima a Genova e poi a Savona, sono veramente compatibili con il lungo e
durissimo tirocinio sul mare del futuro Ammiraglio, che iniziò (docc. 13 e 14) ben dieci anni prima,
nel 1460/1461, e durò ventitré anni, fino al 1483, con sosta a terra per minimo spazio di tempo (docc.
14 e 22-28), prima della lunga sosta in terra di Spagna? Ripeto: per minimo spazio di tempo.
Non considero documento probante nemmeno quello pervenutoci sul testamento-maggiorasco del
1498, l’unica carta in cui l’Ammiraglio è detto nato a Genova: non è in discussione l’istituzione
colombiana del Maggiorasco nel 1497/1498 (lo dimostra la cedola reale di conferma
dell’autorizzazione regia, nell’Archivio di Simancas, risalente al settembre 1501 e contenente un
riferimento al Maggiorasco del 1498, cosa impensabile in assenza di un regolare rogito comprovante
la volontà di Cristoforo Colombo), ma è dubbia l’attendibilità dei documenti pervenutici, copie
142
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
semplici senza alcuna indicazione di testimoni, forse ancor più degne di sospetto dell’esemplare fatto
rinvenire nel maggio 1579, iniziata la causa per la successione al Maggiorasco, e ritenuto dai giudici
castigliani privo di ogni garanzia minima di autenticità, prima ancora che il documento subisse ulteriori
e irreparabili manomissioni durante la causa stessa e divenisse ragione di un’azione penale nei
confronti del responsabile, Francisco de Mendoza, sposo di doña Maria de Cardona y Colón, una dei
pretendenti all’eredità dello Scopritore.
Ritengo ipotetica anche l’identificazione del padre di Cristoforo con il monferrino Domenico
Colombo di Cuccaro, figlio di Lancia. Tuttavia è giusto ricordare che
1) le rogatorie presentate a Madrid da Baldassarre Colombo di Cuccaro nella causa per la successione
al Maggiorasco, iniziata nel 1579 per la morte dell’ultimo discendente maschio di Cristoforo Colombo,
testimoniano per lo meno l’esistenza nel Cinquecento monferrino di una radicata tradizione, secondo
cui l’Ammiraglio avrebbe avuto origine dalla nobile famiglia dei Colombo di Cuccaro (la Repubblica
di Genova invece non trovò alcuna testimonianza credibile per i discendenti dei sedicenti parenti
genovesi di Cristoforo e alla fine appoggiò a Madrid un certo Bernardo Colombo di Cogoleto, che fu
subito escluso dal pleito per deficienza di documentazione);
2) la sentenza del Tribunale Castigliano delle Indie a Madrid non negò le ragioni di Baldassarre
Colombo di Cuccaro, dichiaratosi il parente più stretto di Cristoforo tra quelli sopravvissuti in linea
maschile per via di agnazione, ma fece prevalere il principio della discendenza diretta su quello
dell’agnazione maschile, riconoscendo comunque a Baldassarre, con dispositivo in grado di secondo
appello, il 12 dicembre 1608, la somma di 2000 ducati secondo la volontà dell’Ammiraglio di destinare
una parte della decima ai parenti poveri;
3) le ultime ricerche archivistiche hanno rivelato la profonda simbiosi dei nobili Colombo del castrum
di Cuccaro con il ramo monferrino della dinastia paleologa, i rapporti ospitali e parentali con alcune
delle più potenti famiglie liguri, il respiro europeo del loro orizzonte già prima della diaspora che, a
partire dai drammatici eventi degli anni 1432-1434 quando il marchesato fu occupato dalle truppe
viscontee, coinvolse alcuni di loro nel grande sogno mediterraneo di re Renato d’Angiò, il cui vento
soffiava verso Napoli e, in un anelito supremo, verso Oriente. Profondo e documentato è il legame dei
Colombo di Cuccaro con Renato, proprio il re citato nell’episodio che, tra quelli che l’Ammiraglio
raccontò della sua vita, è il più lontano nel tempo:
“A mí acaeçió que el rey Reynel, que Dios tiene, me enbió a Túnez para prender la galeaça
Fernandina, y estando ya sobre la isla de Sant Pedro, en Cerdeña, me dixo una saltía que estavan con
la dicha galeaça dos naos y una carraca; por lo qual se alteró la gente que iva conmigo, y
determinaron de no seguir el viaje, salvo de se bolver a Marsella por otra nao y más gente”.
“Mi accadde che il re Reynel, che Dio abbia in gloria, mi inviò a Tunisi per catturare la galeazza
fernandina, e trovandomi io già sopra l’isola di San Pietro, in Sardegna, mi si disse da una nave pirata
che insieme con la detta galeazza venivano pure due navi e una caracca; e a causa di ciò gli uomini
che navigavano con me si agitarono e determinarono di non continuare il viaggio, ma di fare piuttosto
ritorno a Marsiglia a procurarsi un’altra nave e rinforzi”.
Anche l’anno di nascita di Cristoforo è incerto. Il 1454/1457 se non si ammettesse l’errore del
copista che trascrisse la relazione sul quarto viaggio, stesa nell’isola di Giamaica il 7 luglio 1503 (doc.
2): Io venni a servire < le V. Al.> di età di ventott’anni, e al presente non ho un solo capello che non
sia canuto e il corpo malato e consunto, che è quanto mi è restato di allora (il 20 gennaio 1486
Cristoforo iniziò ufficialmente il servizio presso la Corte, come risulta dal doc. 65, ma in Castiglia era
giunto una prima volta già verso la fine del 1483, come dimostrano i docc. 41-43). Il 1451/1452 se si
identificasse con il futuro Ammiraglio del mare Oceano il giovane di nome Cristoforo Colombo,
cittadino genovese che nell’agosto 1479, reduce da un viaggio commerciale a Madera e in procinto di
partire per Lisbona, dichiarò la sua età, viginti septem vel circa (è questo il celebre documento Assereto,
143
Gianfranco Ribaldone
dal nome di chi lo scoprì e lo fece conoscere al mondo nel 1904, rogito che secondo alcuni ricollega
“inequivocabilmente” la figura del lanaiolo genovese con quella dell’Ammiraglio, ma in realtà nulla
prova che il giovane in procinto di partire per Lisbona sia il figlio di Domenico lanaiolo e/o il futuro
Ammiraglio del mare Oceano). Il 1445/1447 se si accettasse la testimonianza del figlio Fernando: E
più oltre dice, che cominciò a navigar di quattordici anni, e che sempre seguì il mare (l’inizio della
navigazione quasi ininterrotta risale al 1460/1461, come risulta dai docc. 13 e 14 della nostra raccolta).
Il 1435/1436 se si prendessero alla lettera le parole di Andrés Bernáldez, che ospitò a lungo Colombo:
morì a Valladolid nel 1506 a 70 anni. Nessuna di queste testimonianze mi sembra probante per risalire
all’anno natale di Cristoforo Colombo. Aggiungo un’ipotesi: se le succitate parole Io venni a servire
di età di ventott’anni, contenute nella relazione sul quarto viaggio indirizzata ai reali di Spagna, si
riferissero all’inizio del servizio in terra iberica (che prese avvio in Portogallo nel 1474, come risulta
dal doc. 18 del nostro repertorio documentario, dopo un periodo di navigazioni un po’ corsaresche,
come dimostrerebbe il doc. 16; del doc. 13 leggi la nota) non sarebbe necessario presumere un errore
del copista, e l’anno di nascita di Cristoforo risulterebbe il 1445/1446; del resto il servizio lusitano
viene rivissuto nella memoria di Colombo come una prefigurazione di quello castigliano (leggi doc.
18). La nostra ipotesi è autorizzata dal contesto stesso: l’Ammiraglio, vedendosi abbandonato, torna
a sentirsi un povero straniero, come probabilmente – aggiungiamo noi – si era sentito all’arrivo nella
penisola iberica, all’avvio del suo primo servizio istituzionale, quello con il re di Portogallo, con la
differenza che allora era giovane e nel vigore delle forze e delle speranze. Questa data si accorderebbe
inoltre con la testimonianza fernandina. Ma anche questa è un’ipotesi, solo un’ipotesi.
144
Traccia biografica su Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni
Per alcuni debiti di Matteo e Amighetto (che il Gallo chiama Mico, Migo, Amico, Amigo) Colombo verso
Antonio Gallo e per alcune loro prestazioni lavorative su sua committenza, nell’arco degli anni 1504-1505 per
Matteo e 1504-1509 per Migo (e Maria de Migo):
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Manoscritti, 711, ff. IIv, XIIIv, XVIv, XIXr, XXIIIv, XXVr, XXXVIIv, XLIIv,
LVIr, LIXr, LXIIv, LXVv, LXXIIIv, LXXXIIv, LXXXVIIIv, CIIIIv.
.
Per un debito di Bertonia, moglie di Giannetto, nei confronti dei Gallo, saldato con il lavoro alla conocchia:
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Manoscritti, 711, f. XIIv.
Per il De navigatione Columbi di Antonio Gallo:
ANTONIO GALLO, De navigatione Columbi per inaccessum antea Oceanum commentariolus, in LODOVICO
ANTONIO MURATORI, Rerum Italicarum scriptores, t. XXIII, Milano 1733 (testo edito e tradotto in La scoperta
nelle relazioni sincrone degli Italiani, a cura di Gabriella Airaldi e Luciano Formisano, “Nuova Raccolta
Colombiana” 5, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1996), coll. 301-304.
Per l’atto in cui un Cristoforo, figlio di Domenico, è dichiarato maggiore di diciannove anni:
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Notai antichi, filza 2, not. Nicola Raggio, n. 905, atto 31-10-1470;
per alcuni atti in cui un Cristoforo, figlio di Domenico, appare presente tra il 1470 e il 1472 a Genova e a
Savona, come lanaiolo e come collaboratore del padre lanaiolo e taverniere:
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Notai antichi, filza 2, not. Nicola Raggio, n. 905, atto 31-10-1470;
ARCHIVIO DI STATO DI SAVONA, Antichi notai di Savona, bastardello 921-926, not. Lodovico Moreno, cc. CCLXI-
CCLXIII, atto 20-3-1472;
ARCHIVIO DI STATO DI SAVONA, Antichi notai di Savona, bastardello 1327-I, not. Tommaso del Zocco, c. 358v,
atto 26-8-1472;
per altri atti in cui un Cristoforo, figlio di Domenico, appare presente tra il 1470 e il 1473 a Genova e a Savona:
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Notai antichi, filza 3, not. Giacomo Calvi, n. 370, atto 22-9-1470;
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Notai antichi, filza 2, not. Giacomo e Giovanni Calvi, n. 373, atto 28-9-1470;
ARCHIVIO DI STATO DI SAVONA, Antichi notai di Savona, filza 288-27, not. Pietro Corsaro, atto 7-8-1473.
Per la copia spagnola del testamento-maggiorasco del 1498:
ARCHIVO GENERAL DE INDIAS DI SIVIGLIA, Patronato 295, 101;
traduzione italiana in CRISTOFORO COLOMBO, Gli scritti, a cura di Consuelo Varela, ed. italiana a cura di Paolo
Collo, Torino, Giulio Einaudi editore, 1992, doc. XIX, pp. 194-203.
Per le vicende travagliate della copia semplice, dopo che nel 1579 fu presentata al Tribunale Castigliano delle
Indie:
ANUNCIADA COLÓN DE CARVAJAL, Vicissitudini dell’archivio personale di Cristoforo Colombo, in «Atti del
Congresso Internazionale Colombiano “Cristoforo Colombo, il Piemonte e la scoperta del Venezuela”, Torino
27 marzo 1999-Cuccaro Monferrato 28 marzo 1999», Cuccaro 2001, pp. 13-17.
Per una copia genovese del testamento-maggiorasco del 1498, ricavata nel 1602 per ordine del governo di
Genova da Giovanni Antonio de Marini, oratore inviato a Sua Maestà Cattolica:
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Archivio Segreto, “Politicorum”, filza 3, n. gen. 1649, n. XIX (già nella filza
del cancelliere Gio. Andrea Costa, n. 241, anni 1600-1604).
Per un’altra copia genovese del testamento-maggiorasco del 1498:
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Manoscritti Biblioteca, n. 123, ff. 373v-383v.
Per la cedola reale di conferma del testamento-maggiorasco del 1498:
ARCHIVO GENERAL DI SIMANCAS (il riferimento è da ANUNCIADA COLON DE CARVAJAL, op. cit., p. 17).
Per l’azione penale contro Francisco de Mendoza:
ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejos, fasc. 21475, sottof. 5.
Per le rogatorie presentate a Madrid da Baldassarre Colombo di Cuccaro nella causa per la successione al
Maggiorasco:
ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejos, fasc. 21815, sottof. 62, ff. 129r-257r;
ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejos, fasc. 21476, sottof. 71, ff. 26r-44v;
145
Gianfranco Ribaldone
ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejos, fasc. 21474, sottof. 24, ff. 11r-41r;
ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejos, fasc. 21475, sottof. 8 (antica numeraz. 4);
inoltre, nel presente volume, gli studi:
ANGELICA VALENTINETTI, Causa per il maggiorasco di Cristoforo Colombo; domande di Baldassarre Colombo
di Cuccaro e testimonianze raccolte in Monferrato e in Spagna;
CARLO TIBALDESCHI, Il processo del maggiorasco: le ragioni genealogiche di Baldassarre Colombo di Cuccaro.
Per la causa svoltasi davanti al Tribunale Castigliano delle Indie e per le relative fonti archivistiche:
ANGELICA VALENTINETTI, Baldassarre Colombo attraverso i documenti dell’Archivio Storico di Madrid, in «Atti
del Congresso Internazionale Colombiano “Cristoforo Colombo, il Piemonte e la scoperta del Venezuela”,
Torino 27 marzo 1999 - Cuccaro Monferrato 28 marzo 1999», Cuccaro 2001, pp. 59-72.
Per l’insuccesso a Madrid di Bernardo Colombo di Cogoleto, nella causa per la successione al Maggiorasco:
ANNA MARIA SALONE, Cogoleto. Nove secoli di storia, Cogoleto 1991, pp. 101-125.
Per la sentenza del Tribunale Castigliano delle Indie che a Baldassarre riconobbe 2000 ducati, secondo la volontà
dell’Ammiraglio di destinare una parte della decima ai parenti poveri:
ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejos, fasc. 21476, sottof. 35, ff. 104r-105r.
Per l’occupazione viscontea di parte del Monferrato e in particolare di Cuccaro e dintorni, che provocò la
diaspora dei nobili Colombo di Cuccaro:
ARCHIVIO DI STATO DI MILANO, Archivio ducale visconteo-sforzesco, Registri ducali, 16, ff. 593-601.
Per la storia quattrocentesca dei Colombo di Cuccaro e i regesti dei documenti:
GIANFRANCO RIBALDONE, I discendenti di Lancia Colombo di Cuccaro negli atti notarili del secolo XV -
Ricerca, regesto, ragionamento, in «Atti del Congresso Internazionale Colombiano “Cristoforo Colombo, il
Piemonte e la scoperta del Venezuela”, Torino 27 marzo 1999 - Cuccaro Monferrato 28 marzo 1999», Cuccaro
2001, pp. 175-291;
cfr. inoltre, nel presente volume, l’importante aggiornamento dei regesti:
GIANFRANCO RIBALDONE, La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa.
..
Per l’atto genovese (documento Assereto) da cui si dedurrebbe come anno di nascita di Cristoforo Colombo il
1451/1452:
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Notai antichi, filza 2, not. Gerolamo Ventimiglia, n. 266.
Per la testimonianza di Fernando Colombo, da cui si dedurrebbe come anno di nascita di Cristoforo Colombo
il 1445/1447:
FERNANDO COLOMBO, Le historie della vita e dei fatti dell’Ammiraglio don Cristoforo Colombo, trad. di Alfonso
Ulloa, Venezia 1571, in FERNANDO…, “Nuova Raccolta Colombiana” 8, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca
dello Stato, 1990, t. I, cap. IV, p. 31.
Per la testimonianza di Andrés Bernáldez, da cui si dedurrebbe come anno di nascita di Cristoforo Colombo il
1435/1436:
ANDRÉS BERNÁLDEZ, Historia de los Reyes Católicos don Fernando y doña Isabel, Siviglia 1870, in Le scoperte
di Cristoforo Colombo nelle testimonianze di Diego Alvarez Chanca e di Andres Bernaldez, a cura di Anna
Unali, “Nuova Raccolta Colombiana” 7, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1991, cap. CXXXI,
p. 206.
146
ANDREA LERCARI
In uno studio edito nel 1991 dal titolo Cristoforo Colombo: riflessi genovesi, Geo Pistarino, che
già in precedenza aveva esaminato le problematiche connesse ai testamenti del grande ammiraglio e
ad altre fonti, evidenziò come dalla documentazione colombiana emergano in Colombo una cultura
famigliare riconducibile al modello prettamente genovese e il forte legame da lui espresso con Genova
e con la Casa di San Giorgio1. La conoscenza dell’ambiente genovese e delle sue caratteristiche risulta
quindi importante per comprendere più a fondo il grande personaggio storico e l’uomo,
indipendentemente dalle tesi e dagli studi sulle sue origini, ma può risultare fondamentale anche per
supportare questo secondo filone di ricerca, poiché le fonti documentarie, talvolta frammentarie e
incomplete, potrebbero essere interpretate meglio conoscendo una realtà singolare e articolata quale
fu quella genovese del XV secolo, difficilmente riconducibile agli schemi delle altre entità statuali
dell’epoca. A Genova, infatti, poiché nessuna delle grandi famiglie-albergo che si contendevano il
potere era riuscita a prevalere definitivamente sulle altre, non si era consolidata una signoria dinastica
e le fazioni avevano continuato a scontrarsi generando con la loro conflittualità un’estrema instabilità
politica, che nel corso del XV secolo raggiunse la massima labilità. Contemporaneamente, però, una
solida istituzione finanziaria quale il Banco di San Giorgio, a cui i Genovesi affidarono la sovranità
territoriale dei centri strategici del dominio e della Corsica, e il ruolo esercitato nella pubblica
amministrazione dai membri di famiglie dell’antica nobiltà ormai fuori dai giochi politici, garantì il
funzionamento dello stato, per quanto precario e particolare. Inoltre, i Genovesi, a dispetto delle
conflittualità interne, mantennero il proprio vivace e proficuo impegno nei mercati internazionali,
superando anche le difficoltà derivanti dalla graduale perdita delle antiche colonie del Mediterraneo
orientale, conseguente alla caduta di Costantinopoli (1453).
Le famiglie componenti il ceto dirigente genovese, protagoniste di quella che giustamente è
stata definita “la Storia dei Genovesi” più che la Storia di Genova, a indicare la preminenza
dell’elemento privato su quello pubblico, rappresentano per gli studiosi un microcosmo estremamente
complesso e di difficile comprensione. Proveremo in questa sede a tracciare una sintetica descrizione
del ruolo svolto da queste famiglie, unendo l’esperienza maturata durante numerose ricerche d’archivio
alla specifica bibliografia sul tema, alla quale si rimanda il lettore.
Il gruppo di potere in Genova nel XV secolo aveva raggiunto, se vogliamo, un assetto “definitivo”
con i due grandi schieramenti dei Fregoso e degli Adorno, famiglie popolari che si contendevano il
dogato, ma i cui esponenti non esitavano a sottomettersi a signorie straniere, ora dei sovrani francesi,
ora dei duchi di Milano, quando non riuscivano più a controllare efficacemente l’avversario. Attorno
a questo dualismo si muovevano diversi soggetti politici, inseriti a loro volta nei due schieramenti dei
Nobili e dei Popolari, a loro volta suddivisi in Guelfi (Neri) e Ghibellini (Bianchi), ma la perdita
dell’originario significato delle fazioni e la trasversalità delle alleanze rende spesso vano questo
tentativo di schematizzazione. L’Ordine dei Nobili era in qualche modo più omogeneo: si componeva
in larga parte dei discendenti degli antichi Consoli che avevano retto la vita pubblica del Comune
genovese nel corso del XII secolo e dei Consiglieri che nel corso del secolo successivo avevano
affiancato i Podestà forestieri nel governo, sedendo nel Consiglio appunto chiamato degli Otto Nobili.
Queste famiglie, che erano state le indiscusse protagoniste dell’affermazione politica ed economica
del Comune genovese e della sua espansione coloniale nel Mediterraneo e nel Mar Nero, avevano da
1
G. PISTARINO, Cristoforo Colombo: riflessi genovesi, in La Storia dei Genovesi, XI, Atti del Convegno di studi sui ceti
dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova (Genova, 29 maggio-1° giugno 1990), Genova, 1992, pp. 11-29.
147
Andrea Lercari
tempo perduto quel ruolo preminente a vantaggio della fazione popolare. Indeboliti dalle aspre contese
faziose, a poco a poco i nobiles avevano dovuto condividere il potere con i populares, venendone
addirittura sopravanzati. La fazione popolare aveva preso il potere in città una prima volta nel 1257,
quando Guglielmo Boccanegra si era proclamato capitano del popolo attorniandosi di un consiglio di
trentadue Anziani tutti populares e cacciando momentaneamente dal governo i nobiles, che avevano
continuato a governare la Città sino a quel momento. Con la caduta di Guglielmo nel 1262, dopo un
breve periodo di ricostituzione del regime podestarile, dal 1270 si affermò definitivamente il nuovo
sistema dei capitani del popolo, guidato dagli esponenti della nobiltà: così si succedettero le diarchie
dei Doria e degli Spinola, antichi capi della fazione ghibellina, e dei Fieschi e dei Grimaldi, da tempo
a capo di quella guelfa, affiancati da un abate del popolo tutore degli interessi dei Popolari.
L’Ordine Popolare genovese era una realtà estremamente composita, comprendente persone e
famiglie assai differenti per cultura e tenore di vita: ne facevano parte mercanti e artefici, a loro volta
divisi in bianchi e neri, tutti inizialmente accomunati dal desiderio di partecipare al governo della
cosa pubblica in contrapposizione ai nobili. Vi era quindi una netta distinzione tra le grandi famiglie
a capo della fazione popolare e parte consistente degli aderenti alla stessa. Nei primi anni del Trecento
il perdurare dell’instabilità politica, senza che una parte riuscisse a sovrastare l’altra, ma anzi con una
frammentazione dei tradizionali partiti, spinse il ceto dirigente genovese a sottoporsi a dominazioni
straniere. Così nel 1311 i Genovesi si posero per vent’anni sotto la signoria dell’imperatore Arrigo VII
di Lussemburgo, governo che ebbe breve durata per la prematura scomparsa del sovrano (1313). Dopo
un tentativo di mantenere il controllo della città, i ghibellini furono cacciati dai guelfi, che nel 1318
posero la Città sotto la signoria decennale di papa Giovanni XXII e di Roberto d’Angiò, re di Napoli
e conte di Provenza. Furono aboliti i capitani e il podestà, ma rimase la carica dell’abate del popolo
che affiancava il vero detentore del potere, il vicario o capitano regio. Seguì un periodo di permanente
stato di guerra civile, finché nel 1331 i Guelfi e i Ghibellini inviarono a Napoli dodici rappresentanti
per parte che, equamente divisi tra nobili e popolari, il 2 settembre, al cospetto di re Roberto,
stipularono la pace e consegnarono la Città al sovrano angioino, che governò attraverso un capitano
affiancato da otto abati popolari e da otto nobili sino al 1334. Nel 1335 si instaurò una nuova diarchia
Doria-Spinola, nella quale ai capitani del popolo erano affiancati un podestà e un abate del popolo, ma
il tentativo di ricostituire il precedente ordinamento risultò fallimentare: ormai i tempi e gli equilibri
interni al ceto dirigente erano mutati e i popolari avevano arricchito il proprio potenziale economico
e numerico. Nel settembre del 1339, approfittando di una rivolta dei popolari savonesi, quelli genovesi
si sollevarono, chiedendo di poter eleggere il proprio abate come in passato e, il 23 settembre, quella
che doveva essere l’elezione di un nuovo abate del popolo si trasformò nell’elezione del primo doge
popolare, Simone Boccanegra. Da questo momento la fazione popolare avrebbe sempre condiviso il
potere con l’antica nobiltà, addirittura sopravanzandola, perché ad essa solamente le leggi genovesi
riservavano il dogato. La massima carica, teoricamente a vita ma generalmente di più o meno breve
durata per i continui mutamenti che contraddistinsero la vita politica genovese tra Tre e Quattrocento,
fu inizialmente appannaggio di quattro grandi famiglie popolari: i Guarco, i Montaldo, i Fregoso e gli
Adorno, anche se talvolta fu eletto qualche autorevole esponente delle altre principali famiglie
popolari, poi dei soli Adorno e Fregoso. Accanto a queste famiglie primeggiavano però altre cinque
grandi famiglie popolari, i De Franchi, i De Fornari, i Promontorio, i Sauli e i Giustiniani, le quali
avevano fatto proprie tutte le prerogative della nobiltà: qualificati come mercanti, dove il termine
identificava i banchieri e i protagonisti dei grandi traffici internazionali, attività consuete anche per i
nobili, essi avevano ormai ben poco in comune con gli artefici e i piccoli commercianti. A queste
famiglie, che spesso godevano fuori dal Dominio genovese di vere e proprie signorie feudali e si
imparentavano abitualmente con stirpi signorili liguri e italiane, appartennero giureconsulti, medici,
cavalieri, alti prelati e uomini di cultura.
La disomogeneità del ceto dirigente genovese favorì, in un continuo scambio tra la Città, le
Riviere e l’Oltregiogo, l’inserimento al suo interno di famiglie che, provenienti dal Dominio e dalle
148
Le famiglie storiche di Genova nella società ligure del XV secolo
Regioni limitrofe, attirate dal polo economico rappresentato da Genova, ne acquisirono spesso la
cittadinanza, inserendosi gradualmente anche nel suo tessuto sociale e politico; generalmente i nobili
e i notabili provenienti dalle Riviere che nel corso del Quattrocento si inserirono in città si collocarono
tra le fila dei popolari. Elemento che contribuisce ulteriormente a rendere complessa l’identificazione
di questa fazione è la collocazione al suo interno di molti discendenti delle stirpi signorili rivierasche.
Costoro, da tempo privi di effettive giurisdizioni territoriali ma costantemente riconosciuti dal governo
genovese in quelle esenzioni e immunità fiscali concesse loro dal Comune in cambio della cessione
degli antichi dominî, si erano generalmente insediati nei borghi costieri entrando a far parte dei
notabilati locali; in Genova aderivano generalmente alla fazione popolare. Tali i numerosi casi di
discendenti dei conti di Lavagna, quali i Conti di Rapallo, i Ravaschieri e gli Scorza, dei signori di
Passano e di quelli di Cogorno. Ciò corrisponde in qualche modo al fatto che spesso essi esercitavano
arti, ma pare anche una scelta di convenienza politica. Sono invece numerosi i casi documentati di
famiglie piemontesi e lombarde che, stabilitesi a Genova, si collocarono in seno all’antica nobiltà,
generalmente favorite da legami parentali: tali sono ad esempio i de Ritiliario aggregati all’albergo Di
Negro “di San Lorenzo” nel tardo Quattrocento2, i de Regibus cittadini d’Asti e signori di Prasco in
Monferrato3, gli Aimari di Villafranca4 e i nobili milanesi de’ Gradi e Panigarola5, tutte famiglie i cui
rappresentanti avrebbero poi trovato posto nel patriziato sancito dalla riforma del 1528, venendo ascritti
al Liber Civilitatis e aggregati ai nuovi alberghi.
In questo contesto è fondamentale fornirsi della chiave di lettura idonea per cercare di
comprendere l’ambiente genovese, quale è la conoscenza del modello familiare sul quale esso si
fondava: l’albergo, basato sulla gestione comune del potere e dell’economia da parte dei membri del
clan famigliare, la formazione del quale era stata favorita dalla conflittualità all’interno del gruppo di
potere genovese negli anni a cavallo del Trecento. Questa singolare aggregazione famigliare, di
carattere privato ma riconosciuta dalle leggi genovesi, fondava la propria concezione su una cultura
che in Liguria era condivisa sia dalle famiglie civiche, sia da quelle feudali, le quali non conoscevano
la primogenitura ma erano portatrici di una lunga tradizione di condivisione del potere e di
partecipazione parentale al governo della cosa pubblica. La struttura famigliare orizzontale caratterizzò
anche molte famiglie delle Riviere: nelle valli dell’entroterra infatti, le parentelle gestivano terre e
beni comuni, mantenendo un altare di giuspatronato della famiglia nella locale chiesa parrocchiale e,
analogamente ai clan cittadini, ai quali erano generalmente collegate, si contrapponevano ad altri
gruppi familiari in aspre faide per il controllo economico e territoriale delle località di residenza.
Nell’albergo più famiglie, unite da comuni interessi politici ed economici, si consorziavano in un
unico clan, garantendosi maggiori possibilità di occupazione delle cariche pubbliche: poteva accadere
che famiglie minori fossero assorbite da una maggiore, assumendone il cognome e lo stemma, o che
tutte, con pari dignità, assumessero un cognome ex novo. A questa seconda tipologia appartennero ai
primi anni del Trecento alcuni dei principali alberghi nobili: quello dei Cattaneo, nato dall’unione di
due famiglie consolari originariamente di colore politico differente, i ghibellini Della Volta e i guelfi
Mallone, unite tuttavia dalla contiguità delle proprie abitazioni in città; quello degli Imperiale, nato da
un gruppo di famiglie ghibelline nel 1311, in occasione dell’arrivo in città di Arrigo VII, e ancora
2
A. LERCARI Di Negro Bartolomeo, in Dizionario Biografico dei Liguri, VI, Genova, Consulta Ligure, 2007, pp. 89-101.
3
A. LERCARI, Il “Catalogo del Monferrato” di Evandro Baronino e i feudi monferrini della nobiltà genovese, in I Paleologi
di Monferrato: una grande dinastia europea nel Piemonte tardo medioevale, Atti del Convegno, Trisobbio, 20 settembre
2006, a cura di E. BASSO e di R. MAESTRI, ***, Circolo Culturale “I Marchesi del Monferrato”, 2008, pp. 108-116.
4
A. LERCARI, Aimari, in Repertorio di Fonti sul Patriziato Genovese, presso Soprintendenza Archivistica della Liguria,
http//www.archivi.beniculturali.it/SAGE/Attività.html.
5
Per notizie sull’attività mercantile condotta da queste due importanti famiglie milanesi cfr.: P. MAINONI, Mercanti lombardi
tra Barcellona e Valenza nel basso medioevo, «Studi e testi di Storia Medievale», collana diretta da A. BOSCOLO e G.
SOLDI RONDININI, 2, Bologna, Cappelli Editore, 1982. Sul grande mercante Biagio de’ Gradi cfr. anche: L. BALLETTO,
Dalla Corsica a Marsacares nel secondo Quattrocento, in La Corsica e il mondo mediterraneo nell’età medioevale, a
cura di M.G. MELONI, «Medioevo, saggi e rassegne», 24 (1999), pp. 135-160.
149
Andrea Lercari
quelli dei Centurione, nel quale nel 1379 confluirono le famiglie Oltremarini, Becchignone, Bestagni,
Cantelli e Scotto, e dei Pinelli, composti dai Luciani, Ardimenti e Pignoli. Ma anche alcune delle
principali famiglie nacquero come albergo: primo fra tutti quello dei Giustiniani, formatosi e
sviluppatasi nel corso della seconda metà del Trecento, originato da un fenomeno quale quello della
Maona di Chio (Scio per i Genovesi), società d’amministrazione delle risorse di quest’isola che si
trasformò poi in una vera e propria signoria politica divisa tra i vari compartecipi, che fu all’origine
della volontà da parte dei suoi azionisti di consorziarsi in albergo nel 1362. Alla fondazione
parteciparono Longhi, Fornetti, Banca, Arangi, Campi e Garibaldi, successivamente si vennero ad
aggregare Moneglia, Ugheti, di Negro, Rocca, Recanelli, Oliveri, di Castello, di San Teodoro e di
Pagana. Altra grande famiglia-albergo popolare formata da più famiglie che assunsero un nuovo
cognome fu quella dei De Franchi, nata il 28 gennaio 1393 dall’aggregazione delle famiglie Luxardo,
Tortorino, Toso, Sacco, Calcinara, Figone, Guarco, Torre, Pagana e Magnerri ai quali si aggiunsero
nel 1406 i Giulla e nel 1415 i Bulgaro. La struttura famigliare e sociale genovese ebbe nell’albergo
il suo modulo basilare, anche se la varietà di situazioni è tale da non potersi mai completamente
ricondurre a uno schema univoco. Si verificarono nel corso del Quattrocento aggregazioni e
disaggregazioni di alberghi, come ad esempio il caso dei Pallavicino, una famiglia di antica nobiltà
entrata con i Falamonica e i Ricci nell’albergo capeggiato dai Gentile ma poi uscitane per riaffermare
la propria identità. Certamente gli alberghi ebbero anche una profonda influenza sul tessuto
urbanistico cittadino e sui tipi abitativi genovesi: la contiguità dell’abitazione era un valore
fondamentale e i membri del clan dovevano abitare nella contrada familiare ove le case erano
distribuite attorno alla piazza privata. Gli spazi comuni di aggregazione erano costituiti dalla loggia
e, talvolta, dalla chiesa gentilizia.
Questo edificio rivestiva contemporaneamente il ruolo di fulcro della devozione famigliare e di
luogo di aggregazione e di gestione di beni comuni e nel corso del XVI secolo avrebbe ottenuto in molti
casi il riconoscimento giuridico di parrocchia gentilizia, avente cioè giurisdizione personale sui membri
della famiglia patrona e non territoriale, costituendo una peculiarità significativa del patriziato
genovese. A garanzia di questa compattezza vigeva l’obbligo per i singoli di vendere esclusivamente
a membri dello stesso albergo le proprie case nella contrada.
L’albergo costituì un elemento così forte e radicato nella cultura genovese che divenne il
principale strumento d’attuazione della riforma costituzionale del 1528, dalla quale ebbe origine la
Repubblica aristocratica, per dare ordine al composito ceto di governo che sino ad allora aveva
partecipato all’amministrazione della cosa pubblica: gli aventi diritto ad esercitare le cariche di
governo, compresa quella biennale di doge, furono ascritti al Liber Civilitatis e distribuiti in ventotto
nuovi alberghi a capo dei quali vennero poste venti famiglie dell’Ordine dei Nobili e le cinque
principali popolari, con esclusione degli Adorno e dei Fregoso considerati i principali responsabili
delle divisioni faziose del secolo passato. Sebbene da ente privato fosse divenuto un’ istituzione
pubblica e imposta, potremmo dire, dall’alto, un esame attento dimostra che molte delle aggregazioni
tenevano conto ancora o del vincolo di sangue con la famiglia capo albergo o della contiguità delle
abitazioni o della tradizionale alleanza, elementi forti, anzi determinanti, nella formazione degli
alberghi genovesi medioevali.
Per comprendere la situazione socio politica genovese e ligure del XV secolo non possiamo
ignorare le mutazioni istituzionali che si erano avvicendate dopo il primo dogato di Boccanegra: nel
1344 Simone, pressato dall’avanzata delle truppe dei Grimaldi, Spinola, Doria e Fieschi, finalmente
uniti per spodestare il doge, ma anche da parte consistente della fazione popolare, indispettita sia dalla
preponderanza della famiglia e dell’entourage del Boccanegra sia dalla crescente pressione fiscale e
dalla rivolta di alcuni importanti borghi della Riviera di Levante, aveva tentato di allearsi con i nobili
residenti in città, concedendo loro metà dei posti nel consiglio degli Anziani e negli Uffici. Il 23
dicembre 1344, tuttavia, vedendo precipitare la situazione, abbandonò Genova con i suoi familiari,
rifugiandosi a Pisa. Seguirono due dogati: quello di Giovanni de Murta (1344-1350) e quello
150
Le famiglie storiche di Genova nella società ligure del XV secolo
brevissimo di Giovanni de Valente (1350), dopodiché si affermò una nuova signoria straniera, quella
dei Visconti di Milano. Nel 1356 Boccanegra rientrò a Genova scacciando i Milanesi e tenne il potere
sino alla misteriosa morte, avvenuta improvvisamente il 13 marzo 1363, dopo un banchetto offerto dal
nobile Pietro Malocello in onore del Re di Cipro, Pietro di Lusignano, in visita al Doge. Gli successe
il suo vicario, il potente Gabriele Adorno, che promulgò una nuova riforma legislativa, le famose
Regulae Communis Januae, fortemente anti nobiliari, che stabilirono la nomina di dodici anziani tutti
popolari, sei mercanti e sei artefici, in carica per quattro mesi. Al dogato di Gabriele Adorno successe
quello di Domenico Campofregoso che prese il potere nel 1370 con un consiglio composto di tutti
popolari. Alla caduta di Domenico nel 1378, attraverso convulsi avvenimenti politici, si avvicendarono
i dogati di Antoniotto Adorno (1378), Nicolò Guarco (1378-1382), Leonardo Montaldo (1382-1384),
ancora Antoniotto Adorno (1384-1390), Giacomo Campofregoso (1390-1391), nuovamente Antoniotto
Adorno (1391-1392), Antonio Montaldo (1392-1393), Pietro Campofregoso (1393), Clemente
Promontorio (1393), Francesco Giustiniani (1393), ancora Antonio Montaldo (1393), Nicolò Zoagli
(1394), Antonio Guarco (1394) e finalmente Antoniotto Adorno (1394-1396), sino all’affermazione
della signoria di Carlo VI di Francia sulla città tra 1396 e il 1409.
Il Quattrocento si apriva quindi con la signoria francese, che rappresentò un periodo di riforme,
soprattutto durante il governatorato di Jean-Marie Le Maingre detto Boucicault, sotto il cui reggimento
fu istituito il Banco di San Giorgio (1407). Alla signoria francese, dopo una rivolta popolare, successe
quella di Teodoro di Monferrato (1409-1413), dopo la quale si avvicendarono per tutto il Quattrocento
i dogati degli Adorno e dei Fregoso, rimasti gli unici a contendersi la massima carica, alternati alle
signorie straniere, milanese e francese. Col dogato di Giorgio Adorno (1413-1415) furono promulgate
le Regulae Reipublicae Genuensis, che stabilirono la definitiva ripartizione dei posti nel Consiglio
degli Anziani e nelle altre magistrature tra nobili e popolari, a loro volta ripartiti in mercanti e artefici,
tutti divisi tra guelfi e ghibellini, colori che col tempo perdevano sempre più il loro significato
originario. Al dogato di Giorgio Adorno seguirono quello brevissimo di Barnaba de Goano (1415) e
quello di Tomaso de Campofregoso (1415-1421), deposto dall’avvento della signoria del duca di
Milano, Filippo Maria Visconti (1421-1435), poi destituita da una rivolta popolare che nominò otto
difensori della libertà (1435), ai quali successero, dopo il brevissimo dogato di Isnardo Guarco (1436),
quelli di Tomaso Campofregoso (1436-1442), Gabriele Adorno (1443-1447), Giano (1447-1450),
Ludovico (1450) e Pietro (1450-1458) Campofregoso, infine una nuova signoria francese (1458-1461).
Nel 1461 i Francesi furono nuovamente cacciati da una rivolta popolare che diede avvio a nuovi brevi
dogati di Prospero Adorno (1461), Spinetta (1461), Lodovico (1461-1462) e Paolo (1462-1464)
Campofregoso. Si affermò quindi una nuova signoria sforzesca (1464-1477). Destituito il potere
milanese dai tumulti del 1477-1478, si avvicendarono alcuni governi provvisori sino alla nomina a
doge di Battista Campofregoso (1478-1483), al quale successero Paolo Campofregoso (1483-1488) e
Agostino Adorno (1488), fino alla nuova signoria milanese di Galeazzo Maria Sforza (1488-1499). Dal
1499, con l’annessione del Ducato di Milano ai domini di Luigi XII re di Francia, anche Genova e il
suo territorio passarono sotto la signoria del sovrano francese, che sarebbe durata a lungo e che nei
primi anni avrebbe trovato il favore della fazione nobiliare favorita dal nuovo governo.
Nel corso del Quattrocento gli unici esponenti dell’antica nobiltà che continuarono, pur
impossibilitati ad aspirare alla carica dogale, a collocarsi tra i protagonisti della scena politica genovese
furono i Doria, gli Spinola e soprattutto i Fieschi, i quali, attraverso la propria influenza sulle fazioni
delle Riviere e forti di vasti possessi signorili sugli appennini, potevano determinare la vittoria di una
fazione su un’altra. Più defilato fu invece il ruolo dei Grimaldi, i cui interessi si concentrarono sempre
più nelle molte signorie provenzali, pur sempre presenti con un ruolo distinto in Genova, tanto da
allargare il clan familiare con l’aggregazione delle famiglie Cebà e Grimaldi. D’altra parte le quattro
gens che avevano guidato la nobiltà genovese mantennero sempre il privilegio che riservava loro due
posti nel Consiglio degli Anziani: uno per gli antichi capi dei ghibellini (Doria e Spinola) e uno per i
loro antagonisti guelfi (Fieschi e Grimaldi).
151
Andrea Lercari
Sembra difficile identificare una strategia uniforme della famiglia Spinola, che costituì
certamente una delle maggiori entità, sia per il numero elevatissimo di membri della famiglia, sia per
i possessi territoriali detenuti. Divisi in due alberghi distinti, quello “di Luccoli” e quello “di San
Luca”, non sempre concordi politicamente tra loro, gli Spinola sono a capo nelle Riviere di una delle
due fazioni nella quale si è diviso l’antico schieramento ghibellino (l’altra parte, quella più consistente,
è con i Doria). Famiglia della nobiltà civica genovese, di origine viscontile e consolare, i cui membri
erano da sempre attivi nei commerci internazionali e nell’amministrazione dei domini d’Oltremare, gli
Spinola erano al tempo stesso grandi signori feudali: gli Spinola di Luccoli avevano ottenuto, nel
1311, investitura imperiale di gran parte della Valle Scrivia, dividendosi nelle generazioni successive
in numerosi rami feudali, mentre quelli di San Luca avevano esteso i propri possessi feudali nei territori
dei Marchesi di Monferrato più prossimi al dominio genovese.
Più compatto, anzi quasi monolitico, risultava il clan doriano, pur numerosissimo e estremamente
ramificato sia in città sia nella Riviera di Ponente, ove i Doria detenevano le signorie di Dolceacqua,
Oneglia, Loano e Sassello e vantavano aderenti potenti nelle città di Savona, Albenga e Ventimiglia e
nel borgo di Porto Maurizio. La famiglia era saldamente insediata in Genova: le numerosissime case
dei Doria si estendevano in una vasta area che si sviluppava attorno alla piazza e alla chiesa gentilizia
di San Matteo. Il clan espresse costantemente una politica comune, con un efficace coordinamento tra
i Doria di città e quelli di Riviera, che si imparentarono continuamente tra loro; e generalmente i
signori rivieraschi mantenevano una casa aperta nella contrada familiare. Dalla metà del XV secolo
si posero stabilmente a fianco dei Campofregoso nelle lotte per il potere. I Doria furono sempre
presenti, sia nei commerci internazionali sia nelle cariche pubbliche, favoriti dal numero elevato dei
componenti della famiglia.
I Fieschi, numericamente più contenuti, con differenze di ruolo e di posizione tra i vari rami
della famiglia più marcate rispetto agli altri clan, costituirono certamente nel corso del Quattrocento
la principale realtà nobiliare genovese: discendenti dei conti di Lavagna inurbatisi tra XII e XIII secolo
ricevendo in cambio immunità fiscali, essi conservavano importanti possessi signorili. Il ramo dei
signori di Torriglia, capo indiscusso del clan e della fazione, aveva conquistato e acquistato, nei secoli
precedenti, possessi lungo tutto l’appennino sino alla Lunigiana; l’altro ramo, quello dei signori di
Savignone, era saldamente insediato nella valle Scrivia. Numerosi, poi, erano i rami “cittadini” che
avevano acquisito da tempo le prerogative della nobiltà civica, rivestendo cariche pubbliche e
partecipando ai commerci, come pure i discendenti da quei Fieschi che nel 1340 avevano ottenuto il
titolo di conte palatino dall’imperatore Carlo IV ed esercitavano le prerogative di legittimare i figli
naturali e di creare notai, spesso in favore dei consanguinei e dei membri di famiglie popolari aderenti
alla loro fazione. Quello dei Fieschi era un albergo particolare al quale potevano aggregarsi
generalmente solo altri conti di Lavagna, poiché la prerogativa degli alberghi era la parità di tutti i
componenti e solo i discendenti dei conti di Lavagna avrebbero potuto fruire delle immunità fiscali e
delle prerogative signorili della famiglia aggregante. In città i Fieschi esercitarono la propria influenza
attraverso il controllo del capitolo della cattedrale e non a caso le loro case erano in gran parte
distribuite attorno alla chiesa di San Lorenzo. Non esisteva una vera e propria contrada di famiglia in
città, ma i Fieschi di Torriglia, oltre alla domus magna prospiciente la piazza della cattedrale, avevano
costruito le propria dimora immediatamente fuori le mura cittadine, sulla collina di Carignano che
sovrastava il borgo di Santo Stefano e tutto l’abitato che si estendeva tra la chiesa di Santo Stefano e
la Porta Soprana, luogo di residenza dei lanaioli, generalmente provenienti dalle valli del Levante
sotto il loro controllo e fautori politici della famiglia. Qui, oltre al palazzo, sorgeva la chiesa della
famiglia, Santa Maria in Via lata, che rimane ancor oggi a ricordare la presenza dell’illustre casato. È
singolare il favore del quale i Fieschi godettero tra le fasce più modeste dei popolari, soprattutto tra
gli artefici. Analogamente il loro potere nelle Riviere derivava dal profondo radicamento sul territorio,
ove si trovavano numerosi rami collaterali dei conti di Lavagna e partigiani dei Fieschi: un legame
particolare, fatto di vera amicizia, di vincoli di parentela stretti con i borghesi delle Riviere attraverso
152
Le famiglie storiche di Genova nella società ligure del XV secolo
unioni matrimoniali con figlie naturali di casa Fieschi, e dal fatto che i conti, forti delle immunità
fiscali, pagassero le tasse per i loro seguaci abitanti delle valli sottoposte al governo genovese. Per i
Fieschi di Torriglia poter contare sull’appoggio di parenti e alleati in loco doveva, perciò, essere
elemento di grande importanza, mentre per i Fieschi della Riviera mantenere un forte legame con i più
potenti “cugini” della città costituiva certamente motivo di prestigio e garanzia di tutela delle proprie
prerogative in loco. A questa dimensione locale appartennero in parte anche i Fieschi, sia i rami che,
a differenza dei collaterali, avevano conservato l’identità di feudatarî dell’Impero, cioè i signori di
Torriglia (detentori di numerosi feudi appenninici nella Riviera di Levante) e i signori di Savignone,
sia coloro che avevano conformato le proprie abitudini di vita a quelle dei cittadini genovesi. Se infatti
i capi famiglia delle due linee signorili – in particolare quelli di Torriglia – posti alla guida della fazione
guelfa genovese furono spesso distanti, i loro consanguinei ultrogeniti o i rami della famiglia non
investiti dei feudi trovarono spesso nella Riviera quelle risorse economiche e una posizione sociale che
consentirono loro di mantenere un ruolo d’effettiva influenza nel contado, benché ufficialmente privi
delle antiche prerogative signorili. Frequenti i casi di Fieschi “genovesi” detentori di considerevoli
proprietà immobiliari nella Riviera. Quella che vide il capo del ramo di Torriglia capo del clan
famigliare in città e in Riviera era una gerarchia rigida e al tempo stesso armoniosa e generalmente
condivisa. Non mancarono i momenti di attrito tra i membri della famiglia, ma sempre all’interno del
nucleo dei signori di Torriglia per la successione nei domini o per differenti scelte politiche in campo
internazionale. Negli ultimi anni del Quattrocento si verificò un’aspra contesa tra i fratelli Ibleto,
protonotario apostolico e potente regista della politica genovese, e Gian Luigi Fieschi, ricordato con
l’appellativo il grande, signore di Torriglia e di molte altre terre: il primo infatti perseguì l’alleanza
con il Re di Napoli, mentre il secondo, come gli Adorno, si schierò con il Re di Francia che pretendeva
la corona napoletana. La spaccatura si ricompose prontamente però dopo la morte di Ibleto: i figli di
questo divennero il braccio armato dello zio Gian Luigi, alleato stabilmente agli Adorno, nella Riviera
in stretto rapporto con i notabili a capo della loro fazione nei borghi costieri e nelle valli interne. In
questo contesto la figura del celebre Bartolomeo Fieschi delle Indie, legato a Cristoforo Colombo
forse da parentela, che non è stata ancora identificata con certezza, potrebbe addirittura appartenere a
un ramo rivierasco dei Fieschi e di altri conti di Lavagna, che in alcuni casi assumevano il cognome
dei Fieschi per rafforzare la loro dignità in sede locale: il nome Bartolomeo si ripete infatti negli anni
a cavallo del Cinquecento sia nei Fieschi cittadini, sia nei Fieschi Conte di Rapallo e nei Fieschi di
Santa Margherita Ligure.
In questo panorama le famiglie della vecchia nobiltà mantennero la propria dignità sociale e la
metà delle cariche politiche, delle missioni diplomatiche e delle cariche militari, ma il loro ruolo nelle
scelte politiche fu notevolmente ridotto se non marginale. Non altrettanto, però, si verificò nell’ambito
economico e soprattutto nei commerci internazionali, dove gli esponenti dell’antica nobiltà, quali i
Lomellini, i Centurione, i Pinelli, i Di Negro e molti altri, i cui nomi non a caso compaiono tra i
partecipanti e soprattutto tra i finanziatori di Cristoforo Colombo, prevalsero generalmente sui popolari.
BIBLIOGRAFIA:
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di Genoa, Genova, A. BELLONE, 1537.
E. PANDIANI, La vita della Repubblica di Genova nella età di Cristoforo Colombo, Genova 1952.
G. PETTI BALBI, Boccanegra Simone, in Dizionario Biografico degli Italiani, 11, Roma, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana, 1969, pp. 37-40.
J. HEERS, Gênes au XV siècle. Civilisation méditerranéenne, grand capitalisme, et capitalisme
populaire, Paris, 1971.
Georgii et Iohannis Stellæ Annales Genuenses, a cura di G. PETTI BALBI, in Rerum Italicarum
Scriptores, XVII/2, Bologna 1975.
153
Andrea Lercari
154
ENRICO BASSO, Università di Torino
1
G. PISTARINO, I Gin dell’Oltremare, “Studi e Testi, serie storica a cura di Geo Pistarino” (S.T.), 11, Genova, Civico Istituto
Colombiano, 1988, pp. 409-488; ID., I Signori del mare, S.T., 15, Genova, Civico Istituto Colombiano, 1992, pp. 377-464;
A. PACINI, I presupposti politici del “secolo dei Genovesi”. La riforma del 1528, “Atti della Società Ligure di Storia Patria”
(“ASLi.”), n.s., XXX (1990), in particolare pp. 7-48.
2
G. PETTI BALBI, Tra dogato e principato: il Tre e il Quattrocento, in Storia di Genova. Mediterraneo, Europa, Atlantico,
a cura di D. PUNCUH, Genova, Società Ligure di Storia Patria, 2004, pp. 233-324, in particolare pp. 299-305.
3
Ibidem, pp. 306-311.
4
E. BASSO, Genova e la còrsa mediterranea nel secolo XV, in II Congreso Internacional de Estudios Historicos “El
Mediterráneo: un mar de piratas y corsarios”, Santa Pola, Ayuntamiento de Santa Pola, 2002, pp. 301-308.
5
V. POLONIO, Da provincia a signora del mare. Secoli VI-XIII, in Storia di Genova, pp. 111-231, in particolare pp. 206-212.
155
Enrico Basso
egemonico, rappresentate dagli Ottomani e dalla Corona d’Aragona. I primi, fino a quel momento
sottovalutati dalle potenze in lotta per la supremazia, erano divenuti rapidamente un elemento
determinante degli assetti politici dell’area egea e balcanica, i cui antichi equilibri, che tanto avevano
contribuito all’affermazione degli imperi commerciali veneziano e genovese, furono rapidamente
alterati a tutto vantaggio dei nuovi protagonisti6, mentre la seconda, che ancora nei primi due decenni
del XIV secolo poteva essere vista come una potenziale alleata dei Genovesi7, a partire dalla spedizione
dell’infante Alfonso, che aveva reso effettivo il diritto dei sovrani barcellonesi sulla corona del fino
ad allora fantomatico Regnum Sardinie et Corsice, si era rapidamente trasformata in una minacciosa
rivale nella competizione per il controllo del sistema di rotte che attraversava il bacino occidentale del
Mediterraneo8.
Assai significativamente, Venezia, gli Ottomani e i Catalano-aragonesi si erano trovati più volte
alleati nel corso della seconda metà del Trecento per contrastare la potenza genovese, che in questa lotta
era giunta più volte sull’orlo del tracollo, vedendosi costretta a ricorrere alla protezione di un signore
esterno, come nel caso dei Visconti o, successivamente, dei sovrani francesi, per sedare la turbolenta
situazione politica interna9.
Il protrarsi per più di un secolo della violenta conflittualità politica interna per la conquista del
potere e della continua competizione all’esterno per la salvaguardia delle posizioni di controllo
commerciale porta il Comune genovese a raggiungere, fra gli anni 50 e 80 del XV secolo, il punto più
basso delle proprie fortune10. Si può affermare che, nel corso della plurisecolare storia della sua vicenda
di potenza sul mare, gli anni compresi fra il 1453 ed il 1481 furono il periodo nel quale Genova apparve
veramente sul punto di essere cancellata dall’elenco delle potenze mediterranee.
Il complesso degli insediamenti coloniali nel Levante, costruito e difeso a prezzo di enormi
sacrifici nel corso di due secoli, si era sgretolato nel breve volgere di pochi anni: nel 1453 insieme a
Costantinopoli anche Pera aveva dovuto capitolare di fronte alla Mezzaluna11; nel 1455 era stato il
turno delle due Focee e delle loro preziosissime miniere di allume12, seguite nel 1462 dai dominî dei
Gattilusio nell’Egeo nord-orientale13. Nel 1475 era giunto infine l’attacco a Caffa ed alle altre colonie
6
E. BASSO, From Cooperation to Clash of Interests: Genoa and the Turks in the Fourteenth and Fifteenth Centuries, in
The Turks, a cura di H.C. GÜZEL – K. ÇIÇEK – S. KOCA, 6 voll., Ankara, Yeni Türkyie Derg?si, 2002, III, pp. 181-188.
7
G. PISTARINO, Genova e Barcellona: incontro e scontro di due civiltà, in Atti del I Congresso storico Liguria-Catalogna,
Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1974, pp. 81-122, in particolare pp. 84-87.
8
V. SALAVERT Y ROCA, El tratado de Anagni y la expansión mediterranea de la Corona de Aragón, “Estudios de Edad
Media de la Corona de Aragón”, V (1952), pp. 209-271; E. DUPRÈ THESEIDER, Come Bonifacio VIII infeudò a Giacomo II
il regno di Sardegna e Corsica, in Atti del VI congresso internazionale di studi sardi, Cagliari, Centro Internazionale di
Studi Sardi, 1955, pp. 89-100; G. PETTI BALBI, Genova e Corsica nel Trecento, Roma, Istituto Storico per il Medioevo,
1976, pp. 14-19; F.C. CASULA, Profilo storico della Sardegna catalano-aragonese, “Medioevo. Saggi e rassegne”, 7 (1982),
pp. 9-130, in particolare pp. 9-14; B. ANATRA, La Sardegna dall’unificazione aragonese ai Savoia, in J. DAY – B. ANATRA
– L. SCARAFFIA, La Sardegna medioevale e moderna, Torino, UTET, 1984, pp. 191-663, in particolare pp. 205-218.
9
G. PETTI BALBI, Simon Boccanegra e la Genova del ‘300, Napoli, ESI, 1995; EAD., Tra dogato e principato, pp. 244-294.
10
Ibidem, pp. 295-316.
11
Cfr. G. PISTARINO, Genovesi d’Oriente, S.T., 14, Genova, Civico Istituto Colombiano, 1990, pp. 281-382.
12
M.L. HEERS, Les Génois et le commerce de l’alun à la fin du Moyen Age, “Revue d’histoire économique et sociale”, 32
(1954), pp. 31-53, in particolare pp. 36-42; PISTARINO, Genovesi, pp. 252-253.
13
Cfr. PH.P. ARGENTI, The occupation of Chios by the Genoese and their administration of the island, 1346-1566, 3 voll.,
Cambridge, University Press, 1958, I, pp. 222-245; G.G. MUSSO, I Genovesi e il Levante tra Medioevo ed Età moderna.
Ricerche d’archivio, in Genova, la Liguria e l’Oltremare tra Medioevo ed Età moderna. Studi e ricerche d’archivio, II, a
cura di R. BELVEDERI, Genova, Istituto di Scienze Storiche, 1976, pp. 67-160, in particolare pp. 74-80; PISTARINO, Genovesi,
pp. 243-280, 383-420; G. OLGIATI, The Genoese Colonies in front of the Turkish Advance (1453-1475), in XI. Türk Tarih
Kongresi’nden ayribasim, Ankara, Türk Tarih Kürumu, 1994, pp. 1053-1061; A. ASSINI, La “compera Metilini” e la difesa
genovese dei Gattilusio dopo la caduta di Costantinopoli, in Πράκτικα Σύνεδριου “Όι Γατελούζοι τής Λέσβου”, 9-11
σεπτεµßpíou 1994, Mυτιλήνη, a cura di A. MAZARAKIS, “Mεσαιονικά Tετράδια”, 1 (1996), pp. 223-280; G. PISTARINO,
Chio dei Genovesi nel tempo di Cristoforo Colombo, Nuova Raccolta Colombiana, 12, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca
dello Stato, 1996, pp. 365-377.
156
Uno spazio che si restringe: i problemi della navigazione mediterranea in età colombiana tra pirateria, corsa e “minaccia turca”
pontiche. Già da tempo la situazione nel Ponto si era fatta difficile: il malcontento e la rivolta
serpeggiavano all’interno degli insediamenti14, premuti anche all’esterno dalla minaccia tatara e dalle
mire espansionistiche di alcune delle più giovani potenze dell’area pontica, come la Moldavia15; ma
probabilmente a Genova, dove si era continuato ad operare come se tutto si fosse trovato nella più
completa normalità, la possibilità di una così fulminea caduta della ben fortificata metropoli pontica
non era stata presa in considerazione, e ciò spiega l’autentico panico che percorse gli ambienti
finanziari della città dopo l’arrivo di notizie certe della catastrofe16.
La situazione non era certo migliore in Occidente: la rete delle rotte commerciali che costituivano
il fondamento della vita economica genovese era infatti seriamente minacciata dall’affermazione della
Corona d’Aragona nel Tirreno17. In parallelo all’espansione catalano-aragonese prima in Sicilia ed in
Sardegna e poi nel Regno di Napoli, gli spazi per la libera navigazione genovese verso l’Africa,
l’Oriente e la Penisola Iberica si erano andati gradualmente restringendo, e negli anni intorno alla
metà del secolo era ormai divenuto palese come Alfonso V, che aveva identificato nella città ligure il
principale ostacolo che ancora si frapponeva alla realizzazione del suo progetto imperiale, avesse
ormai deciso di perseguire con ogni mezzo lo scopo di sottomettere o soffocare l’irriducibile
avversaria18. Il fallimento del tentativo messo in atto nel 1454 per rovesciare con la forza il sovrano
dal trono napoletano, avvalendosi dell’appoggio di una parte della nobiltà locale scontenta della nuova
situazione, aveva comportato inevitabilmente l’inasprirsi della lotta, sfociata in un feroce assedio
stretto per terra e per mare intorno alla città ligure nel biennio 1456-1458 da parte delle forze di Alfonso
e dei fuoriusciti genovesi i quali, in odio al doge Pietro Campofregoso, avevano accettato di divenire
14
Cfr. A.M. ÈIPERIS, Vnutrennee položenie i klassovaja bor’ba v Kaffe v 50-70 gg. XV veka, in “UZ Turkmenskogo GU”,
21 (1962), trad. it. a cura di A. PREFUMO, Situazione interna e lotta di classe a Caffa tra gli anni 50-’70 del XV secolo, in
Saggi e Documenti V. Storici Sovietici del Levante Genovese, S.T., 7, Genova, Civico Istituto Colombiano, 1985, pp. 223-
258; E. BASSO, Caffa 1453: tensioni interne e difficoltà economiche alla vigilia della caduta di Costantinopoli, “Romània
orientale”, XII (1999), pp. 59-85.
15
Cfr. E. BASSO, “De rebus castri Ilicis et alia”: Genova, la Valacchia e la Moldavia fra cooperazione e contrasto nel
secondo Quattrocento, in Italia e Romania. Due popoli e due storie a confronto (secc. XIV-XVIII), a cura di S. GRACIOTTI,
Firenze, Olschki, 1998, pp. 83-96; A. ASSINI, Una “filza” ritrovata. La riscoperta di importanti documenti genovesi su
Costantinopoli e il Mar Nero, “Romània orientale”, XII (1999), pp. 13-36.
