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Geografia delle lingue e pianificazione linguistica

Linguisti ca = disciplina che studia le lingue

Di cosa parliamo quando parliamo di linguistica? La linguistica è una scienza che studia in modo scientifico le lingue.
→ scienza del linguaggio

Cosa si intende per scienza?

In che senso la linguistica è scientifica? La linguistica applica un metodo particolare nell’analisi dei fenomeni linguistici.
Come la biologia, la linguistica mira e punta a osservare il fenomeno per poi procedere con una sua ipotetica
classificazione. La linguistica parte dall’osservazione del fenomeno per produrre classificazione di quel fenomeno.

→ Dall’osservazione del dato alla teoria. Adotta metodo di analisi scientifico

Osservazione del fenomeno → ipotesi → sviluppo teorico

Il linguista parte in relazione diversi fenomeni linguistici tra loro e attraverso l’osservazione punta a realizzare e ideare una
possibile organizzazione delle lingue, a descrivere il modo in cui le lingue funzionano, a formulare ipotesi sulle loro
parentele e sul loro legame che c’è tra le lingue, e sul modo in cui le lingue cambiano e vengono percepite dal parlante.

La linguistica come studio scientifico del linguaggio e della comunicazione


→ presenza di diversi spunti di riflessione, diversi tipi di interessi a partire da importazioni metodologiche diverse
osservazioni di fenomeni diversi. Obiettivo = descrivere in forma generale le diverse lingue del mondo.

Branche della linguistica e studi interdisciplinari


• TIPOLOGIA LINGUISTICA → spiega modo in cui le lingue del mondo possono essere classificate sulla base di
determinati parametri, somiglianze e differenze ma anche di proprietà strutturali.
• LINGUISTICA STORICA → spiega il modo in cui le lingue da un lato mutano nel tempo, dall’altro il modo in cui le lingue
si rapportano sul piano genetico.
• SOCIOLINGUISTICA → studia quella che è l’interazione tra le varie spontanee di lingua in indeterminato territorio,
aiuta lo specialista di pianificare nell’identificare le proprietà delle varietà di lingua prese in considerazione.

Il fenomeno linguistico che viene preso in considerazione rappresenta una manifestazione dell’uso della lingua. È
importante sottolineare che a livello di manifestazione dell’uso di una lingua l’oralità precede la scrittura. È emerso che
solo 106 su altre lingue prese in considerazione sono state affidate alla scrittura in modo adeguato a produrre letteratura.
Nel mondo ci sono circa 7.000 lingue nel mondo. Molte lingue hanno un numero ristretto di parlanti. Le lingue orali sono
centinaia, non sono mai state scritte, poiché si tramandano di generazione in generazione oralmente. Si sta ponendo
moltissima attenzione a valorizzare queste lingue, che sono parlate da pochi, per far si che venga amo tenuto lo status di
patrimonio culturale. Molte lingue sono orali perché il sistema di scrittura è stato introdotto per diffondere alcuni
documenti utili alla comunità e per conservare la memoria. Solo in questi casi sono nate le grammatiche → insieme di
norma e regole che indicano il modo in cui possono essere costruite frasi dei una determinata lingua. La linguistica è una
disciplina descrittiva e non prescrittiva. Tende e vuole descrivere le lingue per quello che sono, ovvero per il modo in cui
vengono effettivamente utilizzate del parlante. Per la linguistica non è necessario che un certo fenomeno da analizzare
segua le norme grammaticali standard; l’attenzione alla grammatica è necessario nei casi in cui si debba configurare la
lingua come istituzione sociale. Agrammaticale = va al di fuori delle regole della sintassi.

La linguistica fa riferimento a dati osservabili, che possono essere fonici o grafici, che sono chiamati eventi semiotici. Gli
eventi semiotici sono fenomeni linguistici che possono essere rapportati a dei segni. I segni sono elementi che rinviano a
qualcosa. Per esempio “è vietato l’accesso” è descrivibile come evento semiotico, perché è rappresa da una sequenza di
caratteri e ha un significato, quindi comunica il messaggio. Il segno rinvia a qualcos’altro. Per far si che un evento
semiotico abbia significato all’intento di un’unità linguistica deve poter funzionare come messaggio e questo suo
funzionamento viene osservato dal linguistico e classificato attraverso ipotesi, per arrivare alla definizione e creazione di
una teoria di ciò che è stato osservato.

La linguistica, quindi, ha il compito di descrivere ma soprattutto spiegare i fenomeni, cioè formulare ipotesi e cercare di
capire il motivo per cui si sviluppano; e questo avviene per mezzo di processi di astrazione, che vengono messi in atto per
descrivere fenomeni più concreti. Quando parliamo di linguistica non possiamo non far riferimento ai suoi livelli di analisi,
quindi alla struttura, a ciò che caratterizza le lingue e a come possiamo studiare le sue proprietà.

Livelli di analisi

Fonetica Proprietà dei suoni, in particolare le proprietà acustiche, il modo in cui vengono articolati i suoni.

Fonologia Studia i suoni di una lingua.

Morfologia Studia il modo in cui le parole sono strutturate al loro interno; quindi, la struttura interna delle parole il modo in
cui all’interno di una lingua si creano le parole.

Sintassi Modo in cui si combinano le parole all’intento di una frase (soggetto - verbo - oggetto).

Semantica Studia il significato delle parole.

Pragmatica Spiega il modo in cui vengono utilizzate le lingue e per quali scopi.

Lessico Contiene le informazioni relative alle parole e al modo in cui si relazionano le parole fra di loro.
In cosa consiste il concett o di pianifi cazione linguisti ca

La pianificazione linguistica può essere definita come disciplina, che in realtà si avvale delle competenze di studiosi di altre
discipline, dunque è interdisciplinare. Questa disciplina fa riferimento a quelle che sono le conoscenze storiche e
sociologiche della comunità. Prende in considerazione fattori che vanno al di là di ciò che abbiamo definito come ambito
della linguistica, per esempio la vita economica di una comunità, le esigenze di sviluppo di uno specifico territorio; in
particolare modo questa disciplina si relaziona allo studio delle normative nell’ambito dell’uso della lingua, si rapporta alle
coscienze della legislazione vigente in un determinato territorio. Questa disciplina si basa molto sulla collaborazione attiva
dell’amministrazione locale con i parlanti o con chi può insegnare la lingua. Tuttavia, si avvale della competenza del
linguista, in particolare del linguista storico e strutturale.
Ha l’obiettivo di:
• studiare grammatica e lessico della lingua da pianificare;
• confronta vocabolari, liste lessicali, corpora di testi spontanei.

Competenze della sociolinguistica : studia i motivi per cui una lingua varia (di natura geografica, in base ai tipi di
parlanti, l’età e il sesso del parlante, i luoghi di provenienza, ecc..).
Linguista percettivo → indaga sulle aspettative ed esigenze della popolazione riguarda al panorama linguistico di
quest’ultima.

NOZIONI FONDAMENTALI
Studio dell’organizzazione generale del linguaggio umano e delle caratteristiche comuni alle lingue

Linguistica storica Prende in considerazione la dimensione diacronica, cioè l’evoluzione nel tempo delle lingue, e
mira a identificare i processi che portano al cambiamento linguistico, diversi stadi del
cambiamento, a rappresentare questo cambiamento e documentarlo, fino a ricostruire delle
fasi storiche precedenti di una lingua e a identificare eventuali relazioni genetiche.

Sociolinguistica Studia i fenomeni linguistici sul piano sociale. Ci mostra che i fenomeni linguistici così come
sono realizzati l’uso cui faceva riferimento prima. Studia le variazioni, le dimensioni di variazioni
a cui una lingua è soggetta.

Linguistica percettiva Studio della percezione che hanno i parlanti di alcuni usi linguistici.
La pianificazione linguistica consiste nell’intervenire al fine di modificare una situazione linguistica di un determinato
territorio. L’insieme di quei provvedimenti che vengono messi in atto; dei provvedimenti che hanno a che fare con degli
aspetti della lingua che si intende pianificare. Quali aspetti possono essere pianificati? Il lessico, la morfologia, l’ortografia,
l’aspetto fonologico, il suono, la pronuncia.

Qual è il fi ne dell’avvio di questi provvedimenti e perché si mett ono in att o?


Sono diversi i motivi; modificare o migliorare una situazione lignifica all’interno di un determinato territorio. A volte
semplicemente per modificare l’uso che si fa di una lingua per istituzionalizzarla o per dare riconoscimento istituzionale a
una varietà di lingua. Importante momento di pianificazione linguistica in Italia è stato messo in atto intorno al XIX secolo
quando si è cercato di dare in qualche modo rilievo al toscano parlato, facendo si che potesse diventare una lingua
comune.

Quando parliamo di lingua, parliamo di fatto sociale. Qualcosa che viene condiviso dalla società. In particolare, la lingua
può essere descritta come uno strumento che è utile alla comunicazione tra i diversi parlanti. Da questo punto di vista la
lingua è concepita come un’istituzione sociale che però si manifesta nel parlante attraverso degli usi concreti, che sono
individuali, relativi a ciascun parlante. Questa sorta di bivalenza tra lingua come istituzione e lingua come atto individuale è
una nozione che viene ripresa da un famoso linguista che nei primi del Novecento ha identificato la distinzione tra langue
e parole.

Langue Lingua come sistema, come istituzione sociale, un qualcosa che a che fare con la collettività. Un concetto
astratto. Strumento di comunicazioni condiviso da una comunità di parlanti.

Parole Atto concreto, uso concreto che il parlante fa individualmente fa della lingua che ha a disposizione. Uso
individuale.

Sulla base di questa distinzione, la linguistica generale parte dell’osservazione del dato, formula ipotesi e prevede ci creare
una teoria. Riportando questa metodologia tra langue e parole possiamo dire che il linguista generale osserva atti di
parole, cioè la lingua nelle sue effettive manifestazioni dell’uso e da questa osservazione del concreto cerca di descrivere
l’organizzazione della langue. La manifestazione di un singolo individuo va presa in considerazione se sono
frequentemente realizzate da più individui diversi.

Va notato che all’interno di una comunità linguistica si ha una grandissima variazione.


La variazione è un fenomeno che ha sicuramente a che fare con il singolo individuo; l’uso che si fa di una lingua varia da un
individuo all’altro, ma la variazione ha anche una portata sociale. Esistono linguaggi settoriali che si disgiungono dall’uso
comune del lessico e vengono utilizzati da una classe di individui che per una determina professione utilizza un certo tipo
di lessico. La lingua ha una doppia valenza sociale: da un lato come istituzione sociale rappresenta un patrimonio
mnemonico, che è condiviso dai parlanti, da una specifica comunità di parlanti. Dall’altro lato è qualcosa su cui basiamo le
relazioni interpersonali. Da qui possiamo dire che la lingua è un fattore della struttura relazionale.

Sociolinguisti ca
Studia il modo in cui viene utilizzata la lingua all’interno di un determinato contesto sociale. Analizza la variazione interna
di una lingua; studia cosa accade quando una lingua viene inserito all’interno di una certa realtà. Lega e mette in relazione
la lingua con l’uso che i parlanti fanno di quella lingua.

Varietà
Insieme di forme linguistiche che possono avere un’analoga distribuzione sociale: si manifestano insieme a specifiche
caratteristiche dei membri della società e delle situazioni in cui questi membri agiscono. Quindi le situazioni in cui i parlanti

agiscono. Nell’uso reale che i parlano fanno della lingua, la lingua si manifesta sotto forma di varietà. La lingua può
essere identificata come un insieme di diverse varietà.

Variabile sociolinguisti ca
Entità, elemento che all’interno di una lingua ammette delle realizzazioni diverse da parte dei parlanti. Queste realizzazioni
diverse non cambiano il significato di quell’elemento linguistico tra i diversi parlanti, e sono le diverse realizzazioni in
reazioni cin fenomeni extralinguistici, che vanno al di fuori dai fenomeni linguistici. Esempio: a mio zio ci ho regalato. Le

lingue variano, non sono uniformi, ma sottoposte a una continua variazione , che dipende da tantissimi fattori (area
geografica, età del parlante, educazione e scolarizzazione del parlante). La lingua si adatta al contesto d’uso. La lingua che
parliamo è una varietà di lingua che è condivisa tra i parlanti. La sociolinguistica si occupa di studiare il modo in cui le
lingue cambiano, di identificare le dimensioni di variazione, sono le aree in cui le lingue sono sottoposte alla variazione, e il
modo in cui i parlanti si comportano rispetto a quella variazione.

Dimensioni di variazione
Sono legate a fattori extralinguistici, che non hanno a che fare con la lingua stessa, ma con qualcosa di esterno alla lingua.

- Diatopia / variazione diatopica


Ha che fare con la variazione in ambito territoriale, variazione di tipo geografico. Gli italiani regionali che hanno un legame
forte con l’italiano standard; sono varietà di italiano in cui la dimensione diatopica è molto forte, soprattutto nell’ambito
lessicale, in ambito fonologico e sintattico. Nell’italiano si distinguono tanti italiani regionali, che non sono i dialetti.
Nel lessico geosinonimi = termini diversi usati in diverse regioni d’Italia per designare lo stesso oggetto o concetto.
 Regionalismi semantici = peculiarità semantiche associate a una parola che hanno un uso limitato a una specifica
regione (salgo la spesa). In sintassi accusativo preposizionale = impiego della preposizione “a “per il complemento oggetto
(hai visto a Maria?).

- Diastratia / variazione diastratica (classe, istruzione)


Ha che fare con la stratificazione sociale. La lingua può variare anche in base a quanto sia scolarizzato il parlante. Italiano
può essere distinto una varietà colta e varietà incolta. Può manifestarsi in sintassi; si realizza spesso negli usi che il parlante
fa a tema sospeso, con un elemento isolato all’inizio dell’enunciato senza elementi di coesione sintattica con la frase che
segue (io la mia città è Napoli). Costruzione del periodo ipotetico dell’irrealtà col doppio condizionale (se potrei farei) o
doppio congiuntivo (*se potessi facessi) → questo caratterizza i parlanti di basso livello di istruzione. Il lessico è
caratterizzato da malapropismi, deformazioni di parole difficili per assimilarle a parole note, trasparenti, semplificazioni
della struttura derivazione.

- Variazione diafasica
Contesto in cui il parlante si trova a utilizzare la lingua. Si sviluppa su due livelli: linguaggi formali e informali in linguaggi
settoriali.
• Registro basso e informale → accorciamenti di parole.
• Registro formale → uso di allocutivi.
Sottocodici = varietà diafasiche dipendenti dall’argomento di cui si parla o si scrive e dalla sfera di contenuti ed attività a
cui si fa riferimento.

- Dimensione diacronica  modo in cui una lingua varia nel tempo (interessa il linguista storica).
- Variazione diamesia  riguarda il mezzo che utilizziamo.

Segni (unità costi tuti ve di codici)


Cosa sono le lingue? → sono un insieme di segni di cui ci serviamo per comunicare, per descrivere la realtà.
Uso di segni = unità costitutive dei codici.
Possono assumere forme particolari. Hanno una forma bi-planare, ossia sono formati e rappresentati dall’unione di
elementi:
• significante → la forma che assume il segno, la forma spesso acustica;
• significato → immagine, concetto a cui quel significante rimanda. È un’immagine mentale.

La comunicazione è possibile quando viene creato un messaggio. Il messaggio può essere usando i segni.

Che cos’ è un dialett o?


Nel linguaggio comune: varietà poco diffusa, parlata da pochi, locale e priva o con modesta trascrizione scritta;
tendenzialmente orale.
• È una lingua non scritta.
• Non ha una tradizione letteraria.
• È una lingua senza grammatica.
• “Lingua parassita” della lingua nazionale.
• Crea molti problemi → sia all’interno che all’esterno dell’italiano.

Cos’è il dialett o per la linguisti ca?


È una lingua a tutti gli effetti, al pari di altre lingue: è uno strumento per comunicare, è un insieme di segni. Il dialetto ha
una sua fonetica, ha un uso modo di pronunciare e articolare i suoni e anche una sua grammatica senza regole, che gli
sono state tramandate. Il parlante di dialetto non ha studiato il modo in cui costruiscono le frasi, ma le sa costruire
mettendo in sequenza le parole. Può essere usato per esprimere gli stessi concetti di una lingua nazionale. Può in realtà
avere una tradizione letteraria, come il romanesco. Il dialetto è considerato una lingua a tutti gli effetti, in quanto:
• ha una fonetica.
• Ha una grammatica.
• Ha un lessico e meccanismi semantici.
• Può esprimere gli stessi concetti delle lingue nazionali.
• Può avere una tradizione colta e letteraria.

La definizione di dialetto comporta moltissimi problemi: nella linguistica anglosassone con dialetto si va a identificare una
varietà locale, oppure delle sue variabili sociali. Questo fa si che si possa considerare dialetto una varietà locale come
varietà di lingua parlata in un determinato luogo. Si ha quindi una concezione del dialetto diversa rispetto a quella che le
diamo noi.
Dialetti cinesi → moltissime varietà di lingue che hanno un sistema di scrittura ma ha in realtà si differenziano
notevolmente, e sono considerati e chiamati da tutti dialetti.

