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Didattica della Lingua Italiana a Stranieri

AA 2020-21
Abbreviazioni (mie) usate nel testo:
Ins = Insegnante
App = Apprendente
AppIA= Apprendente immigrato adulto
EC = evento comunicativo
IC=interculturale
IIGM= II guerra mondiale
pdv = punto di vista
InC= Intercomprensione
InCE = Intercomprensione educativa
IL2 = Italiano come L2
ILS= Italiano come Lingua Straniera
SL = sociolinguistica
Fase 1 - Approcci e metodi

0.4-0.5 Aspetti culturali


Immaginiamo di trovarci in un'aula di Italiano L2; una studentessa spagnola saluta l'insegnante con un “Ciao!”. Questo
è un cosiddetto errore culturale. Gli errori culturali possono essere definite come mancanza di competenza d'uso di es.
formule di saluto con estranei o la loro distribuzione nell'arco della giornata, l'utilizzo delle varietà, conoscenza del
ruolo delle istituzione, il modo in cui traduciamo certi atti comunicativi in atti linguistici, la conoscenza della famiglia,
l'apertura all'esterno.
Dobbiamo quindi partire da una definizione, quella di cultura.
Nel tempo la parola “cultura” ha indicato diversi concetti. Sposando il modello di Balboni, possiamo definirla come il
modo in cui si dà risposta a bisogni di natura, come quello di formare una famiglia, immaginare la divinità, nutrirsi, etc.
Molti concetti sono ad esso sovrapponibili: la prima concezione di cultura è legata all'origine etimologica, da “colere”
coltivare → cultura come insieme di conoscenze di tipo alto, elitario. Ci sono anche i modelli di civiltà, valori e
comportamenti esemplari all'interno di ogni cultura, e viceversa questo fa sì che si considerino “incivili” i popoli che
non condividono questi modelli.
Il modello culturale è l'unità minima di analisi della cultura, è la risposta ad un problema. Esempio: bisogno di nutrirsi
nell'arco della giornata è il bisogno, l'organizzazione dei pasti durante il giorno sarà il modello culturale adesso
correlato. I modelli culturali variano con grande rapidità, soprattutto nell'epoca della globalizzazione, grazie al mutuo e
continuo interscambio, a causa del turismo, diffusione dei modelli attraverso i mass media, etc. È pertanto importante
osservare la differenza e la variabilità delle culture.
Il rapporto tra lingua e cultura è stato oggetto di riflessioni già alla fine del '700. Nel periodo del Romanticismo si
identificava la lingua con la nazione e quindi con un popolo: la società aveva quindi caratteristiche completamente
diverse da oggi. Molte discipline si sono occupate di questo rapporto (antropologia sociale, psicologia intercultuale,
pedagogia).. e da queste sono scaturite tecniche di insegnamento degli elementi culturali, basati sulla capacità di
osservazione di questi ultimi.
È importante definire il concetto che all'interno di una stessa lingua possiamo far emergere realtà diversificate: una
cultura originaria, culture ex-coloniali assimilate da diversi popoli in maniera variegata, possiamo vedere come
all'interno delle lingue di contatto (es. pidgin) si siano generate varietà ancora diverse.
Solo verso la fine degli anni '80 si è verificato un processo di emancipazione culturale legato all'apprendimento delle
lingue: non si può definire un'esperienza così complessa, com'è stata definita da Byram nel 1987, nell'apprendimento
della grammatica, semantica, visite del Paese straniero, la sua letteratura, studio dei sistemi politici etc. Lo studio della
cultura comprende tutte queste attività intellettuali ma è anche altro: è un'esperienza di ordine emotivo, abbandono della
propria lingua durante le prime lezioni della lingua obiettivo e nel salutare la propria famiglia all'inizio del proprio
soggiorno, cedere all'innamoramento verso altri luoghi e cibi, esperienza dolorosa nel caso ci sia una migrazione
forzata.

È importante affrontare questo argomento relativamente alla glottodidattica perché si ritiene che l'insegnante in
relazione alla cultura debba trasmettere non solo la cultura stessa ma anche la costruzione degli schemi culturali: perché
viviamo in un'epoca in cui le culture entrano in continuo contatto fra loro, per questo bisogna conoscere i meccanismi di
costruzione degli schemi culturali per mettersi in relazione con gli altri. Dal pdv metodologico bisogna chiedersi come
trasformare queste riflessioni in strategie da sottoporre all'apprendente.
Dalla metà degli anni '60 si inizia a parlare di civiltà per quanto riguarda l'insegnamento delle lingue straniere in Italia,
ma queste trasmissioni di contenuti rigidi, chiusi, legati ad una concezione statica vengono messi in crisi negli anni '80
dalla circolazione di contenuti francesi (es. Béacco, Zarate) che iniziano un'opera di sensibilizzazione riguardo alle
problematiche legate agli aspetti culturali.
1982: Freddi comincia a riferirsi al relativismo culturale e alla competenza culturale per la prima volta. Non dobbiamo
più cedere al relativismo culturale, ma dobbiamo piuttosto sviluppare una competenza culturale. È necessario introdurre
i contenuti culturali per temi, che devono essere secondo lo studioso, introdotti separatamente rispetto alla riflessione
linguistica e dedicati agli apprendenti con competenze linguistiche già avanzate.
Balboni ed altri riflettono in seguito sulla necessità di considerare l'esistenza di più culture all'interno della cultura
italiana. Questo perché dobbiamo ricollegarci all'idea che negli anni '80 si elaborano programmi e curricoli in base alla
motivazione per studiare l'italiano e la relativa formazione degli insegnanti. È fondamentale quindi che lo studio della
cultura inizi a far parte in modo strutturale di ogni livello di insegnamento e apprendimento: non può essere limitato a
nozioni folkloristiche o storico/georgrafiche, anche perché viviamo in un'epoca in cui l'identità culturale degli individui
è molto più fluida.
Ognuno di noi definisce la propria identità in base a vari elementi: orientamento sessuale, appartenenza geografica...
pertanto è fondamentale riflettere sul concetto che “intercultura” implica uno scambio tra soggetti culturali diversi,
creando dei ponti tra identità diverse ed in continua ridefinizione.
Come affermano Balboni e Caon, è fondamentale affiancare ad una dimensione conoscitiva una dimensione processuale
e sviluppare abilità relazionali. Possiamo osservare un passaggio da approccio degli anni '70 basato sul concetto di
civiltà (temi generali definiti a priori, apprendimento di livello avanzato, uso di documenti autentici, temi generali
esaltanti le qualità o i difetti di una data civiltà, che possono quindi rafforzare degli stereotipi nell'apprendente,
attitudine passiva e ricettiva e sfociante nella formazione di giudizi di valore) a quello degli anni '80-'90 → approccio
ciclico: insegnamento della cultura presente fin dai livelli più bassi, e per ogni livello si aggiungono sempre maggiori
dettagli, il materiale è legato ai bisogni linguistici e comunicativi, i materiali legati all'apprendimento linguistico e
culturale coincidono, la sensibilizzazione è l'obiettivo principale, legata alla possibilità di osservare comportamenti
specifici per identificare e rimuovere stereotipi. L'apprendente deve assumere attitudine attiva e sospendere il giudizio. I
temi classici vengono comunque introdotti, ma in funzione della comunicazione.
La valutazione dei modelli culturali può avvenire soprattutto attraverso il prisma dell'opera di Balboni. I contributi del
1999, 2006 e 2007 mettono in evidenza una ridefinizione del modello culturale rielaborato in ambito italiano e una
analisi/rielaborazione del modello del software of mind elaborato da Hofstede all'inizio degli anni '90. La cultura
diventa una componente della componenza comunicativa (assieme alla competenza linguistica) la quale permette
all'apprendente di decodificare gli impliciti dei nativi e riflettere sulla necessità di produrre atti linguistici adeguati ai
contesti situazionali.
Secondo Balboni i problemi interculturali, concetto che affronta nella sua opera “Parole comuni, culture diverse”
(1999) nascono da modelli interculturali in conflitto di cui siamo sia consapevoli che inconsapevoli. Nel primo caso
possiamo avere es. i ruoli di genere, mentre nel secondo caso es. concetto di spazio, tempo, moduli comunicativi non
verbali (prossemica).. di cui siamo meno consapevoli. Balboni riprende il concetto del software of mind → file di
sistema cui ciascuno di noi ricorre nel contesto comunicativo. Nelle situazioni di interazione accediamo a questi file
mentali che controllano es.lutilizzo del registro, il tono di voce, la scelta del lessico, ad alcuni aspetti però riusciamo ad
accedere meno facilmente.
Per approcciarci al concetto di intercultura è fondamentale considerare che al giorno d'oggi nessuna cultura è una
monade chiusa in sé stessa: tutte le culture e ciascun individuo entrano in relazione con individui e culture diverse.
Inoltre, ciascuno di noi ha al proprio interno un'identità composta di altre sottoidentità a seconda dei vari elementi che
possiamo considerare → sfaccettature identitarie che compongono le culture plurime cui gli individui appartengono.
Porsi in una prospettiva interculturale ci permette di mettere in discussione i nostri modelli culturali e comprendere
quelli altrui.
Esiste un modo corretto per comunicare con gli altri?, si chiedono Balboni e Caon nel 2015. Si è risposto a questa
domanda attraverso lo sviluppo di modelli di competenza comunicativa interculturale. Questa competenza sfugge alle
diefinizioni e non può essere insegnata come tale: può però essere osservata, tenendo in considerazione linguaggi
verbali e non verbali, ad esempio il cinema può offrire ottimo materiale per analizzare questi aspetti.
Cosa sono i linguaggi non verbali? Sono linguaggi che utilizzano la cinesica (modo in cui ci muoviamo), la prossemica,
la vestemica, la cronemica. Ad oggi non esistono grammatiche della cultura, e per questo è importante imparare ad
osservare in un movimento multidirezionale e dinamico, né appiattendosi sull'assimilazione, né su una posizione
ipercritica nei confronti della propria cultura (portando all'estremo il concetto di relativismo culturale).
Due dei modelli più importanti di competenza comunicativa interculturale sono stati sviluppati da Bennet nel 1993 e da
Balboni nel 1999, partendo dal presupposto che non si può insegnare la competenza comunicativa interculturale ma
osservarla e sensibilizzare gli apprendenti al suo utilizzo.
• Modello dinamico di sensibilità interculturale (Bennet): è necessario sottolineare che questo modello è
finalizzato allo sviluppo di una convivenza pacifica fra le diverse identità che convivono nell'ambito di società
multiculturali. Fa riferimento a due macro-fasi fondamentali: fase etnocentrica e fase etnorelativa. La prima
racchiude le fasi di negazione-difesa-minimizzazione, la seconda quelle di accettazione-adattamento-
integrazione. Se ci ritroviamo nella prima fase mettiamo la nostra cultura al centro della nostra esperienza e
usiamo i parametri della nostra cultura per giudicare tutte le situazioni; quando sperimentiamo il contatto con
la differenza invece facciamo i primi passi verso la fase etnorelativa, fase in cui ci si sente a propro agio con
abitudini e standard diversi, adattando giudizi e comportamento secondo la situazione (secondo la definizione
di Castiglioni del 2005).
◦ Negazione: non ho bisogno di conoscere le altre culture in quanto esse non apportano niente di utile
all'arricchimento della mia cultura. Può avvenire perché si vive in un gruppo isolato ed omogeneo in modo
involontario o volontario (creazione di barriere fisiche e sociali, es. nazionalismi e regionalismi che
pretendono di orientare la propria comunità al rifiuto del contatto con culture diverse). È molto difficile
uscire da questa fase perché in questa fase viene precluso il contatto con l'alterità.
◦ Difesa: in questa fase esistono molti sottomodelli, ma tutto nasce sempre dalla paura che si manifesta
nell'attribuire superiorità alla propria cultura e utilizzando stereotipi dispregiativi verso le altre culture.
Denigrazione → uso di stereotipi dispregiativi che rimarcano le differeze tra due culture e il modo di
interpretarle, che etichettano gruppi facendo leva su motivazioni apparentemente razionali; difesa al
contrario → atteggiamento che sembra così attento alle culture discriminate da portare alla denigrazione
della propria cultura ma anche questo non è funzionale al contatto interculturale perché rappresenta
comunque una visione polarizzata della complessità.
◦ Minimizzazione: in questa fase si usa un approccio assimilativo e si sceglie di ignorare l'alterità. I modelli
altri non vengono valorizzati. Come afferma Bennet, il fatto che ci accorgiamo che noi e gli altri siamo
portatori di culture diverse (che hanno un impatto sul modo in cui vediamo la realtà) è comunque una
svolta ed un passaggio da un pdv etnocentrico a quello relativo. Nell'ambito di questa fase abbiamo la
capacità dei protagonisti di sospendere il giudizio. Sappiamo che l'altro non appartiene alla nostra cultura,
per cui ci diamo l'opportunità di pensare a come agire per garantire il successo di comunicazione.
◦ Accettazione: fase che potrebbe essere considerata come una fase in cui vengono valorizzati gli elementi
di diversità dei protagonisti degli eventi comunicativi. Concetto di giusta distanza → nell'ambito di questa
fase il nostro atteggiamento è quello di limitarci ad apprezzare le differenze senza giudicarle. Possiamo
cominicare a sentirci creatori di valori e non solo veicoli di valori, ruolo molto più attivo.
◦ Adattamento: siamo in grado di creare uno spazio virtuale fra noi e gli altri, in cui le culture si possono
incontrare. Spazio che consiste nella creazione di una terza dimensione, perché fa uso dell'empatia oltre la
comodità delle similitudini per sviluppare la nostra capacità di metterci nei panni degli altri, ci muoviamo
fluidamente tra il modello culturale nostro e quello altrui, siamo capaci di cambiare prospettiva.
• Modello di Balboni: si basa sul modello di interazione di Heims, dando per assodato che nella nostra mente
esistano tre nuclei di competenza comunicativa → competenze linguistiche, competenze extra-linguistiche e
competenze contestuali (socio-linguistiche, para-linguistiche, interculturali). Queste competenze vengono
applicate per creare testi (orali o scritti) che contribuiscono a creare eventi comunicativi, regolati da
convenzioni sociali, culturali e pragmatiche. È fondamentale che gli interlocutori tengano in considerazione le
convenzioni degli altri partecipanti all'evento comunicativo riguardanti gli aspetti appena menzionati e valutino
la propria partecipazione all'evento comunicativo in questa luce.
In che modo possiamo allenare la comunicazione interculturale? Possiamo, secondo il modello di Balboni, identificare
dei nodi intorno ai quali è possibile riflettere ed eventualmente modificare il nostro comportamento comunicativo, sia
nel linguaggio che nel modo di agire: il primo riguarda la formalità/informalità, in secondo luogo la
politeness/impoliteness (buone maniere, adeguatezza alla situazione); poi abbiamo la forza mascherata o implicita
(messaggio troppo assertivo, personalità troppo forte); il politicamente corretto/scorretto, che riguarda aspetti come
etnicità, parità uomo/donna, orientamento sessuale; elementi che sono oggetto di uso libero/tabù (malattia e morte,
secrezioni); atteggiamento cooperativo/arroccato; associazione cattivo o brutto (a cosa associamo il bene o il male).
Anche per Balboni la comunicazione interculturale prevede un atteggiamento di apertura agli altri modelli culturali,
abbattendo pregiudizi e stereotipi e rispettando le differenze, con la consapevolezza che si possano trovare elementi più
adatti al nostro stile di vita in altre culture. Secondo il modello di Balboni e Caon i problemi che caratterizzano gli
eventi comunicativi interculturali (d’ora in poi, abbreviato in IC) possono essere raggruppati in due macrocategorie
legate 1) alla lingua, ai gesti e al corpo; 2) a valori culturali che si scontrano. Ci sono contesti in cui questi probemi
possono rivelarsi più gravi, in quanto determinano la buona convinvenza tra persone: si pensi alla situazione
comunicativa dell'ufficio postale. La mancanza della conoscenza delle relative regole implicite può determinare
un'incomprensione e quindi una forma di sanzione sociale da parte dei partecipanti all'evento culturale (d’ora in poi,
abbreviato in EC) che invece sono a conoscenza di quelle stesse regole (es. numerino per fare la coda). Se la pesona che
viola la regola appartiene ad un'altra cultura si possono avere strumentalizzazioni basate sul malinteso interculturale.

La capacità di un docente di sensibilizzare gli studenti sulla possibilità che esistano più culture e valori di riferimento è
fondamentale. Le azioni di sensibilizzazione permettono la messa in atto delle strategie di mediazione che permettono
di creare siutazioni non conflittuali. Le competenze di mediazione sono così strategiche che sono state inserite nel
Companion volume, pubblicato nel 2018 in supplemento al QCER che valorizza maggiormente le competenze IC.

0.6-0.7 Intercomprensione
Il termine intercomprensione (d’ora in poi InC) designa una situazione comunicativa in cui gli interlocutori si
esprimono in lugne diverse pur comprendendosi, sia scritto/orale, che sincrono/asincrono, sia in presenza che a
distanza; allo stesso tempo designa anche un approccio didattico che permetta questo tipo di comunicazione.
La rappresentazione della comunicazione linguistica diretta è basata sulla condivisione di un codice da parte dei
parlanti, che producono e comprendono enunciati nella stessa lingua. Se non si condivide la stessa lingua possono
nascere situazioni comunicative completamente diverse da quella prototipica: possono nascere nuove lingue (es. creole),
si può avere ibridazione (es. pidginizzazione), ricorso ad una lingua veicolare (es. lingua franca, lingua che si usa in
molti contesti d'uso, molto semplificata, es. l'inglese nella nostra società). La condivisione parziale o frammentaria di
questo codice, soprattutto nello sviluppo delle attivitàricettive, può dare origine anche a una forma di comunicazione
plurilingue, in cui si ricorre a due codici distinti. Chi partecipa all'EC capisce la lingua degli altri e si esprime in una
lingua diversa, che si aspetta possa essere compresa anche dagli interlocutori.
Gli studi sull'intercomprensione sono partiti proprio dall'osservazione di questa pratica comunicativa, usata
spontaneamente sia nel passato che nel presente. Ad esempio, Eco nel Nome della Rosa descrive la comunicazione nei
conventi medioevali che avveniva mischiando il latino, lingue germaniche, romanze etc. mentre Claire Blanche
Bienveniste, fondatrice dell'approccio intercomprensivo, nel 1997 descrive il processo di InC tra i navigatori e i
commercianti del mediterraneo basandosi sulle memorie di C. Colombo.
È quindi possibile citare l'InC come pratica che può essere messa in atto tra parlanti che usano lingue appartenenti alla
stessa famiglia senza ricorrere ad una lingua franca. La comunicazione e l'InC ricorrono alle stesse strategie cognitive
usate da parlanti che condividono lo stesso codice. Questo avviene in virtù dei tratti in comune delle lingue (a tutti i
livelli), sia delle competenze variabili degli individui.
Secondo Simone, l'InC si basa sul riconoscimento di attese e di un sistema di regolarità che presuppongono una
predisposzione mentale alla ricostruzione linguistica, una specie di grammatica comparata ricostruita in maniera
induttiva. A parte l'osservazione del fenomeno di InC nella comunicazione spontanea, sono stati predisposti
sperimentazioni che hanno permesso identificazione di modelli opeartivi e metodologie didattiche.
Dobbiamo inserire l'InC tra quegli approcci che hanno il merito di operare sia in direzione del plurilinguismo
dell'individuo sia in chiave di ecologia linguistica in favore della preservazione del plurilinguismo.
Nell'ambito intercomprensivo ci sono molte metodologie., strumenti e risorse che privilegiano la ricezione dello scritto
che hanno come target le lingue romanze, ma ci sono anche altre metodologie che privilegiano altre abilità linguistiche
o altre famiglie linguistiche.,
I principi che costituiscono il mcd della didattica dell'InC sono l'approccio plurilingue, il ricorso alle competenze
parziali, l'attenzione alla comprensione, la riflessione sulla lingua, sviluppo di conoscenze strategiche e metacognitive.
L'InC può essere sviluppata in più lingue nel contesto di un unico programma di insegnamento e per questo si inserisce
nel quadro degli approcci all'insegnamento plurali, definiti dal CARAP come “approcci didattici che mettono in atto
metodi che coinvolgono allo stesso tempo più varietà linguistiche e culturali”.
Tali approcci culturali sono:
– L'InC
– La sensibilizzazione alle lingue
– Approccio interculturale
– Didattica integrata delle lingue, che sfrutta ciò che si è imparato in L2 per studiare una L3.
Questi quattro filoni hanno direzioni che vengono esplicitate e applicate anche all'interno della sola InC. La InC rafforza
la inclinazione al plurilinguismo presente in tutti i documenti europei, mettendo in discussione le concezioni tradizionali
riguardanti l'apprendimento linguistico, a compartimenti stagni, perché riflettono e inisitono sull'importanza di
valorizzare l'affinità trale lingue e la trasversalità delle lingue. Infatti l'insegnamento simultaneo i più lingue permette di
moltiplicare le occasioni di confronto tra i vari sistemi linguistico-culturali e, sfruttando il principio del transfer
positivo, valorizza l'uso della L1.
I vantaggi del valorizzare la lingua madre dell'apprendente nel corso del processo di apprendimento sono rappresentati
dal fatto che l'uso della lingua madre rassicura l'apprendente, facilitando l'accesso alle altre lingue e permettendo di
riflettere in senso metalinguistico sulla stessa lingua madre attraverso l'apprendimento delle altre lingue.
Un altro principio fondativo dell'InC è quello di competenze parziali: essa si basa sulla possibilità di isolare le diverse
abilità linguistiche (es. comprensione orale VS produzione orale VS comprensione scritta VS produzione scritta), es. un
parlante italofono che andrà in Spagna avrà generalmente una buona competenza ricettiva dello spagnolo. Questo mette
in crisi l'idea del monolinguismo. Non sempre dobbiamo avere competenze complete di una lingua, es. studente che
deve studiare su fonti in lingue diverse. Questa competenza può essere raggiunta in tempo molto breve se ci si
concentra sulle abilità ricettive.
Un altro principio chiave dell'InC è quello di valorizzare l'abilità della comprensione. Ci sono molti lavori scaturiti dalla
ricerca che hanno permesso di identificare e classifciare le strategie sia cognitive che metacognitive che permettono
l'accesso al testo: va sottolineata l'importnaza delle tecniche di lettura e ascolto incentrando l'attenzione non solo sul
prodotto ma anche sul processo → quali strategie sono state messe in atto dal parlante? L'importante è che si sviluppino
le riflessioni dell'apprendente sulle strategie messe in atto, aumentando la consapevolezza del modo in cui ci si deve
esprimere, del funzionamento delle lingue, delle tipologie testuali.

Adesso delineiamo quali contributi ha offerto l'Italia alla definizione di InC come metodo didattico. A partire dagli anni
'70 la corrente di EL italiana ha creato un terreno favorevole per InC; si è sviluppata una riflessione sul ruolo della
lingua nella formazione degli individui e che ha pertanto permesso di definire il concetto di educazione linguistica,
culminato con la redazione delle 10 tesi GISCEL del 1975, che mettevano al centro la bussola della funzionalità
comunicativa, l'importanza della valorizzazione del repertorio linguistcio dell'individuo e l'importanza delle riflessioni
cognitive e metacognitive. La linguistica educativa è stata definita da De Mauro come quella branca della linguistica
che analizza la lingua in funzione didattica.
In Italia, il plurilinguismo degli anni '70 e, diversamente, quello di oggi, ha fatto sì che esistano molte iniziative dal
basso di promozione del plurilinguismo, ad esmepio l'educazione pluri-o bilingue in certe regioni, il metodo CLIL,
creazione di équipe di ricerca sulla formazione al plurilinguismo attraverso progetti basati sull'InC.

In che modo l'approccio intercomprensivo si può trasformare in un approccio didattico? → elaborazione del concetto di
intercomprensione educativa che considera l'InC in funzione dell'apprendimento linguistico, definendo approcci,
metodi, tecniche, etc. L'InCE parte quindi dall'assunto che, se la nostra capacità di comprendere malgrado le differenze
è spontanea, possiamo potenziare questa capacità attraverso un atto didattico → il processo riguarda una competenza in
costruzione. Sfruttando i processi cognitivi e psico-affettivi, nonché la dimensione testuale ed extralinguistica della
comunicazione, si possono attivare le strategie di comprensione soprattutto per quanto riguarda le lingue romanze.
I presupposti epistemologici da cui si parte per affermare questo si basano sul costruttivismo sociale e culturale, che si
basa sui seguenti principi:
– L'apprendimento è un processo attivo, che presuppone che noi individui “impariamo ad imparare” proprio
mentre impariamo. Questo ci è permesso grazie alla possibilità di appoggiarci a strutture di conoscenze
pregresse, che coinvolgono altre facoltà e i sensi;
– L'influenza che il linguaggio ha sull'apprendimento visto come attività sociale, ossia in relazione al modo in
cui ci rapportiamo con gli altri;
– La riflessione che possiamo realizzare mentre apprendiamo basandoci sulle nostre conoscenze e credenze;
– Motivazione come componente fondamentale dell'apprendimento.
Dimensione metacognitiva e metalinguistica favoriscono l'autonomia dello studente, integrando i naturali processi InC e
giungendo a quella che chiamiamo InC Educativa (InCE).