16
Cfr. M. CAZACU - K. KEVONIAN, La chute de Caffa en 1475 à la lumière de noveaux documents, “Cahiers du monde russe
et soviétique”, XVII/4 (1976), pp. 459-538; PISTARINO, Genovesi, pp. 477-518; E. BASSO, Il mondo orientale nella
corrispondenza del Priore di Lombardia da Rodi (fine secolo XV), in Cavalieri di San Giovanni e territorio. La Liguria
tra Provenza e Lombardia nei secoli XIII-XVIII, a cura di J. COSTA RESTAGNO, Genova - Bordighera, Istituto Internazionale
di Studi Liguri, 1999, pp. 509-529.
17
Cfr. F. GIUNTA, Aragonesi e catalani nel Mediterraneo, 2 voll., Palermo, Manfredi, 1953-1959; M. DEL TREPPO, I
mercanti catalani e l’espansione della Corona aragonese nel secolo XV, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1968; ID.,
L’espansione catalano-aragonese nel Mediterraneo, in Nuove questioni di storia medievale, Milano, Marzorati, 1969, pp.
259-300; G. PISTARINO, Espansione mediterranea della Corona d’Aragona, in Segundo Congreso internacional de estudios
sobre las culturas del Mediterraneo occidental, trabajos leidos en Barcelona, 29 septiembre – 4 octubre 1975, Barcelona,
Universitat Autònoma, 1978. Sulla rete delle rotte di navigazione genovesi nel Mediterraneo, cfr. M. BALARD, La Romanie
génoise (XIIe-début du XVe siècle), “ASLi.”, n.s., XVIII (1978), 2 voll., II, pp. 849-868; E. BASSO, Genova: un impero sul
mare, “Collana di Studi italo-iberici” (C.S.I.I.), 20, Cagliari, Istituto sui rapporti italo-iberici del CNR, 1994, pp. 185-196;
PH. GOURDIN, Présence Génoise en Méditerranée et en Europe du Nord au milieu du XVe siècle: l’implantation des hommes
d’affaires d’après un registre douanier de 1445, in Coloniser au Moyen Âge, a cura di M. BALARD e A. DUCELLIER, Paris,
Armand Colin, 1995, pp. 14-27, 33-34, in particolare pp. 15-19; A. NICOLINI, Navigazione savonese nell’Atlantico del
Nord fra Tre e Quattrocento (1371-1463), “Società Savonese di Storia Patria. Atti e Memorie” (S.S.S.P.), nuova serie,
XXXIV-XXXV (1998-1999), pp. 175-199, in particolare pp. 184-193; ID., Navi e mercanti savonesi in Inghilterra e nelle
Fiandre, 1371-1460, in S.S.S.P., n. s., XXXVIII (2002), pp. 57-153, in particolare pp. 78-81.
18
Cfr. E. DUPRÈ THESEIDER, La politica italiana di Alfonso il Magnanimo, Bologna, Patron, 1956; E. PONTIERI, Alfonso il
Magnanimo re di Napoli (1435-1458), Napoli, ESI, 1975; A. RYDER, The Kingdom of Naples under Alfonso the
Magnanimous, Oxford, Clarendon Press, 1976.
157
Enrico Basso
suoi strumenti, assedio che solo la provvidenziale morte del re valse a interrompere dopo che neanche
l’intervento francese era sembrato sortire un qualche effetto19.
La morte del Magnanimo, non a caso festeggiata dai Genovesi con un entusiasmo superiore a
quello che verrà dimostrato alla notizia della morte di Maometto II nel 148120, segna tuttavia un punto
di svolta la cui importanza non viene al momento percepita completamente. Nonostante il permanere
dell’ostilità di entrambi i rami della Casa aragonese nei confronti di Genova21, la divisione stessa
dell’impero alfonsino tra il fratello Giovanni II e il figlio legittimato Ferrante I di Napoli, a cui fa
seguito pochi anni dopo la crisi decennale della guerra civile catalana, rilancia infatti le possibilità dei
Genovesi di trovare nel commercio occidentale un compenso alle perdite subite in Oriente22.
La vigorosa ascesa della Castiglia, antica alleata di Genova riemersa dalle traversie delle guerre
civili che l’hanno a lungo tormentata e affermatasi dopo il 1479 come l’elemento economicamente,
oltreché politicamente, prevalente nella nuova Monarchia di Spagna23, offre a questa ripresa una solida
base24, ma essa si basa innanzitutto su una serie di competenze tecniche di assoluto valore delle quali
gli uomini di mare genovesi sono ormai da lungo tempo detentori.
L’esperienza e le capacità marinare dei genovesi nella seconda metà del XV secolo hanno infatti
raggiunto un alto livello, riconosciuto tanto dagli amici quanto dagli avversari dei tenaci navigatori
liguri. Nelle fonti del tardo Trecento e del Quattrocento i Genovesi sono spesso qualificati come
19
Cfr. G. OLGIATI, Classis contra regem Aragonum (Genova, 1453-1454). Organizzazione militare ed economica della
spedizione navale contro Napoli, “C.S.I.I.”, 15, Cagliari, Istituto sui rapporti italo-iberici del CNR, 1989; E. BASSO, “Ferro,
fame ac peste oppressa”: l’ammiraglio Bernat de Vilamarí e il blocco navale di Genova (1456-1458), “Anuario de Estudios
Medievales”, 24 (1994), pp. 539-555.
20
La notizia della morte di Alfonso, avvenuta il 27 giugno 1458 a Napoli, raggiunse Genova solo il 5 luglio successivo, come
dimostra la lettera inviata in quella data dal governo al comandante della flotta genovese Pietro Giustiniani, nella quale
viene anche specificata l’ora della morte del re, le tre del mattino; cfr. ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA (ASGE), Archivio
Segreto (A.S.), 1797, c. 55r. Per gli avvenimenti connessi alla morte di Maometto II, avvenuta il 3 maggio 1481, cfr. F.
BABINGER, Mehmed der Eroberer und seine Zeit. Weltenstürmer einer Zeitenwende, München, F. Bruckmann K.G., 1953,
trad. it. a cura di E. POLACCO, Maometto il Conquistatore, Torino, Einaudi, 1957, pp. 439-442; E. BASSO, The Shadow of
the Crescent: Christian Espionnage in the Turkish Territory after the Fall of Constantinoples, in The Great Turkish-Ottoman
Civilization, a cura di G. EREN, 4 voll., Ankara, Yeni Türkyie Derg?si, 2000, I, pp. 164-170, in particolare pp. 169-170.
21
Cfr. OLGIATI, Classis, pp. 214-215.
22
Sulla pace siglata nel 1464 con Ferrante di Napoli, favorita dall’alleanza del sovrano napoletano con il nuovo Signore
di Genova, Francesco Sforza, che aprì la strada alla successiva tregua con l’Aragona, cfr. PETTI BALBI, Tra dogato e
principato cit., pp. 302-303.
23
Cfr. J.H. ELLIOTT, Imperial Spain, 1469-1716, London, Edward Arnold, 1963, tr. it. La Spagna imperiale: 1469-1716,
Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 13-144.
24
La letteratura sulla presenza genovese in Spagna nel tardo Medioevo è sterminata; mi limiterò a citare alcuni tra i contributi
più significativi: J. HEERS, Gênes au XVe siècle. Activité économique et problèmes sociaux, Paris, PUF, 1961, pp. 487-497;
A. BOSCOLO, Genova e Spagna nei secoli XIV e XV. Una nota sugli insediamenti, in Atti del Convegno internazionale di studi
colombiani, Genova, 13 e 14 ottobre 1973, Genova, Civico Istituto Colombiano, 1974, pp. 37-49; L. BALLETTO, Commercio
di libri tra Genova e Cadice nel primo Cinquecento, in Saggi e Documenti IV, S.T., 5, Genova, Civico Istituto Colombiano,
1983, pp. 261-270; A. UNALI, Mercanti e artigiani italiani a Cordova nella seconda metà del Quattrocento, Bologna,
Cappelli, 1984; G. PISTARINO, Presenze ed influenze italiane nel Sud della Spagna (secc. XII-XV), in Presencia italiana en
Andalucia, siglos XIV-XVI. Actas del I Coloquio hispano-italiano, a cura di B. TORRES RAMIREZ e J. HERNANDEZ PALOMO,
“Publicaciones de la Escuela de Estudios hispano-americanos de Sevilla”, CCXI (1985), pp. 21-51; M. GONZÁLEZ JIMÉNEZ,
Genoveses en Sevilla (siglos XIII-XV), Ibidem, pp. 115-130; E. OTTE, Il ruolo dei genovesi nella Spagna del XV e XVI
secolo, in La repubblica internazionale del denaro tra XV e XVII secolo, a cura di A. DE MADDALENA e H. KELLENBENZ,
Bologna, Cappelli, 1986, pp. 17-56; L. D’ARIENZO, Mercanti italiani fra Siviglia e Lisbona nel Quattrocento, in La presenza
italiana in Andalusia nel Basso Medioevo. Atti del secondo convegno, Roma, 25-27 maggio 1984, a cura di A. BOSCOLO e
B. TORRES, Bologna, Cappelli, 1986, pp. 35-49; PH. GOURDIN, Les approvisionnements en cuir de la ville de Gênes pendant
la deuxième moitié du XVe siècle, “Nuova Rivista Storica”, LXXV/3 (1991), pp. 571-612; E. OTTE, Sevilla y sus mercaderes
a fines de la Edad Media, Sevilla, Fundación El Monte, 1996; A. ASSINI, Famiglie genovesi in Spagna, in Dibattito su
Grandi Famiglie del Mondo Genovese fra Mediterraneo e Atlantico. Atti del Convegno, Montoggio, 28 ottobre 1995, a cura
di G. PISTARINO, Genova, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, 1997 (“Monografie”, XIII), pp. 20-36; G. PETTI BALBI,
Negoziare fuori Patria. Nazioni e genovesi in età medievale, Bologna, CLUEB, 2005, pp. 153-169.
158
Uno spazio che si restringe: i problemi della navigazione mediterranea in età colombiana tra pirateria, corsa e “minaccia turca”
“Signori del mare”, o addirittura “dei del mare”25, e questa fama si basa su un’effettiva competenza
tecnica, che ha visto i marinai liguri allargare progressivamente gli orizzonti del mondo, spingendosi
in modo temerario in acque sconosciute: già dal XIII secolo i Genovesi hanno riaperto, primi dal
tempo della caduta di Roma, la rotta diretta fra il Mediterraneo e i porti dell’Europa atlantica, sfidando
le correnti e le tempeste dell’Oceano per raggiungere l’Inghilterra e le Fiandre26; alcuni di loro si
sono spinti con le loro galee fino ai mari della Scozia27, mentre altri hanno tentato, con due secoli di
anticipo sui Portoghesi, di violare le acque misteriose dell’Atlantico meridionale, e neanche la loro
scomparsa – che indubbiamente ispirò a Dante i versi meravigliosi con i quali descrive l’ultimo
viaggio di Ulisse28 – ha distolto i loro conterranei dal perseguire l’esplorazione di queste latitudini
né dal raccogliere e riportare informazioni utili alla navigazione (le prime notizie certe relative alla
capacità, ritenuta quasi prodigiosa, dei cartografi genovesi risalgono alla fine del XIII secolo).
Ma se anche altre nazioni marittime hanno navigatori esperti e coraggiosi quanto quelli liguri,
i Genovesi detengono saldamente un altro primato, che costituisce il vero segreto della loro fortuna
sul mare: una competenza eccezionale nel settore delle costruzioni navali, che li mette all’avanguardia
nei confronti dei loro concorrenti. Fin dal XII secolo la particolare abilità dei Genovesi nella
costruzione di navi era stata nota e apprezzata a livello internazionale: se Pietro Gelmirez, vescovo di
Santiago di Compostela, li aveva allora chiamati a costruire per lui una squadra di galee che liberassero
la costa galiziana dalla minaccia dei mori29, i re di Castiglia, di Francia e di Portogallo avevano voluto,
nei secoli XIII e XIV, assicurarsi i servigi di ammiragli genovesi che organizzassero non solo le loro
marine da guerra, ma anche le strutture dei loro cantieri, cosa che era stata invano tentata anche dai
sovrani inglesi30.
In tal modo, gli Zaccaria, i Pessagno, i Grimaldi, i Boccanegra avevano gettato le basi per la
futura potenza delle marinerie atlantiche e contemporaneamente, radicandosi nei loro paesi d’adozione,
avevano creato le condizioni favorevoli all’insediamento e alla presenza di attive colonie commerciali
genovesi in tutta questa vasta area31. La navigazione nell’Oceano era dunque divenuta familiare a
molti navigatori genovesi, che avevano in tal modo potuto conoscere e apprezzare le tecniche
costruttive locali e, con la consueta apertura mentale che li contraddistingueva, non avevano esitato a
introdurre queste innovazioni nel loro bagaglio tecnico.
25
PISTARINO, I Signori, pp. 7-8.
26
R.S. LOPEZ, Genova marinara nel Duecento: Benedetto Zaccaria ammiraglio e mercante, Milano – Messina, Principato,
1933, pp. 187-188; ID., Majorcans and Genoese on the North Sea Route in the Thirteenth Century, “Revue Belge de
philologie et d’histoire”, XXIX/4 (1951), pp. 1163-1179.
27
Nel 1316, il genovese Antonio Pessagno stipulò con re Edoardo II, in guerra con gli Scozzesi, un accordo che prevedeva
l’invio di una squadra di galee genovesi nelle acque fra l’Irlanda e la costa nord-occidentale della Scozia; N.A.M. RODGER,
The Safeguard of the Sea. A Naval History of Britain, I (660-1649), London, Harper & Collins, 1997, pp. 90-93; E. BASSO,
Note sulla comunità genovese a Londra nei secc. XIII-XVI, in Comunità forestiere e “nationes” nell’Europa dei secoli XIII-
XVI, a cura di G. PETTI BALBI, Napoli, Liguori, 2002, pp. 249-268, in particolare p. 257.
28
Inferno, canto XXVI, vv. 100-142.
29
R.S. LOPEZ, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, Genova, Marietti 1820, 1996², p. 85.
30
Ibidem, p. 41.
31
Sui rapporti di Benedetto Zaccaria e Ranieri Grimaldi con la Castiglia e la Francia, cfr. LOPEZ, Genova marinara, pp.
161-182, 187-198, 200-203. Sui Pessagno in Portogallo, e in particolare su Emanuele, primo Ammiraglio di Portogallo,
cfr. L.T. BELGRANO, Documenti e Genealogia dei Pessagno, genovesi, ammiragli del Portogallo, “ASLi.”, XV (1881), p.
241-316; J.B. DE ALMEIDA PESSANHA, Os Almirantes Pessanhas e a sua descendência, Porto, Imprensa Portuguesa, 1923;
LOPEZ, Storia delle colonie, p. 245; D. PERES, Historia dos descobrimientos portugueses, Porto, Portucalense Editora,
1943, p. 26; CH. VERLINDEN, La colonie italienne de Lisbonne et le développement de l’économie metropolitaine et
coloniale portugaise, in Studi in onore di Armando Sapori, 3 voll., Milano, Istituto Editoriale Cisalpino, 1958, I, p. 617-
628; G.G. MUSSO, Genovesi e Portogallo nell’Età delle Scoperte (nuove ricerche d’archivio), Genova, Civico Istituto
Colombiano, 1976, p. 18-23. Per i Boccanegra in Castiglia, cfr. M. NIETO CUMPLIDO, Palma del Río en la Edad Media (855-
1503). Señorío de Bocanegra y Portocarrero, Córdoba, Archivo Catedral de Córdoba, 2004; G. PETTI BALBI, Genova, i
Boccanegra e l’Occidente, in El mundo mediterráneo ayer y hoy. Palma del Río islámica, génovesa y cristiana, Palma del
Rio 8-10 junio 2007, in corso di stampa.
159
Enrico Basso
A spingere i costruttori genovesi in questa direzione erano del resto le esigenze stesse del
commercio: se le spezie potevano continuare a viaggiare a bordo delle galee da mercato delle mude
veneziane, le merci “grosse” (allume, guado, vino, lana, stagno) che col tempo erano divenute la
caratteristica del commercio genovese nel mondo atlantico richiedevano nuovi tipi di naviglio32. Fu
così che i cantieri liguri si dedicarono allo sviluppo di un tipo di vascello che consentisse di navigare
per lunghi tratti in mare aperto, seguendo rotte più dirette di quelle costiere alle quali le galee erano
vincolate dalle necessità di rifornimento dei loro numerosi equipaggi, e a puntare sul potenziamento delle
navi “tonde”, che si affidavano alle vele per la loro lenta navigazione e richiedevano dunque un minor
numero di marinai a tutto vantaggio della capacità di carico, al fine di aumentarne la portata, la velocità
e la sicurezza, tanto da metterle in grado di sfidare l’Atlantico anche nei mesi autunnali e invernali.
Il risultato di questo processo, grazie all’adozione di innovazioni tecnologiche introdotte dalle
marinerie atlantiche, come la vela quadra e il timone centrale, fu la realizzazione delle gigantesche
naves dei secoli XIV e XV, veri colossi dei mari per la tecnologia dell’epoca che, con una stazza media
fra le 500 e le 900 tonnellate33, suscitavano l’impressionata ammirazione dei contemporanei, nonché
i preoccupati commenti dei concorrenti che vedevano i genovesi monopolizzare il mercato dei trasporti
fra il Mediterraneo e l’Europa atlantica. Per citare solo due esempi di questo stato di cose, possiamo
ricordare come sia stata proprio la forte impressione ricevuta nel 1409 dalla vista di una delle colossali
navi genovesi che convinse Enrico, principe di Galles (il futuro Enrico V), della necessità di dotare
l’Inghilterra di una flotta in grado di dominare i mari34, e per converso ricordare la preoccupata
relazione presentata nell’agosto del 1384 al Senato di Venezia dal comandante della muda di Fiandra
relativamente al fatto che i Genovesi erano in grado di caricare sulle loro navi una tale quantità di
lane inglesi da non lasciarne a sufficienza per completare il carico delle galee da mercato veneziane
di ritorno dalle Fiandre35.
Anche se il “disimpegno” dalle antiche posizioni nel Levante avvenne probabilmente con una
gradualità ben maggiore di quella sin qui prospettata36 e venne accompagnato da una lunga serie di
32
Su questi commerci, cfr. M.L. HEERS, Les Génois; L. LIAGRE DE STURLER, Le commerce de l’alun en Flandre au moyen-
âge, “Le Moyen-âge”, LXI (1955), pp. 177-206; P. MAINONI, Mercanti lombardi tra Barcellona e Valenza nel basso
medioevo, Bologna, Cappelli, 1982, pp. 23, 36 e bibliografia ivi citata; G. OLGIATI, Il commercio dell’allume nei domini
dei Gattilusio nel XV secolo, in Πράκτικα Σύνεδριου “Όι Γατελούζοι τής Λέσβου”, pp. 373-398; E. BASSO, I Genovesi e il
commercio del vino nel Tardo Medioevo, in La vite e il vino nella storia e nel diritto, secoli XI-XIX, a cura di M. DA
PASSANO, A. MATTONE e P.F. SIMBULA, 2 voll., Roma, Carocci, 2000, I, pp. 439-452, in particolare pp. 449-452.
Sull’influenza della “rivoluzione dei noli” sul commercio a largo raggio delle derrate “pesanti” in età tardo medievale, cfr.
F. MELIS, La diffusione nel Mediterraneo occidentale dei panni di Wervicq e delle altre città della Lys attorno al 1400, in
Studi in onore di A. Fanfani, 5 voll., Milano, Giuffrè, 1962, III, pp. 219-243, in particolare pp. 235-236; ID., Werner
Sombart e i problemi della navigazione nel Medioevo, in L’opera di W. Sombart nel centenario della nascita, Milano,
Giuffrè, 1964, pp. 87-149, in particolare pp. 119-149.
33
NICOLINI, Navigazione savonese, pp. 178-184 e bibliografia ivi citata.
34
RODGER, The Safeguard of the Sea, p. 68. Sull’impatto visivo che questi vascelli “grandi come castelli, o come isole in
mezzo al mare” potevano avere, si veda l’efficace descrizione di un cronista tardo bizantino: DUCAS, Istoria Turco-Bizantina
(1341-1462), edizione critica con testo originale a fronte a cura di V. GRECU, Bucarest, 1958, pp. 224-225. Per quanto
riguarda l’importanza della presenza delle navi genovesi nell’influenzare addirittura l’orientamento dei flussi di traffico
attraverso determinati porti, come Southampton, particolarmente adatti ad accoglierle, cfr. E.B. FRYDE, Italian Maritime
Trade with Medieval England (c. 1270 – c. 1530), “Recueils de la Société Jean Bodin”, 32 (1974), pp. 291-337, in
particolare pp. 308-314.
35
Calendar of State Papers and Manuscripts relating to English Affairs existing in the Archives and Collections of Venice,
and in other Libraries of Northern Italy, I: 1202-1509, London, Royal Stationery Office, 1864 (C.S.P.), doc. 96, p. 30. È
stato calcolato che l’ammontare delle importazioni genovesi in Inghilterra arrivasse negli anni intorno alla metà del XV
secolo alla somma di 85.400 ducati, mentre le esportazioni avrebbero raggiunto l’ammontare di 142.000 ducati; cfr. J.
HEERS, Les Génois en Angleterre: la crise de 1458-1466, in Studi in onore di Armando Sapori, II, pp. 807-832, in particolare
pp. 815-824, 826-831.
36
E. BASSO, LA MAONA DI CHIO, GENOVA E L’MPERO OTTOMANO: RELAZIONI COMMERCIALI E INTRECCI DIPLOMATICI FRA TARDO
MEDIOEVO E PRIMA ETÀ MODERNA, IN Relazioni economiche tra Europa e mondo islamico. Secc. XIII-XVIII, a cura di S.
CAVACIOCCHI, 2 voll., Firenze, Le Monnier, 2007, I, pp. 315-324.
160
Uno spazio che si restringe: i problemi della navigazione mediterranea in età colombiana tra pirateria, corsa e “minaccia turca”
tentativi di riallacciare antichi contatti che per molto tempo mantenne viva la speranza di poter tornare
su quelle piazze commerciali che per lungo tempo avevano visto i Genovesi agire da protagonisti
assoluti37, la decisa scelta operata dalla classe mercantile genovese in direzione di un impegno
crescente nel commercio rivolto a Occidente comportava dunque, in una situazione generale così
turbolenta come quella che sopra si è brevemente riassunta, l’inevitabile rischio di esporre le linee
commerciali vitali per la sopravvivenza economica della città alla minaccia rappresentata non solo
dai corsari al servizio della Corona d’Aragona, o di altre Potenze ostili, ma anche dai sempre più
numerosi pirati che, operando spesso da basi poste nella irrequieta Corsica38, infestavano le acque del
bacino occidentale del Mediterraneo, minaccia alla quale si andavano a sommare le conseguenze
potenzialmente disastrose delle rappresaglie che potevano essere decretate da sovrani stranieri per
reagire alle catture di navi da parte di corsari di origine genovese.
Nel corso della seconda metà del XV secolo proprio i porti còrsi furono meta e base privilegiata
di un’attività corsara condotta al di fuori del controllo genovese e senza tenere conto di quelli che
erano gli interessi politici generali del Comune ligure.
Questa attività, che ha lasciato tracce importanti, anche se sparse e frammentate, tanto nella
documentazione governativa quanto, soprattutto, negli atti privati rogati da numerosi notai genovesi
del tempo39, vide i bonifacini e i liguri, che per molto tempo erano stati i principali attori della
navigazione corsara basata nell’isola, affiancati e progressivamente sostituiti da una moltitudine di
individui delle provenienze più diverse che talvolta assursero, specie nei decenni tormentati attorno
alla metà del secolo, al rango di veri e propri protagonisti delle vicende storiche dell’epoca.
Un sicuro punto di svolta nell’evolversi di tale situazione è rappresentato dal passaggio della
Corsica dall’amministrazione diretta del Comune a quella del Banco di S. Giorgio, nel 1453. Questa
decisione, come quella, di poco successiva, della cessione al Banco di tutte le superstiti colonie del
Mar Nero, era certamente collegata alla difficile posizione politica e militare nella quale, come si è
visto, Genova era venuta a trovarsi in quel frangente: isolata in Italia, esposta in Oriente alla
minaccia dell’inarrestabile avanzata turca e in Occidente alla non meno micidiale pressione
dell’espansionismo aragonese40; ma il provvedimento, dettato dalla disperazione e dalla necessità
lucidamente individuata di concentrare tutte le proprie forze nella lotta senza quartiere contro i
disegni imperiali di Alfonso V41, ebbe anche, in un’ottica di medio e lungo termine, l’effetto di
aprire nuovi spazi di manovra diplomatici nella gestione del problema della navigazione corsara, che
proprio negli anni immediatamente successivi al passaggio della Corsica al Banco raggiunse uno dei
suoi momenti di maggiore attività.
Il tentativo di “strangolare”, economicamente prima ancora che militarmente, la città ligure
intrapreso dal Magnanimo nell’ultimo quinquennio del suo lungo regno era infatti in gran parte affidato
all’attività della sua flotta corsara, guidata da uno dei più temibili uomini di mare del tempo, Bernat
37
G. GRASSO, Documenti riguardanti la costituzione di una lega contro il Turco nel 1481, “Giornale ligustico di
archeologia, storia e belle arti”, VI (1879), pp. 321-494, in particolare pp. 330-337; G.G. MUSSO, Nuovi documenti
dell’Archivio di Stato di Genova sui Genovesi e il Levante nel secondo Quattrocento, “Rassegna degli Archivi di Stato”,
XXVII.2-3 (1967), pp. 443-496, in particolare pp. 482-488; ID., Nuove ricerche d’archivio su Genova e l’Europa centro-
orientale nell’ultimo Medio Evo, “Rivista storica italiana”, LXXXIII.1 (1971), pp. 130-143; ID., Le ultime speranze dei
Genovesi per il Levante: ricerche d’archivio, in Genova, la Liguria e l’Oltremare tra Medioevo ed Età Moderna: studi e
ricerche d’archivio, I, a cura di R. BELVEDERI, Genova, Istituto di Scienze Storiche, 1974, pp. 1-39; BASSO, From
Cooperation to Clash of Interests, pp. 187-188.
38
E. BASSO, Genova e la Corsica nel secolo XV: basi corsare e strategia mediterranea, “Ligures”, 3 (2005), pp. 17-28.
39
L. BALLETTO, Sulle fonti notarili per la storia della Corsica (secc. XIII-XV), “Archivio Storico Italiano”, CXXXVI/1-2
(1978), pp. 89-112.
40
La stessa cittadella di S. Fiorenzo era stata occupata temporaneamente dalle forze catalano-aragonesi; cfr. F. PERASSO
DA RIN, Il governo del Banco di San Giorgio in Corsica e le istruzioni per Cristoforo Cattaneo (1490), “Medioevo. Saggi
e rassegne”, 24 (2001), pp. 161-185, in particolare pp. 161-162.
41
OLGIATI, Classis.
161
Enrico Basso
42
Sulla considerazione di cui godeva il Vilamarí, anche presso gli stessi Genovesi, è significativa una lettera conservata
in ASGE, A.S., 1797, cc. 48v-49r, nella quale i comandanti genovesi vengono invitati a non sottovalutare la sua abilità di
marinaio.
43
Cfr. E. BASSO, “Ferro, fame ac peste oppressa”.
44
Tra i capitani corsari che operavano da Bonifacio si segnalò anche Melchione Grimaldi, membro di una famiglia il cui
ramo insediato a Monaco aveva fatto della pirateria una vera impresa economica; cfr. J.A. CANCELLIERI, Bonifacio au
Moyen Âge. Entre Gênes, Corse, Sardaigne et Méditerranée, Ajaccio, CRDP de Corse, 1997, pp. 253-254.
45
Sull’azione politica di Pietro Campofregoso, doge di Genova dal 1450 al 1458, si vedano L. LEVATI, Dogi perpetui della
Repubblica di Genova (1339-1528). Studio Biografico, Genova, s.e, s.d. (ma 1928), pp. 355-379; A. BORLANDI, Ragione
politica e ragione di famiglia nel dogato di Pietro Fregoso, in La Storia dei Genovesi, IV, Genova, Associazione Nobiliare
Ligure, 1984, pp. 353-402; OLGIATI, Classis, pp. 18-215.
46
ASGE, A.S., 1794, c. 779v.
47
Si veda G. OLGIATI, Angelo Giovanni Lomellino cit., p. 171.
48
Sulla figura di Scarincio, si vedano G. PISTARINO, Scarincio, corsaro ligure del Quattrocento, “Liguria”, XXXV/10,
(ottobre 1968), pp. 21-22; L. BALLETTO, Battista Aicardo di Porto Maurizio, detto Scarincio, corsaro-pirata del secondo
Quattrocento, in Corsari “turchi” e barbareschi in Liguria. Atti del 1º Convegno di studi (Ceriale, 7-8 giugno 1986),
Albenga, F.lli Stalla, 1987 (Associazione Amici di Peagna, Atti e Studi, 1), pp. 143-170.
49
Sul frequente uso di questa linea politica nel corso del XV secolo, cfr. BASSO, Genova e la còrsa, pp. 303-305.
50
Cfr. BALLETTO, Battista Aicardo, pp. 144-145, 153-157.
162
Uno spazio che si restringe: i problemi della navigazione mediterranea in età colombiana tra pirateria, corsa e “minaccia turca”
51
Giuliano Gattilusio è ricordato fra i grandi pirati dell’epoca, insieme a Scarincio e ad altri (tra i quali lo stesso Vilamarí),
anche dal cronista fiorentino Benedetto Dei, a lungo agente dei Medici alla corte ottomana; si veda B. DEI, La Cronica
dall’anno 1400 all’anno 1500, a cura di R. BARDUCCI, Firenze, Istituto per la storia degli antichi Stati italiani, 1985 (“Fonti
e Studi”, 1), p. 125. Sulla figura di Giuliano Gattilusio, si vedano HEERS, Les Génois en Angleterre, pp. 807-832; ID.,
Gênes, pp. 306-307; PISTARINO, I Signori, pp. 333-347; ID., Giuliano Gattilusio corsaro e pirata greco-genovese del secolo
XV, in Miscellanea Storica, I, Pietrabissara, Accademia Olubrense, 1992 (“Biblioteca dell’Accademia Olubrense”, 12), pp.
63-77; E. BASSO, Pirati e pirateria nel Mediterraneo medievale: il caso di Giuliano Gattilusio, in Πράκτικα Σύνεδριου “Όι
Γατελούζοι τής Λέσβου”, pp. 343-371; ID., Gattilusio, Giuliano, in Dizionario Biografico degli Italiani, 52, Roma, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana, 1999, pp. 611-614.
52
Sull’argomento e sulle vicende della famiglia, si vedano: A. LUXORO - G. PINELLI GENTILE, Documenti riguardanti
alcuni dinasti dell’Egeo, “Giornale ligustico di archeologia, storia e belle arti”, I (1874), pp. 81-90, 217-221; II (1875),
pp. 86-93, 292-297; III (1876), pp. 313-316; V (1878), pp. 345-372; W. MILLER, The Genoese colonies in Greece, in Essays
on the Latin Orient, Cambridge, University Press, 1921, pp. 296-298; ID., The Gattilusj of Lesbos (1355-1462), Ibidem,
pp. 313-353; PISTARINO, Genovesi, pp. 383-420; G. OLGIATI, I Gattilusio, in Dibattito su famiglie nobili del mondo coloniale
genovese nel Levante - Atti del Convegno di Montoggio, 23 ottobre 1993, Genova, Accademia Ligure di Scienze e Lettere,
1994 (“Monografie”, IX), pp. 85-99; G. PISTARINO, Il secolo dei Gattilusio, Signori nell’Egeo (1355-1462), in Πράκτικα
Σύνεδριου “Όι Γατελούζοι τής Λέσβου”, pp. 281-306.
53
Il Gattilusio, oltre a navi cipriote e catalane, aveva assalito nell’Egeo anche la nave Cattanea, patronizata da Lorenzo
Spinola; PISTARINO, Giuliano Gattilusio, pp. 67-68. L’attacco, avvenuto il 3 agosto 1456, venne denunciato dallo Spinola
in un atto rogato a Chio dal notaio Tommaso Recco il 3 novembre 1456 (ASGE, Notai, filza 848, doc. LXXXXVI/2), che
mi è stato cortesemente segnalato da Laura Balletto, che qui ringrazio. La controversia con Paride Cattaneo derivata da
questo atto di pirateria venne sottoposta ad arbitrato il 12 maggio 1457 (ASGE, A.S., busta 712b, doc. 3; documento
segnalatomi dalla cortesia di Catherine Otten-Froux, che qui ringrazio), ma, nonostante il giudizio a lui favorevole, il
Cattaneo attendeva ancora nel 1467 di essere rimborsato dal Gattilusio dei danni subiti, valutati nella cifra di 4.500 ducati;
ASGE, A.S., 3049.
54
Documento edito in CANCELLIERI, Bonifacio, pp. 271-272.
55
A dimostrazione di quanto potesse essere mutevole la realtà della navigazione corsara, va ricordato che pochi mesi prima
il Doria e la sua nave erano stati catturati nell’Egeo proprio dal Gattilusio; secondo una prassi non infrequente,
evidentemente i due patroni avevano giudicato più conveniente associarsi come pirati che combattersi; cfr. PISTARINO,
Giuliano Gattilusio, p. 68.
56
ASGE, A.S., 1794, c. 851v.
57
Il provvedimento venne adottato nel corso di un Gran Consiglio convocato il 6 luglio 1457, dopo l’arrivo della notizia
della cattura della nave Lomellina; ASGE, A.S., 561, cc. 17 r.-18 r. Il Gattilusio, come risulta dalle istruzioni date dal
governo l’8 luglio 1457 a Bartolomeo Cafecca, commissario a bordo della sua nave, avrebbe dovuto spingersi fino a
Cadice per prendere sotto scorta le navi genovesi, e avrebbe avuto il diritto di trattenere un quarto del bottino predato su
navi catalane eventualmente catturate; ASGE, A.S., 3042, doc. 26. Per quanto riguarda l’ammontare della ricompensa
pagata al Gattilusio ed i metodi di raccolta del denaro, si veda ASGE, A.S., 560, cc. 39r/v; 1785, c. 450r; BASSO, Pirati,
pp. 349-353, 366-367.
163
Enrico Basso
anch’egli, come già il suo collega Scarincio58, approfittò troppo largamente della protezione
concessagli dalle patenti che gli erano state rilasciate dal governo genovese catturando, oltre ad alcuni
carichi di grano, anche una nave castigliana, un episodio dal quale scaturì per il governo una nuova
complicazione diplomatica, assolutamente indesiderabile in quel particolare momento59.
La grave situazione militare, che come si è detto aveva spinto Genova a sottomettersi nuovamente
alla Corona di Francia, condusse tuttavia le autorità genovesi a mettere da parte, almeno per il momento,
il giudizio sulla legittimità delle azioni dei suoi capitani: al Gattilusio venne anzi ordinato di unirsi alla
flotta che Pietro Giustiniani de Campis, ex-podestà di Chio e comandante del convoglio in arrivo dal
Levante, stava organizzando nel porto di Bonifacio, allo scopo di spezzare definitivamente il blocco
navale catalano davanti a Genova60. Il pirata greco-genovese veniva così ancora una volta richiamato
in servizio, nonostante i precedenti, proprio in considerazione del fatto che le sue caratteristiche lo
rendevano adatto ad un piano di questo genere, come del resto lo stesso Scarincio, utilizzato anche in
qualità di portaordini grazie alla sua abilità nello sgusciare fra le maglie del blocco navale61; i due
capitani avevano inoltre una buona esperienza dei porti còrsi e delle rotte fra l’Isola e la Liguria e
avrebbero potuto consigliare efficacemente il Giustiniani nella direzione della flotta.
La morte di Alfonso d’Aragona e il conseguente sbandamento della flotta del Vilamarí, costretto
a ripiegare verso la Catalogna, resero inutili questi preparativi62, ma non risolsero il problema
rappresentato proprio dal Gattilusio e dallo Scarincio, i quali continuarono a scorrere le acque del
Mediterraneo occidentale creando continui problemi al governo genovese. Se infatti il primo dei due
si lanciò in una campagna piratesca culminata nel famigerato episodio della cattura di mercantili inglesi
in acque siciliane che, come si vedrà successivamente, avrebbe arrecato tanti disastri alla florida
comunità mercantile genovese insediata in Inghilterra63, il secondo fece dei porti còrsi la sua base
operativa per le scorrerie che, ormai a capo di una vera e propria flotta, conduceva nel Tirreno più al
servizio delle mire sul Regno di Napoli di Giovanni d’Angiò, duca di Calabria e governatore di Genova
per conto di re Carlo VII, che nell’interesse genovese64.
Come dimostrano le gravi ripercussioni nelle relazioni con l’Inghilterra determinate dalle azioni
del Gattilusio e in quelle con la Tunisia conseguite a quelle dello Scarincio, il pur evidente legame
politico con il duca di Calabria dei due corsari e il fatto che essi operassero prevalentemente partendo
da porti còrsi65, e quindi ufficialmente soggetti al Banco di S. Giorgio e non al Comune, non valsero
quindi a evitare un diretto coinvolgimento genovese nelle conseguenze delle loro azioni, né la
situazione mutò nel periodo successivo66.
Le cronache e i documenti confermano infatti come la Corsica, a causa della sostanziale anarchia
della quale fu preda nell’ultimo trentennio del XV secolo, divenisse la base privilegiata di una lunga
serie di avventurieri del mare, di provenienza non solo locale, sarda e ligure, ma anche catalana,
58
Nell’estate del 1457, Scarincio aveva assalito navi fiorentine, costringendo il governo genovese a ribadire alla Signoria
che il pirata era stato assoldato solo per combattere i catalani; ASGE, A.S., 1785, cc. 453v-454r.
59
Rappresentanti del governo furono immediatamente inviati a Savona per convincere il Gattilusio a restituire la nave
castigliana; ASGE, A.S., 1794, c. 892v (20 settembre 1457); edito in LUXORO - PINELLI GENTILE, Documenti, V, doc. 49,
pp. 357-358. Un invito ad esercitare pressioni su di lui affinché liberasse la nave catturata veniva anche indirizzato al suo
fideiussore, Bartolomeo Doria quondam Iacobi, ASGE, A.S., 1794, c. 893r (20 settembre 1457).
60
ASGE, A.S., 1797, cc. 37r/v, 45r, 48v-49r.
61
Ibidem, c. 55r.
62
BASSO, “Ferro, fame ac peste oppressa”, pp. 551-552.
63
BASSO, Pirati, pp. 353-358; ID., La presenza genovese in Inghilterra e le relazioni commerciali anglo-genovesi nella
seconda metà del XV secolo, in Giovanni Caboto e le vie dell’Atlantico Settentrionale. Atti del Convegno Internazionale
di Studi – Roma, 29 settembre-1 ottobre 1997, Genova, Brigati, 1999, pp. 17-37; ID., Note, pp. 264-265.
64
BALLETTO, Battista Aicardo, pp. 148-149.
65
Principalmente il golfo di Portovecchio e Bonifacio; cfr. HEERS, Gênes, pp. 306-307.
66
Cfr. R. MUSSO, Il dominio sforzesco in Corsica (1464-1481) (I), “Nuova Rivista Storica”, LXXVIII/3 (1994), pp.
531-588, in particolare pp. 566-567.
164
Uno spazio che si restringe: i problemi della navigazione mediterranea in età colombiana tra pirateria, corsa e “minaccia turca”
provenzale e francese, i quali trovarono per lungo tempo sicuro rifugio nei suoi porti67. Assai
significativa appare, a questo proposito, la preoccupazione manifestata da parte di Giuliano de
Magnerri, comandante di due galee inviate lungo le coste còrse nel 1473, in una lettera inviata alla
corte ducale milanese, nella quale egli espresse il parere che l’anarchia regnante nell’Isola avrebbe
potuto risultare estremamente pericolosa per la sicurezza stessa di Genova perché “[...] quando fuse
le castelle con li porti in mano de inimici, poriano stare li corsari et ogni nocte venire in terraferma
sino in Genoa senza possere havere advizo, et così ogni inimico [...]”68. Tali parole, che possono ben
esemplificare quale fosse da sempre il motivo che rendeva il controllo della Corsica un’esigenza
fondamentale per la città ligure, erano rese ancor più profetiche dal nuovo tentativo di interferenza nelle
vicende còrse messo in atto in quello stesso periodo da Giovanni II d’Aragona, uscito vincitore dalla
lunga guerra civile catalana, attraverso rinnovati contatti con gli irrequieti signori cinarchesi69. In
effetti, l’attività dei corsari catalani in acque còrse riprese vigore negli ultimi decenni del secolo, in
coincidenza con l’inizio delle “Guerre d’Italia”, come testimoniano svariati episodi di scontri, catture
e naufragi che marcarono il periodo e che sono puntualmente registrati tanto nelle cronache coeve70
quanto nella documentazione del Banco di S. Giorgio, tornato padrone dell’Isola71; ad essi tornarono
ad affiancarsi ben presto anche dei liguri, come Pietro Presenda, Luchino di Corniglia, un nuovo
“Scarincio” (questa volta originario di Portovenere), o quel Vincenzo Colombo che fu per lungo tempo
uno dei più temuti scorridori del Mediterraneo occidentale72. Una situazione di tal genere imponeva
indubbiamente al governo genovese di trovare un rimedio, al fine di evitare che rappresaglie potessero
essere decretate contro le comunità mercantili insediate nei Regni dell’Europa occidentale.
Un tentativo in questo senso si era concretizzato già nel corso del XIV secolo con l’istituzione
dell’Officium Robarie, al quale era stata delegata la specifica competenza di verificare le petizioni
presentate dai mercanti stranieri danneggiati e, in caso positivo, di procedere alla punizione dei
colpevoli e al risarcimento dei danni73; l’istituzione di una magistratura di tal genere costituiva
indubbiamente un espediente interessante per evitare i problemi connessi con la concessione di “lettere
di marca” da parte di principi stranieri, ma le gravi difficoltà incontrate dal Comune genovese alla
fine del secolo74 ed il già ricordato aggravarsi della situazione di conflitto generale portarono ad un
esaurimento di questa esperienza nel corso del primo decennio del secolo XV.
67
Cfr. C. BORNATE, Genova e Corsica alla fine del Medioevo, Milano, Istituto per gli studi di politica internazionale, 1940,
pp. 11-12, 23-24, 39, 72-73, 79; PERASSO DA RIN, Il governo del Banco di San Giorgio in Corsica, p. 164.
68
ARCHIVIO DI STATO DI MILANO, Sforzesco, 450, lettera data da Bastia il 17 luglio 1473; questo documento è stato segnalato
e in parte pubblicato da R. MUSSO, Il dominio sforzesco in Corsica (1464-1481) (II), “Nuova Rivista Storica”, LXXIX/1
(1995), pp. 27-76, in particolare p. 41.
69
Ibidem, pp. 42-44, 47-50. Sulle manovre messe in atto in quel periodo dalla Corona d’Aragona, cfr. R. DI TUCCI, La
congiura di Iacopo Mancoso, vescovo di Ajaccio (1480), “Archivio Storico di Corsica”, VIII (1932), pp. 376-377.
70
Si veda, ad esempio, quanto riportato per i primi anni del XVI secolo in F. CASONI, Annali della Repubblica di Genova
del secolo Decimo sesto, Genova, Antonio Casamara, 1708, pp. 21-22.
71
BORNATE, Genova e Corsica, pp. 11-12.
72
Ibidem, pp. 23-24, 72, 79.
73
Sull’argomento, cfr. L. DE MAS LATRIE, L’Officium Robarie ou l’office de la piraterie à Gênes au Moyen Age,
“Bibliothèque de l’École de Chartes”, LIII (1892), pp. 264-272; G. CARO, Genua und die mächte am Mittelmeer, 1275-
1311, 2 voll., Halle, Niemeyer, 1895-1899, tr. it. Genova e la supremazia sul Mediterraneo (1257-1311), “ASLi.”, n.s.,
XIV-XV (1974-1975), II, pp. 309-310; R.S. LOPEZ, Studi sull’economia genovese nel Medioevo, Torino, Lattes, 1936, pp.
16-17; ID., Storia delle colonie, p. 241; B.Z. KEDAR, L’”Officium Robarie” di Genova: un tentativo di coesistere con la
violenza, “Archivio Storico Italiano”, CXLIII (1985), pp. 331-372; A. ROCCATAGLIATA, Alle origini dell’Ufficio “pro
robariis” del Comune di Genova, in Saggi e Documenti VII, 2 voll., Genova, Civico Istituto Colombiano, 1986, II, pp. 151-
184; EAD., L’Officium Robarie del Comune di Genova (1394-1397), 3 voll., Genova, Università di Genova, 1989-1993.
74
Sul passaggio di Genova sotto la Signoria di Carlo VI di Francia, avvenuto nel 1396 al termine di un tormentato periodo
di guerre intestine, cfr. E. JARRY, Les origines de la domination française à Gênes, 1396-1402, Paris, Alphonse Picard et
fils, 1896, pp. 156-221; M. DE BOÜRD, La France et l’Italie aux temps du Grand Schisme d’Occident, Paris, E. de Boccard,
1936 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, 139), pp. 190-205; PETTI BALBI, Tra dogato e principato,
pp. 277-278.
165
Enrico Basso
75
BASSO, Genova, pp. 202-213; ID., I Genovesi in Inghilterra fra Tardo Medioevo e prima Età Moderna, in Genova: una
“porta” del Mediterraneo, a cura di L. GALLINARI, 2 voll., Cagliari – Genova – Torino, Istituto di Storia dell’Europa
mediterranea del CNR, 2005, I, pp. 523-574, in particolare pp. 528-530, 558-559.
76
BASSO, Genova, pp. 213-219.
77
Ibidem, pp. 220-231.
78
BASSO, Pirati, pp. 354-355.
79
Cfr. BASSO, La presenza genovese in Inghilterra, pp. 25-28. Conseguentemente, i Genovesi rifiutarono di fornire navi
alla flotta reale per la progettata spedizione anti-inglese del 1461; cfr. ASGE, A.S., 1797, cc. 79v-80r.
166
Uno spazio che si restringe: i problemi della navigazione mediterranea in età colombiana tra pirateria, corsa e “minaccia turca”
A tale proposito, vanno tenuti presenti due dati fondamentali: da un lato le finanze in perenne
deficit del Comune genovese nel corso del XV secolo e dall’altro l’assenza di una “flotta di Stato”
genovese. I magri bilanci del Comune non potevano infatti certamente permettere di affrontare le
spese necessarie all’organizzazione di spedizioni su vasta scala, ulteriormente aggravate dalla necessità
di “precettare” navi di proprietà privata, come era avvenuto, ad esempio, nel caso degli avvenimenti
del 1412 sopra ricordati, il che obbligava il governo, oltre a farsi carico degli stipendi degli equipaggi
e delle spese di armamento delle navi stesse, anche a risarcire i proprietari per i mancati guadagni
derivanti dall’impossibilità di utilizzare le navi in viaggi commerciali.
Gli esempi del tipo di problemi creati da questa situazione sono numerosi nella documentazione
a nostra disposizione. A puro titolo esemplificativo, è possibile addurre il caso della spedizione
repressiva deliberata nel 1429, nel tentativo di evitare una nuova crisi con l’Aragona80, contro Paolo
Ciconia ed i suoi complici, responsabili di vari assalti contro navi catalane: nonostante l’invio di
emissari in numerosi porti del Mediterraneo occidentale, l’impiego di ben tre grandi navi nella caccia
ai pirati lungo le coste iberiche e la spesa di almeno 12.000 lire genovine (si tenga conto che il bilancio
ordinario del Comune si aggirava in quel periodo sulle 60/80.000 lire annue complessive81), i risultati
furono infatti nulli. Non solo il Ciconia ed i suoi complici non vennero catturati, ma, avvalendosi delle
protezioni loro concesse da Giovanni II di Castiglia82 e Renato d’Angiò (nonché, anche in questo caso,
di probabili complicità interne83), continuarono addirittura ad assalire impunemente navi catalane84, i
cui carichi venivano poi rivenduti proprio nei porti castigliani e provenzali85.
Come ben dimostra questo esempio, anche le speranze di successo della strategia che prevedeva
l’uso della forza per la repressione degli episodi pirateschi erano dunque direttamente influenzate dal
complesso gioco degli equilibri politici che regolavano i rapporti fra le Potenze che si affacciavano sul
bacino occidentale del Mediterraneo e questo fatto, unito agli altissimi costi economici sopra
evidenziati, spiega ampiamente come mai le autorità genovesi vi abbiano fatto ricorso così raramente;
a parità di incertezza sui risultati finali, appariva in definitiva assai meno dispendioso, e forse alla fine
più produttivo, affidarsi alle collaudate armi di una diplomazia dilatoria affidata all’abilità di esperti
giuristi e alla forza sempre persuasiva del denaro per tentare di appianare le controversie.
Si potrebbe obiettare che i Genovesi non abbiano impiegato maggiore energia nella
repressione del fenomeno, e che in alcuni casi si siano di fatto limitati a cercare di placare l’ira dei
danneggiati senza che questi arrivassero a pretendere risarcimenti che le casse genovesi difficilmente
avrebbero potuto permettersi di pagare86, ma indubbiamente non si può negare che, mentre altre
80
L’anno precedente, violenti tumulti avevano portato al saccheggio della loggia dei Genovesi a Palermo, provocando un
blocco della navigazione commerciale diretta verso la Sicilia; nel corso delle trattative diplomatiche seguite all’episodio,
gli ambasciatori genovesi ebbero tra l’altro precise direttive sulle proteste da avanzare ufficialmente per l’incontrollata
attività dei corsari catalani e la mancata imposizione ai patroni di fideiussioni adeguate a dissuaderli dall’assalire navi
genovesi; cfr. BASSO, Genova, pp. 252-255.
81
Cfr. M. BUONGIORNO, Il bilancio di uno Stato medievale. Genova 1340-1529, Genova, Università di Genova, 1973, pp.
201-234.
82
Il 27 aprile 1430 venne inviata una lettera al re per chiedergli ufficialmente di non offrire ulteriormente asilo nei porti
soggetti alla sua sovranità al Ciconia ed ai suoi complici; BASSO, Genova, pp. 234, 298-299.
83
Connesse probabilmente ai legami esistenti fra molti membri del ceto di governo e la fazione anti-viscontea guidata
dall’esule ex-doge Tommaso Campofregoso, un nipote del quale, Isnardo, era tra i compagni d’avventura del Ciconia; cfr.
BASSO, Genova, pp. 235-240.
84
Ancora il 2 maggio 1430 il Ciconia assalì una nave catalana presso le isole di Hyères; ASGE, A.S., 513, c. 100v.
85
Abbiamo precise testimonianze circa la vendita effettuata a Marsiglia di merci predate a bordo delle navi catturate; cfr.
ASGE, A.S., 1780, c. 65r.
86
Per l’analisi di un famoso caso di questo genere, e cioè la controversia sorta nel 1473-74 con l’Ordine dei Cavalieri di
San Giovanni a causa della cattura della nave del Priore di Provenza, la Saint Gilles, da parte di tre navi genovesi al
comando dei patroni Gioffredo Spinola, Pietro Giustiniani olim Recanello quondam Gabrielis e Francesco Grimaldi
quondam Friderici, cfr. E. BASSO – P.F. SIMBULA, La nave di Rodi: una cause célébre nel Mediterraneo del Quattrocento,
in Cavalieri di San Giovanni in Liguria e nell’Italia Settentrionale. Quadri regionali, uomini e documenti, a cura di J. COSTA
RESTAGNO, Genova – Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, in corso di stampa.
167
Enrico Basso
Potenze, come l’Aragona, di fatto lasciavano carta bianca ai propri scorridori del mare, i membri
della classe di governo della città ligure si siano quanto meno posti seriamente il problema e questo,
per una potenza marittima in crisi come la Genova del tempo, costituisce indubbiamente un titolo
di merito.
Tuttavia, l’analisi fin qui condotta delle soluzioni che il governo genovese tentò di applicare al
problema dell’attività corsara, pur sottolineando il fatto che si trattava di un problema sostanzialmente
incontrollabile anche da parte di compagini statali ben più poderose e centralizzate del comune ligure87,
ha mostrato come tutte queste risposte siano risultate, in un modo o nell’altro, inadeguate ed empiriche.
Per Genova, che ancor più di alcuni suoi rivali, come l’antica nemica, Venezia, basava la prosperità
economica dei propri cittadini sul commercio marittimo, la libertà e la sicurezza delle rotte commerciali
rivestiva un valore fondamentale88; il prezzo pagato dai Genovesi per l’inadeguatezza delle risposte
offerte al problema rischiava di essere dunque catastrofico.
Ancora una volta, è la vicenda della cattura delle navi inglesi da parte di Giuliano Gattilusio a
fornirci l’esempio più concreto per chiarire quali potevano essere le conseguenze politiche ed
economiche di un’azione di pirateria, e a quale distanza, e con quanta intensità, esse potessero
ripercuotersi. I dettagli della vicenda sono già stati analizzati tanto da Jacques Heers89, quanto da chi
scrive in altre sedi90; in questa occasione si vuole unicamente sottolineare come la micidiale
combinazione di un’azione piratesca in sé relativamente modesta con la delicata situazione politica del
momento, tanto in Inghilterra91 quanto a Genova92, favorì in effetti i disegni di coloro che miravano
ad abbattere la posizione di privilegio economico e commerciale detenuta dai Genovesi nel Regno93.
La campagna abilmente orchestrata contro questa “genia di pirati”, che avevano per di più riconosciuto
l’autorità del “sedicente re di Francia” al punto da farlo loro signore94, ebbe pieno successo. Con i
magazzini saccheggiati, le attività commerciali sconvolte, il credito irrimediabilmente compromesso,
secondo la desolante immagine che emerge da una fonte preziosissima quale è il registro di conti della
massaria genovese di Londra per questi anni95, i mercanti genovesi attivi nel Regno, tra i quali figurava
tutto il gotha dell’aristocrazia mercantile e finanziaria cittadina96, con membri delle case Spinola,
87
Si pensi alle difficoltà incontrate dalla stessa monarchia inglese nel controllo dei numerosi pirati che, dalle basi della
Cornovaglia, disturbavano i traffici commerciali tra il Regno e il Mediterraneo; cfr. RODGER, The Safeguard of the Sea, pp.
115-116, 128, 146-150.
88
L’importanza fondamentale che l’economia e il commercio rivestivano anche nel quadro politico genovese venne
acutamente sottolineata nel 1522 da Ottaviano Fregoso, governatore per il re di Francia, nelle istruzioni per l’ambasceria
destinata a Francesco I, quando fece presente al sovrano che gli abitanti della città ligure erano avvezzi da secoli ad un
modello sociale fondato su una assoluta prevalenza dell’aspetto commerciale che “[…] è alieno da le altre cità, quale se
ben perdono il mobile loro li resteno li feudi e le possessione che non gli possono mancare e poi facilmenti se ristorano
[…]”; cfr. PACINI, I presupposti politici, pp. 90-94.
89
HEERS, Les Génois; ID., Gênes, pp. 306-307.
90
BASSO, Pirati; ID., La presenza genovese. Cfr. anche PISTARINO, I Signori, pp. 333-347.
91
Cfr. E. MILLER, La politica economica dei governi: Francia e Inghilterra, in Economic Organization and Policies in the
Middle Ages, Cambridge, University Press, 1965 (The Cambridge Economic History of Europe, III), tr. it., Le città e la
politica economica nel Medioevo, Torino, Einaudi, 1977, pp. 340-397, in particolare pp. 393-397.
92
Cfr. E. BASSO, “Ferro, fame ac peste oppressa”.
93
Sulla posizione particolare che i Genovesi avevano assunto nell’economia inglese in seguito al trattato del 1421, cfr.
BASSO, I Genovesi in Inghilterra, pp. 559-562.
94
Già per questo motivo, i mercanti genovesi avevano dovuto fronteggiare una prima crisi nei loro rapporti con la Corona
che aveva provocato danni, tra saccheggi e requisizioni, per un ammontare di 100.000 scudi. Cfr. ASGE, A.S., 1798, cc.
79v-80r; BASSO, “Ferro, fame ac peste oppressa”, pp. 548-552; ID., Pirati, p. 353.
95
ASGE, Antico Comune, 784. A questo fa da contraltare il registro di conti redatto a Genova dall’Officium rerum
anglicarum, appositamente costituito: ASGE, Antico Comune, 785. Cfr. V. POLONIO, L’amministrazione della Res Publica
genovese fra Tre e Quattrocento. L’archivio “Antico Comune”, “ASLi.”, n.s., XVII/1 (1977), p. 319.
96
Per un’analisi della distribuzione dei rappresentanti delle grandi famiglie genovesi sulle piazze commerciali europee e
mediterranee alla metà del XV secolo, che pone proprio l’Inghilterra ai primi posti nella graduatoria degli scali più
frequentati, cfr. PH. GOURDIN, Présence Génoise, pp. 19-22.
168
Uno spazio che si restringe: i problemi della navigazione mediterranea in età colombiana tra pirateria, corsa e “minaccia turca”
Doria, Lomellini, Gentile, Pinelli, Grimaldi, Giustiniani, Squarciafico, Di Negro, Cattaneo, persero
rapidamente posizioni nel panorama economico inglese97.
Ad aggravare ulteriormente una situazione già di per sé complicata giunse, poco più di un anno
dopo la conclusione dell’accordo diplomatico con il quale si era cercato di chiudere la questione98,
l’avvento del regime yorkista. Le prospettive del governo di Edoardo IV si presentavano infatti assai
poco favorevoli nei confronti dei mercanti stranieri a causa dei notori, strettissimi rapporti del nuovo
re con gli xenofobi mercanti dello Staple.
Si dovette quindi sostanzialmente attendere il 1471 perché la situazione potesse permettere una
ripresa. Il declino dell’influenza politica dello Staple, che aveva commesso il grave errore di schierarsi
troppo decisamente dalla parte del conte di Warwick nel sostenere l’effimera restaurazione di Enrico
VI orchestrata dal nobile ribelle nel 1470-71, contribuì infatti a spingere Edoardo, tornato sul suo
trono dopo un breve esilio anche grazie al determinante appoggio concessogli dai mercanti anseatici
ed italiani per mezzo della mediazione di suo cognato, il duca Carlo di Borgogna, a modificare il suo
atteggiamento nei confronti degli stranieri nel corso del suo secondo regno, durante il quale i
documenti attestano la presenza di vari italiani tra gli uomini di fiducia del re99.
Il rinnovato interesse dei mercanti genovesi nei confronti della piazza commerciale londinese in
questi anni è dimostrato anche dal fatto che poco dopo la caduta della dominazione sforzesca sulla città,
nel 1478, il nuovo governo di Genova addossò le spese dell’ambasceria inviata a trattare un’alleanza
con la Francia proprio alle comunità di Londra, Bruges e Lione, che dalla sicurezza della libertà di
passaggio attraverso il territorio francese avrebbero tratto i maggiori guadagni, mettendo quindi la
comunità residente in Inghilterra sullo stesso piano di due delle più prospere comunità mercantili
genovesi del tempo100. Tuttavia, anche se vennero adottati a più riprese provvedimenti per facilitare il
ritorno dei mercanti ed il riavvio dei traffici, le difficoltà rimasero notevoli101, e solo quando lo scontro
fra Riccardo III e il ribelle Henry Tudor concluse definitivamente la fase della guerra civile e il
vincitore, col nome di Enrico VII, fu ben sicuro sul suo nuovo trono i Genovesi trovarono la possibilità
effettiva di riaffacciarsi stabilmente sulla scena economica inglese102, favoriti in questo dal rapido
tramonto della potenza dello Staple, al quale andavano sostituendosi i meno xenofobi, anche se non
meno rigidamente monopolisti, Merchants Adventurers103.
97
Cfr. J. FINOT, Étude historique sur les relations commerciales entre la Flandre et la République de Gênes au moyen-âge,
Paris, Picard, 1906, p. 175; A.A. RUDDOCK, Italian Merchants and Shipping in Southampton, 1270-1600, Southampton,
University College, 1951, pp. 163, 177-180; HEERS, Les Génois, pp. 812-813; E.F. JACOB, The Fifteenth Century, 1399-
1485, Oxford, Clarendon Press, 1961 (The Oxford History of England, VI), pp. 354-356; A. NICOLINI, Mercanti e fattori
genovesi in Inghilterra nel Quattrocento, “ASLi.”, nuova serie (n.s.), XLV/3 (2005), pp. 495-535, in particolare pp. 510,
515-516. In base ai dati desunti dal Liber partimentorum della massaria di Londra risulta che i mercanti residenti in
Inghilterra avessero subito danni per un ammontare complessivo di 59.850 ducati; cfr. HEERS, Les Génois, p. 815.
98
La ratifica del trattato ebbe luogo, dopo aspri dibattiti, il 29 settembre 1459. L’importanza fondamentale che le classi
dirigenti genovesi attribuivano in questi anni al commercio con l’Inghilterra e all’esigenza di impedire che qualche altra
natio potesse approfittare della crisi per appropriarsi degli spazi lasciati vuoti dai mercanti genovesi venne più volte ribadita
nelle discussioni del Gran Consiglio. Cfr. ASGE, A.S., 564, cc. 46v.-48v.; 3046, docc. 346-347; 3047, doc. 345; BASSO, La
presenza genovese, pp. 32-34.
