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La sociolinguistica è una linguistica che tiene conto dei fatti sociali. La linguistica studia la lingua come
sistema, mentre la sociolinguista studia la lingua nei termini dei suoi usi presso una comunità sociale.
Il termine sociolinguistica fu usato per la prima volta nel 1952 in un articolo di un letterato e filosofo
americano di nome Currie mentre in Italia nel 1968.
Una distinzione fondamentale è tra:
-sociolinguistica come aggettivo -> questo aggettivo a sua volta può assumere due significati;
1. riferito ai fatti che si pongono all’intersezione tra lingua e società
2. riferito alla disciplina che li studia
-sociolinguistica come sottodisciplina delle scienze del linguaggio -> basato sull’osservazione di come si
presentano le cose agli occhi di chi le osserva e perciò si inscrive nell’ambito della linguistica sincronica. Le
situazioni del passato non sono perciò adatte ad uno studio sociolinguistico sincronico tuttavia sono stati
fatti de tentativi su documenti del passato e testimonianze. È così nata la sociolinguistica storica, che cerca
di ricostruire le condizioni sociolinguistiche di un’area in un determinato periodo storico.
- sociologia del linguaggio (o delle lingue) -> che ha come oggetto le lingue e le varietà di lingua nella
collocazione che esse hanno presso i parlanti e nelle società.
4) Opposizione tra:
- sociolinguistica correlazionale (o correlativa) -> si occupa delle correlazioni tra lingua e società, che
agiscono sui fatti linguistici, assumendo i fattori sociali come variabili indipendenti che agiscono sui fatti
linguistici. La direzionalità va dalla società alla lingua: si studia come la lingua venga influenzata dalla
società.
- sociolinguistica interpretativa -> pone l’accento sull’interpretazione di quello che fanno i parlanti che
costruiscono valori sociali ed interazioni usando le risorse fornite dal sistema linguistico. La direzionalità va
dalla lingua alla società analizzando come la lingua influenzi e determini la società ed i rapporti sociali.
Negli anni recenti si sono creati nuovi ambiti di ricerca che partono dall’interesse per la sociolinguistica e ne
condividono metodi e assunzioni ma che si sviluppano in maniera autonoma:
Sociolinguistica percezionale = è chiamata così perché assume come punto di partenza la percezione che i
parlanti hanno dell’ambiente linguistico in cui vivono. La percezione dei fenomeni di variazione, dei confini
fra le varietà linguistiche non sono più un elemento complementare ma diventano l’oggetto primo di
analisi. Si profila quindi una linguistica del parlante che assume i parlanti, e non la lingua, come oggetto di
indagine.
Sociolinguistica cognitiva = affronta i temi e i problemi della variazione sociolinguistica secondo l’ottica della
linguistica cognitiva. Si indagano sia il significato sociale dell’attività linguistica, sia il significato con cui le
parole si trasmettono e si modificano in relazione alla composizione di una comunità.
Questa prospettiva cognitivista è condivisa dalla sociofonetica, una branca di studi molto recente che parte
dai lavori di Labov sulla variazione fonetico-fonologico e approfondisce la funzione comunicativa di diverse
pronunce al fine di esaminare come la variazione fonetica sia strutturata nella rappresentazione linguistica
dei parlanti.
Ecolinguistica = integra lo studio dei fatti sociolinguistici nel contesto dell’ecologia, in relazione all’ambiente
sociale, culturale e fisico-biologico in cui le lingue nascono, vivono, si sviluppano e muoiono.
1.2 Alcune nozioni preliminari
Per operare in sociolinguistica, vi sono alcune nozioni basilari:
Lingua = qualunque sistema linguistico esistente, o esistito in passato, presso un certo gruppo di individui
parlanti, come manifestazione della facoltà umana del linguaggio verbale. Ogni idioma riconoscibile come
distinto da altri, costituisce una lingua (non solo l’italiana, ma anche il piemontese o il ladino). Questo
concetto assoluto di lingua è proprio della linguistica interna; ma anche una lingua è sistema linguistico
sovraordinato ad altri sistemi linguistici presenti nella stessa comunità, destinata agli usi alti.
Dialetto = è una lingua socialmente “bassa”, subordinata al sistema linguistico principale e di raggio meno
ampio.
Comunità linguistica = insieme di parlanti che condividono determinati aspetti relativi alla lingua. Una
comunità linguistica è una comunità sociale in quanto condivide caratteristiche linguistiche. Esistono varie
concezioni di comunità linguistica, la prima è considerando che i suoi membri hanno in comune e parlano
una stessa lingua materna, mentre il criterio riconducibile a Labov si basa sugli atteggiamenti linguistici: una
comunità linguistica è costituita da parlanti che condividono una serie di atteggiamenti sociali nei confronti
di una lingua, dalla partecipazione ad un insieme di norme condivise.
Per identificarsi in una comunità linguistica vi sono due famiglie di criteri:
1) criteri esterni oggettivi (entità socio-geografica, lingua) -> più utilizzate tra i linguisti.
2) criteri interni soggettivi (atteggiamenti, sentimenti di appartenenza) -> più frequenti tra socio-
antropologi.
Nel concreto operare della sociolinguistica, una comunità linguistica può essere definita come un insieme di
persone, di estensione indeterminata che condividono un qualche grado di padronanza e di esposizione di
una stessa varietà di lingua e che siano unite da una qualche forma di aggregazione socio-politica.
Repertorio linguistico= l’insieme delle lingue e delle varietà linguistiche presenti presso una comunità
parlante. Questa è una nozione fondamentale della sociolinguistica per lo studio dei rapporti tra lingua e
società. Il repertorio costituisce l’insieme delle risorse linguistiche possedute dai membri di una comunità
linguistica. Il repertorio linguistico è indipendente rispetto al numero delle lingue, può essere monolingue,
bilingue o multilingue.
Il repertorio italiano è costituito dalle lingue e varietà utilizzate dai cittadini italiani, è un’entità molteplice e
complessa; ogni sottocomunità geografica ha il proprio repertorio.
In sociolinguistica ricorrono spesso i termini alto e basso, riferiti a varietà di lingua o ad usi della lingua.
L’origine di questi termini va ricercato nell’uso che ne fece Ferguson negli anni 50 teorizzando la situazione
di diglossia:
alta definisce una varietà di lingua sovrapposta alla varietà parlata nativa di un parlante, in quanto spesso
appresa in aggiunta a quella bassa; destinata agli usi scritti e formali. Il termine alto si usa per qualificare le
varianti e gli usi dotati di prestigio, formali, colti e standard; al contrario il termine basso si usa per
qualificare le varianti e gli usi non dotati di prestigio, poco accurati. L’opposizione sociolinguistica alto-basso
è di carattere graduale poiché usi e varianti si possono collocare su una scala che ha il carattere di un
continuum fonico che passa dal polo alto a quello basso.
Altra nozione importante è quella di gruppo sociale, meno problematica di quella di classe sociale, ma
spesso generica e vaga. Si tratta di gruppi di individui che non implicano gerarchia (come nella
stratificazione), ma rappresentano separazioni in una società.
L’appartenenza ad un gruppo sociale presuppone un comune stanziamento territoriale, quindi concrete
possibilità di interazione tra individui, condivisione di esperienze, valori e aspettative, oltre che l’esistenza di
norme di comportamento.
Una società è costituita da una somma di gruppi sociali: da piccoli gruppi ristretti, in cui i rapporti tra i
membri sono molto stretti (es. famiglia); a gruppi molto larghi, i cui i rapporti tra i membri sono meno
diretti (es. partito politico). L’appartenenza ad un gruppo sociale può essere definita dall’interno e
dall’esterno
L’appartenenza ad un gruppo trova come manifestazione simbolica le varianti linguistiche che diventano
contrassegno di questa appartenenza ad un determinato gruppo sociale: i socioletti sono per l’appunto le
varietà di lingua espressione di un gruppo sociale.
Il comportamento linguistico dei parlanti può cambiare a seconda che ci si rivolga a membri interni del
gruppo di appartenenza o a persone esterne: in sociolinguistica si parla di modello di comportamento in-
group, che si oppone a quello out-group. La varietà usata in-group è detta we-code, in opposizione al they-
code (lingua degli altri).
Nelle società con forte diversità a base etnica, un fattore rilevante di identità di gruppo è costituito da una
comune origine nazionale. Diventa in questi casi importante, come fattore di differenziazione, la variabile
“gruppo etnico”, che dà luogo a varietà etniche.
Le varietà di una lingua sviluppate da parlanti non nativi di quella lingua vengono designate con il termine
di interlingue. Un insieme di interlingue individuali di immigrati di comune origine può essere ritenuta
varietà etnica, quando riveli un legame con un determinato gruppo che la utilizza regolarmente e ci si
riconosce.
Importante è il rapporto tra lingua e gruppo sociale quando la varietà e l’uso di una lingua costituiscono
l’espressione diretta di esperienze, attività, contenuti culturali e ideologici e valori tipici di determinati
gruppi. Gruppi di individui che condividono un particolare ambiente di vita, attività ed esperienze, persone
che vivono insieme (famiglie,coppie..) sviluppano facilmente una serie di particolarità linguistiche,
soprattutto lessicali. La relazione della lingua con le caratteristiche sociali di un parlante si unisce con la
relazione tra lingua contesti situazionali del suo uso.
