La lingua orale è dominata da una spontaneità che la rende più approssimativa sia nel lessico sia nell’uso
delle regole sintattiche. Il linguaggio parlato è coadiuvato dalla mimica, dal gesto e dal linguaggio
prossemico; il parlato fa ricorso alla presupposizione (conoscenze comuni) e alla deissi (condivisione del
medesimo tempo e luogo). Nella lingua scritta tutto questo viene meno, la lingua scritta è pianificata, e non
può utilizzare né presupposizione né deissi in quanto non c’è condivisione di spazio e tempo, ma lo scritto
deve raggiungere il destinatario sia fisicamente che nel tempo. Gli scritti di carattere pratico sono testi che
esauriscono la loro funzione nel momento e nel luogo in cui vengono redatti, e possono essere rivolti ad
una persona o a più utenti. Negli scritti letterari il destinatario può essere diretto oppure l’emittente può
rivolgersi ad un pubblico più vasto; inoltre nel testo letterario l’emittente non trasmette solo il contenuto,
ma anche l’intenzione del suo autore.
Il linguaggio parlato fa ricorso alla deissi e alla presupposizione. La deissi è il procedimento con cui
accediamo a tutto ciò che nel discorso fa appello alla situazione comunicativa. I parlanti condividono un
medesimo tempo e luogo, ed hanno consapevolezza di essere i protagonisti dell’atto linguistico. La deissi si
può manifestare con avverbi di tempo (ieri, oggi, domani) o con avverbi di luogo (qui, lì, vicino a me) e fa
rifermento anche alle persone implicate (io e tu). La presupposizione è legata alle conoscenze comuni dei
parlanti, cioè quando un’informazione è data come conoscenza acquisita da tutti e quindi nella
conversazione è data per scontata
La lingua orale si distingue dalla lingua scritta per l’utilizzo della presupposizione e della deissi; inoltre il
linguaggio parlato è coadiuvato dalla mimica, dal gesto e dal linguaggio prossemico (legato alla distanza
fisica rispetto all’interlocutore). Nella lingua scritta tutto questo viene meno, lo scrivente sceglie fra gli
elementi linguistici che stabiliscono un rapporto associativo, disponendo gli elementi prescelti su un asse
sintagmatico, in una sequenza condizionata dalle scelte operate.
I testi analizzati dal punto di vista linguistico durante il corso sono testi scritti di carattere letterario: in
che modo questa scelta condiziona l'analisi linguistica?
I testi scritti di carattere letterario in prosa dal Duecento alla prima metà dell’Ottocento, analizzati dal
punto di vista linguistico durante il corso, rientrano nella tipologia di testi che vanno esaminati lungo l’asse
diacronico. Quanto più i testi sono recenti tanto più si avanza lungo l’evoluzione storica della lingua e della
letteratura italiana, cioè quanto più la tradizione prende corpo e autonomia nazionale, i condizionamenti
letterari si fanno più forti tanto da avere riflessi specifici su registri e scelte ormai non più imputabili
esclusivamente all’autonoma scelta dell’autore, perché sempre più condizionata dal ‘genere’ letterario e
dal canone di testi che in quel ‘genere’ sono stati redatti fino ad allora. La scelta di analizzare testi di
carattere letterario consente di verificare come lo scrittore abbia voluto trasmette la propria intenzione.
L’analisi dei testi in prosa permette di lavorare sugli aspetti stilistici di ogni caso analizzato, usufruendo di
termini di paragone coerenti cronologicamente e caratterizzati del punto di vista diafasico.
Lezione 003
Negli anni settanta, Eugenio Coseriu elaborò la “teoria della variazione” e diede vita a nuovo metodo
analitico della lingua che venne concepita come un sistema mobile e in continua evoluzione. Coseriu
introdusse le seguenti nomenclature proprio per indicare i differenti assi della variazione linguistica:
L’asse di variazione diafasico riguarda la varietà della lingua condizionata dalla situazione comunicativa,
dalla funzione del messaggio e dal contesto globale o particolare in cui si verifica l’interazione linguistica. La
variazione diafasica coinvolge l’emittente e il suo destinatario la cui natura, il cui ruolo sociale, la distanza
con il quale, condiziona la lingua usata dall’emittente.
L’asse di variazione diamesico designa il tipo di variazione condizionato dal mezzo orale o scritto impiegato
nella comunicazione.
L’asse di variazione diastratico riguarda le varietà della lingua selezionate da variabili di tipo sociale o per
meglio dire da variabili legate alla stratificazione in classi o gruppi sociali.
L’asse di variazione diatopico è definito la variazione nello spazio della lingua, ad esempio la stessa lingua
italiana viene pronunciata ed utilizzata con notevoli differenze assecondo se pronunciata a Milano o a
Napoli
La variazione diafasica indica la variazione della lingua condizionata dalla situazione comunicativa, dalla
funzione del messaggio e dal contesto. La lingua usata nella relazione di una commissione parlamentale, o
la lingua usata nella redazione di un necrologio, o la lingua usata in un messaggio scherzoso ad un amico,
sono lingue diverse perché i contenuti sono diversi (solenne, serio, scherzoso), perché differente è la
situazione comunicativa e perché differente è il rapporto che il locutore stabilisce con l’interlocutore.
La variazione diastratica riguarda le varietà della lingua selezionate da variabili di tipo sociale o per meglio
dire da variabili legate alla stratificazione in classi o in gruppi sociali. Nel senso che la lingua è differente a
seconda che il parlante appartenga ad uno stato sociale basso o alto, sia più o meno acculturato.
Coseriu, linguista del xx sec, ha valorizzato come la lingua non muta soltanto al variare del tempo, ma muta
anche al variare di altri fattori; sul modello dell’opposizione fra analisi diacronica (alla luce del variare del
fattore tempo) e analisi sincronica (prescindendo dal fattore tempo, che analizza la lingua nel suo
funzionamento in un dato momento cronologico), Coseriu ha introdotto la seguente terminologia per
indicare “i differenti assi della variazione linguistica”: asse di variazione diafasico; asse di variazione
diatopico; asse di variazione diastratico.
Alla fine del XIX sec. Saussure introdusse la distinzione fra analisi diacronica e sincronica della lingua e
questa fu una scoperta rivoluzionaria. La linguistica ottocentesca aveva adottato unicamente il punto di
vista diacronico, analizzando le lingue dalla prospettiva storica ed evolutiva. Quindi questa linguistica si era
esercitata a ricostruire, a partire dalle lingue classiche, una lingua madre da condividere. Saussure,
introducendo la prospettiva sincronica, analizza la lingua come sistema con proprie regole ed esigenze di
funzionamento. Elabora dunque la dicotomia tra asse paradigmatico e asse sintagmatico. L’asse
paradigmatico (verticale) presuppone una scelta fra elementi linguistici dello stesso tipo (articoli, nomi,
verbi), fatto ciò, si dispongono gli elementi scelti sull’asse sintagmatico (orizzontale)
Elencare e descrivere i livelli di analisi linguistica utilizzati nella teoria variazionistica di Coseriu.
Coseriu nella sua teoria variazionistica definisce tre differenti assi di variazione linguistica: Asse di variazione
diafasico indica la variazione della lingua condizionata dalla situazione comunicativa, dalla funzione del
messaggio e dal contesto. Asse di variazione diatopico indica la variazione nello spazio della lingua. Asse di
variazione diastratico riguarda le varietà della lingua selezionate da variabili di tipo sociale o legate a
stratificazioni in classi o in gruppi sociali
Lezione 004
Lingua e stile: quali dinamiche intercorrono in via generale fra questi due concetti?
La lingua è da intendere come un repertorio di parole a cui il parlante attinge compiendo un atto linguistico.
Un autore, nel momento in cui scrive, opera delle scelte che non sempre coincidono con l’atto linguistico
orale, anzi egli è inserito in un sistema formalizzato che lo porta ad attingere al repertorio della lingua in
modo inedito rispetto all’uso del parlato. L’uso particolare e inconsueto che l’autore fa della lingua è lo
stile, o meglio lo stile è il risultato di una serie di scelte compiute dall’autore attraverso l’analisi di una
lingua condivisa. A questa lingua di uso comune lo stile si adegua o si allontana.
Con il termine stile si definisce la distanza con cui un autore utilizza in maniera personale lo strumento
sociale della lingua. Per capire l’evoluzione del concetto di stile, interessante è il pensiero esposto da
Saussure che per definire lo stile fa un’opposizione tra langue e parole; dove la langue è il repertorio di una
lingua a cui il parlante attinge attraverso un atto concreto di parole, compiendo così un atto linguistico, cioè
un passaggio dal virtuale al reale, dalla potenza all’atto del repertorio.
Sintassi e stile: illustrarne il rapporto all'interno di uno dei testi analizzati durante il corso.
Con il termine stile si intende la distanza con cui un autore utilizza in maniera personale lo strumento
sociale della lingua. Elemento imprescindibile dello stile è la sintassi perché per definire lo stile è necessario
conoscere la sintassi, i vocaboli della lingua, il lessico. La sintassi si occupa della combinazione di parole in
frasi o della struttura della frase stessa.
Inserite il concetto di stile all'interno della dicotomia saussuriana fra langue e parole
Per cercare di chiarire il concetto di stile, Saussure fa una distinzione tra langue e parole. Con Langue egli
intende il repertorio di una lingua (che Saussure chiama dizionario) astratto o virtuale; a questo repertorio
attinge ogni parlante con il proprio concreto atto di parole, da intendere come atto linguistico che traduce
in atto la potenzialità del repertorio, la virtualità in realtà.
In epoca latina lo stile consisteva nell’elocutio cioè nel modo di esprimersi in una composizione scritta. Nel
periodo medievale il concetto di stile si riferisce ai generi letterari che si vanno costituendo. La parola stile
inizia ad essere usata con più frequenza a partire dal Trecento. È nel Cinquecento, e poi nell’Ottocento, che
il concetto di stile viene sempre più ripreso e definito; per Torquato Tasso lo stile è dato dalle parole che
usiamo per definire i concetti, quindi deve adeguarsi alla materia trattata, ad esempio l’epica, per il
contenuto aulico, deve avere uno stile magnifico. Durante il periodo romantico, lo stile assume una forma
più individuale. Per Ugo Foscolo lo stile è l’espressione del sentire dell’individuo, quindi unico e soggettivo.
Oggi il concetto di stile è inteso sia come fatto privato, secondo il significato ottocentesco, sia come insieme
di tratti condivisi, riprendendo il significato più antico.
Lezione 007
La stilistica di Bally viene definita di carattere psicologico e sociologico in quanto egli studia la lingua
comune, e non quella letteraria. Per Bally la lingua è un mezzo che comunica stati emotivi ed espressivi.
Vossler si interessa alla lingua scritta e di carattere letterario, la sua è chiamata stilistica genetica perché
Vossler ritiene che dalle caratteristiche di un’espressione linguistica di un autore, il critico possa risalire alla
genesi spirituale dell’autore stesso.
Leo Spitzer lega insieme la stilistica interpretativa e descrittiva, egli infatti sostiene che leggendo un testo si
possa mettere in rilievo, nella lingua che viene utilizzata, un elemento caratterizzante dell’autore. Questo
elemento caratterizzante deve essere interpretato secondo la teoria dell’etimo spirituale.
La nascita della stilistica come disciplina autonoma avviene tra la fine del XIX sec e l’inizio del XX sec. Il
primo studioso che propose una visione nuova della lingua fu Saussure che analizza la lingua come un
sistema con proprie regole ed esigenze di funzionamento. Bally, allievo di Saussure, elabora la teoria della
stilistica descrittiva, secondo cui la lingua è un mezzo che comunica stati emotivi ed espressivi. Altro
esponente importante fu Karl Vossler secondo il quale dalle caratteristiche dello stile è possibile risalire alla
genesi spirituale di un autore. La stilistica interpretativa e descrittiva sono state unite da Leo Spitzer, il quale
afferma che compito del critico è individuare l’etimo spirituale di un autore.
Lezione 009
Chiarire la differenza fra fonetica e fonologia, il significato rispettivo di fono e fonema, indicando almeno
cinque coppie minime dell'italiano.
La fonetica studia la produzione e la percezione dei suoni, e l’unità di studio di questo settore della
linguistica è il fono. La fonologia studia i sistemi di suoni delle lingue, quindi la propria unità di misura è il
fonema cioè il segmento fonico che valorizza e distingue una parola da un’altra, in italiano possiamo
portare i seguenti esempi: torta/porta; scena/scema; tacco/pacco; topo/tomo; varo/faro
Illustrate ed esemplificate i seguenti fenomeni fonetici: a) chiusura delle vocali toniche in iato; b)
evoluzione della labiovelare sorda latina.
La chiusura delle vocali toniche in iato segue la regola secondo cui la –e- e la –o- toniche davanti ad un’altra
vocale appartenente ad un’altra sillaba si chiudono in i ed u (ad esempio mio, tuo, suo, Dio). La labiovelare
sorda latina si conserva davanti ad A, altrimenti si riduce perdendo l’elemento labiale.
L’anafonesi è un fenomeno fonetico di innalzamento delle vocali toniche latine e chiusa ed o chiusa
rispettivamente in i ed u in particolari contesti: e ed o chiusa mutano in i ed u in un contesto fonetico
palatale; e chiusa muta in i in un contesto fonetico velare.
Illustrare ed esemplificate a scelta uno dei seguenti fenomeni fonetici attinenti al vocalismo: a) chiusura
delle vocali in iato; b) chiusura delle vocali protoniche; c) riduzione dei dittonghi discendenti.
Chiusura delle vocali in iato: Lo iato consiste in un gruppo di due vocali consecutive pronunciate in modo
distinto e appartenenti a due sillabe diverse, è il contrario del dittongo.
Indicate le principali differenze fra il sistema vocalico latino e i sistemi vocalici italo-romanzi?