99
JACOB, The Fifteenth Century, pp. 550-569; CH. ROSS, Edward IV, New Haven-London, Yale University Press, 1997²,
pp.158-160.
100
G. PETTI BALBI, Mercanti e “nationes” nelle Fiandre: i genovesi in età bassomedievale, Pisa, ETS, 1996 (“Piccola
Biblioteca GISEM”, 7), p. 78.
101
Sull’ostilità dimostrata da Riccardo III nei confronti dei mercanti stranieri, ed in particolare dei veneziani, per
guadagnarsi l’appoggio della classe mercantile inglese, cfr. RUDDOCK, Italian Merchants, p. 220.
102
Sulla situazione economica inglese durante gli anni di regno di Enrico VII, che videro una ripresa economica del regno
parallela tuttavia ad un riaffermarsi vigoroso del protezionismo in campo commerciale, che finì per ridurre sensibilmente
gli introiti daziari; cfr. J.D. MACKIE, The Earlier Tudors, 1485-1558, Oxford, Clarendon Press, 1957² (The Oxford History
of England, VII), pp. 25-45, 218-224, 468-477.
103
Sullo sviluppo dei Merchant Adventurers e sui loro tentativi, iniziati già nel 1504, di assorbire lo Staple, che nel 1527 si
trovava in uno stato di completa crisi, cfr. MACKIE, The Earlier Tudors, pp. 472-474; MILLER, La politica economica, p. 395.
169
Enrico Basso
Le caratteristiche della presenza genovese in Inghilterra nei decenni tra il XV ed il XVI secolo
furono però notevolmente differenti da quelle che tale presenza aveva avuto nell’epoca precedente
alla grande crisi determinata dalla vicenda del Gattilusio: analogamente a quanto stava accadendo in
altre regioni d’Europa, e soprattutto nella Penisola iberica, i membri di questa rinnovata comunità
genovese, all’interno della quale il declino della storica presenza dei membri della famiglia Cattaneo
lascia progressivamente al clan degli Spinola un ruolo di assoluta preminenza104, dopo aver per la
maggior parte abbandonato le loro residenze di Southampton per trasferirsi a Londra si dedicarono più
alla finanza che al commercio, anche perché ormai, sotto questo punto di vista, la Castiglia era in
grado di assicurare rifornimenti di lana di ottima qualità a prezzi assai più convenienti e con minori
rischi di trasporto105.
Un fondamentale fattore di cambiamento era stato determinato dall’esaurirsi progressivo della
navigazione italiana verso i porti inglesi e quelli del Nord in generale. Infatti, anche se i mercanti
proseguivano nella loro attività commerciale, sempre più spesso i carichi di loro proprietà viaggiavano
a bordo di navi biscagline, o addirittura inglesi, e il progressivo passaggio in mani inglesi del controllo
del commercio con il Mediterraneo, con l’istituzione di uno Staple attestato nel porto di Pisa106, aveva
spinto molti di loro ad abbandonare l’Inghilterra per trasferirsi nelle Fiandre, o addirittura per tornare
a Genova, in quanto anche nella regione fiamminga si erano iniziati ad avvertire i primi inequivocabili
segni di un declino commerciale107, aggravatisi progressivamente a causa della forte conflittualità che
era sorta nell’area dopo il crollo dello Stato borgognone nel 1477108. Nell’intervallo che sarebbe
intercorso prima del sorgere dell’astro di Anversa, nonostante l’attaccamento genovese alla piazza di
Bruges109, i mercati del Nord persero dunque provvisoriamente interesse per i grandi mercanti
104
Cfr. RUDDOCK, Italian Merchants, pp. 216-217. Per un’analisi della presenza dei membri della famiglia Spinola negli
ambienti del commercio atlantico durante il XV secolo, cfr. GOURDIN, Présence Génoise, pp. 19-27; PETTI BALBI, Mercanti
e “nationes”, pp. 85-89. Di grandissima importanza a questo fine è un gruppo di 5 registri di conti redatti fra Bruges,
Malaga e Genova nel periodo 1420-1456, individuati da Giovanna Petti Balbi tra le carte della famiglia Sauli conservate
nell’Archivio Durazzo-Giustiniani di Genova. Cfr. G. PETTI BALBI, Le strategie mercantili di una grande casata genovese:
Francesco Spinola tra Bruges e Malaga (1420-1456), “Serta antiqua et mediaevalia”, nuova serie, I (1997), pp. 379-393;
M. BOLOGNA, L’Archivio della famiglia Sauli di Genova, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione
Generale per gli Archivi, 2001 (“Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Strumenti”, CXLIX), nn. 1838-1842, pp. 544-545;
A. F REGAS GARC , Un mercader genovés en el reino de Granada. El libro de cuentas de Agostino Spinola. 1441-1447,
Granada, Universidad de Granada, 2002; EAD., La familia Spinola en el reino nazarí de Granada. Contabilidad privada
de Francesco Spinola (1451-1457), Granada, Universidad de Granada, 2004.
105
Cfr. R.S. LOPEZ, L’origine della pecora merina, in The Joshua Starr Memorial Volume. Studies in history and philology,
New York, Conference on Jewish relations, 1953, pp. 161-168 (nuovamente pubblicato in ID., Su e giù per la storia di
Genova, Genova, Università di Genova, 1975, pp. 265-276).
106
Sull’istituzione, a partire dal 1489, dello Staple dei mercanti inglesi a Pisa, cfr. RUDDOCK, Italian Merchants, pp. 222-
223.
107
Sulle difficoltà crescenti incontrate dai Genovesi nei loro rapporti con il duca Carlo di Borgogna, cfr. G. PETTI BALBI,
Mercanti e “nationes”, pp. 44-50.
108
Sulle gravi conseguenze della rivolta delle città fiamminghe contro Massimiliano d’Asburgo, protrattasi dal 1485 al
1492, cfr. A. DERVILLE, Les origines des libertés urbaines en Flandre, in Les origines des libertés urbaines, Rouen,
Publications de l’Université de Rouen, 1990, pp. 193-211; W. BLOCKMANS, La répression des révoltes urbaines comme
méthode de centralisation dans les Pays-Bas bourguignons, in Milano e Borgogna. Due stati principeschi tra medioevo e
rinascimento, a cura di J.M. CAUCHES e G. CHITTOLINI, Roma, Bulzoni, 1990 (“Europa delle Corti”, 47), pp. 5-9; E. THOEN,
Immigration to Bruges during the late Middle Ages, in Le migrazioni in Europa, secc. XIII-XVII - Atti della 25ª settimana
di studio dell’Istituto Datini di Prato, Firenze, Le Monnier, 1994, pp. 335-358.
109
Cfr. J. MARECHAL, Le départ de Bruges des marchands étrangers (XV-XVI siècles), “Annales de la Société d’emulation
de Bruges”, LXXXVIII (1951), pp. 26-74; J.A. VAN HOUTTE, Anvers au XVe et XVIe siècles, “Annales”, XVI/1-3, (1961),
pp. 248-278; C. BECK, La nation génoise à Anvers dans la première moitié du 16 siècle, in Atti del congresso internazionale
di studi storici: Rapporti Genova-Mediterraneo-Atlantico nell’età moderna, I, a cura di R. BELVEDERI, Genova, Istituto di
Scienze storiche, 1983, pp. 445-476; W. BLOCKMANS, Bruges centre commercial européen, in Bruges et l’Europe, a cura
di V. VERMEERSCH, Antwerpen, Fonds Mercator, 1992, pp. 40-55; PETTI BALBI, Mercanti e “nationes”, pp. 51-53.
170
Uno spazio che si restringe: i problemi della navigazione mediterranea in età colombiana tra pirateria, corsa e “minaccia turca”
genovesi, ormai orientatisi in prevalenza in direzione dei mercati castigliani e grenadini, ritenuti più
sicuri e redditizi110.
Volendo trarre una conclusione dall’insieme di elementi che sono stati sin qui esposti, possiamo
dire con certezza che la grave crisi che interessa Genova sia dal punto di vista politico che economico
negli anni che vanno dalla metà del secolo fino ai primi anni Ottanta del Quattrocento colpisce con ogni
evidenza anche il settore della navigazione111.
Innanzitutto, fattori quali l’espansione ottomana, la guerra continua con l’Aragona, l’aggressività
delle nuove potenze marinare occidentali112 e la crisi del commercio atlantico con l’Inghilterra riducono
progressivamente, ma inesorabilmente, il numero delle grandi navi genovesi presenti sulle rotte
commerciali. D’altra parte, l’attività dei corsari – tanto quelli legati a Potenze ostili, quanto quelli in
qualche modo dipendenti dai governi che si succedono a Genova nel periodo – e quella dei veri e
propri pirati contribuiscono a rendere ancora più pericolosa la navigazione, oltre a esporre gli operatori
commerciali al rischio delle rappresaglie, contribuendo quindi in modo determinante a un’ulteriore
contrazione dell’attività di trasporto sul mare, a tutto favore dello sviluppo di quelle attività finanziarie
che costituiscono il tratto distintivo principale dei Genovesi attivi tanto nell’Europa atlantica113, quanto
nella Penisola iberica114 in età colombiana.
Tuttavia, nonostante la somma di tutti questi elementi negativi, e la progressiva trasformazione
da marinai-mercanti in banchieri, la solida fama che in tutta Europa i Genovesi hanno acquisito nel
corso dei secoli precedenti quali tecnici delle costruzioni navali, cartografi e marinai non viene
minimamente intaccata.
110
J.E. LÓPEZ DE COCA CASTAÑER, La uva pasa de Málaga y su exportación por vía marítima (siglos XV y XVI), in Oriente
e Occidente tra Medioevo ed Età moderna. Studi in onore di Geo Pistarino, a cura di L. BALLETTO, 2 voll., Genova, Brigati,
1997, II, pp. 687-716. La permanenza di una sia pur ridotta colonia commerciale genovese in Inghilterra nel tardo
Quattrocento è comunque attestata dal fatto che l’ambasciatore sforzesco Riccardo da Soncino si avvalse proprio
dell’appoggio dei genovesi residenti a Londra durante la sua missione diplomatica presso la corte di Enrico VII nel 1498-
1499; cfr. C.S.P., docc. 559, 572, 770-771, 780, 784, pp. 184, 190-191, 270-271, 276-278; BASSO, I Genovesi in Inghilterra,
pp. 570-574.
111
Per una narrazione degli eventi genovesi nei decenni fra XV e XVI secolo, cfr. Bartholomaei Senaregae de rebus
genuensibus commentaria ab anno MCDLXXXVIII usque ad annum MDXIV, a cura di E. PANDIANI, RR.II.SS., XXXIV/8,
Bologna, Zanichelli, 1930-1932; L.G. PÉLISSIER, Documents pour l’histoire de l’établissement de la domination française
à Gênes (1498-1500), “ASLi”, XXIV/2 (1894); E. PANDIANI, Storia di Genova da Carlo VIII ad Andrea Doria, Genova,
s.e, 1945; ID., Genova e Andrea Doria nel primo quarto del Cinquecento, Genova, 1949; PETTI BALBI, Tra dogato e
principato, pp. 301-316; A. PACINI, La Repubblica di Genova nel secolo XVI, in Storia di Genova, pp. 325-390, in
particolare pp. 331-340.
112
Oltre ai Catalani, va tenuto conto ad esempio dei Portoghesi, affacciatisi in maniera aggressiva nel Mediterraneo almeno
dal 1460; cfr. ASGE, A.S., 1785, cc. 522v, 525r/v, 552r; L.A. DA FONSECA, Portugal e o Mediterrâneo no final da Idade
Média: uma visão de comjunto, in Portogallo Mediterraneo, a cura di L.A. DA FONSECA e M.E. CADEDDU, “C.S.I.I.”, 26,
Cagliari, Istituto sui rapporti italo-iberici del CNR, 2001, pp. 13-25; PH. GOURDIN, Présence portugaise en Méditerranée
occidentale et au Maghreb au XVe siècle, Ibidem, pp. 129-142; A.J. MORAIS BARROS, Barcos, banqueiros e cativos. Os
portuenses e o Mediterrâneo nos séculos XV e XVI, Ibidem, pp. 259-295.
113
BASSO, I Genovesi in Inghilterra, pp. 568-570.
114
A. BOSCOLO, Gli insediamenti genovesi nel Sud della Spagna all’epoca di Cristoforo Colombo, in Atti del II Convegno
internazionale di studi colombiani, Genova, 6 e 7 ottobre 1975, Genova, Civico Istituto Colombiano, 1977, pp. 319-344;
L. D’ARIENZO, Francesco Pinelli banchiere del papa, collettore e nunzio apostolico in Spagna all’epoca di Cristoforo
Colombo, in Atti del IV Convegno internazionale di studi colombiani, Genova, 21-23 ottobre 1985, 2 voll., Genova, Civico
Istituto Colombiano, 1987, II, pp. 55-106; C. VARELA, Genovesi a Siviglia, in Genova e Siviglia, l’avventura dell’Occidente.
Catalogo della mostra, Genova, 20 maggio - 19 giugno 1988, Genova, Sagep, 1988, pp. 39-68; EAD., Una familia genovesa
en la Sevilla de 1492: los Pinelo, in L’Europa fra Mediterraneo e Atlantico. Economia, società, cultura, a cura di G.
AIRALDI, Genova, ECIG, 1992, pp. 45-55.
171
Enrico Basso
Mettendo pertanto da parte qualunque sterile disputa circa la sua origine, ma tenendo conto della
sua innegabile formazione “tecnica” genovese, possiamo dunque affermare, in conclusione, che
Cristoforo Colombo, del quale Michele da Cuneo nella sua relazione ebbe a dire “[…] poi che Genoa
è Genoa, non è nato uno omo tanto magnanimo e acuto del facto di navicare como il dicto signor
armirante […]”115, è da considerare come l’erede di una lunga tradizione di primato tecnologico, che
ha consentito a una piccola città, sostanzialmente priva di risorse naturali e svantaggiata da un territorio
aspro, difficile e poco popolato, di divenire, e rimanere per secoli, una grande potenza navale. Proprio
utilizzando con grande abilità questa preziosa eredità, e grazie al fondamentale appoggio economico
assicuratogli dai finanzieri genovesi insediati in Castiglia, l’Ammiraglio del Mare Oceano ancora una
volta è giunto ad allargare gli orizzonti del mare, aprendo una nuova epoca della Storia.
115
A. NÚÑEZ JIMÉNEZ, Michele da Cuneo nel Nuovo Mondo, a cura di G. REBORA, Savona, Dan. Er. Editoria e
comunicazione, 1994, p. 156.
172
JOÃO LUIS PERESTRELLO
FONTI
Il nome della moglie dell’Ammiraglio apparve per la prima volta nel 1571 nella traduzione
italiana di un manoscritto spagnolo dal titolo “Le Historie de la vita e dei fati de Christoforo Colombo
per D. Fernando Colon su figlio”, a circa 40 anni dalla morte dell’autore e quasi un secolo dopo la
celebrazione dell’evento (il matrimonio). In quel libro la donna in questione è identificata (dal figlio
illegittimo di suo marito) come “gentildonna, chiamata Donna Filippa Mogniz, di nobil sangue,
Cavalliera nel Monasterio d’Agni Santi”, a Lisbona, e figlia del defunto “Pietro Mogniz Perestrelo […]
che aveva governato [l’isola di Porto Santo] fino alla morte”1.
Nonostante la suddetta affermazione sia da attribuire a Fernando, la fonte dell’informazione fu
suo fratello Diego, figlio legittimo dell’Ammiraglio e della nobildonna in questione, poiché egli riporta
esattamente la notizia – con i medesimi errori – nel suo testamento. Las Casas, cita questa stessa
informazione nel suo libro, attribuendola anch’egli a Diego “mi disse ciò […] nel 1519, se ricordo
bene!”2. Lo stesso fece Diego Mendez, servitore del secondo Ammiraglio, che testimoniò in questo
senso l’8 marzo 1535, a Madrid, e che non poteva aver avuto una fonte diversa. Tutto ciò indicherebbe
che questa rivelazione proviene quindi da un’unica fonte.
Ma non è detto che sia stato proprio così.
FERNANDO COLON (1488-1539), l’autore del libro, aveva 4 anni quando il padre partì per il
suo primo viaggio di esplorazione e 18 quando egli morì; si imbarcò con lui tra il maggio 1502 e il
novembre 1504 – per il quarto viaggio – e festeggiò a bordo il quattordicesimo e il quindicesimo
compleanno. Nel suo libro, Fernando ammette di sapere ben poco riguardo l’identità del proprio padre,
di non sapere né quando né dove egli nacque e né dove né come la sua famiglia d’origine vivesse. Egli
attribuisce la sua “scarsa conoscenza” dei fatti riguardanti “i primi anni di vita” del padre al fatto che
egli “morì prima che [egli] fosse abbastanza audace da chiedergli notizie al riguardo”, e ancor più
vero, ammette candidamente “a quel tempo tali idee erano lontane dalla mia mente di fanciullo”.
Manuel Serrano y Sanz, nella sua introduzione alla traduzione spagnola della HISTORIE del
1932 – traduzione della versione italiana del manoscritto spagnolo originale, andato perduto – è
caustico riguardo ai meriti del libro: “Ciò che colpisce immediatamente esaminando la HISTORIE di
Fernando è l’inappropriatezza del titolo, poiché [il libro] è nient’altro che una elencazione dei viaggi
e delle scoperte di suo padre, tratta dagli attendibili documenti a sua disposizione; il resto della
biografia di D. Cristobal è scarso e rivela un’inconcepibile ignoranza dei fatti riguardanti la vita del
padre antecedenti l’arrivo in Spagna; contiene inoltre errori palesi e omissioni intenzionali che
1
Le HISTORIE della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo, per D. Fernando Colon suo figlio; tradotto dal testo originale
spagnolo (mai pubblicato e andato perduto) da Alfonso Ulloa, Venezia 1571; e in ri-edizione a cura di R. CADDEO, Milano,
1930, vol. I, pp. 36.
2
A. de BRAANCAMP FREIRE, Brasões da Sala de Sintra, Lisboa 1973, vol. III, pp. 57.
173
João Luis Perestrello
Navarrete definisce, con un eufemismo, verità tenute nascoste”. Anche D. Hernando ne riconosce “lo
scarso interesse giovanile nel mettere insieme la biografia [dei primi anni di vita] del padre e il fatto
che egli non fece niente per colmare tale ignoranza”3.
Fernando scrisse la biografia del padre in tarda età, circa 40 anni dopo la morte dell’Ammiraglio.
Oltre a contenere notizie su fatti avvenuti molti anni prima – quelli che interessano noi ebbero luogo
molto prima che lui nascesse – “il tono del libro, spesso polemico e quasi amareggiato, riflette la crisi
che la famiglia Colombo attraversava all’epoca”4. La Corona, da un lato, tentava con successo di
ridurre i privilegi ereditati dalla famiglia e, dall’altro lato, scrittori influenti quali Oviedo e Giustiniani,
erano intenti a sminuire i successi e lo status sociale dell’Ammiraglio, cosa che i suoi discendenti
giudicarono alquanto offensiva e provocatoria.
“Fernando fu molto attivo nella prolungata controversia legale fra la Corona e la sua famiglia
a proposito delle suddette questioni e agì in veste di consulente legale prima per Diego e poi per
la sua vedova. In connessione con le famose pleitos de Colon, la Corona cercò in ogni modo di
sminuire il ruolo di Colombo nell’ Impresa delle Indie per giustificare il netto taglio operato sulle
rendite e sui privilegi dei suoi successori. Si cercò di dimostrare, tramite testimonianze, che
Colombo “[…] aveva avuto solo un ruolo secondario nel successo dell’ impresa. Per parte sua, la
famiglia raccolse testimonianze e prove atte a dimostrare il contrario”5. La Corona sostenne, inoltre,
che gli eredi non avrebbero potuto ereditare le cariche dell’Ammiraglio a meno che fossero stati
in grado di dimostrare la sua origine spagnola, come cittadino straniero egli avrebbe infatti assunto
tali cariche illegalmente e quindi queste non sarebbero state tramandabili ai suoi discendenti.
Poiché gli eredi, guidati nell’azione legale da Fernando, non poterono o non vollero produrre
documenti per chiarire l’identità dell’Ammiraglio, essi furono costretti a negoziare un accordo.
Questo prevedeva anche la cessione della redditizia carica di Viceré in cambio dell’irrisorio ducato
di Veragua.
Lo studioso italiano Rinaldo Caddeo suggerisce che “Fernando raccolse il materiale per la sua
Historie con questi scopi legali in mente” e giunge alla conclusione che “molti capitoli del libro non
sono altro che un estratto, una compilazione o una copia del materiale giuridico preparato appunto per
questo scopo”6.
“Fernando era un uomo ricco. Oltre a possedere parte della ricchezza del padre, egli godeva di
molte sinecure reali; il suo reddito comprendeva le entrate derivanti dal lavoro di quattrocento schiavi
indiani a Española. Egli utilizzò gran parte di queste ricchezze per l’acquisto di libri, una delle
principali occupazioni della sua vita. Soleva numerare con precisione ogni libro acquistato e sull’ultima
pagina di ciascuno di essi annotava luogo e data dell’acquisto e la somma di denaro pagata. Questa
sua abitudine ci permette di conoscerne i viaggi e gli itinerari percorsi a caccia di libri, che lo portarono
in Italia, nei Paesi Bassi, in Germania, Svizzera e Inghilterra”.
Nel 1526 Fernando entrò in possesso di una casa che aveva costruito a Siviglia vicino al fiume
Guadalquivir. In un’ala di questo edificio egli fece sistemare la sua biblioteca, una delle migliori
collezioni private d’Europa. Lo storico John Boyd Thatcher, noto bibliofilo anch’egli, ne parla con toni
entusiastici: “In essa erano raccolti non meno di 15.370 libri e manoscritti, comprendenti i classici, gli
incunaboli, i primi testi stampati, le edizioni più rare dei poeti e dei migliori scrittori di prosa; i sermoni
e gli insegnamenti dei Padri della Chiesa, le opere dei filosofi, i tessuti stampati”.
La casa di Fernando e la sua biblioteca erano aperti a studiosi spagnoli e stranieri e molti lo
consideravano un amico e un collega. A Brabante egli conversò con Erasmo e ricevette in omaggio una
copia di una delle sue opere, cosa che non mancò di registrare orgogliosamente su una delle pagine:
3
Historia del Almirante Don Cristobal Colon por su hijo Don Hernando, tradotto da M. SERRANO Y SANZ; SUAREZ, Madrid,
1932, vol. I, pp CXXVII.
4
Le HISTORIE … cit., p. 17.
5
Le HISTORIE … cit., p. 18.
6
Le HIRTORIE … cit., pp. 16-17.
174
“Donna Filippa Mogniz, di nobil sangue, Cavalliera nel Monasterio d’ogni santi”
“Erasmo da Rotterdam mi fece dono di questo libro a Lovanio, domenica 7 ottobre, nell’anno 1520:
le prime due righe furono scritte da Erasmo di proprio pugno”7.
Oltre ad essere dotto, ricco e profondamente impegnato negli affari di famiglia, Fernando fu
anche un esperto di esplorazioni navali e, in veste di consulente in questo campo fu al servizio di tre
diversi sovrani: i sovrani cattolici, Felipe e Juana e, successivamente, dell’ imperatore Carlo V, alla cui
cerimonia di incoronazione, a Roma, egli fu invitato come ospite. Egli fu quindi molto vicino al centro
del potere, era molto influente in quell’ambiente e godeva della fiducia del sovrano.
Nonostante la sua posizione di rilievo, Fernando fu per tutta la vita pieno di risentimento,
probabilmente per la sua natura di figlio illegittimo e, per giunta, spagnolo – unita alla vergogna di esser
figlio di Beatriz Enriquez de Arana (1456-1520), una semplice cittadina, amante di suo padre a Cordoba,
dove egli si era trasferito ai tempi del suo arrivo in Spagna. Se avesse potuto scegliere,infatti, egli avrebbe
certamente voluto esser figlio di madre nobile e di nazionalità italiana. A questo proposito, Sanz scrisse
che Fernando “non amò mai né il suo paese, che lo aveva onorato, né il suo imperatore, che gli aveva
concesso privilegi, affetto e stima.” Tutto ciò è evidente anche dal suo testamento, come risulta dalle
istruzioni lasciate ai fiduciari sulle modalità di reclutamento di collaboratori per la Biblioteca Fernadina:
“devo avvertire il curatore che, ogni qualvolta si renda necessario nominare degli agenti per l’acquisto
di libri all’estero, essi devono essere scelti prima di tutto fra gli italiani e, solo se non se ne trovano,
rivolgersi a francesi o tedeschi di provata esperienza; […]; nei miei viaggi al di fuori del Regno di
Spagna io ho sempre solo parlato italiano, in qualsiasi occasione, in modo da non essere identificato come
spagnolo; e grazie a questo [stratagemma], Dio sia lodato, sono sfuggito a molti pericoli…”.
Nel suo testamento Fernando aggiunge inoltre, inaspettatamente, e in totale contraddizione con
quanto scritto nel suo libro, che “poiché [gli agenti] devono acquistare libri e trasportarli da un luogo
all’altro, ciò non sarebbe facile senza rivolgersi a dei genovesi; per questo, quindi, lascio istruzioni
affinché si cerchino nei diversi luoghi dei mercanti genovesi, e, una volta trovati, si dica loro che si è
al servizio della Biblioteca Fernadina, istituita da Fernando Colon, figlio di Don Cristobal Colon,
genovese, primo ammiraglio a scoprire le Indie e, in qualità di compatrioti del fondatore, chiedere
loro come favore…”8.
Comunque sia, nonostante la sua scioltezza nel parlare la lingua e i suoi frequenti e lunghi
soggiorni per affari in Italia, a Roma, Genova, Lucca, Firenze, Viterbo, Milano, Torino, Bologna,
Venezia, Pesaro, Perugia, Modena, Piacenza, Cremona, Ferrara, Padova e Savona9 – notevole impresa
per un viaggiatore del 15° secolo – e nonostante la sua vasta e attiva rete di agenti sparsi in tutta
Europa in cerca di libri per la sua biblioteca; egli non fu in grado di localizzare la famiglia paterna
in Italia, cosa che desiderava ardentemente e per la quale fece molti sforzi; e nessuno in Italia o
altrove, si fece avanti nel corso della sua vita per rivendicare alcun legame con il “Magnifico Don
Cristobal Colon” – come amava essere chiamato, una delle più eminenti personalità del tempo.
Risulta molto difficile spiegare perché Fernando non fu in grado di identificare e localizzare gli
antenati paterni, a meno che – come crediamo – si trattasse di un’informazione coperta dal “segreto
di stato”10. In questo caso, se egli era a conoscenza del segreto fece bene, forse fu ben consigliato, a
mentire e a fingere di non sapere niente al riguardo. È davvero difficile infatti credere che egli non ne
sia venuto a conoscenza, essendo vissuto con il padre fino all’età di 18 anni e avendo poi vissuto per
molti anni in stretto contatto con suo fratello, con gli zii ed i cugini. Questi ultimi vissero tutti ancora
per molti anni dopo la morte dell’Ammiraglio ed erano senz’altro al corrente del segreto, che Fernando
avrebbe potuto facilmente “estorcere” loro per semplice curiosità o per salvare la situazione a Corte.
Ad ogni modo, Fernando non dice se li interrogò al riguardo e, se lo fece, quali furono le ragioni per
cui essi avevano tenuto segreta l’informazione.
7
Le HISTORIE … cit., p. 16-17.
8
Le HISTORIE… cit., pp. CV.
9
Le HISTORIE… cit., pp. L-LIV.
10
J.L. PERESTRELLO, Columbus: The evidence, 2007, (in preparazione).
175
João Luis Perestrello
Mentre Fernando mostra totale ignoranza a proposito dell’identità paterna, egli fornisce in modo
risoluto prove riguardo l’identità della moglie dell’Ammiraglio, quantunque errate. La sua unica fonte
di informazione fu, come già detto, il fratellastro Diego Colon, il quale potrebbe averlo informato
erroneamente oppure no. Ciò rende quindi difficile stabilire se Fernando stesse “seminando” a
proposito informazioni fuorvianti o se, al contrario, fu egli stesso vittima di informazioni erronee,
come nel caso di Las Casas e di Diego Mendez.
Al di là di come sia andata, è comunque strano che Fernando, un viaggiatore nato, non sia mai
stato in Portogallo, nonostante la vicinanza, la facilità di accesso, e gli importanti centri culturali di
quel paese. Non esiste prova che Fernando avesse agenti o abbia mai acquistato libri in Portogallo, a
dispetto della cospicua produzione letteraria, della competenza dei tipografi e del fiorente commercio
di libri là esistente. Era come se il Portogallo fosse per lui oltre i limiti consentiti.
Se tutte le ragioni sopraccitate non furono sufficienti a condurlo a Lisbona, lo stimolo a partire
avrebbe dovuto senz’altro fornirlo il fatto che, al tempo, la città fosse il punto di snodo principale per
le esplorazioni via mare – la Cape Canaveral della Navigazione – materia nella quale egli fu, come si
è detto, consigliere reale. Per la carriera di qualunque esperto in quella materia sarebbe stato importante
visitare la città portoghese, mescolarsi alle spie di tutto il mondo presenti lì a caccia di informazioni
riservate, estorte solitamente in modo illecito, su tutto ciò che era in arrivo e in partenza.
E poi, naturalmente, quello era il paese in cui suo padre Cristoforo Colombo fu allevato e istruito,
in cui si fece una famiglia e visse i due terzi della vita e soprattutto il paese che gli trasmise la passione
per il mare. Se avesse cercato la famiglia portoghese dell’Ammiraglio, quando le tracce erano ancora
evidenti, avrebbe potuto facilmente individuare la gentildonna in questione e da lì la vera identità del
grand’uomo stesso. L’unica difficoltà nello scoprire l’identità dell’Ammiraglio era rappresentata dal
fatto che egli ne avesse acquisita una nuova al momento del trasferimento in Spagna. In Portogallo egli
era molto noto, ma sotto un altro nome.
DIEGO COLON (1480-1526) nacque in Portogallo ed aveva 5 anni quando accompagnò il padre
in Spagna, un’età alla quale avrebbe quindi dovuto notare il cambio di nome del padre oltre frontiera.
Il nome che il navigatore scelse per la sua avventura spagnola fu Xpobal Colomo, che si trasformò ben
presto in Xpobal (Cristobal) Colon poiché la vocale finale debole “o” di Colomo cadde e la “m”
divenne “n”, secondo la pronuncia castigliana11.
Secondo i fratelli Colon la moglie dell’Ammiraglio era “Filippa Mogniz”e la identificarono
come figlia di “Pietro Mogniz Perestrello […] che governò [l’isola di Porto Santo] fino alla morte. È
importante notare subito che il governatore in questione, seppur un Perestrello, si chiamava Bartolomeu
e non Pietro e, anche se avesse avuto un secondo nome, esso non sarebbe certamente stato “Mogniz”
poiché non apparteneva a quella stirpe. È strano che Diego non conoscesse il nome corretto di suo
nonno, visto che l’uomo in questione aveva lo stesso nome di battesimo di suo zio Bartolomeu Colon,
fratello dell’Ammiraglio. Resta un mistero dove egli abbia preso i nomi “Pietro” e “Mogniz”.
Diego racconta poi – nel suo secondo testamento (1523) – che sua madre fu sepolta nel
“Monastero di Carmo nella Cappella [con l’invocazione di Nostra Signora] della Pietà appartenente
alla famiglia dei Moniz, cosa che non può essere vera. La famiglia Moniz possedeva di fatto una
Cappella per la sepoltura nel Monastero di Carmo, ma tale cappella fu dedicata a Nostra Signora del
Pranto (Lacrime) fino al 1723 e solo duecento anni più tardi venne dedicata a Nostra Signora della
Pietà. Diego non avrebbe potuto sapere ciò al tempo in cui fece il testamento e, in ogni caso, in
quel documento egli dava istruzioni affinché il corpo della donna fosse riesumato e sepolto
nuovamente altrove12.
11
PERESTRELLO, Columbus: The evidence …cit., (in preparazione).
12
H.HARISSE Christophe Colomb, vol II, pp. 48: “... e traer asy mismo ally (al monasterio que manda hacer) el cuerpo de
Doña Felipa Muñiz, sua legitima mujer (del Almirante d. Cristóbal) mi madre questá en el monasterio del Carmen en
Lisboa, en una capilla que se llama de la piedade que es de su linage de los Muñizes...”.
176
“Donna Filippa Mogniz, di nobil sangue, Cavalliera nel Monasterio d’ogni santi”
Comunque sia, non ci sono prove a sostegno dell’affermazione di Diego riguardo il luogo di
sepoltura della madre, nè sulla riesumazione del suo cadavere, nè sulla sua traslazione. In realtà
nessuno dei registri e delle cronache del Carmo – e ce ne sono molte, di scrittori e ricercatori differenti,
anche molto dettagliate – fa riferimento a Felipa, cosa sorprendente (se fosse stata sepolta lì)
considerando che era una donna molto nota all’epoca. La cappella in questione venne distrutta dal
terremoto del 1755, ma anche dopo gli scavi fatti recentemente dagli archeologi non è emersa prova
che dimostri che quel mausoleo fu davvero la tomba della donna. Gli archeologi riportano di aver
trovato una piccola bara di legno ornata in ottone contenente lo scheletro di una donna non identificata
e – a detta loro – un numero “enorme” di ossa che suggerirebbe, sempre secondo loro, un gran numero
di inumazioni all’interno dell’area o della cappella stessa. Nella loro relazione13 gli archeologi
aggiungono poi che sono “in possesso di un numero sufficiente di ossa da permettere loro di studiare
il DNA di tutti quegli scheletri”.
Non c’è prova che Diego Colon, come suo fratello, abbia mai visitato Lisbona, ma c’è una prova
importante che dimostra che egli fu in contatto con la sua famiglia portoghese. Questa prova riguarda
Frate D. Cristovão Moniz (1475-1531), un carmelitano – della stirpe – eletto Priore del Monastero di
Carmo nel 1510 e Provinciale dell’ Ordine in Portogallo nel 1522. Secondo le cronache dell’Ordine
egli fu “un grande predicatore, che si distinse per la sua pietà e la sua scienza”. Giovanni III lo nominò
assistente vescovo di suo fratello, il principe D. Afonso, che era a sua volta arcivescovo a Lisbona e
amministratore a vita del vescovato di Evora. Clemente VII promosse Frate D. Cristovão Moniz a
Vescovo di Reona con la Bolla Pontificia del 16 marzo 1524.
Nel suo nuovo ruolo fu nominato anche rettore dell’ Ospedale di Ognissanti (il più grande
ospedale dell’epoca a Lisbona) e invitato a consacrare la chiesa carmelitana di Colares nel 152814.
Nel periodo in cui operava nel vescovato di Evora, il vescovo si ammalò e fece testamento il 23
giugno 1530, a questo aggiunse poi un codicillo il 7 marzo dell’anno seguente. Morì poco dopo – il 7
novembre 1531 – mentre era in visita al villaggio di Alcaria Ruiva, nel distretto di Mértola, e qui
venne provvisoriamente sepolto. Il suo corpo fu esumato nel 1539 e sepolto, secondo il suo desiderio,
nel Monastero di Carmo, in un luogo particolare – lungo l’entrata del chiostro – dove giace ancor oggi
per quanto ci è noto15.
Mentre il testamento del vescovo, conservato negli archivi del monastero, andò smarrito insieme
a molti altri documenti nel terremoto e nel conseguente incendio del 1755, parti di esso vennero
trascritte dallo studioso Severin de Faria16; inclusa la seguente importante frase:
[…] e poiché la Vice Regina delle Antille, Donna Maria di Toledo figlia di D. Fernando Di
Toledo, fratello del Duca di Alva, è a lui debitrice (al testante) di una cifra vicina alle 700
sterline, derivante da una rendita che egli aveva dal fratello di lei (D. Diego Colon, cugino
germano del Vescovo) che sarà dedotta […]”.
Dato che sia il documento che il Vescovo possono considerarsi elementi di prova validi, è chiaro
che, poiché Diego ed il vescovo erano cugini germani, i loro rispettivi padri erano fratelli. L’identità
di Cristoforo Colombo sarà quindi rivelata non appena verrà resa nota l’identità del vescovo.
Secondo Anselmo Braancamp Freire, uno dei migliori genealogisti e ricercatori storici
portoghesi, la discendenza del vescovo sarebbe provata. Non siamo certi che sia davvero così, ma il
suo ragionamento è il seguente:
13
J.M. ARNAUD e C.V. FERNANDES (coordenação de), As Colecções Arqueologicas do Carmo, Lisboa, 2005, pp. 594.
14
B.VELLASCO BAYÓN, O. CARM, Historia da Ordem do Carmo em Portugal, Lisboa, 2001, pp. 103.
15
de BRAANCAMP FREIRE, Brasões… cit., pp. 57-63
16
de BRAANCAMP FREIRE, Brasões… cit., vol III, pp 58; Torre do Tombo, vol II, fls 141 “... e porque a visRainha das
Antillas Dona Maria de Toledo, filha de Dom Fernando de Toledo, irmão do Duque Dalva lhe deve [ao testador] obra de
700 libras de herança que tinha de seu marido (D. Diego Colón) que hera primo com irmão do Bispo, se descontem, etc”.
177
João Luis Perestrello
Oltre a trascrivere alcuni passaggi del testamento del vescovo, Severim de Faria fece anche uno
schizzo del sigillo in ceralacca del testante apposto su di esso; il disegno è approssimativo e
l’impressione che ne ebbe Braancamp Freire fu la seguente: gli stemmi sono divisi in quattro quarti e
“non c’è alcun dubbio sul fatto che gli stemmi nel primo e nel quarto quarto appartengano alla famiglia
Moniz (le cinque stelle); e che, nonostante ci sia un po’ di confusione nel secondo quarto, lo stemma
ivi rappresentato sia quello dei Perestrello. Il terzo quarto è quello su cui nutro grandi dubbi […] ma
si tratta probabilmente dello stemma dei Teixeiras”.
E conclude poi: ciò significherebbe che egli era uno dei figli del secondo Bartolomeu Perestrello
e di sua moglie Guiomar Teixeira, e quindi cugino germano di D. Diego Colon […]. Non ci sono
dubbi al riguardo. Il figlio e successore di Cristoforo Colombo era cugino germano del vescovo di
Reona. Egli venne probabilmente chiamato Cristoforo per far piacere al marito della zia Felipa, che
potrebbe anche aver tenuto a battesimo il bambino ai tempi in cui viveva a Porto Santo17.
Se queste conclusioni fossero corrette, perché tutta questa segretezza? Bartolomeu Perestrello
II e la sua legittima moglie non avrebbero avuto motivo di non registrare la nascita del loro secondo
figlio legittimo. Tratteremo dunque ancora in seguito di questa questione.
È ovvio da ciò che è stato fin qui detto, che le informazioni fornite da D. Diego Colon non sono
avvalorate, poiché le affermazioni di D. Fernando, di Las Casas e di Diego Mendez provengono tutte
dalla stessa fonte. Per procedere, è quindi necessario “cherchez la femme”.
17
de BRAANCAMP FREIRE, Brasões …cit., pp. 57-63.
178
ANTONIO AUGUSTO MARQUES DE ALMEIDA, UNIVERSITÀ DI LISBONA
-1-
Il passaggio di Colombo in Portogallo coincide con un periodo di transizione dal medioevo alle
formazioni strutturali della pre e protomodernità della società portoghese. Durante il periodo in cui
Colombo soggiornò a Lisbona (1479-1486) le trasformazioni nella società portoghese erano
appassionanti L’importante era sapere come i navigatori portoghesi andavano per mare e di quali
conoscenze disponevano per farlo e in che modo si disegnavano i nuovi contorni del Mondo.
Sapere come si conviveva con una realtà che ogni giorno aggiungeva terre in luoghi dove
nessuna autorità concedeva loro il permesso di esistere. In un mercato di scambi per la prima volta
planetario tutto ciò era importante perché costituiva il cuore della sicurezza e delle nuove strategie per
gli affari. L’espansione degli europei verso nuovi mari e nuove terre costituiva, sul piano soggettivo,
un mondo di sfide e di opportunità. Si trattava, inoltre, di un periodo di profonda mescolanza culturale,
mentale e anche di vita materiale che per generazioni ha sfidato l’attenzione dei ricercatori italiani e
portoghesi e che, nel corso degli ultimi cento anni, ha prodotto una bibliografia veramente notevole
che di seguito citeremo. Insieme a studi classici di Prospero Peragallo, di De Gubernatis, di Verlinden,
di Virgínia Rau, di Judite Lamas o di Federigo Melis, ecc. apparvero autori contemporanei che
dedicarono la loro attenzione ad alcuni personaggi del grande palco degli affari offerti dalle grandi rotte
internazionali da cui fluivano gli interessi e le merci portoghesi. Misero a disposizione le loro
conoscenze in diversi settori dello scibile: cartografia, tecniche commerciali – la contabilità a partita
doppia – attività bancarie, le nuove funzioni del danaro e la moneta, il credito, e diffusero le nuove
sensibilità, quelle dell’homo novus.
Per tutto ciò, il percorso di Colombo da queste parti acquista un senso solo se integrato nella gran
massa degli italiani ‘stanziali’ a Lisbona, da molto tempo attratti da questo mondo effervescente e
ricco di nuove opportunità.
Furono tempi molto speciali dal punto di vista della vita materiale, della formazione mentale e
delle matrici culturali che avrebbero contraddistinto la cultura moderna portoghese.
Allo stesso modo della storiografia tradizionale, il ruolo storico svolto dalle comunità italiane
in Portogallo fu arricchito da studi più recenti. È il caso degli studi di Marco Spallanzani, e Anna
Unali che fecero progredire le nostre conoscenze su vari temi e argomenti. Carmen Radulet “La
comunità italiana in Portogallo e il commercio orientale nella prima metà del Cinquecento” apre
interessanti strade alla ricerca. Nell’ampio spazio che si preannunciava essere quello di un’economia
intercontinentale disegnata attraverso una complessa ragnatela di rotte – terrestri, marittime e fluviali
– attraverso cui circolavano spezie, materie prime, metalli, danaro, credito, cereali – la sopravvivenza
di una comunità era una spaventosa sfida a tutte le possibili forme di immaginazione. Insomma,
un’atmosfera mentale propizia a far galoppare il sogno nell’immaginario del giovane Colombo.
Le comunità italiane erano profondamente fantasiose e disponevano di fondi per l’intenso
finanziamento che il commercio di lungo corso necessitava.
Vale la pena indagare sui loro percorsi e permanenze non soltanto sulle piazze portoghesi, ma
soprattutto nello spazio della Rotta del Capo di Buona Speranza e attorno all’affare delle spezie.
Come mercanti, semplici operatori commerciali, ma anche sorprenderli nella loro importante
funzione di agenti di scambio, di creatori di ricchezza e di formatori di mercati finanziari.
Tuttavia, trattandosi come d’altra parte si trattava, di gruppi dell’elite sociale in avanzato
processo di rinnovo delle mentalità, bisogna studiare il loro ruolo trasformatore nella società
179
Antonio Augusto Marques de Almeida
portoghese nel campo delle strutture mentali e dell’innovazione sociale, nelle questioni di gusto e
sensibilità. Fu tale capacità inventiva, non ancora ben conosciuta dagli storici, che aiutò la comunità
degli italiani nella comprensione e nell’osmosi delle nuove conoscenze che accadevano in Portogallo
alla fine del XV secolo.
Nel corso degli ultimi anni, ai confini del Mediterraneo, la geostrategia degli affari era
radicalmente cambiata; le rotte tradizionali furono modificate minacciando così i beni di italiani e
tedeschi che si diressero verso Lisbona dopo il ritorno dell’armata di Vasco de Gama.
Tuttavia, l’invenzione delle nuove forme di danaro, del credito, delle nuove funzioni della
moneta furono molto più importanti dei fondi finanziari che apportarono e che, senza alcun dubbio,
aiutarono a introdurre per la prima volta un’economia planetaria; tutto ciò, tuttavia, non fu altro che
l’adattamento necessario alle nuove condizioni materiali.
Fu questa capacità inventiva che fece comprendere loro le trasformazioni materiali e mentali
che attraversava la società portoghese e l’osmosi delle nuove conoscenze, soprattutto dalla fine del XV
secolo in poi, e che si trasformò in innovazione.
Tale situazione ci aiuta a comprendere tutte le innovazioni che nel breve spazio di ottant’anni
(fra il 1420 e il 1500) cambiarono la lettura del Mondo e resero obsoleti i paradigmi culturali che
avevano centinaia e centinaia di anni. In poco tempo il Mondo era cambiato; i vecchi modelli culturali
avevano perso tutta la capacità esplicativa e l’attaccamento ai vecchi paradigmi offuscava la
comprensione e oscurava le nuove sintesi. Vivendo in Portogallo, molto vicino ai centri decisionali
delle cose del mare e del commercio, Colombo osservava ma non sempre se ne accorgeva.
-2-
Innanzitutto, mi sia permesso ricordare che società fosse la società portoghese di cui vi parlo.
In primo luogo, alla fine del XV secolo, la società portoghese attraversava profonde trasformazioni.
L’espansione dell’esplorazione atlantica fu la svolta dell’apparato produttivo tradizionale verso un
altro in cui i nuovi prodotti faranno valere la loro differenza.
I cento anni dal 1450 al 1550 segnarono profondamente il clima di svolta che già si preannunciava
sin dagli anni venti e accentuarono le trasformazioni strutturali più significative che sarebbero avvenute
nell’economia portoghese agli albori dell’era moderna. Con Ceuta (1415), dove si faceva sentire il
richiamo dell’oro e dei cereali, ebbe inizio la svolta da un’economia peninsulare ad un’economia
nordafricana. Era l’inizio del complesso storico-geografico che si sarebbe esteso sino alla fine del XV
secolo. Il complesso produttivo nazionale sarebbe stato, sino a Ceuta e nelle parole di João Lúcio de
Azevedo, la monarchia agraria. Per Jaime Cortesão quei tempi furono più tempi di commercio a
distanza basati sui prodotti agricoli provenienti dal sistema produttivo peninsulare. A suo tempo,
Vitorino Magalhães Godinho apporterà delle correzioni: “La monarchia era agraria solo nel senso che
i redditi del sovrano, come quelli del clero e della nobiltà, provenivano dalla rendita della terra”.
Nel 1444, alla foce del Rio do Ouro si stabilirono i primi contatti con i mercanti africani e con
l’oro del Sudan; verso la metà del secolo, le isole di Capo Verde erano già state scoperte e le isole di
Madera e delle Azzorre, quel Mediterraneo all’inverso, come le chiamò Fernand Braudel, erano in
corso di occupazione. Con il popolamento delle isole si disegna lo spazio atlantico come zona di
produzione e d’intensa circolazione di piante tintorie che stuzzicavano il grande appetito dei mercati
europei: la Roccella tinctoria, il gualdo, l’albero del drago. E dei cereali: il famoso mais. E ancora:
pesci e zucchero. Altro vettore d’espansione dello spazio era l’avanzata verso sud, in direzione della
costa della Guinea e della Mina. Nasceva lo spazio africano, la regione dei mercati dell’oro, degli
schiavi, del pepe, del peperoncino, dell’avorio. Entro la fine del secolo, l’Espansione si era consolidata.
Tutta questa rete di trasformazioni aveva attirato l’attenzione di mercanti e di finanziatori europei
che da molto operavano in Portogallo, fondamentalmente grazie al commercio internazionale che la
posizione geografica del Portogallo rendeva molto attraente.
Le opportunità che si aprivano erano innumerevoli; accorsero tedeschi, burgalesi, italiani.
180
La Comunità italiana in Portogallo ai tempi di Cristoforo Colombo
Alcuni portarono il potere economico; gli italiani ‘stanziali’ portavano con loro la capacità
economica e un ventaglio di innovazioni che già costituivano il fermento dell’“homo novus”. Ma è
doveroso ricordare che fu qui, più che in qualsiasi altro punto d’Italia o d’Europa, che trovarono terreno
fertile per progredire. In effetti, nel campo della geografia e della cartografia, in Portogallo si sapeva
quanto ignorato nel resto d’Europa. E in Portogallo c’era l’oro.
-3-
Tuttavia, ai tempi di Colombo, cosa si sapeva realmente e in che modo erano organizzate le
conoscenze? E ancora: come interagì Colombo con queste nuove conoscenze?
Le conoscenze di un’epoca non sono altro che tutto ciò che si può sapere a quell’epoca, e ciò che
si può sapere in un’epoca è contenuto all’interno di una capacità massima di spiegazione dei paradigmi
dominanti, sotto l’attento controllo delle abitudini mentali caparbiamente conservate dalla tradizione.
In tempi di trasformazioni profonde, l’equilibrio delle prassi sociali si alimentò di queste conoscenze
che garantirono, sempre con successo, i compiti che socialmente gli furono richiesti, di modo che
nessun compito fu tralasciato per mancanza di strumenti adatti.
In certa storiografia portoghese persiste l’idea che l’avanzamento nell’Atlantico e sulla costa
africana fosse il risultato di uno o più piani strategici, il più celebre dei quali sarebbe stato il piano delle
Indie. Da qui la politica del segreto. Luís de Albuquerque pensava che fosse un anacronismo assurdo
e riaffermava che il quesito principale da discutere fosse sapere sino a che punto le conoscenze
maneggiate dalle elite si erano socializzate e diventate moneta corrente invece di restare segreti
intenzionalmente celati. È chiaro che alcune di queste conoscenze erano politicamente importanti e
pertanto gelosamente custodite. Ma solo questo. Anche quel che si sapeva merita una discussione:
agli albori della modernità si sapeva molto, ma a poco serviva. Nella sfera delle conoscenze vi era
contraddizione fra la conoscenza empirica e l’esperienza e, pertanto, non c´è da stupirsi che i conflitti
scoppiassero lasciando una traccia per il confronto.
I processi strutturali di lunga durata, e in fondo è di questo che si tratta, gli stessi che Lucien
Febvre amava chiamare processi di civilizzazione, si organizzano come matrici di lettura e aiutano
nella comprensione delle conoscenze disponibili in un certo momento. Le scoperte portoghesi e i nuovi
sguardi del mondo su di esse avvennero in un ampio periodo di transizione fra due periodi, creando
una sorta di disagio storiografico forse perché si tratta di una transizione complessa che non è stata
chiaramente spiegata.
Tale situazione ci aiuta a comprendere tutte le innovazioni che nel breve periodo di ottant’anni,
cambiarono la lettura del Mondo rendendo obsoleti paradigmi culturali che avevano centinaia e
centinaia di anni. In quel periodo il Mondo era cambiato; i vecchi modelli culturali avevano perso
tutta la capacità esplicativa e l’attaccamento ai vecchi paradigmi offuscava la comprensione e oscurava
le nuove sintesi.
Se la nuova conoscenza, soprattutto dalla fine del XV secolo in poi, si trasformò in innovazione,
fu soltanto grazie alla storica nascita di una nuova mentalità e dalla nascita di gruppi che si spartiscono,
in modo sempre più veloce, la parte migliore del comparto produttivo.
Per ragioni storiche che caratterizzano la società portoghese di questo periodo, la formazione
delle conoscenze è intimamente legata al mare; il mare come origine della conoscenza, come vide
così chiaramente Alberto Veiga-Simões, per il quale il mare era il marchio dell’originalità della cultura
scientifica portoghese.
La trasformazione dell’informazione in conoscenza e la conseguente evoluzione del sapere
dipese dal successo del saper cercare e trovare la soluzione e fu in quest’atmosfera mentale che si
formò la coscienza sociale della comunità portoghese e il suo Lebenswelt.
Preferibilmente, il campo dell’innovazione coincideva con quello delle strutture delle mentalità
e il processo di civilizzazione più espressivo della modernità emergente in Portogallo perché capace
di integrarsi nel mondo della vita e ridefinirlo, fu come rendere aritmetico il reale.
181
Antonio Augusto Marques de Almeida
L’Aritmetica aiutò la crescita della vita urbana e dell’economia degli scambi, vale a dire la
crescita della ricchezza sociale. Trattandosi di un processo interrelazionale sviluppatosi lentamente in
uno scenario di transizione sociale, fu, in primo luogo, un importante strumento della formazione del
mercante e dei quadri della pubblica amministrazione degli stati dell’epoca moderna e anche
condizione essenziale per la sua legittimazione; un anello indispensabile di una lunga catena di
apprendimenti che la prassi sociale impone e che poi non può più elargire. La notazione araba e il
conseguente calcolo aritmetico svilupparono le conoscenze dei cosmografi e fecero di Pedro Nunes
un notevole innovatore nonostante alcune delle sue migliori soluzioni siano maturate soltanto dopo
decine e decine di anni. Lo stesso avvenne con i cartografi che portarono a termine il nuovo disegno
del mondo e legittimarono le sue rappresentazioni. Naturalmente, fu nel campo delle navigazioni
oceaniche e nel settore delle tecniche di navigazione che le risposte divennero più pressanti.
Alle porte della modernità, il bisogno di spiegare il mondo che allora si palesava agli occhi
meravigliati degli europei, non smetteva di crescere. Tuttavia, in un’atmosfera mentale che si poggiava
ancora sull’eredità di Boezio e in cui l’astrologia giudiziaria predominava, accanto alla “Teoria dei
Pianeti” di Purbachius, degli Elementi di Euclide e della tradizione di Sacrobosco, lo spazio per
comprendere la novità era fortemente bloccato. La capacità esplicativa del mondo era esaurita. Si
preannunciavano i nuovi paradigmi.
È in questo scenario storico che si deve inserire la facilità con cui i membri dei gruppi appartenenti
all’elite sociale aprirono le porte a certe innovazioni come, ad esempio, alla notazione araba,
sviluppando in seguito certe tecniche di gran rigore, caso della scritturazione in partita doppia, tecnica
che gli italiani ‘stanziali’ in Portogallo introdussero alla fine del XV secolo. Gli albori della modernità,
pertanto, costituirono un periodo in cui s’impose la nuova lettura del Mondo e si consolidò il rifiuto delle
antiche conoscenze che per millenni avevano ben corrisposto all’esperienza quotidiana e alla percezione
di un mondo privo di strumenti d’osservazione e di misurazione. Era la fine della preistoria della
conoscenza scientifica che aveva organizzato l’universo del sapere partendo da visioni astrologiche del
Mondo e la cui funzione aveva predominato nella formazione delle strutture mentali dell’epoca.
Non ci fu molto da attendere per assistere ad un profondo rinnovamento delle conoscenze, ma
per meglio capirle, è doveroso chiarire la semantica della scrittura e organizzarle nel loro rapporto
con la vita sociale. Sulla scia della nuova lettura del Mondo, le innovazioni rendono variegate le recenti
conoscenze e nel campo delle mentalità tale espandersi delle conoscenze e la velocità alla quale si
elaborano queste informazioni (ai nostri giorni si sa di più in un solo giorno che in cento anni ai tempi
dei romani) assumono due livelli esplicativi: un primo livello, ad imporsi è la lettura del Mondo; e in
un secondo livello, la preoccupazione predominante è la socializzazione delle conoscenze, vale a dire
il suo inserimento (nel senso schumpeteriano) nella vita materiale. I nuovi sistemi di valorizzazione
del mondo si istallano dentro i nuovi paradigmi esplicativi resi possibili dalla nuova informazione.
-4-
Fu questa nuova informazione che fece degli italiani ‘stanziali’ a Lisbona, all’interno di un
rapporto biunivoco dare-ricevere, i veri contributori per lo sviluppo della vita materiale. Questi italiani
seppero adattarsi alla nuova informazione come nessun altro, contribuirono a trasformarla in
conoscenza e furono profondamente innovatori nel campo del gusto, della sensibilità e della vita
materiale della società portoghese, pertanto la loro “impronta” si deve ricercare nel rinnovamento
delle strutture mentali, dei nuovi gusti e anche delle nuove sensibilità che diedero forma a quella
società. Dal fondo degli archivi spuntano notizie che lo confermano, come quella fra molte altre, che
parla del contratto celebrato a Firenze il 23 aprile 1494 fra Clemente Sernigi e il miniaturista Vante di
Gabriello Actavanti per la realizzazione della denominata Bíblia dos Jerónimos, in seguito offerta a
Re Emanuele.
Come interagì Colombo in tutto questo processo? Colombo non lo comprese mai; l’ossessione
del sogno distorse la sua lettura della realtà; la nuova informazione che a questo punto poteva solo
182
La Comunità italiana in Portogallo ai tempi di Cristoforo Colombo
essere acquisita in Portogallo gli passò a fianco e che motivò, probabilmente, la grande diffidenza che
sempre suscitò a Corte. Per tale motivo non avrebbe neppure capito dove si trovava, quando arrivò alle
nuove terre scoperte. Perché si sbagliò? Colombo non era un tolemaico, come talvolta si è fatto credere.
Era già un copernicano. Partiva dalla nuova informazione che la terra era rotonda. Se avesse pensato
che era piatta non avrebbe mai confuso l’America con l’Asia. Agli occhi di Colombo, il mondo non
era quello che i cartografi portoghesi stavano disegnando.
Per concludere: concedendo il beneficio d’inventario alla proposta popperiana secondo la quale
il lavoro sviluppato in un complesso processo di apprendimento, per varie generazioni, non tende a
nuove conoscenze, bensì solo a nuove capacità per lo svolgimento di nuovi compiti e ad adattarsi
all’evoluzione delle conoscenze delle tecniche allora verificate nella comunità portoghese, si evidenzia
il ruolo profondamente innovatore di questo tipo di nuova conoscenza, variegata dai paradigmi delle
conoscenze mediterranee che tanto furono d’aiuto alla straordinaria svolta della scoperta di nuove
realtà del mondo e condussero alla sua comprensione.
Tuttavia, i periodi sono diversi: un primo momento in cui, in effetti, si ricercavano nuove capacità
per lo svolgimento di nuovi compiti: è il punto di partenza. Il punto d’arrivo può essere la famosa
frase di Pedro Nunes che afferma che i Portoghesi “não se foram ao mar a acertar”. (ndt. «Andarono
per mare verso l’ignoto»).
Fra un periodo e l’altro si trova la straordinaria svolta della scoperta delle nuove realtà del
mondo. Il mundus novus e lo sguardo di Cristoforo Colombo appartengono allo stesso fascino della
scoperta di cose nuove che molto contribuirono, anche contraddicendo il buon senso, alla
comprensione di queste realtà
BIBLIOGRAFIA
183
Avv. G. Casartelli Colombo - Prof.ssa C. Radulet - Prof. E. Genta Ternavasio
Prof. J.A. Levi - Dott. P.J. Mazzoglio
184
CARMEN M. RADULET, Università della Tuscia1
Come si può desumere già dal titolo, l’obiettivo di questo studio è quello di prendere in
considerazione delle problematiche e degli aspetti ben definiti della biografia e dell’iter “professionale”
di Cristoforo Colombo, tralasciando altri che sono stati ampiamente discussi o che stanno ancora
alimentando delle polemiche che spesso hanno poco di scientifico.
Nella vita di Colombo possono essere individuate tre fasi principali (nelle quali si possono
distinguere dei periodi secondari): la prima può essere considerata quella italiana, ligure e non solo;
la seconda quella portoghese e la terza quella castigliana.
Di questi tre momenti, abbastanza complessi e non ancora perfettamente definiti in tutti gli
aspetti, ho scelto di escludere totalmente il periodo italiano, in grande parte quello castigliano, e
concentrare l’attenzione unicamente su quello in cui Colombo agisce in territorio lusitano. Pertanto,
anche il titolo dello studio non è casuale giacché la mia analisi si soffermerà su quel Cristoforo
Colombo che non ha nulla a che vedere con l’Almirante del Mar Oceano, né con il grande “scopritore
ed evangelizzatore” investito di una missione divina, né con l’ultimo dei templari. In questa prospettiva
ritengo che, come primo passo, si renda necessario definire anche alcuni termini apparentemente
semplici e forse ovvi ma che, soprattutto in questo dominio, troppo spesso, vengono utilizzati in un
regime di pericolosa sinonimia: marinaio/capitano, navigatore/scopritore, pirata/corsaro, capitano
generale/capitano generale del mare/ammiraglio.
Con il termine “marinaio” viene designata qualsiasi persona che naviga, indifferentemente dalla
funzione che ricopre2, mentre nella gerarchia che caratterizza la vita di una nave, il “capitano” ricopre
il ruolo di comandante, sia che si tratti di una imbarcazione mercante o militare, che naviga da sola o
inclusa in una flotta. Il titolo di navigatore è assegnato a qualsiasi persona che svolga abitualmente o
casualmente viaggi per mare, anche senza avere delle responsabilità di carattere tecnico o di comando,
mentre – nel contesto che ci interessa – uno scopritore è solamente colui che, navigando, effettua delle
scoperte di carattere geografico. Il termine “pirata” viene utilizzato per indicare il navigatore che fa
ricorso ai mezzi offerti dalla nautica per ottenere dei guadagni illeciti, collocandosi fuori dalla
giurisdizione dei paesi che formano la comunità internazionale; al contrario, il corsaro, sebbene non
agisca in modo molto diverso dal pirata, gode della copertura politico-diplomatica dello stato nel nome
del quale agisce in quello specifico momento poiché ha a disposizione autorizzazioni rilasciate da un
determinato re o governo per catturare navi commerciali appartenenti ad uno stato con cui si era in
guerra. Date queste caratteristiche, il limite fra pirateria e corsa era molto labile visto che lo stesso
personaggio poteva a volte agire come corsaro mentre in altre occasioni aveva la possibilità di
trasformarsi in pirata. Il “capitano generale” (in portoghese “capitão-mor”) era il comandante di una
flotta e da lui dipendevano tutti gli altri capitani; si trattava di un incarico non permanente dato che
si concludeva alla fine del viaggio o della missione. Al contrario, il capitano generale del mare
(“capitão-mor do mar”), godeva di un incarico permanente e aveva il potere decisionale supremo in
qualsiasi flotta in cui non era presente l’ammiraglio3. Anche l’incarico di ammiraglio, il più alto nella
1
Università della Tuscia-Viterbo.
