La sociolinguistica si occupa dei rapporti tra lingua e società e tratta di: - correlazione tra fenomeni linguistici e fattori sociali; - l’influenza che la società ha riguardo sui fatti linguistici e della conseguenza che quest’influenza produce. Nella sociolinguistica si possono trovare approcci diversi, a seconda di come viene trattata questa interazione: La prima distinzione è data dalle impostazioni di studio sociolinguistico che privilegiano la componente sociale e quelle che privilegiano la componente linguistica. La sociolinguistica può essere considerata un settore della linguistica, che si pone come compito quello di descrivere cosa succede alle lingue quando sono immerse nelle comunità sociali che le usano. Labov, uno dei padri fondatori della disciplina, sostiene la posizione che le lingue non esistono “in vitro” (pure, non condizionate da fattori esterni) ma sempre immerse nell’uso di una società e allora la sociolinguistica tende a diventare la linguistica stessa. Afferma anche che la sociolinguistica può essere vista come un settore di confine tra la linguistica e la sociologia. La sociolinguistica è una linguistica che tiene conto dei fatti sociali. La linguistica studia la lingua come sistema, mentre la sociolinguista studia la lingua nei termini dei suoi usi presso una comunità sociale. Il termine sociolinguistica fu usato per la prima volta nel 1952 in un articolo di un letterato e filosofo americano di nome Currie mentre in Italia nel 1968. -sociolinguistica come sottodisciplina delle scienze del linguaggio basato sull’osservazione di come si presentano le cose agli occhi di chi le osserva e perciò si inscrive nell’ambito della linguistica sincronica. Le situazioni del passato non sono perciò adatte ad uno studio sociolinguistico sincronico tuttavia sono stati fatti de tentativi su documenti del passato e testimonianze. È così nata la sociolinguistica storica, che cerca di ricostruire le condizioni sociolinguistiche di un’area in un determinato periodo storico. La sociolinguistica si basa sull’esistenza di alcune opposizioni fondamentali: 1) Saussure, corso di linguistica generale 1916, parla dell’opposizione tra: - linguistica interna che studia le caratteristiche strutturali della lingua, ha come oggetto la lingua come sistema. - linguistica esterna studia tutto ciò che è esterno alla lingua, ma rappresenta il contesto in cui essa vive. (cultura, società, condizioni economico-sociali). La sociolinguistica opera prevalentemente secondo la visuale della linguistica esterna. 2) Opposizione tra: - orientamento formale (o formalismo) grammatica generativa, scuola di Chomsky, concepisce la lingua come strumento che riflette il pensiero e costituisce un sistema autonomo da qualsiasi altra capacità cognitiva dell’uomo. - orientamento funzionale (o funzionalismo) concepisce la lingua come strumento di comunicazione, adatto ai bisogni degli utenti. Per il formalismo, forme e strutture della lingua sono autonome e indipendenti dalla loro funzione mentre per il funzionalismo le forme e le strutture dipendono dalle esigenze d’uso e dai parlanti. Per sua natura, la sociolinguistica condivide la prospettiva funzionalista. 3) Opposizione a cui si dà meno importanza, ma che ha comunque una sua rilevanza: - sociolinguistica in senso stretto che ha come oggetto specifici fatti e produzioni linguistiche (parole, pronunce, enunciati). - sociologia del linguaggio (o delle lingue) che ha come oggetto le lingue e le varietà di lingua nella collocazione che esse hanno presso i parlanti e nelle società. 4) Opposizione tra: - sociolinguistica correlazionale (o correlativa) si occupa delle correlazioni tra lingua e società, che agiscono sui fatti linguistici, assumendo i fattori sociali come variabili indipendenti. La direzionalità va dalla società alla lingua: si studia come la lingua venga influenzata dalla società. - sociolinguistica interpretativa pone l’accento sull’interpretazione di quello che fanno i parlanti che costruiscono valori sociali ed interazioni usando le risorse fornite dal sistema linguistico. La direzionalità va dalla lingua alla società analizzando come la lingua influenzi e determini la società ed i rapporti sociali. Sociolinguistica percezionale = è chiamata così perché assume come punto di partenza la percezione che i parlanti hanno dell’ambiente linguistico in cui vivono. La percezione dei fenomeni di variazione, dei confini fra le varietà linguistiche non sono più un elemento complementare ma diventano l’oggetto primo di analisi. Si profila quindi una linguistica del parlante che assume i parlanti, e non la lingua, come oggetto di indagine. Sociolinguistica cognitiva = affronta i temi e i problemi della variazione sociolinguistica secondo l’ottica della linguistica cognitiva. Si indagano sia il significato sociale dell’attività linguistica, sia il significato con cui le parole si trasmettono e si modificano in relazione alla composizione di una comunità. Questa prospettiva cognitivista è condivisa dalla sociofonetica, una branca di studi molto recente che parte dai lavori di Labov sulla variazione fonetico-fonologico e approfondisce la funzione comunicativa di diverse pronunce al fine di esaminare come la variazione fonetica sia strutturata nella rappresentazione linguistica dei parlanti. Ecolinguistica = integra lo studio dei fatti sociolinguistici nel contesto dell’ecologia, in relazione all’ambiente sociale, culturale e fisico-biologico in cui le lingue nascono, vivono, si sviluppano e muoiono.
1.2 ALCUNE NOZIONI PRELIMINARI.
Lingua = qualunque sistema linguistico esistente, o esistito in passato, presso un certo gruppo di individui parlanti, come manifestazione della facoltà umana del linguaggio verbale. Ogni idioma riconoscibile come distinto da altri, costituisce una lingua (non solo l’italiana, ma anche il piemontese o il ladino). DIALETTO = sistema linguistico sovraordinato ad altri sistemi linguistici presenti nella stessa comunità, destinato ad usi “alti”; è una lingua socialmente “bassa”. COMUNITA’ LINGUISTICA = insieme di parlanti che condividono determinati aspetti relativi alla lingua. Essa è una comunità sociale in quanto condivide caratteristiche linguistiche, i suoi membri hanno in comune e parlano una stessa lingua materna. Una comunità linguistica è caratterizzata dalla partecipazione ad un insieme di norme condivise. Per identificarsi in una comunità linguistica vi sono due famiglie di criteri: 1) criteri esterni oggettivi, oggettivabili (entità socio-geografica, lingua) correnti tra i linguisti. 2) criteri interni soggettivi (atteggiamenti, sentimenti di appartenenza) correnti tra socio-antropologi. La nozione di comunità linguistica è importante perché rappresenta il luogo in cui coesistono e si incontrano diverse lingue o varietà di lingua. REPERTORIO LINGUISTICO = l’insieme delle lingue e delle varietà presso una comunità parlante. Infatti esso costituisce l’insieme delle risorse linguistiche possedute dai membri di una comunità linguistica. Il repertorio linguistico è indipendente rispetto al numero delle lingue, può essere monolingue, bilingue o multilingue. La nozione di repertorio può essere impiegata anche in relazione ad un singolo parlante, si parla di repertorio linguistico individuale ovvero l’insieme delle varietà a disposizione di un parlante il quale deve essere in grado di usarle. Il repertorio linguistico italiano è costituito dalle lingue e della varietà linguistiche usate dai cittadini italiani: l’italiano con le sue varietà, i dialetti italo-romanzi con le loro varietà, le lingue e parlate minoritarie con le loro varietà. In sociolinguistica ricorrono spesso i termini alto e basso, riferiti a varietà di lingua o ad usi della lingua. L’origine di questi termini va ricercato nell’uso che ne fece Ferguson negli anni 50 teorizzando la situazione di diglossia: alta definisce una varietà di lingua sovrapposta alla varietà parlata nativa di un parlante, in quanto spesso appresa in aggiunta a quella bassa; destinata agli usi scritti e formali. Il termine alto si usa per qualificare le varianti e gli usi dotati di prestigio, formali, colti e standard; al contrario il termine basso si usa per qualificare le varianti e gli usi non dotati di prestigio, poco accurati. L’opposizione sociolinguistica alto-basso di carattere graduale poiché usi e varianti si possono collocare su una scala che ha il carattere di un continuum fonico che passa dal polo alto a quello basso. 2 LINGUA E SOCIETÀ. 2.1 LA SOCIETÀ NELLA LINGUA: FATTORI SOCIALI E LINGUA. Il comportamento linguistico è un comportamento sociale, perciò qualsiasi fattore di rilevanza sociale ha riflesso sulla lingua. Questi fattori sono le variabili sociali indipendenti o variabili sociolinguistiche. Sono le unità minime della variazione sociolinguistica, le principali sono: stratificazione sociale; appartenenza ad un gruppo sociale; età e fascia generazionale; sesso; luogo di abitazione e provenienza. Tutte le variabili sociali, insieme ai fattori linguistici, agiscono insieme e condizionano il comportamento linguistico. Nella società del XX secolo e con la comunicazione mediata dal computer, è diventato un fattore di differenze linguistiche anche l’essere utenti del web.
2.1.1 La stratificazione sociale.
Lo strato sociale è il primo dei fattori che vengono presi in considerazione nelle indagini sociolinguistiche. Per stratificazione sociale si intende la suddivisione di una società in classi o strati sociali. La nozione di classe come strato sociale contraddistinto da una particolare situazione socio- economica appare oggi molto difficile da definire poiché la differenziazione tradizionale non ha più valenza assoluta infatti dagli anni 60-70 del secolo c’è stato un rimescolamento della popolazione. Per queste difficoltà, nell’indagine sociolinguistica si prende in considerazione un fattore misurabile o si usa una somma di più fattori. I fattori possono essere suddivisi in: 1) Criteri economici: reddito, occupazione, professione, risorse materiali a disposizione. 2) Criteri educativi: scolarizzazione, grado di istruzione, accesso ai beni culturali. 3) Criteri antropologico-culturali: modelli di comportamento, stili di vita, abitudini di consumo e aspirazioni sociali. Nella ricerca sociolinguistica italiana i criteri più utilizzati sono il grado di istruzione e l’attività svolta. Esempi di ricerche di vario genere: Lo Piparo (1990) in un'indagine sull’uso di italiano e dialetto in Sicilia utilizza per la stratificazione sociale il solo parametro del grado d'istruzione (titolo di studio) distinto in 5 categorie: nessuno, elementare, media, diploma, laurea. Francescato/Solari Francescato (1994) dividono la sfera di attività in due macro classi: attività professionali e non professionali. Altra nozione importante è quella di gruppo sociale, meno problematica di quella di classe sociale, ma spesso generica e vaga. Si tratta di gruppi di individui che non implicano gerarchia (come nella stratificazione), ma rappresentano separazioni in una società. L’appartenenza ad un gruppo sociale presuppone un comune stanziamento territoriale, quindi concrete possibilità di interazione tra individui, condivisione di esperienze, valori e aspettative, oltre che l’esistenza di norme di comportamento. Una società è costituita da una somma di gruppi sociali: da piccoli gruppi ristretti, in cui i rapporti tra i membri sono molto stretti (es. famiglia); a gruppi molto larghi, i cui i rapporti tra i membri sono meno diretti (es. partito politico). L’appartenenza ad un gruppo sociale può essere definita dall’interno e dall’esterno. L’appartenenza ad un gruppo trova come manifestazione simbolica le varianti linguistiche che diventano contrassegno di questa appartenenza ad un determinato gruppo sociale: i socioletti sono per l’appunto le varietà di lingua espressione di un gruppo sociale. Il comportamento linguistico dei parlanti può cambiare a seconda che ci si rivolga a membri interni del gruppo di appartenenza o a persone esterne: in sociolinguistica si parla di modello di comportamento in- group, che si oppone a quello out-group. La varietà usata in-group è detto we-code, in opposizione al they-code (lingua degli altri). Nelle società con forte diversità a base etnica, un fattore rilevante di identità di gruppo è costituito da una comune origine nazionale. Diventa in questi casi importante, come fattore di differenziazione, la variabile “gruppo etnico”, che dà luogo a varietà etniche. Le varietà di una lingua sviluppate da parlanti non nativi di quella lingua vengono designate con il termine di interlingue. Un insieme di interlingue individuali di immigrati di comune origine può essere ritenuta varietà etnica, quando riveli un legame con un determinato gruppo che la utilizza regolarmente e ci si riconosce. Importante è il rapporto tra lingua e gruppo sociale quando la varietà e l’uso di una lingua costituiscono l’espressione diretta di esperienze, attività, contenuti culturali e ideologici e valori tipici di determinati gruppi. Gruppi di individui che condividono un particolare ambiente di vita, attività ed esperienze, persone che vivono insieme (famiglie, coppie..) sviluppano facilmente una serie di particolarità linguistiche, soprattutto lessicali. La relazione della lingua con le caratteristiche sociali di un parlante si unisce con la relazione tra lingua contesti situazionali del suo uso. Gli usi connessi ai gruppi sociali sono caratterizzati anche dal fatto che si manifestano in determinate situazioni comunicative, per parlare o scrivere di determinati argomenti. Ciò è evidente in varietà linguistiche, molto tecniche, possedute dagli addetti ai lavori, le lingue speciali o sottocodici. il caso tipico e più marcato è il gergo, un linguaggio fondato su trasformazioni delle parole di una lingua o di uno o più dialetti, con inserzioni di elementi lessicali esotici o di nuovo conio, usato da chi appartiene a determinati gruppi professionali. altra cosa rispetto ai gerghi è il linguaggio settoriale: un modo d’uso di una lingua, ricco di una terminologia più o meno specifica; usato in ambienti o da categorie sociali particolari.