Il sistema vocalico latino comprendeva dieci vocali in quanto ogni timbro era realizzabile sia nella variante
breve sia nella variante lunga. Questo sistema vocalico latino si semplifica nel passaggio dal latino alle
lingue romanze. In tutta la Romània si perse la distinzione fonologica tra breve e lunga; tant’è vero che nel
vocalismo sardo da dieci fonemi si passa a cinque, nel vocalismo siciliano la perdita della quantità è
associata ad un cambio di timbro; nel vocalismo panromanzo si passa da dieci a sette vocali.
Il XIII e il XIV sec videro il fiorire di un rinnovamento culturale che portò alla diffusione di testi che prima
erano accessibili solo a chi conosceva il latino. Si assistette a una diffusione di adattamenti e
rimaneggiamenti in volgare di opere relative agli ambiti più vari: dall’epica alla storia, dai trattati alla
narrativa. Nel Trecento si assistette a un maggiore interesse alla costruzione della lingua latina da riportare
al vogare, si desiderava implementare le strutture sintattiche volgari, ma già a metà Trecento si
abbandonarono i costrutti latini in favore di nuove forme volgari. Solo alla fine del XV sec, grazie alla politica
filo-volgare di Lorenzo il Magnifico, si riaccese l’interesse per i volgarizzamenti.
Lezione 010
A quali fenomeni si allude con i termini di aferesi, sincope, apocope? Come si chiamano i loro contrari?
L’AFERESI è la caduta di una vocale o di una sillaba a inizio parola, il contrario è la PROSTESI: l’aggiunta di
una vocale o di una sillaba a inizio parola.
La SINCOPE è la caduta di uno o più fonemi all’interno di una parola, il contrario è l’ANAPTISSI, l’aggiunta di
una vocale tra due consonanti in modo che si abbia una nuova sillaba.
L’APOCOPE è la caduta di una vocale o di una sillaba a fine parola, l’aggiunta si chiama EPITESI.
Illustrate ed esemplificate uno o più dei seguenti fenomeni fonetici: a) chiusura in protonia; b) anafonesi;
c) assimilazione dei nessi consonantici latini; d) palatalizzazione delle sequenze consonante + J
Anafonesi: L’anafonesi è un fenomeno fonetico di innalzamento delle vocali toniche latine e chiusa ed o
chiusa rispettivamente in i ed u in particolari contesti: e ed o chiusa mutano in i ed u in un contesto fonetico
palatale; e chiusa muta in i in un contesto fonetico velare.
Assimilazione dei nessi consonantici latini: i nessi consonantici latini, composti da due occlusive (CT-PT) si
evolvono a secondo dei luoghi. In toscano l’assimilazione regressiva, cioè per influsso del secondo elemento
sul primo, produce il suono TT
L’aferesi è la caduta di una vocale o di una sillaba a inizio parla, il contrario è la prostesi cioè l’aggiunta di
una vocale o sillaba a inizio parola. La sincope è la caduta di uno o più fonemi all’interno di una parola, il
contrario è l’anaptissi, l’aggiunta di una vocale tra due consonanti in modo che si abbia una nuova sillaba.
L’apocope è la caduta di una vocale o di una sillaba a fine parola, l’aggiunta si chiama epitesi
Indicate un fenomeno ciascuno relativo a: a) vocalismo; b) consonantismo; c) morfologia; d) sintassi
avvenuto nel passaggio dal latino volgare al volgare italiano.
L’articolo è assente in latino come categoria grammaticale, esso deriva da un’attenuazione semantica del
dimostrativo ILLUM, IPSUM in Sardegna. In Toscana si assiste alla nascita, accanto alla forma forte ILLUM, di
una forma debole EL, e a Firenze diventa IL. La maggior parte delle parole italiane deriva dal caso accusativo
e possiamo pensare anche l’articolo, infatti: IL e LO possono derivare sia da illum che da ille; I e GLI possono
derivare da illi; il femminile LA e LE possono derivare da illa e illae.
Per segno diacritico si intende un segno alfabetico che non ha un significato fonetico autonomo. L’alfabeto
latino era insufficiente per scrivere nuovi suoni che si andavano formando e quindi si usarono dei segni
grafici che non corrispondevano a nessuna realtà fonetica. In Italiano i segni diacritici sono la H e la I
L’articolo è assente in latino come categoria grammaticale, esso deriva da un’attenuazione semantica del
dimostrativo ILLUM, IPSUM in Sardegna. In Toscana si assiste alla nascita, accanto alla forma forte ILLUM, di
una forma debole EL, e a Firenze diventa IL.
La nascita di forme verbali perifrastiche avviene per il futuro (costituito dalla perifrasi di infinito del verbo +
presente del verbo ‘avere’) e per il condizionale (costituito dalla perifrasi dell’infinito seguito dal perfetto
del verbo ‘avere’)
Le forme verbali perifrastiche nascono nel seguente modo: per il futuro le forme sintetiche latine sono
sostituite dall’infinito del verbo più il presente del verbo avere (cantare habeo = canterò). Per il
condizionale (assente in latino come categoria morfologica autonoma) avviene la perifrasi dell’infinito
seguito dal perfetto del verbo avere (cantare habui= canterei)
Lezione 012
In molta prosa del Duecento si riscontra dal punto di vista lessicale e sintattico l’influenza del francese e del
latino. Ad esempio di tendenza latineggiante è la scelta di privilegiare la collocazione del verbo alla fine
della frase. Si assiste alla caduta delle consonanti finali e alla assimilazione dei gruppi consonantici. Dal
punto di vista morfologico vi è la riduzione della declinazione latina, la nascita dell’articolo e di forme
verbali perifrastiche. Tali fenomeni fonetici e morfologici hanno ricadute sul piano della sintassi, infatti
l’ordine delle parole si stabilizza in una sequenza relativamente fissa: soggetto + verbo + complemento
diretto o indiretto (SVC).
La letteratura Italiana nasce in forte ritardo rispetto alle altre letterature europee proprio per la forte
dominanza del latino. Le prime testimonianze in prosa letteraria giunte fino a noi e redatte in volgare
italiano sono di gran lunga posteriori alle testimonianze poetiche. Infatti negli anni 90 del XX sec. è stata
scoperta la Carta Ravennate, primo testo in volgare, che toglie il primato alle Laudes Creaturarum di San
Francesco e alla produzione della Scuola Siciliana. La prosa letteraria del Duecento è costituita per lo più da
trattati di carattere retorico/oratorio, morale, scientifico, storico ed infine di intrattenimento, come le
opere tradotte dal francese. Questo perché si era formato un nuovo pubblico desideroso di informarsi, di
apprendere regole di comportamento e che necessita di opere di divulgazione.
Lezione 013
La distinzione tra soggetto dell'enunciato e soggetto dell'enunciazione risale a Benviste secondo cui
l’enunciazione è un atto linguistico, e l’enunciato è il prodotto dell’enunciazione.
Lezione 014
Illustrate la figura di Bono Giamboni e fornite alcuni elementi linguistici e stilistici della sua scrittura
letteraria così come li abbiamo desunti dal brano analizzato durante il corso.
Giamboni apparteneva al ceto medio-alto fiorentino, apparteneva a quella classe sociale che voleva creare
una nuova cultura laica. Non abbiamo elementi per definire la data di composizione delle sue opere, ma ci
sono arrivate diverse redazioni della sua unica opera originale: il Libro de vizi e delle virtudi, un trattato di
argomento morale e allegorico. Dal punto di vista dell’analisi linguista in questa opera ritroviamo i
cambiamenti sintattici e morfologici che caratterizzano il volgare: il dittongamento toscano è regolare
(buon(o)); la chiusura delle vocali toniche in iato (Dio e Iddio, tua, sue); la presenza di latinismi fonetici, e la
presenza della forma forte dell’articolo (lo(IL)LUM) e la forma debole ‘l del singolare.
I più antichi testi in prosa italiana di carattere letterario risalgono alle opere di Guido Faba; all’Omelia
padovana, si tratta di un breve volgarizzamento tratto da un passo evangelico; il volgarizzamento veneziano
del “Panphilus, e i romaneschi “Mirabilia urbis Rome” e il “Liber ystoriarum”. È il secolo dei volgarizzamenti
che avvengono sulla base della cultura francese contemporanea e su quella classica. Si va formando una
nuova classe sociale desiderosa di conoscere e promuovere testi di carattere oratorio e morale. A questa
classe appartiene Bono Giamboni il quale scrive il Trattato di Virtù e di Vizi e il Libro de vizi e delle virtudi. A
fine XIII sec risalgono la Vita Nova di Dante e le Lettere di Guittone d’Arezzo. Da evidenziare è che gli scritti
di carattere religioso sono in netta minoranza rispetto allo sviluppo e diffusione ti testi retorici, morali e
scientifici ed infine romanzi cavallereschi e testi di materia storica.
Paratassi e ipotassi nella prosa letteraria del Duecento
La paratassi è la costruzione di periodi uniti tra loro tramite virgola o congiunzione. La prosa del Duecento si
caratterizza per una preferenza per la subordinazione piatta e ripetitiva; una sintassi breve e semplice:
paratattica. L’ipotassi è caratterizzata da una sintassi più articolata con frasi lunghe e complesse, costituite
da proposizioni principali unite alle subordinate tramite congiunzioni. Sarà poi il Boccaccio ad introdurre
nella prosa periodi di struttura più complessa.
Lezione 019
Illustrate ed esemplificate uno o più dei seguenti fenomeni morfosintattici: a) nascita dell'articolo; b)
perdita delle desinenze latine e nascita dei complementi preposizionali; c) legge Tobler-Mussafia
a) Nascita dell’articolo: L’articolo è assente in latino come categoria grammaticale. Esso ha origine da
un’attenuazione semantica dei dimostrativi IPSUM (in Sardegna) e ILLUM (nella Romània). Il toscano è
caratterizzato dalla formazione precoce, accanto alla forma forte illum, di una forma debole che, in tutta la
Toscana, è el e a Firenze è il (il resto d’Italia non conosce la forma debole). La maggior parte delle parole
italiane deriva dal caso accusativo e anche l’articolo con le dovute considerazioni: il e lo possono derivare
sia da illum che da ille; i e gli da illi; la e le da illa e illae.
c)Tobler-Mussafia: tale legge rende fissa la posizione del clitico in alcune precise situazioni, lasciandola
libera in altre. Per esempio è possibile in posizione inziale di un periodo; può essere introdotta da “e“ e
“ma”; oppure è possibile all’inizio di una principale preceduta da una secondaria introdotta da se, quando,
o da un gerundio.
La legge Tobler-Mussafia prende il nome dai due studiosi che per primi l'hanno studiata: il primo l’ha
riconosciuta nell'antico francese, il secondo ne ha verificato la validità anche nell'antico italiano. Tale legge
rende obbligatoria la posizione del clitico in alcune precise situazioni, lasciandola libera in altre. Attiva fino
agli inizi del Quattrocento, ma già fortemente indebolita in Boccaccio. La posizione del clitico è possibile ad
inizio assoluto di frase, in genere può essere introdotta dopo "e" o "ma", ed infine, all'inizio di una
principale preceduta da una secondaria introdotta da se, quando, o da gerundio.
Lezione 021
Il Trecento vede la riscoperta dei classici latini, non solo volgarizzati, ma proprio letti in originale; Dante,
nell’indicare i tratti della poesia in volgare, accanto ai provenzali, prende in esempio i poeti latini come
Orazio e Virgilio. Nonostante l’importanza di Dante e Petrarca, nel Trecento si assiste ad una maggiore
produzione in prosa, rispetto alla preferenza della poesia del Duecento. Questo perché si assiste ad una
crescente alfabetizzazione della classe media che richiede proprio maggiori scritture di carattere letterario.
Il Decameron diventa l’opera in prosa più importante del XIV sec. e favorisce la produzione di novellistica in
volgare. Accanto alla produzione in prosa volgare, prende piede la prosa latina di argomento religioso che
in un secondo momento darà origine ad opere più innovative che anticipano i tratti dell’Umanesimo, e
questo grazie soprattutto agli scritti di Petrarca.
Lezione 025
Definite in che cosa consiste la tematizzazione e illustratene le modalità di funzionamento nella prosa di
Iacopo Passavanti.
La tematizzazione consiste nella messa in evidenza, come elemento di avvio della frase, di un elemento che,
secondo l’ordine sintattico, non dovrebbe stare in prima posizione. Nella prosa del Passavanti, il tema della
frase riprende, anche in forma pronominale, il rema della precedente. Tale funzione logica di legame tra le
frasi è svolta con l’apertura del periodo con l’aggettivo o pronome dimostrativo con valore anaforico. A
volte, per rafforzare i collegamenti interfrasali, Passavanti utilizza le congiunzioni per segnalare la continuità
del discorso e renderlo al lettore unitario e continuo, nonostante si tratti di periodi separati.
Gli aggettivi hanno funzione attributiva quando l’aggettivo fa parte del gruppo del nome e il collegamento
tra l’aggettivo e il nome è diretto. Nell’opera di Passavanti vi è una preferenza all’aggettivo prenominale
cioè l’aggettivo segue il sostantivo e svolge una funzione definitoria.
Lo stile del Passavanti è sobrio ed incisivo. Egli fa della tematizzazione un elemento fondamentale e
principale che riesce a fungere da coesione tra due frasi differenti. Nella sintassi notiamo che viene messa
da parte la regola relativa alla legge Tobler-Mussafia, e viene dato più spazio a preferenze di tipo stilistico o
prosodico. La posizione preferenziale dei clitici è quella proclitica, anche quando l’antica regola prevedeva
l’enclisi. Anzi questa si avvicina alle condizioni moderne e cioè dopo l’infinito, dopo l’imperativo o modo
non finito.