2
Nel portoghese dell’epoca delle scoperte troviamo formule che indicano alcune delle funzioni in cui venivano impiegati
i marinai “marinheiro de borda acima”, “marinheiro de convés”, “marinheiro da gávea”, “marinheiro do leme”, ecc.
Cf. H. LEITÃO e J. VICENTE LOPES, Dicionário da Linguagem de Marinha Antiga e Actual, 2.a Edição, Lisboa, Centro de
Estudos Históricos Ultramarinos da Junta de Investigações Científicas do Ultramar, 1974.
3
L’incarico è stato instituito dal re D. Fernando e il primo “capitão-mor do mar” in Portogallo dovrebbe essere stato
Gonçalo Terneiro.
185
Carmen M. Radulet
gerarchia nautica, a partire dal regno di D. Dinis, rappresentava una funzione con carattere
permanente, il più delle volte ereditaria4, ottenuta grazie a particolari meriti nel campo della
navigazione e delle attività militari con essa collegate.
Dopo questa premessa, l’analisi che ho scelto di eseguire si baserà sui pochi documenti esistenti
e sulle testimonianze indirette riguardanti la vita di Cristoforo Colombo in tre momenti ben delineati
dei suoi rapporti con il Portogallo. Il primo periodo va dal 1476 al 1485 ed è caratterizzato da alcuni
fattori decisivi per l’elaborazione del suo piano: la scelta di rimanere in questo paese, i rapporti con
la nazione e con gli italiani che vivevano già a Lisbona e nelle isole atlantiche, la tipologia dei viaggi
che effettua in questo periodo, l’offerta a D. João II del progetto di raggiungere l’Oriente navigando
por el poniente, il rifiuto del monarca portoghese e l’abbandono precipitoso del paese. La seconda
presenza di Colombo in Portogallo è documentata nel 1488, anno in cui ripropone a D.João II lo stesso
progetto di scoperta. Anche in questo caso, però, il monarca, forse condizionato dall’arrivo di
Bartolomeu Dias dal viaggio in cui aveva doppiato il Capo di Buona Speranza, rifiuta nuovamente il
piano del navigatore genovese. L’ultimo breve soggiorno in terra lusitana di Colombo, diventato ormai
scopritore, si verifica nel 1492 quando, al suo ritorno dalla prima spedizione, si ferma alle Azzorre e
poi a Lisbona per comunicare a D. João II il successo ottenuto.
La documentazione relativa a queste tre fasi nelle quali Cristoforo Colombo interagisce
direttamente con il Portogallo e con il re D João II sarà analizzata da un punto di vista politico-
diplomatico e socio-culturale con particolare attenzione per il contributo e il supporto che la comunità
italiana residente in questo paese ha offerto al navigatore. Come sembra (il dubbio è d’obbligo perché
non esiste nessun documento che lo attesti con certezza), l’arrivo in Portogallo di Cristoforo Colombo
può essere collocato nel mese di agosto del 1476, in seguito ad un naufragio avvenuto a largo della
costa dell’Algarve, nei pressi del Capo di S. Vicente. In effetti, attraverso fonti di diversa origine ed
entità, è documentato che, il 13 agosto di quell’anno, si era verificato uno scontro particolarmente
cruento tra una flotta in cui si trovavano Guillaume de Casenove (noto anche con i nomi di Cullam,
Coulon, Colom, Colombo), il “famoso cossairo francês”, viceammiraglio del re di Francia, e Pero de
Ataíde, da una parte, e navi commerciali genovesi dirette alle Fiandre e in Inghilterra, dall’altra.
Nella battaglia che ne era sfociata affondarono quattro navi corsare (una appartenente a
Colombo, la “Lopiana” di Pero de Ataíde, un’altra nave portoghese e una francese) e, dalla parte
avversa, una nave appartenente a Nicolò Spinola, una galeazza di Teramo Squarciafico e una
imbarcazione di Borgogna. Il numero degli scomparsi fu impressionante visto che, malgrado alcune
divergenze, la documentazione menziona 800 fra genovesi e savonesi, 480 o 500 portoghesi e
altrettanti francesi; i pochi superstiti si erano salvati raggiungendo a nuoto la costa dell’Algarve. Data
la violenza dello scontro in cui avevano trovato la morte anche molti nobili fra i quali anche il
portoghese Pero de Ataíde, uomo di fiducia di D. Afonso V, e le implicazioni politiche che tale azione
ha avuto a livello europeo, l’episodio è riferito (sebbene con alcune differenze) da numerose fonti
portoghesi, castigliane, francesi e liguri5.
Don Fernando Colombo narra nella sua opera Le Historie della vita e dei fatti dell’ammiraglio
don Cristoforo Colombo6 che suo padre non solo possiedeva una grande esperienza nautica prima
4
Si veda il caso della famiglia del genovese Manuel Pessanha o di quella di Vasco da Gama. Sull’argomento cf. C.M.
RADULET e A. VASCONCELOS DE SALDANHA, O Regimento do Almirantado da Índia, Lisboa, INAPA, 1989.
5
Cfr. l’ampia documentazione citata in A. SALVAGNINI, Cristoforo Colombo e i corsari Colombo suoi contemporanei,
Raccolta di Documenti e Studi, pubblicati dalla R. Commissione Colombiana per i Quarto Centenario della Scoperta
dell’America, Parte II, vol. III, Roma, Ministero della Pubblica Istruzione, 1894, pp. 127-248; F. PEDROSA, Cristóvão
Colombo Corsário em Portugal, Lisboa, Academia de Marinha, 1989; L. D’ARIENZO, La presenza degli italiani in
Portogallo al tempo di Colombo. Nuova Raccolta Colombiana, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, s.d.; P.J.
MAZZOGLIO, Le ricerche colombiane in Portogallo, Atti del 2° Congresso internazionale colombiano, Torino, 2006.
6
F. COLOMBO, Le Historie della vita e dei fatti dell’ammiraglio don Cristoforo Colombo, Introduzione, note e schede di
P.E. TAVIANI e I. LUZZANA CARACI, Nuova Raccolta Colombiana, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1990, vol.
VIII, t. I e II.
186
Cristoforo Colombo navigatore e i suoi rapporti con la comunità italiana residente in Portogallo
dell’arrivo in Portogallo ma che aveva anche navigato con un suo parente chiamato Colombo, “molto
nomato per mare”. Proprio mentre si trovava “in compagnia del detto Colombo giovane”, suo padre
sarebbe stato coinvolto, nel 1485, in uno scontro con delle navi veneziane e, in seguito al naufragio
della sua imbarcazione, avrebbe raggiunto la costa a nuoto7. Queste affermazioni di Don Fernando,
basate prevalentemente sulla testimonianza di Coccio Sabellico8, hanno indotto molti studiosi a
immaginare un’attività di corsaro di Cristoforo Colombo prima del suo arrivo in Portogallo e rapporti
di parentela con i corsari e pirati Colombo il Vecchio e il Giovane i quali avevano seminato il terrore
per più di due decenni fra il Mediterraneo e il Mare del Nord.
In occasione del Quarto Centenario della Scoperta dell’America, lo studioso italiano Alberto
Salvagnini ha pubblicato ben 122 documenti relativi alle attività dei corsari e pirati Colombo9 fornendo
così ai ricercatori nuove basi per la valutazione della prima parte della biografia di Cristoforo Colombo
e dei suoi rapporti con il Portogallo. Nel secolo scorso altri documenti sulla presenza di pirati di varia
nazionalità che operavano nella Penisola Iberica sono stati raccolti e interpretati nel tentativo di fare
maggiore chiarezza su casi di omonimia e sulla datazione di vicende particolarmente significative10.
Malgrado alcune letture critiche divergenti delle fonti, è stato stabilito, con ragionevole certezza, che
non esistevano legami di parentela fra i corsari e pirati Colombo e Cristoforo Colombo e che il futuro
Almirante del Mar Oceano non poteva essere giunto in Portogallo nel 1485, giacché in quel periodo,
dopo il rifiuto di D. João II, stava offrendo ai Re Cattolici il suo piano di scoperta.
Paolo Emilio Taviani, nell’affrontare l’arrivo di Cristoforo Colombo in Portogallo, dopo aver
notato che Don Fernando non era ben informato su questo argomento, ricostruisce il seguente scenario:
“Nella primavera del 1476 si organizzò a Genova una spedizione commerciale diretta in
Inghilterra. La piccola flotta era composta dalla galeazza di Gioffredo Spinola, da un baleniere di
Nicolò Spinola, da una galeazza di Teramo Squarciafico e dalla galeazza Berrinella, comandata da
Gian Antonio Di Nigro. Vi era anche una nave fiamminga, detta Bechalla, comandata da Cristoforo
Salvago. Su quest’ultima nave, che fu armata nella baia di Noli, erano imbarcati molti savonesi.
Probabilmente su di essa si trovava Cristoforo Colombo […] Il convoglio punta a nord-ovest, per
doppiare il Capo San Vincenzo, estremo lembo meridionale del Portogallo. È il 13 agosto 1476. Fra
il Capo di Santa Maria e il capo di San Vicenzo, il convoglio è improvvisamente attaccato da una
squadra corsara francese […]. Delle cinque navi genovesi, due soltanto poterono rifugiarsi a Cadice,
in Castiglia, le altre tre furono incendiate e affondarono, e molti uomini degli equipaggi perirono
affogati. Della squadra corsara, quattro grosse navi (secondo un documento, cinque secondo altro)
affondarono con centinaia di morti. Guglielmo Casenove, Nicolò Spinola e parecchi marinai genovesi,
portoghesi e francesi si salvarono a nuoto. Fra questi anche Cristoforo Colombo”11.
Il quadro così delineato rispetta in pieno l’ampia documentazione riguardante questo episodio
sebbene nessuna fonte coeva riferisca il nome di Cristoforo Colombo come presente nello scontro del
1476.
Il futuro Almirante si è dimostrato particolarmente abile non solo nell’occultare le sue origini ma
anche nel suggerire che il suo arrivo nella Penisola Iberica sia stato determinato da motivazioni quasi
messianiche. In effetti, Bartolomé de Las Casas cita una lettera inviata da Colombo nel 1505 al re di
Castiglia D. Fernando in cui il navigatore attribuisce a Dio la decisione di farlo arrivare
miracolosamente, prima in Portogallo, dove non è stato capito, e poi in Castiglia12.
7
COLOMBO, Historie, Cap. V.
8
M.A. COCCIO SABELLICO, Rerum venetarum ab urbe condita ad Marcum Barbadicum libri XXXIII, Venezia, Andrea
Torresani, 1487, decade IV, libro III.
9
SALVAGNINI, Cristoforo Colombo, l.c.
10
Cfr. ad esempio PEDROSA, Cristóvão Colombo, l.c. e D’ARIENZO, La presenza degli italiani, pp. 299-334.
11
P.E. TAVIANI, Cristoforo Colombo. La genesi della grande scoperta, Novara, Istituto Geografico de Agostini, Ed. riveduta
1988, vol. I, pp. 62-63.
12
B. DE LAS CASAS, Historia de las Indias, Edición de Agustín Millares Carlo, Mexico, Fondo de Cultura Económica, 1986,
voll. I, Cap. 28 e II, Cap. 37.
187
Carmen M. Radulet
Nell’atmosfera di eccezionalità creata, a posteriori, attorno alla sua figura, anche il naufragio
dovuto ad uno scontro feroce con navi pirate – rimasto nella memoria collettiva non solo nella Penisola
Iberica ma anche nel resto dell’Europa – e l’arrivo a nuoto nei pressi del Capo di S. Vicente, luogo
direttamente collegato alla figura e alle imprese dell’Infante D. Henrique, il primo promotore delle
esplorazioni sistematiche dell’Atlantico, diventano elementi capaci di sostenere il mito di un uomo e
di una impresa fuori dal comune.
Ammettendo che Cristoforo Colombo si trovasse coinvolto nella battaglia del 1476, ci si chiede
perché avesse scelto di rimanere in Portogallo visto che la sua destinazione finale non doveva essere
Lisbona, bensì l’Inghilterra o le Fiandre, dove erano dirette le navi genovesi. Anche a questo proposito
l’opera di Don Fernando offre poche indicazioni giacché egli si limita ad annotare che il padre, dopo
il naufragio dal quale si era salvato per volontà di Dio, “perciocché non era lontano da Lisbona a dove
sapeva che si ritrovano molti della sua nazione Genovese, più presto che poté, si trasferì quivi”13.
L’affermazione, malgrado la sua brevità e il carattere abbastanza generico, corrisponde alla verità dato
che a Lisbona risiedeva già da tempo una nutrita comunità di italiani provenienti da varie regioni della
Penisola e fra di essi numerosi genovesi. Si trattava pertanto di un luogo in cui un giovane di circa
25 anni, probabilmente in difficoltà economiche, poteva trovare delle prospettive molto interessanti
di “carriera”.
I rapporti sporadici fra l’Italia e il regno portoghese, documentati fin dal Duecento, con il passare
degli anni si intensificano e, progressivamente, si diversificano nel rispetto di un nuovo assetto degli
equilibri che si stavano instaurando fra il Mediterraneo, l’Atlantico (a quell’epoca conosciuto) e il
Mare del Nord14.
Il primo passo in questo senso è compiuto nel 1317, anno in cui il re D. Dinis stipula un vero e
proprio contratto con Emanuele Pezzagno (Manuel Pessanha) attraverso il quale il genovese riceve,
per lui e per i suoi eredi, il titolo di Ammiraglio della flotta lusitana impegnandosi ad assicurare non
solo la sua diretta collaborazione ma anche quella costante di altri 20 uomini esperti di navigazione
da lui scelti15. Questo momento risulta doppiamente significativo: da un lato, viene formalizzata una
collaborazione costante fra la marineria portoghese e quella genovese e, dall’altro, vengono
ufficialmente aperte le porte agli italiani che desideravano stabilirsi in Portogallo.
Nel Trecento, e ancora di più nel Quattrocento, si assiste alla creazione di una vera e propria
colonia di navigatori, operatori commerciali e banchieri provenienti da varie regioni della penisola
italiana che scelgono di svolgere le proprie attività in questo paese pur mantenendo dei legami
strettissimi con la patria d’origine. Si tratta di individui che agiscono a titolo personale e di altri, la
maggioranza, che si inseriscono nelle attività messe in atto da società ben strutturate e organizzate a
livello europeo, come delle vere e proprie reti in cui ogni luogo e ogni persona si integra in un progetto
ben delineato e funzionale16.
13
COLOMBO, Le Historie, Cap. V.
14
Su questo aspetto cf. i numerosi studi elaborati da Luís Adão da Fonseca e in particolare L. ADÃO DA FONSECA, O Porto
nas rotas do Mediterrâneo ocidental (vésperas da época moderna), in “Revista de História”, Porto, Instituto Nacional de
Investigação Científica, 1980, vol.III, pp. 127-139; L. ADÃO DA FONSECA, Le Portugal entre Méditerranée et Atlantique
au XV.e siècle, in “Arquivos do Centro Cultural Português”, Lisboa-Paris, Fundação Calouste Gulbenkian, 1989, vol.
XXVI, pp. 145-160; L. ADÃO DA FONSECA, Portugal entre dos mares, Madrid, Colecciones MAFRE, 1993; L. ADÃO DA
FONSECA, O horizonte insular na experiência cultural da primeira expansão portuguesa, in Descubrir el Levante por el
Poniente, Cagliari, Istituto sui rapporti italo-iberici del CNR, 2001.
15
Cf. D’ARIENZO, La presenza degli italiani, pp. 15-106.
16
All’inizio del Novecento Prospero Peragallo ha pubblicato il libro Cenni intorno alla colonia italiana in Portogallo nei
secoli XIV, XV e XVI (P. PERAGALLO, Cenni intorno alla colonia italiana in Portogallo nei secoli XIV, XV e XVI, Genova,
Stabilimento tipografico vedova Papini e figli, 1907) che ha rappresentato un punto di riferimento per tutti i ricercatori che,
in seguito, si sono soffermati su questo argomento. Dato che nell’ultimo secolo gli studi dedicati alla presenza italiana in
Portogallo e più in generale ai rapporti stabiliti fra diverse regioni dell’Italia e la Penisola Iberica sono molto numerosi,
ho scelto, in questa occasione, di citare esclusivamente quelli indispensabili per meglio affrontare l’argomento in oggetto.
188
Cristoforo Colombo navigatore e i suoi rapporti con la comunità italiana residente in Portogallo
A grandi linee, è questa la situazione che Cristoforo Colombo trova nel momento in cui sceglie
di cercare la propria fortuna in Portogallo.
È ben noto il fatto che molte famiglie di banchieri e di mercanti italiani scegliessero di inviare
i propri figli, nipoti o cugini a fare esperienza nelle diverse filiali sparse nei centri più importanti
dell’Europa. Dalle notizie effettivamente disponibili sembra che Cristoforo Colombo non appartenesse
a questa categoria privilegiata di giovani apprendisti che nel momento in cui partivano dall’Italia
avevano già assicurato l’appoggio della famiglia e della rete di società collegate con le quali potevano
lavorare.
Per questa ragione, una volta entrato nel circuito della comunità italiana, anche Colombo doveva
rispettare le regole dell’organizzazione degli affari: nel suo caso non esiste nessun elemento che ci
autorizzi a pensare che fosse impegnato in operazioni di finanza o di transazioni commerciali di alto
livello bensì, probabilmente, di navigazione, di viaggi mirati ad assicurare ai mercanti italiani residenti
in Portogallo i prodotti richiesti dalle varie piazze con le quali essi avevano dei rapporti stabili in tutta
l’Europa.
Sebbene non si trattasse di una regola senza eccezioni, i fiorentini erano specializzati
prevalentemente nelle transazioni bancarie e commerciali su larga scala mentre i genovesi ed i
lombardi si dedicavano soprattutto alle navigazioni che assicuravano il movimento delle merci su rotte
più circoscritte ma, allo stesso tempo, ben studiate e funzionali: Lisbona - Madeira e Azzorre, Madeira
- Canarie e Seviglia, Lisbona - Golfo della Guinea, Lisbona - Madeira ed i mercati dell’Europa del
Nord, Madeira - Lisbona - Mediterraneo.
La famiglia Perestrelo, originaria di Piacenza, era ormai ben inserita nel tessuto sociale
portoghese e godeva di notevole considerazione come dimostra il fatto che Bartolomeo Perestrelo era
stato nominato cavaliere degli infanti D. João e D. Henrique e che da questo ultimo aveva ricevuto il
titolo di capitano donatario dell’isola di Porto Santo ed era stato incaricato di popolarla17.
Non stupisce pertanto il fatto che Cristoforo Colombo avesse scelto di stringere dei rapporti
stabili con questi discendenti di italiani e, secondo una prassi ben consolidata, il mezzo più semplice,
efficace e rapido era il matrimonio. Nel rispetto di questa consuetudine, il navigatore, in una data che
non è stato possibile stabilire con certezza ma probabilmente fra il 1479 e il 1480, sposa Felipa Moniz
Perestrelo, figlia di Bartolomeo Perestrelo e della sua terza moglie Isabela Moniz, che aveva conosciuto
mentre era rinchiusa nel convento di São Domingos a Lisbona.
È a partire da questo momento che la storia di Colombo cambia radicalmente: passa, grazie ai
diritti già acquisiti dai parenti della moglie, da straniero in cerca di fortuna a residente. Il navigatore
aveva già lavorato, nel 1487, senza grande successo imprenditoriale, a Madeira in qualità di mercante
di zucchero a servizio della nutrita comunità genovese che viveva fra Lisbona e questo arcipelago. Ma
lo stato raggiunto attraverso il matrimonio gli apriva ormai nuove porte giacché aveva la possibilità
di svolgere delle attività che ad uno straniero qualsiasi erano precluse. A Madeira operavano molti
genovesi e italiani provenienti da altre regioni della penisola, già ben inseriti nel tessuto sociale
portoghese: Adorno, Lomelini, Justiniani, De Nigro, Acciaioli, Salvago, Espinola, Doria, Catanho,
Amador, Cacena ecc.18. Questi agenti, impegnati soprattutto nel commercio della canna da zucchero
e degli schiavi, avevano creato una nuova rete di affari che si estendeva tra Funchal (Madeira), Las
Palmas di Gran Canaria, Santa Cruz di Tenerife e il Golfo della Guinea.
Come è ben noto, il Portogallo aveva fatto ricorso a tutti i mezzi offerti dalla diplomazia per
rafforzare il concetto di “mare clausum”, nel caso specifico, il diritto esclusivo di navigazione e di
commercio nei mari del golfo della Guinea19. Purtroppo, la scelta di D. Afonso V di intromettersi nella
17
Sulla famiglia Perestrelo in Portogallo cfr. PERAGALLO, Cenni intorno alla colonia e D’ARIENZO, La presenza degli
italiani, pp. 187-252.
18
Come si vede, alcuni dei cognomi sono già alterati secondo la pronuncia portoghese.
19
Il concetto di “mare clausum” viene formalizzato sulla base dell’idea di “mare territoriale”, pertanto in opposizione a
quella di mare “commune omnium”, o “mare liberum”.
189
Carmen M. Radulet
questione della successione al trono della Castiglia e la crisi diplomatica che ne è seguita ha indebolito
la posizione portoghese anche nel campo dell’espansione atlantica giacché le incursioni di navi
castigliane e francesi nel golfo della Guinea si erano fatte sempre più minacciose.
La Corona, nel 1469, per assicurare la presenza portoghese nel golfo della Guinea, senza
impegno di tipo organizzativo e senza spese, aveva affittato per 5 anni al mercante Fernão Gomes i
traffici dei mari della Guinea con l’impegno di continuare, per conto del re, l’esplorazione di 100
leghe di costa ogni anno. Il contratto si è rivelato proficuo per entrambe le parti giacché in quel periodo
è stata scoperta anche la ricca regione della Mina e le navi portoghesi sono arrivate fino al Cabo de
Santa Catarina20. Nel 1474 D. Afonso V concede al Principe D. João os “fectos das partes da Gujnee
e emvestigaçom dos mares jentes e cousas delas” e la possibilità di esercitare i diritti di “guerra justiça
e fazenda”21.
In termini politici, gli anni che vanno dal 1474 al 1479, data in cui D. Afonso V e il principe D.
João e i Re Cattolici, firmano il Trattato di Alcáçovas, non sono stati favoreveoli al Portogallo né in
Europa, né nelle zone extraeuropee, anche perché i tentativi di annullare il concetto di “mare clausum”
erano già sostenuti pubblicamente non solo dalla Castiglia ma anche da altre potenze22. Questa
situazione ha avuto come diretta conseguenza una difesa armata portoghese delle regioni dell’Atlantico
minacciate, una vera e propria “guerra de corso” (guerra corsara) in cui, con il beneplacito del principe
D. João, diventava lecito utilizzare qualsiasi mezzo per far desistere i nemici dall’intenzione di navigare
e commerciare nei mari appartenenti al Portogallo e a infrangere il “mare clausum”. A questo riguardo
rimane famosa la delibera (“alvará”) con cui il futuro re D. João II autorizzava i suoi navigatori a
gettare in mare qualsiasi straniero catturato nel golfo della Guinea privo di autorizzazione della corona
portoghese, chiara risposta a Isabel la Cattolica, che aveva tentato di legalizzare la navigazione e
l’espansione spagnola in Africa e nei mari della Guinea23.
Malgrado questa congiuntura altamente problematica, quegli italiani che risiedevano in
Portogallo ed usufruivano di privilegi che li equiparavano ai cittadini di questo paese, avevano la
possibilità di continuare a navigare e ad effettuare i loro traffici fra il continente, Madeira, Azzorre,
Capo Verde e Golfo della Guinea, con estensioni più o meno lecite, verso le Canarie e Siviglia24. È
esattamente in questo contesto di navigazioni, commerci e guerra di corsa che si inserisce Cristoforo
Colombo dopo il suo arrivo a Lisbona. Nessun documento ci indica quale fosse la sua qualifica
specifica sebbene si possa ipotizzare che avesse degli incarichi di mercante (che lavorava per conto
delle società di italiani già stabiliti in Portogallo) e di navigatore (nel senso che doveva caricare,
trasportare e consegnare le merci richieste) ma nessuna fonte ci autorizza a immaginarlo capitano,
ancor meno capitano generale di una flotta, o corsaro investito dalla Corona di questa qualifica.
Una delle pochissime fonti certe sulle attività svolte in terra lusitana da Colombo è rappresentata
da una causa fra Luigi Centurione da una parte e dall’altra Paolo e Cassano di Nigro, discussa il 25
agosto 1479 presso l’Ufficio di Mercanzia di Genova. In quella circostanza i contendenti fanno ricorso
alla testimonianza di Cristoforo Colombo, da loro incaricato l’anno precedente di comprare a Madeira
una grossa partita di zucchero destinato al mercato genovese. L’operazione, fallimentare, aveva
arrecato delle perdite considerevoli alle due compagnie, vista anche la pretesa di Fernando Palencia,
20
La concessione è stata prorogata per un altro anno il 1 giugno 1473; cf. la lettera in J.M. DA SILVA MARQUES,
Descobrimentos Portugueses. Documentos para a sua história publicados e prefaciados por -, Lisboa, Edição do Instituto
de Alta Cultura, 1971, vol. III, pp. 129-130.
21
Cfr. l’ordenação del 31 agosto 1474 in SILVA MARQUES, Descobrimentos Portugueses, vol. III, pp. 153-154.
22
Sulle conseguenze politiche ed economiche del Trattato di Alcáçovas cf. A.A. MARQUES DE ALMEIDA, As consequências
políticas e económicas do convénio com Castela, in Portugal no Mundo, vol. 2, pp. 27-34.
23
Cfr. SILVA MARQUES, Descobrimentos Portugueses, vol. III, p. 161.
24
A conferma di questa situazione cf. il salvacondotto rilasciato l’11 maggio del 1480 da D. Afonso V ai genovesi Luigi
Centurione (Luís Centurião) e Battista Spinola (Bautista Espindolla) per poter commerciare liberamente in Portogallo
durante cinque anni; documento cit. in D’ARIENZO, La presenza degli italiani, pp. 337-339.
190
Cristoforo Colombo navigatore e i suoi rapporti con la comunità italiana residente in Portogallo
patrono della nave contrattata per il trasporto, di ricevere l’intero pagamento del noleggio25. Nella
dimensione che ci interessa, questa causa indica che nel 1478-1479 Colombo svolgeva in Portogallo
un’attività di piccolo agente commerciale a servizio di compagnie genovesi che operavano in quel
paese e che per i suoi spostamenti utilizzava navi noleggiate ad armatori locali. Potrebbe essere che,
anche a causa di questo insuccesso che, di certo, non lo metteva in buona luce nell’ambiente mercantile,
egli abbia deciso di sposare Filipa Moniz Perestrelo?
Come si è visto, i Perestrelo avevano ricevuto la capitania ereditaria dell’isola di Porto Santo e
godevano presso la Corona di prestigio anche grazie al fatto di essersi imparentati con una serie di
famiglie della nobiltà portoghese e con mercanti di varie nazionalità26. Non stupisce pertanto che
Colombo abbia avuto la possibilità di continuare a navigare, probabilmente, in qualità di agente
commerciale a servizio dei Perestrelo e della comunità italiana impegnata nei traffici con le isole
atlantiche, come testimonia anche il memoriale che l’Ammiraglio allega ai testamenti del 1505 e 1506.
In questo documento autografo, egli chiedeva al figlio Diego di sanare alcuni debiti che aveva lasciato
alla partenza dal Portogallo con alcuni agenti commerciali liguri: Geronimo di Porto Maurizio, Luigi
Centurione Scotto, Antonio Vazo, Paolo di Negro e Battista Spinola27. Inoltre, sia Don Fernando che
Las Casas, in varie occasioni, fanno riferimento a viaggi che il futuro Ammiraglio avrebbe intrapreso
mentre si trovava in Portogallo e a notizie che egli avrebbe raccolto nelle isole atlantiche sull’esistenza
di terre situate nell’Oceano, a Ovest degli arcipelaghi di Madeira e delle Azzorre. In alcuni casi si
tratta di racconti quasi fantastici su avvistamenti di pezzi di legno lavorati ingegnosamente, su canne
diverse da quelle europee, su barche particolari (almadie),.su due uomini morti, dalle sembianze strane,
e su varie isole avvistate verso Occidente28, mentre in altri casi, Colombo afferma, senza fornire alcun
elemento concreto di supporto, di aver navigato nei mari del Levante, del Settentrione (Inghilterra) e
della Guinea, dove, fra l’altro, avrebbe visto anche delle sirene… L’unica testimonianza più concreta,
sebbene sprovvista di qualsiasi coordinata temporale, è costituita dalla postilla annotata nel libro Imago
Mundi di Pierre d’Ailly, in cui il futuro Almirante afferma che, navigando da Lisbona verso
mezzogiorno in direzione della Guinea, aveva misurato più volte l’altezza del sole con il quadrante,
come usano fare i capitani e i marinai29.
I viaggi effettuati in compagnia di marinai portoghesi e su navi portoghesi, e la frequentazione
delle isole atlantiche hanno dato, senza dubbio, al navigatore la possibilità di acquisire dimestichezza
con le peculiarità dell’Oceano e ottenere informazioni preziose su navigazioni intraprese verso
Occidente.
Effettivamente, anche prima dell’arrivo di Colombo in Portogallo, si assiste ad una progressiva
esplorazione dell’Atlantico Settentrionale: non si deve dimenticare, ad esempio, che partendo
dall’arcipelago di Madeira sono state man mano scoperte le isole Azzorre. Su questa scia di ricerca di
nuove terre, alcuni navigatori originari di Madeira e delle Azzore avevano sollecitato alla Corona
l’autorizzazione per effettuare viaggi nell’Atlantico. Il re D. Afonso V e, successivamente, D. João II,
avevano concesso a Rui Gonçalves da Câmara (1473), Fernão Teles (1474) e a Diogo e João de Teive
(1475) la possibilità di organizzare a proprie spese delle spedizioni e, nel caso di risultati positivi, le
terre sarebbero entrate nei possedimenti delle Corona e gli esploratori avrebbero ricevuto il titolo di
25
Su questo argomento cf. anche il commento e la documentazione citata in D’ARIENZO, La presenza degli italiani, pp.
270- 273.
26
Ad esempio, Briolanja Moniz Perestrelo, sorella di Felipa, aveva sposato in prime nozze il mercante di origine fiamminga
Miguel Moliart e, in seconde nozze,.l’italiano Francesco Bardi.
27
Cfr. i documenti citati anche in traduzione italiana in D’ARIENZO, La presenza degli italiani, pp. 336-340.
28
COLOMBO, Le Historie,.Cap. IX.
29
Per la traduzione di questa postilla accolgo la versione di Gianfranco Ribaldone: “Nota che sovente, navigando da
Lisbona a mezzogiorno alla volta della Guinea, osservai. In questo modo si allude non a una pluralità di viaggi, ma alla
frequenza con cui Colombo effettuò, nel corso della navigazione verso la Guinea, osservazioni del sole”, in G. RIBALDONE,
‘Palabra maravillosa’ La vita di Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492. Una riflessione sui documenti, Cuccaro,
CE.S.CO.M, 2004, doc. 33, p. 37.
191
Carmen M. Radulet
capitani donatari (con tutti i benefici collegati a questo ruolo), nel rispetto del sistema giuridico vigente
per le terre e le isole già ufficialmente integrate nei territori appartenenti al Regno30.
In quegli anni difficili, la Corona portoghese era impegnata prevalentemente nelle questioni
riguardanti la successione al trono della Castiglia e nella difesa dei mari della Guinea. Non stupisce,
pertanto, che in queste condizioni il re D. Afonso e il Principe D. João, senza preoccupazioni e senza
spese, avessero concesso a privati, come integrazione della politica regia, la possibilità di seguire delle
vie alternative, assicurandosi comunque il controllo sulla terra o le terre eventualmente scoperte.
Durante il suo soggiorno in Portogallo, grazie ai rapporti diretti con la comunità italiana,
Colombo aveva avuto la possibilità di navigare integrato nelle flotte lusitane, entrare in contatto con
personaggi di rilievo e, in questo contesto, conoscere anche la relazione che Paolo del Pozzo Toscanelli
aveva inviato (1474) al canonico Fernão Martins. Così, il navigatore genovese aveva anche avuto
l’opportunità, forse per intercessione di alcuni italiani (si ricordi, ad esempio, che Bartolomeo
Marchionni e Girolamo Sernigi erano finanziatori della Corona) di proporre a D. João (probabilmente
nel 1484) il piano di raggiungere l’Oriente navigando verso occidente. Il re aveva rifiutato il progetto
di Colombo, circostanza che, a posteriori, ha alimentato varie teorie e supposizioni: alcuni studiosi
hanno visto in questa scelta del re una sua mancanza di sensibilità politica, mentre altri hanno
considerato che si fosse lasciato ingannare dai risultati ottenuti dalle esplorazioni di Diogo Cão che
avrebbe ritenuto aver raggiunto il Promontorium Prassum, come era stato annunciato nella Oratio de
Obedientia al papa Innocenzo VIII31.
In questa ricostruzione vengono però tralasciati alcuni elementi essenziali per una lettura corretta
di questo gesto. Alla conclusione della guerra di successione al trono di Castiglia, dopo lunghe e
complesse trattative, è firmato nel 1479 il Trattato di Alcáçovas, in cui per la prima volta, vengono
definiti fra i due paesi anche i “confini” dei possedimenti.extra-europei: alla Castiglia veniva
riconosciuto il diritto sul regno di Fez e sulle isole Canarie “scoperte e da scoprire”, mentre al
Portogallo il diritto sui mari della Guinea verso Sud, in direzione delle “Indie”. Si trattava, in pratica,
di un trattato in cui le due potenze iberiche si dividevano il mondo conosciuto e quello non conosciuto.
Per ciò che concerne l’Oratio de Obedientia, come ho dimostrato in altra sede, non si tratta di un
errore di valutazione effettuato da un navigatore esperto come Diogo Cão, ma dell’utilizzazione di un
mezzo di propaganda politica attraverso il quale D. João intendeva rafforzare le bolle papali che
concedevano al Portogallo il diritto all’espansione32.
Colombo chiedeva alla Corona di finanziare la sua impresa e di concedergli a priori il titolo di
ammiraglio ma, come si è visto, nel sistema delle esplorazioni marittime vigente in Portogallo, le
navigazioni di scoperta nell’Atlantico del Sud erano gestite e, in grande parte, sostenute
economicamente dalla Corona, mentre quelle nell’Atlantico Settentrionale erano a carico esclusivo dei
privati che sollecitavano le autorizzazioni. L’atteggiamento di Colombo non si integrava, pertanto, in
questo sistema già collaudato e funzionale giacché le due vie di esplorazione non si escludevano,
senza tuttavia impegnare in modo esagerato le finanze della monarchia lusitana. A testimonianza di
questa realtà è il fatto che, mentre il re negava il suo appoggio al piano presentato da Colombo, donava
a Fernão Domingos de Arco (1484) la capitania di un’isola che egli aveva l’intenzione di scoprire a
proprie spese navigando dalle isole Azzorre verso Occidente.
Un altro elemento non secondario in questo contesto è il fatto che, negli stessi anni, D. João II
stava organizzando una missione segreta per verificare le condizioni di navigazione nel Mar Rosso e
nell’Oceano Indiano e, soprattutto, le reti commerciali e gli equilibri politici della regione. A questo
30
Sul sistema giuridico delle capitanie e il suo ruolo nell’espansione portoghese cf. VASCONCELOS DE SALDANHA, As
capitanias.
31
Su una ricostruzione meno fantasiosa dei viaggi di Diogo Cão cf. C.M. RADULET, As viagens de descobrimento de Diogo
Cão: nova proposta de interpretação, in “Mare Liberum”, Lisboa, CNCDP, 1990, n°1, pp. 175-204.
32
Cfr. C.M. RADULET, Os descobrimentos portugueses e o Tratado de Alcáçovas, in AA.VV., Portugal no Mundo, Lisboa,
Publicações Alfa, 1989, vol. 2, pp. 13-26.
192
Cristoforo Colombo navigatore e i suoi rapporti con la comunità italiana residente in Portogallo
fine aveva incaricato Fra’ António de Lisboa e Pero de Montarroio di indagare sul mitico Prete Gianni
e sul mercato delle spezie, ma i due portoghesi, arrivati a Gerusalemme si erano resi conto che non
potevano penetrare in quella regione senza conoscere la lingua araba. Il fallimento di questo primo
tentativo di penetrazione in Oriente è servito a D. João II nella scelta dei futuri emissari: Afonso de
Paiva e Pero da Covilhã, uomini di fiducia precedentemente impegnati in altre complesse operazioni
diplomatiche che erano buoni conoscitori dell’arabo e di altre lingue europee.
Sebbene di trattasse di una missione segreta, è essenziale notare che le lettere di credito che
dovevano usare Afonso de Paiva e Pero da Covilhã erano state firmate da Bartolomeu Marchionni,
fiorentino residente da tempo in Portogallo, che, però aveva anche dei rapporti di affari con gli italiani
che si trovavano nelle Canarie e a Siviglia. Pertanto, per alcuni esponenti di spicco della comunità
italiana non esistevano segreti, neppure nei casi di operazioni di spionaggio internazionale, coperte dal
“sigillo” di stato.
A questo insieme di fattori, abbastanza complesso, che si trova all’origine del rifiuto di D. João
II si deve aggiungere anche il fatto, non secondario, che la tecnica nautica portoghese aveva fatto passi
considerevoli grazie al perfezionamento della costruzione navale e alle ricerche sistematiche sul regime
dei venti, delle correnti e della misurazione del grado terrestre. Agli esperti del monarca dovrebbe
essere apparso abbastanza evidente che i calcoli del navigatore genovese non erano corretti soprattutto
per ciò che concerneva il valore del grado, valutazione errata che diminuiva sostanzialmente la distanza
la fra le coste dell’Europa e dell’Oriente.
Dopo il rifiuto di D. João II, sdegnato, Colombo lascia il Portogallo per trasferirsi in Castiglia.
Per chi aveva navigato nei mari portoghesi (il “mare clausum”) con uno statuto che lo equiparava agli
oriundi, un atto del genere lo portava ad essere automaticamente considerato un traditore (si veda, per
esempio il caso famoso di Fernão de Magalhães, più conosciuto come Magellano). È con ogni
probabilità che anche per questo motivo in occasione del secondo incontro con D. João, Colombo
abbia avuto bisogno di ottenere un salvacondotto per ritornare legalmente nel paese che aveva
abbandonato portandosi dietro un bagaglio di conoscenze non disponibile a qualsiasi straniero.
Come si è visto, negli anni precedenti, il grande e articolato progetto di D. João II di raggiungere
l’Oriente circumnavigando l’Africa, era stato completato con la maggior parte delle informazioni
nautiche e politico-diplomatiche, mancava solo la verifica dell’esistenza del passaggio fra l’Atlantico
e l’Oceano Indiano. Purtroppo, Colombo, secondo la propria testimonianza, ottenne il secondo
colloquio con il monarca portoghese proprio in coincidenza con il ritorno di Bartolomeu Dias dalla sua
missione di esplorazione: il Capo di Buona Speranza era stato scoperto mentre i viaggi di ricerca di
terre intrapresi da privati nell’Atlantico Settentrionale non avevano portato risultati degni di
considerazione. Era evidente pertanto che, ancora una volta, con il pragmatismo che lo caratterizzava,
D. João II fosse stato indotto a rifiutare il piano di Colombo33.
Il terzo incontro fra i due si verifica nel 1492, in una circostanza abbastanza diversa, che
coincideva con il ritorno glorioso del navigatore genovese dal suo primo viaggio di esplorazione.
Cristoforo Colombo sceglie, per motivi ancora non del tutto definiti, di fermarsi alle Azzorre, all’isola
di Santa Maria, e poi andare a Lisbona per incontrare il re. Il cronista Rui de Pina riferisce che alcuni
consiglieri avevano suggerito al monarca l’idea di eliminare fisicamente Colombo per mettere fine alla
sua impresa. Tuttavia, D. João II decide di ricevere l’esploratore (a partire da questo momento il
navigatore poteva utilizzare a pieno titolo questa qualifica!) e, dopo una lunga conversazione, lo lascia
partire sano e salvo per la Castiglia34.
Il ritorno di Colombo nel 1492, la divulgazione dell’esito positivo del viaggio e il suo passaggio
per Lisbona offrono spunti per un nuovo scontro fra il Portogallo e la Castiglia per il possesso delle
33
Sulla politica atlantica seguita da D. João II cfr. C.M. RADULET, A política atlântica de D. João II e as viagens de
descobrimento, in “Actas do Congresso Bartolomeu Dias e a sua Epoca”, Porto1988, voll. II, pp.189-200.
34
R. DE PINA, Chronica d’ElRey D. João II, in Crónicas de Rui de Pina, Introdução e revisão de M. LOPES de ALMEIDA,
Porto, Lello & Irmão Editores, 1977, pp. 883-1033 (cap. LXVI).
193
Carmen M. Radulet
zone extra-europee. In effetti D. João II, invocando il vigente Trattato di Alcáçovas, richiede
pubblicamente che le terre scoperte per conto dei Re Cattolici vengano assegnate al suo regno ed è per
la stessa ragione che a livello internazionale i re castigliani devono presentare le isole ritrovate dal loro
navigatore, non come il.mitico Catai le cui ricchezze aveva celebrato Marco Polo, ma come “Canarias
de las Indias”.
Il fatto è che Cristoforo Colombo sarebbe dovuto essere molto grato a D. João II per aver rifiutato
per ben due volte il suo piano di scoperta perché, se avesse intrapreso il suo viaggio partendo dal
Portogallo, da Madeira o dalle Azzorre, a causa del sistema dei venti e delle corenti dell’Atlantico
Settentrionale, sarebbe arrivato come gli altri navigatori portoghesi nel Mare dei Sargassi, alla Terra
del Bacalhão, al Labrador o alla Groenlandia, terre in quel momento sprovviste di qualsiasi importanza
strategica ed economica, non ai Caraibi, regione che, sulla base del Trattato di Alcáçovas, poteva
essere ritenuta come un’estensione delle Canarie “da scoprire”.
Lo scontro diplomatico che seguirà alla scoperta di Cristoforo Colombo avrà come base
esattamente questo trattato e, purtroppo per il Portogallo (malgrado certe teorie recentemente divulgate
in romanzi storici che ostentano l’aspetto di studi scientifici), la morte del papa Innocenzo VIII ha
recato un danno considerevole alla politica di D. João II, conferendo alla Castiglia, attraverso l’elezione
del papa Alessandro VI Borgia, maggiori spazi di manovra che hanno portato alla stipula nel 1493 del
Trattato di Tordesillas con il quale i due regni iberici sancivano una nuova divisione del mondo.
194
JOSEPH ABRAHAM LEVI, Institute for Portuguese and Lusophone World Studies
INTRODUZIONE
[…] for a period of several years beginning in 1444, Aeneas passed through a state
of spiritual and emotional tension. New themes appear in his letters: uneasiness over
the delights of the senses, pessimism concerning the possibilities of human existence
together with sombre thoughts of death, judgment, hell and heaven3.
Il terrore, spesso, se non quasi sempre, ingiustificato od infondato, della presenza musulmana,
sia in suolo europeo — soprattutto dopo la caduta, nel 1453, di Costantinopoli, capitale dell’Impero
Bizantino — sia in Terra Santa, lo indusse a dichiarare due crociate contro i Turchi per ben due volte
1
Vedasi l’opera De duobus amantibus (Lucrezia e Eurialo), a celebrare le avventure amorose di Caspar Schlick, cancellerie
del re Federico III di Germania (1440-1493), la commedia erotica Chrysis, la Storia dell’Imperatore Federico, la sua
importante ma problematica «Lettera al Sultano Mehmet II» e le sue memorie. Cf. E.S.PICCOLOMINI, Opera quae extant
omnia. Ed. M. HOPPERUS, Basilea: [per Henrichvm Petri], 1551. Frankfurt a.M.: Minerva, 1967; E.S. PICCOLOMINI,
Orationes politicae et ecclesiasticae. Ed. J. D MANSI, Lucca, 1755-1759; E.S.PICCOLOMINI, Opera inedita. Ed. J. CAGNONI,
Roma, 1883;E.S. PICCOLOMINI, Epistolae. Ed. R. WOLKAN, Vienna, 1909-1918; G.C. ZIMOLO, Raccolta degli storici italiani.
3 vols. Bologna: Zanichelli, 1964; L C. GABEL, e F.A. GRAGG. Memoirs of a Renaissance Pope. Londra: Allen & Unwin,
1960; C. M. ADY. Pius II. Londra: Metheun, 1913; R. J. MITCHELL, The Laurels and the Tiara: Pope Pius II. New York:
Doubleday, 1963; G. PAPARELLI, Enea Silvio Piccolomini: L’umanesimo sul soglio di Pietro. 2ª ed. Ravenna: Longo, 1978;
J.G. ROWE, «The Tragedy of Aeneas Silvius Piccolomini (Pope Pius II)». Church History 30 (1961): 288-313; Selected
Letters of Aeneas Silvius Piccolomini. Ed. A. R. BACA, Northridge, CA: San Fernando Valley State College, 1969; L C.
GABEL.. The Commentaries of Pius II. Northampton, MA: Department of History, Smith College, 1937; V. CASTIGLIONE
MINISCHETTI, I. CLOULAS e G. BOUNOURE, Mémoires d’un Pape de la Renaissance. Parigi: Tallandier, 2001; G. TOFFANIN,
ed. Lettera a Maometto (Epistola ad Mahumetem). Napoli: R. Pironti, 1953; E S. PICCOLOMINI, Storia di due amanti.
Palermo: Sellerio, 1985.
2
È incerta la data esatta della sua ordinazione. Sappiamo con certezza che nel marzo 1446, a Vienna, Piccolomini divenne
suddiacono.
He took orders in 1446-1447 and assumed the attributes of a self-conscious guardian of Christian faith
and practice. All obvious moral irregularities in his life were removed; his mind now turned more
frequently to serious matters; his letters assumed a more pious tone; the former philanderer became
the champion of marriage and the home, the counsellor of estranged couples.
J.G. ROWE, «The Tragedy of Aeneas Sylvius Piccolomini (Pope Pius II): An Interpretation». Church History 30.3
(September, 1961): 288-313. 299. Vedasi anche: E.S. PICCOLOMINI, Opera omnia quae extant historica, geographica et
literaria. Basilea, 1551. 582.
3
ROWE, “«he Tragedy of Aeneas Sylvius Piccolomini (Pope Pius II): An Interpretation». Church History 30.3 (September,
1961): 288-313. 298.
195
Joseph Abraham Levi
(ottobre 1458; ottobre 1463)4, tuttavia senza ottenere molti seguaci. In realtà, l’indifferenza, i disaccordi
e la titubanza degli Europei a lottare contro gli “infedeli” musulmani lo preoccupavano, e molto:
Siamo trafitti dalla nostra e dall’altrui spada; tutti siamo procuratori dei Turchi e
spianiamo la via a Maometto. […] Ho paura che, mentre ci contendiamo la lana,
finiamo per perdere insieme la lana e la pecora5.
In una lettera a Leonardo Bentivoglio — appartenente ad una delle più prominenti famiglie
bolognesi del Quattrocento — Enea Silvio Piccolomini apostrofa i Cristiani per il peccato di non
sentire l’urgenza di cotale missione, elevandola ad una vera prescrizione divina6. Il sultano ottomano
Mehmed II, Il Conquistatore (1451-1481), era difatti considerato migliore di tanti cristiani: “Quello
obbedisce a colui che crede essere il profeta [Maometto]: noi [cristiani] consapevolmente trascuriamo
i precetti divini”7.
Nonostante il fallimento di sì grande impresa, tale ideale fu spesso un tema ispiratore per molti
oratori, scrittori e poeti, durante tutto il Cinquecento, da Ludovico Ariosto (1474-1533) a Torquato Tasso
(1544-1595). Nell’Orlando Furioso, per esempio, vi è un poema indirizzato a tutti i cristiani d’Europa
— dal Portogallo e la Spagna alla Francia, alla Svizzera ed ai popoli germanici —, appellandosi all’unità
cristiana contro il “rinnegato”8 musulmano che si è “appoderato” della Terra Santa:
Voi gente Ispana [ovvero, Portoghesi e Spagnoli] e voi gente di Francia, volgete
altrove, e voi, Svizzeri, il piede, e voi, Tedeschi, a far più degno acquisto, chè quanto
qui cercate è già di Cristo. Se cristianissimi esser voi volete, e voi altri cattolici
nomati, perché di Cristo gli uomini uccidete? Perché dei beni lor sono rispogliati?
Perché Gerusalem non rïavete, che tolta è stata a voi da’ rinnegati?9
La Historia rerum ubique gestarum locorumque descriptio, più adeguatamente nota come
Cosmographia, e pubblicata a Venezia nel 147710, mostra il lato eclettico di Piccolomini, essendo
4
A.S. PICCOLOMINI, Commenatariorum Aeneae Sylvii Piccolominei Senensis, De concilio Basileae celebrato libri duo, olim
quidam scripti, nunc vero primum impressi, in quibus sic illam synodum depingit, sic quicquid illic actum est, bona fide
refert, ut, qui legerit, interesse et infulatos illos heroas disputantes, colloquentes concionantesque coram videre se putet.
Nec solum iucunda est istoria, verum etiam utilis vixque aliud concilium extat pari fide et diligentia descriptium lege felix.
Cum multis aliis nunquam antehac impressis, quorum cognoscendorum gratia ne te pigeat sequentem indicem aut
epistolam percurrere. 1525. II: 25: 115. Vedasi anche: L PASTOR, The History of the Popes. Trad. F.I. Antrobus. 3ª ed. 3
vols. Londra: 1906-1910.
5
A. WEISS, Aeneas Sylvius Piccolomini als Papst Pius II. Sein Leben und Einfluss auf die literarische Cultur Deutschlands.
Graz: Ulr. Moser (J. Meyerhoff), 1897. 60; 86. Vedasi anche: E. CARUSI, «Preventivi di spese per la spedizione contro il
Turco al tempo di Pio II». Archivio Muratoriano 16 (1915): 273-277.
6
Vedasi: C.M. ADY, The Bentivoglio of Bologna. A Study in Despotism. Londra: OUP, 1937; D.J DROGIN, «Bologna’s
Bentivoglio Family and its Artists: Overview of a Quattrocento Court in the Making», in Artists at Court. Image-Making
and Identity, 1300-1550. Ed. S.J. CAMPBELL, Boston: Isabella Stewart Gardner Museum, U of Chicago P, 2004. 72-90; A.
SORBELLI, I Bentivoglio, signori di Bologna. Ed. M. BACCI, Rocca San Casciano, 1969.
7
A. WEISS, Aeneas Sylvius Piccolomini als Papst Pius II. Sein Leben und Einfluss auf die literarische Cultur Deutschlands.
Graz: Ulr. Moser (J. Meyerhoff), 1897. 66.
8
Conviene sottolineare il fatto che per la Chiesa l’Islam era considerata una setta eterodossa cristiana e non una “nuova”
religione, distinta e separata dal Giudaismo e dal Cristianesimo, nonostante le ovvie radici storico-religiose/dogmatiche
ad unirla alle due religioni monoteiste ad essa precedenti. Tale “eresia” giustificherebbe la persecuzione religiosa di tutti
i musulmani, visti come “cristiani rinnegati”, a seguire una “setta” religiosa eterodossa nel seno della Chiesa.
9
L. ARIOSTO, Orlando Furioso. 27:74.
10
L’opera fu pubblicata post mortem per il fatto che Enea Silvio Piccolomini aveva “timore di riferire notizie non del tutto
sicure”. Giovanni Antonio Campano. Johannis Antonii Campani Tractatus V; Orationes XV; Epistolarum IX libri; Vita Pii
[Papae II]; Historia Brachii [Andreae Fortebrachii, principis Perusini]; Epigrammatum VIII libri. Ed. M. FERNUS, Roma:
Eucharium Silber alias Franck, 1495. 21; G.LESCA I Commentari Rerum Memorabilum: quae temporibus suis contigerunt
d’Enea Silvio de’ Piccolomini (Pio II). Pisa, 1894. 14; E.S. PICCOLOMINI, Papa Pio II. Descripción de Asia. Ed. F. SOCAS.
Madrid: Quinto Centenario, Alianza Editorial, Universidad de Sevilla, 1992.
196
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
questa un’opera nella quale si discorrono le origini del Mondo Antico, vale dire, l’Europa, il Magreb,
il vicino Medio Oriente ed il resto dell’Asia, o per lo meno quello che si conosceva a quei tempi di
questo continente:
Usando come trampolino tale scritto, il nostro lavoro si prefigge di analizzare i contatti di
Cristoforo Colombo con il Giudaismo, con una particolare enfasi sull’influenza del pensamento
eterodosso ebraico negli ideali socioreligiosi del Grande Ammiraglio, visibile soprattutto nella
preoccupazione escatologica.
Basandosi su studi dell’Antico Testamento, Cristoforo Colombo riesce a determinare l’età del
mondo dal punto di vista ebraico: La genealogia dei patriarchi ebrei difatti lo aiuterà ad arrivare fino
al 5241, corrispondenti al 1481 dell’Era Volgare. La relazione di Colombo con il mondo giudaico,
soprattutto sefardita12, in suolo portoghese, sarà il punto fondamentale del nostro studio.
PREAMBOLO STORICO
SEFARDITI E MUSULMANI NELLA PENISOLA IBERICA PRIMA DI COLOMBO
Ocean navigation advanced from theory to widespread practical use in the thirteenth,
fourteenth, and fifteenth-century when the magnetic compass progressed from a
magnetized needle floating on a straw to the 32 pint compass in use during the
Columbian period. […] By the late fifteenth-century, dead-reckoning navigation had
been refined to the point that Columbus and other competent navigators were making
long ocean passages to the New World and return with skill and accuracy13.
I Sefarditi ebbero un ruolo importantissimo nella vita culturale dell’Al-Andalus, in altre parole,
della Penisola Iberica sotto dominazione musulmana (711-1492). Data la loro conoscenza di più di una
lingua — l’ebraico, l’arabo ed il volgare romanzo del luogo ove risiedevano, il più delle volte
accompagnato dalla conoscenza attiva o passiva del latino così come di altri volgari o dialetti romanzi,
come, per esempio, il provenzale, l’occitano, il franco-provenzale, il catalano, l’aragonese, l’asturiano,
il portoghese e/o lo spagnolo — e la loro dimestichezza con la cultura arabo-musulmana e delle
tradizioni musulmane (includendo quelle libico-berbere), gli ebrei iberici, di stirpe sefardita, molto
spesso funzionavano da interpreti e traduttori, contribuendo così alla propagazione e conseguente
preservazione di importanti trattati scientifici dell’Antichità europea, mediorientale ed, in particolar
modo, dell’area indo-iraniana — soprattutto attraverso l’intermedio della cultura greco-ellenica,
quest’ultima assorbita e perfezionata dagli studi di uomini di scienza musulmani — che altrimenti si
sarebbero persi per sempre.
11
G. PAPARELLI, Enea Silvio Piccolomini. Pio II. Bari: Laterza, 1950. 169. Vedasi anche: E.S. PICCOLOMINI, Opera omnia
quae extant historica, geographica et literaria. Basilea, 1551. 387-471.
12
Il termine sefardita si riferisce agli Ebrei della penisola iberica ed ai loro discendenti nella Diaspora. In ebraico
SEPHARAD ִדַרָפְסָהdesigna la penisola iberica senza distinguere tra Portogallo (Purtugal) לָגּוטרוֹּפe Spagna (Sefarad)
ִדַרָפְסָה, dato che la parola è intesa secondo la sua accezione geografica e non politica.
13
D.T. PECK. “Historical Errors from the Sixteenth-Century that still Persist in Written History of Early Ocean Navigation”.
«http://www.newworldexplorersinc.org/Early%20Ocean%20Article.htm».
197
Joseph Abraham Levi
La scienza islamica ha le sue radici nelle scuole orientali14, egiziane e greche15. Oltre ad assorbire
queste influenze preesistenti, l’Islam riuscì a creare una produzione scientifica indigena, voluminosa
ed originale. Difatti, la reazione islamica a questi antichi trattati scientifici fu una di spiegazione, ove
rifacimenti, correzioni e migliorie oltrepassavano la mera funzione passiva di ricezione e traduzione.
Ciò fu in parte dovuto alla forza dell’Islam, una religione multicomposta, ove la diversità è sempre
accettata, sotto previa assimilazione ai canoni di adattamento ad un nuovo modello, ove il secolare ed
il religioso sono separabili ed, allo stesso tempo, indivisibili, quest’ultimo aspetto a controllare e
dettare la direzione ed i limiti dell’altro. Fin dall’inizio dell’Era Islamica, gli studiosi musulmani
cominciarono a tradurre tutti i trattati a loro disponibili acquisendo così conoscimento scientifico
sufficiente per dopo iniziare le proprie teorie scientifiche e filosofiche in merito16.
Il primo incontro con l’Astronomia sembra esser stato di provenienza indiana: i Siddhanta —
ovvero, trattati astronomici — furono tradotti in arabo nel 771 dell’Era Volgare con il titolo Al-
Sindhind 17. Tuttavia, la base originale indiana, in hindi, già passò, a sua volta, per una fase di
14
Principalmente composta di testi indiani, persiani e delle antiche civilizzazioni pre-islamiche — tra le quali risalgono
quella caldaica e quella babilonese.
15
I primi astronomi musulmani collocarono la scienza dell’Astronomia tra le scienze matematiche, chiamandola `Ilm Al-
Hay’a, in altre parole, “la scienza dell’aspetto dell’universo”, od anche `Ilm Al-Aflak, vale a dire, “la scienza delle sfere
celestiali”. Ciò fu dovuto al fatto che questa dottrina fu considerata come il risultato dell’insieme dei movimenti puramente
celestiali nei cieli, quindi la necessità di rappresentarla in termini matematici. Oggi tale scienza sarebbe denominata
Astronomia Sferica. L’Astronomia abbracciava anche il calcolo delle orbite planetarie, informava sulla composizione delle
tavole astronomiche, includendo le varie teorie intorno agli strumenti usati durante tali investigazioni. Per ulteriori
informazioni, vedasi, per esempio: P.M.HOLT, Ann K.S. LAMBTON e B. LEWIS, eds. The Cambridge History of Islam. 2 vols.
Cambridge: CUP, 1970. 2: 757.
16
Baghdad, la nuova capitale dell’impero musulmano, durante la dinastia Abassida (750-1258), è un dei centri culturali
di tutto il mondo islamico. Sotto la sua egida, il grande califfo Al-Mansur (754-775), la Scienza e la Filosofia, tra le altre
discipline, entrarono ufficialmente nel mondo musulmano e, questa volta, per sempre. Con molta probabilità fu durante il
regno di Al-Mansur che i numeri indiani, di provenienza indù, entrarono nella scienza musulmana e, finalmente, attraverso
la funzione intermediaria dell’Al-Andalus, nell’Occidente europeo. Per ulteriori informazioni, vedasi, per esempio: G.
SARTON, Introduction to the History of Science. 3 vols. Carnegie Institution of Washington. Baltimore: Williams and
Wilkins, 1927-1948. 1: 530; M. ARKOUN, «Introduction a la pensée islamique classique». Cahiers d’Histoire
Mondiale/Journal of World History 11 (1969): 578-614.
17
In arabo Al-Sind Hind è la regione del popolo Indù, ovvero, la regione che si estende lungo il corso ed il delta del fiume
Indo. Tuttavia, Al-Sind Hind si riferisce anche alla regione storica dell’odierna India e dell’attuale zona occidentale del
Pakistan. Molto probabilmente i Siddhanta furono scritti durante la prima metà del V secolo dell’Era Volgare. I Siddhanta
sono prinicipalmente basati su studi greci ed ellenici — molto probabilmente post-tolemaici — di Matematica e
Astronomia, oltre a commenti e perfezionamenti in merito. I Siddhanta sono trattati teorici che complimentano sia le
Tavole Astronomiche — gli Al-Zij— sia i commenti, includendo i karanas, ovvero, le annotazioni pratiche. Ci sono cinque
tipi di Siddhanta e, data la loro grande diversità, è molto probabile che siano stati composti in epoche differenti, sempre
intorno o durante il V secolo dell’Era Volgare. Quanto alla connessione tra la scienza greco-ellenica e le tradizioni orientali,
Bernard F. Reilly difatti commenta:
[…] scholars of Islam appropriated not simply Greek science […] they had added the ancient Persian
astronomical knowledge and the mathematics and astronomy of the Hindu Indian world. This process
had largely taken place in the great days of the Abbasid caliphate at Baghdad and had seen a
marvelous enrichment of the classical lore in the Near East by figures such as al-Battani and al-
Khwarizmi.