2.1.2 Fattori demografici.
Un altro dei fattori preso in considerazione è l’età. L’età è una grandezza continua e per renderla utilizzabile occorre stabile delle classi d’età. Una suddivisione molto semplice è quella relativa a tre classi d’età, che corrispondono a tre generazioni (giovani, adulti e anziani). I confini tra queste classi sono difficili da determinare. Le classi di età più giovani (bambini prima della pubertà) vengono prese in considerazione solo in indagini specifiche, trattandosi di soggetti con capacità linguistiche in via di sviluppo. Nelle indagini sociologiche con grandi campioni di intervistati o nei censimenti vengono suddivisi in modo ancor più dettagliato, per es. in classi decennali di età. Spesso si esamina il comportamento simultaneo delle diverse fasce generazionali (tempo apparente); dal punto di vista del comportamento linguistico i giovani sono innovatori mentre gli anziani sono conservatori. Altra nozione rilevante in sociolinguistica è quella di gruppo di pari o peer group, i coetanei che condividono abitudine ed atteggiamenti, partecipano ad attività comuni ed hanno la stessa posizione nella società; di solito questa nozione viene usata in relazione agli adolescenti. In uno studio degli anni Settanta, Labov affermava che lungo il percorso di apprendimento, l’influenza dei compagni di classe è dominante rispetto a quella dei genitori in una larga varietà di circostanze. Dagli anni 90 si sono moltiplicati gli studi aventi come oggetto la lingua dei giovani. Si tratta di una varietà caratterizzata dall’età dei parlanti, dall’appartenenza di questi ad un gruppo sociale specifico e dalla situazione comunicativa in cui viene impiegata (in-group). Molto meno attenzione viene data alla lingua degli anziani, he se non si può considerare di una vera e propria varietà linguistica. Parlante nativo è colui che ha imparato tale lingua come lingua prima, nella socializzazione primaria, dai genitori e dalle persone che lo accudiscono nei primi anni di vita, la sente e la usa come la sua lingua materna. È ritenuto il depositario della competenza linguistica su cui si basa il funzionamento della lingua. Nella sociolinguistica anglosassone la varietà di lingua spontanea, non standardizzata e usata dai parlanti nativi nelle interazioni in-group è detta vernacular. (in italiano vernacolo ha il senso di dialetto marcato proprio di un luogo o una regione). Ai parlanti nativi si contrappongono i parlanti non nativi, che hanno appreso quella lingua come lingua seconda e sono in essa meno competenti dei parlanti nativi. La questione dei parlanti nativi è delicata per l’italiano: in molte indagini di sociologia vengono considerati parlanti nativi di italiano coloro che parlano italiano, cioè italofoni, e provengono da una famiglia italiana; questa situazione è normale solo per le generazioni giovani, diffusasi in concomitanza con la regressione del dialetto. Fino agli anni 60 era infatti frequente che la lingua vernacolare, impiegata nella socializzazione primaria, fosse uno dei dialetti italiani. Un altro fattore demografico che costituisce una delle variabili sociali indipendenti è il sesso del parlante. Il rapporto tra lingua e genere è un tema molto studiato, soprattutto legato a motivi politico-culturali (ineguaglianza fra sessi, discriminazione delle donne, sessismo nella lingua), anche se non sembra esistano varietà di lingua maschili e femminili. Non è quindi il genere della persona a modificare le sue scelte linguistiche ma altre variabili. Le donne risultano più sensibili degli uomini al modello di prestigio, caratteristica che è stata chiamata stereotipo di genere, esse tendono ad usare più degli uomini varianti alte e meno degli uomini varianti basse. Le differenze di genere sembrano più nette per i presupposti pragmatici su cui si basano gli stili conversazionali: la tendenza delle donne ad adottare un modello di interazione verbale, basato sulla politeness (cortesia), sull’espressione dell’emozioni e dei sentimenti; la tendenza degli uomini verso un modello incentrato sulla comunicazione direttiva e pratica. Questa differenziazione causa facilmente dei fraintendimenti. Si determina così il gender paradox. Spesso rilevanti per il comportamento linguistico sono anche il luogo di nascita e quello di residenza e abitazione, più in generale la collocazione spaziale dei parlanti nel territorio. La lingua riflette le provenienze regionali, ma anche il risiedere in grandi città o piccoli centri o in campagna può influenzare le scelte linguistiche. Proprio su queste variabili si basa la sociolinguistica urbana: nata negli anni 90, è un settore della sociolinguistica che pone al centro dell’interesse relazioni e comportamenti linguistici che si instaurano nelle città. Punto linguistico= unità minima socio-geograficamente rilevante dal punto di vista della geografia linguistica e della sociolinguistica. Lo spazio rappresenta un fattore tra i più rilevanti per la linguistica esterna ma non più considerato come fattore indipendente dal parlante bensì considerato nei termini di spazio linguistico. Il luogo assume quindi una duplice natura, spazio fisico e spazio vissuto con un significato simbolico: un contesto sociale costruito attraverso le esperienze e gli orientamenti della gente. Mobilità sociale e geografica hanno conseguenze molto rilevanti sul comportamento linguistico e sulle risorse linguistiche di un parlante, il caso importante è quello della migrazione. La migrazione porta ad un aumento della complessità del repertorio linguistico: la lingua materna dei migranti subisce una riduzione, a volte drastica, con una ristrutturazione del repertorio legata all’adozione almeno minimale della lingua veicolare della comunità d’arrivo. L’uso sempre più limitato della lingua materna, porta a fenomeni di decadimento della lingua, prima sotto forma di language attrition (attrito linguistico) che consiste nella riduzione della competenza e nella semplificazione delle strutture ed in seguito sotto forma di language loss (perdita di lingua). Nella seconda generazione la compresenza della lingua d’origine e della lingua della comunità ospite porta a forme di bilinguismo; può anche manifestarsi un rapporto particolare con la lingua materna dei genitori, non acquisita nella socializzazione primaria, ma imparata in seguito come heritage language (lingua ereditaria). Con questo termine vengono designate non solo le lingue di origine degli immigrati, ma anche le lingue parlate da individui, che sono diverse dalla lingua dominante. Nella sociolinguistica dell’immigrazione e più in generale del plurilinguismo, è oggetto di studio il problema dell’identità culturale ed etnica. Fenomeno del language crossing (sconfinamento linguistico) ossia l’impiego occasionale da parte di un parlante di una varietà di lingua “altra” non facente parte del suo repertorio. Il fenomeno è frequente in Italia, nel linguaggio giovanile. Un altro concetto che ha origine dalla coesistenza di tanti modelli diversi è la superdiversità: con questo termine si intende cogliere l’enorme ammontare di diversità socio-culturali e linguistiche che si ha oggi in molti ambiti urbani e che dà luogo a innovazioni e mutazioni. È stato recentemente coniato il termine polylanguaging per descrivere un comportamento polilingue, per indicare l’uso nel discorso di forme provenienti da più lingue diverse anche quando non si ha padronanza di queste lingue. In Italia dopo l’unità, hanno avuto un peso consistente sia i fenomeni emigratori che quelli immigratori. Dalla fine dell’800 alla metà del 900, milioni di Italiani hanno lasciato il paese per cercare il lavoro in paesi europei e oltreoceano. Ciò per la sociolinguistica italiana ha assunto una significativa rilevanza prima le migrazioni interne dal sud verso il triangolo industriale Torino-Milano- Genova ed in seguito le migrazioni esterne verso i vari paesi extracomunitari.
2.1.3 Fattori situazionali.
Un diverso gruppo di fattori che incide sul comportamento linguistico è dato dall’intorno contestuale in cui si attua la comunicazione linguistica. Ogni elemento che costituisce l’intorno di una situazione comunicativa influenza l’uso della varietà di lingua. Fattori situazionali: occasione – scena e ambiente – partecipanti – scopi – argomenti – canali e strumenti di comunicazione – regole di interazione. Importante è il fattore degli interlocutori, che sono la fonte di fenomeni di accomodamento, un processo mediante il quale i partecipanti ad un’interazione verbale adattano vari aspetti della loro produzione linguistica (pronuncia, lessico, etc.) modificandola sotto l’influenza del modo di parlare degli interlocutori. Questo comportamento si manifesta come: - convergenza = tentativo di adeguarsi allo stile verbale dell’interlocutore. - divergenza = quando un parlante per esprimere diversità accentua i tratti che differenziano la propria varietà o il proprio stile verbale rispetto a quelli dell’interlocutore. I fattori che costituiscono una situazione comunicativa si possono ricondurre a 3 categorie: 1. Campo = rappresentato dal genere di attività svolta nella situazione e dall’insieme dell’esperienze in essa compresi. 2. Tenore = costituito dai ruoli sociale e comunicativi messi in atto dai partecipanti (determina il modo in cui gli interlocutori si rivolgono l’uno all’altro). 3. Modo = mezzo o canale fisico attraverso cui si svolge la comunicazione e genere di contatto interazionale che si attua (differenza cruciale parlato/scritto). Il contesto situazionale richiede l’uso di concetti che si riferiscono a delle situazioni aventi tratti essenziali in comune (luogo dell’evento, sfera degli argomenti, relazioni tra i partecipanti). In sociolinguistica per cogliere classi omogenee di situazioni si utilizza il dominio: insieme di situazioni sociali riferita ad una stessa sfera di esperienza e attività con la presenza comune di determinati ruoli, scopi e norme, che organizzano un ambito specifico della vita sociale degli individui (es. di dominio: famiglia, scuola, lavoro, etc.). Oggi molto importante come dominio è la comunicazione online. La diffusione della comunicazione mediata dal computer (CMC) ha portato ad una serie di usi della lingua che si attuano nelle modalità di interazione spontanea tra gli utenti. La lingua digitata nelle chat, nei blog e nei social network presenta i caratteri di un parlato non sorvegliato in forma scritta: si parla di un Netspeak, una varietà di lingua tipica della comunicazione nel web.
2.2 CONCETTI A MATRICE SOCIALE IMPORTANTI IN SOCIOLINGUISTICA.
Per l’interpretazione dei fatti sociolinguistici occorre introdurre alcuni concetti: -prestigio = in generale questo termine intende una valutazione sociale positiva attribuita ad un oggetto, fenomeno, fatto sociale; esso dipende dalla valutazione di tratti personali o sociali, che i membri di una comunità ritengono desiderabili e meritevoli di imitazione (in termini di successo, ricchezza, immagine). -stigma = contrario di prestigio; designa la sanzione sociale negativa, la non accettazione sociale di un oggetto. In sociolinguistica si parla di prestigio come valore di una lingua per l’avanzamento sociale: prestigio linguistico hanno le varietà di lingua il cui possesso è necessario per l’ascesa sociale. Il prestigio di una lingua è una nozione che comprende vari fattori: 1. Atteggiamenti linguistici favorevoli dei parlanti. 2. Valore di simbolo dei valori della comunità. 3. Veicolo di ampia tradizione letteraria. 4. Viene parlata dai gruppi sociali dominanti. Questi fattori determinano una scala di prestigio, che va da varietà alte a varietà basse. La varietà linguistica di più alto prestigio in una società è la varietà standard. Rete sociale (social network) = è diventata importante nell’ultimo quarto di secolo; essa è la rete costituita dall’insieme dei legami che vi sono tra una persona di riferimento e tutte le persone con cui questa si trova ad avere rapporti (frequenti o occasionali). Le proprietà strutturali di una rete sociale sono: 1. Densità: quantità di legami diretti effettivi in rapporto alla quantità totale di legami diretti possibili; più il valore è vicino ad 1, più la rete è densa. 2. Molteplicità: quantità di legami multipli in rapporto alla quantità totale di legami; più il valore è vicino ad 1, più la rete è molteplice. Una zona di rete con legami più fitti tra i membri è detta cluster (grappolo). Una rete ha una struttura a cipolla costituita da celle concentriche: - cella centrale, più interna (parenti stretti amici intimi, rapporti intensi). - cella confidenziale (cerchia di amici). - cella utilitaristica (rapporti con persone per ragioni pratiche). - cella nominale (persone che si conoscono ma non hanno importanza affettiva). - cella allargata, più esterna (persone che si conoscono solo parzialmente, rapporti superficiali). La nozione di rete sociale è connessa con quella di comunità linguistica: quest’ultima può essere considerata una somma di tante reti sociali. Inoltre da essa va tenuta distinta la nozione di comunità di pratica: si intende un gruppo di individui che si trovano a svolgere un’attività con un determinato scopo, possono condividere un mestiere o un’occupazione o semplicemente partecipano insieme per raggiungere un obbiettivo. Questa nozione viene utilizzata in sociolinguistica per osservare comportamenti e abitudini linguistiche, che vengono condivise. Identità: ogni realizzazione del comportamento linguistico di un parlante può essere considerato un atto di identità, con il quale il parlante si riconosce come appartenente ad un determinato gruppo. Ogni individuo crea i modelli del proprio comportamento linguistico in modo da somigliare ai membri del gruppo con il quale intende essere identificato, in modo da diversificarsi da quelli dei gruppi che sente come distinti. L’identità è un concetto criticato dagli antropologi culturali, perché tendono a vederla come una forma di discriminazione verso il diverso e l’altro; ma in realtà è innegabile che l’identità sia fondamentale per la costruzione della personalità degli individui.