La tematizzazione nella prosa del Passavanti è un elemento fondamentale ed un tratto stilistico ben
definito. La distinzione fra tema, cioè l’argomento di partenza, e rema, l’argomento informativo nuovo che
è poi il contenuto del messaggio, si può disporre come una serie di periodi in cui un tal rema di un periodo
diventi il tema del periodo successivo. Tale funzione logica di legame tra le frasi, dal punto di vista lessicale,
è svolta con l’apertura del periodo con l’aggettivo o pronome dimostrativo con valore anaforico. A volte
utilizza anche semplici congiunzioni “e” e “ma” per rafforzare i collegamenti interfrasali e per segnalare la
continuità del discorso e renderlo al lettore unitario e continuo nonostante siano periodi separati.
Durante il corso abbiamo connesso la prosa di Jacopo Passavanti ad uno stile caratteristicamente
omiletico. Perché?
Jacopo Passavanti, a metà Trecento, precisa che la «scienza della divina scrittura» non deve essere appresa
da tutti allo stesso modo e con la stessa profondità. I raccontini esemplari, tipici della tradizione omiletica
medioevale, a cui egli ricorre in Specchio di vera penitenza, sono un modo piacevole per evitare certe
difficoltà e raggiungere più direttamente l’animo degli uditori meno colti.
Lezione 027
Dalle due lingue dei secoli precedenti (latino/volgare) alle tre lingue del Quattrocento (greco/latino/
volgare)
Nella prima metà del Quattrocento il greco si diffonde sempre più nella cultura umanistica. Notiamo infatti
che nella prosa letteraria rinasce il modello classico del Dialogo, e questo si diffonde soprattutto grazie a
Lorenzo Valla. Inoltre molti studiosi, come Guarini e Giovanni Aurispa, si recano in oriente per imparare il
greco e diffondono la lingua dei filosofi. Allo sviluppo del greco contribuisce anche la caduta di
Costantinopoli, in quanto molti intellettuali si rifugiarono in Italia. È nella seconda metà del Quattrocento
che il greco entra come terza lingua nella cultura italiana, grazie a Cosimo de’ Medici che commissiona
traduzioni di Platone a Marsilio Ficino. Il volgare comunque non perde la sua forza espansionistica, anzi
grazie ai poeti vicini alla corte de’ Medici si sviluppa sempre di più.
Gli umanisti del Quattrocento considerano il latino come l’unica lingua elevata, adatta a scopi d’arte.
Rifiutano e disprezzano il volgare, che ritengono una lingua inferiore e da utilizzare solo per usi pratici. La
mescolanza latino-volgare è il frutto di sperimentazioni letterarie, che ha un fine comico o parodistico e
gioca sul contrasto alto/basso. Si tratta di testi dalla metrica latina, ma con elementi lessicali volgari.
Lezione 028
El / il; mila / milia; fusse / fosse; quali termini di queste coppie appartengono al fiorentino aureo e quali
al fiorentino argenteo?
El, E sostituiscono I e Il per influsso dei dialetti occidentali nel fiorentino argenteo. Mila fa parte del
fiorentino argenteo e sostituisce Milia. Fusse è fiorentino argenteo e si affianca a fossi, fusti.
Fra fiorentino aureo e fiorentino argenteo (indicate alcuni dei fenomeni distintivi).
Il termine fiorentino "argenteo" fu coniato da Arrigo Castellani, mentre il termine fiorentino "aureo" del
Trecento si era formato nell'ambiente dell'Accademia della Crusca. Nel suo saggio del 1967 Arrigo Castellani
mostra come il fiorentino posteriore al Boccaccio sia responsabile di vari tratti fonetici, morfologici e
sintattici dell’italiano d’oggi, ad esempio: Il trecentesco brieve, pruova passa a breve, prova. L’antico
ragghiare, tegghia si palatalizza in ragliare, teglia. Le forme dea(no), stea(no) diventano dia(no), stia(no). I
numerali aurei diece, dicessette, dicennove, milia si trasformano in dieci, diciassette, diciannove, mille.
Domane e stamane si mutano in domani e stamani. Al posto dell’antico invariabile gliele si hanno le forme
glielo, gliela, ecc. La trecentesca ciriegia diventa ciliegia. Si monottonga uo dopo palatale: fagiolo, gioco,
figliolo. La prima persona dell’imperfetto indicativo prende –o invece che –a (io era –> io ero, ecc.). L’antica
pronuncia delle lettere dell’alfabeto a, be, ce, de passa ad a, bi, ci, di.
Lezione 030
Indicate i latinismi lessicali e sintattici nel seguente brano della Lettera proemiale alla Raccolta
Aragonese:
“Ripensando assai volte meco medesimo, illustrissimo signor mio Federico, quale in tra molte e infinite
laudi degli antichi tempi fussi la più eccellente, una per certo sopra tutte l’altre esser gloriosissima e quasi
singulare ho giudicato: che nessuna illustre e virtuosa opera né di mano né d’ingegno si puote
immaginare, alla quale in quella prima età non fussino e in publico e in privato grandissimi premi e
nobilissimi ornamenti apparecchiati”
Laudi: dal latino Laudem che conserva il dittongo -AU- latino; Singulare: sta per “senza pari”; Publico:
conserva la scempia del modello latino; Illustrissimo e nobilissimi e grandissimi : sono superlativi assoluti.
Una per certo sopra tutte l’altre esser gloriosissima e quasi singulare ho giudicato : questa frase è costruita
per iperbato, cioè con un architettura simile al latino che pone il verbo in conclusione di frase
Non fussino e in publico e in privato: altra costruzione tipica del latino costruita con l’iterazione di “E”
anche davanti alle dittologie
Lezione 032
Poliziano fra istanze umanistiche e istanze ‘popolari’: la Lettera proemiale alla Raccolta Aragonese e i
Detti piacevoli.
La Raccolta Aragonese costituisce un primo bilancio della tradizione poetica in volgare, comprendeva anche
una piccola antologia di Lorenzo de’ Medici. Dal punto di vista fonetico la Lettera proemiale si rifà più al
fiorentino trecentesco che a quello argenteo, molto probabilmente non ritenuto opportuno per una prosa
più alta. C’è da dire però che i linguaggi dei due testi, uno epistolare rivolto a un principe e un altro più
leggero e di natura comica, differiscono abbastanza. Infatti nell’Epistola sono presenti richiami alla sintassi
latina e ai latinismi fonetici e lessicali collegati all’ambito retorico-filosofico; mentre nei Detti piacevoli i
latinismi rimandano al lessico latino di ambito giuridico-amministrativo.
Nei primi decenni del Quattrocento gli umanisti considerano il latino l’unica lingua elevata, adatta a scopi
d'arte; e manifestano un atteggiamento di disprezzo e di rifiuto nei confronti del volgare, ritenuto lingua
inferiore, da impiegarsi solo per usi pratici. Gli umanisti condannavano anche il latino medievale, che viveva
nei testi in simbiosi col volgare, e volevano restaurare il latino ciceroniano. In tal modo, però, rendevano, di
fatto, più forte il bilinguismo latino-volgare. Dopo la caduta di Costantinopoli molti intellettuali fuggirono in
Italia in cerca di riparo e questo favorì anche la penetrazione del greco e il recupero dei classici. È nella
seconda metà del Quattrocento, con Cosimo de’ Medici che commissiona traduzioni di Platone a Marsilio
Ficino che il greco conobbe la sua massima espansione. Il greco quindi entra ufficialmente come terza
lingua nella situazione dialettica italiana, ma nonostante tutto, il volgare non perde la sua spinta
espansionistica, e grazie al lavoro dei poeti vicini a corte, prende sempre più forza.
Illustrate in che misura i tratti del fiorentino argenteo si manifestano nella prosa del Poliziano
esemplificando dalla Lettera proemiale alla Raccolta Aragonese e dai Detti piacevoli.
Nella Lettera Proemiale il fiorentino argenteo non è accolto del tutto, molto probabilmente perché non
ritenuto a livello di una certa prosa alta. Raffrontando i due testi, di natura abbastanza diversa in quanto
uno epistolare rivolto a un principe e un altro più leggero e di natura comica, si notano comunque i diversi
registri adottati dal Poliziano. Al fiorentino argenteo appartiene la forma “sei” al posto di “se” che si ritrova
sia nell’Epistola che nei Detti. Inoltre nell’Epistola si trova anche la desinenza argentea della forma –orono
per la terza persona plurale del perfetto come ad esempio “cominciorono”, “ebbono”; e al condizionale
“dovrebbono” e “avrebbono”.
Nella scrittura di Agnolo Poliziano dal punto di vista del vocalismo tonico va annotata la conservazione di
-AU- latino nelle varie forme riconducibili a LAUDEM (laudi, laude, laudazioni). Nel vocalismo è frequente
l’adesione al timbro delle vocali corrispondenti al termine latino come: singulare (SINGULAREM), sepulcro
(SEPULCRUM). C’è un costante riferimento al latinismo fonetico in particolare riguardo alla forma di
consonante + l conservati indenni alla palatizzazione volgare come preclare, clarissimo, amplissimi, esempli.
Bisogna però evidenziare che i latinismi lessicali dei Detti sono però di ambito diverso da quello dei latinismi
lessicali e fonetici ritrovati nell’Epistola. Infatti se nell’Epistola i latinismi sono principalmente collegati
all’ambito retorico, critico, filosofico, implicando dunque un recupero più o meno evidente della tradizione
classica, nei Detti i latinismi rimandano ad un lessico latino di ambito giuridico-amministrativo che si era
tramandato soprattutto nel Medioevo.
Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano estratto dalla Lettera proemiale alla Raccolta
Aragonese: "Imperocché, essendo la sacra opera di questo celebratissimo poeta dopo la sua morte per
molti e vari luoghi della Grecia dissipata e quasi dimembrata, Pisistrato, ateniese principe, uomo per
molte virtu? e d'animo e di corpo prestantissimo, proposti amplissimi premi a chi alcuni de' versi omerici
gli apportassi, con somma diligenzia ed esamine tutto
Per il consonantismo emerge il riferimento al latinismo fonetico, in particolare per l’accoglienza di nessi di
consonante + l conservati e indenni dalla palatalizzazione del volgare: clarissimo, amplissimi e splendore.
“Essendo la sacra opera di questo celebratissimo poeta dopo la sua morte per molti e vari luoghi della
Grecia dissipata e quasi dimembrata”: in questo periodo le forme verbali composte sono un’innovazione
linguistica romanza e sono caratteristiche del volgare.
Quali problemi vengono affrontati e quali soluzioni vengono proposte nelle prime grammatiche del
volgare, in particolare nelle Regole del Fortunio e nelle Prose del Bembo?
Le Regole di Giovanni Francesco Fortunio rappresentano la prima grammatica italiana ad uscire in stampa.
Tale grammatica era principalmente rivolta a letterati in quanto aveva un’impostazione prettamente
filologica, nel senso che cercava di trasferire al volgare quella tradizione umanistica che nel passato era
stata applicata al latino. Le Prose di Bembo, pubblicate nel 1525 e poi nuovamente edite nel 1549,
rispondevano meglio all’esigenze di un pubblico che desiderava una grammatica letteraria da applicare alla
nuova letteratura. La proposta di Bembo fu quella di indicare, a modello della scrittura letteraria dei propri
contemporanei, la lingua di Boccaccio per la prosa e di Petrarca per la poesia, formulando giudizi molto
limitativi su Dante.
Le Prose, pubblicate nel 1525, diedero una certa autorevolezza al proprio autore e resero Bembo una delle
figure di maggiore spicco e autorità. Bembo individua due modelli di scrittura: Boccaccio per la prosa,
Petrarca per la poesia; un binomio simile a quello classico Cicerone/Virgilio. Questo binomio così netto fu
criticato da Giovan Francesco Pico il quale sosteneva che gli scrittori dovevano avere la libertà di attingere
da momenti diversi della latinità. Bembo rispose a questa epistola con la sua De Imitatione, in cui ribadisce
la necessità di regole rigide e solide per creare una grammatica valida il più possibile.
Pietro Bembo: la posizione teorica vista alla luce del dibattito quattrocentesco e contemporaneo sul
ciceronianesimo
Tra il 1510 e il 1530 domina a Roma il ciceronianesimo; classicismo, imitazione della lingua e dello stile degli
antichi diventano i canoni per tutti i generi letterari. Bembo con la sua opera da forza all’imitazione dei
grandi modelli. Egli sostiene che la lingua letteraria non deve accostarsi a quella del popolo, ed anche
quando l’affermazione del volgare diventa sempre più forte e lo sviluppo della stampa crea un pubblico più
vasto, Bembo comunque insiste e accentua la frattura fra lingua letteraria e lingua parlata in modo da
favorire la produzione aristocratica tanto gradita ai signori dai quali umanisti e letterati dipendevano.
Lezione 036
La prosa politica di Niccolò Machiavelli fa storia a sé rispetto alla tradizione letteraria del suo tempo. Due
secoli dopo il Foscolo ammirò molto questo stile forte e nuovo del Machiavelli. C’è da dire che il Machiavelli
era ben consapevole dell’eccellenza della lingua parlata a Firenze, tant’è vero che nel “Discorso intorno alla
nostra lingua” egli afferma che Dante ha scritto in fiorentino in quanto questa lingua era lo strumento
perfetto alla elaborazione letteraria. In questa opera Machiavelli stabilisce il rapporto fra lingua data per
natura e sua elaborazione attraverso l’arte, fra lingua parlata e lingua della letteratura. Egli sostiene che gli
scrittori non possono essere eccellenti se non hanno a disposizioni uno strumento linguistico che consenta
loro l’esercizio dell’arte.
La nascita della grammatica della lingua italiana.
