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AA 2020-21
Abbreviazioni (mie) usate nel testo:
Ins = Insegnante
App = Apprendente
AppIA= Apprendente immigrato adulto
EC = evento comunicativo
IC=interculturale
IIGM= II guerra mondiale
pdv = punto di vista
InC= Intercomprensione
InCE = Intercomprensione educativa
IL2 = Italiano come L2
ILS= Italiano come Lingua Straniera
SL = sociolinguistica
Fase 1 - Approcci e metodi
È importante affrontare questo argomento relativamente alla glottodidattica perché si ritiene che l'insegnante in
relazione alla cultura debba trasmettere non solo la cultura stessa ma anche la costruzione degli schemi culturali: perché
viviamo in un'epoca in cui le culture entrano in continuo contatto fra loro, per questo bisogna conoscere i meccanismi di
costruzione degli schemi culturali per mettersi in relazione con gli altri. Dal pdv metodologico bisogna chiedersi come
trasformare queste riflessioni in strategie da sottoporre all'apprendente.
Dalla metà degli anni '60 si inizia a parlare di civiltà per quanto riguarda l'insegnamento delle lingue straniere in Italia,
ma queste trasmissioni di contenuti rigidi, chiusi, legati ad una concezione statica vengono messi in crisi negli anni '80
dalla circolazione di contenuti francesi (es. Béacco, Zarate) che iniziano un'opera di sensibilizzazione riguardo alle
problematiche legate agli aspetti culturali.
1982: Freddi comincia a riferirsi al relativismo culturale e alla competenza culturale per la prima volta. Non dobbiamo
più cedere al relativismo culturale, ma dobbiamo piuttosto sviluppare una competenza culturale. È necessario introdurre
i contenuti culturali per temi, che devono essere secondo lo studioso, introdotti separatamente rispetto alla riflessione
linguistica e dedicati agli apprendenti con competenze linguistiche già avanzate.
Balboni ed altri riflettono in seguito sulla necessità di considerare l'esistenza di più culture all'interno della cultura
italiana. Questo perché dobbiamo ricollegarci all'idea che negli anni '80 si elaborano programmi e curricoli in base alla
motivazione per studiare l'italiano e la relativa formazione degli insegnanti. È fondamentale quindi che lo studio della
cultura inizi a far parte in modo strutturale di ogni livello di insegnamento e apprendimento: non può essere limitato a
nozioni folkloristiche o storico/georgrafiche, anche perché viviamo in un'epoca in cui l'identità culturale degli individui
è molto più fluida.
Ognuno di noi definisce la propria identità in base a vari elementi: orientamento sessuale, appartenenza geografica...
pertanto è fondamentale riflettere sul concetto che “intercultura” implica uno scambio tra soggetti culturali diversi,
creando dei ponti tra identità diverse ed in continua ridefinizione.
Come affermano Balboni e Caon, è fondamentale affiancare ad una dimensione conoscitiva una dimensione processuale
e sviluppare abilità relazionali. Possiamo osservare un passaggio da approccio degli anni '70 basato sul concetto di
civiltà (temi generali definiti a priori, apprendimento di livello avanzato, uso di documenti autentici, temi generali
esaltanti le qualità o i difetti di una data civiltà, che possono quindi rafforzare degli stereotipi nell'apprendente,
attitudine passiva e ricettiva e sfociante nella formazione di giudizi di valore) a quello degli anni '80-'90 → approccio
ciclico: insegnamento della cultura presente fin dai livelli più bassi, e per ogni livello si aggiungono sempre maggiori
dettagli, il materiale è legato ai bisogni linguistici e comunicativi, i materiali legati all'apprendimento linguistico e
culturale coincidono, la sensibilizzazione è l'obiettivo principale, legata alla possibilità di osservare comportamenti
specifici per identificare e rimuovere stereotipi. L'apprendente deve assumere attitudine attiva e sospendere il giudizio. I
temi classici vengono comunque introdotti, ma in funzione della comunicazione.
La valutazione dei modelli culturali può avvenire soprattutto attraverso il prisma dell'opera di Balboni. I contributi del
1999, 2006 e 2007 mettono in evidenza una ridefinizione del modello culturale rielaborato in ambito italiano e una
analisi/rielaborazione del modello del software of mind elaborato da Hofstede all'inizio degli anni '90. La cultura
diventa una componente della componenza comunicativa (assieme alla competenza linguistica) la quale permette
all'apprendente di decodificare gli impliciti dei nativi e riflettere sulla necessità di produrre atti linguistici adeguati ai
contesti situazionali.
Secondo Balboni i problemi interculturali, concetto che affronta nella sua opera “Parole comuni, culture diverse”
(1999) nascono da modelli interculturali in conflitto di cui siamo sia consapevoli che inconsapevoli. Nel primo caso
possiamo avere es. i ruoli di genere, mentre nel secondo caso es. concetto di spazio, tempo, moduli comunicativi non
verbali (prossemica).. di cui siamo meno consapevoli. Balboni riprende il concetto del software of mind → file di
sistema cui ciascuno di noi ricorre nel contesto comunicativo. Nelle situazioni di interazione accediamo a questi file
mentali che controllano es.lutilizzo del registro, il tono di voce, la scelta del lessico, ad alcuni aspetti però riusciamo ad
accedere meno facilmente.
Per approcciarci al concetto di intercultura è fondamentale considerare che al giorno d'oggi nessuna cultura è una
monade chiusa in sé stessa: tutte le culture e ciascun individuo entrano in relazione con individui e culture diverse.
Inoltre, ciascuno di noi ha al proprio interno un'identità composta di altre sottoidentità a seconda dei vari elementi che
possiamo considerare → sfaccettature identitarie che compongono le culture plurime cui gli individui appartengono.
Porsi in una prospettiva interculturale ci permette di mettere in discussione i nostri modelli culturali e comprendere
quelli altrui.
Esiste un modo corretto per comunicare con gli altri?, si chiedono Balboni e Caon nel 2015. Si è risposto a questa
domanda attraverso lo sviluppo di modelli di competenza comunicativa interculturale. Questa competenza sfugge alle
diefinizioni e non può essere insegnata come tale: può però essere osservata, tenendo in considerazione linguaggi
verbali e non verbali, ad esempio il cinema può offrire ottimo materiale per analizzare questi aspetti.
Cosa sono i linguaggi non verbali? Sono linguaggi che utilizzano la cinesica (modo in cui ci muoviamo), la prossemica,
la vestemica, la cronemica. Ad oggi non esistono grammatiche della cultura, e per questo è importante imparare ad
osservare in un movimento multidirezionale e dinamico, né appiattendosi sull'assimilazione, né su una posizione
ipercritica nei confronti della propria cultura (portando all'estremo il concetto di relativismo culturale).
Due dei modelli più importanti di competenza comunicativa interculturale sono stati sviluppati da Bennet nel 1993 e da
Balboni nel 1999, partendo dal presupposto che non si può insegnare la competenza comunicativa interculturale ma
osservarla e sensibilizzare gli apprendenti al suo utilizzo.
• Modello dinamico di sensibilità interculturale (Bennet): è necessario sottolineare che questo modello è
finalizzato allo sviluppo di una convivenza pacifica fra le diverse identità che convivono nell'ambito di società
multiculturali. Fa riferimento a due macro-fasi fondamentali: fase etnocentrica e fase etnorelativa. La prima
racchiude le fasi di negazione-difesa-minimizzazione, la seconda quelle di accettazione-adattamento-
integrazione. Se ci ritroviamo nella prima fase mettiamo la nostra cultura al centro della nostra esperienza e
usiamo i parametri della nostra cultura per giudicare tutte le situazioni; quando sperimentiamo il contatto con
la differenza invece facciamo i primi passi verso la fase etnorelativa, fase in cui ci si sente a propro agio con
abitudini e standard diversi, adattando giudizi e comportamento secondo la situazione (secondo la definizione
di Castiglioni del 2005).
◦ Negazione: non ho bisogno di conoscere le altre culture in quanto esse non apportano niente di utile
all'arricchimento della mia cultura. Può avvenire perché si vive in un gruppo isolato ed omogeneo in modo
involontario o volontario (creazione di barriere fisiche e sociali, es. nazionalismi e regionalismi che
pretendono di orientare la propria comunità al rifiuto del contatto con culture diverse). È molto difficile
uscire da questa fase perché in questa fase viene precluso il contatto con l'alterità.
◦ Difesa: in questa fase esistono molti sottomodelli, ma tutto nasce sempre dalla paura che si manifesta
nell'attribuire superiorità alla propria cultura e utilizzando stereotipi dispregiativi verso le altre culture.
Denigrazione → uso di stereotipi dispregiativi che rimarcano le differeze tra due culture e il modo di
interpretarle, che etichettano gruppi facendo leva su motivazioni apparentemente razionali; difesa al
contrario → atteggiamento che sembra così attento alle culture discriminate da portare alla denigrazione
della propria cultura ma anche questo non è funzionale al contatto interculturale perché rappresenta
comunque una visione polarizzata della complessità.
◦ Minimizzazione: in questa fase si usa un approccio assimilativo e si sceglie di ignorare l'alterità. I modelli
altri non vengono valorizzati. Come afferma Bennet, il fatto che ci accorgiamo che noi e gli altri siamo
portatori di culture diverse (che hanno un impatto sul modo in cui vediamo la realtà) è comunque una
svolta ed un passaggio da un pdv etnocentrico a quello relativo. Nell'ambito di questa fase abbiamo la
capacità dei protagonisti di sospendere il giudizio. Sappiamo che l'altro non appartiene alla nostra cultura,
per cui ci diamo l'opportunità di pensare a come agire per garantire il successo di comunicazione.
◦ Accettazione: fase che potrebbe essere considerata come una fase in cui vengono valorizzati gli elementi
di diversità dei protagonisti degli eventi comunicativi. Concetto di giusta distanza → nell'ambito di questa
fase il nostro atteggiamento è quello di limitarci ad apprezzare le differenze senza giudicarle. Possiamo
cominicare a sentirci creatori di valori e non solo veicoli di valori, ruolo molto più attivo.
◦ Adattamento: siamo in grado di creare uno spazio virtuale fra noi e gli altri, in cui le culture si possono
incontrare. Spazio che consiste nella creazione di una terza dimensione, perché fa uso dell'empatia oltre la
comodità delle similitudini per sviluppare la nostra capacità di metterci nei panni degli altri, ci muoviamo
fluidamente tra il modello culturale nostro e quello altrui, siamo capaci di cambiare prospettiva.
• Modello di Balboni: si basa sul modello di interazione di Heims, dando per assodato che nella nostra mente
esistano tre nuclei di competenza comunicativa → competenze linguistiche, competenze extra-linguistiche e
competenze contestuali (socio-linguistiche, para-linguistiche, interculturali). Queste competenze vengono
applicate per creare testi (orali o scritti) che contribuiscono a creare eventi comunicativi, regolati da
convenzioni sociali, culturali e pragmatiche. È fondamentale che gli interlocutori tengano in considerazione le
convenzioni degli altri partecipanti all'evento comunicativo riguardanti gli aspetti appena menzionati e valutino
la propria partecipazione all'evento comunicativo in questa luce.
In che modo possiamo allenare la comunicazione interculturale? Possiamo, secondo il modello di Balboni, identificare
dei nodi intorno ai quali è possibile riflettere ed eventualmente modificare il nostro comportamento comunicativo, sia
nel linguaggio che nel modo di agire: il primo riguarda la formalità/informalità, in secondo luogo la
politeness/impoliteness (buone maniere, adeguatezza alla situazione); poi abbiamo la forza mascherata o implicita
(messaggio troppo assertivo, personalità troppo forte); il politicamente corretto/scorretto, che riguarda aspetti come
etnicità, parità uomo/donna, orientamento sessuale; elementi che sono oggetto di uso libero/tabù (malattia e morte,
secrezioni); atteggiamento cooperativo/arroccato; associazione cattivo o brutto (a cosa associamo il bene o il male).
Anche per Balboni la comunicazione interculturale prevede un atteggiamento di apertura agli altri modelli culturali,
abbattendo pregiudizi e stereotipi e rispettando le differenze, con la consapevolezza che si possano trovare elementi più
adatti al nostro stile di vita in altre culture. Secondo il modello di Balboni e Caon i problemi che caratterizzano gli
eventi comunicativi interculturali (d’ora in poi, abbreviato in IC) possono essere raggruppati in due macrocategorie
legate 1) alla lingua, ai gesti e al corpo; 2) a valori culturali che si scontrano. Ci sono contesti in cui questi probemi
possono rivelarsi più gravi, in quanto determinano la buona convinvenza tra persone: si pensi alla situazione
comunicativa dell'ufficio postale. La mancanza della conoscenza delle relative regole implicite può determinare
un'incomprensione e quindi una forma di sanzione sociale da parte dei partecipanti all'evento culturale (d’ora in poi,
abbreviato in EC) che invece sono a conoscenza di quelle stesse regole (es. numerino per fare la coda). Se la pesona che
viola la regola appartiene ad un'altra cultura si possono avere strumentalizzazioni basate sul malinteso interculturale.
La capacità di un docente di sensibilizzare gli studenti sulla possibilità che esistano più culture e valori di riferimento è
fondamentale. Le azioni di sensibilizzazione permettono la messa in atto delle strategie di mediazione che permettono
di creare siutazioni non conflittuali. Le competenze di mediazione sono così strategiche che sono state inserite nel
Companion volume, pubblicato nel 2018 in supplemento al QCER che valorizza maggiormente le competenze IC.
0.6-0.7 Intercomprensione
Il termine intercomprensione (d’ora in poi InC) designa una situazione comunicativa in cui gli interlocutori si
esprimono in lugne diverse pur comprendendosi, sia scritto/orale, che sincrono/asincrono, sia in presenza che a
distanza; allo stesso tempo designa anche un approccio didattico che permetta questo tipo di comunicazione.
La rappresentazione della comunicazione linguistica diretta è basata sulla condivisione di un codice da parte dei
parlanti, che producono e comprendono enunciati nella stessa lingua. Se non si condivide la stessa lingua possono
nascere situazioni comunicative completamente diverse da quella prototipica: possono nascere nuove lingue (es. creole),
si può avere ibridazione (es. pidginizzazione), ricorso ad una lingua veicolare (es. lingua franca, lingua che si usa in
molti contesti d'uso, molto semplificata, es. l'inglese nella nostra società). La condivisione parziale o frammentaria di
questo codice, soprattutto nello sviluppo delle attivitàricettive, può dare origine anche a una forma di comunicazione
plurilingue, in cui si ricorre a due codici distinti. Chi partecipa all'EC capisce la lingua degli altri e si esprime in una
lingua diversa, che si aspetta possa essere compresa anche dagli interlocutori.
Gli studi sull'intercomprensione sono partiti proprio dall'osservazione di questa pratica comunicativa, usata
spontaneamente sia nel passato che nel presente. Ad esempio, Eco nel Nome della Rosa descrive la comunicazione nei
conventi medioevali che avveniva mischiando il latino, lingue germaniche, romanze etc. mentre Claire Blanche
Bienveniste, fondatrice dell'approccio intercomprensivo, nel 1997 descrive il processo di InC tra i navigatori e i
commercianti del mediterraneo basandosi sulle memorie di C. Colombo.
È quindi possibile citare l'InC come pratica che può essere messa in atto tra parlanti che usano lingue appartenenti alla
stessa famiglia senza ricorrere ad una lingua franca. La comunicazione e l'InC ricorrono alle stesse strategie cognitive
usate da parlanti che condividono lo stesso codice. Questo avviene in virtù dei tratti in comune delle lingue (a tutti i
livelli), sia delle competenze variabili degli individui.
Secondo Simone, l'InC si basa sul riconoscimento di attese e di un sistema di regolarità che presuppongono una
predisposzione mentale alla ricostruzione linguistica, una specie di grammatica comparata ricostruita in maniera
induttiva. A parte l'osservazione del fenomeno di InC nella comunicazione spontanea, sono stati predisposti
sperimentazioni che hanno permesso identificazione di modelli opeartivi e metodologie didattiche.
Dobbiamo inserire l'InC tra quegli approcci che hanno il merito di operare sia in direzione del plurilinguismo
dell'individuo sia in chiave di ecologia linguistica in favore della preservazione del plurilinguismo.
Nell'ambito intercomprensivo ci sono molte metodologie., strumenti e risorse che privilegiano la ricezione dello scritto
che hanno come target le lingue romanze, ma ci sono anche altre metodologie che privilegiano altre abilità linguistiche
o altre famiglie linguistiche.,
I principi che costituiscono il mcd della didattica dell'InC sono l'approccio plurilingue, il ricorso alle competenze
parziali, l'attenzione alla comprensione, la riflessione sulla lingua, sviluppo di conoscenze strategiche e metacognitive.
L'InC può essere sviluppata in più lingue nel contesto di un unico programma di insegnamento e per questo si inserisce
nel quadro degli approcci all'insegnamento plurali, definiti dal CARAP come “approcci didattici che mettono in atto
metodi che coinvolgono allo stesso tempo più varietà linguistiche e culturali”.
Tali approcci culturali sono:
– L'InC
– La sensibilizzazione alle lingue
– Approccio interculturale
– Didattica integrata delle lingue, che sfrutta ciò che si è imparato in L2 per studiare una L3.
Questi quattro filoni hanno direzioni che vengono esplicitate e applicate anche all'interno della sola InC. La InC rafforza
la inclinazione al plurilinguismo presente in tutti i documenti europei, mettendo in discussione le concezioni tradizionali
riguardanti l'apprendimento linguistico, a compartimenti stagni, perché riflettono e inisitono sull'importanza di
valorizzare l'affinità trale lingue e la trasversalità delle lingue. Infatti l'insegnamento simultaneo i più lingue permette di
moltiplicare le occasioni di confronto tra i vari sistemi linguistico-culturali e, sfruttando il principio del transfer
positivo, valorizza l'uso della L1.
I vantaggi del valorizzare la lingua madre dell'apprendente nel corso del processo di apprendimento sono rappresentati
dal fatto che l'uso della lingua madre rassicura l'apprendente, facilitando l'accesso alle altre lingue e permettendo di
riflettere in senso metalinguistico sulla stessa lingua madre attraverso l'apprendimento delle altre lingue.
Un altro principio fondativo dell'InC è quello di competenze parziali: essa si basa sulla possibilità di isolare le diverse
abilità linguistiche (es. comprensione orale VS produzione orale VS comprensione scritta VS produzione scritta), es. un
parlante italofono che andrà in Spagna avrà generalmente una buona competenza ricettiva dello spagnolo. Questo mette
in crisi l'idea del monolinguismo. Non sempre dobbiamo avere competenze complete di una lingua, es. studente che
deve studiare su fonti in lingue diverse. Questa competenza può essere raggiunta in tempo molto breve se ci si
concentra sulle abilità ricettive.
Un altro principio chiave dell'InC è quello di valorizzare l'abilità della comprensione. Ci sono molti lavori scaturiti dalla
ricerca che hanno permesso di identificare e classifciare le strategie sia cognitive che metacognitive che permettono
l'accesso al testo: va sottolineata l'importnaza delle tecniche di lettura e ascolto incentrando l'attenzione non solo sul
prodotto ma anche sul processo → quali strategie sono state messe in atto dal parlante? L'importante è che si sviluppino
le riflessioni dell'apprendente sulle strategie messe in atto, aumentando la consapevolezza del modo in cui ci si deve
esprimere, del funzionamento delle lingue, delle tipologie testuali.
Adesso delineiamo quali contributi ha offerto l'Italia alla definizione di InC come metodo didattico. A partire dagli anni
'70 la corrente di EL italiana ha creato un terreno favorevole per InC; si è sviluppata una riflessione sul ruolo della
lingua nella formazione degli individui e che ha pertanto permesso di definire il concetto di educazione linguistica,
culminato con la redazione delle 10 tesi GISCEL del 1975, che mettevano al centro la bussola della funzionalità
comunicativa, l'importanza della valorizzazione del repertorio linguistcio dell'individuo e l'importanza delle riflessioni
cognitive e metacognitive. La linguistica educativa è stata definita da De Mauro come quella branca della linguistica
che analizza la lingua in funzione didattica.
In Italia, il plurilinguismo degli anni '70 e, diversamente, quello di oggi, ha fatto sì che esistano molte iniziative dal
basso di promozione del plurilinguismo, ad esmepio l'educazione pluri-o bilingue in certe regioni, il metodo CLIL,
creazione di équipe di ricerca sulla formazione al plurilinguismo attraverso progetti basati sull'InC.
In che modo l'approccio intercomprensivo si può trasformare in un approccio didattico? → elaborazione del concetto di
intercomprensione educativa che considera l'InC in funzione dell'apprendimento linguistico, definendo approcci,
metodi, tecniche, etc. L'InCE parte quindi dall'assunto che, se la nostra capacità di comprendere malgrado le differenze
è spontanea, possiamo potenziare questa capacità attraverso un atto didattico → il processo riguarda una competenza in
costruzione. Sfruttando i processi cognitivi e psico-affettivi, nonché la dimensione testuale ed extralinguistica della
comunicazione, si possono attivare le strategie di comprensione soprattutto per quanto riguarda le lingue romanze.
I presupposti epistemologici da cui si parte per affermare questo si basano sul costruttivismo sociale e culturale, che si
basa sui seguenti principi:
– L'apprendimento è un processo attivo, che presuppone che noi individui “impariamo ad imparare” proprio
mentre impariamo. Questo ci è permesso grazie alla possibilità di appoggiarci a strutture di conoscenze
pregresse, che coinvolgono altre facoltà e i sensi;
– L'influenza che il linguaggio ha sull'apprendimento visto come attività sociale, ossia in relazione al modo in
cui ci rapportiamo con gli altri;
– La riflessione che possiamo realizzare mentre apprendiamo basandoci sulle nostre conoscenze e credenze;
– Motivazione come componente fondamentale dell'apprendimento.
Dimensione metacognitiva e metalinguistica favoriscono l'autonomia dello studente, integrando i naturali processi InC e
giungendo a quella che chiamiamo InC Educativa (InCE).
L'InCE si pone quindi come luogo di scambio tra campi teorici e applicativi; i primi fondano le azioni didattiche, dalle
azioni didattiche forniscono materiale per migliorare gli assunti teorici.
Tornando al concetto di riflessione, diamo importanza delle competenze procedurali, ossia quelle competenze che
permettono lo svolgimento dei compiti e la risoluzione del problema. Per stimolare questa capacità riflessiva
nell'apprendente l'InCE propone l'uso di schede di autoosservazione, che stimolano quindi una riflessione e sviluppano
la consapevolezza dei processi da parte dell'apprendente. Uno dei campi di applicazione dell'InC è quello applicato al
Content Languaging Integrated Learning (metodologia CLIL), che ha l'obiettivo di sviluppare competenze linguistico-
comunicative in L2 e metodologico-didattiche nelle discipline. Le ricadute didattiche di questi due approcci nel contesto
classe sono: rapidità dell'apprendimento, incremento della motivazione, acquisizione di strategia di lettura e ascolto di
cui l'apprendente è consapevole, la valorizzazione delle conoscenze e competenze già possedute in L1 degli apprendenti
(fa riferimento già all'interno delle 10 Tesi GISCEL), reciprocità linguistico-culturale fra parlanti, sviluppo di
competenza interculturale.
Perché Intercomprensione e CLIL si compenetrano così bene e vengono proposti insieme? Perchè se gli obiettivi del
CLIL sono quelli di mettere gli apprendenti in contatto con nozioni insegnate in una lingua che non controllano
perfettamente l'attivazione di comparazioni, anticipazioni, formazione di ipotesi (strategie sviluppate dall'approccio
intercomprensivo, es. expectancy grammar), tutte queste strategie si rivelano indispensabili per accedere al senso.
Contemporaneamente InCE e CLIL sfruttano quindi le stesse strategie al fine di migliorare l'accesso al senso da parte
degli apprendenti.
InCE e materiali didattici: i materiali didattici legati all'InCE sfruttano una serie di similitudini, ad esempio le relazioni
interlinguistiche che si possono sitematizzare a diversi livelli linguistici, in particolare vengono accompagnati l'interesse
spontaneo dei parlanti per l'apprendimento con l'aumento del grado di InC tra le lingue (fattori semiotici, psico-affettivi
legati al processo di apprendimento della lingua).
