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21/02/2022

Ripassare approcci e metodi in didattica delle lingue straniere.

Tesina  analisi di un film, compilazione di una scheda e in aggiunta, non obbligatoriamente, costruzione di
un percorso didattico.

Cosa sono l’educazione linguistica e la linguistica educativa? De Mauro è il padre di queste definizioni, di
questa attenzione verso la società, verso il sociale della linguistica. In EU, in Italia sono decenni che gli studi
di linguistica esistono e sono rappresentati tra gli insegnamenti universitari, ma è da un passato recente che
hanno acquisito una vocazione verso la società, gli individui, l’educazione al parlare, usare le lingue. Due
concetti (educazione linguistica/ linguistica educativa) intercambiabili a seconda della visione che vogliamo
dare del rapporto che lega la ricerca scientifica, la scuola e la società. Questo corso si occupa delle lingue in
funzione di chi le usa o di chi le apprende. È una prospettiva diversa dalla linguistica. La linguistica forse è
più statica, fare educazione linguistica o linguistica educativa significa doversi confrontare sempre con i
cambiamenti della società, avere sempre un confronto con ciò che c’è aldilà degli studi scientifici,
ricordando che nessuna ricerca può essere inquadrata senza considerare l’atteggiamento che verso questa
vicenda hanno la scuola, l’università, verso la questione delle lingue. Si propone una prospettiva incrociata,
interdisciplinare. La linguistica educativa si è distanziata dalle altre linguistiche. L’educazione linguistica
partendo dallo studio dell’interazione tra linguaggio e educazione formale ha analizzato i processi che
sottostanno allo studio e all’apprendimento delle lingue. Se la linguistica educativa cerca di offrire risposte
alle sfide di coloro che partecipano all’educazione linguistica, l’educazione linguistica fornisce strumenti per
superare queste sfide. La linguistica educativa offre risposte da una prospettiva interdisciplinare perché trae
spunto da quanto di meglio nei vari settori affini è stato elaborato, collabora con le altre discipline.

C’è qualcuno che vuole davvero essere educato linguisticamente? È una domanda polemica, provocatoria,
che si riferisce al modello culturale tradizionale occidentale dell’articolazione, dell’argomentazione che era
stato sviluppato e in voga per molti decenni, modello molto tradizionale, ormai non dà più le risposte
necessarie alla società di oggi. Si rompe il rapporto tra sapere e linguaggio. Quali sono le conseguenze? La
non desiderabilità dell’apprendimento scolastico e non essenzialità dell’educazione linguistica nei processi
educativi. Sono prospettive che in forme diverse chiamano in causa orizzonti in cui l’insegnante di lingua e
la materia stessa sono obbligati ad una rielaborazione di contenuti, modalità, finalità. Siamo in una fase in
cui si ridefinisce lo statuto dell’insegnamento delle lingue. Perché? Per il tipo di pubblico si riferisce questo
corso? Sebbene in Italia la migrazione non sia un fenomeno recente, è solo ora che si sta affrontando
questo fenomeno. L’inizio delle grandi migrazioni si ha negli anni 80, quasi 20 anni dopo prende forma e
coscienza una politica linguistica che prende coscienza di questo mutato scenario.

La conseguenza di questo mutare e la situazione della politica linguistica sono conseguenti alle
modificazioni dei tessuti sociali e della natura dell’immigrazione, hanno portato ulteriori modificazioni. Per
prima cosa, non sono i fenomeni migratori quanto l’uso delle moderne tecnologie, è il mutamento della
scrittura delle lingue. Quello che nell’85 Sabatini chiamava varietà di lingua trasmessa. Allora si cominciava
ad usare il computer, non si poteva prevedere che cosa sarebbe diventato internet, ma aveva già capito che
non bastava avere una dicotomia classica che dividesse i tratti delle lingue in scritte e parlate. Perché il
trasmesso ha modalità proprie, le lingue cambiano quando sono trasmesse. Sabatini analizzata trasmessi dii
allora, fax, telegramma, televisione, radio, prime mail. Si appoggiava al canale che veniva utilizzato per il
suo messaggio. Un altro mutamento importante è quello dei livelli di formalità e quello dei concetti di
adeguatezza e correttezza delle lingue. Il concetto di errore è cambiato, oggi si sa che un errore può essere
valido nello scritto, ma può non esserlo nel parlato. L’errore va visto in base all’apprendente, l’età che ha, le
motivazioni di studio, il livello di apprendimento. Relativizzare il concetto di adeguatezza e correttezza. Sul
piano della ricerca c’è stato un allontanamento progressivo degli interessi di ricerca dei linguisti e dei
glottodidatti, che prima erano nello stesso gruppo. I primi si occupano delle lingue a livello teorico e a livello
di purezza della lingua, i secondi a livello pratico e di applicazione. Nella didattica delle lingue moderne oggi
ci si occupa di apprendimento e insegnamento della L1, apprendimento e insegnamento della L2-LS,
politiche linguistiche e società.

Santipolo afferma che un’educazione linguistica che ignori la realtà non solo non svolge il suo ruolo in
termini di benefici a cui può condurre in termini socioculturali, ma rischia di risultare pure eticamente
inadeguata e quindi oltre che inutile, pure palesemente contestabile. Fare educazione linguistica oggi
significa non poter prescindere da una forte posizione politica nel senso di attenzione costante ai fenomeni
sociali e alle problematiche comunicative odierne.

I bisogni linguistici sono principi fondamentali per impostare qualsiasi politica linguistica, quando parlo di
bisogni linguistici devo pensare che possono essere individuali o collettivi/nazionali. L’insegnamento delle
lingue è sì un problema linguistico ma raramente è oggetto di dibattitto politico al di fuori degli ambiti
specifici. Chiunque svolga una qualsiasi attività, usa una lingua, o comunque un codice di segni se non può
parlare o scrivere. Occuparsi di educazione linguistica significa occuparsi di potenziare le capacità cognitive,
professionali, sociali degli individui. Beacco (professore emerito alla Sorbona) ci dice che non tutti sono
insegnanti di lingua, ma sono parlanti e hanno da ridire su questi aspetti.

Spetta alla didattica delle lingue moderne discutere sulla pertinenza delle finalità assegnate dalla politica
all’insegnamento delle lingue, dal punto di vista educativo (qual è il ruolo dell’apprendimento delle lingue
per lo sviluppo della persona?), dal punto di vista contestuale (tali finalità sono adeguate alle evoluzioni
sociali?). la didattica delle lingue moderne elabora con modalità proprie di ricerca finalità che possono
essere oggetto di decisioni politiche e servire da fondamento per il rinnovamento dell’insegnamento nel
sistema educativo. In Italia dove raramente la politica si occupa di politica linguistica devono essere i
linguisti a dare input. La didattica delle lingue moderne ha una scusante perché ci sia una situazione
lacunosa, perché è una disciplina molto recente, non ha avuto gli strumenti adatti.

Cambiamenti epocali nella didattica delle lingue straniere e seconde 

- Retrocessione del francese; a favore dell’inglese.


- Primato dell’inglese insegnato e usato come strumento di comunicazione.
- Scissione dell’insegnamento delle LS come veicolo di culture specifiche da quello strumentale; un
secolo fa le lingue straniere venivano insegnate per leggere un libro di letteratura, per studiare
storia dell’arte… quindi per scopi culturali, cultura classica, nell’accezione forte. Oggi le lingue le
lingue si studiano sempre più per motivi concreti.
- Apertura all’insegnamento del tedesco e dello spagnolo.
- Potenziamento dell’italiano come L2 e suo inserimento nei sistemi scolastici; la classe A-23 non
esisteva 20 anni fa.
- Sviluppo di ricerca scientifica sulle tematiche dell’educazione linguistica e della glottodidattica.
- Accanto alle lingue tradizionali si affacciano altre lingue: dal russo dagli anni 90 all’arabo e infine al
cinese.
- Ridefinizione del repertorio linguistico italiano; fatto di code-switching, code-mixing,
rappresentazioni iconiche di altre lingue.

Quello che si sta sempre più configurando è il terzo settore, l’impegno, l’attuazione nella società della
ricerca scientifica e dello studio accademico. Il terzo settore si sta espandendo, crea un terreno in cui è
possibile questo interscambio, terreno fecondo della didattica delle lingue moderne. C’è ancora molto
lavoro da fare, ma si sta procedendo, in parallelo alle linee guida della politica europea. Da alcuni decenni la
didattica delle lingue si è spostata da una posizione limitrofa verso una posizione centrale, occupandosi di
formazione di individui, lungo tutto l’arco della vita, sviluppare il life long learning. Le lingue stanno
acquistando il loro statuto specifico, grazie alla loro capacità di modellarsi rispetto a chi usa queste lingue.
L’apprendimento dall’avere come obiettivo un insegnamento generico a pubblici indifferenziati e generici si
è spostato sempre più in tipi di insegnamento per specifiche tipologie di apprendenti. Si concretizza
l’insegnamento in base all’apprendente e agli ambiti in cui userà la lingua. Si parla di apprendimento non
più indifferenziato. A livello europeo ogni stato ha reagito a suo modo nell’affrontare una politica linguistica
nei confronti di queste persone. La politica è una reazione di materiali che va dal modello assimilazionista
francese al multiculturalista britannico all’interculturale frammentario italiano. Queste modifiche
significano anche poter gestire la diversità multilingue attraverso un’educazione plurilingue. Il locutore è
una persona che deve usare la lingua non più soltanto per scopi astratti, non è più soltanto un destinatario
ipotetico.

22/02/2022

Il terzo settore in ambito educativo riguarda gli interventi che l’università eroga per, in e con la società.
Sono tutte quelle azioni che hanno una ricaduta per il territorio in cui si trova l’università.

Politiche linguistiche educative UE 

- precocità dell’insegnamento-apprendimento delle lingue; iniziare dalla scuola elementare.


- almeno due lingue straniere oltre la lingua di scolarizzazione; gli italiani non sono così competenti
nelle lingue straniere.
- approccio globale degli insegnamenti linguistici; sensibilizzazione nei confronti delle lingue, non si
tratta di uno studio vero e proprio strutturato, ma un avviamento allo studio delle lingue. Gli èveil
aux langues sono uno studio interdisciplinare, sintetizzato nel CARAP, uno studio francese.
- integrazione di lingue e contenuti disciplinari nella scuola secondaria (CLIL) e nei corsi per adulti; si
tratta di usare una lingua per impartire un insegnamento disciplinare.
- apprendimento per tutto l’arco della vita; far sì che gli individui possano crescere dal punto di vista
cognitivo finché sono in grado di farlo.

C’è un altro aspetto su cui ci si sta concentrando, la literacy, la competenza letto-scrittura,


l’alfabetizzazione, che non è solo sapere scrivere o leggere. È un diritto fondamentale sancito dall’articolo
26 della Dichiarazione Universale dei diritti umani. Ormai è chiaro a tutti che il legame tra la mancanza della
competenza letto-scrittura e la possibilità di scivolare nei processi di esclusione sociale è concreto.

Per elaborare delle politiche linguistiche educative che tengano conto dei diritti, delle esigenze che sono
ormai conosciute da tutti, bisogna tenere in conto quali sono le rappresentazioni sociali delle lingue e del
loro apprendimento. Le rappresentazioni sociali riguardano sia gli atteggiamenti di coloro che hanno la
lingua come L1 sia coloro che devono apprendere questa lingua. Quando si apprende una lingua, il livello di
empatia nei confronti della lingua e del popolo che usa questa lingua è molto importante per un
apprendimento efficace. Evoluzioni delle società dal punto di vista demografico ed economico,
l’apprendimento delle lingue va di pari passo con lo sviluppo economico di un Paese, che significa investire
di più o di meno nell’insegnamento e demografico perché il numero e la composizione della popolazione
incidono nel mantenimento o nello sviluppo di competenze linguistiche. Poi esistono fattori linguistici: le
varietà linguistiche presenti in quel dato momento in quella data società di cui tenere conto per le politiche
linguistiche; i dati quantitativi sull’impiego e la conoscenza di varietà di quelle lingue. Infine, altro punto
discusso in EU riguarda la differenza tra lingue dell’educazione e lingue per l’educazione, l’uso di queste due
preposizioni è fondamentale. Lingue dell’educazione significa avere un concetto delle lingue finalizzato al
servizio dell’educazione. Lingue per l’educazione significa avere al centro le lingue, sono il fulcro su cui
avviene l’educazione. La politica europea si sta indirizzando verso le lingue per l’educazione. Decenni fa ci
si occupava solo delle lingue dell’educazione. Lingue per l’educazione significa che la lingua non è più serva
dell’educazione, è il fulcro, parte tutto dalla lingua, considerata indispensabile, non è più strumento, ma
finalità.
In EU purtroppo questa educazione (per adulti) si realizza con forme e strategie diversificate, che
rispondono più che ad una politica europea ad una politica nazionale. Anche se l’EU ha emanato linee
comuni, che dovrebbero essere alla base delle singole linee guida emanate dei Paesi. In questi ultimi anni
l’educazione per adulti è rivolta sempre meno verso percorsi di pura alfabetizzazione, per coloro che non
hanno avuto l’opportunità di concludere la loro formazione in L1 o per passare il tempo, per accrescere la
propria formazione, i propri interessi. L’apprendimento delle lingue oggi si sta configurando come
un’azione di sostegno per i migranti, per il loro inserimento nella società e per la riqualificazione
professionale. In Francia l’educazione per i migranti adulti avviene attraverso il CNED, in Italia i CPIA. I CTP
sono stati creati come scuole serali per italiani non alfabetizzati, in cui il lavoratore andava per imparare a
leggere e scrivere l’italiano perché non aveva avuto l’opportunità di formarsi da bambino. All’epoca la
politica linguistica italiana era inesistente. Poi sono diventanti CPIA perché la frequenza scolastica italiana è
aumentata e sempre meno italiani hanno avuto esigenza di essere alfabetizzati e ci si è rivolti a chi è
immigrato in Italia. In Germania c’è sempre stata un’attenzione per lo straniero, è stato un paese di
immigrazione prima dell’Italia.

L’educazione degli adulti immigrati implica concentrarsi su integrazione e inclusione. Sono due finalità di
politica linguistica, che riguardano i cittadini immigrati. Questi due concetti implicano la riflessione centrale
su due altri concetti, il plurilinguismo e l’intercultura. Sono 4 concetti fondamentali, ben rappresentati in un
documento europeo, il Libro Bianco sul dialogo interculturale (2008). Questo libro è dedicato al dialogo
interculturale, fondato sulla reciproca comprensione tra individui e gruppi che hanno radici e patrimonio
etnico, culturale, religioso e linguistico differenti. Si riconosce come fondante dell’esistenza umana la
diversità culturale, ma devono essere in grado di interagire. Diverse culture che convivono una accanto
all’altra, qui l’EU prende una distanza dagli USA, ribadisce l’importanza dell’interazione fra culture,
riconoscendo che le culture se si integrano possono solo costituire una ricchezza per l’umanità. La coesione
sociale si riferisce alla capacità di una società di garantire il benessere di tutti i suoi membri riducendo la
disparità al minimo ed evitando le polarizzazioni. Non siamo riusciti a mettere in atto questa
raccomandazione, ma è molto chiara, la coesione sociale deve riguardare tutti i membri della società.
Manca una reale adesione tra chi si occupa di lingue e i politici, perché i responsabili politici dovrebbero
essere in stretto collegamento con coloro che si occupano di politica linguistica. Interazione che implica
un’inclusione di queste persone nella società, inclusione che crea un processo a doppio senso che implica
l’attitudine delle persone a vivere assieme rispettando la dignità individuale. Multi pluralismo della diversità
della non violenza, nonché la capacità di queste persone di partecipare alla vita sociale, economica, politica,
quindi garantendo il diritto di essere diversi. Infine, gli immigrati possono partecipare alla vita del Paese, ma
anche essi hanno dei doveri. Il rispetto deve essere reciproco.

I processi migratori sempre più imponenti impartiscono delle sfide ai Paesi sia d’origine (da cui partono le
persone) sia di arrivo. La tendenza è di una sempre maggiore mobilità migratoria e di conseguenza di
cambiamenti molto veloci, dal punto di vista sociale e culturale. Nei Paesi di emigrazione le popolazioni
sono colte impreparate, questi processi generano qualcosa che è negativa, c’è una reazione avversa alla
popolazione in arrivo. La paura per l’altro, il diverso esiste da quando esiste l’umanità. L’arrivo di persone
straniere nel territorio di una nazione ha un forte impatto sulle modalità di instaurare e mantenere rapporti
tra nativi e immigrati. Noi vedremo come vengono messi in scena i rapporti sociali tra nativi e non nativi. Il
termine straniero e nativo si usano per brevità, non rendono conto della varietà inclusa nel concetto di
straniero e nativo. Le rappresentazioni e le narrazioni delle migrazioni incidono di più sul popolo. Il fatto di
esplicitare il punto di vista di chi emigra impedisce di privilegiare il solo punto di vista della società di
approdo, che ha per lo più l’immagine dell’emigrazione come di approdo ed emergenza. Questo consente
di superare il rischio generale che deriva da un certo etnocentrismo sociologico, perendo di vista la loro
soggettività e il bagaglio culturale con cui tentano di inserirsi nel Paese di approdo.
A questa situazione è necessario fare una specifica, parlare delle donne. È ormai dimostrato che le
caratteristiche degli immigrati sono peggiori se si tratta di donne. La maggior parte delle donne nei Paesi
terzi è esiguamente attiva nel mercato del lavoro. Una quota delle donne di Paesi terzi è giunta in EU per un
ricongiungimento familiare, non per propria volontà. Non hanno gli stessi diritti di coloro che provengono
da altri Paesi dell’EU. La maggioranza della popolazione immigrata con necessità impellenti di
alfabetizzazione è di genere femminile. Gli indicatori di Zaragoza sul livello di integrazione degli immigrati
elencano quattro aree di attenzione (coesione sociale, cittadinanza attiva, occupazione, istruzione), le
donne sono svantaggiate in tutte e quattro queste aree di attenzione. Nelle rappresentazioni filmiche sono
più gli uomini che le donne che interagiscono, hanno maggiore visibilità.

L’EU favorisce l’arrivo di persone altamente qualificate che possono favorire la competitività nel mercato
del lavoro, a questo è servito uno strumento, la carta blu, permesso di lavoro per cittadini altamente
qualificati non comunitari. Questo permesso offre il diritto di circolare all’interno dell’EU e concerne una
serie di diritti. Manca l’indicazione delle competenze in lingua settoriale che sono richieste per il
conseguimento di questo obiettivo. Nel 2016 è entrata in vigore la direttiva sull’ingresso e il soggiorno di
cittadini di Paesi terzi per motivi di ricerca, studio e formazione per progetti formativi o alla pari. È facile il
ricongiungimento ma si deve essere in possesso di determinati requisiti, come l’alloggio, risorse
economiche sufficienti. Manca anche qui qualcosa, non si richiede un’educazione di livello medio-elevato
dal punto di vista linguistico. In base alla Carta dei diritti fondamentali, in accordo con la Convenzione di
Ginevra, si ha poi il meccanismo dell’asilo, che garantisce asilo a persone in fuga dal proprio Paese ed è un
meccanismo che riguarda molte più persone di quanto potremmo pensare. È una tipologia di flusso molto
consistente.

Nella linguistica educativa si impone il primato del significato e del senso condiviso che rinviano alla società
e correlano l’individuo alle comunità di cui ogni lingua è espressione. Le teorie sulla linguistica educativa
devono rispondere ai seguenti assunti: l’apprendimento di una lingua non può essere conseguito in
isolamento e a prescindere dai soggetti, da qui deriva l’esigenza di una considerazione complessiva delle
conoscenze delle pratiche linguistiche e di un insegnamento basato sulle conoscenze reali dei partecipanti.
L’apprendente non può essere lasciato solo nella costruzione del suo apprendimento, ma si deve trovare in
un contesto sociale in cui ogni componente (enti preposti, docenti…) compie lo sforzo e partecipa alla
costruzione dei significati da acquisire nella lingua.

Mentoring  persone che fanno da mentore a coloro che richiedono asilo o sono rifugiate, persone che
mettono in pratica attività di resettlement, ricollocamento, significa reimpostare la vita di queste persone
per favorire il rispetto del pregresso, di ciò che sono queste persone per favorire l’inserimento nelle società.
Il mentore è la persona che si occupa della documentazione, di trovare alloggio, ma anche è una specie di
mediatore, spiega loro alcuni concetti fondamentali della società di arrivo, media tra cosa erano queste
persone e cosa saranno. Queste attività sono di due tipologie, il mentor e il resettlement. Sono le attività di
pre-partenza nel Paese di origine, poi le attività di post arrivo, dai primi momenti ai primi mesi dall’arrivo.

23/02/2022

Chi sono i soggetti svantaggiati? Svantaggio implica che c’è un problema che fa sì queste persone abbiano
problemi nell’apprendimento delle lingue. Sono i rifugiati, titolari di protezione internazionale, secondo la
definizione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951. I progetti di accoglienza sono finalizzati
all’inserimento sociale ed economico dei richiedenti e dei titolari di protezione internazionale e sono
finalizzati affinché queste persone acquisiscano strumenti che possano consentire di agire autonomamente.
Sono anche finalizzati all’integrazione, processo a doppio senso, è la società ospitante che si deve aprire per
integrare chi arriva ma chi arriva deve essere capace di integrarsi. I soggetti svantaggiati sono anche i nativi
per condizioni sociali, per povertà o svantaggiati per problemi fisici. Un altro gruppo di soggetti svantaggiati
sono i detenuti, quelli stranieri in particolare.

Secondo ONLUS 2016 i soggetti svantaggiati sono disabili fisici e psichici, tossico dipendenti, alcolisti,
indigenti, anziani non autosufficienti in condizioni di disagio economico, minori abbandonati, orfani o in
situazioni di disadattamento o devianza, profughi, immigrati non abbienti.

Quando si parla di migrazione si parla di una combinazione di fattori economici, ambientali, politici e sociali,
sia nel paese di origine che in quello di arrivo, quindi fattori di spinta che hanno provocato l’allontanamento
dal Paese e fattori di attrazione. Storicamente si pensa che la prosperità economica e la stabilità politica che
caratterizza i paesi dell’EU abbiano esercitato un effetto di richiamo sugli immigrati. Negli ultimi anni i flussi
migratori verso l’EU hanno cambiato volto: massicci flussi provenienti dall’area euro-mediterranea e
dall’Africa, dal Medio Oriente, dall’Asia, sono stati in misura sempre maggiore sa catastrofi climatiche e da
guerre; hanno coinvolto paesi del sud EU come paesi di primo approdo o di transito per coloro che
sfuggono a conflitti e calamità naturali e i paesi del nord EU, caratterizzati da opportunità formative e
professionali, come destinazioni finali del percorso migratorio.

I migranti sono spesso da catalogare all’interno di questa etichetta di svantaggio. Questo svantaggio
costituisce spesso un contesto interessante di lavoro e sviluppo, perché è di super diversità. Contesto in cui
coabitano individui di diverse nazionalità, lingue/culture di origine, identità religiose, percorsi migratori e
repertori linguistico-culturali variegati. Perché la situazione diventi da stato di fatto un’opportunità è
necessario un intervento esterno perché devono essere elaborati modelli di intervento interculturale che
favoriscano processi di negoziazione e costruzione del senso, creare strumenti che siano funzionali
all’integrazione sociale, in particolare di prevenzione (strumenti materiali per preparare a vivere e agire
nelle società); di aiuto (affrontare le sfide delle società); di recupero (risoluzione di problemi che nascono
dai conflitti presenti nelle società); del superamento della vulnerabilità e delle questioni di genere.

Come le società europee hanno risposto alle sfide poste dalla immigrazione? Hanno risposto con modelli
diversi, pur all’interno di una normativa comunitaria che dovrebbe essere comune. Hanno risposto con
modelli che possono andare da un massimo grado di rinuncia alle identità etniche all’adesione totale ai
valori del paese di arrivo per arrivare all’estremo opposto, massima valorizzazione delle stesse identità e
creazione di comunità diasporiche che alla lunga generano un tessuto sociale complessivamente poco
coeso. Vari modelli europei che Walzer nel 1997 ha riassunto in 4 macrocategorie in base a come i sistemi
politici europei hanno reagito nei confronti dell’’immigrazione:

- Modello della precarietà istituzionalizzata, con al centro la figura del lavoratore ospite, modello
modificato nell’ultimo decennio per andare verso un’idea di integrazione culturale, sono state
modificate le leggi per concedere la cittadinanza. Ora abbiamo la ius soli.
- Modello assimilazionista, spesso l’entità stereotipizzata di una nazione ha ricadute su come questa
nazione si comporta con gli immigrati. I francesi sono nazionalisti più degli italiani, tengono più al
loro stato. Basato sul riconoscimento dell’autonomia dell’individuo e sulla sua volontà all’adesione
ai valori repubblicani come presupposto per l’attribuzione della cittadinanza. Questo modello ha
indotto alla creazione di uno spazio pubblico laico, in cui non è ammesso alcun elemento religioso
visibile. C’è un altro elemento importante nell’implementazione nei sistemi della tolleranza, la
religione. In Italia abbiamo una situazione unica al mondo, abbiamo il Vaticano, abbiamo una
tradizione di rapporto con la religione che non si trova in nessun altro paese. Abbiamo un’attitudine
a implementare pratiche che abbiano ricadute di tolleranza o non tolleranza diversa da altri paesi.
In paesi che hanno applicato questo modello il conflitto è stato generato dal mancato
riconoscimento dei diritti delle nuove minoranze e dall’esclusione sociale degli appartenenti ad
esse, nonostante la formale attribuzione di un’identità e della cittadinanza del paese in questione.
- Modello multiculturalista, come in UK e Olanda, ha prodotto una serie di comunità diasporiche
identitarie (spesso hanno assunto la forma di ghetti) poco comunicanti le une con le altre,
generando conseguentemente scarse interazione e coesione sociale e un ridotto senso di
appartenenza alla comunità nazionale; è opportuno specificare che negli ultimi 20 anni nell’UK si è
rivendicata la necessità di politiche maggiormente inclusive e di una maggiore attenzione alla tutela
dell’identità nazionale britannica, con l’introduzione di un test di lingua inglese (anche in Italia
serve dimostrare di avere una conoscenza minima di italiano) e conoscenza della società.
- Non modello, Italia storicamente paese di emigrazione e negli anni 60 iniziarono i primi flussi e
insediamenti di lavoratori stranieri in Italia, il sistema politico italiano si rese conto dell’entità e
dell’esistenza del fenomeno solo negli anni 80, ma non fu in grado di realizzare leggi e interventi
sistematici sull’immigrazione. La prima legge fu la numero 40 del 1998, Turco-Napolitano,
introducendo un testo unico sulla disciplina e le norme sulla condizione dello straniero.

Abbiamo, infine, un quinto modello elaborato da Kramer nel 2017. Il fusion model prevede, accanto al
processo di acculturazione, cioè acquisizione di nuove pratiche nell’ambito della società di arrivo, non una
de-culturazione, ovvero la privazione del patrimonio culturale e linguistico da parte dei migranti, ma al
contrario il loro rispetto, valorizzazione e mantenimento, qualora ciò venga desiderato, col coinvolgimento
attivo dei membri esperti della comunità di pratica, cioè coloro che hanno sempre vissuto nella società di
arrivo: l’integrazione deve infatti essere concepita come un processo reciproco risultato del contatto
interculturale. Acculturazione vuol dire che io lascio, metto da parte i miei modelli culturali per adottare i
tuoi. Relativismo culturale significa che io imparo a relativizzare e a considerare il valore di ogni cultura.
Intercultura significa che io interagisco, che c’è una doppia direzione di marcia nei confronti degli aspetti
culturali. Il relativismo culturale è quella modalità che permette ad una persona di allargare il proprio
orizzonte culturale, non esiste solo la propria cultura, riconosce che anche altre culture hanno un valore,
impara a relativizzare ciò che è importante dal punto di vista culturale. Questo non vuol dire che interagisce
con queste culture, ne riconosce il valore. Acculturazione significa abiurare dalla propria cultura per
accettare la cultura degli altri. Queste problematiche sono al centro dell’’interesse del dibattitto europeo. È
stato creato nell’Agenda europea un appello allo sviluppo sostenibile 2030, non lasciare indietro nessuno,
compresi i migranti. Il 23 settembre 2020 la Commissione ha presentato un Nuovo Patto sulla Migrazione e
l’Asilo, basato sul Piano d’azione sull’integrazione e l’inclusione con attenzione specifica nei confronti
dell’education and training come elementi primari per un’integrazione di successo dei migranti. I
documenti europei sono utili, ma spesso rimangono lettera morta.

Quali sono le principali azioni di questo Nuovo Patto?

- Istruzione e formazione inclusiva; dall’infanzia alle superiori, cercando di riconoscere rapidamente


le qualifiche sull’apprendimento delle lingue.
- Miglioramento delle opportunità di lavoro e riconoscimento delle competenze per valorizzare
appieno il contributo delle comunità di migranti e delle donne in particolare, e garantire che siano
sostenute per raggiungere il loro pieno potenziale.
- Finanziamenti UE dedicati per promuovere l’accesso ai servizi sanitari per persone nate fuori
dall’UE e opportunità per gli Stati membri di scambiare le buone pratiche
- Accesso ad alloggi adeguati ed economici finanziati attraverso fondi europei, così come piattaforme
di finanziamento per lo scambio di esperienze a livello locale e regionale sulla lotta alla
discriminazione nel mercato degli alloggi e segregazione.

Companion Volume al QCER  Si è notato un cambiamento che va di pari passo col mutare delle nostre
società. L’accento è posto sul ruolo della lingua nei processi consistenti nel creare lo spazio e le condizioni
per comunicare o apprendere, per collaborare a costruire un nuovo significato, per incoraggiare gli altri a
costruire o a comprendere un nuovo significato e per fare passare una nuova informazione in una forma
appropriata. Il contesto può essere sociale, educativo, culturale, linguistico o professionale. Questa nuova
ottica si lega sempre di più ad una figura che sostituisce il traduttore, il mediatore. Le lingue si usano meno
nello scritto, insieme alla lingua bisogna tradurre anche i fatti culturali. Nella mediazione chi usa/apprende
una lingua agisce come un attore sociale che crea dei ponti e aiuta a costruire o trasmettere significato
all’interno della stessa lingua e talvolta da una modalità all’altra e talvolta da una lingua all’altra.

Le difficoltà di comunicazione possono derivare: dalla mancanza di competenze linguistiche; lacune


cognitive, cioè scarsa familiarità con certi concetti o processi; mancanza di informazioni rilevanti; differenze
culturali o intraducibilità di alcuni concetti; disabilità fisica. Le criticità menzionate non sono appannaggio
dei cittadini immigrati, ma possono caratterizzare la relazione tra questi ultimi e i membri presenti da
tempo nella società di arrivo. Essi condividono spazi fisici, metaforici e linguistici, devono servirsi di una
lingua comune per comunicare. Spesso però alla condivisione della lingua usata come lingua franca non
sottende una condivisione di valori, di regole comuni, e soprattutto di schemi cognitivi, condizione che
genera cortocircuiti comunicativi.

28/02/2022

Tra il 1500 e il 1700 si sono verificati i primi fenomeni migratori verso i paesi colonizzatori. In letteratura
questo fenomeno ha preso il nome di ‘migrazione post-coloniale’. Alla fine del 1800 il fenomeno migratorio
ha visto l’assetto di molte popolazioni nei vari Paesi. Si è visto un primo spostamento umano. Quale
obiettivo? Cercare fortuna nei paesi che erano stati conquistatori, andare incontro a uno stile di vita
migliore. Da sempre i fenomeni di migrazione perché delle persone vanno a cercare fortuna e una qualità di
vita migliore in altri paesi. Successivamente questo fenomeno è cambiato in termini di organizzazione del
viaggio, direzioni, esigenze, bisogno e motivazioni. Inizialmente abbiamo avuto i grandi paesi di
immigrazione, che sono Francia, Spagna, Inghilterra, Portogallo, Germania, dalle ex colonie principalmente.