La grammatica italiana è nata come confronto con la grammatica latina; Dante nel De vulgari eloquentia
aveva identificato latino e grammatica, in quanto l’idea stessa di grammatica era esclusivamente legata al
latino. La prima grammatica italiana, dopo quella di Leon Battista Alberti, si deve a Giovan Francesco
Fortunio, che fu pubblicata nel 1516, ma non riscosse particolare successo in quanto di carattere
prevalentemente filologico. Sulla stessa linea filologica dell’opera di Fortunio sono le “Prose della volgar
lingua” di Pietro Bembo, pubblicate nel 1525. L’opera di Bembo è un trattato in forma dialogica, e qui
l’autore indica a modello della scrittura letteraria la lingua di Boccaccio per la prosa e di Petrarca per la
poesia; limitativo è il giudizio su Dante in quanto, per Bembo, il poeta si era macchiato di un eccessivo
abbassamento del livello linguistico e stilistico nelle parti più realistiche della Commedia. A prescindere da
tutto, l’opera del Bembo si può definire un vero e proprio libro di grammatica, molte norme che si sono
imposte nell’italiano trovano qui il primo deciso codificatore, come ad esempio l’eliminazione dell’articolo
maschile el al posto di il, e l’abolizione del pronome lui soggetto a favore di egli.
Lezione 037
Analizzate nei suoi tratti fonomorfologici la lingua di Machiavelli utilizzando il breve brano tratto dal De
principatibus:
"[III] DE PRINCIPATIBUS MIXTIS. [De' principati misti] - [1] Ma nel principato nuovo consistono le
difficultà. E prima, s'e' non è tutto nuovo, ma come membro - che si può chiamare tutto insieme quasi
misto -, le variazioni sue nascono in prima da una naturale difficultà quale è in tutti e' principati nuovi. Le
quali sono che li uomini mutano volentieri signore credendo migliorare, e questa credenza li fa pigliare
l'arme contro a quello: di che e' s'ingannano, perché veggono poi per esperienza avere piggiorato".
Ma nel principato nuovo consistono le difficultà: Il rigore definitorio, oltre che con la disgiuntiva si esprime
anche attraverso l’avversativa
Arme: Riprendendo la sequenza dei tratti fiorentini quattrocenteschi verifichiamo nella morfologia
nominale l’incidenza dei nomi femminili della III terminanti in “e” invece che in “i”
Individuate nei due brani di Poliziano e Machiavelli riportati qui sotto l'affioramento dei tratti del
fiorentino argenteo:
a) "Conosceva questo egregio principe li altri suoi virtuosi fatti, comeché molti e mirabili fussino, tutti
nientedimeno a quest'una laude essere inferiori";
b) "E sempre interverrà ch'e' vi sarà messo da coloro che saranno in quella malcontenti o per troppa
ambizione o per paura: come si vidde già che li etoli missono e' romani in Grecia, e, in ogni altra provincia
che gli entrorno, vi furno messi da' provinciali".
a) Machiavelli: Morfologia verbale - verbo essere: (tu) sè >sei ; siete > sete ; fossi > fussi ; fosti > fusti;
b) Poliziano: Morfologia verbale - il passato remoto di mettere (e composti) con - s - > - ss -: missi, promisse
Lezione 038
Analizzate dal punto di vista linguistico e stilistico il seguente brano tratto dal De principatibus di
Machiavelli: "[14] L'altro migliore remedio è mandare colonie in uno o in dua luoghi, che sieno quasi
compedes di quello stato: perché è necessario o fare questo o tenervi assai gente d'arme e fanti. [15]
Nelle colonie non si spende molto; e sanza sua spesa, o poca, ve le manda e tiene, e solamente offende
coloro a chi toglie e' campi e le case per darle a' nuovi abitatori, che sono una minima parte di quello
stato".
L’assetto fonomorfologico del brano riprende la linguistica della prosa del tempo; ma una evoluzione al
futuro avviene attraverso lo stile e la sintassi. Le categorie della forza, le strategie generali di organizzazione
del testo e le strutture della sintassi mirano alla brevità. Un effetto razionalizzante e di categorizzazione del
reale è raggiunto ad esempio col ricorso insistito del modulo o/o.
Machiavelli, a differenza del Bembo, rivendica l’eccellenza di natura della lingua parlata a Firenze. Nel
Discorso, che a tratti assume la forma di dialogo fra l’autore e Dante stesso, Machiavelli afferma non solo
che Dante ha scritto in fiorentino, ma anche che l’arte degli scrittori eccellenti ha trovato uno strumento, il
fiorentino, che per natura si offriva più adatto alla elaborazione letteraria. Machiavelli stabilisce questa
solidarietà fra lingua data per natura e sua elaborazione attraverso l’arte, fra lingua dell’oralità, lingua
parlata, quotidiana e lingua della letteratura; gli scrittori non possono essere eccellenti se a loro
disposizione non è dato uno strumento linguistico tale che consenta e faciliti l’esercizio dell’arte.
Lezione 039
Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano estratto dal De principatibus: "[42] Aveva
dunque fatto Luigi questi cinque errori: spenti e' minori potenti; accresciuto in Italia potenza a uno
potente; messo in quella uno forestiere potentissimo; non venuto ad abitarvi; non vi messo colonie. [43]
E' quali errori ancora, vivendo lui, potevono non lo offendere s'e' non avessi fatto il sesto, di to?rre lo
stato a' viniziani".
Se l’assetto fonomorfologico la avvicina al secolo e alla geografia linguistica e culturale di una parte della
prosa che la precede, la sintassi e lo stile la proiettano senz'altro verso il secolo e la geografia linguistica e
culturale di una parte della prosa che la segue; l’enclisi compare in condizioni analoghe a quelle moderne:
dopo participio passato purché non preceduto dalla negazione, nel qual caso la proclisi è costante: non lo
offendere, non vi messo.
Tracciate un quadro dei rispettivi ambiti d'uso del latino, del volgare e del dialetto nel secondo
Cinquecento e nel Seicento.
La seconda metà del Cinquecento e il Seicento sono di solito associati a due categorie interpretative
desunte dal mondo delle arti: il Manierismo e il Barocco. Queste due categorie si riflettono nella letteratura
con la formazione di due nette opposizioni: da una parte il classicismo razionalista e dall’altra il Barocco
anticlassico. Nell’Accademia Fiorentina si assiste da una parte alla rivendicazione di istanze
‘classicheggianti’ e filobembiane; dall’altra parte c’era la pretesa di riscattare la superiorità del fiorentino
rispetto agli altri volgari. Sta di fatto che nel secondo Cinquecento anche se l’Italia poteva vantare
l’esistenza di una Koinè comune, questa comunque risultava troppo lontana dalle esigenze di una
letteratura dominata ancora dal latino. Solo nel Seicento il volgare comincia ad affermarsi come lingua
anche utilizzata nelle lezioni universitari e nei settori scientifici, si pensi ad esempio a Galileo Galilei che
scelse ti utilizzare il volgare in un settore dove il latino aveva sempre dominato e costituiva lo strumento più
idoneo alla diffusione di informazioni.
Pietro Bembo e Leonardo Salviati (quali sono le analogie e le differenze nelle rispettive posizioni
linguistiche?)
La proposta di Bembo fu quella di indicare, a modello della scrittura letteraria dei propri contemporanei, la
lingua di Boccaccio per la prosa e di Petrarca per la poesia, formulando giudizi molto limitativi su Dante.
Salviati riprese il modello arcaicizzante di Bembo, ma rivendicò non solo il valore di Dante, anche quello di
tutte le scritture trecentesche fiorentine di ogni genere e registro.
Fra il 1540 e il 1541 il duca Cosimo I favorì la formazione di un’Accademia, composta da privati cittadini,
come strumento di autopromozione politica e linguistica. Tale Accademia, definita l’Accademia Fiorentina,
rivendicò per Firenze il ruolo di sede privilegiata di nascita e diffusione della lingua volgare. Inizialmente
anche Lionardo Salviati fece parte di questa accademia, ma se ne distaccò intorno agli anni Ottanta,
entrando a far parte della Brigata dei Crusconi. La Brigata era costituita da un gruppo di amici che si
riunivano per cenare e conversare in maniera piacevole, tant’è vero che il loro “leggere in crusca”
significava leggere con spirito volutamente leggero e anti-pedantesco. Fu lo stesso Salviati ad avanzare la
proposta di cambiare il nome in Accademia della Crusca.
Lezione 041
Salviati nei propri studi di carattere lessicale, morfologico e fonetico, oltre ad approfondire il fiorentino
trecentesco, aveva anche fatto riferimento ad un Vocabolario Toscano, del quale però non è rimasta traccia
documentaria. Da questa idea nacque l’impresa degli Accademici della Crusca di redigere il primo
Vocabolario, uscito a Venezia nel 1612. Tale impresa è stata la più innovativa per la storia della lingua, in
quanto finalmente si sanciva la nascita di una lingua non più solo “fiorentina” o “toscana”, ma nazionale. Il
Vocabolario definiva le regole di una lingua non solo parlata, ma anche scritta.
La lessicografia della Crusca: storia de Vocabolario e le reazioni alla Crusca (qualche esempio nei secoli
XVII e XVIII)
Il Vocabolario nacque da un progetto di Lionardo Salviati, alla sua morte gli Accademici della Crusca si
impegnarono a redigere, con un lavoro durato circa un ventennio, il primo Vocabolario della Crusca, uscito
a Venezia nel 1612. Finalmente si redigeva un’opera che dava vita ad un’unità lessicale con proprie regole
grammaticali e fraseologiche. La prima edizione si basava soprattutto sul fiorentino trecentesco.
Successivamente Paolo Beni e Alessandro Tassoni, con le loro critiche, spinsero gli Accademici, nella terza
edizione (1691), ad aprire il rigido paradigma degli autori inseriti nel Vocabolario, e ad inserire anche opere
di scrittori del Cinquecento e in particolare opere tecniche e scientifiche.
In Italia nel Seicento finalmente si assiste all’uso del dialetto non solo nel parlato, ma anche nella
traduzione di classici e in scritture narrative. È soprattutto nell’ambito universitario che si verifica un forte
cambiamento. Infatti normale era che le lezioni venissero svolte in latino, ma sempre più prendeva piede
l’uso del volgare in lezioni fatte da scienziati i quali erano desiderosi di un pubblico sempre più ampio e
meno selezionato.
Illustrate il contesto storico e storico-linguistico che porta dall'Accademia degli Umidi all'Accademia
Fiorentina e infine all'Accademia della Crusca. Tracciate infine un profilo di Lionardo Salviati e il suo
contributo alla creazione del Vocabolario degli Accademici della Crusca.
Fra il 1540 e il 1541, su richiesta del duca Cosimo I, un’Accademia di privati cittadini venne trasformata in
strumento ufficiale di promozione linguistica e letteraria, nacque l’Accademia Fiorentina. In tale Accademia,
i membri si impegnarono nel rivendicare per Firenze il ruolo di primato e di sede privilegiata di lingua.
Inizialmente anche Lionardo Salviati fece parte di questa accademia, ma se ne distaccò intorno agli anni
Ottanta, entrando a far parte della Brigata dei Crusconi, divenuta successivamente, su proposta del Salviati,
Accademia della Crusca. Salviati aveva approfondito gli aspetti lessicali, oltre che fonetici e morfologici, del
fiorentino trecentesco, facendo anche riferimento a più riprese ad un Vocabolario toscano. Sulla base di
quel progetto gli Accademici della Crusca si impegnarono, dopo la sua morte, a redigere, con un lavoro di
circa un ventennio, il primo Vocabolario degli Accademici della Crusca uscito a Venezia nel 1612
All’Accademia della Crusca va riconosciuto il merito di aver redatto nel 1612 il primo Vocabolario in lingua
volgare. La prima edizione si basava soprattutto sul fiorentino trecentesco. Successivamente Paolo Beni e
Alessandro Tassoni, con le loro critiche, spinsero gli Accademici, nella terza edizione (1691), ad aprire il
rigido paradigma degli autori inseriti nel Vocabolario, e ad inserire anche opere di scrittori del Cinquecento
e in particolare opere tecniche e scientifiche. L’edizione del 1691 segnalava come V(oce) A(ntiquata) le
parole non più usate, ma erano state registrate non perché ritornassero ad uso, ma come documento per la
lettura degli antichi scrittori. Un altro importante critico dell’impostazione linguistica dell’Accademia fu
Daniello Bartoli, il quale incoraggiava ad usare i divieti grammaticali in maniera meno rigida.
Lezione 042
Daniello Bartoli scrisse opere di carattere storiografico, retorico, linguistico e scientifico. Interessante dal
punto di vista linguistico è l’opera “Il torto e il diritto del non si può”, un insieme di considerazioni che
valutano il grado di affidabilità di forme accolte nel Vocabolario della Crusca. In questa opera viene fuori la
posizione linguistica del Bartoli il quale cerca di mettere in guardia dai rischi di assolutizzare ciò che si può o
non si può scrivere, seguendo dei dettami stabiliti da una documentazione non esaustiva. Da qui deriva
l’invito del Bartoli ad usare il divieto grammaticale con minore rigore, ma dall’altra parte Bartoli si dimostra
abbastanza fedele ai dettami lessicali stabiliti dal Vocabolario della Crusca. Da questo duplice
atteggiamento possiamo dire che se da una parte egli era all’avanguardia per la sintassi, dall’altra per il
lessico, mostra sicuramente una certa fedeltà al registro toscano trecentesco del Vocabolario, ma l’accetta
con un atteggiamento nuovo, di non totale sottomissione.
Bartoli è rappresentante più di un’epoca che di una corrente letteraria come quella barocca. Egli è fautore
di una posizione moderata nelle scelte linguistiche, infatti non rifiuta totalmente il canone degli autori
trecenteschi stabilito nel Vocabolario degli Accademici della Crusca, ma mette in guardia dai rischi di
assolutizzare dei precetti linguistici che possono essere desunti da una scarsa documentazione. La sua
posizione moderata sta nel fatto che, se da una parte riconosce alla sintassi un meccanismo di regole nuove
e complesse, dall’altra mostra una certa fedeltà al lessico toscano trecentesco del Vocabolario, che
comunque lo rivaluta e non lo segue con assoluta sottomissione.