Confrontiamo i dialetti cinesi con quelle che sono il serbo e il croato, che sono varietà standardizzate e sono considerate
lingue a sé, lingue diverse. In realtà, sono molto simili tra loro, se non altro dal punto di vista strutturale.

Il lombardo, per esempio, è considerato un dialetto. Contemperamento il ticinese è considerato un dialetto lombardo; al
suo interno ha altri dialetti legati a delle aree particolari. Quindi il concetto di dialetto diventa complesso da definire.
Quelli che sono considerati dialetti italiani non sono dialetti dell’italiano, ma semmai del latino. Sono piuttosto
continuazioni romanze indipendenti del latino parlato nelle varie aree.

Criteri disti nti vi tra lingua e dialett o


Non possono essere di tipo linguistico e strutturale, ma nel parlare comune ci sono differenze sul piano sociale e
funzionale, non linguistico. Bisogna rifarsi a criteri esterni e principalmente alla posizione politica nei confronti di una certa

lingua, anche in relazione di una certa varietà di lingua. Coscienza del parlante → fa si che il parlante utilizzi dl
dialetto all’interno di certi dialetti.
Le lingue hanno uno status ufficiale al contrario dei dialetti, tipicamente sono riconosciute da parte della società. Hanno
un riconoscimento sociale e nazionale. L’uso della lingua da parte di una parlante e la coscienza dell’uso di una lingua sono
criteri fondamentali per poter operare questa distinzione. La volontà dei parlanti fa sì che si riconosca una varietà di lingua
come una vera e propria lingua; esempio: catalano → catalano e spagnolo sono due lingue molto simili; il catalano non
viene etichettato come dialetto, ma viene definito lingua perché tale è considerata dai suoi parlanti. Promosse attività per
promuovere l’uso del catalano per tutelarlo. Un sociolinguista ha operato una distinzione delle lingue che rappresa un
approccio generale al problema del riconoscimento delle diverse varietà di lingua. La differenziazione delle lingue operata
da Kloss equivale alla differenziazione fra:

Lingue per distanziazione Varietà linguistiche che si differenziano dalle altre varietà per la loro struttura interna.

Lingue per elaborazione Diverse per motivi storici, politici o culturali. Hanno deciso di differenziarsi dalle lingue che
sono interessate nelle aree circostanti.

Che uso faremo dei termini? Useremo i termini di lingua e dialetto sostanzialmente nel loro senso comune.
La pianificazione linguistica prende in considerazione due nozioni fondamentali:

Comunità linguistica
Comunità linguistica = parlanti di una lingua, parlanti che hanno in comune una lingua, un mezzo di comunicazione;
esistono quattro tipologie di comunità linguistica:
1. “Tutte le persone che usano una data o un dialetto” (Lyons). È una definizione molto generica che crea in realtà dei
problemi perché non specifica che cosa sia effettivamente una lingua e un dialetto.
2. “Con comunità linguistica si intende ogni aggregato umano cauterizzato da un’interazione regolare e frequente per
mezzo di un insieme condiviso di segni verbali, e distinto da altri aggregati simili a causa di differenze significativa
nell’uso del linguaggio” (Gumperz). In questo caso viene messa in evidenza l’interazione tra i parlanti, che utilizzano
una lingua per interagire. E contemporaneamente viene specificato il concetto di lingua come insieme di segni verbali.
È in contrapposizione ad altri parlanti che utilizzano proprietà diverse. Prese in considerazione il valore sociale
ricoperto dalle diverse varietà linguistiche che consentono interazioni tra parlanti.

3. 3a) “Per poter decidere in modo aderente alla realtà quale sia una nuova lingua, si devono prendere in considerazione
gli atteggiamenti dei parlanti” (Weinreich). Prende in considerazione gli atteggiamenti dei parlanti: percezione che ha
un parlante della propria lingua o del suo far parte di un gruppo di parlanti di quella lingua, e quindi di una comunità
linguistica.
3b) “Le comunità linguistiche non sono definite come comunità di persone che “parlano la stessa lingua”, ma piuttosto
da comunità tenute insieme dalla densità degli scambi comunicativi e/o dall'integrazione simbolica riguardo alla
competenza comunicativa”. Rapporto che c’è tra il parlante e la lingua stessa va oltre la definizione di persone che
hanno in comune una certa varietà linguistica (Fishman).

3c) “Formata da un gruppo di parlanti che condivide insieme di atteggiamenti sociali riguardo a una lingua” (Labov).
Abbiamo un’informazione legata a tutti gli atteggiamenti determinati parlanti nei confronti di una lingua.

4. “Negazione esplicita dell'esistenza della comunità linguistica «può darsi che non esistano comunità linguistiche nella
società so non come prototipi nella mente della gente: in questo caso la ricerca della vera definizione di comunità
linguistica è completamente priva di senso» (Hudson). Viene negata l’esistenza di una comunità linguistica e ammessa
come esistenza ideale, un qualcosa di simbolico cosicché le persone si possano ritrovare in qualcosa.

5. “La lingua e la comunanza di stanziamento, ossia appartenenza ad una stessa entità geografica-politica” (Ferguson).

6. Definizione più ampia di Berruto → si lega a concetto dei tratti considerati: ruolo importante dell'uso del linguaggio da
parte del parlante, volontà e identificazione nell'ambito di una certa comunità linguistica. Fa sì che appartenga a una
comunità linguistica sia basata su fattori sociali, storici, psico-culturali: la lingua viene utilizzata come fattore di
identità per appartenenza a un certo gruppo sociale; dunque, non sono sufficienti le definizioni che si basano solo
sull’ utilizzo della lingua da parte di un gruppo di parlanti e dalla sua territorialità.

Criteri oggettivi Lingua, norme d’uso, interazione, comunanza di stanziamento

Criteri soggettivi Atteggiamenti sociale, valutazione

La presenza di norme e la volontà di identificazione da parte del parlante in una certa comunità linguistica. Questo fa si
che l’appartenenza a una comunità sia dettata da fattori storici, culturali e sociali. La lingua viene utilizzata come fattore di
identità come appartenenza a un gruppo sociale.

Repertorio linguisti co
1. «Una comunità linguistica è formata da tutti i parlanti che considerano sé stessi utenti di una stessa lingua, che
svolgono regolari interazioni attraverso un repertorio condiviso di segni linguistici e che hanno in comune una serie di
valori normativi riguardo al linguaggio: essa può coincidere o intersecarsi con, o includere, o essere inclusa in una
comunità sociale» (Berruto). Non è insieme di lessico, segni di una varietà linguistica ma è la somma di varietà di una
lingua, determina i rapporti tra le varie lingue, la loro funzione (attribuita dai diversi parlanti) e gerarchia.
2. “Il repertorio linguistico comprende tutte le varietà, livelli o stili usati da una popolazione definibile socialmente e le
regole che governano la scelta fra esse” (Gumperz). Sono varietà di lingua più o meno individui che vengono utilizzate
sulle base del rispetto di alcune regole che governo la scelta tra l’uso delle diverse varietà. Regole d’uso che si
associano a determinate varianti linguistica e non da altre. Quindi può comprendere varietà di una stessa lingua o
varietà di lingue diverse.
Nell’ambito di una comunità linguistica è più frequente che ci siano situazioni di repertori plurilingui, cioè situazioni n cui si
hanno varietà di lingue diverse. I repertori monolingui sono rari. Le singole risorse linguistiche che sono a disposizione per
il parlante non sono utilizzate dal parlante allo stesso modo. Si associano in particolare a determinate funzioni, l’uso che
ne se fa varia. Differenziazione in base all’uso che se ne fa e alle funzioni.

Repertorio linguisti co individuale


- Somma delle varietà accessibili da un individuo con le sue personali interpretazioni delle norme di utilizzo.
- Nessun parlante possiede tutte le varietà teoricamente possibili nella sua comunità linguistica.

Le varietà sono funzionalmente e gerarchicamente organizzate. Più lingue sono in contatto tra loro se possono essere
utilizzate alternativamente dalle stesse persone. Fenomeni di contatto tra lingue. Il luogo del contatto tra le lingue è il
parlante stesso.
I fenomeni di contatto sono definiti in sociolinguistica “rapporti tra codici”:

1. Diglossia → situazione sociolinguistica in cui sono presenti due varietà linguistiche diverse, in cui si ha una
distribuzione funzionale delimitata in:
- varietà alta → tipicamente si associa allo scritto e viene utilizzata in situazioni formali.
- Varietà bassa → ha minore prestigio; si distribuisce nelle conversazioni spontanee, nelle situazioni meno formali
ed è tipicamente orale.
Ciascun codice è associato a una funzione specifica: nel caso della diglossia i due codici non sono intercambiabili, non sono
sullo stesso piano. Di solito la varietà bassa è quella che viene acquisita in famiglia, mentre la varietà alta è quella che si
apprende in ambito scolastico.

Criteri che individuano una situazione di diglossia:


- Varietà di lingua che si associa alle situazioni comunicative più formali;
- Presenza di un’eredità letteraria scelta nella varietà alta.
- Diverso apprendimento delle due varietà.
- Maggiore stabilità della varietà alta; alla varietà alta sono associate delle caratteristiche della standardizzazione
della lingua scritta, è una varietà in cui esistono delle regole e una grammatica di riferimento.
Le due varietà non si sovrappongono. Ogni varietà ha il suo ambito d’uso ben preciso → diglossia mediale; non sono in
sovrapposizione. Esempio: paesi arabi → lingua ufficiale quasi mai parlato a livello informale, varietà nei confronti della
qual si parlano hanno riconoscimento di lingua → si contrappongono varietà locali di arabo parlato (dialetti) che vengono
usati in situazioni informali → lingue di tipo diverso, non intercomprensibili → distribuzione funzionale nettamente
distinta.
Il fatto che le varietà di arabo sono intercomprensibili si deve a fattori diversi, tra cui:
- la distanza geografia tra le regioni di organi dei parlanti.
- Prestigio che alcune varietà assumono, quelle dei centri urbani maggiori, che hanno maggiore probabilità di avere
a che fare con pulsioni cinematografiche, televisive, radiofoniche.
- Atteggiamento da parte del parlante che assume nei confronti dei propri dialetti delle varietà.
- Livello di istruzione del parlante.

2. Dilalia → facilità di convertire l’uso da una varietà all’altra. Varietà bassa e alta. Cambiano usi che si associano a
tali varietà. La varietà alta viene e può essere utilizzata in tutti gli ambiti, cioè formali e informali. A questa si
associa una varietà bassa che come nel caso della diglossia che come nei casi familiari. Italia → lingua ufficiale che
viene impiegata nella conversazione; i dialetti, che corrispondono alla varietà bassa e che vengono tipicamente
utilizzati in ambito famigliare e con esclusivo uso orale. Si differenzia da diglossia per usi che riserva nella varietà
alta e per estrema facilità con cui il parlante riesce a passare da una varietà all’altra. Questa caratteristica si può
vedere in un’interazione verbale, all’interno di una stessa conversazione il passaggio dalla lingua al dialetto.

3. Bilinguismo → prevede presenza di due lingue che hanno uno stesso valore sul piano gerarchico e che quindi
non hanno delle funzioni specializzate. Hanno tipicamente una stessa distribuzione d’uso. Hanno uno stesso
grado di standardizzazione e hanno anche uno stesso statuto giuridico. Spesso facciamo riferimento al
bilinguismo all’individuo: in realtà è un concetto che la sociolinguistica studia in maniera approfondita dal punto
di vista nazionale, tanto che si fa riferimento a bilinguismo sociale, cioè la contemporanea presenza di due lingue
ufficiali che sono sullo stesso hanno stessa considerazione per le istituzioni; anche dal punto di vista
dell’istituzione.

Funzioni del linguaggio


Fenomeni di identificazione linguistica che coinvolgono il parlante. Relazione tra lingua e identità → presuppone che le
varietà di lingua possano non assumere uno stesso valore nella concezione dei parlanti, vale a dire che il parlante
riconosce in maniera diversa le varietà di lingua con le quali si confronta all’interno delle comunità linguistiche in cui vive,
e ha verso di loro un diverso atteggiamento, da loro un valore diverso. In letteratura il rapporto tra lingua e identità è stato
approfondito con due approcci alla lingua:
- punto di vista esterno e funzionale;
- meccanismi di identificazione tra parlanti e lingua → nel senso che ne rappresenti l’identità.
Funzione È un veicolo con cui un parlante può trasmettere un messaggio al suo interlocutore.
comunicativa

Funzione simbolica Trasferisce al linguaggio i simboli di identità e che permette a un certo gruppo di parlanti di
distinguersi dagli altri. Quando questa si sovrappone a quella comunicativa, non mergono
frizioni tra uso della lingua effettivo e la coscienza del parlante.

Quando queste due funzioni non si associano una all’altra si hanno delle situazioni che prevedono la presenza di una
minoranza linguistica, oppure si ha la presenza di una forte contrapposizione ereditaria nei confronti di un’altra lingua.
Non è detto che un parlante si sente partecipe e rappresentato da una certa varietà di lingua; quindi, la conoscenza una
lingua non inedie sui fattori di identità linguistica. In letteratura si è cercato di differenziare i sentimenti di identificazione
linguistica:

Sentimenti di identità primari Sono legati per esempio al dialetto locale, alla varietà che si usa a livello
famigliare, quindi legata a quella che viene chiamata prima socializzazione.

Sentimenti di identificazione secondari Sono indotti perché si associano a quelle che sono tipicamente le lingue
nazionali e sono indotti dalle istituzioni scolastiche, dall’ambiente esterno e
sociale.

I due tipi di sentimento linguistico non sono in contrapposizione tra loro, ma si sovrappongono alternativamente; ciò che si
può dire è che i sentimenti di identificazione primari sono stabili perché tendono a legarsi alla stessa micro-varietà
linguistica, si associano alla stessa micro-varietà linguistica, che è appunto quella famigliare.
L’identificazione secondaria è la situazione più variabile che si associa a mutamenti anche esterni al parlante legati a
situazioni. Ideologiche e sociopolitiche di un determinato momento.

Lingua tett o
Si definisce lingua detto una lingua standard elaborata che “fa da tetto”, fa cioè copertura alle varietà che sono meno
elaborate, ma che le sono affini per motivi genetici.
- Varietà standard.
- Varietà regionale o dialetto.

Una lingua tetto viene definita come una lingua usata innanzitutto in forma scritta, che ha un utilizzo orale e che sia
dottata di un prestigio sociale, che deve essere a quello dei dialetti → varietà standard. Ha un’influenza nei confronti dei
dialetti, che talvolta possono essere negative, in quanto entrano a far parte della varietà dialettale.
In letteratura si distinguono:

Tetti omogenetici Lingua e dialetto hanno legami di parentela.

Tetti eterogenetici Varietà di prestigio che non fa parte dello stesso gruppo delle varietà più basse.

Questa definizione non è sempre condivisa da parte di tutti gli studiosi; alcuni come accade in Italia, Verruto sostiene che
non si possa parlare di lingua tetto laddove non ci sia legame omogenetico tra dialetto e lingua. Presenza di lingua tetto →
sua associazione con la sua possibilità di istruzione. La lingua tetto fondamentalmente è quella che viene insegnata.

Language planning è una sotto disciplina della sociologia del linguaggio, della sociolinguistica e della linguistica di contatto.
Quindi pianificazione linguistica come sotto disciplina che studia rapporto che c’è tra situazione linguistica di una lingua e il
suo valore sociolinguistica, la sua posizione sociolinguistica in una determinata area. Studia il rapporto in relazione anche
all’uso.

La tradizione sociolinguistica distingue tra due ambiti:

• Sprachplannunsgewissenschaft → studio scientifico della pianificazione linguistica;


• Sparchplannung → varie azioni politiche o legislative che sono intraprese da un’istituzione o da uno stato per
incentivare l’uso di una varietà linguistica e per valorizzarne lo status.
Punto di vista ambito anglosassone

Language policy Ha a che fare con studio scientifico, riflessioni teoriche e metodologiche, ma anche presupposti
ideologici e politici alla base di una determinata politica linguistica. Riflettono una determinata
politica linguistica.

Language politics Modo in cui la lingua e le differenze linguistiche tra popoli divengono affrontate sia piano politico.

In ambito italiano disti nguiamo tra


Politica linguistica Uso misure e iniziative messe in atto dall’istituzione. Questo ambito non coinvolge la
linguistica. Si manifesta anche attraverso opinione pubblica e ciò che vediamo nei giornali.
Scelte compite dalle situazioni che prevede diffusione di un determinato modello.

Pianificazione linguistica Porzione che coinvolge il linguista soprattutto nella programmazione di attività particolare
con oggetto una lingua (fenomeni di normalizzazione).

Queste definizioni operano distinzione netta tra istituzioni (affidata decisione istituzionale, scelte politiche relative a uso di
una relativa varietà linguistica) e attuazione di determinate attività con obiettivi pianificati dall’alto. Le due definizioni
hanno dei limiti che non permettono di rintracciare le azioni non istituzionali sulle lingue.

Livelli di pianifi cazione linguisti ca


Language revival Messa in atto per riportare in uso una lingua che non risulta più parlata.