2.3 LA LINGUA NELLA SOCIETÀ.
Finora abbiamo considerato i rapporti fra lingua e società dalla prospettiva della presenza della società per spiegare e condizionare usi e comportamenti linguistici. È importante analizzare anche la prospettiva opposta che vede gli usi e i comportamenti linguistici come creatori di struttura sociale e di rapporti sociali: le lingue sarebbero il modo in cui i parlanti agiscono sulla società e costruiscono la propria identità. L’identità sociale è un costrutto mediatore tra struttura sociale e linguaggio verbale. Un atto di identità di appartenenza ad un gruppo si manifesta attraverso le scelte di variabili sociolinguistiche che danno luogo a stili sociali di uso della lingua o stili verbali. Il concetto di stile viene inteso come un insieme di preferenze e scelte nella gamma delle risorse linguistiche a disposizione nello spazio linguistico individuale ed ha assunto grande importanza nella sociolinguistica interpretativa. Il concetto di stile viene contrapposto a quello di varietà, attraverso lo stile il parlante costruisce una struttura sociale, quindi lo stile è affermazione e costruzione di identità. Nel teorizzare come si può determinare l’identità sociale si possono contrapporre due condizioni: - prima prospettiva, essenzialismo: secondo questa posizione esiste una struttura sociale che agisce sulla lingua fornendo l’etichetta dell’identità; le categorie della struttura sociale esistono di per sé, indipendentemente dai parlanti e dal loro lavoro di costruzione di identità. - seconda prospettiva, costruttivismo: secondo questa posizione la struttura sociale è creata e mantenuta dalla lingua; tutti gli atti linguistici compiuti costruiscono essi stessi l’identità. Il paradigma costruttivista, anti essenzialista, sfocia nel decostruzionismo; arriva a negare, in una prospettiva decostruzionista, ogni validità ai concetti classici della sociolinguistica: - le lingue tradizionalmente riconosciute (italiano, inglese….) sarebbero artefatti socioculturali condizionati dall’ideologia che li ha prodotti e corrispondono assai poco a ciò che avviene nella vita reale; il concetto di comunità linguistica sarebbe privo di realtà oggettiva, in quanto creato e ricreato dalle scelte del parlante. La lingua dà forma ad atteggiamenti e comportamenti sociali. È un essenziale strumento di azione politica: è ovvia l’importanza del linguaggio verbale per la propaganda, la persuasione e l’ottenimento del consenso. Riguardo al far politica con la lingua, ci sono 2 dimensioni importanti: -politically correct -linguistica femminista. Entrambe le questioni si fondando sulla consapevolezza che la lingua sia un potente veicolo di svantaggi e discriminazioni sociali basati su pregiudizi circa gli aspetti fondamentali della vita degli individui in una società, che possono concernere aspetti razziali, etnici, religiosi o relativi al sesso, all’età, a disabilità di varianatura, ecc. Vengono dunque criticati tutti gli impieghi della lingua che danno forma a tali discriminazioni, comportando uno svantaggio sociale delle persone che diventano oggetto di caratterizzazioni negative. Ad aggravare la situazione è il fatto che l’impiego di certi termini crei una realtà sociale conformata secondo quei termini. La questione è legata anche ai tabù: in ogni cultura e società esistono degli argomenti più o meno tabuizzati, cioè soggetti ad una forma di censura che vieta o rende socialmente poco accettato il parlarne in termini diretti. Nel campo delle relazioni tra lingua e sesso dei parlanti, è nata una linguistica femminista, volta a criticare la presenza del sessismo, o maschilismo, nella lingua. In numerosi lavori è stato analizzato il pregiudizio androcentrico, vale a dire una forma di discriminazione per cui l’impiego del genere grammaticale maschile designi sia uomini che donne o di altre categorizzazioni grammaticali che privilegiano il maschile; si manifesta attraverso un lessico che esprime distinzioni relative allo stato sociale per le donne ma non per gli uomini (es: signora e signorina) o che prevede l’uso di appellativi e nomi di professioni al maschile per rivolgersi anche alle donne (es: sindaco, ministro, avvocato, medico..). Per ovviare a tale disparità è stato proposto di intervenire anche sulla struttura della lingua: alcune proposte hanno avuto successo, trovando anche frequente applicazione, altre invece sono apparse poco congrue. La lingua ha una presenza pervasiva in tutti gli aspetti della cultura e con essa vengono gestite tutte le azioni sociali. Vi sono dei campi dove l’utilizzo della lingua apporti un contributo specifico alla risoluzione dei problemi e al miglioramento della vita dei cittadini. È il caso delle lingue segnate o lingue dei segni, vale a dire sistemi di comunicazione dotati di tutte le proprietà strutturali di una lingua ma aventi come canale di trasmissione del significante non il mezzo fonico-acustico bensì il mezzo spaziale-visivo, adottati dalle persone prive di udito. Lingue del genere si sono sviluppate in molti paesi, tra queste vi è anche la LIS (Lingua italiana dei segni), usata da molti non udenti e anche molti udenti per la comunicazione con non udenti. La lingua dei segni permette di formulare messaggi sotto forma di sequenze di segni di natura gestuale, prodotti mediante l’utilizzo della parte superiore del corpo, delle mani e del viso. Il ruolo della lingua è centrale nell’educazione; a proposito di ciò Bernstein, negli anni ’70, ha parlato di due modi opposti di usare la lingua che riflettono la diversità fra due forme di relazioni sociali: -Codice elaborato: basato su una collocazione personale dell’individuo nella società e propria del ceto medio. -Codice ristretto: basato su una collocazione posizionale dell’individuo nella società e propria del ceto basso. La lingua ha nella società anche un enorme valore economico e commerciale. Negli anni ’80 era spesso usato il concetto di mercato linguistico, introdotto da Bourdieu, basato sull’equiparazione delle situazioni linguistiche ad un mercato, in cui avvengono scambi di merci e valori e in cui ogni individuo ha un suo capitale linguistico. Le diverse varietà, le varietà alte e basse costituiscono il capitale con il quale ogni parlante interviene sul mercato linguistico. Il valore della varietà standard sarebbe sicuramente più alto di quella sub-standard. Il mercato linguistico, con le sue regole tarate dall’élite dominante, sarebbe quindi un importante ostacolo alla mobilità sociale. Molto importante è anche l’uso della lingua nella pubblicità, con i complessi meccanismi con cui la lingua viene utilizzata come strumento di induzione al consumo di merci e servizi. Si è sviluppato su temi del genere un settore di ricerca interdisciplinare tra sociolinguistica e scienze economiche, l’economia delle lingue. Lingua ed economia sono in rapporti molto stretti, ma la lingua ha sempre una parte inosservata e automatica; nella vita economica come in molti altri settori della vita, tutte le fasi essenziali della vita economica si svolgono in un determinato contesto linguistico e l’attività linguistica è un componente diretto del loro svolgersi. La lingua costituisce un valore, una risorsa misurabile economicamente. Esiste quindi un valore commerciale delle competenze linguistiche che in determinati contesti può portare a differenze salariali. Anche l’uso delle lingue nelle imprese è diventato oggetto di attenzione da parte della sociolinguistica, in particolare ai problemi del multilinguismo. In questo settore, la situazione italiana per quanto riguarda l’uso delle lingue estere appare più arretrata. Il valore economico delle lingue riporta al grande problema dell’egemonia mondiale dell’inglese. La diffusione e la predominanza dell’inglese in tutte le attività economiche, tecnologiche, comunicative e nei rapporti internazionali ha portato ad una situazione straordinaria, mai verificatasi in nessun’altra epoca storica, con una lingua che conta un numero di parlanti non nativi ben più alto di quello dei parlanti nativi, oltre ad essere la lingua di default utilizzata nei rapporti internazionali. Di fronte al predominio dell’inglese, tutte le altre lingue, anche le più grandi, cominciano a diventare lingue meno sviluppate; inoltre molte piccole lingue, con pochi o pochissimi parlanti, stanno scomparendo. La possibile morte di tante lingue mette a repentaglio il mantenimento della diversità culturale e non stupisce come la questione dei diritti linguistici sia diventata centrale negli ultimi tempi. Questi racchiudono, fra tanti, il diritto di singoli individui o di una collettività ad usare la propria lingua materna, anche nel caso si tratti di una lingua minoritaria, diversa da quella ufficiale. Su questo tema ricordiamo la “Dichiarazione universale sui diritti linguistici” del 1996 formulata a Barcellona. Rientrano nel discorso sui diritti linguistici anche i tentativi di aggiornamento e semplificazione del linguaggio burocratico e amministrativo, per migliorare l’accessibilità e la fruibilità dei testi burocratici da parte dei cittadini, tentativi volti ad eliminare le discriminazioni a base linguistica di cui si è parlato in precedenza.
3 SOCIOLOGIA DELLE LINGUE.
3.1 STATUS E FUNZIONE DI UNA LINGUA. Una delle questioni centrali da affrontare, quando si adotta il punto di vista della sociologia delle lingue, è indagare la ‘posizione sociale’ delle lingue all’interno di una comunità attraverso i concetti di status e funzione. Lo status è definito dagli usi a cui una lingua può eseguire in una certa comunità. Si intende ciò che con questa si può fare. La funzione, invece, dagli usi che questa effettivamente compie. Cioè che con essa davvero si fa, sul piano legale, culturale, economico, politico, sociale, in una data comunità. Lo status e la funzione di una lingua sono evidentemente in correlazione con il prestigio che questa gode. Per poter svolgere una certa funzione, e dunque aver un certo status, una lingua deve possedere determinate caratteristiche, dette attributi. Gli attributi consentono di individuare tipi funzionali di lingua. Un tipo di funzionale è identificato in base al genere di usi a cui una lingua è destinata in una comunità, e dunque in base allo status che le è riconosciuto. Gli attributi che concorrono a definire lo status di una lingua sono riconducibili a fattori di carattere geo-politico, socio-demografico e linguistico. I fattori geopolitici hanno a che fare con: a) la diffusione geo-grafica: possiamo definire un primo tipo funzionale in base alla diffusione geografica di una lingua. È detta lingua pluricentrica una lingua che sia lingua nazionale in più paesi e che in questi abbia sviluppato varietà standard in parti diverse le une dalle altre. Si può fare distinzione tra endonormatività ed esonormatività: più una lingua è endonormativa più è autonoma nella definizione della norma, più una lingua è esonormativa più dipende da modelli normativi esterni. Una lingua pluricentrica è il tedesco, che è lingua nazionale in Germania, Austria e Svizzera e che ha una varietà standard con proprie peculiarità i ciascuno di questi paesi; altri esempi sono l’inglese, il francese, lo spagnolo, il portoghese, il coreano, il cinese, l’arabo, il tamil. Tra le cause della formazione delle lingue pluricentriche si possono citare l’immigrazione, la colonizzazione, la ridefinizione dei confini e la divisione politica. b) i sistemi sociali e le istituzioni di riferimento: con lingua di lavoro si indica una lingua usata in ambito ufficiale presso un dato ente o una data organizzazione internazionale. L‘ONU, ad esempio, ha come lingue di lavoro l’arabo, il cinese, l’inglese, il francese, il russo e lo spagnolo, l’Unione Europea ne ha in teoria 24, tutte le lingue nazionali ufficiali de paesi membri, ma le lingue di lavoro effettivamente usate sono solo tre: inglese, francese, tedesco. Si definisce invece lingua internazionale una lingua adibita alla comunicazione fra stati o istituzioni internazionali; la lingua internazionale per eccellenza è oggi l’inglese. Con l’importante nozione di lingua nazionale si intende una lingua che sia di espressione del senso di appartenenza e di identificazione nazionale ed etnica. In base allo statuto giuridico e legale di una lingua si può distinguere fra lingue riconosciute legislativamente e non. Fra le prime è rilevante la nozione di lingua ufficiale, la lingua dell’amministrazione statale, la lingua adibita agli usi governativi, alle comunicazioni istituzionali e al rapporto fra amministrazione e cittadini all’interno dei confini di uno stato. Una stessa lingua è spesso sia lingua nazionale sia lingua ufficiale; è così, ad esempio, per il finlandese e lo svedese in Finlandia e per le quattro lingue della Confederazione elvetica, come per l’italiano in Italia, il francese in Francia, il tedesco in Germania, eccetera può accadere tuttavia che in uno stato ci siano più lingue ufficiali ma soltanto una di queste sia lingua nazionale, come nel caso del Lussemburgo o di Malta. Si parla anche di lingue ufficiali regionali, intendendo con questo termine quelle lingue che siano lingue ufficiali soltanto in alcune regioni o in alcuni territori di uno stato (basco in Spagna). Rispetto al numero relativo di parlanti, è importante il concetto di lingua minoritaria: una lingua usata dalla comunità di parlanti che si trovi in situazione di motivazione di minoranza demografica all’interno di uno stato, generalmente diversa dalla lingua ufficiale e/o comune di quello stato. In Europa se ne contano 84.In base al numero assoluto di parlanti, può avvenire un’ennesima distinzione fra lingue grandi, medie, medio-piccole e piccole. Quanto al tipo di parlanti, il parametro principale è lo status di nativo o non. In base a ciò è importante il concetto di lingua vernacolare si intende una lingua che sia parlata in un paese da gruppi di parlanti nativi. A differenza della prima citata, una lingua franca è uno strumento di comunicazione tra parlanti nativi di lingue diverse, una lingua usata per la comunicazione tra parlanti con lingue materne diverse. Abbiamo visto che una lingua può essere utilizzata in tutti i domini oppure conoscere impieghi diversi in base a diverse situazioni. In una comunità plurilingue, le lingue compresenti saranno usate a seconda dei domini attribuendogli un particolare status. c) lo status giuridico e legale di una lingua: un altro gruppo di attributi è riconducibile a fattori di carattere linguistico: -grado di elaborazione: Il primo fattore rimanda al concetto di lingua per elaborazione, col quale si intende una lingua dotata di un consolidato sistema di scrittura, in grado di soddisfare tutte le esigenze di una società legate ad attività sociali, culturali, scientifiche e tecnologiche. Kloss individuò diversi gradi progressivi di elaborazione sulla combinazione fra livello educativo e genere degli argomenti dei testi: l’essere usata per produrre testi di scuola elementare su temi attinenti a storia e tradizione locale rappresenta la condizione minima sufficiente per raggiungere il primo grado di elaborazione. Un altro requisito necessario è la grafia, un aspetto oggettivo molto importante per lo status di una lingua specialmente un importante sociale simbolica, di veicolo di identità e anche di discriminazione nei confronti degli ‘altri’. Raggiungono il grado massimo di elaborazione quelle lingue in grado di produrre testi di qualsiasi argomento ed indirizzabili a qualsiasi livello educativo. Hanno un grado di elaborazione basso le lingue codificate di recente; al contrario raggiungono il livello massimo le lingue completamente sviluppate. -grado di standardizzazione: il processo di standardizzazione di una lingua venne definito da Haugen in 4 fasi, la prima dove si opera la scelta della o delle varietà alla base di quello che sarà poi lo standard, la seconda di codificazione in cui avviene la fissazione delle regole normative, la terza dedicata alla diffusione ed accettazione in una comunità, la quarta ed ultima dove si sviluppano funzioni e domini nella norma. Il processo di standardizzazione può essere contrassegnato da una ridefinizione periodica di ciò che è standard e di ciò che non lo è. -vitalità di una lingua: un altro fattore linguistico da considerare è la vitalità di una lingua. La nozione di vitalità va intesa in due sensi: 1) vitalità esterna (sociolinguistica) si fonda principalmente sugli usi di una lingua nella società e sulla continuità della sua trasmissione da una generazione all’altra. 