L'InCE si pone quindi come luogo di scambio tra campi teorici e applicativi; i primi fondano le azioni didattiche, dalle
azioni didattiche forniscono materiale per migliorare gli assunti teorici.
Tornando al concetto di riflessione, diamo importanza delle competenze procedurali, ossia quelle competenze che
permettono lo svolgimento dei compiti e la risoluzione del problema. Per stimolare questa capacità riflessiva
nell'apprendente l'InCE propone l'uso di schede di autoosservazione, che stimolano quindi una riflessione e sviluppano
la consapevolezza dei processi da parte dell'apprendente. Uno dei campi di applicazione dell'InC è quello applicato al
Content Languaging Integrated Learning (metodologia CLIL), che ha l'obiettivo di sviluppare competenze linguistico-
comunicative in L2 e metodologico-didattiche nelle discipline. Le ricadute didattiche di questi due approcci nel contesto
classe sono: rapidità dell'apprendimento, incremento della motivazione, acquisizione di strategia di lettura e ascolto di
cui l'apprendente è consapevole, la valorizzazione delle conoscenze e competenze già possedute in L1 degli apprendenti
(fa riferimento già all'interno delle 10 Tesi GISCEL), reciprocità linguistico-culturale fra parlanti, sviluppo di
competenza interculturale.
Perché Intercomprensione e CLIL si compenetrano così bene e vengono proposti insieme? Perchè se gli obiettivi del
CLIL sono quelli di mettere gli apprendenti in contatto con nozioni insegnate in una lingua che non controllano
perfettamente l'attivazione di comparazioni, anticipazioni, formazione di ipotesi (strategie sviluppate dall'approccio
intercomprensivo, es. expectancy grammar), tutte queste strategie si rivelano indispensabili per accedere al senso.
Contemporaneamente InCE e CLIL sfruttano quindi le stesse strategie al fine di migliorare l'accesso al senso da parte
degli apprendenti.
InCE e materiali didattici: i materiali didattici legati all'InCE sfruttano una serie di similitudini, ad esempio le relazioni
interlinguistiche che si possono sitematizzare a diversi livelli linguistici, in particolare vengono accompagnati l'interesse
spontaneo dei parlanti per l'apprendimento con l'aumento del grado di InC tra le lingue (fattori semiotici, psico-affettivi
legati al processo di apprendimento della lingua).
Lo scritto è privilegiato dagli approcci InC perché nello scritto possiamo trovare maggiori tracce della stessa origine
nelle parole. Molto spesso, se vogliamo evidenziare la trasparenza lessicale, le vocali iniziali sono identiche; a livello di
grammatica si possono evidenziare similarità morfo-sintattica nelle costruzioni negative o nella creazione di prefissi;
possiamo fare riferimento ai processi che sottostanno all'apprendimento della lingua attraverso la creazione di
consapevolezza nell'apprendente.
Possiamo osservare inoltre il modo in cui si invita l'apprendente a riflettere attraverso una scheda di autoosservazione
che cerca di far emergere le strategie cognitice e d'apprendimento del parlante.
In ambito InC sono stati realizzati i seguenti progetti dal 1994 ad oggi: i progetti Ariadna 1,2 e Minerva sono stati i
pionieri nel campo, più recente è Redinter, che mette l'accento sul valore della comprensione e fa riferimento al
concetto di plurilinguismo contenuto nel QCER, oltre che al valore delle competenze delle abilità parziali,
consapevolezza linguistica, transfer, valorizzazione della dimensione pragmatica della lingua, sviluppo di un'attitudine
affettiva.
Dal punto di vista dell'analisi degli approcci e dei metodi nell'ambito InC, dobbiamo dire che ci sono alcuni aspetti
riconducibili agli approcci umanistico-affettivi, come la valorizzazione del ruolo della prima lingua e delle conoscenze
pregresse dell'apprendente, che mettono l'apprendente al centro del processo di apprendimento.
Il docente, quindi perde il suo ruolo centrale, è un facilitatore, e promuove in classe un apprendimento euristico e
autonomo; la classe si trasforma in una comunità comunicativa all'interno della quale il senso viene costruito e
negoziato.
L'InC sicuramente favorisce l'applicazione di alcune idee contenute nei documenti europei che fanno parte della visione
dell'Europa che si è formata nel tempo, riguardanti i concetti di aggregazione e formazione del cittadino europeo. Per
queste finalità (idea di creare una maggior coesione sociale nell'ambito europeo e formare il cittadino europeo sulla base
del plurilinguismo) sono stati adottati e finanziati progetti sull'InC. Nel mondo aumentano sempre di più i cittadini
plurilingui essendo tramontata l'idea politica dello Stato-Nazione ed affermandosi sempre di più l'idea di un'identità
plurale.
1.6 Intercomprensione – progetti ARIADNA e MINERVA
I progetti ARIADNA e MINERVA non costituiscono metodi di apprendimento delle lingue, bensì approcci parziali ad
esse; sono concepiti in sintonia propositiva con QCER perché i lavori delle équipe coinvolte, benché iniziati prima della
diffusione su internet del QCER stesso, sono maturate in quel clima di riflessioni teoriche.
ARIADNA → disegno ed implementazione di un curriculum integrato per la formazione e autoformazione dei docenti
di lingue straniere, si suddivide in due fasi:
1) ARIADNA 1 rivolto alla formazione dell'insegnante;
2) ARIADNA 2 rivolto sia agli insegnanti che allo studente.
MINERVA → costruzione di materiali dedicati all'InC tra lingue prossime in ambito romanzo, è finalizzato
all'acquisizione di competenze pragmalinguistiche di sopravvivenza da parte di uno straniero sprovvisto di formazione
linguistica specifica, e attraverso questo macroobiettivo intende anche favorire la mobilità nell'UE, il risveglio di una
conoscenza delle similtudini linguistiche tra le differenti lingue romanze, lo sviluppo di speciifche strategie di approccio
ad esse.

ARIADNA: 1995-1999; MINERVA: 1999-2003, entrambi hanno come obiettivo soluzioni operative per favorire la
riflessione sull'azione didattica che si concentra attorno alle lingue. I due attori principali sono l'insegnante e
l'apprendente, affinché essi sviluppino una piena consapevolezza dell'educazione linguistica.
I primi progettia ccentuavano la dimensione cognitiva e contrastiva della competenza interculturale e interlinguistica;
gli ultimi pongono > attenzione sulla dimensione affettiva, comunicativo-comportamentale senza per questo mirare ad
un vero e proprio apprendimento linguistico.
MINERVA persegue un'idea di competenza linguistica parziale che assume valore perché finalizzata al raggiungimento
di obiettivi di plurilinguismo. Bisogna chiarire alcuni presupposti teorici generali, tra cui “che cosa si intende per
competenza plurilingue” in MINERVA. A tale scopo l'equipe si è servita del concetto sociolinguistico di repertorio,
ossia l'insieme di varietà linguistiche cui si può ricorrere a seconda delle situazioni degli interlocutori con cui
interagisce, e della padronanza che di tali varietà possiede.
Un aspetto importante dal pdv sia sociolinguistico che glottodidattico, è che queste varietà di lingua si collocano nel
repertorio non paritariamente, ma occupano ciascuna un settore particolare e con raggi d'impiego e funzioni diverse
(definizione di Berruto, 2004). Sono rari, infatti, i casi in cui il repertorio è costituito da conoscenze perfette, le
conoscenze delle diverse varietà sono squilibrate. Il repertorio, per esempio, del parlante X può includere varietà
dell'italiano che sa comprendere oralmente o leggere, ma non sa parlare, la comprensione di un dialetto orale, l'impiego
corretto della forma standard nelle proprie produzione scritte e orali, i linguaggi tecnici, capacità di parafrasare un brano
di Dante...
Il repertorio si presenta inoltre spesso come repertorio plurilingue che riunisce varietà di più lingue: tutti noi siamo
potenzialmente plurilingui.
Il concetto di pluringuismo a cui facciamo riferimento, così come viene raccomandato dal QCER, si fonda sul carattere
globale e non compartimentato della competenza linguistica. La lingua viene vista non come sistema astratto ma in
quanto strumento di concreti comportamenti comunicativi che subiscono determinati condizionamenti da parte della
società. D'altronde, se ci pensiamo bene, le situazioni di bi- o plurilinguismo sono da ritenere la normalità nella vita
quotidiana nella società attuale, il monolinguismo è l'anomalia!
Nella formulazione classica di obiettivi nell'apprendimento delle lingue straniere, la competenza comunicativa viene
posta come qualcosa che si aggiunge ad una competenza comunicativa già esistente in L1; tuttavia la competenza
plurilginue non è giustapposizione, ma è integrazione, la messa in relazione di varietà o lingue senza ottenere omologia
tra competenze ben definite e compiute, bensì con una differenziazione tra componenti distinte e non equilibrate che
costituiscono comunque l'insieme. A quanto appena detto va aggiunto il fatto che la competenza plurilingue permette
anche di riconfigurare, e non solo di attivare, il repertorio, operazione possibile se si abbandona il sogno di raggiungere
una competenza nella L2 quasi nativa, per abbracciare invece l'idea molto più realistica di una competenza che varia nel
tempo e nello spazio, che comprendo la fossilizzazione di certe aree e lo sviluppo di altro.
Questo porta alla caratterizzazione della competenza plurilingue come un insieme di conoscenze e capacità che
permettono di attivare le risorse di un reprtorio plurilingue in determinate circostanze, ma che contribuiscono anche a
costruire e modificare lo stesso repertorio, sviluppando una competenza che potremmo definire iperlinguistica.
L'idea di plurilinguismo a cui ci ispiriamo riposa anche sul concetto, caro alla sociolinguistica, di code-switching, che
permette di passare in certe circostanze da una lingua ad un'altra e da una varietà all'altra, anche nella stessa situazione
comunicativa. Questo comportamento si trova nella normalità dei casi. La competenza plurilingue intesa in tal senso è
un prezioso strumento di mediazione, permettendo il contatto tra lingue e culture e diverse: deve comunque fondarsi
sulla volontà di un'appartenenza multipla quale raccomandata dal Consiglio d'Europa.
Tornando indietro, riflettiamo su alcuni aspetti della natura delle lingue: l'InC si fonda sulla similarità. Si è sviluppata in
ambito romanzo; questo fatto può suscitare negli apprendenti un interesse per l'apprendimento di una o più lingue.
Ci sono differenti tipi di similarità tra lingue, che abbiamo visto riproposti nei sette setacci di Stegmann. Le similarità
possono essere fonologico, lessicale, pragmalinguistico, culturale, sociolinguistico, morfosintattico... e possono mutare
fortemente a seconda del canale di comunicazione utilizzato. Su questi processi hanno una forta incidenza i fattori
semiotici e psicocognitivi: nel primo caso gli elementi componenziali del senso, nel secondo la situazione di
comunicazione e la modalità di erogazione di strategia di costruzione del senso.
Vediamo quali possono essere questi fattori, analizzando la natura delle lingue: in primis, tutte le lingue sono parlate. La
modalità del parlato è prioritaria, è la più utile per gli scambi di qualsiasi tipo. Lo scritto mantiene la testimoniana del
passato delle lingue, è secondario al parlato e ne costituisce una rielaborazione. MINERVA è improntato maggiormente
alla comprensione orale e si è scelto di utilizzare lo scritto solo come traccia delle manifestazioni foniche e come
elemnto facilitatore, rassicurante. Per quanto riguarda il rapporto oralità/sistema linguistico, ci sono relazioni
interlinguistiche sistematizzabili di differenti livelli, ossia le regole, le trasformazioni, etc. sia sul piano fonologico, che
morfosintattico, che socio-culturale. Queste relazioni sono osservabili anche senza particolari conoscenze fonologiche,
storiche, di grammatica comparativa, etc. e sono anche analizzabili da parte dell'apprendente, ossia un non specialista.
Vediamo poi che alcune capacità del linguaggio verbale sono ben visibili, come la produzione scritta e orale di parole e
frasi appropriate, l'interazione, la lettura ad alta voce... etc. Altre sono meno visibili, come dare un senso a ciò che si
ascolta o legge, la capacità di analizzare verbalmente o interiormente le situazioni e ampliare il patrimonio linguistico
acquisito attraverso un rapporto produttivo/ricettivo con parole e frasi nuove (De Mauro, 1981).
A ciò si aggiunge il fatto che tradizionalmente nella didattica delle lingue è stata sopravvalutata la riflessione
grammaticale, propria della pedagogia linguistica europea e non soltanto e che ancora oggi ha un ruolo molto
importante. La riflessione grammaticale è fondata sulle forme scritte, alla quale va, se non sostituita, almeno affiancata
la capacità di sviluppare il senso della funzionalità comunicativa sia di forme linguistiche note che ignote. Come
ricordato da Vygostkij o Piaget, riflettiamo sul fatto che l'attività umana è determinata da due proprietà fondamentali: la
finalità, ossia la presenza di uno scopo, un'intenzionalità, e la struttura delle attività stesse, una sequenza di
comportamenti che hanno un loro fine. Dato per acquisito che la motivazione e il darsi un certo scopo sia fondamentale
nell'apprendimento delle lingue, ci soffermiamo sulla afferenza alla situazione, ossia tutti gli influssi esterni che la
situazione esercita sull'organismo. Nella scelta dell'azione è fondamentale la cosiddetta immagine del risultato, ossia il
modello del futuro: è possibile prevedere le scelte che il soggetto compierà in futuro sulla base delle scelte
precedentemente compiute, modello psicologico che presuppone un carattere attivo della percezione in generale e della
percezione dei discorsi in particolari. Questo perché creiamo la nostra conoscenza sulla base di ciò che conosciamo di
già; infatti i progetti di InC si fondano su ciò che già sappiamo, e aiutano a potenziare le nostre conoscenze pregresse,
facendoci rendere conto che sappiamo molto di più di quello che credevamo di sapere. La conseguenza didattica di tale
teoria è l'importanza funzionale dell'accumulo di esperienza verbale nell'ascolto della lingua straniera, senza la quale
non si ha una corretta valutazione della probabilità di occorrenza di un determinato elemento.
Carattere attivo della percezione: il parlante, valutando la probabilità degli esiti, li mette in relazione anche con ciò che
è l'obiettivo stesso dell'azione, quindi con il risultato immediato, utilizzando regole e modelli mentali che gli sono
propri. Si può quindi sostenere che chi parla lingue diverse ma è accomunato dall'intenzione verbale, realizza la
medesima azione anche se nelle lingue coinvolte la stessa azione si concretizza sulla base della medesima struttura
obiettiva. Sempre collegandosi all'InC, che è alla base dell'epistemologia di MINERVA, si riteneva che ci si dovesse
liberare dell'anello della mediazione della lingua materna, cercando di far impadronire lo studente di certe strutture
della lingua obiettivo, facendo attenzione che non si attivasse il transfer linguistico e culturale che invece, nel caso di
lingue tipologicamente vicine, era ritenuto particolarmente pericoloso perché poteva creare interferenza.
Facendo così, con questa paura del transfer linguistico, si calpesta l'intelligenza, la personalità dell'apprendente. La
preoccupazione di fornire input adeguati al destinatario è invece tipica degli approcci InC, ed è stata anche centrale
nella progettazione di MINERVA. Se vogliamo che le attività proposte in classe interessino l'apprendente e attivino
meccanismi psico-cognitivi efficaci, dobbiamo costruire circostanze che siano vicine alla situazione in cui l'apprendente
dovrà agire e potrà quindi immedesimarsi. Dovremo fare leva sulla sua creatività, ma anche sulla conoscenza della
situazione e, in particolare con gli adulti, non mortificare la loro intelligenza e le capacità cognitive che hanno già
sviluppato.
Tutto questo comporta anche che il problema dell'imbattersi da parte dello studente in una varietà che pensa di non
poter utilizzare, di cui non vede l'utilità, lo porta a considerare l'energia utilizzata per l'apprendimento come sprecata. Il
progetto MINERVA si ispira a quanto contenuto nel Libro Bianco, riguardo al bisogno di plurilinguismo come identità
della cittadinanza europea. Tra i progetti linguistici sviluppati nelle varie azioni di programmi di lingua europei,
MINERVA non è tra quelli caratterizzati da scelte più forti, con obiettivi di competenze bilanciati tra varie lingue, ma ha
come obiettivo lo studio limitato di una L2 e centra la finalità sulla comprensione orale solo in determinati domini.
Sono stati scelti alcuni domini relativi (MINERVA rivolto ai giovani) alla socializzazione giovanile, trovare un piccolo
impiego, risolvere problemi di saluti. MINERVA ha anche una forte componente pragmatica, una visione delle lingue
romanze come strumenti e non come oggetti di studio in sé stessi, in sintonia con le tendenze più recenti della
glottodidattica. Approccio orientato all'azione: materiali didattici strutturati affinché attraverso la trasferibilità di
processi cognitivi sia possibile l'apprendimento ricettivo di piùlingue simultaneamente. Si rivolge a giovani apprendenti
(15-25 anni); le attività sono strutturate in modo tale che l'apprendente possa acquisire sempre di più consapevolezza
delle strategie e degli stili di apprendimento che gli erano propri; coscienza degli atteggiamenti culturali e affettivi per
portare a termine compiti nei domini selezionati (MINERVA era su Internet e purtroppo questo supporto non è rimasto
al passo con la tecnologia; il programma non è mai stato pubblicato in stampa quindi non è più utilizzabile). La lingua
era considerata come azione in contesto; il contesto riveste un ruolo primario nei materiali MINERVA; i domini
selezionati erano quelli ritenuti familiari per l'apprendente. Per esempio, nel modulo rumeno, due studentesse sono
davanti al PC e visitano un sito: la conoscenza di cosa due studentesse possano cercare in questo sito restringe il campo
di possibilità delle ipotesi sull'argomento della loro conversazione per chi deve ascoltare; nel modulo portoghese si
parla di annunci di lavoro.
Torniamo a parlare di MINERVA in generale: poiché nel processo di attivazione di schemi e di aspettative influiscono
tutti gli indizi ricavabili dal contesto, nel progetto è stata rivolta grande attenzione alla scelta di luoghi, oggetti, azioni, a
tutta la componente extralinguistica della comunicazione che la multimedialità del materiale permetteva di utilizzare.
Nel QCER si afferma che il contesto esterno viene filtrato dall'apparato percettivo (uditivo e visivo), dai meccanismi di
attenzione, dall'esperienza a lungo termine (asociazioni, memoria...), alla classificazione pratica di oggetti, avvenimenti,
familiarità con gli ambienti presentati, nelle immagini selezionate nel formato cartaceo che accompagnava il CD (che
però non ha mai avuto una stampa ma solo circolazione tra gli esperti), dalla categorizzazione linguistica favorita
dall'intercomprensione spontanea delle lingue messe in contatto (lingue romanze). Anche gli studi condotti
sull'acquisizione della lingua materna sui bambini ci dicono che le indicazioni appena esposte non sono casulai: la
selezione degli elementi da imitare si basa su ciò che i bambini conoscono, piuttosto che ciò che è disponibile
nell'ambiente. È importante, con i bambini, offrire un modo predicibile di partecipare all'interazione, a maggior ragione
questo è auspicabile negli adulti: è importante quindi fare leva sul contesto, sulla conoscenza accumulata con
l'esperienza. L'abitudine alla pratica riflessiva ina dolescenti e adulti favorisce poi la successiva maturazione delle
competenze. D'altronde, studi di stampo funzionalista, anche italiani (scuola di Pavia), ipotizzano che l'acquisizione
muoverebbe da fasi iniziali, caratterizzate da un modo comunicativo pragmatico, seguite poi da fasi più
grammaticalizzati, caratterizzate da un modo sintattico. MINERVA era quindi rispettoso degli studi sull'acquisizione del
tempo; è stato elaborato in modo rigoroso seguendo l'epistemologia dell'InC.
Quali erano le strategie, i testi e i compiti?
Esempio pratico: il contesto esterno interagisce con il contesto mentale, attraverso le intenzioni con le quali
l'apprendente partecipa all'evento comunicativo, le sue aspettative, etc. Per l'attivazione di queste operazioni, nella
proposta didattica del progetto, abbiamo dato massima importanza agli input linguistici e culturali contenuti nei
materiali che abbiamo chiamato “déclencheurs” e “enclencheurs”: danno l'idea di quanto tali elementi possano “dare il
via” o “concatenare” il processo di apprendimento. Essi creano la contestualizzazione, ossia il quadro situazionale del
contesto. Le attività e i compiti servivano a colmare i vuoti costituiti dalla non-conoscenza della lingua, affinché
attraverso l'inferenza si elaborasse il senso generale del messaggio. I compiti erano organizzati a partire dal testo,
considerato centrale in ogni modulo, definito appunto il “déclencheur”, ed erano indicati nelle macrocategorie che
davano il titolo al modulo, in sintonia con il QCER, che seppur in maniera più accentuata nella sua prima versione,
indica chiaramente che il testo deve essere centrale rispetto ai compiti e alle strategie didattiche. Infatti, i compiti
implicano al gestione dei testi e richiedono l’attivazione di determinate strategie. Esempio: attività 5^scena “Realizzare
pratiche amministrative”  rendere cosciente l’apprendente delle pratiche di comprensione (spagnolo).

Competenze generali e capacità di apprendere


In MINERVA veniva data molta attenzione alla modalità di autoapprendimento come componente della capcità di
imparare, “saper apprendere”, in piena sintonia con QCER, che descrive questa capacità di saper apprendere (pp. 131-
132 del QCER) come “capacità di osservare e partecipare a nuove eseperienze e di integrare nuove conoscenze con
quelle esistenti, all’occorrenza, modificandole”. (V. QCER) In MINERVA, quando si richiedeva una produzione,e ssa
serviva solo come rinforzo per comprensione e autoverifica; questo perché il progetto era finalizzato allo sviluppo della
intercomprensione orale, non si prestava attenzione agli errori, perché si era convinti che l’errore è una necessaria spia
delle ipotesi che si stanno elaborando (teoria ancora valida). Un altro elemento di novità rispetto alla didattica
tradizionale dell’epoca riguardava il ruolo assegnato all’interferenza (ricordiamoci che l’intercomprensione ha dato una
visione completamente diversa del ruolo dell’errore e dell’interferenza). Essa, tanto temuta dagli insegnanti quando le
lingue coinvolte sono molto vicine, diviene un elemento positivo, in quanto si appoggia su conoscenze, esperienze
pregresse che aiutano la comprensione. Questa capacità di trasferibilità di conoscenze da una lingua all’altra fa sì che
elementi linguistici e culturali di prossimità permettano a un parlante di lingua romanza di acquisire buone capacità di
comprensione in un’altra lingua romanza mai studiata prima di allora in 20-30 ore di lezione.

Risorse cognitive e affettive sollecitate in MINERVA


L’originalità del progetto risiedeva nel fatto che le pratiche didattiche non si fondavano solo sulla somiglianza e
trasferibilità lessicale e morfosintattica, ma anche su quelle pragmatiche e sociolinguistiche; inoltre, si sfruttavano
situazioni conosciute ed elementi non verbali contenuti nei materiali video. Questo perché si cercava di facilitare
nell’apprendente la costruzione di reti mentali con cui stabilire interconnessioni, grazie a interventi didattici mirati e
all’utilizzo di una terminologia affine basandoci sui descrittori del QCER. Utilizzando MINERVA, anche nel caso
l’apprendimento della L2 non fosse proseguito, si era convinti che avremmo comuqnue dato opportunità allo studente
almeno a comparare e riflettere sul proprio sistema linguistico, sviluppare la propria abilità di studio e flessibilità
mentale, nonché capacità di astrazione. D’altronde, l’aspetto motivazionale e affettivo è molto importante in questi
approcci basati sull’InC; se dopo poche ore di esposizione a una nuova lingua si è in grado di comprendere molta parte
dei messaggi a cui si è esposti, ciò non può che gratificare e sviluppare l’autostima. Inoltre, interagire linguisticamente e
culturalmente significa anche riflettere sulla propria lingua e cultura rispetto alle altre che stiamo studiando. Questa
capacità di rapportarsi agli altri implica una pluralità di visioni che permettono il superamento di stereotipi e il
decentramento dal proprio punto di vista senza assumere il filtro di difesa. In tal senso, MINERVA era anche un
programma di pedagogia interculturale.
In un’ottica plurilinguistica che richiede alternanza tra le lingue si ha necessità di programmare percorsi modulari più
che unità didattiche rigide: infatti, MINERVA aveva prodotto 8 moduli, ciascuno in una lingua obiettivo diversa. Questo
perché si era convinti che se si impara a interagire per risolvere un problema di salute es. in catalano, non vuol dire che
non lo si sappia fare in italiano, anche se a questa lingua era stato dedicato un modulo differente. Il processo di InC e il
plurilinguismo che si intendeva avviare con MINERVA è anche di tipo socio-psicologico, perché stimola
l’apprendimento di tipo cooperativo, generando curiosità per la scoperta linguistica e motivando ad aprirci nel proprio
repertorio linguistico.