Langauge revitalisation Incrementa l’uso che si fa di una lingua minoritaria, parlata da un gruppo di persone ridotto,
e in particolare gli interventi di rivitalizzazione mirano a cambiare lo stato di lingua e a
modificarlo per elevarlo.

Language renewal Si sovrappongono ai primi due citati, che consistono in interventi di supporto a relazione a
lingue che hanno subito una grave riduzione del numero dei parlanti.

Rinnovamento della lingua Promuove l’uso della lingua anche attraverso l’apprendimento e quindi promuove la
conoscenza della lingua, anche rendendo partecipi altri membri di una comunità linguistica.

Come si confi gurano queste azioni sul piano linguisti co?


Attraverso tre fasi:
Corpus planning Pianificazione del corpus; ha come oggetto la lingua in sé e riguarda il lavoro operato sulla
lingua da parte dei linguisti, attraverso la normalizzazione o codificazione
ortografica/fonetica/morfologia, tutte quelle caratteristiche strutturali linguistiche che
possono essere associate a una lingua per far si che venga effettivamente usata dal parlante,
e per renderne più facile anche l’acquisizione.

Status planning Non ha più a che fare con la lingua, ma coinvolge quelle che sono le norme che devono
necessariamente sostenere la diffusione la tutela di luna lingua. Questa fase coinvolge anche
quelle operazioni in ambito sociale, per far si che il suo status e prestigio tendano a essere più
alti.
Acquisition planning Ha a che fare con il parlante, è una fase piuttosto complessa che si realizza per mezzo di
sistemi divari, che però in maniera generale potremmo definire l’insieme di tutti quegli
interventi da parte delle istituzioni, che hanno l’obiettivo di aumentare il numero di parlanti.

Disti nzione tra atti vità di pianifi cazione in vivo e in vitro


La distinzione tra attività di pianificazione in vivo e in vitro prevede che le situazioni di pianificazione possano essere
operate in maniera naturale da parte dei parlanti, e in questo caso si hanno degli adattamenti naturali della lingua a
determinate situazioni di contatto, che fanno si che le esigenze d’uso di una lingua possano variare; questo può spesso
accadere con fenomeni di prestito linguistico. Dal punto di vista dello status planning soniche con incremento o riduzione
dell’ambito d’uso dei due codici.

Pianificazione in vivo I parlanti risolvono in maniera naturale i problemi di contatto linguistico, così abbiamo degli
adattamenti naturali della lingua → es. calchi, prestiti linguistici.
Pianificazione in vitro Mette in atto tutte quelle metodologie che sono ritenute utili da parte degli amministratori
per far si che una lingua possa valorizzare il proprio status all’interno del contatto linguistico.
Operazione che viene effettuata dall’alto verso il basso e non dal vivo da parte dei parlanti.

La politica linguistica da questo punto di vista i modi in cu si mette in atto la politica linguistica creano due problemi
diversi:
1. gli obiettivi che vengono posti sul piano amministrativo quindi idealmente, trovano soluzioni dal parlante che
sono incoerenti rispetto agli obiettivi stessi.
2. Controllo da parte dell’amministrazione e l’inferiore controllo di chi pianifica la lingua, che deve necessariamente
rispondere a obiettivi i più alti.

Pianifi cazione linguisti ca in Italia


Minoranze linguistiche in Italia
Negli ultimi decenni le istituzioni tendono a dare molta importanza alla questione linguistica, ossia all’aumento di interesse
verso la tutela di quelle che sono definite lingue di minoranza. Questo è un indice importante del riconoscimento della
lingua del fattore di coesione sociale, come il fattore di un’identità  è importante riconoscersi in una comunità
linguistica, per far sì che questa acquisisca tutela. In passato l’importanza della lingua come fattore di coesione sociale e
quindi statale, era connessa a un rapporto di stretta relazione tra stato, lingua ed etnia. Per etnia s’intende una comunità
caratterizzata da cultura e tradizione. Tante nazioni europee ma non solo, hanno spesso richiamato questo principio e
hanno spesso preso in considerazione la comunità che si sviluppa in ambito territoriale ridotto in cui si parla appunto una
lingua meno diffusa rispetto alle altre. Negli ultimissimi decenni si sono susseguite e moltiplicate le iniziative volte a
valorizzare le differenze linguistiche, iniziative volte a proteggere e tutelare le differenze. Dal punto di vista europeo,
possiamo citare due momenti importanti:
1. 1995  creazione di una convenzione tra più stati volta a proteggere le minoranze linguistiche.
2. 1998  carta europea per le lingue regionali minoritarie.

Questi sono due interventi di natura diversa. Il primo mostra le direttrici generali del rispetto della diversità linguistica e i
diritti delle minoranze linguistiche; in questo caso, la convenzione tra i diversi stati europei metteva in evidenza principi
particolari, quali:
- la tolleranza;
- la possibilità di espressione attraverso una lingua diversa rispetto a una lingua ufficiale;
- il diritto all’uso nomi tradizionali legati a specifiche culture;
- l’attivazione di sistemi educativi che dessero adeguato spazio a quelle che venivano definite minoranze.

Questo è ciò che la convenzione si proponeva nel 1995. Essa ha il pregio di enunciare principi, ma ha un grande difetto:
non prevedere alcuna forma concreta di attuazione dei principi di tolleranza nei confronti di queste minoranze. Tuttavia, è
un momento importante perché segna la sola identificazione della necessita di conoscere questi principi e segna un
momento importante che rappresenta un cambio di prospettiva rispetto a una nazione, uno stato o una lingua. Nel 1998
risale la carta europea per le lingue regionali e minoritarie, che ha come obiettivo di proporre delle azioni normative e
legislative per incrementare il plurilinguismo soprattutto in ambito amministrativo e dell’istruzione. In particolare, gli
obiettivi che la carta europea si proponeva erano:
- il mantenimento delle tradizioni;
- la possibilità e il rispetto del diritto all’uso di una lingua minoritaria, quindi non ufficiale, non solo nell’ambito
privato, ma anche in quello pubblico.
Questo, quindi, dimostra una forte attenzione al problema linguistico e al plurilinguismo in generale, che caratterizza il
territorio europeo e non solo. In particolare, la carta europea s’impegnava a far rispettare alcuni principi generali, in
particolare quello della promozione linguistica; quindi, si proponeva come obiettivo l’incremento dell’uso di una certa
lingua nell’ambito di specifici confini territoriali e ampliando quelli che sono i confini funzionali.
La carta stabilisce quali siano i luoghi sui quali poter agire per favorire l’uso delle lingue minoritarie nella vita pubblica e
riconosce tra i diversi domini:
- quello dell’insegnamento;
- l’amministrazione della giustizia;
- i servizi pubblici amministrativi;
- le attività economiche sociali.

La carta, quindi, ha come obiettivo l’estensione dei domini d’uso delle lingue minoritarie. I singoli stati che sottoscrivono la
carta avevano la possibilità di riconoscere varietà linguistiche come varietà oggetto di tutela, che magari queste ultime
potevano non essere riconosciute da altri stati. Da questo punto di vista, questa carta non prendeva in considerazione le
lingue immigrate, ossia quelle che sono parlate da quelle persone che si traferiscono in un altro paese portando con sé la
propria lingua. Queste lingue non venivano prese in considerazione né in ambito degli anni Novanta né dalla legge italiana.
Queste non sono tutelate. L’Italia ha firmato questa convenzione nel 2000 e all’incirca nello stesso periodo una trentina di
paesi avevano sottoscritto la carta e s’impegnavano ad applicare i principi in forma più concreta. Nel frattempo, si sono
moltiplicate diversi tipi di iniziative a sostegno della tutela delle minoranze, sia da un punto di vista sociale che economico.
Oggi sono moltissime le sovvenzioni e gli aiuti economici previsti per la tutela delle minoranze e si stanno espandendo le
associazioni che prevedono l’uso delle lingue di minoranza. Anche dal punto di vista della ricerca si sta andando molto
avanti, in quanto si aspira a una ricerca che mira da un lato a valorizzare questa diversità linguistica, e dall’altra a far sì che
il patrimonio linguistico venga tutelato. Verso la fine degli anni 70 ci si interrogava sull’uso di queste lingue e sul loro ruolo.
Nel 1982 si creò ufficio europeo per le lingue meno diffuse.

Le minoranze linguisti che in Italia

Minoranza linguistica = gruppo di persone che parlano una certa lingua, che in realtà si distanzia dalla lingua ufficiale,
che è la lingua parlata dalla maggior parte della popolazione. Quindi, si parla di minoranza anche in relazione al numero di
persone che parlano quella determinata lingua: sono minoritarie perché parlate un numero ridotto di persone. Potremmo
dire che i dialetti sono minoranze linguistiche, poiché sono in una situazione di minore prestigio rispetto a una lingua
ufficiale. Il concetto di minoranza linguistica è stato studiato da Toso, che si è dedicato moltissimo allo studio delle
minoranze. Nel contesto italiano, tende ad assumere un valore più ristretto, che tende a sovrapporsi al concetto di

alloglossia, ossia l’insieme di varietà linguistiche minoritarie che hanno un’origine diversa rispetto a quella che è una
lingua ufficiale di un determinato territorio. Le varietà alloglotte sono distanziate sul piano genetico e strutturale dalla
lingua ufficiale di un paese (per esempio il tedesco nell’Alto Adige). Berruto identifica i requisiti importanti per identificare
le lingue minoritarie:
1. la lingua è utilizzata da un gruppo di parlanti all’interno di un’unità politico-amministrativo; quindi, c’è
un’importanza associata ai territori in cui si parla una determinata lingua di minoranza.
2. La lingua di minoranza deve essere diversa dalla lingua ufficiale, deve essere parlata da un numero ridotto di
persone.
3. L’appartenenza a una specifica comunità linguistica deve essere associata a un forte valore identitario. Un rischio
che corre la lingua di minoranza è quello di essere sovrapposta alla lingua ufficiale.

La situazione in Italia

Articolo 6 della Costituzione  la repubblica italiana tutela le minoranze linguistiche . Tuttavia, è solo con la
legge 482 del 1989 che si mette in atto una vera e propria tutela normativa nei confronti delle minoranze. Nell’arco di
cinquant’ anni che dividono la Costituzione e la legge 482 sono state messe in atto delle azioni legislative a tutela di alcune
lingue diverse dall’Italiano in alcune regioni; in particolare nelle regioni che coinvolgevano le aree di confini, le regioni
confinanti cioè con altri paesi. Dopo la Seconda guerra mondiale, le aree di confine sono state attribuite all’Italia. Questa
attribuzione all’Italia è stata abbastanza complessa. Queste aree di confine sono: Valle d’Aosta e Alto Adige. Queste aree
sono state sotto amministrazione italiana ad una condizione: che venissero tutelate le popolazioni di lingua diversa in quei
territori. Quindi le popolazioni di lingua diversa dall’italiano nei territori di confine.

Disti nzione tra minoranze nazionali e minoranze linguisti che

Le minoranze nazionali sono popolazioni che sono legate dal punto di vista linguistico alle aree dei territori di confine
(ad esempio Austria e Germania con i germanofoni dell’Alto Adige, la Jugoslavia e la Slovenia con il confine orientale, la
Francia con le popolazioni della Valle d’Aosta). Quindi sono quelle minoranze linguistiche che hanno a che fare con lingue
nazionali che sono parlate in ambiti territoriali italiani di confine.

Le minoranze linguistiche sono dette eteroglossie interne: con questo termine ci si riferisce a quelle comunità
linguistiche che per effetto migratorio, dovute quindi a migrazioni avvenute in passato, si collocano in nuove aree
geografiche. Sono comunità che si collocano in aree geografiche per effetto di migrazione. In particolare, venivano
classificate come minoranze linguistiche:
- il sardo; - alcune comunità germanofone;
- il friulano; - le comunità albanesi croate e greche al sud
- l’occitano; dell’Italia;
- il franco provenzale del Piemonte; - la comunità catalana di Alghero.

A queste si aggiungono varietà diverse dovute all’immigrazione, che non godono al momento di alcuna attenzione
amministrativa, non sono prese in considerazione. Prima della legge 482, queste lingue non erano oggetto di tutela
linguistica.

Cosa accade con la legge 482?


Con la legge 482 la situazione si altera e si modifica questa situazione. Un caso particolare è quello della Valle d’Aosta, che
è considerata una comunità nazionale francese. In realtà, in Valle d’Aosta il francese viene utilizzato da circa l’8% della
popolazione in ambito famigliare. L’Italia in questo caso ha mantenuto il controllo politico dell’area, ma si impegnò perché
questa fosse autonoma, che vi fosse un’amministrazione di lingue e che il francese crescesse in modo rilevante. In
quest’area abbiamo una lingua molto usata: il franco provenzale, una minoranza linguistica all’interno di una minoranza
nazionale, il francese. In questa situazione il franco provenzale rappresenta il polo più basso di una sorta di diglossia, in
quanto non ha goduto di alcuna tutela pur essendo impiegata in maniera costante nella socializzazione primaria.

Slavofoni in Friuli-Venezia Giulia


In questo caso lo sloveno è riconosciuto come minoranza nazionale di confine; quindi, ha diritto a un proprio sistema
scolastico, a un canale televisivo e radiofonico e può essere usato nei rapporti con la pubblica amministrazione. Tuttavia, la
gran parte dei parlanti di questa lingua tutt’ora vive nella provincia di Udine, la cui lingua non viene tollerata, in quanto
non sono in vigore le tutele.

Alto-Adige
Il caso più complesso è quello dell’Alto Adige. Nel trattato tra i ministri degli esteri De Gasperi – Gruber, nel 1946 veniva
stipulato per definire meglio la tutela delle lingue di minoranza. In particolare, delle lingue di minoranza tedesca nella zona
dell’Alto Adige. L’Alto Adige rimase all’Italia a condizione che venisse mantenuto l’uso del tedesco e che avesse in qualche
modo un sistema scolastico proprio. Alla popolazione di lingua tedesca, quindi, viene assicurato l’uso di tale lingua
nell’amministrazione e nei media, cioè radio e televisione. In questa situazione, la popolazione germanofona si faceva a
delle varietà diverse dal tedesco standard dei dialetti bavaresi. Nella comunicazione della socializzazione primaria il
tedesco standard in ogni caso veniva mantenuto come lingua identitaria.

Situazione di bilinguismo in Alto Adige


Bilinguismo = esistenza di due comunità diverse.
In Alto Adige esiste una comunità italofona e una di lingua tedesca. Queste due vivono e abitano nello stesso territorio, ma
non si sovrappongono. L’italiano viene utilizzato per l’insegnamento e si usa nella pubblica amministrazione; tuttavia,
viene richiesta la conoscenza obbligatoria del tedesco come seconda lingua. Viceversa, il tedesco standard si associa alle
comunità tedesche in quanto viene usato per insegnamento e nella vita pubblica. In realtà si crea una situazione
particolare per la quale nella comunità italiana l’italiano viene usato per la comunicazione e la socializzazione in ambiente
famigliare e quindi per un germanofono entrare nella comunità italiana apprendendo l’Italiano è sufficiente. Nella
comunità tedesca il tedesco in realtà rappresenta la varietà di prestigio che è in una sorta di diglossia con varietà bassa, e
questo fa sì che per una integrazione vera e propria all’italofono non basti conoscere il tedesco standard. Per italofono in
questa situazione non è sufficiente la conoscenza del tedesco standard. In questo contesto i parlanti di ladino sono
parzialmente privilegiati perché il loro sistema scolastico prevede l’uso delle tre lingue. Questo tipo di bilinguismo è
diverso da quello della Valle D’Aosta. Qui il ladino e il francese sono utilizzati da tutta la popolazione; quindi, si può fare
riferimento a una comunità linguistica unica. Mentre, nel caso dell’Alto Adige, si hanno comunità linguistiche
completamente separate tra loro. Il ladino, che è parlato nell’area delle Dolomiti, ha legami di parentela col friulano; è una
lingua che è tutelata e riconosciuta ufficialmente nell’area di Bolzano. Il ladino rappresenta la terza comunità linguistica
che prevede l’uso dell’insegnamento dell’amministrazione pubblica di tutte le tre lingue comprese nel territorio.

Situazione att uale in Italia


Durante gli anni Novanta si susseguono una serie di interventi legislativi a favore della tutela del ladino. in Trentino
l’insegnamento del ladino era già effettivo negli anni 70; viene quindi ad assumere il ruolo di lingua ufficiale accanto
all’italiano. Anche lo sloveno assume una tutela nella provincia di Udine, dove poco prima non era tutelato e addirittura in
Sardegna il sardo inizia ad essere tutelato con interventi che prevedono l’inserimento di tale lingua non solo sul piano
amministrativo, ma anche nel sistema scolastico. Con la legge 482 inizia un processo di normalizzazione delle minoranze
linguistiche in Italia. L’obbiettivo di questa legge è: portare le lingue di minoranza ad avere un ruolo più di rilievo negli
ambiti amministrativi, si cercava di tutelarle portandole a un livello al di fuori dell’ambito famigliare e che fosse accanto
all’italiano.
Dall’altro lato, si voleva promuovere l’istituzione di una varietà scritta di tali minoranze. L’istituzione di una varietà scritta
fa parte di una delle fasi di pianificazione linguistica, il corpus planing, che prevede che si codifichi una lingua sul piano
lessicale, fonetico e grammaticale. Con questa legge lo stato italiano in qualche modo va a riconoscere una realtà
multilingue, un plurilinguismo a tutti gli effetti. Inoltre, si mettono in atto i primi passi verso la tutela delle lingue di
minoranza.