2) vitalità interna (linguistica) riguarda il mantenimento delle caratteristiche strutturali e semantico- lessicali di una lingua e la produttività delle sue regole, anche in termini della capacità di reagire all’influenza di lingue socialmente e culturalmente dominanti. L’essere vitale rappresenta per una lingua la condizione inversa dell’essere minacciata (endangered); una lingua minacciata è una lingua che perde progressivamente domini di impiego e parlanti, e che quindi corre il rischio di estinguersi. 3.2 LINGUA STANDARD, DIALETTI, LINGUA MINORITARIA. Una lingua standard è una lingua che ha una varietà standard, dove con varietà standard si intende una varietà di lingua che dispone di una norma esplicitamente codificata e che vale come modello di riferimento riconosciuto per l’uso corretto della lingua. La varietà standard di una lingua ha infatti anche un importante valore simbolico, di identificazione unitaria; risponde cioè all’esigenza di unitarietà di una comunità linguistica. La varietà standard di una lingua unifica la popolazione che si riconosce nell’uso di quella lingua. Il concetto di standard può essere assunto in prospettiva prescrittiva o descrittiva: -prescrittiva: è concepito come l’insieme delle norme di riferimento che regolano l’uso corretto di una lingua. -descrittiva: è inteso come un insieme di tratti linguistici unitari, condivisi da un’intera comunità, diffusi senza differenze geografiche, di collocazione, di identità sociale. Alcuni attributi consentono di definire la nozione di standard, tendono conto delle sue proprietà principali: -codificato: è definito dall’esistenza di un corpo riconosciuto di regole normative di riferimento, sul quale si basano le prescrizioni relative all’uso corretto di una lingua. Le regole sono fissate in grammatiche e dizionari. -sovraregionale: le norme che costituiscono lo standard sono unitarie e perciò diffuse in maniera indifferenziata in tutto il territorio, generalmente nazionale, in cui è collocata la comunità parlante. -Elaborato: adatto a tutti gli usi e i domini di impiego di una lingua, lessicalmente e strutturalmente più complesso del sub-standard. -di prestigio: l’uso della varietà standard è praticato e sostenuto principalmente dai ceti sociali alti e con un grado elevato di istruzione. -invariante: lo standard è uniforme, non prevede la scelta di regole diverse da quelle codificate normativamente, non conosce variazione interna. -stabile e al tempo stesso flessibile: fissato stabilmente in sincronia ma può essere soggetto a cambiamenti in diacronia. -scritto: lo standard esiste in forma scritta e presenta tutti i caratteri strutturali di un tipico testo scritto. Tuttavia nella formazione di uno standard, la discriminante per eccellenza è il processo di codificazione all’interno del quale intervengono più agenti: le principali forze sociali attive nel determinare cosa sia standard sono i parlanti e gli scriventi professionisti, i codici linguistici (grammatiche e dizionari), le autorità normative. Esercitano un ruolo indiretto e limitato i parlanti comuni. Alla nozione di lingua standard si oppone quella di dialetto. Un dialetto è un sistema linguistico subordinato a una lingua standard con la quale è strettamente imparentato, e in confronto alla quale ha una diffusione areale più limitata; un dialetto ha poi una propria storia e una propria struttura. Ad esempio, i dialetti italiani o meglio italo-romanzi, sono subordinati all’italiano, nel senso che i primi coprono gli usi ‘bassi’, proprio di situazioni socialmente non impegnative, mentre il secondo assolve gli usi ‘alti’, tipici di situazioni formati e pubbliche. Questi dialetti dell’italiano Coseriu li definisce varietà sorelle, dialetti primari. I dialetti italo-romanzi hanno infatti una propria storia autonoma, parallela a quella del ‘dialetto’ che poi è stato promosso standard. Il fiorentino venne progressivamente a acquisire prestigio fino a ad essere codificato come italiano standard nel Cinquecento; la promozione del fiorentino a lingua standard relegò gli altri volgari a ‘dialetti’. I vari dialetti parlanti oggi rappresentano quindi ciascuno la prosecuzione di un volgare romanzo coevo del fiorentino, che è il volgare alla base dell’italiano standard. I dialetti italo-romanzi hanno una certa distanza strutturale dall’italiano, non solo nel lessico e nella fonetica ma anche nella morfologia e sintassi. A questo proposito è interessante inserire il concetto di lingua per distanziazione. Con questo termine ci si riferisce a una lingua riconosciuta come lingua a sé in virtù delle proprie caratteristiche strutturali, che a tutti i livelli d’analisi la contraddistinguono e la differenziano da altre lingue. La distanza linguistica è difficile da quantificare e bisogna tener conto di criteri sociologici e linguistici come il grado di reciproca comprensibilità e la coscienza linguistica dei membri delle comunità. La nozione di lingua per distanziazione può opporsi a quella di lingua per elaborazione, permettendo così di ricondurre tutte le lingue storico-naturali esistenti ad almeno tre tipi di casi: -lingue sia per distanziazione sia per elaborazione: lingue a sé stanti che si differenziano da altre lingue per la propria struttura intera, in grado d soddisfare tutti i bisogni di una società. -lingue per distanziazione ma non per elaborazione: è il caso delle migliaia di piccole lingue indigene parlante in Africa, Asia e Oceania che non hanno una forma e un uso scritti. -lingue per elaborazione ma non per distanziazione: lo slovacco e il ceco, il serbo e il croato, che non si distinguono reciprocamente in virtù di caratteristiche strutturali ma che, per ragioni culturali e storico- politiche, hanno sviluppato un certo grado di elaborazione e un proprio standard autonomamente l’una dall’altra. In virtù di quanto si diceva prima, un dialetto può essere considerato un sistema linguistico con un sufficiente grado di distanziazione ma con un grado minimo di elaborazione rispetto alla lingua standard. Un dialetto conosce variazione interna, ovvero presenta fenomeni di alternanza tra forme diverse equivalenti; è dunque articolato al suo interno in varietà. Può accadere che, per ragioni culturali, letterarie, storico-politiche o economiche, un dialetto venga progressivamente ad acquisire prestigio, quindi a guadagnare status, e così ad estendere e stabilizzare le proprie funzioni agli usi ‘alti’; fino ad essere codificato come standard. A quel punto però il dialetto diventa esso stesso una lingua standard: o tout court, una lingua. Le differenze tra dialetto e lingua riguardano la posizione sociale che un sistema linguistico occupa in una data comunità, e non la struttura di quel sistema linguistico (sono perciò di natura sociolinguistica e non linguistica). Esiste una distinzione tra dialetti primari e dialetti secondari o terziari di Coseriu: - dialetti primari: idiomi coevi del dialetto dal quale si è sviluppata la lingua standard. - dialetti secondari e terziari: varietà geografiche di una lingua, risulti dalla differenziazione areale di questa dopo la sua diffusione; più precisamente, i dialetti secondari risultano dalla diffusione di una lingua comune, i dialetti terziari dalla diffusione di una lingua standard. La distinzione tra dialetti secondari e terziari è tuttavia problematica, dal momento che l’essere lingua comune è un attributo che generalmente caratterizza una lingua standard. Modello di diaglossia di Auer Al vertice del cono troviamo lo standard, che è unitario e destinati agli sui ‘alti’, e alla base i dialetti, proprio degli usi ‘bassi, ciascuno dei quali identificabile con un punto dell’area della base. La freccia alla base del cono, rivolta verso l’alto, illustra come i dialetti tenendo a svilupparsi linguisticamente in direzione della lingua standard: un processo di convergenza ‘verticale’, ossia tra una lingua sovraordinata e una lingua subordinata. Questo processo ha tra i propri esiti la formazione di un continuum di varietà interne denominate regioletti che rappresentano le varietà socio-geografiche della lingua standard. Per convergenza si intende la riduzione delle differenze strutturali tra due sistemi linguistici, o tra le grammatiche di due varietà di lingua. Nella convergenza però l’avvicinamento è reciproco mentre in questo caso il movimento è unilaterale. Si parlerà perciò di advergenza, ovvero il caso in cui uno dei due sistemi linguistici rappresenta il modello verso il quale l’altro sistema si orienta (es. dialetti a contatto con l’italiano). Lo standard tende verso il basso, mostrandosi ricettivo nei confronti delle varietà regionale infatti la diaglossia prevede la formazione di standard regionali: l’uso di alcuni tratti regionali tende ad essere accettato anche negli usi alti. Lingua standard e dialetti possono poi entrare in contatto con lingue minoritarie, data la presenza in un territorio delle cosiddette minoranze linguistiche, ovvero coloro che parlano una lingua minoritaria. Le lingue minoritarie si distinguono dalle lingue di immigrazione, perché le prime si riferiscono a lingue la cui presenza sul territorio è radicata storicamente, mentre le seconde quelle la cui presenza è dovuta ad un apporto immigratorio recente. In Italia esistono varie lingue minoritarie, riconosciute ufficialmente (tramite una legge che ne regola la tutela) come il tedesco in Alto Adige, il francese in Valle d’Aosta e lo sloveno in provincia di Gorizia e Trieste. Un altro fenomeno interessante è quello delle eteroglossie interne ovvero quei dialetti-romanzi parlati in aree geografiche nelle quali il dialetto di riferimento parlato nelle aree circostanti è storicamente un altro. Per le lingue minoritarie vengono spesso a porsi questioni legate alle lingue minacciate, lingue che perdono domini di impiego e parlanti e che quindi vedono via via ridotta la propria vitalità, correndo dunque il rischio di estinguersi. Una nozione di particolare rilievo per quanto riguarda i rapporti fra lingue è quella di copertura dove con questa parola si intende il fatto che una lingua, nel territorio in cui è parlata, abbia una lingua imparentata con essa quale lingua di cultura e modello di riferimento. La lingua sovraordinata è chiamata lingua tetto; quella subordinata è detta con tetto. (italiano lingua tetto per i dialetti italiani). Si può parlare di lingua tetto solo se la copertura è sia su base socioculturale che linguistica ma allo stesso tempo la pressione sociale e culturale di una lingua sovraordinata può minacciare la vitalità di una lingua subordinata, compromettendo il mantenimento delle caratteristiche strutturali e lessicali tipiche di quella lingua. Dunque, la presenza di una lingua tetto protegge l’identità linguistica di riferimento di un dialetto, ma non ne preserva i tratti linguistici peculiari, che possono perdersi per effetto del contatto.
3.3 REPERTORI LINGUISTICI E PLURILINGUISMO.
La lingua standard, dialetto e lingua minoritaria possono essere compresenti all’interno di uno stesso repertorio linguistico. Per repertorio linguistico si intende l’insieme delle lingue usate da una certa comunità linguistica. Si possono avere repertori sia monolingui che plurilingui da cui deriva il plurilinguismo, il termine comune per designare insieme sia le situazioni bilingui che quelle multilingui. Una distinzione preliminare molto importante quando si tratta del plurilinguismo è quella fra bilinguismo sociale, prendendo come unità di riferimento una comunità o un gruppo, e bilinguismo individuale, prendendo come punto di riferimento il singolo individuo. In un repertorio plurilingue vi sarà una distribuzione funzionalmente diversa delle lingue, alcune destinate ad usi alti, mentre altre legate ad usi bassi. I repertori plurilingui presentano di solito una certa configurazione di dominanza, vale a dire una situazione che vede una lingua dominare l’altra, in base a criteri come la frequenza d’uso, le funzioni a cui è adibita, l’utilità nella comunicazione, le preferenze e le rappresentazioni dei parlanti ecc. Bisogna anche distinguere il repertorio linguistico comunitario dal repertorio linguistico individuale. Il repertorio linguistico dell’individuo rappresenta un sottoinsieme di quello comunitario, ma condivide con gli altri membri della comunità le norme di impiego, lo status e le funzioni di quelle lingue. Possiamo introdurre alcune distinzioni per definire tipi sociolinguistici diversi di bilinguismo: PRIMA OPPOSIZIONE: -bilinguismo endogeno: si intende la compresenza di due o più lingue storicamente radicate, autoctone. -bilinguismo esogeno: la compresenza di due o più lingue dovuta a un apporto esterno immigratorio in età contemporanea. SECONDA OPPOSIZIONE: -bilinguismo monocomunitario: data una certa entità territoriale in cui sono parlate due o più lingue, i parlanti di quella entità siano tutti bilingui e costituiscono quindi un’unica comunità linguistica, omogenea; -bilinguismo bicomunitario: in una certa entità territoriale, esistano due o più sotto-comunità diverse, ciascuna delle quali caratterizzata dall’impiego pressoché esclusivo di una delle lingue e pochi parlanti di quell’entità sono realmente bilingui. TERZA OPPOSIZIONE: -bilinguismo di diritto: la compresenza di lingue diverse può essere riconosciuta ufficialmente nella legislazione e nelle istituzioni. -bilinguismo di fatto: quando manca un riconoscimento giuridico. Per quanto riguarda la compresenza di lingue differenziate funzionalmente si possono riconoscere tre tipi diversi di repertorio: 1) Diglossia, teorizzata da Ferguson e rimasta a lungo il concetto fondamentale in questo settore di indagine, identifica un tipo di repertorio linguistico che presenta le caratteristiche seguenti. Sono usate in una comunità due lingue, relativamente lontane sul piano strutturale ma delle quali soltanto una è pienamente elaborata. (A italiano, B dialetti italo-romanzi fino all’Ottocento) A= lingua standardizzata che gode di una prestigiosa tradizione letteraria; appresa attraverso la scolarizzazione; usata dalla comunità nello scritto e nel parlato formale; B= lingua appresa nella socializzazione primaria; usata dalla comunità esclusivamente nel parlato informale. Non vi è sovrapposizione tra A e B. 2) Dilalia, si ha quando all’intero di una stessa comunità sono compresenti due lingue strutturalmente diverse (A tedesco, B dialetti tedeschi) A = destinata agli usi alti B = destinata agli usi ‘bassi’. A e B possono essere anche usate o accettate paritariamente, quindi sia A che B sono impiegate nella conversazione ordinaria (uso alternato). La dilalia identifica il tipo di repertorio linguistico caratteristico della maggior parte dell’area italo-romanza. 3) Bidialettismo, non coesistono due lingue strutturalmente diverse ma due varietà di una stessa lingua. A = varietà standard. B = varietà geografiche o sociali. Esistono domini in cui sono usate sia A che B, anche se di norma solo B viene usata nella conversazione ordinaria. In questo quadro si possono riconoscere ulteriori specificazioni. La diacrolettia è una situazione simile alla dilalia nella quale però c’è compresenza di A e B non nella conversazione ordinaria e negli usi bassi, ma nello scritto e negli usi alti.