Abilità e obiettivi scomponibili


Sempre riferendoci al QCER, questo raccomanda una politica di diversificazione linguistica che permetta di superare il
monolinguismo in favore della comprensione di più lingue, sottolinea l’importanza della differenziazione degli obiettivi
di apprendimento, scomponendo le abilità e prefissandosi obiettivi ridotti, per permettere a più cittadini europei di
raggiungere miglior competenze, per quanto parziali, funzionali al soddisfacimento dei propri bisogni. Porre l’accento
sull’acquisizione di abilità parziali implicaabbandonare l’ottica del cumulo di conoscenze e non concentrarsi solo
sull’obiettivo finale, bensì sul processo di apprendimento. Questo in sintesi è l’apporto positivo dei materiali didattici
elaborati in InC.

Tornando a MINERVA, uno dei principi fondanti del progetto è che le lingue romanze non sono così straniere fra loro, e
con una riflessione guidata, si può scoprire che si conosce qualcosa di lingue che non si sono mai studiate. Ciò dovrebbe
portare anche ad eliminare la componente di ansia e timore verso lingue consdierate difficili da apprendere.
Naturalmente, lo studente deve essere reso cosciente dei singoli aspetti che contribuiscono alla comprensione
complessiva, che viene facilitata all’aumentare delle lingue a cui è esposto. Più lingue si imparano, più è facile
impararne altre. Altri esempi concreti: nelle attività “Divertirsi e fare nuove amicizie” prima dell’ascolto dei dialoghi
c’erano sempre attività di osservazione di fotogrammi dei filmati, con le quali si chiedeva di ipotizzare ruoli dei
personaggi e situazioni, cosicché lo studente, quando arrivava al momento dell’ascolto, si trovava già preparato. In
alternativa, si vedeva il filmato in soundoff e si chiedeva allo studente di inventare un dialogo appropriato agli indizi
della situazione, in una lingua a sua scelta; modo ulteriore per far sì che lo studente prestasse attenzione alla situazione.
Tutto questo è possibile solo se si abbandona l’ottica tradizionale con la quale si studiano le lingue, quella di divenire
bilingui, l’idea che le lingue debbano essere scritte e pronunciate senza errori, anche a scapito della competenza
comunicativa. Ovviamente, la pronuncia è importante, ma non nelle fasi iniziali dell’apprendimento, perché per la
competenza comunicativa occorre comprendere e farsi comprendere, e questo è già un successo. Del resto, anche molti
nativi compiono errori; l’uso imperfetto della lingua va bene per certi tipi di apprendenti, che hanno necessità di
comunicare velocemente ed efficacemente nella lingua obiettivo. Questo non è sempre indice di un basso livello
sociale: saper capire e ascoltare gli altri, anche a basso livello, è già una ricchezza. È pertanto positivo favorire la
conoscenza parziale delle lingue.

Aspetti sociolinguistici (SL) e pragmatici (PR) del materiale didattico


La comprensione di quali implicazioni para- ed extralinguistiche abbia la scelta sull’asse di una certa varietà di un certo
contesto o cotesto quando si costruiscono dei materiali didattici può rivelarsi essenziale per cogliere ciò che non viene
detto, assolvendo in tal modo allo sviluppo di abilità pragmatiche, quantomeno nel caso dell’InC, ricettive.
Le nozioni inerenti le regole SL possono essere anticipate anche a studenti di competenza bassa, facendo attenzione a
non creare un corto circuito da eccesso di input (regola sempre valida). Adulti e post-adolescenti, destinatari di
MINERVA, al contrario dei bambini, possiedono già una competenza SL formata nella propria lingua, dunque centrare i
materiali didattici sul parlato comporta una scelta molto forte dal punto di vista SL. Questo significa mettere da parte le
forme standard delle lingue romanze, quelle più trasparenti, e porsi il problema del livello di marcatezza al quale
scendere nella selezione dei tratti del parlato, nel quale, più che nello scritto, emergono aspetti diatopici. Bisogna avere
chiaro anche il rapporto tra la norma attesa dall’insegnamento e la realtà degli effettivi comportamenti linguistici delle
persone. Bisogna anche essere consapevoli del fatto che ogni varietà di lingua è corretta in sé stessa, ma non per questo
è corretta in ogni situazione di comunicazione: una didattica che voglia essere veramente al servizio dell’apprendente
deve presentare un modello di lingua adatto alla situazioni di comunicazione che prevediamo siano di maggiore
interesse per quest’ultimo.
Sul piano PR, questo significa che dobbiamo essere consapevoli che ogni varietà di lingua ha una sua funzione, una sua
spendibilità sociale. Ci sono delle farsi che nello scritto vengono considerate errate, ma che sono accettate
comunemente nell’orale, es. “Vorrei la strada per il più vicino bancomat” invece di “Vorrei sapere quale strada devo
prendere…”. Nell’orale questo tipo di scorciatoia è la norma, è nello scritto che è necessario esplicitare quanto non
viene supportato dal paraverbale. Bisogna quindi fare molta attenzione alla forza pragmatica delle frasi e vedere quanto
veramente possano incidere sul reale passaggio del messaggio.
In MINERVA sarebbe stato illogico impostare tutto il lavoro di progettazione sul parlato e utilizzare campioni di lingua
tipici dello scritto, inappropriati ai fini comunicativi selezionati. In MINERVA sono state accolte le modalità relative al
canale, i caratteri comuni a tutte le lingue romanze in quanto propri dell’oralità, del parlato faccia a faccia, che domina
nei materiali, che va dall’informalità dell’interazione fra pari (modulo “Divertirsi e fare nuove amicizie”), alla
semiformalità dell’interazione con sconosciuti in situazioni non paritarie (modulo “Risolvere un problema di salute” o
“Partecipare alla vita accademica”), fino all’informalità con sconosciuti (“Orientarsi e spostarsi in città”).
In secondo luogo, ci siamo chiesti quali tratti propri del parlato delle lingue coinvolte potessero essere presentati, es. la
varietà belga rispetto a quella francese? Le varietà del nord o del sud dei vari Paesi? Differenti tipi di accento? Nel
modulo “Risolvere un problema di salute” si porta l’apprendente a riflettere su vari aspetti del lessico castigliano e
francese del parlato. In modo esplicito, la studentessa protagonista utilizza “merci” (pron. /mèrci/) al posto di gracias: si
tratta di un gallicismo molto frequente nel parlato. Si invita l’apprendente a sfruttare la propria competenza PR es. alla
domanda della protagonista se può essere visitata nella segreteria dello studio non si risponde direttamente ma si inizia a
chiedere date, implicando quindi indirettamente che la risposta è affermativa. La segretaria chiede alla ragazza in quale
via abita, questa fornisce anche il n° civico e la città pur se non richiesto, perché si ipotizza che queste informazioni
servano. Si tratta di insegnare a sfruttare le proprie conoscenze PR della situazione, ciò che direbbero nella propria
lingua o in un’altra lingua romanza incontrata nel proprio percorso di formazione.

Problemi legati alla formazione e alle competenze di insegnanti e apprendenti


Premessa: gli insegnanti di lingue straniere, in tutto il XX secolo, si sono confrontati con il problema della loro
riconversione, soprattutto quelli di lingue materne o romanze, soprattutto per la raccomandazione della Comunità
Europea, sia per l’inserimento di immigrati. Si sono avuti quindi molti casi di improvvisazione e anche, fortunatamente,
azioni corrette di formazione come quelle che vengono erogate da Unistrasi.
La differenza fondamentale tra un insegnante di lingua e un insegnante di italiano che si riconverte in insegnante di
italiano L2 è che i primi, per il percorso di studi che hanno fatto, sono più abituati a riflettere sulle lingue, sul oro
funzionamento e su come loro stessi abbiano appreso le lingue. Normalmente, hanno già una maggiore sensibilità
rispetto agli altri, i quali sono più sensibili alla forma e sono ancorati all’insegnamento della lingua italiana come L1,
trasportando le relative modalità d’insegnamento e valutazione nell’ambito della L2. L’insegnante, di fronte
all’approccio di InC si trova spesso spiazzato, perché deve abbandonare metodi più tranquillizzanti, come quelli
tradizionali (ricordiamo che il metodo grammaticale.traduttivo non è mai scomparso); l’insegnante, con l’approccio,
InC si deve far carico di una serie di competenze che vanno oltre la competenza nella lingua insegnata, ma deve tenere
conto del fatto che il linguaggio verbale (questo vale per tutti gli approcci più moderni) intrattiene rapporti stretti con
l’intera personalità dell’apprendente, la sua vita affettiva, intellettuale, sulla capacità dei rapporti sociali, abilità che
l’apprendente ha di usare altri linguaggi. Con il materiale introdotto in MINERVA l’insegnante poteva ssumere due
ruoli: quello di consulente nella sperimentazione condotta autonomamente dagli apprendenti (era un CD, quindi poteva
essere anche usato in autoapprendimento) e quello di facilitatore, con il quale poteva organizzare anche dei materiali
aggiuntivi. L’insegnante aveva quindi un ruolo molto secondario nel materiale MINERVA: doveva comunque avere una
chiara idea delle scelte teoriche e dell’epistemologia che stava dietro al progetto, eprché doveva sapere quali processi
venivano attivati nei singoli moduli, come questi si raccordavano gli uni agli altri, come potevano aiutarlo a sviluppare
nei propri studenti una competenza comunicativa che fosse realmente consapevole. Un insegnante facilitatore doveva
prestare particoalreattenzione alle caratteristiche dei suoi apprendenti per poter intervenire con input aggiuntivi, anche
se in accordo ai principi ai quali si ispirava MINERVA, per facilitare un apprendimento di tipo costruttivista, stimolando
negli apprendenti la riflessione su ciò che stavano facendo, le strategie attivate nello svolgimento delle attività, nel
rispetto della loro autonomia. Era infatti stato creato un quaderno per l’insegnante, il dossier auteur, (francese utilizzato
come lingua franca, anche se durante le riunioni ognuno usava la propria lingua, rispetatndo i vantaggi dell’InC), che
conteneva indicazioni di tipo teorico e pratico sulla situazione del modulo, sulle attività, la natura dei materiali.. con
riflessioni specifiche sugli aspetti socio-pragmatici, le funzioni e gli atti comunicativi contenuti nel modulo stesso:
raccomandazioni fornite agli insegnanti.
 Es. dal quaderno per gli insegnanti, dal modulo “Divertirsi e fare nuove amicizie”:
Tra le tecniche più idonee per rafforzare il processo di comprensione si hanno cloze, accoppiamento, incastro; per guidare la
comprensione si hanno domande a scelta multipla, transcodificazione e griglie (venivano quindi date precise indicazioni sul tipo
di tecnica glottodidattica da utilizzare). I tipi di ascolto previsti sono: 1) globale, che serve per rendersi conto di cosa si sta
parlando; capcità coinvolte individuare elementi enfatizzati, riconoscere singole parole/espressioni che permettono di
ricostruire il tema generale, connettori. Importanti anche le conoscenze culturali, che permettono di collocare le informazioni nei
giusti schemi di riferimento; 2) ascolto rielaborativo (es. durante una lezione, o quando si ricevono istruzioni) prevede anche la
capacità di immagazzinare in memoria il messaggio, è il tipo di ascolto più complesso (ascolto globale + ascolto finalizzato) e
può essere collegato ad altre capacità, es. prendere appunti. L’insegnante si deve quindi aspettare dagli apprendenti diversi
comportamenti e risultati dalle due diverse tipologie di ascolto.
Si consiglia di attivare sempre le seguenti aspettative all’ascolto: 1) extralinguistiche, ossia valori socio-culturali e contenuti; 2)
metalinguistiche (es. caratteristiche di un telegramma rispetto ad altri tipi di testo); 3) linguistiche (segmentazione di blocchi di
signficato e relazioni concettuali tra le parti del discorso).
Per ogni attività erano state redatte brevi spiegazioni degli obiettivi a cui miravano e delle competenze messe in gioco, come si
legge nel dossier: ascolta e leggi ancora una volta il questionario prima di completare le seguenti scelte  spiegazione di come è
stato strutturato il questionario, casualità delle risposte ridotta dal raggruppamento di tre item per domanda, capacità di
divinazione sfruttata per sfuttare abilità di comprensione, non essendo questa una prova di verifica ma un’attività per ipotizzare il
contenuto del questionario. Descrizione, quindi, delle singole attività.
Gli insegnanti dovevano essere quindi capaci di una interazione didattico-educativa che veramente desse il risultato di
una consulenza, ma dovevano essere anche produttori di stimoli, guide interculturali e interlinguistiche e sempre meno i
detentori di una didattica dirigistica e punitiva, organizzata secondo stili cognitivi più propri dell’insegnante, che
dell’apprendente. Gli insegnanti dovevano far acquisire la capacità di saper fare ai propri apprendenti (d’ora in poi
App), la riflessione, l’autocritica.
Se gli insegnanti (d’ora in poi Ins) non adottano metodi più idonei alla formazione di una coscienza interlinguistica, sarà
più difficile che i loro alunni siano spontaneamente portati a riflettere sui meccanismi dietro al funzionamento del
linguaggio, riguardanti anche le attività che svolgono. Quindi, l’apprendente dovrà essere cosciente dell’approccio alla
lingua che viene adottato nei materiali di InC, ispirato al costruittivismo sociale e culturale, secondo il quale
l’apprendimento è un processo attivo nel quale si impara ad imparare mentre si sta imparando, ricorrendo alle
conoscenze già a disposizione, rielaborandole mentalmente, soprattutto rapportandole a situazioni o contesti esperiti. Al
fine di facilitare l’apprendimento riflessivo da parte dell’apprendente si era creato un dossier apprenant, per insegnare
all’apprendente ad unsare strategie comunicative, prendere coscienza di ciò che veniva richiesto nei compiti, invitando
l’app a concentrarsi su alcuni aspetti piuttosto che su altri, e sulla natura dei compiti somministrati. Nello specifico, nei
compiti si cercava di ridurre il carico procedurale, facendo ricorrere alla lingua materna o ad altre lingue già apprese; si
cercava di far concentrare l’App sui contenuti e non unicamente sulla forma.
Si cercava di far leva sul fattore affettivo, che condiziona l’apprendimento, e il fatto stesso di portare l’App, attraverso
le procedure adottate, a concentrarsi più sul contenuto che sulla forma, oltre che all’assenza di esplicite prove di
verifica, abbassava il livello di ansia linguistica, generalmente molto alto nelle prime fasi di avvicinamento ad un’altra
lingua. Nel quaderno studenti erano compresi anche materiali che avviavano al processo di apprendimento:
registrazioni, materiali che suggerivano percorsi di comprensione, accesso a documenti scritti o visivi inseriti nel
modulo… era stato attivato tutto ciò che era possibile affinché questio materiali fossero efficaci e gratificassero i
bisogni dell’App. Il piacere e la motivazione nell’apprendimento delle lingue sono importanti. Nel caso del piacere,
esso poteva essere perseguito su più fronti: es. scoprire somiglianze e trasparenza di fondo delle lingue romanze, che
può passare dall’osservazione empirica e naturale che caratterizza l’InC fino ad arrivare all’InC guidata e costruzione di
percosi specifici; presentazione di una vasta varietà di repertori, canali linguistici, generi testuali, situazioni vicine al
destinatario; spendibilità immediata delle competenze acquisite nel modulo per i bisogni di interrelazione sia
interlinguistica che interculturale; percorsi costruiti sulla base del problem solving, che rendono sempre più autonomo
l’apprendente nella costruzione di conoscenze non lineari, bensì creative e frutto di un processo di rielaborazione.
L’obiettivo di MINERVA era molto ambizioso, essendo basato sull’InC orale, e poteva essere utile perché faceva leva su
questi elementi di gratificazione e sugli aspetti pragmatici.

Testi
I testi input scelti e le immagini erano stati selezionati sulla base delle raccomandazioni del QCER, sfruttando la
familiarità che l’App aveva con certe tipologie testuali, sulla base della sua fascia d’età. Erano quindi categorie che
potevano aiutarlo nella comprensione. Vedovelli, 2002, nel suo commento al QCER sostiene che la familiarità con le
regole costitutive delle classi di testi rimanda ai processi di comprensione, assunti come non lineari, né puramente
sequenziali, ma come dipendenti da strutture di conoscenza pregressa sul campo dei saperi, di socialità entro il quale si
inscrive il testo. La familiarità del tema contenuto nel testo agevola l’App e la costruzione del supporto audiovisivo
completava questa facilitazione e l’attivazione di processi di anticipazione e conoscenza pregressa. I testi scelti
contenevano caratteristiche del parlato reale (es. rumori di fondo), anche se si era cercato di ridurre il più possibile il
numero delle voci, in quanto poteva creare delle difficoltà di disambiguazione, noché sovrapposizione dei discorsi o
velocità di parola eccessiva. Si è preferito utilizzare testi parlati a bassa densità informativa e alta ridondanza, che
potevano però essere segmentati grazie al supporto utilizzato. Il parlato più utilizzato nei modelli era il dialogo; era
strettamente legato al contesto extralinguistico in cui veniva prodotto, ricorreva a deittici, allusioni, impliciti etc. I testi
erano stati registrati con la modalità del canovaccio: da un’indicazione base, gli attori erano liberi di interagire sulle
indicazioni relative alla situazione.
Fase 2 - Politica linguistica e pubblici per l'italiano LS/L2

2.1 Politica linguistica e documenti europei


Politica linguistica (PL) in Italia: fin dagli anni ’70 i movimenti dal basso di insegnanti, educatori e linguisti spinsero
per uan attivazione di energie volta a riformare la scuola in Italia: 1975  dieci tesi del GISCEL, il cui obiettivo era di
ribaltare i principi della pedagogia linguistica tradizionale, mettendo finalmente al centro l’App, le sue necessità, il suo
retroterra linguistico e culturale, la possibilità di insegnare la lingua secondo il principio della funzionalità comunicativa
 insegnare ciò che è utile nella vita di tutti i giorni per essere cittadini attivi e presenti nella società. Documenti
riguardanti l’educazione linguistica degli alunni italofoni (si veda slide): nuova attenzione nei confronti degli App
italofoni.
Via via, nel tempo, anche con lo strutturarsi del fenomeno migratorio, si è palesata all’orizzante la necessità di formare
gli insegnanti di italiano L2. I flussi migratori verso l’Italia cominciano negli ani ’70, ma passa molto tempo prima che
vengano emesse linee guida sulla formazione degli insegnanti, formazione che non riguardava solo gli insegnanti di
italiano in Italia, ma anche di quelli che operavano all’estero.
Il Ministero degli Affari Esteri organizza un corso in presenza e un corso di didattica dell’italiano L2 anche online.
Un’altra istituzione di riferimento è quella sviluppatasi in seno all’Unistrasi: l’Osservatorio linguistico permanente
dell’italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate in Italia, che nasce nei primi anni 2000 ad opera di Massimo
Vedovelli.
Contemporaneamente, nel Consiglio d’Europa, dopo aver elaborato a livello teorico e pratico indicazioni per
l’attuazione dell’approccio minimalista e i livelli soglia (per l’italiano: Nora Galli de’Paratesi, 1981) e,
conseguentemente, i sillabi ad essi ispirati; dopo aver proposto soluzioni sull’adozione dell’approccio massimalista
(studi sulla conversazione e differenza tra acquisizione e apprendimento postulata da Stephen Crashen); dopo
l’elaborazione di documenti come il QCER, le politiche linguistiche riguardanti l’italiano si concentrano anche su
ricerche sull’emigrazione italiana all’estero, perché si necessitava di tenere in considerazione gli aspetti sociali e la
complessità delle variabili culturali messe in campo da fenomeni globali come la migrazione.
In Italia, per venire incontro a una visione innovativa dell’insegnamento che considerasse aspetti sociali e variabili
culturali sopra menzionate, venne elaborato il cosiddetto Glottokit; nello stesso periodo, le ricerche sull’emigrazione
italiana fecero emergere la necessità di non considerare il processo di apprendimento come separato da quello di
socializzazione / integrazione in una nuova comunità.
Per quanto riguarda l’Italiano come LS e i relativi pubblici, sono state tuilizzate diverse indagini, definite
“motivazionali”, perché indagavano le motivazioni che spingono i diversi profili di App ad avvicinarsi alla nostra
lingua.
Dobbiamo cercare di capire dove si insegna l’italiano come L2: in Italia si insegna alle due Università per Stranieri
(Siena e Perugia), scuole private, centri linguistici univeristari, centri della società Dante Alighieri, storica fondazione
che ha iniziato con ‘occuparsi delle esigenze linguistiche degli italiani all’estero, nei CPA, nei SIPROIMI (Ex SPRAR),
nei patronati, nelle associazioni, in moltissime scuole statali a tutti gli ordini e gradi, corsi aziendali (es. nella filiale
turca della FIAT), nella realtà del carcere e con gli scambi Erasmus, Socrates etc. Un panorama, quindi, piuttosto
composito.
Sia per l’italiano L2 che LS è stato importante approntare strumenti di indagini motivazionali. Quelle più significative
sono quelle condotte da Maggini e Parigi nel 1985, Baldelli (istituo enciclopedia italiana), Freddi (CNR), Lo Cascio
(pubblicate come atti di convegni all’estero), Ministero degli Affari Esteri, Italiano 2000 (De Mauro et al.), Italiano nel
Mondo – Balboni e Santipolo; Giovanardi-Trifone 2012 “Italiano 2010” (vedi slide): quest’ultima, oltre ad indagare le
motivazioni vuole anche posizionare l’italiano rispetto alle altre lingue straniere, analizzando i risultati dei test di lingua
somministrati a studenti universitari.
Le indagini motivazionali servono a delineare le tipologie di App; comprendono le motivazioni alla base della volontà
di un App di imparare la lingua e quindi i bisogni (formativi  es. se trascorro un semestre universitaria in Italia;
lavorativi), definire l’identità dei soggetti e le diverse situazioni di apprendimento.
Le motivazioni e i tipi di pubblico individuati da tali indagini sono di varia natura (v. slide 8): la prima indagine di Galli
de’ Paratesi ha individuato motivazioni legate al turismo, studio universitario, professionali per Italiano L2. L’indagine
di Baldelli, come quella di Vignuzzi ha rilevato anche la motivazione culturale, legata al prestigio delle comunità
italiane all’estero. In questa indagine osserviamo per la prima volta il legame con la religione cattolica. Le indagini di
Freddi mettono in evidenza un arricchimento culturale strumentale e vocazionale; Maggini-Parigi evidenziano
motivazioni professionali e intellettuali, mentre Lo Cascio mette in campo motivazioni turistiche, intelettuali e
strumentali. Cosa significa tutto questo? Se gli apprendenti hanno motivazioni di tipo culturale, significa che intendono
aderire o abbracciare, studiando la nostra lingua, il portato dei valori simbolici legati all’Italia: lo stile di vita, le
caratteristiche architettoniche, storiche e artistiche, aspetti legati alla religione. Nell’indagine condotta da Benucci è
stato individuata anche la motivazione, molto importante, ancora di tipo culturale, legata al prestigio dell’Italia.
Nell’indagine di De Mauro si evdienziano motivazioni economiche (industriale, comemrciale), in quanto questa
idnagine si collocava nei primi anni 2000  globalizzazione, esportazione del Made in Italy; relazioni sociali,
tradizione intellettuale. La diffusione di una cultura legata al Made in Italy non più elitaria; compaiono per la prima
volta legate ai movimenti migratori, che non erano stati osservati nelle precedenti indagini. In Balboni si mettono
nuovamente in evidenza le motivazioni culturali legate al prestigio delle comunità italiane all’estero.
Su una base di motivazione per lo studio dell’Italiano come lingua colta ed etnica, nel tempo si aggiungono motivazioni
lavorative, di integrazione sociale, italiano degli studi legato agli scambi interculturali, italiano della scuola e
dell’integrazione sociale per i bambini, italiano del culto, italiano delle RI, del commercio e delle imprese, l’italiano di
coloro che scelgono l’Italia come Patria elettiva per periodi più o meno lunga a prescindere dalle necessità lavorative, il
prestigio della cultura italiana nel mondo, legato a quanto la cultura italiana ha prodotto in vari ambiti.