Arti colo 1 della legge 482

1. “La lingua ufficiale della repubblica è l’italiano ”. L’italiano è dichiarata lingua ufficiale per la prima volta
in quest’occasione.
2. La Repubblica valorizza patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana …  in questo caso la valorizzazione
delle lingue e la legge riconosce finalmente l’esistenza di lingue e culture diverse ma le distingue nettamente dalla
lingua ufficiale. Dichiara come suo principale obbiettivo la tutela di tali lingue. Tuttavia, questo articolo viene
quasi a sancire una sorta di limite legato alle lingue di minoranze in relazione alla lingua di maggioranza, che è
l’italiano.

Arti colo 2 della legge 482

La Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, slovene, croate,
germaniche, greche e di quelle parlanti il francese, franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e
il sardo. Queste sono le lingue oggetto di tutela in Italia. Tutela attraverso la promozione del loro uso in ambiti diversi da
quello famigliare. Da un punto di vista più generale si potrebbe dire che questa legge abbia un’impostazione legata a dei
territori. Da un lato abbiamo una gerarchia delle minoranze, mentre il riferimento alle popolazioni ha un tratto legato
all’aspetto linguistico e in qualche modo alla nazionalità, quindi ha un aspetto etnico, il secondo raggruppamento è
esclusivamente un riferimento alla lingua. Un’altra osservazione che potrebbe nascere sta nella somiglianza di tali
raggruppamenti con la distinzione tra minoranze nazionali e minoranze linguistiche. Il secondo raggruppamento ha a che
fare con minoranze linguistiche che sembrano simili a quelle che noi chiamiamo dialetti.

Arti colo 3 della legge 482

Questo articolo fa riferimento al valore identitario. Il comune deve richiedere il riconoscimento della minoranza, e
quindi la tutela. Questa richiesta è una dichiarazione di appartenenza a una comunità. Si tratta di auto rivendicazione di
un certo diritto. Da qui possono sorgere alcune osservazioni: da un lato la legge non parla del tipo di competenza che si
deve avere della lingua di minoranza per far sì che i residenti di un territorio richiedano la tutela di tale lingua; quindi, non
si fa alcun riferimento ai livelli di competenza. Non ci sono riferimenti neanche per quanto riguarda la lingua tetto, che è
l’italiano, poiché viene insegnata a scuola ed è lo standard che si tende a utilizzare nelle situazioni formali. Ciò vuol dire
che la legge prevede che siano messe in atto attività di corpus planning, attività che richiedono il riconoscimento della
lingua di minoranza. Le azioni che sono volte alla promozione della normalizzazione di una lingua sono tutte lasciate alle
comunità di parlanti che hanno chiesto la tutela. In particolare, alla comunità viene assegnato il compito di scegliere la
lingua di riferimento, di adattare la lingua alle nuove esigenze quando questa non sia già in uso per insegnamento e
amministrazione. Da un punto di vista più pratico, le popolazioni di lingua francese, catalana o croata che sono in Italia, in
realtà hanno già una loro lingua di riferimento da un punto di vista dell’ortografia e del lessico. Vale a dire che le lingue
che utilizzano sono legate a uno standard che è già stato codificato; quindi, hanno uno strumento che è già adatto a usi
amministrativi ed è già pronto, di conseguenza le attività di corpus planning non saranno necessarie. Quanto invece a
parlanti di ladino e sardo, per far sì che la lingua venga tutelata e venga promossa nell’istruzione e amministrazione
devono codificare alcune informazioni linguistiche strutturali associate a tale lingua: devono mettere in atto un importante
lavoro di corpus planning, che determini l’utilizzo dell’ortografia, l’alfabeto, aspetti morfosintattici, normalizzando e
creando uno standard di riferimento. Dall’altro lato, le popolazioni albanesi, germaniche, greche, croate… anche pur
avendo uno standard di riferimento, potrebbero non voler usare tale standard perché si trovano in un ambito territoriale
in cui la lingua tetto non è standard, ma la loro lingua in realtà è influenzata dalla lingua tetto, che è l’italiano, che per altro
è una lingua che appartiene a un gruppo linguistico diverso rispetto alle lingue germaniche. Quindi, queste lingue sono
parlate in un ambito territoriale in cui la lingua tetto appartiene a un altro gruppo linguistico. Questa lingua tetto, in
relazione alle diverse lingue, ha comunque delle differenze nei confronti delle lingue di minoranza, in quanto spesso la
lingua tetto è dominante. Gli articoli successivi sono dedicati ai diversi gradi dell’insegnamento e mirano a far sì che venga
favorito l’insegnamento delle lingue di minoranza e che ne venga favorita la ricerca in generale. La ricerca in termini di
formazione di insegnanti, quindi non solo formazione di persone che possano essere competenti in quella lingua, ma
anche la formazione di persone che possano formare gli altri.

Arti colo 4
Questo articolo crea alcuni problemi, in quanto crea confusione tra la lingua che viene studiata e la lingua che viene usata
per l’insegnamento. Dall’altro lato un basso numero di ore settimanali che vengono introdotte nell’istituzione scolastica, in
realtà non solo può non dare esiti positivi dal punto di vista dell’apprendimento, poiché la lingua non viene utilizzata come
vero e proprio sistema di comunicazione, ma viene studiata come lingua altra; può dare risultati quindi negativi,
distanziando ancora di più italiano dalla lingua di minoranza, rendendo in qualche modo subalterna la lingua di minoranza.

Arti colo 7
Sancisce il dominio e la priorità assoluta dell’italiano rispetto a lingue di minoranza in contesto giuridico. Non sono
effettivamente pari livello.

Arti colo 8
Si stabilisce che il consiglio comunale può provvedere alla pubblicazione nella lingua messa a tutela di
atti ufficiali dello stato. Si possono pubblicare atti nell’altra lingua, ma il valore effettivo è dato dagli atti di lingua
italiana

Arti colo 9
Nelle amministrazioni pubbliche è consentito l’uso orale e scritto della lingua ammessa a tutela. Dall’applicazione del

presente comma sono escluse le forze armate e la forza di polizia dello Stato . Si sancisce l’assoluta priorità

dell’italiano sulle lingue di minoranza. Quindi anche in questo caso non si riconosce uno status equivalente alla
lingua di maggioranza. È sicuramente un passo importante di riconoscimento di lingue minoritarie all’interno del territorio
italiano, però appunto ci sono dei problemi, legati al fatto che non vengono prese in considerazione le lingue di
immigrazione, che sono lingue che portano persone che da altri paesi nel nostro territorio, di origine romanza o mano.

Minoranze linguisti che neolati ne e non neolati ne in Italia


Le lingue di minoranza protette dalla legge 482 sono 12 e sono di diversa natura. Alcune sono minoranze linguistiche, altre
minoranze nazionali. Un altro tipo di classificazione è in relazione al gruppo di appartenenza da un punto di vista
etimologico. Abbiamo da un lato minoranze linguistiche neolatine e non neolatine. Le lingue neolatine sono quelle che
derivano e si sviluppano dal latino, che hanno un comune antenato e sono dette neolatine o più comunemente romanze.
Questa classificazione consente di identificare la varietà linguistica che queste lingue di minoranza rappresentano
all’interno del nostro territorio.

Lingue neolati ne (romanze)


Lingue ibero – romanze Portoghese, spagnolo, catalano, gallego.
Lingue gallo – romanze Francese, occitano, franco – provenzale e altre lingue di minore espansione localizzate al di
fuori del nostro paese.

Gruppo italo – romanzo Italiano e i dialetti dell’italiano. I dialetti sono considerati lingue a tutti gli effetti. I dialetti
provengono direttamente dal latino volgare e si sono sviluppati prima dell’italiano.

Reto – romanzo Romancio, ladino e friulano. Sono parlate in aree specifiche dell’Italia.
Sardo Lingua romanza più conservativa e più vicina al latino a causa del suo isolamento, in quanto
nelle isole spesso le lingue tendono ad essere più conservativi poiché i contatti sono ridotti.
Al suo interno comprende delle varietà dialettali.

Rumeno
Minoranze linguisti che neolati ne in Italia
Minoranze franco provenzali Piemonte, Valle d’Aosta e sviluppano una sorta di diglossia con il francese.
C’è una piccolissima area nella provincia di Foggia in cui queste lingue sono
parlate.

Lingue occitane e provenzali alpine Piemonte, Val di Susa e nel meridione in alternanza al francese.

Francese È parlato in Valle d’Aosta e in Val di Susa ed è parlato in alternanza diglottica


con le varietà occitane e franco provenzali

Ladine dolomitiche Zona delle Dolomiti, in Val di Fassa. Il ladino insieme al friulano è una lingua
retoromanza. Queste due lingue hanno avuto attenzioni particolari in
merito alla tutela e sono state tutelato attraverso diversi tipi di
provvedimenti e fenomeni di attuazione.

Friulano Parlato in Friuli – Venezia Giulia; ha una propria specificità.

Comunità Catalane Nel centro di Alghero (Sassari) anch’essa ha origini romanze


All’interno del 1300 si sono sviluppati degli insediamenti e hanno fatto sì
che venisse a crearsi una comunità linguistica particolare.

Varietà sarde In parlate in tutta l’isola della Sardegna, escluse alcune zone.

Minoranze galloitaliche in Toscana (provincia di Lucca) e nell’Italia meridionale (Sicilia e Basilicata).

L’area siciliana è stata molto studiata dal punto di visto linguistico. Queste comunità linguistiche rappresentano il

fenomeno eteroglossia interna : comunità che emigrano e creano comunità linguistiche ex novo che, come le
comunità galloitaliche toscane, hanno origini molto antiche. Queste varietà sono compatibili con lo status di lingua
minoritaria per tante caratteristiche, ma non sono riconosciute come tali. Un altro tipo di comunità che richiama
l’eteroglossia interna è rappresentata dai liguri di Sardegna, in particolari dai parlanti di tabacchino, una lingua ligure che è
utilizzata esclusivamente nelle isole che si trovano a sud ovest della Sardegna e che si caratterizzano per essere arrivate lì
attraverso fenomeni migratori. In realtà ha origini addirittura in Tunisia, e per provenienze e migrazioni di tipo diverse ci si
ritrova a una comunità linguistica a cui sono stati dedicati moltissimi lavori da parte di Fiorenzo Toso.

Minoranze linguisti che non neolati ne


Non hanno legami di parentela col gruppo romanzo.

Lingue germaniche o walser Fanno parte di un gruppo germanico, sono lingue germaniche. In questo caso le
comunità allemaniche caratterizzano alcune zone della valle d’Aosta e queste
comunità derivano da colonizzazioni molto antiche da parte di comunità linguistiche
che provenivano dalla Svizzera.

Cimbre Si ritrovano in diversi comuni nel veronese e nel vicentino.

Comunità slovene Lo sloveno è una lingua slava. Queste minoranze si associano in particolare a tre
città: Udine, Gorizia e Trieste. Moltissimi parlanti di sloveno vivono a Udine non sono
assicurati a tutela, a differenza invece a Gorizia e a Trieste, dove sono assicurate.

Comunità croata Nell’area molisana. I fenomeni migratori hanno portato lo stanziamento in quest’
area di alcune popolazioni parlanti croato che ha origini molto antiche. Il croato è
una lingua slava.

Comunità albanesi Area meridionale e nel molisano. Gli insediamenti risalgono intorno al XV secolo.

Comunità greche Area del Salento e Calabria. In questo caso il greco parlato dalle comunità è molto
influenzato dalla lingua tetto, che è l’italiano e potrebbe non rispettare alcuni
standard del greco contemporaneo parlato in Grecia.

Le fasi del corpus planning

1. Scelta del codice da supportare;


2. scelta dell’alfabeto;
3. sistema ortografico;
4. morfologia e sintassi;
5. lessico;
6. standard orale.
Il corpus planning è la prima fase che viene messa in atto nell’ambito della pianificazione linguistica e ha a che fare con il
modo in cui la lingua viene codificata sul piano ortografico, grammaticale e alfabetico. La pianificazione linguistica
interviene sui rapporti tra le lingue in un determinato territorio e affinché una lingua possa svolgere le funzioni
amministrative e possa essere usato in ambiente pubblico o possa essere usata nell’insegnamento o insegnata è
necessario fare in modo che questa lingua sia dotata di strumenti specifici. È obiettivo del linguista, che è coinvolto nelle
attività di panificazione linguistica, quello di fornire alle lingue di minoranza gli strumenti necessari per poter svolgere
specifiche funzioni. Il corpus planning consiste nello studiare e mettere in atto tutte quelle pratiche che aiutano a definire
meglio un codice da un punto di vista linguistico che sia associabile a una lingua di minoranza.
Non tutte le situazioni di pianificazione linguistica richiedono però un’attività di corpus planning: in realtà ci sono casi in cui
le lingue dichiarate di minoranza che sono tutelate siano già dotate di un loro codice/standard a cui fare riferimento. Ad
esempio, il caso del gallese usato in Gran Bretagna, per il quale ci si è limitati a svolgere azioni di natura legislativa;
dunque, ci si è limitati a adottare delle attività di status planning, cioè attività riferite alle norme che aiutano tutelare la
lingua e ci si è limitati a intervenire sul piano dell’acquisition planning, della promozione dell’uso della lingua tra i diversi
parlanti. Questo perché la lingua gallese era già in uso, già codificata e già utilizzata come lingua letteraria. Le attività di
corpus planning si mettono in atto attraverso diverse fasi:

1. Scelta del codice  in particolare quale delle varietà presenti sul territorio è quella che poi verrà
effettivamente normalizzata. Questa scelta fa sì che una varietà venga preferita alle altre e ne determini una
conseguente subordinazione. Dunque, fa sì che per lo meno nella storia, la scelta di una determinata lingua come
lingua standard ha portato le varietà linguistiche parlate nello stesso territorio ad acquisire un valore diverso dal
punto di vista del prestigio. La decisione legata al tipo di lingua da normalizzare è spesso dettata da fattori esterni
alla lingua stessa; viene ad imporsi per motivi storici, sociali o culturali. La scelta del codice è comunque
un’operazione molto complessa, anche sul piano più politico. Le lingue che si parlano oggi in Europa come lingue
ufficiali in realtà hanno avuto dei percorsi molto diversi l’una dall’altra:
Es. francese  nasce come dialetto di una regione che viene poi addotto dal bordo della borghesia, e poi diviene
lingua letteraria. Quindi nasce in un’area localizzata, arriva ad essere utilizzata come lingua letteraria e poi
riconosciuta come lingua ufficiale.
Es. tedesco  il tedesco viene da un mix di dialetti dell’area germanica ed è utilizzato in ambito letterario. Questo
fa sì che poi alla lingua tedesca venga riconosciuta lo status di lingua ufficiale.

La questi one (lett eraria) della lingua in Italia: la scelta del codice
L’italiano attuale è il risultato di una pianificazione, ossia scelte e discussioni di politica linguistica messe in atto a partire da
circa il 1300. Quindi l’italiano attuale nasce come lingua pianificata. Negli ultimi anni l’utilizzo di italiano come lingua di
comunicazione di massa (radio, televisione) ha fatto sì che evolvesse autonomamente e che mantenesse poco un aspetto
di pianificazione. Ovviamente l’uso che i parlanti fanno della lingua va a modificare la lingua e la fanno evolvere.

Prime rifl essioni sulla situazione linguisti ca italiana


In Italia vi erano quattordici varietà regionali che Dante dichiara come non sufficientemente “illustri” a essere usate come
lingua letteraria, e tra queste vengono a indentificarsi alcune varietà regionali che costituivano le varietà con minore

prestigio. Come varietà di maggior prestigio viene declinata una situazione di diglossia. Nel corso del XVI secolo il
problema della lingua viene affrontato nuovamente e abbiamo una situazione particolare in cui il latino volgare occupa
una posizione alta nella diglossia. I dialetti locali costituiscono il polo basso e si viene ad inserire in queste due varietà di
lingua (latino e dialetti locali) una varietà che è quella che vuole essere pianificata e creata ad-hoc e che costituisce una
lingua da normalizzare e che possa essere utilizzata come lingua ufficiale nell’amministrazione o nell’ambito
dell’insegnamento. Per questo motivo non riuscivano a essere utilizzate le varietà locali come i dialetti e tanto meno il
latino. Questa situazione delinea tre posizioni diverse in relazione alla questione della lingua, tre posizioni che hanno
segnato un momento importante nella questione linguistica in Italia:

Posizione cortigiana Lingua letteraria di tipo polinomica. Prevede l’uso di una lingua praticata nelle corti italiane. È
una lingua naturalmente artificiale, creata ad hoc. Basata sulla lingua nell’uso di corti italiane
e con riferimento a una base di tipo toscana nella quale si andavano a inserire strutture
sintattiche prese da altre lingue. Questa lingua è adatta agli usi amministrativi. Tiene insieme
lingue strutturalmente diverse.