3.4 CONTATTO LINGUISTICO.
La compresenza di due o più lingue nel repertorio linguistico di una comunità o di un individuo, o in un certo territorio danno vita a situazioni di contatto linguistico. La nozione di contatto linguistico può essere considerata o dalla prospettiva dei parlanti o dalla prospettiva dei sistemi linguistici. -Nella prima prospettiva, due lingue sono in contatto quando sono padroneggiate entrambe in qualche misura da uno o più parlanti. -Nella seconda, due lingue sono in contatto quando le loro strutture sono esposte all’azione dell’una sull’altra, ovvero quando sono soggette al trasferimento dell’una all’altra di elementi linguistici. Due o più lingue possono essere in contatto anche in assenza di parlanti bilingui, è sufficiente che ci siano dei rapporti tra comunità o parlanti di lingue diverse. Si hanno situazioni di contatto differenti in dipendenza da fattori sociali e culturali; una distinzione è tra contatto orizzontale (quando le lingue coinvolte sono comparabili sul piano dell’importanza socioeconomica e culturale) e verticale (quando una delle due lingue ha prestigio maggiore rispetto all’altra, dominante rispetto all’altra). Il contatto fra due lingue può essere duraturo e quindi stabile nel tempo oppure circoscritto a un periodo limitato; così come può essere intensivo oppure occasionale a seconda di quanto siano fitti i rapporti fra i parlanti delle lingue interessate. Il contatto fra lingue provoca sempre passaggio di materiali e/o caratteri strutturali. Si può a questo proposito parlare di contatto: -unidirezionale: è una sola delle due lingue in contatto ad accogliere elementi dall’altra. -bidirezionale: il trasferimento di elementi è reciproco. Quando un elemento viene trasferito da una lingua a un’altra, la lingua da cui quell’elemento proviene è detta lingua forte, mentre la lingua nella quale esso entra è detta lingua ricevente o lingua replica. Il contatto tra lingue dà luogo a un’ampia gamma di fenomeni linguistici. Per poterli classificare, è opportuno differenziare i fenomeni di contatto che avvengono nel sistema (si manifestano nelle strutture del sistema linguistico) da quelli che avvengono nel discorso (si manifestano nell’uso di più lingue in una certa situazione comunicativa). I fenomeni che riguardano il sistema possono essere ulteriormente distinti in due tipi: -il trasferimento che comporta il passaggio di materiale linguistico, realizzato foneticamente; in primo luogo parole, ma anche singoli fenomeni o morfemi; -il trasferimento di pattern strutturali astratti, quali categorie grammaticali, proprietà, regole, schemi sintattici e significati, replicati nella lingua ricevente con il materiale linguistico già esistente in questa. Si creano in questo modo casi di prestito di parole, proprio del normale funzionamento di ogni lingua; l’italiano, ha assunto com’è ovvio vari prestiti dalle lingue con cui è entrato in contatto, e nella sua storia più recente in particolar modo dall’inglese. I prestiti conoscono quasi sempre un adattamento, più o meno parziale, alle regole della lingua ricevente finendo così per essere integrati nel sistema di quella lingua. A livello lessicale si possono avere anche fenomeni di interferenza, il caso tipico è quello del calco. A tal proposito, una distinzione essenziale è quella tra calco strutturale e calco semantico: il primo riguarda non una parola nella sua forma esteriore ma la struttura interna, il secondo riguarda il significato che quella parola presenta nella lingua fonte, replicato con il materiale linguistico a disposizione nella lingua ricevente. Le manifestazioni del contatto nel discorso vengono in genere trattate sotto il nome complessivo di commutazione di codice o code-switching che comprende tipi diversi di fenomeni: -Commutazione interfrasale: caso in cui con uno stesso interlocutore si producono frasi in lingue diverse. -Commutazione intrafrasale o code-mixing: caso in cui con uno stesso interlocutore si usano lingue diverse in una stessa frase. -Commutazione extrafrasale o tag switching: caso in cui la commutazione di codice coinvolge elementi non integrati nella struttura frasale. Come fenomeni di commutazione di codice vengono spesso trattate anche le manifestazioni del contatto al di sotto del livello della parola, il cui risultato sono parole costruite con morfemi provenienti da due lingue diverse; parole che possono quindi essere definite ibridismi. Un carattere importante che differenzia il code-mixing e gli ibridismi dagli altri tipi di commutazione è che di solito i passaggi da una lingua a un’altra non risultano avere significato sociale, valore pragmatico o funzione comunicativa mentre altri tipi di commutazione paiono dotati di significato sociale. La nascita delle lingue invece è uno degli esiti del contatto linguistico. Si parla in questi casi di lingue di contatto che nascono come esito del contatto e che sono formate da elementi non riconducibili primariamente ad un’unica lingua. Si distinguono essenzialmente tre tipi di lingue di contatto: -Lingua mista: conseguenza diretta di quella progressiva, legata ad una compenetrazione sempre più intima fra sistemi linguistici; rappresenta un esito, tuttavia raro, del contatto intensivo tra lingue. Nasce da situazione di plurilinguismo per ragioni comunicative differenti. Esistono due tipi di lingue miste, la prima dove la grammatica proviene da una lingua ed il lessico dall’altra; la seconda quando una delle due lingue dipartenza contribuisce sia per lessico che grammatica. -Pidgin: nasce per adempiere alla comunicazione tra gruppi di parlanti con lingue materne diverse, tipicamente in situazioni migratorie o coloniali, e funziona quindi la lingua franca; in particolare nasce per soddisfare bisogni comunicativi essenziali, per lo più relativi a rapporti di lavoro o commercio. Un pidgin non ha parlanti nativi, non è per definizione lingua materna di alcun gruppo di parlanti. È un sistema linguistico semplificato. Il lessico proviene per lo più dalla cosiddetta lingua lessicalizzatrice. -Creolo: un pidgin essere trasmesso come lingua materna presso una comunità di parlanti; quando ciò accade, un pidgin si sviluppa in un creolo. Estende quindi le proprie funzioni non solo alla comunicazione essenziale e viene usata in domini diversificati. Un esito estremo del contatto linguistico è la morte di lingua. Una lingua minacciata, che sotto la pressione di una lingua socialmente e culturalmente dominante perde domini e fasce sociali di impiego in favore dell’altra lingua, può finire per non avere più parlanti nativi e dunque estinguersi. Un processo come questo è detto regressione, esso è provocato dal ridursi delle motivazioni di impiego di una lingua e di conseguenza dal venir meno della volontà dei parlanti di trasmettere quella lingua alle generazioni successive. Un altro processo è la sostituzione di lingua, non avviene la sostituzione totale difatti la lingua in regressione perde domini d’uso, ma viene anche padroneggiata dai singoli parlanti che la conservano con una competenza sempre più ridotta. Questa non verrà definita morte di lingua ma perdita di lingua. Più in generale, il processo di decadimento delle strutture linguistiche di una lingua prende il nome di decadenza linguistica. Quando invece i fenomeni di decadenza sono legati a situazioni migratorie si parlerà di logorio linguistico. Alla morte di una lingua causata dalla perdita di parlanti può sovrapporsi la morte per cattura: il progressivo avvicinamento di un sistema linguistico ad un altro, può far sì che il primo sistema diventi così simile all’altro da esserne catturato, da trasformarsi cioè in una varietà di questo. Il contatto linguistico ha anche conseguenze non estreme, può innescare in alcuni casi fenomeni di convergenza verticale (come tra dialetti e lingua standard) o orizzontale (cioè tra varietà alla pari). Sono caratterizzati da fenomeni di convergenza orizzontale i processi di koineizzazione, che avvengono tra varietà diverse di una lingua di immigrazione in centri abitati o in città di nuova formazione, oppure tra dialetti locali storicamente presenti in un certo territorio. La koineizzazione è un processo che si realizza in due fasi: 1. Una fase iniziale (mixing), caratterizzata dalla mescolanza di tratti linguistici provenienti da varietà differenti. 2. Una fase di livellamento (levelling) delle differenze vernacolari più marcate, che può vedere la creazione di forme interdialettali o il mutamento di marcatezza sociolinguistica di forme già esistenti. Un processo di koineizzazione può sfociare ad una nuova varietà di lingua, ovvero alla formazione di una koinè. Diverso è il fenomeno della diffusione di tratti: il dialetto di un centro socio culturalmente egemone diffondei propri tratti linguistici ai dialetti locali circostanti, che vengono quindi a essere un po’ più simili al dialetto dominante. Un altro esito non estremo del contatto linguistico è la formazione di interlingue dette anche varietà di apprendimento.
3.5 PIANIFICAZIONE LINGUISTICA.
La posizione sociale di una lingua ed i rapporti gerarchici tra le lingue compresenti in un repertorio, possono essere soggetti ad interventi programmati volti a modificarli. L’insieme dei provvedimenti di qualsiasi natura prende il nome di pianificazione linguistica. Occorre distinguere tra pianificazione linguistica e politica linguistica. Con quest’ultimo termine si designa la gamma di azioni, pubbliche e istituzionali, volte a diffondere determinate concezioni ideologiche dei rapporti fra lingue, a influenzare gli atteggiamenti dei membri di una società nei confronti delle lingue del repertorio e dunque a orientarne i comportamenti linguistici. Le attività di pianificazione linguistica interessano prevalentemente la tutela di lingue minoritarie o minacciate, quindi soggette alla perdita di domini d’uso e parlanti. Le iniziative di pianificazione linguistica possono essere di due tipi: -revival di lingua: reintroduzione nell’uso di una lingua che di fatto non è più praticata e che non ha più parlanti nativi. -rivitalizzazione di lingua: incremento dei domini e delle fasce sociali di impiego di una lingua che ha ancora parlanti nativi. Le attività di pianificazione linguistica possono essere di due tipi: -corpus planning: interviene sulla forma interna, sui tratti linguistici della lingua oggetto di pianificazione; si prende in considerazione sempre una lingua subordinata perché riesca a competere con la lingua dominante. Per fare questo bisogna sottoporre la lingua ad interventi di codificazione ed ampliamento delle risorse linguistiche e portano alla standardizzazione della lingua. La prima misura è la scelta della lingua da prendere come riferimento per la costituzione della norma, una volta individuata si stabilisce quale scrittura adottare, elaborare un’ortografia, decidere morfologia e sintassi, definire lessico standard. -status planning: consistono da un lato nella regolamentazione normativa dei diritti linguistici di una popolazione, ovvero nell’attuazione dei diritti di singoli individui o di collettività relativi all’uso di una certa lingua, e dall’altro nella promozione sociale di quella lingua, tesa a rafforzare i domini di impiego e ad aumentare il numero di parlanti. A questa misura ci si riferisce anche come acquisition planning. Soggetto a interventi di pianificazione linguistica è il diritto ad usare nei rapporti sociali e pubblici la propria lingua materna anche quando questa è diversa dalla lingua standard o da quella ufficiale; si tratta di un diritto sancito dalla Dichiarazione universale sui diritti linguistici. Le attività di pianificazione hanno l’obiettivo di opporsi a processi di sostituzione di lingua e alla protezione del plurilinguismo ma nonostante ciò ci sono dei casi dove si mira alla riduzione del plurilinguismo, promuovendo una lingua dominante a scapito di un’altra. Si parla spesso anche di paesaggio linguistico con cui si intende la presenza visuale della lingua nella società nel paesaggio di un dato territorio (insegne, cartelli, nomi di vie ecc..), cioè in tutti i segni di carattere pubblico e commerciale scritti in linguaggio verbale presenti in una determinata area. 4 SOCIOLINGUISTICA E VARIAZIONE. 4.1 LA VARIAZIONE SOCIOLINGUISTICA. Uno dei caratteri più appariscenti quando si studia una lingua è la sua grande varietà di manifestazione: i parlanti di una lingua la usano in maniera diversa a seconda della loro collocazione sociale, del loro grado distruzione, della loro provenienza geografica, dei gruppi sociali a cui appartengono ecc..; un singolo parlante usa la propria lingua in maniere diverse a seconda degli ambienti e delle situazioni a cui si trova a partecipare, delle intenzioni comunicative che ha, degli interlocutori a cui si rivolge ecc. L’insieme di tutte queste differenziazioni costituisce il campo della variazione. La variazione è la proprietà di un’entità di assumere forme diverse, di presentarsi sotto manifestazioni differenti e si può considerare una proprietà universale del linguaggio umano.
4.2 VARIABILI SOCIOLINGUISTICHE.
Una delle nozioni cardine in questo campo è la variabile sociolinguistica si può definire come un insieme di modi diversi di dire la stessa cosa, ognuno dei quali è correlato a qualche tratto extralinguistico. Ciascuno di questi modi diversi è una variante. Una delle varianti di una variabile è sempre la variante standard, le altre stanno nell’accuratezza del parlare o nella caratterizzazione socio-geografica. Nella situazione italiana sono numerose le variabili sociolinguistiche che variano in relazione alla provenienza geografica dei parlanti. Si è osservato inoltre che in alcune comunità di parlanti le variabili sociolinguistiche sono sensibili alla variazione sia sociale che situazionale: avremo quindi una distribuzione delle variabili chiamata distribuzione di prestigio o variabili laboviane. I lavori di Labov negli anni ’60 ’70 utilizzano diagrammi cartesiani per dar conto del comportamento di una variabile sociolinguistica di un certo corpus di materiali; questi diagrammi rappresentano strutture sociolinguistiche che nel loro insieme spiegano la ‘ordinata eterogeneità’ dei parlanti. Le variabili vengono così spiegate da Labov: 1-Una variabile come (th) in inglese di New York è sensibile contemporaneamente sia alla variazione sociale che alla variazione situazionale, e dunque può intervenire nella differenziazione sia fra classi sociali che fra stili di parlato, è detta da Labov marker ovvero contrassegno (o differenziatore). Sempre nell’inglese di NewYork, ad es. la variabile (r) in posizione postvocalica, preconsonantica o finale di parola presenta la variante standard e la variante sub-standard. 2-Nei contesti più formali la lower middle class tende ad esibire un comportamento più attento alla pronuncia standard rispetto a quello della upper middle class. Questo fenomeno è chiamato da Labov ipercorrezione e si relaziona con l’imporsi del modello di prestigio presso la classe che più coltiva aspirazioni di avanzamento sociale. 3-In parole come father, path o cart nell’inglese di Norwich la variabile ha una variante standard e diverse varianti sub-standard caratterizzate da gradi progressivi di anteriorizzazione della vocale. Qui le varianti sub-standard differiscono da classe sociale a classe sociale ma, per ogni classe sociale, non variano da contesto situazionale a contesto situazionale, ossia in dipendenza del grado di formalità/informalità. Questa struttura sociolinguistica è sensibile a una variante sociale ma non situazionale ed è detta indicator ovvero indicatore (di classe sociale). 4-Nel persiano di Teheran, la realizzazione della variante sub-standard differisce da contesto situazionale a contesto situazionale ma non variano da classe sociale a classe sociale. Una struttura sociolinguistica come questa è detta stereotype ovvero stereotipo. 4.2.1 Variabili e livelli di analisi. I due principi definitori della nozione di variabile sociolinguistica che esprimono le caratteristiche per le quali si possa parlare di variabile sociolinguistica, sono 2: -equivalenza semantica: l’uso alternativo delle varianti di una variabile non deve causare cambiamenti di significato; -identità di struttura: l’uso alternativo delle varianti non deve comportare cambiamenti di struttura linguistica. La nozione di variabile sociolinguistica ad altri livelli di analisi, dove però rispetto al livello fonetico/fonologico emergono molti nodi critici nell’applicazione della nozione di variabile. Ad esempio nel lessico, più specificamente con la nozione di variazione onomasiologica riguardante i diversi nomi che può assumere una stessa cosa. L’uso di parole diverse per designare uno stesso significato rappresenta però una variabile sociolinguistica. Ne sono esempio una serie di geosinonimi italiani come figliolo, toso, bardasso, guaglione, caruso e picciotto: varianti della variabile che sono in correlazione con la provenienza regionale dei parlanti. Serie analoghe possono poi superare i confini di una singola nazione, quando una lingua è lingua nazionale in più paesi. Sono numerose inoltre le variabili lessicali sensibili al contesto situazionale di formalità ed informalità. A tutti i livelli di analisi, è centrale per il concetto di variabile l’in alterazione del significato, il che porta ad escludere variabili sociolinguistiche a livello semantico. Nonostante ciò la variazione semantica non può essere esclusa dal nostro raggio d’azione: essa riguarda i rapporti tra le forme e i significati che esse possono assumere. In questo caso l’elemento invariabile è la forma lessicale e l’elemento variabile è il significato contestuale.
4.2.2 Proprietà delle varianti sub-standard.
Varianti sub-standard: negli usi bassi, che non esigono controllo e accuratezza nel parlare, è favorita la produzione di quei tratti che richiedono all’utente un minore impegno cognitivo. In generale quando fra due o più varianti di una certa variabile ne esiste una che si può ritenere meno costosa per l’utente (in termini di semplicità relativa di processazione) rispetto alla variante standard, ci si può attendere che proprio quella sia marcata come sub-standard. L’assegnazione di un certo valore di marcatezza sociolinguistica a un certo tratto linguistico, dipende dall’attribuzione di valore di prestigio o stigma da parte dei parlanti a quel dato tratto, o alla varietà a cui esso si riconduce. Si tratta quindi di fenomeni tipicamente sociali, frutto della valutazione, positiva o negativa, di determinati usi della lingua da parte della comunità linguistica.