Queste motivazioni ci fanno intravedere quali possono essere i tipi di pubblico ai quali bisogna rivolgersi per azioni
didattiche mirate. Tra gli anni ’90 e i primi 2000 la politica linguistica (PL) italiana è sollecitata anche dalle iniziative
del CE, che pone in modo molto forte al centro della propria PL la formazione, che intende essere una società della
conoscenza e non solo dell’informazione (la conoscenza rimane, l’informazione sfuma), una società in cui il sapere
viene costruito e ricostruito continuamente in evoluzione (e non semplicemente trasmesso). La formazione è un
obiettivo da perseguire per tutto l’arco della vita.
Se la spinta propulsiva degli anni ’90 ha avuto alcuni momenti di grande progettualità e ha visto l’Italia iniziare ad
interessarsi in maniera specifica all’insegnamento dell’italiano, va anche detto che c’è stato un supporto significativo da
parte dell’UE che ha incitato allo sviluppo di una istruzione di qualità e alla cooperazione tra gli stati membri.
Nello specifico, citiamo alcune linee guida e momenti importanti legati alla PL di pluralità europea (v. slide 14,
riferimenti anche a pubblicazione di atti di convegni, es. Convegno di Rueschlikon). Vediamo in dettaglio solo alcuni di
questi documenti:
1) Convegno di Rueschlikon obiettivo: educazione democratica

Questi punti riflettono in pieno, inoltre, anche gli obiettivi degli approcci InC. La valutazione e la certificazione
nascono in quest’epoca, come evidente dagli ultimi punti.
2) Libro bianco: cinque obiettivi generali, tra cui avvicinare la scuola all’impresa ( nascita dei tirocini!);
importanza della formazione anche post-universitaria

3) Libro verde: abbstanza parallelo al bianco: ulteriore raccomandazione per la creazione di strumenti didattici
idonei al momento storico in cui essi sono creati: strumenti di testing, certificazione, programmi, curricoli,
portfolii.
4) Raccomandazione del Consiglio Europeo di Barcellona, 2002: messa a punto di strumenti per la definizione
di indicatori e gli obiettivi da raggiungere enunciati nella risoluzione di febbraio (migliorare qualità ed
efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione; consentire a tutti di accedere all'istruzione e alla formazione
durante l'intero arco della vita; aprire i sistemi di istruzione e di formazione sul mondo.

PL Europea e Multilinguismo
Come si presentava una decina d’anni fa il panorama linguistico europeo? 23 lingue ufficiali in UE; 506 combinazioni
di traduzioni ; 1% del budget annuale di funzionamento dell’UE in traduzione e interpretariato. L’UE ha quindi voluto
investire molto affinché almeno le lingue ufficiali dell’UE fossero più largamente conosciute dai suoi cittadini; l’unica
risposta non poteva essere la conoscenza dell’inglese (lo vediamo soprattutto oggi, dopo l’uscita della GB dall’UE!). Il
Consiglio d’Europa si è dotato fin da subito di due organismi ce servivano a garantire il rispetto della diversità
linguistica: la Divisione delle Politiche Linguistiche (aspetti più giuridici) e il Centro Europe per le Lingue Vive
(formazione ed erogazione di strumenti teorico-pratici per la conoscenza di come si possano sviluppare queste PL).
Frutto di questi organismi sono il CARAP (già citato a proposito di InC, promuove didattica orientata ad approcci
plurali, quindi rivolti a più varietà, lingue culture e sotto-culture: l’InC è uno dei 4 approcci individuati dal CARAP e,
sempre grazie a CARAP si forma il primo nucleo dell’approccio CLIL all’insegnamento delle discipline, approccio
CLIL che in Italia è stato purtroppo distorto e potrebbe essere migliorato da un’introduzione teorica che si rifaccia ai
principi dell’InC) e il DERLE. Riguardo all’ approccio CLIL, “l’apprendimento non si realizza in lingua straniera ma
attraverso un approccio pragmatico all’uso della lingua straniera, in una situazione di comunicazione autentica” (De
Carlo 2012). L’aspetto pragmatico alla lingua straniera è stato sfruttato per l’insegnamento dell’italiano a detenuti
stranieri.
Il DERLE è il documento con cui si declinano le varie pluralità caldeggiate dalla PL europea. Innanzitutto pluralità di
conoscenze: conoscere in vari ambiti e varie discipline; pluralità di risorse realtive ai saperi e alle modalità di accesso ai
saperi; pluralità di lingue, popolazioni, gruppi sociali… ricollegandoci ai bisogni e motivazioni, dei vari tipi di
pubblico. Non si crede più ad una didattica monolitica, rivolta ad un App teorico, non tenendo conto della
differenziazione dei profili di App che possiamo trovarci davanti. Altri aspetti importanti sono l’evidenza data alla
pluralità degli aspetti culturali e dei valori che ogni cultura veicola; pluralità delle visioni dell’educazione, è un quadro
che lascia posto aogni idea dell’educazione purché orientata alla pluralità.
Strategia UE 2020: sviluppare un piano globale in vista di una crescita sostenibile, intelligente e inclusiva (prima volta
che appare questa parola) si sostiene che le competenze linguistiche sono tra le competenze essenziali per la
realizzazione personale, la cittadinanza attiva e la coesione sociale. L’input viene dato a livello europeo e poi questo
viene declinato nelle singole aree di ricerca.

La situazione italiana è cambiata molto negli ultimi 20 anni, proprio perché ci siamo resi conto che potevamo avere una
centralità nella diffusione di PL e strumenti di ricerca. Soprattutto nell’ambito dei processi migratori e le relative
implicazioni linguistico-culturale, dopo un primo momento in cui prevaleva la ricerca francese, oggi l’Italia si presenta
come un modello interessante di risposta almeno sul piano teorico e della elaborazione strumentale; forse un po’ meno
sul piano della realizzazione omogenea su tutto il territorio di corrispondenti azioni concrete.

2.2 Analisi delle pratiche più diffuse per l’insegnamento dell’italiano LS/L2 e per la formazione di insegnanti in
italiano L2/LS

Commissione Nazionale  anni ’80; Legge 153/71 ha permesso di erogare corsi di formazione per insegnanti di
italiano all’estero, inizialmente erogati dalle UNISTRA, poi anche da altri atenei. Questi corsi hanno iniziato ad avere
luogo a partire dagli anni ’90 (1994, Rio de Janeiro); prima di essi, l’insegnamento era delegato a italo-discendenti
spesso senza alcuna formazione glotto-didattica o titoli di tipo umanistico. È stata molto importante anche l’opera degli
IIC, alcuni dei quali hanno erogato corsi ben preparati e hanno avuto a disposizione corpi insegnanti molto formati
grazie al contatto con l’Italia, altri molto meno, e spesso negli anni ’90 la formazione fornita dagli IIC era generalmente
riservata a italodiscendenti o alle élite. Abbiamo poi la Società Dante Alighieri, affiancata da comitati che
raggruppavano emigrati e loro discendenti, attivi in Sudamerica, Australia… aree molto interessate dall’emigrazione
italiana: questi comitati hanno però perso parte della loro importanza. Abbiamo poi scuole italiane all’estero, molto
prestigiose e per questo frequentate non solo da italodiscendenti; idem per le comunità italiane nel mondo che hanno
sempre mantenuto una identità ben definita, come es. la Comunità di Rosario, Cordoba o Buenos Aires in Argentina, e
Montevideo. Dobbiamo poi citare l’Osservatorio di Vedovelli che continua tuttoggi la sua opera, che oggi si concentra
sul rilevamento delle lingue immigrate in Italia, dopo un primo momento in cui studiava l’italiano nel mondo.
La diffusione della lingua italiana all’estero inizia propriamento negli anni ’90; all’epoca il web non era così diffuso
quindi anche le persone italodiscendenti che volevano insegnare italiano necessitavano di formazione anche linguistica
più strutturata, perché vevano poco contatto con l’italiano. Es. alcuni elementi del neostandard erano percepiti come
errori; inoltre, generalmente fuori dal territorio si hanno posizioni più conservatrici e puristiche riguardo alle variazioni
del repertorio linguistico, probabilmente anche a causa dell’insicurezza dovuta alla lontananza dalla “madrepatria”.
Infine, nel 2006 sono stati stilati i primi protocolli per il programma Marco Polo e, successivamente, Turandot 
materiali didattici specifici per App parlanti lingue completamente diverse da quelle europee e necessitano quindi di
approcci personalizzati.
Si sono sviluppate linee di formazione relative alla mediazione e all’apprendimento dell’italiano come L2 da parte di
adulti (universitari, studenti di scuola pubblica, ricercatori, operatori e tecnici che necessitano di aggiornamenti, adulti
immigrati  profilo dall’importanza progressivamente crescente).
A metà degli anni 2000 UNISTRASI inizia a diventare un punto di riferimento. Vengono elaborati molti strumenti
didattici e viene sviluppata e potenziata la certifcazione d’italiano (inizialmente solo le Università per Stranieri e Roma
Tre), si intensifica la formazione degli insegnati (creazione del centro DITALS nei primi anni ’90 e ampliamento della
sua offerta formativa).

Torniamo però ai tipi di pubblico interessato all’italiano sia come L2 che come LS.
Oggi abbiamo interesse per italiano da parte di italodiscendenti alla ricerca delle proprie radici (fenomeno in declino
rispetto a 10-20 anni fa), studenti universitari e ricercatori in materie umanistiche; si fanno strada motivazioni di
natura professionale  persone che vogliono venire in Italia per lavorare (es. infermieri indiani). Permangono
ovviamente motivazioni classiche legate al prestigio culturale dell’Italia. Questo riguarda sia l’italiano come L2 che
come LS, anche se abbiamo commentato soprattutto il valore dell’italiano come LS, quindi rivolto a chi vive fuori
dall’Italia o comunque vuole spendere le sue conoscenze all’estero.
Riguardo all’italiano come L2, si sta potenziando molto questo tipo di insegnamento, che riguarda un’ampia tipologia di
apprendenti: italiano per lo studio scolastico (figli di immigrati, che stanno crescendo e hanno quindi esigenze diverse
rispetto alle elementari), programmi di scambio culturale, esigenza legate alle normative per cittadinanza e permesso di
soggiorno; immigrati di necessità, rifugiati, resettled. Un’ulteriore tipologia di App è quella dei detenuti stranieri, che
costituiscono una percentuale significativa della popolazione carceraria; inoltre abbiamo l’immigrato di lusso, persone
che decidono di soggiornare o stabilirsi in Italia perché ne apprezzano lo stile di vita e la cultura (es. il cosiddetto
Chiantishire).
Permangono comunque delle difficoltà nel tracciare un unico profilo degli App di ILS e ancora di più come IL2. Gli
immigrati adulti sono comunque oggi il gruppo più rilevante ed eterogeneo a cui si rivolge la didattica dell’italiano: i
loro bisogni riguardano l’apprendimento dell’italiano non solo in funzione comunicativa, ma anche come mezzo per
riscatto e promozione sociale, persone che hanno necessità di poter lavorare utilizzando la lingua italiana e svolgere una
serie di attività legate alla compilazione di documenti, pratiche, etc. Sono esigenze molto diverse da quelle di chi vuole
solo “comunicare” genericamente in italiano, serve la comprensione di testi anche molto complicati, spesso
incomprensibili anche per gli italiani stessi. A questo proposito, nei primi anni ’90 fu stilata da una commissione di
eminenti linguisti italiani un codice di stile ad uso della Pubblica Amministrazione, ma purtroppo questo invito alla
semplificazione non è stato raccolto.

Approfondiamo ora la problematica del pubblico legato all'immigrazione in Italia. Bisogna tenere conto del fatto che i
movimenti migratori verso l’Italia sono molto cambiati recentemente, e di conseguenza anche le relative caratteristiche.
Ci riferiamo in particolare agli ultimi trent’anni, in cui gli immigrati sono passata da una situazione di semi-visibilità e
presenza temporanea ad una situazione significative sia sul piano visivo che su quello statistico. A differenza dei primi
anni, si tratta di persone che hanno un progetto migratorio permanente, es. necessità di ricongiungersi con la famiglia e
mettere radici sul suolo italiano. Il primo cambiamento è stato quello dell’Italia da Paese di diaspora (almeno fino agli
anni ’60: le ultime ondate migratorie sono state quelle dall’Italia verso l’Australia, pertanto è un fenomeno cessato
piuttosto recentemente) a Paese ospite, ricevente immigrati inizialmente dall’est Europa e poi dal Mediterraneo. Si tratta
di cambiamenti molto importanti che hanno inciso nel panorama demografico del nostro Paese e hanno sollecitato
risposto dal pdv (=punto di vista) delle politiche formative in termini di IL2. Questo perché l’immigrato adulto, che
oggi è un soggetto attivo e visibile (è attore sociale, lavoratore), è anche una persona che spesso non ha dei profili di
formazione omogeneo, anche nella lingua d’origine: questo può creare problematiche in una classe, che può mostrarsi
come un ambiente molto eterogeneo. Un’ulteriore difficoltà è rappresentata dal fatto che l’IL2 viene appresa mentre
l’App cerca faticosamente di sopravvivere, es. lavorando… quindi spesso l’App non ha motivazione per frequentare dei
corsi, es. per mancanza di tempo, e le conoscenze comunicative vengono acquisite in modo informale sul campo,
venendo a mancare quindi una formazione più strutturata. Spesso l’App sa comunicare oralmente molto bene ma non sa
scrivere bene in lingua italiana.
Gli immigrati adulti in Italia (d’ora in poi AppIA) costituiscono il gruppo numericamente più rilevante, per quanto
riguarda l’offerta di formazione linguistica. È necessario pensare ad una formazione didattica adeguata, che non umili le
competenze pregresse dell’App e che sia anche strumentale per la risoluzione di problemi immediati di sopravvivenza
(e quindi anche un mezzo di riscatto).
Il profilo di queste persone è estremamente complesso, perché si possono sottocategorizzare gli AppIA in modo di
creare corsi specifici per ogni categoria. Questo però può portare ad un’eccessiva dispersione di energia e attenzione
troppo dettagliata che fa perdere di vista tratti che sono comuni alle diverse tipologie di immigrati. Una distinzione
particolarmente utile è quella, in ambito migratorio, tra adulti e bambini: i bambini hanno esigenze specifiche, dettate
in primis dall’età. Possiamo orientarci riguardo agli elementi di omogeneità, es: esigenza primaria dei bambini è
inserimento scolastico, per gli adulti è la lingua come strumento di comunicazione di lavoro e di sopravvivenza. Ci sono
però dei distinguo in casi particolari come es. quelli del detenuto o del resettled.
Quello che accomuna tutte queste tipologie è un altro aspetto, ossia quello di poter sempre prevedere un approccio
didattico che sia plurilingue. In questo caso, è maggiormente interessante per alcuni tipi di pubblico prvedere un
approccio che comprenda tutte le lingue di cui il pubblico componente la classe di IL2 è portatore. È quindi necessario
tenere conto delle distanze tipologiche tra le lingue degli App e l’italiano, nonché tra la cultura italiana e le culture degli
App. Si possono poi individuare diversi gruppi di AppIA con caratteristiche specifiche, in base es. alla conoscenza del
sistema di scrittura latino. È evidente quindi che non basta con questa tipologia di pubblico prevedere dei percorsi mirati
solo sui percorsi motivazionali, ma anche del profilo linguistico eterogeneo di queste persone e della loro formazione
pregressa.
Anche i tempi di acquisizione della IL2 sono molto diversi tra un immigrato pienamente alfabetizzato, che magari
conosce un’altra lingua europea o ha alle spalle studi regolari, e un immigrato che non conosce il sistema di scrittura
latino e che magari non è neanche alfabetizzato nella propria lingua materna. Gli approcci dovranno essere pertanto
differenti.

Didattica inclusiva e soggetti svantaggiati


Lo svantaggio linguistico (SV) è da intendersi in maniera estesa: si parla di SV non soltanto dell’immigrato, ma di varie
tipologie di App. Esso consiste in una difficoltà nello sviluppo delle competenze linguistiche e comunicative
indispensabili per la piena partecipazione scolastica e sociale. Possiamo quindi avere varie tipologie di soggetti con SV,
non necessariamente persone non italofone: possiamo avere persone con disturbi del linguaggio, o dell’apprendimento.
Possiamo avere persone che hanno determinate disabilità (es. didattica andragogica nell’educazione dell’adulto e
dell’anziano che ha problemi di udito o di vista); ci sono, in generale, App che hanno la lingua italiana non come lingua
materna ma sono nati in Italia, o persone che provengono da un contesto di deprivazione socio-culturale. Considerando
questi soggetti, cui va rivolta particolare attenzione, si deve prevedere una didattica inclusiva.
Questa rischia di essere un’etichetta, e come tale abusata, ma questa definizione viene riportata in molti studi.
Cosa riguarda l’inclusione? Innanzitutto metodologie didattiche innovative, capaci di includere soggetti svantaggiati:
abbiamo già fatto riferimento a InC, CLIL e a pratiche di translanguaging, pertanto una didattica plurilinguistica.
L’insegnamento deve essere specifico per bisogni particolari, es. DSA. L’inclusione riguarda anche la comunicazione
interculturale, perché non si icnlude una persona solo sviluppandone le competenze linguistiche, bisogna anche offrire
un ventaglio di orientamento nella cultura della società in cui l’App vive. Questo vale anche per la formazione degli
insegnanti, la promozione e l’insegnamento di un linguaggio inclusivo, es. il linguaggio di genere. Questo vale anche
per la valutazione; determinate debolezze dovranno essere infatti considerate al momento di valutare le competenze
raggiunte. Bisogna quindi prevedere strumenti tecnologici e tecnici adeguati a questi App SV, dei sillabi che abbiano
una prospettiva sociolinguistica e pragmatica, delle procedure didattiche specifiche, una sensibilità anche verso le
pratiche della traduzione e il ricorso alle risorse digitali che possono costituire un valido aiuto.
Quali sono i soggetti SV? In questo corso ci occuperemo dei detenuti e dei rifugiati.
 Detenuti: i cittadini immigrati detenuti nelle prigioni europee sono circa il 21% della popolazione carceraria
(Rapporto Space I e II 2016 – Consiglio d’Europa, non ci sono ad oggi dati aggiornati e non tutti i Paesi
forniscono dati)  convivenza forzata di lingue e culture con conseguenti problemi di comunicazione e
comprensione (Svizzera: 64,3%, Grecia: 60,4%, Italia: 35,3%, Spagna: 32,0%, Svezia: 30,2%,
Germania:28,5%, Olanda: 20,3%, Francia:18,1%, Regno Unito: 12,9%, ecc.). Questo è un contensto
superdiverso nella superdiversità e svantaggiato nello svantaggio, sono persone che convivono forzatamente
con persone di altre lingue e altre culture in luoghi chiusi e vanno pertanto incontro a grossi problemi di
comprensione.
 Rifugiati: il rifugiato è titolare di protezione internazionale. Si tratta di persona che “(…) temendo a ragione di
essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o
per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese d’origine di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa
di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese(…)”: definizione enunciata dall’art. 1A della
Convenzione di Ginevra del 1951, recepita nell’ordinamento italiano dalla legge n.722 del 1954
(https://www.sprar.it/la-storia).

Queste due citazioni ci fanno capire che i detenuti stranieri, se fossero stati italiani, non sarebbero stati neanche in
carcere. Questa presenza massiccia di persone che hanno culture e lingue diverse le une dalle altre creano problemi alla
struttura carcere, che per sua natura deve vivere sulla semplificazione. Queste persone spesso sono dimenticate; è un
modo per metterle da parte senza che possano creare ulteriori problemi. A queste due citazioni possiamo aggiungere che
la maggior parte dei detenuti stranieri è presente nelle carceri per reati monori, per i quali un italiano avrebbe potuto
pagare ammende o godere della libertà condizionata. Spesso, tali reati riguardano la clandestinità, o il piccolo spaccio:
non sempre, quindi, il detenuto straniero va considerato come il peggior criminale esistente. Difficilmente si trova un
detenuto straniero al 41bis. Riguardo ai detneuti stranieri, vediamo una breve presentazione di chi sono (dati forniti
dalla direzione generale per la formazione a Roma): sono eprsone spesso prive di permesso di soggiorno, 1/3 di questi
conosceva pochissimo la lingua italiana quando è entrata in carcere. Poche di queste persone hanno una rete di rapporti
stabile sul territorio che possa servire anche per i contatti con l’esterno e le necessità quotidiane.
Queste persone hanno bisogno di un orientamento per il reinserimento: non sono delinquenti difficilmente recuperabili,
per questo si stanno svolgendo molti progetti in questo ambito.
Roguardo invece ai rifugiati e ai richiedenti asilo, essi vengono aiutati tramite una serie di progetti. Nel 2019 i progetti
erano 671, coordinati e finanziati dalle reti SPRAR e SIPROIMI (evoluzione dello SPRAR), per un totale di circa
30.000 posti, che risultano purtroppo essere insufficienti.
L’accoglienza in Italia prevede tre fasi con differenti tipologie di strutture:
1) Primo soccorso e assistenza: hotspot, centri attivi nelle vicinanze delle principali aree di approdo dei migranti
che si occupano di far fronte alle esigenze immediate, come quella dell’identificazione, del rilevamento delle
impronte digitali e prima cura. Questa fase pertanto è emergenziale.
2) Prima accoglienza: centri di assistenza straordinaria e centri di accoglienza per i richiedenti asilo: sono, più
nello specifico, adatte e preparate per accogliere i migranti non comunitari, parzialmente identificati (almeno a
livello di foto segnaletica) che devono completare il percorso di riconoscimento e definire il loro status
giuridico. Anche in questo caso si tratta di interventi semi-emergenziali.
3) Seconda accoglienza: SPRAR e SIPROIMI, strutture nelle quali le persone identificate vengono accolte in
attesa che venga definita la propria istanza e venga riconosciuta la loro forma di protezione. In questa tipologia
di struttura è previsto che si eroghino dei piccoli interventi, molto brevi, per far capire a queste persone
qualcosa della lingua e della cultura del Paese che li sta ospitando. Progetti di accoglienza integrata finalizzati
all’inserimento sociale ed economico di queste persone, affinché esse siano autonome nell’interazione,
salvaguardando le proprie radici e identità (caratteristica di pluralismo). Tutto questo è contenuto anche nel
Libro bianco sul dialogo interculturale.
I contesti nei quali si trovano detenuti e rifugiati sono contesti di superdiversità per eccellenza, in quanto in essi
coabitano persone di differente nazionalità, lingua, cultura, identità religiose. Sia gli SPRAR che le carceri sono contesti
di coabitazione forzate, in cui le persone non scelgono liberamente di andare ma vengono inserite obbligatoriamente.
Queste persone sono portatrici di differenti percorsi migratori e, pertanto, di differenti repertori linguistico-culturali. In
questi ambienti si possono osservare le dinamiche del contatto linguistico e delle penetrazione di altre lingue nella
lingua parlata in un determinato Paese, in questo caso l’italiano. Questo fenomeno si può osservare bene anche in
carcere, dove abbiamo anche detenuti non immigrati. Questi contesti sono caratterizzati da mescolanza di più lingue e
culture che fa sì che, volenti o nolenti, queste persone conoscano lingue e culture degli altri e dunque da contesti di
deprivsazione e costrizione possono, se c’è adeguato supporto da parte di chi si occupa di accoglienza, formazione e
detenzione, divenire un’opportunità: contesti di superdiversità destinati ad un’evoluzione, in cui si manifesta la vitalita
delle lingue e dell’espressione di diverse conoscenze, sentimenti, emozioni… Per questo però devono essere elaborati
adeguati modelli d’intervento e devono essere formate le persone che entrano in contatto con questi soggetti SV.
Quindi: opera di mediazione e formazione possono essere indirizzate verso questi contesti per trasformarli in strumenti
e luoghi di integrazione sociale e linguistica. Ovviamente devono essere create le condizioni adatte affinché si possano
riconfigurare i repertori linguistici di questi migranti che sono adulti, pur rispettando le loro lingue e culture. Si tratta
quindi di aiutare queste persone in una sfida identitaria, sfuida che normalmente noi parlanti nativi osserviamo con
distacco e non comprendiamo: pensiamo solo che la lingua della società di accoglienza debba essere insegnata perché
l’individuo che vi giunge debba inserirsi nella propria società, non tenendo conto delle sofferenze che questa stessa
sfida può comportare, es. alienazione, disagio. Ottica interculturale è fondamentale: imparare a metterci dalla parte
dell’altro, osservare come questa persona parla, quali codici extralinguistici usa e sprattutto, osservare e far osservare
agli altri. Per una corretta pedagogia interculturale bisogna riflettere sulle differenze etniche e culturali dei processi
educativi da cui provengono i destinatari dell’azione pedagogica e insegnare a queste persone ad avere una certa
sensibilità verso questioni come diritti umani, pace, etc.
È stato dimostrato da molti progetti di ricerca che si possono rispettare le diversità di tali soggetti e integrarle senza
annullarle. La pratica didattica più specifica in ambito interculturale, occorre prevedere pratiche di interazione
all’interno dei gruppi cercando di rispondere ai loro bisogni, ma soprattutto centrando tali pratiche sulla multietnicità e
sulla multiculturale. Una corretta pedagogia interculturale ha tra i suoi compiti quelli di prevenire, preparare a vivere
nelle società multiculturale, aiutare ad afforntare le relative sfide, essere un modello di recupero per la soluzione di
problemi che possono e, purtroppo, scaturiscono dai conflitti che scoppiano in questi ambienti (accoglienza e
detenzione), chiusi e reclusivi.
Bisogna fare attenzione anche a come la problematica viene avvertita a livello istituzionale: non di rado bisogna
confrontarsi con norme che impediscono la pratica di una buona pedagogia interculturale.
Qual è l’approccio italiano nei confronti dell’integrazione di queste categorie di soggetti?
Ci sono progetti che puntano a un apprendimento di tipo flessibile, modulare, di tipo cooperativo, in cui si deve dar
voce all’apprendente il più possibile, ispirati a un approccio di tipo cognitivista e riflessivo (già menzionato perché
riguarda l’InC): persone adulte, che hanno esperienze di vita importanti, sono quindi in grado, se adeguatamente
seguite, di riflettere sui loro percorsi di avvicinamento alla lingua del Paese che li ospita e percorsi di ridefinizione del
loro repertorio plurilingue, che può includere, oltre alla lingua materna, le lingue dei percorsi migratori, le lingue delle
persone con cui condividono l’esperienza di reclusione: queste possono costituire un arricchimento.