Lo scritto è privilegiato dagli approcci InC perché nello scritto possiamo trovare maggiori tracce della stessa origine
nelle parole. Molto spesso, se vogliamo evidenziare la trasparenza lessicale, le vocali iniziali sono identiche; a livello di
grammatica si possono evidenziare similarità morfo-sintattica nelle costruzioni negative o nella creazione di prefissi;
possiamo fare riferimento ai processi che sottostanno all'apprendimento della lingua attraverso la creazione di
consapevolezza nell'apprendente.
Possiamo osservare inoltre il modo in cui si invita l'apprendente a riflettere attraverso una scheda di autoosservazione
che cerca di far emergere le strategie cognitice e d'apprendimento del parlante.
In ambito InC sono stati realizzati i seguenti progetti dal 1994 ad oggi: i progetti Ariadna 1,2 e Minerva sono stati i
pionieri nel campo, più recente è Redinter, che mette l'accento sul valore della comprensione e fa riferimento al
concetto di plurilinguismo contenuto nel QCER, oltre che al valore delle competenze delle abilità parziali,
consapevolezza linguistica, transfer, valorizzazione della dimensione pragmatica della lingua, sviluppo di un'attitudine
affettiva.
Dal punto di vista dell'analisi degli approcci e dei metodi nell'ambito InC, dobbiamo dire che ci sono alcuni aspetti
riconducibili agli approcci umanistico-affettivi, come la valorizzazione del ruolo della prima lingua e delle conoscenze
pregresse dell'apprendente, che mettono l'apprendente al centro del processo di apprendimento.
Il docente, quindi perde il suo ruolo centrale, è un facilitatore, e promuove in classe un apprendimento euristico e
autonomo; la classe si trasforma in una comunità comunicativa all'interno della quale il senso viene costruito e
negoziato.
L'InC sicuramente favorisce l'applicazione di alcune idee contenute nei documenti europei che fanno parte della visione
dell'Europa che si è formata nel tempo, riguardanti i concetti di aggregazione e formazione del cittadino europeo. Per
queste finalità (idea di creare una maggior coesione sociale nell'ambito europeo e formare il cittadino europeo sulla base
del plurilinguismo) sono stati adottati e finanziati progetti sull'InC. Nel mondo aumentano sempre di più i cittadini
plurilingui essendo tramontata l'idea politica dello Stato-Nazione ed affermandosi sempre di più l'idea di un'identità
plurale.
1.6 Intercomprensione – progetti ARIADNA e MINERVA
I progetti ARIADNA e MINERVA non costituiscono metodi di apprendimento delle lingue, bensì approcci parziali ad
esse; sono concepiti in sintonia propositiva con QCER perché i lavori delle équipe coinvolte, benché iniziati prima della
diffusione su internet del QCER stesso, sono maturate in quel clima di riflessioni teoriche.
ARIADNA → disegno ed implementazione di un curriculum integrato per la formazione e autoformazione dei docenti
di lingue straniere, si suddivide in due fasi:
1) ARIADNA 1 rivolto alla formazione dell'insegnante;
2) ARIADNA 2 rivolto sia agli insegnanti che allo studente.
MINERVA → costruzione di materiali dedicati all'InC tra lingue prossime in ambito romanzo, è finalizzato
all'acquisizione di competenze pragmalinguistiche di sopravvivenza da parte di uno straniero sprovvisto di formazione
linguistica specifica, e attraverso questo macroobiettivo intende anche favorire la mobilità nell'UE, il risveglio di una
conoscenza delle similtudini linguistiche tra le differenti lingue romanze, lo sviluppo di speciifche strategie di approccio
ad esse.
ARIADNA: 1995-1999; MINERVA: 1999-2003, entrambi hanno come obiettivo soluzioni operative per favorire la
riflessione sull'azione didattica che si concentra attorno alle lingue. I due attori principali sono l'insegnante e
l'apprendente, affinché essi sviluppino una piena consapevolezza dell'educazione linguistica.
I primi progettia ccentuavano la dimensione cognitiva e contrastiva della competenza interculturale e interlinguistica;
gli ultimi pongono > attenzione sulla dimensione affettiva, comunicativo-comportamentale senza per questo mirare ad
un vero e proprio apprendimento linguistico.
MINERVA persegue un'idea di competenza linguistica parziale che assume valore perché finalizzata al raggiungimento
di obiettivi di plurilinguismo. Bisogna chiarire alcuni presupposti teorici generali, tra cui “che cosa si intende per
competenza plurilingue” in MINERVA. A tale scopo l'equipe si è servita del concetto sociolinguistico di repertorio,
ossia l'insieme di varietà linguistiche cui si può ricorrere a seconda delle situazioni degli interlocutori con cui
interagisce, e della padronanza che di tali varietà possiede.
Un aspetto importante dal pdv sia sociolinguistico che glottodidattico, è che queste varietà di lingua si collocano nel
repertorio non paritariamente, ma occupano ciascuna un settore particolare e con raggi d'impiego e funzioni diverse
(definizione di Berruto, 2004). Sono rari, infatti, i casi in cui il repertorio è costituito da conoscenze perfette, le
conoscenze delle diverse varietà sono squilibrate. Il repertorio, per esempio, del parlante X può includere varietà
dell'italiano che sa comprendere oralmente o leggere, ma non sa parlare, la comprensione di un dialetto orale, l'impiego
corretto della forma standard nelle proprie produzione scritte e orali, i linguaggi tecnici, capacità di parafrasare un brano
di Dante...
Il repertorio si presenta inoltre spesso come repertorio plurilingue che riunisce varietà di più lingue: tutti noi siamo
potenzialmente plurilingui.
Il concetto di pluringuismo a cui facciamo riferimento, così come viene raccomandato dal QCER, si fonda sul carattere
globale e non compartimentato della competenza linguistica. La lingua viene vista non come sistema astratto ma in
quanto strumento di concreti comportamenti comunicativi che subiscono determinati condizionamenti da parte della
società. D'altronde, se ci pensiamo bene, le situazioni di bi- o plurilinguismo sono da ritenere la normalità nella vita
quotidiana nella società attuale, il monolinguismo è l'anomalia!
Nella formulazione classica di obiettivi nell'apprendimento delle lingue straniere, la competenza comunicativa viene
posta come qualcosa che si aggiunge ad una competenza comunicativa già esistente in L1; tuttavia la competenza
plurilginue non è giustapposizione, ma è integrazione, la messa in relazione di varietà o lingue senza ottenere omologia
tra competenze ben definite e compiute, bensì con una differenziazione tra componenti distinte e non equilibrate che
costituiscono comunque l'insieme. A quanto appena detto va aggiunto il fatto che la competenza plurilingue permette
anche di riconfigurare, e non solo di attivare, il repertorio, operazione possibile se si abbandona il sogno di raggiungere
una competenza nella L2 quasi nativa, per abbracciare invece l'idea molto più realistica di una competenza che varia nel
tempo e nello spazio, che comprendo la fossilizzazione di certe aree e lo sviluppo di altro.
Questo porta alla caratterizzazione della competenza plurilingue come un insieme di conoscenze e capacità che
permettono di attivare le risorse di un reprtorio plurilingue in determinate circostanze, ma che contribuiscono anche a
costruire e modificare lo stesso repertorio, sviluppando una competenza che potremmo definire iperlinguistica.
L'idea di plurilinguismo a cui ci ispiriamo riposa anche sul concetto, caro alla sociolinguistica, di code-switching, che
permette di passare in certe circostanze da una lingua ad un'altra e da una varietà all'altra, anche nella stessa situazione
comunicativa. Questo comportamento si trova nella normalità dei casi. La competenza plurilingue intesa in tal senso è
un prezioso strumento di mediazione, permettendo il contatto tra lingue e culture e diverse: deve comunque fondarsi
sulla volontà di un'appartenenza multipla quale raccomandata dal Consiglio d'Europa.
Tornando indietro, riflettiamo su alcuni aspetti della natura delle lingue: l'InC si fonda sulla similarità. Si è sviluppata in
ambito romanzo; questo fatto può suscitare negli apprendenti un interesse per l'apprendimento di una o più lingue.
Ci sono differenti tipi di similarità tra lingue, che abbiamo visto riproposti nei sette setacci di Stegmann. Le similarità
possono essere fonologico, lessicale, pragmalinguistico, culturale, sociolinguistico, morfosintattico... e possono mutare
fortemente a seconda del canale di comunicazione utilizzato. Su questi processi hanno una forta incidenza i fattori
semiotici e psicocognitivi: nel primo caso gli elementi componenziali del senso, nel secondo la situazione di
comunicazione e la modalità di erogazione di strategia di costruzione del senso.
Vediamo quali possono essere questi fattori, analizzando la natura delle lingue: in primis, tutte le lingue sono parlate. La
modalità del parlato è prioritaria, è la più utile per gli scambi di qualsiasi tipo. Lo scritto mantiene la testimoniana del
passato delle lingue, è secondario al parlato e ne costituisce una rielaborazione. MINERVA è improntato maggiormente
alla comprensione orale e si è scelto di utilizzare lo scritto solo come traccia delle manifestazioni foniche e come
elemnto facilitatore, rassicurante. Per quanto riguarda il rapporto oralità/sistema linguistico, ci sono relazioni
interlinguistiche sistematizzabili di differenti livelli, ossia le regole, le trasformazioni, etc. sia sul piano fonologico, che
morfosintattico, che socio-culturale. Queste relazioni sono osservabili anche senza particolari conoscenze fonologiche,
storiche, di grammatica comparativa, etc. e sono anche analizzabili da parte dell'apprendente, ossia un non specialista.
Vediamo poi che alcune capacità del linguaggio verbale sono ben visibili, come la produzione scritta e orale di parole e
frasi appropriate, l'interazione, la lettura ad alta voce... etc. Altre sono meno visibili, come dare un senso a ciò che si
ascolta o legge, la capacità di analizzare verbalmente o interiormente le situazioni e ampliare il patrimonio linguistico
acquisito attraverso un rapporto produttivo/ricettivo con parole e frasi nuove (De Mauro, 1981).
A ciò si aggiunge il fatto che tradizionalmente nella didattica delle lingue è stata sopravvalutata la riflessione
grammaticale, propria della pedagogia linguistica europea e non soltanto e che ancora oggi ha un ruolo molto
importante. La riflessione grammaticale è fondata sulle forme scritte, alla quale va, se non sostituita, almeno affiancata
la capacità di sviluppare il senso della funzionalità comunicativa sia di forme linguistiche note che ignote. Come
ricordato da Vygostkij o Piaget, riflettiamo sul fatto che l'attività umana è determinata da due proprietà fondamentali: la
finalità, ossia la presenza di uno scopo, un'intenzionalità, e la struttura delle attività stesse, una sequenza di
comportamenti che hanno un loro fine. Dato per acquisito che la motivazione e il darsi un certo scopo sia fondamentale
nell'apprendimento delle lingue, ci soffermiamo sulla afferenza alla situazione, ossia tutti gli influssi esterni che la
situazione esercita sull'organismo. Nella scelta dell'azione è fondamentale la cosiddetta immagine del risultato, ossia il
modello del futuro: è possibile prevedere le scelte che il soggetto compierà in futuro sulla base delle scelte
precedentemente compiute, modello psicologico che presuppone un carattere attivo della percezione in generale e della
percezione dei discorsi in particolari. Questo perché creiamo la nostra conoscenza sulla base di ciò che conosciamo di
già; infatti i progetti di InC si fondano su ciò che già sappiamo, e aiutano a potenziare le nostre conoscenze pregresse,
facendoci rendere conto che sappiamo molto di più di quello che credevamo di sapere. La conseguenza didattica di tale
teoria è l'importanza funzionale dell'accumulo di esperienza verbale nell'ascolto della lingua straniera, senza la quale
non si ha una corretta valutazione della probabilità di occorrenza di un determinato elemento.
Carattere attivo della percezione: il parlante, valutando la probabilità degli esiti, li mette in relazione anche con ciò che
è l'obiettivo stesso dell'azione, quindi con il risultato immediato, utilizzando regole e modelli mentali che gli sono
propri. Si può quindi sostenere che chi parla lingue diverse ma è accomunato dall'intenzione verbale, realizza la
medesima azione anche se nelle lingue coinvolte la stessa azione si concretizza sulla base della medesima struttura
obiettiva. Sempre collegandosi all'InC, che è alla base dell'epistemologia di MINERVA, si riteneva che ci si dovesse
liberare dell'anello della mediazione della lingua materna, cercando di far impadronire lo studente di certe strutture
della lingua obiettivo, facendo attenzione che non si attivasse il transfer linguistico e culturale che invece, nel caso di
lingue tipologicamente vicine, era ritenuto particolarmente pericoloso perché poteva creare interferenza.
Facendo così, con questa paura del transfer linguistico, si calpesta l'intelligenza, la personalità dell'apprendente. La
preoccupazione di fornire input adeguati al destinatario è invece tipica degli approcci InC, ed è stata anche centrale
nella progettazione di MINERVA. Se vogliamo che le attività proposte in classe interessino l'apprendente e attivino
meccanismi psico-cognitivi efficaci, dobbiamo costruire circostanze che siano vicine alla situazione in cui l'apprendente
dovrà agire e potrà quindi immedesimarsi. Dovremo fare leva sulla sua creatività, ma anche sulla conoscenza della
situazione e, in particolare con gli adulti, non mortificare la loro intelligenza e le capacità cognitive che hanno già
sviluppato.
Tutto questo comporta anche che il problema dell'imbattersi da parte dello studente in una varietà che pensa di non
poter utilizzare, di cui non vede l'utilità, lo porta a considerare l'energia utilizzata per l'apprendimento come sprecata. Il
progetto MINERVA si ispira a quanto contenuto nel Libro Bianco, riguardo al bisogno di plurilinguismo come identità
della cittadinanza europea. Tra i progetti linguistici sviluppati nelle varie azioni di programmi di lingua europei,
MINERVA non è tra quelli caratterizzati da scelte più forti, con obiettivi di competenze bilanciati tra varie lingue, ma ha
come obiettivo lo studio limitato di una L2 e centra la finalità sulla comprensione orale solo in determinati domini.
Sono stati scelti alcuni domini relativi (MINERVA rivolto ai giovani) alla socializzazione giovanile, trovare un piccolo
impiego, risolvere problemi di saluti. MINERVA ha anche una forte componente pragmatica, una visione delle lingue
romanze come strumenti e non come oggetti di studio in sé stessi, in sintonia con le tendenze più recenti della
glottodidattica. Approccio orientato all'azione: materiali didattici strutturati affinché attraverso la trasferibilità di
processi cognitivi sia possibile l'apprendimento ricettivo di piùlingue simultaneamente. Si rivolge a giovani apprendenti
(15-25 anni); le attività sono strutturate in modo tale che l'apprendente possa acquisire sempre di più consapevolezza
delle strategie e degli stili di apprendimento che gli erano propri; coscienza degli atteggiamenti culturali e affettivi per
portare a termine compiti nei domini selezionati (MINERVA era su Internet e purtroppo questo supporto non è rimasto
al passo con la tecnologia; il programma non è mai stato pubblicato in stampa quindi non è più utilizzabile). La lingua
era considerata come azione in contesto; il contesto riveste un ruolo primario nei materiali MINERVA; i domini
selezionati erano quelli ritenuti familiari per l'apprendente. Per esempio, nel modulo rumeno, due studentesse sono
davanti al PC e visitano un sito: la conoscenza di cosa due studentesse possano cercare in questo sito restringe il campo
di possibilità delle ipotesi sull'argomento della loro conversazione per chi deve ascoltare; nel modulo portoghese si
parla di annunci di lavoro.
Torniamo a parlare di MINERVA in generale: poiché nel processo di attivazione di schemi e di aspettative influiscono
tutti gli indizi ricavabili dal contesto, nel progetto è stata rivolta grande attenzione alla scelta di luoghi, oggetti, azioni, a
tutta la componente extralinguistica della comunicazione che la multimedialità del materiale permetteva di utilizzare.
Nel QCER si afferma che il contesto esterno viene filtrato dall'apparato percettivo (uditivo e visivo), dai meccanismi di
attenzione, dall'esperienza a lungo termine (asociazioni, memoria...), alla classificazione pratica di oggetti, avvenimenti,
familiarità con gli ambienti presentati, nelle immagini selezionate nel formato cartaceo che accompagnava il CD (che
però non ha mai avuto una stampa ma solo circolazione tra gli esperti), dalla categorizzazione linguistica favorita
dall'intercomprensione spontanea delle lingue messe in contatto (lingue romanze). Anche gli studi condotti
sull'acquisizione della lingua materna sui bambini ci dicono che le indicazioni appena esposte non sono casulai: la
selezione degli elementi da imitare si basa su ciò che i bambini conoscono, piuttosto che ciò che è disponibile
nell'ambiente. È importante, con i bambini, offrire un modo predicibile di partecipare all'interazione, a maggior ragione
questo è auspicabile negli adulti: è importante quindi fare leva sul contesto, sulla conoscenza accumulata con
l'esperienza. L'abitudine alla pratica riflessiva ina dolescenti e adulti favorisce poi la successiva maturazione delle
competenze. D'altronde, studi di stampo funzionalista, anche italiani (scuola di Pavia), ipotizzano che l'acquisizione
muoverebbe da fasi iniziali, caratterizzate da un modo comunicativo pragmatico, seguite poi da fasi più
grammaticalizzati, caratterizzate da un modo sintattico. MINERVA era quindi rispettoso degli studi sull'acquisizione del
tempo; è stato elaborato in modo rigoroso seguendo l'epistemologia dell'InC.
Quali erano le strategie, i testi e i compiti?
Esempio pratico: il contesto esterno interagisce con il contesto mentale, attraverso le intenzioni con le quali
l'apprendente partecipa all'evento comunicativo, le sue aspettative, etc. Per l'attivazione di queste operazioni, nella
proposta didattica del progetto, abbiamo dato massima importanza agli input linguistici e culturali contenuti nei
materiali che abbiamo chiamato “déclencheurs” e “enclencheurs”: danno l'idea di quanto tali elementi possano “dare il
via” o “concatenare” il processo di apprendimento. Essi creano la contestualizzazione, ossia il quadro situazionale del
contesto. Le attività e i compiti servivano a colmare i vuoti costituiti dalla non-conoscenza della lingua, affinché
attraverso l'inferenza si elaborasse il senso generale del messaggio. I compiti erano organizzati a partire dal testo,
considerato centrale in ogni modulo, definito appunto il “déclencheur”, ed erano indicati nelle macrocategorie che
davano il titolo al modulo, in sintonia con il QCER, che seppur in maniera più accentuata nella sua prima versione,
indica chiaramente che il testo deve essere centrale rispetto ai compiti e alle strategie didattiche. Infatti, i compiti
implicano al gestione dei testi e richiedono l’attivazione di determinate strategie. Esempio: attività 5^scena “Realizzare
pratiche amministrative” rendere cosciente l’apprendente delle pratiche di comprensione (spagnolo).
Tornando a MINERVA, uno dei principi fondanti del progetto è che le lingue romanze non sono così straniere fra loro, e
con una riflessione guidata, si può scoprire che si conosce qualcosa di lingue che non si sono mai studiate. Ciò dovrebbe
portare anche ad eliminare la componente di ansia e timore verso lingue consdierate difficili da apprendere.
Naturalmente, lo studente deve essere reso cosciente dei singoli aspetti che contribuiscono alla comprensione
complessiva, che viene facilitata all’aumentare delle lingue a cui è esposto. Più lingue si imparano, più è facile
impararne altre. Altri esempi concreti: nelle attività “Divertirsi e fare nuove amicizie” prima dell’ascolto dei dialoghi
c’erano sempre attività di osservazione di fotogrammi dei filmati, con le quali si chiedeva di ipotizzare ruoli dei
personaggi e situazioni, cosicché lo studente, quando arrivava al momento dell’ascolto, si trovava già preparato. In
alternativa, si vedeva il filmato in soundoff e si chiedeva allo studente di inventare un dialogo appropriato agli indizi
della situazione, in una lingua a sua scelta; modo ulteriore per far sì che lo studente prestasse attenzione alla situazione.
Tutto questo è possibile solo se si abbandona l’ottica tradizionale con la quale si studiano le lingue, quella di divenire
bilingui, l’idea che le lingue debbano essere scritte e pronunciate senza errori, anche a scapito della competenza
comunicativa. Ovviamente, la pronuncia è importante, ma non nelle fasi iniziali dell’apprendimento, perché per la
competenza comunicativa occorre comprendere e farsi comprendere, e questo è già un successo. Del resto, anche molti
nativi compiono errori; l’uso imperfetto della lingua va bene per certi tipi di apprendenti, che hanno necessità di
comunicare velocemente ed efficacemente nella lingua obiettivo. Questo non è sempre indice di un basso livello
sociale: saper capire e ascoltare gli altri, anche a basso livello, è già una ricchezza. È pertanto positivo favorire la
conoscenza parziale delle lingue.
Testi
I testi input scelti e le immagini erano stati selezionati sulla base delle raccomandazioni del QCER, sfruttando la
familiarità che l’App aveva con certe tipologie testuali, sulla base della sua fascia d’età. Erano quindi categorie che
potevano aiutarlo nella comprensione. Vedovelli, 2002, nel suo commento al QCER sostiene che la familiarità con le
regole costitutive delle classi di testi rimanda ai processi di comprensione, assunti come non lineari, né puramente
sequenziali, ma come dipendenti da strutture di conoscenza pregressa sul campo dei saperi, di socialità entro il quale si
inscrive il testo. La familiarità del tema contenuto nel testo agevola l’App e la costruzione del supporto audiovisivo
completava questa facilitazione e l’attivazione di processi di anticipazione e conoscenza pregressa. I testi scelti
contenevano caratteristiche del parlato reale (es. rumori di fondo), anche se si era cercato di ridurre il più possibile il
numero delle voci, in quanto poteva creare delle difficoltà di disambiguazione, noché sovrapposizione dei discorsi o
velocità di parola eccessiva. Si è preferito utilizzare testi parlati a bassa densità informativa e alta ridondanza, che
potevano però essere segmentati grazie al supporto utilizzato. Il parlato più utilizzato nei modelli era il dialogo; era
strettamente legato al contesto extralinguistico in cui veniva prodotto, ricorreva a deittici, allusioni, impliciti etc. I testi
erano stati registrati con la modalità del canovaccio: da un’indicazione base, gli attori erano liberi di interagire sulle
indicazioni relative alla situazione.
Fase 2 - Politica linguistica e pubblici per l'italiano LS/L2
Queste motivazioni ci fanno intravedere quali possono essere i tipi di pubblico ai quali bisogna rivolgersi per azioni
didattiche mirate. Tra gli anni ’90 e i primi 2000 la politica linguistica (PL) italiana è sollecitata anche dalle iniziative
del CE, che pone in modo molto forte al centro della propria PL la formazione, che intende essere una società della
conoscenza e non solo dell’informazione (la conoscenza rimane, l’informazione sfuma), una società in cui il sapere
viene costruito e ricostruito continuamente in evoluzione (e non semplicemente trasmesso). La formazione è un
obiettivo da perseguire per tutto l’arco della vita.
Se la spinta propulsiva degli anni ’90 ha avuto alcuni momenti di grande progettualità e ha visto l’Italia iniziare ad
interessarsi in maniera specifica all’insegnamento dell’italiano, va anche detto che c’è stato un supporto significativo da
parte dell’UE che ha incitato allo sviluppo di una istruzione di qualità e alla cooperazione tra gli stati membri.
Nello specifico, citiamo alcune linee guida e momenti importanti legati alla PL di pluralità europea (v. slide 14,
riferimenti anche a pubblicazione di atti di convegni, es. Convegno di Rueschlikon). Vediamo in dettaglio solo alcuni di
questi documenti:
1) Convegno di Rueschlikon obiettivo: educazione democratica
Questi punti riflettono in pieno, inoltre, anche gli obiettivi degli approcci InC. La valutazione e la certificazione
nascono in quest’epoca, come evidente dagli ultimi punti.