Lezione 048
Il letterato Francesco Algarotti, di origine veneziana, ma di cultura cosmopolita, nel Saggio sopra la lingua
francese, pubblicato nel 1750, esprime, con posizione moderata, la sua concezione di tutela tra il vecchio e
il nuovo. Algarotti era ben consapevole che la condizione socio-politica di un paese potesse influenzare il
panorama culturale, ed infatti per Algarotti la decadenza letteraria italiana dipendeva dalla piccolezza e
divisione degli stati. Inoltre evidenzia come in Francia l’Académie francaise fosse riuscita ad attuare una
vera e propria riforma intellettuale per la diffusione del francese, cosa che in Italia l’Accademia della Crusca
non era riuscita, in quanto nata come organo privato, non si era mai posto l’obiettivo di diventare il polo
centrale di diffusione politica e culturale. Altro punto importante di differenza fra Italia e Francia era
l’atteggiamento, infatti mentre l’Accademia italiana continua a rivolgersi al passato e a tutelare le forme
antiche, l’Académie è invece rivolta al futuro a riformare la lingua proprio per agevolare gli scrittori che
verranno.
Quali sono i piani linguistici più permeabili ai francesismi introdotti nel Settecento?
Già nel secondo Seicento in Italia prese sempre più piede una cultura cosmopolita, con particolare
attenzione alla letteratura francese e inglese. Il frazionamento politico culturale dell’Italia del Settecento
facilitò il fascino verso le grandi organizzazioni statali inglesi e soprattutto francesi. La “gallomania” si
esercitò tanto a livello letterario e linguistico, quanto a livello del costume, della moda e dei
comportamenti. È infatti impossibile stabilire se a determinare la scelta del francese come lingua della
conversazione delle classi colte, come per esempio a Milano, sia stata la penetrazione della cultura
letteraria della Francia o se, viceversa, il fatto che il francese sia divenuto una sorta di lingua franca
dell’Europa abbia facilitato la fortuna e la diffusione della letteratura di quel paese.
Illustrate i temi e le posizioni della querelle des anciens et des modernes e di quella correlata fra
Dominique Bouhours e Giovan Gioseffo Orsi.
Nel 1688 Fontanelle interviene nella cosiddetta querelle des anciens et des modernes, una polemica
relativa al rapporto gerarchico da stabilirsi o da riconoscere alla tradizione antica rispetto alla cultura e alla
letteratura moderne. Fontanelle sostiene l'uguaglianza di natura tra antichi e moderni. È il tempo a
determinare la superiorità dei moderni nel campo della scienza e della filosofia, mentre riguardo alla
letteratura e alla poesia Fontanelle ammette che gli antichi sono superiori o al massimo eguagliati. In Italia
tale polemica assume connotati particolari: si innesca una nuova polemica tra letterati francesi e letterati
italiani. Dominique Bouhours aveva espresso giudizi poco lusinghieri sulla letteratura italiana, definendo
bizzarra ed artificiosa la prosa e la poesia barocca. A quelle critiche, in difesa della tradizione letteraria
italiana rispose Giovan Gioseffo Felice Orsi. Dietro la querelle anciens e modernes si cela una
contrapposizione fra italiano e francese. L'italiano rappresenta il vecchio, il contorto, mentre il francese è il
nuovo. Bouhours accusava la prosa barocca italiana di eccessiva innaturalezza a causa della scrittura per
immagini metaforiche, e per il disordine sintattico determinato dall'ordine inverso (riguardo la collocazione
delle parole all'interno della frase e del periodo), contrapposto all'ordine naturale del francese che
disponeva gli elementi sintattici secondo l'ordine di natura (soggetto, verbo, complemento oggetto). Di
contro Orsi distinse le lingue in propense alla costruzione inversa, portate all’espressione
dell’immaginazione, e lingue propense alla costruzione diretta proprie del francese. Tale polemica innescò
una riflessione positiva sulla natura delle lingue e i loro differenti caratteri intriseci.
La riflessione metalinguistica settecentesca si era concentrata sulle categorie delle lingue, sul loro genio e
sulle loro caratteristiche interne di tipo sintattico o stilistico. Questo interesse aveva avuto origine dalla
polemica Orsi- Bouhours. Dominique Bouhours accusava la prosa barocca italiana di eccessiva innaturalezza
a causa dell’artificiosità sintattica, contrapponendo l’ordine naturale del francese. A quelle critiche, in difesa
della tradizione letteraria italiana rispose Giovan Gioseffo Felice Orsi, che distinse le lingue in propense alla
costruzione inversa, portate all’espressione dell’immaginazione, e propense alla costruzione diretta proprie
del francese. Un apporto importante alla questione è quello di Cesarotti col Saggio sulla filosofia delle
lingue: partendo dal presupposto che non ci sono lingue superiori e perfette, Cesarotti stabilisce il moderno
principio della variazione per cui ogni lingua varia a seconda delle situazioni e dei luoghi, e a seconda dei
registri, degli strati e gruppi sociali. Per spiegare tale regime di variazione e innovazione Cesarotti ricorre ai
concetti di «genio grammaticale» e «genio retorico», il primo corrispondente alla struttura profonda della
lingua, il secondo è mutevole e dipende dalle variazioni legate alla storia; al genio retorico poi appartiene il
lessico, sempre aperto ai neologismi, ai dialettalismi, ai forestierismi.
Illustrate la posizione di Francesco Algarotti nei confronti della situazione linguistica italiana a lui
contemporanea e nei confronti dell'Accademia della Crusca in particolare.
Nel 1688 Fontenelle interviene nella cosiddetta querelle des anciens et des modernes, una polemica
relativa al rapporto gerarchico da stabilirsi o da riconoscere alla tradizione antica rispetto alla cultura e alla
letteratura moderne. Fontenelle afferma la superiorità dei moderni per quanto riguarda la scienza e la
filosofia perché solo il tempo aumenta il sapere; riguardo alla letteratura e alla poesia egli ammette invece
che gli antichi possano essere superiori o al massimo solo eguagliati. La querelle des anciens et des
modernes in Italia assume connotati particolari: fra letterati francesi e letterati italiani. Dominique
Bouhours aveva espresso giudizi poco lusinghieri sulla letteratura italiana, giudizi che in realtà intendevano
colpire l’artificiosità di certa prosa e poesia barocca. A quelle critiche, in difesa della tradizione letteraria
italiana rispose Giovan Gioseffo Felice Orsi. Nella contrapposizione fra vecchio e nuovo, fra anciens e
modernes infatti si celava anche la contrapposizione fra italiano e francese. L’italiano infatti rappresentava
il vecchio, il formale, perché si trattava di una lingua misurata solo sulla letteratura, dato che l’italiano della
conversazione non esisteva. Viceversa il francese è il nuovo, è lo strumento linguistico svelto e vivace che
assicura la diffusione del sapere sia nello scritto che nell’oralità. Sebbene l’accusa del Bouhours fosse rivolta
agli eccessi seicenteschi e barocchi, la pronta risposta dell’Orsi e del gruppo che gli si affiancò assunse
l’accusa come rivolta all’intera tradizione italiana.
Lezione 049
Alessandro Verri è espressione dell’ambiente illuminista della Milano del Settecento. Per il Verri utilizzare il
francese come lingua di conversazione non è sola una moda, ma è lo strumento più adeguato da utilizzare
per la diffusione delle idee. Il trasferimento di Alessandro Verri da Milano a Roma, dalla città degli uffici e
dei commerci alla città delle rovine e delle testimonianze storiche, corrisponderà ad un cambio di posizione
ideologica ed estetica; infatti il cambio di posizionamento culturale avvicinerà la prosa del Verri alla
tradizione. Ispirato dai miti della Grecia e della Roma antiche, Alessandro Verri recupererà nel lessico e
nella sintassi la tradizione italiana antica. E di lì a poco, il romanticismo italiano si intersecherà con il
neoclassicismo, perché il sentimento e la passione si sostituiscano alla razionalità settecentesca.
Lezione 051
Illustrate un argomento a vostra scelta fra quelli studiati nel volume di Roberta Cella o, a seconda
dell'anno del corso, nel volume di Francesco Bruni
Bruni sostiene che la diffusione dell’italiano in Europa sia dovuto all’inventiva e alla vivacità culturale della
lingua. L’italiano si afferma infatti poiché lingua di cultura. Il suo sviluppo culturale è dovuto all’iniziativa di
gruppi o singoli, sulla base di idee esportabili come l’Umanesimo e il Classicismo. Il Rinascimento italiano ha
avuto un ruolo determinante nel diffondere l’alta considerazione per la tradizione latina e greca,
insegnandola alla cultura europea. Recenti studi hanno poi dimostrato come in alcuni luoghi del
Mediterraneo e in Oriente, l’italiano abbia avuto la funzione di lingua internazionale per trattati di pace e
giornali, che fosse la lingua più usata per testi di carattere commerciale e politico presso i consolati francesi
ed inglesi di Tunisi e Tripoli, e che fosse conosciuta nei Balcani da greci e albanesi.
Illustrate dal punto di vista linguistico, stilistico e ideologico il seguente brano tratto dalla Rinunzia avanti
il notaio di Alessandro Verri: "Cum sit, che gli Autori del Caffè siano estremamente portati a preferire le
idee alle parole, ed essendo inimicissimi d'ogni laccio ingiusto che imporre si voglia all'onesta libertà de'
loro pensieri, e della ragion loro, perciò sono venuti in parere di fare nelle forme solenne rinunzia alla
purezza della Toscana favella, e ciò per le seguenti ragioni".
Dal punto di vista della costruzione del periodo la Rinunzia aderisce ad un modulo logico ricorrente che,
tramite una secondaria o un periodo ipotetico, espone la premessa a cui consegue quanto espresso nella
principale. Alessandro Verri, coerente con la posizione di chiarezza e razionalità del suo ambiente e della
sua posizione intellettuale, predilige l’ordine diretto.
Commentate dal punto di vista grafico, fono-morfologico e sintattico il seguente brano della Rinunzia di
Alessandro Verri: Porteremo questa nostra indipendente libertà sulle squallide pianure del dispotico
Regno Ortografico e conformeremo le sue leggi alla ragione, dove ci parrà che sia inutile il replicare le
consonanti o l'accentar le vocali, e tutte quelle regole che il capriccioso Pedantismo ha introdotte, e
consagrate, noi non le rispetteremo in modo alcuno. In oltre considerando noi che le cose utili a sapersi
son molte, e che la vita è breve, abbiamo consagrato il prezioso tempo all'acquisto delle idee, ponendo
nel numero delle secondarie cognizioni la pura favella, del che siamo tanto lontani d'arrossirne, che ne
facciamo amende honorable avanti a tutti gli amatori de' riboboli
La libertà rivendicata significa la liberazione da un’ortografia fissata sulla base del fiorentino del Trecento.
La liberazione dal laccio cruscante è rappresentata dalla mancata adesione ai fiorentinismi. Usi grafici
divergenti dalla ortografia moderna: uso di j che ricorre in nojosissimi; nojoso; giojelli. Relativa libertà
nell’uso delle maiuscole: la maiuscola è usata per aggettivi denotanti l’origine geografica (Lombarde). Il
quadro fono-morfologico e ormai quello dell’italiano moderno; anche l’adozione di apocopi, ormai
appartenenti alla lingua letteraria media, indica un registro linguistico sostenuto. Il francese è esibito come
lingua delle buone maniere e della socievolezza nella ‘citazione’ della formula amende honorable, con
provocatoria ostentazione proprio nel momento in cui si chiede formale perdono (amende) di una cosa di
cui Verri dichiara in realtà di non vergognarsi (del che siamo tanto lontani d’arrossirne)
Lezione 053
Illustrate la situazione dell'insegnamento scolastico che il nuovo stato unitario si trovò a riformare, la
natura e i contenuti del sistema scolastico unitario, i problemi linguistici affrontati.
Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, divenne sempre più necessaria la formazione di una scuola
unitaria sia nei programmi che negli obiettivi. Nel 1859 venne emanata la legge Casati in cui si delineava e
regolamentava tutto l’apparato scolastico; tale legge sanciva la divisione in due gradi di istruzione,
elementare e medio; il grado elementare organizzato in due bienni (di cui solo il primo obbligatorio); il
grado medio diviso in due indirizzi: classico e professionale. L’istruzione elementare era gratuita, ma i
comuni dovevano occuparsi di tutte le necessità secondo le proprie facoltà e secondo i bisogni dei propri
abitanti. La legge dunque sanciva il principio della gratuità e dell’obbligatorietà dell’istruzione primaria e
l’obbligo per i comuni di impartirla a proprie spese, ma il limite di questa legge è che non era stata prevista
nessuna sanzione né per i genitori né per i comuni che non la rispettassero. Questo causò molti disagi, in
quanto i comuni più piccoli, non avendo risorse finanziare adeguate, non furono in grado di aprire o
mantenere le scuole. L’evasione scolastica restò altissima, soprattutto nelle zone rurali dove i bambini
aiutavano le famiglie nei lavori dei campi. Anche la formazione dei maestri rimase molto approssimativa.
Nel 1877 venne varata la legge Coppino che introdusse delle novità e miglioramenti a quella precedente:
l’obbligo di frequenza scolastica alle prime tre classi della scuola elementare, unificata a carattere
quinquennale, e sanzioni alle famiglie che non rispettassero la legge. I programmi prevedevano
l’insegnamento dell’italiano e della matematica, ma non venne inserito lo studio della religione. Questo
provocò un certo disappunto tra i cattolici benestanti che preferirono mandare i figli in scuole private rette
da religiosi. Il vero problema anche di questa legge fu che tutte le spese restarono a carico dei comuni i
quali non riuscirono ad attuare e rispettare i dettami richiesti.