La migrazione è un atteggiamento che gli esseri umani hanno adottato nel corso della storia per insediarsi
temporaneamente o stabilmente in un luogo diverso da quello di origine. Non per forza è un movimento
permanente e stabile, può essere temporaneo. Parlando di migrazione umana si può fare riferimento ad un
fenomeno sociale dovuto a diversi fattori e che ha come obiettivo quello di migliorare le proprie condizioni
di vita. Migrare è una condizione naturale, siamo noi umani che abbiamo identificato le società come
qualcosa di stabile.

I migranti sono persone impegnate in fenomeni di movimento umano (FMU). Gli FMU spostano una
quantità ingente di persone ogni giorno con varie modalità, la migrazione è una di queste. Fenomeni che
hanno portato in Europa persone provenienti da realtà culturali e in situazioni sociali di appartenenza
eterogenee, coloro che si sono spostati appartengono a culture diverse e provengono da società diverse da
quelle di arrivo, questo provocherà in loro dei traumi irreversibili. Si possono suddividere in due differenti
categorie: coloro che compiono il viaggio, coloro che da loro discendono (figli, nipoti).

La psicologia delle migrazioni è una branca della psicologia poco studiata, non ci sono sufficienti psicologi
formati in tale ambito. Si occupa di studiare gli individui impegnati in un FMU, distinguendo la migrazione in
‘migrazioni economiche’ e ‘migrazioni forzate’, un fenomeno che non sempre è riconducibile ad una
migrazione ‘volontaria’ e che si distingue dalla prima per l’influenza di diverse condizioni. Migrazione
economica, finalizzata al miglioramento della propria condizione socioeconomica. Migrazione forzata,
persone costrette ad abbandonare il proprio paese di origine in quanto vittime di violenze, umiliazioni,
minacce e persecuzioni. Sono tanti i fattori coinvolti in questa scelta di migrazione.

Da studi condotti emerge che coloro che nel proprio percorso di vita subiscono soprusi sono persone che si
trovano costrette ad abbandonare il proprio Paese e le famiglie in cerca di protezione internazionale e che
manifestano problematiche di salute fisica, mentale e in alcuni soggetti sintomi del Disturbo Post
Traumatico da Stress. La maggior parte delle persone con disturbi psicologici hanno un DPTS, dovuto a
diversi fattori, chi lo riconduce al viaggio, chi alla vita che già avevano vissuto queste persone. Tutti i traumi
si riflettono nell’adattamento nella nuova società. Spesso chi opera con queste persone non è preparato.
Queste persone spesso non sono alfabetizzate neanche nella loro lingua, per loro sarà ancora più difficile
integrarsi linguisticamente. Questi spostamenti, vissuti come vere e proprie fughe che possono rivelarsi
traumatizzanti per un vissuto in condizioni di insicurezza, precarietà e rischio, affiancati alla perdita della
propria condizione economica e sociale, dei legami affettivi, ecc. Una volta che abbandonano il loro paese
di origine, si trovano nell’insicurezza di alcune sicurezze.

Risultano essere in aumento i casi di disagio mentale di richiedenti asilo e rifugiati che prendono parte ai
progetti SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e CARA (centri di accoglienza
governativi per richiedenti asilo) e che manifestano la loro vulnerabilità nel periodo di accoglienza. I centri
SPRAR sono le prime persone che incontrano queste persone, sono loro che fanno il primo check della
situazione, sia della salute fisica che mentale. Essendo non formati, si bypassa sempre la salute mentale.
Non avendo ricevuto corsi specifici, neanche dal punto di vista linguistico, non ci sono scambi comunicativi.
I sistemi di accoglienza rappresentano il primo contatto fra le due parti: di fondamentale importanza per
una prima diagnosi dei casi affetti da disagio mentale e che può servire per l’avviamento di percorsi
terapeutici o programmi di protezione della salute mentale. Il programma annuale 2014 del Fondo Europeo
dei Rifugiati prevede azioni volte alla tutela dei soggetti vulnerabili, con misure di supporto e di
riabilitazione di vittime di violenza e torture o portatori di disagio mentale. Ci sono più soggetti che possono
essere considerati vulnerabili nel caso dei migranti. Il quadro sintomatologico è caratterizzato da intrusioni
diurne e notturne con associate reazioni emotive, fisiche, disturbi del sonno, della memoria, dell’attenzione
e della concentrazione, che poi si manifestano nei periodi successivi.

A livello internazionale c’è molta richiesta per l’implementazione di programmi atti a proteggere la salute
mentale dei richiedenti asilo e rifugiati, di interventi volti a potenziare le abilità di riconoscimento e
gestione del loro disagio psichico da parte degli operatori. Si chiede di poter potenziare degli interventi e
formare delle persone che possano avere strumenti per capire e riconoscere e gestire i disagi psicologici.
Secondo il rapporto di Amnesty International tipologie diverse di violenza vengono praticate in numerosi
Paesi del mondo. Tarsitani chiarisce la realtà del sostegno psicologico a migranti che risultano avere un
estremo bisogno di essere supportati socialmente e della presenza di un intreccio fra le condizioni di vita
post migratorie e la sofferenza mentale. Si sta parlando di persone che si trovano ad affrontare un
momento delicato del loro percorso di vita, sottolineando l’esigenza di istituire servizi sociali ulteriori che
non risultino essere territoriali. I pazienti che manifestano disturbi mentali, se hanno una condizione
caratterizzata da un’elevata mobilità sono difficili da seguire, e risulta complicato anche programmare
progetti terapeutici ad hoc. Perdita dell’identità, un abbandono totale di quello che sono stati fino a quel
momento.

Psicologia e psicologia delle migrazioni  ciò che rende necessario lo sviluppo di queste branche della
psicologia è spesso la difficoltà di fornire una definizione di soggetto migrante: risulta essere un concetto
complesso e confuso, tanto da essere compattato in una semplificazione estrema. A causa di una visione
monolitica e confusa non è possibile affrontare correttamente il problema del disagio mentale e dei disturbi
dei migranti. Per gli operatori i pazienti migranti rimangono un unico contenitore addensato non
permettendogli di agire per il loro bene. Nonostante l’argomento sia al centro di un dibattito nazionale e
internazionale, nonostante esistono delle buone pratiche o interventi nei diversi ambiti territoriali, ancora
oggi persistono un’ignoranza e una lentezza della società e delle istituzioni nell’utilizzare la lente della
psicologia delle migrazioni. Si tende a considerare il tutto dal punto di vista della psicologia tradizionale. Il
paradigma bio-psico-sociale viene utilizzato oggi come modalità per capire l’essere umano e considera
importanti anche gli aspetti contestuali in cui esso vive, le relazioni sociali e gli aspetti culturali, linguistici e
tecnologici che risultano rilevanti nei processi di patologia dei disturbi mentali. Si fa riferimento
all’importanza del contesto in cui ha vissuto il migrante.

La psicologia classica vede la mente dell’individuo come sede della spiegazione di tutto. Questo approccio
ha creato nella storia numerose imprecisioni e stereotipi non scientifici riguardo ai migranti. Una visione
che giudicava l’individuo migrante come colui che si sposta classificandolo come soggetto incapace di
risieder perché disturbato, instabile, marginale e disadattato. La definizione di soggetto migrante crea
confusione. La psicologia delle migrazioni adotta una prospettiva ecologista, che si differenzia
dall’approccio classico della psicologia intra-soggettiva, perché prende in considerazione anche le
spiegazioni contestuali, oltre che avvalersi dell’avanzamento dalle neuroscienze, delle competenze delle
scienze sociali, culturali, storiche ed economiche per spiegare le ragioni degli individui che sono impegnati
nel fenomeno della migrazione. La psicologia delle migrazioni non fa solo riferimento alla psicologia, ma fa
riferimento anche ad altri studi.

Oltre alle competenze psicologiche e psichiatriche in futuro saranno sempre più richieste la competenza
culturale, transculturale, la conoscenza fenomenologica, l’esperienza in contesti estremi e di emergenza e
la capacità di lavorare in équipe interculturali. La psicologia delle migrazioni è un settore specifico ed
esplorato dagli operatori: si affidano a quello che riescono a compiere quando incontrano gli stranieri, [gli
operatori che sul campo hanno esperienza e riescono a dare spiegazione sulla psicologia dei migranti, ma
non c’è letteratura a riguardo] spesso senza corsi di preparazione specifici che permetterebbero di
collegare l’esperienza del singolo migrante al contesto familiare e sociale dal quale proviene. Il fenomeno
migratorio è infatti molto complesso perché parliamo di un reale investimento non soltanto del singolo, ma
dell’intera famiglia. Mettere a contatto l’individuo con la sua vulnerabilità diventa traumatico: aspetti legati
al viaggio, ai metodi che si utilizzano per compiere il percorso, lo sradicamento e il cambio di abitudini, il
confronto con una nuova cultura e condizioni ambientali. Tutti fattori che determinano la comparsa di
sindromi specifiche migratorie, che vanno a modificare eventuali sindromi pregresse. Ad oggi, l’interesse
per questi studi e per le popolazioni migranti è ridotto a causa della miopia e del ritardo concettuale degli
istituti di formazione e degli operatori della salute mentale stessi. La maggior parte di questi studi sono di
carattere storico e non di interesse scientifico. Gran parte di questi hanno riguardato richiedenti asilo
cubani in USA o studi sui ghetti multiculturali pieni di colonie di migranti nelle metropoli europee in
Inghilterra, Olanda e Svezia.

Per una corretta gestione dei flussi migratori nel contesto europeo è importante prendere in esame alcune
variabili sociodemografiche come il genere, un dato importante nell’ambito delle politiche migratorie,
perchè porta alla luce delle differenze importanti. Alcuni studi demografici hanno evidenziato come
motivazione migratoria la scelta dell’identità di genere, che influenza in modo significativo il processo
migratorio, le relazioni e le dinamiche interne. Altri aspetti influenzati dal genere sono i rischi, le
vulnerabilità e i bisogni, che cambiano tra i vari gruppi. Una stima dimostrata dall’European Institute for
Gender Equality afferma che il 7% della popolazione totale europea è nata al di fuori dei confini e la metà di
questa sono donne e ragazzi. Secondo questi recenti studi le motivazioni che spingono queste persone a
migrare sono il lavoro, lo studio, il ricongiungimento familiare, lo status economico e tutte le forme di
persecuzione. La migrazione vista come un’opportunità per le famiglie che si trovano a far parte di quelle
società in cui non esiste libertà di espressione e decisionale, soprattutto per le donne. La possibilità di
potersi spostare da un paese all’altro e di potersi rimettere in gioco da soli con sé stessi, se è un atto
volontario, che può indurre un cambiamento in primis nelle donne ma anche nelle società di origine e di
accoglienza.

Durante il processo migratorio le donne si trovano a dover affrontare dei rischi e delle situazioni di
insicurezza diverse da quelle degli uomini, mostrandosi fortemente vulnerabili e soggette a violenze di
genere. Una prima differenza tra uomo e donna si riscontra sul piano del mercato del lavoro, in quanto le
donne risultano essere in maggiore disoccupate o economicamente svantaggiate: le donne che migrano per
motivi familiari hanno dei tassi di occupazione più bassi rispetto a quelle che arrivano per motivi di studio o
di lavoro. Una peculiarità della migrazione delle donne è la non percezione del progetto migratorio come
una scelta propria, ma piuttosto vincolata. La stesura del progetto viene adottata da un familiare che può
essere giù immigrato, da un’amicizia della famiglia oppure da membri della comunità. La decisione spetta a
loro e questo è un momento collegato alla benedizione della mamma. Molte di loro sottolineano che se
non avessero ottenuto l’approvazione materna, avrebbero rinunciato o non avrebbero osato. Questa
posizione sembrerebbe dovuta in parte al fatto di dover talvolta lasciare i figli con le nonne, ma soprattutto
al bisogno di mantenersi collegate al rapporto che le donne mantengono con la madre anche da adulte.

Le donne concentrate sui contesti familiari che lasciano nel paese di origine, non si creano aspettative sul
paese di destinazione, ma sull’aspetto economico del loro futuro, il miglioramento della loro vita e la fuga
da una situazione politica pericolosa. Molte di loro vivono la partenza come una separazione a tutti gli
effetti e una chiusura totale con la vita che conducevano prima, altre invece non danno molta importanza
ad una fase che può permettere loro di voltare pagina. Le donne adagiate in una posizione iniziale di non
potere decisionale, si affidano al progetto altrui, togliendosi di dosso ogni senso di responsabilità. Quando
si verificano situazioni complicate e di disagio, la donna talvolta fa ricadere ogni colpa su chi ha progettato
lo spostamento. Se invece il progetto ha successo, se ne sentono le protagoniste e ne prendono
orgogliosamente parte. Ciò che alcune volte si verifica è uno stato d’animo di depressione, apatia o totale
indifferenza dovuto ad ostacoli, difficoltà o conflitti con le società di accoglienza, nel lavoro o nelle famiglie.

Sluzki mostra le fasi del fenomeno migratorio dal punto di vista familiare e sistemico. Il focus è posto sui
pattern di comunicazione che si manifestano nella famiglia migrante durante il processo migratorio e ne
propone un modello culture free:

- Quella legata alla famiglia e ai preparativi con scambi di lettere, richiesta di visto, incontri con amici
o parenti emigrati.
- La fase di partenza, e l’atto stesso, può essere molto breve come un viaggio in aereo oppure molto
lunga e travagliata con spostamenti nei paesi di transizione.
- La fase dopo l’arrivo nel paese di destinazione, che può essere di settimane o mesi, definita di
‘intercomprensione’ vede le famiglie impegnate nel soddisfare i bisogni senza contare lo stress del
viaggio migratorio.
- La fase chiamata di ‘decompensazione’ che prevede momenti difficili di crisi.

Nella società europea (sempre più multietnica e plurilingue) si sente l’esigenza di un’acquisizione di
competenze linguistiche che possano agevolare e facilitare gli scambi comunicativi fra individui, da sempre
in movimento, attori di spostamenti e cambiamenti di vita radicali, e che quindi hanno identità diverse fra
loro. All’interno del contesto migratorio è di primaria importanza la formazione linguistica, che ha il
compito di determinare un livello di interlingua necessario per una buona integrazione sociale nel tessuto
locale, talvolta però questo presupposto può provocare un disagio psicologico nelle persone migranti una
volta arrivate nel Paese di accoglienza: categorie di migranti vulnerabili come donne e bambini. Fattori
inerenti a un individuo che entrano in gioco ed influenzano determinati processi come l’aspetto
motivazionale e il disagio linguistico, ovvero quegli elementi che provocano stati di ansia all’insorgere di
difficoltà che si possono incontrare nei percorsi di formazione linguistico-culturale, oltre alla paura del
fallimento.

L’Italia possiede una lunga tradizione nell’accogliere popoli diversi e apprendenti di lingua italiana. Il boom
economico degli anni Sessanta favorì l’aumento dell’immigrazione nel Paese e dalla seconda metà degli
anni Ottanta le crescenti ondate migratorie incrementarono ulteriormente la domanda di competenza
linguistica dell’italiano e di conseguenza la crescita di corsi specializzati. I primi corsi di lingua e cultura per
stranieri furono istituiti a Siena nel 1917. Le istituzioni hanno posto attenzione a queste esigenze e hanno
tentato di rispondere tempestivamente alla richiesta di istruzione dei cittadini stranieri entrati nel sistema
educativo italiano creando un programma di valutazione del livello soglia per l’italiano capace di garantire
lo sviluppo delle competenze necessarie la sopravvivenza nel contatto con i parlanti nativi, livello B1 del
Quadro Comune Europeo di Riferimento.

I bisogni linguistici e formativi delle donne migranti si presentano differenti da quelli dei migranti uomini: il
background migratorio delle donne, che seguono rotte migratorie differenti, e al percorso di vita che
intendono intraprendere nel nuovo Paese. Esse, infatti, necessitano di una maggiore attenzione sul piano
della ricerca e delle pratiche didattiche che dovranno essere specifiche per questa tipologia di apprendente.
Appartenendo, come già detto precedentemente, ad una categoria svantaggiata e vulnerabile, dallo studio
della letteratura di riferimento, si evidenziano alcune peculiarità rispetto ai loro bisogni linguistici e
formativi:

- il bisogno di sviluppare con particolare attenzione le abilità di produzione e di interazione orale, a


differenza degli uomini che hanno più opportunità di scambi comunicativi nella società di arrivo e che
quindi possono acquisire spontaneamente i concetti di base della L2.

- il bisogno di capire i codici culturali di base e quelli legati alle specifiche pratiche di genere del contesto di
accoglienza e di sviluppare una competenza d’uso della L2 per mantenere la funzione genitoriale nel Paese
di accoglienza.

- il bisogno di acquisire un linguaggio dell’affettività che permetta loro di esprimere propri sentimenti ed
emozioni, oltre allo sviluppo di una competenza linguistico-comunicativa di base per rispondere alle
necessità strumentali.

A partire dagli anni Novanta si sono diffusi in Italia i primi corsi di italiano L2 per donne migranti, sostenuti
da enti locali ed associazioni di volontariato, che sono serviti da modello per poi oggi offrirne in tutta la
penisola. La maggioranza delle donne che frequentano questi corsi sono ricongiunte, madri o neo-madri di
origine spesso arabofona o donne che intraprendono il viaggio migratorio da sole provenienti dall’Est
europeo che poi si impegnano nei servizi di cura della persona. La pianificazione di questi specifici corsi è
motivata dall’invisibilità sociale di questa categoria di apprendenti, a causa della limitata indipendenza
sociale e lavorativa, dalla complicazione nel frequentare corsi di ‘prima alfabetizzazione’ se misti e dalle
ridotte occasioni di interazione con autoctoni a causa della provenienza culturale o familiare. Molto spesso
queste donne si presentano ai corsi di formazione dopo lunghi periodi di permanenza sul territorio ospite e
quindi hanno sviluppato in modo spontaneo conoscenze di base della L2 grazie ai contatti con gli abitanti,
con i connazionali o con l’uso della televisione.

In Italia l’apprendente tipico di italiano L2 è spesso un giovane adulto (18 - 30 anni), nel periodo della vita in
cui si svolgono gli studi fondamentali per la propria futura esperienza professionale umana, si accumulano
titoli e certificazioni, si inseguono interessi, passioni e persone significative della propria crescita personale,
si compiono viaggi formativi nel proprio Paese, si fanno esperienze di tirocinio o lavoro temporaneo, si
cercano occupazioni che garantiscano una nuova possibilità di integrazione sociale e benessere economico.
L’attenzione che le istituzioni italiane dovrebbero dare a queste lingue, si dovrebbe concretizzare in azioni,
fra le quali centrale lo studio a scuola della lingua madre degli immigrati. A tal proposito bisogna ricordare
che «tra i contesti istituzionali la scuola è un luogo centrale per produrre sistemi di scambio sociale e
comunicativo che favoriscono lo sviluppo della competenza linguistica degli immigrati adulti e bambini».

Concentrandosi sullo studio della lingua all’interno dei confini del Paese si possono dunque individuare due
tipi di beneficiari:

1. gli immigrati in Italia per motivi di necessità, che devono inserirsi nel contesto sociale e lavorativo come
gli adulti e nel contesto scolastico come bambini e adolescenti;

2. chi sceglie di soggiornare o vivere nel Paese perché ne apprezza lo stile di vita, la cultura, il clima.
Per queste due tipologie di apprendenti si manifestano bisogni di natura differente:

1. è richiesto un apprendimento universale, che quindi andrà a rispondere a quei criteri obiettivi stabiliti
dalle istituzioni e richiesti per l’inserimento nella società;

2. si parla di apprendimento specifico per il singolo individuo in quanto si trova a studiare la lingua e cultura
italiana per un tempo determinato, sia per studio che per vacanza, e con obiettivi intrinsechi ai suoi
interessi nei confronti dell’Italia e degli italiani.

Sulla base della natura dei bisogni e della motivazione, è possibile definire gli obiettivi che si suddividono in:
comunicativi, sociali, psicologici, di studio, politici ed economici, generali ecc. Questi a loro volta
stabiliscono differenti tipologie di sillabo: per il profilo dell’immigrato di interesse in questo capitolo la
necessità quella di andare ad organizzare e lavorare sugli aspetti linguistico-comunicativi del linguaggio
burocratico, sia orale che scritto. La figura dell’immigrato adulto si trova a dover agire in situazioni di vita e
che richiedono competenze differenti, con la necessità di gestire il verificarsi di un contatto linguistico su
più livelli. La loro L2 dovrebbe comprendere le varietà substandard dell’italiano, talvolta anche dei dialetti,
parlati nel territorio in cui vive per poter avere scambi comunicativi nelle situazioni informali, oltre a saper
utilizzare distinguendoli nei vari usi gli elementi del registro formale nei contesti adeguati. Dovrebbero
infine poter comprendere indicazioni complesse, che spesso si rivelano di vitale importanza sia in termini di
svolgimento del lavoro che di sicurezza personale.

Dal punto di vista psicologico si crea uno stato di anomia nella fase di integrazione unito alla vergogna della
inferiorità linguistica dovuta alla mancanza del possesso pieno del repertorio necessario per vita di tutti i
giorni. «Si aggiungono poi fattori demografici e socioculturali come l’età non più giovane, il matrimonio
contratto tra connazionali, il tipo di mansioni svolte sul lavoro e povero di comunicazione: tutto ci porta ad
uno scarso apprendimento della nuova lingua». L’apprendente adulto ha tempistiche e modalità di
acquisizione ben diversi da quelli di un bambino o di un adolescente. Un adulto con una forte motivazione
apprende più velocemente di un bambino perché sa individuare la finalità del lavoro che sta svolgendo, ma
anche per la sua competenza cognitiva e metalinguistica più sviluppata e una coscienza della realtà del
mondo che lo circonda che gli permette di ricorrere ad ogni ‘sapere’ già posseduto. Dalla seconda metà
degli anni Ottanta del secolo scorso la lingua italiana ha visto un suo sviluppo anche all’interno dei confini
nazionali grazie all’approdo di comunità straniere che richiedevano di acquisire competenze linguistico-
comunicative sufficienti a vivere in Italia e quindi a compiere e a portare a termine il loro piano di
migrazione. Nonostante l’incombenza della crisi economica, la linea di crescita migratoria non ha visto
un’involuzione, bensì ha modificato e promosso la propria domanda di formazione linguistica rivolgendosi
ad università, scuole di ogni grado e genere, associazioni ed enti territoriali.

Nel percorso di apprendimento linguistico di un individuo sono altrettanto importanti le motivazioni e le


scelte legate alla socializzazione linguistica, che entrano in gioco sul piano psicologico. La motivazione, pur
sembrando un concetto semplice, appare essere un discorso complesso se se ne cerca il significato in
psicologia e si tenta di capire come essa funzioni: un processo che si osserva attraverso i comportamenti
messi in atto da un individuo per realizzare determinati obiettivi con specifici motivi. La motivazione
scaturisce se si è all’interno di una situazione che aiuta a concretizzarla, altrimenti non nasce dal nulla
all’interno di ogni individuo, in quanto nessuno è motivato e nessuna situazione è motivante di per sé.
Ciascun tipo di motivazione è composta da due elementi: l’avvicinamento e l’allontanamento:

1. induce ad affrontare una situazione e produce di conseguenza un comportamento consono;

2. conduce al comportamento contrario e quindi a rifiutare di cimentarsi in una situazione.

Entrando nello specifico, è possibile dire che la motivazione è costituita da una serie di esperienze
personali: a partire da esse si arriva ad un dato comportamento, ad un obiettivo o ad un atteggiamento.
La motivazione non è l’unico problema che ostacola l’apprendimento di una nuova lingua: nei percorsi di
formazione linguistico-culturale si possono generare problematiche linguistiche di tipo psicologico causate
da quelle che si definiscono situazioni di svantaggio linguistico. Una situazione di svantaggio linguistico si
determina quando si verifica un disagio per il quale si costituisce un ostacolo che coinvolge lo sviluppo
cognitivo, relazionale e sociale dell’apprendente: il disagio linguistico genera un debole funzionamento
adattivo che può contribuire ad un degradamento della sua immagine personale. Il discente che sperimenta
una situazione di svantaggio linguistico o culturale può vivere un’esperienza di fragilità emotiva e
psicologica, la quale influenza le proprie relazioni con l’ambiente circostante, con i contesti sociali o
lavorativi e con le persone con le quali interagisce.

Per queste problematiche si può intervenire in diversi modi:

1. è necessario individuare lo stato di disagio emotivo per poter agire in termini di riparazione, anche
psicologica ma soprattutto occorre determinare lo svantaggio in base ad elementi oggettivi, per esempio
capendo cosa caratterizzi la difficoltà ad apprendere le Basic Interpersonal Communicative Skills;

2. è opportuno effettuare considerazioni di tipo psicopedagogico e didattico, in seguito ad un’attenta


osservazione realizzata da colui che intuisce questo tipo di disagio, l’insegnante, il quale parte dalle
valutazioni negative riportate nel tempo sia nell’ambito didattico che in quello relazionale.

Per questi si può quindi predisporre un Piano Didattico Personalizzato affinché si possano affrontare gli
specifici bisogni di chiunque ne soffra: un Piano Didattico di questo tipo deve prevedere misure di tipo
dispensativo, criteri e strategie di intervento, adatti a superare le difficoltà manifestate attraverso
l’adozione di strumenti compensativi.

Un Piano Didattico Personalizzato è rivolto a tutti gli apprendenti stranieri appena arrivati in terra straniera
che non hanno ancora acquisito adeguate competenze per instaurare relazioni interpersonali,
predisponendo attività di supporto allo studio e percorsi linguistici di L2. È indispensabile anche per tutti
coloro che manifestano un disagio relazionale o psicologico: si parla di apprendenti che esternano un
relazionamento problematico a qualsiasi piano che determina difficoltà ad interagire con l’ambiente
circostante o che esibiscono una particolare fragilità emotiva/psicologica. La psicolinguistica entra a pieno
titolo in questo discorso: questa disciplina utilizza strumenti e metodi di vario tipo per la determinazione di
casistiche come quella presentata.

«il punto di partenza consiste nell’osservazione comportamentale del soggetto in cui si manifesta un
disagio: tale azione preparatoria mira ad osservare i fenomeni e gli errori linguistici che vengono compiuti».

Misurare i tempi di reazione durante l’emissione di un enunciato: l’indecisione circa il lessema da utilizzare,
l’uso scorretto di una regola sintattica che teoricamente dovrebbe essere stata assimilata da tempo, sono
spie che il docente può cogliere per capire se si trova davanti ad un caso di disagio linguistico particolare
che richiede un’azione mirata per il suo recupero.

01/03/2022

La definizione di literacy non è stabile, può andare da un mancanza totale di competenza ad un


analfabetismo funzionale, sa leggere e scrivere ma non sa usare le competenze per determinati scopi. Gli
stati dell’EU si sono dovuti confrontare sulla definizione. Di norma è associato ad una persona che è
vulnerabile, spesso sono persone limitate. Nella maggior parte dei casi questi programmi di accoglienza
sono programmi che tengono in scarsa considerazione gli aspetti linguistici.

Sebbene la definizione di literacy non abbia confini netti, ma al contrario, costituisca piuttosto un
continuum che va dalla mancanza di competenze in letto-scrittura all’analfabetismo funzionale, è
importante osservare come le politiche di inclusione dei paesi europei, meta dei flussi immigratori
importanti e aumentati del 28% nell’ultima decade, abbiano dovuto tenere in considerazione tale
condizione o la sua eventuale assenza. Gli adulti immigrati che sperimentano queste difficoltà possono
essere considerati soggetti vulnerabili e questo avviene quando i programmi educativi basati sullo studio
delle lingue dei paesi di arrivo come prima tappa verso l’integrazione sociale non prevedono
l’affiancamento di percorsi di alfabetizzazione.

La definizione di analfabeta deve essere ulteriormente articolata e approfondita, al fine di comprendere a


fondo i bisogni di cui ciascun gruppo specifico di apprendenti è portatore. Si tratta di persone che vivono e
lavorano nelle società europee, che hanno retroterra eterogenei per lingua madre, età, traiettorie
migratorie, anni di scolarizzazione, motivazioni più o meno forti all’apprendimento della L2.

Il processo di alfabetizzazione viene oggi concepito come un processo collettivo, al quale concorrono in
diversa misura svariati attori. In primis, l’individuo adulto, che di competenze linguistiche orali spesso in
diverse lingue, di esperienze professionali e personali decide di intraprendere un percorso che faciliterà la
sua esistenza nella società di arrivo e rivoluzionerà la sua vita. In seconda battuta, gli attori sociali che
interagendo con l’apprendente offrono occasioni di apprendimento spontaneo e guidato e riflessioni che
rendono utile ciò che l’individuo ha appreso, attribuiscono senso agli sforzi e alla tensione dell’individuo
verso l’obiettivo dell’alfabetizzazione attraverso la negoziazione dei significati.

Quello delle motivazioni è legato al concetto del bisogno. È ormai a partire dagli anni 80 che vengono
periodicamente svolte indagini motivazionali. Qual è lo scopo di produrre un’indagine motivazionale?
Vedere come cambia il pubblico dell’italiano nel mondo, ma anche vedere quali sono i bisogni che spingono
le persone allo studio della nostra lingua. Il bisogno induce una motivazione ad apprendere le lingue. La
motivazione è fondamentale per l’apprendente, senza motivazione non c’è apprendimento. L’aumento
delle motivazioni (strumentali, che serve a raggiungere uno scopo; integrative, quelle di cui dovrebbe
essere dotato il pubblico al quale ci rivolgiamo con il corso, servono a vivere con le persone nella
quotidianità, significa non mettersi da parte, ma integrarsi; intrinseche, riguardano dei singoli momenti,
subentra il ruolo del docente, aldilà delle motivazioni di partenza deve rinnovare le motivazioni, deve
facilitare la nascita di nuove motivazioni, si producono in base in ciò che io sto studiando in quel momento.
Noi ci rivolgiamo ad una tipologia di pubblico che ha bisogno di un apprendimento utile per intraprendere
le relazioni utili per l’integrazione nella società in cui vogliono immettersi) insieme alla riflessione sull’utilità
del percorso intrapreso nelle situazioni di vita reale rendono tale percorso verso l’alfabetizzazione sociale e
significativo: sociale nel senso di condiviso con i membri della comunità di arrivo e significativo perché utile
a intraprendere e gestire relazioni nei diversi domini, in una relazione circolare virtuosa. Per raggiungere
questo obiettivo è possibile e necessario appellarsi al concetto di competenza parziale, sviluppato
nell’ambito delle politiche per il plurilinguismo promosse dal Consiglio d’Europa: così come gli apprendenti
di L2 devono poter usare la propria competenza linguistica per potersi districare nelle div erse situazioni
della vita quotidiana, allo stesso modo coloro che hanno intrapreso un percorso di alfabetizzazione devono
poter sperimentare nella vita reale quanto appreso, riconoscendo testi scritti nei luoghi e negli ambienti
che frequentano i primi progressi nella scrittura. Il QCER è stato erroneamente interpretato come una
descrizione di competenze assolute. Ciascuno di noi possiede anche nella lingua materna delle competenze
parziali. Il concetto di competenza parziale è stato rivalutato, si mira alla parzialità delle competenze, non si
può insegnare tutta una lingua, specie con persone di questo tipo bisogna puntare su competenze parziali,
bisogna prediligere un ambito che risponda ai loro bisogni linguistici e sociali. Le competenze sono sempre
imperfette.