Posizione fiorentina Posizione sostenuta da Machiavelli. Proponeva l’uso di una varietà parlata su un territorio
specifico. Dipende da fattori diatopici: in Toscana il latino (H) vs toscano (letterario/popolare).

Posizione arcaizzante Sostenuta da Pietro Bembo. La lingua letteraria doveva basarsi sulle grandi opere degli
scrittori fiorentini del ‘300.
No soluzione cortigiana: non esistevano grandi opere scritte in lingua cortigiana.
No soluzione fiorentina: la lingua toscana parlata era comunque “contaminata dall’uso”.
L’obiettivo era trovare modelli di riferimento in modo da poter pianificare precisamente la
loro imitazione (Petrarca per poesia e Boccaccio per la prosa). Questa lingua di distingueva da
quella proposta dalla soluzione cortigiana per riferimento to ad opere letterarie e per l’uso di
una lingua di un livello più alto e che non fosse esposta alle modifiche che emergono
attraverso l’uso.

Proposta di Bembo
Proposta interessata esclusivamente a dare una forma alla lingua letteraria da poter utilizzare in ambiente amministrativo.
Questa non voleva eliminare i dialetti parlati e di eliminare i volgari illustri utilizzati nelle cancellerie. Tuttavia, con la
nascita del regno d’Italia questa varietà tende ad essere imposta come lingua ufficiale e scansare il resto. In questo
periodo si da inizio a una ripresa della discussione sulla questione della lingua. L’obiettivo è quello di trovare una lingua
unica e unitaria per la nazione. Lo strumento ideale per realizzare questa unificazione fu proprio la lingua comune. In
questo periodo ci si trova in una situazione di totale diglossia in cui alla lingua letteraria che è la varietà alta si oppongono i
dialetti. La lingua che doveva essere utilizzata e normalizzata e avrebbe dovuto rappresentare la lingua
dell’amministrazione aveva in realtà delle anomalie: era un codice solo scritto che non veniva parlato neanche dalle
personalità che tanto ne discutevano e pubblicizzavano come necessari. Non esisteva neppure una terminologia tecnica,
che invece appunto è essenziale per far si che una lingua possa essere utilizzata nell’ambito amministrativo. Furono creati
dei francesismi. L’italiano era una lingua veicolare, poiché la lingua principale di alunni e insegnanti era rappresentata dai
dialetti. Questa però non è l’unica varietà alta e amministrativa a disposizione: c’era l’utilizzo di altre varietà, il latino era
stato abbandonato. Il dibatto della lingua a un certo punto si sposta poiché ci si rende conto dell’esigenza di una lingua
parlata, di un italiano parlato. Nascono due proposte:
1) Una lingua vada naturalmente strutturandosi con diversi apporti provenienti dalle eterogenee realtà
locali.
2) Manzoni propone l’uso del fiorentino parlato dalla borghesia  posizione che prevale. Da qui viene
avviato un lavoro di pianificazione che fa si che vengano in qualche modo a mancare le forme dialettali, per
far si che si crei una uniformità linguistica, che in realtà si viene ad avere successivamente grazie
all’industrializzazione e alla migrazione verso le città e attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

La situazione in Norvegia
Scelta di non scegliere. La Norvegia è un paese bilingue in cui si hanno due varietà di lingue ufficiali:

1. Lingua dei libri  bokmal;


2. Neonorvegese, più arcaica.
Questa differenziazione è consolidata nell’uso scritto ma non è rispettata nelle forme orali: i parlanti utilizzano le loro
varietà locali. Facilitata dalla differenziazione la differenziazione diatopica è poco rilevante. La legge norvegese fa si che le
due lingue ufficiali siano presenti in almeno 25% dei documenti ufficiali, mentre c’è libertà per il restante 50%. La
questione della lingua in Norvegia nasce con il romanticismo, in cui si sente l’esigenza di una lingua ufficiale per questo
paese. Il confronto tra le due varietà, in realtà, è andato avanti a lungo; però in entrambi in casi le due lingue hanno
accettato delle riforme ortografiche e morfologiche; quindi, si sono adattate all’uso che ne fanno i parlanti. In particolare,
la varietà bokmal è una varietà che proviene dal danese, sottoposta a delle modifiche ortografiche e morfologiche già alla
fine dell’Ottocento. Modifiche di tipo smile hanno ricordato il neonorvegese. Nonostante ci fosse una base più solida,
anche questa varietà è stata sottoposta a degli interventi. Entrambi gli standard oggi sono comprensibili ai parlanti e in
Norvegia il parlante rimane molto attaccato alla propria varietà di lingua. Nelle scuole si può scegliere quale varietà
utilizzare; ci sono preferenze, ma nelle città c’è una situazione di neutralità.

2. Scelta dell’alfabeto  ha a che fare col tipo di scrittura da associare a una determinata lingua. La scrittura
deve rapportarsi alle funzioni che questa lingua deve assumere in quanto lingua ufficiale, e quindi alle funzioni
ammnistrative e quelle legate all’insegnamento. Al contempo, è necessario che questa scelta possa mantenere
valori di identificazione nella comunità linguistica che sono più vicini ai singoli parlanti. S’impone quindi una scelta
dell’alfabeto da utilizzare. È una scelta spesso obbligata per motivi e fattori esterni alla lingua stessa. In
particolare, la collocazione geografica di una comunità linguistica determinante nella selezione del tipo di
alfabeto; si tende a utilizzare e adattare l’alfabeto tradizionale presso le altre lingue presenti sul territorio. In
realtà questa scelta è in gran parte determinata da motivi ideologici e religiosi. La territorialità è il primo fattore

che determina l’utilizzo e la scelta di un tipo di alfabeto. La condizione di digrafia: compresenza di diversi
sistemi di scrittura per una stessa lingua; può segnare l’orientamento di uno stato da un’influenza culturale a
un’altra. Può essere superata adottando due sistemi oppure creando due lingue diverse: serbo e croato. Hindi e
Urbu sono entrambe due lingue ufficiali dell’India. Sono molto simili e la loro base comune è il sanscrito; sono
quasi lo stesso codice. Nel caso dell’Urbu c’è un maggior apporto lessicale dal persiano e dall’arabo. Questa
separazione è garantita sul piano del sistema alfabetico. L’arabo viene utilizzato per l’Urbu e la devanagari per
l’Hundi. Il cambio dell’alfabeto in una comunità linguistica può essere dovuto a livelli più pratici, per esempio in
Mongolia si era passati da un’operazione di civilizzazioni per motivi pratici legati in realtà a fattori ideologici. Si sta
tornando però al vecchio sistema di scrittura, in quanto più adatto a un sistema di scrittura digitale. Le differenze
sul piano della selezione del set di caratteri che andranno a costituire una lingua in realtà non devono
necessariamente essere evidenti, però possono essere manifestazione di un forte cambiamento a favore della
promozione di un’identità linguistica associata a una certa comunità. Le piccole differenze di ortografia possono
essere sviluppate in maniera consapevole come forma di differenziazione da qualcos’altro; questo è ciò che
accade tra inglese britannico e inglese americano. Negli ultimi tempi si assiste a quella che può essere definita
come una latinizzazione de, mondo: le lingue che sono sottoposte a operazioni di normalizzazione si basano e
vengono rappresentate attraverso il sistema latino perché da un lato abbiamo il prestigio di alcune lingue, in
particolare il prestigio dell’inglese che tende a utilizzare caratteri più standard. Un altro fattore è lo sviluppo
dell’informatica: si va sempre più verso uno standard omogeneo per tutti per facilitare e questi standard è
rappresentato appunto dal latino.

3. Sistema ortografico  corrispondenza tra segno grafico e suono. L’ortografia è un’operazione complessa, ci si
deve confrontare con la storia e le basi storiche vanno sempre considerate, ci si deve adattare alle tradizioni
precedenti. La corrispondenza tra suono e segno grafico fa si che un certo tipo di grafema sia associato a un certo
suono e negli obiettivi della pianificazione linguistica deve essere insegato ai parlanti della lingua che non hanno
appunto forma scritta. Si tende a utilizzare dei grafemi che possano corrispondere al suono. L’obiettivo primario
di questa operazione è che il sistema ortografico venga accettato e utilizzato in forma attiva da parte del parlante.
Nell’Europa moderna per quanto riguarda le lingue di minoranza si è scelto il sistema alfabetico che rispecchia la
lingua, in cui il parlante ha ricevuto la sua istruzione primaria. Ciò fa si che per un parlante sia da un lato più
facilmente accettabile e più semplice il nuovo sistema di scrittura. Il rischio nell’utilizzo di una mancata
corrispondenza tra grafema e suono fa si che si possa avere una percezione di difficoltà da parte del parlante, egli
può sentire più difficile questa corrispondenza tra suono e forma grafica e può sentirsi più lontano da ciò che lo
rappresenta. È quindi importante considerare il potere identificativo che possiede una lingua scritta. In qualche
modo l’identità linguistica ha una funzione normativa, la consapevolezza del parlante, di identificarsi all’interno di
una comunità determina alcune scelte. Esempio: America. Webser individuò principi a cui attenersi per
identificare meglio i parlanti nell’ambito del territorio. Le varianti ortografiche sono legate a fattori identitari:
sono utilizzate appositamente e ne viene incentivato l’uso come manifestazione della differenziazione. Quando si
sceglie un sistema ortografico abbiamo davanti tre opzioni:
1. Ortografia fonetica;
2. Ortografia di tipo etimologico;
3. Ortografia mista.

Ortografia fonetica
Rappresenta modo in cui i suoni vengono pronunciati all’interno della lingua. In questo tipo di ortografia è necessaria e
implicita l’esistenza di uno standard dorale a cui fari riferimento, l’assenza di variazione sul piano diatopico e a livello
diastratico. L’eventuale presenza di differenziazioni creerebbe una diversità di forme o un problema.

 Vantaggi  facilità di scrittura. Non è necessario conoscere la lingua, in particolare conoscere le norme
ortografiche, perché la lingua si scrive così come si pronuncia; si può dire che questo faciliti la scrittura. La
corrispondenza tra suono e grafema fa si che la scrittura sia più semplice.

 Svantaggi  difficoltà di interpretazione nel caso di rapporti variabili fra i suoni . Una grafia che fosse di
tipo strettamente fonetico obbligherebbe a cambiare grafi anche nelle forme flesse di parole molto frequenti. La
corrispondenza tra suono e grafema è complessa ed è difficile soprattutto perché è difficile rendere sul piano grafico
tutte quelle variazioni che avvengono nel parlato. Questo comporterebbe la messa a norme delle variazioni che son
presenti nel parlato. Ad esempio, un problema è il rapporto tra i suoni.

Ortografia etimologica
Mostra le derivazioni delle parole di una lingua. Quella che ci aiuta a dare prova delle derivazioni delle forme linguistiche,
che rende evidenti legami diacronici delle varie forme linguistiche. Si tratta di un tipo di ortografia che provoca una
difficolta di lettura immensa. Il francese ha un’ortografia altamente etimologici che riesce a documentare la storia della
lingua, anche in relazione alla realizzazione di alcuni suoni. L’origine delle parole attraverso la scelta ortografica fa si che si
complichi molto il sistema ortografico.

Ortografia mista
Si rappresenta come un compromesso tra l’ortografia fonetica ed etimologica. In realtà si tratta nel caso dell’ortografia
mista abbiamo delle scelte ortografiche meno precise e più vaghe. Questa scelta nonostante l’assenza di precisione
nell’identificazione di un suono e di un grafema è equilibrata e funziona se viene ritenuta agevole o utile e ben
rappresentativa di fattori identitari da parte del parlante. La consapevolezza del parlante anche in questo caso è
essenziale. L’ortografia mista, quindi, fa si che si possano avere letture diverse di una stessa forma scritta. Il criterio di
applicazione di questo tipo di ortografia ha delle conseguenze importanti per l’attività di corpus planning, legate
all’accettazione di tale tipo di ortografia da parte del parlante. Permette ai diversi parlanti di una stessa varietà linguistica
di identificarsi e riconoscersi come utenti di uno stesso sistema di scrittura. Ci sono per esempio fenomeni di
raddoppiamento fonosintattico nelle lingue, in italiano, che caratterizzano alcune varietà. Alcune varietà locali sono
pensate nella zona centrale legate per esempio al romano che prevede il raddoppiamento fonosintattico della sibilante del
suono in contesti intervocalici. In questi casi si ha la realizzazione diversa di suoni che non comporta problemi di
comprensione. Il raddoppiamento è molto frequente.
Un sistema ortografico misto ha facilità di adattamento a questo tipo di esigenze. Associamento di una lingua parlata.
Auna forma scritta: la scrittura tende a conferire un ruolo diverso alla lingua; passare da formare a una scritta vuol dire
attribuire a una lingua un ruolo diverso, in particolare il ruolo di lingua e non di dialetto. Una volta acquista una forma
scritta, la lingua porta con sé valori simbolici e può associare alla scrittura dei valori simbolici che differenziano una varietà
linguistica dalle altre e che hanno un risvolto identitario. Questi valori devono essere tenuti inconsiderazione e sono
primari nelle attività di corpus planning, in quanto è difficile far accettare una variante scritta a un parlante di una lingua è
stata prettamente orale ed è difficile far si che il parlante si riconosca il quel tipo di scrittura e che effettivamente la faccia
sua. Quando si associa una forma scritta a una lingua da standardizzare si ha l’obiettivo di far usare quella lingua
nell’ambito amministrativo o insegnamento; quindi, si fa si che venga scritta per essere insegnata. Ma ci sono anche
problemi ideologici legati all’ideologia e alla consapevolezza del parlante nei confronti della propria lingua, una
consapevolezza metalinguistica.

L’attaccamento al dialetto e a quindi una forma di socializzazione primaria viene definito in letteratura purismo
dialettale. E nei parlanti c’è un forte attaccamento alla varietà linguistica che viene utilizzata nella socializzazione
primaria. Nel caso di standardizzazione di una norma ortografica che non ha forma scritta può accadere che quella lingua
scritta venga percepita diversa dalla propria varietà linguistica. Queste diversità possono essere legate a problemi di
lettura. I rischi in questo caso sono di avere un totale rifiuto e una separazione da parte del parlante, spesso dovuto a
sentimenti di inadeguatezza di fronte a una lingua che non sa scrivere o leggere, che in realtà è la propria lingua di
socializzazione primaria. Un’ortografia meno precisa e più vaga è sicuramente quella più utile, in quanto più facile. In
questi casi sarebbe utile utilizzare un sistema ortografico che sia simile a quello della lingua tetto: tenere conto ortografia
della lingua dominante può essere d’aiuto perché sia accettata dal parlante. L’ortografia però rispecchia tutte le forme di
un varietà linguistica e tutte quelle specificità locali, ma può accentuare caratterizzazioni peculiari della lingua che si vuole
normalizzare.

In questo senso sono molti utili i caratteri bandiera: un caso di applicazione di un carattere bandiera è quello del
bretone, che utilizza il digramma (z) (h), semplicemente per marcare uso diverso che si fa di queste consonanti in contesti
particolari. Il nesso grafico è diventato un vero e proprio carattere bretone. Il carattere bandiera aiuta a capire che un
certo testo sia effettivamente scritto in quella lingua; caso del catalano che utilizza il digramma (ñ) e (y). È un’esperiente
scelto dal catalano per il suono nasale e che si contrappone nettamente al grafema spagnolo. Viene utilizzato come fattore
identitario.
È importante la prevedibilità delle forme linguistiche: l’ortografia può essere vaga ma è necessario che sia stabile e
coerente. L’ortografia deve essere prevedibile e coerente. La scelta di sistemi ortografici troppo difformi può essere di
ostacolo alla lettura dei testi. I parlanti devono sentirsi rappresentati dal sistema ortografico.

Caso studio: Alfabeti del Mediterraneo


Il caso della Turchia

Il cambio di sistema di scrittura all’interno di una stessa tradizione linguistica accade più frequentemente di quanto si
immagini; è indice di interventi pianificati sulla lingua. L’azione di modernizzazione (1924  Atatürk) ha sancito la nascita
di uno stato rigidamente monolingue. Sul versante linguistico l’alfabeto turco a base latina ha sostituito quello arabo
(precedentemente usato)  è uno degli esempi di sistemi grafici creati ex novo meglio riusciti. Negli anni 1924-25 ci fu un
cambio repentino: tutte le scritte, pubbliche e private, furono sostituite e quelle nuove realizzate direttamente con
caratteri latini. La popolazione si è ritrovata di colpo tutta praticamente analfabeta. Dal punto di vista prettamente
alfabetico la riforma di Atatürk è ottima, in quanto garantisce una corrispondenza uno-a-uno tra grafia e pronuncia è di
immediata comprensibilità e facile apprendibilità. Gli aspetti legati alla differenziazione e alla presenza di caratteri
bandiera sono stati rispettati. Valore simbolico  non “alfabeto latino per il turco”, ma “alfabeto turco derivato da quello
latino”; per esempio la corrispondenza fonetica dei caratteri c e ç non è stata presa in prestito da alcuna lingua ed è
dunque propria del turco.