Il primo Ottocento è un momento di rottura con l'ideologia settecentesca. Si afferma la valorizzazione del
patrimonio linguistico tradizionale: alla lingua colta e letteraria, si affianca l'uso popolare ed ingenuo della
lingua. Tre sono le correnti principali dell'Ottocento: il purismo (che proponeva un ritorno all’uso della
lingua italiana dell’aureo Trecento), il classicismo (contrario ai forestierismi e ai neologismi, proponeva di
imitare la naturalezza degli antichi evitando registri bassi e comici), il neo-toscanesimo (che proponeva l’uso
del toscano vivo, non necessariamente colto)
La proclamazione del Regno d’Italia comportò in materia legislativa scolastica l’adozione del decreto,
emanato nel 1859 dal Regno di Sardegna, con il nome Legge Casati. Tale legge riorganizzava il sistema
scolastico con l’introduzione di una modulazione degli ordini e gradi: scuola elementare in due bienni di cui
il primo obbligatorio, e scuola media separata in due indirizzi classico e tecnico-professionale. L’istruzione
era gratuita e a carico dei comuni, questo portò a gravi disagi per i comuni più piccoli che non riuscivano a
tollerare le spese. L’obbligatorietà scolastica era poi elusa perché i bambini aiutavano le famiglie con il
lavoro. Subentrò poi la legge Coppino nel 1877 che estendeva l’obbligo di frequenza scolastica alle prime
tre classi della scuola elementare unificata a carattere quinquennale con sanzioni contro i genitori
inadempienti. Tutte le spese restarono a carico dei comuni i quali non riuscirono ad attuare e rispettare la
legge.
Lezione 054
Unificata politicamente, all’Italia occorreva creare una scuola uniformata sia nei programmi che negli
obiettivi, ma soprattutto occorreva che la scuola insegnasse una lingua comune a tutti in modo da
sviluppare il senso di appartenenza. La Legge Casati, emanata nel 1859, che prevedeva due gradi di
istruzione, elementare e medio, con l’obbligo solo del primo biennio dell’elementari, non portò grandi
miglioramenti. Tant’è vero che nel 1861 i livelli di analfabetismo erano altissimi: 75% per gli uomini e 84%
per le donne. Nel 1877 venne emanata la Legge Coppino che introdusse il grado elementare a ciclo unico e
obbligatorio il primo triennio; inoltre tale legge inserì gravi sanzioni ai genitori che non rispettassero
l’obbligatorietà. Nel 1911, grazie alla legge Coppino, gli analfabeti si aggiravano ad una media del 40%. Il
problema principale, segnalato dalle numerose ispezioni volte alla verifica del rispetto dei programmi
scolastici, era dato dal dialetto. Infatti molti maestri erano costretti ad usarlo per farsi comprendere dagli
alunni, a questo si legava il problema di numerosi errori di ortografia e di pronuncia, dato che poi vi era una
certa diversità anche fra il dialetto di città e quello di zone più rurali.
Il secondo Ottocento è dominato da tre correnti che avevano come comune denominatore la questione
della lingua. Il classicismo proponeva di imitare la naturalezza degli antichi, evitando i registri bassi e comici,
e il maggiore esponente fu Vincenzo Monti. A questo movimento si contrappone il purismo, con la figura di
Antonio Cesari, che proponeva un ritorno all’uso della lingua italiana del Trecento. Il neo-toscanismo ebbe
come massimo esponente Niccolò Tommaseo che proponeva l’uso del toscano vivo come norma linguistica.
Egli auspicava che l’educazione linguistica degli italiani potesse avvenire dal contatto diretto con i toscani
nativi.
L’Italia pre-unitaria presenta una condizione linguistica abbastanza difficile, al momento dell’unificazione
solo il 9,2% degli italiani era italofono, il resto della popolazione parlava il dialetto della propria regione.
Questo comportava una dicotomia tra il parlato, corrispondente al diletto locale, e lo scritto, che era in
lingua italiana. Esempio di questa dicotomia dialetto/italiano si può riscontrare nell’opera di Ippolito Nievo
“Confessioni di un Italiano” in cui l’autore fa la distinzione tra veneziano/italiano. Inoltre bisogna tenere
presente che era ancora molto influente la cultura cosmopolita, ovvero l’influsso delle lingue straniere
come il francese e in subordine l’inglese.
Lezione 055
Alessandro Manzoni e la lingua: dal primo abbozzo del romanzo, alla prima edizione dei Promessi Sposi,
all'edizione definitiva.
La prima stesura del Fermo e Lucia presentava una lingua ibrida, formata da frasi lombarde, toscane,
francesi e latine. Manzoni era consapevole del limite della lingua della propria opera, che essendo un
romanzo storico, doveva essere destinato ad un pubblico vasto e nazionale. Inizialmente le soluzioni, per
sfuggire al lombardismo e al francesismo, le trova nella lessicografia settecentesca di carattere purista e
dagli autori cinquecenteschi comici e popolari. Ma la svolta avviene dopo un viaggio a Firenze, così mentre
sta ultimando la revisione del romanzo I Promessi Sposi, il contatto con il fiorentino parlato segnerà il
passaggio linguistico dell’opera. Nasce una seconda e definitiva edizione del romanzo che fu molto
contrastata e censurata a causa di una nuova e coraggiosa scelta linguistica.
Graziadio Isaia Ascoli era un linguista di professione, e si pose quasi da scienziato al problema di una lingua
di carattere nazionale. Egli era consapevole che in Italia mancava un centro culturale e politico da cui
potesse nascer un linguaggio unico. Occorreva prima formare una società civile, che solo la scuola e
l’istruzione poteva educare, gli Italiani, e dagli Italiani sarebbe derivata la loro lingua. Manzoni invece nella
Relazione, presentata alla Commissione nominata dal ministro della Pubblica Istruzione nel 1868,
proponeva la compilazione di un vocabolario basato sull’uso del linguaggio fiorentino, spingeva affinché la
maggior parte degli insegnati fosse toscana, e venissero dati sussidi ai comuni che assumevano maestri
nativi toscani; ed infine proponeva borse di studio ad allievi di scuole magistrali che trascorrevano un anno
scolastico a Firenze.
Manzoni scrisse una lettera a Giacinto Carena in occasione dell’uscita del Vocabolario domestico firmato
dal linguista. In tale lettera si evince quello che era il pensiero di M. riguardo la lingua, egli infatti sostiene
che il fiorentino è la lingua italiana, e rimprovera il Carena di aver inserito parole che non fossero solo
fiorentine, ma raccolte anche da altre città toscane; mentre la lingua italiana è solo in Firenze, come la
lingua latina era in Roma, e quella francese in Parigi. Inoltre M. sostiene che la sinonimia, la pluralità di
termini nell’indicare la medesima cosa, fosse una disgrazia per l’italiano e non una ricchezza. Manzoni
rimprovera al Carena la propensione verso la molteplicità della lingua, proponendo invece come soluzione
l’unità del fiorentino. La posizione del Manzoni è quella di un letterato che utilizza la lingua come
espressione d’arte, ma non ha consapevolezza della complessità dei meccanismi sociolinguistici delle
lingue.
Manzoni romanziere e Manzoni linguista (le proposte avanzate da Manzoni per l'unificazione linguistica
nella Relazione per la commissione ministeriale).
Alessandro Manzoni durante la stesura della prima versione del Fermo e Lucia, si rese conto dell’ibridismo
della propria lingua. Da qui il problema della lingua che fosse unica e soprattutto potesse arrivare ad un
vasto pubblico come richiedeva la fruizione di un romanzo storico come era appunto la propria opera. Le
proposte per l’unificazione linguistica le espose nella Relazione per la commissione ministeriale voluta dal
Ministro dell’Istruzione nel 1868. In questa Relazione, Manzoni riprendeva i punti cardini espressi nella
Lettera al Carena: ossia la lingua italiana si deve attenere al fiorentino puro in quanto la lingua italiana è in
Firenze; egli inoltre sosteneva che la sinonimia era controproducente per la diffusione dei termini fiorentini
e di conseguenza comprometteva la nascita della lingua italiana. Egli dunque proponeva la compilazione di
un vocabolario basato sull’uso del linguaggio vivo fiorentino, preferenza accordata ad insegnanti toscani o
educati in Toscana, sussidi statali ai comuni che si dotassero di maestri toscani; conferenze di maestri
toscani nelle scuole delle varie province; borse di studio ad allievi di scuole magistrali che consentissero di
trascorrere un anno scolastico a Firenze, per fare pratica in una delle migliori scuole primarie.
Graziadio Isaia Ascoli, linguista per professione, si pose al problema dei modi con cui diffondere o ‘creare’
una lingua nazionale con gli occhi dello scienziato, ben lontano dalla posizione del Manzoni letterato che
usava la lingua come espressione d’arte. Per Ascoli, prima di avanzare proposte, bisognava riflettere e aver
chiare le cause dello stato presente della lingua italiana: in Italia non era mai nato, come in Francia, un
centro culturale e politico capace di diffondere idee e dottrine unitarie, e Firenze non rappresentava tale
centro; in Italia non avvenne un evento tale da determinare l’unità linguistica come era successo per la
Germania dove la Riforma protestante aveva avuto la conseguente diffusione della Bibbia che venne
tradotta casa per casa e da lì nacque la lingua tedesca. La ragione della divergenza fra la situazione
linguistica italiana da una parte e quelle francese e tedesca dall’altra, consisteva nel fatto che in Italia
mancava una società civile, ampia e articolata, mancavano gli Italiani. Solo la scuola e l’istruzione poteva
creare questa società: fatti gli Italiani, da loro naturalmente deriverà la lingua.
Lezione 056
Indicate quali furono i mezzi principali per una crescita dell'alfabetizzazione nel nuovo stato unitario e
quali categorie di lettori furono coinvolte nella nascita della nuova stampa periodica.
Per l’educazione del popolo occorreva la creazione di una ideologia popolare che si basasse sul principio di
moderazione, rispettabilità, equilibrio tra l’aspirazione a migliorarsi e la capacità di accontentarsi di ciò che
si possiede. Questi principi vennero diffusi attraverso una produzione di giornali, opuscoli divulgativi e testi
educativi che in seguito svilupparono una editoria specificatamente scolastica. Nella scuola infatti prese
sempre più corpo l’importanza di adottare un libro di testo unico che potesse essere usato in tutto il
territorio nazionale, in modo da diffondere gli stessi programmi e gli stessi insegnamenti morali. Questo
pose la base per il potenziamento di un mercato di manuali destinati soprattutto alle ultime classi delle
elementari. Il libro di lettura divenne il mezzo principale per l’insegnamento di nozioni, ma anche per
fornire regole sociali, morali e di comportamento. Solo negli anni 20 del Novecento il libro inizia ad
acquisire una funzione di intrattenimento e di piacere estetico. La crescita dell’alfabetizzazione portò
dunque alla nascita di nuove testate giornalistiche, che fossero meno settoriali, ma più di cultura e
d’opinione; soprattutto richiedevano una lingua meno impostata e dal carattere più moderno.
Lezione 057
Tracciate per sommi capi l'evoluzione del genere romanzo in Italia dal Seicento all'Ottocento e collegate
tale genere alla problematica linguistica dell'Unificazione politica.
Nel Seicento e primo Settecento, il genere del romanzo era inteso come un prodotto di massa, ai margini
della letteratura, in quanto trattava temi e trame che andavano dal fantastico al brutale, la scrittura era
spesso disomogenea e di scarsa qualità sia dal punto di vista formale che di verosimiglianza. Fra la fine del
Settecento e gli inizi dell’Ottocento, autori come Verri, Foscolo e Cuoco, cercarono di nobilitare il genere del
romanzo, ma la cultura italiana era restia ad accettare un genere che non appartenesse alla tradizione
autoctona. È solo nel terzo decennio dell’Ottocento che si assiste a un radicale cambiamento; nel 1827
venne pubblicata non solo la prima edizione dei Promessi Sposi, ma diversi autori pubblicarono nello stesso
anno romanzi dal carattere storico; a questa data risale la nascita del romanzo italiano moderno che
divenne un prodotto letterario dalle molteplici sfaccettature linguistiche e di contenuti. C’è da dire inoltre
che la diffusione dei giornali spinse verso l’utilizzo di una lingua meno impostata e favorì la diffusione dei
romanzi d’appendice. Si sviluppò una letteratura di consumo che raggiunse anche i ceti più bassi.
L’Ottocento vide l’affermazione del romanzo come genere letterario. La storia del romanzo parte già nel
Seicento, ma questo è inteso come prodotto di massa, ai margini della letteratura. Nel Settecento autori
come Verri, Foscolo e Cuoco tentarono di nobilitare il genere romanzo, ma le resistenze In Italia furono
tante in quanto ancora troppo legata ad una cultura basta su modelli classicisti. L’anno decisivo fu il 1827,
anno in cui venne pubblicata la prima edizione dei Promessi Sposi e vennero pubblicati altri romanzi di
autori minori che comunque portarono alla diffusione di un nuovo genere: il romanzo storico.
Lezione 059
La lingua del giovane Verga riflette un tono referenziale, accompagnato da formule stereotipate. Un
esempio lo possiamo trarre dal suo epistolario nella lettera indirizzata allo zio paterno del 1851. Qui infatti
sono presenti elementi arcaici, seguiti dall’uso del toscanismo vivo e forestierismi. Egli comunque non si
discosta dalla tradizione dell’italiano scritto e riflette lo scritto che si apprendeva a scuola, o meglio riflette
lo studio dell’italiano che Verga fece presso Antonio Abbate.