B.F. REILLY, The Medieval Spains. Cambridge: CUP, 1993. 123. Vedasi anche: C. BROCKELMANN, Geschichte der
arabischen Literatur. Leiden: E.J. Brill, 1898. reimpr. 1943-1949. 1: 248; E. BURGESS, Translation of the Sûrya-Siddhânta,
a Text-book of Hindu Astronomy; with Notes and an Appendix. Journal of the American Oriental Society. vol. 6. New
Haven: American Oriental Society, 1860; G. SARTON, Introduction to the History of Science, 1: 378; 386-388. Quanto al
contenuto dei Siddhanta, possiamo dire che quest’opera si dedicava al calcolo del movimento delle stelle. Secondo la
leggenda, il testo originale in hindi fu portato alla corte di Baghdad e spiegato oralmente al califfo Al-Mansur da un indiano
in 770 o nel 771 dell’Era Volgare. Subito dopo Abu ’Abdallah Muhammad ibn Ibrahim bin Habib Al-Fazari fu ordinato
di calcolare gli elementi ed i metodi per il calcolo delle Tavole Astronomicche — gli azyaj, plurale di zij — le quali egli
adattò, molto convenientemente, al calendario lunare musulmano. Al-Fazari è forse risponsabile per aver introdotto
nell’Islam — e dopo nell’Occidente — i numeri indiani, di provenienza indù. Le Tavole Astronomiche di Al-Khwarizmi
198
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
transizione e, soprattutto, per il ruolo intermedio palavi18 — sia in tradizione orale, sia nella sua
versione scritta19.
L’astronomia indiana influenzò il pensamento scientifico musulmano ancora una volta con la
traduzione delle Al-Zij20, vale a dire, Le Tavole Astronomiche — seguendo il modello delle Sindhind
—, opera composta dallo scienziato ed astronomo Muhammad ibn Musa Al-Khwarizmi21. Secondo le
norme scientifiche musulmane, le tavole astronomiche costituiscono una suddivisione
dell’Astronomia, la quale basa i suoi calcoli su regole aritmetiche. Questa scienza osserva anche i
movimenti di ogni stella e, attraverso strumenti astronomici, analizza anche il tipo di movimento come,
per esempio, se gli astri si muovono retrogradamente, velocemente o lentamente:
This serves to show the positions of the stars in their spheres at any given time, by
calculating their motions according to the rules evolved from astronomical works.
This craft follows certain norms. They constitute a sort of introductory and basic
material for it. They deal with months and days and past eras [i.e., chronology,
mathematical, and historical]. It (further) follows established basic principles. They
deal with apogee and perigee, declinations, the different kinds of motions, and how
(these things) shed light upon each other. They are written down in well-arranged
tables, in order to make it easy for students. These tables are called zîj. The
determination of the positions of the stars at a given time by means of this craft is
called “adjustment and tabulation”. [Ta’dil and taqwîn]22.
La maggioranza delle traduzioni dei testi provenienti dall’Oriente e dal Medio Oriente pre-
islamico fu eseguita durante la seconda metà dell’VIII secolo dell’Era Volgare, in altre parole, solo
cento anni dopo l’Egira23. La tradizione orale di nuovi convertiti musulmani — per esempio siriaci ed
e quelle di Habash erano basate sulla traduzione di Al-Fazari. L’originale arabo del testo in latino, Algoritmi de numero
Indorum, apparve per la prima volta intorno al 825 della nostra era. I primi documenti musulmani con i numeri indiani sono
del 874 e del 888 rispettivamente. Vedasi: P.M. HOLT, Ann K.S. LAMBTON e B. LEWIS, eds. The Cambridge History of
Islam, 2: 758; D. PINGREE, «Islamic Astronomy in Sanskrit». Journal for the History of Arabic Science 2 (1978): 315-330;
G. SARTON, Introduction to the History of Science, 1: 531; 1: 601; D. PINGREE, «Precession and Trepidation in Indian
Astronomy before A.D. 1200». Journal for the History of Astronomy 3 (1972): 27-35; C. BROCKELMANN, Geschicte der
Arabischen Litteratur, 1: 248.
18
Vale a dire, Iraniano Medievale.
19
C.A. NALLINO, Raccolta di scritti editi e inediti, 5: 5.
20
Al-Zij: una collezione di Tavole Astronomiche. Il titolo originale in pahlavi era: Zij Ash-Shash, “tavole astronomiche del
re”. Lavoro prodotto durante gli ultimi anni della dinastia dei Sassanidi (c. 226 - c. 641), la traduzione in arabo era molto
usata nel mondo musulmano. Ma Sha’ Allah, conosciuto in Occidente come Messahala, famoso astrologo ed astronomo
del IX secolo dell’Era Volgare, lo usò per i suoi calcoli astronomici. Più tardi, nello stesso secolo, anche Muhammad bin
Musa Al-Khwarizmi usò quest’opera per descrivere la periodicità dei movimenti planetari. Vedasi, per esempio: P M.
HOLT., Ann K.S. LAMBTON e B. LEWIS, eds. The Cambridge History of Islam, 2: 759; D.A. KING, «New Light on the Zij
al-Safa’ih of Abu Ja’far al-Khazin». Centaurus 23 (1980): 105-117; D.A. KING, «A Handlist of the Arabic and Persian
Astronomical Manuscripts in the Maharaja Mansingh II LIBRARY in Jaipur». Journal for the History of Arabic Science 4
(1980): 81-86.
21
Al-Khwarizmi: il suo nome, sotto la forma storpiada latino-medievale, dette origine al termine matematico algoritmo:
Algorismus, od anche Alghoarismus, si trasformò in algorismo. Al-Khwarizmi, il maggiore matematico, astronomo e
geografo del suo tempo, visse durante il regno di Al-Ma’mun (813-833). Il grande merito di Al-Khwarizmi fu quello di
aver posto in forma sincretica la scienza greco-ellenica con quella indù e, a volte, perfezionandola, come nel caso della
Geografia e delle mappe di Tolomeo. Vedasi: G.S. COLIN, «De l’origine grecque des “Chiffres de fès” et de nos “chiffres
arabes”». Journal Asiatique 222 (1933): 193-215; G. SARTON, Introduction to the History of Science, 1: 563; S. GANDZ,
«The Origin of the Ghubar Numerals, or the Arabian Abacus and the Articuli». Isis 16 (1931): 393-424.
22
I. KHALDÛN, The Muqaddimah. An Introduction to History. Trad. Franz Rosenthal. 3 vols. Londra: Routledge and Kegan
Paul, 1958. 3: 135-136.
23
Egira: la partenza di Maometto dalla Mecca per Medina, nel 622, marca l’inizio dell’Era Musulmana, comunemente
abbreviata A.H., vale a dire, Anno Hegirae.
199
Joseph Abraham Levi
aramaici — ebbe anche un ruolo importante nella composizione letteraria e scientifica dell’Islam24. La
contribuzione ebraica alla scienza musulmana è particolarmente visibile durante i suoi anni di
formazione, ovvero, durante il II ed il III secolo dell’Egira. L’illustre orientalista torinese Carlo Alfonso
Nallino (1872-1938)25 ci offre alcuni nomi principali, tra i quali risaltano, Ma Sha’ Allah (m. c. 815-
820), Abu ‘Uthman Sahl ibn Bishr bin Habib ibn Hani, o Haya, (c. prima metà del IX secolo), Rabban
Sahl Al-Tabari (c. prima metà del IX secolo) ed Abu Al-Taiyib Sanad ibn ’Aly (m. c. 864)26. La
presenza e la partecipazione attiva di scienziati ebrei in questo processo di trasferimento del sapere
sono visibili, prima nel levante e dopo nel ponente musulmano, quest’ultima area ad abbracciare il
Magreb27 e, ovviamente, la Penisola Iberica, o meglio, Al-Andalus:
The intellectual dependency of Muslim Iberia on the Levant made inevitable the
reception of such advances in the west and the peculiar social configuration of al-
Andalus facilitated their transmission to the Jewish and Christian worlds28.
Oltre alle influenze levantine sull’Islam durante questi primi anni di formazione scientifica, la
tradizione greca — specificamente e con un significato più allargato, ellenica — è ovviamente il
retaggio culturale più importante lasciato all’Islam. Tuttavia, anche la tradizione greco-ellenica si
incontra fortemente imbevuta di tradizioni orientali. Voler fare una distinzione tra le contribuzioni di
una e dell’altra cultura è quindi umanamente quasi impossibile:
What mainly concerned them were scientific and philosophical treatises and
technical descriptions of how things worked. This corpus of learning was translated
into Arabic between c. 750 and c. 900. In certain directions, for example
astronomical and medical, it was also enlarged and refined, becoming more
comprehensive and more accurate through the observations of Islamic scientists
themselves or through their becoming acquainted with the yet more distant learning
of India and China29.
24
C.A. NALLINO, Raccolta di scritti editi e inediti, 5: 7-8.
25
C.A. NALLINO, Raccolta di scritti editi e inediti, 5: 8.
26
Ma Sha’ Allah, ovvero, “quello che vorremmo sapere, Allah lo suggerì”, (m. c. 815-820), era un ebreo-arabo, forse
egiziano. Ma Sha’ Allah è uno dei primi astronomi/astrologi dell’Islam. Delle sue molte opere possediamo solo una in
arabo, il resto è costituito da traduzioni in ebraico e latino, tra queste ultime ricordiamo la famosa De scientia motus
orbis, tradotta da Gherardo Cremonese, (c. 1114-1187). Rabban Sahl Al-Tabari, in altre parole, il Rabbino del Tabaristan
(c. prima metà del IX secolo), era un astronomo e medico ebreo. Con molta probabilità fu anche il primo a tradurre in
arabo l’Alamgesto. Abu Al-Taiyib Sanad ibn ’Aly (m. c. 864), era un astronomo e matematico famoso per le sue tavole
astronomiche. Abu ’Uthman Sahl ibn Bishr ibn Habib ibn Hani, o Haya (c. prima metà dek IX secolo), era un astrologo
ebreo del Curdistan famoso per i suoi trattati sull’Astrologia e sull’Algebra. Vedasi: G. SARTON, Introduction to the
History of Science, 1: 531; 1: 565-566; 1: 569.
27
Magreb: dall’arabo garb, cioè, Occidente. Per Magreb si definisce quell’area geografica ad abbracciare l’Africa del
Nord intera ad eccezione dell’Egitto e, a volte, secondo alcuni studiosi, (parte dell’odierna) Libia. Nella Peninsola Iberica,
invece, il Garbe:
[…] era o território ocidental do Andaluz (Espanha muçulmana), o qual abarcou o território ocupado
hoje por Portugal e ainda as cidades de Badajoz e Mérida.
A.B. COELHO, Portugal na Espanha Árabe. 2 vols. 2ª ed. Lisbona: Caminho, 1989, 1: 47.
28
B.F. REILLY, The Medieval Spains, 123.
29
R FLETCHER, Moorish Spain. Berkeley: U of California P, 1992, 147-148.
30
Claudio Tolomeo, (Alessandria, m. dopo del 161). L’Almagesto è una completa e dettagliata esposizione di Astronomia
Matematica, uno dei più influenti trattati scientifici della Storia, non solo per le sue teorie ed osservazioni tecniche e
pratiche, ma anche per la sua influenza nello sviluppo dell’Astronomia nel futuro. Sia l’Islam sia l’Occidente saranno
fortemente influenzati, stimolati e trasformati da quest’opera.
200
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
Una delle versioni in arabo fu fatta da Al-Hajjaj ibn Yusuf ibn Matar31 (Baghdad, c. 786-833),
forse basata su di una opera di origine siriaca. Inoltre, tale opera sembra anche essere stata
responsabile per il suo titolo con il quale sarà, da questo momento in poi, conosciuta nel mondo
intero32. Durante il secolo XII esistevano ancora cinque copie dell’Almagesto che circolavano nei
circoli intellettuali europei e musulmani, tra quest’ultimi l’area magrebina così come quella
levantina33. Alcuni studiosi considerano questo retaggio scientifico come una semplice
assimilazione, completamente passiva, al mondo greco-ellenico. In altre parole, l’antica educazione
mediterranea, soprattutto greca, secondo tali studiosi, viveva attraverso l’Islam, essendo quest’ultima
religione una sua mera continuazione:
[…] the Islamic assimilation of Greek science was so complete that Muslim thinkers
are best viewed as an extension of Hellenistic education34.
Ciò è vero, ma solo parzialmente. Non possiamo dimenticare che l’Islam, durante la sua
espansione, così come le altre due religioni monoteiste che la hanno preceduta, non accettò mai
nessun elemento estraneo nel suo dogma se non prima passarlo per un “setaccio scrutinatore”.
Solo dopo quest’analisi e sperimentazione — ove vi è sempre spazio per un “adattamento” — è che
la componente “straniera pre-islamica/pre-contatto islamico” poteva essere trasformata in uno
strumento utile ed adeguato per i propri fini. Pertanto l’Islam, sebbene si fosse servito molto delle
fonti greco-ellenistiche, allo stesso tempo, però, riuscì a creare una tradizione intellettuale
autonoma, con un carattere autenticamente “musulmano”, sia esso arabo/berbero, magrebino,
egiziano, iberico dell’antica Al-Andalus, sia esso bizantino, persiano, indù, turchico (includendo
il turco) o mongolo:
But it would not be wholly true to say that the birth of Muslim geographical science
was entirely dependent upon familiarity with Greek sciences, because there had
already appeared no less than about five writers who dealt with the geography,
historiography, and archaeology of Arabia, i.e., Abu-Ziyad al-Kilabi, an-Nadar b.
Shamil (d. 204 A.H.), Hisham al-Kalbi (206 A.H.), Sa’dan b. al-Mubarak, and Abu-
Sa’id al-Asma´i (d. 213 A.H.). [...] Muslim contributions to the astronomical and
the mathematical side of geography were a part of broader intellectual and scientific
31
Al-Hajjaj ibn Yusuf ibn Matar, forse originario di Baghadad, ove visse tra circa il 786- 833. Fu il primo a tradurre in arabo
gli Elementi di Euclide e l’Almagesto, in arabo Kitab Al-Mijisti. La traduzione dell’Almagesto fu fatta nel 829-830 su una
versione siriaca — quella di Sergio de Resaina (m. 536), effettuata durante la prima metà del VI secolo. Quest’ultimo era
un monofisita siriaco che aveva vissuto in Alessandria ed a Ra’s Al-`Ain, Mesopotamia, ove morì nel 536. Fu medico,
filosofo e traduttore dal greco al siriaco. Oltre a quest’opera, abbiamo anche una traduzione in arabo del X secolo fatta da
Abu Al-Wafa’ Al-Mubashshir. Per ulteriori informazioni sull’etimologia dell’Almagesto, consultare la prossima nota.
Vedasi: G. SARTON, Introduction to the History of Science, 1: 423-424; 1: 562; H. SUTER, Die Mathematiker und Astronomen
der Araber und ihre Werke. Leipzig: Abh. Gesh. Math. Wiss., 1900. 208.
32
Quest’opera fu intitolata Kitab Al-Majisti, ovvero, “Il libro maggiore”. L’ultima parola Majisti sembra essere una forma
corrotta del superlativo greco ‘megiste‘: grande > maggiore. Megiste era l’abbreviazione comune di Megale Syntaxis, in
altre parole, la “Grande Collezione“, termine riferente al lungo titolo I tredici libri delle collezioni di matematica. L’articolo
determinativo arabo Al, insieme a Megiste, diede origine alla nuova forma con il titolo Al-Megiste, e da quest’ultima si
formò la denominazione latina Almagest. Vedasi: C. BROCKELMANN, Geschicte der Arabischen Litteratur, 1: 363; W.
MONTGOMERY WATT, A History of Islamic Spain. 1965. Edinburgo: Edinburgh UP, 1967. 30-43; «Der Name Almagest», in
«Dokumentarischer Teil», secondo capitolo del libro di Paul KUNITZSCH, Der Almagest. Die Syntaxis Mathematica des
Claudius Ptolemäus in arabisch-lateinischer Überlieferung. Wiesbaden: Otto Harrassowitz, 1974. 115-125.
33
Tra le molte e spesso mediocri traduzioni medievali, la traduzione dell’Almagesto dall’originale arabo al latino eseguita
da Gherardo da Cremona, (c. 1114-1187) — copiata a Toledo e completata nel 1175 — è certamente la migliore ed una
delle più importanti nel processo di riscoperta e reintroduzione dell’opera magna di Tolomeo all’Occidente.
34
D.C. LINDBERG, The Beginnings of Western Science. Chicago: UCP, 1992. 39.
201
Joseph Abraham Levi
movement which commenced with the Abbasid age. Its growth and development
can best be followed in relation to the four chief schools, i.e., those of Baghbad,
Egypt, North Africa, and Andalusia35.
35
N. AHMAD, «Muslim Contributions to Astronomical and Mathematical Geography». Islamic Culture 18 (1944): 167-186.
167-168.
36
Conosciuta anche come le As-Sina`ai, in altre parole, “l’arte”. Vedasi: Carlo A. NALLINO, Raccolta di scritti editi e
inediti, 5: 1-87. Questa fonte bibliografica si applica anche alle seguenti quattro note. Consultare anche: Joseph SCHACHT
e C.E. BOSWORTH, eds. The Legacy of Islam. 2ª ed. Oxford: OUP, 1979.
37
Altri sinonimi usati: Al-Qadaya, Al-Najamah e Al-Nijamah.
38
Conosciuti anche come `Ilm At-Tangim, ovvero, “l’arte di determinare alcuma cosa n\ella subordinazione delle rivoluzioni
delle stelle”.
39
Chiamata anche Astrologia Iudiciaria e/o Astronomia Iudiciorum.
40
Altri sinonimi: Najjam e Ahkami.
41
C.A. NALLINO, Raccolta di scritti editi e inediti, 5: 1-2; 5: 42. Per la terminologia araba consultare: A. DE BIBERSTEIN
KAZIMIRSKI, Dictionnaire Arabe-Français. 2 vols. Parigi: Editions G.P. Maisonneuve, 1960; J. CORTÈS,. Diccionario de
árabe culto moderno: árabe-español. Biblioteca Románica Hispánica. V. Diccionarios. 18. Madrid: Gredos, 1996; R.
TRAINI, ed. Vocabolario arabo-italiano. 3 vols. 1966-1973. Roma: Istituto Per l’Oriente, 1993.
202
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
attività. La Shari’ah42 era lì a dettare le norme e le regole di condotta. Ci furono casi nei quali scienziati
e filosofi musulmani tentarono separare le due discipline, tuttavia non nel senso occidentale, ma
principalmente nel creare una divisione interna, in altre parole, nell’approccio e/o nella maniera in
cui una delle discipline dovrebbe essere classificata o comparata con le altre materie scientifiche.
In altre parole, allora, la scienza musulmana ereditò l’atteggiamento antico orientale43 e greco-
ellenico davanti ai fenomeni fisici e la loro conseguente influenza sugli esseri umani. Il naturale ed il
supernaturale, con le loro cause ed effetti, erano così visti e procurati anche in questi fenomeni.
L’universo era prima descritto nella mera spiegazione di eventi cosmici, i quali erano dopo interpretati
come essendo il risultato di una lotta tra due forze opposte: il Bene ed il Male. Osservare tali fenomeni
— studiandoli, per poi incontrare ed arrivare ad una soluzione definitiva — è quindi la chiave, il punto
di partenza della Scienza44. L’innovazione musulmana tra l’Astronomia e l’Astrologia fu quella di
ricorrere ad un uso costante ed abbondante dell’Astronomia Sferica, usando esatte computazioni
matematiche in investigazioni astrologiche. Insieme a queste investigazioni precise e complesse, gli
scienziati musulmani generalmente includevano nei suoi trattati tavole per facilitare il lavoro
dell’astronomo. L’Astrologia è quindi un’arte che richiede una solida preparazione scientifica, ove le
computazioni matematiche e l’esattezza assoluta sono la norma quando si analizza il firmamento e tutti
i complessi fenomeni relazionati con questo studio45. Ecco come Ibn Khaldûn, nella sua opera magna
Muqaddimah, difatti ci descrive l’Astronomia:
This science studies the motions of the fixed stars and the planets. From the manner
in which these motions take place, astronomy deduces by geometrical methods the
existence of certain shapes and positions of the spheres requiring the occurrence of
those motions which can be perceived by the senses. Astronomy thus proves, for
instance, by the existence of the precession of the equinoxes, that the center of the
earth is not identical with the center of the sphere of the sun. Furthermore, from the
retrograde and direct motions of the stars, astronomy deduces the existence of small
spheres (epicycles) carrying the (stars) and moving inside their great spheres.
Through the motion of the fixed stars, astronomy then proves the existence of the
eighth sphere. It also proves that a single star has a number of spheres, from the
(observation) that it has a number of declinations [Mayl], and similar things46.
42
Shari’ah, letteralmente: cammino, sentiero, Legge Divina. La Shari’ah governa il comportamento umano in terra, in altre
parole, le relazioni tra gli uomini e Dio e tra gli uomini. Il Fiqh, scienza, talento, è la conoscenza di queste leggi che
governano la vita diaria. È l’unione della Dogmatica e della Scienza, la prima a vigilare sulla vita religiosa di ogni credente.
Per una buona ed accurata introduzione all’Islam, alla legge, così come alle scuole islamiche, consultare: T. ARNOLD e A.
GUILLAUME, eds. The Legacy of Islam. Oxford: Clarendon, 1931; M. M.AL-AZAMI, On Schacht’s Origins of Muhammadan
Jurisprudence. New York: John Wiley and Sons, 1985; N.J. Coulson. A History of Islamic Law. 1964. Edinburgh: EUP,
1994; M. GUIDI, Storia della religione dell’ Islam. vol. 2. Storia delle religioni. Ed. P.TACCHI VENTURI, S.J. Turino:UTET,
1935; D. SANTILLANA, Istituzioni di Diritto Musulmano Malichita con riguardo anche al sistema sciafiita. 2 vols. Roma:
Istituto Per l’Oriente, 1925-1938; J. SCHACHT. The Origins of Muhammadan Jurisprudence. Oxford: Clarendon, 1950; J.
SCHACHT. An Introduction to Islamic Law. Oxford: Clarendon, 1964; J. SCHACHT e C.E BOSWORTH, eds. The Legacy of
Islam. Oxford: OUP, 1979.
43
Ovvero, copta, siriaca, persiana ed indiana.
44
Nello Zoroastrianismo — in persiano, Zardoshti e Majus o Majusiyyah in arabo — l’idea basica principale è che il Bene
ed il Male — rappresentati, rispettivamente, per le divinità Ormuzd ed Ahriman — sono assoluti, due principi
completamente opposti. Queste forze sono sempre in lotta costante, in stato bellicoso. Conseguentemente, allora, gli esseri
umani possono raggiungere ed arrivare alla perfezione assoluta attraverso la scelta individuale e libera del Bene. Lo
Zoroastrianismo, anticamente la religione nazionale della Persia, fu molto influente nel Medio Oriente fino all’avvento
dell’Islam nel VII secolo dell’Era Volgare. Vedasi: M. BOYCE. Zoroastrianism. Their Religious Beliefs and Practices.
Londra: Routledge and Kegan Paul, 1984.
45
C.A. NALLINO, Raccolta di scritti editi e inediti, 5: 17-19.
46
“Mayl is the distance of the sun or a given star from the equinoctial line”. Al-Khuwârizmî, Mafâtîh al-‘ulûm, 127; al-
Bîrûnî, Kitâb at-tafhîm, 59, in Ibn Khaldûn. The Muqaddimah. An Introduction to History, 3: 133-134.
203
Joseph Abraham Levi
Nei primi due secoli dell’Egira, quando la dogmatica musulmana sui limiti dell’Astrologia
ancora non era dettata e controllata dall’ortodossia religiosa, l’Astrologia faceva parte delle alter
scienze nobili, incontrandosi insieme alla Matematica, alla Fisica, alla Filosofia ed alla Metafisica47.
In torno alla fine del II secolo dell’Egira l’Aristotelismo entrò nell’Islam e, conseguentemente,
l’Astrologia si incontrò relegata ad avere un ruolo minore, circondata di sospetti e, a volte, per
“sopravvivere”, fu anche costretta alla “clandestinità”. I teologi musulmani consideravano l’influenza
delle stelle sulle azioni umane come una severa e grave minaccia al monoteismo islamico. Ciò
spiegherebbe la grande polemica che sorse in torno all’Astrologia nelle varie scuole musulmane48.
Tuttavia, nonostante queste polemiche ed il suo stato di “degradazione” tra le altre scienze,
l’Astrologia, per lo meno ad un livello formale, non fu mai divisa dall’Astronomia. Solo in pratica,
l’uso e lo studio di queste “influenze” erano, se non proibiti, per lo meno erano visti con grande
sospetto e timidezza. Ancora una volta, non vi era motivo di separare le due discipline. Ciò che si
rigettava era solo una delle sue molteplici applicazioni. Inoltre, l’aspetto più pratico della scienza —
quello puramente matematico e teorico — continuò imperturbato per molti secoli insieme alle altre
scienze.
Nell’Al-Andalus l’Astronomia attinge il suo apogeo nella seconda metà del X secolo dell’Era
Volgare. Abu Al-Qasim Maslamah ibn Ahmad Al-Majriti (m. c. 1007), filosofo e matematico
andalusiano, attraverso molti viaggi e contatti con il resto del mondo islamico, riuscì a rifare, migliorare
e, alla fine, perfezionare la versione araba del Planisphærium di Tolomeo49. Al-Majriti è anche famoso
per la sua edizione delle Tavole Astrologiche di Abu ‘Abdallah Muhammad ibn Musa Al-Khwarizmi
(m. c. 850) e Al-Battani (c. 858-929)50, nelle quali sostituì l’antica cronologia persiana con quella
47
C.A. NALLINO, Raccolta di scritti editi e inediti, 5: 19.
48
Per ulteriori informazioni ed un’analisi più dettagliata su queste polemiche, consultare: C.A. NALLINO, Raccolta di scritti
editi e inediti, 5: 20-40.
49
Abu Al-Qasim Maslama ibn Ahmad Al-Majriti, originario di Madrid, produsse la maggioranza delle sue opere a Cordova
e morì intorno al 1007. Grande astronomo, matematico ed oculista, Al-Majriti è considerato il primo scienziato andaluso
di grande rilievo. Al-Majriti corresse le Tavole Astronomiche di Al-Khwarizmi e sostituì la cronologia araba a quella
persiana. Scrisse anche le seguenti opere: un trattato sull’astrolabio, tradotto in latino da Joannes Hispalensis; un
commentario sul Planisphærium di Tolomeo, tradotto in latino da Rodolfo di Bruges; un trattato di Aritmetica
Commerciale, in arabo: Al-Mu`amalat; un libro sulla generazione degli animali. Al-Majriti era anche interessato nel potere
erotico dei numeri amichevoli (220, 284). Gli si attribuiscono due trattati di Alchimia: Il passo del saggio, in arabo Rutbat
Al-Hakim; Il desiderio del saggio, in arabo Ghayat Al-Hakim. Quest’ultima opera è anche conosciuta nella sua edizione
latina. La traduzione fu ordinata dal Re Alfonso X (1221-1284), redatta sotto il titolo di Picatrix. Il testo originale arabo
dovrebbe essere della metà dell’XI secolo dell’Era Volgare. Vedasi: G. SARTON, Introduction to the History of Science. 3
vols. Baltimore: Carnegie Institution of Washington, Williams, and Wilkins, 1927-1947, 1: 668. Claudio Tolomeo (II
secolo dell’Era Volgare), era astronomo e geografo greco di Alessandria, autore di: Geografia, la sua opera più famosa, la
quale rimase il lavoro basico della Geografia durante tutto il Medioevo; l’Ottiche; la Grande Collezione conosciuta anche
come Almagesto. In quest’ultima opera Tolomeo ci offre un resoconto dell’astronomia greca ed espone le proprie teorie,
le sue opinioni — rimaste incontestate fino a Copernico — in altre parole, che la terra è al centro dell’universo e che il
sole, i pianeti e le stelle girano attorno ad essa. Tolomeo è anche famoso per aver diviso il grado in minuti e secondi e per
aver determinato il valore del , (Pi Greco): la proporzione della circonferenza di un circolo sul diametro. [ = 3,141.59].
Vedasi: B.R. GOLDSTEIN, Theory and Observation in Ancient and Medieval Astronomy. Londra: Variorum Reprints, 1985;
J. AMADOR DE LOS RÌOS, Estudios Históricos, Políticos y Literários sobre Los Judíos de España. Madrid: Imprenta de D.M.
Díaz, 1848. 275-279; J. AMADOR DE LOS RÌOS, História crítica de la Literatura Española. 7 vols. Madrid: Imprenta de José
Rodríguez, 1861-1865. 3: 613-654.
50
Abu ‘Abdallah Muhammad ibn Musa Al-Khwarizmi, matematico, astrologo, geografo e cronografo musulmano. Visse
a Baghdad durante il califfato di Al-Ma’mun, (813-833). Molto probabilmente morì dopo il 846 od il 857 dell’Era Volgare.
Scrisse in arabo sul calcolo decimale indiano. L’originale fu perso, ma abbiamo traduzioni in latino. Al-Kwarizmi scrisse
vari trattati sugli strumenti astronomici e la cronologia musulmana, della quale abbiamo alcuni frammenti. Tuttavia, Al-
Khwarizmi è più famoso per le seguenti opere: una riedizione dell’Atlas e della Geografia di Tolomeo, basata non sul
testo siriaco ma su quello greco; un trattato di Algebra Pratica, il più antico che esista scritto in arabo. Quest’ultimo fu
tradotto due volte in latino nel XII secolo dell’Era Volgare da Rodolfo di Chester e Gherardo da Cremona; le Tavole
204
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
araba/musulmana. Un altro nome importante è quello di Ibn Al-Samh di Granada (m. 1035), il quale,
usando come modello Al-Sindhind51, compose tavole astronomiche.
Tuttavia, l’opera più importante che Ibn Al-Samh ci abbia lasciato è un piccolo trattato nel quale
descrive uno strumento astronomico a sette lamine, dedicato ai calcoli del movimento del sole, della
luna e dei cinque pianeti52. Alla fine del X secolo, od all’inizio dell’XI secolo dell’Era Volgare, Abu
‘Abd Allah Muhammad ibn Yusuf ibn Ahmad Mu`adh Al-Jaihani, anche noto come Al-Juhani,
compose tavole astronomiche per la città di Xaén, in Andalusia. Gherardo da Cremona, (c. 1114-1187),
tradusse quest’opera in latino con il titolo Liber tabularum iahen cum regulis suis53. Tuttavia, il più
importante astronomo andaluso è il famoso Abu Ishaq Ibrahim ibn Yahya Al-Naqqash ibn Al-Zarqalah,
Azarchel (c. 1029-1087), o Auzarchel in traduzioni medievali latine e, in castigliano, Azarquiel de
Toledo54. Per l’emiro di Siviglia, Al-Mu`tamid ibn `Abbad (1068-1091), Al-Zarqalah inventò
Astronomiche, con testo esplicativo, composte sul modello dei Siddhanta — in altre parole, un trattato astronomico indiano
conosciuto in arabo con il titolo di As-Sindhind. Maslamh Al-Magriti, (m. nel 1007 o nel 1008), a sua volta fece una nuova
edizione delle Tavole Astronomiche di Al-Khwarizmi. Dalla versione di Al-Magriti, nel 1126, Adelardo di Bath (c. 1080-
1150) fece una traduzione in latino. Adelardo di Bath fu uno dei primi traduttori del Medioevo. Dopo aver appreso arabo,
in Sicilia o forse in Terra Santa, Adelardo cominciò a tradurre in latino testi dall’originale arabo. Tra le altre opere
ricordiamo: gli Elementi di Euclides e le Tavole di Al-Khwarizmi. Al-Battani, uno dei migliori astronomi musulmani visse
tra il 858 - 929 dell’Era Volgare. Di Al-Battani ci resta oggi: un commentario al Tetrabiblon di Tolomeo — in altre parole,
un manuale quadripartito sull’Astrologia; due trattati sulle soluzioni matematiche a problemi astrologici; Az-Zij, il suo
trattato più famoso — ovvero, “Le Tavole Astronomiche“ includendo le relative soluzioni a vari problemi, in particolare
sull’Astronomia Sferica e l’arte della Calendografia. Quest’ultima opera è anche conosciuta come Zij As-Sabi, in pratica
Zij Al-Battani. Tra tutti i suoi lavori esiste oggi solo lo Zij As-Sabi nelle sue due versioni, in arabo ed in latino, quest’ultima
tradotta da Platone Tiburtino nella prima metà del XII secolo. Fu impressa a Norimberga nel 1537, più di cento anni più
tardi, esattamente nel 1645, a Bologna. La traduzione in spagnolo fu ordinata dal Re Alfonso X; tuttavia, solo la sua
versione in arabo dell’XI o del XII secolo esiste oggi, preservata nella Biblioteca do Escorial di Madrid. Quest’opera fu
tradotta in latino da Carlo Alfonso Nallino. Vedasi: C.A. NALLINO, Al-Battanii sive Albateni. Opus Astronomicum. Ad
fidem codicis escurialensis arabice editum. Latine versum, adnotationibus instructum. 3 vols. Milano: Hoepli, 1899-1907.
reimpr. 2 vols. Frankfurt: Underanderter Nachdruck, 1969; C.A. NALLINO, Raccolta di scritti editi e inediti. Ed. Maria
Nallino. 6. vols. Roma: Istituto Per l’Oriente, 1944. 5: 330-347; G. SARTON, Introduction to the History of Science. 3 vols.
Baltimore: Carnegie Institution of Washington, Williams, and Wilkins, 1927-1947. 2: 177-179; J. KRITZECK, Peter the
Venerable and Islam. Princeton: PUP, 1964; G.J. TOOMER, «A Survey of the Toledan Tables». Osiris 15 (1968): 5-174.
51
Abu Al-Qasim Asbagh ibn Muhammad ibn Al-Samh, Granada 979-1035. Matematico ed astronomo, scrisse trattati di:
Aritmetica Commerciale, in arabo: Al-Mu`amalat; Calcolo Mentale, in arabo: Hisab Al-Hawa’i; i Numeri; la Geometria;
l’uso e la costruzione dell’astrolabio. Il miglior lavoro di Al-Samh fu una compilazione di tavole astronomiche, secondo
il metodo delle Siddhanta accompagnata da spiegazioni teoretiche.
52
La versione in spagnolo di questo testo fa parte del Libros del saber de astronomia. Nella tradizione astrologica -
astronomica musulmana i nomi, in arabo, dei cinque pianeti più il sole e la luna sono i seguenti: Al-Zuhal, (Saturno); Al-
Mushtari, (Giove); Al-Mirrikh, (Marte); Al-Shams, (il sole); Al-Zuhara, (Venere); `Utarid, (Mercurio), e Al-Qamar, (la
luna). Vedasi: P. M. HOLT, A. K. S. LAMBTON e B. LEWIS, eds. The Cambridge History of Islam, 2: 761.
53
Gherardo Cremonese, in latino Gerardus Cremonensis (1114-1187). Originario di Cremona. Traduttore molto prolifico,
forse il maggiore ed il migliore di tutto il Medioevo. Studiò arabo a Toledo ove passò il resto della sua vita come traduttore
indefesso di opere in arabo. La sua produzione è immensa, con più di ottanta opere, molte delle quali alquanto estese,
abbracciando aree come: la Logica; la Filosofia; la Matematica e l’Astronomia greco-ellenica; la Matematica e l’astronomia
arabico-musulmana; la Fisica e la Meccanica; la Medicina greco-ellenica; la Medicina arabico-musulmana; l’Astrologia
arabico-musulmana; l’Alchimia e la Geomanzia arabico-musulmana. Per una lista più dettagliata, consultare G. SARTON.
Introduction to the History of Science, 2: 338-344. Il Liber tabularum iahen cum regulis suis, le Tabulæ Jæn e le Tabulæ
Gebri al-Jaihani sono tutti basati sulle opere originali di un arabo la cui origini sono ancora sconosciute. Forse era Abu
`Abd Allah Muhammad ibn Yusuf ibn Ahmad ibn Mu`adh Al-Juhani (altra grafia Al-Jaihani), originario di Cordova, forse
nato nel 989 o nel 990; il quale, nonostante i suoi lavori tecnici, forse sia stato, con un nome differente, il vizir e cadi Abu
`Abd Allah Muhammad ibn Mu`adh di Siviglia, autore di un trattato sull’aurora e l’eclipse solare del 3 luglio del 1079.
Vedasi: J.L.E. DREYER, «On the Original Form of the Alfonsine Tables». Monthly Notices of the Royal Astronomical Society
80 (1920): 243-262; G. SARTON, Introduction to the History of Science, 2: 338-344; H. HERMELINK, «Tabulae Jahen».
Archive for History of Exact Sciences 2 (1964): 108-112.
54
Altro soprannome: ibn Al-Zarqiyal. Astronomo arabo-andaluzo del XI secolo dell’Era Volgare. Visse e produsse la
maggior parte delle sue opere a Toledo ove effettuò le sue osservazioni astronomiche del 1061, 1080 e 1081. Per le
205
Joseph Abraham Levi
l’astrolabio universale, adattabile per qualsiasi latitudine55. Ancora una volta, l’Astronomia e
l’Astrologia facevano parte dello stesso studio:
[…] (Knowledge of the) positions of the stars in the spheres is the necessary basis
for astrological judgments, that is, knowledge of the various kinds of influence over
the world of man that are exercised by the stars depending on their positions and that
affect religious groups, dynasties, human activities, and all events. We shall explain
this later on, and we shall clarify the evidence adduced by astrologers, if God, He is
exalted, wills56.
longitudini di Toledo compose i Canoni e le famose Tavole Toledane. Ambedue queste opere sono relazionate ai movimenti
celestiali. Il suo lavoro fu tradotto in spagnolo ed in latino. Al-Zarqali è anche famoso per aver inventato un nuovo tipo di
astrolabio: la safihah zarqaliyyah — in altre parole, “la lamina di Zarqali“ — conosciuta nella Penisola Iberica come la
açafeha e, in latino, saphæa. L’astrolabio fu uno strumento prima costruito per il re Al-Ma’mun di Toledo (1043-1075), e
dopo perfezionato in Siviglia, durante il regno di Mu`tamid ibn `Abbad (1068-1091). Al-Zarqali rivoluzionò l’astrolabio
rendendolo più facile e pratico, sostituendo la proiezione sferografica orizzontale con quella polare, riducendo, così
l’astrolabio a solo una lamina ed a due piccole addizioni sussidiarie. Il trattato, composto da Al-Zarqali — ove spiegava
la costruzione e l’uso dell’astrolabio —, fu tradotto in latino da Gherardo da Cremona, in ebraico e, in 1277, in spagnolo,
su ordine di Alfonso X. Tale lavoro monumentale, nella sua forma spagnola, fu dopo inserito nel Libros del saber de
astronomia. La versione alfonsina — in spagnolo e nella sua traduzione medievale italiana — è l’unica opera pubblicata
di Al-Zarqali, dado che il testo originale arabo si incontra smarrito. Vedasi: M. RICO Y.SINOBAS, ed. Libros del saber de
astronomia. 5 vols. Madrid: E. Aguado, 1863-1867. 3: 135-237; 3: 272-284; C.A. NALLINO, Raccolta di scritti editi e
inediti, 5: 341-342; J.A. LEVI, Alfonso X, El Sabio. Text and Concordance of the Libro di sapere di astronomia. (14th-
Century Italian Translation by Guerruccio Federighi). Madison: Hispanic Seminary of Medieval Studies, 1993. 1-12;
J.A. LEVI. An Edition and Study of the 14th-Century Italian Translation of Alfonso X, the Wise’s “Libro del saber de
astronomia”. 5 vols. Diss. UW-Madison, 1993. Ann Arbor:UMI, 1993; G. SARTON, Introduction to the History of Science,
1: 758-759; F.S. PEDERSEN, «Canones Azarchelis: Some Versions, and a Text». Cahiers de l’Institut du Moyen-Âge Grec
et Latin 54 (1987): 129-218.
55
L’astrolabio è uno strumento di rame o latte usato fino al XVIII secolo per determinare l’elevazione del sole o degli astri
all’orizzonte. È particolarmente utile per risolvere problemi di Astronomia Sferica. La parola è di origine greca, astrolabon
— ovvero, “strumento che cattura gli astri”. Astrolabium è la forma medievale latina. Tuttavia, la forma latina non proviene
dall’originale greco ma sì dall’arabo asturlab. Nell’Almagesto di Tolomeo astrolabio equivale a sfera armillare. I Musulmani
unirono quest’ultima con il globo celeste creando, così, l’astrolabio sferico. Un altro astrolabio è l’astrolabio piano,
denominato in latino Astrolabium Planisphærium. Quest’ultimo si basa sulla proiezione stereografica della sfera celeste su
di un piano. L’astrolabio è composto delle seguenti parti principali: una madre, ovvero, un disco maggiore, le lamine, fino
ad un massimo di nove, collocate nella madre; quest’ultime calcolano, per una determinata altitudine, la proiezione
sferografica di vari fenomeni; l’alidada, ovvero, la dioptria; l’asse o polo, chiodo che contiene tutte le parti dell’astrolabio.
Grazie alla sua osservazione diretta, l’astrolabio fornisce immediatamente la collocazione del sole, di uno dei pianeti o la
posizione di una stella all’orizzonte, sia di giorno sia di notte. Inoltre, l’astrolabio aiuta nei vari problemi di Astronomia
Sferica e, tra le sue altre qualità, aiuta nel calcolare la distanza di un determinato luogo. Tuttavia, vi era un inconveniente:
la proiezione stereografica per una determinata latitudine mutava conforme al luogo geografico, ovvero, il sito
dell’osservazione. Per evitare ciò, Al-Zarqali inventò l’astrolabio universale: solo una lamina per qualsiasi luogo. In Europa
questo tipo di astrolabio fu chiamato asaphea o saphæa, dall’arabo as-safihah — ovvero, “la lamina”. Vedasi: C.A. NALLINO,
Raccolta di scritti editi e inediti, 5: 345-347. Quanto all’uso ed all’utilità dell’astrolabio nelle due culture, possiamo dire che:
In Islam, the astrolabe was useful, not only in astrology, but also for the determination of the
astronomically-defined Muslim prayer-times; in Europe, though occasionally used for serious
astronomical observations, its main function must have been astrological. In both cultures, the
instrument was employed didactically, and it was highly prized as a clever and complex device, a
prestigious instrument, a ‘mathematical jewel’, as a medieval nun called it.
D.A. KING, «On the Early History of the Universal Astrolabe in Islamic Astronomy, and the Origin of the Term Shakkaziya
in Medieval Scientific Arabic». Journal of the History of Arabic Science 3 (1979): 244-257. Vedasi anche: D.A. KING, «The
Origin of the Astrolabe According to the Medieval Islamic Sources». Journal for the History of Arabic Science 5 (1981):
43-83; F. MADDISON, «A Consequence of Discovery: Astronomical Navigation in Fifteenth-Century Portugal», in T.F.
EARLE e S. PARKINSON, eds. Studies in the Portuguese Discoveries I. Proceedings of the First Colloquium of the Centre
for the Study of the Portuguese Discoveries. Warminster: Aris and Philipps, 1992. 71-110; 78; 95; J.SAMSÒ, «Maslama al-
Majriti and the Alphonsine Book on the Construction of the Astrolabe». Journal for the History of Arabic Science 4 (1980):
3-8; J.K. WRIGHT, «Notes on the Knowledge of Latitudes and Longitudes in the Middle Ages». Isis 5 (1923): 75-98.
56
Ibn KHALDÛN, The Muqaddimah. An Introduction to History, 3: 137.
206
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
Tornando all’astrolabio universale di Al-Zarqalah, possiamo dire che, tra le sue altre funzioni,
si basava sulla proiezione sferografica. Al-Zarqalah descrive lo strumento, la sua costruzione ed il suo
uso nella safiah. Grazie alla sua utilità, il suo lavoro fu tradotto in molte lingue: ebraico, latino,
spagnolo ed anche in italiano, traduzione effettuata da Gherardo da Cremona. Al-Zarqalah intraprese
quasi tutte le sue investigazioni scientifiche a Toledo (1061; 1080-1081), sotto l’egida del già
menzionato emiro Yahya Al-Ma’mun. Le sue osservazioni furono registrate nelle Tabuas Toledanas,
tradotte in latino da Gherardo da Cremona con il titolo Tabulae toletanae iahen cum regulis suis. Nel
XIII secolo dell’Era Volgare la cultura dell’Al-Andalus comincia a declinare e con essa le innumerevoli
investigazioni scientifiche. Gradualmente, però, una nuova società incomincia a sorgere, soppiantando
e beneficiando dell’esperienza di quest’ultima civilizzazione: la Penisola Iberica del Dar Al-Islam,
terra ove regna l’Islam, diventa Dar Al-Harb, territorio dove la maggioranza degli abitanti è costituita
da non-musulmani, nel nostro caso Cristiani ed Ebrei di stirpe Sefardita.
Come possiamo vedere, allora, durante il periodo medievale la Penisola Iberica era una società
pluralista multicomposta, ove tre comunità differenti vivevano lato a lato, ad influenzarsi a vicenda,
sotto tutti gli aspetti: economicamente, socialmente e culturalmente. Questo lungo periodo di
coesistenza nella Penisola, conosciuto in portoghese con la parola convivência, convivenza — vale a
dire, Cristiani, Ebrei Sefarditi e Musulmani a vivere insieme in Al-Andalus tra, ufficialmente, il 711-
1492 — non sempre fu pacifico, sia per tutti o per alcuni membri di questi tre gruppi etnico-religiosi.
Anche se non vi fu mai una campagna per la totale assimilazione, l’intercambio culturale in
termini di interazioni diarie portò ad una integrazione più “civilizzata”, ove, allo stesso tempo, ognuno
dei gruppi etnico-religiosi conservò la sua propria identità e coscienza storico-politica. Nell’Al-
Andalus, durante il periodo islamico (711-1492), la Ahl Al-Kitabi, in altre parole, la “Gente del
Libro”57, era e, secondo la Legge Islamica, dovrebbe essere sempre tollerata e protetta. Nonostante le
molte restrizioni e tasse alle quali erano soggetti, gli Ahl Al-Kitabi, grazie alla loro fede monoteista58,
erano trattati con imparzialità e rispetto. Essi usufruivano della dhimmah, in altre parole della
protezione della comunità musulmana. Come dhimmi, Ebrei e Cristiani potevano vivere liberamente
— questo perché, secondo il Corano, qualsiasi kitabi, in teoria, poteva (può) vivere in qualsiasi
territorio musulmano — e ricevere autorizzazione per risiedere e praticare senza impedimenti qualsiasi
attività, includendo il diritto di adorare il proprio dio, tranne quelle attività che potessero avere
giurisdizione sui musulmani.
La secessione dell’Al-Andalus dall’Imperio Musulmano (Dinastia Abassida, 132-656 A.H./750-
1258) intensificò questo processo di simbiosi tra le tre fedi monoteiste. Nel 756 ’Abd Al-Rahman I
(138-172 A.H./756-788) si autodichiarò emiro di Al-Andalus. Di nuovo, allora, Cordova divenne
capitale della Dinastia Ommiada in Al-Andalus (99-633 A.H./717-1236), ove assimilazione ed
integrazione dettavano le interazioni tra i suoi sudditi. Le Arti e le Scienze erano promulgate più che
mai e, per la prima volta nella Dar Al-Islam, ovvero, in terra musulmana, i dhimmi erano incoraggiati
a seguire i loro interessi, includendo le Arti, le Lettere e le Scienze. Quanto agli Ebrei Sefarditi, questi
riuscirono a concentrarsi in particolari aree e specializzazioni dello scibile umano:
In the relatively open intellectual and social setting of medieval Islamic cities, Jews
consumed the classic texts of philosophy and science, studied the contemporary
57
Ahl Al-Kitabi, la “Gente del Libro,” ovvero, Ebrei e Cristiani, sono coloro che basano la loro fede su di un libro sacro,
nel nostro caso, la Bibbia, la Tora (Al-Tawrah), il Nuovo Testamento (Al-Injil) ed il Libro dei Salmi (Al-Zabur). Tuttavia,
il concetto di Ahl Al-kitabi include anche gli Zoroastriani, i Sabei, i Minei e qualsiasi altro popolo con il quale l’Islam
entrerà in contatto durante la sua espansione che crede in un solo dio e che basi la sua religione su di un libro sacro. Le
antiche religioni pre-islamiche sabee e minee, pur contenendo alcuni elementi politeistici, non furono condannate
dall’Islam. I regni di Saba (930-115) e di Mina (1200-650) fiorirono nella Penisola Arabica, la prima nel sud, l’ultima nel
sudovest. Ambedue le civiltà erano coinvolte con il commercio delle spezie tra l’Asia, il Medio Oriente ed il Mediterraneo.
58
Ovvero: Ebrei, Cristiani, Zoroastriani e Minei.
207
Joseph Abraham Levi
Tuttavia, il XI secolo dell’Era Volgare fu uno di molti cambiamenti. I piccoli regni cristiani al
Nord della Penisola Iberica cominciarono a creare difficoltà per i Musulmani nell’Al-Andalus. Gli
Almoravidi (448-541 A.H./1056-1147)60 subirono al potere e con essi subentrò un atteggiamento
conservatore, pieno di intolleranza religiosa verso i dhimmi e la loro posizione politico-sociale nell’Al-
Andalus. Conversioni forzate all’Islam lasciarono agli Ebrei Sefarditi un’unica soluzione: incontrare
rifugio o in altre terre musulmane — ove, secondo la Legge Musulmana, la tolleranza era la norma —
, o emigrare verso Nord, verso i nuovi stati cristiani di Aragona, Castiglia, Navarra e del Portogallo
ove incontrarono asilo e rispetto, ottenendo pesino posizioni importanti nelle comunità locali, tra le
quali sottolineiamo quelle amministrative e diplomatiche. Difatti, fu proprio in un ambiente urbano che
gli Ebrei Sefarditi prosperarono. La loro vecchia e secolare dimestichezza in transazioni commerciali
e la loro abilità nel modo di trattare le attività commerciali, fecero la presenza ebraica molto
vantaggiosa per i Cristiani i quali, a loro volta, continuavano a sentirsi a loro agio in un ambiente
rurale. Inoltre, gli Ebrei Sefarditi furono questa connessione indispensabile tra i Musulmani ed i nuovi
stati cristiani del Nord. Ciò spiegherebbe la rapida ascensione sociale ed economica degli Ebrei
Sefarditi, ad annunciare il futuro intercambio culturale tra Sefarditi e Cristiani:
With the decline of the Islamic centers in Spain and the reawakening of culture in
northern Europe, displaced Jewish intellectuals found themselves in the
advantageous position as translators and cultural intermediaries between the
Muslims and Christians. Translating of Arabic texts into Hebrew or Latin facilitated
a philosophical and scientific literacy among individual Jews, and more important,
fostered an abiding interest in the issues that the texts embodied61.
Dato che molti Ebrei Sefarditi conoscevano l’arabo, essi divennero quindi indispensabili quando
i nuovi stati cristiani presero controllo degli antichi territori peninsulari di lingua e cultura araba62.
Anche in questi nuovi stati cristiani nati da poco una considerabile autonomia e libertà furono concesse
agli Ebrei Sefarditi. Nei territori cristiani iberici la lingua araba conservava ancora il suo posto di
cultura durante tutto il XII secolo e durante una grande parte della metà del XIII secolo. Durante tutto
questo tempo gli Ebrei Sefarditi furono coloro i quali mantenevano la tradizione musulmana viva. I
Musulmani già non vivevano nella Dar Al-Islam ma sì nella Dar Al-Harb, in altre parole, la “terra del
nemico”, il territorio non-musulmano. Gli studiosi ebrei, allora, erano responsabili per trasmettere la
cultura araba/musulmana al Cristianesimo. Questi avevano, allora, un ruolo attivo nel lavoro di
trasmissione dall’arabo al latino così come alle varie lingue vernacole. Gli Ebrei Sefarditi esecutavano
una vasta gamma di lavori, dal campo letterario e filosofico a quello scientifico, passando per quello
religioso-speculativo (in arabo, Kalam):
59
D.B. RUDERMAN, Jewish Thought and Scientific Discovery in Early Modern Europe. New Haven: Yale University P,
1995. 18.
60
Almoravidi, in arabo, Al-Murabitun, ovvero, “coloro che si schierarono in difesa della loro fede”, (448-541 A.H./1056-
1147). Gli Almoravidi erano ascetici religiosi che riuscirono a dominare il Magreb e Al-Andalus. Vedasi: I.R. NETTON, A
Popular Dictionary of Islam. 1992. Lincolnwood: NTC, 1997. 31.
61
D.B. RUDERMAN, Jewish Thought and Scientific Discovery in Early Modern Europe, 18.
62
Riportiamo alcune delle date più importanti della Reconquista: 718-722, la Battaglia di Covadonga che aprì le porte per
la formazione del regno delle Asturie; 739, la Riconquista della Galizia; 801, le truppe dei Franchi catturano Barcellona;
c. 914, formazione del regno di León; X secolo, la Reconquista arriva al Rio Douro; XI secolo, formazione dei regni
cristiani di Aragona, Castiglia, León e Navarra, seguita dalla creazione della contea di Barcellona; 1085, cattura di Toledo;
1137, unione di Aragona e Catatonia; 1139, il Portogallo è dichiarato un regno indipendente; 1230, unione di Castiglia e
Lión; 11236-1248, cattura della Andalusia; 1492, cattura del regno musulmano di Granata.
208
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
Jewish translators created more than a new library of accessible texts; they
stimulated among their own coreligionists, along with the Christian patrons who
encouraged their efforts, an enlargment of intellectual horizons and a rethinking of
religious traditions in the light of new ideas, as well as acrimonius debate regarding
the pernicious effect of such ideas on religiuos texts and teachings63.
Gli Ebrei Sefarditi, nelle loro transazioni quotidiane parlavano arabo, non l’arabo classico del
Corano, ma la sua variante vernacola, conosciuta anche come Arabo Medio. Nonostante le sue forme
degenerate, comparate alla sua genitrice incorrotta64, l’Arabo Medio era abbastanza simile alla sua
matrice. Non fu quindi difficile per gli scriba sefarditi, completamente fluenti nel proprio vernacolo
iberico, tradurre l’arabo letterario di questi trattati nelle lingue vernacole locali. Conviene anche
ricordare che le lingue semitiche — come nel caso dell’arabo e, in misura minore, dell’ebraico — pur
avendo sofferto, come qualsiasi lingua del mondo, cambiamenti e modifiche linguistiche attraverso i
secoli, mantenevano ancora una impressionante somiglianza al loro modello classico. Ciò è in parte
dovuto alla propria natura delle loro religioni, ove le pratiche religiose facevano di modo che
mantenessero una connessione stretta con l’archetipo linguistico originale. Lo stesso non può essere
detto per nessuna delle lingue romanze ed i loro legami con il latino, la loro lingua di origine. Le
lingue romanze passarono per molti mutamenti linguistici, allontanandosi dal Latino Classico in un
modo molto drastico che il semplice conoscimento del Romanzo — ovvero, qualsiasi delle future
lingue e dei dialetti romanzi — non aiuta nell’approccio alle lettere ed alle scienze dal punto di vista
del Latino Classico.
Le interazioni tra Ebrei Sefarditi, Musulmani e Cristiani furono quindi essenziali per la
trasmissione dell’antica scienza orientale, medio-orientale e greco-ellenica all’Occidente. La
particolare enfasi che i Musulmani a risiedere nell’Al-Andalus posero sulla Scienza — in particolare
l’Astronomia e l’Astrologia — aprì le porte all’Europa, stimolando così gli interessi, gli studi e la
costante e sempre perfezionata ricerca che finalmente porterà alle scoperte scientifiche di Copernico
(1473-1543) e Galileo (1564-1642), solo per menzionare alcuni tra i più famosi scienziati europei
dell’Epoca Moderna.
Le attività astronomiche — ovvero, le traduzioni, i lavori originali basati su osservazioni pratiche
di fenomeni naturali e celestiali — prosperavano per tutto l’Impero Musulmano, dal Magreb all’Al-
Andalus ai margini del Gange ed alle coste dell’Oceano Indiano. Traduzioni di lavori scientifici greci
erano fatti e rifatti di nuovo, con riedizioni e migliorie. Quanto alle edizioni, Tolomeo era l’autore più
tradotto ed editato di tutta l’Epoca Classica. Tra i musulmani iberici Al-Zarqalah, autore delle famose
Tavole Toledane, era quello con più opere tradotte e commentate. Allo stesso tempo, però, si assisté
al trasferimento ed all’assimilazione di cristiani a questo nuovo conoscimento ed interesse nelle
scienze, non solo nella Penisola Iberica, ma anche nel resto dell’Europa.
Tuttavia, per quasi tre secoli, Al-Andalus fu il centro, il punto di irradiazione di questa cultura
scientifica medio-orientale, islamica così come giudaica. Difatti, un sempre crescente numero di
studiosi ebrei si incontrava coinvolto negli interessi degli Ebrei Sefarditi e/o dei Musulmani:
Other Jews derived social and political advantage as astronomers and astrologers,
employed by rich patrons or even governments valued their linguistic, scientific,
and philosophic expertise65.
Il rinnovato interesse nella scienza islamica avvicinò Ebrei Sefarditi e Cristiani, stimolando la
formazione di equipe di traduttori inter-etniche. Questi gruppi di Sefarditi e Cristiani, assistiti dalla loro
63
D.B. RUDERMAN, Jewish Thought and Scientific Discovery in Early Modern Europe, 18.
64
L’arabo, la língua sacra del Corano e, per tale motivo, immutabile nel tempo.
65
D.B. RUDERMAN, Jewish Thought and Scientific Discovery in Early Modern Europe, 19-20.
209
Joseph Abraham Levi
________________________________________________________________________
Mediterraneo | Mesopotamia | Iran | India
________________________________________________________________________
(500 prima dell’Era Volgare => Avvento dell’Islam)
Astronomia | ============ | ↓====== | ======↓
Ellenistica | ==== Astronomia | Astronomia | Astronomia
Ipparco | Babilonese | Sassanida === | Indù
Tolomeo ↓ | | ↓ | ↓====
________________________________________________________________________
ASTRONOMIA ISLAMICA
(Avvento dell’Islam => 1500)
Portoghesi e Italiani furono coloro che, sullo scorcio del XV secolo, diedero opera
ed incremento a quegli studi, i quali dovevano far sorgere un’êra novella per la
navigazione e per la civiltà; entrambi i popoli portarono il proprio contingente alle
scoperte fatte nel «mare Tenebrosum». […] furono pure Genovesi quegli arditi e
nobili marinari, i quali, primi, videro le Canarie, e, forse, scopersero le Azzorre;
furono Liguri audaci coloro che, primi, tentarono deliberatamente la via del mare per
giungere alle Indie. Le liguri galee […] furono i primi legni […] che solcarono le
acque del golfo di Guinea68.
66
Possiamo quindi dire che il ruolo dell’Al-Andalus nel trasmettere ed introdurre la scienza islamica all’Occidente fu
veramente strumentale:
[…] the scholars of Islam had appropriated not simply Greek science [...] they had added the ancient
Persian astronomical knowledge and the mathematics and astronomy of the Hindu Indian world.
This process had largely taken place in the great days of the Abbasid caliphate at Baghdad and had
seen a marvelous enrichment of the classical lore in the Near East by figures such as al-Battani and
al-Khwarizmi. The intellectual dependence of Muslim Iberia on the Levant made inevitable the
reception of such advances in the West and the peculiar social configuration of Al-Andalus facilitated
their transmission to the Jewish and Christian worlds.
B.F. REILLY, The Medieval Spains. Cambridge: CUP, 1993. 123.
67
Per ulteriori informazioni concernenti il periodo alfonsino, vedasi, per esempio: J.A. LEVI, «O Legado Islâmico de Al-
Ândalus (711-1492)». Mentalities/Mentalités 19.1 (2005): 19-31; J.A. LEVI, «An Edition and Study of the 14th-Century
Italian Translation of Alfonso X, The Wise’s Libros del saber de astronomia». 5 vols. Diss. University of Wisconsin-
Madison, Ann Arbor: UMI, 1993; J.A. LEVI, Text and Concordance of the Biblioteca Apostolica Vaticana, MS. 8174. Libro
di sapere di astronomia, Alfonso X, El Sabio. (14th-Century Italian Translation by Guerruccio Federighi). Madison:
Hispanic Seminary of Medieval Studies, 1993.
68
E.A. D’ALBERTIS, Le Costruzioni Navali. L’Arte della Navigazione al tempo di Cristoforo Colombo. Parte 4. vol. 1.
Raccolta di Documenti e Studi pubblicati dalla R. Commissione Colombiana pel Quarto Centenario dalla Scoperta
dell’America. Ed. DE LOLLIS, 6 parti in 14 vols. Roma: Ministero della Pubblica Istruzione, 1892-1896. 43-44.
210
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
Durante il regno del monarca portoghese João III (1521-1557) — un periodo generalmente
conosciuto per l’estensione e futura consolidazione del potere portoghese in Oriente (particolarmente
l’India, la Cina, il Giappone e le Molucche), per l’inizio della colonizzazione del Brasile (1531) e per
il graduale abbandono delle piazzeforti nel Magreb — i Sefarditi della Diaspora, apertamente a
dichiarare la loro fede atavica, o, in quanto cristiani-nuovi, a professare il giudaismo segretamente,
ebbero un ruolo importantissimo nello sviluppo e susseguente successo economico dell’Impero
Portoghese, particolarmente in Oriente e nel Brasile.