2) Libro bianco: cinque obiettivi generali, tra cui avvicinare la scuola all’impresa ( nascita dei tirocini!);
importanza della formazione anche post-universitaria
3) Libro verde: abbstanza parallelo al bianco: ulteriore raccomandazione per la creazione di strumenti didattici
idonei al momento storico in cui essi sono creati: strumenti di testing, certificazione, programmi, curricoli,
portfolii.
4) Raccomandazione del Consiglio Europeo di Barcellona, 2002: messa a punto di strumenti per la definizione
di indicatori e gli obiettivi da raggiungere enunciati nella risoluzione di febbraio (migliorare qualità ed
efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione; consentire a tutti di accedere all'istruzione e alla formazione
durante l'intero arco della vita; aprire i sistemi di istruzione e di formazione sul mondo.
PL Europea e Multilinguismo
Come si presentava una decina d’anni fa il panorama linguistico europeo? 23 lingue ufficiali in UE; 506 combinazioni
di traduzioni ; 1% del budget annuale di funzionamento dell’UE in traduzione e interpretariato. L’UE ha quindi voluto
investire molto affinché almeno le lingue ufficiali dell’UE fossero più largamente conosciute dai suoi cittadini; l’unica
risposta non poteva essere la conoscenza dell’inglese (lo vediamo soprattutto oggi, dopo l’uscita della GB dall’UE!). Il
Consiglio d’Europa si è dotato fin da subito di due organismi ce servivano a garantire il rispetto della diversità
linguistica: la Divisione delle Politiche Linguistiche (aspetti più giuridici) e il Centro Europe per le Lingue Vive
(formazione ed erogazione di strumenti teorico-pratici per la conoscenza di come si possano sviluppare queste PL).
Frutto di questi organismi sono il CARAP (già citato a proposito di InC, promuove didattica orientata ad approcci
plurali, quindi rivolti a più varietà, lingue culture e sotto-culture: l’InC è uno dei 4 approcci individuati dal CARAP e,
sempre grazie a CARAP si forma il primo nucleo dell’approccio CLIL all’insegnamento delle discipline, approccio
CLIL che in Italia è stato purtroppo distorto e potrebbe essere migliorato da un’introduzione teorica che si rifaccia ai
principi dell’InC) e il DERLE. Riguardo all’ approccio CLIL, “l’apprendimento non si realizza in lingua straniera ma
attraverso un approccio pragmatico all’uso della lingua straniera, in una situazione di comunicazione autentica” (De
Carlo 2012). L’aspetto pragmatico alla lingua straniera è stato sfruttato per l’insegnamento dell’italiano a detenuti
stranieri.
Il DERLE è il documento con cui si declinano le varie pluralità caldeggiate dalla PL europea. Innanzitutto pluralità di
conoscenze: conoscere in vari ambiti e varie discipline; pluralità di risorse realtive ai saperi e alle modalità di accesso ai
saperi; pluralità di lingue, popolazioni, gruppi sociali… ricollegandoci ai bisogni e motivazioni, dei vari tipi di
pubblico. Non si crede più ad una didattica monolitica, rivolta ad un App teorico, non tenendo conto della
differenziazione dei profili di App che possiamo trovarci davanti. Altri aspetti importanti sono l’evidenza data alla
pluralità degli aspetti culturali e dei valori che ogni cultura veicola; pluralità delle visioni dell’educazione, è un quadro
che lascia posto aogni idea dell’educazione purché orientata alla pluralità.
Strategia UE 2020: sviluppare un piano globale in vista di una crescita sostenibile, intelligente e inclusiva (prima volta
che appare questa parola) si sostiene che le competenze linguistiche sono tra le competenze essenziali per la
realizzazione personale, la cittadinanza attiva e la coesione sociale. L’input viene dato a livello europeo e poi questo
viene declinato nelle singole aree di ricerca.
La situazione italiana è cambiata molto negli ultimi 20 anni, proprio perché ci siamo resi conto che potevamo avere una
centralità nella diffusione di PL e strumenti di ricerca. Soprattutto nell’ambito dei processi migratori e le relative
implicazioni linguistico-culturale, dopo un primo momento in cui prevaleva la ricerca francese, oggi l’Italia si presenta
come un modello interessante di risposta almeno sul piano teorico e della elaborazione strumentale; forse un po’ meno
sul piano della realizzazione omogenea su tutto il territorio di corrispondenti azioni concrete.
2.2 Analisi delle pratiche più diffuse per l’insegnamento dell’italiano LS/L2 e per la formazione di insegnanti in
italiano L2/LS
Commissione Nazionale anni ’80; Legge 153/71 ha permesso di erogare corsi di formazione per insegnanti di
italiano all’estero, inizialmente erogati dalle UNISTRA, poi anche da altri atenei. Questi corsi hanno iniziato ad avere
luogo a partire dagli anni ’90 (1994, Rio de Janeiro); prima di essi, l’insegnamento era delegato a italo-discendenti
spesso senza alcuna formazione glotto-didattica o titoli di tipo umanistico. È stata molto importante anche l’opera degli
IIC, alcuni dei quali hanno erogato corsi ben preparati e hanno avuto a disposizione corpi insegnanti molto formati
grazie al contatto con l’Italia, altri molto meno, e spesso negli anni ’90 la formazione fornita dagli IIC era generalmente
riservata a italodiscendenti o alle élite. Abbiamo poi la Società Dante Alighieri, affiancata da comitati che
raggruppavano emigrati e loro discendenti, attivi in Sudamerica, Australia… aree molto interessate dall’emigrazione
italiana: questi comitati hanno però perso parte della loro importanza. Abbiamo poi scuole italiane all’estero, molto
prestigiose e per questo frequentate non solo da italodiscendenti; idem per le comunità italiane nel mondo che hanno
sempre mantenuto una identità ben definita, come es. la Comunità di Rosario, Cordoba o Buenos Aires in Argentina, e
Montevideo. Dobbiamo poi citare l’Osservatorio di Vedovelli che continua tuttoggi la sua opera, che oggi si concentra
sul rilevamento delle lingue immigrate in Italia, dopo un primo momento in cui studiava l’italiano nel mondo.
La diffusione della lingua italiana all’estero inizia propriamento negli anni ’90; all’epoca il web non era così diffuso
quindi anche le persone italodiscendenti che volevano insegnare italiano necessitavano di formazione anche linguistica
più strutturata, perché vevano poco contatto con l’italiano. Es. alcuni elementi del neostandard erano percepiti come
errori; inoltre, generalmente fuori dal territorio si hanno posizioni più conservatrici e puristiche riguardo alle variazioni
del repertorio linguistico, probabilmente anche a causa dell’insicurezza dovuta alla lontananza dalla “madrepatria”.
Infine, nel 2006 sono stati stilati i primi protocolli per il programma Marco Polo e, successivamente, Turandot
materiali didattici specifici per App parlanti lingue completamente diverse da quelle europee e necessitano quindi di
approcci personalizzati.
Si sono sviluppate linee di formazione relative alla mediazione e all’apprendimento dell’italiano come L2 da parte di
adulti (universitari, studenti di scuola pubblica, ricercatori, operatori e tecnici che necessitano di aggiornamenti, adulti
immigrati profilo dall’importanza progressivamente crescente).
A metà degli anni 2000 UNISTRASI inizia a diventare un punto di riferimento. Vengono elaborati molti strumenti
didattici e viene sviluppata e potenziata la certifcazione d’italiano (inizialmente solo le Università per Stranieri e Roma
Tre), si intensifica la formazione degli insegnati (creazione del centro DITALS nei primi anni ’90 e ampliamento della
sua offerta formativa).
Torniamo però ai tipi di pubblico interessato all’italiano sia come L2 che come LS.
Oggi abbiamo interesse per italiano da parte di italodiscendenti alla ricerca delle proprie radici (fenomeno in declino
rispetto a 10-20 anni fa), studenti universitari e ricercatori in materie umanistiche; si fanno strada motivazioni di
natura professionale persone che vogliono venire in Italia per lavorare (es. infermieri indiani). Permangono
ovviamente motivazioni classiche legate al prestigio culturale dell’Italia. Questo riguarda sia l’italiano come L2 che
come LS, anche se abbiamo commentato soprattutto il valore dell’italiano come LS, quindi rivolto a chi vive fuori
dall’Italia o comunque vuole spendere le sue conoscenze all’estero.
Riguardo all’italiano come L2, si sta potenziando molto questo tipo di insegnamento, che riguarda un’ampia tipologia di
apprendenti: italiano per lo studio scolastico (figli di immigrati, che stanno crescendo e hanno quindi esigenze diverse
rispetto alle elementari), programmi di scambio culturale, esigenza legate alle normative per cittadinanza e permesso di
soggiorno; immigrati di necessità, rifugiati, resettled. Un’ulteriore tipologia di App è quella dei detenuti stranieri, che
costituiscono una percentuale significativa della popolazione carceraria; inoltre abbiamo l’immigrato di lusso, persone
che decidono di soggiornare o stabilirsi in Italia perché ne apprezzano lo stile di vita e la cultura (es. il cosiddetto
Chiantishire).
Permangono comunque delle difficoltà nel tracciare un unico profilo degli App di ILS e ancora di più come IL2. Gli
immigrati adulti sono comunque oggi il gruppo più rilevante ed eterogeneo a cui si rivolge la didattica dell’italiano: i
loro bisogni riguardano l’apprendimento dell’italiano non solo in funzione comunicativa, ma anche come mezzo per
riscatto e promozione sociale, persone che hanno necessità di poter lavorare utilizzando la lingua italiana e svolgere una
serie di attività legate alla compilazione di documenti, pratiche, etc. Sono esigenze molto diverse da quelle di chi vuole
solo “comunicare” genericamente in italiano, serve la comprensione di testi anche molto complicati, spesso
incomprensibili anche per gli italiani stessi. A questo proposito, nei primi anni ’90 fu stilata da una commissione di
eminenti linguisti italiani un codice di stile ad uso della Pubblica Amministrazione, ma purtroppo questo invito alla
semplificazione non è stato raccolto.
Approfondiamo ora la problematica del pubblico legato all'immigrazione in Italia. Bisogna tenere conto del fatto che i
movimenti migratori verso l’Italia sono molto cambiati recentemente, e di conseguenza anche le relative caratteristiche.
Ci riferiamo in particolare agli ultimi trent’anni, in cui gli immigrati sono passata da una situazione di semi-visibilità e
presenza temporanea ad una situazione significative sia sul piano visivo che su quello statistico. A differenza dei primi
anni, si tratta di persone che hanno un progetto migratorio permanente, es. necessità di ricongiungersi con la famiglia e
mettere radici sul suolo italiano. Il primo cambiamento è stato quello dell’Italia da Paese di diaspora (almeno fino agli
anni ’60: le ultime ondate migratorie sono state quelle dall’Italia verso l’Australia, pertanto è un fenomeno cessato
piuttosto recentemente) a Paese ospite, ricevente immigrati inizialmente dall’est Europa e poi dal Mediterraneo. Si tratta
di cambiamenti molto importanti che hanno inciso nel panorama demografico del nostro Paese e hanno sollecitato
risposto dal pdv (=punto di vista) delle politiche formative in termini di IL2. Questo perché l’immigrato adulto, che
oggi è un soggetto attivo e visibile (è attore sociale, lavoratore), è anche una persona che spesso non ha dei profili di
formazione omogeneo, anche nella lingua d’origine: questo può creare problematiche in una classe, che può mostrarsi
come un ambiente molto eterogeneo. Un’ulteriore difficoltà è rappresentata dal fatto che l’IL2 viene appresa mentre
l’App cerca faticosamente di sopravvivere, es. lavorando… quindi spesso l’App non ha motivazione per frequentare dei
corsi, es. per mancanza di tempo, e le conoscenze comunicative vengono acquisite in modo informale sul campo,
venendo a mancare quindi una formazione più strutturata. Spesso l’App sa comunicare oralmente molto bene ma non sa
scrivere bene in lingua italiana.
Gli immigrati adulti in Italia (d’ora in poi AppIA) costituiscono il gruppo numericamente più rilevante, per quanto
riguarda l’offerta di formazione linguistica. È necessario pensare ad una formazione didattica adeguata, che non umili le
competenze pregresse dell’App e che sia anche strumentale per la risoluzione di problemi immediati di sopravvivenza
(e quindi anche un mezzo di riscatto).
Il profilo di queste persone è estremamente complesso, perché si possono sottocategorizzare gli AppIA in modo di
creare corsi specifici per ogni categoria. Questo però può portare ad un’eccessiva dispersione di energia e attenzione
troppo dettagliata che fa perdere di vista tratti che sono comuni alle diverse tipologie di immigrati. Una distinzione
particolarmente utile è quella, in ambito migratorio, tra adulti e bambini: i bambini hanno esigenze specifiche, dettate
in primis dall’età. Possiamo orientarci riguardo agli elementi di omogeneità, es: esigenza primaria dei bambini è
inserimento scolastico, per gli adulti è la lingua come strumento di comunicazione di lavoro e di sopravvivenza. Ci sono
però dei distinguo in casi particolari come es. quelli del detenuto o del resettled.
Quello che accomuna tutte queste tipologie è un altro aspetto, ossia quello di poter sempre prevedere un approccio
didattico che sia plurilingue. In questo caso, è maggiormente interessante per alcuni tipi di pubblico prvedere un
approccio che comprenda tutte le lingue di cui il pubblico componente la classe di IL2 è portatore. È quindi necessario
tenere conto delle distanze tipologiche tra le lingue degli App e l’italiano, nonché tra la cultura italiana e le culture degli
App. Si possono poi individuare diversi gruppi di AppIA con caratteristiche specifiche, in base es. alla conoscenza del
sistema di scrittura latino. È evidente quindi che non basta con questa tipologia di pubblico prevedere dei percorsi mirati
solo sui percorsi motivazionali, ma anche del profilo linguistico eterogeneo di queste persone e della loro formazione
pregressa.
Anche i tempi di acquisizione della IL2 sono molto diversi tra un immigrato pienamente alfabetizzato, che magari
conosce un’altra lingua europea o ha alle spalle studi regolari, e un immigrato che non conosce il sistema di scrittura
latino e che magari non è neanche alfabetizzato nella propria lingua materna. Gli approcci dovranno essere pertanto
differenti.
Queste due citazioni ci fanno capire che i detenuti stranieri, se fossero stati italiani, non sarebbero stati neanche in
carcere. Questa presenza massiccia di persone che hanno culture e lingue diverse le une dalle altre creano problemi alla
struttura carcere, che per sua natura deve vivere sulla semplificazione. Queste persone spesso sono dimenticate; è un
modo per metterle da parte senza che possano creare ulteriori problemi. A queste due citazioni possiamo aggiungere che
la maggior parte dei detenuti stranieri è presente nelle carceri per reati monori, per i quali un italiano avrebbe potuto
pagare ammende o godere della libertà condizionata. Spesso, tali reati riguardano la clandestinità, o il piccolo spaccio:
non sempre, quindi, il detenuto straniero va considerato come il peggior criminale esistente. Difficilmente si trova un
detenuto straniero al 41bis. Riguardo ai detneuti stranieri, vediamo una breve presentazione di chi sono (dati forniti
dalla direzione generale per la formazione a Roma): sono eprsone spesso prive di permesso di soggiorno, 1/3 di questi
conosceva pochissimo la lingua italiana quando è entrata in carcere. Poche di queste persone hanno una rete di rapporti
stabile sul territorio che possa servire anche per i contatti con l’esterno e le necessità quotidiane.
Queste persone hanno bisogno di un orientamento per il reinserimento: non sono delinquenti difficilmente recuperabili,
per questo si stanno svolgendo molti progetti in questo ambito.
Roguardo invece ai rifugiati e ai richiedenti asilo, essi vengono aiutati tramite una serie di progetti. Nel 2019 i progetti
erano 671, coordinati e finanziati dalle reti SPRAR e SIPROIMI (evoluzione dello SPRAR), per un totale di circa
30.000 posti, che risultano purtroppo essere insufficienti.
L’accoglienza in Italia prevede tre fasi con differenti tipologie di strutture:
1) Primo soccorso e assistenza: hotspot, centri attivi nelle vicinanze delle principali aree di approdo dei migranti
che si occupano di far fronte alle esigenze immediate, come quella dell’identificazione, del rilevamento delle
impronte digitali e prima cura. Questa fase pertanto è emergenziale.
2) Prima accoglienza: centri di assistenza straordinaria e centri di accoglienza per i richiedenti asilo: sono, più
nello specifico, adatte e preparate per accogliere i migranti non comunitari, parzialmente identificati (almeno a
livello di foto segnaletica) che devono completare il percorso di riconoscimento e definire il loro status
giuridico. Anche in questo caso si tratta di interventi semi-emergenziali.
3) Seconda accoglienza: SPRAR e SIPROIMI, strutture nelle quali le persone identificate vengono accolte in
attesa che venga definita la propria istanza e venga riconosciuta la loro forma di protezione. In questa tipologia
di struttura è previsto che si eroghino dei piccoli interventi, molto brevi, per far capire a queste persone
qualcosa della lingua e della cultura del Paese che li sta ospitando. Progetti di accoglienza integrata finalizzati
all’inserimento sociale ed economico di queste persone, affinché esse siano autonome nell’interazione,
salvaguardando le proprie radici e identità (caratteristica di pluralismo). Tutto questo è contenuto anche nel
Libro bianco sul dialogo interculturale.
I contesti nei quali si trovano detenuti e rifugiati sono contesti di superdiversità per eccellenza, in quanto in essi
coabitano persone di differente nazionalità, lingua, cultura, identità religiose. Sia gli SPRAR che le carceri sono contesti
di coabitazione forzate, in cui le persone non scelgono liberamente di andare ma vengono inserite obbligatoriamente.
Queste persone sono portatrici di differenti percorsi migratori e, pertanto, di differenti repertori linguistico-culturali. In
questi ambienti si possono osservare le dinamiche del contatto linguistico e delle penetrazione di altre lingue nella
lingua parlata in un determinato Paese, in questo caso l’italiano. Questo fenomeno si può osservare bene anche in
carcere, dove abbiamo anche detenuti non immigrati. Questi contesti sono caratterizzati da mescolanza di più lingue e
culture che fa sì che, volenti o nolenti, queste persone conoscano lingue e culture degli altri e dunque da contesti di
deprivsazione e costrizione possono, se c’è adeguato supporto da parte di chi si occupa di accoglienza, formazione e
detenzione, divenire un’opportunità: contesti di superdiversità destinati ad un’evoluzione, in cui si manifesta la vitalita
delle lingue e dell’espressione di diverse conoscenze, sentimenti, emozioni… Per questo però devono essere elaborati
adeguati modelli d’intervento e devono essere formate le persone che entrano in contatto con questi soggetti SV.
Quindi: opera di mediazione e formazione possono essere indirizzate verso questi contesti per trasformarli in strumenti
e luoghi di integrazione sociale e linguistica. Ovviamente devono essere create le condizioni adatte affinché si possano
riconfigurare i repertori linguistici di questi migranti che sono adulti, pur rispettando le loro lingue e culture. Si tratta
quindi di aiutare queste persone in una sfida identitaria, sfuida che normalmente noi parlanti nativi osserviamo con
distacco e non comprendiamo: pensiamo solo che la lingua della società di accoglienza debba essere insegnata perché
l’individuo che vi giunge debba inserirsi nella propria società, non tenendo conto delle sofferenze che questa stessa
sfida può comportare, es. alienazione, disagio. Ottica interculturale è fondamentale: imparare a metterci dalla parte
dell’altro, osservare come questa persona parla, quali codici extralinguistici usa e sprattutto, osservare e far osservare
agli altri. Per una corretta pedagogia interculturale bisogna riflettere sulle differenze etniche e culturali dei processi
educativi da cui provengono i destinatari dell’azione pedagogica e insegnare a queste persone ad avere una certa
sensibilità verso questioni come diritti umani, pace, etc.
È stato dimostrato da molti progetti di ricerca che si possono rispettare le diversità di tali soggetti e integrarle senza
annullarle. La pratica didattica più specifica in ambito interculturale, occorre prevedere pratiche di interazione
all’interno dei gruppi cercando di rispondere ai loro bisogni, ma soprattutto centrando tali pratiche sulla multietnicità e
sulla multiculturale. Una corretta pedagogia interculturale ha tra i suoi compiti quelli di prevenire, preparare a vivere
nelle società multiculturale, aiutare ad afforntare le relative sfide, essere un modello di recupero per la soluzione di
problemi che possono e, purtroppo, scaturiscono dai conflitti che scoppiano in questi ambienti (accoglienza e
detenzione), chiusi e reclusivi.
Bisogna fare attenzione anche a come la problematica viene avvertita a livello istituzionale: non di rado bisogna
confrontarsi con norme che impediscono la pratica di una buona pedagogia interculturale.
Qual è l’approccio italiano nei confronti dell’integrazione di queste categorie di soggetti?
Ci sono progetti che puntano a un apprendimento di tipo flessibile, modulare, di tipo cooperativo, in cui si deve dar
voce all’apprendente il più possibile, ispirati a un approccio di tipo cognitivista e riflessivo (già menzionato perché
riguarda l’InC): persone adulte, che hanno esperienze di vita importanti, sono quindi in grado, se adeguatamente
seguite, di riflettere sui loro percorsi di avvicinamento alla lingua del Paese che li ospita e percorsi di ridefinizione del
loro repertorio plurilingue, che può includere, oltre alla lingua materna, le lingue dei percorsi migratori, le lingue delle
persone con cui condividono l’esperienza di reclusione: queste possono costituire un arricchimento.
Vediamo quali sono le competenze del docente di IL2 a immigrati, che devono essere collegate al profilo del docente
tracciato nei relativi documenti europei, ma deve essere anche calato nel contesto specifico linguistico-culturale. Sono
state effettuate ricerche presso gli insegnanti stessi per verificare la loro idea di competenze dell’insegnante ideale e le
loro richieste.
NB: la motivazione, con questo tipo di pubblico, è molto a rischio. Non è comunque da tralasciare la figura
dell’insegnante ILS: l’insegnante di ILS all’estero ha bisognoin continuazione di aggiornamenti linguistico-culturali
perché non è continuamente a contatto con il contesto italiano; per quanto riguarda l’insegnante di IL2, l’esigenza che
emerge con più forza è la capacità di gestire gruppi linguistici multi-etnici e, spesso, siccome la formazione di tali
insegnanti non ha previsto l’acquisizione di competenze glottodidattiche, il bisogno di colmare tale gap.
Queste persone devono essere in grado di conoscere almeno alcuni modelli teorici operativi molto importanti, gli
approcci scientifici per l’insegnamento delle lingue, ma avere anche conoscenze specialistiche di linguistica italiana, gli
elementi di sintassi e morfologia di più immediato impiego; devono inoltre conoscere elementi di linguistica contrastiva
(es. analisi degli errori), il che non vuol dire conoscere tutte le lingue dei loro studenti, ma almeno conoscere gli errori
incontro ai quali determinati gruppi linguistici vanno più frequentemente incontro.
Infine, gli insegnanti dovrebbero conoscere degli elementi di neurolinguistica, come funziona il cervello e
l’apprendimento delle lingue, lo sviluppo del linguaggio nell’essere umano. Esistono anche altri modelli teorici
operativi di cui tenere conto, devono sapere cosa si intende per competenza comunicativa (non è scontato); devono
tenere conto di quali componenti essa si componga, ossia la competenza puramente linguistica, che però è
accompagnata da una componente paralinguistica (cinesica, prossemica, performativa), pragmatica e socioculturale.
Soprattutto con pubblico adulto, che spesso si trova in condizioni di svantaggio, si deve tenere conto di quali siano le
motivazioni, lo stile cognitivo dei discenti, dell’attitudine linguistica, che non è la stessa per ogni tipo di apprendenti.
Non tutti sono ugualmente bravi a produrre un testo scritto, o uno orale, ognuno possiede specifiche attitudini ed abilità,
modi di immagazzinare informazioni ed elaborarle (chi sia ffida al visivo, chi alla memoria), in base all’età e alla
personalità di ognuno di noi (es. ci sono persone che si lanciano di più nella produzione in una lingua che non
conoscono ancora bene, altri sono più timidi e non si esprimono finché non ritengono di essere sufficientemente
preparati). Altri elementi sono sociolinguistici; un Ins deve tenere conto di quali sono le varietà di lingue dei parlanti e
dei mass media con cui gli App verranno prioritariamente in contatto; siccome non si può insegnare tutto e subito,
saranno queste varietà quelle da prioritizzare nell’insegnamento.