Illustrate la lingua di Giovanni Verga nella letterina trascritta qui sotto: "Caro Sign.r Zio, | Ieri abbiamo
ricevuto il suo gratissimo foglio nel quale avemmo rilevato l'amore che V.E. nutre per noi; da canto mio
La ringrazio della premura che V.E. si piglia per lo studio nel quale dobbiamo fondare i nostri pensieri per
la nostra riuscita. | Abbiamo inteso che V.E. verrà fra poco in questa, e desideriamo sapere il giorno della
di Lei venuta onde adempiere il nostro dovere venendoLa ad incontrare. | Intanto desidererei che con la
venuta di V.E. porterà qualche libro di storia per divertirmi, essendo quasi in fine della Storia romana di
Rollin che mi ha favorito questo mio Sig. Zio Don Salvadore. | Io studio la Lingua Latina, ed in due mesi
che ho dimorato in questa incomincio a spiegare tale Lingua. | Le baciamo le mani come pure alle Sign.r
Zie alle quale non scrivo per farmi le cosi della Scuola, non che alla Zia D.nna Francesca, mi dico Suo
nipote da figlio | Giovan Carmelo Verga"
Lezione 060
Verga nacque a Catania nel 1840, lo stesso anno dell’uscita della seconda edizione dei Promessi Sposi
revisionata dal Manzoni con il fiorentino parlato dalle classi colte. La sua formazione fu dunque dominata
dai classici della generazione precedente, ma anche dai maestri viventi. Come ci informa il suo amico De
Roberto, Verga si formò presso la scuola di Antonio Abate, il quale gli offrì la possibilità di conoscere una
letteratura romanzesca alla moda, ma l’insegnamento linguistico era affidato all’emulazione di modelli
letterari non aggiornati e non impegnati. Il giovane Verga non poteva accorgersi della limitatezza di quella
scuola, solo tra il 1850-1860 avvenne il distacco e la consapevolezza di una propria maturazione e
padronanza dell’italiano.
Lezione 063
Individuate alcuni elementi della lingua del giovane Verga nel breve brano riportato qui sotto, tratto dai
Carbonari della montagna:
A livello morfologico troviamo la presenza della forma verbale forte della I persona plurale del perfetto
“Li ripresimo”. L’origine di tale forma è analogica e si riconduce alla I persona singolare con la desinenza
–mo: io ripresi, noi ripresimo. Si notano inoltre forme dell’imperfetto che dominano nel resto dell’opera
e il cui uso si deve anche ad un rilievo sintattico e non solo stilistico o di pertinenza narrativa. Gli
imperfetti dormivano, parevano e pareva sono degli imperfetti che hanno un valore aspettuale della
continuità d’azione.
Lezione 067
Individuate alcuni elementi della lingua del giovane Verga nel breve brano riportato qui sotto, tratto da
Sulle lagune:
Il romanzo “Sulle Lagune” presenta un narratore onnisciente che conduce ad una narrazione opaca. Le
caratteristiche linguistiche sono le incertezze sulle reggenze preposizionali. Si notano periodi brevi, ridotti
ad una principale e ad una subordinata di primo grado. Troviamo, nel testo, pertanto, frasi esclamative,
interazioni, puntini di sospensione che connotano il tono di sfogo e lamento. Sono presenti frasi ellittiche.
Verga usa “ce e ci” come avverbio di luogo, invece che come pronomi di prima persona plurale.
Illustrate dal punto di vista sintattico (tenendo conto delle due parti narrativa e epistolare che vi si
alternano) il seguente brano tratto da Sulle lagune:
"Quelle date dovevano molto parlare al cuore del giovane ungherese, poiche? dopo aver baciato
l'immagine, egli baciava ognuna di quelle date. | Poscia comincio? a rileggere, forse per la ventesima
volta, quelle lettere, mentre insieme ad altre carte le andava ordinando dentro una grossa sopracoperta,
nella quale avea scritto in antecedenza l'indirizzo di Collini. [...] Mio buon amico, | Vi scrivo la prima volta
dal mio paesello nativo, seduta innanzi la mia finestra, da cui un raggio allegro di sole si riflette sul mio
tavolino, frastagliato dalle foglie del vecchio pergolato che incorona il davanzale. Ho dinanzi a me
quest'immenso orizzonte, inondato di luce splendida e cerulea, che si stende sino alla laguna, ove voi
dovete essere a quest'ora... fors'anche affacciato alla vostra finestra e cogli occhi rivolti verso
Nella sezione narrativa vi sono periodi brevi, normalmente ridotti ad una principale e a una subordinata di
primo grado. La sezione epistolare presenta capoversi più ampi, ma anch’essi, sono costituiti da allocuzioni,
frasi esclamative e interrogative, puntini di sospensione, proprio a sottolineare il tono di sfogo e di lamento;
quest’ultimo si esprime tramite periodi brevi o tramite frasi nominali che si affidano ad una sintassi
paratattica e slegata, tenuta insieme sulla pagina dall’interpunzione marcata (punti interrogativi,
esclamativi e punti di sospensione), esplicito segnale di emotività.
Lezione 071
Filologia e analisi linguistica: in che modo la condizione di non finito di Frine rappresenta una risorsa e/o
una limitazione per l'analisi linguistica del romanzo inedito?
Frine è un romanzo inedito rimasto allo stato di abbozzo. L’idea di questo romanzo venne al Verga dopo un
breve viaggio a Firenze nel giugno del 1865, al tempo Firenze era capitale del Regno. Il romanzo infatti è
testimonianza di quella breve esperienza fuori dai confini siciliani, tant’è vero che l’ambientazione è
fiorentina, e il protagonista, un pittore, ha forti somiglianze con il Verga del tempo affascinato da quel
centro socio culturale così diverso dal suo mondo. Sta di fatto che Verga non rivide il romanzo in maniera
definitiva per la pubblicazione, quindi se da una parte Frine testimonia in che modo Verga scrivesse tra il
1866 e 1869, dall’altro è limitativo per capire come il Verga volesse consegnare al pubblico il proprio testo e
soprattutto che lingua avesse voluto utilizzare qualora il romanzo fosse andato in stampa.
Lezione 073
Le componenti straniere della lingua del giovane Verga (quali le lingue usate, quale l'ambito di
provenienza)
La lingua del giovane Verga mostra il desiderio dell’autore di far parte dei salotti letterari più importanti del
momento. C’è quindi un’adesione alla cultura europea: le frasi brevi e dall’andamento sincopato si rifanno
al modello francese settecentesco dello “style coupè”. Anche il lessico presenta termini stranieri riguardanti
l’abbigliamento, il costume mondano, i mezzi di trasporto e l’arredamento. Se pensiamo al romanzo Eva qui
l’autore utilizza francesismi attinenti proprio al mondo della moda che riguardano soprattutto
l’abbigliamento.
Verga è un attento osservatore della società che vuole riprodurre nei suoi romanzi nel modo più “vero”, e
per questo la studia scrupolosamente sia nell’ambiente fisico che nei dialetti. Nei suoi scritti giovanili è
presente l’influenza del siciliano, i fiorentinismi presenti in “Storia di una Capinera” derivano dal suo
secondo viaggio a Firenze, mentre i francesismi e gli anglicismi usati in “Eva” derivano dalla lettura dei
romanzi stranieri. Egli arriva infine ad usare una lingua nuova, nazionale, arricchita da termini di origine
dialettale, da proverbi, e basata su una sintassi che segue la lingua parlata del popolo.
Tracciate un quadro dell'evoluzione e delle persistenze della lingua verghiana nel periodo catanese (da I
Carbonari della montagna a Frine)
I romanzi del periodo catanese presentano una lingua antiquata, Verga è ancora legato ad una forma colta
a svantaggio di quella più colloquiale. È nel romanzo Frine che si iniziano a intravedere delle innovazioni
linguistiche derivate anche dal suo viaggio a Firenze. Sta di fatto che comunque Frine non è stato
pubblicato, quindi non sappiamo con certezza quale fosse il desiderio del Verga su che lingua usare al
momento della pubblicazione, certo è che quest’opera segna il passaggio a quello che sarà il romanzo Eva
dove riscontriamo un’apertura linguistica alla cultura europea.
Lezione 077
Individuate alcuni elementi della lingua di Verga nel breve brano riportato qui sotto, tratto da Storia di
una capinera:
Gli elementi da sottolineare della lingua di Verga in questo brano sono: “gretole” e “testolina”. L’uso del
vocabolo “gretole”, in alcune edizioni sostituito da grate, fa pensare che si tratti più di una forma di
fiorentinismo puro piuttosto che un arcaismo; il termine testolina indica il diminutivo con suffisso –ino
presente soprattutto nella prosa.
I fiorentinismi presenti in Storia di Una Capinera sono tratti dal fiorentino ascoltato per le strade della città.
Si nota un’alta concentrazione di diminutivi nella prosa con suffissi che terminano in –ino (es. scodellino),
-etto (uccelletto), - ello (grandicello), -uccio (capannuccia). L’uso del vocabolo “gretole”, in alcune edizioni
sostituito da grate, fa pensare che si tratti più di una forma di fiorentinismo puro piuttosto che un arcaismo.
Infine l’uso di dittonghi nel vocalismo dopo l’elemento palatale (muricciolo, donnicciola). Nel
consonantismo non appaiono più le forme antiquate del tipo “(s)covrire”. Il rifiuto della sonorizzazione
viene attestato da una sola apparizione del termine “sacrifizio”
Illustrate il significato linguistico e stilistico che Storia di una capinera rappresenta nel percorso verghiano
Dal punto di vista linguistico e stilistico Storia di una capinera non rappresenta una frattura netta con la
lingua verghiana precedente, ma il lessico colto ed arcaico si affianca al lessico toscano. Sicuramente
abbiamo un Verga più maturo che riesce ad utilizzare la tecnica del discorso per introdurci all’interno delle
riflessioni della protagonista. Infatti proprio per descrivere i pensieri che tormentano la protagonista, Verga
ricorre spesso al discorso dubitativo, con frequente uso di esclamazioni e interiezioni. Maria si abbandona
ai suoi pensieri e il discorso viene a coincidere con i suoi ragionamenti.
Lezione 080
Dal punto di vista della storia i due romanzi hanno diversi punti in comune: innanzitutto il protagonista è, in
entrambi i romanzi, un pittore che si trova al centro di una scommessa e poi di un duello; identica è
l’ambientazione fiorentina e identico è il nome della protagonista, ma con simbologie diverse. Infatti
mentre in Frine il modello è la donna tentatrice e seducente, in Eva il personaggio è più complesso, meno
lineare, a volte rinvia alla ballerina-tentatrice e a volte alla donna-angelo del focolare che alla fine delude.
Nonostante queste analogie, Frine è inconfrontabile con Eva che sarà completamente riscritto. Frine invece
rimane allo stato di abbozzo, è significativo solo perché testimonia la scrittura del Verga intorno al 1866-
1869, in una forma semi-spontanea, ma non rivela come Verga intendesse consegnare al pubblico i propri
testi, né quale lingua Frine avrebbe avuto qualora anche questo romanzo fosse andato in stampa. In Eva
invece vi è una maggiore appropriatezza della lingua, un incremento dei toscanismi, una riduzione dei
dettagli descrittivi e una riduzione della ricca aggettivazione.
Collocate Eva nel percorso linguistico e letterario di Verga e illustrate gli aspetti linguistici interessanti del
seguente brano:
"Sotto un di quegli alberi c'era una poltrona colla spalliera appoggiata al tronco; un mucchio di guanciali
le dava l'aspetto doloroso che hanno le poltrone degli infermi. Vidi una scarna e pallida figura quasi
sepolta fra quei guanciali, e accanto alla poltrona un'altra figura canuta e veneranda - la madre accanto al
figliuolo che moriva. | Corsi a lui con una commozione che non sapevo padroneggiare. Com'egli mi vide
mi sorrise di quel riso così dolce degli infermi, e fece un movimento per levarsi".
Verga nel 1872 decise di abbandonare il giovanile inedito Frine, scritto durante il suo primo soggiorno
fiorentino. Allo scrittore, passato attraverso un secondo soggiorno fiorentino e da poco trasferitosi a
Milano, il romanzo Frine risultava insoddisfacente. Eva uscì nell’estate del 1873 e racconta la storia d’amore
della ballerina Eva e del pittore Enrico Lanti. Per tanti tratti narrativi e tematici simile alla storia raccontata
in Frine. Le obiezioni fatte dai recensori alla lingua di Eva, riguardavano vari aspetti: il lessico troppo carico
di forestierismi e inappropriato, e soprattutto una sintassi contorta. Ma possiamo dire che a parte
momentanee cadute di rigore, di tono, di misura, la critica ha riconosciuto uno snodo artistico importante,
sia nella gestione dei momenti di dinamicità e di stasi, sia nella piena percezione dell’autonomia dei tempi
della storia narrata e dei tempi del racconto, sia infine nella costruzione del discorso riportato: Eva è il
primo romanzo in cui il dialogo viene costruito con notevole scioltezza anche per l’adozione del discorso
diretto libero. Levarsi: Un'opzione in senso favorevole al toscano potrebbe sembrare anche l’insinuarsi nella
lingua del Verga di levarsi nel significato di ‘alzarsi in piedi’. L’ intero testo di Eva mostra una netta
preferenza di levare contro alzare (quando significhi ‘tirar su, sollevare’).
Lezione 082
Nedda: la scoperta della novella, la scoperta del mondo degli umili e le strategie linguistiche verghiane.
Con la novella di Nedda si assiste ad un cambio dell’arte di Verga: non più duelli e amori eleganti, ma
passioni semplici e tragedie silenziose. Vi è la scoperta da parte del Verga del mondo degli umili, ma questo
mondo viene narrato con una distanza paternalistica. Infatti qui il narratore si auto-rappresenta come
appartenete ad una classe sociale culturalmente e intellettualmente differente da quello descritto. Quindi
l’adesione al genere rusticale non corrisponde ancora a mutamenti sostanziali di strategie narrative o di
scelte linguistiche; fanno parte della composita lingua di Nedda elementi del fiorentino parlato, sicilianismi
e inserti in siciliano accanto ad elementi fonomorfologici e lessicali del toscano di tradizione letteraria.
Illustrate il significato di Nedda nel percorso letterario e linguistico di Verga, soffermandovi anche
sull'interpretazione datane da Luigi Russo.