I destinatari sono persone che hanno bisogno di essere incluse nella società. Inclusione, concetto declinato
nella Conferenza Internazionale dell’UNESCO a Salamanca (1994) e che implica l’erogazione di educazione
per tutti e di tutti, riducendo l’esclusione e l’abbandono scolastico, riprende la nozione di Bisogno Educativo
Speciale. Spesso siamo abituati a considerare il BES come qualcosa dovuto a disabilità corporee o di tipo
cognitivo, visivo, comportamentale, il BES riguarda qualsiasi soggetto svantaggiato. Ci sono tre categorie di
bisogni speciali:

- Disabilità  malfunzionamento delle strutture corporee, quali il ritardo cognitivo, minoranze


fisiche, psichiche…
- Disturbi evolutivi specifici  svantaggio dovuto alle funzioni corporee.
- Svantaggio socioeconomico, culturale e linguistico  svantaggio che possono riscontrare anche
apprendenti non italofoni collocati in contesti di forte deprivazione socioculturale e che
manifestano difficoltà di tipo relazionale e comportamentale, come rifugiati, richiedenti asilo e
alunni e detenuti stranieri.

I detenuti stranieri sono delle persone svantaggiate che hanno spesso dei BES e che non solo sono diversi,
sono super diversi perché l’ambiente in cui vivono è iperlinguistico, in cui il plurilinguismo è declinato
all’ennesima potenza, ci sono disagi psichici e psicologici importanti, ci sono regole precise che regolano
anche le interazioni quotidiane. È un contesto di super diversità perché si deve anche poter comunicare
anche se non si conosce l’italiano. Vige una comunicazione di tipo mista, si ricorre spesso al code switching,
anche se i codici si conoscono in maniera parziale e al code mixing, una mescolanza, in cui tutte le lingue
quella persona riesce a gestire. Ma queste persone considerano questa modalità comunicativa come
un’opportunità, un potere, riescono a comunicare.

C’è un’altra considerazione di cui tenere conto, dovrebbe spingere gli operatori a implementare azioni utili
realmente, spesso accade che l’emigrazione è fallimentare. La percentuale di detenuti stranieri è di 34%,
che non è poco, con delle concentrazioni molto elevate in alcuni penitenziari. La maggior parte ha una pena
di quattro anni, spesso si tratta di pene che se fossero stati italiani non avrebbero neanche fatto il carcere.
Viaggio fallimentare, devianza, basse competenze linguistiche sono un triangolo, sono legate fra loro.
L’immigrato del mondo libero non ha tempo perché deve gestire altre cose, il detenuto non ha tempo sia
perché finisce la pena sia perché i tempi del carcere da dedicare allo studio sono contingentati. Sono classi
ad abilità differenziate, sono classi che hanno anche delle lingue materne diversificate all’interno, culture
differenti, livelli diversi della conoscenza di italiano, hanno conoscenze parziali di altre lingue, sono classi in
cui la didattica tradizionale non funziona. Il risultato delle ricerche sui carceri hanno dimostrato che molti
detenuti non conoscono la lingua italiana, ma è stato dimostrato che il cercare è la prima scuola per queste
persone.

Organizzare una didattica per pubblici diversificati significa dare valore a un apprendimento non più
differenziato come era una volta. Prima i manuali si indirizzavano allo studente straniero in maniera
generica e si intende l’apprendimento come una serie di competenze di vari livelli per differenti parlanti. È
un modo di gestire la diversità multilingue con l’educazione plurilingue. Il locutore non è una persona
concreta, ben definita, trasformando il suo repertorio linguistico in un elemento da cui partire.

Una didattica CAD deve mirare all’inclusione e mettere in pratica delle metodologie didattiche innovative, si
deve fondare sulle innovazioni metodologiche che sono avvenute negli ultimi anni, come il CLIL,
l’intercomprensione, il translanguaging. In questa didattica oltre ad apprendenti con bisogni linguistici
specifici, bisogna che sia inclusa la comunicazione interculturale, che l’insegnante sappia condurre questa
didattica inclusiva, che esista un linguaggio inclusivo, di genere e di altra inclusione, che si approntino degli
strumenti specifici per valutare queste persone, quindi si predispongano dei sillabi inclusivi, si implementi
delle pratiche inclusive, che si prevedano i rapporti con altre discipline, come la traduzione, che si
predispongano tecnologie e risorse digitali per una didattica linguistica inclusiva.

La didattica inclusiva che ha operato una piccola rivoluzione delle piccole certezze che si avevano ha
bisogno di superare le rappresentazioni sociali più diffuse sull’apprendimento delle lingue (spesso
improntate al monolinguismo e all’esclusione) quali:
- Bisogna essere dotati per apprendere le lingue  questa affermazione ignora il fatto che la facoltà
di linguaggio è una caratteristica umana.
- Bisogna essere intelligenti per apprendere le lingue  è un concetto che deriva dai vecchi approcci
allo studio, specie quello grammaticale, che aveva una posizione diversa sull’apprendimento.
- Le lingue sono le élite  era vero nel 700, 800, quando è apparsa la classe borghese ha voluto la
scuola pubblica. Prima c’erano percorsi individuali sono per le élite.
- Apprendere le lingue è difficile, noioso, faticoso, ecc.  deriva da esperienze scolastiche
fallimentari.
- I bambini e i giovani apprendono meglio le lingue  se è vero che le acquisizioni fatte nell’infanzia
sono più immediate, è anche vero che in età adulto la competenza metacognitiva è molto più
sviluppata, compensa con la competenza pregressa del proprio repertorio linguistico, ma anche con
la capacità di sfruttare le conoscenze della società.
- Il processo di apprendimento di una lingua è lungo  è vero se abbiamo obiettivo di raggiungere
competenza di un bambino.

Differenza tra acquisizione e apprendimento? Cambiano gli ambiti in cui avvengono. Spesso l’acquisizione
avviene in immersone, esposizione diretta a degli input, che possono essere forniti da un insegnante ma
anche dal mondo esterno, quindi non controllati. Mentre l’apprendimento è di norma di tipo più
formalizzato e l’input è selezionato da coloro che erogano il corso. Fattori che influenzano l’acquisizione:
età anagrafica, motivazione, modalità di contatto e di immersione, età di esposizione quantitativa alla L2,
caratteristiche individuali, conoscenze linguistiche altre, scolarità precedente, sostegno nei vari ambiti di
vita. Fattori che influenzano l’apprendimento: età anagrafica, motivazione, caratteristiche individuali,
qualità della didattica, empatia con il gruppo dei pari/insegnanti.

Attualmente abbiamo due modelli di operatività. Modello a mediazione insegnante in cui si ha una
trasmissione di informazioni, contenuti e l’apprendente è un recipiente che deve ricevere queste
informazioni, modello tradizionale, di solito la lezione è improntata in maniera frontale ed essenzialmente
verbale. Modello a mediazione sociale, in cui si ha una concezione attiva dell’apprendimento attraverso la
co-costruzione di conoscenze, il docente non è l’unica fonte di sapere, ognuno porta un suo sapere
personale che dev’essere riconosciuto e valorizzato e integrato. L’apprendente interagisce con la didattica.
Il docente non sa tutto, non può conoscere tutte le lingue dei propri apprendenti, deve fare un’azione di
umiltà e mettersi sullo stesso piano degli apprendenti.

02/03/2022

Come si gestisce un classe di soggetti svantaggiati nella pratica?

Ci occupiamo di classi di italiano L2 plurilingue e multietniche che possono comprendere anche studenti
italofoni, possono essere costituite da persone che non hanno l’italiano come lingua materna e persone che
ce l’hanno oppure soltanto da persone con lingue altre e l’italiano come L1. In entrambi i casi sono classi
caratterizzate da livelli diversi di conoscenza dell’italiano, da L1 differenti e culture differenti. Questo crea
per l’insegnante grossi problemi di organizzazione e gestione della didattica. È la situazione più difficile in
cui si può trovare l’insegnante, soprattutto problemi di comunicazione con la classe. Sono delle classi in cui
la lezione classica tradizionale non funziona, bisogna che l’insegnante diventi una pecie di attore, in grado di
interagire realmente con queste persone. Sono anche chiamate CAD, classi ad abilità linguistiche
differenziate. CAD in Italia era usato per classi omogenee di bambini italofoni, negli ultimi anni è sempre più
una caratteristica di altri tipi di classi, costituite da plurilinguismo e multiculturalismo. Sono classi in cui è
necessario rispettare la natura e il tipo di apprendimento di ogni individuo, in cui è necessario valutare le
competenze di ogni apprendente, bisogna non annullare la personalità dell’apprendente, ma partire da chi
è. Le CAD implicano un modo osservare la realtà di classe che è diversa da quella tradizionale, implica un
sistema dinamico di apprendimento, che deve essere costruito con l’apporto di ciascun studente. Sono
classi in cui la maggior parte degli insegnanti avvertono questa diversità come un ostacolo, un problema. Il
successo di una didattica CAD deve essere costruito su presupposti opposti: la diversità e la differenza non
sono un ostacolo ma un’opportunità e che permettono di raggiungere risultati plurimi, non pensabili in una
classe monolingue e monoculturale. Le CAD sono classi con una molteplicità e varietà indotte dalla
composizione della classe di contenuti, materiali e soprattutto procedure didattiche.

Sono classi che fanno i conti con almeno tre fattori di differenza:

- Personali  bisogni e motivazioni di apprendimento, possono essere considerate dal punto di vista
dell’apprendente stesso, se sono motivazioni di tipo intrinseco o estrinseco. Stili cognitivi, ognuno
ha un approccio preferito nell’apprendimento, nella rappresentazione della realtà. Stili di
apprendimento, la tendenza a preferire un determinato modo di apprendere/studiare. Attitudine
all’apprendimento linguistico, ci sono fattori che possono influire sulla capacità di imparare una
lingua, come capacità di riprodurre correttamente suoni. Tipi di personalità,
introversione/estroversione, autonomia/dipendenza. Tipi di intelligenza, multipla, linguistica, ecc.,
influiscono sulla modalità di apprendimento. Età e patologie, capacità di memorizzazione, problemi
di udito, BES.
- Socioculturali  ambiente familiare, risorse parentali, vicinanza/lontananza dalla famiglia, “lessico
familiare”, una porzione di lingua che si sceglie e si usa in quel gruppo familiare. Ambiente sociale,
classi sociali non importanti quanto in altri paesi, distanza tra Italia e paese di provenienza/studio,
più sono lontani i paesi più sono diverse le culture meno contatti linguistici ci sono, servizi a cui si
accede che aumentano lo sviluppo delle motivazioni, ambiti situazionali e domini di interazioni più
frequenti. Il concetto di dominio è un concetto sociolinguistico, fu coniato da Fishman negli anni 70
ed è un concetto che anche se non messo in rilievo è stato fortemente usato nel quadro comune
europeo. Qui abbiamo degli ambiti di impiego che altro non sono che i domini, che permettono di
individuare dei fasci di situazioni che si trovano in quel dominio. È fortemente usato per costruire i
livelli e le tassonomie. Gli ambiti e i domini sono importanti perché con essi le persone hanno
maggiore familiarità e maggiore possibilità di usare la L2 che stanno apprendendo. Storia
migratoria, integrazione e isolamento, vulnerabilità psicologica. Emancipazione/fallimento, modo di
pensare, pregiudizi, condizionamento, libertà/privazione della libertà.
- Relazionali  riguardano la classe, l’azione didattica. Gli altri sono fattori in cui l’insegnante può
influire ma fino a un certo punto, quelli relazionali sono di stretta competenza dell’insegnante.
Clima della classe. Relazione docente-studenti, la lezione non è un esame. Costruzione della
conoscenza attraverso il dialogo e la relazione con gli altri, i socratici l’avevano già scoperto anni fa,
il dialogo è importante in una lezione. Collaborazione e cooperazione. Esecuzione di compiti
autentici, situati, motivanti e vicini al vissuto degli apprendenti. La didattica prima era generalista, ci
si rivolgeva a un pubblico indifferenziato, oggi si rivolge a un pubblico differenziato.

Abbiamo studenti differenti per caratteristiche individuali: livello linguistico, retroterra culturale, attitudine
verso le lingue, stili di apprendimento, L1, conoscenza del mondo, conoscenza di altre lingue e repertorio
linguistico, età, esperienza pregressa di apprendimento, genere, motivazione, interessi, bisogni,
autopromozione.

Il docente deve essere in grado di ricorrere ad una didattica variata per rispondere alle esigenze degli
apprendenti che cambiano nel tempo, organizzare flessibilmente la classe, stimolare la cooperazione, ma
soprattutto modificare il proprio modo di guardare la classe. Deve evitare stress negativo, conflitti,
incomprensioni e pregiudizi. Deve favorire le aspettative.

Come docenti ci si deve concentrare l’attenzione e lo sforzo cognitivo sul contenuto dell’input piuttosto che
sugli aspetti formali delle lingue, sui saper fare piuttosto che sui saperi tradizionalmente intesi nella
didattica delle lingue. Superare la scissione del binomio lingua-cultura, tenendo conto che sono due facce
della stessa medaglia, cioè della comunicazione. Cercare di improntare lo studio della L2 all’operatività, allo
svolgimento di azioni concrete, reali e spendibile nell’immediato. Analizzare i bisogni degli apprendenti, con
questionari prendendone nota. Tenere conto delle aspettative e delle culture educative (soprattutto gli
adulti). Tenere conto degli scenari curricolari (scolastici e professionali). Se possibile, se inserito in un corso
non soltanto volto all’insegnamento delle lingue, considerare che l’insegnamento delle lingue è trasversale
ad altre materie del corso, competenze linguistiche, di apprendimenti e di materie. Considerare
l’integrazione linguistica non come negazione della diversità e mimetismo ma come funzionale alle pratiche
sociali e all’ampliamento/riconfigurazione affettiva del proprio repertorio linguistico. Costruirsi degli
strumenti di valutazione specifici per il tipo di destinatario che si ha di fronte.

Glottodidattica, linguistica educativa o didattica delle lingue moderne, il fatto che ci sia più di un’etichetta ci
dice anche qual è la posizione di coloro che insegnano questa disciplina. Chi parla di linguistica educativa
proviene da studi di linguistica, chi parla di glottodidattica proviene da studi ti tipo sociologico, chi parla di
didattica delle lingue moderne si rifà ad un’etichetta più neutra. In Italia la glottodidattica si forma negli
anni 80, si hanno le prime riflessioni glottodidattiche per l’italiano a stranieri e
sperimentazione/elaborazione di materiali didattici, strumenti per la valutazione delle competenze,
percorsi di programmazione. Negli anni 80 abbiamo i primi sillabi per italiano L2, creati qui a Siena. La
disciplina è relativamente giovane. Negli anni 90 ci sono i primi corsi di formazione di docenti di italiano a
stranieri, si è cominciato ad occuparsi di formazione specialistica di studenti stranieri, sono iniziati i primi
corsi di traduzione. Negli anni 2000 si sono prodotte le prime riflessioni teoriche e applicative per differenti
tipi di pubblico. Si è fatto strada il concetto di intercultura.

La comunicazione interculturale ha tre dimensioni:

- affettiva, riguarda il modo vedere attraverso gli occhi dell’altro;


- cognitiva, consapevolezza della diversità culturale;
- comunicativo-comportamentale, capacità di scelta/analisi di comportamenti culturali perchè siamo
consoni al dominio comunicativo in cui mi trovo a interagire.

Le lingue sono diverse, ma non sono una superiore all’altra.

L’educazione interculturale si fonda su una concezione plurale e dinamica dell’identità culturale e sociale,
tiene conto che le culture evolvono come evolvono le società e che sono in continuo interscambio.
Occuparci di intercultura significa sviluppare modelli didattici efficaci e adeguati, con particolare attenzione
a tre funzioni: funzione di prevenzione, per preparare a vivere e ad agire nelle società multiculturali;
funzione di aiuto, per preparare ad affrontare le sfide; funzione di recupero, per preparare a risolvere i
problemi che nascono dai conflitti presenti nelle società in trasformazione.

Lo stereotipo è la prima reazione che un essere umano ha di fronte a una cultura diversa, è di varia
tipologia. Può essere nazionale. Ci sono stereotipi generazionali. Poi ci sono quelli individuali, quelli
nazionali sono più difficilmente sradicabili ma meno pericolosi, quelli individuali sono più pericolosi.

Perché questa indagine è stata svolta presso il sistema sanitario veneto? Perché tra i vari domini della
società ve ne sono alcuni in cui è più facile che si producano stereotipi e problematiche comunicative. Il
settore sanitario è quello in cui sono stati svolti diversi studi, è un problema da risolvere perché riguarda la
salute, legato alla persona moltissimo. In molti studi si è notato che questo tipo di interazione viene spesso
affiancato sul piano estetico da movimenti, da gesti, spesso interpretato in maniera stereotipata
dall’operatore sanitario, il quale spesso pensa che sia inesistente il concetto di prevenzione per tutti gli
immigrati. C’è un altro preconcetto legato alle prime esperienze che gli immigrati avevano, la diffidenza nel
sistema italiano, diverso da quello del paese di provenienza. Molti medici ritengono di avere il diritto di
interrompere e non viceversa, le domande nel rapporto medico-paziente è autorizzato solo il medico a
farle. È importante la situazione relativa al ruolo della donna, in tante culture non possono essere visitate
da uomini, di partenza non è uno stereotipo, ma molti medici credono che tutte le donne immigrate
abbiano questo limite, è un’estensione della realtà. Il docente/mediatore deve tenere conto di aspetti
collegati alla lingua e alla cultura. Non sempre c’è la possibilità di tradurre i concetti importanti e di mediarli
tenendo conto delle culture in cui si è formata l’idea che ha il paziente della malattia. Un mediatore
dovrebbe gestire le emozioni ed essere in grado di cambiare il proprio modo di agire in base a chi si ha di
fronte, tenendo conto che spesso negli ambiti di comunicazione specializzati esistono manuali per
l’interazione medico/studente. I problemi linguistici sono dovuti a una conoscenza limite dell’italiano, sono
legati alla terminologia, che è criptica. Problemi legati alle abitudini comunicative. Anche aspetti legati a
tematiche interculturali, religione, sessualità, malattie, morte, sono tabù declinati in maniera differente.

07/03/2022

Per quanto riguarda testi difficili da comprendere, alcune soluzioni potrebbero essere:

- osservazione di comportamenti linguistici e culturali e vedere come nelle diverse culture si


costruisce la malattia, la cura, ecc.;
- costruzione di vademecum sui principali contesti e culturali che possono riguardare la vita degli
immigrati;
- semplificazione linguistica, un modo potrebbe essere aggiungere immagini;
- traduzione e mediazione;
- opuscoli con immagini per le situazioni più frequenti.

Apprendere e osservare l’altro per cercare di interagire con l’altro e tenere in considerazione che la
comunicazione non è fatta di sola parola, anzi. La parola è in percentuale bassissima, i linguaggi non verbali
costituiscono più dell’80% della comunicazione. Tenere in conto dei linguaggi non verbali, soprattutto i
valori che si concretizzano negli eventi, costituito da ciò che diciamo e dal valore che gli diamo. Sapersi
orientare nell’ambito dell’interculturalità. Cosa significa? Significa gestire gli aspetti culturali, che non sono
quelli di cultura classica a cui ci ha abituato la scuola classica. Come si fa ad orientarsi in questo concetto di
cultura bassa, di tipo etnico-antropologico? Per orientarsi bisogna osservare alcune coordinate: quelle di
tempo e di spazio, il tempo può essere quello cronologico quindi legato all’età, a ciò che si può fare in una
certa fascia d’età, può essere la puntualità, ciò che scandisce e ordina la nostra giornata, in base all’idea di
tempo che abbiamo, che per noi occidentali scorre veloce, è anche il tempo atmosferico, il clima
interferisce sull’abbigliamento, l’architettura, ecc. Anche lo spazio determina una serie di scelte culturali, lo
spazio è anche lo spazio geografico, lo spazio è anche come noi organizziamo gli spazi privati e quelli
pubblici, perché determina le azioni che si possono compiere, lo spazio è ciò che crea la tipologia delle
nostre città, è anche quello che posso avere tra una persona e l’altra, è come geograficamente io posso
migliorare o peggiorare l’ambiente che mi circonda.

Oltre alle coordinate principali, gli aspetti interculturali sono determinati da una serie di paradigmi:
stereotipi, pregiudizi, impliciti. Gli impliciti sono il punto di maggior svantaggio per un non nativo, è difficile
condividerli tutti, abbiamo diverse tipologie, quelli collegati a tutto un popolo, quelli generazionali. Gli
impliciti sono usati per fare economia nella comunicazione, a patto che il mio interlocutore sappia ciò di cui
sto parlando. Tutti questi impliciti si possono chiarire a un non nativo. Ci sono gli impliciti legati al gruppo di
pari, gli amici, gli intimi. Gli impliciti sono parte integrante di ogni conversazione ed è su questi che si deve
far riflettere l’apprendente perché spesso non li condivide, possono costituire un elemento di disturbo. Poi
abbiamo le distanze culturali, l’interferenza funziona come quella linguistica, si tende a valutare un’altra
cultura sulla base della nostra cultura. Principi di divisione, sono le tassonomie che ogni società crea
obbligatoriamente per dare un ordine al mondo, come nord e sud. Memoria collettiva, legata agli impliciti,
può essere di un intero popolo, oppure legata ad una parte della popolazione o ad una generazione. Tabù,
ogni cultura ha i propri tabù, ci sono quelli comuni ma declinati diversamente, come la morte, la malattia, la
religione, la sessualità, sono difficili da gestire perché si radicano nell’intimità di un popolo o di una
persona. Si può cercare di spiegarli, ma sono difficili da rimuovere.

Elementi che compongono la competenza interculturale:

 attitudine verso la curiosità, chi impara le lingue è una persona curiosa;


 apertura, rispetto, tolleranza delle ambiguità, conoscenze significa un’autoconsapevolezza
culturale, conoscere cosa è tipico della mia cultura e cosa non lo è ma avere una visione di come i
contesti influenzino le visioni del mondo, consapevolezza sociolinguistica, non a caso la
sociolinguistica è una disciplina di raccordo tra la linguistica pura e la sociologia, siamo in un ambito
in cui si spiega la lingua in base ai rapporti sociali;
 abilità anche per un apprendente, abilità di ascoltare le altre culture, di osservare, di analizzare,
interpretare e creare collegamenti, tenendo conto che la decodificazione di qualsiasi messaggio è
resa possibile dalla condivisione cognitiva dei diversi sistemi del codice verbale e dei codici non
verbali.

Per osservare l’intercultura ci sono tre modelli da usare nella glottodidattica:

- modello a piramide;
- modello processuale, che concepisce la competenza interculturale come un processo in divenire
tutta la vita;
- modello di Balboni, tridimensionale che collega verbale, non verbale ed eventi, da queste tre
dimensioni scaturisce la comunicazione.

Spezzone di film Totò tentativo di abiura culturale di un americano a Roma. Inserisce qualche parola in
inglese, stereotipo su cosa mangiano gli americani. Imitazione dello stile. C’è un elemento diacronico della
lingua italiana, l’uso del “voi”, di stampo e di memoria nazista.

Per analizzare una cultura bisogna riflettere su una serie di aspetti che Balboni chiama software mentali:
gerarchia, osservare come si esprimono i rapporti gerarchici in una cultura, il rispetto, le parole chiave del
carcere. I segni del corpo sono fondamentali. Esempio, il sorriso da noi è segno di benevolenza, non sempre
è così. Lo sguardo varia in relazione ai contesti e grado di intimità, emozione sottostante, valore sociale in
un dato contesto culturale. Altre espressioni e manifestazioni: gambe e piedi, mani, il volto, odori e rumori
del corpo, sudore, soffiarsi il naso, starnuti, rumori odorosi.

I gesti sono molto importanti per analizzare:

- quelli che hanno esattamente lo stesso significato;


- quelli che esistono in entrambe le culture ma veicolano due messaggi diversi;
- quelli che sono diversi ma veicolano lo stesso messaggio;
- gesti convenzionali, condivisi da tutta la comunità e non convenzionali.

Spezzone film Io sono Li  ci sono mancanze comunicative risolte sul piano pragmatico.

L’aspetto pragmatico è molto importante, spesso permette di salvare la comunicazione in mancanza di una
conoscenza pronta e puntuale del codice semantico, è fondamentale la conoscenza pragmatica. Quando
uno straniero parla la nostra lingua, spesso non è tanto l’errore grammaticale, quanto gli errori
sociolinguistici, socioculturali e pragmatici che possono compromettere la comprensione.

La mescolanza di lingue, plurilinguismo, translanguaging è un fenomeno studiato per la prima volta da


Garcia in America, ha osservato nelle classi di primo e secondo grado dove ci sono bambini di lingue
materne diverse si crea una comunicazione anomala, anomala rispetto al modo tradizionale di concepire la
comunicazione, in cui ciascuno usa una parte della propria lingua pur sapendo che gli altri non la
conoscono, pian piano si arriva a una mescolanza di codici e alla translingua, qualcosa che è aldilà delle
singole lingue che la compongono. È uno stato di fatto che può essere usato con profitto valorizzando i
codici linguistici materni e paterni introducendo in contemporanea gli altri codici. Il translanguaging include
una serie di pratiche e didattiche. Intercomprensione e il translanguaging sono modalità di comunicazione
spontanee utilizzate con profitto per la didattica, sono entrambe molto promettenti per la didattica in
contesti plurilingue purché si usi un approccio costruttivista nella gestione delle lingue presenti nel gruppo
classe.

Il translanguaging è comunicazione pratica didattica che alterna almeno due lingue, può essere un
approccio didattico plurilingue e riflessione sulle lingue e loro valorizzazione. Sia l’intercomprensione sia il
translanguaging sono modalità spontanee di comunicazione fra parlanti di lingue diverse. Il concetto di
translanguaging segue una serie di studi pioneristici ad opera di Fishman, sono studi che hanno contribuito
alla decostruzione di una visione statica delle lingue, una visione monolinguistica legata a una visione
risorgimentale, una lingua e una nazione. La globalizzazione, la complessità delle società attuali, la mobilità
delle persone, la lingua come pratica sociale, la compresenza sempre più massiccia di elementi di
plurilinguismo. Le società di oggi si possono analizzare secondo il translanguaging, società in cui non c’è
alcuna lingua o pratica in posizione gerarchica, tutte sullo stesso piano. Non c’è la lingua buona, bella,
corretta e quella scorretta e subalterna. Una didattica delle L2 che voglia rispecchiare questa situazione
della società mondiale è una didattica che deve puntare a costruire i saperi sulla base della compresenza di
più lingue e insegnare lingua a partire dai repertori che hanno queste persone. Il concetto di
translanguaging è strettamente collegato al concetto di superdiversità, che significa avere coscienza del
fatto che nelle società coabitano individui di differenti nazionalità e differenti identità, quindi differenti
visioni del mondo, che in ogni società gli individui esprimono sempre e sono sempre risultato dei processi
migratori precedenti, del vissuto personale. Sul versante delle società di accoglienza si ha lo stesso
processo, diventano società in cui penetrano altre lingue.

L’intercomprensione è nata con un famoso numero di una rivista francese, è stata voluta a livello di politica
linguistica europea anche per motivi economici perché avrebbe permesso di risparmiare molto sulla voce
traduzione, è una modalità spontanea di intercomunicazione. L’approccio non ha solo motivazioni
ideologiche, ma anche legate alla natura stessa delle lingue. L’intercomprensione esisteva già tra i mercanti
all’epoca delle repubbliche marinare. Esiste da sempre come pratica. Può costituire un modo per avvicinare
allo studio della L2 le persone, facendo non tabula rasa di ciò che queste persone sapevano, ma mettendole
a capitale, ed è importante anche perché contribuisce a creare una competenza comunicativa
translinguistica, andando oltre la conoscenza compartimentata di una singola lingua. Tutto questo è
possibile se c’è un apparato linguistico idoneo, se si scelgono degli input adeguati a questa situazione di
apprendimento che devono costituire una sfida per l’apprendente, devono invitare l’apprendente a essere
cosciente della propria capacità di trasferimento dei saperi da una lingua all’altra. Permette di attivare un
serie di strategie cognitive che sono alla base dell’apprendimento di qualsiasi lingua. Mette a disposizione
dell’apprendente tutte le nozioni che già sa sul funzionamento delle lingue e del linguaggio, a favore
dell’apprendimento di nuove lingue.

Sono più numerosi i plurilingue che i monolingue, il concetto di una lingua e una nazione è di epoca
risorgimentale. Serve a legittimare l’idea di un monolinguismo alla base di sistemi scolastici. Le pratiche di
intercomprensione possono anche costituire una modalità di long life learning, aprono la porta alla
curiosità verso altre lingue. L’intercomprensione rientra nei cosiddetti approcci plurali, che mettono in
pratica più qualità linguistiche contemporaneamente e si distinguono da approcci singolari perché pongono
l’attenzione sulla pluralità delle lingue. Gli approcci culturali possono essere degli èveil aux langues,
risveglio alle lingue, non vere e proprie impalcature glottodidattiche. Possono essere i CLIL, insegnamento
di una materi attraverso una lingua straniera. Non è un vero e proprio approccio, si tratta di pratiche che
adottano certi manuali per far capire agli studenti cos’è la lingua.
L’intercomprensione si fonda su alcuni principi fondamentali: la conoscenza di una lingua, anche la L1, è
sempre parziale, le conoscenze possono e devono essere parziali, non è possibile raggiungere la totalità
della conoscenza di una lingua, si valorizza la parzialità delle competenze. Ma allo stesso tempo il processo
di intercomprensione implica che si renda cosciente l’apprendente che tutte le conoscenze sono meno
parziali di quanto possa sembrare. Io già ho delle informazioni, so cosa si può dire e cosa non si può dire in
una determinata situazione, so interpretare il linguaggio non verbale. Se tutte le conoscenze sono meno
parziali di quanto sembri, chi ha già appreso una lingua conosce molte cose di altre lingue senza rendersene
conto. Bisogna che si faccia apprendere a considerare queste conoscenze che si hanno già.

08/03/2022

Esempio progetto  in qualsiasi contesto si deve portare l’apprendente all’autonomia, dare strumenti
perché diventino autonome. il sistema di accoglienza, definito frammentario, è fallimentare. Fino ad oggi è
stato gestito in modo che queste persone fossero posteggiate, controllate e poi immesse nella società
senza strumenti per gestire la vita fuori dai centri di accoglienza. Queste persone non riescono a immettersi
nel mondo del lavoro. Finché attiveremo un’ottica di assistenzialismo non otterremo nulla. C’è un forte
interesse da parte delle aziende per gli sgravi fiscali e perché spesso ci sono lavori che i nativi non vogliono
fare.

L’intercomprensione dal punto di vista pratico si fonda sul costruttivismo, sul sociocostruttivismo, che non è
una teoria recente, è stata elaborata negli anni 80 da Vigotskij, è una teoria di cui si è tenuto poco conto. Il
concetto di sociocostruttivismo si fonda sul concetto di zona di sviluppo prossimale. La zona di sviluppo
prossimale è la distanza tra il livello sviluppo attuale del bambino determinato dal modo in cui affronta da
solo un problem solving e il suo livello di sviluppo potenziale determinato da come il problem solving viene
affrontato sotto la guida di un adulto o in collaborazione con compagni più capaci. Cosa è in grado di fare
l’individuo e cosa è in grado di fare con l’aiuto di un formatore. Cioè è l’area cognitiva all’interno della quale
il soggetto nell’interazione con altri soggetti pari o più esperti riesce a svolgere attività che non sarebbe in
grado di portare a compimento da solo tramite l’appropriazione di strategie che non ha ancora sviluppato o
non del tutto sviluppato. L’intercomprensione serve allo sviluppo di queste strategie. [Gli strumenti di cui si
dota l’Europa per le politiche linguistiche sono trasversali, a parte i primi livelli soglia che a partire dagli anni
70 furono creati per ciascuna lingua. Quello era un progetto che partendo da lingue comuni adattava ad
ogni lingua le politiche europee. Trasversali nel senso che devono andare bene per ogni lingua e ogni
nazione.]