Questa epoca è anche nota per la nefasta creazione dell’Inquisizione in Portogallo (1536) così
come per l’introduzione della Compagnia di Gesù in suolo portoghese (1540), fenomeni che
marcarono, e molto decisivamente, il percorso economico-sociale del Portogallo durante tre secoli, con
ripercussioni durature, visibili anche nella prima decade del secondo millennio dell’Era Volgare.
Persone non grate e disprezzate, in meno di tre lustri ebrei e cristiani-nuovi di stirpe iberica —
portoghesi così come i loro correligionari di origine spagnola — riuscirono ad avere un ruolo molto
importante, completamente indispensabile nella catena commerciale che univa un impero a cinque
continenti.
A partire del regno di João III i Sefarditi delle Diaspore Iberiche, sia a professare apertamente
la loro fede mosaica sia nascondendola sotto una patina cristiana —nonostante le innumere e fanatiche
misure proposte per impossibilitarli —, faranno parte dell’espansione portoghese ultramarina,
trasformandosi in uno dei suoi più importanti impulsi motori, uno dei pilastri sui quali si poggerà
l’intero sistema espansionista portoghese.
II
If we subscribe to the belief that Columbus was Jewish, then even the idea of
crossing the Atlantic is Jewish in origin. It is a fact that the most ardent supporters
of the expedition, Luis de Santangel and Isaac Abravanel among others, were Jews
or conversos […] Columbus may have actually known that there were new lands to
be discovered and that he sailed [t]here with the hope of finding a refuge for his
beleaguered brethren69.
Il 15 marzo del 1391 marca l’inizio di una catena di eventi che inevitabilmente concluderanno
con la grande espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492. Ferrant Martíntez, un prete predicatore con
forte avversione a tutto ciò che fosse ebraico, incita le masse popolari sivigliane ad insorgersi contro
i loro conterranei di origine ebraica.
Nel giro di pochi mesi più di quattromila sefarditi, dei trentamila ebrei di Siviglia, furono
massacrati; alcuni furono anche venduti come schiavi al regno musulmano di Granata (1012-1492).
Le insurrezioni si sparsero un po’ per tutta la Spagna, soprattutto a Toledo, Burgos, Valencia e
Barcellona, queste ultime due città vedendo il numero dei loro abitanti ebrei diminuire drasticamente,
al punto di poter dire che le comunità ebraiche erano ormai molto esigue di numero o praticamente
inesistenti.
Fu l’inizio delle numerose diaspore sefardite. Oltre al Portogallo, gli ebrei spagnoli incontrarono
rifugio nel già citato regno musulmano di Granata, in molte città francesi ed italiane, così come nel
Magreb, in Egitto, nei Balcani e nel resto dell’Impero Ottomano. Molto probabilmente i capostipiti
della famiglia di Colombo avrebbero lasciato la penisola iberica in conseguenza delle insurrezioni
anti-semite, scegliendo la penisola italiana come loro nuova dimora.
69
D.F. ALTABÉ, Spanish and Portuguese Jewry. Before and After 1492. Brooklyn: Sepher-Hermon Press, 1993. 97.
211
Joseph Abraham Levi
III
Having no skilled Portuguese navigators, King Denis [Dinis (1279-1325)]
commissioned the Genoese Manuele Pessagno as Grand Admiral of the Navy for life
to insure that the Portuguese navy would always have twenty-two skilled Genoese
sea captains to instruct the Portuguese pilots and to lead the fleet when required.
This Genoese colony in Lisbon consisted not only of seamen and navigators, but
skilled cartographers that produced the world maps for the Portuguese crown that
were derived from exploration voyages70.
Quando Cristoforo Colombo arrivò a Lisbona vi trovò una colonia genovese molto attiva e
prospera, con un ruolo economico molto importante nella vita della capitale lusitana. Prospero
Peragallo71 difatti attesta il fatto che, nonostante fossero numericamente esigue, le varie comunità
italiane in suolo lusitano72 — composte soprattutto da mercanti, artigiani, banchieri, marinari e studiosi
di tutto lo scibile umano — erano fondamentali per il benessere socioeconomico di tutta la nazione
portoghese, sì da guadagnarsi rispetto, privilegi regi ed ammirazione da parte di tutti, la Corona così
come il popolo in generale:
[…] the Italians made their mark by reason of their considerable financial means, but
also by dint of their dignified behaviour, the audacity of their undertakings, their
industrial and commercial acumen and foresight, and their contribution to religious,
cultural, and educational activities. They gained widespread respect and influence,
thus promoting warm admiration for their homeland, and winning important
concessions and privileges for their merchants73.
Gli appunti e le annotazioni incontrate nelle opere colombiane attestano il fatto che il Grande
Ammiraglio era un profondo conoscitore del Vecchio Testamento. Difatti non solo egli cita i Profeti74,
ma dimostra anche di essere a conoscenza di informazioni che avrebbe potuto ottenere solo se avesse
avuto rapporti stretti con il mondo degli intellettuali ebrei di quel tempo, םיקלטיאItalkim75 così come
provenienti da qualsiasi altra etnia giudaica sparsa per il mondo conosciuto in quel tempo (Europa,
Magreb, Etiopia, Medio Oriente ed il resto dell’Asia)76.
70
D.T PECK, “Historical Errors from the Sixteenth-Century that still Persist in Written History of Early Ocean Navigation”.
«http://www.newworldexplorersinc.org/Early%20Ocean%20Article.htm». Non possiamo dimenticare che “l’influenza
esercitata dalla marina di Genova su quella portoghese” fu enorme, dato che “fino dai primi anni del XV secolo il re
Dionigi di Portogallo affidava la ricostruzione della marina da guerra ed il titolo ed i doveri tutti di «almirante mor» al
genovese Emanuele Pessagno. […] La dinastia degli almiranti liguri durò in Portogallo, salvo poche eccezioni, dal 1317
al 1487”. E.A. D’Albertis. Le Costruzioni Navali. L’Arte della Navigazione al tempo di Cristoforo Colombo. Parte 4. vol.
1. Raccolta di Documenti e Studi pubblicati dalla R. Commissione Colombiana pel Quarto Centenario dalla Scoperta
dell’America. Ed. D.De Lollis, 6 parti in 14 vols. Roma: Ministero della Pubblica Istruzione, 1892-1896. 40.
71
P. PERAGALLO, Cenni intorno alla colonia italiana in Portogallo nei secoli XIV, XV e XVI. Genova: Stabilimento tip. Ved.
Papini e Figli, 1907.
72
Oltre ai genovesi ed ai veneziani vi erano anche piacentini, pisani, fiorentini e lombardi.
73
P.E. TAVIANI, Christopher Columbus. The Grand Design. Trad. P.E. TAVIANI, P. MASETTI e W.WEAVER. Ed. J. GILBERT,
1974. Novara: Istituto Geografico De Agostini, 1985. 354.
74
Profeta biblico: portavoce del Signore. Nel Vecchio Testamento i profeti non eseguivano la volontà di Dio in terra, bensì
proferivano le proprie parole del Signore così come queste erano dettate. Vi erano due tipi di profeti: i Profeti Scrittori —
a sua volta suddivisi in Profeti Maggiori (Isaia, Geremia, Baruc, Ezechiele, Daniele) ed i dodici Profeti Minori (Osea,
Gioele, Amos, Obadia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia) — ed i Profeti che scrissero
una storia interpretativa del periodo storico in cui vissero i Profeti Scrittori.
75
םיקלטיאItalkim, plurale di יקלטיאItalki, ovvero, Ebrei di lingua e cultura italiana.
76
Per motivi di chiarezza, riportiamo la terminologia di alcune delle etnie ebraiche più note: i. Ashkenaziti: Ebrei della
Germania, dell’Austria, del cantone tedesco della Svizzera, della Romania, della Moldavia, dell’Ungheria, dei paesi slavi
212
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
Fonte di ispirazione per Colombo fu la Historia rerum ubique gestarum locorumque descriptio
del sopraccitato Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), futuro Papa Pio II (1458-1464), la quale
innegabilmente comprova che il Grande Ammiraglio conosceva la cronologia ebraica. Opera
incompiuta, la Historia rerum ubique gestarum locorumque desciptio fu tuttavia fonte di studio attenta,
soprattutto per il suo contenuto geografico, del nostro Grande Ammiraglio.
IV
Vivere sibi et musis
(motto di Enea Silvio Piccolomini)
His life was therefore an ever expanding synthesis of the elements of fifteenth
century Europe which culminated in his martyrdom on the altar of the highest ideals
of traditional Christianity and the newer humanism77.
Papa Pio II, senese di nascita e di tradizione familiare78, era un uomo di stato, poeta, umanista,
grande viaggiatore — famoso per essere stato in missioni politiche in Scozia79, Inghilterra, Francia,
Svizzera, così come nell’impero austro-ungarico80 — e noto amante della natura, la cui vita copre
poco più di mezzo secolo ed un lustro, anni colmi di avvenimenti tumultuosi:
The religious enthusiasm observed at Basel and the growing appreciation of the need
for peace and harmony in Christendom together engendered new seriousness in the
mind of Aeneas81.
Piccolomini era un vero studioso delle litterae humaniores, con doti retoriche eccellenti, le quali
gli aprirono porte in tutti i campi, dal politico al religioso, anche se quest’ultimo campo gli si aprì in
seguito:
e baltici, così come dei loro discendenti sparsi per il mondo. Tecnicamente parlando tale termine si applica a tutti gli ebrei
di lingua e cultura tedesca, slava, baltica, romena/moldava e/o finnougrica; ii. Bani/Beni/Bnei Israel: Ebrei dell’India ed
i loro discendenti sparsi per il mondo; iii. Falashah/Beta Israel Ebrei etiopi ed i loro discendenti sparsi per il mondo; iv.
Italkim: Ebrei italiani, così come gli ebrei italofoni del Canton Ticino, della Slovenia, di Malta, della Provenza, della
Corsica ed i loro discendenti sparsi per il mondo; v. Maaravici: Ebrei della costa magrebina ed i loro discendenti sparsi
per il mondo (la cui lingua è l’Arvit, ovvero, il Giudeo-Arabo parlato dal Marocco alla Tunisia, anche se in gli ebrei
tripolitani sono anche noti per parlare il Yudi); vi. Sabra: Ebrei nati in Israele; vii. Sefarditi: Ebrei della Penisola Iberica
(Portogallo, Spagna e gli antichi regni indipendenti iberici prima dell’unificazione di Castiglia con León, ed i loro
discendenti sparsi per il mondo (la cui lingua è spesso denominata Ladino-Portoghese, Ladino-Spagnolo, Safardi, Spanyol,
Haquetia, Dzhudezmo, Dzudezmo o Dzudio); viiii. Shuaditi, Ebrei Provenzali ed i loro discendenti sparsi per il mondo;
ix. Temanici: Ebrei del sud dell’Arabia, includendo lo Yemen, ed i loro discendenti sparsi per il mondo; x. Yevanici: Ebrei
di lingua e cultura greca, includendo l’antico mondo di cultura greco-ellenica, ed i loro discendenti sparsi per il mondo (la
cui lingua è sovente denominata Yevanitika o Romaniot); xi. Zarfatici, Ebrei di lingua e cultura francese ed i loro
discendenti sparsi per il mondo.
77
J.G. ROWE, «The Tragedy of Aeneas Sylvius Piccolomini (Pope Pius II): An Interpretation». Church History 30.3
(September, 1961): 288-313. 305, nota 5.
78
Nonostante le allegate origini romane, rivendicate soprattutto dopo la sua ascensione al pontificato.
79
A questa lista bisognerebbe aggiungere la Libia e la Norvegia, tuttavia solo en passant, approdandovi come conseguenza
di violente tempeste mentre tentava raggiungere Basilea e, successivamente, la Scozia.
80
Conscio del suo ruolo di “osservatore” imparziale e giusto, durante le sue deambulazioni per l’Europa Enea Silvio
Piccolomini non perdeva occasione di osservare sia la Natura sia gli uomini:
Il nostro amico raccoglieva impressioni e notizie storiche che gli saranno preziose per la descrizione
della Germania e per la grande opera storico-geografica che va sotto il nome di Cosmographia.
G. PAPARELLI, Enea Silvio Piccolomini. Pio II. Bari: Giuseppe Laterza & Figli, 1950. 50-51.
81
J.G. ROWE,«The Tragedy of Aeneas Sylvius Piccolomini (Pope Pius II): An Interpretation». Church History 30.3
(September, 1961): 288-313. 298.
213
Joseph Abraham Levi
It was his gifts as a humanist, especially his eloquentia, which brought him early
success at the Council of Basel and later a position of honour at the court of the
Emperor Frederick III of Austria. At the same time, Aeneas the humanist became
Aeneas the diplomat82.
La sua permanenza a Basilea, ove fu testimone di intrighi di corte e manovre politiche poco
gradevoli83 — purtroppo episodi comuni a tutte le corti europee del tempo, basta pensare alla corte dei
Visconti —, fece sì che Piccolomini entrasse in contatto con un grande numero di persone e,
conseguentemente, approfondisse i suoi conoscimenti del carattere umano e dell’indole malvagia di
molti uomini:
He now became receptive to the dark side of the humanist tradition, that sense of
human morality, that profound understanding of the tragic contradictions inherent in
the human condition which humanism had received from its spiritual and intellectual
progenitors, Christian and pagan […]84.
Le sue abilità, innate ed acquisite attraverso gli anni, trasformarono Piccolomini in uno dei più
grandi diplomatici del XV secolo85:
Si chiude così una ben determinata fase nella carriera del Piccolomini:
una fase che potremmo dire senz’altro di preparazione. Finora egli
aveva lavorato per gli altri. Ora sapeva abbastanza degli uomini e delle
cose. Poteva giocare la propria carta al tavolo della vita86.
V
Esta es la conta de la criaçión del mondo segondo lo Judíos.
Vivió Adán CXXX (130) años, y estonçes engendró Aset.
vivió Aset XV (105) años, y estonçes engendró Enos.
vivió Enos XC (90) años, y estonçes ingendró Caynán.
vivió Caynán LXX (70) años, y estonçes ingendró Malalchel.
vivió Malabchel LXV (65) años, y estonçes ingendró Jered.
vivió Jered CLXII (162) años, y estonçes ingendró Enoch.
vivió Enoch LXV (65) años, y estonçes ingendró Mathusalén.
vivió Mathusalén CLXXXVII (187) años, y estonçes ingendró Lamech.
vivió Lamech CLXXXII (182) años, y estonçes ingendró Noé.
82
J.G. ROWE, «The Tragedy of Aeneas Sylvius Piccolomini (Pope Pius II): An Interpretation». Church History 30.3
(September, 1961): 288-313. 288.
83
Ancora una volta, data la sua posizione subalterna, Enea Silvio Piccolomini non si sentiva a suo agio nella vita di corte.
Ciò che gli dava conforto era pensare che un giorno anche lui sarebbe stato in una posizione di potere:
Se pur non pensava già al sacerdozio, Enea Silvio sapeva che la vita di corte, pur con tutte le
attenuazioni subite in quegli ultimi tempi, sarebbe durata ancora poco per lui. […] dopo avere per
quindici anni fatto il servo degli altri, era sicuro che un giorno o l’altro sarebbe stato padrone. […]
il suo passato di cortigiano gli appariva quasi come un sogno grottesco, come un incubo che più non
fa male.
G. PAPARELLI, Enea Silvio Piccolomini. Pio II. Bari: Laterza, 1950. 99.
84
J.G. ROWE, «The Tragedy of Aeneas Sylvius Piccolomini (Pope Pius II): An Interpretation». Church History 30.3
(September, 1961): 288-313. 298.
85
Vedasi: E.S. PICCOLOMINI, De curialium miseriis. 1444; E.S.Piccolomini. Aeneae Silvii De curialium miseriis epistola.
Ed. W.P. MUSTARD, Baltimore: Johns Hopkins P, 1928; E.S. PICCOLOMINI. De curialium miseriis epistola. Ed. W.P.
MUSTARD. Baltimore: John Hopkins P, 1928; G. PAPARELLI, ed. e trad. ed. Le miserie della vita di corte. Lanciano, 1943;
G. PAPARELLI, «Il «De cur. Mis.» di E.S.P. e il «Misaulus» di U. v. Hutten». Italica 24.2 (1947): 125-133.
86
G. PAPARELLI, Enea Silvio Piccolomini. Pio II. Bari: Laterza, 1950. 59.
214
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
Nel folio 858, sezione C, intitolato Esta es la coenta de la criaçión del mondo segondo lo Judíos,
ovvero, “Questa è il conteggio della creazione del mondo secondo gli Ebrei”, dopo aver elencato la
progenie di Adamo fino a Sen88, la undicesima riga annuncia: y Sen havía ciento quando foé el diluvio,
así que de la criaçión del mondo hasta el diluvio son 1656 años, in altre parole: “e Sen aveva cento
anni quando venne il Diluvio, così che dalla Creazione del mondo fino al Diluvio sono 1656 anni”.
Alla ventiduesima riga Colombo afferma: y desd’el diluvio hasta que nació Abraam son CCICV 295
años, y, segundo los Judios, son 292, in altre parole, “e dal Diluvio fino a quando nacque Abramo
sono 295 anni e, secondo gli Ebrei, sono 292 anni”.
Sempre nel folio 858, sezione C, una nota marginale posta affianco all’anno del Signore 1481 è
seguita dall’anno equivalente dell’anno israelitico, ovvero, il 5241 dell’Era Ebraica e 5244 della
creazione del mondo:
Desque naçió Ysac hasta que saliron de Egipto CCC (400) años.
y desque saliron de Egipto hasta que se fabricó la primera casa 480 años.
y desque foy fabricada la primera casa fasta su destrución son 410 años.
87
E.S. PICCOLOMINI, Papa Pio II Descripción de Asia. Ed. Francisco Socas. Madrid: Quinto Centenario, Alianza Editorial,
Universidad de Sevilla, 1992. 263-264.
88
Adamo procreò Aset e questi procreò Enos, il quale diede vita a Caynán, il quale procreò Malalchel, e questi diede vita
a Jered, il quale ebbe come figlio Enoch, il quale procreò Matusalemme, e questi procreò Lamech, il quale diede vita a Noé,
e questi procreò Sen.
215
Joseph Abraham Levi
Cristoforo Colombo si appellò più volte, nei suoi scritti, all’autorità dell’Abate
calabrese [Gioacchino da Fiore], collegando la sua missione esplorativa
all’evangelizzazione delle ultime genti della terra che, insieme con la definitiva
riconquista di Gerusalemme, avrebbe dovuto segnare l’inizio della terza ed ultima
età del mondo, l’età dello Spirito Santo91.
È importante notare che quando Colombo si riferisce alla distruzione del Secondo Tempio di
Gerusalemme (515 prima dell’Era Volgare-70 dell’Era Volgare) usa la frase “Casa secunda” (Seconda
Casa) per denominare il Tempio, un evidente calco dall’ebraico usato soltanto dagli Ebrei: ש ְ ִתיִַּב ינ
“bā’it sheini”. Nella vecchia città di Gerusalemme “( תיִַּבה רהhar ha-bā’it”) era “la Montagna della
Casa”, in altre parole, “il Monte del Tempio”, luogo ove furono eretti il Primo ed il Secondo Tempio
di Israele.
Nella frase “y desque saliron de Egipto hasta que se fabricó la primera casa 480 años”, o meglio,
“e da che [gli Ebrei] lasciarono l’Egitto fino a che si costruì il Primo Tempio passarono 480 anni”,
riappaiono le espressioni “primera casa”, “prima casa”, e “segunda casa”, “seconda casa”, eufemismi
per il Primo Tempio ed il Secondo Tempio di Gerusalemme.
Parafrasando Colombo, possiamo affermare, allora, che da quando fu costruito il Primo Tempio
(996 prima dell’Era Volgare) fino alla sua distruzione, passarono 410 anni. E dalla distruzione del
89
Riportiamo, per fini di chiarezza, la traduzione in italiano: “Da che nacque Isacco fino a quando [gli Ebrei] lasciarono
l’Egitto furono 400 anni, e da che [gli Ebrei] lasciarono l’Egitto fino a che si costruì il Primo Tempio passarono 480 anni.
E da che fu costruito il Primo Tempio fino alla sua distruzione, passarono 410 anni. E da che fu distrutto il Primo Tempio
fino alla fine della schiavitù [ebraica] in Babilonia, passarono 70 anni, quindi si iniziò la costruzione del Secondo Tempio.
Ed il Secondo Tempio durò 400 anni. E da che nacque Abramo fino a che fu distrutto il Secondo Tempio, passarono 1088
anni. E dalla distruzione del Secondo Tempio, secondo il computo degli Ebrei, fino ad oggi, essendo l’anno della nascita
di Nostro Signore 1481 passarono 1413 anni, e dall’inizio del mondo fino a quest’era del 1481, sono 5241 anni, 5244
dalla creazione del mondo”. E.S.PICCOLOMINI, Papa Pio II. Descripción de Asia. Ed. Francisco Socas. Madrid: Quinto
Centenario, Alianza Editorial, Universidad de Sevilla, 1992. 263-264. [traduzione dell’autore]
90
Vedasi: II Re 25:8-17; Geremia 52:12-33.
91
“Posterità, Notorietà ed attualità di Gioacchino da Fiore in Italia e all’Estero”. San Giovanni in Fiore (CS): Centro
Internazionale di Studi Gioachimiti, Abbazia Florense. «www.centrostudigioachimiti.it/Gioacchino/GF_messaggio.asp».
216
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
Primo Tempio (586 prima dell’Era Volgare) fino alla fine della schiavitù degli Ebrei in Babilonia,
passarono 70 anni. Nel 516 prima dell’Era Volgare iniziò la costruzione del Secondo Tempio. Il
Secondo Tempio durò 400 anni (70 dell’Era Volgare). Da quando nacque Abramo fino alla distruzione
del Secondo Tempio passarono 1088 anni; in poche parole, Abramo nacque nel 1018 prima dell’Era
Volgare. Ora, seguendo il computo ebraico, Colombo riconosce che dalla distruzione del Secondo
Tempio fino al 1481, anno in cui il Grande Ammiraglio scrisse questa postilla, passarono 1413 anni
(ovvero, 1411) e dall’inizio del mondo fino al 1481 passarono 5241 anni, in altre parole 5244.
In una lettera indirizzata a Diego de Deza, tutore del Principe Juan (1405-1454), futuro re di
Castiglia (1406-1454), Colombo scrive: “I am a servant of the same Lord who raised up David”,
ovvero, “Sono servitore dello stesso Signore che ha cresciuto Davide”92.
VI
Il Calendario Giudaico ירבעה חולהè il calendario annuale usato nel Giudaismo.
Determina le date delle festività ebraiche, le porzioni della Torà che devono essere lette in
sinagoga, gli Yahrzeits, in altre parole, la data per commemorare la morte di un parente, così come
determina la lettura giornaliera dei Salmi. Il Calendario Giudaico si basa su tre fenomeni astronomici
fondamentali, vale a dire: i. la rotazione della terra attorno alla sua asse, ventiquattro ore od un giorno;
ii. la rivoluzione della luna attorno alla terra, in altre parole, un mese; iii. e la rivoluzione della terra
attorno al sole, ovvero, un anno. Non esiste, però, nessuna correlazione tra questi fenomeni; essi sono
indipendenti l’uno dall’altro. La luna gira intorno alla terra durante 29 ½ giorni e la terra gira attorno
al sole durante 365 ¼ giorni, in pratica, durante 12,4 mesi lunari.
Il mentore di Matteo Ricci, S.J. (1552-1610), nelle materie scientifiche fu il grande matematico
e scienziato Christoph Clavius, S.J. (1537-1612), Tim o Ting in traduzione cinese. Clavius nacque a
Bamberga nel 1537 e morì a Roma il 6 febbraio del 1612. Nel 1555, a Roma, Clavius entrò nella
Compagnia di Gesù. Dopo aver portato a termine i suoi studi religiosi a Coimbra ricevette la cattedra
di Matematica nel Collegio Romano (1565), posizione che mantenne fino alla morte. Clavius fu molto
attivo nella edizione del volume Ratio studiorum preparato dalla Compagnia di Gesù. La sua influenza
è anche visibile nel conseguente fiorire delle Scienze Matematiche in Oriente.
La maggioranza delle sue opere è destinata all’insegnamento spirituale così come a quello
scientifico93.
Clavius fu uno dei principali collaboratori della Riforma Gregoriana del Calendario (1577-1582),
fino al punto di essere considerato responsabile per la stesura definitiva del Calendario Gregoriano. Il
24 febbraio del 1582, a Frascati, la nuova legge entrò difatti in vigore. Questo nuovo calendario, tra
le altre cose, includeva la perdita di dieci giorni — dal 5 fino al 14 ottobre del 1582 — ed un nuovo
computo per l’anno bisestile. Il Calendario Gregoriano fu accettato da tutti gli stati cattolici. Durante
più di un secolo, però, gli stati e tutte le regioni geografico-politiche di adesione protestante ed
anglicana si ricusarono vivamente di adottarlo94. Papa Gregorio XIII, (1572-1585), e papa Clemente
92
S. WIESENTHAL, Sails of Hope. The Secret Mission of Christopher Columbus. 1972. Trad. R. WINSTON e C. WINSTON.
New York: Macmillan, 1973. 107.
93
Elenchiamo alcune delle opere claviane più famose: In sphaeram Ioannis de Sacro Bosco commentarius. Roma, 1570;
Gnonomicae libri VIII. Roma, 1581; Epitome arithmeticae. Roma, 1583; Astrolabium. Roma, 1593; Computus
ecclesiasticus. Roma, 1597; Geometria practica. Roma, 1604; Algebra. Roma, 1608. La sua opera più famosa, urbi et
orbi, fu invece: Euclidis elementorum libri XV. Roma, 1574, più l’addizione del libro XVI, quest’ultimo di pura mano
claviana. Enorme fu la fama di Euclidis che, con la morte di Clavius, fu stampata una nuova edizione, riveduta ed ampliata,
l’Opera Mathematica. 5 vols. Magonza, 1612. In Cina, Ricci, ex-studente di Clavius, lo tradusse con l’aiuto dell’amico
ed amministratore Chiü T’ai-seu, producendo l’Euclidis in cinese. Clavius ricevette il soprannome di Euclide del secolo
XVI. Ciò non era soltanto dovuto all’originalità delle sue scoperte o teorie, ma soprattutto per la straordinaria capacità di
sintesi nello spiegare le varie teorie scientifico-matematiche del suo tempo.
94
Nel Regno Unito, nel territorio inglese d’oltremare, includendo le colonie americane, dal Canadà alla Guiana Britannica,
il Calendario Gregoriano (1582) fu solo accettato centosettanta anni dopo, ovvero, nel 1752.
217
Joseph Abraham Levi
95
Risultato di questo lavoro immane furono i seguenti trattati: Novi calendarii romani apologia adversus Michaelem
Maestlinum. Roma, 1588; Romani calendarii a Gregorio XIII. P.M. restituti explicatio S.D.N. Clementis VIII P.M. iussu
edita. Roma, 1595. Vedasi: Enciclopedia Cattolica, 3: 1805-1806; B. BONCOMPAGNI, «Lettera di Francesco Barozzi al P.
Christoforo Clavio. (Codice Ambrosiano S. 81, carte num. 256-260)». Bollettino di Bibliografia e Storia delle Scienze
Matematiche e Fisiche 17 (1884): 831-837; J.N. DAVIDSON KELLY, The Oxford Dictionary of Popes. Oxford: OUP, 1986;
Edward C. PHILLIPS, S.J. «The Correspondece of Father Christopher Clavius S.I., Preserved in the Archives of the Pont.
Gregorian University». Archivum Historicum Societatis Iesu 8 (1939): 193-222; G. SARTON, Introduction to the History
of Science, 2: 617-618; 850; H. BUTTERFIELD, The Origins of Modern Science. 1300-1800. 1957. New York: Free Press,
1965 e, in particolare, i seguenti capitoli 5, 7, 10 e 12, i quali trattano dei seguenti argomenti: «The Experimental Method
in the Seventeeth Century»; «The Effect of the Scientific Revolution on the Non-Mechanical Sciences»; «The Place of the
Scientific Revolution in the History of Western Civilization» e «Ideas of Progress and Ideas of Evolution»; P. D’ELIA, S.J.
«Daniele Bartoli e Nicola Trigault». Rivista Storica Italiana 16 (1938): 77-92; P. D’ELIA, S.J. «Roma presentata ai letterati
cinesi da Matteo Ricci S.I.». T’oung Pao 41 (1952): 149-190; P.M .D‘ELIA, S.J. «Presentazione della prima traduzione
cinese di Euclide». Monumenta Serica 15 (1956): 161-202; P D’ELIA, S.J. «Further Notes on Matteo Ricci’s De Amicizia».
Monumenta Serica 15 (1956): 356-377; C.C. GILLISPIE, ed. Dictionary of Scientific Biography. 18 vols. New York: Charles
Scribner’s Sons, 1970-1978; 1980; 1990; 3: 311-312; St. Y.L. GNÈ e J. DEHERGNE, S.J. «Textes et documents. Le “Traité
de l’Amitié” de Matthieu Ricci. Présentation bilingue». Bulletin de l’Université Aurore 8 (1947): 571-619; A. MASOTTI,
«Sull’opera scientifica di Matteo Ricci». Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere 85 (1952): 414-445; J.
NEEDHAM, Chinese Astronomy and the Jesuit Mission: An Encounter of Cultures. Londra: China Society, 1958.
96
Il Deuteronomio è un codice di leggi civili e religiose accompagnato da tre discorsi di Mosè, i cui ultimi giorni sono
inclusi nella narrativa. L’idea basica è che Dio ha scelto Israele come il Suo Popolo Eletto. Egli si unisce al Suo Popolo e,
in contropartita, esige la sua fedeltà. La disobbedienza ed il peccato possono scindere tale vincolo di amore che Dio creò.
218
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
non come giorni di ventiquattro ore, soprattutto se prendiamo in considerazione il fatto che il sole fu
solo creato il quarto giorno.
Nella pratica diaria della lingua ebraica — scritta così come vernacola — le cifre delle migliaia
non sono enumerate; di conseguenza, l’anno ebraico è rappresentato soltanto dalle centinaia. Le lettere
dell’alfabeto ebraico sono usate per rappresentare i numeri cardinali; ogni lettera dell’alfabeto possiede
il suo equivalente numerico:
L’Alfabeto Ebraico
Dagli albori della civiltà giudaica il Calendario Ebraico ha vissuto tre fasi distinte: i. una fase
biblica, dall’inizio della civiltà ebraica fino alla distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme (70
dell’Era Volgare), con un calendario basato sull’osservazione delle fasi lunari; ii. una fase talmudica,
ovvero, in vigore durante il Periodo Talmudico (10 prima dell’Era Volgare — 500 dell’Era Volgare),
con un calendario basato su osservazioni stellari e calcoli matematici; iii. ed una fase Post-Talmudica,
219
Joseph Abraham Levi
The Jewish calendar was borrowed from Babylonia two centuries after the Assyrian
Empire fell in 612 B.C. […] they were introduced at some time after the Babylonian
exile. Prior to the exile these names never occur in the Bible, but the rule is to refer
to the months by the ordinal numbers […]”98.
I nomi dei mesi ebraici sono di derivazione babilonese, a sua volta di antica origine sumerico-
accadica, anche se nel ךיינתTanakh99, vale a dire, nella Bibbia Ebraica, solo alcuni mesi sono
menzionati con il loro nome semitico100, gli altri essendo presentati con il loro corrispondente
numerico:
The Babylonian month names occur only in some of the post-exilic books, like
Esther, Nehemiah, and Zachariah. Neither Ezekiel nor the prophet Haggai, who
flourished in 520-18 B.C., ever mention the Babylonian names, and even Ezra is
still using exclusively the old Hebrew designations But in the time of Ezekiel and
Ezra there most probably was already a system of intercalation in force […] and the
first month of the year was already connected with the beginning of the spring, so
all the other months, too, had their fixed place in the seasons of the year101.
Durante il periodo Pre-Esilio, in altre parole, prima del 586 o del 587 dell’Era Volgare, quando
i Babilonesi conquistarono il Regno di Giuda, la Bibbia Ebraica menziona i seguenti nomi: כיכא
Aviv/Abib (primo/primavera), ויזZiv (secondo), יזEisanim/Ethanim (settimo) e לוכBul (ottavo), tutti
di origine cananita e fenicia. Tali nomi sono anche usati nelle negoziazioni del re Salomone con i
97
Mosè ben Maimon, conosciuto come Rambam o Maimonide, è il migliore intellettuale del Giudaismo medievale. Nato
a Cordova, scrisse importanti trattati di Astronomia, Medicina, Logica, Filosofia e Giurisprudenza. Fu uno dei maggiori
halakhisti (esperto della Legge Giudaica), avendo scritto commentari sulla Legge Giudaica, scritta ed orale, famosi per il
loro approccio ed erudizione. La sua missione fu quella di conciliare due mondi incompatibili: il mondo greco-ellenico e
quello rabbinico.
98
S. LANGDON, Babylonian Menologies and the Semitic Calendars. Londra: British Academy, H. M. OUP, 1935. 83; 636-
637.
99
Tanakh, acronimo per םיבותכ םאיבנ הרותTorah Nevim Ketuvim, in altre parole, il Vecchio Testamento.
100
Essi sono: Tevet (Ester 2:16), etimologia di significato oscuro; Shevat (Zaccaria 1:7); Adar/Adar II (Ezra 6:15; Ester
3:7; 3:13; 8:12; 9:1, 9:15; 9:17; 9:19, 9:21); Nissan (Ester 3:7; Nehemia 2:1); Sivan (Ester 8:9); Elul (Nehemia 6:15),
Kislev (Zaccaria 7:1; Nehemia 1:1). La parola Tammuz è usata solo una volta nella Bibbia Ebraica (Ezechiele 8:14), tuttavia
essa è legata ad un idolo e non al nome del mese omonimo.
101
S. LANGDON, Babylonian Menologies and the Semitic Calendars. Londra: British Academy, H. Milford, OUP, 1935. 638.
220
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
Fenici quando questi ultimi soccorsero il Popolo d’Israele a costruire il Primo Tempio di
Gerusalemme102.
La differenza tra questi quattro mesi pre-esilio babilonese e gli attuali mesi post-esilio risiede nel
fatto che questi ultimi furono scelti da copisti di tradizione aramaica, i quali erano soliti chiamare i mesi
ebraici con il loro equivalente babilonese, mentre i nomi dei mesi prima dell’esilio babilonese sono
di pura tradizione cananito-fenicia.
Quando gli Ebrei nel Regno di Giuda furono conquistati dai Babilonesi (586 o 587 dell’Era
Volgare), molti del Popolo d’Israele furono esiliati in Babilonia ove adottarono i nomi babilonesi dei
mesi. Il calendario babilonese era, a sua volta, una derivazione del calendario sumerico. Quando gli
Ebrei poterono finalmente ritornare in Giudea, grazie alla conquista persiana di Babilonia (538 prima
dell’Era Volgare) essi conservarono i nomi babilonesi dei mesi ebraici a mo’ di ricordo della loro
redenzione dalla schiavitù in Babilonia. Prima della deportazione babilonese i mesi ebraici erano
chiamati numericamente, in relazione ed in ricordo dell’Esodo dall’Egitto. Per esempio, dato che
l’Esodo avvenne durante il mese di ִ ןָסינNissan, gli altri mesi erano in referenza a tale mese: “il primo,
il secondo, il terzo mese dopo ִ ןָסינNissan”. L’uso dei nomi babilonesi è intenzionale, per far sì che gli
Ebrei si ricordino della loro schiavitù e, soprattutto, che si ricordino che l’Eterno li abbia, per la seconda
volta, liberati. Il mese che annuncia la primavera, שִּת ְ יֵרTishrei (Colui che apre)103, è il primo mese del
calendario ebraico:
The Babylonian exile (586 B.C.) constituted a break in the history of the Jews in
general and in the history of the Jewish calendar in particular. […] the Jewish
calendar came under Babylonian influence during the first two centuries after the
exile, and in Babylonia the method of intercalation was practiced as early as in the
time of Hammurabi (c. 1700 B.C.)104.
לּולֱאElul è il dodicesimo mese del calendario lunare ebraico. L’anno nel sistema giudaico
consiste di dodici mesi lunari; tuttavia le festività, in altre parole, le feste religiose, seguono il sistema
solare. Tale discrepanza è dovuta al fatto che alcune di esse, per esempio il Pesah ( חַסֶּפla Pasqua
Ebraica)10, lo Shavu`ot שַה גַחָּ ( תֹועּובil Festival delle Settimane) ed il Sukkot ( תוֹּכֻּסַה גַחil Festival dei
Tabernacoli) devono necessariamente occorrere durante stagioni particolari e le stagioni sono
determinate dalle rivoluzioni annuali della terra che gira attorno al sole:
As long as the Hebrew calendar followed the moon only it was impossible to fix
any calendrical dates for the agricultural festivals for the plain reason that the lunar
months wandered throughout the solar year and all its seasons. With the adoption
of a system of intercalation the law was laid down to tie the lunar months to the
seasons […]106.
Un anno lunare consta di quasi 354 giorni ed ⅓, mentre un anno solare contiene
approssimativamente 365 giorni e ½, o quasi undici giorni in più. Se così fosse le festività ebraiche
cadrebbero nelle stagioni errate — in altre parole, nei mesi non consentiti secondo la Legge religiosa
— se seguissero il ciclo dei mesi lunari:
102
Vedasi: 1 Re 6:1; 6:37; 6:38; 8:2.
103
Denominato anche יזEisanim/Ethanim [settimo]. Vedasi: 1 Re: 8.
104
S. GANDZ, «The Calendar of Ancient Israel» in Homenaje a Millás-Vallicrosa. 2 vols. Barcelona: Consejo Superior de
Investigaciones Científicas, 1956. 1: 623-646. 1: 633.
105
La Pasqua Ebraica è difatti soprannominata ביבאה גחKhag he-Aviv, ovvero, il Festival della Primavera.
106
S. LANGDON, Babylonian Menologies and the Semitic Calendars. Londra: British Academy, H. M. OUP, 1935. 635.
221
Joseph Abraham Levi
During the period of the purely lunar phase of the Hebrew calendar there was no
connection between the seasons and their agricultural festivals, on the one hand, and
the months, on the other hand. […] the festivals and seasons could not be dated
according to the months, hence the months could not be named after the festivals and
the seasons. Therefore, the Hebrews designated their months by the ordinal numbers,
the first, second, third month, etc. and never by names107.
Per prevenire tali difficoltà, il calendario lunare è sempre emendato così da mantenere queste
conformità con il sistema solare. Ciò è possibile attraverso la periodica intromissione, ovvero
dell’intercalare, di un tredicesimo mese, chiamato ש רָדֲא ֵ ִ ונAdar Bet, vale a dire: Adar Secondo, o
Adar II, subito dopo il mese רָדֲאAdar, il quale, durante l’anno bisestile108 è chiamato Adar Alef, in altre
parole: שאִר ֹ רָדֲא ןוAdar Primo, o Adar I. Durante diciannove anni questa discrepanza tra l’anno lunare
e quello solare ammonta ad un totale di 207 giorni, così ש רָדֲא ֵ ִ ונAdar Bet, ovvero Adar II, è introdotto
al 3º, 6º, 8º, 11º, 14º, 17º e 19º anno ogni diciannove anni.
Nel 359 dell’Era Volgare lo studioso Hillel II (330-365 ca.)109 stabilì il calendario fisso basandosi
su calcoli matematici ed astronomici: la lunghezza del mese ebraico doveva coincidere con il tempo
impiegato dalla luna per girare intorno alla terra, in altre parole, ventinove giorni, dodici ore e
quarantaquattro minuti. Dato che era in sostanza impossibile dividere i giorni in frazioni, alcuni mesi
avrebbero avuto trenta giorni in quanto che altri ne avrebbero avuti ventinove. Questo calendario,
tuttora in uso, stabilì la lunghezza dei mesi ed introdusse l’addizione di mesi durante il decorso di un
ciclo di diciannove anni per far sì che il calendario lunare rimanesse allineato con gli anni solari.
Riportiamo la lista dei mesi del Calendario Ebraico seguita dall’equivalente approssimativo del
Calendario Gregoriano così come dalla durata approssimativa di ogni mese e, quando noto, il suo
significato; l’asterisco indica che il mese occorre solo durante un anno bisestile, mentre il numero alla
fine della riga denota la sua posizione nel Calendario Ebraico, nonostante il fatto che l’anno religioso
inizi con il settimo mese:
שִּת ְ יֵרTISHREI (Settembre-Ottobre) [30 giorni] [Colui che apre] 7
שח ְ ןָווCHESHVAN110 (Ottobre-Novembre) [29/30 giorni] 8
וֵלְסִּבKISLEV (Novembre-Dicembre) [29/30 giorni] [freddo?] 9
תֵבֵטTEVET (Dicembre-Gennaio) [30 giorni] [fango] 10
ש ְ טָבSH’VAT (Gennaio-Febbraio) [30 giorni] [scettro] 11
רָדֲאADAR (Febbraio-Marzo) [29 giorni] [bello?] 12
שאִר ֹ רָדֲא ןוADAR I* (Febbraio-Marzo) (quando seguito da Adar II) [30 giorni] 13
ש רָדֲא ֵ ִ ונADAR II* (Marzo-Aprile) [29 giorni]
ִ ןָסינNISSAN111 (Marzo-Aprile) [30 giorni] [fuga] 1
107
S. LANGDON. Babylonian Menologies and the Semitic Calendars. Londra: British Academy, H. Milford, OUP, 1935. 636.
108
Un anno con tredici mesi lunari è spesso noto in ebraico come ש תרבועמ ָ ָ הנShanah Me’uberet, letteralmente: “Anno
Gravido”.
109
Autorità religiosa preceduta da Judah III e seguita da Gamliel V. Hillel II è unanimemente considerato come il creatore
del Calendario Giudaico moderno ove, attraverso l’intercalare di un giorno in un mese e di un mese in un anno avrebbe
fatto sì che l’anno solare e la sua contropartita lunare combaciassero le festività religiose ebraiche con le stagioni solari
prescritte dalla Legge Mosaica.
110
Anche noto con il nome di לוכBul [ottavo]. Vedasi: 1 Re: 6.38.
111
Anche noto con il nome di כיכאAviv/Abib [primo; primavera; grano]. Vedasi: Esodo 13. Interessante notare che la forma
colloquiale di aprile per i Romani era l’espressione analitica: “ab aperiendo terram”, ovvero “dall’apertura della terra”,
quando la Natura si risveglia e con essa tutte le forme viventi, dagli insetti agli animali. Presso la nazione amerindia degli
Uroni, per esempio, l’anno è formato da dodici mesi lunari, tutti identificati secondo la loro funzione rispetto alla Natura
ed agli uomini. Il mese di marzo è difatti il “mese dei vermi”, in altre parole, quando molti di essi cominciano a farsi
notare; il mese di aprile è la “luna della piante” e maggio è la “luna delle rondini”. J.J. LYONS e A. DE SOLA, A Jewish
Calendar for Fifty Years. Montreal: John Lovell, 18541. 8-19.
222
L’età del mondo nella postilla di Cristoforo Colombo annotate nella Historia rerum di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464)
VI
When a new moon was sighted, fires were lit on a mountaintop in the Land of Israel.
When the fire was seen by people living near the next mountain, they too would
light a fire. In this way, communities as far away as Babylonia would receive a signal
that it was the start of the new month114.
Con la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme (70 dell’Era Volgare) e le rivolte di
Simeone Ben Kosiba — noto come Bar Kochba, ovvero, Figlio di una Stella —, inizia la Diaspora
degli Ebrei da quello che fu il loro territorio, שיִ ץֶרֶא
jְ לֵאָרErez Israel, vale a dire, la Terra di Israele. Molti
furono verso la Grecia, l’Italia ed il resto dell’Europa. Altri, invece, si diressero verso Babilonia ove,
tra il 586-538 Prima dell’Era Volgare, furono deportati. In Babilonia gli Ebrei prosperarono e fu lì che
crearono quello che poi fu chiamato il Talmud Babilonese, un compendio di leggi e tradizioni israelite
che rimarrà uno dei principali testi giudaici. Tra il terzo ed il settimo secolo dell’Era Volgare, la
comunità giudaica babilonese era la maggiore del mondo.
La paura e l’ansia della fine del mondo — cominciate prima dell’anno 1000 per poi continuare
attraverso i secoli, soprattutto in conseguenza di disastri naturali e malattie contagiose, come nel caso
della peste, purtroppo ricorrente in Europa — portarono molte comunità etnico-religiose dell’Europa
di quel tempo a cercare una soluzione nelle Scritture od a formulare nuove teorie che potessero
finalmente risolvere i dubbi in merito, dando così continuità all’anima.
112
Anche noto con il nome di ויזZiv [secondo]. Vedasi: 1 Re: 6.37.
113
הנשמהMishnah: collezione di sei volumi contenente la Legge Orale e le sentenze legali compilate e corrette verso il
210 dell’Era Volgare; serve da supporto al Talmud. In altre parole, è un codice legale, un corpus di tradizioni con criteri
pedagogici. Si incontra diviso in paragrafi numerati, raggruppati in capitoli strutturati. Per i rabbini esistono due tipi di Torà,
una scritta ed una orale. Il Mishnah fu redatto nella sua forma finale dal rabbino Yehuda ha-Nasi, il quale si sarebbe basato
su anteriori collezioni. Contiene 63 trattati, suddivisi in sei gruppi principali: leggi sull’agricoltura, sulle festività religiose,
sul ruolo delle donne nel seno del Giudaismo, sulla proprietà e su altri argomenti legali, sul tempio e sugli accessori e
sull’impurità.
114
S. LEIMAN, The Atlas of Great Jewish Communities. A Voyage through Jewish History. New York: UAHC Press,
2002. 35.
223
Joseph Abraham Levi
Già dai primi secoli dell’Era Volgare molti studiosi, religiosi così come laici, si preoccuparono
del significato della vita, del tempo in quanto tale e della sua conseguente fine, in altre parole, della
fine del mondo, la completa distruzione, il completo annichilimento. La lettura delle Sacre Scritture,
soprattutto l’Apocalisse, contribuiva al culto dell’ignoto dopo la fine di tutto, della completa
distruzione della terra, degli esseri umani e viventi. Era quindi necessario trovare una soluzione. Tra
il XIV ed il XV secolo tale preoccupazione invase un po’ tutti i circoli intellettuali europei, dal
Portogallo, la Francia e l’Inghilterra alle città-stato italiane e germaniche, per poi arrivare fino alle porte
di Costantinopoli.
Non è un caso allora, che negli ultimi decenni del Medioevo l’interesse per la escatologia di
matrice giudeo-cristiana si fece più accentuato. Oltre al campo religioso — dominato dalla figura degli
ecclesiastici di qualsiasi ordine, includendo lo stesso papa —, anche i settori militari e politici ne
furono influenzati, contribuendo con le loro teorie, paure e supposte soluzioni in merito. Ricordiamo
le molteplici profezie concernenti imperatori, re ed ecclesiastici, includendo lo stesso papa. Ancora una
volta, la fine del mondo, rappresentata con il messaggio severo ma ammonitore dell’Apocalisse,
serviva da stimolo constante per una necessaria ed a volte reputata imminente riforma religiosa della
Chiesa. La fine era predetta da Dio nella Sua Scrittura.
Testi profetici di diversa natura, generalmente raccolti in manoscritti editati, cominciarono a
circolare un po’ per tutta l’Europa e le regioni del Mediterraneo orientale.
Le attese aumentavano in proporzione agli annunci dell’imminente fine del mondo e
dell’universo. Gruppi cristiani eterodossi da un lato, sette ebraiche esoteriche dall’altro, convergevano
quanto alle varie teorie sulla fine imminente della terra e dell’universo.
Cristoforo Colombo, eretici eterodossi cristiani115 e le comunità giudaiche dell’Europa del suo
tempo, soprattutto sefardite e zarfatiche, condividevano tutti l’ansietà e lo sgomento dell’Uomo
Europeo alle soglie dell’Era Moderna. Cristoforo Colombo, usando come trampolino l’Antico
Testamento e gli scritti profetici di Gioacchino da Fiore (c. 1130-c. 1202), tentò riappacificare scoperte
geografiche ed evangelizzazione con l’inizio della terza età del mondo, l’avvento dello Spirito Santo
e la conseguente fine del mondo:
Cristoforo Colombo si appellò più volte, nei suoi scritti, all’autorità profetica
dell’Abate calabrese, collegando la sua missione esplorativa all’evangelizzazione
delle ultime genti della terra che, insieme con la definitiva riconquista di
Gerusalemme, avrebbe dovuto segnare l’inizio della terza ed ultima età del mondo,
l’età dello Spirito Santo116.
Il Vecchio Testamento per gli Ebrei, la Bibbia intera per i Cristiani, in particolar modo
l’Apocalisse, sembravano essere le fonti ove si potesse trovare la soluzione ai tanti quesiti millenaristi.
La fine del mondo era vicina: questo era certo. Per i Cristiani Gesù, e con Lui lo Spirito Santo, sarebbe
tornato. Sapere quando, era la vera questione.
Conoscendo l’esatta età del mondo Colombo avrebbe potuto avere una indicazione certa di
quando ciò sarebbe accaduto.
115
Vedasi, per esempio, G.DA FIORE (ca. 1130-1202). R. RUSCONI, Profezia e profeti alla fine del Medioevo. Roma: Viella,
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231
Joseph Abraham Levi
232
MARIA DE DEUS BEITES MANSO, Università di Évora
Con il presente studio ci si prefigge di analizzare le forme e i processi con cui la storiografia
portoghese studiò nel tempo la figura di Cristoforo Colombo. È un’analisi che si basa sulla “storia
della storia”, ossia sulla lettura che contemporanei e posteri hanno effettuato della figura del grande
navigatore. È certo che il sapere storico evolve, sorgono nuove fonti, nuovi concetti e teorie; tuttavia
è anche vero che a volte si pretende di legittimare, grazie alla storia del passato, determinati obiettivi
politici e culturali1.
Se da un lato si moltiplicano le edizioni su Colombo, soprattutto le commemorazioni, lo stesso
non accade quanto al progresso degli studi, soprattutto per ciò che riguarda il suo rapporto con il
Portogallo. Nella mia lunga esperienza come docente universitaria di Storia delle esplorazioni e
dell’espansione portoghese, considerando altri consimili programmi universitari, verifico che tutti noi
docenti, probabilmente a causa della scarsa formazione sul tema, continuiamo a coltivarlo con una certa
cecità. L’idea di “rivedere” Colombo è in relazione non tanto con questioni apologetiche, il che sarebbe
anacronistico, ma con la necessità d’inserire il problema dentro questioni attuali e, soprattutto, di
aiutare la comprensione della dinamica della nostra identità nazionale, fermo restando che, per
comprendere questa e altre figure, è necessario allontanare “consumos e apropriações sociais, políticas
e ideológicas”2.
Anche se la storia delle esplorazioni è uno dei temi più trattati dalla storiografia portoghese, non
sempre disponiamo di informazioni su alcuni protagonisti. Il desiderio di giustificare e valorizzare le
gesta portoghesi, o compiute da personaggi al servizio della corona portoghese, dissuase i cronisti dal
raccontare fatti che non si armonizzassero appieno con l’anima e la nazione lusitana; così accadde per
la vicenda portoghese di Colombo. Anche se Colombo per un certo tempo si fermò in Portogallo, si
sposò con una nobildonna portoghese e offrì i suoi servigi a Giovanni II, questi fatti raramente
emergono dalle fonti di allora. Siccome la storia si fa con documenti e non sempre si incontrano dati
per confutare o confermare alcune tesi, nel tempo si andò delineando un discorso distanziato che
potremmo definire “verità storica”, con cui ci si è appropriati di questo eroe modificandone i caratteri
secondo le contingenze politiche. Dato che la storia delle esplorazioni era condivisa da portoghesi e
spagnoli, gli storici di ambe le parti raccoglievano i testi con l’obiettivo di riprendere la “vecchia”
questione storiografica colombiana o costruivano nuove ipotesi, molte delle quali fantastiche, essendo
prive di ogni fondamento documentale.
Come è accaduto per altri grandi protagonisti della storia delle esplorazioni iberiche, la figura
di Colombo, prima della grande scoperta, è segnata da contorni piuttosto incerti. Per quanto riguarda
le cronache portoghesi dei secoli XV e XVI, solo tre fonti si occupano del tema: Rui de Pina, Garcia
de Resende e João de Barros3.
1
Vogliamo ringraziare per le informazioni e i suggerimenti sul tema il professor José Manuel Garcia e il professor Nelson
Veríssimo.
2
IVO CARNEIRO DE SOUSA, “O Luso-tropicalismo e a historiografia portuguesa: itinerários críticos e temas de debate”,
Luso-Tropicalismo. Uma teoria social em questão, org. de Adriano Moreira e José Carlos Venâncio, Vega, 2000, p. 69.
3
RUI de PINA, Crónica del-rei D. João II, ed. DE M. LOPES de ALMEIDA, Crónicas de Rui de Pina, Porto, Lello & Irmão
Editores, Colecção: Tesouros da Literatura e da História, pp. 1016-1017; GARCIA de RESENDE, Livro das obras de Garcia
de Resende, ed. De E. Verdelho, Lisboa, Fundação Calouste Gulbenkian, 1994, pp. 405-406; J.de Barros, Ásia, Primeira
Década, Lisboa, Imprensa Nacional – Casa da Moeda, 1988, pp. 111-115.
233
Maria de Deus Beites Manso
Questi cronisti descrivono l’incontro tra re Giovanni II e Colombo nel 1493, dopo la scoperta
del nuovo continente: “que vinha do descobrimento das Ilhas de Cipango, e d’Antilia, que por
mandado dos Reys de Castella tynha feco, da qual terra trazia comsigo as primeiras mostras de gente,
o ouro, e alguas outras cousas que nellas avia; e foy dellas intitolado Almirante. E seendo ElRey logo
disso avisado, ho mandou hir ante si, e mostrou por isso receber nojo, e sentimento, assy por creer
que o dicto descobrimento era fecto dentro dos mares, e termos de seu Senhorio da Guinee, em que
se oferecia disensam, como porque o dicto Almirante, por ser de sua condiçam hum pouco alevantado,
e no recontamento de suas cousas, excedia sempre os termos da verdade, fez esta cousa, em ouro,
prata, e riquezas muito maior do que era. Especialmente acusavase ElRey de negrigente, por se
escusar delle por mingoa de credito, e autoridade, acerca deste descobrimento pêra que primeirono
viera requerer. E com quanto ElRey foy cometido, que ouvese por bem d’ho ali matarem; porque com
sua morte e proseguimento desta empresa, acerca dos Reys de Castella, por falecimento de
descobridor cessaria. (…) Mas ElRey como era Princepe muy temente a Deos,
nom soomente o defendeo, mas antes lhe fez honra, e muita mercee, e co ella despedio”4.
Il tema non ha destato loro molto interesse5. Garcia de Resende ripete le stesse idee di Rui de
Pina, è un discorso quasi ricopiato6. È un abbordaggio superficiale, che esalta il monarca lusitano in
confronto ad un genovese “lunatico”, facendo risaltare la figura di un re che si arroga il titolo di signore
dell’impresa marina e il diritto di decidere del destino di tutti quelli che osano interferire.
João de Barros, anche se rispecchia molto il pensiero dei cronisti che lo precedettero, ci
restituisce l’immagine di Colombo come uomo prudente, esperto a gestire il mare e il commercio,
anche se non digiuno di una certa fantasia e vanagloria: “Christovão Colom era Genoves de naçam,
homem experto, eloquente, e bom latino, e muy glorioso em seus negócios (…) homem falador e
glorioso em mostrar suas habilidades, e mais fantastico e de jmaginações com sua jlha Cypango, que
certo no que dizia: dáualhe pouco credito” 7.
A partire dalla fine del secolo XVIII fino alla metà del XIX si accentuò il carattere particolare
dello studio della tematica relativa alla storia delle esplorazioni e dell’espansione oltremare8,
determinata in parte dalle relazioni particolari di dipendenza economica e persino amministrativa tra
4
RUI de PINA, cit., pp. 1016-1017.
5
Tuttavia troviamo lo stesso silenzio nelle cronache portoghesi dei secoli XV e XVI a proposito di altri momenti e figure
importanti, relativi e relative alla storia delle esplorazioni, come il Trattato di Tordesilhas o la figura di Vasco da Gama,
prima che si scoprisse la rotta marina per l’India.
6
Ecco la trascrizione del testo di Garcia de Resende: “que vinha do descubrimento das ylhas de Cipango e Antilhas que
por mando d’el - rey e da raynha de Castella tinha descuberto. Das quaes trazia consigo as mostras das gentes, e ouro e
outras cousas que nellas avia e foy delllas feyto almirante. E sendo el-rey disso avisado o mandou chamar e mostrou por
ysso receber nojo e sentimento, assi por crer que o dito descobrimento era feyto dentro dos mares e termos de seus
senhorios de Guine, como porque o dito Colombo por ser de sua condiçam alevantado, e no modo de contar das cousas
fazia isto em ouro e prata e riquezas muito mayor do que era, e acusava el-rey por se escusar deste descubrimento e nam
no querer mandar a isso pois primeiro se lhe viera oferecer que aos reys de Castella, e que fora por lhe não dar credito
E el-rey foy cometido que ouvesse por bem de lho matarem ahi, porque com sua morte o descubrimento nam hiria mais
avante de Castella” Garcia de Resende, op. cit., p. 405. Tutti costoro citano l’origine genovese di Colombo. Più tardi
anche Damião de Góis, António Galvão, Gaspar Frutuoso, il padre Serafim de Freitas e Faria de Sousa scriveranno che
era genovese.
7
J. de BARROS, cit., pp. 111-115.
8
Circa la storiografia portoghese del secolo XVIII: J. VERÍSSIMO SERRÃO, A historiografia portuguesa. Doutrina e Crítica,
vol. III, Lisboa, 1974. M.I. JOÃO, Memória e Império. Comemorações em Portugal (1880-1960), Lisboa, Fundação
Calouste Gulbenkian, Fundação para a Ciência e a Tecnologia / Ministério da Ciência e do Ensino Superior, 2002.
234
Cristoforo Colombo nella storiografia portoghese
il Portogallo e le colonie9. Ciò potrebbe anche essere stato originato dalla crisi di coscienza nazionale,
aggravata negli anni dell’occupazione inglese10. Fu soprattutto una storia apologetica ed eroica, che
fece riemergere personaggi legati alle esplorazioni portoghesi come Enrico il Navigatore11 e risaltare
la superiorità portoghese nelle esplorazioni12. Si trattava di una storia che non pretendeva di appurare
la verità, ma di valorizzare l’epopea portoghese, sottovalutando qualsiasi influenza straniera; in
particolare, la figura di re Giovanni II, principale responsabile e mentore del processo di espansione
portoghese, fu studiata con grande cura. Eppure la preparazione del viaggio di Gama non si può
spiegare se non come conseguenza del viaggio di Colombo13.
Nella speranza di legittimare le scoperte portoghesi furono pubblicati diversi documenti, che
permisero di conoscere questo passato glorioso. L’interesse economico, politico, culturale e scientifico
che si creò per l’Africa portò non solo alla creazione di associazioni scientifiche, ma anche a ravvivare
la memoria delle grandi scoperte portoghesi, sminuendo i meriti del resto dell’Europa per questo
passato glorioso14.
Fu un evento esterno a riaccendere il patriottismo lusitano: il centenario di Colombo promosso
dalla Spagna nel 1892. Per partecipare alle commemorazioni fu nominata una commissione preposta
a studiare il contributo portoghese alla grande scoperta15. Successivamente si promosse la
pubblicazione di una serie di studi, alcuni con l’obiettivo di chiarire le relazioni diplomatiche tra le due
corone iberiche e i loro interessi nell’oltremare16.
Nel 1892, Pinheiro Chagas pubblicò Os descobrimentos portugueses e os de Colombo, dove si
approfondiva la figura di Enrico il Navigatore17, come pure la relazione esistente tra Colombo e re
Giovanni II, di cui non si lesinavano gli elogi: “Há, naturalmente, duas espécies de organismos entre
os homens da mais alta esfera: os desequilibrados e os equilibrados. À primeira pertencia Cristóvão
Colombo, à outra D. João II (…) A verdade era que a empresa de Colombo era a empresa de um
alucinado de génio, de um homem em quem a imaginação predomina, de um visionário que tem visões
lúcidas, de um inspirado, de um louco, e homens assim não podem dirigir-se, sem ser repelidos,
àqueles que têm o forte equilíbrio de todas as faculdades, aos que se deixam guiar em vida não pelas
colunas de fogo da visão bíblica, nem pelas cintilações dos sonhos, mas pelo clarão firme, sereno da
razão e do raciocínio”18.
Una lettura meno elogiativa, condotta soprattutto da Alexandre Herculano, seguita da altri storici,
come per esempio Oliveira Martins, spinse a studiare altre epoche della storia del Portogallo e altre
9
M. CAETANO, “As Reformas pombalinas e post-pombalinas respeitantes ao Ultramar”, História da Expansão Portuguesa
no Mundo, vol. III, Lisboa, 1942, pp. 253-254.