Altri modelli teorico-operativi, più tecnici, prevedono di sapere cosa sia un curricolo, un sillabo, e come/quando
utilizzarli, avere nozioni teoriche di educazione linguistica; conoscere come si utilizza o si costruisce una unità
didattica, un modulo didattico, quale sia la sua durata, gli aspetti da enfatizzare; essere in grado di gestire le dinamiche
della classe, non sempre semplici; saper scegliere i materiali didattici più idonei per una determinata situazione di
insegnamento; gestire il concetto di abilità linguistiche e sapere quali di esse sono prioritarie in base ai bisogni
dell’App; come insegnare la grammatica (in modo più tradizionale oppure più moderno); quale lessico deve essere
oggetto dell’insegnamento; come utilizzare le glottotecnologia; come/quando correggere gli errori e come valutarli
senza venire meno al patto formativo e/o umiliare il proprio App, anzi, utilizzare l’errore per motivarlo ulteriormente.
A proposito dei materiali didattici, apriamo una parentesi. Da sempre la creazione di materiali didattici ha
rappresentato un elemento base dei docenti di lingue ad immigrati. La specificità di questo profilo ha spinto spesso i
docenti a realizzare materiali autoprodotti, anche perché l’editoria destinata a questo tipo di pubblico si è sviluppata
solo a partire dalla seconda metà degli anni ’90, e anche allora i materiali proposti erano davvero pochissimi. Questi
materiali, detti anche materiali grigi. Erano dispense realizzate da docenti, spesso composti da fotocopie (dispense non
pubblicate, quindi), molto funzionali all’insegnamento perché flessibili, riadattabili ed ampliabili a seconda delle
esigenze dell’utenza con cui l’Ins si confrontava. I materiali erano costruiti in maniera artigianale, quindi non sempre
rispondevano ai reali bisogni degli App e/p supportavano in modo ottimale l’insegnamento. È da notare anche che la
maggior parte dei docenti utilizzava elementi e contenuti culturali o di educazione civica, anche se purtroppo un buon
20-25% dei docenti non prendeva in considerazione questo elemento nel loro insegnamento. I temi realtivi alla
citatdinanza attiva proposti dagli insegnanti sono prevalentemente relativi all’accesso al sistema sanitario nazionale, la
normativa del lavoro in Italia, elementi della Costituzione Italiana, il sistema previdenziale italiano… Pochi di questi
docenti affermano di trattare anche temi relativi alla cultura, gli usi e costumi italiani; emergeva una visione dell’IL2
più come strumento per permettere agli App al contesto circostante, in quanto struttura/burocrazia, anziché alla
comunicazione quotidiana e ad altri aspetti più sommersi della cultura. La maggior parte dei docenti oggi si dichiara
soddisfatta delle proposte formative erogate soprattutto in ambito universitario e hanno iniziato ad avere una buona
consapevolezza delle proprie conoscenze.
Come riportato in slide 12, secondo gli insegnanti stessi:
Per quanto riguarda gli aspetti più propri della comunicazione, l’Ins deve conoscere i seguenti modelli (v. slide 11),
senza essere specialisti di questi modelli, l’importante è sapere come funziona la comunicazione e conoscere le mete
glottodidattiche definite dal QCER ma già trattate da Balboni (si veda slide 13):
Per gli App adulti, dopo il superamento di un livello soglia nel Paese della L2, è frequente che non esistano le possibilità
(in termini di tempo o di disponibilità economiche) di continuare lo studio della lingua, pertanto è importante rendere
l’App capace di continuare l’apprendimento in autonomia “imparare ad imparare”, competenza che deve essere
portata avanti lungo tutto l’arco della vita.
Gli Ins dovrebbero anche continuamente interrogarsi su alcuni punti (si vedano le domande elencate in slide 14):
Abbiamo parlato dell’importanza di gratificare gli studenti; si è spesso tentati di rivolgersi solo agli studenti seduti nelle
prime file, o maggiormente a coloro che danno feedback più attivi, tralasciando, erroneamente, gli allievi che, per
motivi individuali, potrebbero essere più timidi, o silenziosi. È importante invece il coinvolgimento di tutti. Quali
modalità di lavoro si possono richiedere? A coppia, in gruppo… ogni classe è un universo a sé e non esiste una ricetta
universale che vada bene per tutte le casistiche, bisogna tenere conto delle peculiarità di ogni classe. Ad ogni modo, si
tenga conto che il lavoro di gruppo è molto proficuo, perché più ersone concorrono al lavoro stesso. Questo però
potrebbe far sì che emergano uno o due leader mentre gli altri ascoltano, o non partecipano, addirittura. Da questo
dsicende che la modalità di correzione degli errori si debba adattare alla modalità del lavro scelto: sono in grado, nel
contesto di un alvoro di gruppo, di rilevare gli errori? Come posso stimolare la motivazione, con quali materiali, quali
temi, quali argomenti, quali tecniche didattiche? Inoltre, è importante la posizione della classe, es. indsegnante che si
inserisce in un cerchio per “mettersi alla pari con gli apprendenti”; una cattedra sopraelevata suggerirà invece un
distanziamanto degli insegnanti nei confronti degli apprendenti, ma non sempre le strutture in cui si erogano i corsi
permettono una gestione degli spazi idonea. Qual è la modalità di interazione insegnanti-studenti? In alcuni momenti
l’Ins dovrà poter parlare senza essere interrotto, ma in altri momenti dovrà essere privilegiato l’interscambio, al quale la
classe dovrà essere educata (non si deve parlare senza cognizione di causa, in modo disoridnata…). La competenza da
sviluppare all’inizio di ogni corso è, infatti, sapere come si interagisce in classe, e sapere quali sono le mosse
comunicative permesse e quelle non accettate. Sembra scontato, ma se pensiamo ad una classe plurilinguistica e
multiculturale, dobbiamo anche tenere conto che le tradizioni scolastiche di diversi Paesi ammettono in classe certi
comportamenti che in Italia non sono consentiti (es. in Italia non è accettato che l’App durante la lezione si alzi e si
metta a mangiare un panino, o si metta a ballare su un banco… sono esempi tratti da veri studi su studenti non italofoni
nelle classi elementari e medie di italiano). Dobbiamo considerare qual è il clima dell’aula e capire se ci sono studenti
che si autoisolano o vengono isolati dagli altri.
Anche l’atmosfera è molto importante (e infatti, alcuni approcci umanistico-affettivi come la suggestopedia puntano
proprio sul creare la giusta atmosfera) e si deve cercare di stimolare un buon livello di partecipazione alle attività. In
alcuni casi, quando si tratta di far interagire direttamente gli apprendenti la verifica è molto facile, ma quando parla l’Ins
è più difficile accertarsi dell’effettivo livello di partecipazione della classe (es. studente che prende appunti).
Soffermiamoci adesso sui materiali usati durante le lezioni. Nei vari questionari somministrati agli Ins è stato chiesto di
segnalare quali supporti didattici utilizzassero.
La maggior parte degli insegnanti usa la lavagna; attorno al 2010 ha avuto molto successo la LIM (lavagna luminosa),
che non tutte le Università possiedono; più indietro nel tempo si usavano cassette, CD, che, in tempi più recenti, sono
state sostituite dal PC. Le fotocopie erano molto utilizzate; i poster didattici sono strumenti che hanno potenzialità
ancora sfruttabili; gli oggetti reali si usano appendendoli alle pareti delle aule, in modo da creare una situazione protetta
e particolare, che crei un clima di “aula di insegnamento della lingua”. Ovviamente, poi, abbiamo i libri di testo.
Una piccola parentesi sull’uso del PC, che ha sempre più successo: c’è stata un’evoluzione nell’impiego del PC
nell’insegnamento linguistico. Nella prima fase della sua introduzione esso era usato solo come sussidio per
l’insegnamento, secondo quello che Porcelli aveva definito “modello di apprendimento meccanicistico”, (termine del
behaviourismo o comportamentismo), per favorire l’acquisizione di abitudini senso-motorie di carattere inconscio, che
derivavano dall’associazione di una risposta ad uno stimolo proveniente dall’ambiente. Questo è il caso di uno dei primi
labortaori linguistici moderni (a partire dagli anni ’80), che riproponevano questo modello, il quale richiedeva che il
percorso didattico consistesse in una serie di stimoli e risposte da padroneggiare uno alla volta: esercizi meccanici
(pattern drills) basati sulla manipolazione e ripetizione delle strutture. Hanno avuto larga fortuna nell’insegnamento
delle lingue perché potevano essere riutilizzati quante volte si voleva senza che l’Ins dovesse per forza preparare ogni
volta materiali nuovi, e potevano essere presentati ad un numero elevato di apprendenti.
I programmi CAI della prima fase di impiego didattico del PC comprendevano testi da leggere, a cui seguivano
domande di comprensione (perlopiù a risposta chiusa) ed esercizi di trasformazione, completamento, individuazione di
strutture, che venivano corrette automaticamente dalla macchina, ed era già un passo avanti. In questa epoca, in cui
ritornano di moda i laboratori linguistici, ambiente in cui venivano utilizzati questi programmi,i pacchetti offerti
contenevano attività perlopiù raggruppate in sezioni, centrate su argomenti grammaticali, gestiti dalla macchina, che
permetteva di proseguire solo se si era raggiunto un numero sufficiente di risposte esatte, altrimenti bloccavano
l’apprendente finché il suo livello di prestazione non avesse raggiunto una soglia adeguata. Questo sussidio tecnologico
informatico non aggiungeva però grandi vantaggi sul piano dell’apprendimento rispetto all’esercizio sul libro di testo. Il
computer riduceva semmai il carico di lavoro dell’insegnante,.
A partire dalla seconda metà degli anni ’80 si comincia a parlare di Computer Based Training, vale a dire l’uso di
software didattici che proponeva percorsi di apprendimento più flessibili e questi sistemi si fondavano su una
concezione diversa dell’apprendimento, perché, abbiamo visto nel nostro excursus metodologico, il cognitivismo si era
già fatto strada, così come nuove teorie della linguistica educativa e l’impiego di nuove tecnologie a scopi educativi. In
questabfase i materiali didattici erano caratterizzati da un forte utilizzo di applicativi e componenti offline, con limitate
prestazioni di interoperabilità, erano distribuite su floppy disk o CD, supporti che oggi non sarebbe più possibile far
funzionare. Viene dato largo spazio allo sviluppo dell’abilità di comprensione e produzione attraverso input linguistici
contestualizzati, con attività che non si limitavano a focalizzare l’attenzione solo sulle sue strutture, ma che tenevano
conto anche della componente pragmatica e funzionale della lingua.
Un’altra innovazione si ha a partire dalla seconda metà degli anni ’90 con le piattaforme online, che permettono una
maggiore condivisibilità del materiale e, soprattutto, l’integrazione di alcune funzionalità della rete. I percorsi di
apprendimento diventano sistemi aperti che possono sfruttare un’enrome quantità di risorse, sia che vengqano caricate
direttamente dagli insegnanti o già presenti in rete, offrendo un’importante multitestualità e permettendo la nuova
modalità di insegnamento detta “e-learning”, che sfrutta la rete e il sistema internet.
Tornando alle slide, gli Ins nella maggior parte dei casi continuano ad utilizzare che dichiaravano di utilizzare anche
10.-15 anni fa, ossia appunti presi durante la loro formazione, fotocopie (non tanto di libri di testo ma materiale preso da
Internet), realia, dizionari bilingui, varie grammatiche di italiano (l’Ins deve avere una grammatica di riferimento da
poter consultare). Slide 19-20-21: sono state redatte per un corso di formazione per insegnanti e le possiamo compilare
relativamente alla nostra esperienza.
Soffermiamoci adesso sulle indicazione riguardo ai principali centri in cui si eroga la formazione per Ins di IL2 e ILS. È
d’obbligo citare la nostra Università, che ha iniziato la propia attività nel 1917 (all’epoca si chiamava “Scuola di Lingua
e Cultura Italiana, solo dal 1991 è diventata “Università”). A questi primi corsi di aggiornamento e formazione erogati
già dnegli anni ’90 UNISTRASI ha sempre continuato ad affiancarne altri, tanto che si è distinta per le attività di
formazione che ha svolto. UNISTRASI si è dotata fin dalla sua nascita di un centro linguistico proprio, dedicato
all’insegnamento della Lingua Italiana, il centro CLUSS, che ha rappresentato per molti anni un’eccellenza nel campo
della formazione dei docenti, ha svolto corsi d’aggiornamento per i docenti di italiano in tutto il mondo dagli anni ‘80.
L’opera “Il Curricolo d’italiano” del 1995 (Balboni, Vedovelli, Benucci et al.) è stata la prima opera pubblicata da
UNISTRASI sull’insegnamento dell’italiano a stranieri. UNISTRASI ha anche istituito nel 1999 la Scuola di
Specializzazione per l’Insegnamento dell’Italiano come Lingua Straniera con lo scopo di formare operatori in
quest’ambito, con percorsi professionalizzanti ben delineati,. Fin dal 2004 ha erogato Master (dal 1993 erogava Corsi di
perfezionamento nella Didattica dell’Italiano a stranieri); il primo di questi è stato il Master di I livello in Didattica
dell’Italianon a Stranieri (2005-06), seguito da altri Master. Adesso abbiamo master erogati dal centro CLUSS, CILS,
DITALS, FAST, etc.
Un’altra precisazione sul centro CILS: esso è stato istituito nel 1993, centro allineato con tutte le associazioni che si
occupano di Language Testing e valutazione. Il centro CILS ha, attraverso una serie di convenzioni con i vari ministeri
preposti (Affari esteri, istruzione…) reso formalmente qualificante la certificazione ed è un elemento di riferimento sia
per la formazione in Italiano Lingua Straniera che IL2.
L’altro centro importante di UNISTRASI è il centro DITALS, fondato nel 2005 e specifico per la formazione degli
insegnanti. Esso ha creato percorsi formativi per diversi profili di insegnanti, certificazioni di I e II livello e un Master;
ha attivato vari esami di certificazioni molto specialistici, dall’ambito crocieristico a quello religioso, a quello di
specifici gruppi madrelingua, del canto operistico etc. etc.
Il centro FAST, istituito nel 2005, ha per vocazione un’attenzione particolare ai processi formativi di approccio socio-
costruttivista per l’apprendimento, in particolare con i corsi online. Si è dotato di una piattaforma interattiva ed erogava
corsi sia per percorsi di specializzazione, sia per il master ELIAS in modalità online o blended. Esso è anche un centro
di ricerca e di formazione in continua rinnovazione e sarà chiamato presto a raccogliere la sfida della progressiva
introduzione della didattica online in un ambiente che le è sempre stato precluso, ossia quello penitenziario. Le
normative vigenti impediscono l’uso di Internet nel carcere e gli App non sono dotati di PC; pertanto l’erogazione di
corsi in questo contesto è molto difficile. Non ci sono aule attrezzate né corsi specifici per l’apprendimento delle lingue
in generale, che possano essere erogati online e seguiti da parte di questo particolare pubblico di App. La situazione è
comunque in evoluzione e presto il centro dovrà costruire materiali online con limitazioni alla possibilità di accedere
alla rete per gli App detenuti.
Un altro centro importante è l’Università per Stranieri di Perugia, fondata nel 1925, si è sempre chiamata Università ma
lo è diventata a tutti gli effetti solo negli anni ’90; anch’essa eroga corsi di formazione per Ins e Master; ha istituito
corsi di formazione e aggiornamento per esaminatori CELI (certificazione di lingua italiana); ha fatto anche della
formazione glottodidattica specifica e professionalizzante per gli operatori dell’insegnamento nella scuola.
Altro centro importante è quello della “Federico II” di Napoli, che ha erogato molti corsi attraverso il suo centro
linguistico; abbiamo poi la “Ca’ Foscari” di Venezia (centro ITALS) e il laboratorio ALIAS (Approccio alla Lingua
Italiana A Stranieri), certificaizone CEFILS, biblioteca BIG (Biblioteca Italiana di Glottodidattica).
Riprendiamo dalla slide 22, concentrandoci sull’accoglienza di alunni stranieri nella scuola.
Bisogna partire quindi dalla motivazione di questi alunni; sono da una parte estranei al mondo italiano e alla sua scuola,
ma dall’altra hanno già acquisto familiarità con certe pratiche socializzanti, con alcuni ambienti di inserimento nel
territorio italiano.
Occorre come sempre considerare i bisogni di questi allievi, in questo caso scolastici e favorire il piacere
dell’apprendimento e dell’approccio alla lingua italiana. Gli allievi stranieri nella scuola italiana hanno essenzialmente
due motivazioni: una è di natura strumentale (per permettere lo studio), l’altra psicologica. La padronanza strumentale
dell’italiano di base è importante anche per l’inserimento nel mondo extra-scolastico; essa viene ottenuta anche in
maniera spontanea, e il risultato è una conoscenza della lingua che permette di comunicare comunque, ma non di
comunicare bene, quindi bisogna fare attenzione, perché si possa permettere a questi App di raggiungere una
competenza in italiano di comunicare bene, in modo da non avere problemi nell’esprimere ciò che si vuole, e per non
essere considerati linguisticamente estranei dai madrelingua. Questo livello di competenza è considerato l’obiettivo da
raggiungere. Infine, una padronanza metalinguistica permette di frequentare con profitto le lezioni e studiare sui
materiali didattici forniti a scuola. Le prime riflessioni su questi aspetti sono state elaborate a partire dai primi anni ’90 e
si sono indagati quali sono i motivi psicologici che possono determinare il successo o l’insuccesso di questo tipo di
allievi, e soprattutto come si possano inserire con profitto all’interno delle classi di una scuola.
Un libro a cui abbiamo fatto riferimento per quanto riguarda la glottodidattica italiana negli anni 2000 è “Approccio alla
llingua italaina per allievi stranieri ALIAS” (2000) di Teorema Libri, curato da Paolo Balboni, In quest’opera sono
contenute delle riflessioni di quelli che all’epoca erano i maggiori esperti di questi aspetti, tra cui Balboni stesso,
Graziella Favaro, all’epoca il punto di riferimento nazionale e non solo per le buone pratiche che riguardavano gli
alunni neo-arrivati e l’apprendimento dell’IL2. Favaro ci stimola a pensare a quali sono le identità di questi ragazzi e
bambini; all’interno di una riflessione che parte dal fatto che gli alunni neo-arrivati erano accomunati dalla non
conoscenza dell’italiano, dall’esperienza migratoria, ma che comunque le loro situazioni individuali erano segnate da
importanti differenze ed eterogeneità che dovevano essere esplorate e conosciute più nel dettaglio.
Un elemento importante da cui partire è chiedersi quali siano le lingue presenti nella classe e allestire gli spazi in modo
che tali lingue abbiano una loro visibilità: alcune buone pratiche da seguire sono elencate nella slide di cui sopra. Si
tratta di allestire uno spazio-laboratorio che possa far sentire subito l’alunno non italofono a casa sua, in modo da
permettere una esplicitazione, senza vergogne, della bibliografia linguistica e personale di queste persone, che spesso è
complesso. Spesso ci sono delle lingue in cui è stato svolto il percorso scolastico precedente all’arrivo in Italia che non
sono quelle parlate in famiglia, la lingua nazionale spesso non è quella di provenienza, altre lingue si sono incrociate
nelle singole esperienze migratorie: il background è quindi molto importante, perché oltre alle variabili oggettive (età,
formazione scolastica…) ci sono componenti attinenti alle singole storie, di cui bisogna tenere conto.
Bisogna anche tenere conto del fatto che queste persone hanno davanti a sé sfide molto importanti tipiche della loro
condizione: devono ricomporre la loro storia affettiva, tra distacchi e riunificazioni, devono affrontare la fase di
regressione propria di chi si trova, all’improvviso, senza parole, ci si trova a dover apprendere nozioni senza poter
affdarsi alle proprie conoscenze pregresse o al supporto dei familiari. Bisogna quindi prevedere subito dei materiali
appositi, informativi, ma anche stabilire fasi strutturate di accoglienza, con docenti che abbiano già svolto esperienza
con questo tipo di App, stabilire dei contatti con i genitori, raccolgiere informazioni sugli alunni e sulla loro esperienza
scolastica precedente, nonché, se possibile, dotare la scuola di un buon centro di docuemtnazione sull’intercultura.
Queste sono tutte buone pratiche di insegnamento che romai, negli ultimi anni, sono sempre più frequenti nella scuola
italiana: la creazione di laboratori in cui siano presenti le tracce del passato di queste persone.
Bisogna quindi dotare questi allievi di una interlingua iniziale che permetta loro di potersi relazionare con il gruppo dei
pari, ma anche parole, formule per esprimere sentimenti, affermare la propria volontà, chiedere permesso e spiegazioni,
quindi un linguaggio operativo per richiamare l’attenzione. Questi allievi hanno bisogno anche di poter non soltanto
utilizzare la lignua oprale, ma anche la lingua scritta: queste sono operazioni che richiedono forze notevoli e si caricano
di operazioni psicologiche complesse. Teniamo conto che la lingua scritta che si usa nella scuola è una lingua formale,
ed è diversa dai testi che possono produrre gli stranieri.
Se guardiamo la tabella in slide 29 vediamo che i testi di studio sono connotati da complessità informativa e sintattica,
sono testi descrittivi o esplicativi, sono spesso decontestualizzati perché mirati ad uno specifico argomento di
insegnamento; inoltre, contengono molto lessico astratto. I testi degli stranieri che non hanno ancora raggiunto buone
competenze in IL2 sono invece connotati da caratteristiche opposte: contengono collegamenti morfosintattici solo
attraverso pochi connettivi, usati spesso in maniera sovraesteso. C’è una forte discrepanza, quindi, tra le competenze
linguistiche richieste per poter studiare su un libro di testo scolastico, e quelle di cui gli App stranieri sono già in
possesso.
Ci siamo chiesti a lungo quali potessero essere le mosse vincenti per facilitare la comprensione dei testi scolastici: dai
primi anni 2000 ad oggi i testi sono stati migliorati ma nell’analisi di questi testi dobbiamo ricordarci che le consegne
devono utilizzare un linguaggio chiaro e semplice, soprattutto devono utilizzare formule ripetute, in modo che l’App
familiarizzi con esse, contenere parole chiave o glossari almeno bilingui, fare ricorso a supporti non verbali che
chiariscano i contenuti e redatti secondo criteri di leggibilità. A quest’ultimo riguardo la ricerca è stata sviluppata
ampiamente: non sempre, però, le ricerche svolte vengono trasposte in materiale realmente comprensibile e leggibile,.
L’inserimento scolastico di alunni non italofoni richiede che si parta dalla situazione linguistica di questi alunni, dai loro
bisogni didattici, dalla specificità dell’IL2, dalla formazione degli App. Normalmente, queste persone hanno, oltre alla
complessità linguistica proveniente dal fatto di non essere italofone, un’ulteriore complessità legata alla loro condizione
migratoria nel contesto familiare; si trovano in una posizione che deve conciliare la lingua orale usata a casa, che sarà
una varietà o un dialetto della lingua d’origine, dall’altra, la lingua per lo scritto e per lo studio è diversa e non
conosciuta, spesso, dai genitori. In questo è fondamentale l’aiuto della scuola, che deve conciliare il codice orale della
lingua affettiva con il codice della scolarità, dell’alfabetizzazione, coincidente con la lingua del Paese d’arrivo, senza
creare squilibri tra i due codici.
Teniamo conto anche che questi alunni passano senz’altro, come i loro genitori, da una fase di acquisizione di una
lingua all’altra: troviamo riassunte nella slide 35 sottostante le 3 principali fasi acquisizionali:
Il livello alto è ovviamente quello più idoneo all’ottenimento di un buon profitto scolastico.
