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Federica Lauro, a.a.

2021-2022
Esercitazione propedeutica all’esame orale di Sociolinguistica dell’interazione

Brano di Louis-Jean Calvet (da Les voix de la ville. Introduction à la sociolinguistique urbaine, Paris,
Payot, 1994)
La sociolinguistica è un quadro alquanto complesso da definire con precisione, i suoi studi riguardano le
relazioni tra la lingua e la società, ma questa definizione può delinearsi alquanto vaga e controversa.
Affrontare il problema della lingua come fatto sociale implica che vi sia correlazione tra la lingua e la
società, nonché tra comunicazione e cultura. Nel testo in questione si può notare la contrapposizione di
pensiero tra il linguista francese Antoine Meillet e il linguista svizzero, nonchè uno dei fondatori della
linguistica moderna, Ferdinand de Saussure, peraltro suo insegnante.
Entrambi usano la stessa formula, ma ne danno un significato del tutto diverso: Saussure distingue
accuratamente tra linguistica e storia, considerando la lingua come un fatto sociale, in quanto è elaborata
dalla comunità di parlanti; Meillet, invece, tiene conto delle loro relazioni, della loro dialettica, considerando
il carattere sociale del linguaggio. Dunque, Calvet sostiene che la linguistica svizzera sia essenzialmente
terminologica (elabora, cioè, il vocabolario della linguistica), e quella di Meillet programmatica, continuando
a inseguire il carattere sociale della lingua. Il primo pone l’accento sul carattere strutturale, ossia sulla forma
della lingua, mentre il secondo insiste sulle sue funzioni sociali.
Saussure separa il cambiamento linguistico dalle condizioni esterne alla lingua, ritenendo che non dipendano
da esse. Egli distingue, inoltre, tra sincronia, che studia i fatti linguistici considerati in un dato momento,
separandoli dalla loro evoluzione nel tempo, ovvero in un determinato stato della lingua, e diacronia che, al
contrario, registra i cambiamenti linguistici avvenuti nel corso degli anni, secondo il loro divenire nel tempo.
Saussure ritiene che la linguistica abbia come unico oggetto il linguaggio inteso in sé per sé poiché, inteso
come fatto sociale, implicherebbe un approccio sincronico e diacronico ai fatti del linguaggio, vale a dire sia
interno che esterno, ma così facendo non fa altro che privarlo della realtà, riducendolo a qualcosa di
indecifrabile.
Meillet al contrario, prende nettamente le distanze da questo pensiero, ritenendo che non sia possibile
comprendere i fatti linguistici senza tenere in considerazione i riferimenti sociali, e quindi senza fare
riferimento alla diacronia e alla storia. Egli assume una prospettiva diacronica, considerando la lingua nella
sua evoluzione nel corso degli anni.
Il linguista americano William Bright afferma che uno dei tratti fondamentali della sociolinguistica sia quello
di mostrare che la variazione (o la diversità) è correlata alle differenze sociali e che, dunque, non è libera. È
di fatto connessa a fattori esterni alla lingua che riguardano la sua variazione interna, e che, in un certo senso,
la determinano. Tali fattori si possono ricondurre ad alcune grandi classi in cui la lingua cambia attraverso il
tempo, lo spazio, il canale, la collocazione sociale dei parlanti e la situazione comunicativa, in
sociolinguistica definite Dimensioni di variazione. Rispettivamente, parliamo di diacronia, diatopia,
diamesia, diastratia e diafasia.
Bright nei suoi studi cerca di individuare e delineare tre principali dimensioni della sociolinguistica che
condizionano la diversità linguistica, riconducendole all’identità sociale del locutore (mittente), all’identità
sociale del destinatario (ricevente) e al contesto. Egli stesso considera la lingua come un approccio legato ai
fatti della lingua a cui si collegano la linguistica, la sociologia e l’antropologia.
La sociolinguistica trova negli anni ’70 la sua svolta: assistiamo alla pubblicazione di riviste e raccolte di
articoli che fanno riferimento, già dai loro titoli, alla sociolinguistica, tema che diventa sempre più
importante e che talvolta arriva a demolire perfino le posizioni considerate come definitive fino a quel
momento, creando delle nuove correnti nel campo. Quest’attività sempre più frequente è un indicatore