Gli usi connessi ai gruppi sociali sono caratterizzati anche dal fatto che si manifestano in determinate
situazioni comunicative, per parlare o scrivere di determinati argomenti. Ciò è evidente in varietà
linguistiche, molto tecniche, possedute dagli addetti ai lavori, le lingue speciali o sottocodici.
il caso tipico e più marcato è il gergo, un linguaggio fondato su trasformazioni delle parole di una lingua o di
uno o più dialetti, con inserzioni di elementi lessicali esotici o di nuovo conio, usato da chi appartiene a
determinati gruppi professionali.
altra cosa rispetto ai gerghi è il linguaggio settoriale: un modo d’uso di una lingua, ricco di una terminologia
più o meno specifica; usato in ambienti o da categorie sociali particolari.
2.1.2 Fattori demografici
Un altro dei fattori preso in considerazione è l’età. L’età è una grandezza continua e per renderla utilizzabile
occorre stabile delle classi d’età. Una suddivisione molto semplice è quella relativa a tre classi d’età, che
corrispondono a tre generazioni (giovani, adulti e anziani). I confini tra queste classi sono difficili da
determinare.
Le classi di età più giovani (bambini prima della pubertà) vengono prese in considerazione solo in indagini
specifiche, trattandosi di soggetti con capacità linguistiche in via di sviluppo. Nelle indagini sociologiche con
grandi campioni di intervistati o nei censimenti vengono suddivisi in modo ancor più dettagliato, per es. in
classi decennali di età.
Spesso si esamina il comportamento simultaneo delle diverse fasce generazionali (tempo apparente); dal
punto di vista del comportamento linguistico i giovani sono innovatori mentre gli anziani sono conservatori.
L’età risulta un concetto complesso, che ingloba l’età biologica, l’età sociale e l’insieme dell’esperienze di
vita dei singoli individui. Nel complesso va ricordato che l’età è interconnesso con altri fattori sociali visti in
precedenza
Altra nozione rilevante in sociolinguistica è quella di gruppo di pari o peer group, i coetanei che
condividono abitudine ed atteggiamenti, partecipano ad attività comuni ed hanno la stessa posizione nella
società; di solito questa nozione viene usata in relazione agli adolescenti. In uno studio degli anni Settanta,
Labov affermava che lungo il percorso di apprendimento, l’influenza dei compagni di classe è dominante
rispetto a quella dei genitori in una larga varietà di circostanze.
Dagli anni 90 si sono moltiplicati gli studi aventi come oggetto la lingua dei giovani.
Si tratta di una varietà caratterizzata dall’età dei parlanti, dall’appartenenza di questi ad un gruppo sociale
specifico e dalla situazione comunicativa in cui viene impiegata (in-group); ha attirato molto l’attenzione
degli studiosi per le particolarità lessicali, che la caratterizzano: parlato colloquiale informale, riduzione del
corpo della parola, forestierismi, metafore e metonimie, gergalismi e dialettismi vari. Il lessico giovanile è
però effimero, legato a periodi di pochi anni.
Molto meno attenzione viene data alla lingua degli anziani, he se non si può considerare di una vera e
propria varietà linguistica.
Connessa con l’età di apprendimento ed ugualmente importante è la nozione di parlante nativo, vale a dire
chi ha imparato tale lingua come lingua prima, nella socializzazione primaria, dai genitori e dalle persone
che lo accudiscono nei primi anni di vita, la sente e la usa come la sua lingua materna. È ritenuto il
depositario della competenza linguistica su cui si basa il funzionamento della lingua. Nella sociolinguistica
anglosassone la varietà di lingua spontanea, non standardizzata eusata dai parlanti nativi nelle interazioni
in-group è detta vernacular.
Ai parlanti nativi si contrappongono i parlanti non nativi, che hanno appreso quella lingua come lingua
seconda e sono in essa meno competenti dei parlanti nativi.
La questione dei parlanti nativi è delicata per l’italiano: in molte indagini di sociologia vengono considerati
parlanti nativi di italiano coloro che parlano italiano, cioè italofoni, e provengono da una famiglia italiana;
questa situazione è normale solo per le generazioni giovani, diffusasi in concomitanza con la regressione
del dialetto. Fino agli anni 60 era infatti frequente che la lingua vernacolare, impiegata nella socializzazione
primaria, fosse uno dei dialetti italiani.
Un altro fattore demografico che costituisce una delle variabili sociali indipendenti è il sesso del parlante.
Bisogna fare una distinzione tra sesso come concetto biologico e genere come concetto socio-culturale, che
si riferisce ai ruoli e ai comportamenti sociali connessi al sesso frutto di una costruzione basati su degli
stereotipi.
Il rapporto tra lingua e genere è un tema molto studiato, soprattutto legato a motivi politico-culturali
(ineguaglianza fra sessi, discriminazione delle donne, sessismo nella lingua), anche se non sembra esistano
varietà di lingua maschili e femminili. Non è quindi il genere della persona a modificare le sue scelte
linguistiche ma altre variabili
Gli usi linguistici di donne e uomini sono differenti, le donne hanno una maggiore tendenza verso forme e
varietà di prestigio e più attente ad evitare forme stigmatizzate.
Le differenze di genere sembrano più nette per i presupposti pragmatici su cui si basano gli stili
conversazionali: la tendenza delle donne ad adottare un modello di interazione verbale, basato sulla
politeness (cortesia), sull’espressione dell’emozioni e dei sentimenti; la tendenza degli uomini verso un
modello incentrato sulla comunicazione direttiva e pratica. Questa differenziazione causa facilmente dei
fraintendimenti
Spesso rilevanti per il comportamento linguistico sono anche il luogo di nascita e quello di residenza e
abitazione, più in generale la collocazione spaziale dei parlanti nel territorio. La lingua riflette le
provenienze regionali, ma anche il risiedere in grandi città o piccoli centri o in campagna può influenzare le
scelte linguistiche. Proprio su queste variabili si basa la sociolinguistica urbana: nata negli anni 90, è un
settore della sociolinguistica che pone al centro dell’interesse relazioni e comportamenti linguistici che si
instaurano nelle città.
Punto linguistico= unità minima socio-geograficamente rilevante dal punto di vista della geografia
linguistica e della sociolinguistica.
Lo spazio rappresenta un fattore tra i più rilevanti per la linguistica esterna ma non più considerato come
fattore indipendente dal parlante bensì considerato nei termini di spazio linguistico. Il luogo assume quindi
una duplice natura, spazio fisico e spazio vissuto con un significato simbolico: un contesto sociale costruito
attraverso le esperienze e gli orientamenti della gente.
Mobilità sociale e geografica hanno conseguenze molto rilevanti sul comportamento linguistico e sulle
risorse linguistiche di un parlante, il caso importante è quello della migrazione. La migrazione porta ad un
aumento della complessità del repertorio linguistico: la lingua materna dei migranti subisce una riduzione,
a volte drastica, con una ristrutturazione del repertorio legata all’adozione almeno minimale della lingua
veicolare della comunità d’arrivo. L’uso sempre più limitato della lingua materna, porta a fenomeni di
decadimento della lingua, prima sotto forma di language attrition (attrito linguistico) che consiste nella
riduzione della competenza e nella semplificazione delle strutture ed in seguito sotto forma di language
loss (perdita di lingua).
Nella seconda generazione la compresenza della lingua d’origine e della lingua della comunità ospite porta
a forme di bilinguismo; può anche manifestarsi un rapporto particolare con la lingua materna dei genitori,
non acquisita nella socializzazione primaria, ma imparata in seguito come heritage language (lingua
ereditaria). Con questo termine vengono designate non solo le lingue di origine degli immigrati, ma anche
le lingue parlate da individui, che sono diverse dalla lingua dominante.
Nella sociolinguistica dell’immigrazione e più in generale del plurilinguismo, è oggetto di studio il problema
dell’identità culturale ed etnica.
Fenomeno del language crossing (sconfinamento linguistico) ossia l’impiego occasionale da parte di un
parlante di una varietà di lingua “altra” non facente parte del suo repertorio. Il fenomeno è frequente in
Italia, nel linguaggio giovanile. Un altro concetto che ha origine dalla coesistenza di tanti modelli diversi è la
superdiversità: con questo termine si intende cogliere l’enorme ammontare di diversità socio-culturali e
linguistiche che si ha oggi in molti ambiti urbani e che da luogo a innovazioni e mutazioni.
È stato recentemente coniato il termine polylanguaging per descrivere un comportamento polilingue, per
indicare l’uso nel discorso di forme provenienti da più lingue diverse anche quando non si ha padronanza di
queste lingue.
In Italia dopo l’unità, hanno avuto un peso consistente sia i fenomeni emigratori che quelli immigratori.
Dalla fine dell’800 alla metà del 900, milioni di Italiani hanno lasciato il paese per cercare il lavoro in paesi
europei e oltreoceano. Ciò per la sociolinguistica italiana ha assunto una significativa rilevanza prima le
migrazioni interne dal sud verso il triangolo industriale Torino-Milano-Genova ed in seguito le migrazioni
esterne verso i vari paesi extracomunitari.
2.1.3 Fattori situazionali
Un diverso gruppo di fattori che incide sul comportamento linguistico è dato dall’intorno contestuale in cui
si attua la comunicazione linguistica. Ogni elemento che costituisce l’intorno di una situazione comunicativa
influenza l’uso della varietà di lingua.
Fattori situazionali: occasione – scena e ambiente – partecipanti – scopi – argomenti – canali e strumenti di
comunicazione – regole di interazione.