La complessità linguistica di Malta

Malta ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1960. Oggi la Repubblica di Malta ha due lingue ufficiali: maltese
e inglese. Il maltese ha sostituito l’italiano come lingua ufficiale del paese. L’inglese è conosciuto da tutti ed è la lingua
dell’alta cultura e dei rapporti commerciali e internazionali. Il maltese è la lingua di comunicazione primaria ed è una
lingua semitica. I contatti con le parlate siciliane hanno influenza sul lessico. La codificazione nella scrittura è avvenuta
mediante l’alfabeto latino, per motivi d’uso e geopolitici, pur essendo una varietà di arabo. L’alfabeto maltese prevede
quattro grafi particolari e un digrafo non compresi nell’inventario tipico dell’alfabeto latino. C’è un’attenzione verso la
religione cattolica, la facilità di lettura (abitudine a leggere l’alfabeto latino), e alla collocazione geo-politica (appartenenza
all’Europa occidentale). Nell’area arabofona si parla arabo classico, che è l’unica lingua scritta ufficiale. Ma ogni zona ha
una propria variante, spesso incomprensibile alle altre; queste varianti non hanno accesso alla scrittura: il loro uso è
sanzionato anche dalla società civile araba. Malta ha dovuto differenziarsi per adozione, come lingua ufficiale, di questo
suo dialetto arabo. Il maltese è l’unica lingua araba d’Europa, l’unica lingua scritta in alfabeto latino e l’unica lingua araba
tout court oltre all’arabo classico.

4. Morfologia e sintassi
Sono due livelli di analisi. La morfologia ha a che fare con la struttura interna delle parole, le regole che stanno alla base
della struttura interna; quindi, meccanismi che ci aiutano a costruire le parole di una lingua. La sintassi studia il modo in cui
le parole stanno all’interno della frase. Questi due livelli di analisi sono molto complicati e si rappresentano come livelli
complicati da affrontare dal punto di vista della pianificazione. È difficile normalizzare e quindi dare indicazioni sulla
standardizzazione di questioni morfologiche e sintattiche legate a una lingua. I criteri messi in atto dalle istituzioni e
attività di pianificazione sono molto diversi tra loro. È difficile anche identificare le proprietà morfologiche e sintattiche da
standardizzare: c’è la possibilità di utilizzare, com’è stato fatto col greco moderno, una sola varietà e quindi applicare
regole di una varietà a tutte le altre. La sintassi ha a che fare con l’ordine delle parole, per esempio in italiano è SVO. Per il
catalano è stata creata una lingua comune dal punto di vista ortografico che potesse rappresentare tutte le altre varietà
legate a quella lingua. Un'altra operazione è la creazione di codice ex novo che potesse rappresentare tutte le varietà. Nel
caso del norvegese l’adattamento all’utilizzo di uno standard tra loro simili che rispettassero e tenessero in considerazione
le varietà locali da cui poi si vanno a differenziare sul piano lessicale. L’aspetto morfologico e sintattico è complesso nella
determinazione nelle operazioni da svolgere. Può capitare che lo standard sia legato alla varietà diatopica.
Sul piano della sintassi ci sono criteri che il pianificatore deve seguire:

1. criterio che aiuta alla codificazione della sintassi è quello di maggior diffusione: più è diffusa una struttura
sintattica più è facile che questa sia scelta come modello per la lingua da standardizzare.

2. Regolarità di applicazione / chiarezza . Ovviamente se si vuole procedere a una normalizzazione delle proprietà
di una certa lingua, è importante che si rispettino fenomeni sintattici più regolari che si realizzano più
frequentemente.

3. Distanziazione e originalità. Preferenza alle varianti che più differiscono dalle forme in uso nelle lingue vicine.

Caso studio: la morfosintassi del ladino


 Standardizzazione della morfosintassi nel corpus planning del ladino standard.
Il ladino è una lingua scritta unitaria che, nelle intenzioni, dovrebbe servire da lingua tetto per tutte le varianti ladine delle
Dolomiti. Nel campo della morfologia è essenziale prestare attenzione a:
1. Fattori strutturali;
2. Univocità della funzione e della coerenza del sistema morfologico.

Secondo Schmid le decisioni devono essere confrontate con l’accettazione o il rifiuto da parte del parlante. Egli propone di
seguire criteri di maggior diffusione, regolarità e semplicità.
Es. le desinenze dei verbi.
• Regolarità e semplicità  desinenze dell’imperfetto indicativo in /-ov-/, tipiche di una minoranza di idiomi ladini.

• Maggior diffusione e accettazione da parte dei parlanti  desinenze degli infiniti forme senza /- r/ (mangé,
“mangiare”, dormì, “dormire”); in netta contraddizione con il principio di chiarezza e univocità (mangé e dormì
significano anche “mangiato” e “dormito”).
• Criterio dell’originalità. Per esempio, i plurali dei sostantivi: esiste un gran numero di declinazioni e di eccezioni
tipiche di ogni variante dolomitica nel plurale di aggettivi e sostantivi. Ci sono regole elaborate con una lunga
serie di forme irregolari.

5. Lessico  Il lessico è, insieme al sistema ortografico, quello che più immediatamente è a disposizione del
parlante ed è quello che coinvolge il parlante nella scelta e nella determinazione di parole che entrano a far parte
di una lingua. Le attività legate al lessico devono prevedere un coinvolgimento da parte dei parlanti effettivi. Le
proposte non possono consistere di nuovi lessemi introdotti in una lingua. L’obiettivo della pianificazione
linguistica è quello di trovare termini per il linguaggio amministrativo; quindi, la standardizzazione deve puntare
non ad acquisire nuovi elementi nella lingua, ma primariamente deve essere legata agli usi amministrativi e
settoriali, in quanto gli ambiti più personali e di natura letteraria devono essere lascati liberi di organizzarsi.
Lavorare sul linguaggio amministrativo significa conseguenze su altri livelli. Quindi la standardizzazione lessicale
produce delle forme per un uso passivo da parte del parlante, cioè la comprensione di testi amministrativi e non
per l’uso di socializzazione primaria. Il lessico che viene standardizzato avrà quindi a che fare con ambiti settoriali
specifici e con la lingua dell’amministrazione. Questi ambiti interessano poco ai parlanti che tendenzialmente
sono poco propensi all’accettazione di mutamenti linguistici sul piano lessicale. Tendenzialmente è molto aperto
all’inserimento di nuovi elementi lessicali.

Obietti vi del lavoro di pianifi cazione del corpus lessicale


Gli obietti vi prevedono una fase inziale di produzione di liste di parole, ossia liste terminologiche legate ad ambiti e aree
semantiche e dizionari. Una fase molto avanzata dal punto di vista lessicale prevede la creazione di testi tecnici, che
preveda quindi l’uso di tecnicismi, terminologie specialistiche. Il lavoro della linguistica prevede il confronto di liste di
parole, quindi di dizionari che coinvolga terminologie specialistiche. Per l’elaborazione delle terminologie si opera una
ricognizione di tutto il materiale prodotto della lingua ufficiale del territorio e si aggiungono a queste liste termini
specialistici che esistono nella lingua da standardizzare. In questa fase il linguista ha l’obbiettivo o di delimitare in qualche
modo l’area semantica delle parole specialistiche e termini tecnici a seconda delle necessità degli utenti. Si viene a creare
quindi un insieme di fonti di diversi tipi di dizionari, opere enciclopediche. Si parte da opere specialistiche che prevendo
l’uso di una terminologia tecnica. Questo fa sì che si possano crear aeree semantiche e che si possa andare ad identificare
la terminologia specialistica al fine di elaborare un albero concettuale che possa fornire il lessico specialistico. Una volta
rappresentato l’insieme dei tecnicismi, il corpus planning viene catalogato e viene declinata l’organizzazione interna. Si
rappresenta quindi la struttura interna del lessico.

Neologismi terminologici

Neologismo = creazione di una nuova parola/lessema. Lessema = unità astratta usata in linguistica per riferirsi alla
parola. I neologismi ci aiutano a dare nome a un elemento che non ha nome in una certa lingua; quindi, si usa il
neologismo appunto per trovare una nuova denominazione. I neologismi possono essere di due tipi:
1. Neologia formale  il tipo di processo attraverso il quale viene creata una nuova forma. Per esempio, la
composizione, cioè l’unione di due lessemi che insieme formano un lessema autonomo. In questo caso si parla
di radici lessicali, che vengono univerbate e pronunciate una dietro l’altra. La composizione è un nuovo composto

(es. pianoforte, cassapanca, posacenere). Un altro processo è il prestito ci aiuta a far sì che una parola di un'altra
lingua possa essere utilizzata nella lingua d’arrivo e può essere dovuto a tanti fattori; si distingue in prestito di
lusso o di necessità. Sono prestiti di lusso quelli che una lingua utilizza pur avendo del materiale autoctono (es.
weekend) per mettere in uso i tecnicismi. Il prestito di lusso non è richiesto dalla lingua. Il prestito di necessitò è
utile poiché ci aiuta a dare nome a un nuovo referente che in una cultura non è presente. Questo succede con

parole legate agli alimenti (es. kiwi) per l’importazione del frutto abbiamo importato anche il nome. Il prestito
può essere adattato alla lingua oppure mantenuto nella sua forma originaria (es. computer); ci sono però parole

che possono cambiare la forma (es. catrame, bistecca). Un altro processo è la derivazione, processo di
formazione di parola a partire da altre per mezzo di suffissi (es. giorno – giornale – giornalista – giornalistico).
Posso avere nuove parole con elementi che si aggiungono alla fine o all’inizio di una parola (utile – inutile).
Queste parole possono passare da una classe a un’altra (es. giornalista – giornalistico; dente -dentale; polvere –

polverizzare). Gli acronimi creano nuove parole a partire dalle iniziali (es. laser). La conversione consiste
nell’utilizzo di una parola in ambi ente sintattico che non è suo; ci permette per esempio in inglese di utilizzare un
verbo come nome (es. sapere – il sapere); si ha una conversione di parti del discorso senza aggiunta di materiali.

Blending (es. macedonia, apericena, brexit, brunch) è l’unione di due segmenti di parola, che sono presi a caso,
non sono morfemi.
La neologia consiste nel creare una parola nuova per via di tutti questi processi .

2. Neologia semantica  ha che fare con processi di formazione di parola che si basano su fattori semantici,
per esempio su estensioni del significato che una parola può avere. Come l’uso di metafore o metonimie. Oppure
da semplici processi che variano il significato di una parola. Il significato di una parola può andare a restringersi
nell’uso o può ampliarsi. Sono processi che avvengono nel tempo, per motivi diversi. Possono essere creati nuovi
significati per una parola che già esiste; questi processi sono speso legati a fattori di contatto linguistico. il

contatto linguistico da vita a fenomeni di diversa natura, per esempio il calco semantico: si utilizza una parola
che si ha attribuendole un significato che quella parola ha in un’altra lingua, per esempio stella; alla quale noi
abbiamo aggiunto la “stella del cinema” a partire da star, per influsso dell’inglese). Oppure per realizzare: vuol
dire mettere in atto. Tuttavia, può essere utilizzato come “rendersi conto”  in inglese “realize”, abbiamo
adattato questa parola a una parola che di fatto abbiamo già.
Quando si creano ex novo, dei termini che sono a tutti gli effetti neologismi per una lingua che si sta pianificando, devono
essere prese in considerazione alcuni parametri:

- Fattori terminologici  è necessario che la relazione tra significante e significato, e quindi tra forma della
parola e il concetto cui quella parola rimanda, sia in realtà univoca. Quindi una parola per un nuovo concetto.
Un’altra caratteristica è un’analogia tra il neologismo e la parola che a quel neologismo può essere
semanticamente associata, quasi a formare un elemento derivato attraverso processi di composizione.

- Fattori linguistici  il neologismo che viene creato deve essere legato al codice, e quindi alla lingua di arrivo,
ossia deve avere delle affinità e deve rispettare i parametri ortografici, morfologici e fonologici della lingua di
arrivo. Deve adattarsi alle caratteristiche interne e quindi strutturali della lingua di arrivo per far si che si senta
parte della lingua.

- Fattori sociolinguistici  per far si che un neologismo sia accettato dai parlanti di una comunità e che venga
poi diffuso nell’uso in determinati ambiti bisogna considerare alcune caratteristiche specifiche dal punto di vista
sociologico. Bisogna sempre considerare il livello di formazione degli utenti e la loro attenzione e sensibilità
linguistica, in quanto si ha a che fare con un potenziale scontro ideologico. Si deve anche considerare necessità
effettiva di un certo neologismo, ci si deve chiedere se effettivamente si ha il bisogno di neologismo. Bisogna
inoltre verificare a quale registro linguistico. si deve considerare la lontananza da connotazioni peggiorative, ossia
degli elementi affettivi e emotivi che possono essere legati all’uso di una parola. La connotazione può essere
linguistica ma anche affettiva; quest’ultimo tipo può essere di tipo peggiorativo; quindi, bisogna far si che questo
elemento
sia lontano da connotazioni peggiorative e che sia di facile memorizzazione.

Caso del Turco


È stata operata un’attività di panificazione linguistica sul piano lessicale. In particolare, sono stati identificati principi ai
quali attenersi per dare uno standard lessicale a questa lingua, che fosse attento alla tradizione.
 All’epoca si scelse di preferire parole turche a sinonimi di origine araba o persiana .
 Sviluppare nuovi significati per parole turche ; quindi a partire da parole esistenti nella lingua e attraverso
estensioni e quindi neologismi dal punto di vista semantico ad una forma già esistente.
 Sviluppare significati astratti per parole utilizzate in senso concreto . Questo fenomeno è molto comune nelle
lingue del mondo e occorre in maniera spontanea e naturale nelle lingue (es. usare parti del corpo come di fronte
a, automobile di seconda mano, lei ha la lingua lunga). L’idea di realizzare significati nuovi associati a una parola
esistente è un’idea importante in ottica di pianificazione poiché sfrutta un meccanismo naturale nelle lingue e che
avviene grazie all’uso che i parlanti fanno di una certa lingua.

 Raccogliere voci dai dialetti; per far sì che le varietà locali della lingua potessero essere rappresentate
nell’ambiente lessicale della lingua.
 Formare nuove parole turche; nuove parole che dovevano essere formate a partire dei processi di formazione di
parole tipici di quella lingua.
 Formare calchi di parole arabe; il calco può essere strutturale: si ha quando si crea una parola seguendo la
struttura della lingua di origine ma utilizzando elementi autoctoni; per esempio, la parola grattacielo. In questo
caso viene copiata la struttura della parola, viene adattata la sequenza tipica, viene invertito l’ordine e si
associano quindi le parole italiane. Questo è un tipo di calco che permette ci utilizzare materiale autoctono
ricalando struttura di un’altra lingua.

 Turchizzare foneticamente parole straniere.


 Creare neologismi che nel suono somiglino a parole straniere (es. drone).

Il caso del còrso


Ha ricevuto un’attenzione particolare in Corsica, che ha ottenuto un riconoscimento ufficiale ma che ha sempre avuto una
trasmissione di tipo orale, per la quale sono stati messi in atto tentativi di standardizzazione che hanno avuto in realtà
un’applicazione molto difficile. Ci sono problemi economici e politica che rendono questo processo molto lento.
 La lingua che si sta cercando di standardizzare ha una forma naturale, non è una lingua artificiale, che cerca di
mettere insieme tutte le varietà locali.
 Si ha come obiettivo quindi la creazione di sorta di lingua polinomica, che vuole raccogliere dei tratti da altre
lingue.
 Questa varietà di lingua standardizzata e scritta che si tenta di stabilire non si pone in contrapposizione con il
parlato, ma si pone come sostegno alle varietà parlante che non hanno uno standard scritto.
 Caratteristica innovativa: si vuole costruire non una lingua artificiale, ma una lingua che mette insieme le varietà
locali parlate già esistenti.

6. Standard orale
La presenza dello scritto è fondamentale per due motivi:

1. dal punto di vista ideologico avere una forma scritta può essere un indice di maggior prestigio linguistico;
2. dal punto di vista grafico si ha bisogno dello scritto sul piano comunicativo. Lo scritto serve nell’ambito
amministrativo e scolastico. La creazione di uno standard scritto è sicuramente da preferire, anche
semplicemente per motivi pratici.

Da un punto di vista identificativo, lo scritto è secondario rispetto al parlato. È intanto un canale comunicativo
secondario, quello he viene utilizzato di meno da parte dei parlanti. La creazione di uno standard orale invece diventa
molto più problematica: per creare uno standard orale bisogna far sì che ci sia una base ideologica di accettazione molto
forte da parte del parlante; lo standard orale potrebbe non essere sentito come necessario da parte del parlante.
L’assenza di uno standard orale non va a pregiudicare l’intercomprensione fra i parlanti. Non è una necessità
comunicativa, non sempre accettato nelle società altamente alfabetizzate.

La presenza di uno standard orale può essere utile, in quanto è una varietà che può essere compresa facilmente da tutti. È
una varietà che può essere utilizzata per l’insegnamento di una certa lingua. Può essere utile nei mezzi di comunicazione:
radio, televisione possono fare riferimento a questo standard orale in un uso che viene definito “ parlato – scritto”, che fa
riferimento al fatto che la lingua non fa differenziazione tra lingua parlata e lingua scritta, ma c’è un tipo di lingua che
viene in realtà viene prima scritta per poi essere parlata. Ovviamente, la presenza di una varietà che sia comprensibile non
significa che debba esser presente per forza uno standard orale o che debba essere imposto a tutta la comunità.
Caso della Norvegia  ha due standard, due lingue per lo scritto e non ha ufficialmente alcuna forma di standard orale. Gli
standard orali sono proposti da varie istituzioni e organizzazioni indipendenti.
Caso della Catalunya  la legislazione catalana ha fato si che si possano utilizzare più varietà locali come standard orale.