I principi epistemologici per l’intercomprensione sono applicati anche per altri approcci, sono fondati sul
costruttivismo sociale e culturale:

- l’apprendimento è un processo attivo, non si apprende in maniera passiva;


- si impara ad imparare mentre si impara, più si studia più migliora il modo di studiare;
- si impara solo appoggiandosi a strutture di conoscenza pregresse, è sconsigliato qualsiasi approccio
che annulli le conoscenze pregresse;
- la costruzione di conoscenza è un processo mentale con attività che coinvolgono altre facoltà e i
sensi, già i romani lo avevano scoperto, mens sana in corpore sana, quando apprendiamo una
lingua attiviamo un processo mentale ma dentro un contesto situazionale, coinvolgono i sensi della
persona, l’empatia verso il processo di apprendimento che produce motivazione;
- il linguaggio che usiamo influenza l’apprendimento, influenza il modo di concepire la realtà, il
linguaggio deve facilitare l’apprendimento, non ostacolarlo, deve essere tutto tarato sulle
competenze dello studente;
- l’apprendimento è un’attività sociale, in reazione a molti metodi e approcci tradizionali del passato
che concepivano l’apprendimento a sé stante, non prevedevano attività didattiche, di attivare
nell’apprendente dei ragionamenti, facendo sì che ciò che si apprendeva in aula fosse reimpiegato;
- impariamo in relazione alle nostre conoscenze e credenze, un compito dell’insegnante è spingere
l’apprendente a pensare che l’apprendimento sia facile, quindi gratificare l’apprendente non
punirlo;
- la motivazione non solo favorisce l’apprendimento ma ne è componente essenziale.

Apprendimento costruttivista è fondato sulla modalità esplorativa. Questo tipo di apprendimento si attiva
in base a determinati aspetti: attivo, costruttivo (l’apprendente costruisce il proprio apprendimento, non lo
subisce), collaborativo (deve esserci collaborazione tra apprendente e insegnate e tra apprendenti),
intenzionale (cosciente), complesso (nessuno dice che sia facile apprendere una lingua), contestuale
(cercare di contestualizzare qualsiasi attività didattica), conversazionale (oggi più che mai è attraverso il
dialogo che si apprendono le lingue), riflessivo (l’apprendente deve essere indotto su ciò che fa, i suoi
progressi, i suoi errori, gli errori non si puniscono più, devono essere evidenziati e spiegati). Tutto questo
significa che una didattica intercomprensiva è molto complessa da svolgere per un insegnante. Costruttivo
 le nuove conoscenze si integrano con quelle già possedute, la trasparenza, le similitudini tra lingue
facilitano e favoriscono le nuove conoscenze. Studi sull’intercomprensività hanno dimostrato che facilita
l’apprendimento, permettendo di mischiare le lingue e fare errori. L’intercomprensione è adatta ai primi
livelli di avvicinamento ad una lingua. Quando parlo di trasparenza fra lingue vicine intendo fondarsi su uno
studio tedesco degli anni 90, i sette setacci di Stegmann, uno studio comparato su tutte le lingue romanze
per rendere cosciente l’apprendente e l’insegnante sulle similitudini possibili fra le varie lingue che esistono
già. Le lingue romanze hanno un serbatoio di lessico che è un serbatoio internazionale, sono
immediatamente trasparenti perché provenienti dal latino. Il 10% di una lingua è costituito da lessico
internazionale, in aggiunta c’è un 20% del lessico che è panromanzo. Poi le lingue romanze hanno altri
aspetti, per esempio la costruzione SVO. I fenomeni atmosferici vengono resi allo stesso modo impersonale
in tutte le lingue romanze. Questa trasparenza non è solo a livello morfologico, lessicale... è anche a livello
pragmatico. Un atto comunicativo in una famiglia linguistica si esprime allo stesso modo. Riflessivo  nella
realizzazione di un atto comunicativo io devo tenere conto di tutta una serie di informazioni che applico al
mio modo di comunicare, quello che si fa con l’intercomprensione è rendere espliciti questi meccanismi, in
modo che l’apprendente non solo sia facilitato da una vicinanza delle lingue ma sfrutti le conoscenze che
già possiede per essere più veloce nell’apprendimento. Tutte queste conoscenze possono essere utilmente
sfruttate se chiediamo agli apprendenti di riflettere su ciò che stanno facendo. Non si può far leva sulle
conoscenze pregresse se non si spingono gli apprendenti a usare queste conoscenze pregresse. Niente è
appreso se non è prima notato, teoria di Schmidt. La consapevolezza che un percorso deve attivare
nell’apprendente di poter effettuare operazioni di transfer migliora in generale lo sviluppo cognitivo e le
competenze di apprendimento. Quindi, nel processo di intercomprensione sono fondamentali la
dimensione metacognitiva e metalinguistica. Si prestano ad un approccio L2 anche da immigrati. Il percorso
deve essere costruito con input che siano adeguati all’apprendente e che costituiscano una sfida e
permettano di lavorare sulle strategie cognitive, che non vengono spesso prese in considerazione.

L’intercomprensione è una competenza nei processi comunicativi e formativi, implica il concetto di transfer
da una lingua ad un’altra, è un modo per valorizzare le diversità attraverso l’uso delle somiglianze. È
dunque un approccio ideale per contesti di translanguaging e superdiversità, ma anche un concetto politico
e sociale, uno strumento di mediazione: permette di mettere in contato più persone in maniera più veloce,
implica una visione delle lingue non come oggetti di studio in sé stessi, concezione di lingue e culture non in
contrapposizione ma come “ponti” per nuove conoscenze, nuovi contatti. È l’ideale per impostare percorsi
con apprendenti plurilingue.
Un sillabo è una lista di contenuti che può e deve essere usato da coloro che scrivono dei manuali o
implementano dei programmi di insegnamento. Il sillabo può essere contenuto all’interno di un curricolo,
che è un manifesto glottodidattico, non elenca gli elementi, ma da’ informazioni su come gestire la classe.
La motivazione strumentale è fondamentale per l’apprendimento in classi multilingue, l’apprendente se
non intravede una immediata spendibilità abbandona il patto formativo. In carcere la comunicazione
avviene essenzialmente in forma scritta.

09/03/2022

Le definizioni di intercomprensione sono plurime. Situazione in cui gli interlocutori possono comprendere la
lingua degli altri, distinguendo tra competenza attiva e competenza passiva. C’è chi pone l’accento sulla
pratica e chi sul processo, sullo stato. Nella didattica si pone l’accento sul processo. Tost è stato il più
grande intercomprensionista catalano, ha affermato che nei primi testi non appariva proprio la parola
intercomprensione. James, intecomprendista, e Spita hanno scritto molti contributi, danno una definizione
relativa alla persona, all’attributo della persona, persona che è disponibile a capire altre lingue oppure
come avvenimento, come strategia intenzionale, come finalità politica educativa. Solo negli anni 2010 è
stata introdotta la dimensione culturale all’interno degli studi di intercomprensione in quanto componente
indispensabile per poter comunicare. Negli anni più vicini a noi stanno aumentando le definizioni da un
punto di vista didattico e pedagogico. All’inizio bisognava giustificare la disciplina, poi si è cominciato a
vedere quali tipologie potevano esserci, adesso che ha dimostrato di esistere e di avere un suo valore
scientifico, l’attenzione si sposta sullo sfruttare i principi di intercomprensione per una didattica. Ancora
oggi però nei dizionari generalisti questa parola non esiste. La morfologia della parola ha un nucleo comune
a tutte le definizioni, la comprensione è considerata la competenza cognitiva nell’ambito del linguaggio e
competenza parziale separata dalla produzione.

Similarità tra lingue romanze, sette setacci sono importanti perché aiutano l’apprendente a crearsi regole
personali di corrispondenze, di trasformazioni, che non devono essere corrette, servono per progredire
nell’apprendimento. Nello scritto le lingue romanze sono più intercomprensibili che nell’orale. Il canale
scritto è più statico di quello orale, quando una lingua si modifica, cambia prima il canale orale, poi quello
scritto. Corrispondenze:

- Possessivi;
- Fenomeni metereologici, in tutte le lingue romanze all’impersonale;
- Riferimenti a “quello che è”;
- Negazione e costruzioni negative, ha valori equivalenti e forme simili in tutte le lingue romanze;
- Prefissi, spesso omofoni con lo stesso valore;
- Pronomi complementi oggetti diretti o complementi oggetti indiretti seguono la stessa modalità di
costruzione e lo stesso uso.

Basta focalizzare l’attenzione su queste similitudini perché l’apprendente si crei tutta una serie di
corrispondenze. Quando iniziamo ad apprendere una lingua i nostri insegnanti ci abituano a fare queste
riflessioni? Tendenzialmente no, questa è la novità dell’intercomprensione.

Con i pubblici immigrati e nei contesti plurilingue si hanno delle difficoltà innegabili dell’insegnamento.
Perché queste classi non sono affatto omogenee, la classe omogena è un’utopia, per gestire questa
diversità di persone, lingue, culture, competenze si adotta una metodologia ad abilità miste e ad abilità
differenziate, CAD, vale a dire l’insegnante deve poter far svolgere lo stesso compito a studenti diversi
prevedendo che ciascuno lo svolga in base alle proprie competenze. Questo implica un grande sforzo da
parte dell’insegnante. Li obbliga a reimpostare lo modalità di gestione della classe, la lezione frontale è
esclusa. Deve essere un’interazione indirizzata a tutti, di tipo inclusivo, occorre dare sempre istruzioni
chiare, con lessico basso e ripetitive. Non si può usare la lingua degli apprendenti per dare istruzioni,
l’insegnante dovrebbe conoscere tante lingue diverse. Bisogna subito usare la lingua target, non come
modello da imitare, ma come veicolo di informazioni su cosa devono fare. Non è quando si forniscono
informazioni che si insegnano dei modelli di lingua. Bisogna imparare a gestire la formazione di gruppi,
raggruppando gli apprendenti in base alle proprie competenze, questo non significa escludere qualcuno o
che sia inferiore, ma organizzare la didattica in modo che ciascun gruppo possa trarre il maggior beneficio
dall’azione didattica. Bisogna superare il rischio di quando si lavora per gruppi, che qualcuno lavori e
qualcuno no. Deve saper alternare momenti di gestione di tutta la classe e di recupero di soggetti meno
reattivi e competenti, anche con svolgimento di attività con differenti livelli di difficoltà in contemporanea.
Deve saper individuare il livello medio di performance perché poi deve valutare quanto è efficace
l’apprendimento ma al tempo stesso fornire un feedback individuale, serve fatica e tempo. Per fare tutto
questo il modo migliore è organizzare un apprendimento basato su compiti, procedimenti che mirino a far
concretamente qualcosa con la lingua e reimpiegarli nella vita quotidiana. La finalità didattica deve essere
quella di qualsiasi corso di lingua, studiare ed essere il più possibile autonomi. Questo tipo di
insegnamento/apprendimento è detto cooperative learning, mira a sviluppare competenze linguistico-
comunicative, sociali e relazionali, culturali e sviluppare competenze metacognitive e meta-emotive.

Ci sono una serie di problemi nella gestione di una classe CAD:

- interessi degli apprendenti, è difficile che tutti abbiano gli stessi interessi;
- modalità e livello di partecipazione, bisogna che il docente permetta dei livelli di partecipazione alla
classe che siano variabili;
- comportamento in classe, deve poter usare esercizi di diversa tipologia che tengano conto della
diversa velocità di esecuzione;
- materiali, tenendo conto che l’editoria della manualistica per stranieri è solitamente pensata per
classi omogenee;
- livello di apprendimento, tenendo conto del fatto che questo apprendimento può avere ritmi che
dipendono da caratteristiche individuali;
- attività preferite dalla classe;
- dinamiche relazionali della classe, che nessuno sia escluso, bersaglio di offese o prevaricazioni.

Attenzione anche ad un altro elemento che riguarda l’insegnante. Spesso tutti noi siamo influenzati dalle
nostre esperienze personali di apprendimento. Fattori del docente che incidono sullo stile di insegnamento:
tipo di formazione glottodidattica, se c’è stata; stile comunicativo; immagine che ha del suo ruolo.
Autovalutazione del proprio modo di insegnare, il clima classe è dettato dalle azioni che vi avvengono e
dalla loro qualità. Per autovalutarsi:

- Come mi rivolgo agli studenti;


- Come li gratifico;
- Come li coinvolgo, l’apprendente si deve far coinvolgere;
- Quali modalità di lavoro privilegio;
- Quali modalità di correzione degli errori impiego, l’ambito degli errori è troppo vasto, l’errore è la
chiave dell’apprendimento, l’errore è la punta dell’iceberg dell’apprendimento;
- Con quali modalità stimolo la motivazione, si può stimolare variando gli input testuali, variando la
composizione della classe in maniera fisica;
- Quali tecniche didattiche uso di preferenza;
- A quali tecnologie didattiche ricorro più spesso;
- Come organizzo la disposizione della classe e la mia posizione;
- Quali modalità di interazione con gli studenti preferisco.

Gli apprendenti dal canto loro dovrebbero:


 imparare ad assumere sfide, è alla base di qualsiasi apprendimento;
 acquisire competenze testuali nella loro globalità, finalità trasversale;
 imparare a non bloccarsi se ci sono parole/frasi che non si capiscono, uno dei principi glottodidattici
dell’intercomprensione è tu non sai niente, non importa, buttati, prova;
 cercare di ridurre il filtro affettivo;
 imparare a riflettere su ciò che si sta facendo;
 imparare a cercare il feedback degli altri, il feedback avviene tra insegnante e apprendente, nella
realtà quello che facciamo è sempre cercare un feedback altrui, non lo facciamo quando si sta
apprendendo una lingua;
 imparare a combinare elementi linguistici e paralinguistici diversi, dal momento che la
comunicazione non è solo verbale ma è non verbale per l’80%, se obblighiamo lo studente a
confrontarsi con la lingua avulsa, senza contesto facciamo un’operazione scorretta. Il film è per
eccellenza l’input testuale adatto a portare in classe la situazione comunicativa nella sua maggiore
aderenza, testo input più vicino alla realtà, permette di portare in aula dialoghi in cui si vedono gli
interlocutori, i gesti che fanno;
 apprendere ad autovalutarsi e promuoversi.

La conoscenza degli obiettivi, del motivo per cui sta svolgendo una determinata attività, da parte degli
apprendenti permette a chi studia di dirigere meglio la sua attività e interesse, è provato che si impara
prima e meglio se si conoscono gli obiettivi del lavoro. Se un determinato contenuto è stato oggetto di varie
operazioni le sue tracce saranno più profonde da quelle lasciate da un’esposizione passiva. Tenendo conto
di ciò che le persone ricordano 10% di ciò che leggono, 20%di ciò che sentono, 30% di ciò che vedono, 50%
di ciò che insieme sentono e vedono, 70% di ciò che dicono, 90% di ciò che dicono e fanno. L’insegnate e
l’apprendente devono porsi quattro domande: cosa faremo? Come lo faremo? Cosa vorreste da me? Cosa
vorrei da voi?

In una classe CAD per gestire tutte queste problematiche e far fronte a tutte queste esigenze bisogna
adottare l’ottica della differenziazione, facendo sì che ogni apprendente possa seguire il proprio ritmo e in
base alla propria conoscenza della lingua. La didattica CAD implica un modo di osservare la classe come se si
trattasse di un sistema dinamico che dipende dall’apporto di ciascun individuo. Quando dico
differenziazione o diversità non la intendo come aspetti negativi, ma come opportunità. Si può trarre
giovamento nella velocità e nella qualità dell’apprendimento. Altre qualità di una CAD è la flessibilità, nei
contenuti che voglio svolgere in una determinata lezione, nei gruppi di diversa competenza, nella
tempistica di realizzazione delle attività. Un’altra caratteristica è mantenere e sviluppare dinamiche
relazionali che si fondino su un clima di cooperazione, applicando principi della didattica umanistico-
affettiva dell’approccio costruttivista, sfruttando contesti sociali come strumento per facilitare e sviluppare
capacità.

Permettere a ciascuno di salvare la faccia e ridurre il filtro affettivo, utilizzando dei modelli con tempi e
scopi diversi, da svolgere in gruppi con diverse competenze o individualmente.

Il concetto di modulo è più comprensibile rispetto a quello di unità didattiche. I moduli sono fatti per dare
un contenuto, indipendentemente dai contenuti precedenti e successi. Un manuale costruito per moduli
non necessariamente deve essere usato dal primo all’ultimo, ma l’insegnante può scegliere un modulo
random.

Il testo pubblicitario viene costruito da persone specializzate, che sanno come catturare l’attenzione del
pubblico, come inserire messaggi non immediatamente riconoscibili, quindi stimolante dal punto di vista
didattico.
14/03/2022

Ci sono tante griglie per aiutare l’apprendente a diventare cosciente del processo di formazione, anche il
docente. Domande da porsi: Qual è la mia formazione esplicita? Quanto condivido degli orientamenti più
diffusi? Come erano i miei insegnanti di lingue? Riesco a ricavare gli orientamenti metodologici dei manuali
che utilizzo in classe? Come adatto le griglie di analisi dei manuali che conosco alle mia esigenze e
convinzioni? Come reagisco all’apprendimento dei miei allievi? Quando propongo alla classe un compito
sono ben cosciente di cosa richiedo e di quali abilità mi propongo di sviluppare? Quale idea possiedo del
rapporto lingua-cultura?

Nelle classi CAD bisogna sempre differenziare fra vari elementi, essere flessibili, fare assumere sfide agli
apprendenti, non creare sfide che siano troppo difficili, sviluppare un clima di cooperazione all’interno della
classe.

ESERCIZIO  ricetta del tiramisù

1 A1 leggere e riferire

2 A2+ sottolineare i verbi

3 B1-- analisi grammaticale dei verbi.

ESERCIZIO  benvenuti al sud

1 B2 individua il modo in cui l’attore in giacca e cravatta risponde alle diversità e discutine

2 C1 individua il modo in cui l’attore cerca di integrarsi e racconta la tua personale esperienza di
integrazione.

I giudizi sulle domandine sono stati raccolti in base a:

- contenuto, cioè idee espresse;


- forma, organizzazione del contenuto;
- grammatica, impiego delle forme e delle strutture grammaticali;
- uso delle convenzioni grafiche.

Data la brevità dello scritto in questione sono stati valutati:

- il livello pragmatico, vale a dire se il messaggio è comprensibile;


- l’impiego di formule tipiche di questa tipologia di testo, molto formale, come le forme allocutive
anche se abbreviate e le formule più complesse di chiusura dei ringraziamenti o più semplici.

I detenuti hanno una forte discrasia tra il parlato e lo scritto, lo scritto è a un livello più alto. Dobbiamo
lavorare su questi livelli disomogenei.

16/03/2022

Queste persone adulte (carcerati) hanno bisogno di apprendere la lingua italiana essenzialmente per poter
lavorare. Per lavorare occorre avere il più velocemente possibile delle competenze specialistiche. Dunque,
abbiamo sperimentato una serie di percorsi di CLIL professionale. Normalmente il CLIL viene usato a scuola
per insegnare una materia in lingua straniera. Nel nostro caso la lingua straniera è l’italiano L2 e la materia
riguarda la professione. Questo tipo di CLIL per adulti può essere concepito in maniera molto meno rigida
rispetto ai CLIL classici. Abbiamo somministrato il corso di italiano professionalizzante e abbiamo
strutturato dei percorsi veri e propri in cui l’apprendente si è trovato ad applicare i contenuti del corso. Per
questo tipo di CLIL è bene valutare i generi discorsivi per quella determinata professione. Dunque, siamo
partiti dalla dimensione testuale e in base a quella abbiamo elaborato dei sillabi di lingua settoriale,
elaborati dopo aver esaminato certe ore di registrazione, quindi sulla base di ricorrenze discorsive che
abbiamo riscontrato. Poi abbiamo lavorato sui contenuti lessicali, parte principale, che differenzia un sillabo
da un altro. Abbiamo selezionato le strutture morfosintattiche necessarie per quel determinato tipo di
competenze. Abbiamo individuano le aree funzionali legate al genere testuale.

Questo tipo di percorso permette di produrre motivazione, la materia diventa il focus dell’attenzione.
Permette di aumentare la qualità e l’esposizione alla L2. Permette di svolgere attività autentiche. Permette
di usare una lingua autentica. Permette di spostare l’attenzione dalla forma linguistica ai contenuti da essa
veicolati. Permette di raggiungere dei buoni livelli di interazione. Permette di ricorrere ad altri codici,
fondamentali nell’ambito del lavoro.

Quindi, abbiamo mirato al concetto di parzialità. Il livello mirato è un livello partenza di A1 ad un livello B2
per la lettura o per l’interazione. Abbiamo cercato di potenziare l’autopromozione con testi che fossero
contestualizzati e abbiamo adottato un approccio plurilingue e pluriculturale. Tendendo conto di un
elemento importante, la scarsa disponibilità di tempo e allo studio.

Abbiamo scelto in alcuni casi di fornire degli input testuali più complessi da quelli fruiti da un A1 generico,
perché ci interessava che apprendessero quanto più possibile. questo tipo di approccio permette di
accettare degli errori purché ci sia un’efficacia comunicativa. In molti casi abbiamo chiesto di riprodurre
alcune frasi troppo difficili ma necessarie per lavorare. Abbiamo selezionato quali erano le professioni
maggiormente richieste.

INTERVENTO GROSSO  Perché abbiamo bisogno di parlare di repertori linguistici? Il repertorio linguistico
è l’insieme di tutte le risorse linguistico che ciascun individuo possiede, non la somma, ma il rapporto che
queste lingue hanno e i modi in cui si comportano, le gerarchie e le norme di impiego. Ormai da diversi anni
viene celebrato il giorno della lingua madre, perché le lingue degli altri sono diventate visibili, sono accanto
a noi. Il panorama linguistico è l’insieme della segnaletica. Può provenire dal basso o dalle politiche
dall’alto. Il secondo contesto è quello della scuola, ha un suo panorama linguistico. La scuola è quel luogo
dove per eccellenza i repertori linguistici emergono e devono essere valorizzati. Le lingue madri devono
essere alla base della costruzione di una valutazione individualizzata dei bambini. La scuola specie nel caso
dei bambini beneficiari di programmi di protezione umanitari è un punto di riferimento, è un aspetto su cui
le famiglie fanno un sacco di aspettative. I bambini possono essere respinti dalle scuole locali, o non
possono frequentare le scuole giuste perché le famiglie si trovano dislocate in territori geografici lontani
dalle scuole. È importante lavorare sulla comunità di accoglienza affinché questo aspetto possa essere
migliorato. I repertori linguistici degli stranieri devono essere considerati una ricchezza, l’apprendimento
della nostra lingua è un veicolo con cui interagire con i parlanti nativi ma la valorizzazione del retroterra è
fondamentale. Già GISCEL diceva queste cose negli anni 70. A tutte le varietà si aggiunge l’italiano accanto
alle lingue immigrate. Un altro contesto è quello legato al lavoro, luogo di socializzazione in cui apprendere
la lingua ed estendere la propria rete sociale. È anche luogo in cui la maggior parte degli incidenti si verifica
per gli stranieri, questo per la difficoltà della cartellonistica infortunistica. Ci sono enti che promuovo
campagne plurilingue per la sicurezza sul lavoro. Un altro contesto è il contesto penitenziario, che è un
ottimo osservatorio, in cui le dinamiche di contatto fra le lingue emergono con maggiore forza. Tutte le
lingue che compongono il repertorio degli individui sono lingue che determinano sfaccettature dell’identità
dell’individuo. Le storie di migrazione generano repertori compositi, di cui non si può non tenere conto e
non possiamo non valorizzare per un maggiore arricchimento della società di arrivo. Oggi i repertori
plurilingui sono maggiormente apprezzati. La valorizzazione del repertorio linguistico è qualcosa che deve
avvenire nel rispetto della lingua di origine e del loro progetto migratorio. Non possiamo guardare
all’integrazione linguistica e sociale senza partire dalla lingua. questo comporta una sfida identitaria.
Questo processo avviene sotto gli occhi dei nativi. È necessario insegnare la lingua della società di
accoglienza senza che questa diventi causa di alienazione o sofferenza identitaria.

Molte di queste persone quando arrivano in Italia hanno transitato per altri Paesi, questi il più delle volte
sono Spagna, Portogallo e Francia; quindi, sono entrate in contatto con altre varietà di lingue romanze.
Abbiamo anche notato i principi epistemologici della comprensione, per insegnare ad essere coscienti delle
loro conoscenze sia sulla situazione. Un adulto conosce bene le condizioni lavorative e sociali, a differenza
di un bambino sa quali azioni si possono svolgere o meno. Abbiamo cercato di potenziare l’abilità di
comprensione come primo punto da affrontare per questo veloce apprendimento della lingua e abbiamo
individuato i percorsi didattici partendo dal concetto di dominio. Il fine è sempre stato di mobilitare il
potenziale cognitivo che un adulto possiede.

Se la metodologia CLIL permette agli apprendenti di entrare in contatto con un apprendimento in una
lingua non controllata, deve avvenire tramite strategie di accesso al senso che permettano di attivare
operazioni di comparazione, transfer, di formulazione di ipotesi, di anticipazione. Altro elemento alla base
dell’elaborazione concettuale dei sillabi è che la qualità linguistico-professionale è la somma di una serie di
conoscenze implicite ma sbilanciate e lacunose spesso apprese sul campo. L’immigrato spesso presenta un
livello di produzione orale più avanzato di quello scritto. Tutte le volte che l’adulto si deve trovare a
svolgere un compito didattico è bene che sappia a cosa servirà. Deve poter conoscere gli obiettivi in
maniera più chiara possibile.

Ogni quaderno riguarda un singolo profilo professionale, è composto da tre unità di apprendimento, sono
dei veri e propri moduli. I corsi sono strutturati per una fruizione in presenza oppure in autoapprendimento
con una guida di 30 ore. Si ricorre molto alle immagini funzionali. Ci sono pochi esercizi strutturali, di natura
meccanica. Per rendere più chiare le finalità di ogni attività prima della consegna è presente un simbolo
associato alla competenza che si intende sviluppare. L’apprendente sa a cosa servirà quel determinato
compito. La didattica per compiti indica una progettualità che non è imposta da un insegnante ma viene
concordata tra gli apprendenti. La si può svolgere anche fuori dall’aula.

Sardegna  le colonie penali sarde hanno un triste passato, istituite in epoca fascista per il confino di
omosessuali, sovversivi… Il concetto di colonia penale risale a quell’epoca. Attualmente ne sono rimaste
poche. Questo ambiente è un ambiente in cui già si era cominciato a far lavorare i detenuti, gli si insegnava
una professione all’interno del carcere. I tutor insegnano il mestiere, si chiamano i maestri d’opera. In
carcere si svolgono le attività lavorative, ma sono rivolte agli italiani perché l’immigrato non è in grado di
gestire una competenza sufficiente di italiano per lavorare. Molti ex detenuti restano nelle vicinanze e
continuano quel mestiere. È una prospettiva istruttiva che fa del carcere un modo per reinserire nella
società le persone. Un elemento negativo è che spesso nelle colonie penali il detenuto straniero non sta più
di quattro anni, le attività formative sono ridotte. Ci sono delle regole per svolgere attività lavorative.

All’interno della ricerca RiUscire abbiamo anche lavorato all’individuazione delle buone pratiche che
abbiamo giudicato sulla base di dieci criteri:

- Efficacia;
- Efficienza;
- Coerenza, con i principi metodologici;
- Riproducibilità;
- Grado di coinvolgimento e soddisfazione;
- Innovatività;
- Accessibilità, soprattutto se è materiale online;
- Valore aggiunto;
- Riconoscimento istituzionale;
- Sostenibilità.
Abbiamo analizzato le buone pratiche in carcere: pratiche rivolte a lavorare sul linguaggio, pratiche di
insegnamento di L1, comunicazione specifica per determinati ambiti, trasversalità degli apprendimenti, arti
pratiche, ricostruzione sociale, formazione di operatori penitenziari, formazione professionale, corsi di
informatica, corsi di scrittura, istruzione in e-learning, corsi di scrittura.

17/03/2022

Il portfolio è l’elemento più innovativo creato. In questo caso abbiamo creato un portfolio linguistico
personalizzante ed è stato poi supportato dall’elaborazione di una prova di certificazione CILS. C’è una
parte di dati personali e sviluppa un senso di autostima, costituisce un biglietto da visita per coloro che
avessero voluto impiegarlo per l’inserimento professionale. Poi c’è una sezione di valutazione delle
competenze linguistiche, costituita da una biografia linguistica. Il dossier include la valutazione sulle
competenze linguistiche relative al settore di svolgimento del tirocinio. Ogni portfolio varia in questa
sezione. Poi c’è la valutazione delle competenze professionali, a cura dell’azienda presso cui è stato svolto il
tirocinio. Notiamo quanta terminologia tecnica è presente. Soprattutto nell’ambito del lavoro manuale la
parte che riguarda l’antinfortunistica è importante.

Abbiamo parlato di immigrati del mondo libero e detenuti, ora parliamo di contesti plurilingue nella scuola.
Questi ultimi sono un po’ meno variabili, un po’ meno complessi, perché nella scuola sempre più vengono a
trovarsi bambini che sono nati in Italia, siamo già alla seconda o alla terza generazione. Sono stati fatti molti
esperimenti riguardo la modalità di includere questi studenti nella formazione scolastica in modo che on
diventino soggetti svantaggiati. Una di queste modalità è la lezione capovolta, che stimola la dimensione
metariflessiva; quindi, si raccorda con i principi di intercomprensione. Tutta questa attività era finalizzata a
far capire come è concepita da loro la lingua, quali contatti stabiliscono le parole che si usano, quali sono i
modelli organizzativi della società di installazione, insegnare loro a parlare di sé senza vergogna, a
descrivere la propria lingua e la propria cultura e a descrivere il modello organizzativo della società di
provenienza.

La lezione capovolta teneva come filo conduttore il tempo. È stata fatta svolgere un’attività di tipo
progettuale, lasciando spazio alla creatività. Il tempo è una delle coordinate principali per analizzare una
cultura. Come il tempo si esprime nella propria L1, nel proprio paese dove si vede, quali sono i valori che
esprime. Competenze sviluppate:

- Orientamento nel tempo;


- Saper mettere a fuoco le peculiari difficoltà che incontra l’altro;
- Saper analizzare meccanismi pragmatici già interiorizzati;
- Porsi nell’ottica del problem solving, non è l’insegnante che fornisce qualcosa di precostruito;
- Leggere le immagini, imparare ad interpretare;
- Riconoscere ruoli e situazioni;
- Sciogliere gli impliciti.

Parlato filmico  che tipo di italiano è? Italiano scritto, parlato, trasmesso? Che tipo di testo è? Che
caratteristiche ha? Ci serve per capire le potenzialità dell’uso nella didattica del film.

Caratteristiche della lingua del cinema:

- Testo ibrido costruito da un’équipe;


- Scritto per essere recitato e sincronizzato con immagini (assenza di unico testo di riferimento);
- Unione di caratteristiche dello scritto, del parlato più elementi extra e para linguistici, per questo è
importante nell’impiego nella didattica delle lingue;
- È un testo amichevole e multisensoriale;
- Media complessità morfosintattica e lessicale, chi scrive una sceneggiatura, sa che è un testo che
non rimane, il testo scritto si può rileggere, nel trasmesso questo non è possibile;
- Ridondanza, lo può rendere di più facile utilizzo per la didattica;
- Durata standard battute inferiore al parlato reale, significa che nel parlato reale faccio meno pause,
quindi è sempre più difficile del filmico;
- Sovrapposizioni, esitazioni, ecc. 2/3 volte più elevate in presa diretta, nel parlato non si procede in
modo lineare.

Se ovviamente la lingua del cinema presenta notevoli interessi per la didattica, richiede conoscenze
implicite da parte dell’insegnate.

Negli anni vari linguisti hanno studiato la lingua del cinema. Emerge una caratteristica globale, un parlato
riprodotto. Principali definizioni di parlato filmico:

 Lingua filmata (Raffaelli 1992)


 Lingua trasmessa (Sabatini 1982)
 Parlato riprodotto (Raffaelli 1992)
 Scritto per essere detto come se non fosse scritto
 Simulatore di parlato (De Mauro, Mancini, Vedovelli, Voghera 1993)
 Falso parlato (Banfi 1999).