I critici, a incominciare dal Capuana, hanno visto in Nedda una svolta dell’arte verghiana. Luigi Russo
afferma che con Nedda cambia la visione della vita e il contenuto dell’arte di Verga in quanto non tratta più
di duelli ed amori raffinati, ma di tragedie silenziose di povere contadine. Ma Luigi Russo riconobbe
importanti “difetti” di natura narratologica e formale. Il Verga si avvicina al mondo degli umili, ma con
distanza e tale distanza è evidenziata da uno stile e da una lingua ancora legati ai romanzi precedenti.
Fanno parte della composita lingua di Nedda elementi del fiorentino parlato, sicilianismi e inserti in siciliano
accanto ad elementi fonomorfologici e lessicali del toscano di tradizione letteraria.
Lezione 085
Individuate le tipologie di discorso (diretto e indiretto, libero e legato) nel seguente brano:
Discorso indiretto libero: "Don Franco allora si sfogava mettendosi a ridere come una gallina, all'uso di don
Silvestro, rizzandosi sulla punta dei piedi, coll'uscio spalancato a due battenti, che per questo non c'era
pericolo d'andare in prigione”
Discorso indiretto legato: “e diceva che finché ci sarebbero stati i preti era sempre la stessa cosa, e
bisognava fare tavola rasa, s'intendeva lui, trinciando colla mano in giro”
Discorso diretto legato: “Io per me li vorrei tutti arsi! rispondeva don Giammaria”
Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano, estratto dalla novella Pentolaccia
Dal punto di vista lessicale Verga mostra indifferenza riguardo alla provenienza geografica delle forme, ma
diventa particolarmente attento alla connotazione diastratica. L’abbassamento di tono è evidente, in
quanto elima gli elementi più formali a favore sia del toscano (testa è mutato in capo), sia nelle scelte a
favore del siciliano (galantuomo ‘signore’).
Lezione 089
In Pentolaccia l’impersonalità assume i caratteri di un narratore popolare, Verga non è più il narratore
onnisciente, si annulla per affidare il racconto ad una voce proveniente dallo stesso gruppo sociale a cui
appartengono i protagonisti. Nei Malavoglia, per conseguire l’annullamento dell’autore e della sua
personalità, Verga aderisce ad un parlato che viene dall’interno della situazione narrata e questo annulla la
distanza narrativa fra l’autore-narratore e chi parla.
Individuate nel brano seguente de I Malavoglia gli esempi di ci attualizzante e del che polivalente;
illustrate inoltre altri elementi utili alla caratterizzazione linguistica: "Una sera si fermò nella strada del
Nero Alfio Mosca, col carro, che ci aveva attaccato il mulo adesso, e per questo aveva acchiappato le
febbri alla Bicocca, ed era stato per morire, tanto che aveva la faccia gialla e la pancia grossa come un
otre; ma il mulo era grasso e col pelo lucente. | - Vi rammentate quando sono partito per la Bicocca?
diceva lui, che stavate ancora nella casa del nespolo! Ora ogni cosa è cambiata, ché «il mondo è tondo,
chi nuota e chi va a fondo». - Stavolta non potevano dargli nemmeno un bicchiere di vino, pel ben
tornato."
In questo brano possiamo riscontrare alcuni elementi caratteristici della scrittura del Verga, ad esempio “col
carro, che ci aveva attaccato il mulo adesso” qui ritroviamo il “ci” attualizzante con il verbo avere. Nella
frase “ora ogni cosa è cambiata, ché il mondo è tondo e chi nuota va a fondo” ritroviamo un esempio del
che polivalente usato per qualunque rapporto di subordinazione. Inoltre in questa frase ritroviamo anche
un proverbio che nei Malavoglia sono appositamente ricercati e citati dal Verga.
Lezione 090
Si parla di discorso diretto quando vengono riportate le parole esatte che vengono pronunciate dai
personaggi. Il discorso diretto può essere libero o legato. Il discorso diretto libero è l'introduzione di una
frase senza preannuncio; il discorso diretto legato è preceduto da un verbo dichiarativo come ad es. il verbo
dire. Nel discorso indiretto invece non vengono riportate le parole esatte, ma viene riportato il concetto in
forma indiretta. Il discorso indiretto può essere libero o legato: libero quando manca il verbo dire per
lasciare che sia la voce del narratore a parlare; legato quando è introdotto dal verbo dire o da un sinonimo.
Si parla di discorso diretto quando vengono riportate le parole esatte che vengono pronunciate dai
personaggi. Il discorso diretto può essere libero o legato. Il discorso diretto libero è l'introduzione di una
frase senza preannuncio; il discorso diretto legato è preceduto da un verbo dichiarativo come ad es. il verbo
dire. Nel discorso indiretto invece non vengono riportate le parole esatte, ma viene riportato il concetto in
forma indiretta. Il discorso indiretto può essere libero o legato: libero quando manca il verbo dire per
lasciare che sia la voce del narratore a parlare; legato quando è introdotto dal verbo dire o da un sinonimo.
Il discorso indiretto libero è individuabile mediante rilevatori che possono essere primari, come il processo
di modifica che interessa i tempi (ed eventualmente i modi), l'espressione delle persone grammaticali e di
altri elementi deittici nel passaggio dal discorso diretto all'indiretto, o secondari, come elementi del parlato,
di carattere per lo più idiomatico o enfatico che collaborano al riempimento sintattico o lessicale del
costrutto.
Individuate il discorso indiretto legato e il discorso libero nel seguente passaggio de I Malavoglia (cap.
XV): "La gente diceva che la Lia era andata a stare con don Michele; già i Malavoglia non avevano più
niente da perdere, e don Michele almeno le avrebbe dato il pane".
“La gente diceva che la Lia era andata a stare con don Michele” è un discorso indiretto legato.
“già i Malavoglia non avevano più niente da perdere, e don Michele almeno le avrebbe dato il pane” è un
discorso indiretto libero.
Lezione 091
Verga nei Malavoglia usa spesso il tempo verbale dell'imperfetto perché adatto ad esprimere il discorso
indiretto. Nel passaggio da discordo diretto a discorso indiretto avviene un cambio dei tempi dei verbi,
spesso il presente indicativo si trasforma in imperfetto indicativo. Il discorso indiretto legato è collegato al
verbo introduttore da “che” oppure da “come”, “perché”. Il “che” dichiarativo viene spesso omesso e
sostituito da elementi di interpunzione, ma non sempre questi segni sostituiscono il che dichiarativo,
spesso introducono un discorso indiretto libero segnalato dalla presenza dei deittici “già” ed “ora”
Verga nei Malavoglia, nel passaggio da discordo diretto a discorso indiretto, usa un cambio dei tempi dei
verbi, in particolare il presente indicativo si trasforma in imperfetto indicativo. Esempio: "i denari ce li
abbiamo disse a compar Alfio" si trasforma in "disse a compar Alfio che i denari ce li avevano"
Uso dei tempi verbali nella lingua letteraria verghiana in genere e nei Malavoglia in particolare.
Verga introduce, nel sistema a due tempi del dialetto siciliano, un sistema a tre tempi introducendo
l’imperfetto che spesso ed impropriamente è utilizzato per sostituire il passato remoto. Nei Malavoglia
notiamo che l’imperfetto viene utilizzato proprio per esprimere il discorso indiretto ed infatti proprio nel
passaggio dal discorso diretto al discorso indiretto che Verga sostituisce il presente indicativo con
l’imperfetto indicativo. La frequenza dell’imperfetto, oltre alle ragioni stilistiche, si unisce alle normali
funzioni dell’imperfetto, che attribuisce al verbo il significato di duratività, iteratività ed imperfettività,
rispetto al significato perfettivo di altri passati. L’imperfetto, nella sua indefinita continuità, era certo il
tempo più adatto a rappresentare lo stagnante e desolato ripetersi della quotidianità di Trezza.
Nelle opere veriste Verga applica i principi dell’impersonalità, l’autore scompare o meglio diventa parte dei
personaggi, vede le cose con gli occhi dei protagonisti e li esprime tramite di loro. A raccontare i fatti non
c’è l’autore onnisciente, ma la voce narrante si mimetizza nei personaggi. La lingua diventa dunque quella
parlata dei personaggi, quindi caratterizzata dall’oralità, dalla colloquialità ed ecco che Verga utilizza il
discorso indiretto libero proprio per offrire quella fluidità che è tipica della lingua parlata.
Lezione 094
Dopo i Malavoglia Verga inizia a scrivere gli abbozzi di Mastro Don Gesualdo, ma in questi scritti troviamo
una narrazione monotona, manca del tutto il discorso indiretto libero e il discorso diretto è poco usato, nel
lessico ci sono delle incertezze tipiche della fase giovanile, in particolare della Nedda. Questi 7 abbozzi
rimasti incompiuti costituiscono la testimonianza della crisi che investe il sistema espressivo verghiano
dopo I Malavoglia, che porta l'autore a rinnovarsi attraverso una ricerca durata sette anni dall'82 all'89.
Come già era successo durante il lungo travaglio che aveva accompagnato l’elaborazione de I Malavoglia, il
Verga utilizza il laboratorio della novella per sperimentare un nuovo stile. Abbandonato il mondo dei
pescatori di Aci Trezza, con il Mastro-don Gesualdo Verga entra in un ambiente urbano, socialmente
diversificato e Mastro Don Gesualdo chiede l’elaborazione di una lingua e di uno stile “adeguati” al nuovo
ceto socioculturale borghese. Verga si rende conto che deve tornare ad attingere ad un registro e ad un
livello di lingua più educata e differente dal registro usato per i pescatori de I Malavoglia.
Lezione 095
Manzoni con I Promessi Sposi riuscì a diffondere il nuovo genere del romanzo storico in tutta Italia. Egli
avvertì il problema della lingua scritta che risultava troppo aulica, mentre per un romanzo storico era
necessario adottare una lingua più chiara, semplice che ritrovò nel fiorentino parlato dalle persone dotte.
Questa scelta fu apprezzata dal Verga che però preferì la lingua dei siciliani colti; inoltre a differenza del
Manzoni, Verga prediligeva la variante toscana apparentemente più aulica, ma stilisticamente più allusiva.
Se nei Promessi Sposi prevalgono come congiunzioni finali e causali “per”, “siccome”, in Verga “onde” e
“giacché” si alternano con “per”, “perché” e il dialettaleggiante “come”; ai manzoniani “subito” e “poi”
possono corrispondere “tosto”, “poscia” e “poi”. Così, sul piano lessicale, ai colloquialismi toscani “alzarsi”,
“dire” e “sentire” corrispondono i più formali “levarsi”, “ribattere” e “udire”. Più complessa l’alternanza
prendere / pigliare, risolta da Manzoni a favore del neutro prendere e da Verga a vantaggio di pigliare,
marcato regionalmente sia come siciliano che come settentrionale.
Lezione 096
In Mastro Don Gesualdo l’impersonalità narrativa è raggiunta tramite l’anonimato del narratore il quale
riveste il ruolo di una persona grammaticale: l’utilizzo del “si” impersonale, o in maniera ancora più
evidente, la presenza di un chi indistinto diventano gli emblemi del narratore.
Individuate alcune caratteristiche linguistico-stilistiche del seguente brano del Mastro-don Gesualdo.
In questo brano possiamo evidenziare come il Verga adoperi i tempi verbali in maniera più consapevole ed
equilibrata: il passato remoto è usato per indicare eventi puntuali, mentre l’imperfetto per indicare azioni
che si ripetono nel tempo. Alla sequenza di imperfetti “era”, “ammiccava”, “tagliava”, si contrappone il
verbo al passato remoto “giunse”, questo cambio di tempi segna il passo dalla descrizione alla narrazione.
Illustrate brevemente il contenuto di uno dei volumi a scelta (Daria Motta, La lingua fusa; Fulvio Leone,
La lingua dei Malavoglia rivisitata; Gabriella Alfieri, Giovanni Verga) o, a seconda dell'anno del corso, uno
dei capitoli del volume di Gabriella Alfieri indicati nel programma
La lingua fusa: L’autrice ha indagato sulle scelte linguistiche e stilistico-retoriche delle novelle di Vita dei
campi, fornendo così il primo studio sistematico sulla raccolta, ed evidenzia che le scelte di Verga, per
quanto riguarda la grafia e la fonetica, sono conformi alla prassi scrittoria di fine Ottocento. Sul piano
sintattico Verga riesce ad ottenere i maggiori effetti della sperimentazione dello stile popolare attraverso
l’uso dei moduli del parlato; si pensi ad esempio al ci attualizzante, alle dislocazioni a destra e a sinistra, al
che polivalente. La sintassi è probabilmente, insieme al lessico, il livello linguistico nel quale Verga ha
conseguito le più grandi novità.
Analizzate dal punto di vista linguistico il brano, estratto dal Mastro-don Gesualdo: "Era un correre a
precipizio nel palazzo smantellato; donne che portavano acqua; ragazzi che si rincorrevano
schiamazzando in mezzo a quella confusione, come fosse una festa; curiosi che girandolavano a bocca
aperta, strappando i brandelli di stoffa che pendevano ancora dalle pareti, toccando gli intagli degli
stipiti, vociando per udir l'eco degli stanzoni vuoti, levando il naso in aria ad osservare le dorature degli
stucchi, e i ritratti di famiglia: tutti quei Trao affumicati che sembravano sgranare gli occhi al vedere tanta
marmaglia in casa loro. Un va e vieni che faceva ballare il pavimento".
In questo passo possiamo evidenziare la contrapposizione fra la narrazione degli eventi tramite l’uso del
passato remoto e la descrizione di stati tramite l’imperfetto; questa contrapposizione è particolarmente
evidente quando alla sequenza di imperfetti, che esprimono solo la continuità di una condizione, fa seguito
l’intromissione del dato temporale tramite il passato remoto. Vi sono inoltre periodi nominali nei quali la
principale manca del verbo reggente, sebbene le subordinate relative o implicite siano sostenute dal verbo
alla forma dell’imperfetto o del gerundio.