2.3 Identità ed esigenze di formazione degli insegnanti di italiano L2/LS


Fino a pochi anni fa, coloro che volevano insegnare l’italiano agli immigrati non avevano la possibilità di farlo con un
inquadramento ben preciso; la classe A23 è stata istituita solo da poco. Pochi anni fa la fiura dell’italiano come L2 non
era riconosciuta in alcun modo; anche l’offerta formativa per questo tipo di insegnanti nei vari Atenei/enti di formazione
è variegata e molto vasta; è stata censita in maniera incompleta e comprende vari corsi che vanno dal Corso di
Perfezionamento, alle scuole di specializzazione di Siena e Perugia, Master di I e II livello, certificazioni di competenza
e una miriade di corsi di aggiornamento per insegnanti che erano organizzate dalle Regioni, istituzioni scolastiche…
finché, per quanto riguarda il coordinamento, non è stata istituita la DILLE (Società Italiana di Didattica delle Lingue e
Linguistica Educativa) che ha posto nel proprio statuto l’obiettivo di potenziare la formazione e la specializzazione
glottodidattica nelle Università e istituti di ricerca, contribuendo alla definizione di PL anche attraverso la formazione di
docenti di IL2. Come già detto, i contesti d’insegnamento ad adulti immigrati variano moltissimo: possono andare dalle
associazioni di volontariato, ai centri linguistici delle università… così come variano anche le definizioni
dell’immigrato adulto. È tuttavia necessario che, riguardo alla formazione degli insegnanti, si possa mettere a
disposizione di queste persone le conoscenze migliori sul campo.
Per quanto riguarda le varie azioni condotte fin da qualche anno per la formazione degli insegnanti, abbiamo avuto
Unistrasi come promotrice di queste azioni; l’istituzione del DITALS dai primi anni’90 (non solo per insegnanti di IL2
ma anche di ILS); c’è stata anche una rivista, attiva dal 2000 al 2006, la rivista Siena (supporto informativo e notiziario
accademico), dedicata agli insegnanti di itsaliano nel mondo; il centro ITALS della Ca’Foscari.
La situazione è veramente cambiata solo da una decina d’anni, fino ad allora gli insegnanti di IL2 erano persone che
avevano una laurea di tipo umanistico; pochi di questi avevano una formazione specifica di IL2 e, purtroppo, avevano
necessità di aggiornamenti sia glottodidattico che linguistico. Dopo l’entrata in vigore del DM del 4/06/2010,
l’apprendimento dell’italiano per gli immigrati si è trasformato in un obbligo da certificare tramite un esame, da
svolgere presso i centri territoriali. La necessità di certificare queste competenze degli immigrati ha determinato la
necessità di formare adaguatamente gli insegnanti nella verifica e valutazione.
L’Insegnante di Italiano L2 opera nei CTP o CPIA, e il carcere, ma anche nel mondo dell’associazionismo, volontariato
(privati nel sociale), che hanno iniziato a lavorare prima delle strutture pubbliche, costruendo una rete non strutturata,
ma capillare e capace di raggiungere in modo pervasivo i potenziali discenti; anche in questo caso, molto spesso i
volontari non avevano una formazione glottodidattica adeguata, anche se erano dotati di passione e creatività.
Anche i CLA universitari vedono l’opera degli insegnanti di IL2, anche se tradizionalmente non sono il primo luogo di
riferimento degli immigrati per l’apprendimento dell’IL2. Negli ultimi anni, però si sono sempre più attrezzati per
rispondere a questa domanda. Le università erogano corsi anche in corrispondenza con i fondi provenienti dai bandi del
Ministero dell’Interno, Fondo Sociale Europeo e altri programmi. Le principali caratteristiche dell’insegnamento
dell’IL2 agli immigrati nei CLA sono sicuramente una grande disponibilità di strumenti pratici, materiali didattici, che
in altri ambiti scarseggiano; l’aspetto carente di questo ambito è che manca l’aspetto della socializzazione e
aggregazione, che non sempre vengono catalizzate dall’ambito universitario, anche per la maggiore formalità
dell’ambiente.

Vediamo quali sono le competenze del docente di IL2 a immigrati, che devono essere collegate al profilo del docente
tracciato nei relativi documenti europei, ma deve essere anche calato nel contesto specifico linguistico-culturale. Sono
state effettuate ricerche presso gli insegnanti stessi per verificare la loro idea di competenze dell’insegnante ideale e le
loro richieste.

NB: la motivazione, con questo tipo di pubblico, è molto a rischio. Non è comunque da tralasciare la figura
dell’insegnante ILS: l’insegnante di ILS all’estero ha bisognoin continuazione di aggiornamenti linguistico-culturali
perché non è continuamente a contatto con il contesto italiano; per quanto riguarda l’insegnante di IL2, l’esigenza che
emerge con più forza è la capacità di gestire gruppi linguistici multi-etnici e, spesso, siccome la formazione di tali
insegnanti non ha previsto l’acquisizione di competenze glottodidattiche, il bisogno di colmare tale gap.
Queste persone devono essere in grado di conoscere almeno alcuni modelli teorici operativi molto importanti, gli
approcci scientifici per l’insegnamento delle lingue, ma avere anche conoscenze specialistiche di linguistica italiana, gli
elementi di sintassi e morfologia di più immediato impiego; devono inoltre conoscere elementi di linguistica contrastiva
(es. analisi degli errori), il che non vuol dire conoscere tutte le lingue dei loro studenti, ma almeno conoscere gli errori
incontro ai quali determinati gruppi linguistici vanno più frequentemente incontro.
Infine, gli insegnanti dovrebbero conoscere degli elementi di neurolinguistica, come funziona il cervello e
l’apprendimento delle lingue, lo sviluppo del linguaggio nell’essere umano. Esistono anche altri modelli teorici
operativi di cui tenere conto, devono sapere cosa si intende per competenza comunicativa (non è scontato); devono
tenere conto di quali componenti essa si componga, ossia la competenza puramente linguistica, che però è
accompagnata da una componente paralinguistica (cinesica, prossemica, performativa), pragmatica e socioculturale.
Soprattutto con pubblico adulto, che spesso si trova in condizioni di svantaggio, si deve tenere conto di quali siano le
motivazioni, lo stile cognitivo dei discenti, dell’attitudine linguistica, che non è la stessa per ogni tipo di apprendenti.
Non tutti sono ugualmente bravi a produrre un testo scritto, o uno orale, ognuno possiede specifiche attitudini ed abilità,
modi di immagazzinare informazioni ed elaborarle (chi sia ffida al visivo, chi alla memoria), in base all’età e alla
personalità di ognuno di noi (es. ci sono persone che si lanciano di più nella produzione in una lingua che non
conoscono ancora bene, altri sono più timidi e non si esprimono finché non ritengono di essere sufficientemente
preparati). Altri elementi sono sociolinguistici; un Ins deve tenere conto di quali sono le varietà di lingue dei parlanti e
dei mass media con cui gli App verranno prioritariamente in contatto; siccome non si può insegnare tutto e subito,
saranno queste varietà quelle da prioritizzare nell’insegnamento.
Altri modelli teorico-operativi, più tecnici, prevedono di sapere cosa sia un curricolo, un sillabo, e come/quando
utilizzarli, avere nozioni teoriche di educazione linguistica; conoscere come si utilizza o si costruisce una unità
didattica, un modulo didattico, quale sia la sua durata, gli aspetti da enfatizzare; essere in grado di gestire le dinamiche
della classe, non sempre semplici; saper scegliere i materiali didattici più idonei per una determinata situazione di
insegnamento; gestire il concetto di abilità linguistiche e sapere quali di esse sono prioritarie in base ai bisogni
dell’App; come insegnare la grammatica (in modo più tradizionale oppure più moderno); quale lessico deve essere
oggetto dell’insegnamento; come utilizzare le glottotecnologia; come/quando correggere gli errori e come valutarli
senza venire meno al patto formativo e/o umiliare il proprio App, anzi, utilizzare l’errore per motivarlo ulteriormente.

A proposito dei materiali didattici, apriamo una parentesi. Da sempre la creazione di materiali didattici ha
rappresentato un elemento base dei docenti di lingue ad immigrati. La specificità di questo profilo ha spinto spesso i
docenti a realizzare materiali autoprodotti, anche perché l’editoria destinata a questo tipo di pubblico si è sviluppata
solo a partire dalla seconda metà degli anni ’90, e anche allora i materiali proposti erano davvero pochissimi. Questi
materiali, detti anche materiali grigi. Erano dispense realizzate da docenti, spesso composti da fotocopie (dispense non
pubblicate, quindi), molto funzionali all’insegnamento perché flessibili, riadattabili ed ampliabili a seconda delle
esigenze dell’utenza con cui l’Ins si confrontava. I materiali erano costruiti in maniera artigianale, quindi non sempre
rispondevano ai reali bisogni degli App e/p supportavano in modo ottimale l’insegnamento. È da notare anche che la
maggior parte dei docenti utilizzava elementi e contenuti culturali o di educazione civica, anche se purtroppo un buon
20-25% dei docenti non prendeva in considerazione questo elemento nel loro insegnamento. I temi realtivi alla
citatdinanza attiva proposti dagli insegnanti sono prevalentemente relativi all’accesso al sistema sanitario nazionale, la
normativa del lavoro in Italia, elementi della Costituzione Italiana, il sistema previdenziale italiano… Pochi di questi
docenti affermano di trattare anche temi relativi alla cultura, gli usi e costumi italiani; emergeva una visione dell’IL2
più come strumento per permettere agli App al contesto circostante, in quanto struttura/burocrazia, anziché alla
comunicazione quotidiana e ad altri aspetti più sommersi della cultura. La maggior parte dei docenti oggi si dichiara
soddisfatta delle proposte formative erogate soprattutto in ambito universitario e hanno iniziato ad avere una buona
consapevolezza delle proprie conoscenze.
Come riportato in slide 12, secondo gli insegnanti stessi:
Per quanto riguarda gli aspetti più propri della comunicazione, l’Ins deve conoscere i seguenti modelli (v. slide 11),
senza essere specialisti di questi modelli, l’importante è sapere come funziona la comunicazione e conoscere le mete
glottodidattiche definite dal QCER ma già trattate da Balboni (si veda slide 13):

Per gli App adulti, dopo il superamento di un livello soglia nel Paese della L2, è frequente che non esistano le possibilità
(in termini di tempo o di disponibilità economiche) di continuare lo studio della lingua, pertanto è importante rendere
l’App capace di continuare l’apprendimento in autonomia  “imparare ad imparare”, competenza che deve essere
portata avanti lungo tutto l’arco della vita.
Gli Ins dovrebbero anche continuamente interrogarsi su alcuni punti (si vedano le domande elencate in slide 14):

Più in dettaglio sulle domande di cui sopra:


5) l’Ins tende a riproporre a sua volta i modelli applicati dal proprio insegnante di lingua se, durante la sua
formazione, li ha percepiti come funzionali o, al contrario, a rifuggirli. L’esperienza fatta in sede di
apprendimento delle lingue dall’Ins è molto importante nel modo di strutturare l’attività didattica.
8) Elemento molto importante su cui il presente corso pone molta enfasi. Spesso i manuali si dichiarano
comunicativi e non lo sono, ciò che viene enunciato nell’introduzione non viene ritrovato nella pratica; non
tutti i manuali sono idonei a portare avanti un buon insegnamento?
9) Le griglie dei manuali di buone pratiche da fare alla fine del presente corso dovrebbero servire a vedere cosa
ricerchiamo in un manuale, a cosa diamo più importanza e se abbiamo convinzioni errate su cosa deve
possedere un manuale.
10) So gratificare i miei allievi? Li punisco troppo, mortificandoli? Sono felice per i loro progressi?
12) Quando propongo il compito, sono cosciente di cosa io stia chiedendo in termini di abilità da sviluppare e
attivare nel mio App? Ad esempio, se faccio svoplgere un dettato, so quali sono le abilità che l’App sollecita
con questa attività? So che sfruttiamo aspetti legati alla capacità di comprendere una stringa di parole,
decodificare punteggiatura; so che nella rilettura del dettato l’App deve avere una competenza testuale globale,
so che si mettono in moto le conoscenze puramente morfosintattiche nell’autocorreggere ciò che si produce?
Devo sapere esattamente cosa faccio fare in classe tutte le volte che propongo un compito. Abilità e tecniche
didattiche sono i mattoncini con cui costuisco ogni attività didattica.
14) Nella mia idea, il rapporto tra lingua e cultura è paritario?

Abbiamo parlato dell’importanza di gratificare gli studenti; si è spesso tentati di rivolgersi solo agli studenti seduti nelle
prime file, o maggiormente a coloro che danno feedback più attivi, tralasciando, erroneamente, gli allievi che, per
motivi individuali, potrebbero essere più timidi, o silenziosi. È importante invece il coinvolgimento di tutti. Quali
modalità di lavoro si possono richiedere? A coppia, in gruppo… ogni classe è un universo a sé e non esiste una ricetta
universale che vada bene per tutte le casistiche, bisogna tenere conto delle peculiarità di ogni classe. Ad ogni modo, si
tenga conto che il lavoro di gruppo è molto proficuo, perché più ersone concorrono al lavoro stesso. Questo però
potrebbe far sì che emergano uno o due leader mentre gli altri ascoltano, o non partecipano, addirittura. Da questo
dsicende che la modalità di correzione degli errori si debba adattare alla modalità del lavro scelto: sono in grado, nel
contesto di un alvoro di gruppo, di rilevare gli errori? Come posso stimolare la motivazione, con quali materiali, quali
temi, quali argomenti, quali tecniche didattiche? Inoltre, è importante la posizione della classe, es. indsegnante che si
inserisce in un cerchio per “mettersi alla pari con gli apprendenti”; una cattedra sopraelevata suggerirà invece un
distanziamanto degli insegnanti nei confronti degli apprendenti, ma non sempre le strutture in cui si erogano i corsi
permettono una gestione degli spazi idonea. Qual è la modalità di interazione insegnanti-studenti? In alcuni momenti
l’Ins dovrà poter parlare senza essere interrotto, ma in altri momenti dovrà essere privilegiato l’interscambio, al quale la
classe dovrà essere educata (non si deve parlare senza cognizione di causa, in modo disoridnata…). La competenza da
sviluppare all’inizio di ogni corso è, infatti, sapere come si interagisce in classe, e sapere quali sono le mosse
comunicative permesse e quelle non accettate. Sembra scontato, ma se pensiamo ad una classe plurilinguistica e
multiculturale, dobbiamo anche tenere conto che le tradizioni scolastiche di diversi Paesi ammettono in classe certi
comportamenti che in Italia non sono consentiti (es. in Italia non è accettato che l’App durante la lezione si alzi e si
metta a mangiare un panino, o si metta a ballare su un banco… sono esempi tratti da veri studi su studenti non italofoni
nelle classi elementari e medie di italiano). Dobbiamo considerare qual è il clima dell’aula e capire se ci sono studenti
che si autoisolano o vengono isolati dagli altri.
Anche l’atmosfera è molto importante (e infatti, alcuni approcci umanistico-affettivi come la suggestopedia puntano
proprio sul creare la giusta atmosfera) e si deve cercare di stimolare un buon livello di partecipazione alle attività. In
alcuni casi, quando si tratta di far interagire direttamente gli apprendenti la verifica è molto facile, ma quando parla l’Ins
è più difficile accertarsi dell’effettivo livello di partecipazione della classe (es. studente che prende appunti).

Soffermiamoci adesso sui materiali usati durante le lezioni. Nei vari questionari somministrati agli Ins è stato chiesto di
segnalare quali supporti didattici utilizzassero.

La maggior parte degli insegnanti usa la lavagna; attorno al 2010 ha avuto molto successo la LIM (lavagna luminosa),
che non tutte le Università possiedono; più indietro nel tempo si usavano cassette, CD, che, in tempi più recenti, sono
state sostituite dal PC. Le fotocopie erano molto utilizzate; i poster didattici sono strumenti che hanno potenzialità
ancora sfruttabili; gli oggetti reali si usano appendendoli alle pareti delle aule, in modo da creare una situazione protetta
e particolare, che crei un clima di “aula di insegnamento della lingua”. Ovviamente, poi, abbiamo i libri di testo.
Una piccola parentesi sull’uso del PC, che ha sempre più successo: c’è stata un’evoluzione nell’impiego del PC
nell’insegnamento linguistico. Nella prima fase della sua introduzione esso era usato solo come sussidio per
l’insegnamento, secondo quello che Porcelli aveva definito “modello di apprendimento meccanicistico”, (termine del
behaviourismo o comportamentismo), per favorire l’acquisizione di abitudini senso-motorie di carattere inconscio, che
derivavano dall’associazione di una risposta ad uno stimolo proveniente dall’ambiente. Questo è il caso di uno dei primi
labortaori linguistici moderni (a partire dagli anni ’80), che riproponevano questo modello, il quale richiedeva che il
percorso didattico consistesse in una serie di stimoli e risposte da padroneggiare uno alla volta: esercizi meccanici
(pattern drills) basati sulla manipolazione e ripetizione delle strutture. Hanno avuto larga fortuna nell’insegnamento
delle lingue perché potevano essere riutilizzati quante volte si voleva senza che l’Ins dovesse per forza preparare ogni
volta materiali nuovi, e potevano essere presentati ad un numero elevato di apprendenti.
I programmi CAI della prima fase di impiego didattico del PC comprendevano testi da leggere, a cui seguivano
domande di comprensione (perlopiù a risposta chiusa) ed esercizi di trasformazione, completamento, individuazione di
strutture, che venivano corrette automaticamente dalla macchina, ed era già un passo avanti. In questa epoca, in cui
ritornano di moda i laboratori linguistici, ambiente in cui venivano utilizzati questi programmi,i pacchetti offerti
contenevano attività perlopiù raggruppate in sezioni, centrate su argomenti grammaticali, gestiti dalla macchina, che
permetteva di proseguire solo se si era raggiunto un numero sufficiente di risposte esatte, altrimenti bloccavano
l’apprendente finché il suo livello di prestazione non avesse raggiunto una soglia adeguata. Questo sussidio tecnologico
informatico non aggiungeva però grandi vantaggi sul piano dell’apprendimento rispetto all’esercizio sul libro di testo. Il
computer riduceva semmai il carico di lavoro dell’insegnante,.
A partire dalla seconda metà degli anni ’80 si comincia a parlare di Computer Based Training, vale a dire l’uso di
software didattici che proponeva percorsi di apprendimento più flessibili e questi sistemi si fondavano su una
concezione diversa dell’apprendimento, perché, abbiamo visto nel nostro excursus metodologico, il cognitivismo si era
già fatto strada, così come nuove teorie della linguistica educativa e l’impiego di nuove tecnologie a scopi educativi. In
questabfase i materiali didattici erano caratterizzati da un forte utilizzo di applicativi e componenti offline, con limitate
prestazioni di interoperabilità, erano distribuite su floppy disk o CD, supporti che oggi non sarebbe più possibile far
funzionare. Viene dato largo spazio allo sviluppo dell’abilità di comprensione e produzione attraverso input linguistici
contestualizzati, con attività che non si limitavano a focalizzare l’attenzione solo sulle sue strutture, ma che tenevano
conto anche della componente pragmatica e funzionale della lingua.
Un’altra innovazione si ha a partire dalla seconda metà degli anni ’90 con le piattaforme online, che permettono una
maggiore condivisibilità del materiale e, soprattutto, l’integrazione di alcune funzionalità della rete. I percorsi di
apprendimento diventano sistemi aperti che possono sfruttare un’enrome quantità di risorse, sia che vengqano caricate
direttamente dagli insegnanti o già presenti in rete, offrendo un’importante multitestualità e permettendo la nuova
modalità di insegnamento detta “e-learning”, che sfrutta la rete e il sistema internet.

Tornando alle slide, gli Ins nella maggior parte dei casi continuano ad utilizzare che dichiaravano di utilizzare anche
10.-15 anni fa, ossia appunti presi durante la loro formazione, fotocopie (non tanto di libri di testo ma materiale preso da
Internet), realia, dizionari bilingui, varie grammatiche di italiano (l’Ins deve avere una grammatica di riferimento da
poter consultare). Slide 19-20-21: sono state redatte per un corso di formazione per insegnanti e le possiamo compilare
relativamente alla nostra esperienza.

Soffermiamoci adesso sulle indicazione riguardo ai principali centri in cui si eroga la formazione per Ins di IL2 e ILS. È
d’obbligo citare la nostra Università, che ha iniziato la propia attività nel 1917 (all’epoca si chiamava “Scuola di Lingua
e Cultura Italiana, solo dal 1991 è diventata “Università”). A questi primi corsi di aggiornamento e formazione erogati
già dnegli anni ’90 UNISTRASI ha sempre continuato ad affiancarne altri, tanto che si è distinta per le attività di
formazione che ha svolto. UNISTRASI si è dotata fin dalla sua nascita di un centro linguistico proprio, dedicato
all’insegnamento della Lingua Italiana, il centro CLUSS, che ha rappresentato per molti anni un’eccellenza nel campo
della formazione dei docenti, ha svolto corsi d’aggiornamento per i docenti di italiano in tutto il mondo dagli anni ‘80.
L’opera “Il Curricolo d’italiano” del 1995 (Balboni, Vedovelli, Benucci et al.) è stata la prima opera pubblicata da
UNISTRASI sull’insegnamento dell’italiano a stranieri. UNISTRASI ha anche istituito nel 1999 la Scuola di
Specializzazione per l’Insegnamento dell’Italiano come Lingua Straniera con lo scopo di formare operatori in
quest’ambito, con percorsi professionalizzanti ben delineati,. Fin dal 2004 ha erogato Master (dal 1993 erogava Corsi di
perfezionamento nella Didattica dell’Italiano a stranieri); il primo di questi è stato il Master di I livello in Didattica
dell’Italianon a Stranieri (2005-06), seguito da altri Master. Adesso abbiamo master erogati dal centro CLUSS, CILS,
DITALS, FAST, etc.
Un’altra precisazione sul centro CILS: esso è stato istituito nel 1993, centro allineato con tutte le associazioni che si
occupano di Language Testing e valutazione. Il centro CILS ha, attraverso una serie di convenzioni con i vari ministeri
preposti (Affari esteri, istruzione…) reso formalmente qualificante la certificazione ed è un elemento di riferimento sia
per la formazione in Italiano Lingua Straniera che IL2.
L’altro centro importante di UNISTRASI è il centro DITALS, fondato nel 2005 e specifico per la formazione degli
insegnanti. Esso ha creato percorsi formativi per diversi profili di insegnanti, certificazioni di I e II livello e un Master;
ha attivato vari esami di certificazioni molto specialistici, dall’ambito crocieristico a quello religioso, a quello di
specifici gruppi madrelingua, del canto operistico etc. etc.
Il centro FAST, istituito nel 2005, ha per vocazione un’attenzione particolare ai processi formativi di approccio socio-
costruttivista per l’apprendimento, in particolare con i corsi online. Si è dotato di una piattaforma interattiva ed erogava
corsi sia per percorsi di specializzazione, sia per il master ELIAS in modalità online o blended. Esso è anche un centro
di ricerca e di formazione in continua rinnovazione e sarà chiamato presto a raccogliere la sfida della progressiva
introduzione della didattica online in un ambiente che le è sempre stato precluso, ossia quello penitenziario. Le
normative vigenti impediscono l’uso di Internet nel carcere e gli App non sono dotati di PC; pertanto l’erogazione di
corsi in questo contesto è molto difficile. Non ci sono aule attrezzate né corsi specifici per l’apprendimento delle lingue
in generale, che possano essere erogati online e seguiti da parte di questo particolare pubblico di App. La situazione è
comunque in evoluzione e presto il centro dovrà costruire materiali online con limitazioni alla possibilità di accedere
alla rete per gli App detenuti.
Un altro centro importante è l’Università per Stranieri di Perugia, fondata nel 1925, si è sempre chiamata Università ma
lo è diventata a tutti gli effetti solo negli anni ’90; anch’essa eroga corsi di formazione per Ins e Master; ha istituito
corsi di formazione e aggiornamento per esaminatori CELI (certificazione di lingua italiana); ha fatto anche della
formazione glottodidattica specifica e professionalizzante per gli operatori dell’insegnamento nella scuola.
Altro centro importante è quello della “Federico II” di Napoli, che ha erogato molti corsi attraverso il suo centro
linguistico; abbiamo poi la “Ca’ Foscari” di Venezia (centro ITALS) e il laboratorio ALIAS (Approccio alla Lingua
Italiana A Stranieri), certificaizone CEFILS, biblioteca BIG (Biblioteca Italiana di Glottodidattica).