Parlato che comunque rispecchia il parlato reale, a noi interessa per studiare quale idea dell’immigrato
emerge dal parlato filmico. Questo parlato filmico può dare un’immagine positiva o negativa.

Dal punto di vista della tipologia del testo, il film è onnicomprensivo, comprende tutte le tipologie di
comunicazione:

- Comunicazione bilaterale faccia a faccia con presa di parola libera


- Comunicazione bilaterale non faccia a faccia con presa di parola libera
- Comunicazione bilaterale faccia a faccia con presa di parola non libera
- Comunicazione unilaterale in presenza di destinatario
- Comunicazione unilaterale o bilaterale a distanza.

Usare il cinema per la didattica dell’italiano L2 è un modo per fare storia della società italiana, perché
rappresenta tutte le epoche italiane, i vari cambiamenti sociali, i vari spazi geografici. Al tempo stesso il
cinema è stato capace di riprodurre i cambiamenti linguistici. Oltre a essere uno specchio dei cambiamenti
linguistici, il cinema è anche il mezzo di diffusione di questi modelli e cambiamenti linguistici. Il cinema è lo
specchio dei cambiamenti linguistici e promotore di questi cambiamenti, perché presenta dei modelli che
possono essere riprodotti. Possibilità di presentare in maniera contestualizzata vari modelli culturali del
passato e del presente. Possiamo anche vedere quale è il prestigio attribuito a questi modelli dagli italiani
nel tempo. Il cinema ha questa doppia veste, da una parte riproduce il più possibile fedelmente i modelli
della società, d’altra parte siccome il film non solo utilizza questi modelli e li ripropone, ne fa da
amplificatore, viene costruito il parlato sull’idea di come parlino gli stranieri, spesso gli si attribuisce un
italiano improbabile.

Un’altra considerazione da fare è quella che riguarda il genere cinematografico più adatto alla didattica. Il
cinema italiano è un cinema che ha sviluppato molto il filone comico. abbiamo molto sviluppata questa
capacità di mettere la tragedia in comicità. Il filone comico fa parte della rappresentazione della realtà
italiana. La comicità è presente in tutte le epoche della storia del cinema. Essendo il film comico quello più
amato, essendo anche una tipologia di film a far sorridere, può essere motivante da usare in classe. D’altra
parte, la comicità è generalmente un livello di apprendimento delle lingue straniere abbastanza difficile.
Implica forte ricorso agli impliciti. Da una parte è positivo che gran parte del cinema sia comico, dall’altra è
negativo. In più, la comicità è resa con tratti diatopici e questo può creare problemi per un non italofono. Se
io mi occupo di didattica in contesto plurilingue, non è una didattica destinata prettamente a studenti, ma
anche ad adulti o persone che hanno bisogno di immettersi nella società che li ospita, che non parla italiano
standard. Questo potrebbe essere un motivo per il quale si possono introdurre in classe dei modelli non
standard in classe. L’ultimo elemento che può creare problemi è che la comicità si fonda su impliciti
culturali e dunque è necessario che questi impliciti siano spiegati.

Sono ormai molti anni che vengono fatte delle indagini sul gradimento del genere cinematografico, quelli
preferito è quello sentimentale e quello comico.

Il filone della comicità è sempre stato apprezzato ha radici negli albori del cinema italiano, si è sforzato di
allontanarsi dal modello di italiano scritto e letterario, che prima era appannaggio delle masse.

Ovviamente vedremo che sono state operate delle scelte nella storia delle varie epoche del cinema per
scegliere quali modelli adottare. La scelta si è posta agli inizi, negli anni 20-30. Si decise di adottare un
modello letterario o teatrale ma non troppo. Negli anni 20 si poteva fare, negli anni 30 un po’ meno. Negli
anni 20 il cinema era muto, quindi si mettevano le didascalie, che potevano permettersi di essere in italiano
letterario, c’era una persona addetta a leggere le didascalie. Negli anni 20 ci si rivolgeva anche agli
immigrati italiani all’estero, si mandavano le pellicole con i sottotitoli in dialetto. Negli anni 30 e successivi
questa esigenza è diventata sempre più impellente. Il cinema italiano è passato dai modelli di stampo
letterario degli anni 30 alle produzioni dialettali e con espressioni popolari degli anni 70, al plurilinguismo
della commedia con moduli stereotipati regionali, all’italiano colloquiale degli anni 70 e 80 e infine
all’iperparlato dei nuovi comici negli anni 80/90 ai qualunquemente del nuovo secolo.

21/03/2022

Materiale classificato come mass media. È uno dei materiali più usati nella didattica delle lingue. Fino agli
anni 20 ricorreva solo agli articoli di giornale, poi si è passato al materiale audio con le audiocassette,
materiale audiovisivo (videocassetta), a cominciare dagli anni 2000 i testi tratti da internet. Varie indagini
hanno provato che i materiali usati fino al 2000 erano articoli di giornale e molto meno materiali
audiovisivi. Questo era direttamente proporzionale al gradimento degli apprendenti, che hanno sempre
dimostrato un maggiore gradimento per testi audiovisivo, testi di movimento, molto meno articoli di
giornale. Il motivo per cui è difficile trovare materiali che facciano ricorso a questo tipo di mass media è che
sono materiali coperti da copyright, bisogna chiedere a una serie di persone e devono passare parecchi anni
prima di averli. Poi perché sono materiali complessi, quindi da parte del docente richiedono abilità
specifiche e molto formate. Storicamente gli audiovisivi sono diventati di moda a partire dagli anni 80,
quando si è diffuso il metodo situazionale, che ha impiegato in aula delle immagini in movimento. Sono
mezzi didattici molto potenti perché permettono di fare attraverso la lingua e di sviluppare l’approccio
comunicativo, permettono lo sviluppo di una conoscenza socio-pragmatica. Il film e i mass media
presentando dei contesti reali sono motivanti per l’apprendente e permettono di accrescere la parte debole
della didattica delle lingue, la produzione orale. È più facile che si formino comprensione dello scritto che
comprensione orale. Permettono di presentare input non strettamente linguistici, di presentare modelli
culturali e di far diventare lo studente consapevole di questi aspetti della comunicazione. Lo sfruttamento
dei mass media permette di sviluppare le abilità sociali, si presta ai lavori di gruppo, di classe. Ovviamente
tenendo conto che l’insegnante riveste il ruolo di guida non di detentore assoluto di sapere, deve stimolare
e indirizzare l’apprendente. Egli assume un ruolo attivo, metacognitivo, riflessivo nei confronti della lingua
che sta apprendendo. Sembrerebbe che l’audiovisivo favorisca la comprensione globale del significato,
favorisce l’apprendimento edonistico. Permette di sapere la lingua, di attivare alcune conoscenze, di
acquisire la capacità di produrre testi, di essere in grado di diversificare in base alla tipologia di testo con cui
ci si confronta. Attraverso i mass media si sviluppa una competenza extralinguistica, paralinguistica
(capacità di comprendere ciò che si comunica), prossemica (capacità di osservare come vengono gestiti gli
spazi personali), cinesica (capacità di interpretare la gestualità, la mimica facciale…), cronemica (capacità di
percepire il valore del tempo nelle diverse culture), oggettemica (capacità di capire il significato degli
oggetti).

Perché usare il cinema nella didattica delle lingue? Quali possono essere i motivi per consigliare l’uso del
cinema?

- Motivazione, il film è generalmente apprezzato da tutti;


- Implicazioni psicolinguistiche, quando si usa uno spezzone di film è come se si svolgesse un’attività
fuori dall’aula, perché è un materiale familiare e plasmabile, possiede un impiego variegato;
- Permette di presentare una pluralità di modelli linguistici inseriti in un contesto comunicativo
autentico, permette di portare la vita reale in classe;
- Permette di selezionare diverse varietà del repertorio linguistico contemporaneo e non, se
vogliamo lavorare sul tipo di italiano da portare agli apprendenti come modello;
- Permette di presentare aspetti culturali sia del presente sia del passato, ci permette di dare una
coscienza del perché alcuni modelli si sono formati così, si può usare anche in corsi in cui si dà
importanza agli aspetti storici;
- Permette un confronto interculturale e i comportamenti verbali e non verbali;
- Permette di tradurre le immagini e le parole, volendo possiamo anche usare il film per dare
informazioni letterarie;
- Per esposizione al canale trasmesso, siccome la comunicazione avviene o solo attraverso il canale
orale o solo scritto o ibrido è anche un modo per far esercitare sui tratti specifici di questa
comunicazione;
- Per la possibilità di sfruttare sottotitoli.

È importante il fatto che questo testo permette di portare in classe immagini e suono
contemporaneamente.

Dal punto di vista legato agli aspetti psicologici, è una modalità narrativa che permette di mettere in
relazione sensazioni, esperienze, sentimenti, quindi permette di conoscere meglio la lingua che si sta
apprendendo.

Quando parlo di impiego del cinema non parlo di impiegare l’intero film, ma generalmente parlo dell’uso di
uno spezzone della durata massima di otto minuti. Dal punto di vista dello studente si presta all’impiego di
qualsiasi attività didattica. Un altro motivo per cui è sconsigliato usare un intero film in aula è che può
essere noioso, perché quando si lavora sul film si propone la stessa sequenza almeno tre volte.

Per quanto riguarda il materiale didattico a disposizione non esistono corsi di uso del film nella didattica che
riportino anche spezzoni di film, iniziano ad esistere dagli anni 90 una serie di materiali con consigli e
modalità di uso del film, ma che rimandano ad una scena che deve trovarsi da solo l’apprendente. L’unico
materiale pubblicato è dell’87, didattizzazione di un intero film. I film vengono usati sia come input che
output, come riempitivi per rilassare e divertire. Per analizzare come gli altri vedono gli altri, le reazioni. Per
usare il film bisogna conoscere bene la natura del parlato e dello scritto, il docente deve avere conoscenze
specifiche. Deve essere un film che sia idoneo con il modello italiano che si vuole far apprendere.

L’uso dell’audiovisivo è compreso tra le abilità già presenti del QCER. È chiaro che per il livello C2 è
comprendere tutto ciò che si ascolta. L’apprendente C1 capisce senza sforzo, è in grado di riconoscere varie
espressioni idiomatiche. Il B2 riesce a capire la maggior parte dell’italiano standard. Il C1/C2 si può fruire
quasi in autonomia il testo filmico, per i livelli più bassi diventa sempre più preponderante l’operazione di
adattamento e la guida dell’insegnante. Il B1 comprende l’essenziale, si mette in rilievo l’importanza
dell’aspetto visivo che può aiutare la comprensione. C1/C2 va bene qualsiasi tipo di film, per gli altri livelli si
fa selezione, per A1 non è previsto alcun film.

Vi sono altri vantaggi nell’impiego del cinema. Il cinema italiano gode di un grande prestigio all’estero,
vedere un film italiano crea motivazione. Per studiare la storia del cinema italiana. È un prodotto molto
flessibile, permette di prendere in esame componenti, può essere attuale, si può presentare in classe
modelli di lingua e cultura autentici. Il film è un prodotto costruito per gli utenti di quella lingua.

Teniamo presente che quando parlo di parlato reale non esistono film realisti, esiste sempre un
patteggiamento tra i vincoli semiotici del mezzo e i fruitori.

Offre molte possibilità disciplinari, per affrontare vari temi, offre la possibilità di esercitarsi al doppiaggio,
sul cinema teatro letteratura, per lavorare sul CLIL. Purtroppo, non presenta la possibilità di essere corretto.
È conviviale, ha una forte componente iconica, è amichevole, si può essere più o meno in una di queste
caratteristiche a seconda del film, è flessibile.

Il film è pluricodice, va analizzato in modalità multimodale.

La lettura, la codifica delle immagini è molto importante, può essere di due tipi: denotativo, quello
immediato; connotativo, quello legato a impliciti culturali e meno trasparente. Il film presenta questi due
tipi di immagini. È soprattutto sulla componente connotativa che l’insegnante deve intervenire. Le immagini
sono importanti anche per determinare il livello di difficoltà dello spezzone che usiamo. Abbiamo tre macro
tipologie di rapporto tra immagine e lingua nel film: l’immagine portatrice di messaggio e la lingua fornisce
il commento denotativo, sono le scene tarate per i livelli più bassi; la lingua e l’immagine concorrono
insieme a costituire il messaggio e si integrano a vicenda, adatti a livelli B1/B2; il messaggio è affidato alla
lingua, l’immagine costituisce uno sfondo situazionale ma non funzionale, film difficili da comprendere,
sono da C1/C2. Le immagini possono essere ridondanti, complementari, parallele, contrarie.

Bisogna prestare attenzione all’organizzazione spaziale dell’ambiente, la densità, più una scena è densa
maggiori sono le difficoltà di comprensione, la mente è distratta dagli indizi che si hanno dall’indagine. La
densità è data dai colori, dalle immagini… può essere alta, media, bassa.

Riguardo all’altra qualità, oggi si possono trovare tutti i film che vogliamo, anche se spesso non è facile
trovare la scena che vogliamo.

Dal punto di vista della storia linguistica del cinema, il cinema italiano ha sempre ricercato quale potesse
essere il modello linguistico adatto. Finché non si è arrivati negli anni 70 ad un adattamento delle varietà,
soprattutto del plurilinguismo, specialmente con la commedia all’italiana. Questo plurilinguismo veniva
usato con dei moduli stereotipati. La ricerca stilistica è andata di pari passo con l’evoluzione linguistica
italiana. Verso la fine degli anni 90 è iniziato ad essere vicino alla realtà.

Il film comico è legato a una provenienza regionale degli attori, come Sordi. È sempre presente una
variazione diatopica, legata al parlato degli attori, per scelta dei registi stessi adottano un parlato vicino alla
realtà.

Il cinema in aula permette di adottare un approccio costruttivista e riflessivo, purché sia adeguatamente
trattato. Presenta dei limiti, carattere perituro come tutti i mass media. Si può ovviare introducendo e
motivando la scelta del film. Facilita l’apprendimento attivo.

Queste competenze procedurali si ottengono con la didattizzazione dello spezzone e qui interviene la
bravura dell’insegnante. Si può usare il film per una sola generica unità didattica oppure si può avere una
finalità comunicativa. Ha un impiego illimitato. Per quanto riguarda la competenza culturale, può essere
usato per lavorare sugli impliciti, gli stereotipi, gli oggetti… Dal punto di vista linguistico, presenta la
possibilità di lavorare sulla varietà linguistica, in diacronia, in sincronia, per ascoltare anche in più lingue.
Per lavorare in diacronia, se selezioniamo uno spezzone possiamo avere la storia italiana o possiamo fare
storia del cinema italiano. per lavorare in sincronia si può lavorare sui problemi della società attuale, le
coordinate spaziali, temporali…

Periodizzazione, sono periodi selezionati in maniera arbitraria. C’è un primo periodo, il cinema muto. L’arte
del cinema viene introdotta in Italia dagli spettacoli Lumiere, il primo spettacolo viene tenuto a Vicenza nel
1896, da allora si moltiplicano e abbiamo nel 1903 la nascita della prima sala cinematografica italiana, a
Venezia. La prima produzione è La presa di Porta Pia, riporta un episodio importante, l’unità d’Italia. Nel
1906 abbiamo la società CINES, prima società cinematografica italiana. Iniziano ad aumentare le produzioni
e a specializzarsi. Abbiamo il filone dialettale, la sceneggiata napoletana (amata dal popolo, che si
immetteva in un filone teatrale e di canzone che esisteva già), il filone storico (che si rifà ai fasti dell’antica
Roma), il filone liberty (rappresenta la realtà di allora), il filone di guerra (rappresenta la Prima guerra
mondiale, molto apprezzato). Nel 1926 abbiamo la nascita di un’istituzione importante, l’Istituto Luce. Dal
punto di vista della società, gli spettacoli Lumiere ebbero successo perché si inserivano all’interno degli
spettacoli. Un modo di passare il tempo era andare alla festa del santo patrono e in occasione di queste
feste si organizzavano delle fiere e si trasmettevano gli spettacoli Lumiere. Le prime rappresentazioni
italiane mostravano la società italiana, ma si cominciò a far conoscere le varie zone d’Italia. Ebbe una
grande espansione anche in concomitanza con innovazioni importanti, la diffusione dell’elettricità, lo
sviluppo dei mezzi di trasporto, la ferrovia. Grazie all’elettricità e alla possibilità di fruire delle ore di buio
nasce lo spazio per il divertimento, il cinema risponde a questa necessità. È un periodo in cui si sviluppa
l’industria, i primi film sono documentari su questo. Ben presto con l’avvento del regime fascista, sul
cinema si abbatte la censura, con delle limitazioni.

In questo periodo il cinema muto accoglie l’apprezzamento delle classi più povere grazie alla possibilità di
illustrare a voce le maschere. La sceneggiata napoletana è la messa in scena della canzone napoletana.
Furono realizzati decine e decine di film, usavano il dialetto napoletano, usavano un italiano basso. Grazie
alla melodia era apprezzato, si usavano elementi di italiano arcaico. Erano film girati all’aperto, sempre
d’amore, di coltello, di passione. Filone che ha avuto successo in Italia e presso le comunità immigrate
all’estero. Erano dei film che si rifacevano alla tradizione teatrale, che hanno visto la prima regista italiana,
Notari. Sono i film che hanno diffuso in tutto il mondo gli scugnizzi, i bambini di strada. Gli sceneggiatori
sapevano che la maggiore difficoltà era quella della lingua, gli italiani erano dialettofoni, cercavano di
adattare il più possibile all’italiano non della stampa perché in pochi leggevano, ma a qualche romanzo. Il
cinema parlava con i sottotitoli, quindi serviva qualcuno che raccontasse il film oppure venivano tradotti nei
dialetti.

Il filone di guerra è quello più interessante. Si introduce la pluralità dei registri, è un’innovazione per
l’epoca, si porta in scena l’italiano medio. Oppure quando si voleva dare enfasi drammatica, si usava
l’italiano aulico. Abbiamo anche il plurilinguismo.

Filone liberty è il filone più apprezzato dalla borghesia, soprattutto veniva usato dalle classi più povere
perché si vedeva la ricchezza come un traguardo da raggiungere.

Nel 1930-45 arriva il sonoro. Il film si propaga e penetra anche nelle classi più povere, il fascismo adopera la
censura forte. I film iniziano a far apparire una caratteristica dell’epoca, la mancanza del lavoro, la povertà,
la fame. Il film diventa il luogo privilegiato per passare il tempo e dimenticare gli orrori della guerra. Per
quanto riguarda le scelte linguistiche, cerca di presentare un parlato senza accenti, il fascismo non voleva i
dialetti, il cinema si dovette adattare. Però spunta subito alla fine di questo periodo la diatopicità. C’è il
filone dei telefoni bianchi, successore del liberty, lo status simbolo dell’epoca era il telefono bianco a cui
aspiravano le classi borghesi. Non si gestiva bene il sonoro ancora.
22/03/2022

Il primo periodo, quello del cinema muto, è il periodo in cui il cinema italiano è predominante a livello
mondiale. Il prestigio del cinema italiano è dovuto a quest’epoca. Nel periodo 30-45 perde gran parte del
suo prestigio. Anche se il filone comico manterrà la sua vitalità. Sono i comici italiani che riescono a mettere
sullo schermo un’idea dell’Italia abbastanza vicina alla realtà. La loro lingua è molto espressiva, ma è
emblematica di quel periodo. Non si era ancora formata una varietà nazionale, non c’era l’italiano di uso
medio e il cinema nella sua ricerca di modelli linguistici, dal momento che coloro che erano in grado di
leggere un testo di letteratura è del 3-4%, il problema continuava ad essere importante. Si ricorse
all’italiano regionale, connotato da varietà diatopiche importanti, al teatro comico, soprattutto i primi
registi ricorrono al dialetto vivo nei tratti più marcati. La Toscana non appariva. Questa tendenza all’uso del
dialetto viene ostacolato dal regime fascista.

Roma città aperta  neorealismo, due/tre scene comiche. La varietà laziale è quella più conosciuta grazie
alla diffusione che ne ha fatto il cinema di questo periodo. Alcune varietà italiane sono più diffuse di altre e
quindi più utilizzabili per la didattica. Si comincia a trovare l’italiano degli stranieri.

Periodo 46-59 è il periodo della ricostruzione dopo la guerra, della ripresa industriale, dell’espansione dei
grandi centri urbani, dell’aumento dell’’istruzione e del benessere, della conquista dei beni di seconda
necessità, si mostra un’immagine diversa da quella che voleva il fascismo, Italia ingenua e rurale, di persone
non sempre in regola ma in buona fede.

Abbiamo l’antesignana delle serie tv, Catene, con un italiano su modello normale, è un italiano costruito dal
cinema, con parole di uso comune, si ripete spesso, i personaggi si ripetono sempre con il loro nome,
qualcosa di fruibile mentre si fa altro. Continua l’uso del dialetto con attori regionali, dialetto che poteva
essere capito dalla grande massa. Continua il filone del neorealismo, del plurilinguismo mimetico. Il
neorealismo è stato il più grande fallimento italiano, la gente non andava a vedere questi film perché
mostravano situazioni tragiche da cui si era appena usciti e si preferiva film meno impegnati. Periodo ricco
dal punto di vista linguistico, il cinema sta riprendendo l’espansione, sta cercando di raggiungere un
pubblico più vasto. Abbiamo una cinematografia appena nata, quella americana, che darà in Italia modelli
stilistici. I film neorealisti non sono utilizzabili per la didattica. Oltre al romanesco, cominciano a comparire
anche la varietà del nord, l’italiano dei nuovi imprenditori.

Fenomeno che investe 30 anni di cinema. Totò è stato grande innovatore linguistico, amava definirsi
comico muto. Il fatto che all’estero non avesse fatto successo per lui era dovuto al suo parlare,
metalinguaggio, impossibile da tradurre. I giochi di parole facevano parte della sua comicità. Però possiamo
usare Totò per fare didattica perché è leggero, anche se fa critica feroce alla società, ma anche per
analizzare la lingua. La censura dei suoi film si abbatte sull’appropriatezza delle scelte linguistiche, sulla
pedanteria linguistica all’epoca presenta da parte delle classi più alte, critica anche il ricorso non necessario
a parole straniere, ai dialetti, al latino. Per lavorare con Totò si deve partire dalla trascrizione, poi si passa
alla visione. Una forma di italiano sviluppato dagli anni 40 agli anni 60, parlato da persone di origine
dialettale, esposti all’italiano dai mass media, riproducevano i suoni, non avevano mai letto nulla di scritto.
Molti dei tratti dell’italiano popolare sono quelli delle interlingue degli apprendenti stranieri.

Continua il successo delle pellicole comiche, che hanno una connotazione diatopica media. Prevalgono le
varietà centro-meridionali. Inizia la serie delle commedie all’italiana, il regista più importante è Monicelli.
Sono film molto apprezzati dal pubblico, che però sono meno interessanti perché non presentano parlato
degli stranieri. È periodo di grande effervescenza. È il momento più popolare della produzione italiana, fa
satira dei costumi in maniera ironica, sempre con un’amarezza di fondo, questa è la differenza. Costituisce
modello mondiale di cinematografia.
Totò ha influenzato la maggior parte dei comici fino ai giorni d’oggi, il modo di narrare fatti seri con il
sorriso e l’ironia. La lingua di Totò influenza tutto il cinema italiano. Nella sua critica è molto pesante, come
la scelta delle parole. Nei film di Totò non sono presenti stranieri.

Tra il 60 e il 74 è il periodo del boom del cinema italiano e del boom economico, si cominciano a
cristallizzare molti difetti italiani, la figura dell’italiano piccolo piccolo, che cerca di arrangiarsi, fregare il
fisco, interpretato da Sordi. È il periodo in cui si accentuano le differenze di classe, si fa strada l’argomento
del viaggio e dell’andare al mare. Dal punto di vista filmico, abbiamo tre film che ne sono l’emblema, Rocco
e i suoi fratelli, La dolce vita e L’avventura. Continua e si rafforza la commedia all’italiana. La lingua italiana
è stata conquistata da una grande massa di italiani. Quando abbiamo una conquista di un traguardo, ci si
può permettersi di giocare, in alcuni film appare una lingua inesistente, un italiano inventato. Si può
permettere di rappresentare tutte le varietà.

23/03/2022

Il cinema italiano ha la sua lingua ormai e ne è così sicuro che può permettersi di utilizzarne una inventata,
quella de L’armata Brancaleone. Tra il 60 e il 74 il cinema ha conquistato il realismo linguistico, prevalgono
sempre di più le varietà meridionali e si fa strada la variazione dei codici, il plurilinguismo.

Divorzio all’italiana  uso di diversi registri della lingua italiana: italiano giuridico, epurato standard con un
leggero accento siciliano, battute in dialetto. Il cinema sa gestire la contemporanea presenza di più codici e
li sa associare alle condizioni dei parlanti.

Si crea anche una lingua agrammaticale in Quando le donne avevano la coda e le varietà giovanili come in
La voglia matta e La ragazza con la valigia. Prima degli anni 60 non esistevano in Italia le varietà giovanili.

Dal punto di vista dell’apprezzamento del cinema italiano, dopo il periodo di decadenza, torna ad essere
importante nel mondo. I film di quest’epoca sono La dolce vita, La strada, I vitelloni, Senso.

Senso  italiano comprensibile, cura dei dettagli. Non utilizzabile per la didattica, troppi rumori di fondo.

Sul versante dei film meno impegnati, abbiamo le commedie. Si rappresenta il miracolo economico e la
voglia di vivere dopo le tragedie.

Monicelli è colui che si è ispirato ad un movimento cinematografico che nasce in contemporanea al


neorealismo vero e proprio, il neorealismo rosa. Un eroe dei nostri tempi è importante perché per la prima
volta si ha l’impiego dell’italiano d’uso medio, caratterizzato da una serie di meccanismi di semplificazione,
lessico d’uso molto più comune. Si crea la figura dell’italiano piccolo piccolo, il borghese. Dal punto di vista
sociale, il tessuto sociale italiano ha vissuto forti cambiamenti, l’Italia su cui si accaniva la critica aspra non
c’è più, l’Italia degli alti prelati è stata sostituita dai nuovi politici italiani. L’atmosfera è di andare verso la
vita, il cinema risponde a questa esigenza.

Il vigile  mette in ridicolo la figura, la varietà dominante è quella romanesca. Non è utilizzabile per la
didattica, l’ironia è difficile da comprendere, ci sono vari impliciti.

In questa epoca gli italiani viaggiano sempre di più, spesso dal sud al nord, viaggio di immigrazione, di cui ci
rende conto il cinema. L’obiettivo della camera mostra un paese che sta cambiando e la nascita
dell’industria turistica, molti film, film balneari, sono ambientati in riviera.

Monicelli è stato il regista che è stato capace di cogliere questi cambiamenti della società italiana ed è
considerato il padre della commedia italiana.
I film di questa epoca sono molto importanti, servono a rappresentare la cultura italiana, non per fare
didattica.

Periodo 75-91 è un periodo di crisi, legata a motivi politici ed economici, crisi del petrolio. Periodo
dell’austerity, norme che regolamentavano mezzi di trasporto, riscaldamento… Momento di crisi del
cinema italiano, che si chiude in sé stesso. Periodo del terrorismo, ci sono fermenti nella società che fanno
chiudere la società. È anche un periodo in cui i giovani contestano, contestazione giovanile. Scaturisce un
ampliamento delle varietà giovanili, una serie di comportamenti che vanno dal più immediato, come
l’abbigliamento, al meno immediato. Una società che era stata fino ad allora conservatrice, gestita da
un’élite gestita dagli alti prelati. Sono anni di rottura. La crisi del cinema è dovuta alla nascita di nuove
modalità di trasmissione, nascono le tv private. Non ci sono più le normative riguardanti la pronuncia degli
speaker e dei presentatori. L’italiano era un italiano che veniva studiato, c’erano corsi di dizione per
rendere il parlato meno regionale possibile. Attraverso una modalità, gli interventi diretti del pubblico, fino
ad allora il pubblico non andava in scena. Avendo persone il cui italiano non era possibile controllare, si
registravano forme plurime. La tv rappresenta anche un mass media in concorrenza col cinema. Nascono i
primi sceneggiati, versione italiana della soap opera, si chiamano così in onore della sceneggiata
napoletana. Si va meno al cinema quindi. È un periodo in cui ci si sposta di più, c’è una mobilitazione
maggiore, anche culturale.

Amici miei è uno spartiacque, con cui a livello di lingua del cinema, si usa per la prima volta il turpiloquio, la
blasfemia, la coprolalia. Il cinema era sempre stato casto e puro, si era autocensurato. Ambientato a
Firenze. In questo periodo c’è un movimento importante, la riscoperta del dialetto e dell’Italia rurale. La
commedia all’italiana ha esaurito la propria vitalità, non è più propositiva, viene sostituita dai nuovi comici,
che innescano il loro parlato e la loro comicità sulla tradizione della commedia all’italiana. Abbiamo
un’ulteriore conquista linguistica, raggiungiamo un parlato spontaneo e una velocità che sono uguali a
quello spontaneo, ma abbiamo anche immissione di varietà diatopiche come rispetto della realtà.

Il cinema di quest’epoca fa ampio uso del turpiloquio, reazione di liberazione ai tabù. Uno dei maestri
dell’analisi del turpiloquio è Pasolini. Abbiamo le contestazioni giovanili, crisi economica e politica, si crea
un terreno di grande fermento. È un periodo in cui oltre all’immissione delle parolacce, abbiamo l’entrata
dell’italiano colloquiale, introdotto da Amici miei, nelle tre versioni. Sulla base della goliardia innesca un
lessico meno preciso, meno attento, si realizza con invenzioni, neologismi e con il cambiamento verso la
minore formalità. Negli anni 70 si era già formato l’italiano dell’uso medio, gli italiani avevano iniziato ad
usarlo nelle situazioni meno formali. Si stava sempre più prendendo le distanze dall’italiano standard.
Questa tendenza aumenta negli anni 80 e si estende sempre di più, tanto che si estende al parlato
femminile. Soprattutto nel genere comico abbiamo l’impiego del parlato colloquiale oppure i film che
indagano sulle vite dei giovani. Un film dell’86 è di Wertmuller con titoli lunghi, la locuzione più affettuosa
di Placito alla ricca signora snob le rivolge parolacce. Quanto è cambiato il parlato del cinema italiano!
Quando ci sono dei cambiamenti si va da un estremo a quello opposto, poi ci si ridimensiona.

Quando si parla dei nuovi comici si allude alla loro modalità di comunicare, si parla di iperparlato perché
quasi tutti usano una velocità abbastanza alta e un parlato abbastanza aderente alla realtà. Quello di Troisi
è il più difficile da comprendere, perché molti suoi film sono non post sincronizzati, sono in presa diretta.
Verdone è considerato il diretto erede di Sordi. Una delle difficoltà della comprensione di Troisi è che
enfatizza certi tratti del parlato.

Negli anni 70 c’è rivisitazione delle varietà dialettali. C’è il caso del film L’albero degli zoccoli, Ricomincio da
tre è quello più napoletano. Abbiamo una rivisitazione del napoletano, non solo con Troisi. Il cinema
napoletano era un cinema un po’ fermo alla sceneggiata, ora si rende più aderente alla realtà.
28/03/2022

Monicelli è il regista che meglio interpreta la commedia all’italiana. La ragazza con la pistola è la storia di
una ragazza meridionale che viene rapita (rapimento d’onore), l’uomo che l’ha rapita non vuole sposarla e
lei va a cercarlo a Londra e lì ha una trasformazione fisica e non solo, subisce una bella emancipazione.