Importante è il fattore degli interlocutori, che sono la fonte di fenomeni di accomodamento, un processo
mediante il quale i partecipanti ad un’interazione verbale adattano vari aspetti della loro produzione
linguistica (pronuncia, lessico, etc.) modificandola sotto l’influenza del modo di parlare degli interlocutori.
Questo comportamento si manifesta come:
- convergenza = tentativo di adeguarsi allo stile verbale dell’interlocutore
- divergenza = quando un parlante per esprimere diversità accentua i tratti che differenziano la propria
varietà o il proprio stile verbale rispetto a quelli dell’interlocutore.
I fattori che costituiscono una situazione comunicativa si possono ricondurre a 3 categorie:
1. Campo = rappresentato dal genere di attività svolta nella situazione e dall’insieme dell’esperienze in essa
compresi.
2. Tenore = costituito dai ruoli sociale e comunicativi messi in atto dai partecipanti (determina il modo in cui
gli interlocutori si rivolgono l’uno all’altro).
3. Modo = mezzo o canale fisico attraverso cui si svolge la comunicazione e genere di contatto interazionale
che si attua (differenza cruciale parlato/scritto)
Il contesto situazionale richiede l’uso di concetti che si riferiscono a delle situazioni aventi tratti essenziali in
comune (luogo dell’evento, sfera degli argomenti, relazioni tra i partecipanti). In sociolinguistica per cogliere
classi omogenee di situazioni si utilizza il dominio: insieme di situazioni sociali riferita ad una stessa sfera di
esperienza e attività con la presenza comune di determinati ruoli, scopi e norme, che organizzano un
ambito specifico della vita sociale degli individui (es. di dominio: famiglia, scuola, lavoro, etc.).
Oggi molto importante come dominio è la comunicazione online. La diffusione della comunicazione
mediata dal computer (CMC) ha portato ad una serie di usi della lingua che si attuano nelle modalità di
interazione spontanea tra gli utenti. La lingua digitata nelle chat, nei blog e nei social network presenta i
caratteri di un parlato non sorvegliato in forma scritta: si parla di un Netspeak, una varietà di lingua tipica
della comunicazione nel web.
2.2 Concetti a matrice sociale importanti in sociolinguistica
Per l’interpretazione dei fatti sociolinguistici occorre introdurre alcuni concetti:
-prestigio = in generale questo termine intende una valutazione sociale positiva attribuita ad un oggetto,
fenomeno, fatto sociale; esso dipende dalla valutazione di tratti personali o sociali, che i membri di una
comunità ritengono desiderabili e meritevoli di imitazione (in termini di successo, ricchezza, immagine,
etc.).
-stigma = contrario di prestigio; designa la sanzione sociale negativa, la non accettazione sociale di un
oggetto.
In sociolinguistica si parla di prestigio come valore di una lingua per l’avanzamento sociale: prestigio
linguistico hanno le varietà di lingua il cui possesso è necessario per l’ascesa sociale.
Il prestigio di una lingua è una nozione che comprende vari fattori:
1. Atteggiamenti linguistici favorevoli dei parlanti.
2. Valore di simbolo dei valori della comunità.
3. Veicolo di ampia tradizione letteraria.
4. Viene parlata dai gruppi sociali dominanti.
Questi fattori determinano una scala di prestigio, che va da varietà alte a varietà basse. La varietà linguistica
di più alto prestigio in una società è la varietà standard.
-rete sociale (social network) = è diventata importante nell’ultimo quarto di secolo; essa è la rete costituita
dall’insieme dei legami che vi sono tra una persona di riferimento e tutte le persone con cui questa si trova
ad avere rapporti (frequenti o occasionali). Le proprietà strutturali di una rete sociale sono:
1. Densità: quantità di legami diretti effettivi in rapporto alla quantità totale di legami diretti possibili; più il
valore è vicino ad 1, più la rete è densa.
2. Molteplicità: quantità di legami multipli in rapporto alla quantità totale di legami; più il valore è vicino ad
1, più la rete è molteplice.
Una zona di rete con legami più fitti tra i membri è detta cluster (grappolo).
Una rete ha una struttura a cipolla costituita da celle concentriche:
- cella centrale, più interna (parenti stretti amici intimi, rapporti intensi)
- cella confidenziale (cerchia di amici)
- cella utilitaristica (rapporti con persone per ragioni pratiche)
- cella nominale (persone che si conoscono ma non hanno importanza affettiva)
- cella allargata, più esterna (persone che si conoscono solo parzialmente, rapporti superficiali).
La nozione di rete sociale è connessa con quella di comunità linguistica: quest’ultima può essere
considerata una somma di tante reti sociali. Inoltre da essa va tenuta distinta la nozione di comunità di
pratica: si intende un gruppo di individui che si trovano a svolgere un’attività con un determinato scopo,
possono condividere un mestiere o un’occupazione o semplicemente partecipano insieme per raggiungere
un obbiettivo.
Questa nozione viene utilizzata in sociolinguistica per osservare comportamenti e abitudini linguistiche, che
vengono condivise.
-Identità: ogni realizzazione del comportamento linguistico di un parlante può essere considerato un atto di
identità, con il quale il parlante si riconosce come appartenente ad un determinato gruppo. Ogni individuo
crea i modelli del proprio comportamento linguistico in modo da somigliare ai membri del gruppo con il
quale intende essere identificato, in modo da diversificarsi da quelli dei gruppi che sente come distinti.
L’identità è un concetto criticato dagli antropologi culturali, perché tendono a vederla come una forma di
discriminazione verso il diverso e l’altro; ma in realtà è innegabile che l’identità sia fondamentale per la
costruzione della personalità degli individui.
2.3 La lingua nella società
Finora abbiamo considerato i rapporti fra lingua e società dalla prospettiva della presenza della società per
spiegare e condizionare usi e comportamenti linguistici. È importante analizzare anche la prospettiva
opposta che vede gli usi e i comportamenti linguistici come creatori di struttura sociale e di rapporti sociali:
le lingue sarebbero il modo in cui i parlanti agiscono sulla società e costruiscono la propria identità.
L’identità sociale è un costrutto mediatore tra struttura sociale e linguaggio verbale. Un atto di identità di
appartenenza ad un gruppo si manifesta attraverso le scelte di variabili sociolinguistiche che danno luogo a
stili sociali di uso della lingua o stili verbali.
Il concetto di stile viene inteso come un insieme di preferenze e scelte nella gamma delle risorse
linguistiche a disposizione nello spazio linguistico individuale ed ha assunto grande importanza nella
sociolinguistica interpretativa.
Il concetto di stile viene contrapposto a quello di varietà, attraverso lo stile il parlante costruisce una
struttura sociale, quindi lo stile è affermazione e costruzione di identità.
Nel teorizzare come si può determinare l’identità sociale si possono contrapporre due condizioni:
- prima prospettiva, essenzialismo: secondo questa posizione esiste una struttura sociale che agisce sulla
lingua fornendo l’etichetta dell’identità; le categorie della struttura sociale esistono di per sé,
indipendentemente dai parlanti e dal loro lavoro di costruzione di identità.
- seconda prospettiva, costruttivismo: secondo questa posizione la struttura sociale è creata e mantenuta
dalla lingua; tutti gli atti linguistici compiuti costruiscono essi stessi l’identità.
Il paradigma costruttivista, anti essenzialista, sfocia nel decostruzionismo; arriva a negare, in una
prospettiva decostruzionista, ogni validità ai concetti classici della sociolinguistica: - le lingue
tradizionalmente riconosciute (italiano, inglese….) sarebbero artefatti socioculturali condizionati
dall’ideologia che li ha prodotti e corrispondono assai poco a ciò che avviene nella vita reale; il concetto di
comunità linguistica sarebbe privo di realtà oggettiva, in quanto creato e ricreato dalle scelte del parlante.
La lingua dà forma ad atteggiamenti e comportamenti sociali.
È un essenziale strumento di azione politica: è ovvia l’importanza del linguaggio verbale per la propaganda,
la persuasione e l’ottenimento del consenso. Riguardo al far politica con la lingua, ci sono 2 dimensioni
importanti:
-politically correct
-linguistica femminista
Entrambe le questioni si fondando sulla consapevolezza che la lingua sia un potente veicolo di svantaggi e
discriminazioni sociali basati su pregiudizi circa gli aspetti fondamentali della vita degli individui in una
società, che possono concernere aspetti razziali, etnici, religiosi o relativi al sesso, all’età, a disabilità di varia
natura, ecc.
Vengono dunque criticati tutti gli impieghi della lingua che danno forma a tali discriminazioni, comportando
uno svantaggio sociale delle persone che diventano oggetto di caratterizzazioni negative. Ad aggravare la
situazione è il fatto che l’impiego di certi termini crei una realtà sociale conformata secondo quei termini.
La questione è legata anche ai tabù: in ogni cultura e società esistono degli argomenti più o meno
tabuizzati, cioè soggetti ad una forma di censura che vieta o rende socialmente poco accettato il parlarne in
termini diretti.
Nel campo delle relazioni tra lingua e sesso dei parlanti, è nata una linguistica femminista, volta a criticare
la presenza del sessismo, o maschilismo, nella lingua.