Riprendiamo dalla slide 22, concentrandoci sull’accoglienza di alunni stranieri nella scuola.

Bisogna partire quindi dalla motivazione di questi alunni; sono da una parte estranei al mondo italiano e alla sua scuola,
ma dall’altra hanno già acquisto familiarità con certe pratiche socializzanti, con alcuni ambienti di inserimento nel
territorio italiano.
Occorre come sempre considerare i bisogni di questi allievi, in questo caso scolastici e favorire il piacere
dell’apprendimento e dell’approccio alla lingua italiana. Gli allievi stranieri nella scuola italiana hanno essenzialmente
due motivazioni: una è di natura strumentale (per permettere lo studio), l’altra psicologica. La padronanza strumentale
dell’italiano di base è importante anche per l’inserimento nel mondo extra-scolastico; essa viene ottenuta anche in
maniera spontanea, e il risultato è una conoscenza della lingua che permette di comunicare comunque, ma non di
comunicare bene, quindi bisogna fare attenzione, perché si possa permettere a questi App di raggiungere una
competenza in italiano di comunicare bene, in modo da non avere problemi nell’esprimere ciò che si vuole, e per non
essere considerati linguisticamente estranei dai madrelingua. Questo livello di competenza è considerato l’obiettivo da
raggiungere. Infine, una padronanza metalinguistica permette di frequentare con profitto le lezioni e studiare sui
materiali didattici forniti a scuola. Le prime riflessioni su questi aspetti sono state elaborate a partire dai primi anni ’90 e
si sono indagati quali sono i motivi psicologici che possono determinare il successo o l’insuccesso di questo tipo di
allievi, e soprattutto come si possano inserire con profitto all’interno delle classi di una scuola.
Un libro a cui abbiamo fatto riferimento per quanto riguarda la glottodidattica italiana negli anni 2000 è “Approccio alla
llingua italaina per allievi stranieri ALIAS” (2000) di Teorema Libri, curato da Paolo Balboni, In quest’opera sono
contenute delle riflessioni di quelli che all’epoca erano i maggiori esperti di questi aspetti, tra cui Balboni stesso,
Graziella Favaro, all’epoca il punto di riferimento nazionale e non solo per le buone pratiche che riguardavano gli
alunni neo-arrivati e l’apprendimento dell’IL2. Favaro ci stimola a pensare a quali sono le identità di questi ragazzi e
bambini; all’interno di una riflessione che parte dal fatto che gli alunni neo-arrivati erano accomunati dalla non
conoscenza dell’italiano, dall’esperienza migratoria, ma che comunque le loro situazioni individuali erano segnate da
importanti differenze ed eterogeneità che dovevano essere esplorate e conosciute più nel dettaglio.
Un elemento importante da cui partire è chiedersi quali siano le lingue presenti nella classe e allestire gli spazi in modo
che tali lingue abbiano una loro visibilità: alcune buone pratiche da seguire sono elencate nella slide di cui sopra. Si
tratta di allestire uno spazio-laboratorio che possa far sentire subito l’alunno non italofono a casa sua, in modo da
permettere una esplicitazione, senza vergogne, della bibliografia linguistica e personale di queste persone, che spesso è
complesso. Spesso ci sono delle lingue in cui è stato svolto il percorso scolastico precedente all’arrivo in Italia che non
sono quelle parlate in famiglia, la lingua nazionale spesso non è quella di provenienza, altre lingue si sono incrociate
nelle singole esperienze migratorie: il background è quindi molto importante, perché oltre alle variabili oggettive (età,
formazione scolastica…) ci sono componenti attinenti alle singole storie, di cui bisogna tenere conto.
Bisogna anche tenere conto del fatto che queste persone hanno davanti a sé sfide molto importanti tipiche della loro
condizione: devono ricomporre la loro storia affettiva, tra distacchi e riunificazioni, devono affrontare la fase di
regressione propria di chi si trova, all’improvviso, senza parole, ci si trova a dover apprendere nozioni senza poter
affdarsi alle proprie conoscenze pregresse o al supporto dei familiari. Bisogna quindi prevedere subito dei materiali
appositi, informativi, ma anche stabilire fasi strutturate di accoglienza, con docenti che abbiano già svolto esperienza
con questo tipo di App, stabilire dei contatti con i genitori, raccolgiere informazioni sugli alunni e sulla loro esperienza
scolastica precedente, nonché, se possibile, dotare la scuola di un buon centro di docuemtnazione sull’intercultura.
Queste sono tutte buone pratiche di insegnamento che romai, negli ultimi anni, sono sempre più frequenti nella scuola
italiana: la creazione di laboratori in cui siano presenti le tracce del passato di queste persone.

Bisogna quindi dotare questi allievi di una interlingua iniziale che permetta loro di potersi relazionare con il gruppo dei
pari, ma anche parole, formule per esprimere sentimenti, affermare la propria volontà, chiedere permesso e spiegazioni,
quindi un linguaggio operativo per richiamare l’attenzione. Questi allievi hanno bisogno anche di poter non soltanto
utilizzare la lignua oprale, ma anche la lingua scritta: queste sono operazioni che richiedono forze notevoli e si caricano
di operazioni psicologiche complesse. Teniamo conto che la lingua scritta che si usa nella scuola è una lingua formale,
ed è diversa dai testi che possono produrre gli stranieri.

Se guardiamo la tabella in slide 29 vediamo che i testi di studio sono connotati da complessità informativa e sintattica,
sono testi descrittivi o esplicativi, sono spesso decontestualizzati perché mirati ad uno specifico argomento di
insegnamento; inoltre, contengono molto lessico astratto. I testi degli stranieri che non hanno ancora raggiunto buone
competenze in IL2 sono invece connotati da caratteristiche opposte: contengono collegamenti morfosintattici solo
attraverso pochi connettivi, usati spesso in maniera sovraesteso. C’è una forte discrepanza, quindi, tra le competenze
linguistiche richieste per poter studiare su un libro di testo scolastico, e quelle di cui gli App stranieri sono già in
possesso.
Ci siamo chiesti a lungo quali potessero essere le mosse vincenti per facilitare la comprensione dei testi scolastici: dai
primi anni 2000 ad oggi i testi sono stati migliorati ma nell’analisi di questi testi dobbiamo ricordarci che le consegne
devono utilizzare un linguaggio chiaro e semplice, soprattutto devono utilizzare formule ripetute, in modo che l’App
familiarizzi con esse, contenere parole chiave o glossari almeno bilingui, fare ricorso a supporti non verbali che
chiariscano i contenuti e redatti secondo criteri di leggibilità. A quest’ultimo riguardo la ricerca è stata sviluppata
ampiamente: non sempre, però, le ricerche svolte vengono trasposte in materiale realmente comprensibile e leggibile,.
L’inserimento scolastico di alunni non italofoni richiede che si parta dalla situazione linguistica di questi alunni, dai loro
bisogni didattici, dalla specificità dell’IL2, dalla formazione degli App. Normalmente, queste persone hanno, oltre alla
complessità linguistica proveniente dal fatto di non essere italofone, un’ulteriore complessità legata alla loro condizione
migratoria nel contesto familiare; si trovano in una posizione che deve conciliare la lingua orale usata a casa, che sarà
una varietà o un dialetto della lingua d’origine, dall’altra, la lingua per lo scritto e per lo studio è diversa e non
conosciuta, spesso, dai genitori. In questo è fondamentale l’aiuto della scuola, che deve conciliare il codice orale della
lingua affettiva con il codice della scolarità, dell’alfabetizzazione, coincidente con la lingua del Paese d’arrivo, senza
creare squilibri tra i due codici.
Teniamo conto anche che questi alunni passano senz’altro, come i loro genitori, da una fase di acquisizione di una
lingua all’altra: troviamo riassunte nella slide 35 sottostante le 3 principali fasi acquisizionali:

Il livello alto è ovviamente quello più idoneo all’ottenimento di un buon profitto scolastico.
Queste tre fasi implicano la presenza di errori nella comunicazione dell’App, che l’Ins deve non solo valutare, ma anche
utilizzare proficuamente perché l’App costruisca un percorso empatico nei confronti della scuola. L’Ins deve anche
favorire, all’interno della classe, la presenza di strategie sia sociali che cognitive, che possono in alcuni casi scaturire
spontaneamente da parte degli App, ma in altri casi devono essere fortemente indirizzate da parte dell’Ins. In slide 37
vediamo alcune di queste strategie.

Soprattutto, bisogna spingere l’App a cercare di non demotivarsi se all’inizio non comprende tutto, dobbiamo spingerlo
ad essere capace di identificare alcune parole e comprendere alcuni rapporti tra forma e funzione, e solo in un secondo
momento spingerlo all’attività più propriamente scolastiche come quelle di sintesi e rielaborazione.
Tutte queste idee sopra elencate si possono sintetizzare con due sigle (si veda slide 39), molto note in ambito
glottodidattico e ideate da Cummins, che riguardano le abilità necessarie per il profitto scolastico da parte di alunni sia
madrelingua che non madrelingua:
1) BICS: abilità di base di comunicazione interpersonale; secondo Cummins occorrono 2 anni per acquisirne una
piena padronanza;
2) CALP: abilità linguistico-cognitive accademiche, indispensabili per lo studio delle singole discipline;
occorrono 5 anni per raggiungere questo livello di competenza. È chiaro che queste sono abilità molto
complesse, e spesso nemmeno i nativi li possiedono, e la scuola è l’ambiente e il mezzo attraverso cui queste
competenze possono essere acquisite.

Focalizziamoci adesso su alcuni esempi di materiali interculturali, quali Apriti Sesamo, parte di un percorso costruito
per la scuola dell’infanzia e un esempio dalla collana Ti racconto il mio paese (volume sull’Albania).
Questi materiali sono esempi di buone pratiche in ambito scolastico italiano e, sebbene creati venti anni fa, sono ancora
molto validi. Una buona pratica è “buona” se è ancora reimpiegabile, ma va anche analizzata in base al periodo storico.

Apriti Sesamo
Questa opera è parte di un percorso di formazione prodotto alla fine degli anni ’90, finanziato dall’UNICEF; questo
materiale riuniva sia le vecchie esperienze nel settore dell’istruzione formale che quelle più innovative dell’istruzione
non formale, ed era il modo in cui l’UNICEF rilanciava il suo impegno nella scuola italiana dell’infanzia, ricollegandosi
ai nuovi orientamenti nell’istruzione statale, in particolar modo agli aspetti interculturali.
Nel PDF fornito abbiamo il capitolo 5, esempio di materiali mediatori culturali. La pagina inserita riguarda alcune
letture e testimonianze utili per la creazione di piccole biblioteche multietniche (si veda anche Vinicio Ongini, Lo
scaffale multiculturale, 1999). Si comincia con temi come “Che cos’è una moschea?” basandosi sulle testimonianze
degli alunni stessi (es. “è un posto dove ci si tolgono le scarpe”). Ci sono anche consigli su come creare in aula piccole
biblioteche multiculturali: libri in lingua originale, libri che contengano informazione sui Paesi d’origine dei bimbi
immigrati, esperienze di accompagnamento nella scuola e conoscenza diretta dei bambini “altri”…
La biblioteca presentata all’epoca con questo progetto riguardava varie lingue e vari Paesi; in questo caso il materiale
era diretto ai bambini, quindi si tratta di una visione interculturale molto semplificata e alla portata del livello
metacognitivo di questo tipo di App.

Ti racconto il mio Paese - Albania


L’idea alla base di questa collana, diretta da Graziella Favaro, era di aprire alcune finestre sul mondo e sollecitare la
curiosità e l’apertura nei confronti degli aspetti diversi del vivere quotidiano dei paesi d’origine dei bimbi presenti in
classe, facendo leva sulle uguaglianze e sulle differenze che caratterizzano le varie società. Si tratta di portare in classe
giochi, ingredienti, storie, calendario, filastrocche dei vari paesi, in modo da vedere che uno scambio di esperienze
interculturali è possibile, e che tali differenze non sono poi così accentuate. L’opera si proponeva di valorizzare la
cultura d’origine dei bambini, con la finalità di sviluppare un atteggiamento di apertura e curiosità, sollecitare confronti
rispetto ai diversi modi di vivere e diversi punti di vista sullo stesso tema, cercare di suscitare nuove narrazioni; si
partiva dal presupposto che tutti i bambini del mondo si confrontano con le favole, con i giochi, con i sogni, hanno
insomma le stesse esigenze relazionali.
L’Albania era uno dei primi Paesi da cui è partito un massiccio flusso migratorio: le pagine riportate nel PDF riportano
modi di dire a confronto con quelli italiani, testimonianze sull’ospitalità albanese e alcuni aspetti tradizionali (es. feste
raccontate dai bambini stessi).
Fase 3 - Concetto di Buona Pratica e caratteristiche ricorrenti
3.1 Analisi delle pratiche più diffuse per l’insegnamento dell’italiano LS/L2 e per la formazione di insegnanti di
italiano L2/L2
Cominciamo a parlare di alcune delle pratiche di insegnamento L2/LS. Partiamo dagli strumenti per la
programmazione, che sono di due tipologie: i sillabi e i curricoli (all’interno dei quali possiamo inserire anche i
programmi).
Facciamo adesso un’introduzione storica, con una parentesi dedicata a UNISTRASI che è stata la prima istituzione
italiana a dedicarsi alla produzione di questi materiali.

Partiamo dalla fine degli anni ’80 quando, in quella che si chiamava ancora Scuola di Lingua e Cultura Italiana per
Stranieri fu istituita una commissione (Diadori, Benucci, Cenni), incaricata di elaborare i primi programmi del centro
linguistico CLUSS. Questi programmi scaturivano da un lavoro seminariale, che si era svolto negli anni ’86-’87, da
incontri che era stato possibile organizzare a Siena con gli esperti della Comunità Europea che avevano contribuito alal
definizione dei livelli soglia, come Nora Galli de Paratesi (autrice del Livello soglia per l’Italiano, 1981),ì, Béacco,
Richterich, Wanda D’Addio Colosimo, Evangelisti, Paola Giunti (che lavoravano a Roma Tre). Il alvoro sperimentalwe
di quegli anni portò a riflessioni condivise e alla produzione di contenuti di programmi, suddivisi per tre lielli (a
quell’epoca non esisteva ancora il QCER e i corsi erogati dal centro linguistico seguivano questa suddivisione): corsi
elementari, superiore A e superiore B. Il materiale concepito all’epoca teneva conto dei bisogni emersi dalle indagini
motivazionali, come quelle interne condotte da Maggini-Parigi, sia quelle pubblicate esternamente. Questo materiale era
organizzato partendo da una scelta di atti comunicativi: seguivano poi tipi di testi suddivisi in testi scritti, immagini
statische, test registrati su cassette; abilità linguistiche e contenuti grammaticali, culturali, campi semantici, lessico.
Questi programmi non sono molto conosciuti perché non sono mai stati pubblicati, ma sono stati sperimentati per anni
nei corsi di italiano presso la Scuola di Siena. Erano materiali che attingevano direttamente ai risultati della ricerca
prodotti in quegli anni: riflessione sulle abilità linguistiche e atti comunicativi, che traeva i suoi fondamneti dal
dibattitotra microconcetti individuati da Widdowson e Munby, passando da una intrpretazione del sillabo nozionale di
Wilkins (1976). La trattazione dei tipi di testo teneva invece conto dei canali, mezzi e modi con cui questi testi si
producono, attingendo dalla descrizione di Munby e Werlich sulle tipologie testuali, con una rivisitazione teorica alla
luce della lettura della proposta di Beaugrande e Dressler sull’analisi dei testi. A quell’epoca mancava una specifica
riflessione sugli aspetti sociolinguistici e veniva presentata una visione della lingua unitaria, basata sullo standard,
anche se, già a quell’epoca, erano stati presi in considerazione alcuni fenomeni che, sia Sabatini nel 1985 che Berruto
nel 1986 stavano ufficializzando come appartenenti a una varietà denominata da Sabatini come italiano dell’uso medio
e da Berruto italiano neostandard. L’impianto generale di questi programmi risentiva però dei limiti dell’approccio al
quale si ispiravano, che erano i limiti propri dei livelli soglia e dell’approccio comunicativo minimalista, per cui l’atto
comunicativo (unità minima di analisi) tendeva a divenire l’unità d’insegnamento. Si privilegiava infatti la componente
semantica, anche se, rispetto ai livelli soglia, i programmi della scuola contenevano già un’attenzione alla fonetica e alla
grammatica che i docenti stavano recuperando dopo l’eccessiva enfasi data agli atti comunicativi pripria appunto
dell’approccio minimalista, cercando di raccordare i due aspetti. Mancava poi anche una sufficiente riflessione sulla
produzione di enunciati in rapporto all’appropriatezza al contesto socio-culturale. Un altro elemento di rilievo era che si
insisteva sull’impiego di materiali autentici (soprattutto audio-visivi su cassetta, all’epoca), settore nel quale Unistrasi
aveva condotto un’attenta riflessione; erano stati prodotti materiali didattici ad uso interno (es. L’Italiano nel cinema,
1992, Bruni, Troncarelli, Vannini mai pubblicato).
Un altro strumento al quale si collegava la riflessione di quegli anni era il Curricolo del 1995, redatto sotto la guida di
Vedovelli e Balboni. Vedovelli aveva curato soprattutto l’indagine sui programmi per l’insegnamento dell’italiano
all’estero esistenti all’epoca, operazione che permise di fare un confronto analitico con l’esterno e di elaborare una rete
di contatti scientifici con il resto del mondo. Sulla base di una dettagliata griglia di analisi fu possibile tracciare un
punto sullo stato dell’arte a quell’epoca e sulla presenza non solo di programmi, ma anche di materiali ad essi collegati.
Per quanto riguarda Paolo Balboni, il suo apporto fu soprattutto legato agli obiettivi glottodidattici, allo studio della
natura stessa di un curricolo e all’introduzione di due concetti innovativi per l’epoca: il concetto di meta-educativa e
meta-glottodidattica. Questa opera fu importante per l’impostazione del curricolo e la sequenziazione dei contenuti.

Differenza tra sillabo, curricolo e programma


La discussione sulle differenze tra sillabo, curricolo e programma si è sviluppata tra gli anni ‘80 e ’90 e le posizioni non
erano coincidenti a seconda della scuola di pensiero di appartenenza degli interlocutori.
La classificazione di Stern del 1984, formulata dopo un simposio tenutosi a Tornto nel 1983 sul ruolo dei sillabi
nell’insegnamento e su scuole di pensiero maturate negli anni in cui il CE lavorava sui livelli soglia, è caratterizzata da
divergenza riguardo all’importanza di un sillabo o curricolo; all’epoca si parlava comunque più dei primi che dei
secondi. Queste divergenze risiedevano soprattutto sull’importanza da accordare agli aspetti metodologici rispetto al
sillabo e non sul sillabo stesso. Varie scuole si sono confrontate su questi aspetti: i sillabi di Candlin e Breen sono più
specifici dei curricoli e sono frutto dell’interazione di classe tra professori e apprendenti. Si basano quindi su ciò che
avviene nella classe nell’applicazione di un curricolo, negando l’autonomia del sillabo stesso, che secondo questi
studiosi, quindi, era un diretta derivazione del curricolo. Per altri studiosi dell’epoca, come Yalden, il sillabo sostituisce
il concetto di metodo, costituendo un raccodo tra bisogni, obiettivi e attività didattiche. Anche per Van Ek il sillabo
doveva contenere attività, nozioni, etc. Per Widdowson e soprattutto per Brumfit (scuola di Londra) il sillabo era
considerato necessario, doveva specificare i contenuti dell’insegnamento, accprdando particolare attenzione a concetti
di pedagogia pratica e livelli di flessibilità. Era un panorama complesso, in cui i termini sillabo e curricolo venivano
usati in alcuni casi in modo interdipendente, in opposizione in altri casi.

Nunan nel 1988 offrì una definizione che possiamo adottare anche oggi: il curricolo serve a identificare i bisogni,
scopi, finalità dell’insegnamento, aiuta nella selezione e graduazione dei contenuti, divisione degli studenti in livelli e
scelta dei materiali didattici da adottare, nonché impostare la verifica. Il modello di Nunan è integrato e a lui si deve la
prima distinzione tra diverse tipologie di sillabo. Per semplificare, il curricolo è un manifesto glotto-didattico, contiene
indicazioni su come condurre le lezioni, come affrontare gli aspetti psicologici, la motivazione, la gestione della classe;
il sillabo è uno strumento più neutro, perché è una lista di contenuti, da uitilizzare all’interno di un curricolo, o anche
senza di esso. Il programma, invece, è la realizzazione del curricolo e del sillabo, in base al numero di studenti che si
hanno di fronte, la struttura in cui si svolge l’insegnamento, la strumentazione e le ore di lezione a disposizione  la
realizzazione concreta, quindi. Nunan è il primo che ci dà una indicazione specifica di cosa è realmente un sillabo. Il
sillabo, secondo lui, può essere orientato al prodotto o al processo. Cosa significa questa espressione? Secondo questa
distinzione, possiamo avere sillabi proposizionali o processuali. Inizialmente, Nunan e coloro che adottavano la sua
definizione, dividevano i sillabi in proposizionali formali e proposizionali funzionali: i primi avevano l’obiettivo di far
acquisire le regole linguistiche, i secondi tenevano più conto della componente pragmatica della comunicazione; oggi
questa ripartizione non è più adeguata rispetto alle proposte metodologiche che la didattica delle lingue straniere ha
fornito, riteniamo che aspetti linguistici e pragmatici non abbia senso. Per questo, oggi parliamo solo di sillabi
proposizionali. I sillabi processuali, invece, sono più rari di quelli proposizionali (anche oggi), e venivano suddivisi in
sillabi basati su compiti e processuali veri e propri. Questi sillabi erano più adatti all’evoluzione glottodidattica che era
andata sviluppandosi. I sillabi processuali sono stati superati dalla cosiddetta didattica di project work, che aveva
l’obiettivo di realizzare un progetto al quale era finalizzato lo studio della lingua; i materiali erano collegati alle
esigenze degli apprendenti e i processi di apprendimento erano basati sull’efficacia della comunicazione. Si trattava
quindi di una didattica veramente processuale o addirittura procedurale, che metteva l’accento sull’importanza di un
sillabo da sviluppare a seconda delle azioni condotte in classe. Questo tipo di sillabo ha avuto molto successo in Italia
ed è stato utilizzato anche presso Unistrasi.
Riassumendo, quindi, la storia della produzione di questi materiali in Unistrasi, si è partiti dal sillabo Galli de Paratesi
del 1987, passando per il curricolo del 1995, che conteneva un indagine sui programmi d’insegnamento e rivendicazioni
metodologiche; fu poi prodotto un sillabo interno che non fu pubblicato, sotto la guida della Prof.ssa Lo Duca e
Catricalà, e infine il sillabo CLUSS del 2007 curato e pubblicato da Benucci, sul quale ci concentreremi adesso.