Tra i nuovi comici, gli eredi della commedia di Totò, abbiamo:

- Nuti ha comicità con toni sommessi, sentimento della nostalgia per le occasioni, rappresenta il
giovane medio;
- Benigni, la comicità è associata al suo muoversi quasi da folletto, urlare, alla sua dirompente
vitalità, parte con un film che è un concentrato di parolacce;
- Troisi, erede della sceneggiata napoletana, esordisce con il film Ricomincio da tre, poco utilizzabile
per fare didattica perché è presente un forte dialetto;
- Nichetti utilizza la tecnica dei fumetti, quasi un comico muto.

Verdone è un attore che si forma in questo periodo, ha subito delle modifiche. Tutti esordiscono con dei
tratti molto forti di comicità e dal punto di vista linguistico, per poi negli anni attenuare queste
caratteristiche.

Tra gli anni 80 e 90 la commedia all’italiana si esaurisce. Gli anni 90 sono il periodo in cui la società italiana e
il cinema riflettono su sé stessi. Ci sono registi di spicco e continuano i vecchi registi. La nuova commedia è
l’erede della commedia all’italiana, è una rivisitazione attuale. Il più prolifico è Verdone per motivi di
longevità.

Verdone interpreta quasi sempre il personaggio di un giovane goffo, impacciato. Inizia con l’interpretare il
bullo romano di uno stato sociale medio-basso. È l’erede di Sordi, non per la romanità, ma per la critica, è
un’analisi delle piccolezze dell’italiano. Esordisce con toni più forti, in Maledetto il giorno che ti ho
incontrato riesce a raggiungere una nota stilistica e una comicità che rendono i suoi film utilizzabili per la
didattica. Anche le figure femminili cominciano a parlare abbandonando l’italiano corretto, usando
espressioni anche forti. C’è poco di italiano non standard, è un italiano ben comprensibile.

Benigni amplifica una tendenza tipica del cinema italiano, il considerare il toscano una varietà comica. Il
toscano come lingua che ha fatto l’italiano era connotato come lingua seria, in passato avevamo uso di altre
varietà per la comicità. I nuovi comici toscani amplificano questa idea del toscano per la comicità. Johnny
stecchino è ispirato alla modalità di giocare sui doppi sensi della commedia all’italiana. In Piccolo diavolo
interpreta un diavolo che un prete ha fatto uscire dal corpo di una signora e si è attaccato al prete.

Moretti si accanisce contro l’uso inconsapevole di parole straniere e frasi fatte, critica il parlare sciatto e per
frasi preconfezionate e senza sapere esattamente cosa si sta dicendo.

È un momento in cui si fa strada il plurilinguismo, all’interno dello stesso film sono presenti varietà di
maggiore o minore connotazione diatopica, molte di più rispetto al passato. Appare l’italiano degli altri,
degli stranieri. Sono film che hanno abbandonato i registri forti e le varietà, sono più comprensibili. Si
afferma la varietà toscana come varietà comica. Abbiamo nuovi attori, come Aldo, Giovanni e Giacomo,
Pieraccioni. Si continua la tradizione dell’intimità del parlato quotidiano, sono sempre più presenti
riflessioni sul proprio malessere. Il dialetto, che non muore mai, continua ad essere presente, come dialetto
degli altri, degli stranieri. L’Italia diventa un paese di immigrazione, si accenta il carattere plurilinguistico. Si
assiste ad un livellamento, anche se solo esteriore, delle differenze di classe, è come se si fosse allargata la
media borghesia, un benessere diffuso. È il momento dell’internalizzazione, è il momento dell’arrivo di
flussi migratori. È il momento del cambio, l’Italia smette di essere un paese di emigrazione e diventa un
paese di immigrazione, con tutto ciò che comporta, con una grossa impreparazione per questo fenomeno.
I numerosi successi dei nuovi comici fa nascere il toscano come varietà comica nel cinema. La società
italiana è molto cambiata. La mobilità non è più legata al lavoro ma al divertimento. Cominciano ad
apparire nuovi registi impegnati, come Amelio, i cui film sono film di denuncia del malessere
contemporaneo e sia a fenomeni legati alla delinquenza o alla povertà.

Virzì, Ferie d’agosto  due famiglie, chi ha forse troppa empatia e chi rifiuta. Uno dei motivi di scontro è la
figura di questo immigrato che fa il venditore ambulante. È una scena importante per osservare l’incontro-
scontro fra culture.

Altri due grandi registi sono Tornatore e Salvatores, si caratterizzano per un riconoscimento anche al difuori
dell’Italia. Mediterraneo vinse l’oscar. Salvatores parla di giovani che si trovano ad un bivio tra l’inserirsi
nella società e l’essere alternativi. Tornatore fa film più impegnati.

Mediterraneo  è ambientato durante la Seconda guerra mondiale. Si tratta di un gruppo di soldati messi
su insieme senza un criterio, vengono portati in un’isola del Dodecaneso, all’epoca appartenente all’Italia.
Invece di fare i militari, si ambienteranno con i greci. Si presta a studiare l’incontro fra diverse culture.
L’inizio del film è un ottimo esempio di presentazione dei personaggi e si presta a infinite attività didattiche.

Iniziano ad essere sempre più presenti gli altri con le loro lingue. Abbiamo Veronese, Tognazzi, Muccino…
Inizia ad esserci un buon contributo femminile con due registe note. Abbiamo una serie di film che
affrontano la vita nella sua quotidianità e la vita dei migranti.

Pummarò  di Placido, parla di lavoro svolto dagli immigrati. Osserviamo come risponde il ragazzo, si alza
in piedi ogni volta che deve rispondere.

Abbiamo altri registi, tutti registi impegnati. A conclusione di questo periodo, si riflettono i problemi sociali
degli anni 2000, un periodo in cui il cinema è pessimista ma realista. Quindi, diventa plurilinguistico e
pluriculturale. Abbiamo Muccino, che all’epoca era considerato il regista della commedia giovanilistica.
Abbiamo una serie di attori/registi, abbiamo un primo regista non di origine italiana che opera in Italia,
Ozpetek. Abbiamo Soldini con Pani e tulipani, storia di una signora dimenticata dal marito in autogrill
durante una gita. La signora decide di cambiare vita e va a Venezia dove incontra Bernardo, un immigrato il
cui modo di parlare è particolare. Ha imparato l’italiano leggendo l’Orlando furioso. Si cominciano a far
vedere sullo schermo gli altri, ma si diversificano le modalità di apprendimento dell’italiano di queste
persone.

29/03/2022

L’ultimo bacio, Muccino  forte ricorso al linguaggio giovanile e ad espressioni marcate (parolacce),
soprattutto in bocca a una donna. Percorso che il film fa in cento anni, questo è un litigio che potrebbe
essere nella realtà così, le parole in bocca agli attori sono parole che fanno parte dell’italiano colloquiale,
aderenti alla situazione. Il ricorso all’italiano è tipico della generazione di giovani adulti dell’epoca in cui è
stato girato il film. La reazione al perbenismo linguistico che ha portato una certa generazione a un uso
spropositato di espressioni marcate (coprolalia), anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Abbiamo:
segnali di attenzione, ripetizioni e ridondanza, uso del pronome dimostrativo con significato implicito, stare
+ gerundio, urla ed esclamazioni, lessico marcato di derivazione giovanile e concreto, ci rafforzativo,
ripetizioni e frasi ridondanti, ripresa anaforica pronominale, né con dislocazione a sinistra (serve per
enfatizzare) e risalita pronominale, frase scissa, te soggetto = tu, lessico: turpiloquio; vocaboli del campo
semantico del disgusto, participio passato sempre accordato. È un tentativo di rendere la lingua più
aderente possibile alla realtà, ma l’impianto di base è sempre la lingua corretta, è un italiano colloquiale ma
mai trascurato.
Pane e tulipani, Soldini  italiano non consono al contesto.

Altri registi di quest’epoca: Carlone con Gomorra, Sorrentino con Il divo, il filone horror che ha come grande
regista Argento. Il cinema torna a specializzarsi per generi come aveva fatto all’inizio.

Il cinema da quando è nata la tv ha sempre avuto un rapporto concorrenziale o complementare con


quest’altro media, soprattutto con un prodotto tipo della tv, la pubblicità. Fin dagli albori il cinema ha
attinto dalla pubblicità e la pubblicità ha attinto dal cinema, sia attraverso la figura del testimonial, che
spesso è un attore, sia con la riproduzione di alcune scene di film famosi. La tv ha comunque in qualche
modo fatto una concorrenza al cinema. La prima crisi si è avuta fra gli anni 80-90. Ora siamo ad una nuova
crisi del cinema, perché la tv è contenitore di tutto, grazie ai canali che sono a pagamento, con cui reperire
qualsiasi tipo di film e sceneggiato. La pubblicità spesso ricalca certi temi del cinema. La commedia
all’italiana è stata utilizzata in sketch pubblicitari, è stata usata la caratterizzazione dei personaggi. La
pubblicità ha iniziato ad usare le varietà diatopiche da un certo punto, prima erano in italiano standard. La
pubblicità inizia in Italia nel 57 con il Carosello. La pubblicità rispetto al cinema era un prodotto mediatico
che maggiormente raggiungeva il grande pubblico, perché era costruito per divertire ed ha contribuito ad
amplificare certi usi linguistici. Lo spot come lo concepiamo ora nasce negli anni 80, diversamente da
Carosello che aveva una lunghezza definita, lo spot deve essere più breve e concentrato. Nella costruzione
di spot abbiamo un’attenta analisi di tutti i codici che il mezzo televisivo consente di rappresentare.

Spot OMO Più  italiano standard. È molto descrittivo.

Spot prosciutti Ferrarini  italiano colloquiale, abbiamo una mancanza di accordo, tipica del parlato. È un
po’ come la lingua di Troisi, per giustapposizione.

Spot Pagine gialle  primo plurilinguismo anche nella pubblicità.

Anche la pubblicità comincia ad usare i dialetti. La pubblicità non è un prodotto artistico, si traveste da tale,
l’uso e il ricorso al dialetto nel cinema ha la funzione di avvicinarsi alla realtà, nella pubblicità che funzione
ha? Perché solo dagli anni 90 si cominciano a vedere pubblicità in dialetto? Il dialetto non è più considerato
come una vergogna, con una connotazione negativa dal punto di vista sociale, acquista una connotazione
espressiva, serve a raggiungere molto meglio chi deve acquistare il prodotto. Come successo per il cinema,
anche la varietà toscana si affaccia nella pubblicità.

Tre uomini e una gamba  esempio di parlato in varietà pugliese, connotato da molte parole colloquiali.

L’Italia da paese di emigrazione è divenuta meta di importanti flussi immigratori. La diaspora italiana dura
circa 100 anni, dalla fine dell’800 fino all’ultima emigrazione verso la metà del 900. I film che raccontano la
migrazione permettono di portare in classe i sentimenti, gli atteggiamenti e come sono cambiati all’interno
della società. Il cinema è un prodotto artistico che riflette la realtà. A noi interessa osservare come viene
rappresentato l’altro, per vedere le forme di interazione più significative con cui osservare come la società
italiana esterna attraverso il film. Fondamentalmente c’è una grande differenza tra due periodi, le
produzioni dagli anni 40 agli anni 80 e le produzioni dagli anni 80 fino ad oggi. Perché gli anni 80? Perché
rappresentano il periodo in cui i fenomeni migratori hanno subito il cambiamento di destinazione. Prima la
migrazione era italiana e si rappresentava la migrazione italiana o verso altri paesi del mondo o dal sud al
nord. Dopo gli anni 80 si parla di altri, abbiamo la politica delle porte aperte. Nel 91 abbiamo la prima
immigrazione di massa dall’Albania. Altra data importante, nel 2013 abbiamo una presenza di molti
stranieri, 7,4% della popolazione italiana.

Alla fine degli anni 80 il cinema italiano mette da parte l’attenzione per i fenomeni sociali e le vicende del
presente, soprattutto nei confronti delle ondate migratorie e dei mutamenti avvenuti nel Paese. Intorno al
2005 si prende in considerazione la presenza degli stranieri nella quotidianità produttiva, sociale e
culturale, i primi stranieri integrati nella società. Verso il 2010-2011 cominciano ad apparire le prime
pellicole impegnate sulla migrazione. Il cinema italiano rappresenta gli altri per svelarne le debolezze, i
sogni, le paure, ma anche gli orrori. Molti film continuano ad avere un carattere più documentario, che
attesta l’esistenza di persone diverse da noi, senza dimostrare nulla. Abbiamo un filone impegnato, di
denuncia e un filone che solamente attesta quanto accade nella società italiana. Abbiamo il filone comico.
La rappresentazione della migrazione italiana. Sono spesso film impegnati, di denuncia. Gli anni subito dopo
guerra. Sono film che hanno una caratteristica di denuncia della condizione di migrante che viene registrato
nel suo andare in un altro paese o nel nord Italia. Anche la commedia, un filone prolifico del cinema, inizia a
rappresentare gli altri e lo fa con ironia.

30/03/2022

Tesina  film degli ultimi 10 anni, con personaggi italiani e non, scena di 8 minuti massimo.

Bangla  comunicano ciascuno usando la propria lingua del cuore. Si dimostra come l’identità linguistica
corrisponda all’identità culturale della persona. Il figlio è immerso nella cultura italiana, usa la lingua
italiana come lingua madre, la madre non ha lasciato le proprie radici. Il padre usa un italiano acquisito e si
capisce che non l’ha studiato, è un’acquisizione spontanea. La figlia usa il romanesco, ma sa usare anche il
bangladese. Nessuno ricorre al code mixing.

La cinematografia italiana si concentra anche sull’emigrazione verso altri paesi. Gli italiani hanno iniziato la
loro diaspora alla fine dell’800, verso altri paesi dell’Europa e l’America. Dopodiché sono iniziate le
migrazioni verso l’America latina, in particolare verso l’Argentina, l’Uruguay, il Brasile. Infine, l’ultima
migrazione, conclusiva, di necessità, è quella verso l’Australia. Ci dà un bell’esempio Bello onesto emigrato
in Australia sposerebbe compaesana illibata del 1971. Registra l’esperienza di un emigrato italiano,
riportando delle caratteristiche di uso linguistico, come il voler far capire ai connazionali che ci si sta
integrando ricorrendo a poche interiezioni del paese di arrivo o inserendo qualche parola pur se
pronunciata in maniera non corretta. Storia di un emigrato che svolge un duro lavoro, desidera avere una
compagna si rivolge al prete della comunità italiana e la fidanzata fregherà il povero immigrato, perché è
un’ex prostituta. Altro esempio è Pane e cioccolata, è il tentativo di abiura della cultura di origine da parte
di un immigrato in Svizzera che per colpa di un malinteso giuridico perde il lavoro. Alla fine per restare in
Svizzera, si tinge i capelli di biondo. Tutti lo scambiano per uno del posto, finché non c’è una partita di
calcio.

Bello onesto…  In tutti i paesi di immigrazione c’è la casa di Italia, in cui ci si ritrova per ballare, giocare,
socializzare, spesso associata al consolato, all’ambasciata d’Italia. Se il paese di origine va avanti, le tracce
dell’origine che l’immigrato si porta dietro rimangono statiche, improntate ancora a come erano quando si
è costituita la comunità. nella sala da ballo era l’uomo che invitava la donna a ballare, a scopo di
matrimonio. Tutte con i capelli neri, i baffi e i peli, stereotipo della donna italiana.

Pane e cioccolata  ripete le poche parole che sente senza saperne il significato. Prima era una persona
per bene, dopo che gli viene data la colpa di qualcosa che non ha fatto comincia ad assumere tutti quegli
atteggiamenti che si attribuivano agli italiani. Meccanismi di esclusione dell’altro sono sempre gli stessi,
malgrado siano cambiati gli altri, chiunque sia l’altro.

Benvenuti al sud  la non conoscenza delle abitudini, degli usi culturali degli altri. È sempre l’altro,
l’estraneo, il diverso. Preconcetti e pregiudizi che si hanno sugli altri.

Nei primi anni del nuovo secolo l’attenzione all’immigrato si è rivelata sempre più crescente nel cinema
italiano in controtendenza rispetto agli omologati mass media. La maggior parte dei film sull’immigrazione
sono realizzati da registi italiani, non essendoci ancora in Italia una generazione di cineasti di seconda
generazione; dunque, lo straniero viene visto quasi sempre con occhi italiani. È soltanto nei film degli ultimi
dieci anni che si vede lo straniero con gli occhi dello straniero stesso. La maggior parte dei film impegnati
era concentrata su alcuni cliché perbenisti, come quello dell’Italia Porta d’Europa, dello sbarco, del viaggio
per mare, dell’arrivo nel posto sognato. Lo scopo del concentrare la didattica dell’italiano sull’uso dell’input
cinematografico è dovuto al fatto che il film è esso stesso intercultura. Ogni film è un viaggio, è un incontro
tra lingue e culture, il cinema registra usi, cambiamenti e immaginario della società ufficializzandoli e
amplificandoli, è un ambiente di meta cognizione: identificazione, proiezione, rappresentazione del
contatto linguistico-culturale. Figure di immigrati eterogenee per provenienza, appartenenza etnica,
estrazione sociale, istruzione, conoscenza dell’italiano. Sono così tanto variegate che è difficile trovare una
figura omologata.

Il cinema permette di osservare i processi di interazione dell’immigrato con la società.

Teniamo conto che l’integrazione e l’interazione sono processi che coinvolgono più dimensioni:

- Ambito professionale;
- Elementi che creano distanza o vicinanza alla cultura del paese ospite;
- Genere, status giuridico, natura del progetto migratorio (se è una migrazione di passaggio o
meno…);
- Atteggiamenti convergenti/ divergenti degli individui.

Dipende anche dalla politica di immigrazione del paese di accoglienza.

Normalmente esistono delle variabili per comprendere il grado di integrazione nella società e sono riflesse
nel cinema:

- Conoscenza della lingua del paese ospite;


- Mantenimento della lingua d’origine (generalmente mantenere la propria lingua d’origine è indice
di conservatorismo, la madre ha il ruolo familiare di preservare la lingua);
- Diversi codici linguistici e varietà dei repertori;
- Elementi della comunicazione non verbale.

Nella maggior parte dei casi si portano alla ribalta gli altri per svelare debolezze, sogni, paure propri.
Generalmente quello di cui si accusa gli altri è ciò di cui non abbiamo certezze. Se si rifiuta l’altro è perché
non siamo certi di noi stessi.

In molti esempi il cinema rappresenta gli etnorami globali, cioè rappresentazioni più diffuse dell’altro, in cui
emerge che lo straniero è clandestino e colpevole perfetto. Un caso è il volume de La giusta distanza.

Pummarò  è la storia di questo ragazzo di origine ghanese che vuole raggiungere il fratello che lavora
come bracciante nel sud Italia. Si è ribellato al datore di lavoro ed è costretto a fuggire. C’è sempre questo
meccanismo di difesa e di paura nei confronti della giustizia e delle accuse della società di accoglienza.

Nel cinema l’incontro-scontro fra culture viene affrontato sia in genere drammatico sia in genere comico. Si
propongono film via via con modelli di assimilazione, poi integrazione, poi inserimento, ora interazione e
dell’essere alla pari. Questa registrazione della situazione è anche una conferma che qualcosa sta
cambiando nella società italiana.

In una classe plurilingue, suddividere i task di osservazione in livelli problematici della comunicazione, porre
e far porre domande: come vengono attribuite dal cinema agli immigrati le componenti verbale,
paraverbale, non verbale e se sono correttamente rappresentate nel film. Auto ed etero riflessione sulla
diversità.

Atteggiamenti identitari dei migranti e dei parlanti nativi attraverso usi linguistici. Riflessione metaculturale:
confronto esplicito tra culture, preghiere e simboli religiosi, posizioni conservative di adulti vs. posizioni
integrative dei giovani, valori del cibo, dell’abbigliamento, gli aspetti non verbali, gli stereotipi, le distanze, il
ruolo che si attribuisce agli spazi privati e pubblici, quali sono le tracce dell’altro.

I temi principali rappresentati nel cinema dell’immigrazione sono: conflitti e problemi d’amore, di
integrazione, d’identità.

Si possono selezionare anche film in base agli argomenti principali trattati riguardo l’immigrazione. Lo
stesso film può tornare in più di un argomento.

04/04/2022

Aspetti rilevanti:

- Auto/etero riflessioni sulla diversità (tempo), possono essere su vari aspetti culturali;
- Aspetti non verbali;
- Foreigner talk (spesso ci si riferisce all’immigrato alzando il tono della voce, come se fosse sordo,
ma ci sono tante modalità per rivolgersi a persone non competenti nella nostra lingua materna);
- Code mixing, quasi assente, talvolta sono presenti enunciati nelle lingue dei migranti in maniera
ridotta perché il film deve incontrare il gusto del pubblico italiano e da questi deve essere
compreso;
- Translanguaging, in pellicole con figli di immigranti ma scarsamente presente.

Con poche eccezioni come in La mia classe, con attori non professionisti che hanno appreso la lingua in
contesto spontaneo, vi sono contraddizioni nelle interlingue degli stranieri.

Babylon sisters  parla di un condominio multietnico.

Interlingue  stadio intermedio tra varietà pre-basica e basica e delle caratteristiche linguistiche
classificabili tra queste due varietà.

Terraferma  Sara, appena approdata sull’isola, interagisce con la nativa Giulietta.

Sono presenti strategie di sopravvivenza, leggi non scritte e deprivazione delle altre componenti
dell’identità del lavoratore immigrato. In Io sono Lì, quando non capisce sorride e annuisce o dice “Grazie”.

Gli estratti sono quelli riguardanti gli atteggiamenti identitari dei migranti e dei parlanti nativi veicolati dagli
usi linguistici e il ruolo giocato dall’italiano di contatto nella definizione dell’identità dei migranti stessi.

In ogni film italiano c’è sempre una scena di cucina, di convivialità, perché è uno dei valori fondamentali, su
cui abbiamo costruito altri valori.

Scusate se esisto  si fa leva sulle abitudini climatiche del paese. La protagonista ha nostalgia di casa,
questa nostalgia si concretizza in un atto culinario. Il cibo e cultura culinaria sono molto importanti, sono
presenti anche in film che riguardano l’immigrazione in Italia. Spesso ci sono fraintendimenti negli incontri-
scontri fra le varie tradizioni culinarie. L’identità passa attraverso la cucina.

Più le scene sono pregnanti più creano interesse. Per la didattica dell’italiano a stranieri scegliere scene che
coinvolgano emotivamente e comunichino sentimenti forti come la rabbia, la tristezza, la paura o in cui i
protagonisti parlano di sé e delle culture di appartenenza per facilitare l’interazione, il mettersi in gioco, il
prendere la parola, il raccontarsi e l’esporsi, ma anche scene come quelle che vedremo per relativizzare i
punti di vista sorridendo. Non scene che riguardino i tabù o che possano shockare il destinatario.

Lezioni di cioccolato  pregiudizi da entrambe le parti. Commedia degli equivoci in Lezioni di cioccolato,
distanza culturale relativa ad abitudini alimentari e convenevoli. Mattia regala una bottiglia di vino al suo
operaio pensando di fargli un dono gradito, Kamal interpreta il gesto come affronto e segno di
maleducazione. Non condivisione dello stesso codice di gestione dialogica: Mattia cerca di intraprendere
una rapida conversazione telefonica con Kamal al cellulare, Kamal riaggancia perché per lui c’è un “rito” di
convenevoli prima di chiedere qualcosa.

Altri aspetti che si trovano nel film e che vengono esplicitati sono quelli che riguardano i canoni della
bellezza femminile. Altro tema ricorrente è il matrimonio, soprattutto quelli combinati. Cominciano ad
apparire riflessioni metaculturali sui matrimoni all’interno dello stesso genere.

Contrapposizione tra paesi di origine e di arrivo:

- Costruzione dialogica della contrapposizione;


- Espressione di disagio per identità sospese tra due mondi;
- Mancanza di conoscenza dell’altro;
- Espressione di pregiudizi, razzismo;
- Cibo/cucina.

Vi sono film che esprimono il parlato costruito a tavolino, con contraddizioni spesso. Ma anche il cinema
italiano si sta evolvendo, soprattutto dalle prime produzioni. Oggi si producono pellicole miste, all’interno di
vicende tragiche si ironizza.

Percorsi didattici che possiamo implementare: possiamo lavorare su singoli temi, oppure possiamo lavorare
sugli atti linguistici o sulla grammatica. Essendo il film un testo molto ricco sia dal punto di vista linguistico
che culturale è bene utilizzarlo per tutto, perché crea una maggiore motivazione per l’apprendimento,
viene apprezzato dagli apprendenti, soprattutto per la possibilità di trovare ciascuno un argomento di
interesse. Il film rispetto ad altri input presenta una maggiore autenticità, si contestualizza la lingua che
viene usata. È possibile usare il cinema per parlare del cinema stesso. Più un film è impegnato, meno è
adatto alla didattica. Sono consigliabili film semplici, di poco valore artistico, che sono quelli che
raggiungono le masse. Si può usare il cinema per riflettere anche sull’italiano degli italiani. Si possono
scegliere piccoli pezzi per far vedere i dialetti italiani. Oppure i vari italiani regionali. Si può mostrare il
gergo. Oppure l’italiano colloquiale. O la critica, riguardo al modo di parlare di certi italiani. Si può lavorare,
inoltre, anche sugli aspetti tecnici e artistici. L’iniziazione all’immagine serve a fare dei nostri studenti degli
spettatori critici. Piani, angolazione, quadro, punto di vista, movimenti della camera, montaggio.

Per usare il film in classe servono delle competenze specifiche per il docente. Non è semplice perché non
esiste materiale preconfezionato, e poi perché occorrono delle competenze che non tutti possiedono.
Bisogna possedere conoscenze di sociolinguistica italiana e cinema (variazione diamesica, varietà del
repertorio e storia linguistica del cinema, materiale bibliografico e orientativo), contenuti sociolinguistici e
socioculturali e percorsi didattici (criteri linguistici e culturali per la scelta del film, film e motivazione
all’apprendimento della lingua, modalità di impiego del film in didattica, educazione all’immagine, percorsi
interdisciplinari), grado di comprensione del film. Saper gestire gli aspetti sociolinguistici e quelli
socioculturali per scegliere il film, che abbia degli input adeguati, che possa motivare l’apprendente.

Come si deve procedere per usare il film nella didattica? Fare una selezione dei materiali, predisporre delle
attività didattiche, presentare attraverso sequenze diverse, creare percorsi diversi e diversificati a seconda
delle esigenze degli studenti e del programma.

Si può lavorare su singoli argomenti, su alcune tematiche che lavorano sul CLIL. Attenzione a non scegliere
sequenze povere di contenuti.

Nell’utilizzo in classe del film si deve sempre contestualizzarlo e creare attività di riscaldamento che
possano creare motivazione da parte degli apprendenti. Non lasciare mai che guardi il film senza sapere che
attività svolgere.
In base alle competenze linguistiche degli studenti le sequenze filmiche possono essere sfruttare secondo
due modalità diverse:

- Legata all’interpretazione delle sequenze filmiche, in modo che si possano comprendere i messaggi,
dare interpretazioni, una lettura esplorativa ed interiore, dove si stimola una componente emotiva
di avvicinamento al testo;
- Legata più a un uso utilitaristico delle sequenze filmiche, consiste nell’estrarre alcuni elementi dal
lessico in modo da lavorare su questi elementi.

Il secondo livello è previsto soprattutto per studenti che hanno competenze linguistiche elementari-
intermedie. Il primo livello è per studenti di medio-avanzato livello.

Si possono portare in classe più lingue e più culture, anche se stereotipate. E anche la cultura italiana può
essere confrontata con le altre.

L’uso del cinema nella didattica serve a portare ad un relativismo culturale, soprattutto il cinema
sull’immigrazione mette in scena diverse culture. Fa capire che ogni cultura ha la sua importanza.

Le attività didattiche che si possono costruire con un input filmico sono tutte quelle possibili, ma bisogna
rispettare la macrostruttura dell’unità di apprendimento: almeno i tre momenti principali in cui organizzare
l’unità  le attività prima della visione, quelle durante e quelle dopo.

Prima della visione (fase della motivazione). Sono attività che servono a monitorare i progressi degli
apprendenti e far sì che si creino delle ipotesi, delle aspettative. Sono attività che mirano a ridurre le
difficoltà dei contenuti non conosciuti. Si può partire con informazioni parziali, ad esempio presentando il
titolo del film con un brainstorming. Una delle tecniche più utilizzate è il brainstorming. Deve essere un
materiale che metta in evidenza i punti essenziali del film. Altra tecnica è il completamento di griglie. Si
deve anche far sì che l’apprendente possa cominciare a reperire le informazioni esterne al testo. In questa
fase è necessario anticipare alcuni elementi che noi crediamo possano creare difficoltà per i nostri
apprendenti. L’importante è che si utilizzino delle tecniche che rispettino l’expectancy grammar
(grammatica dell’anticipazione). Lavoro sulle persone a partire da: foto degli attori, foto di luoghi o decori
del film, documenti mediatici. Lavoro sull’universo fittizio a partire da: informazioni sul luogo e l’epoca da
cui ricavare un brainstorming, dati sui personaggi e far costruire agli studenti un intrigo sotto forma di
racconto orale o scritto. Lavoro sull’oggetto del film a partire da: titolo, pubblicità, schede internet. Lavoro
sulla presentazione del film a partire da: scheda o frasi di presentazione, rapporto tra immagini e testo
scritto, trasmissioni televisive e schede di cinema, musica del film.

Durante la visione (fase della globalità). Gli studenti entrano in contatto con il testo di partenza che può
essere una sequenza della durata di 5-8 minuti circa. Nella prima visione del film ci si deve concentrare su
una comprensione globale, non sui dettagli. Bisogna far sì che gli studenti sappiano orientarsi in questa
comprensione globale. Si propongono attività che favoriscono la comprensione. Questo primo approccio al
film, queste prime sensazioni devono essere guidate in qualche modo, dando il tempo allo studente di
predisporsi ad una corretta comprensione. Si possono registrare queste sensazioni per vedere come hanno
gestito, come hanno apprezzato o meno. Si possono distribuire delle scene con cui raccogliere prime
sensazioni. Non ci si deve mai fermare ad una sola visione. Con le successive visioni si va verso l’analisi.
Prima era nella comprensione globale, ora si va verso la competenza specifica. Dopo la fase dell’analisi,
abbiamo la fase della globalità. Si può lavorare sull’identificazione della situazione, le intenzioni di
comunicazione. Si possono far vedere alcune scene in cui c’è una modalità specifica di un personaggio di
parlare. Si può chiedere di redigere sottotitoli per la sequenza del film, serve ad essere capaci di
sintetizzare. Si può lavorare sull’immagine senza suono, o con suono senza immagini in livelli avanzati. Se il
film è tratto da un’opera originale, si può lavorare con uno spezzone del testo originale. Si può lavorare
sulla storia, invitando a riassumere l’intrigo. Si può lavorare sui personaggi. Si può lavorare sullo spazio e il
tempo.

05/04/2022

Dopo la visione (fase della sintesi e della riflessione). In questa fase si cercherà di fissare, re-impiegare ed
approfondire gli elementi linguistici, culturali e sociolinguistici sui quali si vuole focalizzarsi. Dopo aver visto
la sequenza si potranno fare delle attività di sintesi partendo dalla stessa scena: role-play,
drammatizzazioni, giochi di ruolo, modificare il ruolo dei personaggi o l’ambiente, ipotizzare oralmente o
scrivere, ecc. Inoltre, ci sarà la fase relativa alla riflessione dove gli studenti e l’insegnate in modo induttivo
principalmente andranno a sistematizzare le conoscenze che gli studenti hanno appreso durante il
percorso.

Dopo la visione:

- Confrontare l’opinione degli studenti con quella della critica;


- Stimolare la produzione di documenti creativi di promozione e diffusione del film;
- Fare un’analisi testuali di una critica della stampa e redigerne una personale;
- Fare un’analisi comparativa di più critiche;
- Produrre una pubblicità per il film;
- Costruire un dossier sugli attori, sui film, ecc.;
- Simulare un’intervista, una conferenza con uno o più attori ecc.