4.3 REGOLE VARIABILI.
Il comportamento di una variabile può anche essere espresso mediante la formulazione di una regola che è detta regola variabile. Per regola variabile si intende una regola che è realizzata variabilmente in dipendenza da certi fattori contestuali, sia linguistici che extralinguistici. La regola descrive un certo pattern di variazione che è dato da fattori linguistici ed extralinguistici che influiscono sulla realizzazione delle varianti di una variabile e dai rapporti gerarchici esistenti tra questi fattori. Ad ogni fattore linguistico la regola assegna un certo indice di probabilità connotato dall’uso di lettere greche. Questa probabilità viene calcolata attraverso sistemi informatici. Questo studio permette di scoprire quale fattore influenzi in modo più forte la variazione nella produzione di una certa parola. Le regole variabili presentano però un certo numero di nodi problematici: uno dei primi messi in luce dagli studiosi è che per esempio, non vi è certezza che la variazione venga effettua da un parlante solo per esecuzione oppure per competenza.
4.4 SCALE DI IMPLICAZIONE.
Il modello delle scale di implicazione ha invece per obbiettivo l’identificazione e l’analisi di relazioni di implicazione nell’uso di variabili linguistiche e nella realizzazione delle varianti di quelle variabili. Nella sua concezione originaria tale modello si propone come modello di descrizione e analisi della variazione intralinguistica alternativo a quello laboviano fondato su regole variabili. L’introduzione di questo modello si deve agli studiosi di lingue pidgin e creole come DeCamp e Bickerton, per i quali una scala di implicazione non rappresenta soltanto uno strumento di descrizione di rapporti tra variabili e tra varianti, ma un modello della competenza linguistica, in cui la variabilità sia elemento costitutivo. Una scala di implicazione raffigura un continuum di varietà di lingua, legate fra loro da una serie di implicazioni fra tratti linguistici e identificate ciascuna da una particolare combinazione di tratti. Negli sviluppi successivi del modello, si è iniziato a rappresentare nelle scale di implicazione anche la realizzazione variabile delle varianti. L’analisi implicazione è venuta così ad esprimere non soltanto regole realizzate categoricamente ma anche regole realizzate variabilmente, nella direzione di un’integrazione fra due modelli differenti. Si hanno delle scale di implicazione con uscite binarie significa individuare una serie di variabili che presentino a coppie una relazione implicativa, per cui la presenza di una variante implica la presenza di un’altra. Costruire una scala di implicazione consente quindi, oltre che di fare ordine nella variabilità, di scoprire l’esistenza di restrizioni alla gamma di variazione possibile, mostrando come il numero di combinazioni possibili. E poi si hanno delle scale di implicazione con uscite variabili, e più in particolare con valori di frequenza, prevede che un certo valore in una casella della matrice comporti valori equivalenti o superiori a sinistra e sopra di sé, e valori equivalenti o inferiori a destra e sotto di sé. Accade spesso, in entrambe le tabelle, che il valore di un certo numero di caselle non rispetti lo schema implicazionale previsto e in questo caso interviene un indice di scalabilità che va a garantire la validità di una scala di implicazione.
4.5 MODELLI DI VARIAZIONE.
Il concetto di variabile sociolinguistica poggia su una concezione di variazione come proprietà dei punti del sistema linguistico di poter essere realizzati con forme superficiali differenti correlati a significati sociali differenti. Nel modello laboviano di variazione: - la variazione occupa una posizione interna al sistema linguistico; - la variazione opera ‘in superficie’, preservando l’invariabilità delle strutture retrostanti; - l’individuo, ossia il parlante nativo di una lingua, ha competenza di una sola grammatica, che quindi contiene al suo interno variabilità; - la grammatica dell’individuo è isomorfa alla grammatica di una comunità linguistica; - i membri di una stessa comunità linguistica condividono uno stesso insieme di regole; - le regole sono realizzate variabilmente; - i giudizi di grammaticalità dei parlanti non riflettono differenze strutturali. Secondo l’approccio generativista tradizionale, invece, la variazione è data dalla scelta fra regole diverse (grammatiche diverse), ciascuna delle quali realizzata categoricamente e dove la scelta fra regole diverse implica la conoscenza di grammatiche diverse. Questo modello colloca la variazione come esterna al sistema linguistico. In tempi moderni, la ricerca in linguistica si basa su quello che da Chomsky (1995) viene chiamato programma minimalista, che mira a ridurre al minimo indispensabile l’apparato teorico necessario per spiegare le frasi. Non ci sono più le regole precedenti, ma rimangono una serie ridotta di ’principi’ e un certo numero di ‘parametri’ che operano sulla grammatica universale. I principi sono proprietà universali condivise da tutte le lingue del mondo; mentre i parametri riguardano la variazione fra lingue diverse.
4.6 MUTAMENTO E VARIAZIONE.
Variazione non è sinonimo di mutamento. Per mutamento si indica il carattere delle lingue di subire cambiamenti nel tempo, mentre variazione indica la proprietà delle lingue di presentarsi in forme diverse nei comportamenti dei parlanti. Variazione e mutamento sono in stretto rapporto poiché i fenomeni di mutamento linguistico sono alimentati da fenomeni di variazione linguistica. Le lingue sono in costante movimento ma perché si abbia un effettivo mutamento linguistico è necessario che una nuova forma o struttura si diffonda e sia accettata da una comunità parlante. In termini di variabili sociolinguistiche, i fenomeni di mutamento consistono nella sostituzione di una variante con un’altra. Tuttavia è bene tenere presente che i fenomeni di variazione linguistica non prefigurano necessariamente fenomeni di mutamento linguistico. Nell’impostazione laboviana, viene effettuata una distinzione fra mutamenti dal basso e mutamenti dall’alto. I primi hanno origine nei gradini bassi della scala sociale e riguardano fatti di variazione di cui, almeno nelle prime fasi del processo, non c’è consapevolezza sociale. I secondi sono introdotti dalle classi sociali dominanti e interessano fatti di variazione di cui esiste consapevolezza sociale. Un processo di mutamento linguistico segue tendenzialmente una curva sigmoidale, “a esse”.
4.7 DIMENSIONI DI VARIAZIONE.
Una dimensione della variazione sincronica della lingua è un particolare modo di manifestazione della lingua, per come essa si presenta in un dato momento temporale, calata nei suoi usi sociali. Ci sono varie dimensioni di variazione: 1- Diatopia: la lingua varia attraverso lo spazio geografico, provenienza e distribuzione geografica dei parlanti; 2- Diastratia: la lingua varia attraverso la stratificazione, collocazione e identità sociale dei parlanti; 3- Diafasia: la lingua varia attraverso le situazioni comunicative; Questa sistematizzazione teorica è stata formula negli anni ’60 da Coseriu e negli anni successivi si sono successe delle variazioni. Negli anni ’80, infatti, Mioni ha introdotto una quarta variazione dimensione di variazione sincronica: la diamesia ovvero una lingua varia in dipendenza del canale fisico di comunicazione dando luogo all’opposizione fra uso scritto e parlato. E poi una quinta: la diacronia cioè la lingua varia attraverso il tempo. Ogni messaggio linguistico ha sempre una sua collocazione in ciascuna delle dimensioni di variazione. Quando è possibile rintracciare una variabile sociolinguistica sulla base di queste dimensioni e che quindi non corrisponde allo standard, si dice che possiede marcatezza sociolinguistica. Le dimensioni divariazione sono in rapporto fra di loro, esistono, infatti, rapporti fra dimensioni di variazione. La dimensione di variazione primaria sia la diatopica mentre la seconda è la diastratia. La dimensione diafasica opera all’interno di queste due.
4.7.1 Diafasia e diamesia.
È possibile riconoscere due sottodimensioni della variazione diafasica: la variazione di sottocodice e la variazione di registro. Campo, tenore e modo sono considerati i tre fattori principali che intervengono a determinare la variazione della lingua attraverso le situazioni. Al primo fattore, il campo, è connessa una sottodimensione che è il sottocodice ovvero la lingua varia in dipendenza alla natura dell’attività svolta nella situazione e dall’argomento di riferimento. Al secondo fattore è connessa un’altra sottodimensione detta registro, cioè si intende che la variazione di registro è determinata dai ruoli sociali e comunicativi dei partecipanti a un’interazione verbale, da rapporti di ruolo/distanza fra gli interlocutori e dal livello di formalità/informalità. I registri si collocano su una scala che va dal più al meno formale. Al terzo fattore, infine, è connessa la variazione diamesica ovvero la variazione della lingua in relazione alla distinzione fra scritto e parlato. La dicotomia fra scritto e parlare può avere due ulteriori distinzioni: grafico e fonico. Da ciò ne scaturisce la seguente quadripartizione: 1. parlato grafico (trascrizione testi orali); 2. scritto grafico (comunicazione scritta tradizionale); 3. parlato fonico (parlato spontaneo); 4. scritto fonico (lettura testi scritti). Il parlato viene definito la lingua dell’immediatezza, della vicinanza comunicativa mentre lo scritto viene descritto come la lingua della distanza comunicativa. L’opposizione fra parlato e scritto è in realtà un continuum e nella zona intermedia si colloca il parlato trasmesso, vale a dire la lingua rappresentata quotidianamente nella televisione e nella radio.
4.8 VARIETÀ DI LINGUA.
La varietà di lingua può essere intesa in due diversi sensi: in una accezione ‘larga’ una varietà di lingua è definita nei termini del repertorio linguistico di una comunità. In questo senso sono varietà di lingua tanto la varietà alta così come quella bassa di uno stesso repertorio. In una accezione ‘stretta’ una varietà di lingua è definita rispetto a una lingua. Si riconoscono quattro fondamentali classi di variazione: -varietà diacroniche, distinte in base alla loro collocazione lungo l’asse temporale; -varietà diatopiche, distinte fra di loro in base ai luoghi o alle aree geografiche in cui sono parlate; -varietà diastratiche, distinte in base alla collocazione e all’identità sociale dei parlanti; -varietà di diafasiche, distinte in base alle situazioni comunicative in cui è usata la lingua. Come si è detto si possono avere varietà marcate contemporaneamente su più dimensioni di variazione. Un esempio è dato dai gerghi, che sono al tempo stesso diastratiche e diafasiche oppure dalle varietà paragergali giovanili.
4.9 GRAMMATICA DI VARIETÀ.
Negli anni settanta è stato proposto in Germania un modello di descrizione grammaticale delle varietà chiamato grammatica di varietà. Secondo questo modello una varietà di lingua viene descritta attraverso una serie di ‘blocchi di regole’; ogni blocco è costituito da un certo numero di regole di riscrittura che hanno la medesima entrata ma diverse uscite. 4.10 ARCHITETTURA DELLA LINGUA. La combinazione delle tre principali dimensioni di variazione sincronica, diatopia, diastratia e diafasia e la conseguente collocazione tre classi di varietà di lingua riconoscibili in sincronia costituiscono l’architettura della lingua, vale a dire una sintesi dei rapporti che intercorrono fra dimensioni di variazione e della gamma di varietà a cui danno luogo. Ciascuna dimensione di variazione si può concepire come un continuum di varietà di lingua, ovvero come uno spazio che non presenta reali interruzioni di continuità al suo interno. Sono identificabili chiaramente le varietà ai poli estremi del continuum, sono invece difficilmente distinguibili l’una dall’altra le varietà intermedie che sfumano gradualmente.