Queste tre fasi implicano la presenza di errori nella comunicazione dell’App, che l’Ins deve non solo valutare, ma anche
utilizzare proficuamente perché l’App costruisca un percorso empatico nei confronti della scuola. L’Ins deve anche
favorire, all’interno della classe, la presenza di strategie sia sociali che cognitive, che possono in alcuni casi scaturire
spontaneamente da parte degli App, ma in altri casi devono essere fortemente indirizzate da parte dell’Ins. In slide 37
vediamo alcune di queste strategie.
Soprattutto, bisogna spingere l’App a cercare di non demotivarsi se all’inizio non comprende tutto, dobbiamo spingerlo
ad essere capace di identificare alcune parole e comprendere alcuni rapporti tra forma e funzione, e solo in un secondo
momento spingerlo all’attività più propriamente scolastiche come quelle di sintesi e rielaborazione.
Tutte queste idee sopra elencate si possono sintetizzare con due sigle (si veda slide 39), molto note in ambito
glottodidattico e ideate da Cummins, che riguardano le abilità necessarie per il profitto scolastico da parte di alunni sia
madrelingua che non madrelingua:
1) BICS: abilità di base di comunicazione interpersonale; secondo Cummins occorrono 2 anni per acquisirne una
piena padronanza;
2) CALP: abilità linguistico-cognitive accademiche, indispensabili per lo studio delle singole discipline;
occorrono 5 anni per raggiungere questo livello di competenza. È chiaro che queste sono abilità molto
complesse, e spesso nemmeno i nativi li possiedono, e la scuola è l’ambiente e il mezzo attraverso cui queste
competenze possono essere acquisite.
Focalizziamoci adesso su alcuni esempi di materiali interculturali, quali Apriti Sesamo, parte di un percorso costruito
per la scuola dell’infanzia e un esempio dalla collana Ti racconto il mio paese (volume sull’Albania).
Questi materiali sono esempi di buone pratiche in ambito scolastico italiano e, sebbene creati venti anni fa, sono ancora
molto validi. Una buona pratica è “buona” se è ancora reimpiegabile, ma va anche analizzata in base al periodo storico.
Apriti Sesamo
Questa opera è parte di un percorso di formazione prodotto alla fine degli anni ’90, finanziato dall’UNICEF; questo
materiale riuniva sia le vecchie esperienze nel settore dell’istruzione formale che quelle più innovative dell’istruzione
non formale, ed era il modo in cui l’UNICEF rilanciava il suo impegno nella scuola italiana dell’infanzia, ricollegandosi
ai nuovi orientamenti nell’istruzione statale, in particolar modo agli aspetti interculturali.
Nel PDF fornito abbiamo il capitolo 5, esempio di materiali mediatori culturali. La pagina inserita riguarda alcune
letture e testimonianze utili per la creazione di piccole biblioteche multietniche (si veda anche Vinicio Ongini, Lo
scaffale multiculturale, 1999). Si comincia con temi come “Che cos’è una moschea?” basandosi sulle testimonianze
degli alunni stessi (es. “è un posto dove ci si tolgono le scarpe”). Ci sono anche consigli su come creare in aula piccole
biblioteche multiculturali: libri in lingua originale, libri che contengano informazione sui Paesi d’origine dei bimbi
immigrati, esperienze di accompagnamento nella scuola e conoscenza diretta dei bambini “altri”…
La biblioteca presentata all’epoca con questo progetto riguardava varie lingue e vari Paesi; in questo caso il materiale
era diretto ai bambini, quindi si tratta di una visione interculturale molto semplificata e alla portata del livello
metacognitivo di questo tipo di App.
Partiamo dalla fine degli anni ’80 quando, in quella che si chiamava ancora Scuola di Lingua e Cultura Italiana per
Stranieri fu istituita una commissione (Diadori, Benucci, Cenni), incaricata di elaborare i primi programmi del centro
linguistico CLUSS. Questi programmi scaturivano da un lavoro seminariale, che si era svolto negli anni ’86-’87, da
incontri che era stato possibile organizzare a Siena con gli esperti della Comunità Europea che avevano contribuito alal
definizione dei livelli soglia, come Nora Galli de Paratesi (autrice del Livello soglia per l’Italiano, 1981),ì, Béacco,
Richterich, Wanda D’Addio Colosimo, Evangelisti, Paola Giunti (che lavoravano a Roma Tre). Il alvoro sperimentalwe
di quegli anni portò a riflessioni condivise e alla produzione di contenuti di programmi, suddivisi per tre lielli (a
quell’epoca non esisteva ancora il QCER e i corsi erogati dal centro linguistico seguivano questa suddivisione): corsi
elementari, superiore A e superiore B. Il materiale concepito all’epoca teneva conto dei bisogni emersi dalle indagini
motivazionali, come quelle interne condotte da Maggini-Parigi, sia quelle pubblicate esternamente. Questo materiale era
organizzato partendo da una scelta di atti comunicativi: seguivano poi tipi di testi suddivisi in testi scritti, immagini
statische, test registrati su cassette; abilità linguistiche e contenuti grammaticali, culturali, campi semantici, lessico.
Questi programmi non sono molto conosciuti perché non sono mai stati pubblicati, ma sono stati sperimentati per anni
nei corsi di italiano presso la Scuola di Siena. Erano materiali che attingevano direttamente ai risultati della ricerca
prodotti in quegli anni: riflessione sulle abilità linguistiche e atti comunicativi, che traeva i suoi fondamneti dal
dibattitotra microconcetti individuati da Widdowson e Munby, passando da una intrpretazione del sillabo nozionale di
Wilkins (1976). La trattazione dei tipi di testo teneva invece conto dei canali, mezzi e modi con cui questi testi si
producono, attingendo dalla descrizione di Munby e Werlich sulle tipologie testuali, con una rivisitazione teorica alla
luce della lettura della proposta di Beaugrande e Dressler sull’analisi dei testi. A quell’epoca mancava una specifica
riflessione sugli aspetti sociolinguistici e veniva presentata una visione della lingua unitaria, basata sullo standard,
anche se, già a quell’epoca, erano stati presi in considerazione alcuni fenomeni che, sia Sabatini nel 1985 che Berruto
nel 1986 stavano ufficializzando come appartenenti a una varietà denominata da Sabatini come italiano dell’uso medio
e da Berruto italiano neostandard. L’impianto generale di questi programmi risentiva però dei limiti dell’approccio al
quale si ispiravano, che erano i limiti propri dei livelli soglia e dell’approccio comunicativo minimalista, per cui l’atto
comunicativo (unità minima di analisi) tendeva a divenire l’unità d’insegnamento. Si privilegiava infatti la componente
semantica, anche se, rispetto ai livelli soglia, i programmi della scuola contenevano già un’attenzione alla fonetica e alla
grammatica che i docenti stavano recuperando dopo l’eccessiva enfasi data agli atti comunicativi pripria appunto
dell’approccio minimalista, cercando di raccordare i due aspetti. Mancava poi anche una sufficiente riflessione sulla
produzione di enunciati in rapporto all’appropriatezza al contesto socio-culturale. Un altro elemento di rilievo era che si
insisteva sull’impiego di materiali autentici (soprattutto audio-visivi su cassetta, all’epoca), settore nel quale Unistrasi
aveva condotto un’attenta riflessione; erano stati prodotti materiali didattici ad uso interno (es. L’Italiano nel cinema,
1992, Bruni, Troncarelli, Vannini mai pubblicato).
Un altro strumento al quale si collegava la riflessione di quegli anni era il Curricolo del 1995, redatto sotto la guida di
Vedovelli e Balboni. Vedovelli aveva curato soprattutto l’indagine sui programmi per l’insegnamento dell’italiano
all’estero esistenti all’epoca, operazione che permise di fare un confronto analitico con l’esterno e di elaborare una rete
di contatti scientifici con il resto del mondo. Sulla base di una dettagliata griglia di analisi fu possibile tracciare un
punto sullo stato dell’arte a quell’epoca e sulla presenza non solo di programmi, ma anche di materiali ad essi collegati.
Per quanto riguarda Paolo Balboni, il suo apporto fu soprattutto legato agli obiettivi glottodidattici, allo studio della
natura stessa di un curricolo e all’introduzione di due concetti innovativi per l’epoca: il concetto di meta-educativa e
meta-glottodidattica. Questa opera fu importante per l’impostazione del curricolo e la sequenziazione dei contenuti.
Nunan nel 1988 offrì una definizione che possiamo adottare anche oggi: il curricolo serve a identificare i bisogni,
scopi, finalità dell’insegnamento, aiuta nella selezione e graduazione dei contenuti, divisione degli studenti in livelli e
scelta dei materiali didattici da adottare, nonché impostare la verifica. Il modello di Nunan è integrato e a lui si deve la
prima distinzione tra diverse tipologie di sillabo. Per semplificare, il curricolo è un manifesto glotto-didattico, contiene
indicazioni su come condurre le lezioni, come affrontare gli aspetti psicologici, la motivazione, la gestione della classe;
il sillabo è uno strumento più neutro, perché è una lista di contenuti, da uitilizzare all’interno di un curricolo, o anche
senza di esso. Il programma, invece, è la realizzazione del curricolo e del sillabo, in base al numero di studenti che si
hanno di fronte, la struttura in cui si svolge l’insegnamento, la strumentazione e le ore di lezione a disposizione la
realizzazione concreta, quindi. Nunan è il primo che ci dà una indicazione specifica di cosa è realmente un sillabo. Il
sillabo, secondo lui, può essere orientato al prodotto o al processo. Cosa significa questa espressione? Secondo questa
distinzione, possiamo avere sillabi proposizionali o processuali. Inizialmente, Nunan e coloro che adottavano la sua
definizione, dividevano i sillabi in proposizionali formali e proposizionali funzionali: i primi avevano l’obiettivo di far
acquisire le regole linguistiche, i secondi tenevano più conto della componente pragmatica della comunicazione; oggi
questa ripartizione non è più adeguata rispetto alle proposte metodologiche che la didattica delle lingue straniere ha
fornito, riteniamo che aspetti linguistici e pragmatici non abbia senso. Per questo, oggi parliamo solo di sillabi
proposizionali. I sillabi processuali, invece, sono più rari di quelli proposizionali (anche oggi), e venivano suddivisi in
sillabi basati su compiti e processuali veri e propri. Questi sillabi erano più adatti all’evoluzione glottodidattica che era
andata sviluppandosi. I sillabi processuali sono stati superati dalla cosiddetta didattica di project work, che aveva
l’obiettivo di realizzare un progetto al quale era finalizzato lo studio della lingua; i materiali erano collegati alle
esigenze degli apprendenti e i processi di apprendimento erano basati sull’efficacia della comunicazione. Si trattava
quindi di una didattica veramente processuale o addirittura procedurale, che metteva l’accento sull’importanza di un
sillabo da sviluppare a seconda delle azioni condotte in classe. Questo tipo di sillabo ha avuto molto successo in Italia
ed è stato utilizzato anche presso Unistrasi.
Riassumendo, quindi, la storia della produzione di questi materiali in Unistrasi, si è partiti dal sillabo Galli de Paratesi
del 1987, passando per il curricolo del 1995, che conteneva un indagine sui programmi d’insegnamento e rivendicazioni
metodologiche; fu poi prodotto un sillabo interno che non fu pubblicato, sotto la guida della Prof.ssa Lo Duca e
Catricalà, e infine il sillabo CLUSS del 2007 curato e pubblicato da Benucci, sul quale ci concentreremi adesso.
Macrocompetenze generali, vale a dire “sapere” (conoscenza del mondo, conoscenza e consapevolezza
culturale), “saper fare” (capacità di agire all’interno della comunità), “saper essere” (atteggiamenti legati alla
motivazione,..), “saper apprendere”;
Competenze linguistico-comunicative, quelle più tradizionali, come competenze lessicali, grammaticali,
fonologiche, ortoepiche, pragmatiche…etc.
Si era in una fase in cui si doveva uscire dall’approccio minimalista nozionale-funzionale per impostare una didattica, e
quindi un sillabo, che fossero comunicativi in senso lato. Quali sono state le operazioni preliminari svolte dal gruppo di
ricerca (Spagnesi, Colombini, Losi, Cassandro…)? Ci sono voluti tre anni per la pubblicazione del sillabo, partendo
dall’analisi dei destinatari, dei modelli teorici e operativi, dell’individuazione delle mete glottodidattiche in accordo al
QCER. Il sillabo era articolato in 5 descrittori, con l’aggiunta di una presentazione della didattica per progetti e didattica
per temi. La scelta di questi descrittori fu dovuta a ragioni pratiche che permettessero una rapida consultazione agli
insegnanti (a cui è principalmente destinato il sillabo, oltre a coloro che vogliono stilare manuali didattici). Il sillabo
doveva essere semplice, alla portata di tutti gli insegnanti; si volle costruire un sillabo per ognuno dei livelli individuati
dal QCER. Questo costituì una prima problematica, in quanto il QCER non aveva indicazioni sulle lingue speciifche; fu
necessario quindi passare dal generale all’attualizzazione dei contenuti, confrontandosi con la problematica della
selezione dei contenuti. Il problema della graduazione impegnò molto il gruppo di ricerca; inoltre, gli elementi di tutte
le liste, soprattutto quelli degli aspetti contestuali e culturali, erano stati elaborati in modo molto complessa, ma
lacunosa (si demandava all’insegnante la scelta specifica degli elementi da trattare in ogni singolo livello).
Come si era deciso di procedere per l’elaborazione di questo sillabo, che è un sillabo improprio? Infatti contiene anche
elementi di tipo glottodidattico, quindi è più propriamente definibile come un curricolo che contiene un sillabo. Si
rivolge ad un tipo specifico di pubblico, individuato tramite indagini motivazionali interne ed esterne ad Unistrasi, e si
rifà a certi modelli glottodidattici specifici.
L’impostazione doveva essere ciclica, con una indicizzazione, in modo da evitare sovrapposizioni o lacune: se un
elemento veniva trattato per la prima volta nel livello A1, l’indicizzazione riportava un “1”, se poi lo stesso elemento
veniva riproposto nel livello B2 trovavamo la dicitura “2”. Questo significa che la trattazione di quell’argomento
doveva essere approfondita in base ai livelli.
Da cosa era partita questa elaborazione? Oltre che dalla proposta europea, si partiva dalla centralità del testo, inteso
come déclencheur, permettendo di portare alla selezione di tanti altri elementi. Il sillabo non pretendeva di essere
esaustivo ed aveva un focus sulle competenze descritte nel QCER. Il principio ordinatore in base al quale sono state
selezionati i vari elementi erano i tipi di testo; altro aspetto innovativo era il tentativo di trattare gli aspetti
sociolinguistici e socioculturali, trattati in modo vago nel QCER, ma che invece era necessario trattare per poter
permettere all’apprendente di saper integrare la lingua con altri codici. La prima sezione di sillabo si focalizza infatti
sugli aspetti testuali.
Per l’organizzazione del materiale per il carcere, si è tenuto conto del fatto che l’App tipico presenta spesso problemi di
memoria, e che spesso non ha le giuste motivazioni emotive che lo predispongono per l’apprendimento. Al tempo
stesso, si è considerato che, qualora il detenuto sia già a venuto a contatto con l’italiano prima dell’internamento, lo ha
fatto probabilmente in ambienti marginali o nel carcere stesso, durante i primi momenti del soggiorno. Molto
probabilemnte, quindi, l’App avrà acquisito formule del lessico base d’italiano, non solo tramite il canale orale, come
avviene per un immigrato del cosiddetto “mondo libero”, ma anche attraverso il canale scritto, importante per la
comunicazione in carcere, che si avvale di norme, regolamenti…testi scritti in italiano burocratico e quindi non facile.
L’App detenuto sviluppa quindi competenze pragmatiche che servono alla sopravvivenza, ma anche competenze
specialistiche legate alle azioni che si compiono in carcere, senza aver formalizzato conoscenze morfosintattiche, che
possano permettergli di distinguere in maniera cosciente i registri formali da quelli informali, pur avendo, ad esempio,
imparato a rivolgersi in maniera formale agli operatori (ignorerà invece quali altre possibilità gli siano offerte dalla
lingua). Si è tenuto conto del fatto anche che spesso questo tipo di App tende a riprodurre gli usi orali in quelli scritti,
proprio perché non ha sviluppato un’idonea riflessione metalinguistica atta a discriminare gli usi scritti da quelli orale.
L’approccio adottato nel manuale è quindi in parte induttivo e in parte deduttivo. In alcuni casi si facilita il transfer
diretto delle competenze già acquisite e negli altri si invita a riflettere e a fare delle ipotesi. Nel manuale vengono
trattate marginalmente anche le grammatiche non verbali, che in genere sono ben conosciute e appresi dai detenuti,
perché nel quotidiano vissuto carcerario i primi atti comunicativi si avvalgono di linguaggi non verbali (mimica,
prossemica). A questi linguaggi ricorrono da subito anche gli agenti per comunicare con i nuovi arrivati. In carcere è
inoltre molto presente anche un tipo di comunicazione iconica; un tempo erano rpesenti nelle celle dei graffiti, oggi non
vengono più permessi, ma è interessante osservare quali immagini hanno sostituito questi graffiti (es. poster),
caratterizzate da sincretismo religioso e contaminazioni, quali messaggi vengano selezionati da coloro che vivono nella
cella.
I testi utilizzati nel manuale sono autentici e mirano a formare competenze immediatamente spese nell’ambiente
penitenziario, rispettando per quanto possibile la sensibilità di questi App; devono inoltre costituire motivo di interesse,
in quanto questo tipo di App è caratterizzato da scarso rispetto del patto formativo, saltuaria frequenza alle lezioni (sia
perché le lezioni si sovrappongono ad altre attività tipiche della vita di carcere e non sono obbligatorie, sia per altri
aspetti psicologici); si sono quindi fatte scelte didattiche molto forti, come la rinuncia all’uso di testi trasmessi (DVD,
internet), proprio perché questi dsipositivi non sono permessi in carcere (anche se l’uso di Internet è ora ridiscusso a
livello istituzionale e si spera che ci possano essere aperture in tal senso). Per quanto riguarda il lessico contenuto nel
manuale, esso è stato suddiviso in campi semantici (riguardanti lessico spendibile in carcere) all’interno delle macro-
aree individuate nel sillabo di riferimento. Come accennato, la discontinuità della frequenza e l’abbandono dei corsi
rappresentano uno dei maggiori problemi segnalati dai formatori che lavorano in carcere: per questo motivo il materiale
didattico non poteva essere organizzato in rigide unità didattiche. I moduli sono stati suddivisi in segmenti completi, in
modo che fosse possibile una progressione nella competenza linguistica anche senza seguirli nella loro totalità. Il
ricorso alle immagini è molto importante in questi manuali, perché le immagini fungono da sussidio, sono funzionali
allo sviluppo di compiti di interesse culturale, su cui l’App è invitato a rilfettere in maniera contrastiva rispetto alla
propria cultura o altre incontrate nella propria esperienza. Le immagini sono state anche selezionate in base al tipo di
rapporto con l’input linguistico fornito nel modulo; in molti casi contribuiscono a far comprendere il testo scritto stesso.
Il manuale è concepito in modo tale che le 6 unità siano indipendenti l’una dall’altra; le griglie grammaticali e lessicali
che li accompagnano servono anche per offrire una ulteriore riflessione all’apprendente che abbia voglia di ampliare
questi aspetti in autonomia.
3.2 . Capacità di impostare materiali didattici adeguati e coerenti per le diversificate situazioni di apprendimento
e di comunicazione interlinguistica in contesti di contatto linguistico e di mediazione
Concentriamoci sulla capacità di condurre ed impostare una lezione, fondata su un elemento chiave della didattica delle
lingue, ossia la grammatica. Insegnare la grammatica e insegnare a riflettere sulla lingua vuol dire la stessa cosa? Per
Benucci, è più corretto parlare di grammatiche, anziché di grammatica: questo perché la grammatica formale e classica
non è più adeguata per rendere conto delle analisi compiute su lingue e linguaggi svolte negli ultimi 20 anni, anche su
concetti basilari come quello di tempo (es. si veda Porcelli, 1994).
La posizione 1 deriva dall’approccio traduttivo, che non è mai stato del tutto superato nella glottodidattica; la posizione
2 è più legata agli approcci comunicativi di tipo massimalista (che considera anche aspetti pragmatici e socioculturali)
ed è quindi più moderna. Essa è legata al fatto che la didattica delle lingue ha una impostazione diversa rispetto ad
alcuni anni fa, posizione che la rende centrale e che fa sì che sia finalizzata non soltanto all’aspetto linguistico. Oggi
non possiamo più pensare a una didattica indifferenziata, ma dobbiamo considerare il profilo dell’apprendente e
customizzare il più possibile su questa base l’esperienza didattica. Da un insegnamento a pubblici generici abbiamo
quindi un’attenzione dedictaa a specifici contesti, gruppi speciali, anche a livello pragmatico, testuale, interculturale…
Tutto questo porta a una nuova concezione della educazione linguistica e della glottodidattica, che risponde alle
esigenze di multilinguismo e multiculturalismo e che propugna approcci di tipo costruttivista (es. Approcci
intercomprensivi); comporta la priorità del processo sul prodotto e la necessità di veicolare, assieme alla lingua, anche
la dimensione culturale.
Quali sono stati i cambiamenti nella storia dell’approccio dei metodi riguardo alla concezione della grammatica?
Sia negli approcci pre-scientifici che in quelli scientifici, la grammatica coincideva con la lingua e con il manuale, Non
ci si preoccupava di cosa insegnare né di come farlo; solo con la seconda fase degli approcci scientifici, quella
comunicativa, ci si è orientati su una pluralità di aspetti della lingua e di condizioni in cui insegnarla, interrogandosi su
quale ruolo abbia l’insegnamento della grammatica, quale grammatica e quale modello di lingua proporre per
l’insegnamento, su come insegnare la grammatica e con quali strumenti, quali competenze siano necessarie da parte di
Ins e App. Il metodo grammaticale traduttivo non è stato mai completamente superato: si preferisce ancora la teoria
deduttiva (dalla regola formale si giunge alla lingua funzionale), si caldeggia un apprendimento mnemonico, l’Ins è
centrale nell’apprendimento, il modello di riferimento è quello della lingua scritta; la traduzione è l’esercizio tipico di
verifica e il testo letterario è proposto come modello di eccellenza linguistica. Le reazioni indotte dall’approccio
nozionale-funzionale prima e da quello comunicativo poi, hanno modificato, almeno sul piano teorico, la concezione
della grammatica nell’insegnamento della lingua; le conseguenze pratiche sono invece ancora scarse.
Tornando al ruolo della grammatica nell’insegnamento delle lingue, se prima la grammatica era l’unico contenuto dei
corsi di lingua, la prima reazione, forse spropositata, è stata quella dei metodi naturali, strutturo-globale, audio.orale
meccanicistico, caratterizzati dalla totale assenza di grammatica. La grammatica è stata poi recuperata in maniera
funzionale grazie agli approcci comunicativi e quelli per competenze ed eclettici (quelli più recenti). L’approccio
comunicativo è basato su unità capitalizzabili, ossia di sistema, che l’App può sommare l’una alle altre; è un approccio
criteriale, legato alla nascita delle certificazioni linguistiche, è un approccio che permette di vivere linguisticamente nei
paesi della L2, in cui si fa molta attenzione ai ruoli, ai rapporti interpersonali e alla personalità dell’App. L’umanesimo
glottodidattico parte non tanto dall’oggetto dell’insegnamento, bensì dal suo attore, ossia l’App, e dalla sua personalità
ed esigenze. Queste esigenze sono legate ai suoi sentimenti, alle sue valutazioni sulla L2 e la relativa cultura. Si cerca
quindi di evitare le situazioni che mettono a disagio l’App, anche dal punto di vista dei rapporti sociali all’interno del
gruppo dei pari, la responsabilità, l’essere attivi nel processo di apprendimento, nella correzione degli altri presenti in
classe, l’autorealizzazione, e quindi anche il piacere dell’apprendimento. La nozione di grammatica dilatata che
Benucci vuole proporre comprende quindi anche le nozioni classiche (fonologiche, lessicali, morfosintattiche…), ma
anche quelle culturali e pragmatiche. A una idea monolinguistica e monofunzionalistica della lingua, si sostituisce
quindi un’idea plurilinguistica e polifunzionalistica. Consideriamo la competenza una serie di grammatihce: se
vogliamo far agire socialmente un soggetto attraverso la lingua, la competenza grammaticale dev’essere collegata a
quella pragmatica, a sua volta collegata alla dimensione sociolinguistica e culturale. In questo processo di revisione
degli aspetti grammaticali bisogna anche tenere conto del fatto che l’insegnamento delle lingue è un processo
multidimensionale, in cui interagiscono varie dimensioni; neuropsicologica, linguistico-comunicativa, socioculturale,
educativa…bisogna quindi sempre porsi le quattro domande fondamentali della glottodidattica:
1) Che cosa si apprende?