Per quanto riguarda la possibilità di utilizzare le sequenze, le principali possibilità sono:

1) Visione senza sonoro: l’interesse è sulle immagini e sul linguaggio extralinguistico, l’attenzione
viene indirizzata verso l’idea centrale, si fanno ipotesi su quello che può accadere;
2) Ascolto senza visione: in questo caso l’attenzione sarà solo sul parlato e quindi ci sarà ampio spazio
per la formulazione di ipotesi e l’immaginazione. Sono entrambe molto produttive, l’ascolto senza
visione non è adatto ai livelli A1/A2;
3) Visione scissa: il gruppo classe è diviso in due: il primo guarda la sequenza senza sonoro mentre il
secondo ascolta soltanto il sonoro, i due gruppi si incontrano e cercano di combinare insieme le
loro ipotesi. Molto stimolante, ma non facile da organizzare;
4) Visione delle sequenze in disordine: l’attenzione è concentrata sulla logicità della narrativa filmica
mettendo in ordine sequenze;
5) Visione con blocco dell’immagine, permette di far sì che gli apprendenti analizzino in profondità la
scena, i gesti, gli sguardi, l’azione;
6) Ascolto e visione: si possono utilizzare varie tecniche di comprensione, le più utilizzate sono i
questionari vero/falso e a scelta multipla o domande aperte/chiuse;
7) Visione con sottotitoli: chiaramente lo si può fare se abbiamo un gruppo classe monolingue oppure
si può usare una lingua ponte. Per i livelli avanzati i sottotitoli possono essere utili per attività in cui
si fa un confronto tra il testo orale e il sottotitolo, per vedere le discrepanze. Per creare dei
sottotitoli occorre essere capaci di essere sintetici, il sottotitolo deve prendere lo spazio della scena
e basta.

Momento della visione del film, soprattutto la prima dimensione su cui far riflettere è quella funzionale,
bisogna sempre dare suggerimenti sulla visione del film. Sensibilizzare su elementi cinematografici.
Sensibilizzare agli aspetti linguistici e culturali. Questa è la dimensione su cui si lavora sugli atti comunicativi,
realizzati all’interno dei dialoghi.
Fase dell’analisi, sintesi e riflessione. Qui si può allargare anche agli aspetti culturali. Si può lavorare sulla
prosodia, la fonetica, il lessico, la grammatica, gli elementi extralinguistici, gli stereotipi, la temporalità, la
spazialità, le tassonomie che riguardano i personaggi, i ruoli, le azioni, gli impliciti.

Attività di fissazione. Serve a lavorare sulle varietà di italiano che sono presenti nella scena selezionata,
legate all’estrazione sociale, alla provenienza regionale ed extranazionale. L’italiano è cambiato moltissimo
nei decenni, è possibile selezionare scene in base ai cambiamenti della lingua italiana dagli anni 40 ad oggi.

Infine, la conclusione, note su processi cinematografici, ma anche grammaticali, lessicali, culturali, quindi,
riflessioni sulle tecniche narrative, sul rapporto parola-immagine, sulla densità delle immagini, sulla
gestione del colore, ma anche sulla musica che accompagna le scene. Preferibilmente in forma di schemi.

Con il film qualsiasi sia la modalità scelta possiamo sempre verificare se le ipotesi formulate dagli
apprendenti siano state comprese o no. Il film può essere impiegato per test e verifica delle conoscenze. Il
buon risultato dipende dalla scelta delle scene adeguate. Possibilmente che siano scene concluse, che non
abbiano troppi legami col resto delle scene.

Roma città aperta  Didattizzato in Italia, pubblicato in videocassetta. Abbiamo suddiviso il film in scene e
per ogni scena si è proceduto con l’indicare un sottotitolo.

In qualsiasi attività didattica è importante che gli studenti formulino delle ipotesi, che siano corrette o no ci
interessa in un secondo momento, è importante attivare la loro rilevancy grammar. Senza queste non è
possibile che ci sia l’apprendimento.

Uno degli errori più frequenti in apprendenti di italiano L2 o LS anche a livelli avanzati è la capacità di non
saper riconoscere quando è obbligatorio o esplicitare il soggetto, è difficile che riescano a enfatizzarlo o
all’inizio dell’apprendimento lo esplicitano sempre. Saper creare enfasi è uno degli aspetti più difficili
dell’italiano.

Si possono costruire delle tabelle in modo da ritrovare la sequenza adatta a quel livello, quali sono i livelli di
difficoltà, quali sono le scene che si possono usare in base a quel livello.

Silvio made in Italy  è un ottimo esempio per far esercitare gli apprendenti sull’argomentare. È
importante perché c’è un rapporto ben costruito tra immagini, gesti e parole. È un’opera di teatro quasi. È
un capolavoro di argomentazione, una persona che è palesemente nel torto, riesce ad avere ragione ed
essere una vittima che perdona.

Parenti serpenti  altro capolavoro di Monicelli, una commedia. È un film feroce, siamo in un paese
abruzzese, i figli sono tornati a casa dei genitori per Natale. La situazione familiare finisce che quando i
genitori chiedono di poter andare da uno di loro anziché in un ospizio, risolvono il problema comprando
una stufa e facendo saltare in aria la casa con i genitori dentro l’ultimo dell’anno.

06/04/2022

La maggior parte dei film sono trascritti. Soltanto trascrivendo ci si rende conto delle peculiarità rispetto
allo scritto e ci si rende conto di quali sono gli aspetti non verbali. I criteri di trascrizione influenzano sempre
l’analisi. Ai fini didattici, usare la sceneggiatura se esistente. Altrimenti procedere per piccoli blocchi. Una
volta completata la trascrizione riascoltare controllando la trascrizione.

Spesso alcuni docenti preferiscono usare spot pubblicitari, perché è più facile avere scene coese e coerenti.

Spesso abbiamo dei film che sono la trasposizione cinematografica di opere letterarie. La storia del cinema
italiano è cominciata così. Il cinema tratto dalla letteratura ha delle modalità semiotiche di realizzazione:
- Fedeltà quasi totale;
- Riduzione/adattamento;
- Manipolazione radicale;
- Parodia e libera interpretazione.

Per la didattizzazione di film tratti da opere letterarie, bisogna dire che dividono la critica. Gli studiosi del
cinema non apprezzano questo tipo di film. Gli scrittori spesso non accettano la trasposizione della loro
opera. Ci sono alcune procedure, cattive abitudini e alcune abitudini più positive. Spesso si parte dal testo
letterario e poi si arriva al film, arrivando alla conclusione “il romanzo è un’altra cosa”. Si tratta di partire
dal film e attraverso di esso risalire all’opera originale. Una buona trasposizione cinematografica deve
essere una rispettosa audio visualizzazione del testo scritto (fedeltà), l’opera letteraria di partenza è il sito di
un valore ideale a cui il film deve avvicinarsi il più possibile. gli adattamenti avvengono sempre in base al
linguaggio cinematografico, allo stile con cui trasporre lo scritto in immagine e suono e a come e se
mantenere il contesto storico in cui è ambientata l’opera. Esistono varie strategie di manipolazione e
adattamento cinematografico.

- Sottrazione, ciò che c’è nell’opera non c’è nel film.


- Addizione, ciò che c’è nel film non c’è nell’opera.
- Condensazione, elementi presenti in forma molto estesa nel romanzo e ridotta nel film.
- Espansione, elementi presenti nel romanzo dilatati nell’opera cinematografica.
- Variazione, elemento del romanzo è presente nel film ma con caratteristiche diverse.
- Spostamento, evento o situazione presente sia nel film che nel romanzo ma in momenti diversi
dell’intreccio.
- Principio dell’equivalenza, alcune scene del film non corrispondono a quelle del romanzo ma sono
inventate in modo che siano equivalenti.
- Voce narrante, testo narrante che accompagna un testo audiovisivo proveniente da uno spazio,
tempo o altro rispetto a quello della diegesi.
- Voice off (voce fuori campo), quello che sentono gli spettatori ma non i personaggi del film.

Per l’adattamento di un’opera letteraria:

- Verificare se titolo, nomi dei personaggi e contesto sono mantenuti;


- Osservare rapporto tra il numero di pagine e durata del film;
- Confronto tra inizio del film e quello del libro;
- Rilevare soppressioni o inserimenti nei personaggi;
- Valutare ampiezza di una scena rispetto all’originale;
- Analizzare procedimenti che permettono di visualizzare sentimenti dei personaggi;
- Mostrare come si effettua la drammatizzazione.

Il Gattopardo  fedele all’originale.

Dimensione funzionale  identificare la situazione, le intenzioni di comunicazione e le forme linguistiche


degli atti di parola. Comparare due frammenti che esprimono la stessa intenzione comunicativa invitando a
rilevare le variazioni linguistiche in rapporto alla situazione o al personaggio e riutilizzarle in un role play.
Rilevare le espressioni tipiche di un personaggio e riutilizzarle in un role play.

Io sono Li  dal punto di vista pragmatico l’atto comunicativo di spiegare qualcosa avvalendosi delle
immagini è molto ben costruito. Si possono affrontare vari temi: parallelismo tra realtà di migrazione e
realtà di provenienza. Uso della lingua con diverse funzioni/strategie di apprendimento e uso della L2 da
parte della protagonista. Incontro tra culture e ricerca di punti in comune. Realtà dell’immigrazione cinese
in Italia e leggi non scritte. Gioco sul tema dell’appartenenza/non appartenenza alla comunità chioggiotta.
Anche all’interno della stessa comunità si possono notare fenomeni di stratificazione sociale in base ai
momenti di arrivo nel nuovo paese.

Basilicata coast to coast  si può lavorare sui singoli personaggi o presentarli tutti insieme.

Si possono scegliere film che hanno come attore principale sempre lo stesso e lavorare su testimonianze
dell’attore sul fare cinema.

11/04/2022

Guida per condurre un’analisi e una riflessione sistematici.

Competenza comunicativa

Fluenza orale  Si esprime agevolmente, scorrevolmente, senza grossi sforzi? Qual è la velocità
dell’eloquio? Produce molte pause e altri suoni non verbali? Si interrompe, riformula gli enunciati? Usa con
scioltezza frasi fatte ed espressioni comuni o idiomatiche?

Fluenza scritto  Scrive testi di notevole lunghezza e complessità? Lo fa in tempi relativamente brevi, con
scioltezza o si ferma a lungo per pensare alle parole, alle costruzioni, all’ortografia?

Efficacia comunicativa  Trasmette le proprie idee in modo chiaro ed efficace? Riesce ad ottenere i risultati
che desidera? Riesce ad evitare fraintendimenti? Nell’orale: riesce a usare una varietà di registri adeguati?
Riesce a farsi seguire senza eccessivi sforzi? Riesce a dare le sfumature pragmatiche appropriate? Nello
scritto: sa pianificare e organizzare un testo in modo efficace, chiaro, non contraddittorio? Riesce a
dividerlo in capoversi e sezioni? Usa la punteggiatura per segmentare il flusso della sintassi e del pensiero?

Competenza linguistica

Testualità  Come riesce a legare le diverse frasi e parti del discorso? Uso dei connettivi temporali,
argomentativi, meta-testuali. Coesione tra le diverse parti del testo, segnalata da pronomi e altre pro-
forme. I diversi argomenti sono legati da buoni rapporti di coerenza e coesione? Come si riferisce alle
identità, per introdurle, mantenerle e reintrodurle?

Lessico  Usa un lessico vario? La terminologia è precisa? Quali esempi si possono citare di parole
ricercate, appropriate? Usa particolari strategie comunicative per compensare la mancanza di termini
specifici? Perifrasi, creazione fantasiosa, approssimazione, richiesta di chiarimento/aiuto esplicito
all’insegnante.

Sistema nominale  Osservare la flessione di nomi e aggettivi per genere e numero. Ricordarsi che la
flessione per numero ha un significato mentre quella per genere è quasi sempre arbitraria e deve essere
imparata a memoria. I nomi che finiscono per -e danno problemi perché possono essere sia maschili che
femminili. Come si manifesta l’accordo di genere e numero? Quali elementi contribuiscono a creare il
sintagma nominale? Notare l’accordo tra articolo e nome e tra articolo, nome, aggettivo. Notare che
l’accordo può essere corretto anche con errata assegnazione del genere o con nomi inventati. Oltre
all’articolo esistono vari tipi di determinanti: quantificatori, numerali, possessivi, dimostrativi.

Promemoria per far valutare un testo scritto agli apprendenti  Il testo funziona? L’italiano è giusto? La
scrittura è corretta?

CAD significa che ci sono persone con diversa conoscenza della lingua. La si osserva in presenza di adulti
immigrati. Sono corsi che sono importanti non solo per gli adulti ma anche nell’ambito penitenziario. C’è
una serie di progetti che stanno andando verso questa direzione. Questo tipo di insegnamento è
importante ed è importante organizzarlo con il miglior profitto possibile. CLIL e professione: partire da
inventari di generi discorsivi, partire dalla dimensione testuale perché chi organizza questi corsi possa
elaborare sillabi di riferimento. È possibile da questi estrarre i programmi di insegnamento. Ipotizzare
contenuti lessicali attendibili, selezionare strutture morfosintattiche necessarie per un determinato livello di
competenza, individuare aree funzionali legate a generi testuali.

Lavorare è sapere cooperare in primo luogo oralmente ma anche sapere decodificare testi scritti complessi
o produrne di semplici ma altamente tecnici. Centrare un apprendimento formale su situazioni concrete
permette di ottenere risultati migliori in tempi brevi. È la concretezza una caratteristica del pensiero
situazionale dell’analfabeta o del semianalfabeta, riusabilità chiara ed immediata. Il lavoratore immigrato
libero e non necessita di competenze simili, la variabile più ampia è costituita dalla motivazione nel seguire
corsi di tirocinio, che richiede uno sforzo solo se si vede un’utilità.

La competenza comunicativa risulta fondamentale per trovare un impiego e svolgere delle mansioni:

- Eseguire disposizioni di superiori;


- Rispettare norme;
- Usare correttamente strumenti di lavoro;
- Muoversi in uno spazio linguistico e sociale;
- Interagire con i colleghi;
- Capire il contratto di lavoro;
- Informarsi su eventuali straordinari;
- Essere in grado di leggere la busta paga;
- Sapere se e quando può chiedere permessi;
- Padroneggiare un repertorio lessicale proprio di un sottocodice insieme ad un adeguato
soddisfacimento dei bisogni della vita.

La costruzione di percorsi CLIL per adulti e classi plurilingue è il futuro della didattica in contesti plurilingue.
Deve essere il più possibile la costruzione di materiali che siano legati da azioni pratiche.

12/04/2022

Dopo aver seguito il corso gli apprendenti devono sostenere un esame, concepito per formulare un
portfolio. Sono costituiti per persone che hanno già effettuato studi nel loro paese e hanno necessità di
attestare le loro competenze linguistiche e professionali. Passaggio dal sillabo, elemento che sta a monte,
alla prova di valutazione.

L’impostazione di corsi CLIL per classi multilingue e multietniche con la finalità di avviare alla professione ci
permette di rispondere in maniera più precisa alle esigenze degli utenti, di organizzare corsi più rapidi ed
efficaci, permette di avere una visione del CLIL diversa da quella che si ha a scuola, che è molto rigida e
poco produttiva.

Questi percorsi CLIL per adulti hanno degli aspetti positivi:

- Creare motivazione, dato che il contenuto della materia diviene il focus dell’attenzione, focalizzano
la loro attività sullo svolgere quel compito, nel frattempo apprendono il linguaggio settoriale ed
elementi che riguardano la professione;
- Aumentare la quantità e qualità di esposizione alla L2, perché il CLIL privilegia un insegnamento di
tipo interattivo e richiede una profondità dell’elaborazione che non sarebbe possibile in un
insegnamento di tipo tradizionale, rispettare il concetto di parzialità;
- Svolgere attività autentiche;
- Usare la lingua in un contesto reale, funzionale alla professione, con argomenti ben definiti;
- Spostare l’attenzione dalla forma linguistica ai contenuti da essa veicolati, l’attenzione viene diretta
verso il contenuto, all’insegnante non deve interessare la correttezza formale, quanto che riescano
a comprendere ed usare la lingua;
- Raggiungere buoni livelli di interazione, non interessano gli errori e le imprecisioni, la finalità è che
riescano da un punto di vista pragmatico a far passare e far comprender il messaggio;
- Ricorrere ad altri codici, come avviene nelle interazioni di lavoro, soprattutto per quelle attività
lavorative che comportano delle azioni manuali.

C’è stato uno studio pioneristico, di Gimonetti, che ha avviato questo tipo di sensibilità verso la formazione
di adulti in ambito professionale. I risultati riguardo l’efficacia pragmatica sono in piena sintonia con quelli
svolti in altri Paesi. Con questo tipo di training linguistico si sviluppa una competenza pragmatica che è
fondamentale qualunque sia il livello di competenza linguistica dell’utente. Ed è la prima competenza che
deve possedere un adulto immigrato in un paese in cui ricostruirsi una vita. A livelli di competenza più
elevati gli errori sul piano sociolinguistico possono compromettere la comunicazione e la sua efficacia
pragmatica in maniera assai più grave di quelli di natura linguistica o grammaticale, per questo non si dà
molta attenzione alla forma. Un errore grammaticale è più tollerato e innesca nel nativo un atteggiamento
di accomodamento convergente, cioè di disponibilità all’aiuto.

Abbiamo privilegiato il livello pragmatico referenziale, regolativo-strumentale (perché la funzione del


linguaggio è molto importante in ambito lavorativo), metalinguistico (perché è necessario che
l’apprendente chieda cosa non sa), che sfrutti la capacità dell’adulto di ricorrere alle abilità cognitive
generali, sono dei materiali didattici che sono fondati su compiti e problemi, si parla di didattica per compiti
o task, sono attività ideate per essere applicate immediatamente in contesti professionali. L’adulto deve
essere in grado di intravvedere gli obiettivi concreti che devono essere raggiunti con una formazione che
valorizzi i suoi percorsi di esperienza pregressi, di fondamentale importanza perché su di essi si basa la sua
identità e il modo di rapportarsi a nuove esperienze e conoscenze. L’apprendente ha bisogno di appoggiarsi
sulle conoscenze pregresse, non si deve fare tabula rasa.

Per elaborare questi materiali abbiamo adottato il concetto di parzialità, cercando di potenziare
l’autopromozione, adottando un approccio plurilingue e pluriculturale. Abbiamo cercato di adottare
procedure didattiche che tengano conto di una scarsa disponibilità di tempo per lo studio, la discontinuità
nella frequenza delle lezioni. Spesso l’adulto ha altre necessità contingenti. Per questo serve creare attività
per moduli, che abbiano un nucleo di conoscenze, senza che segua necessariamente tutto il corso. Un
concetto di maggiore flessibilità, ma anche di diversa unitarietà di contenuti.

Abbiamo visto che le attività parziali sono state ufficializzate da tutti gli approcci dell’intercomprensione.
Saper comprendere una lingua vicina, conoscere il lessico specialistico della propria professione, o
possedere un livello A1 in una lingua LS per la produzione orale ma un B2 per la lettura. Il repertorio
linguistico è un repertorio molto disomogeneo, è molto più ampio di chi non è mai venuto a contatto con
un’altra lingua. Possiedono spesso necessità di confrontarsi con un input linguistico qualitativamente poco
elevato e quantitativamente limitato al dominio lavorativo ma ben contestualizzato. La lingua italiana non è
una, ma varia. Un adulto anche se in maniera inconscia ricorre sempre di suo alle proprie competenze
linguistiche parziali, la mossa che deve effettuare chi organizza i corsi è di permettere che queste
competenze parziali vengano alla luce e insegnare ad applicare queste conoscenze pregresse, queste
expectancy grammar.

Abbiamo preferito usare contenuti più complessi, perché funzionali al training settoriale. Abbiamo già detto
di preferire la competenza pragmatica a quella puramente morfo-sintattica, chiedendo di produrre, come
fossero formule, certe espressioni difficili, che però sono necessarie.
Tutta la costruzione del materiale è stata concepita perché il corso di lingua sia erogato prima del corso
professionalizzante, l’apprendimento vero e proprio è molto più efficace. I dati a disposizione dimostrano
che se il corso in linguaggio settoriale è seguito dal tirocinio la ritenzione di quanto appreso è maggiore.

Dal punto di vista metodologico, abbiamo cercato di simulare situazioni di comunicazione, abbiamo dato
priorità all’orale, cercato di rispettare il principio della molteplicità riguardo al canale. Per quanto riguarda
la diversità tipologica dei materiali li abbiamo selezionati con vari livelli di difficoltà mediati da supporti
tecnici e didattici.

L’unità didattica è costruita sulla base dei principi della didattica per compiti o task, si dà priorità alle attività
comunicative, di comprensione e di riflessione. A cosa serve usare una didattica per task? Serve per gestire
in maniera plurima il ritmo della lezione, della classe, serve per presentare delle tecniche che siano
differenziate in base alle diverse persone presenti in classe. È necessario che a partire dal materiale
didattico l’insegnante possa prevedere più attività. In contemporanea ma non tutti eseguono la stessa
attività.

Che cosa sono attività per compiti? Attività in cui la L2/LS è usata dall’apprendente per raggiungere obiettivi
extralinguistici, anche molto vari: dai più semplici ai più complessi. Un task può essere realizzato a partire
da uno stesso documento.

Attività tradizionale può essere quella in cui un insegnante distribuisce la copia di un’immagine a ciascuno
studente e chiede “cosa vedi? Scrivete 4 frasi che la descrivano”, nella didattica per task l’insegnante
mostra per qualche secondo l’immagine e chiede di ripensare all’immagine vista e chiede “a coppie scrivete
4 cose vere e 4 cose false”. Ciascuno raggiunge il risultato in base alle proprie competenze.

In questo tipo di didattica si accorda primato al significato. Si dà libertà di esecuzione, si utilizzano le forme
linguistiche a disposizione. Sono attività aderenti alle attività del mondo reale, nelle attività tradizionali non
sempre accade. Contestualizzazione, bisogna sempre chiarire il contesto, anche una tradizionale attività
didattica come il dettato diventa un compito. Si accorda priorità all’obiettivo. C’è una valutazione del
risultato finale, in cui l’insegnante valuta la capacità di portare a termine il task e non la capacità di
utilizzare correttamente certe strutture linguistiche. La didattica per task è utilizzabile per i livelli più bassi.

L’insegnante deve avere competenze specifiche, deve saper gestire questo tipo di didattica. Deve preparare
la classe allo svolgimento del compito. Normalmente l’attività per task si svolge a coppie o piccoli gruppi.
L’insegnante deve poter andare a controllare ciascuna coppia, ciascun gruppo e fornire aiuto in caso di
necessità. Concluso il compito ciascun gruppo riferisce agli altri l’esito del lavoro. Anche nella divisione dei
turni, si possono differenziare gli interventi in base alle loro competenze. È un’attività che comunque
prende in esame le strutture della lingua, in maniera rovesciata, richiamando l’attenzione su determinati
elementi grammaticali, lessicali, culturali che sono funzionali allo svolgimento del compito e non sono stati
usati correttamente. Può proporre attività di pratica, per far esercitare su queste strutture che ha rilevato
essere deboli, sollecitando riflessioni.

È più facile per loro notare la mancanza di una forma linguistica rispetto a un aspetto pragmatico-culturale
di cui avrebbero bisogno per veicolare un certo significato: la loro attenzione ai fenomeni linguistici ne
risulta necessariamente accentuata.

Da un punto di vista di apprendimento della lingua, la didattica per task è vantaggiosa perché permette di
riflettere sulle forme della lingua dopo averle usate. Le strutture su cui si invita a riflettere sono quelle
funzionali. L’uso è il più possibile autentico della lingua, senza che l’insegnante obblighi. Gli apprendenti
utilizzano tutte le risorse linguistiche e non linguistiche a loro disposizione. La possibilità di usare la lingua
anche da un punto di vista orale è maggiore. Si cerca di rispettare la varietà di materiali, compiti e contesti
d’uso della lingua settoriale.
Si possono selezionare immagini di complessità variabile, chiedendo di descriverle. Chi ascolta potrebbe
cercare di riproporre l’immagine disegnandola, scegliendola tra immagini proposte, il compagno e il
docente intervengono per stimolare. Chiedere chiarimenti, per scherzare. Non bisogna fare domande
precise di contenuto, perché se non conosce la parola esatta per indicare l’oggetto si deve invitarlo a
indicarlo con un’altra parola.

La didattica per progetti è una didattica per task più elaborata. La didattica per task si può svolgere in 3-4
ore, il progetto è qualcosa di più duraturo, coinvolge tutto il corso. Nella didattica per task abbiamo una
minore autonomia dell’apprendente. La didattica per progetto è un po’ più libera, l’insegnante si limita a
dare il progetto.

Sono entrambe importanti per l’interazione in classe, implicano attività obbligano a prendere decisioni in
gruppo, sostenere la propria opinione. Servono a cooperare in gruppo, discutere in gruppo, raggiungimento
di uno scopo pratico. Possono implicare il fatto di intervistare ed essere intervistati. Può spingere a
ricercare informazioni. Per i testi scritti, si possono corredare di materiale iconografico. Serve a preparare
una relazione scritta o orale. Elaborare dei dati sotto forma di grafici. Esporre il proprio lavoro.

Quali sono le fasi? Pianificazione e preparazione, organizzazione del lavoro, svolgimento pratico, fase
preliminare alla presentazione, presentazione e valutazione.

Pianificazione e preparazione  motivazione e sensibilizzazione, scelta del tipo di progetto, scelta delle
fonti, scelta del supporto finale.

Organizzazione del lavoro  divisione in gruppi, divisione del lavoro (si possono frazionare le fasi del lavoro
o dare a ciascun gruppo lo stesso lavoro), preparazione del materiale necessario.

Svolgimento pratico  gli studenti svolgono il lavoro in classe, ma escono anche, raccolgono le
informazioni necessarie, le elaborano, redigono eventuali testi di commento e di presentazione e
concretizzano il progetto attraverso il supporto che hanno deciso di utilizzare.

Fase preliminare alla presentazione  il gruppo corregge ciò che ha prodotto e simula la presentazione.

Presentazione finale e valutazione dell’insegnante.

Si può fare una didattica per task utilizzando i film.

13/04/2022

Fine del corso 27/04, esami 13/06, 13/07.

Esercitazione

Progetto  6 gruppi da 3 studenti ciascuno.

Tutti gli studenti guardano la scena del film “Non c’è più religione” e commentano in classe, con la
mediazione dell’insegnante, quali gesti sono riusciti a riconoscere nella scena e i loro significati. Inoltre, si
discuterà dello stereotipo della gestualità nei confronti degli italiani. L’insegnante invita a riflettere su quali
siano, invece, gli stereotipi attribuiti alla propria nazionalità.

A casa, ciascun gruppo prepara una presentazione PowerPoint sui gesti più comuni che si possono
riscontrare nell’uso quotidiano degli italiani. Presentano il loro elaborato in classe agli altri apprendenti.

Progetto  lavoro individuale.


L’insegnante distribuisce le immagini a tutti gli studenti. Invita ad osservarne le differenze e ad esprimerle,
attraverso il lessico che si conosce, stimolando l’uso delle preposizioni. Successivamente, l’insegnante invita
gli apprendenti ad esprimere quale sia la gestione degli spazi nelle immagini e quali siano le differenze
rispetto alla gestione degli spazi interni per la propria cultura.

20/04/2022

La materia e l’oggetto di cui ci interessiamo è la linguistica educativa e l’educazione linguistica. Sono due
etichette importanti perché rappresentano il futuro della didattica di tutte le lingue. Si parla di educazione e
linguistica. L’accento è su educazione che implica non immettere emozioni nei corsi o fornire solo
indicazioni teoriche, ma significa educare, rivolgere l’attività alla comunità e agli individui che vi vivono,
considerare la lingua come espressione dell’essere, di una comunità. Le teorie che possiamo utilizzare sono
teorie che dovrebbero permettere di rispondere a due macro-assunti: il primo riguarda il fatto che
l’apprendimento di una lingua non può avvenire in isolamento e a prescindere dai parlanti, da qui l’esigenza
di considerare le pratiche linguistiche e culturali e di tarare l’apprendimento sulle reali esigenze. Il secondo
assunto è che l’apprendente non può essere lasciato solo nella costruzione del proprio apprendimento,
deve essere posto in un ambiente sociale e per quanto riguarda l’azione didattica bisogna anche rendere
partecipe l’apprendente all’operazione di coproduzione dei significati da acquisire nella lingua target. In
questo senso si intende educativo, educazione, significa educare non solo all’apprendimento di quella
specifica lingua, ma delle lingue in generale.

Quanto premesso ci obbliga a considerare una duplice dimensione psicologica, quella dei sentimenti e
linguistica, i comportamenti e le realizzazioni di varie forme di comunicazione, corrispondente ad un doppio
piano oggettivo, soggettivo, qualitativo e quantitativo, descrittivo e interpretativo. I parlanti presi in
considerazione sono persone che devono essere investiti dall’azione di educazione linguistica portando un
bagaglio, essendo connotati da un insieme, di un pregresso costituito da un insieme di codici, forme… che
dobbiamo riconoscere, non si può fare a meno di prendere in considerazione questo in una didattica che sia
sostenibile.

Spesso queste persone sono connotate da un’insicurezza linguistica, che nasce da aspetti psicologici, senso
di esclusione oppure da una richiesta di riconoscimento da parte dei soggetti svantaggiati. Sappiamo che
esistono gli immigrati di lusso, gli immigrati per lavoro. Ci rivolgiamo a situazioni didattiche connotate da
translanguaging e lingue e culture in contatto, sono inizialmente situazioni molto difficoltose, il docente
deve gestire persone con livelli diversificati. Deve considerare anche la parte relativa alle persone, tutta una
serie di considerazioni da cui non si può prescindere per impostare una didattica in contesti plurilingui.

Questo tipo di didattica moderna fa riferimento ad alcuni modelli teorici. Modello dinamico di sviluppo
della sensibilità interculturale di Bennet del 93, di natura sociologica, comprende sei fasi dello sviluppo
della sensibilità interculturale raggruppate nelle due macrofasi etnocentrica e etnorelativa. Si passa dalla
fase della negazione, della difesa, della minimizzazione, dell’accettazione, dell’integramento. Sono
tassonomie forse troppo rigide. Modello multimodale di Byram del 97, maggiormente orientato
all’insegnamento, evidenzia cinque dimensioni culturali che possono connotare un buon parlante
multiculturale: attitudine, conoscenza, abilità di interpretare e mettere in relazione, abilità di scoprire e
interagire, consapevolezza culturale critico-valutativa. Modello di competenza comunicativa interculturale
di Balboni del 99, affronta l’interculturalità nella prospettiva della performance, delle abilità relazionali e
delle problematiche che possono presentarsi in una situazione comunicativa interculturale. Questo è un
modello molto impiegato, si adatta alla formazione del mediatore e dell’interprete perché insegna a
considerare la situazione interculturale dall’interno.
Per impostare un buon insegnamento bisogna partire dalla società, quindi porsi delle domande: quale
potenziale linguistico, culturale e quali relazioni di reciproco arricchimento possono dispiegarsi in società
plurilingui e pluriculturali? In che modo è possibile incentivare sia nei contesti didattici che al di fuori di essi
questi circoli virtuosi positivi? Questa didattica deve essere per compiti, ad abilità differenziate, in cui
nessuno è escluso. Tutti gli apprendenti devono essere messi nella condizione di poter a partire da ciò che
già sanno per poter trarne giovamento. La consapevolezza è senz’altro l’obiettivo da porsi come primario in
una didattica per classi plurilingue. Questa considerazione di Santipolo porta con sé una serie di ulteriori
considerazioni come il fatto che gli errori non devono essere puniti, si debbono fornire una serie di
indicazioni su come si potrà impiegare questa lingua… È una didattica tradizionale ma innovativa.