5 SOCIOLINGUISTICA DELL’INTERAZIONE VERBALE.
5.1 ANALISI DELLA CONVERSAZIONE. Il luogo in cui quotidianamente si manifesta l’uso della lingua è l’interazione verbale, che quindi rappresenta un oggetto privilegiato di attenzione e analisi sociolinguistica. Interazione verbale è qualunque tipo di contatto comunicativo attraverso il linguaggio verbale umano fra due interlocutori. Interazione implica la presenza di attori o partecipanti che mettono in opera in una determinata situazione le loro risorse e competenze linguistiche, è il luogo in cui avviene la scelta tra le possibilità dei parlanti, che selezionano nel loro repertorio linguistico le forme adatte a quella particolare situazione, adottando un determinato stile verbale. Le diverse scelte sono possibili con la competenza linguistica, cioè la conoscenza che ciascuno di noi ha della lingua o delle lingue che parla, e con la competenza comunicativa, la capacità di utilizzare la competenza linguistica nelle maniere richieste da una specifica situazione. Il concetto di competenza comunicativa è stato teorizzato nei primi anni '70 da Hymes. Secondo Hymes una conoscenza ce l’hanno tutti i membri di una comunità sociale e che viene acquisita attraverso le esperienze di socializzazione. Essa comprende da un lato la capacità di produrre frasi dotati di significato e grammaticamente corretti e dall’altro la capacità di utilizzare queste frasi in modo corretto a seconda della situazione. Questa seconda competenza è a sua volta forma da delle sotto competenze come la conoscenza delle norme vigenti in una comunità sociale, la conoscenza dei valori simbolici e sociali dei comportamenti linguistici, ecc… La competenza comunicativa nel suo complesso si acquisisce soltanto con la partecipazione diretta e continua alla vita sociale di una comunità. La forma tipica dell’interazione verbale è la conversazione, dove i parlanti mettono in opera la loro competenza comunicativa e quindi l’utilizzo di mezzi linguistici. Il prototipo della conversazione è l’interazione faccia a faccia dove i parlanti si trovano nello stesso tempo e spazio, visibilità reciproca e condivisione della situazione comunicativa. La conversazione viene ultimamente chiamata anche con il termine dialogo, dove però viene messo più in evidenza il carattere di scambio comunicativo fra 2 o più persone e che si incentra su una sequenza di battute, domande, risposte, commenti. L’analisi strutturale della conversazione si è sviluppata negli anni 70 attraverso la prospettiva dell’etnometodologia, una corrente delle scienze sociali così definita perché si proponeva di studiare i metodi con i quali i membri di una comunità sociale cercano di dare ordine e normalità al mondo in cui vivono. Nel caso dell’attività linguistica si tratta di individuare i meccanismi, le strategie e le tecniche che i parlanti, in quanto partecipanti di interazioni verbali, mettono in opera nel classificare, regolare, orientare le loro azioni verbali reciproche. In questa prospettiva la conversazione risulta un’attività socialmente organizzata che mostra anzitutto una struttura sequenziale, cioè costituita da segmenti che si susseguono e che di solito vengono detti turni o mosse; con “mossa” si intendono ogni atto linguistico compiuto dal parlante. Un primo meccanismo fondamentale della conversazione sta nell'allocazione dei turni cioè nel modo in cui avviene l’alternanza dei turni fra i partecipanti della conversazione. A organizzare i diversi interventi dei parlanti nella conversazione è una regola di base che prevede che parli almeno un partecipante alla volta: il silenzio da un lato e il sovrapporsi di interventi dall' altro sono due circostanze che pur verificandosi spesso, sono dispreferite (non sono accette). Da ciò ne discendono due principi fondamentali per evitare il silenzio e le sovrapposizioni. Il partecipante che sta parlando può esercitare tre tipi di controllo sul turno successivo, in primis può scegliere il partecipante che interverrà nominandolo direttamente, indicandolo, alludendovi e/o scegliendo il tipo di intervento che questi dovrà fare. In questo caso produrrà il primo membro di una coppia adiacente o sequenze complementari, due turni strettamente interconnessi fra di loro. Poi può scegliere il tipo successivo di intervento ma non il parlante oppure può non effettuare nessuna scelta, lasciando che i parlanti successivi si autoselezionano con un intervento. Dal canto suo, il partecipante, selezionato o no dal parlante, che interviene successivamente capisce quando è il momento di intervenire sulla base di un punto di possibile completamento: il nuovo parlante può prendere la parola ogni volta che il partecipante che sta parlando termina la frase o compie una pausa. Ogni punto di transazione (vale a dire il momento in cui avviene il cambio di turno fra parlanti) viene reso effettivo mediante segnali di terminazione (un cambiamento del tono, del volume della voce sguardi e movimenti del capo e delle mani...). Il parlante che prende la parola segnala a sua volta l'avvio del suo intervento con vari comportamenti, chiamati marcatori discorsivi: gesticolazione, attacco intonativo, forme linguistiche stereotipate (marcatori o segnali discorsivi); tipici segnali di apertura sono per es: allora, dunque, ecco, bene, si, ecc... Il silenzio alla fine di un turno ha valore comunicativo: non significa assenza di interazione ma viene in genere interpretato come momento costitutivo di un intervento, come inizio dell’intervento del parlante successivo o come pausa fra continuazioni dello stesso parlante. Per quel che riguarda l’argomento e l’andamento tematico della conversazione, è necessario tener presente che le “cose dicibili” in una conversazione dipendono dai limiti dell’utente, dal tipo di situazione e dal dominio a cui questa appartiene. un caso particolare della conversazione è quando si presentano dei blocchi compatti e omogenei di argomenti costituiti dal racconto di un evento da parte di un parlante rappresentano quelle che vengono chiamate storie; una storia comporta una sospensione del normale meccanismo di allocazione dei turni. Spesso però si crea un conflitto di argomento, più parlanti introducono un argomento diverso, la cui soluzione viene cercata la riparazione, un meccanismo che intervien ogni volta che ci sono disturbi e problemi che turbano e ostacolano il flusso dell’interazione(es: incomprensioni del significato di espressioni, diversità etniche e culturali fra i partecipanti , competenza linguistica, ecc...). Fra questi le più frequenti sono le procedure di auto-riparazione legate a fraintendimenti ed incomprensioni. Importante è anche il contesto di riferimento dove interagiscono i parlanti. I fraintendimenti avvengono quando i due parlanti non condividono il contesto di riferimento Questa nozione ha un ruolo fondamentale nell’analisi dell’interazione verbale, quindi è importante distinguere: -contesto generale, inteso come intorno sociale e culturale in cui si inserisce un’interazione; -contesto locale, inteso come una cornice definita di ogni singolo evento comunicativo, che ritaglia e crea un contesto particolare di quell’occasione; esso costituisce una realtà interattiva gestita dai parlanti stessi. Il rapporto tra il contenuto dell’interazione e il contesto può quindi essere visto continuamente mutabile, dove i partecipanti possono in ogni momento crearne uno nuovo. Le conversazioni interetniche e interculturali sono esposte a problemi in particolare quando le competenze nell’esolingua (lingua non materna in cui il parlante cerca di esprimersi) sono ridotte. La causa principale dei problemi è la scarsa padronanza dell'italiano, da parte del parlante immigrato e quindi le differenze linguistiche fra i partecipanti mettono in serie rischio l’andamento del dialogo. Negoziazione è un concetto centrale per l’analisi del comportamento conversazionale: si indica genericamente l’attività che coinvolge due o più individui o gruppi che comunicano gli uni con gli altri allo scopo di raggiungere un accordo in merito a qualcosa che non si può dare come scontato o che si rileva come fonte di problemi e che consiste quindi in trattative e tentativi di trovare una posizione condivisa dai partecipanti. Un ruolo importanti nelle negoziazioni può essere svolto dalla metacomunicazione, forma di comunicazione non verbale (es: gestuale) che associata al messaggio verbale ne può rafforzare o contraddire il contenuto. La metacomunicazione può essere attuata attraverso le pratiche di glossa, che consistono in formulazioni dei parlanti relativi ad aspetti della relazione comunicativa fra i partecipanti e dei loro ruoli per ristabilire l’ordine dell’andamento conversazionale. Un altro aspetto importante è il lavoro di faccia, individuato dal sociologo Goffman: la faccia è l’immagine pubblica, costituita da un insieme di attributi che un partecipante intende presentare nell’interazione. Entrano qui in gioco i complessi aspetti della cortesia linguistica: in generale per manifestazioni della cortesia verbale si intendono tutti i dispositivi, le strategie, le forme e le azioni linguistiche che vengono impiegate per rispettare la faccia dei parlanti e per evitare conflitti internazionali. In italiano dispositivi destinati ad esprimere la cortesia sono, fra gli altri, l’uso delle forme di allocuzioni (pronomi tu, lei, voi, loro), il condizionale, i diminutivi (domandina, freddino), le espressioni convenzionali come i saluti, ringraziamenti, gli auguri, le forme di presentazione (piacere) e le varie forme di scusa. Tutte queste forme vanno sotto la categoria di mitigazione ossia l’azione del parlante volta a minimizzare i rischi e le reazioni negative da parte dell’interlocutore. Per trattare i fenomeni della cortesia verbale sono stati elaborati vari principi, come la logica di conversazione di Grice per spiegare le azioni svolte nell’interazione verbale attraverso la formulazione di 4 massime: 1-quantità (di informazione chi parla deve dare un contributo tanto informativo quanto è richiesto, né più né meno. 2-qualità: chi parla deve cercare di dare un contributo vero nel senso che non deve dire ciò che sa o che ritiene falso o di cui non ha prove. 3-relazione: chi parla deve farlo in modo rilevante e pertinente a quel punto della conversazione. 4-modo: chi parla deve essere ordinato nell’esposizione ed evitare ambiguità. Le massime vengono violate con lo scopo di provocare negli interlocutori inferenze chiamate implicature conversazionali; esse sono un importante meccanismo per trasmettere un’informazione senza dirla esplicitamente ma attraverso inferenze dovute dal contesto della conversazione. Alla logica della conversazione di Grice, Lakoff ha associato una logica della cortesia, un insieme delle strategie, norme e convenzioni verbali adattate da una comunità per contenere la conflittualità all’interno di un’interazione comunicativa. Le 3 regole importanti individuare da Lakoff sono “non t’imporre”, “offri alternative”, “metti a suo agio l’interlocutore”. Altri due sociologi, Brown&Levinson svilupparono i concetti di cortesia positiva e negativa basata sul concetto di faccia: -cortesia negativa: i parlanti si attribuiscono l’intenzione di non voler essere ostacolati nelle loro azioni. (mirante alla protezione del territorio personale); -cortesia positiva: parlanti si attribuiscono l’intenzione di voler essere approvati (mirante all’autostima); un esempio sono i complimenti, ossia uno scambio verbale con cui il parlante intende manifestare valutazioni positive e apprezzamenti verso un comportamento, un’azione.
5.2 TIPI DI INTERAZIONE VERBALE.
I tipi di interazioni verbale sono innumerevoli ed eterogenei; uno dei caratteri fondamentali per la natura delle interazioni è la simmetria dei ruoli dei partecipanti, e quindi bisogna fare una distinzione importante tra: -interazioni simmetriche: entrambi gli interlocutori tendono a porsi sullo stesso livello e contribuiscono allo stesso modo alla conversazione; -interazioni asimmetriche: al contrario, il comportamento di uno tende a differenziarsi ponendosi in posizione opposta rispetto a quello dell’altro. I partecipanti hanno diseguale potere sociale ed interazionale. Avremo quindi uno al di sopra che dirige es: medico-paziente, interrogatorio di polizia. Colui che gestisce la conversazione sarà responsabile dell’allocazione dei turni e del cambio di argomento. Le situazioni di asimmetria tra i partecipanti cambiano la distribuzione dei diritti comunicativi dei parlanti; tale asimmetria è chiamata dominanza conversazionale, che può essere: - dominanza quantitativa (quantità di spazio di interazione e di durata degli interventi); - dominanza interazionale (controllo sull’organizzazione delle sequenze); - dominanza semantica (controllo sugli argomenti); - dominanza strategica (realizzazioni di mosse strategiche che portano ai risultati sperati). Tra i tipi di interazioni asimmetriche, le più studiate sono quelle istituzionali (insegnante-allievo; esaminatore-candidato; medico-paziente ecc.). Un altro tratto molto rilevante dal punto di vista interazionale è dato dalla compresenza spaziale faccia a faccia in cui i parlanti possono vedersi, ascoltarsi, toccarsi dove il parlante ha una reazione immediata del suo interlocutore. Sono diventati molto comuni anche le interazioni non faccia a faccia. Nel caso delle conversazioni telefoniche richiedono una gestione particolare la fase di apertura, con uno stabilimento del canale di comunicazione e quindi le procedure di riconoscimento e identificazione reciproca degli interlocutori. Le conversazioni telematiche presentano una struttura molto simile all’interazione faccia a faccia ma con rilevanti proprietà tipiche del canale comunicativo, hanno infatti molte caratteristiche degli scambi orali ma vengono condotte nel codice grafico dando luogo a una forma particolare di rapporto tra scritto e parlato, che consiste in una simulazione parlata attraverso mezzi scritti che è stata chiamato discorso elettronico o parlato digitato. All’interno della comunicazione non verbale possono essere inseriti anche delle faccine o emoticons che esprimono stati d’animo e reazioni non verbali oppure identificarsi con un nome fittizio, nickname. Particolari di questo tipo di comunicazione sono gli insulti rituali o flames, scambi di insulti con frequente impiego di parole volgari.
5.3 INTERAZIONI MULTILINGUI.
Un interesse particolare dal punto di vista della sociolinguistica rivestono le interazioni verbali in cui i partecipanti, all’interno dello stesso evento comunicativo usano lingue diverse. Lo studio del comportamento bilingue che si manifesta nell’alternanza di codice è un ambito che comporta molteplici questioni. La bipartizione fondamentale nello studio del comportamento bilingue è quella fra una prospettiva grammaticale che analizza i principi e le proprietà linguistiche che guidano l’uso alternato delle due lingue e una prospettiva socio-funzionale volta ad analizzare i significati sociali del passaggio da una lingua a un’altra. Il sociologo Scotton formulò la teoria della marcatezza sociale: essa considera che gli usi linguistici in una comunità sono caratterizzati da un insieme di diritti e obblighi facenti parte della competenza sociale dei parlanti: la scelta del codice in una comunità plurilingue ha il valore di indice del particolare insieme di obblighi e diritti facenti parte della competenza sociale dei parlanti; veicola un significato sociale che può rappresentare la scelta preferenziale più probabile e quindi “non marcata.” In questa direzione è rilevante la distinzione considerata da Auer fra la commutazione di codice “connessa al discorso” e quella “connessa ai partecipanti”. La prima avviene in concomitanza con un cambiamento dell’argomento, o nella gestione sequenziale del flusso conversazionale, la seconda avviene in concomitanza con la negoziazione con della lingua in cui condurre l’interazione (dove i partecipanti scelgono in base alla loro preferenza la lingua da usare). È stato dimostrato come il passaggio da una lingua ad un’altra (chiamato anche triggering) possa avvenire fra una lingua standard e un dialetto allo stesso modo in cui avviene fra una lingua standard e un’altra lingua standard (noto come style shifting o cambiamento di registro). A volte infatti il passaggio da una lingua all’altra può dipendere semplicemente da differenze di competenze dei parlanti nelle due lingue e dalla necessità di colmare lacune lessicali in una delle due lingue. Fra le funzioni che possono essere attribuite alla commutazione in un determinato contesto situazionale ci sono: funzione espressiva, elaborazione del discorso, racconto di storie. La commutazione di codice può essere inserita nelle strategie della contestualizzazione; infatti essa può anche essere vista come una strategia per costruire il contesto, vale a dire i segnali sia non verbali che verbali attraverso cui i partecipanti inducono processi inferenziali necessari allo svolgimento efficiente dell’interazione. La commutazione di codice può manifestarsi in varie forme, esistono infatti numerosi tipi di commutazione. Tra i fattori che hanno dimostrato avere incidenza per spiegare l’occorrenza di questo fenomeno ci sono: distanza tipologica fra lingue; livello di competenza e abilità; status e prestigio delle lingue; caratteristiche del repertorio e distribuzione delle lingue nei domini. 6 METODI DI RACCOLTA E ANALISI DEI DATI. 6.1 I DATI IN SOCIOLINGUISTICA. La linguistica è un ambito delle scienze umane di carattere empirico: lavora sull’analisi, l’interpretazione e la spiegazione di dati. Un dato è qualunque fenomeno o fatto che abbia caratteri che lo rendono pertinente per una certa teoria e una certa analisi. Il parlante è ogni essere umano in quanto produttore di messaggi linguistici, indipendentemente dal mezzo in cui questi vengono prodotti. La sociolinguistica tende a lavorare su dati linguistici concreti e il più possibile autentici, vale a dire ricavati in una situazione di effettiva realizzazione del sistema linguistico da parte dei parlanti. La stragrande maggioranza dei dati utilizzati in sociolinguistica proviene da ricerca sul campo e da indagini sul terreno e quindi di dati ricavati dall’osservazione del comportamento “naturale” in situazioni reali. Inoltre la sociolinguistica non ha bisogno soltanto del mero dato linguistico autentico ma anche di informazioni sul contesto sociale e situazionale in cui il dato viene prodotto. Ogni descrizione mirata di fatti e fenomeni sociolinguistici deve fondarsi su un insieme di dati empirici appositamente raccolto nel quadro del disegno della ricerca. Tale insieme di dati su cui si svolge l’analisi costituisce il corpus di riferimento dell’indagine. Si applica dapprima una prospettiva di descrizione del dato in base a tutti i suoi caratteri esterni, visibili all’osservazione, indipendenti dal contesto in cui è prodotto; e poi una prospettiva di interpretazione del dato nei termini che risultano rilevanti nel contesto specifico della comunità. La prima prospettiva è detta “etica”, la seconda “emica”. Il corpus di dati che costituisce l’oggetto empirico di studio potrà essere analizzato in base a due diverse prospettive fondamentali: -qualitativa, fondata su intuizioni, induzioni e deduzioni quindi con una componente soggettiva del ricercatore; -quantitativa, fondata sui numeri, su entità misurabili oggettivamente, specie coi metodi della statistica. Metodi qualitativi e metodi quantitativi sono due versanti entrambi importanti e necessari della ricerca sociolinguistica e i due si completano a vicenda. I dati che costituiscono il corpus di riferimento possono variare molto in natura. Possono essere dati linguistici che a loro volta possono essere si dividono in naturalistici (osservati nel comportamento spontaneo dei parlanti) ed elicitati (ricavati da interviste e fatti produrre dei parlanti attraverso un determinato input od opportune domande) oppure possiamo trovare i dati sperimentali, ottenuti secondo determinati requisiti tecnici con l’impiego di strumentazione apposita e per concludere i dati extralinguistici (sociali, antropologici, comportamentali ecc…).