indiscutibile del cambiamento della concezione sociale del linguaggio e di quella che definiamo
“sociolinguistica”.
Calvet ci offre solo un quadro parziale dell’origine e dello sviluppo di questa disciplina, attribuendone la
nascita alla riunione tenuta dall’11 al 13 maggio 1964 (nata dall’iniziativa di William Bright) con 25
ricercatori per discutere sul rapporto tra la lingua e la società.
Basil Bernstein è considerato uno dei più influenti sociolinguisti del ‘900, noto per i suoi lavori nella
sociologia dell'educazione e per essersi occupato di sociolinguistica, nonchè della connessione tra il modo di
parlare e l'organizzazione sociale. Una delle sue teorie più famose è quella della Deprivazione verbale,
secondo la quale la classe sociale influenza la conoscenza. Attraverso una serie di studi su un campione di
studenti, nota che i figli della classe operaia hanno un tasso di insuccesso scolastico molto elevato rispetto ai
bambini appartenenti alle classi più abbienti. Analizzando le loro produzioni linguistiche si possono definire
due codici: il codice ristretto, padroneggiato all’interno dei contesti svantaggiati, e il codice elaborato,
padroneggiato nelle classi superiori. I due codici differiscono, oltre che lessicalmente, anche dal punto di
vista delle forme grammaticali, di fatto il codice ristretto è caratterizzato da frasi brevi, senza subordinazione
e da un vocabolario limitato. Questa “povertà” sintattica, lessicale e logica, porta i bambini ad avere non
poche difficoltà nell’apprendimento e nella loro visione del mondo, poichè determina uno svantaggio
cognitivo e linguistico evidente rispetto ai bambini di ceto medio-alto, abituati ad un codice più elaborato,
logico, ricco e complesso.
La tesi principale di Bernstein è che l’educazione familiare che i bambini ricevono sia fondamentale per
determinare l’apprendimento e la socializzazione, in quanto la struttura sociale definisce, tra le altre cose, i
comportamenti linguistici, quindi, questa superiorità di codice richiede alla scuola una compensazione del
codice ristretto. Dunque, Bernstein non fa altro che confermare il pensiero di Meillet, secondo cui la lingua è
influenzata dalla società poiché, nel caso del suo esempio, la struttura sociale determina il comportamento
linguistico.
Per comprendere meglio ciò che sosteneva Meillet, e che successivamente fu ripreso da Breinstein, è
opportuno fare riferimento a William Labov: linguista statunitense, considerato il vero fondatore della
sociolinguistica. Egli ha dedicato tutta la sua vita allo studio dei collegamenti tra il linguaggio e la società e,
in particolare, riprende il pensiero di Meillet, secondo cui i cambiamenti linguistici dipendono dalle
trasformazioni sociali. Ciò provoca il dissenso dei sostenitori di Saussure, uno fra tanti Martine, che attacca
Labov, riproponendo la tesi saussuriana della lingua intesa limitatamente nei suoi fattori strutturali interni.
Ma Labov continua per la sua strada, sostenendo Meillet e lo studio della lingua nel suo contesto sociale.
Labov ritiene che il codice ristretto non sia altro che una varietà della lingua, perfettamente funzionale ai
suoi scopi nell’uso che ne fa un determinato gruppo di parlanti, e perciò lo svantaggio consiste
nell’imposizione ai bambini di esprimersi nel codice elaborato.
Tuttavia, studiando l’“inglese vernacolare afro-americano” senza pregiudizi e con rigore scientifico, si è
immerso in “quel linguaggio dal suono particolare il cui accento sembra quello del sud”. Anche se lo si parla
in città quali New York o Filadelfia ed è apparentemente sgrammaticato, egli ha mostrato che Bernstein, con
la sua teoria, non descriveva realmente due codici, bensì due stili linguistici, fondamentali per la costruzione
di un’identità. Quando si tratta di descrivere ciò che separa i parlanti della classe media da quelli della classe
operaia, Bernstein pone l’attenzione su un proliferare di forme passive, modali e ausiliari, pronomi di prima
persona, parole rare. La grande sfida per Labov consiste nell’arrivare a distinguere tra gli stili della classe
media ciò che è un “modo di dire” e ciò che aiuta realmente ad esprimere le proprie idee in maniera chiara.

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