Il translanguaging è l’anello di congiunzione che unisce la didattica più tradizionale, considera le risorse
presenti nel repertorio di ciascun individuo degli elementi chiave attraverso cui gli apprendenti possono
gestire le molteplici relazioni discorsive selezionando le risorse che hanno a disposizione. Insegnare gli
apprendenti a considerarsi portatori di una ricchezza che si diversifica e che può divenire ancora più
diversificata e potente. Garcia dice che bisogna che il repertorio dei migranti sia utilizzato come punto di
partenza perché si costruiscano punti di partenza dei sistemi linguistici. Che si rendano queste persone
consapevoli e che questo apprendimento che noi indirizziamo solo alle lingue sia un apprendimento che
presentiamo come funzionale, propedeutico a qualsiasi altro apprendimento. Essendo per lo più adulti, ne
hanno bisogno in ambiti diversi.

Nel progetto Commit abbiamo individuato una serie di strumenti operativi, un toolkit, strumento di
supporto linguistico che invita a compiere una serie di operazioni mentali o fisiche:

- Tenere conto che il bagaglio di esperienze di cui l’immigrato si fa portatore è diversificato come i
livelli di alfabetizzazione, la condizione sociale, la familiarità con le lingue.

Quando parliamo di soggetti svantaggiati parliamo di due tipi di soggetti svantaggiati: quelli veri e propri,
che purtroppo spesso sono persone che arrivano dal corno d’Africa, che ci vengono documentati spesso nei
tg come sbarchi di massa e di fortuna e sono perlopiù persone che hanno un disperato bisogno di fuggire
dal proprio paese per guerra o povertà, spesso non hanno un alto livello di formazione, sono persone verso
cui spesso l’opinione pubblica europea e italiana non ha un occhio di riguardo, l’errore che fanno le società
è generalizzare, si ha un approccio molto più severo e molto meno aperto. Poi abbiamo gli immigrati come
gli ucraini oggi, bianchi, sono persone che spesso conoscono molte lingue rispetto alla propria, che hanno
buone esperienze di studio pregresse. Da parte del cittadino medio verso questa tipologia di immigrati c’è
un diverso atteggiamento.

- Consentire ai rifugiati di uno stesso background linguistico di aiutarsi a vicenda nella loro lingua
comune o di aiutarsi usando lingue veicolari in comune.
- Mostrare interesse per le lingue d’origine, cercando di stabilire delle connessioni con la L2 target.
- Considerare il fatto che all’interno dei repertori linguistici possono essere presenti lingue apprese
nei paesi di transito, nei lunghi percorsi verso l’Europa.
- Tracciare il profilo linguistico degli apprendenti per riconoscere il loro patrimonio e consentire sia a
docenti che a studenti una maggiore consapevolezza.
- Tenere conto che alcuni apprendenti provengono da contesti in cui non viene usato il codice scritto
per la comunicazione.
- Riconoscere nell’età un valore per la consapevolezza interlinguistica: i migranti anziani possono
avere competenze in più lingue ed essere predisposti al loro uso in contesti e con interlocutori
diversi perché hanno esperienze di vita più ampie.

Ammettere e tollerare il code-switching e code-mixing perché un modo di essere coinvolti. Se possibile


organizzare materiali che siano realmente capaci di incidere su un apprendimento. Ora vi sono molte
ricerche, svolti molti documenti in questa direzione. Manca il fatto che in Italia queste iniziative sono molto
dispersive. Non c’è un modello considerato comune da adottare. Malgrado esistano ottimi progetti non c’è
quasi mai la possibilità di raggiungere l’ultimo anello della catena, i ministeri preposti, che restano sempre
al di fuori.

L’intercomprensione può essere usata partendo da un input filmico conoscendo un po' le lingue più
importanti tra quelle presenti in classe. Dal punto di vista pratico bisogna impostare una sensibilità per fare
riflettere gli apprendenti sulle loro conoscenze linguistiche.

Materiali predisposti dal progetto Minerva e dal progetto EuRom. Attraverso queste domande è importante
che l’apprendente inizi a riflettere. Sono domande generiche per riscaldare la classe. Altre attività didattiche
che servono per sviluppare il confronto anche se gli apprendenti non conoscono nessuna di queste lingue.
Si erano fatte scelte importanti riguardo le consegne, che erano state tradotte e costruite in maniera più
trasparente possibile. Il lessico era stato sviluppato attraverso l’esposizione a parole fisse che ricorrevano
negli input, attraverso la richiesta dell’apprendente di ricercare le dizionario le parole non conosciute. Le
tecniche didattiche preferite sono quelle di tipo stimolativo per attivare il filtro affettivo e raramente di tipo
manipolativo. Il progetto EuRom è un progetto di intercomprensione ed è indirizzato a bambini. C’è lo
stesso testo messo a confronto in varie lingue. S invita lo studente a leggerli e confrontarli, soprattutto le
parole messe in evidenza e a riempire delle griglie per trovare corrispondenze. La scelta del latino è molto
forte, lo si è fatto per far vedere la comune origine delle lingue. Ha sempre usato il manuale pubblicato,
scritto, è deperito molto meno rispetto a quelli che usavano materiali online. È nato inizialmente con
quattro lingue romanze, poi si è aggiunto il rumeno, dall’idea di Blanche. Questo tipo di intercomprensione
si basa sullo scritto. Gli autori hanno selezionato una serie di articoli di giornale e testi scritti che spesso
usano parole panromanze o internazionali, quindi più comprensibili. Per ogni articolo c’è il titolo, c’è una
numerazione precisa che serve a identificare velocemente gli elementi.

21/04/2022

Vantaggi dell’implementazione di pratiche di translanguaging di cui l’intercomprensione è un caso


particolare, utile per apprendenti in età scolare o prescolare e con adulti. Le caratteristiche di questo tipo di
pubblico, le mosse didattiche finalizzate alla sensibilizzazione verso l’utilità della lingua e la cultura del
paese ospitante. Sotto l’etichetta di immigrati si cela un pubblico vario. Anche se questo pubblico ha in
comune il fatto che la lingua è lo strumento cardine per la definizione di una nuova identità nella società
ospitante. L’EU si è dotata di diversi modelli di integrazione, non condivisi tra tutte le nazioni e spesso le
buone pratiche si perdono. La proposta che fa la prof è di far mobilitare in questi soggetti le competenze
plurilingue che sono insiste nei loro repertori, invitarli a utilizzare anche due o più lingue, perché questo
permette di effettuare ipotesi simultanee per l’apprendimento delle lingue. Il concetto di translanguaging
sembra essere quello più pertinente per impostare l’apprendimento linguistico. Il termine translanguaging
è stato ufficializzato da Garcia, il primo riferimento storico lo dobbiamo a Williams che lo usò per le scuole
di lingua del Galles, dove si usa proporre un input in una lingua e il compito si realizza in un’altra lingua.
Garcia ha ampliato questo fenomeno per superare la connotazione mono glossica dell’alternanza di codice,
lo ha descritto come processo che ingloba multiple pratiche discorsive ed è un processo di norma nella
classe multilingue. Per quanto riguarda l’applicazione alla didattica, questo processo di trasmissione di
messaggi usando più codici è complessa ma che gli individui spontaneamente mettono in atto. Nella sua
accezione attuale il funzionamento translinguistico non è il riflesso di uno stato intermediario del codice
che viene impiegato tra la lingua di partenza e la lingua obiettivo, ma è la testimonianza di un’evoluzione
teorica in cui la gestione dell’evoluzione dei codici è vista come reti di connessioni. Questo passaggio da
una lingua all’altra non è sempre incoraggiato in ambito formativo. Quindi, non sarà facile falla apprezzare
da chi gestisce i corsi. È il concetto di translanguaging molto di moda, ma è un concetto declinato in varie
accezioni. Come Garcia lo intende, è una pratica didattica che alterna almeno due lingue e implica un
approccio didattico plurilingue, una riflessione sulle lingue e la loro valorizzazione (approccio costruttivo e
riflessivo), la costruzione di saperi basati su punti forza e sulle lingue presenti nei repertori del gruppo
classe. Si tratta di fare lingua partendo da questi repertori misti e assumendoli come punti di inizio per la
formazione e l’integrazione. La conseguenza è che una didattica inclusiva parta da questi repertori
pregressi, si fonda sulle competenze sbilanciate, ma funzionali alla valorizzazione della persona e ai suoi
bisogni concreti. Il concetto di translanguaging e il concetto di applicazione dell’intercomprensione portano
un altro concetto, incompletezza o parzialità delle competenze, che si collega al concetto meno moderno
(anni 70), interlingua. Sia l’incompletezza che l’interlingua hanno fatto riflettere i ricercatori sulla necessità
di adattare le loro attese alle competenze degli apprendenti, di proporre obiettivi realizzabili. Tutto questo
modello è un modello che si oppone al modello convenzionale dell’apprendente monoglotto che parla
come un nativo. Non si apprende tutta una lingua, neppure la lingua materna. Si deve scendere a patti con
il concetto di incompletezza e operare delle scelte, che devono essere funzionali a ciò che dovranno fare e
compiere con la lingua che stanno apprendendo. È stata una travisazione di molti metodologi perché il
QCER nella sua versione del 2001 descriveva le competenze in diversi livelli, si sono considerati come delle
unità complete di apprendimento. È stata letta la descrizione del QCER secondo delle visioni tradizionali
della didattica delle lingue. Quello che è importante è il concetto di metacognizione che significa il feedback
dell’individuo sui propri processi cognitivi, individuo che possiede una interlingua non una competenza
completa nella L2. La metacognizione deve fare leva sulle conoscenze linguistiche degli apprendenti e sulle
conoscenze del mondo. Questo assume molta rilevanza perché sappiamo che le società di oggi stanno
andando sempre più verso un uso mescolato di codici anche nella realtà della quotidianità. Le società sono
caratterizzate da un costante ricorso al code-switching e il code mixing. Le pratiche dell’intercomprensione
possono essere importanti per le prime fasi di apprendimento, anche per la long life learning. Sono pratiche
da utilizzare anche con apprendenti immigrati perché stimolano la capacità di riflettere anche in
apprendenti non abituati allo studio, questa riflessione, questa metacognizione viene perseguita tramite
l’intercomprensione non usando terminologia tecnica, non facendo effettuare sforzi eccessivi per
apprendenti non abituati a gestire il metalinguaggio, senza che si abbia una competenza specifica nella
gestione delle lingue per l’insegnamento. sono utili per sviluppare una competenza comunicativa
translinguistica perché l’intercomprensione si fonda sulla gestione della curiosità, l’interesse per più lingue.
Altro elemento positivo è che l’intercomprensione insiste sull’opportunità di esposizione degli apprendenti
ad input adeguati ma che costituiscono una sfida. Dunque, facili ma non troppo.

26/04/2022

Plurilinguismo, contatto, superdiversità: gli ambienti penitenziari sono connotati da plurilinguismo, contatti
forzati e situazioni di superdiversità. Il primo capitolo illustra gli obiettivi del progetto Deport, i percorsi
complementari, dove è stata svolta l’indagine e la tipologia di strumenti impiegata per la ricerca. Il secondo
capitolo introduce al concetto di superdiversità, parla di altre ricerche sul carcere e introduce la
metodologia del progetto Deport. Il capitolo tre è dedicato agli informanti e al corpus, si entra nel dettaglio
e sul contesto specifico. Il quarto capitolo è dedicato all’analisi dei dati risultanti dalla ricerca. C’è uno
specifico capitolo dedicato al detenuto arabofono, che aveva percentuali alte. Il quinto capitolo è dedicato
a descrivere la tipologia di comunicazione che si usa in carcere. Poi una descrizione del corpus più
dettagliata.

Progetto ITACAR  gli insegnanti del carcere non avevano alcuna formazione specifica per trattare i
detenuti e nello specifico quelli stranieri, perché venivano attinti dalle graduatorie delle scuole libere;
quindi, non necessariamente hanno preparazione specifica in questo ambito. Gli insegnanti di CPIA in
carcere svolgono corsi di alfabetizzazione. È stato proficuo perché per la prima volta si è toccato con mano
le problematiche del carcere. È difficile che le conoscenze specifiche escano dal carcere da parte di chi sta
dentro, ovvero le guardie.
Con i progetti successivi si è potuto creare dei corsi di formazione del personale penitenziario. Anche gli
operatori penitenziari non avevano idea di come trattare la popolazione straniera che iniziava ad essere
importante.

L’obiettivo finale di Deport era creare un portfolio linguistico professionale in cui si andasse a coprire un
vuoto formativo che si era rilevato nelle carceri in cui si erano condotte indagini precedenti, il fatto che
potevano accedere alle attività lavorative solo i carcerati italofoni. Lo straniero era escluso da queste
attività perché non conosceva la lingua italiana. Il progetto collegava l’ambiente dell’università, del carcere
e dell’impresa. Il secondo obiettivo era migliorare le condizioni di vita dei carcerati e il loro auspicabile
inserimento socio-lavorativo. Il terzo era l’acquisizione di competenze specifiche. Infine, la creazione di una
serie di strumenti didattici e programmatici che permettessero di acquisire competenze che permettessero
di conseguire il portfolio.

Si è cercato di mappare un po' tutto il territorio, i singoli istituti sono stati stabiliti dai provveditorati
regionali, in base alla situazione che si ha nei singoli istituti. Le tipologie di istituti coinvolti erano le case
circondariali, in cui ci sono detenuti in transito o con pene minori, istituti in cui scontare la pena totale,
colonie penali, destinate ad ospitare soggetti in cui le misure di sicurezza con sentenza definitiva e destinate
a persone che avessero delle sentenze non superiori ai 4 anni, in cui si concentrano più stranieri, perché
sono detenuti per reati minori e perché le colonie penali sarde sono difficilmente raggiungibili, per i parenti
che vogliono far visita è un grosso problema, lo straniero è più privo di legami familiari. Le donne, in
percentuale minore, sono in carcere per prostituzione e piccolo spaccio, gli altri sono furto e spaccio i due
reati più presenti per gli stranieri. I detenuti stranieri erano il 32% della popolazione reclusa. La situazione
varia da regione a regione, da istituto a istituto, nelle colonie penali è quasi al 100%.

Prima di somministrare i questionari si è fatta una prova, chiudendo il maggior numero di item, più le
domande sono aperte più è difficoltoso assemblare i dati per analizzarli. Però la domanda chiusa non dà
possibilità di risposte che già il ricercatore non ha previsto. Le domande aperte si possono rivolgere agli
informanti relativamente a una ricerca che ha un numero basso di informanti.

Si sono valutati i profili professionali più interessanti per queste persone e si è redatto dei sillabi specifici da
quelli settoriali e si è prodotto del materiale specifico che ha portato ai report e ai portfolio.

I questionari hanno evidenziato una tipologia specifica di persone presenti in carcere. Si sono svolte
interviste a detenuti non in grado di rispondere al questionario.

L’attività teatrale è considerata un’attività utile per l’emancipazione della persona. La maggior parte delle
attività teatrali servono più a perdere tempo che dare supporto al detenuto.

Prevalgono detenuti di sesso maschile. La fascia d’età maggiormente presente è tra i 18 e i 36 anni, che
dovrebbe essere in piena attività lavorativa.

In molti casi i detenuti sono arrivati in Italia attraverso altri paesi. Hanno avuto contatti linguistici con le
lingue parlate nei paesi di transito.

Le lingue apprese a scuola sono il francese seguito dall’inglese, sono le lingue più presenti nelle popolazioni
detenute in Italia. La maggior parte che segue i corsi organizzati dal carcere conosce una di queste due
lingue. Le lingue più parlate sono il rumeno, l’arabo e l’albanese. È interessante vedere le altre lingue
parlate in carcere. Il 75% dichiara di possedere nel proprio repertorio linguistico altre lingue o dialetti.
Prevalgono quelle africane ed è da osservare la presenza dichiarata di varietà geografiche italiane, presenti
nei repertori linguistici di queste persone per due motivi: anche se il carcere è un ambiente chiuso, il
detenuto è immerso in una realtà linguistica, si notano varietà centro-meridionali per la composizione degli
operatori penitenziari che sono perlopiù persone provenienti dal centro-sud Italia. C’è coscienza
dell’impiego di una lingua piuttosto che un’altra. Le lingue più usate per l’interazione sono l’italiano e altre
lingue, come l’arabo e l’inglese, il francese e il rumeno. Altro elemento interessante sul parlato in carcere è
che da parte degli operatori si era voluto rilevare il livello di formalità impiegato per le interazioni con i
detenuti. Quasi tutti sostenevano che i detenuti si rivolgevano con il voi e il lei. È una dichiarazione
mendace perché un detenuto che non conosce bene la lingua non è a conoscenza neanche di queste
convenzioni, se non in casi di imitazione essendo esposto al parlato della zona. Bisogna capire che molte
risposte non sono reali.

Per quanto riguarda le risposte fornite dagli operatori, è necessario che molti detenuti avessero conoscenze
di base delle consuetudini culturali italiane e di come è la religione italiana all’interno di cui si trovano le
carceri. Anche all’immigrato del mondo libero si dovrebbero dare queste informazioni. Spesso si è rilevato
atteggiamenti legati agli stereotipi sulle culture di appartenenza dei detenuti.

Le letture dei detenuti sono scarse e perlopiù relative allo sport. Alcuni di loro ricorrono alla lettura dei
volumi presenti nelle biblioteche di carcere.

27/04/2022

Ci sono detenuti più semplici da gestire rispetto ad altri. Tra i detenuti stranieri la cui gestione risulta più
agevole sono stati indicati quelli provenienti da Nigeria, Senegal, Cina. Gli altri, soprattutto europei dell’est
e sudamericani sono considerati più irrequieti. I tratti caratteristici che si ritiene rendano i detenuti stranieri
più agevolmente gestibili sono stati indicati in: la fascia di età adulta tra i 30 e i 60 anni; la migliore
comprensione della lingua italiana; la maggiore fruizione dei colloqui visivi e telefonici con i familiari. È
ovvio che se condividono lo stesso codice linguistico degli agenti penitenziari possono capire ed essere
capiti meglio.

Caratteristiche che li rendono più difficilmente gestibili: provenienti da Marocco, Tunisia, Albania, Romania
e Algeria; tratti caratteristici associabili con più frequenza ai detenuti stranieri più difficilmente gestibili
sono: appartengono alla fascia d’età tra i 18 e i 30 anni; mettono in atto comportamenti autolesionistici;
non conoscono le regole penitenziarie italiane. Non emerge la conoscenza della lingua italiana, ma lo si può
carpire, se non capiscono le regole vuol dire che non sono in grado di leggere o comprendere.

Secondo gli operatori penitenziari le difficoltà dei detenuti stranieri hanno relazione con: sovraffollamento;
scarsa comunicazione con operatori penitenziari; ridotta possibilità di mantenere contatti visivi e telefonici
con familiari; assenza di una rete di supporto sociale e familiare all’esterno del carcere. Gli operatori
segnalano alcune soluzioni: rimpatrio immediato; favorire l’inserimento lavorativo intramurario; ridurre gli
ingressi degli stranieri in Italia; favorire una maggiore presenza di mediatori culturali all’interno degli
istituito penitenziari; impedire l’acquisto e l’uso di bevande alcoliche.

Lingue maggiormente presenti come L1: arabo 38%, rumeno 12%m inglese e francese 10%, albanese 8%. Il
20% dei detenuti afferma di possedere competenze in più di una lingua oltre a quella materna. La presenza
dell’italiano, 5%, dichiarato come lingua d’origine. D8 (presenza nel repertorio linguistico di altre lingue o
dialetti) 75% degli informanti ha risposto positivamente- fra le lingue dichiarate prevalgono le lingue
africane e infatti il 56% dei detenuti stranieri proviene dall’Africa. Presenza dei dialetti italiani o di varietà
regionali di: Veneto 32%, Campania 30%, Sicilia 29,4%.

Possiamo confermare che il carcere è un ambiente superdiverso, significa un superamento del vecchio
concetto delle lingue a contatto, perché non sono in contatto solo queste lingue ma sono utilizzate in
situazioni e in ambienti diversi, ma anche in copresenza. Il carcere è connotato di code-mixing e code-
switching.
Le interazioni in carcere sono sia simmetriche che asimmetriche, simmetriche quando si tratta di
comunicazioni fra detenuti, asimmetriche quando si tratta di comunicazioni con agenti penitenziari.
Abbiamo situazioni comunicative con diversi gradi di formalità, diversi ruoli rivestiti dagli interlocutori,
diverse tipologie di relazione tra i partecipanti alle conversazioni. Le interazioni possono essere lette in base
alla teoria della socializzazione linguistica, cioè in base al fatto che queste interazioni sono una prima forma
di scuola per apprendere l’italiano. Il carcere è una comunità di pratica, come se fosse un’intera classe.
Rhazzali è il massimo esperto delle problematiche dei detenuti arabofoni.

Le risorse linguistiche a cui ricorrono i detenuti sono risorse complesse, tipiche di una comunità di pratica,
che accentua le caratteristiche presenti tra migranti all’esterno.

Strategie usate dagli operatori in caso di mancata comprensione da parte del detenuto straniero: 39%
strategia della riformulazione della frase con parole più semplici, 22% ricorso alla mediazione di un
connazionale del detenuto, 16% ripetizione della frase accompagnandosi con gesti, 12% ricorso a una lingua
straniera conosciuta, 4% dichiara di utilizzare solo gesti, 2% chiede aiuto ad un collega, 2% ricorre all’uso di
oggetti o immagini.

La domanda 19 indagava sulla conoscenza della cultura di provenienza da parte degli operatori per
verificare a cosa potesse servire loro. Quasi tutti dichiarano che conoscere un po' della cultura dei detenuti
servirebbe per agevolare il loro lavoro. Per la risposta affermativa abbiamo che agevola la comunicazione e
la reciproca comprensione culturale e sociale; agevola l’interazione; aiuta ad interpretare i comportamenti
e le abitudini dei detenuti; aiuta ad approfondire la conoscenza della persona. Gli aspetti culturali che gli
operatori riterrebbero utili conoscere sono: abitudini e consuetudini culturali, tradizioni, religione, lingua,
storia, cibo, attualità, politica, arte.

Per le domande svolte ai docenti, abbiamo quella delle difficoltà che si incontrano con questo tipo d
pubblico. Le risposte sono sovrapponibili con quelle che hanno auto dichiarato i detenuti nell’apprendere
l’italiano e seguire il corso. La maggior parte delle difficoltà deriva dalla mancanza di concentrazione.
Difficoltà legate alla grammatica, alla fonetica, alla capacità di memorizzare, alle abitudini scolastiche
pregresse, alla mancanza di motivazione, a motivi culturali, a motivi pragmatici. La componente pragmatica
è molto sviluppata perché per sopravvivere in carcere non conoscendo la lingua si fa ricorso alle
conoscenze pregresse e di come si gestiscono determinate problematiche.

Riguardo all’auto-percezione della conoscenza di italiano, il 49% dichiara di possedere una competenza di
livello discreto o più che sufficiente, il 26% e il 5% considerano rispettivamente di avere una competenza
linguistica ridotta o di non averne alcuna, il 15% dichiara di conoscerlo molto.

Tra i bisogni comunicativi abbiamo il saper parlare, saper scrivere, saper comprendere, tutte le abilità
insieme, saper leggere. Molti non sanno cosa sia un bisogno comunicativo, quindi non rispondono alla
domanda.

La domandina è il testo più burocratico e formale che si possa avere, con cui avrebbero difficoltà anche gli
italofoni. I giudizi sono stati raccolti sulla base di contenuto, cioè idee espresse; forma, organizzazione del
contenuto; grammatica, impiego delle forme e delle strutture grammaticali; uso delle convenzioni grafiche.

La domandina è un testo breve, si è valutato il livello pragmatico e l’impiego di formule presenti in carcere,
spesso formule complesse che il detenuto non conosce ma usa come blocco. C’è sempre l’obbligo di essere
gentili nella richiesta.

Su un totale di 109 produzioni analizzate: in 1 caso non vi è assoluto passaggio di comunicazione, né


impiego di formule; in 92 casi la forza pragmatica permette una piena comprensione del messaggio; in 8
casi la comprensione è possibile soltanto inferendo dal contesto e dallo scopo funzionale, dunque
completando le informazioni con la conoscenza della tipologia di scritto e con la consapevolezza delle
richieste più frequenti in tale ambito; in 10 casi il livello pragmatico è insufficiente per comprendere la
richiesta.

Dal punto di vista del ricorso a formule di ringraziamento e rispetto in quattro casi sono utilizzate
correttamente mentre il livello pragmatico è insufficiente. Ci sono due macro-tipologie di domandine
rispetto all’uso di formule di ringraziamento: quelle che usano formule semplici come “grazie”, quelle in cui
il detenuto ricorre a espressioni più complesse, ritualizzate. Si può osservare che l’impiego di formule
ritualizzate proprie dell’ambiente spesso è superiore alla capacità di farsi capire come in questi casi, l’ultimo
dei quali sembrerebbe dettato da un parlante competente se non fosse che manca una specificazione
dell’oggetto richiesto.

Si veda anche l’uso di abbreviazioni nell’ambito delle formule utilizzate, sicuramente attribuibile ad un
livello più elevato di competenza in italiano rispetto ad altre produzioni. Le abbreviazioni e le sigle sono di
livello più difficile quando si impara una lingua.

Errori più comuni: parti variabili, elementi che vanno dall’avverbio all’aggettivo; ortografia; morfologia
verbale; lessico, uso scorretto e appropriato della parola; morfologia nominale; pronomi; sintassi, la
domandina richiede poca sintassi.

Gli errori presenti con maggior frequenza, indipendentemente dalla L1 del detenuto e senza
raggruppamenti presenti nel corpus di DEPORT sono: ortografia, doppie, preposizioni, desinenze,
parole/lessico. Seguiti da un altro nucleo di fenomeni che si attestano su numeri meno consistenti ma
ugualmente significativi: sintassi, consonanti, coniugazione dei verbi…

Si è analizzato anche scritti prodotti in maniera libera, come diari o giornalini. I dati sono più o meno in linea
con quelli raccolti dalle domandine.

Per quanto riguarda le interviste, è emerso come gli errori più diffusi siano gli errori di sintassi seguiti da:
accordi morfologici di numero, preposizioni e appropriatezza lessicale, accordi morfologici di genere, errori
di pronuncia… È quindi possibile affermare che nel parlato dei detenuti sono presenti errori che riguardano
tutti gli aspetti della competenza comunicativa: dagli aspetti lessicali, agli aspetti fonetici/fonologici, agli
aspetti pragmatici. La produzione più libera è una produzione in cui il parlante straniero non ha possibilità
di monitorarsi e correggersi, quindi si registrano più errori. Inoltre, il detenuto è abituato a confrontarsi con
testi scritti e a scrivere, nel parlato ha più problemi.

Ulteriori dati sono quelli relativi alla sezione che riguarda il lavoro e la lingua italiana per il lavoro. tra le
attività più frequenti in carcere troviamo: il piantone, il porta vitto, l’addetto ai rifiuti, l’addetto alla cucina,
l’addetto alla lavanderia, occupazioni che spesso gli stessi italiani rifiutano, perché sono le più umili e le più
faticose.

Abbiamo incrociato la tipologia di attività intramurarie con le attività che hanno dichiarato di aver svolto nel
loro paese di origine, non sono quelle che svolgono in carcere, abbiamo: agricoltura, commercio, edilizia,
ristorazione, trasporti, giardinaggio.

Per quanto riguarda l’idea che il detenuto ha della sufficiente o carente competenza linguistica per svolgere
le attività lavorative, in genere ha un’idea chiara delle proprie difficoltà comunicative. Soprattutto si mette
in evidenza l’importanza del corretto riconoscimento di lessico indispensabile per svolgere correttamente le
attività in alcuni mestieri e della pericolosità del malinteso. Spesso la non conoscenza della lingua può
essere pericolosa.

L’ultima tipologia di intervista è quella rivolta alle aziende rispetto alle difficoltà che secondo loro avevano i
detenuti stranieri che svolgevano attività lavorative presso la loro azienda. C’è scarsa permanenza,
discontinuità. Si profila la possibilità di comprendere e instaurare un rapporto con i detenuti stranieri,
soprattutto quelli ai quali ci si sente vicini per una percepita vicinanza culturale.

In alcuni casi la difficoltà o la facilità nella comunicazione viene attribuita a specifiche etnie, al fattore d’età.

Si cerca sempre di dare un’immagine migliore di quella che è. Sono dichiarazioni buoniste.

Quello che ci interessa è la dimensione psicologica, l’autovalutazione da parte del parlante, quello che è
emerso è che quasi tutti i detenuti hanno un’idea molto positiva della loro conoscenza dell’italiano, anche
perché usano non solo la lingua italiana e riescono a comunicare. Questo gioca a favore di un
miglioramento delle competenze stesse e per un proficua presenza ai corsi di italiano.

La ricerca è stata condotta su un campione di 557 individui, 72 con almeno un genitore di nazionalità
italiana con 37 lingue presenti. Di questi questionari 162 sono stati incrociati con i test di entrata. Gli aspetti
che creano maggiori problemi sono la morfologia verbali e le parti invariabili. Colpisce che non abbiano una
coscienza, hanno giudizi vaghi. Nel dettaglio, abbiamo grammatica, preposizioni, uso del congiuntivo.
Riguardo alla produzione orale abbiamo poche idee concrete e lo scritto ritenuto più difficoltoso, valore
opposto di ciò che emerge dalle indagini con i detenuti, a dimostrazione che le condizioni contano.

Alla domanda per te sono importanti le presentazioni di grammatica italiana, abbiamo che sono simili nella
mia lingua, che sono diverse nella mia lingua, che sbaglio spesso. È importante il valore alto che sono
diverse nella mia lingua che dimostra una persistente tradizione scolastica dei nostri apprendenti ad
evidenziare le differenze non le similitudini, una tradizione di analisi contrastiva. Che sbaglio spesso
significa avere coscienza dei propri errori.

Pensi che la maggior parte dei tuoi errori sia dovuta a: problemi di tipo contrastivo, conferma quanto
abbiamo trovato prima, alle diversità e non alle similitudini. Poche ore di studio, coscienza interessante del
valore della durata del corso, queste persone che arrivano al centro linguistico hanno seguito corsi di
italiano ma con poche ore a disposizione.

Pensi che per te sia facile studiare l’italiano? Si al 51%. Perché? Abbiamo dichiarata vicinanza linguistica
spesso. No, sono soprattutto i giapponesi.

Nel dettaglio, abbiamo è simile alla mia lingua, ho studiato un’altra lingua romanza, ho ascendenza italiana,
a dimostrazione del fatto che ormai pur avendo nel corpus persone di origine italiana l’influenza
dell’immigrazione italiana è ridottissima.

Gli errori che secondo gli intervistati sono più frequenti quando parlano sono relativi alla morfologia
verbale, lessico e parti invariabili. Quando scrivono, l’ortografia è al primo posto. Gli errori che ritengono
più importanti sono la morfologia verbale, parti variabili e invariabili. Molti non rispondono, non hanno
coscienza della propria abilità di gestire l’italiano.

Nelle produzioni scritte gli errori più numerosi sono quelli ortografici, derivanti dalla somma di tre voci,
ortografia, uso delle consonanti doppie e accenti grafici.

Altra tipologia di errore è quella relativa alla competenza comunicativa e al contesto. Gli errori possono
essere culturali e pragmatici. Ci sono errori didattici se il programma, l’insegante insistono su un tipo di
esercizi, è chiaro che per quegli esercizi saranno più preparati rispetto ad altri. Spesso le credenze di molti
inseganti sono ancorate sul dare importanza agli errori morfosintattici, non a quelli culturali e pragmatici,
che riguardano la non conoscenza delle situazioni comunicative neppure nella lingua materna. Per quanto
riguarda gli errori interculturali sono dovuti ad una non conoscenza degli oggetti del mondo ed esperienza
limitata delle relazioni tra loro esistenti, ignoranza della situazione comunicativa e affidamento alla forma
formale. Gli errori socioculturali infrangono le convenzioni del gruppo sociale- chiedere l’età ad una donna,
chiedere quanto guadagna ad una persona che non si conosce bene…

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