Il sillabo CLUSS e i suoi presupposti scientifici


Il sillabo del 2007 doveva tenere conto del QCER, pubblicato qualche anno prima. Nello specifico, partiva dalla
considerazione della definizione della componente comunicativa fornita dal QCER che veniva scomposta in
macrocompetenze, come del resto faceva il QCER:

 Macrocompetenze generali, vale a dire “sapere” (conoscenza del mondo, conoscenza e consapevolezza
culturale), “saper fare” (capacità di agire all’interno della comunità), “saper essere” (atteggiamenti legati alla
motivazione,..), “saper apprendere”;
 Competenze linguistico-comunicative, quelle più tradizionali, come competenze lessicali, grammaticali,
fonologiche, ortoepiche, pragmatiche…etc.

Si era in una fase in cui si doveva uscire dall’approccio minimalista nozionale-funzionale per impostare una didattica, e
quindi un sillabo, che fossero comunicativi in senso lato. Quali sono state le operazioni preliminari svolte dal gruppo di
ricerca (Spagnesi, Colombini, Losi, Cassandro…)? Ci sono voluti tre anni per la pubblicazione del sillabo, partendo
dall’analisi dei destinatari, dei modelli teorici e operativi, dell’individuazione delle mete glottodidattiche in accordo al
QCER. Il sillabo era articolato in 5 descrittori, con l’aggiunta di una presentazione della didattica per progetti e didattica
per temi. La scelta di questi descrittori fu dovuta a ragioni pratiche che permettessero una rapida consultazione agli
insegnanti (a cui è principalmente destinato il sillabo, oltre a coloro che vogliono stilare manuali didattici). Il sillabo
doveva essere semplice, alla portata di tutti gli insegnanti; si volle costruire un sillabo per ognuno dei livelli individuati
dal QCER. Questo costituì una prima problematica, in quanto il QCER non aveva indicazioni sulle lingue speciifche; fu
necessario quindi passare dal generale all’attualizzazione dei contenuti, confrontandosi con la problematica della
selezione dei contenuti. Il problema della graduazione impegnò molto il gruppo di ricerca; inoltre, gli elementi di tutte
le liste, soprattutto quelli degli aspetti contestuali e culturali, erano stati elaborati in modo molto complessa, ma
lacunosa (si demandava all’insegnante la scelta specifica degli elementi da trattare in ogni singolo livello).

Come si era deciso di procedere per l’elaborazione di questo sillabo, che è un sillabo improprio? Infatti contiene anche
elementi di tipo glottodidattico, quindi è più propriamente definibile come un curricolo che contiene un sillabo. Si
rivolge ad un tipo specifico di pubblico, individuato tramite indagini motivazionali interne ed esterne ad Unistrasi, e si
rifà a certi modelli glottodidattici specifici.
L’impostazione doveva essere ciclica, con una indicizzazione, in modo da evitare sovrapposizioni o lacune: se un
elemento veniva trattato per la prima volta nel livello A1, l’indicizzazione riportava un “1”, se poi lo stesso elemento
veniva riproposto nel livello B2 trovavamo la dicitura “2”. Questo significa che la trattazione di quell’argomento
doveva essere approfondita in base ai livelli.
Da cosa era partita questa elaborazione? Oltre che dalla proposta europea, si partiva dalla centralità del testo, inteso
come déclencheur, permettendo di portare alla selezione di tanti altri elementi. Il sillabo non pretendeva di essere
esaustivo ed aveva un focus sulle competenze descritte nel QCER. Il principio ordinatore in base al quale sono state
selezionati i vari elementi erano i tipi di testo; altro aspetto innovativo era il tentativo di trattare gli aspetti
sociolinguistici e socioculturali, trattati in modo vago nel QCER, ma che invece era necessario trattare per poter
permettere all’apprendente di saper integrare la lingua con altri codici. La prima sezione di sillabo si focalizza infatti
sugli aspetti testuali.

La centralità del testo


La centralità del testo nel sillabo del 2007 era giustificata, oltree che dal QCER, anche dalla consapevolezza che una
didattica moderna non doveva più limitarsi al concetto di frase ma doveva partire dal testo nelal sua completezza,
coerenza e coesione. Come abbiamo definito questi testi? Erano stati individuati i generi testuali che potevano essere di
maggior interesse per ogni livello e si era partiti dai testi più facili, che permettevano allo studente un avvicinamento
più facile all’italiano, nonché la sopravvivenza in un paese straniero, per avanzare verso tipologie più complesse.
Partendo dal concetto di testo come unità di comunicazione, se ne dovevano definire i confini, particolarmente fluidi nel
caso di testi parlati; vennero definiti i testi misti, forme di comunicazione classificate in base alle macrofunzioni e alle
microfunzioni. Il gruppo di ricerca aveva anche, per quanto riguarda le liste dei contenuti testuali, indicato il canale
accanto a ciascun esponente dell’elenco testuale: ad esempio, nel livello A1 si riportava “ Testi ad alta intensità
evocativa  canzone; Canale  solo comprensione”. Nel livello B1 si avevano testi trasemssi in audio, es. interviste,
per cui era prevista solo la comprensione, solo nei livelli più alti si aveva una preponderanza della produzione.
Come sono stati considerati i testi?
Venne preso il testo come unità di comunicazione e fu definito cosa si intendeva per testo: si considerava testo qualsiasi
forma di comunicazione (anche immagini), partendo da una attenta analisi diamesica, diafasica e diastratica del canale,
suddividendo i testi in base ai livelli di competenza e in base alla loro fruibilità rispetto alle competenze stesse degli
apprendenti. Fu anche definita l’indicizzazione e la ciclicità, ma soprattutto il testo è servito come contenitore per
definire gli altri contenuti: se nel livello B1 ho una ricetta di cucina come testo, posso anche sapere quali sono le
caratteristiche di questo testo (contenuti grammaticali, lessicali, culturali, atti comunicativi…), quindi si è partiti dal
testo per determinare anche gli altri contenuti. Per quanto riguarda gli aspetti funzionali (ossia il fulcro della
grammatica linguistica), non si era scesi nel dettaglio, si erano fornite liste molto semplici e meno specifiche rispetto
agli aspetti testuali. Gli atti linguistici descritti all’interno di un sillabo sono legati anche alla modalità con cui essi
vengono relaizzati in abse ai bisogni degli apprendenti, perciò i contenuti di questa sezione sono divisi secondo una
tipologia molto classica: comprensione orale e scritta, produzione orale e scritta, in relazione alle abilità che permettono
di esplicare queste funzioni, e in base alle sei funzioni comunicative di Jakobson.
Dopo gli aspetti funzionali sono presenti gli aspetti linguistici, che riguardano le indicqazioni sulla morfologia, sintassi
e fonologia. Essi sono corredati da esempi pratici che aiutano l’insegnante (esempio dal livello B1 riguardante le
preposizioni: si riportano alcune frasi che contengono delle preposizioni). La novità importante, e la relativa sfida, di
questo sillabo è costituita dagli aspetti culturali che per la prima volta sono presenti nel panorama dell’IL2 con un
tentativo di segmentazione per livelli (erano presenti anche in Balboni, 1995, ma non suddivisi per livelli).
Si è ritenuto che la suddivisione dei tipi di testo potesse permettere di indicare aspetti culturali ben definiti; non sono
stati inseriti però in questo caso gli indici per la ciclicità, perché si ritiene che gli elementi culturali per ogni livello
siano i più rilevanti, ma non vengano trattati esclusivamente in quello specifico livello.
I contenuti degli aspetti sociolinguistici tengono conto invece di alcuni stereotipi relativi ad alcune varietà rispetto ad
altro, oltre che del concetto di dominio, che è dato dalla somma di status di ruoli, valori e norme socioculturali… si è
quindi usato il concetto sociolinguistico di dominio (usato anche nel QCER) per legare i livelli macro- (società in
generale) e microsociolinguistico (singolo atto comunicativo). Si tiene conto che gli aspetti sociolinguistici si collegano
direttamente alla scelta dei testi da usare in classe. Per quanto riguarda gli elenchi riguardanti i livelli di questi aspetti, si
parte dal livello A1, molto semplice, in cui si ha solo un’attenzione alla diafasia (formule di saluto, alcuni aspetti di
linguaggi specialistici relativi alla terminologia grammaticale, uso del “tu” o del “lei” nelle formule di saluto, alcuni
elementi di diamesia…), non si ha alcun elemento di diamesia o diastratia; il livello C2 invece contiene elenchi
comprendenti tutti questi livelli, indicazioni sulla possibilità dell’insegnante di cambiare codice, il concetto di
continuum, norma, indicazioni sulle dinamiche di mantenimento linguistico…quindi, è caratterizzato da una maggiore
complessità sociolinguistica, più vicina a quella di un parlante nativo.
Il sillabo comprende anche un capitolo dedicato alla didattica per progetti e uno dedicato alla didattica per temi. La
didattica per progetti è la visione più pura della didattica progettuale, e consiste nel dare indicazioni di contenuti perché
in classe si possano condurre dei progetti coinvolgendo gli App (project-work, PW), indicando vari tipi di progetti che
possono essere condotti dagli App stessi sulla base del loro livello di conoscenza della lingua italiana. Abbiamo diverse
tipologie di project-work: esplorativo, che richiede che gli App vadano sul campo a intervistare i nativi; PW più classico
come lo scambio di corrispondenze con alunni provenienti da altri Paesi. Sono state indicate anche le fasi del PW e
come il docente può condurre questo tipo di didattica, più adatto all’App adulto, presupponendo una maggiore
autonomia dell’App (l’insegnante è solo il regista del progetto). Questa didattica non sempre è adatta alla formazione di
tutti gli insegnanti; già nella fase di sperimentazione il gruppo di ricerca si era accorto che molti insegnanti preferivano
un tipo di didattica per temi.

Aspetti critici del sillabo


Mancava una sezione dedicata al lessico; questa è una questione sempre molto complessa perché legata a molte
variabili. Il lessico doveva essere ricavato dai testi, demandando all’insegnante il compito dis elezionare all’interno dei
vari testi il lessico più funzionale e importante. Altro elemento di criticità è quello della trattazione delle abilità, trattate
insieme ai testi e nella sezione “Funzioni del linguaggio”; inoltre l’impianto stesso del sillabo, essendo destinato a
studenti di livello universitario, che seguono un percorso formalizzato e sono in possesso di competenze
morfosintattiche; non è quindi adatto per l’uso con altre tipologie di App. Partendo da queste trattazioni sono stati
quindi elaborati da Benucci altri tipi di sillabo per pubblici diversi, come ad esempio quello dei detenuti stranieri o
immigrati adulti che segue percorsi di formaizone in italiano. Certi aspetti, come quelli morfosintattici, devono essere
molto semplificati. D’altronde, un sillabo di riferimento è sempre un contenitore dal quale l’insegnante deve attingere
arbitrariamente, non deve essere utilizzato in toto (anche es. per verificare l’appropriatezza del manuale usato in classe,
se deve essere integrato, ecc).

Il sillabo per detenuti stranieri


Il sillabo del 2007 è quindi un sillabo generico, non tiene in conto uno specifico App, o la sua lingua madre. Da questo
sillabo è possibile ricavare ulteriori sillabi per pubblici specifici. Ad esempio, si ha un sillabo per il pubblico dei
detenuti stranieri. Il problema di adottare un criterio per la selezione e la graduazione dei contenuti di un sillabo era già
stato affrontato nel sillabo generico. Per elaborare un sillabo specifico abbiamo tentuo conto delle caratteristiche dei
destinatari, l’ambiente in cui si sarebbe studiata la lingua e la tipologia particolare di pubblico. Il detenuto straniero ha
una necessità di autopromozione, essere stimolato in una motivazione strumentale, poter comunicare fin da subito anche
per iscritto. In carcere vige infatti la pratica di redigere domande per ottenere colloqui con avvocato, lista della spesa,
iscriversi alla formazione…quindi lo scritto è molto importante. Per adattare il sillabo specifico si sono dovuti
rovesciare i principi della glottodidattica, focalizzando il livello A1 già sulle competenze scritte, perché questa era
l’esigenza del pubblico. Il sillabo è stato organizzato solo per i livelli A1 e A2, per temi e situazioni relative
all’ambiente carcare e alle tipologie testuali che vi circolano. Le funzioni e gli atti comunicativi sono state ridotte: ad
esempio è stata eliminata la funzione poetico-immaginativa per venire maggiormente incontro ai bisogni degli App.
Sono stati invece enfatizzati aspetti come chiedere e rcevere spiegazioni, come consultare i dizionari bilingue (internet
non è disponibile in carcere). La sezione della morfosintassi è stata semplificata e sono state considerate anche le
interlingue degli App, che potrebbero già parlare un po’ di italiano.; sono stati trattati elementi necessari alla
comunicazione, anche se grammaticalmente più complessi, sono stati comunque inclusi e trattati alla stregua di formule,
es. Alcuni elementi della comunicazione formale, l’unica ammessa in carcere. Per quanto riguarda la selezione degli
aspetti culturali, siamo partiti dalle interviste, eliminando tutto ciò che riguardava l’uso di internet. Si è scelto di
esplicitare le principali unità lessicali, assenti nel sillabo del 2007, orientato su aree significative per questo tipo di
pubblico, sulla base di un corpus raccolto sul campo, senza però passare per la regola di formazione delle parole, visto
che il livello medio di alfabetizzazione degli App è generalmente basso anche nella loro L1. Al lessico di base di De
Mauro è stato aggiunto il lessico carcerario, con alcune connotazioni regionali (es. Appello, arresti domiciliari,
cassazione….); è quindi una sezione di lessico che comprende parole piene, funzionali, etc. proposti senza richiedere
che gli App facciano riflessioni sulle relative regole di formazione, da utilizzare per le esigenze di comunicazione ma
non da conoscere in profondità (es. “OPG”, che sta per Ospedale Psichiatrico Giudiziario), alcuni di questi elementi
sono particolarmente difficili anche per un parlante italiano nativo, ma di grande utilità per questo pubblico. È stato poi
prodotto un manuale, “L’ora d’italiano (A1-A2)”, primo esempio di materiale tarato sulla relatà del carcere e I suoi
limiti strutturale. Questo materiale è stato ampiamente sperimentato in carcere, ambiente in cui le dinamiche di
comunicazione hanno aspetti di ritualità molto accentuati, con impatti neuropsicologici consistenti. Si è tenuto conto del
fatto che in questo contesto l’offerta formativa è vincolata ai materiali che vi si possono introdurre e alla qualità dei
luoghi in cui l’attività didattica può essere svolta. Non sempre i materiali didattici, comunque, sono costruiti sulla base
di un sillabo, molto più spesso sono creati in modo empirico; nel caso dei sei moduli di cui si compone L’ora di
italiano, però il sillabo è stato seguito.

Per l’organizzazione del materiale per il carcere, si è tenuto conto del fatto che l’App tipico presenta spesso problemi di
memoria, e che spesso non ha le giuste motivazioni emotive che lo predispongono per l’apprendimento. Al tempo
stesso, si è considerato che, qualora il detenuto sia già a venuto a contatto con l’italiano prima dell’internamento, lo ha
fatto probabilmente in ambienti marginali o nel carcere stesso, durante i primi momenti del soggiorno. Molto
probabilemnte, quindi, l’App avrà acquisito formule del lessico base d’italiano, non solo tramite il canale orale, come
avviene per un immigrato del cosiddetto “mondo libero”, ma anche attraverso il canale scritto, importante per la
comunicazione in carcere, che si avvale di norme, regolamenti…testi scritti in italiano burocratico e quindi non facile.
L’App detenuto sviluppa quindi competenze pragmatiche che servono alla sopravvivenza, ma anche competenze
specialistiche legate alle azioni che si compiono in carcere, senza aver formalizzato conoscenze morfosintattiche, che
possano permettergli di distinguere in maniera cosciente i registri formali da quelli informali, pur avendo, ad esempio,
imparato a rivolgersi in maniera formale agli operatori (ignorerà invece quali altre possibilità gli siano offerte dalla
lingua). Si è tenuto conto del fatto anche che spesso questo tipo di App tende a riprodurre gli usi orali in quelli scritti,
proprio perché non ha sviluppato un’idonea riflessione metalinguistica atta a discriminare gli usi scritti da quelli orale.

L’approccio adottato nel manuale è quindi in parte induttivo e in parte deduttivo. In alcuni casi si facilita il transfer
diretto delle competenze già acquisite e negli altri si invita a riflettere e a fare delle ipotesi. Nel manuale vengono
trattate marginalmente anche le grammatiche non verbali, che in genere sono ben conosciute e appresi dai detenuti,
perché nel quotidiano vissuto carcerario i primi atti comunicativi si avvalgono di linguaggi non verbali (mimica,
prossemica). A questi linguaggi ricorrono da subito anche gli agenti per comunicare con i nuovi arrivati. In carcere è
inoltre molto presente anche un tipo di comunicazione iconica; un tempo erano rpesenti nelle celle dei graffiti, oggi non
vengono più permessi, ma è interessante osservare quali immagini hanno sostituito questi graffiti (es. poster),
caratterizzate da sincretismo religioso e contaminazioni, quali messaggi vengano selezionati da coloro che vivono nella
cella.

I testi utilizzati nel manuale sono autentici e mirano a formare competenze immediatamente spese nell’ambiente
penitenziario, rispettando per quanto possibile la sensibilità di questi App; devono inoltre costituire motivo di interesse,
in quanto questo tipo di App è caratterizzato da scarso rispetto del patto formativo, saltuaria frequenza alle lezioni (sia
perché le lezioni si sovrappongono ad altre attività tipiche della vita di carcere e non sono obbligatorie, sia per altri
aspetti psicologici); si sono quindi fatte scelte didattiche molto forti, come la rinuncia all’uso di testi trasmessi (DVD,
internet), proprio perché questi dsipositivi non sono permessi in carcere (anche se l’uso di Internet è ora ridiscusso a
livello istituzionale e si spera che ci possano essere aperture in tal senso). Per quanto riguarda il lessico contenuto nel
manuale, esso è stato suddiviso in campi semantici (riguardanti lessico spendibile in carcere) all’interno delle macro-
aree individuate nel sillabo di riferimento. Come accennato, la discontinuità della frequenza e l’abbandono dei corsi
rappresentano uno dei maggiori problemi segnalati dai formatori che lavorano in carcere: per questo motivo il materiale
didattico non poteva essere organizzato in rigide unità didattiche. I moduli sono stati suddivisi in segmenti completi, in
modo che fosse possibile una progressione nella competenza linguistica anche senza seguirli nella loro totalità. Il
ricorso alle immagini è molto importante in questi manuali, perché le immagini fungono da sussidio, sono funzionali
allo sviluppo di compiti di interesse culturale, su cui l’App è invitato a rilfettere in maniera contrastiva rispetto alla
propria cultura o altre incontrate nella propria esperienza. Le immagini sono state anche selezionate in base al tipo di
rapporto con l’input linguistico fornito nel modulo; in molti casi contribuiscono a far comprendere il testo scritto stesso.
Il manuale è concepito in modo tale che le 6 unità siano indipendenti l’una dall’altra; le griglie grammaticali e lessicali
che li accompagnano servono anche per offrire una ulteriore riflessione all’apprendente che abbia voglia di ampliare
questi aspetti in autonomia.
3.2 . Capacità di impostare materiali didattici adeguati e coerenti per le diversificate situazioni di apprendimento
e di comunicazione interlinguistica in contesti di contatto linguistico e di mediazione
Concentriamoci sulla capacità di condurre ed impostare una lezione, fondata su un elemento chiave della didattica delle
lingue, ossia la grammatica. Insegnare la grammatica e insegnare a riflettere sulla lingua vuol dire la stessa cosa? Per
Benucci, è più corretto parlare di grammatiche, anziché di grammatica: questo perché la grammatica formale e classica
non è più adeguata per rendere conto delle analisi compiute su lingue e linguaggi svolte negli ultimi 20 anni, anche su
concetti basilari come quello di tempo (es. si veda Porcelli, 1994).

Quali sono le due macroposizioni di fondo nei confronti della grammatica?

La posizione 1 deriva dall’approccio traduttivo, che non è mai stato del tutto superato nella glottodidattica; la posizione
2 è più legata agli approcci comunicativi di tipo massimalista (che considera anche aspetti pragmatici e socioculturali)
ed è quindi più moderna. Essa è legata al fatto che la didattica delle lingue ha una impostazione diversa rispetto ad
alcuni anni fa, posizione che la rende centrale e che fa sì che sia finalizzata non soltanto all’aspetto linguistico. Oggi
non possiamo più pensare a una didattica indifferenziata, ma dobbiamo considerare il profilo dell’apprendente e
customizzare il più possibile su questa base l’esperienza didattica. Da un insegnamento a pubblici generici abbiamo
quindi un’attenzione dedictaa a specifici contesti, gruppi speciali, anche a livello pragmatico, testuale, interculturale…
Tutto questo porta a una nuova concezione della educazione linguistica e della glottodidattica, che risponde alle
esigenze di multilinguismo e multiculturalismo e che propugna approcci di tipo costruttivista (es. Approcci
intercomprensivi); comporta la priorità del processo sul prodotto e la necessità di veicolare, assieme alla lingua, anche
la dimensione culturale.

Quali sono stati i cambiamenti nella storia dell’approccio dei metodi riguardo alla concezione della grammatica?
Sia negli approcci pre-scientifici che in quelli scientifici, la grammatica coincideva con la lingua e con il manuale, Non
ci si preoccupava di cosa insegnare né di come farlo; solo con la seconda fase degli approcci scientifici, quella
comunicativa, ci si è orientati su una pluralità di aspetti della lingua e di condizioni in cui insegnarla, interrogandosi su
quale ruolo abbia l’insegnamento della grammatica, quale grammatica e quale modello di lingua proporre per
l’insegnamento, su come insegnare la grammatica e con quali strumenti, quali competenze siano necessarie da parte di
Ins e App. Il metodo grammaticale traduttivo non è stato mai completamente superato: si preferisce ancora la teoria
deduttiva (dalla regola formale si giunge alla lingua funzionale), si caldeggia un apprendimento mnemonico, l’Ins è
centrale nell’apprendimento, il modello di riferimento è quello della lingua scritta; la traduzione è l’esercizio tipico di
verifica e il testo letterario è proposto come modello di eccellenza linguistica. Le reazioni indotte dall’approccio
nozionale-funzionale prima e da quello comunicativo poi, hanno modificato, almeno sul piano teorico, la concezione
della grammatica nell’insegnamento della lingua; le conseguenze pratiche sono invece ancora scarse.
Tornando al ruolo della grammatica nell’insegnamento delle lingue, se prima la grammatica era l’unico contenuto dei
corsi di lingua, la prima reazione, forse spropositata, è stata quella dei metodi naturali, strutturo-globale, audio.orale
meccanicistico, caratterizzati dalla totale assenza di grammatica. La grammatica è stata poi recuperata in maniera
funzionale grazie agli approcci comunicativi e quelli per competenze ed eclettici (quelli più recenti). L’approccio
comunicativo è basato su unità capitalizzabili, ossia di sistema, che l’App può sommare l’una alle altre; è un approccio
criteriale, legato alla nascita delle certificazioni linguistiche, è un approccio che permette di vivere linguisticamente nei
paesi della L2, in cui si fa molta attenzione ai ruoli, ai rapporti interpersonali e alla personalità dell’App. L’umanesimo
glottodidattico parte non tanto dall’oggetto dell’insegnamento, bensì dal suo attore, ossia l’App, e dalla sua personalità
ed esigenze. Queste esigenze sono legate ai suoi sentimenti, alle sue valutazioni sulla L2 e la relativa cultura. Si cerca
quindi di evitare le situazioni che mettono a disagio l’App, anche dal punto di vista dei rapporti sociali all’interno del
gruppo dei pari, la responsabilità, l’essere attivi nel processo di apprendimento, nella correzione degli altri presenti in
classe, l’autorealizzazione, e quindi anche il piacere dell’apprendimento. La nozione di grammatica dilatata che
Benucci vuole proporre comprende quindi anche le nozioni classiche (fonologiche, lessicali, morfosintattiche…), ma
anche quelle culturali e pragmatiche. A una idea monolinguistica e monofunzionalistica della lingua, si sostituisce
quindi un’idea plurilinguistica e polifunzionalistica. Consideriamo la competenza una serie di grammatihce: se
vogliamo far agire socialmente un soggetto attraverso la lingua, la competenza grammaticale dev’essere collegata a
quella pragmatica, a sua volta collegata alla dimensione sociolinguistica e culturale. In questo processo di revisione
degli aspetti grammaticali bisogna anche tenere conto del fatto che l’insegnamento delle lingue è un processo
multidimensionale, in cui interagiscono varie dimensioni; neuropsicologica, linguistico-comunicativa, socioculturale,
educativa…bisogna quindi sempre porsi le quattro domande fondamentali della glottodidattica:
1) Che cosa si apprende?
2) Come si apprende?
3) Quando si apprende?
4) Perché si apprende?
Se le competenze formali riguardano la padronanza degli elementi formali della grammatica in senso stretto, queste
competenze si riferiscono a categorie, processi, relazioni, ma non possono essere analizzati uno per volta a sé stanti,
senza tenere conto degli aspetti più generali della comunicazione. La grammatica, anche nel QCER, è definita come una
conoscenza fatta di entità, di aspetti di controllo di correttezza, ma legata anche all’apprezzamento di chi la utilizza,
quindi nel QCER non vengono fornite indicazioni precise, la trattazione rimane indeterminata. Ci possiamo avvalere
delle sequenze di acquisizione, sviluppate dalla linguistica acquisizionale a partire dagli anni ’90 (es. Scuola di Pavia),
ma l’Ins deve anche operare delle scelte (es. elementi primari che garantiscono la sopravvivenza linguistica in un certo
Paese), in base a criteri didattici elaborati dall’Ins stesso.