In numerosi lavori è stato analizzato il pregiudizio androcentrico , vale a dire una forma di discriminazione
per cui l’impiego del genere grammaticale maschile designi sia uomini che donne o di altre categorizzazioni
grammaticali che privilegiano il maschile; si manifesta attraverso un lessico che esprime distinzioni relative
allo stato sociale per le donne ma non per gli uomini (es: signora e signorina) o che prevede l’uso di
appellativi e nomi di professioni al maschile per rivolgersi anche alle donne (es: sindaco, ministro, avvocato,
medico..).
Per ovviare a tale disparità è stato proposto di intervenire anche sulla struttura della lingua: alcune
proposte hanno avuto successo, trovando anche frequente applicazione, altre invece sono apparse poco
congrue.
La lingua ha una presenza pervasiva in tutti gli aspetti della cultura e con essa vengono gestite tutte le
azioni sociali. Vi sono dei campi dove l’utilizzo della lingua apporti un contributo specifico alla risoluzione
dei problemi e al miglioramento della vita dei cittadini. È il caso delle lingue segnate o lingue dei segni, vale
a dire sistemi di comunicazione dotati di tutte le proprietà strutturali di una lingua ma aventi come canale
di trasmissione del significante non il mezzo fonico-acustico bensì il mezzo spaziale-visivo, adottati dalle
persone prive di udito. Lingue del genere si sono sviluppate in molti paesi, tra queste vi è anche la LIS
(Lingua italiana dei segni), usata da molti non udenti e anche molti udenti per la comunicazione con non
udenti.
La lingua dei segni permette di formulare messaggi sotto forma di sequenze di segni di natura gestuale,
prodotti mediante l’utilizzo della parte superiore del corpo, delle mani e del viso.
Il ruolo della lingua è centrale nell’educazione; a proposito di ciò Bernstein, negli anni ’70, ha parlato di due
modi opposti di usare la lingua che riflettono la diversità fra due forme di relazioni sociali:
-Codice elaborato: basato su una collocazione personale dell’individuo nella società e propria del ceto
medio
-Codice ristretto: basato su una collocazione posizionale dell’individuo nella società e propria del ceto basso
La lingua ha nella società anche un enorme valore economico e commerciale. Negli anni ’80 era spesso
usato il concetto di mercato linguistico, introdotto da Bourdieu, basato sull’equiparazione delle situazioni
linguistiche ad un mercato, in cui avvengono scambi di merci e valori e in cui ogni individuo ha un suo
capitale linguistico. Le diverse varietà, le varietà alte e basse costituiscono il capitale con il quale ogni
parlante interviene sul mercato linguistico. Il valore della varietà standard sarebbe sicuramente più alto di
quella sub-standard.
Il mercato linguistico, con le sue regole tarate dall’èlite dominante, sarebbe quindi un importante ostacolo
alla mobilità sociale.
Molto importante è anche l’uso della lingua nella pubblicità, con i complessi meccanismi con cui la lingua
viene utilizzata come strumento di induzione al consumo di merci e servizi.
Si è sviluppato su temi del genere un settore di ricerca interdisciplinare tra sociolinguistica e scienze
economiche, l’economia delle lingue. Lingua ed economia sono in rapporti molto stretti, ma la lingua ha
sempre un parte inosservata e automatica; nella vita economica come in molti altri settori della vita,tutte le
fasi essenziali della vita economica si svolgono in un determinato contesto linguistico e l’attività linguistica è
un componente diretto del loro svolgersi.
La lingua costituisce un valore, una risorsa misurabile economicamente. Esiste quindi un valore
commerciale delle competenze linguistiche che in determinati contesti può portare a differenze salariali
Anche l’uso delle lingue nelle imprese è diventato oggetto di attenzione da parte della sociolinguistica, in
particolare ai problemi del multilinguismo. In questo settore, la situazione italiana per quanto riguarda l’uso
delle lingue estere appare più arretrata.
Il valore economico delle lingue riporta al grande problema dell’egemonia mondiale dell’inglese. La
diffusione e la predominanza dell’inglese in tutte le attività economiche, tecnologiche, comunicative e nei
rapporti internazionali ha portato ad una situazione straordinaria, mai verificatasi in nessun altra epoca
storica, con una lingua che conta un numero di parlanti non nativi ben più alto di quello dei parlanti nativi,
oltre ad essere la lingua di default utilizzata nei rapporti internazionali.
Di fronte al predominio dell’inglese, tutte le altre lingue, anche le più grandi, cominciano a diventare lingue
meno sviluppate; inoltre molte piccole lingue, con pochi o pochissimi parlanti, stanno scomparendo.
La possibile morte di tante lingue mette a repentaglio il mantenimento della diversità culturale e non
stupisce come la questione dei diritti linguistici sia diventata centrale negli ultimi tempi. Questi
racchiudono, fra tanti, il diritto di singoli individui o di una collettività ad usare la propria lingua materna,
anche nel caso si tratti di una lingua minoritaria, diversa da quella ufficiale. Su questo tema ricordiamo la
“Dichiarazione universale sui diritti linguistici” del 1996 formulata a Barcellona.
Rientrano nel discorso sui diritti linguistici anche i tentativi di aggiornamento e semplificazione del
linguaggio burocratico e amministrativo, per migliorare l’accessibilità e la fruibilità dei testi burocratici da
parte dei cittadini, tentativi volti ad eliminare le discriminazioni a base linguistica di cui si è parlato in
precedenza.
CAPITOLO 3: Sociologia delle lingue
3.1 Status e funzione di una lingua
Una delle questioni centrali da affrontare, quando si adotta il punto di vista della sociologia delle lingue, è
indagare la ‘posizione sociale’ delle lingue all’interno di una comunità attraverso i concetti di status e
funzione.
Lo status è definito dagli usi a cui una lingua può eseguire in una certa comunità. Si intende ciò che con
questa si può fare.
La funzione, invece, dagli usi che questa effettivamente compie. Cioè che con essa davvero si fa, sul piano
legale, culturale, economico, politico, sociale, in una data comunità.
Lo status e la funzione di una lingua sono evidentemente in correlazione con il prestigio che questa gode.
Per poter svolgere una certa funzione, e dunque aver un certo status, una lingua deve possedere
determinate caratteristiche, dette attributi. Gli attributi consentono di individuare tipi funzionali di lingua.
Un tipo di funzionale è identificato in base al genere di usi a cui una lingua è destinata in una comunità, e
dunque in base allo status che le è riconosciuto. Gli attributi che concorrono a definire lo status di una
c) lo status giuridico e legale di una lingua: un altro gruppo di attributi è riconducibile a fattori di carattere
linguistico:
-grado di elaborazione: Il primo fattore rimanda al concetto di lingua per elaborazione, col quale si intende
una lingua dotata di un consolidato sistema di scrittura, in grado di soddisfare tutte le esigenze di una
società legate ad attività sociali, culturali, scientifiche e tecnologiche. Kloss individuò diversi gradi
progressivi di elaborazione sulla combinazione fra livello educativo e genere degli argomenti dei testi:
l’essere usata per produrre testi di scuola elementare su temi attinenti a storia e tardizione locale
rappresenta la condizione minima sufficiente per raggiungere il primo grado di elaborazione. Un altro
requisito necessario è la grafia, un aspetto oggettivo molto importante per lo status di una lingua
specialmente un importante sociale simbolica, di veicolo di identità e anche di discriminazione nei confronti
degli ‘altri’. Raggiungono il grado massimo di elaborazione quelle lingue in grado di produrre testi di
qualsiasi argomento ed indirizzabili a qualsiasi livello educativo. Hanno un grado di elaborazione basso le
lingue codificate di recente; al contrario raggiungono il livello massimo le lingue completamente sviluppate.
-grado di standardizzazione: il processo di standardizzazione di una lingua venne definito da Haugen in 4
fasi, la prima dove si opera la scelta della o delle varietà alla base di quello che sarà poi lo standard, la
seconda di codificazione in cui avviene la fissazione delle regole normative, la terza dedicata alla diffusione
ed accettazione in una comunità, la quarta ed ultima dove si sviluppano funzioni e domini nella norma. Il
processo di standardizzazione può essere contrassegnato da una ridefinizione periodica di ciò che è
standard e di ciò che non lo è.
-vitalità di una lingua: un altro fattore linguistico da considerare è la vitalità di una lingua. La nozione di
vitalità va intesa in due sensi:
1) vitalità esterna (sociolinguistica) si fonda principalmente sugli usi di una lingua nella società e sulla
continuità della sua trasmissione da una generazione all’altra.
2) vitalità interna (linguistica) riguarda il mantenimento delle caratteristiche strutturali e semantico-lessicali
di una lingua e la produttività delle sue regole, anche in termini della capacità di reagire all’influenza di
lingue socialmente e culturalmente dominanti.
L’essere vitale rappresenta per una lingua la condizione inversa dell’essere minacciata (endangered); una
lingua minacciata è una lingua che perde progressivamente domini di impiego e parlanti, e che quindi corre
il rischio di estinguersi. Il grado di vitalità o di minaccia di una lingua può essere misurato in rapporto ad
alcuni parametri che definiscono l’indice unesco:
1) Trasmissione intergenerazionale
Numero assoluto si parlanti
Proporzione di parlanti rispetto alla popolazione totale della comunità
Perdita di domini d’impiego
Uso in nuovi domini e nuovi media
Materiali per l’educazione linguistica e l’alfabetizzazione
Atteggiamenti e politiche linguistiche delle istituzioni
Atteggiamenti dei parlanti nei confronti della loro lingua,
Ammontare e qualità della documentazione sulla lingua
La vitalità di una lingua è da valutare in relazione alla totalità di questi parametri, non è cioè riconducibile a
uno soltanto o ad alcuni soltanto di questi parametri. Tra le lingue più minacciate in Europa troviamo
alcune lingue sami, parlate in Svezia e Finlandia, il casciubo in Polonia, il frisone settentrionale in Germania,
il piccardo in Belgio e Francia.