 Scala di ricezione: sono state analizzate in termini di accettazione le reazioni dei parlanti all’inserimento di uno
standard; ovviamente lo standard dorale viene accettato maggioramene se associato all’ambito dell’amministrazione,
all’insegnamento scolastico, ad ambiti più formali, nell’uso dei mezzi di comunicazione. Nel caso dell’ambiente privato,
l’inserimento della lingua standard viene sentito come imposizione dall’alto e una non – accettazione di uno standard
orale equivale al mancato uso di quello standard, e quindi tutta l’operazione di pianificazione perde valore.

Status, funzione, presti gio

 Prestigio = passato di una lingua; ossia ciò che i parlanti ritengono che sia stata la loro lingua nel passato. Una
lingua che nel passato ha avuto un’importante e forte tradizione letteraria è solitamente dotata di alto prestigio

 legame tra prestigio e passato. L’eredità linguistica, culturale e in particolare letteraria connessa a una lingua
ne determina il prestigio. Es. latino classico: eredità linguistica e letteraria molto importante.

 Funzione = rappresenta il presente di una lingua, vale a dire quello che si riesce a fare con la lingua, la funzione
che una lingua assume per un parlante. Ci sono lingue veicolari, usate soprattutto in ambito scolastico e tra
persone di lingua materna diversa che hanno in alcuni paesi una grandissima diffusione, quindi svolgono tante
funzioni, ma che in realtà non godono di alto prestigio. Può capitare quindi che una lingua sia associata a tante
funzioni diverse dal punto divista della comunicazione, ma non necessariamente è legata a ciò che una lingua
rappresenta il prestigio.

 Status = può rappresentare il futuro di una lingua. Ciò che con una lingua si potrebbe fare in seguito alla sua
elevazione a lingua ufficiale di uno stato.

Status e presti gio


Status e prestigio in realtà possono punti di convergenza, punti di unione, in quanto per l’Europa le lingue ufficiali, che
hanno uno status di ufficialità sono quelle che in realtà hanno anche un alto prestigio: le lingue che sono dichiarate ufficiali
nello stato si associano a una grande tradizione letteraria. D’altro canto, elevare una lingua a uno status maggiore quindi di
ufficialità, può far si che aumenti di prestigio e che possa essere utilizzata in ambiti settoriali diversi, non solo sul piano
amministrativo, ma anche sul punto di vista della letteratura. Status e prestigio possono però anche differenziarsi
notevolmente: far si che una lingua diventi ufficiale non ne sancisce e non ne rappresenta necessariamente un alto
prestigio. Questo è un riconoscimento da parte del parlante che viene ottenuto col tempo.
Status e funzione
Status e funzione possono convergere: questo è il caso delle lingue che hanno una grande diffusione. L’ufficialità di una
lingua e l’utilizzo per tante funzioni vanno di pari passo. Questo è un caso molto più frequente, ma ci sono casi in cui una
lingua con uno status di ufficialità può avere delle ridotte funzioni comunicative; quindi, anche pur avendo un alto
prestigio questa stessa lingua può avere delle ridotte funzioni comunicative. Caso del gaelico irlandese, che è la prima
lingua ufficiale nella repubblica di Irlanda, che ha lunga tradizione letteraria che però viene parlata da pochi. Si associa alle
funzioni comunicative ridotte. Naturalmente lo status di una lingua può essere cambiato o migliorato all’incremento delle
funzioni della lingua stessa: è naturale che le funzioni di una lingua dipendano in realtà dalla competenza che i parlanti
hanno di quella lingua. Maggiore è la competenza dei parlanti, maggiori sono le funzioni associate a una lingua.
Come si fa ad aumentare le funzioni di una lingua? In che modo la pianificazione può intervenire attribuendo un
maggior numero di ambiti di applicazione a una lingua? Di solito l’estensione delle funzioni associate a una lingua si
collega alla standardizzazione lessicale. La standardizzazione lessicale fa sì che venga a determinarsi un lessico, quindi
proprietà specifiche del lessico di una lingua, che abbia a che fare con tanti ambiti diversi: gli ambiti d’uso ai quali si fa
riferimento nell’ottica della pianificazione sono l’ambito istituzionale, l’amministrazione, la vita politica, l’ambito
dell’istruzione; ma anche gli ambiti tecnici e scientifici. Le funzioni linguistiche e comunicative associate a una lingua
vengono tipicamente implementate attraverso la standardizzazione lessicale, ma un’altra operazione che deve essere
svolta consiste nella conservazione: il far sì che una lingua possa continuare a essere utilizzata in determinati domini e che
non perda il suo valore e le sue funzioni in alcuni ambiti d’uso. Questo è un fenomeno che accade spesso nel caso delle
lingue di minoranze nei confronti della lingua tetto, la lingua ufficiale che spesso influenza le lingue con cui convive e con
cui si ritrova a condividere un’area. Questo può far sì che una lingua parlata da pochi possa anche perdere domini d’uso a
causa della presenza della lingua tetto. Lo sviluppo dell’implementazione delle funzioni di una lingua e degli ambiti d’uso di
una lingua è stato studiato da un noto sociolinguista Kloss come un percorso graduale: una lingua il cui uso deve essere
promosso tra i parlanti viene esposta a nuovi ambiti e domini. Il percorso di esposizione a questi nuovi domini è svolto per
tappe. Kloss si chiede come sia possibile rafforzare la posizione sociale di una lingua, tra i fattori individuati come
predominanti si ritiene che l’estensione dei domini di applicazione sia importante come l’incremento dell’uso della forma
scritta, che può essere importante per l’ambito istituzionale e dell’insegnamento. Queste varie tappe identificate da Kloss
in realtà si associano a determinati tipi di produzione testuale. Questi diversi livelli si associano a tipi testuali che sono
ritenuti tipici di una determinata fase di sviluppo.

 Grado preliminare  legato ai testi più semplici. Testi di canzoni popolari, proverbi; l’oralità trova una forma
scritta.

 1° grado: lirica  relativo alla trascrizione di parti narrative dialogate, come per i testi teatrali.
 2° grado: teatro  si rapporta ai testi scritti in prosa o ai saggi giornalistici. Questo livello si può rapportare a
una fase iniziale dell’uso della lingua come settoriale, quindi specializzata in un determinato settore.
 3° grado: costituzione di una lingua specializzata  si associata alla produzione di testi scritti come testi
specialistici ma di tipo divulgativo; quindi, grammatiche o dizionari.

 4° grado testi didattici per domini scientifici:  ha a che fare con testi didattici per domini scientifici.
 5° grado ricerca originale di grande respiro in tutti i campi del sapere  si associa a un lessico
specializzato in un ambito settoriale particolare; la specializzazione in ambito amministrativo determina un livello
più alto di funzioni attribuibili a una lingua scritta.

Questo modello di Kloss prevede che una lingua in promozione possa raggiungere i livelli man mano più alti delle funzioni,
ma presuppone ovviamente l’esistenza di una forma scritta e associata a una lingua, e quindi l’esistenza di un sistema
ortografico unitario.

Gradualità  attraverso la quale si raggiungono gli ambiti più alti di applicazione di una lingua. Il livello amministrativo
viene raggiunto esclusivamente passando attraverso i diversi stadi. Il passaggio da un primo a un quinto livello non può
saltare gradini, non può escludere altri livelli. Dunque, c’è un’attenzione verso la gradualità di funzioni associate a una
lingua scritta che man mano raggiunge i livelli più alti, quelli scientifici e quelli dell’amministrazione.
Kloss nell’ambito dei diversi gradi associabili alle funzioni comunicative di una lingua elabora il reticolo, ossia uno schema
composto da nove caselle, attraverso il quale cerca di illustrare il punto di partenza e di arrivo di una lingua in promozione.
Il reticolo permette di rappresentare allo stesso tempo il grado elaborazione di una lingua tenendo in considerazione allo
due parametri diversi: i livelli di sviluppo della lingua e i temi di natura non letteraria a cui questa lingua può essere
associata. Questo reticolo mostra le utilità dal punto di vista della pinaificazione linguistica soprattutto a titolo esplorativo,
in una fosse esplorativa: viene usato per capire quali sono le attività di pianificazione per poter promuovere l’uso di una
lingua e per potere incrementare gli ambiti di utilizzo di quella lingua in una comunità di parlanti. Il reticolo da un alto
prende in considerazione i livelli di sviluppo, in particolare fa riferimento a tre gradi:

1. Livello di base (più basso)  livello elementare.


2. Livello intermedio  associato all’istruzione secondaria.
3. Livello più alto  associato all’istituzione universitario

Argomenti : ambiti di applicazione di una lingua


1. Temi relativi alla storia e alle tradizioni locali. Una lingua, quindi, può passare attraverso diversi gradi elaborazione
essere usata per descrivere tematiche relative alle tradizioni popolari locali.
2. Temi culturali generali  la lingua viene utilizzata in ambito umanistico.
3. Temi di scienze naturali e tecnologiche  argomenti scientifici.

Le lingue possono ampliare il loro grado di elaborazione dal punto di vista del livello di competenza e da quello dele
tematiche. L’ideale è il raggiungimento dell’ultimo gradino, che si associa ad un alto livello di elaborazione da entrambi i
punti di vista. Ci sono lingue per le quali si ha un altissimo grado di sviluppo ma non ha un’applicazione nei temi delle
scienze naturali e tecnologiche, per esempio il catalano.

Status planning
Status planning = insieme dell’apparato normativo e legislativo volto a rendere effettivi i diritti linguistici della popolazione.
Distinzione tra

 Diritto linguistico dello stato  norme presenti in un territorio, la legislazione che vige in un territorio.
 Diritti linguistici delle comunità  diritti acquisiti dalla popolazione rispetto all’uso delle diverse varietà di
una lingua

Personalità e territorialità del diritt o linguisti co


Questi si distinguono dalla language policy, la messa in atto dei diritti, le attività che fanno si che i diritti vengano
riconosciuti.
Ultimamente si fa molta attenzione al diritto del parlante: tra questi viene riconosciuto il diritto che ha il parlante di poter
scegliere di usare la lingua che preferisce nei rapporti sociali e pubblici. Questa scelta si rapporta ala lingua di
socializzazione primaria, quella che viene utilizzata negli ambiti famigliari, ovvero la lingua madre. Questo fa si che si stia
ponendo attenzione al diritto di poter utilizzare la lingua di socializzazione primaria nella vita sociale e quindi ambiti di uso
che tipicamente non le sono associati, come la cultura, giustizia e amministrazione. Attenzione al plurilinguismo  scelta
di una lingua o varietà di lingua che tipicamente si associa alla socializzazione primaria, i suoi ambiti più importanti fanno si
che si determini una sorta di attenzione sul piano collettivo. I diritti linguistici includono dal punto di vista collettivo il dritto
delle comunità a costituirsi in comunità a essere riconosciute come tali, a creare gruppi o istituzioni riconosciute, e a usare
nella propria area territoriale la lingua che preferiscono. Nei casi più avanzati questi diritti linguistici assumono la forma del
diritto linguistico dello stato, in cui vivono i parlanti. Il diritto linguistico di uno stato regola i rapporti tra i cittadini e
l’utilizzo di una lingua e cittadini che parlano lingue diversi. Nella teoria sulla pianificazione linguistica come disciplina di
studio opera una distinzione tra personalità e territorialità del diritto linguistico. Questa distinzione è utile nelle situazioni
in cui ci sono più lingue ufficiali in un unico territorio.

 Principio di personalità  il diritto di poter parlare una lingua non deve essere determinato sulla base del
territorio in cui il parlante si torva, ma in base alla comunità linguistica a cui appartiene. È il parlante a scegliere
una lingua in base alla comunità linguistica in cui si sente meglio rappresentato. In questo caso le norme
linguistiche si rifanno alla scelta del parlante e non a un ambito territoriale specifico.

 Principio di territorialità  le norme che si applicano in una certa situazione linguistica siano esclusivamente
legate al territorio. Secondo questo principio, in un territorio specifico la norma può stabilire che si parli una certa
lingua, a prescindere dall’appartenenza a una comunità. La lingua si associa all’aspetto territoriale.
Questi principi si applicano su due settori: istituzionale ed educativo.
Anche nell’ambito dello stesso territorio, a seconda delle diverse realtà politiche, i due ambiti possono corrispondere a usi
diversi. Valle d’Aosta si ha un bilinguismo riconosciuto, ma il sistema amministrativo viene operato in italiano, quindi è
monolingue. Agli ambiti istituzionali, in particolare il settore giuridico, si associa molto più frequentemente una situazione
di scelta di una sola lingua. Quindi il plurilinguismo non caratterizza il settore giudico. Anche quando sono presenti più
lingue ufficiali in uno stesso territorio. L ‘aspetto dell’utilizzo della lingua nell’ambito legislativo è raramente messo in atto
e di rado utilizzato. Tutelare una lingua e promuoverla all’amministrazione vuol dire dare ai parlanti la possibilità di
utilizzare la lingua nell’ambito di testi scritto di tipo ammnistrativo che abbiano un legame con l’aspetto legislativo.

Territorialità del diritt o linguisti co


È oggi il caso più diffuso: il caso standard in cui un territorio corrisponde tipicamente una lingua e questa è l’unica varietà
nel territorio in termini di ufficialità. È il modello utilizzato da diversi paesi. Ci sono però casi più complessi: casi in cui più
lingue possono essere riconosciute come lingue che sono ufficialmente ritenute tali, ed è questo il caso della Svizzera, per
la quale c’è una differenziazione geografica e linguistica, e in Italia, dove abbiamo l’italiano e le lingue di minoranza
riconosciute a livello legislativo e che affiancano l’italiano. Possiamo avere pochi esempi di totale personalità del diritto
linguistico: tra questi l’impero austro ungarico, in particolare nel momento in cui la popolazione del territorio era divisa in
diverse comunità nazionali. Ciascuna rappresentava una sua lingua, con un suo diritto all’istruzione, indipendentemente
dal territorio occupato. Secondo il principio di personalità al variare della popolazione e quindi delle caratteristiche etnico
linguistiche della popolazione sarebbero cambiate anche le varie lingue nell’amministrazione. Quindi l’amministrazione si
adatta sul piano linguistico alla presenza di specifici gruppi linguistici.

Il diritto linguistico non sempre garantisce rapporti di parità tra lingue: anzi, spesso si creano gerarchizzazioni tra lingue
che convivono in uno stesso territorio. Queste gerarchizzazioni hanno fatto sì che sono venute a crearsi una scala di
denominazioni che si associano a funzioni linguistiche diverse. A questo proposito sono nate diverse proposizioni, tra cui
quelle di lingua:
- nazionale - Propria
- Ufficiale - Regionale
- Legislativa - minoritaria

L’elenco rappresenta una scala legata al massimo status della lingua nazionale e a quello più peculiare delle lingue
minoritarie. Alcune denominazioni si associano a specifiche aree territoriali.

 Lingua Nazionale  denominazione classica basata sul concetto di nazioni. È una lingua ritenuta propria da
parte di una nazione che attribuisce un riconoscimento ufficiale e il cui uso viene richiesto in un determinato
territorio. L’uso viene richiesto in particolare nel territorio statale. Le istituzioni fanno particolare attenzione alla
lingua nazionale.
 Lingua Ufficiale  lingua che uno stato adotta per i propri documenti ufficiali; può avere un’estensione
territoriale limitata, può avere un riconoscimento ufficiale, ad esempio, ne può essere ufficializzato l’uso nei
settori scolastici ma in determinati ambiti territoriali. Questa denominazione nasce per scopi pratici; viene
utilizzata per i casi in cui esistono più lingue ufficiali accanto alla lingua nazionale. Una lingua può essere sia
ufficiale che nazionale contemporaneamente. In alcuni luoghi le lingue ritenute come ufficiali sono accompagnate

da lingue nazionali diverse che possono avere gradi diversi di tutela .

 Lingua Legislativa  denominazione del diritto linguistico del Lussemburgo in riferimento al francese. Il
lussemburghese utilizzato per la comunicazione locale; questa denominazione non ha a che fare con lo status
ideologico che si attribuisce alla lingua, ma a che fare con l’uso che si fa della lingua in ambito territoriale. Non
obbliga i cittadini ad avere con essa un rapporto specifico.

 Lingua Propria  denominazione che nasce nel diritto linguistico della Catalogna. Questa denominazione
assume un alto valore simbolico. Questo valore simbolico la distingue da una lingua nazionale.

 Lingua Regionale  denominazione che proviene dall’area giuridica francese; la lingua Regionale sta alla
lingua nazionale come la regione sta allo stato in uno stato in cui le regioni hanno un’autonomia limitata. La
possibilità dell’uso di una lingua fa si che questa lingua sia identificata come lingua regionale. Questo termine
viene associato e ripreso dalla Carta Europea per le lingue regionali e minoritarie, accordo firmato da vari paesi
che tutela le lingue; questa categorizzazione come regionale viene ispirata da questa Carta Europeo. Lingua
parlata in uno stato da cittadini inferiori rispetto alla lingua nazionale ed è radicata in un’area circoscritta e in un
territorio ristretto.