2) Come si apprende?
3) Quando si apprende?
4) Perché si apprende?
Se le competenze formali riguardano la padronanza degli elementi formali della grammatica in senso stretto, queste
competenze si riferiscono a categorie, processi, relazioni, ma non possono essere analizzati uno per volta a sé stanti,
senza tenere conto degli aspetti più generali della comunicazione. La grammatica, anche nel QCER, è definita come una
conoscenza fatta di entità, di aspetti di controllo di correttezza, ma legata anche all’apprezzamento di chi la utilizza,
quindi nel QCER non vengono fornite indicazioni precise, la trattazione rimane indeterminata. Ci possiamo avvalere
delle sequenze di acquisizione, sviluppate dalla linguistica acquisizionale a partire dagli anni ’90 (es. Scuola di Pavia),
ma l’Ins deve anche operare delle scelte (es. elementi primari che garantiscono la sopravvivenza linguistica in un certo
Paese), in base a criteri didattici elaborati dall’Ins stesso.
La grammatica può essere presentata in classe in vari modi, sono state elaborate molte tassonomie a questo riguardo:
normativa, che si attiene fedelmente alla descrizione codificata della lingua, descrittiva, che cerca anche di spiegarne e
descriverne i mutamenti, storica, comparata, che mette a cofronto più lingue o varietà; generale, legata ai principi di
linguistica; puramente teorica, costruita a tavolino, del testo, quindi concreta; pedagogica, la più utile per l’Ins, assieme
alle altre che comunque fanno parte del suo background, per la trasposizione nell’attività didattica. La grammatica
pedagogica è concepita non per essereil più possibile fedele alla norma, ma per essere operativa ed essere appresa in
modo più facile possibile, è un adattamento della grammatica di riferimento.
Il dibattito su come insegnare la grammatica nel tempo si è evoluto, ha assuntio varie posizioni; alcuni preferivano
presentare una grammatica empirica, costruita in modo spontaneo e emergente dai testi utilizzati in calsse; altri davano
importanza alla grammatica strumentale, focalizzata sull’insegnamento di certi aspetti comunicativi; in altri casi si
preferisce una grammatica procedurale, direttamente collegata alle attività didattiche svolte in classe. A partire dagli
anni ’90 si parla di grammatica ciclica, che procede per successivi approfondimenti in modo ciclico (v. anche sillabo del
2007). Si è discusso se la grammatica sia più facilmente appresa in modo induttivo o deduttivo, o ancora cognitivo,
quindi basato su analisi e riflessioni, o infine meccanico, senza analisi e riflessione; come conoscenza conspaevole o
inconsapevole. Questo dipende dal tipo di App e dal tipo di corso.
Quale ruolo ha l’insegnamento della grammatica? Esso serve a conoscere il funzionamento delle lingue, ma deve
servire anche a raggiugere competenze comunicative e alla formazione dell’individuo: io posso conoscere la
grammatica di sei lingue oltre alla mia L1, ma posso non saperci comunicare. La conoscenza pura e semplice degli
elementi grammaticali non serve quindi per comunicare in una data lingua. Questo è un errore in cui siamo incorsi per
molto tempo nella didattica delle lingue. Parlare di grammatica significa però anche occuparsi di sviluppo della
metacognizione, dei motivi e dei bisogni dell’App, del posto della grammatica in curricoli, sillabi e manuali.
Tornando al tema dell’insegnamento della grammatica, quando parliamo di adottare una visione globale della
grammatica non vogliamo dire che l’insegnamento tradizionale della grammatica non sia utile; lo può essere con
apprendenti abituati a un apprendimento improntato sulla grammatica, inoltre serve anche ad attrirare l’attenzione su
determinati argomenti, è quindi necessaria la programmazione dell’insegnamento degli elementi grammaticali. Tuttavia,
l’insegnamento della grammatica non può essere un’attività a priori, perché il modo in cui una conoscenza esplicita può
condurre allo sviluppo di conoscenze implicite, quindi è meglio adottare delle pratiche di sensibilizzazione e evitare
approcci troppo lineari e pianificati rispetto ai contenuti grammaticali. Bisogna tenere conto anche dell’aspetto legato
alla teoria della processabilità, o ipotesi dell’insegnabilità (Pinemann, Levelt):, analizzando le implicazioni nel
processo di acquisizione di dati; si procede dal più basso al più alto secondo 5 tappe di progressione; inoltre sostiene
che ciò che non può essere processato e quindi analizzato non può essere acquisito. Dunque, la presentazione della
grammatica è legata alle procedure didattiche utilizzate, e all’attività che noi facciamo svolgere agli App per processare
i dati elementi che vengono processati. Gli App devono quindi aver maturato prerequisiti linguistici che lo rendono
pronto a processare queste nuove strutture, al netto della variabilità individuale. L’individuo ha sempre la possibilità di
scegliere tra le strategie di apprendimento in base alle condizioni che in quel momento ritiene più importanti.
Consapevolezza metalinguistica
Per raggiungere la consapevolezza metalinguistica bisogna lavorare anche in base all’identità delle persone e dell’App
stesso. Consapevolezza metalinguistica e attenzione alla forma sono meno importanti per i bambini, le persone poco
istruite e coloro che devono usare la lingua per sopravvivenza, nonché coloro che hanno uno stile di apprendimento
globale. È mediamente importante questa consapevolezza per coloro che hanno un profilo intermedio per età,
background, stile di apprendimento… mentre è più importante per gli adulti, con livello medio-alto di istruzione,
bisogni professionali più specialistici e che possiedono uno stile di apprendimento di tipo analitico, che vogliono gestire
anche il livello formale della comunicazione ancora enfasi sul profilo individuale dell’App.
Translanguaging
La consapevolezza metalinguistica è anche strettamente legata ai nuovi pubblici per le lingue, e soprattutto per IL2
oggetto di riflessione in questi anni. Torniamo al concetto di translanguaging, legato al concetto di IC: questo tipo di
puibblico interessato al translanguaging, pubblico plurilingue, all’interno della stessa classe riunisce individui con
identità linguistico-culturali variegate, che richiedono approcci pedagogici in cui la trattazione degli aspetti
grammaticali sia flessibile, per via della disoogeneità del pubblico stesso. L’IC qui si applica perché alcuni App possono
aver incontrato lingue romanze o avere una ligua romanza come L1: di questo si deve tenere conto nella trattazione
della grammatica, nel secondo caso, ad esempio, si potrà andare un po’ più in profondità nella trattazione della
grammatica.
Detenuti e rifugiati
Vediamo quali sono i contesti di apprendimento che si presentano per la didattica dell’italiano: in particolare ci
soffermiamo su due categorie di nuovi pubblici, considerati pubblici svantaggiati: i detenuti e i rifugiati. Essi sono
persone che hanno un carattere simile per quanto riguarda le ricadute dell’azione didattica e superdiversità, che nel
nostro caso può essere un elemento che da iniziale impedimento puù essere una ricchezza. Questi due tipi di pubblici
sono quelli per cui la didattica dell’IL2 si rivolge in modo più massiccio: sono persone che hanno necessità di percorsi
didattici particolari, perché hanno bisogno di potersi integrare, anche linguisticamente nella società, nel rispetto del loro
progetto migratorio e della loro lingua d’origine. Per ora, sono poche le azioni mirate per questi pubblici erogate:
occorrono pratiche didattiche interculturali, prevedere un approccio didattico di tipo cooperativo, sia cognitivista che
anche riflessivo, rispettoso del fatto che queste persone non sono abituate allo studio. Con queste persone occorre
programmare percorsi che facilitino l’inserimento professionale nel paese d’arrivo, per il quale è necessaria una
preparazione linguistica. Questo pubblico è caratterizzato da competenze intuitive implicite, sbilanciate e lacunose nella
L2, acquisite sul campo. Molto spesso c’è forte discrasia tra produzione orale e scritta (sono venuti soprattutto a
contatto con la lingua orale, infatti); difficilmente riescono a gestire il codice scritto. Sono quindi persone che hanno
bisogno di un approccio alla grammatica diverso. Per quanto riguarda l’inserimento linguistico.professionale occorre
elaborare sillabi e materiali finalizzati allo scopo settoriale: occorre ricorrere al concetto di parizalità delle conoscenze,
non mirare presentare tutto e subito, enfatizzare l’autopromozione, approccio interlinguistico e interculturale. I
contenuti morfosintattici devono essere qualitativamente poco elevati, spesso c’è necessità di introdurre dei tratti di
italiano regionale o locale a seconda di dove dovranno svolgere attività lavorativa o se, come in carcere, si confrontano
con realtà di parlati strettamente regionali o dialettali. L’input linguistico è qualitativamente limitato al dominio
lavoratvo, ma deve essere contestualizzato. Questo deve essere perseguito attraverso l’adozione di idonee procedure
didattiche, che rendano conto del fatto che gli allievi sono discontinui, sono poco abituati allo studio, etc. dev’essere
quindi una didattica flessibili. Occorre fornire a queste persone strutture linguistiche di base individuando quelle di più
immediata spendibilità nei contesti di interesse, fornire consapevolezza dell’uso di questi elementi, che sia rapportabile
alle loro abitudini di studio e al bagaglio di vita. Alcuni elementi fondamentali per altri potranno essere tralasciati in
questi corsi, e, viceversa, potrebbero essere introdotti elementi lessicali specialistici ma d’uso comune per il destinatario
dell’azione didattica.
La selezione di input per una lingua finalizzata all’azione è proiettata quindi a livelli pragmatico-referenziali: seguire
istruzioni, riflessioni metalinguistiche (es. lavoratore che chiede spiegazioni); si deve far sì che i sillabi sfruttino le
abilità dell’adulto nei contesti professionali o di vita quotidiana. Per insegnamento di ILS a scopi professionali bisogna
operare scelte sulla base dei contenuti o del livello di difficoltà. Es. Comprensione:si possono selezionare strutture più
complesse rispetto ad un corso di analogo livello per diverso pubblico, ma magari non si chiede questa competenza in
termini di produzione (o, se lo si richiede, lo si fa in modo permissivo). In altri casi sarà necessario presentare all’App e
richiedergli certi aspetti/formule della lingua in modo “mnemonico” perché, anche se complesse grammaticalmente,
sono necessarie per l’uso in ambito lavorativo. Per impostare un sillabo per scopi professionali è necessario in molti casi
scardinare l’ordine di acquisizione naturale, nel rispetto della parzialità delle conoscenze, presentare un livello A1 che
però può contenere anche elementi lessicali/sociologici che sarebbero altrimenti affrontati in altri livelli, anche se in
geenrale dovrebbe essere considerata la consapevolezza nell’uso. Per gli aspetti lessicali bisogna far riferimento al
sottocodice linguistico professionale di destinazione; fornire alcune regole base di formazione delle parole, così da poter
fornire strategie di associazione agli allievi e far loro prevedere il senso di vocaboli che non conoscono.
Per ciò che riguarda gli aspetti SL; bisogna dare priorità al canale in cui l’App si troverà più frequentemente a ddover
comunicare; questi varieranno quindi a seconda del contesto lavorativo oggetto dello studio. L’asse diafasico sarà quindi
molto importante, con le regole ad esso corrispondenti, soprattutto per quanto riguarda il livello di formalità.
Manuali
Torniamo ora sulla trattazione della grammatica, intesa in senso generale. Ponendosi di fronte a un libro di testo si
possono osservare vari aspetti relativi alla grammatica, innanzitutto, come si presenta dal punto di vista grafico, la
grammatica? Caratteri diversi, colore, impaginazione… è capace di attirare l’attenzione? Si parla in modo esplicito di
grammatica nel manuale? A partire dalla grammatica di Port-Royal, che ha dato origine all’analisi logica, per arrivare
poi alla grammatica fattoriale… ci sono varie scuole di pensiero su ome strutturare la grammatica. Quanti e quali livelli
vengono presi in considerazione? Il livello fonologico spesso nei manuali di ILS è assente, o viene presentato in
un’Unità 0 e non più ripreso. Poi abbiamo la presenza o meno di elementi in altre lingue (es. inglese, arabo); come la
presentazione della grammatica si lega al resto dei contenuti; com’è suddivisa la grammatica (criteri di graduazione, il
manuale la suddivide anche all’interno della stessa unità, dove è trattata, nell’unità o nel capitolo, all’inizio o alla fine,
in più punti…?). Altro aspetto importante è come viene presentata la grammatica: es. livello di esplicitazione (sono
presenti aspetti metalinguistici? E con quale dettaglio?). Come viene fatta osservare la grammatica? Se è presentata
semplicemente con l’oggetto di studio in sé stesso, o con un dispositivo che attiri l’attenzione (es. “Osserva!”,
“Attenzione!”), se è trattata sottoforma di griglia o schema, o se è una descrizione simile a quella di un libro a uso dei
nativi e quindi molto complessa. Possiamo poi riflettere su come è denominata (“Riflessione grammaticale”, “Occhio
alla lingua”…), sempre che lo sia; all’interno dell’apparto regolistico sono indicati anche aspetti SL o SC (es.
indicazioni sull’uso della norma secondo la tradizioni, varietà dialettali a livello fonologico); se è presente un aspetto
contrastivo (se il manuale è destinato ad un pubblico con una determinata L1); livello metalinguistico adoperato. Più nel
dettaglio, riguardo a dove è trattata la grammatica: si trova all’inizio dell’unità, prima o dopo le letture, gli esercizi,
viene utilizzata per far svolgere l’esempio, è presentata una volta sola o per gradi in vari punti dell’unità; la incontriamo
proposta tutta insieme alla fine del manuale, ogni 2.3 unità, in un’appendice a parte…?
È molto importante anche come la grammatica viene denominata (“Osservate!”; “Riflessione grammaticale”;
“Momento grammaticale”…); ciascuna di queste denominazioni comporta una modalità di concepire la grammatica. Ad
esempio se si nomina soltanto, significa che si concepisce l’insegnamento delle lingue in modo più tradizionale, ossia
coincidente con l’insegnamento della grammatica, se si invita all’osservazione, significa che si vuole adottare un
approccio riflessivo e di tipo cognitivo; se si utilizzano domande (“Secondo te come funziona?”), vuol dire che si invita
esplicitamente l’apprendente a interagire.
Chiaramente se osserviamo la panormaica dei manuali nel tempo si vedono queste differenze di approccio; si
riscontrano quali erano le idee dell’epoca riguardo alla trattazione della grammatica; v. slide 42, manuale del 1985
(Papi, agli inizi dell’approccio comunicativo e della sua diffusione in Italia), abbiamo quindi un manuale molto
chematico, in cui la grammatica viene presentata in maniera molto tradizionale, denominata come tale. In “Comunicare
meglio”, dello stesso anno, si ha maggiore sensibilità nei confronti degli aspetti comunicativi, e gli elementi
morfosintattici vengono presentati meglio attraverso il dialogo, quindi in modo più concreto. Nel 1992 abbiamo ancora
un manuale (Moretti) che si presenta come manuale di italiano L2 ma è in effetti un manuale di riferimento che
potrebbe essere usato dagli italofoni, per la sua difficoltà, anche perché la grammatica viene trattata con un
metalinguaggio molto specialistico. Altri manuali più recenti, come Turandot, sono indirizzati a un pubblico specifico
(es. studenti cinesi che vogliono imparare l’italiano), consentendo così una presentazione della grammatica in senso
comparativo.
Un altro manuale del 2010, L’ora di italiano, è destinato a detenuti stranieri, manuale particolare per via delle esigenze
metacognitive particolari, problematiche psicologiche, necessità di essere motivati… in questo caso si utilizzano aspetti
morfosintattici presentandoli nella maniere più semplice possibile (come osservazione, schema), senza introdurre
denominazioni e aspetti metalinguistici nella trattazione, partendo dal presupposto che l’App potrebbe avere difficoltà
nel padroneggiare il concetto di sostantivo, verbo… Gli aspetti morfosintattici vengono quindi presentati a partire da
testi, in maniera parziale e ciclica; se nel testo sono utilizzate alcune forme, non si presenta una tabella con tutte le
possibili realizzazioni di quella forma, ma solo gli aspetti utili alla comprensione del testo input e a svolgere le attività
proposte.
2016, Bravissimo presenta sempre gli aspetti morfosintattici come griglia da far riempire all’App, che così è
protagonista nella costruzione della propria riflessione grammaticali. Questi ultimi due manuali presentano gli aspetti
morfosintattici come “Osserva e rifletti”, sollecitando la partecipazione dell’App nella riflessioni, senza neinte di
esplicito o a priori.
Errori
La concezione dell’errore è mutata nel tempo a seconda di approcci e metodi che si sono succeduti.
Nell’approccio nozionale-funzionale l’errore viene visto non solo dal punto di vista della struttura, ma anche e
soprattutto dal pdv pragmatico, nell’approccio comunicativo si riscopre poi il ruolo dell’errore e della grammatica e si
accorda molta importanza all’errore in base al contesto, allo scopo comunicativo, alle performance che possono non
aver tenuto conto delle regole sociali (es. dare del tu all’Ins); l’errore è quindi di passaggio o non passaggio del
messaggio, l’App deve essere in grado di farsi capire, quindi è la spia di comportamenti dettati da processi emotivi,
attentivi… e quindi spia dell’apprendimento stesso; viene addirittura sollecitato, in modo da far riflettere l’App sul
proprio processo di apprendimento della L2.
Spesso nei corsi di lingua si pretendeva una correttezza da parte dell’App nell’uso delle forme linguistiche che a volte
neppure i nativi potevano produrre; la preoccupazione dell’errore era talmente presente che non si teneva conto di una
serie di variabili importantissime. Può essere un errore quello prodotto in un testo scritto, che però non lo è in un testo
orale, per la natura stessa, più permissiva, del parlato (es. accordi, consecutio temporum).
Bisogna anche tenere conte del fatto che, oltre al canale, un altro elemento importante è la continua evoluzione della
lingua: un errore considerato come tale venti anni fa oggi potrebbe non esserlo più. Ad esempio, nella storia della lingua
italiana, fino agli anni ’90 alcuni tratti dell’italiano dell’uso medio venivano considerati nelle grammatiche e nei
programmi di insegnamento di IL2, es. egli/ella esso/essa nel parlato, l’uso del ci attualizzante, le dislocazioni…oggi
invece sono ammessi a pieno titolo come corretti nel parlato e a volte anche nello scritto.
Dobbiamo anche tenere conto delle interferenze delle lingue con cui l’app è venuto in contatto (quella materna, ma
anche altre), l’aspetto psicologico nei confronti dell’appropriazione di una lingue; inoltre, dobbiamo sempre tenere a
mente che l’aspetto interattivo e funzionale è prioritario rispetto a quello sintattico e morfosintattico, soprattutto rispetto
a certi tipi di App (un adulto immigrato è più concetrato sugli aspetti strumentali della lingua, e l’Ins dovrebbe tenere
conto).
Dobbiamo anche ricordarci che nell-appropriazione del sistema regolistico di una lingua si procede per tentativi,
secondo il sistema del problem-solving, come dimostrato dalla linguistica acquisizionale; l’errore quindi è
fondamentale! Anche nell’acquisizione della L1 l’aspetto pragmatico è il primo a venire acquisito, quindi lo stesso
ordine dovrebbe essere seguito anche nei corsi di lingua. Alcuni, soprattutto di fronte a un corso destinato a determinati
tipi di App con L1 unitaria, cercano anche di applicare i principi della linguistica acquisizionale e dell’analisi
contrastiva; purtroppo non tutti i risultati di questi approcci sono stati verificati o validi, le variabili personali sono
inoltre molto importanti nella produzione degli errori.
Una buona pratica per trattare l’errore nel corso della didattica è quello di responsabilizzare l’App (Se questo è
adolescente o adulto); in slide 57 ne abbiamo un esempio (riflessione individuale, autocorrezione), fornendo griglie che
invitano l’App a valutare autonomamente a valutare la propria produzione (valutazione dello scritto di uno studente;
l’insegnante ha segnalato che ci sono aspetti non precisi e ha invitato lo studente a rilegere il testo sulla base della
griglia e questo è stato in grado di produrre un’autocorrezione, magari anche aiutandosi con una grammatica; abbiamo
anche uan riflessione sul perché l’App ha sbagliato. Nel percorso di studio l’App è stato sensibilizzato anche sugli
aspetti che influiscono sull’apprendimento. Slide 58-59: App viene invitato a fare riflessioni esplicite (non ci interessa
che siano corrette o meno! Differenze tra varie lingue; studentessa greca parla delle sue difficoltà e come ha cercato di
sueprarle). Queste attviità che invitano lo studente a riflettere sulle proprie difficoltà sono molto utili. Resta il fatto che,
per quanto riguarda l’italiano, ci sono comunque luoghi comuni diffusi in tutto il mondo su ciò che è facile o difficile, o
idee preconcette; in slide 60-61 vediamo alcuni risultati di un’indagine condotta anni fa in cui si chiedeva agli App di
valutare le proprie difficoltà e gli errori più comuni. Campione di 657 individui, idee degli App sulla propria
performance in italiano sono state poi incrociate con i loro test di entrata per capire quanto la loro idea corrispondesse
alla realtà: per la maggior parte degli App l’idea delle loro conoscenze dell’italiano era influenzata dalle presentazioni
che avevano avuto di questa lingua, da come erano organizzati i contenuti nei manuali, da come era stato condotto il
programma di studio e la tradizione dell’insegnamento ricveuto nel Paese di provenienza. Generalmente, spesso a torto,
l’italiano era considerato una lingua facile, perché si suol dire che l’italiano si “parla come si scrive” (ma non è sempre
vero!!). Le motivazioni che spingevano gli App allo studio dell’italiano erano la piacevolezza, la pertinenza rispetto ai
bisogni, la sicurezza psico-sociale che poteva essere indotta dal percorso di apprendimento. Per gli studenti gli aspetti
più importanti della grammatica erano quelli di somiglianza con la propria lingua (spagnoli e inglesi); al contrario per
tedeschi (abituati a un approccio contrastivo nella didattica delle lingue) e giapponesi; molto importante anche la
presentazione di aspetti che spesso vengono sbagliati dagli App. Molto attenti agli aspetti contrastivi della lignua per
tradizione scolastica sono gli spagnoli, i tedeschi, i giapponesi, al contrario di americani e greci. Da questa indagine è
risultato un nocciolo duro di errori che tutti fanno (esempio: consonanti, uso articoli, preposizioni, perfetto VS
imperfetto, problematici anche per gli italofoni). Altri aspetti sono più dipendenti dalla tradizione di insegnamento
dell’italiano nella presentazione di aspetti morfosintattici tipici dell’italiano standard.
Se gli errori possono variare in base alla LM, percorsi di stdio dell’App, empatia nei confronti di una lingua, a noi
interessa soprattutto analizzare nello specifico la trattazione degli aspetti grammaticali da parte dell’Ins.
È necessario considerare due livelli nei confronti degli aspetti morfosinatttici e degli errori: la conoscenza degli
elementi discreti (es. la coniugazione di un verbo, l’uso dell’articolo) e quello della consapevolezza del loro posto e
peso nel sistema (quando ho uan lingua che può usare più varianti per esprimere lo stesso concetto, posso come studente
avere difficoltà nella scelta se non mi vengono forniti gli strumenti idonei: esco di casa o esco da casa? Deve essere
l’Ins a spiegarmi perché in questo caso l’italiano è ridondante. Ci sono però anche esempi più complessi, es. scelte
basate su aspetti sociolinguistici, pragmatici, culturali). Bisogna quindi porre attenzione all’idea di grammatica che si ha
(o meglio, di grammatiche) e a come insegnare gli aspetti della grammatica.