-codificato: è definito dall’esistenza di un corpo riconosciuto di regole normative di riferimento, sul quale si
basano le prescrizioni relative all’uso corretto di una lingua. Le regole sono fissate in grammatiche e
dizionari.
-sovraregionale: le norme che costituiscono lo standard sono unitarie e perciò diffuse in maniera
indifferenziata in tutto il territorio, generalmente nazionale, in cui è collocata la comunità parlante.
-Elaborato: adatto a tutti gli usi e i domini di impiego di una lingua, lessicalmente e strutturalmente più
complesso del sub-standard.
-di prestigio: l’uso della varietà standard è praticato e sostenuto principalmente dai ceti sociali alti e con un
grado elevato di istruzione.
-invariante: lo standard è uniforme, non prevede la scelta di regole diverse da quelle codificate
normativamente, non conosce variazione interna.
-stabile e al tempo stesso flessibile: fissato stabilmente in sincronia ma può essere soggetto a cambiamenti
in diacronia.
-scritto: lo standard esiste in forma scritta e presenta tutti i caratteri strutturali di un tipico testo scritto.
Tuttavia nella formazione di uno standard, la discriminante per eccellenza è il processo di codificazione
all’interno del quale intervengono più agenti: le principali forze sociali attive nel determinare cosa sia
standard sono i parlanti e gli scriventi professionisti, i codici linguistici (grammatiche e dizionari), le autorità
normative. Esercitano un ruolo indiretto e limitato i parlanti comuni.
Alla nozione di lingua standard si oppone quella di dialetto. Un dialetto è un sistema linguistico subordinato
a una lingua standard con la quale è strettamente imparentato, e in confronto alla quale ha una diffusione
areale più limitata; un dialetto ha poi una propria storia e una propria struttura. Ad esempio, i dialetti
italiani o meglio italo-romanzi, sono subordinati all’italiano, nel senso che i primi coprono gli usi ‘bassi’,
proprio di situazioni socialmente non impegnative, mentre il secondo assolve gli usi ‘alti’, tipici di situazioni
formati e pubbliche. Questi dialetti dell’italiano Coseriu li definisce varietà sorelle, dialetti primari.
I dialetti italo-romanzi hanno infatti una propria storia autonoma, parallela a quella del ‘dialetto’ che poi è
stato promosso standard. Il fiorentino venne progressivamente a acquisire prestigio fino a ad essere
codificato come italiano standard nel Cinquecento; la promozione del fiorentino a lingua standard relegò gli
altri volgari a ‘dialetti’. I vari dialetti parlanti oggi rappresentano quindi ciascuno la prosecuzione di un
volgare romanzo coevo del fiorentino, che è il volgare alla base dell’italiano standard.
I dialetti italo-romanzi hanno una certa distanza strutturale dall’italiano, non solo nel lessico e nella fonetica
ma anche nella morfologia e sintassi.
A questo proposito è interessante inserire il concetto di lingua per distanziazione. Con questo termine ci si
riferisce a una lingua riconosciuta come lingua a sé in virtù delle proprie caratteristiche strutturali, che a
tutti i livelli d’analisi la contraddistinguono e la differenziano da altre lingue. La distanza linguistica è difficile
da quantificare e bisogna tener conto di criteri sociologici e linguistici come il grado di reciproca
comprensibilità e la coscienza linguistica dei membri delle comunità.
La nozione di lingua per distanziazione può opporsi a quella di lingua per elaborazione, permettendo così di
ricondurre tutte le lingue storico-naturali esistenti ad almeno tre tipi di casi:
-lingue sia per distanziazione sia per elaborazione: lingue a sé stanti che si differenziano da altre lingue per
la propria struttura intera, in grado d soddisfare tutti i bisogni di una società.
-lingue per distanziazione ma non per elaborazione: è il caso delle migliaia di piccole lingue indigene
parlante in Africa, Asia e Oceania che non hanno una forma e un uso scritti.
-lingue per elaborazione ma non per distanziazione: lo slovacco e il ceco, il serbo e il croato, che non si
distinguono reciprocamente in virtù di caratteristiche strutturali ma che, per ragioni culturali e storico-
politiche, hanno sviluppato un certo grado di elaborazione e un proprio standard autonomamente l’una
dall’altra.
In virtù di quanto si diceva prima, un dialetto può essere considerato un sistema linguistico con un
sufficiente grado di distanziazione ma con un grado minimo di elaborazione rispetto alla lingua standard.
Un dialetto conosce variazione interna, ovvero presenta fenomeni di alternanza tra forme diverse
equivalenti; è dunque articolato al suo interno in varietà.
Può accadere che, per ragioni culturali, letterarie, storico-politiche o economiche, un dialetto venga
comunità linguistica. Si possono avere repertori sia monolingui che plurilingui da cui deriva il
plurilinguismo, il termine comune per designare insieme sia le situazioni bilingui che quelle multilingui.
Una distinzione preliminare molto importante quando si tratta del plurilinguismo è quella fra bilinguismo
sociale, prendendo come unità di riferimento una comunità o un gruppo, e bilinguismo individuale,
prendendo come punto di riferimento il singolo individuo. In un repertorio plurilingue vi sarà una
distribuzione funzionalmente diversa delle lingue, alcune destinate ad usi alti, mentre altre legate ad usi
bassi.
I repertori plurilingui presentano di solito una certa configurazione di dominanza, vale a dire una situazione
che vede una lingua dominare l’altra, in base a criteri come la frequenza d’uso, le funzioni a cui è adibita,
l’utilità nella comunicazione, le preferenze e le rappresentazioni dei parlanti ecc.
Bisogna anche distinguere il repertorio linguistico comunitario dal repertorio linguistico individuale.
Il repertorio linguistico dell’individuo rappresenta un sottoinsieme di quello comunitario, ma condivide con
gli altri membri della comunità le norme di impiego, lo status e le funzioni di quelle lingue.
Possiamo introdurre alcune distinzioni per definire tipi sociolinguistici diversi di bilinguismo:
PRIMA OPPOSIZIONE
-bilinguismo endogeno: si intende la compresenza di due o più lingue storicamente radicate, autoctone.
-bilinguismo esogeno: la compresenza di due o più lingue dovuta a un apporto esterno immigratorio in età
contemporanea.
SECONDA OPPOSIZIONE
-bilinguismo monocomunitario: data una certa entità territoriale in cui sono parlate due o più lingue, i
parlanti di quella entità siano tutti bilingui e costituiscono quindi un’unica comunità linguistica, omogenea;
-bilinguismo bicomunitario: in una certa entità territoriale, esistano due o più sotto-comunità diverse,
ciascuna delle quali caratterizzata dall’impiego pressoché esclusivo di una delle lingue e pochi parlanti di
quell’entità sono realmente bilingui.
TERZA OPPOSIZIONE
-bilinguismo di diritto: la compresenza di lingue diverse può essere riconosciuta ufficialmente nella
legislazione e nelle istituzioni.
-bilinguismo di fatto: quando manca un riconoscimento giuridico.
Per quanto riguarda la compresenza di lingue differenziate funzionalmente si possono riconoscere tre tipi
diversi di repertorio:
1) Diglossia, teorizzata da Ferguson e rimasta a lungo il concetto fondamentale in questo settore di
indagine, identifica un tipo di repertorio linguistico che presenta le caratteristiche seguenti.
Sono usate in una comunità due lingue, relativamente lontane sul piano strutturale ma delle quali soltanto
una è pienamente elaborata. (A italiano, B dialetti italo-romanzi fino all’Ottocento)
A= lingua standardizzata che gode di una prestigiosa tradizione letteraria;
appresa attraverso la scolarizzazione;
usata dalla comunità nello scritto e nel parlato formale;
B= lingua appresa nella socializzazione primaria; usata dalla comunità esclusivamente nel parlato informale
Non vi è sovrapposizione tra A e B.
2) Dilalia, si ha quando all’intero di una stessa comunità sono compresenti due lingue strutturalmente
diverse (A tedesco, B dialetti tedeschi)
A = destinata agli usi alti
B = destinata agli usi ‘bassi’
-A e B possono essere anche usate o accettate paritariamente, quindi sia A che B sono impiegate nella
conversazione ordinaria (uso alternato).
La dilalia identifica il tipo di repertorio linguistico caratteristico della maggior parte dell’area italo-romanza.
3) Bidialettismo, non coesistono due lingue strutturalmente diverse ma due varietà di una stessa lingua.
A = varietà standard
B = varietà geografiche o sociali
Esistono domini in cui sono usate sia A che B, anche se di norma solo B viene usata nella conversazione
ordinaria.
In questo quadro si possono riconoscere ulteriori specificazioni. La diacrolettia è una situazione simile alla
dilalia nella quale però c’è compresenza di A e B non nella conversazione ordinaria e negli usi bassi, ma
nello scritto e negli usi alti.
3.4 Contatto linguistico
La compresenza di due o più lingue nel repertorio linguistico di una comunità o di un individuo, o in un
certo territorio danno vita a situazioni di contatto linguistico.