 Lingua Minoritaria  denominazione problematica; a volte si usa questo termine per semplificare la
differenziazione. La lingua minoritaria assume un valore distintivo rispetto alla lingua nazionale che è parlata in un
paese. Di solito, per questo motivo, per lingua minoritaria s’intende una lingua che ha meno diritti rispetto alla
lingua nazionale o per lo meno una lingua i cui diritti sono riconosciuti nell’ambito di specifici confini territoriali.
La lingua minoritaria ha ricevuto un’attenzione “museale”, cioè vengono conservate e tutelate, mantenute vive;
spesso però non si lavora abbastanza per far si che gli usi ad esse collegati si estendano ad altri domini. Non si
lavora mai abbastanza per accrescere le sue potenzialità d’uso, come lingua di comunicazione. Il concetto di
lingua minoritaria è portatore di un prestigio ridotto rispetto al concetto di lingua nazionale. Nonostante ciò,
sono comunque molto numerose le sfumature di carattere sociopolitico e sociolinguistico di lingua minoritaria,
come gaelico irlandese o lussemburghese. Ci sono lingue che pur presenti nel territorio sono completamente
escluse dalla legislazione.

Dal punto di vista sociolinguistico è opportuno distinguere tra:


 Lingue minoritarie  hanno livello sociolinguistico io basso e uno status giuridico più basso rispetto alla
lingua dominante (Bretone in Francia).

 Lingue in una situazione di minoranza  possono essere lingue di grand diffusione, che in realtà si
trovano in minoranza demografica o legislativa (tedesco in Italia).

In generale l’espressione lingua di minoranza  per distinguere lingue che sono diverse dalla lingua nazionale per le
quali è in aumento la volontà di protezione in un ambito territoriale specifico.

 Ulteriore definizione: lingue meno diffuse  forma politicamente corretta, che non è marcata né
socialmente né a livello politico che indica le lingue di minoranza che secondo le disposizioni e leggi dell’UE
hanno effettivo bisogno di un sostegno per far si che vengano conservate e utilizzate. La legislazione europea
ha specificato quali siano i diritti delle lingue minoritarie andandoli a sganciare dal concetto di popolazione di
minoranza, utilizzato in ambito italiano.
Il diritto linguistico da questo punto di vista è considerato un diritto dell’uomo, quindi un diritto politico e civile che
permette di evitare discriminazioni dal punto di vista linguistico. Quando si parla di diritti linguistici si descrivono diritti
che vengono definiti negativi, poiché volti a tutelare le persone che utilizzano una certa lingua dagli atti negativi rivolti
verso di loro (per esempio il diritto alla non discriminazione è un diritto che si associa ai diritti linguistici delle lingue
meno diffuse). Tuttavia, si può dire che oggi stia emergendo un’eccezione positiva, che riguarda la possibilità di
riconoscere il movimento di alcune tutele e specificità nell’ambito del diritto linguistico delle lingue minoritarie.

Due esempi a confronto: Catalogna e Finlandia


Finlandese  La Finlandia è stata sempre concepita come un territorio di un unico popolo, in cui però sin dalla sua
fondazione si parlavano o si impiegavano due lingue diverse: lo svedese e il finlandese. Lo svedese era il codice alto, il
finlandese quello basso, quindi in una situazione di diglossia. Questa situazione però era riconosciuta come tale, che piano
piano è andata a definirsi in una situazione di bilinguismo, in cui le due lingue hanno assunto uno status identico. Fino al
XX secolo lo svedese era una lingua di cultura per la classe dominante, mentre il finlandese è legato ai registri più bassi. Il
finlandese aveva uno status di lingua scritta incerto e non aveva una estesa applicazione nell’ambito letterario; per questo
motivo era stata avviata molta attenzione alla traduzione nella forma scritta delle tradizioni orali. Questo avrebbe avviato
una sorta di inizio delle attività letterarie in questa lingua. Finlandese caratterizzato da una scarsissima frammentazione
dialettale, che garantiva al finlandese l’accesso alle funzioni di lingua ufficiale. Questo fece si che il finlandese potesse
accompagnare lo svedese come lingua ufficiale del territorio, soprattutto nel momento in cui nella costituzione ci si torvo a
determinare quale fosse la lingua ufficiale dello stato. Il rapporto delle due lingue col passare del tempo ha subito
un’inversione fino a far scendere il numero dei parlanti svedesi e fino a far diventare lo svedese come una sorta di lingua di
minoranza parlata da un ridotto numero di persone nello stato finlandese.
Catalano  ha una tradizione letteraria molto vasta, che ha facilitato le attività di Corpus planning. Quelle attività che
sono andate a crescere il numero a partire dal periodo franchista negli anni Settanta. Queste attività avevano come

obiettivo la rivitalizzazione della lingua. Il suo uso ha facilitato la sua accettazione come codice dell’amministrazione
da parte dei parlanti. questa attività era stata incentrata sulla modernizzazione lessicale che tendeva a rifiutare la
presenza dello spagnolo; questa attività era caratterizzata dallo sviluppo di un lessico tecnico specializzato .
L’adozione del Catalano standard ha coinvolto altre comunità, oltre alla Catalogna, come la Comunità valenziana e Baleari
ed è stata accettata qualche variante morfologica dovuta alla presenza di queste varietà. Si è stabilito lo standard orale,
che determina e detta le grandi linee della pronuncia ufficiale. Il Catalano era utilizzato come lingua di cultura nell’epoca
medievale e nel 1700 perse il rango di lingua ufficiale, ma viene a riacquisire la sua ufficialità nel 1978. La legge moderna
prevede il dovere da parte dei parlanti di conoscere il castellano, la lingua nazionale. Tuttavia, si riconosce l’ufficialità delle
lingue autoctone in specifici ambienti territoriali. Accanto allo spagnolo vengono riconosciute quindi altre lingue, tra cui il
catalano. In particolare, nella costituzione spagnola viene evidenziata la possibilità di avere pieni poteri sul piano delle
questioni linguistiche. Oggi la spagna ha sei comunità autonome bilingui, fra cui Galizia (gallego e spagnolo), Comunidad
vasca (basco e spagnolo), Navarra (basco e spagnolo), Comunidad valenciana, Baleari e Catalogna.

Nell’ambito della legislazione spagnola viene stabilito una mescolanza tra un criterio personale e criterio territoriale del
diritto linguistico.

 Criterio personale  ha a che fare col tipo di parlanti che occupano un territorio. Cioè, all’interno di uno
spazio territoriale le norme che si applicano prendono in considerazione il tipo di parlanti e a seconda della lingua
che viene parata dalla maggioranza dei parlanti, si sceglie il tipo di lingua da applicare.

 Criterio territoriale  Le norme linguistiche che si associano a un determinata situazione linguistica


dipendono dal territorio. Le norme che si applicano dal punto di vista linguistico sono legate a uno specifico
territorio.

Nelle comunità bilingui spagnole il criterio è di tipo personale, cioè il parlante può scegliere tra le diverse lingue ufficiali
che sono riconosciute quale lingua utilizzare per intrattenere i suoi rapporti con la pubblica amministrazione. Il parlante è
libero di scegliere. Al di fuori delle comunità bilingui solo lo spagnolo ha valore ufficiale.

La Costituzione finlandese  si basa sul principio della totale uguaglianza tra le lingue ufficiali. Viene stabilito che svedese
e finlandese sono le lingue ufficiali della Repubblica. Possibilità di scelta da parte del parlante di una lingua nell’ambito
istituzionale.

La Generalitat catalana
Il Catalano viene definito lingua Propria della Catalogna. Quindi è la lingua del governo, delle comunità amministrative
della Catalogna. Il Catalano acquisisce quindi una certa importanza, una preminenza. Tutto il personale della pubblica
amministrazione deve conoscere le due lingue, in modo tale che possa essere assicurata una comunicazione con i cittadini
parlanti una delle due. La Generalitat Catalana è il nome con cui viene indicato il sistema amministrativo in quest’area, che
determina appunto l’ufficialità del Catalano in ambito amministrativo. Secondo questo sistema ogni documento deve
essere redatto in catalano. L’esperienza catalana è interessante per le proposte di una campagna di acquisition planning,
basata al tempo stesso su corpus e status planning. L’operazione di status planning mostrava la possibilità sociale del
catalano di essere usato a qualsiasi livello.

Lingua e amministrazione pubblica: Catalogna e Finlandia


Sia finlandese che Catalano si è fatto sì che possa essere avviato l’uso di bilinguismo sul piano istituzionale. Per quanto
riguarda il catalano la legge di normalizzazione linguistica si basa sulla costruzione spagnola. Tutte le sostituzioni di questa
regione adottano l’uso del catalano.
 Finlandese  principio di uguaglianza nell’amministrazione locale. Il finlandese e svedese devono essere utilizzati
da tutti i dipendenti negli uffici pubblici e il cittadino può scegliere la lingua che preferisce. A livello locale, la
lingua locale di ogni comune è quella in maggioranza nel comune. Se la minoranza supera l’8% della popolazione
presente, in questo caso l’amministrazione deve essere necessariamente bilingue. Ogni dieci anni i territori i
territori finlandesi e svedesi o bilingui vengono rideterminati; quindi, si ridetermina anche l’aspetto linguistico
legato a questi paesi. In Finlandia lo statuto della lingua dipende dalla composizione etnico linguistica di ogni
comune.
 Spagna  appartenenza territoriale di ogni comune a una determinata comunità autonoma determina le lingue
con carattere di ufficialità.

Servizi pubblici; Catalogna e Finlandia + altre cose copiare PP


Servizi pubblico (luce, elettricità, telefono)
Finlandia  usano lingua del territorio in cui si trovano.
Esiste comunque il diritto di ogni cittadino di ricevere assistenza nell’altra lingua e può richiedere di cambiare lingua nei
servizi pubblici.
Catalogna  gli enti statali preferiscono l’uso dello spagnolo. Mentre il catalano è utilizzato per gli enti che dipendono
dalla regione.

Legislazioni scolasti che


La maggior parte dei programmi di rivitalizzazione linguistica nell’ambito scolastico partono dal presupposto che si

debbano associare attività di pianificazione della lingua a delle attività culturali, in particolare il recupero delle
tradizioni. Questo però si rivela fallimentare poiché lingua e cultura tradizionale sono due sistemi che in realtà si
riferiscono a valori diversi. Da un lato le nuove generazioni, dall’altro una tradizione spesso sentita come lontana
dalle nuove generazioni. L’esempio più emblematico è rappresentato dal gaelico irlandese, la lingua legata alla cultura
tradizionale, che vive un declino importante a favore della lingua inglese, che invece è il codice sentito come internazionale
e aperto a nuove possibilità, anche dal punto di vista economico. Può spesso capitare che nel tentativo di portare un nuovo
interesse nei confronti della tradizione locale nelle nuove generazioni e quindi ambienti scolastici possa essere di natura
fallimentare  ciò vuol dire che non è sufficiente che una lingua sia associata a dei valori simbolici. Non garantiscono la
sopravvivenza di una lingua. Probabilmente fanno si che possa essere conservata almeno in ambito della socializzazione
primaria, ma ciò non basta. Nelle attività di pianificazione linguistica più recenti si è portato interesse particolare al
collegamento dell’utilizzo della lingua di minoranza agli ambienti scolastici, si è cercato di potenziare l’uso della lingua in
questo ambiente. Questo garantisce un’apertura verso il mondo esterno e favorisce una sorta di specializzazione tecnologica
della lingua. Le attività di pianificazione possono ad oggi portare la lingua minoritaria nelle scuole come lingua di
insegnamento di materie più scientifiche. Secondo questa metodologia che sfebbra avere effetti migliori, la lingua in
promozione viene utilizzata come strumento naturale, normale, non marcato. Ne viene promosso l’utilizzo tra docenti e
insegnanti, tra genitori e insegnanti, quindi anche nei documenti di comunicazione ufficiale nelle istituzioni scolastiche. Ciò
non consiste necessariamente la costruzione di una scuola monolingue (della lingua in promozione). In alcuni casi si sente la
necessita di promuovere l’uso e l’insegnamento istituzionale di più lingue. È questo il caso della scuola laica, che ha come
importante valore la presenza contemporanea di tre lingue: italiano, tedesco e ladino. Questo fa si che possa essere
necessaria una sorta di gradualità nell’inserimento delle diverse lingue, e quindi nelle scelte in merito alla politica scolastica.
Sistema scolastico del Paesi Baschi in Spagna  prevede gradualità di livelli. Questo h fatto si che il cambiamento
potesse essere accettato dai parlanti. I tre livelli sono rappresentati da
- Lingua di insegnamento spagnolo e studio del basco come lingua seconda.
- Insegnamento bilingue.
- Basco come lingua di insegnamento e spagnolo che lingua seconda.

Nei primi anni di questa politica scolastica la popolazione ha preferito la prima soluzione. Ad oggi le scuole di tipo bilingue
o le scuole che mettono in evidenza l’importanza dell’utilizzo del basco come lingua veicolare e spagnolo come lingua
seconda hanno acquisito sempre più studenti. Il passaggio graduale è importante dal punto di vista ideologico, ma è
importante anche dal punto di vista più pratico: la formazione degli insegnanti prende degli anni per formare gli insegnanti
degli strumenti. Avere una istituzione e una politica scolastica che modifica il sistema di insegnamento può far si che il
livello insegnamento sia più basso.

Mescolanze di sistemi
Il sistema educativo può essere basato su principi. Da questo punto di vista, si sente di rispettare l’esigenza della
popolazione, per la quale si riconoscono i diritti linguistici a livello massimo e si tende a limitare le istanze separatiste dal
punto di vista territoriale. La mescolanza di diritti di tipo negativo è quella più frequente: i riconoscimenti effettivi che
vengono messi in atto per lingue di minoranze sono spesso legati all’area territoriale. I diritti linguistici riconosciuti alle
lingue di minoranza sono associati alle aree in cui quelle lingue sono utilizzate. Il gruppo linguistico di maggioranza gode
dei diritti linguistici su tutto il territorio. Mescolanze di sistemi di tipo positivo  Finlandia. Le due lingue tendono ad
essere rispettate e sono promosse dal punto di vista amministrativo.
Il bilinguismo negati vo del Belgio
Tre unità: Fiandre, Vallonia e regione di Bruxelles. A queste sono associate tre lingue: olandese, francese e tedesco.
Nell’ambito amministrativo viene utilizzato il principio territoriale: ogni area si associa a una specifica comunità linguistica.
Per questo motivo abbiamo quattro zone principali: fiamminga, francese, tedesco e zona bilingue francese-fiamminga. In
queste aree si parla la propria lingua. Quindi è possibile che un parlante dell’area fiamminga possa non conoscere il
francese e quindi non utilizza il francese in ambito scolastico. È possibile ricevere l’educazione in una lingua di minoranza,
ma due parlanti di due aree diverse devono utilizzare una lingua esterna come l’inglese, per comunicare.

Acquisti on planning
Fa riferimento a tutti gli interventi pubblici e istituzionali che tendono a promuovere l’uso della lingua, e quindi ad
aumentare anche il numero di parlanti. Si tratta di operazioni molto delicate, che coinvolgono la nozione di prestigio
linguistico e per queste operazioni è necessario mettere in atto un aggancio identitario per la popolazione. Il parlante è
molto sensibile alle questioni legate al prestigio linguistico della propria lingua; ciascun parlante sa riconoscere che le
diverse varietà con le quali entra in contatto possono essere differenziate e possono avere una caratterizzazione su più
livelli. Il parlante sa che le lingue possono essere differenziate e possono avere un:

- Criterio politico  status giuridico diverso a seconda dell’ambito territoriale.


- Criterio economico  nozione di prestigio. Il prestigio economico è causa di cambi di una lingua o degli
atteggiamenti dei parlanti nei confronti di una lingua stessa.

- Criterio estetico  giudizi estetici dei parlanti nei confronti della loro lingua.

Accade che la lingua di identificazione primaria non sia quella di maggior prestigio; può accadere che la lingua non abbia le
funzioni associate alla lingua di maggioranza. Questo può avere conseguenze sull’idea che il parlante ha della propria
lingua. Spesso l’identificazione viene sentita dal parlante proprio perché differente dallo standard. Tutte le operazioni
volte a cambiare uno status di una lingua devono necessariamente tenere in considerazione le aspettative del parlante. La
fase di acquisition planning ha a che fare infatti con un’alterazione consapevole del rapporto tra i codici. Devono rispettare
il desiderio della maggioranza della comunità linguistica, effettivamente interessata al cambio linguistico.

Il caso della Repubblica d’Irlanda


È stata avviata una politica di pianificazione molto importante, tesa ad attribuire uno status sociale di prestigio al gaelico
irlandese e a creare un’ideologia etnica. L’utilizzo di questa lingua viene resa lingua nazionale accanto all’inglese; quindi, è
veicolo di comunicazione anche in ambito scolastico.

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