10
M. CAETANO, “As Reformas pombalinas e post-pombalinas respeitantes ao Ultramar”, História da Expansão Portuguesa
no Mundo, vol. III, Lisboa, 1942, pp. 253-254. S. CAMPOS MATOS, “A historiografia portuguesa dos descobrimentos no séc.
XIX”, separata de Los 98 Ibéricos y el mar, t. II: La cultura en La Península Ibérica, Madrid, Sociedad Estatal, Lisboa,
1998, p. 56.
11
CÂNDIDO LUSITANO, Vida do infante D. Henrique, Lisboa, 1858.
12
F. GRAÇÃO STOCKLER, “Memória sobre as navegações portuguesas do séc. XV”, Obras de Francisco de Borja Garção
Stockler, Lisboa, 1805, t. I, pp. 345-388. A. RIBEIRO DOS SANTOS, “Memória sobre a novidade da navegação portuguesa
no século XV”, Memórias de literatura, vol. III, Lisboa, 1814. Consigliamo inoltre la lettura del saggio di S. CAMPOS
MATOS, cit., pp. 56-63, che ci fornisce una sintesi eccellente di tutte le pubblicazioni che si riferiscono a questa tendenza
storiografica.
13
CAMPOS MATOS, cit., pp. 59-60.
14
Idem, Ibidem, p. 65.
15
Presieduta da Pinheiro Chagas, la commissione era composta da Oliveira Martins, Conde de Ficalho, Teixeira de Aragão,
Jaime Moniz, Álvaro Rodrigues de Azevedo e Teófilo Braga.
16
CAMPOS MATOS, cit., p. 68.
17
PINHEIRO CHAGAS, Os descobrimentos Portugueses e os de Colombo. Tentativa da coordenação Histórica, Lisboa,
Typographia da Academia Real das Sciencias, p. 134, in cui si descrive Colombo, per quanto riguarda lo spirito di
avventura, come “alucinados”.
18
PINHEIRO CHAGAS, cit., p. 134.
235
Maria de Deus Beites Manso
tematiche; si può perfino affermare che ci fosse una coesistenza tra una tendenza apologetica ed una
critico-ironica19. Ad ogni modo, prevalse un’interpretazione encomiastica e commemorativa dei fatti
d’oltremare. Le commemorazioni dei grandi centenari divennero un’occasione o pretesto di studio, in
cui venivano rievocati solo i successi nazionali e le grandezze della nazione, rimanendo esclusa
qualsiasi altra figura non legata ai successi lusitani. Con una eccezione: un lavoro di Oliveira Martins
sul viaggio di Cristoforo Colombo20. Altri però individuarono nel suo viaggio uno dei motivi per
giustificare la lunga pausa nelle esplorazioni portoghesi dopo la navigazione di Gil Eannes21; altri
ancora sottolinearono che nel 1498 il territorio brasiliano era già conosciuto22 o che Colombo si era
educato nella tradizione marittima portoghese23.
Alimentò l’interesse degli studiosi soprattutto una “visione storicista del dominio coloniale
portoghese”, da cui il progetto della Mappa Rosa, che portò all’Ultimatum britannico nel 189024.
Parallelamente a questa tendenza della storiografia portoghese maturò, nel confronto con il presente,
un’idea di decadenza, ieri come oggi quasi un luogo comune, poiché tutte le volte che si parla di
impero portoghese lo si definisce decadente, senza sapere di fatto come si mantenne vivo per tanto
tempo25.
Anche nella prima metà del secolo XX non ci si dimenticò delle celebrazioni. Nel 1940 si
organizzò una grande mostra, che culminò con un congresso e con la pubblicazione del Congresso
Mundo Português, che diede origine al IIIº volume, 1º Tomo, 1ª Sezione (Descobrimentos maritimos).
Nessuna delle oltre trenta comunicazioni presentate nel congresso citò Colombo. Queste
commemorazioni s’inserivano nel progetto che Salazar, dall’anno 1930, stava definendo per le colonie,
programma inaugurato con la pubblicazione dell’Acto Colonial che diede inizio ad una fase di politica
imperialistica, nazionalista e centralizzata, che durò fino al 1951. L’obiettivo di questa campagna era
soprattutto di opporsi all’ideologia repubblicana e di affermare una vocazione ed un diritto storico del
Portogallo alla colonizzazione26.
Nel 1992, in occasione dell’Expo di Siviglia, anche il Portogallo si aggiunse alle celebrazioni
dell’anniversario della grande scoperta27. Anche in questa circostanza, tuttavia, la figura di Colombo
non fu al centro degli studi portoghesi: si cercò di includere il navigatore nell’ambito delle scoperte
portoghesi, mostrando la sua relazione con il Portogallo. Nel 1994, anniversario del Trattato di
Tordesillas, Colombo tornò alla ribalta28. La Comissão Nacional Para as Comemorações dos
Descobrimentos Portugueses dedicò un numero della rivista Oceano al navigatore29, con saggi di José
Manuel Garcia, Demétrio Ramos, Consuelo Varela e Ilaria Luzzana Caraci. Tutti gli articoli cercarono
di dimostrare l’infondatezza di alcuni miti che la storiografia dei secoli XIX e XX aveva elaborato sulla
19
MATOS DE CAMPOS, cit., p. 73.
20
O. MARTINS “Navegaciones y descubrimientos de los Portugueses anteriores ao viaje de Colón”, Portugal nos mares,
3ª ed., Lisboa, 1924, pp. 217-257.
21
H. LOPES DE MENDONÇA, Da unidade de pensamento no cyclo das descobertas, Lisboa, Annaes da Academia de Estudos
Livres, 1898.
22
BALDAQUE DA SILVA, “O descobrimento do Brasil por Pedro Álvares Cabral”, Centenário da América…, Lisboa, 1892,
pp. 20-21.
23
L. CORDEIRO, “De la part prise par les Portugais dans la découverte de l’Amerique” (1876), Questões…, vol. I.
24
MATOS DE CAMPOS, cit., p. 80.
25
Su questo tema consigliamo la lettura di V. MAGALHÃES GODINHO, A Historiografia Portuguesa: Orientações, Problemas
e Perspectivas, separata dos nº 21 e 22 : Janeiro-Junho, Vol. X, Ano VI, Revista de História, 1955.
26
C. CASTELO, “O Modo Português de Estar no Mundo”. O Luso-tropicalismo e a ideologia colonial portuguesa
(1933-1961), Lisboa, Biblioteca das Ciências do Homem, Ed. Afrontamento, 1999, pp. 45-46.
27
Fu istituita la Comissão Nacional Para as Comemorações dos Descobrimentos Portugueses, che è stata soppressa nel
2000.
28
Portugal e os Descobrimentos, coord. F. FARIA PAULINO, Lisboa, Comissariado de Portugal Para a Exposição Universal
de Sevilha de 1992, 1992.
29
Nelle successive celebrazioni, Colombo venne ignorato. Il nº 3 della Rivista Oceanos dedicava appena alcune pagine al
navigatore.
236
Cristoforo Colombo nella storiografia portoghese
questione dell’origine di Colombo, sulla vita e l’opera sua, come pure sul suo passaggio per il
Portogallo. Altre istituzioni si associarono alle commemorazioni con intenti divulgativi; da qui le
pubblicazioni Columbo, Columbus30 e Portugal e o Reconhecimento da América. Cristovão Colombo
e os Portugueses, con corredo di monete coniate per l’occasione31.
Nel periodo che precedette l’Expo 92 uscirono varie pubblicazioni. Per esempio la rivista
Islenha32 dedicò un numero speciale e le autorità politiche di Madeira organizzarono il IIIº Colóquio
Internacional da Madeira33. Si pubblicò un’edizione dei diari del futuro Ammiraglio34 e il libro di
Mascaranhas Barreto, che tentava di giustificare l’origine portoghese dello scopritore dell’America35.
L’autore della prefazione ai Diari, il professor Luis de Albuquerque, richiamava l’attenzione affinché
si riflettesse su alcune questioni inerenti Colombo: “é oportuno que neles se pense um pouco, agora
que estamos muito próximos de comemorar o meio milénio da sua primeira viagem. Viagem que, se
se quiser, foi um equívoco, pois o navegador tinha por projecto atingir o Oriente, baseado em
informações ou conhecimentos errados, navegando no sentido do poente; e supondo tê-lo conseguido,
andou anos errando por ilhas, à ilharga de um outro continente, que lhes barravam a passagem;
apesar desses erros iniciais e do seu apenas suposto êxito, as viagens que fez contribuíram, e do modo
mais relevante, para o desabrochar da mentalidade do mundo moderno. O descobrimento da América
foi uma verdadeira revelação”36.
Tra le figure che più segnarono, e tuttora segnano, la storia delle esplorazioni portoghesi
troviamo Jaime Cortesão, Manuel Múrias, Júlio Antas, António Mendes Correia, tra gli organizzatori
del Congresso do Mundo Português. Il regime politico preparò celebrazioni in pompa magna per
commemorare le scoperte geografiche37. Ecco le parole di Cortesão: “Consideramos os
Descobrimentos portugueses, pelas suas origens e derivações, como o zénite da história nacional, a
base do nosso carácter de Nação, o fundamento e a afirmação mais terminante da sua
independência”38. Egli non descrive le gesta di Colombo, ma lo presenta appena come un informatore
di viaggi e critica suo figlio, Fernando Colombo, per aver ingigantito la memoria del padre39. Manuel
Múrias rafforza questa opinione nella relazione Legitimidade do direito de Portugal às terras
descobertas: Tratado de Tordesilhas, dove elogia il regno di re Giovanni II, evidenziando che le
imprese di Colombo maturarono solo perché era vissuto in Portogallo, dove aveva ottenuto
informazioni e direttive per i suoi viaggi40. Tenta di sminuire i suoi meriti, affermando che al monarca
30
L. de ALBUQUERQUE, Colombo, Columbus, Lisboa, Correios de Portugal, 1992.
31
A. PINHEIRO MARQUES, Portugal e o Reconhecimento da América. Cristovão Colombo e os Portugueses, Lisboa,
Imprensa Nacional – Casa da Moeda, 1992.
32
Islenha, Funchal, Direcção Regional dos Assuntos Culturais, 1989.
33
Le relazioni furono pubblicate in Actas do III Colóquio Internacional da Madeira, Funchal, Secretaria Regional do
Turismo e Cultura e Centro de Estudos de História do Atlântico, 1993.
34
C. COLOMBO, A Descoberta da América. Diário de bordo da 1ª viagem 1492-1493, pref. de Luís de Albuquerque, Lisboa,
Publicações Europa-América, 1990.
35
MASCARANHAS BARRETO, O Português Cristóvão Colombo. Agente Secreto do Rei D. João II, Lisboa, 1988.
36
COLOMBO, A Descoberta da América. …cit., pp. 7-8.
37
MASCARANHAS BARRETO, O Português.…cit., Lisboa, 1988.
38
J. CORTESÃO A Descoberta da América. Diário de bordo da 1ª viagem 1492-1493, pp. 7-8.
39
Questo congresso è stato preceduto dalla pubblicazione della História da Expansão Portuguesa no Mundo, a cura di A.
BAIÃO, H. CIDADE e M. MÚRIAS, 3 voll., Lisboa, 1937-1940, opera che s’inquadra nello spirito e nell’intento dell’epoca:
legittimare le scoperte portoghesi.
40
M MÚRIAS, “Legitimidade do direito de Portugal às terras descobertas: Tratado de Tordesilhas”, Congresso do Mundo
Português, III vol., Tomo I, I Sezione: Descobrimentos marítimos, p. 685.
237
Maria de Deus Beites Manso
portoghese interessava appena il controllo delle ricchezze provenienti dall’India, non certo arrivare in
Brasile: “Mais do que tudo o devia preocupar então a garantia de que não tinha concorrente nesta
empresa, - porque o Brasil, mesmo que fosse já então conhecido não representaria decerto grande
coisa para quem sabia o que de facto era ou podia ser, sob todos os aspectos a Índia”41.
Fino alla metà degli anni Settanta questa è stata la versione predominante su Colombo. Duarte
Leite continua questa memoria. Costa Brochado, che con uno studio partecipò nel 1960 alle
celebrazioni dell’anniversario della morte di Enrico il Navigatore42, continuò la tendenza, tentando di
dimostrare la precedenza portoghese nella storia delle esplorazioni, sia nella costa occidentale
dell’Africa sia nell’Atlantico, come pure l’esistenza di una scienza nautica originale e specificatamente
portoghese. Il Congresso Internacional de História dos descobrimentos, organizzato a Lisbona nel
1960, perseguì l’obiettivo di legittimare il dominio del Portogallo sulle province d’oltremare e,
soprattutto, mirò a sottolineare il fatto che il Portogallo trattava questi spazi con tolleranza e fraternità43.
Ogni altra teoria che non si inquadrasse in queste tendenze venne rifiutata44.
Sorse in quest’epoca la questione circa l’origine di Colombo. I natali furono oggetto di varie
ipotesi, dall’origine genovese a quella portoghese, galega, catalana ecc. Anche se Brito Aranha, nel
1913, basandosi sulle tesi di Prospero Peragallo, contestò l’origine galega di Colombo45, furono non
pochi i sostenitori dell’origine portoghese di Cristoforo: Patrocínio Ribeiro (Nacionalidade portuguesa
de Cristóvão Colombo, 1921), Pestana Júnior (D. Cristobal Colón ou Symam Palla, na História e na
Caballa, 1928), Santos Ferreira de Serpa (Salvador Gonsalves Zarco, Cristóbal Cólon, 1930).
Patrocínio Ribeiro tentò di controbattere la tesi galega enunciata da Enrique Arribas in Colombo
galego de Pontevedra. Questa tesi precedette altre teorie, come per esempio quella di considerare
Colombo una spia portoghese al servizio di re Giovanni II46. Santos Ferreira, appoggiando le
interpretazioni criptografiche, sostenne che il suo vero nome era Salvador Gonçalves Zarco, nato a
Genova, figlio illegittimo di re Ferdinando, fratello di re Alfonso V e di una nipote di Zarco, primo
abitante della Madeira. Pestana Júnior, in D. Cristobal Cólon ou Syman Palha. Na História e na
Cabala…(1928), sostenne che, quando fu inviato da re Giovanni II alla corte di Castiglia, usò il nome
di Cristoforo Colombo per celare la sua vera identità, perché si trovava in missione segreta. Pure
Armando Cortesão, in Cartografia e Cartógrafos Portugueses (1935), ne difese l’origine portoghese47.
OPERE CORRELATE
41
MÚRIAS, Idem, Ibidem, p. 706.
42
COSTA BROCHADO, “Historiografia dos Descobrimentos”, Lisboa, Comissão Executiva das Comemorações do Quinto
Centenário da Morte do Infante D. Henrique, 1960, pp. 10, 27 e 90.
43
C. CASTELO, cit., p. 98.
44
Conviene sottolineare che la teoria del Luso-tropicalismo di Gilberto Freyre fu utilizzata per legittimare la presenza
portoghese nelle province d’oltremare.
45
BRITO ARANHA, A naturalidade de Cristóvão Colombo, Coimbra, Imprensa da Universidade, 1913.
46
A. PINHEIRO MARQUES, As Teorias Fantasiosas de Colombo “Português”, Lisboa, 1991, p. 29.
47
A. CORTESÃO, Cartografia e Cartógrafos Portugueses dos Séculos XV e XVI, vol. I, Lisboa, 1935, pp. 185 segg. Sobre
o assunto ler: F. PEDROSA, Cristóvão Colombo Corsário em Portugal (1469-1485), Lisboa, Academia da Marinha, 1989,
pp. 40-41. Sulle varie origini portoghesi di Colombo cfr. A. PINHEIRO MARQUES, As Teorias Fantasiosas de Colombo
“Português”, Lisboa, 1991.
48
“Colombo (Cristovão)”, Enciclopédia Luso-brasileira de Cultura, 5º vol., Lisboa, 1967, pp. 982-984.
238
Cristoforo Colombo nella storiografia portoghese
su di lui. È quasi dello stesso periodo un articolo contenuto nel Dicionário da História de Portugal49
scritto da Domenico Gioffri, docente di Storia Economica all’Università di Pisa. Anche in questo
emergono i riferimenti al dibattito sorto circa l’origine di Colombo, inoltre non viene data per certa
l’eventuale proposta del suo progetto a re Giovanni II50. Negli anni Novanta, il Dicionário de História
dos Descobrimentos cita Colombo, significativamente definito come lo scopritore involontario (e
incosciente)51.
A Vitorino Magalhães Godinho, in Descobrimentos e Economia Mundial 52, non interessa la
biografia, ma una storia che privilegi gli aspetti politici ed economici. In Mito e Mercadoria, Utopia
e Prática de Navegar. Séculos XIII-XVIII 53, Godinho allarga l’interesse ad un più ampio orizzonte
culturale, ma la questione biografica continua ad essere messa da parte. Tra le storie delle esplorazioni
di recente pubblicate, la Storia coordinata da Francisco Bettencourt e Kirk Chauduri54 spicca per la sua
metodologia cronologica della presenza lusitana nell’impero, ma non privilegia gli aspetti biografici.
Colombo è appena citato in riferimento a certi viaggi nell’epoca delle esplorazioni, un navigatore tra
altri navigatori.
In concomitanza con le grandi celebrazioni iberiche dell’epoca delle scoperte, 1982-1998, anche
in Portogallo uscirono diverse pubblicazioni ma, invertendo la tendenza degli anni precedenti,
finalmente di carattere spiccatamente biografico. Distanti dagli obiettivi del “Nuovo Stato”, i ricercatori
ricominciarono ad entusiasmarsi per la storia dell’eroe, tuttavia per riscriverla in senso non apologetico.
Tuttavia non sempre ci si basò su documenti, spesso fu dimenticato il rigore scientifico.
Nel 1987 fu ripubblicato uno dei lavori più completi e meno controversi su Colombo: A. Teixeira
da Mota, O essencial sobre Cristóvão Colombo e os Portugueses55. Nello stesso anno, Gomes Pedrosa
tornò a toccare la problematica relativa alla nazionalità dell’Ammiraglio e alla sua attività prima della
grande scoperta56. Lo studioso lo ritiene un genovese e alla domanda “Era un corsaro?” ci fornisce la
seguente risposta: “(…) a historiografia nacional manifesta-se permissiva e pudica evitando um tema
de tal melindre: estão em causa duas batalhas ao largo do Cabo de S. Vicente (em 1476 e 1485) que,
em termos estritamente jurídicos, são actos de pirataria. Todavia, sobre os dois corsários Colombo,
também existem documentos portugueses, conhecidos, já publicados de modo singular em obras
dispersas, nunca relacionadas com a biografia de Colombo e injustamente esquecidas”57.
49
Diretto da J. SERRÃO, Vol. I, A-D, Lisboa, Iniciativas Editoriais, 1971, pp. 616-618.
50
Idem, Ibidem, p. 616.
51
Direzione di L. de ALBUQUERQUE, Coordenato da F. Contente Domingues, vol. I, Lisboa, Círculo de Leitores, 1994, p.
258.
52
2 voll., Lisboa, 1963-65.
53
Lisboa, Difel, 1990.
54
5 voll., Lisboa, Círculo de Leitores 1998-1999. Citiamo queste opere solo come esempio, dato che secondo noi alterano
la visione sul tema se comparate alle opere storiche pubblicate all’inizio del secolo XX, come per esempio la História da
Expansão Portuguesa no Mundo, diretta da A. BAIÃO, HERNÂNI CIDADE e M. MÚRIAS, 3 voll., Lisboa,. 1937-1940.
55
A. TEXEIRA DA MOTA, O essencial sobre Cristóvão Colombo e os Portugueses, Lisboa, Imprensa Nacional-Casa da
Moeda, 1987. Quest’opera fu pubblicata la prima volta nel 1968.
56
G. PEDROSA, Cristóvão Colombo em Portugal (1469-1485), Anais do Clube Militar Naval, Lisboa, vol. CXVII, nº 117,
T. 10 a 12, Out. a Dezembro, 1987, pp. 645-694.
57
Idem, Ibidem, p. 646. Per giustificare questa asserzione, lo storico indica due battaglie nelle quali Colombo partecipò,
dicendo che furono atti di pirateria. In questo senso, voglio ricordare anche la figura di Vasco da Gama, della cui vita poco
si sa; resta da chiarire parzialmente ciò che ha fatto prima della scoperta della rotta marina per l’India, soprattutto per
quanto riguarda le ragioni per le quali ricevette retribuzioni da re Giovanni II.
239
Maria de Deus Beites Manso
Secondo l’autore, Colombo fu uno dei corsari stranieri contattati da re Giovanni II, una versione
che era circolata fino alla seconda metà del secolo XIX58, rifiutando la tesi che fosse un umile artigiano,
senza esperienza dei mari. Questa opinione fu da lui sostenuta anche in uno studio del 1989: “(…) os
documentos autênticos conhecidos só admitem uma interpretação foi corsário desde 1469, nesse ano
atacou a navegação portuguesa, entre 1470 e 1476 cumpriu missões corsárias ao serviço do rei de
Portugal, em 1476 naufragou durante uma batalha ao largo do cabo de S. Vicente e estabeleceu-se
cá até 1485; neste período comandou navios, nomeadamente nos mares da Guiné, completando um
ciclo de 14 anos (1470 ou 1471-1485) ao serviço de D. João II”59.
Nel 1988 uscì O Português Cristóvão Colombo. Agente Secreto do Rei Dom João II 60 di
Mascaranhas Barreto, che riesumò vecchie teorie, che erano state difese in particolare nel primo
decennio del secolo XX: Colombo sarebbe stato un portoghese al servizio del re di Portogallo,
appartenente all’Ordine di Cristo. Barreto non presentò una seria documentazione, esponendosi perciò
alla critica di Luís de Albuquerque, che gli rammentò giustamente che non c’era più bisogno di lavori
amatoriali, ma di opere che costituissero una seria riflessione sui problemi61.
Nel 1986 Francisco de Freitas Branco62, polemico contro certe fantasie, decise di “fare storia”,
basandosi sulle fonti: queste ci suggeriscono che Colombo sia vissuto nel Funchal e non a Porto Santo.
L’analisi, soprattutto con l’intento di chiarire alcuni aspetti poco chiari, fu proseguita da Nelson
Verissimo nel 198963. Anche se l’autore si confronta con una lacuna documentale, lo studio può
considerarsi fondamentale64.
CONSIDERAZIONI FINALI
Per capire Colombo dobbiamo tracciare diverse varianti e, soprattutto, focalizzare il contesto nel
quale si è mosso, cercando di distinguere quello che i documenti in effetti ci dicono e quello che invece
si è voluto attribuirgli. Secondo Consuelo Varela “A figura e a obra de Cristóvão Colombo não deixa
de suscitar polémicas mais ou menos eruditas que, por vezes, desembocam em disparatadas lutas de
escolas. Quando pensamos que um determinado tema foi convenientemente resolvido, acontece surgir,
como por casualidade, um artigo de revista ou um livro que vem ensombrar de dúvida e incertezas os
estudiosos que se enredam em novas investigações”65.
Gli studi più recenti sembrano dunque puntare verso una direzione più scientifica,
correttamente contestualizzando la biografia del grande navigatore.
58
G PEDROSA, Cristóvão Colombo Corsário em Portugal (1469-1485), Lisboa, p. 61.
59
G.PEDROSA, Cristóvão Colombo Corsario em Portugal (1469-1485), Lisboa, Academia da Marinha, 1989, p. 8.
60
MASCARANHAS BARRETO, O Português ….cit., Lisboa, 1988.
61
L. de ALBUQUERQUE, Dúvidas e Certezas na História dos Descobrimentos Portugueses, Lisboa, Círculo de Leitores,
1991.
62
F. de FREITAS BRANCO “Cristóvão Colombo em Portugal, na Madeira, no Porto Santo”, Ibero-Amerikanisches Institut,
N.F., Jg 12, H.1, Berlin, 1986.
63
N. VERÍSSIMO, “Buscar o Levante Pela Via do Poente. O Arquipélago da Madeira e a Génese dum Grande Projecto”,
Islenha, Funchal, Direcção Regional dos Assuntos Culturais, 1989, p. 34.
64
Anche se la questione della nazionalità di Colombo, in assenza di documenti probanti, sembra essere oziosa, ecco uscire
l’ennesima opera sul tema: L. da SILVA e S. JORGE da SILVA, Cristóvão Colón (Colombo) era Português, Lisboa, Qui
Dinove, 2006.
65
C. VARELA, “A Influência Portuguesa”, Oceanos, Abril, 1992, nº 10, p. 36.
240
JOSÉ MANUEL DA COSTA RODRIGUES GARCIA, Archivio Nazionale Torre do Tombo di Lisbona
Nella loro missione di «dare nuovi Mondi al Mondo», i Portoghesi agirono in forma pioniera
all’interno di un processo in cui cercarono di garantirsi vantaggi economici risultanti dalla priorità
delle scoperte delle terre che via via incontravano.
Agendo in questo modo, però, i Portoghesi non ebbero la possibilità di mantenere un
atteggiamento di chiusura assoluta e pertanto, puntualmente, finirono per permettere a persone di altre
nazionalità di partecipare alle loro azioni, fornendo anche indirettamente informazioni per la
realizzazione di grandi imprese al di fuori della loro competenza. La più importante di tali imprese
consistette nella scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo.
Cristoforo Colombo è una delle grandi figure della Storia dell’Umanità non solo per la grande
opera che portò a termine, ma anche perché può essere considerato, per certi versi, come simbolo di
una creazione europea nella misura in cui, essendo nato in Italia nel 1451, ricevette una formazione
portoghese fra il 1476 e il 1485 e dal 1492 realizzò la sua opera al servizio della Spagna. A seguito di
queste osservazioni, è possibile affermare che la scoperta dell’America finì per essere il risultato di
un’involontaria ma curiosa cooperazione internazionale.
Nel 1476 quando Cristoforo Colombo venne in Portogallo, da circa due anni era arrivata una
lettera datata 25 giugno 1474 e contenente il parere che il fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-
1482) aveva inviato al suo amico Fernão Martins, ecclesiastico di Lisbona. Tale lettera ha una grande
importanza storica soprattutto per il suo ruolo decisivo nel suscitare in Cristoforo Colombo, da quando
verso il 1480 apprese il suo contenuto, la voglia di realizzare ciò che in essa si suggeriva. In seguito,
faremo alcuni commenti per contestualizzarla nella Storia delle Scoperte, mostrando in che modo essa
rivela l’esistenza di due linee di orientamento sul modo di portare a termine le Scoperte, segnate
rispettivamente dalle azioni di Re Giovanni II e di Cristoforo Colombo. Dal giorno in cui la lettera di
Paolo Toscanelli era stata inviata, erano trascorsi vent’anni da una donazione effettuata il 7 Giugno del
1454 dal Re Alfonso V al Principe Enrico, nella quale ci si riferiva alle Indie come un obbiettivo da
raggiungere, se pur in forma vaga. Il testo del dotto fiorentino costituisce un anello fondamentale fra
l’embrionale progetto “henriquino” e le azioni che si susseguirono nei decenni a seguire. In questo
senso, è importante riflettere da subito sulla frase che motiva e introduce l’argomento trattato nella
lettera del 1474:
«Cum tecum allias locutus sum de breviori via ad loca aromatum per
maritimam navigacionem quam sai ea facilis per Guineam», che abbiamo così
tradotto: «In altre occasioni ti ho parlato di una via più breve per raggiungere i luoghi
delle spezie, per via marittima, rispetto a quella che percorri attraverso la Guinea».
241
José Manuel da Costa Rodrigues Garcia
deve al fatto che a Venezia, a quei tempi, si trovava il principale centro europeo delle informazioni
sui Turchi, le Indie Basse di Preste João e gli indigeni dell’India Alta, da dove provenivano le spezie
che arricchivano i mercanti italiani più potenti e che nel 1474 Paolo Toscanelli ricordò essere la
merce che più interessava ai Portoghesi, essendo considerata la più preziosa nel commercio con
l’Oriente. Di quelle regioni, i Portoghesi conoscevano soltanto le forme tracciate da Claudio Tolomeo
e alcune mappe della cartografia catalana dalla quale si era sviluppata, nel frattempo, la cartografia
portoghese. I contatti stabiliti dai Portoghesi con personaggi colti e mercanti italiani alla fine degli
anni 50 del XV secolo, rivela l’impegno di allargare e determinare i suoi orizzonti nella nebulosa
geografia orientale, certamente per il desiderio di contrapporla a quella della costa della Guinea, che
le sue caravelle a quei tempi stavano circumnavigando e che alla fine degli anni 50 si erano avvicinate
alla Sierra Leone cominciando ad entrare nel golfo della Guinea da dove la costa africana continuava
verso oriente.
La mappa che arrivò in Portogallo nel 1459 poteva corrispondere ad una di forma circolare che
nel 1494 si trovava nel palazzo dell’Alcáçova del Castello di San Giorgio a Lisbona, con alcune
somiglianze con il mappamondo di Fra Mauro che restò a Venezia e fu ultimato solo dopo la sua morte
che avvenne precisamente nel 1459.
In data posteriore alla morte del Principe Enrico (1460), Paolo Toscanelli e Fernão Martins si
sarebbero incontrati più volte, come rivela la documentazione, in particolare quella in cui sono
registrati come testimoni «nel testamento del cardinale Nicolau de Susa del 15 Luglio 1461, rinnovato
a Todi il 6 Agosto 1464».
Fra il 1472 e il 1474, Fernão Martins fece ritorno in Portogallo e in quest’ultimo anno divenne
noto per la sua corrispondenza con Paolo Toscanelli in nome del Re Alfonso V, ma forse per
richiesta del Principe Giovanni, considerando che quest’ultimo nel compiere diciannove anni il 3
maggio del 1474, fu incaricato dal padre «dei fatti della Guinea e della scoperta dei mari, terre,
genti e cose che ai contemporanei e a quelli che ci hanno preceduto sono sempre risultati ignoti fino
ai tempi del Principe Enrico», come si legge nella lettera di conferma dell’incarico del 4 maggio
1481. Quando il Principe Giovanni fu incaricato di tale missione, avrà da subito manifestato la
curiosità di sapere qualera il miglior modo per raggiungere le Indie e gli indigeni cercati sin dai
tempi di suo prozio il Principe Enrico, e quindi avrà interrogato su questo argomento gli uomini
più colti e interessati alle questioni di cosmografia che allora si trovavano in Portogallo e fra i
quali c’era Fernão Martins. Per potergli fornire una risposta, Fernão Martins si ricordò che poteva
chiedere un parere su quest’argomento al suo vecchio amico fiorentino Paolo Toscanelli il quale
era uno dei più apprezzati specialisti in argomenti di cosmografia e con il quale aveva già parlato
delle Scoperte Portoghesi.
L’ecclesiastico di Lisbona convenì che la risposta data al quesito posto dal Portogallo poteva
essere utile, altrimenti non avrebbe avuto senso la richiesta di un parere scientifico sul modo di
raggiungere le terre delle spezie.
Per inquadrare e comprendere lo scambio di corrispondenza fra l’ecclesiastico di Lisbona e il
dotto fiorentino è necessario insistere sul fatto che essa avviene precisamente in occasione della nomina
del Principe Giovanni ad una così alta responsabilità come fu quella di continuare le Scoperte
Portoghesi, in un periodo in cui volgevano al termine le esplorazioni di cui si era incaricato Fernão
Gomes sin dal 1469 e che avevano portato alla scoperta di tutto il golfo della Guinea, dopo aver
verificato che la costa africana sembrava ancora volgere verso oriente.
Fernão Martins inviò una lettera a Paolo Toscanelli chiedendogli un parere circa il miglior modo
di raggiungere i «luoghi delle spezie», pensando alle domande alle quali sarebbe stato sottoposto da
parte del giovane Principe ed eventualmente da parte dello stesso Re, giacché è il nome di costui ad
essere evocato nella lettera, fatti che si evincono dalla risposta che il fiorentino gli inviò il 25 giugno
1474, che così iniziava, nella nostra traduzione:
«Fernão Martins, ecclesiastico di Lisbona, Paolo fisico saluta.
242
Sull’incontro fra Colombo e il Re Giovanni II: origine e divergenza di due strategie
«Mi compiaccio di sapere che siete in buona salute e che godete dei favori e della vicinanza del
vostro Re, Principe molto generoso e magnificentissimo. Vi ho parlato in altre occasioni riguardo ad
una via più rapida per raggiungere i luoghi delle spezie, navigando per mare, rispetto a quella che
intraprendete dalla Guinea. Ora il serenissimo Re mi richiede una dichiarazione o, per meglio dire, una
dimostrazione visiva affinché anche chi è mediamente istruito possa seguire e capire questa via. E io,
sebbene sappia che ciò si può dimostrare con una rappresentazione sferica, così come è il mondo,
ciononostante, per facilitare la comprensione e anche per alleggerire il lavoro di insegnare questa via,
mi sono deciso a mostrarlo nella forma in cui si fanno le carte nautiche. Spedisco quindi a sua Maestà
una carta fatta con le mie mani, nella quale sono segnate la vostra costa e le isole da dove dovete
iniziare il viaggio, sempre in direzione di ponente».
La proposta di esplorazione presentata da Paolo Toscanelli era contraria alle prassi seguite in
Portogallo fino allora, poiché consigliava il Re del Portogallo di preferire la direzione verso Occidente
per giungere via mare l’Asia, invece di continuare lungo la costa africana come si era fatto sino allora.
La strategia ivi delineata, però, non fu adottata dalle autorità portoghesi.
Uno degli aspetti di maggior rilievo del gran significato storico che la lettera in causa rivela è
quello di affermare che i Portoghesi erano interessati a scoprire, una volta per tutte, quale sarebbe
stato il miglior modo per raggiungere «i luoghi delle spezie», vale a dire l’India Alta di cui parlava
Álvaro Velho nel 1498, dopo che Vasco de Gama era arrivato a Calecut alla ricerca delle spezie, scopo
supremo e mai dissimulato da quando era partito per la sua missione, ventitré anni dopo la lettera di
Paolo Toscanelli. Nella lettera di Paolo Toscanelli si alludeva all’importanza di un’isola denominata
Antilia, considerando che si trovava sulla via per l’isola di Cipango.
La notizia della lettera di Paolo Toscanelli è giunta a noi solo grazie a Cristoforo Colombo che
la copiò e ne portò la copia in Spagna dove fu scoperta nel 1860 nella Biblioteca Colombina a Siviglia
nei risguardi della copia del libro Historia rerum ubique gestarum che gli appartenne.
La testimonianza di Paolo Toscanelli è particolarmente importante per capire il contesto delle
discussioni sul miglior modo di cercare l’India, come afferma esplicitamente Duarte Pacheco Pereira,
un collaboratore vicino a Re Giovanni II e che nel 1505 scrisse:
«Da queste parti (ndt. nel testo originale la parola è “remos”, probabile errore di battitura della
parola ”ramos”, usata per la traduzione) del Portogallo, in tempi passati, vi furono molte opinioni, tra
alcuni letterati, riguardo alla scoperta dell’Etiopia, della Guinea e delle Indie; alcuni dicevano di non
curarsi di scoprire terre lungo la costa del mare e che meglio sarebbe stato andare al largo attraversando
il golfo fino ad imbattersi in qualche terra dell’India o ad essa vicina, e così accorciare il cammino;
altri dissero che sarebbe stato meglio scoprire andando per terra, giacché poco si sapeva di cosa c’era,
come delle sue rotte e segnali di riconoscimento, e che gente vi era in ogni provincia, per sapere
veramente in che luogo si trovavano, da dove potevano avere la certezza della terra che stavano
cercando, perché altrimenti non potevano sapere in che regione si trovavano e a me pare che la seconda
opinione era la più giusta e così si fece».
Ammettendo la possibilità che nel dicembre del 1488 Cristoforo Colombo fosse presente, quando
Bartolomeu Dias comunicò a Re Giovanni II le nuove sulla sua scoperta del sud dell’Africa, è molto
probabile che anche Duarte Pacheco Pereira abbia potuto partecipare alle discussioni che ne
conseguirono e che egli ricordò nel suo Esmeraldo de situ orbis, poiché era giunto in compagnia di
Bartolomeu Dias, che lo aveva raccolto nell’isola di Principe.
Si prefigura verosimile l’ipotesi che nell’incontro fra Re Giovanni II e Bartolomeu Dias,
Cristoforo Colombo, Duarte Pacheco Pereira e altre persone esperte in questioni geografiche e nautiche
si fosse ancora discusso sul problema già sollevato nel 1474 riguardo alla migliore direzione da seguire
nella navigazione per raggiungere l’India, osservando che Cristoforo Colombo continuava a difendere
il suo desiderio di andare verso occidente e che Bartolomeu Dias aveva affrontato enormi difficoltà
nel navigare nel Sud dell’Angola e nel Sudovest Africano, oltre ad avere constatato che l’Africa era
un continente con una gran estensione verso sud, molto più vasta di quanto si potesse presumere.
243
José Manuel da Costa Rodrigues Garcia
Per varie ragioni non semplici da intuire, nel 1488 Re Giovanni II sospese le esplorazioni di là del Rio
do Infante e riprese il progetto di una nuova campagna soltanto dal 1494, dopo la ratificazione del
Trattato di Tordesillas.
La situazione verificatasi nel 1474 corrisponde ad una sospensione del denominato «Piano delle
Indie». Dalla morte del Principe Enrico; Re Alfonso V era impegnato con la politica delle conquiste
nel Nord dell’Africa, mentre delle iniziative di suo fratello don Fernando, fra il 1460 e il 1470, non vi
sono indicazioni che avesse cercato di trovare le Indie, ma soltanto un’isola occidentale che si
troverebbe nella latitudine delle isole di Capo Verde. All’inizio del suo regno nel 1481 e dopo un
periodo di guerre con Castela, Re Giovanni II rilanciò il corso delle Scoperte, decidendo di riprendere
le ricerche precedenti lungo la costa africana allo scopo di raggiungere gli indigeni. Fu pertanto con
questi ordini che nel 1482 inviò Diogo Cão con la speranza che egli potesse avvicinarsi alle Indie dopo
aver superato l’equatore, che si trova poco prima del capo di S. Caterina. Forse a quei tempi si pensava
ancora che la costa africana si estendesse verso oriente e non verso sud, come infine si è poi accertato.
È in questo scenario che si colloca la presenza di Cristoforo Colombo in Portogallo, paese che
segnò la forma mentis del navigatore che avrebbe rivoluzionato la conoscenza della geografia del
Mondo. Fra gli autori che più si rifacevano ai rapporti fra Re Giovanni II e Cristoforo Colombo, si
distingue Fernando Colombo nonostante non sempre sia stato rigoroso nelle sue informazioni, in
particolare quando dà ad intendere che il Re avrebbe rifiutato la proposta di Colombo
fondamentalmente perché egli aveva avanzato richieste eccessive sia per quanto riguardava il
finanziamento da parte della corona per la realizzazione del suo viaggio, sia nella pretesa di grandi
onori come ricompensa per il previsto successo del progetto che gli aveva presentato. Forse egli
immaginò per il Portogallo quello che poi avvenne effettivamente in Spagna; è da segnalare che nel
1484 Re Giovanni II autorizzò Fernão Domingos do Arco e nel 1486 Fernão Dulmo ad effettuare
esplorazioni verso occidente, esplorazioni le cui spese erano sostenute da loro stessi, al contrario di
quanto pretendeva Cristoforo Colombo.
Fernando Colombo riferisce inoltre (in accordo con João de Barros) che Re Giovanni II rifiutò
il progetto del genovese solo dopo aver ascoltato il consiglio del dottor Calçadilha (Diogo Ortiz de
Vilhegas). Nonostante ciò, secondo il figlio di Cristoforo Colombo, il Re avrebbe segretamente inviato
una caravella per tentare di scoprire terre ad occidente, che potrebbe corrispondere a quella di Fernão
Domingos do Arco, ma le cui ricerche sono risultate vane. Sarebbe stato nel venire a conoscenza di
questa iniziativa che Cristoforo Colombo si sarebbe infuriato e avrebbe abbandonato il Portogallo.
Tale affermazione è poco attendibile, poiché dal tenore della corrispondenza del 1488 scambiata fra
Cristoforo Colombo e Re Giovanni II possiamo pensare che il rapporto fra i due uomini non fosse
ostile, giacché Cristoforo Colombo fu autorizzato anche a far ritorno in Portogallo verso la fine di
quell’anno con un salvacondotto che il Re portoghese gli aveva concesso. La ragione della partenza
di Colombo nel 1485 si può forse ricondurre al fatto che egli aveva perso la speranza di poter ottenere
dal Portogallo l’appoggio necessario per realizzare il suo progetto di raggiungere Cipango, le Indie o
altre isole, e probabilmente avendo debiti, crebbe in lui la speranza di poter attuare il suo progetto e
trovare la soluzione ai suoi problemi economici andando in Spagna.
Il posto impareggiabile di Cristoforo Colombo nella Storia dell’Umanità deriva dalla sua strenua
difesa della tesi di Paolo Toscanelli che fu respinta da Re Giovanni II, sia quando fu presentata per la
prima volta nel 1474, sia quando egli stesso decise di procrastinarla nel 1483, e quindi per questo,
l’incontro che Cristoforo Colombo ebbe allora con il Re portoghese fu uno degli episodi più importanti
della sua vita durante il periodo di permanenza in Portogallo che, con ragionevole sicurezza, si può
collocare fra il 1476 e il 1485.
Nonostante molti autori abbiano accennato a tale incontro, non si è riuscito a stabilire dove e
quando sia avvenuto, problema che crediamo superato poiché, anche se si può ammettere la possibilità
che Cristoforo Colombo si sia incontrato più di una volta con Re Giovanni II, l’unico incontro
chiaramente riferito e quindi probabilmente il più importante è quello in cui avrà presentato il suo
244
Sull’incontro fra Colombo e il Re Giovanni II: origine e divergenza di due strategie
progetto di viaggio ad occidente. Ciò deriva da quanto ci dice Fernando Colombo a proposito di quanto
letto negli scritti di suo padre: «Il che dice che affermava eziandio lo stesso Re di Portogallo,
ragionando con lui di queste cose».
Nel procedere ad una revisione della documentazione concernente i vari progetti di viaggio
verso occidente, mettendoli in relazione con le intenzioni di Cristoforo Colombo e la politica di Re
Giovanni II, abbiamo incrociato le informazioni che abbiamo a disposizione su questa problematica
e abbiamo trovato un insieme di circostanze che permettono di situare ed inquadrare lo storico incontro
fra Re Giovanni II e Cristoforo Colombo. Crediamo che l’ipotesi formulata possegga la
verosimiglianza che è possibile dedurre da una puntigliosa relazione di documenti tra i quali uno dei
principali è il capitolo che Fernando Colombo scrisse nella biografia del padre, nel quale descrive gli
indizi di terre a occidente che Cristoforo Colombo aveva raccolto, con l’intento di gettare le basi per
il suo progetto di trovare l’Estremo Oriente, dirigendosi verso occidente. Dalle frasi da lui scritte è
possibile verificare che il genovese aveva fatto sua la convinzione dell’esistenza di tali terre partendo
dagli indizi che aveva raccolto, tra i quali quello a cui aveva maggiormente prestato attenzione,
l’esistenza di canne di enormi proporzioni trascinate dai venti di ponente (in realtà correnti marittime)
verso l’isola di Porto Santo. Erano state viste da suo cognato Pero Correia, che l’aveva informato di
ciò. Cristoforo Colombo si convinse che queste canne potessero giungere da qualche isola o isole
situate a ponente, poiché era in quella la direzione che soffiavano i venti e perché né in Europa, né in
Africa, esistevano tali canne. Quando il genovese parlò con Re Giovanni II, gliene riferì l’esistenza.
Anche Bartolomeu de Las Casas menzionò queste canne basandosi sul testo originale in castigliano
di Fernando Colombo (che è andato perso), quando scrive che «y esto mismo dice Cristóbal Colón que
oyó afirmar al Rey de Portugal, hablando con él en estas materias y que el Rey se las mandó mostrar».
Da queste testimonianze si può dedurre che il Re conosceva le canne, che erano state conservate
in un luogo del quale informò Cristoforo Colombo permettendogli di vederle. Si noti, però, che il Re
non aveva dato molta importanza a tale prova di una terra occidentale, sebbene riconoscesse l’interesse
nei confronti di quei curiosi materiali che meritavano di essere conservati.
Il testo di “Las Casas” ci permette di verificare che la traduzione italiana dell’opera di Fernando
Colombo, nonostante gli enormi problemi che queste fonti suscitano, ha mantenuto l’essenza delle
informazioni che si trovavano negli appunti che Cristoforo Colombo ha lasciato, i quali hanno
costituito la base dei testi elaborati da questi autori. L’importanza delle canne per provare l’esistenza
di terre a occidente è stata difesa da altri contemporanei di Cristoforo Colombo (oltre al già citato
Pero Correia), il che, a questo punto, dà anche credibilità alle fonti colombine.
Vediamo ora la trascrizione integrale e lato a lato dei testi in cui viene menzionato l’episodio
dell’incontro di Cristoforo Colombo con Re Giovanni II, sulle canne che provenivano da occidente:
245
José Manuel da Costa Rodrigues Garcia
Va evidenziato, inoltre, il fatto che Cristoforo Colombo ricorre all’autorità di Tolomeo (che già
conosceva nel 1483), per sostenere l’origine orientale delle canne che venivano da Occidente.
Le canne che tanto interessavano a Cristoforo Colombo furono avvistate qualche tempo dopo,
tra il 1484 e il 1490, da Martin Behaim, un tedesco arrivato in Portogallo nel 1484 e che lì si era
sposato con Joana de Macedo, figlia di Jos Dutra, capitano dell’isola del Faial, e da Geronimo Münzer
nel 1494.
Anche se non vi sono prove di tale incontro, è plausibile l’ipotesi che Cristoforo Colombo abbia
incontrato Martin Behaim prima che questi lasciasse il Portogallo e che avessero scambiato opinioni
sulla tesi di Paolo Toscanelli, giacché entrambi la difendevano. Quel che è certo è che nel 1486 Martin
Behaim era impegnato a partecipare al progetto di Fernão Dulmo e João Alfonso do Estreito, che
mirava alla realizzazione di un lungo viaggio per cercare l’isola delle Sette Città ad occidente, nel
1487, ma che non si concretizzò.
Nella Primavera del 1490, Martin Behaim partì per Norimberga allo scopo di occuparsi degli
affari di famiglia, ma durante la sua permanenza nella città natale, durata tre anni, utilizzò il tempo per
dirigere la costruzione di un famoso globo, nel 1492 (dove traspare la teoria di Toscanelli), divulgare
informazioni sulle scoperte portoghesi a Schedel (che registrò nella denominata Cronaca di
Norimberga), e impegnarsi per far sì che l’imperatore Massimiliano intercedesse con suo cugino Re
Giovanni II affinché questi appoggiasse un viaggio verso occidente da lui capitanato. Solo così si
spiega la lettera di Geronimo Münzer della quale faremo menzione.
Così com’era successo a Cristoforo Colombo, si deve pensare che Re Giovanni II, prima del
1490, non avesse fornito a Martin Behaim i mezzi dei quali egli necessitava per portare a termine
questo progetto che preferibilmente passava per la via occidentale per raggiungere l’India invece di
contornare l’Africa, come preferivano Re Giovanni II e i suoi consiglieri.
Quando Martin Behaim ritornò in Portogallo dopo il 14 luglio 1493, portava con sé una lettera
scritta da Geronimo Münzer (il Monetarius) con la data di quel giorno, dove esprimeva parere
favorevole alle richieste di Martin Behaim e difendeva la suddetta tesi, senza considerare che a quel
punto il progetto era già stato concretizzato da Cristoforo Colombo. Per questo fine si ricorreva ad
argomenti che costui gli aveva fornito per sostenere la tesi dell’esistenza delle terre ad occidente. Tra
gli indizi in questo senso si prospettava, così come aveva già fatto Cristoforo Colombo, l’esistenza di
«canne che la tempesta lancia dalla spiaggia d’Oriente alle spiagge delle isole delle Azzorre».
Geronimo Münzer, che fino allora non si era recato in Portogallo, non poteva aver fatto riferimento
alle canne e al contesto nel quale ad esse si riferisce senza le informazioni che Martin Behaim gli
aveva fornito. Geronimo Münzer andò in Portogallo solo nel 1494 partendo da Norimberga e arrivando
il 16 Novembre di quell’anno ad Evora, dove si trovava Re Giovanni II, con il quale s’incontrò. Il Re
lo ricevette molto bene intrattenendosi con lui lungamente su vari argomenti riguardanti le Scoperte
Portoghesi per le quali Geronimo Münzer mostrava particolare interesse.
Durante queste conversazioni, il tedesco potrebbe aver accennato alle citate canne delle quali gli
aveva parlato Martin Behaim e che aveva menzionato nella lettera scritta al Re l’anno precedente.
Quando Geronimo Münzer si diresse a Lisbona con un’autorizzazione regia per vedere tutto ciò
che desiderava, tra gli oggetti che maggiormente risvegliarono la sua curiosità risultarono le famose
canne delle quali ci siamo occupati e alle quali egli si riferisce nel brano del suo Itinerário che di
seguito traduciamo:
«Domenica, che era l’ultimo giorno di Novembre, andammo a Santa Maria da Luz, che si trova
a un miglio da Lisbona, ed è molto conosciuta per i suoi miracoli. (…) Vedemmo anche canne, di
quelle che la tempesta lancia da Oriente verso le isole di Madeira e del Faial. Ne vedemmo due, una
delle quali misurava 16 palmi e aveva lo spessore del mio polso, gli internodi avevano la lunghezza
di un braccio. Per questo credo in ciò che dice Plinio nel libro VI sulla dimensione delle canne».
Ancora una volta siamo di fronte alle stesse canne che tanto entusiasmavano i difensori della tesi
dell’esistenza di terre orientali ad occidente, come Cristoforo Colombo e Martin Behaim.
246
Sull’incontro fra Colombo e il Re Giovanni II: origine e divergenza di due strategie
247
José Manuel da Costa Rodrigues Garcia
seguì nel 1492-1493. Alcune delle ricerche e dei progetti di ricerca che intendevano scoprire l’isola
Antilia o delle Sette Città, avrebbero potuto prendere in considerazione la tesi di Paolo Toscanelli, ma
non essendo gli scopi di tali ricerche molti chiari, preferiamo non menzionarli in questa sede.
Cristoforo Colombo, proseguì per la Spagna (ndt. nel testo originale manca la destinazione,
Spagna è stato aggiunto per deduzione) e presentò il suo piano ai Re Cattolici che nel 1487 lo
rifiutarono. È ammissibile che di fronte al nuovo insuccesso, abbia chiesto autorizzazione a Re
Giovanni II per far rientro in Portogallo, forse con la speranza, una volta tornato, di poter presentare
con successo il suo piano, dopo il fallimento del viaggio di Diogo Cão conclusosi nel 1486 e durante
il quale non era stato possibile scoprire il tanto sospirato passaggio verso l’oceano Indiano che nel 1484
sembrava sul punto di essere raggiunto. Forse è stato allora che Cristoforo Colombo chiese nuovamente
a Re Giovanni II di riesaminare la sua proposta e lasciarlo tornare in Portogallo; il Re portoghese
autorizzò il suo ritorno con una lettera del 20 Marzo 1488 nella quale esprimeva stima nei confronti
del genovese. La possibilità che qui enunciamo parrebbe perseguibile se riconosciamo essere di suo
pugno la postilla apposta nel suo esemplare della Imago Mundi, dove afferma di avere presenziato
all’arrivo di Bartolomeu Dias a Lisbona nel Dicembre del 1488. Il successo ottenuto da questo
scopritore che era riuscito a doppiare il capo di Buona Speranza permettendo così l’accesso all’oceano
Indiano, anche se non ebbe un seguito immediato di altri viaggi, finì per distruggere l’eventuale ed
effimera speranza per Cristoforo Colombo di riuscire a portare a termine il suo progetto in Portogallo
e di fare cambiare orientamento a Re Giovanni II riguardo alla sua tradizionale strategia della via
africana. Quindi, a causa degli eventi, dovette ritornare in Spagna dove nel 1492 fu infine appoggiato
dai Re Cattolici nella realizzazione del suo bramato viaggio verso occidente, anche non sapendo che
non avrebbe raggiunto l’Asia, bensì un Nuovo Mondo.
248
GIANFRANCO RIBALDONE
A torto si ritiene che l’indicazione delle fonti d’archivio abbia unicamente la funzione di
giustificare la veridicità di una ricostruzione storica.
In realtà (e questo non sia considerato un paradosso) non sono le fonti al servizio della ricerca,
ma l’esatto contrario: il più prestigioso obiettivo che una razionale indagine possa conseguire è la
valorizzazione dei fondi archivistici su cui è “fondata”. Far sentire la presenza di una fonte significa
anche comunicare il senso critico e dilemmatico della ricostruzione storica. Il valore culturale di tale
operazione è potenzialmente immenso, aprendo nuovi orizzonti archivistici. Quando uno studio è
innervato da una rete capillare di molteplici fonti, anziché da un numero limitato di soggetti produttori,
è meno esposto al rischio (sempre comunque incombente, soprattutto in indagini di questo tipo; la
storia delle ricerche colombiane docet) di considerare, per così dire, “autoreferenziato” un documento.
La storia di una famiglia porta con sé, come la scia di una cometa, il contesto socio-culturale in
cui la vicenda si è svolta. La ricostruzione storica della ventura tre e quattrocentesca dei nobili
Colombo del castrum di Cuccaro fa riemergere la navicella su cui gli stessi navigarono nel corso di
due secoli: il monferrino marchesato paleologo. Il momento più tempestoso, gli anni 1432-1453,
durante e dopo l’occupazione viscontea fino alla grave crisi nei rapporti con lo Sforza, fu anche il più
fecondo per la storia della famiglia, quello in cui sul background paleologo (i Colombo monferrini
occupavano una posizione preminente all’interno della corte, con importanti rapporti parentali ed
ospitali dalla Borgogna alla Liguria) s’innestarono esperienze nuove, come quella con Renato d’Angiò.
Ad una storia così complessa si accompagna la storia di una ricerca. Per essa rimando
all’introduzione del secondo mio studio qui pubblicato, Traccia biografica su Cristoforo Colombo
fino al gennaio 1492: documenti e riflessioni per tracciare un discrimen tra congettura e certezza; nella
medesima introduzione è contenuta anche una sintesi delle vicende quattrocentesche della famiglia
Colombo di Cuccaro.
Nella prima parte del lavoro che segue, ho raccolto in regesti i documenti in cui compaiono i
nostri Colombo, le carte finora rinvenute dalle origini fino a tutto il Quattrocento; inoltre sono stati
oggetto di regesto i documenti contenenti anche solo il nome di Cuccaro, dalle origini fino a tutto
il Trecento. Nel corpo della documentazione sono inclusi i regesti editi in GIANFRANCO RIBALDONE,
I discendenti di Lancia Colombo di Cuccaro negli atti notarili del secolo XV - Ricerca, regesto,
ragionamento, in «Atti del Congresso Internazionale Colombiano “Cristoforo Colombo, il Piemonte
e la scoperta del Venezuela”, Torino 27 marzo 1999 - Cuccaro Monferrato 28 marzo 1999», Cuccaro
2001, pp. 175-291. Il complesso è ordinato in senso cronologico.
La seconda parte è costituita da una serie di tabelle genealogiche che fungono nel contempo da
indice analitico: l’albero si alimenta dei documenti che la ricerca finora gli ha restituito. Horror vacui
è il sentimento che mi opprime quando incontro alberi di famiglia non documentati.
Un ringraziamento particolare alla prof.ssa Angelica Valentinetti e alla dott.ssa Maria Elena
Ingianni per i preziosi documenti che mi hanno inviato fotoriprodotti, frutto delle loro indagini
all’interno dell’Archivo Histórico Nacional di Madrid.
249
Gianfranco Ribaldone
Regesti
250
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
beni e i luoghi tenuti da uomini e domini per facoltà ricevuta da parte del marchese, vi sono i beni in
Bulgaria e nel castrum di Mons Capralis tenuti da Giacomo di Fubine, i luoghi di Bulgaria e di
Mons Capralis tenuti dai domini de Valle et Columbi, i beni che i medesimi tengono in altri luoghi
(in aliis locis), la terza parte di Cuccaro tenuta da Guglielmo Pellucca.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Ducato del Monferrato, Ducato del Monferrato, m. 2 da inventariare, n. 11,
pergamena.
Edizione in P. CANCIAN, La carta di mutuo di Guglielmo VI di Monferrato a favore di Federico II. Un contributo paleografico alla
toponomastica piemontese, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», anno LXXXI (1983), 2° semestre, pp. 732-739]
1306 (e 1307)
Negli Statuta comunis Ruxignani la disposizione intitolata “ne aliquis possit ponere nec tenere in
platea comunis lapides letamen lignamina nec aliquod aliud per quod impediatur ipsa platea” è
251
Gianfranco Ribaldone
seguita dall’indicazione degli estremi della piazza (platea), che inferius inizia dal cantone dei Pantani
e di Gagliardo Columbus.
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI ROSIGNANO, codice pergamenaceo databile intorno al 1342-1343 per i primi 63 fogli (tra questi, i
primi 43 fogli costituiscono parziale copia degli Statuta Comunis Ruxignani deliberati nel 1306 e raccolti in volume nel 1307, di cui
manca l’originale), ff. 23v-24r (i sette fogli dell’indice non sono numerati).
Edizione in A. BARBATO, P.L. Muggiati, Statuta Ruxignani, Rosignano Monferrato 2002, p. 40, cap. 98]
1307
Accompra del Signor Teodoro Gagliardo Colombo da Ferraro Colombo di Cuccaro di stara 12 terra
su le fini d’esso luogho.
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI CASALE MONFERRATO, Archivio Dalla Valle, 277, 7, Filza duodecima costituita da regesti di Casa
dalla Valle compilati nel Settecento, regesto n. 47]
1311, giugno 12
Gialneo de Poncio d’Asti dona a Paganino Columbus di Cuccaro (de Cucharo) vari beni posti nel
territorio di Calliano.
Tra i testimoni sono presenti Ferrario Columbus, dei domini di Cuccaro; Alberto de Alba; Guglielmo
Bocius [le condizioni della pergamena non permettono di leggere gli altri nomi]
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Paesi per A e B, lettera C, m. 3, pergamena mutila, copia estratta dai protocolli del notaio
Francesco Dona di Lu a cura del notaio Antonio Dona di Lu]
1314, giugno 9
[pergamena in cui risultano leggibili, qua e là, singole espressioni, come domina Germana, uxor
quondam domini Benedicti Columbi]
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI CASALE MONFERRATO, Archivio Dalla Valle, 685, 4, pergamena]
252
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
saggi, eletta quel giorno e il giorno seguente dal marchese tra nobili da una parte e populares dall’altra,
ripartisce tra le comunità monferrine il carico della milizia. Al comune e agli uomini di Cuccaro
(Dominis et hominibus Cuchari) è imposto di mettere a disposizione una militia, cioè un uomo armato
a cavallo, accompagnato dal relativo aiutante.
[Edizione in A. BOZZOLA, Il Parlamento del Monferrato, Bologna 1926, pp. 14-21, a sua volta (con alcune emendationes) da B.
SANGIORGIO, Cronica, a cura di G. Vernazza, Torino 1780, pp. 110-115]
253
Gianfranco Ribaldone
Monferrato, datato 23 settembre 1341, ratifica che lo scritto non è né viziato né sospetto, lo fa
trascrivere con il privilegio ottoniano del 16 febbraio 960 a favore di Pietro, Giovanni e Alessandro
ivi contenuto, decreta infine che la suddetta trascrizione abbia la stessa fede dell’originale.
[ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejo de Indias, legajo 21815, pieza 72, ff. 1r-3v, copia membranacea.
Edizione in V. DE CONTI, Dissertazione storico-critica-letteraria sul grande ammiraglio Cristoforo Colombo scopritore delle Indie
Occidentali, consignore del castello di Cuccaro in Monferrato, Alessandria 1847, pp. 248-250 e, per il privilegio, pp. 246-248; tale edizione,
da un estratto settecentesco, manualmente segnato dal notaio Giovanni Francesco Saletta, contiene la data errata del 10 gennaio 1341]
1355, maggio 10
L’imperatore Carlo IV dona a Giovanni, marchese di Monferrato, città, castelli, ville e luoghi in
Monferrato, tra cui Cuccaro (Cucharum), come anche tutti quelli tenuti e posseduti dai discendenti di
Aleramo, inoltre le fedeltà dei marchesi del Carretto, Ceva, Cravesana, del Bosco, Ponzone, Busca,
Garessio ed Incisa, tutti discendenti dal suddetto Aleramo, con i luoghi e i castelli posseduti dai conti
di Masino, di Cavaglià, di Valperga e di San Martino.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Materie ecclesiastiche, Arcivescovadi e vescovadi, Vercelli, m. 1, estratto da copia cartacea del
17 marzo 1684]
254
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1369, novembre 17
Il vescovo Guido cita Cuccaro come facente parte nostrae Aquensis diocesis.