La nozione di contatto linguistico può essere considerata o dalla prospettiva dei parlanti o dalla prospettiva
dei sistemi linguistici.
-Nella prima prospettiva, due lingue sono in contatto quando sono padroneggiate entrambe in qualche
misura da uno o più parlanti.
-Nella seconda, due lingue sono in contatto quando le loro strutture sono esposte all’azione dell’una
sull’altra, ovvero quando sono soggette al trasferimento dell’una all’altra di elementi linguistici.
Due o più lingue possono essere in contatto anche in assenza di parlanti bilingui, è sufficiente che ci siano
dei rapporti tra comunità o parlanti di lingue diverse.
Si hanno situazioni di contatto differenti in dipendenza da fattori sociali e culturali; una distinzione è tra
contatto orizzontale (quando le lingue coinvolte sono comparabili sul piano dell’importanza
socioeconomica e culturale) e verticale (quando una delle due lingue ha prestigio maggiore rispetto
all’altra, dominante rispetto all’altra). Il contatto fra due lingue può essere duraturo e quindi stabile nel
tempo oppure circoscritto a un periodo limitato; così come può essere intensivo oppure occasionale a
seconda di quanto siano fitti i rapporti fra i parlanti delle lingue interessate
Il contatto fra lingue provoca sempre passaggio di materiali e/o caratteri strutturali. Si può a questo
proposito parlare di contatto:
-unidirezionale: è una sola delle due lingue in contatto ad accogliere elementi dall’altra.
-bidirezionale: il trasferimento di elementi è reciproco.
Quando un elemento viene trasferito da una lingua a un’altra, la lingua da cui quell’elemento proviene è
detta lingua forte, mentre la lingua nella quale esso entra è detta lingua ricevente o lingua replica.
Il contatto tra lingue dà luogo a un’ampia gamma di fenomeni linguistici. Per poterli classificare, è
opportuno differenziare i fenomeni di contatto che avvengono nel sistema (si manifestano nelle strutture
del sistema linguistico) da quelli che avvengono nel discorso (si manifestano nell’uso di più lingue in una
certa situazione comunicativa).
I fenomeni che riguardano il sistema possono essere ulteriormente distinti in due tipi:
-il trasferimento che comporta il passaggio di materiale linguistico, realizzato foneticamente; in primo luogo
parole, ma anche singoli fenomeni o morfemi;
-il trasferimento di pattern strutturali astratti, quali categorie grammaticali, proprietà, regole, schemi
sintattici e significati, replicati nella lingua ricevente con il materiale linguistico già esistente in questa.
Si creano in questo modo casi di prestito di parole, proprio del normale funzionamento di ogni lingua;
l’italiano, ha assunto com’è ovvio vari prestiti dalle lingue con cui è entrato in contatto, e nella sua storia più
recente in particolar modo dall’inglese. I prestiti conoscono quasi sempre un adattamento, più o meno
parziale, alle regole della lingua ricevente finendo così per essere integrati nel sistema di quella lingua.
A livello lessicale si possono avere anche fenomeni di interferenza, il caso tipico è quello del calco.
A tal proposito, una distinzione essenziale è quella tra calco strutturale e calco semantico: il primo riguarda
non una parola nella sua forma esteriore ma la struttura interna, il secondo riguarda il significato che quella
parola presenta nella lingua fonte, replicato con il materiale linguistico a disposizione nella lingua ricevente.
Le manifestazioni del contatto nel discorso vengono in genere trattate sotto il nome complessivo di
commutazione di codice o code-switching che comprende tipi diversi di fenomeni:
-Commutazione interfrasale: caso in cui con uno stesso interlocutore si producono frasi in lingue diverse
-Commutazione intrafrasale o code-mixing: caso in cui con uno stesso interlocutore si usano lingue diverse
in una stessa frase.
-Commutazione extrafrasale o tag switching: caso in cui la commutazione di codice coinvolge elementi non
integrati nella struttura frasale.
Come fenomeni di commutazione di codice vengono spesso trattate anche le manifestazioni del contatto al
di sotto del livello della parola, il cui risultato sono parole costruite con morfemi provenienti da due lingue
Un altro esito non estremo del contatto linguistico è la formazione di interlingue dette anche varietà di
apprendimento.
3.5 Pianificazione linguistica
La posizione sociale di una lingua ed i rapporti gerarchici tra le lingue compresenti in un repertorio,
possono essere soggetti ad interventi programmati volti a modificarli.
L’insieme dei provvedimenti di qualsiasi natura prende il nome di pianificazione linguistica.
Occorre distinguere tra pianificazione linguistica e politica linguistica. Con quest’ultimo termine si designa
la gamma di azioni, pubbliche e istituzionali, volte a diffondere determinate concezioni ideologiche dei
rapporti fra lingue, a influenzare gli atteggiamenti dei membri di una società nei confronti delle lingue del
repertorio e dunque a orientarne i comportamenti linguistici.
Le attività di pianificazione linguistica interessano prevalentemente la tutela di lingue minoritarie o
minacciate, quindi soggette alla perdita di domini d’uso e parlanti.
Le iniziative di pianificazione linguistica possono essere di due tipi:
-revival di lingua: reintroduzione nell’uso di una lingua che di fatto non è più praticata e che non ha più
parlanti nativi.
-rivitalizzazione di lingua: incremento dei domini e delle fasce sociali di impiego di una lingua che ha ancora
parlanti nativi.
Le attività di pianificazione linguistica possono essere di due tipi:
-corpus planning: interviene sulla forma interna, sui tratti linguistici della lingua oggetto di pianificazione; si
prende in considerazione sempre una lingua subordinata perché riesca a competere con la lingua
dominante. Per fare questo bisogna sottoporre la lingua ad interventi di codificazione ed ampliamento delle
risorse linguistiche e portano alla standardizzazione della lingua. La prima misura è la scelta della lingua da
prendere come riferimento per la costituzione della norma, una volta individuata si stabilisce quale
scrittura adottare, elaborare un’ortografia, decidere morfologia e sintassi, definire lessico standard.
-status planning: consistono da un lato nella regolamentazione normativa dei diritti linguistici di una
popolazione, ovvero nell’attuazione dei diritti di singoli individui o di collettività relativi all’uso di una certa
lingua, e dall’altro nella promozione sociale di quella lingua, tesa a rafforzare i domini di impiego e ad
aumentare il numero di parlanti. A questa misura ci si riferisce anche come acquisition planning.
Soggetto a interventi di pianificazione linguistica è il diritto ad usare nei rapporti sociali e pubblici la propria
lingua materna anche quando questa è diversa dalla lingua standard o da quella ufficiale; si tratta di un
diritto sancito dalla Dichiarazione universale sui diritti linguistici.
Le attività di pianificazione hanno l’obiettivo di opporsi a processi di sostituzione di lingua e alla protezione
del plurilinguismo ma nonostante ciò ci sono dei casi dove si mira alla riduzione del plurilinguismo,
promuovendo una lingua dominante a scapito di un’altra.
Si parla spesso anche di paesaggio linguistico con cui si intende la presenza visuale della lingua nella società
e nel paesaggio di un dato territorio (insegne, cartelli, nomi di vie ecc..), cioè in tutti i segni di carattere
pubblico e commerciale scritti in linguaggio verbale presenti in una determinata area.
CAPITOLO 4: Sociolinguistica e variazione
4.1 La variazione sociolinguistica
Uno dei caratteri più appariscenti quando si studia una lingua è la sua grande varietà di manifestazione: i
parlanti di una lingua la usano in maniera diversa a seconda della loro collocazione sociale, del loro grado di
istruzione, della loro provenienza geografica, dei gruppi sociali a cui appartengono ecc..; un singolo
parlante usa la propria lingua in maniere diverse a seconda degli ambienti e delle situazioni a cui si trova a
partecipare, delle intenzioni comunicative che ha, degli interlocutori a cui si rivolge ecc. L’insieme di tutte
queste differenziazioni costituisce il campo della variazione. La variazione è la proprietà di un’entità di
assumere forme diverse, di presentarsi sotto manifestazioni differenti e si può considerare una proprietà
universale del linguaggio umano.
4.2 Variabili sociolinguistiche
Una delle nozioni cardine in questo campo è la variabile sociolinguistica si può definire come un insieme di
modi diversi di dire la stessa cosa, ognuno dei quali è correlato a qualche tratto extralinguistico. Ciascuno di
questi modi diversi è una variante. Una delle varianti di una variabile è sempre la variante standard, le altre
stanno nell’accuratezza del parlare o nella caratterizzazione socio-geografica.
Nella situazione italiana sono numerose le variabili sociolinguistiche che variano in relazione alla
provenienza geografica dei parlanti. Si è osservato inoltre che in alcune comunità di parlanti le variabili
sociolinguistiche sono sensibili alla variazione sia sociale che situazionale: avremo quindi una distribizione
delle variabili chiamata distribuzione di prestigio o variabili laboviane.