Posizione di Benucci: predilige un apprendimento di tipo attivo da parte dell’App, invitato a riflettere in senso
metacognitivi e a focalizzare la propria attenzione sul processo, anziché sul prodotto, ossia su come arriva a raggiungere
certi risultati e non sul risultato stesso. Proporre quindi ambienti formativi facendo leva su alcuni aspetti della
personalità: enfasi sulla costruzione della conoscenza, motivare l’App e farlo interagire, proporre il più possibile
compiti autentici che possano condurre a un apprendimento di tipo esperienziale, far sì che l?App riceva una didattica il
più aderente possibile alle proprie attitudini personali.
Teniamo conto anche di due differenze nei confronti dell’insegnamento: una cosa è l’insegnamento della grammatica,
un’altra è la riflessione sulla lingua. Nell’insegnamento della grammatica lo studente non prende l’iniziativa, fa gli
esercizi, che spesso vertono su singoli frasi avulse da testi (che invece rappresentano unità comunicative) e spesso si
tratta anche di esercizi prodotti ad hoc per presentare quell’argomento. In un testo autentico, invece, posso trovare o non
trovare l’argomento che voglio presentare, quindi questo comporta un tempo maggiore necessario alla scelta del
materiale da presentare in classe. Nel testo autentico potrei anche avere altri elementi che ivncee in quel momento non
voglio presentare. L’Ins decide gli argomenti, i tempi della riflessione (quante volte ripresentare in classe la stessa
forma), quale livello di correttezza richiedere riguardo a determinati elementi. La lingua è concepita come regole di
fonologia, morfosintassi, ortografia, aspetti testuali. L’idea della lingua è quella di una lista di regole e, inq uesto tipo di
insegnamento, più tradizionale, si fa ricorso anche alla terminologia grammaticale, non soltanto nelle spiegazioni, am
anche nelle istruzioni per svolgere le attività (“completa con gli agg. qualificativi”, ma il mio App potrebbe non sapere
cos’è un agg. qual: si crea un’ulteriore difficoltà all’App!).
La riflessione sulla lingua in classe invece implica l’attivazione presso l’App di aspettative, far sì che possa, attraverso
le tecniche didattiche, processare e elaborare input, verificare le ipotesi che esso si era fatto circa il funzionamento di
una determinata regola. Questo si ottiene spesso anche con la richiesta di completamento di griglie grammaticali; l’Ins è
il regista che guida la riflessione. La lingua non è concepita solo come forma, ma anche come insieme di grammatiche,
non solo aspetti morfosintattici, lessicali… ma anche prgamatici, culturali, comunicativi Si ricorre alla etrminologia
solo quando è indispensabile. Da parte dell’Ins, per una conduzione dell’insegnamento degli aspetti morfosintattici più
corretta possibile occorrono competenze specifiche:
3.3 Capacità di impostare materiali didattici adeguati e coerenti per le diversificate situazioni di apprendimento
e di comunicazione interlinguistica in contesti di contatto linguistico e di mediazione
Ci occupiamo adesso delle tecniche didattiche , gli strumenti fondamentali per realizzare la didattica. Una tecnica
didattica può essere valida a seconda del contesto di utilizzo, quindi anche tecniche più tradizionali (es. esercizi di
traduzione) possono essere utile purché inseriti in maniera ludica o presentati in funzione di altre attività. A partire dai
livelli più alti (es. B2) si possono utilizzare tecniche più complesse, che implicano la traduzione, la transcodificazione e
che soprattutto portano alla riflessione contrastiva e possono vertere su elementi sociolignuistici (quindi di maggiore
difficoltà).
Cosa sono le tecniche didattiche?
Le tecniche didattiche sono procedure operative che traducono le indicazioni del metodo in atti didattici. Ogni tecnica
dovrebbe coinvolgere alcuni procesi cognitivi, linguistici, implicare un certo modo di gestione della classe (concessione
di autonomia minore o maggiore, condurre la riflessione su aspetti culturali o pragmatici…).
Esse possono essere classificate con varie tassonomie; la più generale è quella che le suddivide in tre amcrocategorie:
- Tecniche di tipo comportamentistico; tecniche che stimolano poca riflessione, ma sviluppano certe abilità;
- Tecniche simulative, che simulano la comunicazione reale;
- Tecniche manipolative, che servono a manipolare il testo input e quindi servono maggiromente a puntualizzare
la riflessione e l’analisi critica di ciò che si sta facendo.
Un’altra precisaazione da fare è che spesso, a torto si parla solo di esercizi quando si allude alle pratiche didattiche
contenute in un corso o in un manuale. Dovremmo invece essere più precisi, in quanto le tecniche didattiche
comprendono due macro-tipologie: attività e esercizi. Sono attività tutte le tecniche che implicano l’uso della lingua
per uno scopo comunicativo, motivano e coinvolgono entrambi gli emisferi. Gli esercizi invece sono più finalizzati
all’addestramento verso una determinata regola, sulla sua fissazione, creazione di abitudini mentali; possono essere
usati come manipolazione del testo ma sono generalmente poco motivanti e coinvolgono il solo emisfero sinistro. Non
sono quindi finalizzati a un vero e proprio scopo comunicativo. Entrambe le tipologie sono comunque utili e possono
essere usate nello stesso amnuale, senza che si mettano in contrapposizione le abilità che essi stimolano. Gli esercizi
sono più meccanici e servono per la fase di memorizzazione; le attività sono più divertenti e servono maggiormente
all’apprendimento. Apprendere non significa memorizzare: posso imparare a memoria il paradigma dei verbi in
spagnolo e dimenticarle subito, mentre invece l’apprendimento della comunicazione, se motivato strumentalemente, si
perde con maggior difficoltà.
Le tecniche didattiche possono anche essere sotto-categorizzate per scopi: analisi, sintesi, riflessione, controllo,
rinforzo, recupero, comprensione… a seconda delle finalità possiamo scegliere questa o quella tecnica.
Le tecniche volte all’individuazione di certi elementi sono derivate dall’impiego di un input testuale, in cui si chiede
all’App di intervenire (sottolineatura di alcuni aspetti o parole, ricopiarle…); altre tecniche favoriscono la formulazione
di ipotesi (impiego di griglie, schemi vuoti, discussione in classe); le tecniche più adatte alla fissazione possono essere
di natura comportamentistica (es. manipolazione, giochi); con i livelli più avanzati possiamo avere anche la creazione di
veri testi, legato comunque alle tecniche di reimpiego). Per reimpiego si intende l’utilizzo creativo degli elementi della
lingua, con esercuizi in cui si applicano le regole, ma con funzione comunicativa. Ci sono poi anche tecniche che
stimolano una riflessione esplicita, che può essere guidata o no dal docente.
Abbiamo anche una suddivisione delle tecniche in intralinguistiche e interlinguistiche; le prime sono le tecniche che
implicano il alvoro su una sola lingua (L2 o L2), producono certe abilità come saper dialogare, saper riassumere,
prendere appunti, parafrasare, scrivere sotto dettatura, parlare a partire da una traccia scritta…queste tecniche implicano
una concentrazione sioprattutto sulal lingua target; le seconde coinvolgono almeno la lingua target e la L1, o anche altre
lingue, come nel caso dell’InC. Le tecniche interlinguistiche implicano attività di traduzione e interpretariato, possono
servire per condurre un’analisi comparativa e migliorare la capacità di lettura di tipo intensivo. Entrambe le tecniche
sono da alternare, ma le intralinguistiche sono più adatte ai primi livelli, le interlinguistiche dal B2 in poi.
Al di là di queste etichette, vediamo alcuni esempi di tecniche.
Esempi di tecniche
Role-play
Tecnica molto utilizzata oggi in classe, serve per imparare a dialogare. Role-play significa “assumere un ruolo” e può
essere di vari tipi; può essere condotto in maniera più o meno dettagliata e/o autonoma da parte dell’App. Abbiamo la
drammatizzazione, il role.taking, il role-making, il dialogo aperto, role-play vero e proprio, role-play letterario o storico.
In questa tecnica chi dialoga deve saper comprendere il contesto sociale in cui gli si richiede di agire, saper produrre
testi congruenti a questo contesto e applicare regole anche pragmatiche, socio-linguistiche e socio-culturali. Si tratta di
una recitazione ed è molto utile in classe, ma ci sono aspetti problematici: il role-play rompe il flusso rassicurante
“insegnante – allievo”, perché implica che gruppi o coppie di allievi drammatizzino; generalmente se si fa effettuare
role-play a gruppi in una classe molto numeroso questo comporta una certa confusione e quindi disturbo; non sono
attività facili da impostare, né economiche in termini di tempo. Spesso le negoziazioni all’interno del gruppo vengono
svolte in L1 (a meno di diverse indicazioni da parte dell’Ins). C’è sempre un gruppo più lento che deve essere
sollecitato; l’Ins non può intervenire contemporaneamente sul lavoro dei vari gruppi e richiedono quindi un certo tempo
e una certa maturità da parte degli App (attenzione: spesso gli adulti non accettano questo tipo di tecnica).
- Drammatizzazione: livello più semplice e imitativo ripetere un dialogo con la finalità di fissare alcuni
elementi (fonologici, grammaticali, lessicali…). Questa attività è poco creativa, ma è necessaria per permettere
all’App si sensibilizzi nei confronti della produzione e dell’ascolto, non è una sfida eccessiva e rispetta la fase
del silenzio che sia ha nelle prime fasi dell’App. Si ha quindi un copione già scritto.
- Role-taking: l’App assume ruoli già previsti nel dialogo fornito dall’Ins, ma viene invitato a introdurre alcune
modifiche; es. Ins può chiedere di svolgere questa attaività nell’ambito della richiesta di informazioni; il
modello può riguardare es. il contesto della stazione ferroviaria e di volta in volta Ins può invitare a cambiare
alcuni dettagli (orari, destinazioni…) a seconda del materiale forntio (es. orari ferroviari). L’attività implica
quindi la lettura di alcuni testi ed è più motivante.
- Role-making: si presenta come un dialogo iniziale, gli App però hanno maggiore libertà e possono reimpiegare
in modo più creativo elementi culturali, pragmatici e morfo-sintattici e usare la L2 in base al proprio livello. È
una via di mezzo tra guidato e autonomia.
- Role-play vero e proprio: recitazione a canovaccio. L’Ins fornisce una lista di istruzioni (routine comunicative),
attribuisce i ruoli ai vari App e le caratteristiche dei personaggi; l’App si deve calare nel ruolo e capire queste
istruzioni, che spesso sono in L1. Nel role-play l’App sulla base della situazione data e degli atti comunicativi
che è invitato a riprodurre, può usare liberamente il dialogo (se l’istruzione è chiedere con cortesia, l’App potrà
chiedere un caffè o rifiutare una proposta in modo gentile).
- Dialogo aperto: si forniscono le battute di un solo personaggio, si possono utilizzare AV in cui sono state tolte
alcune parti; in questo caso uno dei due App è libero di realizzare la rpopria perfromance, am quello che deve
dire deve essere ina ccordo con le partin del dialogo proposte. Questa tipologia è adatta ad adulti, a persone che
sono abituate a riflettere sulle implicazioni del detto/non detto;
- Role-play lettarario o storico: si svolge come role.play vero e proprio ma i personaggi da interpretare sono
realmente esistiti; questo implica che prima della lezione l’App debba fare un lavoro di ricerca su questo
personaggio al fine di poterlo intepretare. È un modo per fare “cultura alta” e esercizio in lingua. Questo tipo di
role-play è molto gradito perché permette di acquisire nozioni culturali e reimpiegarli in modo giocoso senza il
carico emotivo da interrogazione (l’Ins ha comunque le informazioni che gli servono per la valutazione).
Tecniche per la motivazione e l’approccio globale all’input testuale
Servono per far avvicinare l’App ai contenuti di un determianto testo e per creare un clima di motivazione.
- Tecniche di elicitazione, con le quali si richiede all’app di estrarre alcune info dal testo input cerchiatura,
sottolineatura
- Esplorazione di parole chiave: viene fatta svolgere prima della presentazione del testo input, se ci sono parole
difficili o sulle quali l’App deve riflettere; generalmente le parole chiave vengono presentate quando il testo
input è un AV
- Guida alla comprensione: tecniche che danno compiti ben precisi all’App per condurlo per mano nella
fruizione del testo input; spesso viene fatto svolgere durante la lettura/ascolto del testo input (domande a scelta
multipla, griglia… le griglie sono ottimi strumenti ma non sempre tutti i testi input ne permettono la
creazione);
- Richiesta di transcodificazione: passaggio da un codice all’altro (es. dal codice verbale a quello iconico
disegnare ciò che si sente; oppure tecniche più complesse come trasposizione di un testo orale a scritto)
- Drammatizzazione: forma di role-play molto guidata e costruita
Gli esercizi strutturali sono più meccanici e sono utilizzati nella memorizzazione, ma la manipolazione è più motivante.
Possono esserci anche esercizi in forma di gioco (es. filetto; dividere la classe in due gruppi e proporre una sfida es.
sulla coniugazione dei verbi, le due squadre si sfidano a coniugare bene i verbi); abbiamo anche mappe concettuali (o
spidergram), che possono essere costruiti sia su aspetti culturali che linguistici (preposizioni, verbi, congiunzioni…).
Sono più adatte al controllo, al rinforzo e al recupero le tecniche di transcodificazione, i cloze, la richiesta di produzioni
(monologhi o composizioni), i riassunti.
Qualsiasi sia la tecnica utilizzata, dobbiamo sempre utilizzare consegne chiare e semplici, dare sempre aiuto all’App
nella comprensione del compito da svolgere. Per le tecniche di analisi e riflessione abbiamo anche redazione di testi di
supporto es. per l’introduzione di un determinato argomento, o, nel caso di livelli più avanzati, far riflettere l’App su
come si costruisce un testo scolastico (v. tabella in slide 23, esempio di come si può costruire un testo molto
comprensibile).
Si richiede all’App, ad esempio, di colorare dei quadratini, non facendogli quindi produyrre alcun testo in L2. A questa
tecnica di tipo pragmatico può seguire una richiesta di produzione di frasi, es. per chiedere informazioni.
Normalmente le tecniche didattiche che vertono sulla riflessione morfo-sintattica sono spesso più comportamentistiche
e sarebbe bene che, via via che sui avanza con l’apprendimento, fossero sostituite da tecniche più creative e applicative,
che comportino un reimpiego più libero e meno meccanico delle strutture in oggetto.
Esempio di riflessione esplicita (per adulti e livelli avanzati):
Altre tecniche divertenti possono prevedere l’utilizzo di materiale iconico; possiamo applicarle a vari aspetti della
lingua e della cultura. Esempio: ho una stanza vuota e una arredata, un App descrive dove si trovano gli oggetti della
stanza arredata e l’altro li disegna sulla sua immagin di stanza vuota.
Si possono inoltre usare tecniche di incastro, composizione di frasi spezzate, riordino, esplicitazione di alcuni elementi
(colorandoli o unendoli con tratto di penna attività poco motivante di per sé, ma può essere posta come gioco; si
possono usare scelte multiple grammaticali, si pone quindi un questionario a scelta multipla le cui scelte equivalgono a
elementi grammaticali; individuazione di certi elementi a partire da un testo input…
Per quanto riguarda la riflessione grammaticale, si può lavorare su tutti gli aspetti: morfologia, sintassi (in questo caso
sono molto utili i diagrammi a ragno), varietà della lingua (riconoscimento dalla varietà non standard a quella standard);
in slide 30 vediamo un esempio di analisi da parte dell’App sull’uso degli articoli:
Questo tipo di attività si può fare con App con adeguate conoscenze metalinguistiche (almeno B2, terminologia tecnica
specifica).
Riflessione sulle varietà del repertorio,es. spezzone da Jonny Stecchino (studenti di livello C2);: si invita a riconoscere
le varietà utilizzate nel film, prima bisogna presentare degli esempi a cui gli studenti possano fare riferimento. Una
volta fornita la trascrizione del testo, si può invitare l’App a riscrivere il testo in italiano standard.
Nell’esempio del volantino (slide 41): si parte da un testo autentico di contestazione giovanile; testo semplice, ma il
lavoro che si richiede è complesso (almeno livello B2), dopo attenta lettura si chiede di decidere un tema su cui
contestare, la classe è divisa in gruppi, ognuno dei quali stila una lista dei problemi, da mettere in ordine di priorità e
redigere un testo di protesta con determinate istruzioni ben precise, curandone anche la grafica.
Riassumere
Il riassunto è una tecnica molto usata anche a scuola, spesso anche senza cognizione di causa. I riassunti servono per
potenziare le proprie capacità di scrittura e non devono essere confusi con i commenti. I testi più facili da riassumere
sono quelli brevi e narrativi (es. fiabe); i più difficili sono quelli argomentativi.
Si può usare il fumetto: es. trasposizione di un testo in fumetto e viceversa, attività molto creativa. Saper riasumere è
una operazione compelssa, che prevede una contrazione del testo; si può chiedere di dare un testo definitivo a partire da
uno più ampio indicando una percentuale di riduzione; si può riscrivere un articolo di giornale es. da cronaca locale a
testata nazionale, con l’obbligo quindi di sintetizzare il testo input.
Per lavorare su questa contrazione del testo bisogna che l’App sia addestrato a riconoscere i tipi di testo e che l’Ins
sappia quale testo si presta a quali attività (v. slide 44).
Saper riassumere è importante, ed è un’attività che dovrebbe essere posseduta dall’App a prescindere dalla L2; altra
tecnica molto utilizzata è quella di prendere appunti implica saper anticipare il possibile contenuto del testo,
selezionare le informazioni rilevanti, gestire e raggruppare le informazioni, riorganizzarle; ha un ruolo importante
perché coinvolge tutte e due le parti del cervello, dal punto di vista linguistico la struttura semantica domina quella
morfosintattica che viene tralasciata, fa uso comunicativo della lingua ed è quindi pragmatica- Conviene farlo su
istruzioni di un gioco per motivare, o per costruire qualcosa che piace (cfr. la barchetta).
Predere appunti coinvolge entrambi gli emisferi del nostro cervello e presuppone una capacità di conoscere l’ortografia,
le forme tachigrafiche, la punteggiatura. Saper prendere appunti è molto importante e può essere fatto anche sotto
formas di gioco (sforzo cognitivo senza accorgersene), si può fare dando istruzioni come ad esempio quelle necessarie a
costruire una barchetta di carta.
Saper scrivere sotto dettatura è importnate ma spesso non si fa nella maniera corretta, bisogna conoscere quali sono le
capacità che entrano in gioco. Se il materiale è noto, la dettatura serve per una verifica, se il materiale è nuovo
coinvolge i meccanismidella comprensione e attiva l’expectancy dell’App, che dev0essere capace di anticipare ciò che
potrebbe essere dettato.
Ci sono anche varianti del dettato (slide 52).
Dettato
• Discriminazione auditiva
• Comprensione orale di elementi lessicali e grammaticali
• Velocità di scrittura
• Capacità di rileggersi
• Capacità di correggere i propri errori
• Capacità di scrivere secondo l’ortografia italiana
Implica:
• Elaborazione di sequenze di materiale nella lingua con restrizioni temporali
• Compito di suddividere la catena parlata e trascrivere ciò che si è udito (richiede comprensione del significato del
materiale)
• Coinvolgimento simultaneo di più operazioni mentali e procedimenti
Difficoltà di distinzione di errori:
• accertare se si tratta di errore sistematico o occasionale
• Tempi lunghi per la correzione (in caso di correzione individuale)
• Attività problematica se gli App hanno problemi di udito
Traduzione e interpretariato
Tecnica consigliata per livelli medio.alto di apprendimento, serve a comparare due lingue. Quando si traduce/interpreta
si deve fare una lettura intensiva, comprendere in profondità, quindi la traduzione è un’ottima tecnica per la valutazione
da parte dell’Ins della comprensione, ma anche per manipolare la lingua da parte dell’App e per la produzione.
Cloze
Molto usato nella didattica: è un testo che permette di verificare ma al tempo stesso di far progredire la competenza
dell’App; è una sfida, quindi attenua il filtro affettivo ed è perciò adatta anche agli adulti. Ci sono varie tipologie di
cloze:
- Cloze classico, comporta l’eliminazione a caso, quindi meccanica, di una parola su 7 (quetso perché si +è
studiato che è il minimo necessario per consentire la ricostruzione del testo);
- Cloze semplificato; se abbiamo una classe omogenea dal PdV della L1 si può chiedere di riempire gli spazi in
L1. Quando si svolge un cloze spesso si può inserire nello spazio una soluzione non prevista dal testo, sta
all’Ins accettare tutto ciò che è coerente anche se non presente nel testo di partenza.
I cloze possono essere amnche mirati:
- semantici, in cui si cancellano solo parole di senso pieno
- sintattici, in cui si cancellano es. congiunzioni
- grafo-fonico; in cui si nascondono solo alcune lettere; può essere condotto anche oralmente
- audio-orali (sottocategoria delò dettato)
- pittografici, per allievi più piccoli o dei livelli base, si ivnitano a riempire gli spazi con delle immagini, o i
cloze contengono già immagini e l’App deve trovare la parola a cui corrisponde l’immagine.
Il cloze può essere sia scritto che orale, quando è orale è un po’ più difficoltoso (generalmente infatti è scritto).
Le tecniche didattiche servono a sviluppare abilità, a potenziarle e soprattutto sarebbe bene almeno per i livelli medio-
alti poter potenziare le abilità integrate; il ettato è un ottimo strumento a questo scopo; in slide 58 troviamo un elenco di
altre competenze che l’App può sviluppare con le tecniche didattiche.
Le attività e le tecniche che vertono su abilità interlinguistiche sono più adatte ai livelli avanzati e sono generalmente
sfide ben accette oltre che interessanti, possono anche riguardare la parafrasi, il riassunto, coinvolgendo due lingue o
meglio ancora più di una lingua.
Concludendo sulle tecniche didattiche, la stessa tecnica didattica può avere più scopi e può essere utilizzata in diversi
momenti dell’unità didattica (o meglio, unità di apprendimento). Le tecniche come i questionari sono più adatti alla
prima fase (motivazione); le tecniche di analisi, riscrittura, riassunto, manipolazione, sono più adatte per la fase
centrale, ossia per la fase di analisi, sintesi e riflessione; le tecniche che vertono sulla riscrittura più libera sono più
adatte alla fase finale, che riguarda la rielaborazione dopo conferma delle ipotesi che l’App si è formato sugli aspetti
trattati nell’unità di apprendimento.
Fase 4 - Acquisizione di competenze per la valutazione di procedure didattiche
4.1 Acquisizione di spirito critico nei confronti di procedure didattiche e di scelte teorico-pratiche finalizzate
all’insegnamento delle lingue moderne e in particolare dell’italiano a stranieri
Excursus storico
Questa sezione si riferisce all’articolo di Benucci in Il mondo dell’italiano, l’italiano nel mondo. Ci concentriamo ora su
indicazioni e descrizione di come si è evoluto l’IL2/ILS. Quanto abbiamo detto finora vale per qualsiasi lingua, ma ora
vediamo quale è stato lo sviluppo dell’UNISTRASI.
UNISTRASI e UNISTRAPE sono state le prime strutture in Italia dedite all’insegnamento dell’italiano a stranieri;
inizialmente UNISTRASI aveva la denominazione di scuola di lingua italiana; si caratterizza subito per una visione
moderna dell’insegnamento, inizialmente rivolto a specifici gruppi linguistici e generalmente per corsi estivi. Questi
corsi riflettevano l’approccio dell’epoca: corsi di grammatica, conversazione, composizione, traduzione, storia della
letteratura..e perfino letture della Divina Commedia. Dopo la IIGM il pubblico di questi corsi si allarga e da un primo
pubblico soprattutto francese, inglese, tedesco, ungherese si aggiungono anche studenti americani e sauditi. I corsi
accentuano il loro carattere linguistico e iniziano a prendere sempre meno in considerazione gli aspetti culturali (es.
storia dell’arte e della letteratura).. Tuttavia il vero rinnovamento avviene dalla metà degli anni ’70: vengono organizzati
corsi di lingua e cultura, si ospitano convegni e conferenze, e si iniziano a organizzare corsi di perfezionamento per
l’insegnamento (es. Malta) e a seminari rivolti sia a lavoratori che a docenti. Negli anni ’70 in Italia la glottodiadattica
era una disciplina ancora inesistente, e mancava quindi una riflessione epistemologica che potesse influenzare
l’insegnamento. La didattica dell’italiano era erogata da poche relatà (es. Dante Alighieri), ma l’italiano all’estero si
stava espandendo. Dal pdv metodologico i corsi erogati in quegli anni erano ancora improntati all’idea, in voga fin dal
‘700, che l’italiano fosse uan lingua adatta agli studi umanistici, grazie allo sviluppo letterario del ‘400 e all’influsso
dello Stato della Chiesa. A partire dagli anni ’80, anche a causa del crescente numero di stranieri che sostenevano esami
di ammissione alle università italiane, sui sviluppano i grandi progetti glottodidattici che vedono UNISTRASI in
posizione predominante rispetto al panorama italiano, assieme a UNISTRAPE (da cui comunque si differenziava).