6.2 LA RACCOLTA DEI DATI.
Un momento centrale della raccolta dei dati è costituito dall’osservazione del comportamento, che può avvenire mediante diverse procedure e diverse tecniche. Il rapporto fra dato e osservazione è stato oggetto di numerose discussioni. Se l’osservazione dei dati, per il fatto stesso di essere eseguita, ne muta le caratteristiche impedendo di coglierne la reale essenza, non sarebbe scientificamente corretto raccogliere dati mediante osservazione; ma se i dati si possono raccogliere solo attraverso l’osservazione, allora non esisterebbero dati. La rilevanza di tale principio è sottolineata già agli inizi della sociolinguistica da Labov, sotto forma del cosiddetto paradosso dell’osservatore, secondo cui il compito della sociolinguistica è di studiare come la gente parla spontaneamente, quando non è sottoposta ad osservazione, ma solo mediante osservazione sistematica possiamo constatare come la gente parla. Quindi o non possiamo studiare come parla la gente o rinunciamo alla ricerca. Esiste però una terza via, valorizzare i dati con la consapevolezza che li abbiamo raccolti in un certo modo. L’osservazione diretta può essere effettuata con diverse tecniche ma in ogni caso tenuto conto che l’osservazione deve naturalmente essere accompagnata da qualche forma di registrazione e conservazione dei dati, che ne permetta il successivo trattamento e analisi. Una prima tecnica di osservazione è quella occulta, con registrazione a “microfono nascosto” senza che i parlanti sappiano che il loro comportamento viene osservato e registrato da qualcuno. Questo tipo di osservazione va in contro ad alcune problematiche di natura metodologica, etica e deontologica in quanto non rispettosa della tutela dei dati sensibili. Occorre che il ricercatore dedichi sempre la dovuta attenzione a questioni basilari come la garanzia dell’anonimità dei dati raccolti e la protezione dell’accesso ai dati medesimi, che devono essere utilizzati solo dal ricercatore e ai fini della ricerca. Per svariate ragioni, quindi, il ricercatore è portato a fare assegnamento sull’osservazione diretta, dove la presenza dell’osservatore e il fatto che il comportamento dei parlanti sia oggetto di registrazione viene dichiarato. Una forma più strutturata è l’osservazione partecipante, tecnica sviluppata in antropologia e sociologia, nella quale il ricercatore partecipa per un certo lasso di tempo in maniera diretta, intensiva e continua alla vita quotidiana della comunità indagata, immergendosi nel contesto da descrivere. Tale tecnica risulta adeguata in indagini in direzione etnografica. Una modalità di raccolta dei dati molto praticata è l’intervista, in particolare faccia a faccia, in cui il ricercatore interagendo con soggetti prescelti a formare un campione (che vengono detti informatori) pone domande relative ai fenomeni sotto indagine. Si distinguono in: -intervista libera, “non strutturata” che viene ad assomigliare molto ad una normale conversazione, in cui il ricercatore fa parlare l’informatore; -intervista semi strutturata o guidata, in cui l’intervistatore segue una traccia o scaletta di temi e questioni; -intervista strutturata, condotta sulla base di un questionario prefissato di domande a cui ogni informatore deve rispondere. L’intervista è particolarmente utile per raccogliere parlato conversazionale o narrativo “spontaneo”: mentre l’intervista strutturata è la tecnica di raccolta di prima scelta in tutti i casi in cui la ricerca debba avvalersi di campionamenti di parlanti e di corpora di dati omogenei da sottoporre ad analisi con strumenti statistici. La lista di domande prestabilita costruisce il questionario, perlopiù basato sulle autodichiarazioni dei parlanti e che pongono alcuni problemi per la corretta interpretazione dei dati. L’auto valutazione del comportamento espressa dalle risposte ai questionari infatti non sempre corrisponde al comportamento effettivo soprattutto perché le risposte possono essere improntate o condizionate da atteggiamenti ideologici e proiezioni. I problemi del campionamento, della rappresentatività del campione rispetto all’universo di riferimento sono ampiamente studiati dalla metodologia delle ricerche sociali. Per indagini sulla variazione sociolinguistica, che richiedano produzioni da parte dei parlanti di dati linguistici, saranno sufficienti campioni anche piccoli non numerosi. Le cose cambiano per indagini sugli usi delle varietà del repertorio. Per studiare la distribuzione di italiano e dialetto negli usi degli abitanti di una città, sarà opportuno non basarsi su un campione di poche decine di soggetti. Molto usato in sociolinguistica è il cosiddetto campionamento “accidentale” che si avvale dei soggetti di una popolazione più facilmente e immediatamente si possono contattare, questo metodo può anche dare luogo a un campionamento a grappolo (cluster), in cui ogni informatore scelto per convenienza può permettere di contattare e arruolare come informatore i membri della sua rete sociale. A volte, su problemi ben definiti, viene anche usato un campionamento a panel, che consiste nel costruire un gruppo di partecipanti che vengono intervistati ciascuno più volte nel corso di un dato periodo di tempo. In genere non consigliabile per indagini sociolinguistiche, è il campionamento “casuale”, costituito da soggetti scelti in maniera aleatoria, a sorte. I materiali possono anche essere raccolti attraverso l’effettuazione di test sperimentali. Una tecnica di indagine imparentata ai test sperimentali che è stata adottata per far emergere nella maniera più neutra possibile giudizi e opinioni dei parlanti a proposito delle varietà di lingua è il cosiddetto matched guise, che consiste nel sottoporre a valutatori registrazioni dello stesso brano letto da uno stesso parlante in più varietà diverse di lingua. Uno strumento particolare che si è rivelato utile nell’indagine sui rapporti strutturali fra italiano e dialetti e per ottenere forme e costrutti dell’italiano regionale è data dalla retroversione: un test nel quale si sottopongono da tradurre in italiano a parlanti bilingui italiano-dialetto frasi in dialetto ottenute a loro volta dalla traduzione da parte di un parlante nativo di quel dialetto di una frase in italiano. Abbiamo visto che la prima e più importante fonte di dati per la sociolinguistica sono i parlanti. Molti dati per la ricerca su lingua e società possono però provenire dalla consultazione e dallo spoglio di materiali scritti, non direttamente riferiti a un parlante specifico ma facenti parte del paesaggio linguistico del territorio. Google stesso può essere considerato dare accesso a un enorme corpus “selvaggio”, da cui si possono ricavare non solo informazioni di ogni genere su lingua e società, ma anche reperire testimonianze sulla presenza e la diffusione di termini. Un ruolo importante da questo punto di vista è ricoperto dai mezzi di comunicazione di massa, sia scritti sia trasmessi. Una fonte di dati che ha conosciuto da qualche tempo una notevole valorizzazione è data dalle biografie e autobiografie linguistiche che rappresentano un modo autentico di accesso al repertorio linguistico del singolo parlante, al momento del loro apprendimento e alle loro reali situazioni d’uso. Tutte le volte che i dati empirici ottenuti rilevati sono orali, la raccolta deve renderli riproducibili e a disposizione per l’analisi tramite la loro registrazione. Un passo successivo alla registrazione, necessario per dare al materiale una fissazione stabile su supporto visivo e renderlo quindi leggibile e utilizzabile per ogni analisi, dato dalla trascrizione. La trascrizione rappresenta già un’analisi grezza dei dati ed è la premessa empirica di ogni buona descrizione. Se è necessario che la trascrizione riporti l’autenticità sonora del parlato da indagare, occorre allora ricorrere a un sistema di trascrizione fonetica: oggi è di impiego generalizzato e universale il sistema IPA (International Phonetic Alphabet). Quando invece diventano rilevanti i fenomeni pragmatici, paralinguistici, internazionali, comunicativi in senso ampio, è opportuno fare ricorso ad una trascrizione non fonetica, ma conversazionale, che indichi con appositi segni speciali e simboli i vari fatti che possono risultare pertinenti per l’analisi del materiale e la comprensione scientifica dei fatti. La trascrizione conversazionale è un campo in cui si è ancora lontani dalla standardizzazione unificata. Sono disponibili strumenti informatici scaricabili online per l’archiviazione, il trattamento e l’elaborazione di corpora raccolti mediante registrazione. Il più noto di questi è il progetto CHILDES, sviluppato a partire dal 1994 come strumento di lavoro elettronico per lo studio dell’acquisizione infantile del linguaggio, poi esteso all’acquisizione generale e anche all’analisi conversazionale e alla costituzione di data-base per l’analisi del parlato di molte lingue diverse.
6.3 CORPORA LINGUISTICI E ANALISI QUANTITATIVE.
L’avvento fra gli anni 80 e 90 della possibilità di avvalersi come dati empirici di grandi quantità di materiali analizzabili con strumenti informatici ha dato luogo alla rapida espansione della linguistica dei corpora. in sociolinguistica è ormai prassi condurre ricerche sulla base di corpora linguistici accessibili via Internet. Un corpus in questa accezione è detto “raccolta in formato elettronico di testi orali o scritti trattati informaticamente”. La gamma dei corpora oggi a disposizione consente di condurre ricerche su testi di vario genere: parlato colloquiale, comunicazione mediata dal computer, stampa quotidiana e periodica, scrittura accademica, prosa burocratico-amministrativa, ecc. Per l’italiano ad esempio i corpora esistenti coprono un ampio ventaglio di varietà, i corpora di testi scritti si differenziano, sia tra di loro sia nelle loro sottosezioni, rispetto al grado di formalità/informalità che li caratterizza mentre i corpora di testi parlati danno conto delle variazioni geografiche. Tra i principali corpora dello scritto dell’italiano contemporaneo si possono menzionare: -COLFIS (testi raccolti da quotidiani, da periodici e libri, raccolti tra il 1992 e il 1994; -CORIS/CODIS (testi di narrativa, prosa giornalistica, accademica e giuridico-amministrativa, raccolti tra gli anni ’80 e ’90); -Corpus La Repubblica (articoli pubblicati sul quotidiano La Repubblica); -itWaC (testi estratti dal web); -NUNC (conversazioni tratte da gruppi di discussione telematica su vari temi). Poi ci sono i corpora di parlato, esempi: -LIP (dialoghi e monologhi); -LIR (testi di parlato radiofonico delle principali emittenti nazionali); -LIT (testi di parlato televisivo proveniente dalle reti RAI e Mediaset). Vi sono poi corpora di italiano allestiti per consentire confronti in diacronia, tra i quali DiaCORIS e DIA- LIT chiamati corpora specializzati. Esistono inoltre strumenti informatici, disponibili in rete, che consentono all’utente di creare un proprio corpus; uno di questi è Corpus Architect, che permette di allestire un corpus a partire da documenti in vari formati (TXT, DOC, PDF,ecc..). L’interrogazione di un corpus avviene attraverso una maschera predisposta per tale operazione. La maschera consente di formulare una richiesta di estrazione, detta più tecnicamente query. Le query sono scritte in CQL. Una query dà in risposta il numero complessivo di occorrenze dell’elemento cercato, può accadere che non tutti i risultati ottenuti corrispondano effettivamente ai criteri di ricerca, specie nei corpora di grandi dimensioni, le parole sono in genere etichettate con procedure automatiche. L’uso dei corpora si presta quindi particolarmente ad analisi quantitative. Oltre agli studi sulla variazione onomasiologica, sui corpora possono basarsi gli studi sulla variazione semasiologica e in questa direzione l’approccio più praticato è quello della semantica distribuzionale: modelli di analisi diversi che si fondano su una stessa ipotesi, la cosiddetta “ipotesi distribuzionale”, due parole hanno significati tanto più simili quanto più tendono a comparire in contesti simili. L’applicazione di questi modelli al campo della variazione sociolinguistica si basa sul fatto che l’analisi distribuzionale è praticata su corpora rappresentativi di varietà diverse di una stessa lingua. L’interrogazione di un corpus non è limitata a fenomeni di livello lessicale. Potremmo ad esempio essere interessati a un fenomeno sintattico; non sono sufficienti stringhe basate su un’unica forma, ma occorre pensare a delle query che tengano conto della co-occorrenza di varie forme. Esiste più di una soluzione per formulare una query a seconda delle caratteristiche del corpus. L’uso dei corpora è largamente rivolto ad analisi quantitative e come queste si basino su metodi statistici di analisi dei dati. Le indagini quantitative condotte con metodi statistici si servono di programmi informatici basati sulla tecnica statistica dell’analisi della regressione, che consente di analizzare e mettere a confronto insiemi di dati anche non bilanciati. Questi programmi calcolano con quale probabilità fattori diversi incidano sul presentarsi di quel fenomeno, effettuano un’analisi multivariata; ossia analizzano il rapporto di co-variazione fra una variabile dipendente e più variabili indipendenti concorrenti. Il programma di analisi multivariata più usato fino ad anni ancora recenti è VARBRUL, abbreviazione per variable rules. Dato un certo fenomeno oggetto di studio, l’analisi multivariata ha come obiettivi principali: 1) stabilire quali variabili indipendenti esercitino un’influenza statisticamente significativa sulla realizzazione del fenomeno e quali no; 2) calcolare con quale probabilità i singoli fattori influenzino la realizzazione del fenomeno. Il valore di input rappresenta la probabilità che il fenomeno ha di realizzarsi indipendentemente dalle variabili considerate. Il valore di probabilità assegnato a ciascun fattore è chiamato “peso”. Osservando i pesi dei diversi fattori è possibile stabilire quali di questi influenzino positivamente e quali negativamente il mancato accordo, vale a dire quali aumentino e quali diminuiscano la probabilità generale di realizzazione del fenomeno. Più il peso si avvicina a 1, più il fattore corrispondente ha un effetto positivo sulla realizzazione del fenomeno; più si avvicina a 0 , più ha un effetto negativo. I valori di Range servono per le variabili indipendenti significative, che consistono nella differenza fra il peso più alto e quello più basso per ogni variabile. La variabile con Range più elevato è quella che complessivamente ha la rilevanza più marcata nella realizzazione del fenomeno. Il programma più usato oggi, Rbrul, è scritto nel linguaggio di programmazione R. I programmi per l’analisi multivariata ricorrono in alcune fasi dell’elaborazione dei dati ad un test di significatività statistica noto come test del chi-quadro. È opportuno ricorrere ad un test di questo tipo quando si confrontano due o più insiemi di dati rispetto alla presenza di un certo fenomeno per verificare che le differenze osservate non siano casuali. I dati ricavati andranno poi ancora una volta analizzati ma tenendo in considerazione la significatività statistica secondo i cosiddetti livelli di probabilità, delle soglie percentuali che permettono di stabilire se il risultato del test sia significativo, molto significativo, altamente significativo.