I lavori di Labov negli anni ’60 ’70 utilizzano diagrammi cartesiani per dar conto del comportamento di una
variabile sociolinguistica di un certo corpus di materiali; questi diagrammi rappresentano strutture
sociolinguistiche che nel loro insieme spiegano la ‘ordinata eterogeneità’ dei parlanti. Le variabili vengono
così spiegate da Labov:
1-Una variabile come (th) in inglese di New York è sensibile contemporaneamente sia alla variazione sociale
che alla variazione situazionale, e dunque può intervenire nella differenziazione sia fra classi sociali che fra
stili di parlato, è detta da Labov marker ovvero contrassegno (o differenziatore). Sempre nell’inglese di New
York, ad es. la variabile (r) in posizione postvocalica, preconsonantica o finale di parola presenta la variante
standard e la variante sub-standard.
2-Nei contesti più formali la lower middle class tende ad esibire un comportamento più attento alla
pronuncia standard rispetto a quello della upper middle class. Questo fenomeno è chiamato da Labov
ipercorrezione e si relaziona con l’imporsi del modello di prestigio presso la classe che più coltiva aspirazioni
di avanzamento sociale.
3-In parole come father, path o cart nell’inglese di Norwich la variabile ha una variante standard e diverse
varianti sub-standard caratterizzate da gradi progressivi di anteriorizzazione della vocale. Qui le varianti
sub-standard differiscono da classe sociale a classe sociale ma, per ogni classe sociale, non variano da
contesto situazionale a contesto situazionale, ossia in dipendenza del grado di formalità/informalità.
Questa stuttura sociolinguistica è sensibile a una variante sociale ma non situazionale ed è detta indicator
ovvero indicatore (di classe sociale).
4-Nel persiano di Teheran, la realizzazione della variante sub-standard differisce da contesto situazionale a
contesto situazionale ma non variano da classe sociale a classe sociale. Una struttura sociolinguistica come
questa è detta stereotype ovvero stereotipo.
varianti di una variabile e dai rapporti gerarchici esistenti tra questi fattori. Ad ogni fattore linguistico la
regola assegna un certo indice di probabilità connotato dall’uso di lettere greche. Questa probabilità viene
calcolata attraverso sistemi informatici. Questo studio permette di scoprire quale fattore influenzi in modo
più forte la variazione nella produzione di una certa parola. Le regole variabili presentano però un certo
numero di nodi problematici: uno dei primi messi in luce dagli studiosi è che per esempio, non vi è certezza
che la variazione venga effettua da un parlante solo per esecuzione oppure per competenza.
4.4 Scale di implicazione
Il modello delle scale di implicazione ha invece per obbiettivo l’identificazione e l’analisi di relazioni di
implicazione nell’uso di variabili linguistiche e nella realizzazione delle varianti di quelle variabili. Nella sua
concezione originaria tale modello si propone come modello di descrizione e analisi della variazione
intralinguistica alternativo a quello laboviano fondato su regole variabili. L’introduzione di questo modello si
deve agli studiosi di lingue pidgin e creole come DeCamp e Bickerton, per i quali una scala di implicazione
non rappresenta soltanto uno strumento di descrizione di rapporti tra variabili e tra varianti, ma un modello
della competenza linguistica, in cui la variabilità sia elemento costitutivo. Una scala di implicazione raffigura
un continuum di varietà di lingua, legate fra loro da una serie di implicazioni fra tratti linguistici e
identificate ciascuna da una particolare combinazione di tratti.
Negli sviluppi successivi del modello, si è iniziato a rappresentare nelle scale di implicazione anche la
realizzazione variabile delle varianti. L’analisi implicazione è venuta così ad esprimere non soltanto regole
realizzate categoricamente ma anche regole realizzate variabilmente, nella direzione di un’integrazione fra
due modelli differenti.
Si hanno delle scale di implicazione con uscite binarie significa individuare una serie di variabili che
presentino a coppie una relazione implicativa, per cui la presenza di una variante implica la presenza di
un’altra. Costruire una scala di implicazione consente quindi, oltre che di fare ordine nella variabilità, di
scoprire l’esistenza di restrizioni alla gamma di variazione possibile, mostrando come il numero di
combinazioni possibili.
E poi si hanno delle scale di implicazione con uscite variabili, e più in particolare con valori di frequenza,
prevede che un certo valore in una casella della matrice comporti valori equivalenti o superiori a sinistra e
sopra di sé, e valori equivalenti o inferiori a destra e sotto di sé.
Accade spesso, in entrambe le tabelle, che il valore di un certo numero di caselle non rispetti lo schema
implicazionale previsto e in questo caso interviene un indice di scalabilità che va a garantire la validità di
una scala di implicazione.
4.5 Modelli di variazione
Il concetto di variabile sociolinguistica poggia su una concezione di variazione come proprietà dei punti del
sistema linguistico di poter essere realizzati con forme superficiali differenti correlati a significati sociali
differenti. Nel modello laboviano di variazione:
- la variazione occupa una posizione interna al sistema linguistico;
- la variazione opera ‘in superficie’, preservando l’invariabilità delle strutture retrostanti;
- l’individuo, ossia il parlante nativo di una lingua, ha competenza di una sola grammatica, che quindi
contiene al suo interno variabilità;
- la grammatica dell’individuo è isomorfa alla grammatica di una comunità linguistica;
- i membri di una stessa comunità linguistica condividono uno stesso insieme di regole;
- le regole sono realizzate variabilmente;
- i giudizi di grammaticalità dei parlanti non riflettono differenze strutturali.
Secondo l’approccio generativista tradizionale, invece, la variazione è data dalla scelta fra regole diverse
(grammatiche diverse), ciascuna delle quali realizzata categoricamente e dove la scelta fra regole diverse
implica la conoscenza di grammatiche diverse. Questo modello colloca la variazione come esterna al
sistema linguistico.
In tempi moderni, la ricerca in linguistica si basa su quello che da Chomsky (1995) viene chiamato
programma minimalista, che mira a ridurre al minimo indispensabile l’apparato teorico necessario per
spiegare le frasi. Non ci sono più le regole precedenti, ma rimangono una serie ridotta di ’principi’ e un
certo numero di ‘parametri’ che operano sulla grammatica universale. I principi sono proprietà universali
condivise da tutte le lingue del mondo; mentre i parametri riguardano la variazione fra lingue diverse.
Questa sistematizzazione teorica è stata formula negli anni ’60 da Coseriu e negli anni successivi si sono
successe delle variazioni. Negli anni ’80, infatti, Mioni ha introdotto una quarta variazione dimensione di
variazione sincronica: la diamesia ovvero una lingua varia in dipendenza del canale fisico di comunicazione
dando luogo all’opposizione fra uso scritto e parlato. E poi una quinta: la diacronia cioè la lingua varia
attraverso il tempo. Ogni messaggio linguistico ha sempre una sua collocazione in ciascune delle dimensioni
di variazione. Quando è possibile rintracciare una variabile sociolinguistica sulla base di queste dimensioni e
che quindi non corrisponde allo standard, si dice che possiede marcatezza sociolinguistica. Le dimensioni di
variazione sono in rapporto fra di loro, esistono, infatti, rapporti fra dimensioni di variazione. La dimensione
di variazione primaria sia la diatopica mentre la seconda è la diastratia. La dimensione diafasica oper
all’interno di queste due.
4.7.1 Diafasia e diamesia
È possibile riconoscere due sottodimensioni della variazione diafasica: la variazione di sottocodice e la
variazione di registro. Campo, tenore e modo sono considerati i tre fattori principali che intervengono a
determinare la variazione della lingua attraverso le situazioni. Al primo fattore, il campo, è connessa una
sottodimensione che è il sottocodice ovvero la lingua varia in dipendenza alla natura dell’attività svolta nella
situazione e dall’argomento di riferimento. Al secondo fattore è connessa un’altra sottodimensione detta
registro, cioè si intende che la variazione di registro è determinata dai ruoli sociali e comunicativi dei
partecipanti a un’interazione verbale, da rapporti di ruolo/distanza fra gli interlocutori e dal livello di
formalità/informalità. I registri si collocano su una scala che va dal più al meno formale. Al terzo fattore,
infine, è connessa la variazione diamesica ovvero la variazione della lingua in relazione alla distinzione fra
scritto e parlato. La dicotomia fra scritto e parlare può avere due ulteriori distinzioni: grafico e fonico.
Da ciò ne scaturisce la seguente quadripartizione: 1. parlato grafico (trascrizione testi orali); 2. scritto
grafico (comunicazione scritta tradizionale); 3. parlato fonico (parlato spontaneo); 4. scritto fonico (lettura
testi scritti). Il parlato viene definito la lingua dell’immediatezza, della vicinanza comunicativa mentre lo
scritto viene descritto come la lingua della distanza comunicativa. L’opposizione fra parlato e scritto è in
realtà un continuum e nella zona intermedia si colloca il parlato trasmesso, vale a dire la lingua
rappresentata quotidianamente nella televisione e nella radio.
La conversazione viene ultimamente chiamata anche con il termine dialogo, dove però viene messo più in
evidenza il carattere di scambio comunicativo fra 2 o più persone e che si incentra su una sequenza di
battute, domande, risposte, commenti...
L’analisi strutturale della conversazione si è sviluppata negli anni 70 attraverso la prospettiva
dell’etnometodologia, una corrente delle scienze sociali così definita perché si proponeva di studiare i
metodi con i quali i membri di una comunità sociale cercano di dare ordine e normalità al mondo in cui
vivono.
Nel caso dell’attività linguistica si tratta di individuare i meccanismi, le strategie e le tecniche che i parlanti,
in quanto partecipanti di interazioni verbali, mettono in opera nel classificare, regolare, orientare le loro
azioni verbali reciproche.