UNISTRASI ha potenziato la costruzione di materiali per organizzare i corsi: sillabi, programmi, attività di testing.
Negli anni ’80 a livello europeo ci sono elaborazioni teoriche molto importanti che darano in seguito luogo ai livelli
soglia di cui abbiamo già parlato. Prosegue per UNISTRASI un’intensa attività convegnistica: 1981 primo convegno
per professori di ILS, primo di molti altri. UNISTRASI si specializza anche in corsi per lettori di italiano all’estero,
organiozzati dal Ministero; vengono effettuatio seminari sul testing e si inizia a sperimentare l’impiego degli AV e del
cinema grazie al’istituzione del Centro Audiovisivi, in grado di fornire un importante supporto agli insegnanti del centro
CLUSS (unico presente all’epoca).
Negli anni ’90 prosegue la formazione di docenti di ILS e di studenti stranieri; vengono organizzati i primi corsi di
traduzione (italiano francese, tedesco, spagnolo, inglese). Vengono organizzati anche corsi di sociolinguistica e
l’offerta didattica si differenzia per livelli (principiante, intermedio, avanzato non esistevano ancora i livelli soglia!).
Mancava a quell’epoca un’offerta formativa strutturata e gli editori che pubblicavano manuali di italiano per stranieri.
Questa però è anche l’epoca in cui iniziano aessere elaborate le prime indagini motivazionali, grazie all’elaborazione
del concetto di bisogno linguistico; alcune di esse sono state condotte anche da gruppi di ricerca di UNISTRASI e si è
iniziato quindi a conoscere più nel dettaglio il tipo di pubblico a cui era possibile rivolgersi.
Agli inizi degli anni 2000 si differenziano i percorsi di apperendimento e i relativi strumenti in base ai tipi di pubblico;
nel 2004 viene istituito il primo Master di UNISTRASI (uno dei primi italiano) in Didattica di ILS; vengono poi creati
anche altri master in seguito all’istituzione dei centri DITALS e FAST. Ci si concentra per l’offerta formativa e per
l’attività di ricerca sull’insegnamento ad adulti immigrati dei corsi serali, tramite una proficua collaborazione con gli
allora CTP e organizzazioni di volontariato; un filone di ricerca riguardava bambini e adolescenti; si iniziano ad
analizzare gli elementi di insegnamento agli studenti in mobilità grazie al programma ERASMUS; si prosegue
l’insegnamento agli adulti in soggiorno temporaneo (perlopiù turisti). Gli anni 2000 costituiscono una notevole linea di
demarcazione anche nel cambiamento della tipologia di destinatario dei corsi: all’italiano come lingua colta, che era
stato oggetto della formazione proposta da UNISTRASI si aggiungono quindi altre sensibilità verso l’italiano del
lavoro, degli studi, dell’integrazione sociale, del commercio, delle relazioni internazionali.
Negli anni 2000 si esplorano anche le diverse componenti della competenza comunicativa: oltre a una riflessione
tradizionalmente sempre presente nella didattica dell’italiano, ossia quella sulla grammatica (anche per assimilazione
delle tecniche di insegnamento proprie delle lingue classiche), si inizia a diffondere una certa sensibilità verso la
comunicazione e l’introduzione del concetto di cultura nella didattica. A quell’epoca il professor Balboni era direttore
del CLUSS: visto che Balboni è sempre stato molto sensibile verso gli aspetti interculturali, questa impronta è stata
determinante nell’organizzazione delle attività del CLUSS e della ricerca di UNSITARSI. Il cocnetto di cultura in
glottodidattica crea subito dei problemi, che riguardano il posto e la qualità degli elementi culturali da inserire nel
programma. Gli aspetti culturali sono infatti legati al profilo del destinatario (bisogni, formazione…) e inoltre la
presentazione della società italiana contemporanea è problematica, in quanto essa è in continua evoluzione. A
quell’epoca ci si rende conto che l’approccio alla descrizione della cultura italiana del modello anni ’60-’70 (bipolare)
era inadeguato per le esigenze glottodidattiche dell’epoca e si cominciano ad esplorare nuove modalità per la
presentazione di elementi culturali in classe.
L’altro aspetto su cui si modifica l’idea dell’insegnamento è quello legato al carattere monolitico o plurisfaccettato della
lingua e della comunicazione: si introduce sempre di più il concetto di plurilinguismo, associato al concetto di
pluriculturalismo, in Italia non è stato semplicissimo sensibilizzare gli insegnanti all’apertura verso varietà diverse dallo
standard, in quanto la scelta dello standard stesso era legata al concetto di emancipazione sociale e borghese. Si inizia
apensare all’autenticità dei modelli d’analisi proposti nei manuali e nei corsi, nella ricerca di modelli che si adattino ai
destinatari della didattica e accertandosi dell’autenticità stessa, certificando la validità di questi modelli per una
globalità di pubblico o specifici ambiti. Si inizia a lavorare sull’analisi dei materiali didattici, che nel 2000 sono molti di
più rispetto ai primi tempi; si inizia ad analizzarne la costruzione da vari pdv, es. da come sono costruite le ingiunzioni
pedagogiche (ossia le istruzioni fornite dal manuale per lo svolgimento di esercizi e attività), es. si indaga sul loro
livello descrittivo/propositivo o sul livello contenutistico/strumentale. Si continua l’analisi della trattazione degli aspetti
grammaticali e dell’autenticità dei modelli di descrizione della lingua utilizzati dai manuali. Altro ambito di indagine è
quello dell’uso delle immagini: prima statiche, ma in seguito anche cinesiche -_> si è già consapevoli del ruolo rivestito
dalle immagini nell’insegnamento della cultura e della lingua, in quanto possono essere usate come strumento per
svològere attività didattiche.
Fino agli inizi degli anni 2000 erano molto impiegate anche le antologie, ma in seguito queste cominciano a scomparire
dal mercato editoriale. Si indaga anche, nel corso degli anni 2000 su come portare avanti una DILS democratica, data
l’evoluzione del pubblico di App, con la crescita della figura dell’immigrato che richiede scelte glottodidattiche
improtante. Si continua a lavorare su sillabi, programmi, attività di testing. Negli ultimi 6-7 anni si comincia a lavorare
anche su ulteriori strumenti come protfolio (forma specifica di certificazione), utilizzato sia per lo studente con modalità
generiche di apprendimento, ma anche per lo studente con necessità professionali (e in questo UNISTRASI è leader
europeo). Il portfolio è stato elaborato dal gruppo di Benucci in collaborazione con la CILS e inizialmente riguardava le
attività lavorative per detenuti stranieri, ma è stato poi utilizzato con profitto anche nei corsi di formazione
professionalizzante per rifugiati e immigrati.
Manuali
Per quanto riguarda la panoramica più strettamente legata ai manuali, vi sono varie modalità di analizzarli:
- in sincronia: possiamo selezionare un periodo e vedere tutto ciò che è stato prodotto in questo periodo di
riferimento;
- per tipologia (in ottica diacronica): es. tutte le grammatiche, come sono cambiate
- confronto delle riedizioni dello stesso manuale: molti manuali redatti da UNISTRAPE hanno avuto più di una
riedizioni (UNISTRAPE si è mossa prima di Siena);
- analisi di pratiche su uno o più contenuti in un campione di manuali (es. trattazione della grammatiche, quali
immagini sono presenti, analisi delle ingiunzioni pedagogiche, aspetti SL)
Gli aspetti linguistici sono quelli su cui si è più abituati a riflettere (anche perché sono quelli più facilemte osservabili):
suddivisione, grafiche, modalità in cui sono trattati e denominati, sensibilità culturale e SL, livello metalinguistico
adottato, presenza o meno di una riflessione contrastiva…
Esempi di manuali
Slide 32. Volume di Diadori Italiano a fumetti; il fumetto ha grandi potenzialità didattiche perché presentano forme
di parlato trascritto unito a delle immagini funzionali a spiegare la situazione e le intenzioni del parlante. In questo caso
è stato utilizzato Dylan Dog. Ci si sta quindi specializzando non solo per tipi di pubblico, am anche per tipi di testi input
da utilizzare nei manuali. Nella direzione della specializzazione e dell’apprendimento differenziato escono due volumi,
nel 2006 e nel 2012, indirizzati a pubblici specifici: Marco Polo, di grande rilevanza per la nostra università, e
Turandot, destinato agli studenti cinesi che seguono i corsi del CLUSS. Questi manuali hanno caratteristiche in parte
tradizionali (devono infatti essere adattati alle abitudini di studio degli studenti cinesi), ma hanno comunque anche
un’impronta di tipo comunicativo.
Io e l’Italia, a cura di Benucci e D’Amico, edito nel 2009: questo volume è la punta dell’iceberg di un lavoro complesso
e effettuato con sperimentazioni presso tutti i corsi di ILS a prescindere da livello e tipo di pubblico; D’Amico insegna a
studenti USA con sperimetnazioni sui corsi di lingua e cultura italiana erogati nelle università americane, dove questo
manuale è ancora in uso. Il volume è organizzato in 5 unità, preceduto da un’unità 0 ed è corredato da un glossario e da
un elenco di fonti. Nell’unità 0 si ha una sezione di questionari e attività di elicitazione, che servono a chiarire all’App
quale idea abbia della lingua e cultura italiana e come pensa di utilizzare il manuale (il volume è costruito anche per
l’autoapprendimento). Le 5 unità di contenuti sono state costruite sulla base delle richieste dei programmi americani
dell’epoca: Unità 1 Le origini, Etruschi e Romani, unità 2 1000-1400, unità 3 1400-1600, unità 4 1600-1800,
unità 5 1800-oggi. Il manuale è destinato a App generici, anche se il pubblico per cui era stato inteso inizialmente è
quello degli studenti americani; l’App deve avere almeno un livello B1; il testo introduce alla sensibilità verso la cultura
italiana, non pretende però di fare cultura italiana in senso completo, può essere utilizzato come ampliamento nei corsi
di lingua. La nozione di cultura alla quale si sono ispirate le autrici è quella di cultura in senso etnoantropologico
sensibilità verso i modi di vedere la vita di un determinato popolo. Quale approccio è usato per questo volume, che
tratta la grammatica in modo innovativo per l’epoca in cui è stato messo a punto? Il manuale non ha l’intenzione di
essere esaustivo nella presentazione della cultura, fornisce elementi che stimolino l’interesse a successivi
approfondimenti individuali; fornire elementi base della storia d’Italia partendo da un’angolazione, es. un testo stimolo
su cui intrecciare altri temi correlati, istituendo un rapporo con il vissuto e la cultura d’appartenenza dell’App, nonché
con il presente, es. con note che rimandano al confronto tra un dato periodo storico con il presente -> approccio non
descrittivo. Questo approccio implica un’azione diretta da parte dell’App nei confronti degli elementi culturali in
un’ottica costruttivista, con procedimento ciclico; il focus è su elementi rappresentativi e stimolanti l’attenzione. Il
manuale vuole sviluppare la capacità di identificare e analizzare aspetti culturali simili o differenti da quelli della C1,
facendo sì che l’App si possa orientare nello spazio culturale dell’italiano, consentendogli di formulare analisi il più
possibile scevre da pregiudizi sul funzioanmento degli aspetti culturali.
Le attività sono strutturate secondo un approccio sia – soprattutto - deduttivo (stimolare la costruzioni di ipotesi) che
induttivo. È sempre presente una parte più tradizionale (nella parte segnalata come “revisione”) in cui si forniscono le
soluzioni delle attività svolte dall’App: questa è la parte più informativa. Abbiamo poi letture di appoggio al testo
principale, generalmente relative a aspetti del presente, curiosità o di crattere ludcio. Le immagini sono funzionali allo
svolgimento delle attività.
In ogni unità c’è un’immagine di avvio della procedura didattica, vengono presentati compiti finalizzati a stimolare
l’interesse e creare ipotesi; ci sono spiegazioni sul lessico non di base (quindi più difficile); sono presenti note che
partono da elementi del testo con collegamenti al presente; revisione; fonti e documenti di varia natura; glossario
tradotto in inglese che riporta il lessico spiegato nelle unità. V. slide sull’unità 1: in questa sezione si chiede di indicare
secondo l’App quale sia il periodo in cui sono vissuti gli Etruschi, poi la revisione, che fornisce la risposta a questa
domanda; lettura a cui bisogna rispondere per iscritto si chi erano gli Etruschi e una cartina da colorare in cui App deve
indicare dove hanno vissuto gli Etruschi. Vi sono molte immagini (v. slide 28) che riguardano oggetti del quotidiano o
simbolici. L’attviità 7 in slide 29 è tratta da un articolo di Memorie di Adriano che parla di Roma da un pdv inconsueto:
si parla dell’organizzazione della città romana, degli aruspici, vie lastricate (grande attenzione anche agli aspetti
materiali); abbiamo anche l’utilizzo del fumetto per avere un impatto visivo con la cultura romana.
Fase 4.2 Concetto di “buona pratica” e caratteristiche più ricorrenti - Indicazioni per la costruzione di un data
base di buone pratiche in italiano a stranieri
Questa fase è dedicata alla definizione di buona pratica. Cosa s’intende per “buona pratica”? Nel nostro ambito, questa
è un’azione o un’attività pedagogica (linea guida, sperimentazione, manuale), che in uno specifico contesto socio-
educativo ha permesso ai suoi esecutori di raggiugnere i risultati previsti dalla pratica stessa con modalità adeguate al
contesto per il quale era stata realizzata (e non solo in quel contesto). Questa pratica, per essere considerata buona, deve
avere un valore riconosciuto dagli App, dagli Ins, dai valutatori esterni; può essere quindi considerata come un modello
da riutilizzare in nuovi contesti.
È utile adottare dei criteri di qualità; questi (v. slide 3) sono ricavate da ampie analisi transnazionali, come quella del
progetto Riuscire sull’InCE: 15 criteri, ormai riconosciuti anche in altri ambiti, che possiamo prendere a modello:
Per organizzare un’indagine sulle BP per IL2 dobbiamo definire il campo dell’indagine stessa, raccogliere una
bibliografia specifica, adottare i criteri di cui sopra ed elaborarne eventualmente di nuovi, stilare griglie di raccolta dei
dati, scegliere la modalità di analisi di questi dati (possibilmente con referaggio), costruire griglie di analisi dei materiali
e costruire un database. Nel nostro ambito il campo di indagine è definito dai sgeuenti punti:
- Manuali didattici di italiano L2
- Ricognizione bibliografica di analisi degli errori di apprendenti di italiano L2 con varie LM
- Strumenti esistenti per produrre/mantenere motivazione
- Analisi materiali didattici/programmi per la didattica CLIL, o e-learning..
- Ricognizione e analisi del materiale didattico esistente per l’insegnamento dell’italiano attraverso audiovisivi
- Analisi di materiali didattici pubblicati o materiali grigi
- Analisi di manuali di grammatica
- Manuali per adulti/bambini/ adolescenti/ immigrati/lavoratori
- Analisi di materiali didattici non pubblicati
- Indagine presso insegnanti di it L2 su: manuali che preferiscono / programmi che adottano/loro valutazioni
- Analisi di corsi on line
- Analisi materiali e programmi su internet /testimonianze e esempi di insegnamento
- Analisi di sillabi/programmi/curricoli
- Analisi di ricerche (recenti) sull’apprendimento/acquisizione dell’It L2
- Programmi di Corsi di aggiornamento/formazione per insegnanti di it L2
- Presso le scuole raccolta di testimonianze da parte di insegnanti su strumenti che impiegano per i loro alunni
non italofoni inseriti nei percorsi scolastici
Si va quindi dagli strumenti per la programmazione (sillabi, curricoli), di cui si può indagare la tipologia, la
ricorrenza, quali tecniche didattiche comportano e dove queste vengono trattate, approcci e metodi didattici,
differenze/discrepanze rispetto alle teorie di riferimento.
Il caso che analizzeremo come esempio di indagine sulle BP è legato a una ricerca condotta presso
UNISTRASI da Benucci e pubblicato in due riviste sull’InCE. Per quanto riguarda questa analisi delle BP in
InC, mancando una univocità di definizione dell’InC era difficile descriverne anche le BP. Il primo passo è
stato quello di definire le BP: ci sono varie definizioni circolanti sulle BP; ma nel campo dell’InC è stata
adottata una definizione molto ampia. I Paesi e le lingue più coinvolti erano Spagna, Portogallo, Francia,
Germania e Italia. I migliori risultati in InC si sono conseguiti tra le lingue romanze. I destinatari delle BPO
erano soprattutto adulti e studenti universitari, come atteso visto che per InC è riciesto di attivare una capcità
metacognitiva abbastanza evoluta, nonché Ins. Il tipo di materiale prodotto consiste in siti web, CD e manuali;
erano poche le guide per l’Ins e i video. Troviamo un’analisi dei Paesi di cui si sono occupate le BP in InC in
cui si vede quali sono i Paesi in cui esse prevalgono, in slide 14 abbiamo esempi delle lingue più presenti; in
slide 15 abbiamo i destinatari, oltre ai tipi di pubblico già menzionato abbiamo anche il pubblico interessato ai
linguaggi specifici, gli internauti. Gli obiettivi presenti nelle BP sono lo sviluppo generale della competenza
linguistica, attivazione della motivazione in secondo luogo e, a pari merito, sviluppo di competenze culturali,
interculturali, metalinguistica, infine sviluppo della competenza pragmatica, inserimento nella società,
scolatico, competenza SL.
Le abilità più presenti nelle BP analizzate, data l’impostazione metodologica dell’InC, sono ovviamente la
comprensione scritta e orale, come ci si poteva aspettare, anche se in maggior modo la comprensione scritta
ha maggior rilievo, perché più semplice. Erano comunque presenti anche abilità di produzione scritta, segno
ceh le pratiche di InC non servono solo a comprendere, l’interazione e la produzione orale. Per quanto
riguarda i materiali, in slide 18 possiamo osservare che i siti web erano i più utilizzati; il CD, non più in uso,
all’epoca si usava ancora abbastanza (indagine di 7-8 anni fa); per quanto riguarda la valutazione, per avere
maggiore scientificità, oltre all’analisi dei ricercatori sulle BP, esse sono state sottoposte anche a referaggio. I
referee sono esperti europei di didattica delle lingue moderne imparziali, ossia non esperti di InC e non
coinvolti nel progetto. Altro elemento interessante è il giudizio espresso sulle BP con le quali erano venuti in
contatto da un gruppo di studenti di UNISTRASI che avevano seguito un corso incentrato sull’InC tenuto da
Benucci; i giudizi sono molto interessanti e sono quasi sempre giudizi positivi. Concludiamo la sezione
ricordando che, qualsiasi sia l’ambito in cui svolgeremo l’analisi, dobbiamo sempre crearci strumenti di
analisi precisi e criteri di qualità ben definiti. Oltre a questo, bisogna poter ricevere un feedback esterno al
fine di non farci condizionare eccessivamente dalle nostre aspettative sull’indagine.
Possiamo utilizzare non tanto un database per le BP, ma delle schede che possono oreintarci all’interno
dell’analisi dei materiali; l’anno scorso con gli studenti abbiamo lavorato con queste schede, una di queste,
generale, è stata proposta, composta di varie sezioni, es. grafica del manuale, ingiunzioni didattiche, aspetti e
modelli linguistici presentati, eventuali indicazioni e riferimenti alla metodologia a cui è ispirata la pratica…
poi ci sono aspetti che riguardano la tipologia dell’attività, la presenza o meno di una sensibilità SL,
culturale… e aspetti più tecnici, come la strutturazione del manuale in unità didattica, di apprendimento,
moduli… Questa scheda non va riempita, ma è giusto per servircene nel caso vogliamo fare delle indagini; è
utile per l’analisi dei manuali, ma può essere adattata anche per analisi di curricoli, sillabi.
Concludiamo con alcune indicazioni riguardo ai testi di riferimento:
Scuola di formazione (Lamarra – Caruso – Diadori): questo manuale fornisce indicazioni su ambiti dell’impiego di
insegnamento IL2; comprende un articolo di Roberto Dolce (UNISTRAPE) sulla lingua e cultura italiana per
priomuocvere l’imamgine dell’Italia all’estero; un articolo di Balboni su musica pop e musica colta nell’educazione
linguistica e letteraria; articolo di Diadori su insegnamento attraverso danza, musica e teatro. La canzone rpesenta
molti spunti per l’applicazione di tecniche didattiche divertenti e motivanti: nell’articolo di balboni si trovano molti
esempi sul melodramma; qualche anno fa era stata creata una collana dall’editore Guerra sulla musica dell’opera.
Uno dei pubblici interessati all’italiano è proprio quello dei cantanti d’opera, che devono avere almeno a livewllo di
pronunciaun’ottima conoscenza dell’italiano; l’opera è proprio il veicolo attraverso il quale molti, all’estero, hanno
imparato qualche parola d’italiano, anche se il testo operistico è molto difficile da comprendere. Nell’articolodi
Caon invece si parla invece di musica più moderna, ma anche la canzone pop spesso ha riferimenti a opere
letterarie, quindi è uno strumento molto potente per introdurre in classe anche saperi tradizionali. L’articolo di Caon
illustra un progetto condotto alla Ca’Foscari, con la sperimentazione di alcune canzoni, su cui sono state utilizzate
alcune tecniche, come la transcodificazione, le griglie, V/F, completamento… utilizzando il testo della canzone
come testo input. L’articolo di Diadori invece tratta anche altri tipi di testi multimediali o trasmessi, il cui valore sta
nella possibilità di introdurre in classe alcuni elementi culturali, ma anche di utilizzarli per la didattica CLIL; è un
apprendimento multimodale quello che viene favorito da questi tipi di testi, che permette di raggiungere delle
performance (attraverso le arti performative, che combinano componenti psicofisiche oltre che cognitive e
riflessive). Del resto, il teatro è spesso impiegato nella didattica delle lingue, dal momento che costituisce un
grande esperimento di role-play. L’articolo di Spinoza fornisce indicazioni sull’insegnamento dell’italiano con i
fumetti, facendoci riflettere sull’efficacia dell’immagine e sul trasporre staticamente i benefici di un testo
audiovisivo (il fumetto è di fatto un AV bloccato), che permette di presentare una situazione e rappresentare, con i
balloon, gli aspetti prosodici, la mimica; in particolar modo i fumetti d’autore possono attrarre un consistente
pubblico. Per quanto riguarda altri articoli di interesse su questo manuale possiamo citare l’articolo di Monami
sulal tipolgia del feedback correttivo orale in IL2: questo è il frutto della ricerca di una tesi di dottorato, ed è
un’analisi molto dettagliata di strategie di correzione orali dell’errore e tipologia di feedback che viene prodotto
spontaneamente dall’App. Segue un articolo a cura di Benucci – Grosso, nel quale vengono illustrati i passaggi
necessari per poter impostare correttamente un percorso di apprendimento per adulti partendo da un curricolo di
riferimento con unità di lavoro (oltre quindi l’unità didattica, che è troppo rigida). L’articolo è indirizzato
soprattutto agli adulti in situazioni svantaggiate o che hanno problemi nell’apprendimento dovuti ad aspetti
psicologici (detenuti, immigrati del mondo libero); infine, Semplici illustra tecniche didattiche di IL2, ottimo
articolo guida per analizzare le BP.