[G.A. CHENNA, Del Vescovato, de’ Vescovi e delle Chiese della Città e Diocesi d’Alessandria, I, Alessandria 1785, p. 159]
1376, novembre 26
Simone de Paucaparte, figlio del fu Manfredo, dei domini di Cuccaro, vende al nobile vir Lazzarino
Columbus, dei domini di Cuccaro, la dodicesima parte del castrum o Motta, degli uomini, della villa,
del podere e della signoria di Cuccaro vecchia (Cuccari veteris).
[Il riferimento a tale vendita è contenuto nell’atto del 17 dicembre 1376, edito in V. DE CONTI, Dissertazione storico-critica-letteraria
sul grande ammiraglio Cristoforo Colombo scopritore delle Indie Occidentali, consignore del castello di Cuccaro in Monferrato,
Alessandria 1847, pp. 250-253]
255
Gianfranco Ribaldone
1388, novembre 24
Il collettore ed esattore del tributo (talea) deciso dal parlamento generale riunitosi a Moncalvo il 4
settembre 1388 dichiara di aver ricevuto da Alberto Gaveornus di Cuccaro (de Cucharo) la somma
di 6 fiorini, quale prima rata (primus terminus) del tributo imposto al paese di Cuccaro.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 1 di 1a addizione, n. 1, Liber talee, ff. 39v-40r]
1389, febbraio 26
Il collettore ed esattore del tributo (talea) deciso dal parlamento generale riunitosi a Moncalvo il 4
settembre 1388 dichiara di aver ricevuto da Alberto Gaveornus di Cuccaro (de Cucharo) la somma
di 6 fiorini, quale seconda ed ultima rata (secundus terminus) del tributo imposto al paese di
Cuccaro.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 1 di 1a addizione, n. 1, Liber talee, ff. 39v-40r]
1393, febbraio 13
Teodoro, marchese di Monferrato, investe Nicolino, denominato Berrettino, figlio di Lazzarino, di
Cuccaro, suo familiare, della settima parte della Motta di Cuccaro.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 18 di 2a addizione, n. 2, f. 1r, regesto contenuto nell’Indice
della filza che contiene gl’Istromenti, e scripture di casa Colomba di Cuccaro da tutto 1599 retro, trascrizione posteriore all’anno 1708
di un Indice la cui prima stesura risale all’anno 1600 o non molto dopo]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
6 fiorini;
Chiesa la campana della torre del castrum di Cuccaro, che dovrà essere
di S. Maria de prelio: collocata presso la chiesa, ma che in tempo di guerra dovrà essere
ricollocata sulla torre;
25 fiorini che, entro un anno dal giorno della morte del testatore,
dovranno essere distribuiti, secondo il consiglio e la disposizione del
dominus priore di S. Martino di Alessandria, dalla suddetta
poveri di Cristo:
Bartolomea o, se costei non fosse più in vita, da Martina, sorella del
testatore o, se anche costei non fosse più in vita, dai sottoscritti eredi
del testatore, pena la perdita dell’eredità;
convento dei frati 6 fiorini, per ottemperare alla volontà del fu dominus Enrico, padre
predicatori di Alessandria, del presente testatore, che li lasciò a frate Gerardo Coja, pro una
dell’ordine di San Marco: capa;
257
Gianfranco Ribaldone
Giovannina e Giacomina, 400 fiorini d’oro a testa; se esse moriranno nubili, toccheranno a
figlie del testatore: Nicolino, Franceschino, Stefano, Domenico, Giovanni;
Il marchese di Monferrato e Bartolomea, moglie del testatore, saranno tutori dei figli e delle figlie del
testatore. Sono presenti come testimoni il dominus Francesco Agatia di Vercelli, figlio del fu Paolo; il
dominus presbiter Guglielmo Ferrarius, pievano di Rosignano; Giovanni Pietro di Camagna;
Baldassarre de Vinzino, figlio del fu Tommaso; Pietro Arbaldus di Villadeati; Bartolomeo de Nigris
di Burantio (sic; Buronzo?), figlio di Giuliano Testore; Lorenzo Scalma e Nicolino de Sancto Joanne,
entrambi di Rosignano; Giacomo Garronus di San Giorgio e abitante a Rosignano.
[ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejo de Indias, legajo 21815, pieza 72, ff. 5-11, copia cartacea estratta dai protocolli del
notaio Ardicino Gagliardo di Rosignano.
Edizione in G. CASARTELLI COLOMBO DI CUCCARO, Le scoperte colombiane e il Piemonte. In particolare il testamento di Lancia Colombo
di Cuccaro, in «Atti del Congresso Internazionale Colombiano “Cristoforo Colombo, il Piemonte e la scoperta del Venezuela”, Torino
27 marzo 1999-Cuccaro Monferrato 28 marzo 1999», Cuccaro 2001, pp. 322-324]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1411, maggio 14
[Lettera di Teodoro, marchese di Monferrato, capitano di Genova]
Teodoro assegna al nobile suo scudiero Berrettino de Cucharo la facoltà di cedere in affitto o in
enfiteusi perpetua tutte le case e i terreni esistenti nella giurisdizione della città di Acqui, ad nos et ad
castrum nostrum spectantes et pertinentes, alle persone e alle condizioni a cui Berrettino sembrerà
opportuno cederli, pro utilitati camerae nostrae.
[Edizione in R. PAVONI, Le carte medievali della chiesa d’Acqui, Bordighera 1977, pp. 507-511, atto del 28 agosto 1411 contenente la
trascrizione della suddetta lettera]
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Gianfranco Ribaldone
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1419, settembre 8
Berrettino, Francesco, Stefano, Domenico e Giovanni, fratelli di Cuccaro, con atto del notaio
Giovanni Carena di Casale vendono ad Antonio e Ludovico di Frassinello porzioni del castello e delle
ragioni feudali di Frassinello.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Descrizione città e terre del Saletta, m. 2 (Giacomo Giacinto Saletta, Ducato
del Monferrato descritto, vol. I, parte 2a), f. 468r]
261
Gianfranco Ribaldone
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
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Gianfranco Ribaldone
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
Moncalvo, registrata dal notaio Francesco de Dagnis di Moncalvo il giorno 29 gennaio 1424) cede a
Guglielmo de Cellis due pezze di terra, il cui valore complessivo è equivalente a 100 fiorini: una pezza
di terra affilagnata e di canneto e di vigna (peciam unam terrae affilariatae et caneti et vineae
simultenentem), sita nel territorio di Moncalvo, dove si dice Ad nosetum o Ad Sanctum Martinum;
un’altra, di vigna e di canneto, dove si dice Ad vangum.
Sono presenti come testimoni il nobile Francesco de Ferraris di Vigevano e Giovanni de Alamania,
entrambi abitanti a Moncalvo; Antonio de Camerano, figlio del fu Giacomo, di Moncalvo.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 1879, notaio Riccardo Fornari]
265
Gianfranco Ribaldone
Sono presenti come testimoni il nobile Giovanni de Cucharo, Francesco Bochasola di Calliano,
Giacomo de Sanicho di Tonco.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 1879, notaio Riccardo Fornari]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
viri domini Mafiolo de Serenio, iuris utriusque doctor ed Enrichetto Nata, legum doctor, vicari
dell’illustre dominus marchese. [ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Protocolli, 1, notaio Louis Tisson
(Ludovico Tizzone), ff. 63v-64r]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1428, febbraio 13
Teodoro e Ubertone, fratelli gemelli e Vicodisino [corrige: Teodorino] tutti figlij del quondam
spectabilis militis domini Berrettini de Cuccaro a nome proprio, e di Felice, Giovanni Giacomo,
Gabriele, e Giovanni [corrige: Giovanni Berrettino] furono investiti del castello di S. Giorgio e di
tutti gli altri castelli e proprietà che aveva in feudo il fu Berrettino soddetto.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 18 di 2a addizione, n. 2, f. 2r, regesto contenuto nell’Indice
della filza che contiene gl’Istromenti, e scripture di casa Colomba di Cuccaro da tutto 1599 retro, trascrizione posteriore all’anno 1708
di un Indice la cui prima stesura risale all’anno 1600 o non molto dopo]
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Gianfranco Ribaldone
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
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Gianfranco Ribaldone
del fu generosus vir dominus Pietro), segretari dell’illustrissimo principe ed eccellente dominus duca
di Milano e di Pavia e conte di Angleria e dominus di Genova, avendo in feudo dal duca i beni di
Ozzano, Camagna, Conzano e Cuccaro, siti nelle parti di Monferrato, con i loro territori, pertinenze
e giurisdizioni, come da pubblico atto rogato da Donato de Ciresa di Erba, notaio di Milano, eleggono
loro procuratore il dominus Petrolinus de Verazonibus (figlio del fu dominus Franzolio) perché prenda
corporale possesso di tutti i beni esistenti nei suddetti luoghi, per stipulare qualsivoglia patto, per
confiscare i beni tanto dei ribelli quanto dei non ribelli (tam rebellium quam non rebellium) esistenti
nei suddetti luoghi. Sono presenti come testimoni Agostino de Biffignangis, figlio del dominus
Ubertino e Simone de Bellatiis, figlio del fu dominus Flisianio, abitanti nella terra di Vigevano;
Giovanni de Sallamonibus, figlio di Nulino, abitante a Vercelli; Gioacchino de Tadonibus, figlio del
fu dominus…; Giovanni Domenico, frate di Arcore, figlio del dominus Antonio.
[ARCHIVIO DI STATO DI MILANO, Archivio ducale visconteo-sforzesco, Registri ducali, 30, ff. 213r-214v]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
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Gianfranco Ribaldone
[La stesura del rogito s’interrompe con l’elenco dei testimoni. Nel margine superiore del foglio la
medesima mano ha scritto: Ratificatio facta per Felicem et Johannem Jacobum fratres de Chucaro]
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Protocolli, 4, notaio Antoine Tisson (Antonio Tizzone), f. 59r]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
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Gianfranco Ribaldone
Stropinus di Lu) a nome anche degli egregi Franceschino e Domenico, fratelli de Columbis di
Cuccaro, e Apollonio, nipote dei suddetti Franceschino e Domenico, vende per 30 ducati d’oro al
nobile Teodorino de Columbis di Cuccaro, figlio del suddetto Berrettino e fratello suo, tutto quanto
essi hanno nel territorio di Giarole o di Pomaro.
Sono presenti come testimoni gli egregi Pietro de Doliano, dei marchesi di Saluzzo, e Giacomo de
Gabiano, scutiferi dell’illustre princeps ed eccellente dominus Giovanni Giacomo, marchese di
Monferrato; Pietro Zambrerius, scutifer dell’illustre ed eccellente domina marchesa.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Protocolli, 3, notaio Benedictus, ff. 9r-9v]
1440, novembre 9
L’eccellente dominus Traiano Caraciolus (Caracciolo), duca di Melfi e conte di Avellino, incaricato da
Renato d’Angiò, re di Gerusalemme e di Sicilia, di concludere una tregua generale con Alfonso, re
d’Aragona, ben conoscendo la lealtà, la prudenza, il valore del nobilis vir Luchino de Cuccharo detto
“Scaramuchia de cornu”, familiaris dell’illustre dominus duca di Milano, gli dà procura speciale a
rappresentarlo presso Alfonso nelle trattative per la tregua suddetta, secondo le disposizioni contenute
in un memoriale.
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI CASALE MONFERRATO, Archivio Dalla Valle, 687, 6, pergamena]
1441, aprile 7
Luchino Colombo di Cuccaro quondam Isangrino, et Apollonio Colombo fu Steffano espongono la
morte del lor Padre in tempo di loro absenza e chiedono esser investiti come lo erano li loro Padri.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 18 di 2a addizione, n. 2, f. 2r, regesto contenuto nell’Indice
della filza che contiene gl’Istromenti, e scripture di casa Colomba di Cuccaro da tutto 1599 retro, trascrizione posteriore all’anno 1708
di un Indice la cui prima stesura risale all’anno 1600 o non molto dopo]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
da Giovanni Giacomo, marchese di Monferrato, 2000 fiorini (23 ambrogini per ogni fiorino) in moneta
di Monferrato, per la vendita della terza parte di cascina Montegius, sita nel territorio di Ozzano.
Sono presenti come testimoni gli spettabili Giovanni Bartolomeo de Carreto, dei marchesi di Savona;
il consigliere Bartolomeo de la Sala, camerario del marchese; Giovanni Novello de Blandrate, chiavaro
di Pontestura.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Protocolli, 5, notaio Antoine Tisson (Antonio Tizzone), ff. 61r-61v]
277
Gianfranco Ribaldone
Zanollo, abitante a Cuccaro; Firmo Grassus, di Castronovo, abitante a Cuccaro; Martino de Cantono,
figlio di Bertramo, di Milano.
[ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejo de Indias, legajo 21476, pieza 71, n. 3, f. 4r, copia cartacea estratta dai protocolli
del notaio Cristoforo de Pavonibus e autenticata dal vicario vescovile Prospero della Torre il 4 ottobre 1582]
1444, gennaio 24
Domenico Columbus, figlio del fu dominus Lancia, dei nobili di Cuccaro, consapevole del proprio grado
e caso (cognoscens gradum et casum suum), ha deciso di accogliere a figlio adottivo (deliberavit velle
recipere… in eius filium adoptivum) il nobile Luchino Columbus, figlio del fu nobile Antonio, alias
Isangrino, del consortile e dei nobili di Cuccaro. Ha già ricevuto il consenso di tutti i nobili e consorti
del castrum di Cuccaro. Tuttavia non può e comunque non vuole senza il consenso del marchese attuare
tale adozione, che egli ritiene a sé molto proficua e al marchese medesimo foriera di grandissimo utile.
Perciò supplica Giovanni Giacomo, marchese di Monferrato, che dia il suo consenso a tale adozione.
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI CASALE MONFERRATO, Archivio Dalla Valle, 690, 1, supplica di Domenico Colombo al marchese di
Monferrato, il cui estratto è contenuto nella risposta del marchese medesimo datata 24 gennaio 1444.
Edizione in B. FERRERO, Da Domenico Colombo a Rolando Dalla Valle. Personaggi e strategie familiari della nobiltà monferrina tra
corte e contado, nei secoli XV e XVI. Parte prima, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria e Asti», CXV.2,
2006, pp. 268-269, nota 32]
278
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1445, maggio 3
Sentenza arbitramentale del venerabile dominus frate Teodoro dell’ordine della sacra casa di San
Giovanni gerosolimitano, e dei nobili viri Franceschino e Ferrarino, tutti appartenenti al consortile
del castrum di Cuccaro: al nobile Luchino, figlio del nobile vir Antonio Columbus detto Isangrino,
viene riconosciuto il possesso della porzione del castrum di Cuccaro che aveva in feudo nobile e
gentile. La suddetta sentenza viene ricevuta e messa per iscritto in pubblica forma da Antonio
Stropinus, notaio di Lu.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Protocolli, 5, notaio Antoine Tisson (Antonio Tizzone), ff. 179r-179v, sentenza
arbitramentale citata nell’atto d’investitura rogato nel castrum di Casale il 1o luglio 1446]
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Gianfranco Ribaldone
280
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
cavalli vivi, et oltra cio portandose lui li venira dreto tanti homini darme che fra li suoi e li altri,
menera sego ccto homini darme senza falla. Il che saria una strania botha a nemici… Io ho voluto
intendere per la grande dificultate che haveti del dinaro, per questo se porria levare, e condure el s.
guliermo. Et finaliter crede lui se conduria per sei millia ducati e mancho, e quando li dixi non lo
porresti fare me disse sperava, el S. Misser lo marchexe se doleria anchora lui de qualche parte. E
sopra questo io ne ho facto alcuna parola cum lo magnifico M. Nicola macco».
Si lamenta poi che gli si dia niente; che anche quelle due «potestariolle» di Montaldo e Retorbio, che
gli avea concesso «zobia passata», e che non rendevano «in tuto oltra XII o XIII lo messe», sieno
state sospese per ordine di Cicco ed Antonino Guidobono. Quindi che era costretto a far cattiva figura
cogli amici, a cui voleva far cosa grata; che però sarebbe sembrato «uno bosadro». Soggiunge che
avendo ricevuto a favore del fratello il Capitanato di Casteggio, ne facesse pure anche di questo quel
che volesse, onde ricompensare altri suoi fedeli servitori.
Sceva de curte.
[Edizione in F. GASPAROLO, Carte alessandrine dell’Archivio di Stato di Milano, sezione “Carteggio documenti diplomatici”, Alessandria
1903, pp. 189-190, doc. MDIX]
281
Gianfranco Ribaldone
1451
1491 [corrige: 1451] Investitura del marchese Gioanni: investe Luchino Colombo figlio del fu
Domenico, e Apolonio figlio di Stefano.
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI CASALE MONFERRATO, Archivio De Conti, Regesto di Investiture della Casa Colombo, 54, 261]
282
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
dominus Ludovico), suo cancelliere, tutti i diritti di tassazione, sussidi e servitù sul feudo di Ponzano.
Sono presenti come testimoni gli spettabili e nobili dominus Giorgio de Carreto, dei marchesi di
Savona, legum doctor e consiliarius marchionale; Raffaele de Busseto, legum doctor e consiliarius
marchionale; Nicolino de Altavilla, consiliarius marchionale; Apollonio de Cucharo, familiaris del
marchese.
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI CASALE MONFERRATO, Archivio Dalla Valle, 294, 1]
283
Gianfranco Ribaldone
che gli volevamo dare III m. duc. el mese, como credemo che quello Ill. S. Duxe debbia havere inteso…»
[ARCHIVIO DI STATO DI MILANO, Missive, 13, ff. 296r-297v.
Edizione in F. FOSSATI, Rapporti tra Milano, Monferrato e Francia nel 1452, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di
Alessandria e Asti», XLIII.1, 1934, pp. 87-88]
1453, gennaio 30
Felice Colombo acquista da Lorenzo Vero la metà di un mulino sul fiume Po.
[documento citato in B. FERRERO, Da Domenico Colombo a Rolando Dalla Valle. Personaggi e strategie familiari della nobiltà
monferrina tra corte e contado, nei secoli XV e XVI. Parte seconda, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria
e Asti», CXVI.2, 2007, p. 314, nota 13.
La collocazione archivistica indicata è ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2845, notaio Francesco
Pelizza]
284
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1454, luglio 27
Felice Colombo presta la sua fideiussione al marchese per il pagamento di 200 ducati a Onorato di Bari
“pro custodia castri Sancti Salvatoris”.
[documento citato in B. FERRERO, Da Domenico Colombo a Rolando Dalla Valle. Personaggi e strategie familiari della nobiltà
monferrina tra corte e contado, nei secoli XV e XVI. Parte seconda, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria
e Asti», CXVI.2, 2007, p. 314, nota 13.
La collocazione archivistica indicata è ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2845, notaio Francesco
Pelizza]
285
Gianfranco Ribaldone
Chiesa
di S. Maria 10 fiorini in remissione dei propri peccati; inoltre 10 fiorini per acquistare un calice;
de prelio:
286
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
la dote materna del valore di 1600 fiorini di Monferrato (23 ambrogini per ogni fiorino) consistente
nei seguenti beni:
Terreno Nome Confinanti
ad Bulletam o via comunale; testatore;
terra aratoria di 12 m. in Gambono nobile Luchino Columbus
Ferrarino Columbus; eredi
terra con due filari, di 2 m. in Gambono del nobile Domenico Columbus
Ferrarino Columbus; eredi
terra e prato, di 8 m. ad Brunellam del fu Pietro Columbus
ad montem via comunale; eredi del fu
terra aratoria, di 4 m. Carletum Pietro Columbus
nobile Ferrarino Columbus;
terra aratoria, di 3 m. in Tagliaveijra Ruffino Gaviornus
eredi del fu nobile Biagio
pezza di terra, di 2 m. e 4 s. ad Pullentam Columbus; via pubblica; testatore
pezza di terra, di 5 m. ad Pullentam via pubblica; testatore
eredi del fu Biagio Columbus; eredi
nobili pezza di terra, di 1 m. e 1 s. in Tagliaveijra del fu Germano Columbus
Colombino
e Giobbe, eredi del fu Biagio Columbus; eredi
pezza di terra, di 3 m. in Tagliaveijra del fu Pietro Columbus
figli
legittimi pezza di terra, di 1 m. e 4 s. ad montem... via vicinale
del via comunale; chiesa de Geresolis;
testatore pezza di terra, di 3 m. in Geresolis eredi del fu Biagio Columbus
e della fu
pezza di terra con filari, ad putheum nobile Apollonio Columbus;
nobile di 3 m. de Valonia Ferrarino Columbus; via pubblica
Caterina
de Villeta pezza di terra con 4 filari e Nicolino Testa; via pubblica;
vigna, di 4 m. in Vua chiesa
di
Bergondia eredi del fu Biagio Columbus;
prato, di 12 m. la comunia via pubblica; Grana
(sic):
In prato Sancti biale; eredi del fu Biagio
prato, di 7 m. Martini inter biale Columbus; eredi del fu Germano
et Granam Columbus
ad putheum de eredi del fu Pietro Columbus;
canepale, di 2 s. eredi del fu Germano Columbus
Valonia
Nicolino Testa;
canepale, di 2 s. ad Vaudissam nobile Luchino Columbus
via comunale; eredi del fu
sedime con orto, canepale ad Motam o Germano Columbus; Nicolino
ed edifici, ad Morellam Testa; Sanctus Johannes
eredi del fu Biagio Columbus;
sedime con cascina ad castrum via verso il nobile Gabriele e
Ferrarino de Columbis; testatore
eredi del fu Biagio Columbus;
sedimi retro casinas Colombino e Giobbe; testatore; via
comunale
287
Gianfranco Ribaldone
restituzione della dote di 800 fiorini di Monferrato (23 ambrogini per ogni fiorino) consistente nei
seguenti beni:
Terreno Nome Confinanti
via comunale; dominus Facino de
pezza di terra ad Buletam Trovamalis, di Sale (sic); nobili
Colombino e Giobbe de Columbis
Ferrarino Columbus;
pezza di terra, di 4 m. in Gambono
eredi di Pietro Columbus
via comunale; eredi del fu Biagio
pezza di terra, di 2 m. e 4 s. ad Pullentam Columbus; nobili Colombino
e Giobbe
nobili Colombino e Giobbe;
pezza di terra, di 5 m. ad Pullentam
via comunale
nobile Apollonio Columbus;
pezza di terra, di 3 m. ad Vaudissam
nobile Ferrarino Columbus
terra con tre filari, di 4 m. ad Loglam via comunale, eredi del fu Musono
nobile in prato nobile Gabriele Columbus;
prato di 6 s.
domina Sancti Martini via comunale
Elenetta, nobile Apollonio Columbus;
moglie prato di 3 m. in Casanova
nobile Luchino Columbus
del testatore via comunale;
prato di 4 s. ad Vaudissam
nobile Apollonio Columbus
nobile Facino Trovamalla,
prato in prato de La Valle di Sale (sic); nobile Apollonio
de Columbus
via comunale;
giardino di 9 s. ad Farfariunum
nobile Gabriele Columbus
via Furnum; eredi del fu Biagio
in aralibus castri
Columbus; Colombino e Giobbe,
sedime con edifici Chuchari, ubi
fratelli de Columbis; figli del
dicitur ad Castrum
testatore; via comunale
in aralibus castri
Chuchari, ubi dicta casina; via comunale;
terza parte di alcuni sedimi dicitur ad Castrum nobile Apollonio Columbus;
(retro dictam nobili Colombino e Giobbe
casinam)
nobile
Bonifacio,
figlio
la torre del testatore e il relativo sedime, nel castrum, con il muro mediano che è tra
legittimo
il sedime e Colombino, confinante con il nobile Ferrarino Columbus, con il nobile
del testatore
Colombino e con la via comunale
e della
nobile
Elenetta:
288
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
nobili
l’eredità universale ma, se uno dei tre morisse senza eredi legittimamente discendenti
Colombino,
da lui, l’uno dovrà succedere all’altro; se tutti e tre morissero senza eredi legittimamente
Giobbe
discendenti da loro, il nobile Luchino Columbus (figlio del nobile Antonio Columbus,
e Bonifacio,
detto Isangrino) e il nobile Apollonio (figlio del nobile Stefano) dovranno a loro
figli legittimi
succedere in parti uguali
del testatore:
Sono presenti come testimoni il venerabile dominus Lorenzo de Columbis di Cuccaro, rettore della
chiesa di S. Maria del suddetto luogo; Nicolino de Blanzate, figlio del fu Bertolino, abitante a Lu;
Guglielmo Minella, figlio del fu Bertolanio, di Morano, abitante a Cuccaro; Giovanni de Valeria, figlio
del fu Ambrogino, di Milano, abitante a Cuccaro; Manfredo Columbus, figlio del fu Germano, di
Cuccaro; Antonio de Lanzono, detto Tamborino, abitante a Cuccaro; Antonio de Felegia, figlio del fu
Oberto, di Camagna; Michele de Costanzana, figlio del fu Antonio, abitante a Cuccaro.
[ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejo de Indias, legajo 21476, pieza 71, n. 4, ff. 5r-8v, copia cartacea estratta dai protocolli
del notaio Francesco de Istrijs di Camagna, figlio di Michele (estratta, a sua volta, dai protocolli dell’avo paterno, notaio Francesco de
Istrijs di Camagna, figlio di Giovanni), autenticata dal vicario vescovile Prospero della Torre il 3 ottobre 1582]
289
Gianfranco Ribaldone
elegge eredi universali le figlie sue e del fu nobile dominus Domenico, cioè le nobili dominae
Battistina (moglie del nobile dominus Tommaso dei nobili di Mede) e Bartolomea (moglie del nobile
dominus Luchino de Cucharo); elegge erede universale anche il suddetto Luchino de Cucharo, marito
della suddetta Bartolomea. Se Luchino morirà senza figli maschi legittimi, la porzione ereditaria
dovrà pervenire a Battistina e Bartolomea.
Sono presenti come testimoni il dominus Giovanni, figlio del fu dominus Antonio, dei conti di Mede;
Nicolino, figlio del fu Musono de Cucharo; Giacomo Gavornus, di Cuccaro; Michele, figlio del fu
Musono de Cucharo; Corrado, Giacomo e Bartolomeo, figli di Guglielmino Minela, abitanti a
Cuccaro; Guglielmo de Viciato e Oberto, figlio di Bartolomeo Calia, di Grazzano, abitanti a Cuccaro.
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI CASALE MONFERRATO, Archivio Dalla Valle, 685, 4, pergamena, atto del notaio Manuel de Dominabus.
Edizione parziale in B. FERRERO, Da Domenico Colombo a Rolando Dalla Valle. Personaggi e strategie familiari della nobiltà
monferrina tra corte e contado, nei secoli XV e XVI. Parte prima, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria
e Asti», CXV.2, 2006, p. 276, nota 54]
290
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
frate Teodoro de Columbis, fratello suo, perché a nome suo prenda possesso della chiesa di S. Maria
di Quinzano, sita nel territorio di Nizza.
Sono presenti come testimoni Bertramo Corbelarius e Giacomo Minella, entrambi di Cuccaro.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 1032, notaio Giovanni Capelli]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
fu nobile ed egregio dominus Domenico dei nobili di Cuccaro, dona alla nobile domina Pantasilea,
figlia sua, nonché al nobile ed egregio dominus Biagio, figlio del dominus Tommaso Bignonus de
Caravagio, genero di Bartolomea e sposo di Pantasilea, tutti i suoi beni mobili ed immobili, sia quelli
provenienti dalla sua dote sia quelli a lei lasciati dal defunto suo marito Luchino, sia quelli fuori dal
castrum di Cuccaro ma entro il territorio di Cuccaro sia quelli entro il castrum di Cuccaro, di tutti
mantenendo l’usufrutto.
Sono presenti come testimoni lo spettabile miles gerosolimitano dominus frate Teodoro, dei nobili di
Cuccaro; il venerabile dominus frate Tobia de Pellatis, di Castellazzo; i nobili Giobbe de Columbis
dei suddetti nobili di Cuccaro, Antonio Rabia cittadino di Milano, Franceschino figlio del fu dominus
Teodorino dei suddetti nobili di Cuccaro e Facino de Capellis della terra di Casale.
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI CASALE MONFERRATO, Archivio Dalla Valle, 685, 2, pergamena, atto del segretario marchionale
Franceschino de Medicis.
Edizione parziale in B. FERRERO, Da Domenico Colombo a Rolando Dalla Valle. Personaggi e strategie familiari della nobiltà
monferrina tra corte e contado, nei secoli XV e XVI. Parte prima, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria
e Asti», CXV.2, 2006, pp. 279-280, nota 59]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
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1468, marzo 19
Davanti allo spettabile ed insigne dominus Antonio Trovamalla, vicario e consigliere marchionale, il
nobile Bonifacio de Cucharo, a nome suo e del nobile Enrico Columbus, di cui è tutore e curatore,
produce come testimoni Ruffino Gaviornus, di Cuccaro e Bartolomeo Corbellarius, che dichiarano
298
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
che una pezza di terra o gerbido, sita nel territorio di Cuccaro, nel luogo dove si dice In ganbono,
confinante tra gli altri con Enrico de Savina, un tempo era posseduta dai nobili fu Biagio e
Bartolomeo, fratelli de Columbis, ma ora è fatta lavorare dal nobile Ferrarino Columbus, a nome
della domina Beatricina, vedova del fu Bartolomeo. Un altro testimone, Giacomo de Castello,
abitante a Vignale, dichiara di non saper nulla circa una pezza di bosco, sita nel territorio di Cuccaro,
nel luogo dove si dice Ad goram, confinante con la chiesa di S. Giovanni de Chucharo, con la chiesa
di S. Maria de Prelio, con il nobile Ferrarino de Cucharo, con la domina Bartolomea, moglie del fu
nobile Luchino de Cucharo. Un altro testimone, Stefano Tibeus, abitante a Vignale, dichiara di avere
fatto legna, circa 18 anni or sono, nel suddetto bosco, per richiesta dei fu dominus Gabriele e dominus
Teodoro, dei nobili di Cuccaro e di aver sempre udito dire che dalla riva alta il bosco era del suddetto
dominus Ferrarino. Un altro testimone, Nicolino Columbus di Cuccaro, dichiara di essere entrato, più
di 20 anni or sono, nel suddetto bosco con Germano Columbus e con Giovanni Barbus su richiesta
del nobile Delfino e di suo figlio Ferrarino (sic). Un altro testimone, Bartolomeo Copa, di Mortara,
abitante a Vignale, dichiara di esser entrato, circa 14 anni or sono, in una pezza di bosco del dominus
Ferrarino, sita nel territorio di Cuccaro, nel luogo detto In chocharato, confinante con il dominus
Gabriele, ma che sopraggiunse il suddetto dominus Gabriele, proibendogli di far legna e mostrandogli
una pezza di bosco vicina e dicendogli che quella apparteneva al dominus Ferrarino. Ruffino
Gaviornus conferma e aggiunge che il bosco del fu dominus Gabriele è contiguo ad una pezza di terra
del fu dominus Francesco Columbus. Un altro testimone, Morolo de Nigris, di Cuccaro, dichiara che
nel luogo detto In chocharato il nobile Ferrarino tenne una pezza di bosco confinante verso
Quargnento e verso Fubine con i fu nobili domini Berrettino e Stefano.
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI CASALE MONFERRATO, Archivio Dalla Valle, 685, 4, pergamena, atto del notaio Simone Coxia]
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300
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chiesa casalese di S. Evasio, contro il nobile Giorgino de Chucharo di Ozzano, intima a Giorgino di
desistere da ogni sopruso per quanto riguarda una pezza di prato posseduta dai canonici e a restituire
il fieno da lui asportato se ancora c’è o a risarcire i canonici se non c’è più.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2580, notaio Antonio Mussi]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
Antonio de Lovate e Antonio e Giovanni de Caligariis da una parte e Bernardo de Prusio dall’altra, in
lite tra loro, eleggono gli arbitri.
Sono presenti come testimoni lo spettabile dominus Giovanni Ruffino Bazanus, doctor, figlio dello
spettabile dominus Franceschino; il nobile Nicolino de Columbis di Cuccaro; Domenico de Caligariis
di Pontestura.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2580, notaio Antonio Mussi]
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Curticelle, diocesi di Asti, nomina suo procuratore lo spettabile medicinae doctor dominus Guglielmo
Basgeria di Campo, fisicus del santissimo pontefice nella curia romana.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2580, notaio Antonio Mussi]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
avendo avuto notizia della morte della magnifica domina Margherita, moglie di Guido e figlia ed
erede, per la quarta parte, del fu magnifico miles dominus Giovanni Bartolomeo de Careto, marchese
di Savona, la quale ha lasciato orfani i figli Alessandro, Giovanni Francesco, Camillo, Gastone,
Ottaviano, Federico, Giovanni Bartolomeo e Teodoro Maria. Pietro de Conradenghis, a nome anche
di Damiano de Conradenghis, cittadino di Savona, chiede a Guido de Sanctogeorgio di essere
reinvestito degli antichi beni feudali a lui e a Damiano spettanti nel luogo di Melle; Guido de
Sanctogeorgio lo reinveste agendo a nome dei propri figli, che, a loro volta, tramite la madre
Margherita, ricevettero tale autorità dal nonno Giovanni Bartolomeo de Careto.
Sono presenti come testimoni il dominus presbitero Stefano de Ulmo di Sessame, diocesi di Acqui e
Giacomo de Carnagleriis, cittadino di Acqui.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2720, notaio Francesco Opizzo]
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consignori di Cuccaro, avendo disposto, con atto rogato dal notaio casalese Pierotto Mangiacavallus,
che i nobili Nicolino, Gerolamo, Lucrezia, Margherita e Montarzina, suoi figli legittimi e naturali
ed eredi universali, versassero 100 fiorini alla benemerita Maria, figlia del fu nobile Oliviero Turchus,
cittadino d’Asti, come aiuto per le sue nozze e questa somma venendo reclamata da Maria stessa con
il marito, mastro Giovanni de Valeria di Milano, ricamatore, i suddetti fratelli de Columbis, non
disponendo del denaro, cedono ai suddetti coniugi la proprietà di una casa sita nel cantone Brignano,
confinante con Vercellino Marchixius da una parte e con la via pubblica da tre parti.
Sono presenti come testimoni il magnifico dominus Guido de Sanctogeorgio, conte di Biandrate; il
dominus Pietro Aynardus, cittadino d’Acqui; Giacomo Bereterius, cittadino di Casale.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2720, notaio Francesco Opizzo]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
Sono presenti come testimoni i magnifici domini Guido de Sanctogeorgio e Baldassarre Copsia, aulici
marchionali.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2580, notaio Antonio Mussi]
317
Gianfranco Ribaldone
Il nobile Colombino risponde dicendo di aver conosciuto il fu dominus Delfino e il figlio, il fu dominus
Ferrarino, padre di Giovanni Pietro (di cui sopra) e fratelli, ma di non aver conosciuto il fu dominus
Ferrario né Enrico né Antonio né Berrettino né Lancia, nomi contenuti nella lista, ma di aver udito
dai propri avi che Delfino fu figlio di Antonio e che Lancia fu figlio di Enrico e che gli stessi hanno
tratto origine da Ferrario.
Il nobile Giobbe risponde dicendo di aver conosciuto il fu dominus Delfino e il figlio, il fu dominus
Ferrarino, con tutta la sua progenie e di aver conosciuto il fu dominus Berrettino, figlio di Lancia,
con tutta la sua progenie come in lista, ma di non aver conosciuto il fu dominus Ferrario né Enrico
né Antonio, ma di aver assai spesso udito dai propri avi che Delfino fu figlio di Antonio e che Lancia
fu figlio di Enrico e che gli stessi hanno tratto origine da Ferrario.
Ruffino Gaviornus di Cuccaro risponde dicendo di aver conosciuto il fu dominus Delfino e il figlio,
il fu dominus Ferrarino, con tutta la sua progenie e di aver conosciuto il fu dominus Lancia, padre
del fu dominus Berrettino, con tutta la sua progenie, ma di non aver conosciuto il fu dominus Ferrario
né Enrico né Antonio, ma di aver udito dai propri avi che Delfino fu figlio di Antonio e che Lancia
fu figlio di Enrico e che gli stessi hanno tratto origine da Ferrario.
[ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejo de Indias, legajo 21815, pieza 64, ff. 4r-5v, copia cartacea estratta dai protocolli
del notaio Lorenzo Caldera di Lu]
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La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
a nome del nobile Gerolamo, suo fratello, rinunciano ai diritti loro spettanti, in quanto eredi dei loro
rispettivi padri (Nicolino e Gerolamo anche in quanto eredi, tramite il loro padre Felice, del fu nobile
Apollonio de Cucharo), su certi beni del fu dominus Giovanni de Cucharo, dei quali furono
usufruttuarie prima la nobile domina Sobrana, moglie di Giovanni e poi, dopo la morte di Sobrana,
la nobile domina Mariola, erede di Sobrana e moglie del fu nobile Gregorio de Campionibus. In
cambio di questa rinuncia, il nobile Giovanni Battista de Campionibus, figlio del fu Gregorio e di
Mariola, cittadino di Savona, a nome di sua madre versa a loro la somma di 150 lire imperiali.
Sono presenti come testimoni i nobili Bartolomeo Barbarinus, Vasino Stracha, Francesco Maria, figlio
del fu dominus Guglielmo, cittadini di Casale; inoltre Silvestro Bersanus, figlio del dominus Carlo,
cittadino di Savona.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 1879, notaio Giorgio Fornari]
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Vari beni lascia alle proprie sorelle, le spettabili dominae Giovannina (e al figlio di costei, il nobile
Giovanni Bartolomeo de Cella) e Bonina (moglie dello spettabile dominus Antonio de Gabiano); ai
propri fratelli, gli spettabili domini Marco, Pietro, Guglielmo (costui designato anche erede universale);
infine ai nipoti, i nobili Gianantonio, Teodoro, Bernardino, figli del fu nobile Enrichino, altro fratello
di Gabriella.
Sono presenti come testimoni il venerabile dominus frate Remigio de Grassis di Castelnuovo; il
venerabile frate Andrea de Lombardono, vicario della chiesa e del convento di S. Antonio; frate Filippo
de Viverono, procuratore del suddetto convento; frati Michele de Millio, Luca de Mosso, Bosso de La
Rocha, tutti della chiesa di S. Antonio; Germano de Sancto Iohanne, cittadino di Casale.
[Archivio di Stato di Alessandria, Archivio notarile del Monferrato, 1879, notaio Giorgio Fornari]
320
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
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Gianfranco Ribaldone
del suddetto fu Bonifacio, del castrum e della giurisdizione di Cuccaro, per la quota di cui già era
investito il suddetto fu Bonifacio.
Sono presenti come testimoni il magnifico dominus frate Percivallus, miles gerosolimitano; il
presidente Guido de Sanctogeorgio, dei conti di Biandrate, primo camerario; gli spettabili doctores
domini Giovanni Grossus, Ludovico de Antilla, Gerolamo Canis, tutti consiglieri dell’illustre dominus
marchese.
[ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Protocolli, 9, notaio Antonio Guiscardi (Tomo 4°), ff. 322r-322v]
322
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
nobile Ambrogio Maria, cittadino di Casale, debito di cui Guido si è fatto carico. Lucrezia s’impegna
a versare questa somma a Guido entro tre anni.
Sono presenti come testimoni il nobile Pietro Mangiacavallus, cittadino di Casale e Bartolomeo de
Musis, abitante a Moncalvo.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2580, notaio Antonio Mussi]
323
Gianfranco Ribaldone
324
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1488, giugno 6. Lu
Atto rogato nella contrada del Ponte di Montaldo, nella bottega del nobile Lantermono Boba,
confinante con la scuola del paese di Lu e con la via comunale.
Lantermono vende allo strenuus Isangrino Columbus, figlio del fu dominus Luchino, un prato in
territorio di Lu, nel luogo detto Ad Raynchum, confinante tra gli altri con gli eredi del dominus
Apollonio de Cuchero.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 1886, notaio Giovanni Forno]
325
Gianfranco Ribaldone
di Gabriella, secondo una disposizione contenuta nell’ultimo testamento di Gabriella, rogato dal
notaio Benedetto de Paucaparte; gli altri 25 fiorini da Giovanni, fratello della futura sposa.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2720, notaio Francesco Opizzo]
326
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1490
... Appolonio Colombo consignore del medesimo castello, qual troviamo havere nel 1490 in
matrimonio congionto Margherita, e Beatricina sue figliuole con Baldessare, e Gio. Gofredo fratelli
di Saluzzo consignori della Manta.
[F.A. DELLA CHIESA, Corona Reale di Savoia… parte prima, Cuneo 1656, p. 160]
327
Gianfranco Ribaldone
Lucrezia de Columbis di Cuccaro, che sono parte del versamento di 200 fiorini, a titolo di restituzione
della dote della stessa Margherita.
Sono presenti come testimoni il nobile Francesco Maria; mastro Antonio de Balzolo, muratore.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2873, notaio Comone Pellizzoni]
1491, febbraio 4. Lu
Atto rogato in contrada S. Nazario, nella casa di Lorenzo Quarterus.
Domenico Corbellarius di Cuccaro vende a Bernardo de Prellis di Frassinello una pezza di terra coltiva
di 11 stara e mezzo, sita nel territorio di Cuccaro nel luogo detto Ad castrum vetus, confinante con
Lorenzino e Antonio, fratelli de Collumbis, con la via comunale e con la via vicinale.
Sono presenti come testimoni Antonio de Grassis di Vignale e Francesco de Ribaldonis di Lu, figlio
di Rolando.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 3666, notaio Uberto Stropini]
328
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
329
Gianfranco Ribaldone
Lo spettabile generoso dominus Baldassarre Copsa, camerario marchionale, dispone di essere sepolto
nella chiesa casalese di S. Maria degli Angeli fuori mura, che appartiene all’ordine dei frati minori,
rivestito dell’abito o cappa dello stesso ordine. A questa chiesa lascia 100 fiorini. Anche alla chiesa
di S. Domenico 100 fiorini; a quella di S. Croce 25 fiorini; a quella di S. Francesco altri 25 fiorini.
Lascia poi 5 fiorini per l’illuminazione della cappella della Confraternita degli Angeli, nella chiesa
di S. Evasio e 5 fiorini per l’illuminazione dei corpi dei Santi nella medesima chiesa. Alla chiesa di
S. Maria della Piazza 10 fiorini per la fabbrica o per qualche pia opera della stessa chiesa, a
discrezione della domina Lucrezia de Cucharo, figlia del fu Felice. Lascia poi, come sussidio dotale
per le fanciulle povere, 25 fiorini, che la suddetta Lucrezia dovrà distribuire entro un anno dalla
morte del testatore. Alle figlie naturali, Caterina e Giovanna, di cui una è presso la suddetta Lucrezia,
l’altra a Lione, Baldassarre lascia 100 ducati a testa e, in caso di loro morte, i 200 ducati andranno
al figlio naturale Troylo e, in caso di morte di quest’ultimo, a Lucrezia. Lucrezia riceve anche
quietanza dei beni da lei amministrati per conto di Baldassarre stesso. A Lucrezia andranno anche
le gioie e le vesti di lana e di seta e i cavalli e tutti gli altri beni mobili che il testatore possiede a
Casale, come pure una cascina con stalla, edificata vicino alla casa di Lucrezia. A Lucrezia andrà
anche l’usufrutto del molino e delle sue pertinenze che il testatore possiede in Livorno. Lucrezia
sarà però tenuta a pagare le spese sostenute durante la malattia del testatore e a versare, entro un
anno dalla sua morte, 100 ducati a testa ai due fratelli e alla sorella del testatore. Alla nobile
Montargina, sorella di Lucrezia, Baldassarre lascia 50 ducati. Baldassarre destina altri beni ai propri
fratelli, alle proprie sorelle e al proprio servitore. Eredi universali vengono designati i magnifici
domini Marino e Gaspardo, fratelli del testatore.
Sono presenti come testimoni il venerabile dominus frate Domenico de Basignana, dell’ordine di S.
Domenico; frate Battista de Morano, dell’ordine di S. Francesco; il presbitero Nicola de Meiis,
canonico della chiesa di S. Evasio; il magnifico dominus Defendo Suardus, miles e consigliere
marchionale; il dominus Agostino Pichus, cittadino di Casale; il nobile Francesco Tardonensis, dei
nobili di …; il dominus Giovanni de Legio, familiare dell’illustre dominus Ludovico; Bartolomeo de
Nespolo, cittadino di Casale.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 1879, notaio Giorgio Fornari]
330
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
331
Gianfranco Ribaldone
332
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1495
Lucrezia e Nicolino vendono a Tommaso Bignonus 18 appezzamenti situati sul territorio di Cuccaro
e dal medesimo Tommaso li ricevono in locazione al canone annuo di 110 fiorini.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2868, notaio Comone Pellizzoni, riferimento contenuto negli atti
del 16 novembre 1500 e 30 dicembre 1501]
333
Gianfranco Ribaldone
334
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1496
[documento cartaceo in pessime condizioni, sì da risultare illeggibile; lo accompagna un foglietto con
un regesto settecentesco, che recita:“Quittanza a favore del Sig. Tomaso de Caravaggio dalla Sig.a
335
Gianfranco Ribaldone
Lucretia et Nicolino de Colombi per fiorini 1820 per causa di deposito”. L’anno 1496 è indicato sulla
camicia pure antica che protegge il documento]
[ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI CASALE MONFERRATO, Archivio Dalla Valle, 315, 6]
336
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
337
Gianfranco Ribaldone
338
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
339
Gianfranco Ribaldone
Sono presenti come testimoni lo spettabile dominus Nicolino de Columbis, di Cuccaro; Giovanni
Malvestitus, cittadino di Casale; Uberto de Cardano e Domenico Camuxius, entrambi di Fubine.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2874, notaio Comone Pellizzoni]
340
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
Sono presenti come testimoni l’egregio dominus Giacomo Bernardino de Ferrariis, di Trino, causidico
nella città di Casale; mastro Domenico, sarto a Villanova.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2860, notaio Raffaele Pelizza]
1498, ottobre 3. Lu
Atto rogato nella contrada del Ponte del Castello, nella casa della bottega di Bartolomeo Stropinus.
Cristoforo de Collumbis, figlio di Domenico Collumbus, di Cuccaro vende per 6 lire e mezzo
imperiali a Francesco de Ramondis, figlio del fu Stefano, originario di Conzano, abitante a Cuccaro,
una pezza di sedime nel territorio di Cuccaro, nella contrada “De la mota”, confinante con lo strenuus
vir dominus Mariotto de Collumbis, con Zanino de Lamota e con la via comunale.
Sono presenti come testimoni Francesco Butrius, di Lu; mastro Bernardo de Prellis, originario di
Frassinello, abitante a Lu.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 3666, notaio Uberto Stropini]
341
Gianfranco Ribaldone
Il nobile Giorgino de Columbis, dei consignori del luogo e del castello di Cuccaro, elegge suoi
procuratori i nobili Teodoro e Giovanni Francesco de Columbis, suoi figli, perché consegnino alla
venerabile domina suora Basilica de Xardis di Chieri, nel monastero di S. Chiara ad Asti, 30 ducati
d’oro per l’acquisto di una pezza di terra di 7 giornate, sita nel territorio di Monale, nel luogo detto In
monte Luchino e di un’altra pezza di terra di 3 giornate, sita nel territorio di Monale, nel luogo detto
In vale Bandono, come stabilito nell’atto rogato dal notaio Albertino Blanchinus di Asti.
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 1886, notaio Giovanni Forno]
1499, aprile 29
Bernardino Colombo, rettore della chiesa di S. Maria de Prelio di Cuccaro, riceve da Pietro Antonio
de Tignis, curato della stessa, 12 ducati pro fictu ecclesiae.
[Documento citato in B. FERRERO, Da Domenico Colombo a Rolando Dalla Valle. Personaggi e strategie familiari della nobiltà
monferrina tra corte e contado, nei secoli XV e XVI. Parte seconda, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria
e Asti», CXVI.2, 2007, p. 341, nota 105.
La collocazione archivistica indicata è ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2872, notaio Comone
Pellizzoni]
1499, giugno 6
Benvenuto Sangiorgio loca i beni delle proprietà cuccaresi della commenda casalese di Santa Maria
del Tempio a Giorgino Colombo.
[Documento citato in B. FERRERO, Da Domenico Colombo a Rolando Dalla Valle. Personaggi e strategie familiari della nobiltà
monferrina tra corte e contado, nei secoli XV e XVI. Parte prima, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria
e Asti», CXV.2, 2006, p. 260, nota 11.
La collocazione archivistica indicata è ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2873, notaio Comone
Pellizzoni]
342
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
1499, settembre 9
Benvenuto Sangiorgio loca per un triennio i beni delle proprietà cuccaresi della commenda casalese
di Santa Maria del Tempio a Giovanni Guglielmo Colombo, al canone annuo di 25 lire imperiali.
[Documento citato in B. FERRERO, Da Domenico Colombo a Rolando Dalla Valle. Personaggi e strategie familiari della nobiltà
monferrina tra corte e contado, nei secoli XV e XVI. Parte prima, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria
e Asti», CXV.2, 2006, p. 260, nota 11.
La collocazione archivistica indicata è ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2873, notaio Comone
Pellizzoni]
1500, novembre 16
Sentenza arbitrale nella vertenza tra Lucrezia e Nicolino Colombo da una parte e Tommaso Bignonus
dall’altra, circa 18 appezzamenti situati sul territorio di Cuccaro e dal medesimo Tommaso dati in
locazione ai suddetti Lucrezia e Nicolino al canone annuo di 110 fiorini.
[Documento citato in B. FERRERO, Da Domenico Colombo a Rolando Dalla Valle. Personaggi e strategie familiari della nobiltà
monferrina tra corte e contado, nei secoli XV e XVI. Parte prima, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria
e Asti», CXV.2, 2006, p. 292, nota 99; e Parte seconda, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria e Asti»,
CXVI.2, 2007, pp. 339-340, nota 96.
La collocazione archivistica indicata è ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2868, notaio Comone
Pellizzoni]
343
Gianfranco Ribaldone
I I
FERRARIO
▲
ENRICO ANTONIO
▲ ▲
LANCIA DELFINO
▲ ▲
BERRETTINO FERRARINO
▲ ▲
FRANCESCO BERNARDINO
344
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
II II II II II
Enricotto, di Lancia e Sica;
Nicolino (Berrettino), Franceschino, Stefano, Domenico, Zanino, di Lancia e Bartolomea;
Caterina (suora nel monastero di S. Margherita di Alessandria), Giovannina, Giacomina, di Lancia.
345
Gianfranco Ribaldone
II
346
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
BERRETTINO
347
Gianfranco Ribaldone
nota 01. ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Protocolli, 19, notaio Antonio della Torre, ff. 119r-120r (97r-98r), atto 18 mag 1518
nota 02. ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Corte, Paesi, Monferrato, Protocolli, 32, notaio Giovanni Giacobbe Squarcia (Tomo 1°), ff. 107r-108r, atto 4 mar
1530
nota 03. ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2771, notaio Giovanni Bartolomeo Pallotto, atto 11 ago 1531
nota 04. ARCHIVO HISTÓRICO NACIONAL DI MADRID, Consejo de Indias, legajo 21476, pieza 71, n. 10, ff. 24r-25v, copia cartacea, atto 29 ott 1532
nota 05. ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 514, notaio Evasio Besti, atto 21 nov 1544
nota 06. Rogatorie anno 1584
348
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
nota 07. ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2647, notaio Bartolomeo Nespoli, atto 4 set 1506
nota 08. ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 1748, notaio Antonio Ferraris, atto 27 gen 1548
nota 09. ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 509, notaio Evasio Besti, atto 22 mag 1529
nota 10. B. FERRERO, Da Domenico Colombo a Rolando Dalla Valle, in «Rivista di Storia Arte Archeologia per le province di Alessandria e Asti», CXV.2,
2006, pp. 287-322
349
Gianfranco Ribaldone
Generazione IV: Caterina, figlia di Antonio, sp. Lanzarotto Tibaldeschi detto de Columbis, figlio di Pietro (regesti 2 gen 1494 - 2 nov 1497).
ALBERTO
Giovanni Angelo, defunto nel 1512 (note 1, 2), mentre la moglie Brigida dei nobili della Rocchetta già defunta nel 1521 (nota 2), Giovanni
Battista (note 1, 2, 4), Giovanni Bernardino (nota 1), Colombino (note 1, 4), Giovanni Maria, assente da Cuccaro almeno dal 1522 o forse
almeno dal 1513 (note 1, 3) ma presente nel 1534 in occasione della ratifica di dote della moglie Fiorina, ove è detto “Jo. Maria de Columbis, sive
de Benevenuto” (nota 5), Giovanni Antonio (nota 1), Giovanni Giorgio (note 3, 5), inoltre Angelica, che sposa Cristoforo de Isulla, di Chivasso,
abitante a Vignale (nota 4), Leonora, che sposa Battista Nosia, di Occimiano, abitante a Livorno (nota 6), Margherita, che sposa Massimo della
Valle, di Vignale, da cui Alessandro (rogatorie anno 1584), tutti figli di Alberto.
nota 1… 1513… 7 Junii… Constitutus ante conspectum… Guglielmi marchionis Montisferrati… nob. Jo. Baptista de Columbis ex nob. Cuccari
filius q. nob. Alberti, suo ac procuratorio nomine nob. Jo. Bernardini, Columbini, Jo. Mariae, Jo. Antonii, et Jo. Georgii fratrum suorum, pro
quibus de rato promisit infra menses tres postquam omnes pervenerint ad aetatem legitimam, et absentes redierint in patriam, exposuit... sicuti
praedictus d. Albertus eorum pater, qui tenebat in feudum certas partes feudales castri Cuccari, nec non certas alias partes per eum acquisitas a
q. nob. Colombino etiam de Columbis filio q. nob. Franceschini, defunctus est, relictis ipsis... ad quos uti proximiores ipsae partes pertinent.
Exposuit quoque sicuti nondum est annus, quod ab humanis decessit nob. d. Angelus de Columbis frater suus absque filiis legitimis, et naturalibus,
cui successerunt ipsi omnes fratres... supplicavit, ut dignaretur... Praelibatus... Guglielmus marchio... praedictum nob. Jo. Baptistam suo ac dictorum
fratrum suorum nominibus... investivit...
Antonius Lavellus… de mandato march. ut ex litt. dat. Casali 6 Augusti 1518 extraxit ex fileis q. d. Antonii Majmoni… Prosper a Turri… episc.
vicarius generalis ad requisitionem magn. doct. d. Baldessaris et fratrum de Columbis ex condominis castri Cuccari an. 1582, 2 Octob. subscripsit…
[Edizione in L. COLOMBO, Patria e biografia del Grande Ammiraglio D. Cristoforo Colombo de’ Conti e Signori di Cuccaro, Roma 1853, pp. 429-
430]
nota 2… licet… diebus ellapsis ad instantiam et veras preces spectabilis d. Henrici ex nob. Rochetae Tanagri patris et heredis nunc q. d. Brigidae
olim sponsae et uxoris nunc q. nob. Jo. Angeli de Columbis ex nob. Cuchari per penale rescriptum mandaverit nob. Jo. Baptistae et fratribus de
Columbis filiis et heredibus nunc q. D. Alberti…
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2208, notaio Antonio Lavelli, atto 26 feb 1521]
nota 3… nob. Jo. Baptista et Jo. Georgius fratres de Columbis q. D. Iberti ex nob. Cucheri… suis et nominibus Jo. Mariae eorum fratris absentis…
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2874, notaio Bernardino Penna (con atti del notaio Comone Pellizzoni), atto
31 dic 1522]
nota 4… cum fuerit et sit… nob. Jo. Baptista Colombus ex nob. castri Chuchari… debitor egregij d. Christofori de Isulla de loco Clavasij habitator
praedicti loci Vignalis de scutis triginta ex causa veri et gratuiti mutui… [la parte che qui si virgoletta è dal notaio aggiunta in margine alla pagina
successiva] “et occasione dotis nob. d. Agelicae (sic) uxor dicti d. Christofori et soror praedictorum fratrum de Columbis…” confitetur… se
habuisse et integre recepisse a nob. Jo. Georgio Colombo ex dictis nob. Cuchari fratre dicti nob. Jo. Baptistae ibidem presente stipulante et
acceptante suo nomine proprio ac nomine et vice dicti nob. Jo. Baptistae eius fratris ac nob. Colombini etiam eius fratris… dicta scuta triginta…
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 2720, notaio Francesco Opizzo, atto 29 nov 1525]
nota 5… nob. Jo. Maria de Columbis, sive de Benevenuto, ex nob. Cuchari habuit totam integram solucionem dotis Florinae eius uxoris...
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 3665, notaio Uberto Stropini, atto 31 mar 1534]
nota 6… nob. Baptista Nosia de Occimiano habitator Liburni… confitetur… habuisse et recepisse a nob. Jo. Georgio de Columbis ex nob.
Chucarij… scuta quinquaginta… pro dote et nomine dotis d. Leonorae sororis dicti d. Jo. Georgij et futurae uxoris dicti nob. Baptistae…
[ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Archivio notarile del Monferrato, 513, notaio Evasio Besti, atto 11 mag 1541]
GIOV. PIETRO
Stefano, Marco, Federico, Ottaviano, Riccardo, Laura, che sposa Giovanni Guasco, cittadino di Alessandria, tutti figli di
Giovanni Pietro e Giorgetta (nota 6).
nota 6… nobilis domina Georgeta uxor relicta quondam nobilis domini Jo. Petri de Collombis ex nobilibus praedicti castri
tutrix ut dixerunt partes infrascriptae et tutorio nomine nobilium Stefani, Marci, Federici, Octaviani et Ricardi filiorum eius et
dicti quondam nobilis Jo. Petri… pro integra et completa solutione et satisfactione dotium nobilis Laurae, eiusdem dominae
Georgetae et praedicti quondam nobilis Jo. Petri filiae legitimae et naturalis, uxoris dicti nobilis Johannis Guaschi…
[A RCHIVIO DI S TATO DI A LESSANDRIA , Archivio notarile del Monferrato, 227, notaio Nicola Baffadossi, atto 3 nov 1519]
350
La famiglia Colombo di Cuccaro: dentro il cuore di una storia paleologa
GERMANO 1273, settembre 24. La prima attestazione di un Columbus de Cucharo, per di più
1273, set 24 dominus, dunque con probabile autorità signorile su Cuccaro: il dominus Germano
1296, ott 12 Columbus de Cucharo, castellano a Cardalona.
(TEODORO) GAGLIARDO (1306; 1307; 1319, 1307-1319. (Teodoro) Gagliardo, Paganino, Benedetto qual rapporto di parentela hanno
set 3). con Ferrario (nella verifica genealogica del 1479 riconosciuto come l’avo più antico a
PAGANINO (1311, giu 12). cui riusciva risalire la tradizione orale della famiglia; vedi tavola a lui dedicata)? Costoro
BENEDETTO (quondam 1314, giu 9), e/o Ferrario sono figli di Germano? Sono padri di Antonio e/o di Gerardo e/o di Antonio
sp. Germana. Gerardo (vedi infra)?
ANTONIO GERARDO ANTONIO GERARDO I domini Antonio, Gerardo e Antonio Gerardo risultano
1414, mar 10 1414, mar 10 1414, mar 10 già defunti nell’atto rogato il 10 marzo 1414, padri di nobili
1419, apr 21 consignori di Cuccaro.
Enricotto de Savina, Giovanni, Paganino, ALBERTINO TOMMASO DOMENICO GIACOMO MANFREDO NOÈ
Pietro (sono imparentati con Germano?) il 21 1453, nov 27 1464, nov 30 1458, apr 3 ANTONIO 1456, mag 29 1465, apr 17 (bis)
aprile 1419 vengono reinvestiti di Cuccaro. 1464, nov 30 1464, dic 11 1464, nov 30 1464, nov 30 1464, nov 30 1465, set 2
1464, dic 11 1464, dic 11 1464, dic 11 1464, dic 11 1465, set 6 (bis)
Albertino, Tommaso, Domenico, Giacomo 1485, nov 21 1479, feb 25 1479, feb 25 1479, feb 25 1472, mar 17
Antonio e Manfredo l’11 dicembre 1464 1497, nov 2 1496, gen 26 1491, apr 30
sono investiti di Cuccaro. Tuttavia, dopo la 1497, nov 2
verifica genealogica del 25 febbraio 1479, 1498, apr 6 Manfredo
perdono i diritti; i nomi non sono più 1498, ott 3 sp. Simona
accompagnati nei rogiti dal titolo di dominus.
PAGANINO CRISTOFORO PAGANO
E rimangono privi del titolo anche Paganino, 1495, set 24 1497, nov 2 1491, apr 30
Cristoforo, Pagano, loro figli e nipoti. 1496, gen 26 1498, apr 6
1498, ott 3
domini;
Musono 1341, set 23 1341, set 23 1341, set 23 trascritto in atto
NICOLINO MICHELE 1342, gen 10) 1342, gen 10) 1342, gen 10) del 1341 che fu
1457, nov 8 1457, nov 8 forse
naturale autenticato (senza
1496, gen 26 (bis) la visione del
di Lancia,
che in privilegio) l’anno
testamento seguente.
LORENZINO ANTONIO
1491, feb 4 1491, feb 4 gli lascia
1496, gen 26 (ter) 1496, gen 26 (ter) 10 stara Nobili de Cucharo
di terra. della metà del 300.
GELAZIO BERENZIO
1348, giu 21 1348, giu 21 Non è però certo
che siano de
Columbis.
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