In questa prospettiva la conversazione risulta un’attività socialmente organizzata che mostra anzitutto una
struttura sequenziale, cioè costituita da segmenti che si susseguono e che di solito vengono detti turni o
mosse; con “mossa” si intendo ogni atto linguistico compiuto dal parlante.
Un primo meccanismo fondamentale della conversazione sta nell'allocazione dei turni cioè nel modo in cui
avviene l’alternanza dei turni fra i partecipanti della conversazione. A organizzare i diversi interventi dei
parlanti nella conversazione è una regola di base che prevede che parli almeno un partecipante alla volta: il
silenzio da un lato e il sovrapporsi di interventi dall' altro sono due circostanze che pur verificandosi spesso,
sono dispreferite (non sono accette).
Da ciò ne discendono due principi fondamentali per evitare il silenzio e le sovrapposizioni. Il partecipante
che sta parlando può esercitare tre tipi di controllo sul turno successivo, in primis può scegliere il
partecipante che interverrà nominandolo direttamente, indicandolo, alludendovi e/o scegliendo il tipo di
intervento che questi dovrà fare. In questo caso produrrà il primo membro di una coppia adiacente o
sequenze complementari, due turni strettamente interconnessi fra di loro. Poi può scegliere il tipo
successivo di intervento ma non il parlante oppure può non effettuare nessuna scelta, lasciando che i
parlanti successivi si autoselezionano con un intervento.
Dal canto suo, il partecipante, selezionato o no dal parlante, che interviene successivamente capisce
quando è il momento di intervenire sulla base di un punto di possibile completamento: il nuovo parlante
può prendere la parola ogni volta che il partecipante che sta parlando termina la frase o compie una pausa.
Ogni punto di transazione (vale a dire il momento in cui avviene il cambio di turno fra parlanti) viene reso
effettivo mediante segnali di terminazione (un cambiamento del tono, del volume della voce sguardi e
movimenti del capo e delle mani...).
Il parlante che prende la parola segnala a sua volta l'avvio del suo intervento con vari comportamenti,
chiamati marcatori discorsivi: gesticolazione, attacco intonativo, forme linguistiche stereotipate (marcatori
o segnali discorsivi); tipici segnali di apertura sono per es: allora, dunque, ecco, bene, si, ecc...
Il silenzio alla fine di un turno ha valore comunicativo: non significa assenza di interazione ma viene in
genere interpretato come momento costitutivo di un intervento, come inizio dell’intervento del parlante
successivo o come pausa fra continuazioni dello stesso parlante.
Per quel che riguarda l’argomento e l’andamento tematico della conversazione, è necessario tener presente
che le “cose dicibili” in una conversazione dipendono dai limiti dell’utente, dal tipo di situazione e dal
dominio a cui questa appartiene.
un caso particolare della conversazione è quando si presentano dei blocchi compatti e omogenei di
argomenti costituiti dal racconto di un evento da parte di un parlante rappresentano quelle che vengono
chiamate storie; una storia comporta una sospensione del normale meccanismo di allocazione dei turni.
Spesso però si crea un conflitto di argomento, più parlanti introducono un argomento diverso, la cui
soluzione viene cercata la riparazione, un meccanismo che intervien ogni volta che ci sono disturbi e
problemi che turbano e ostacolano il flusso dell' interazione( es: incomprensioni del significato di
espressioni, diversità etniche e culturali fra i partecipanti , competenza linguistica, ecc...)
Fra questi le più frequenti sono le procedure di auto-riparazione legate a fraintendimenti ed
incomprensioni.
Metodi qualitativi e metodi quantitativi sono due versanti entrambi importanti e necessari della ricerca
sociolinguistica e i due si completano a vicenda.
I dati che costituiscono il corpus di riferimento possono variare molto in natura. Possono essere dati
linguistici che a loro volta possono essere si dividono in naturalistici (osservati nel comportamento
spontaneo dei parlanti) ed elicitati (ricavati da interviste e fatti produrre dei parlanti attraverso un
determinato input od opportune domande) oppure possiamo trovare i dati sperimentali, ottenuti secondo
determinati requisiti tecnici con l’impiego distrumentazione apposita e per concludere i dati extralinguistici
(sociali, antropologici, comportamentali ecc…).
La lista di domande prestabilita costruisce il questionario, perlopiù basato sulle autodichiarazioni dei
parlanti e che pongono alcuni problemi per la corretta interpretazione dei dati. L’auto valutazione del
comportamento espressa dalle risposte ai questionari infatti non sempre corrisponde al comportamento
effettivo soprattutto perché le risposte possono essere improntate o condizionate da atteggiamenti
ideologici e proiezioni.
I problemi del campionamento, della rappresentatività del campione rispetto all’universo di riferimento
sono ampiamente studiati dalla metodologia delle ricerche sociali.
Per indagini sulla variazione sociolinguistica, che richiedano produzioni da parte dei parlanti di dati
linguistici, saranno sufficienti campioni anche piccoli non numerosi. Le cose cambiano per indagini sugli usi
delle varietà del repertorio. Per studiare la distribuzione di italiano e dialetto negli usi degli abitanti di una
informaticamente”. La gamma dei corpora oggi a disposizione consente di condurre ricerche su testi di
vario genere: parlato colloquiale, comunicazione mediata dal computer, stampa quotidiana e periodica,
scrittura accademica, prosa burocratico-amministrativa, ecc.
Per l’italiano ad esempio i corpora esistenti coprono un ampio ventaglio di varietà, i corpora di testi scritti si
differenziano, sia tra di loro sia nelle loro sottosezioni, rispetto al grado di formalità/informalità che li
caratterizza mentre i corpora di testi parlati danno conto delle variazioni geografiche.
Tra i principali corpora dello scritto dell’italiano contemporaneo si possono menzionare:
-COLFIS (testi raccolti da quotidiani, da periodici e libri, raccolti tra il 1992 e il 1994
-CORIS/CODIS (testi di narrativa, prosa giornalistica, accademica e giuridico-ammiiìnistrativa, raccolti tra gli
anni ’80 e ’90)
-Corpus La Repubblica (articoli pubblicati sul quotidiano La Repubblica)
-itWaC (testi estratti dal web)
-NUNC (conversazioni tratte da gruppi di discussione telematica su vari temi)
Poi ci sono i corpora di parlato, esempi:
-LIP (dialoghi e monologhi)
-LIR (testi di parlato radiofonico delle principali emittenti nazionali)
-LIT (testi di parlato televisivo proveniente dalle reti RAI e Mediaset)
Vi sono poi corpora di italiano allestiti per consentire confronti in diacronia, tra i quali DiaCORIS e DIA-LIT
chiamati corpora specializzati. Esistono inoltre strumenti informatici, disponibili in rete, che consentono
all’utente di creare un proprio corpus; uno di questi è Corpus Architect, che permette di allestire un corpus
a partire da documenti in vari formati ( TXT, DOC, PDF,ecc..).
L’interrogazione di un corpus avviene attraverso una maschera predisposta per tale operazione. La
maschera consente di formulare una richiesta di estrazione, detta più tecnicamente query.
Le query sono scritte in CQL. Una query da in risposta il numero complessivo di occorrenze dell’elemento
cercato, può accadere che non tutti i risultati ottenuti corrispondano effettivamente ai criteri di ricerca,
specie nei corpora di grandi dimensioni, le parole sono in genere etichettate con procedure automatiche.
L’uso dei corpora si presta quindi particolarmente ad analisi quantitative.
Oltre agli studi sulla variazione onomasiologica, sui corpora possono basarsi gli studi sulla variazione
semasiologica e in questa direzione l’approccio più praticato è quello della semantica distribuzionale:
modelli di analisi diversi che si fondano su una stessa ipotesi, la cosiddetta “ipotesi distribuzionale”, due
parole hanno significati tanto più simili quanto più tendono a comparire in contesti simili. L’applicazione di
questi modelli al campo della variazione sociolinguistica si basa sul fatto che l’analisi distribuzionale è
praticata su corpora rappresentativi di varietà diverse di una stessa lingua.
L’interrogazione di un corpus non è limitata a fenomeni di livello lessicale. Potremmo ad esempio essere
interessati a un fenomeno sintattico; non sono sufficienti stringhe basate su un’unica forma, ma occorre
pensare a delle query che tengano conto della co-occorrenza di varie forme. Esiste più di una soluzione per
formulare una query a seconda delle caratteristiche del corpus.
L’uso dei corpora è largamente rivolto ad analisi quantitative e come queste si basino su metodi statistici di
analisi dei dati. Le indagini quantitative condotte con metodi statistici si servono di programmi informatici
basati sulla tecnica statistica dell’analisi della regressione, che consente di analizzare e mettere a confronto
insiemi di dati anche non bilanciati.
Questi programmi calcolano con quale probabilità fattori diversi incidano sul presentarsi di quel fenomeno,
effettuano un’analisi multivariata; ossia analizzano il rapporto di co-variazione fra una variabile dipendente
e più variabili indipendenti concorrenti. Il programma di analisi multivariata più usato fino ad anni ancora
recenti è VARBRUL, abbreviazione per variable rules.
Dato un certo fenomeno oggetto di studio, l’analisi multivariata ha come obiettivi principali:
1) stabilire quali variabili indipendenti esercitino un’influenza statisticamente significativa sulla realizzazione
del fenomeno e quali no;
2) calcolare con quale probabilità i singoli fattori influenzino la realizzazione del fenomeno.