La grammatica può essere presentata in classe in vari modi, sono state elaborate molte tassonomie a questo riguardo:
normativa, che si attiene fedelmente alla descrizione codificata della lingua, descrittiva, che cerca anche di spiegarne e
descriverne i mutamenti, storica, comparata, che mette a cofronto più lingue o varietà; generale, legata ai principi di
linguistica; puramente teorica, costruita a tavolino, del testo, quindi concreta; pedagogica, la più utile per l’Ins, assieme
alle altre che comunque fanno parte del suo background, per la trasposizione nell’attività didattica. La grammatica
pedagogica è concepita non per essereil più possibile fedele alla norma, ma per essere operativa ed essere appresa in
modo più facile possibile, è un adattamento della grammatica di riferimento.

Il dibattito su come insegnare la grammatica nel tempo si è evoluto, ha assuntio varie posizioni; alcuni preferivano
presentare una grammatica empirica, costruita in modo spontaneo e emergente dai testi utilizzati in calsse; altri davano
importanza alla grammatica strumentale, focalizzata sull’insegnamento di certi aspetti comunicativi; in altri casi si
preferisce una grammatica procedurale, direttamente collegata alle attività didattiche svolte in classe. A partire dagli
anni ’90 si parla di grammatica ciclica, che procede per successivi approfondimenti in modo ciclico (v. anche sillabo del
2007). Si è discusso se la grammatica sia più facilmente appresa in modo induttivo o deduttivo, o ancora cognitivo,
quindi basato su analisi e riflessioni, o infine meccanico, senza analisi e riflessione; come conoscenza conspaevole o
inconsapevole. Questo dipende dal tipo di App e dal tipo di corso.
Quale ruolo ha l’insegnamento della grammatica? Esso serve a conoscere il funzionamento delle lingue, ma deve
servire anche a raggiugere competenze comunicative e alla formazione dell’individuo: io posso conoscere la
grammatica di sei lingue oltre alla mia L1, ma posso non saperci comunicare. La conoscenza pura e semplice degli
elementi grammaticali non serve quindi per comunicare in una data lingua. Questo è un errore in cui siamo incorsi per
molto tempo nella didattica delle lingue. Parlare di grammatica significa però anche occuparsi di sviluppo della
metacognizione, dei motivi e dei bisogni dell’App, del posto della grammatica in curricoli, sillabi e manuali.

Metacognizione e fattori individuali d’apprendimento


Esistono caratteristiche individuali che influiscono sull’apprendimento di una lingua straniera, come l’età. Si è a lungo
sostenuto che dopo i 7-8 anni di vita non è più possibile apprendere perfettamente una L2, questa teoria è stata rivista. È
vero che i bambini hanno una capacità di riprodurre i suoni migliore di quella degli adulti (che possono avere anche
problemi di udito) ma d’altronde l’adulto ha sviluppato capacità metacognitive e metariflessive più ampie, e compensa
così nell’apprendimento. Altro fattore è l’attitudine linguistica: non tutti abbiamo le stesse attitudini, alcuni hanno
determinate inclinazioni. Anche nella gestione della nostra L1 possiamo essere più portati a parlare o a scrivere, etc.
Altro ruolo importante è giocato dal nostro stile cognitivo preferito: alcuni hanno buone capacità mnemoniche, altri
hanno bisogno di sottolineare, scrivere, fare glosse di sintesi. Abbiamo anche fattori sociologici e psicologici
(motivazione e atteggiamento); la motivazione può essere costituita dal superamento di un esame universitario, dalla
necessità di comunicare nel Paese in cui si vive; anche la personalità è importante, alcune persone sono più portate alla
socializzazione, sono più sicure di sé, etc. e questo riverbera sullo stile e strategie di apprendimento. Altro fattore
importante è il grado di istruzione. Il percorso di apprendimento pregresso influenza anche l’apprendimento della L2.

Tornando al tema dell’insegnamento della grammatica, quando parliamo di adottare una visione globale della
grammatica non vogliamo dire che l’insegnamento tradizionale della grammatica non sia utile; lo può essere con
apprendenti abituati a un apprendimento improntato sulla grammatica, inoltre serve anche ad attrirare l’attenzione su
determinati argomenti, è quindi necessaria la programmazione dell’insegnamento degli elementi grammaticali. Tuttavia,
l’insegnamento della grammatica non può essere un’attività a priori, perché il modo in cui una conoscenza esplicita può
condurre allo sviluppo di conoscenze implicite, quindi è meglio adottare delle pratiche di sensibilizzazione e evitare
approcci troppo lineari e pianificati rispetto ai contenuti grammaticali. Bisogna tenere conto anche dell’aspetto legato
alla teoria della processabilità, o ipotesi dell’insegnabilità (Pinemann, Levelt):, analizzando le implicazioni nel
processo di acquisizione di dati; si procede dal più basso al più alto secondo 5 tappe di progressione; inoltre sostiene
che ciò che non può essere processato e quindi analizzato non può essere acquisito. Dunque, la presentazione della
grammatica è legata alle procedure didattiche utilizzate, e all’attività che noi facciamo svolgere agli App per processare
i dati elementi che vengono processati. Gli App devono quindi aver maturato prerequisiti linguistici che lo rendono
pronto a processare queste nuove strutture, al netto della variabilità individuale. L’individuo ha sempre la possibilità di
scegliere tra le strategie di apprendimento in base alle condizioni che in quel momento ritiene più importanti.

Consapevolezza metalinguistica
Per raggiungere la consapevolezza metalinguistica bisogna lavorare anche in base all’identità delle persone e dell’App
stesso. Consapevolezza metalinguistica e attenzione alla forma sono meno importanti per i bambini, le persone poco
istruite e coloro che devono usare la lingua per sopravvivenza, nonché coloro che hanno uno stile di apprendimento
globale. È mediamente importante questa consapevolezza per coloro che hanno un profilo intermedio per età,
background, stile di apprendimento… mentre è più importante per gli adulti, con livello medio-alto di istruzione,
bisogni professionali più specialistici e che possiedono uno stile di apprendimento di tipo analitico, che vogliono gestire
anche il livello formale della comunicazione  ancora enfasi sul profilo individuale dell’App.

Translanguaging
La consapevolezza metalinguistica è anche strettamente legata ai nuovi pubblici per le lingue, e soprattutto per IL2
oggetto di riflessione in questi anni. Torniamo al concetto di translanguaging, legato al concetto di IC: questo tipo di
puibblico interessato al translanguaging, pubblico plurilingue, all’interno della stessa classe riunisce individui con
identità linguistico-culturali variegate, che richiedono approcci pedagogici in cui la trattazione degli aspetti
grammaticali sia flessibile, per via della disoogeneità del pubblico stesso. L’IC qui si applica perché alcuni App possono
aver incontrato lingue romanze o avere una ligua romanza come L1: di questo si deve tenere conto nella trattazione
della grammatica, nel secondo caso, ad esempio, si potrà andare un po’ più in profondità nella trattazione della
grammatica.

Detenuti e rifugiati
Vediamo quali sono i contesti di apprendimento che si presentano per la didattica dell’italiano: in particolare ci
soffermiamo su due categorie di nuovi pubblici, considerati pubblici svantaggiati: i detenuti e i rifugiati. Essi sono
persone che hanno un carattere simile per quanto riguarda le ricadute dell’azione didattica e superdiversità, che nel
nostro caso può essere un elemento che da iniziale impedimento puù essere una ricchezza. Questi due tipi di pubblici
sono quelli per cui la didattica dell’IL2 si rivolge in modo più massiccio: sono persone che hanno necessità di percorsi
didattici particolari, perché hanno bisogno di potersi integrare, anche linguisticamente nella società, nel rispetto del loro
progetto migratorio e della loro lingua d’origine. Per ora, sono poche le azioni mirate per questi pubblici erogate:
occorrono pratiche didattiche interculturali, prevedere un approccio didattico di tipo cooperativo, sia cognitivista che
anche riflessivo, rispettoso del fatto che queste persone non sono abituate allo studio. Con queste persone occorre
programmare percorsi che facilitino l’inserimento professionale nel paese d’arrivo, per il quale è necessaria una
preparazione linguistica. Questo pubblico è caratterizzato da competenze intuitive implicite, sbilanciate e lacunose nella
L2, acquisite sul campo. Molto spesso c’è forte discrasia tra produzione orale e scritta (sono venuti soprattutto a
contatto con la lingua orale, infatti); difficilmente riescono a gestire il codice scritto. Sono quindi persone che hanno
bisogno di un approccio alla grammatica diverso. Per quanto riguarda l’inserimento linguistico.professionale occorre
elaborare sillabi e materiali finalizzati allo scopo settoriale: occorre ricorrere al concetto di parizalità delle conoscenze,
non mirare presentare tutto e subito, enfatizzare l’autopromozione, approccio interlinguistico e interculturale. I
contenuti morfosintattici devono essere qualitativamente poco elevati, spesso c’è necessità di introdurre dei tratti di
italiano regionale o locale a seconda di dove dovranno svolgere attività lavorativa o se, come in carcere, si confrontano
con realtà di parlati strettamente regionali o dialettali. L’input linguistico è qualitativamente limitato al dominio
lavoratvo, ma deve essere contestualizzato. Questo deve essere perseguito attraverso l’adozione di idonee procedure
didattiche, che rendano conto del fatto che gli allievi sono discontinui, sono poco abituati allo studio, etc. dev’essere
quindi una didattica flessibili. Occorre fornire a queste persone strutture linguistiche di base individuando quelle di più
immediata spendibilità nei contesti di interesse, fornire consapevolezza dell’uso di questi elementi, che sia rapportabile
alle loro abitudini di studio e al bagaglio di vita. Alcuni elementi fondamentali per altri potranno essere tralasciati in
questi corsi, e, viceversa, potrebbero essere introdotti elementi lessicali specialistici ma d’uso comune per il destinatario
dell’azione didattica.
La selezione di input per una lingua finalizzata all’azione è proiettata quindi a livelli pragmatico-referenziali: seguire
istruzioni, riflessioni metalinguistiche (es. lavoratore che chiede spiegazioni); si deve far sì che i sillabi sfruttino le
abilità dell’adulto nei contesti professionali o di vita quotidiana. Per insegnamento di ILS a scopi professionali bisogna
operare scelte sulla base dei contenuti o del livello di difficoltà. Es. Comprensione:si possono selezionare strutture più
complesse rispetto ad un corso di analogo livello per diverso pubblico, ma magari non si chiede questa competenza in
termini di produzione (o, se lo si richiede, lo si fa in modo permissivo). In altri casi sarà necessario presentare all’App e
richiedergli certi aspetti/formule della lingua in modo “mnemonico” perché, anche se complesse grammaticalmente,
sono necessarie per l’uso in ambito lavorativo. Per impostare un sillabo per scopi professionali è necessario in molti casi
scardinare l’ordine di acquisizione naturale, nel rispetto della parzialità delle conoscenze, presentare un livello A1 che
però può contenere anche elementi lessicali/sociologici che sarebbero altrimenti affrontati in altri livelli, anche se in
geenrale dovrebbe essere considerata la consapevolezza nell’uso. Per gli aspetti lessicali bisogna far riferimento al
sottocodice linguistico professionale di destinazione; fornire alcune regole base di formazione delle parole, così da poter
fornire strategie di associazione agli allievi e far loro prevedere il senso di vocaboli che non conoscono.
Per ciò che riguarda gli aspetti SL; bisogna dare priorità al canale in cui l’App si troverà più frequentemente a ddover
comunicare; questi varieranno quindi a seconda del contesto lavorativo oggetto dello studio. L’asse diafasico sarà quindi
molto importante, con le regole ad esso corrispondenti, soprattutto per quanto riguarda il livello di formalità.

Manuali
Torniamo ora sulla trattazione della grammatica, intesa in senso generale. Ponendosi di fronte a un libro di testo si
possono osservare vari aspetti relativi alla grammatica, innanzitutto, come si presenta dal punto di vista grafico, la
grammatica? Caratteri diversi, colore, impaginazione… è capace di attirare l’attenzione? Si parla in modo esplicito di
grammatica nel manuale? A partire dalla grammatica di Port-Royal, che ha dato origine all’analisi logica, per arrivare
poi alla grammatica fattoriale… ci sono varie scuole di pensiero su ome strutturare la grammatica. Quanti e quali livelli
vengono presi in considerazione? Il livello fonologico spesso nei manuali di ILS è assente, o viene presentato in
un’Unità 0 e non più ripreso. Poi abbiamo la presenza o meno di elementi in altre lingue (es. inglese, arabo); come la
presentazione della grammatica si lega al resto dei contenuti; com’è suddivisa la grammatica (criteri di graduazione, il
manuale la suddivide anche all’interno della stessa unità, dove è trattata, nell’unità o nel capitolo, all’inizio o alla fine,
in più punti…?). Altro aspetto importante è come viene presentata la grammatica: es. livello di esplicitazione (sono
presenti aspetti metalinguistici? E con quale dettaglio?). Come viene fatta osservare la grammatica? Se è presentata
semplicemente con l’oggetto di studio in sé stesso, o con un dispositivo che attiri l’attenzione (es. “Osserva!”,
“Attenzione!”), se è trattata sottoforma di griglia o schema, o se è una descrizione simile a quella di un libro a uso dei
nativi e quindi molto complessa. Possiamo poi riflettere su come è denominata (“Riflessione grammaticale”, “Occhio
alla lingua”…), sempre che lo sia; all’interno dell’apparto regolistico sono indicati anche aspetti SL o SC (es.
indicazioni sull’uso della norma secondo la tradizioni, varietà dialettali a livello fonologico); se è presente un aspetto
contrastivo (se il manuale è destinato ad un pubblico con una determinata L1); livello metalinguistico adoperato. Più nel
dettaglio, riguardo a dove è trattata la grammatica: si trova all’inizio dell’unità, prima o dopo le letture, gli esercizi,
viene utilizzata per far svolgere l’esempio, è presentata una volta sola o per gradi in vari punti dell’unità; la incontriamo
proposta tutta insieme alla fine del manuale, ogni 2.3 unità, in un’appendice a parte…?
È molto importante anche come la grammatica viene denominata (“Osservate!”; “Riflessione grammaticale”;
“Momento grammaticale”…); ciascuna di queste denominazioni comporta una modalità di concepire la grammatica. Ad
esempio se si nomina soltanto, significa che si concepisce l’insegnamento delle lingue in modo più tradizionale, ossia
coincidente con l’insegnamento della grammatica, se si invita all’osservazione, significa che si vuole adottare un
approccio riflessivo e di tipo cognitivo; se si utilizzano domande (“Secondo te come funziona?”), vuol dire che si invita
esplicitamente l’apprendente a interagire.
Chiaramente se osserviamo la panormaica dei manuali nel tempo si vedono queste differenze di approccio; si
riscontrano quali erano le idee dell’epoca riguardo alla trattazione della grammatica; v. slide 42, manuale del 1985
(Papi, agli inizi dell’approccio comunicativo e della sua diffusione in Italia), abbiamo quindi un manuale molto
chematico, in cui la grammatica viene presentata in maniera molto tradizionale, denominata come tale. In “Comunicare
meglio”, dello stesso anno, si ha maggiore sensibilità nei confronti degli aspetti comunicativi, e gli elementi
morfosintattici vengono presentati meglio attraverso il dialogo, quindi in modo più concreto. Nel 1992 abbiamo ancora
un manuale (Moretti) che si presenta come manuale di italiano L2 ma è in effetti un manuale di riferimento che
potrebbe essere usato dagli italofoni, per la sua difficoltà, anche perché la grammatica viene trattata con un
metalinguaggio molto specialistico. Altri manuali più recenti, come Turandot, sono indirizzati a un pubblico specifico
(es. studenti cinesi che vogliono imparare l’italiano), consentendo così una presentazione della grammatica in senso
comparativo.
Un altro manuale del 2010, L’ora di italiano, è destinato a detenuti stranieri, manuale particolare per via delle esigenze
metacognitive particolari, problematiche psicologiche, necessità di essere motivati… in questo caso si utilizzano aspetti
morfosintattici presentandoli nella maniere più semplice possibile (come osservazione, schema), senza introdurre
denominazioni e aspetti metalinguistici nella trattazione, partendo dal presupposto che l’App potrebbe avere difficoltà
nel padroneggiare il concetto di sostantivo, verbo… Gli aspetti morfosintattici vengono quindi presentati a partire da
testi, in maniera parziale e ciclica; se nel testo sono utilizzate alcune forme, non si presenta una tabella con tutte le
possibili realizzazioni di quella forma, ma solo gli aspetti utili alla comprensione del testo input e a svolgere le attività
proposte.
2016, Bravissimo presenta sempre gli aspetti morfosintattici come griglia da far riempire all’App, che così è
protagonista nella costruzione della propria riflessione grammaticali. Questi ultimi due manuali presentano gli aspetti
morfosintattici come “Osserva e rifletti”, sollecitando la partecipazione dell’App nella riflessioni, senza neinte di
esplicito o a priori.

Errori
La concezione dell’errore è mutata nel tempo a seconda di approcci e metodi che si sono succeduti.

Nell’approccio nozionale-funzionale l’errore viene visto non solo dal punto di vista della struttura, ma anche e
soprattutto dal pdv pragmatico, nell’approccio comunicativo si riscopre poi il ruolo dell’errore e della grammatica e si
accorda molta importanza all’errore in base al contesto, allo scopo comunicativo, alle performance che possono non
aver tenuto conto delle regole sociali (es. dare del tu all’Ins); l’errore è quindi di passaggio o non passaggio del
messaggio, l’App deve essere in grado di farsi capire, quindi è la spia di comportamenti dettati da processi emotivi,
attentivi… e quindi spia dell’apprendimento stesso; viene addirittura sollecitato, in modo da far riflettere l’App sul
proprio processo di apprendimento della L2.
Spesso nei corsi di lingua si pretendeva una correttezza da parte dell’App nell’uso delle forme linguistiche che a volte
neppure i nativi potevano produrre; la preoccupazione dell’errore era talmente presente che non si teneva conto di una
serie di variabili importantissime. Può essere un errore quello prodotto in un testo scritto, che però non lo è in un testo
orale, per la natura stessa, più permissiva, del parlato (es. accordi, consecutio temporum).
Bisogna anche tenere conte del fatto che, oltre al canale, un altro elemento importante è la continua evoluzione della
lingua: un errore considerato come tale venti anni fa oggi potrebbe non esserlo più. Ad esempio, nella storia della lingua
italiana, fino agli anni ’90 alcuni tratti dell’italiano dell’uso medio venivano considerati nelle grammatiche e nei
programmi di insegnamento di IL2, es. egli/ella esso/essa nel parlato, l’uso del ci attualizzante, le dislocazioni…oggi
invece sono ammessi a pieno titolo come corretti nel parlato e a volte anche nello scritto.
Dobbiamo anche tenere conto delle interferenze delle lingue con cui l’app è venuto in contatto (quella materna, ma
anche altre), l’aspetto psicologico nei confronti dell’appropriazione di una lingue; inoltre, dobbiamo sempre tenere a
mente che l’aspetto interattivo e funzionale è prioritario rispetto a quello sintattico e morfosintattico, soprattutto rispetto
a certi tipi di App (un adulto immigrato è più concetrato sugli aspetti strumentali della lingua, e l’Ins dovrebbe tenere
conto).
Dobbiamo anche ricordarci che nell-appropriazione del sistema regolistico di una lingua si procede per tentativi,
secondo il sistema del problem-solving, come dimostrato dalla linguistica acquisizionale; l’errore quindi è
fondamentale! Anche nell’acquisizione della L1 l’aspetto pragmatico è il primo a venire acquisito, quindi lo stesso
ordine dovrebbe essere seguito anche nei corsi di lingua. Alcuni, soprattutto di fronte a un corso destinato a determinati
tipi di App con L1 unitaria, cercano anche di applicare i principi della linguistica acquisizionale e dell’analisi
contrastiva; purtroppo non tutti i risultati di questi approcci sono stati verificati o validi, le variabili personali sono
inoltre molto importanti nella produzione degli errori.
Una buona pratica per trattare l’errore nel corso della didattica è quello di responsabilizzare l’App (Se questo è
adolescente o adulto); in slide 57 ne abbiamo un esempio (riflessione individuale, autocorrezione), fornendo griglie che
invitano l’App a valutare autonomamente a valutare la propria produzione (valutazione dello scritto di uno studente;
l’insegnante ha segnalato che ci sono aspetti non precisi e ha invitato lo studente a rilegere il testo sulla base della
griglia e questo è stato in grado di produrre un’autocorrezione, magari anche aiutandosi con una grammatica; abbiamo
anche uan riflessione sul perché l’App ha sbagliato. Nel percorso di studio l’App è stato sensibilizzato anche sugli
aspetti che influiscono sull’apprendimento. Slide 58-59: App viene invitato a fare riflessioni esplicite (non ci interessa
che siano corrette o meno! Differenze tra varie lingue; studentessa greca parla delle sue difficoltà e come ha cercato di
sueprarle). Queste attviità che invitano lo studente a riflettere sulle proprie difficoltà sono molto utili. Resta il fatto che,
per quanto riguarda l’italiano, ci sono comunque luoghi comuni diffusi in tutto il mondo su ciò che è facile o difficile, o
idee preconcette; in slide 60-61 vediamo alcuni risultati di un’indagine condotta anni fa in cui si chiedeva agli App di
valutare le proprie difficoltà e gli errori più comuni. Campione di 657 individui, idee degli App sulla propria
performance in italiano sono state poi incrociate con i loro test di entrata per capire quanto la loro idea corrispondesse
alla realtà: per la maggior parte degli App l’idea delle loro conoscenze dell’italiano era influenzata dalle presentazioni
che avevano avuto di questa lingua, da come erano organizzati i contenuti nei manuali, da come era stato condotto il
programma di studio e la tradizione dell’insegnamento ricveuto nel Paese di provenienza. Generalmente, spesso a torto,
l’italiano era considerato una lingua facile, perché si suol dire che l’italiano si “parla come si scrive” (ma non è sempre
vero!!). Le motivazioni che spingevano gli App allo studio dell’italiano erano la piacevolezza, la pertinenza rispetto ai
bisogni, la sicurezza psico-sociale che poteva essere indotta dal percorso di apprendimento. Per gli studenti gli aspetti
più importanti della grammatica erano quelli di somiglianza con la propria lingua (spagnoli e inglesi); al contrario per
tedeschi (abituati a un approccio contrastivo nella didattica delle lingue) e giapponesi; molto importante anche la
presentazione di aspetti che spesso vengono sbagliati dagli App. Molto attenti agli aspetti contrastivi della lignua per
tradizione scolastica sono gli spagnoli, i tedeschi, i giapponesi, al contrario di americani e greci. Da questa indagine è
risultato un nocciolo duro di errori che tutti fanno (esempio: consonanti, uso articoli, preposizioni, perfetto VS
imperfetto, problematici anche per gli italofoni). Altri aspetti sono più dipendenti dalla tradizione di insegnamento
dell’italiano nella presentazione di aspetti morfosintattici tipici dell’italiano standard.

Se gli errori possono variare in base alla LM, percorsi di stdio dell’App, empatia nei confronti di una lingua, a noi
interessa soprattutto analizzare nello specifico la trattazione degli aspetti grammaticali da parte dell’Ins.
È necessario considerare due livelli nei confronti degli aspetti morfosinatttici e degli errori: la conoscenza degli
elementi discreti (es. la coniugazione di un verbo, l’uso dell’articolo) e quello della consapevolezza del loro posto e
peso nel sistema (quando ho uan lingua che può usare più varianti per esprimere lo stesso concetto, posso come studente
avere difficoltà nella scelta se non mi vengono forniti gli strumenti idonei: esco di casa o esco da casa? Deve essere
l’Ins a spiegarmi perché in questo caso l’italiano è ridondante. Ci sono però anche esempi più complessi, es. scelte
basate su aspetti sociolinguistici, pragmatici, culturali). Bisogna quindi porre attenzione all’idea di grammatica che si ha
(o meglio, di grammatiche) e a come insegnare gli aspetti della grammatica.
Posizione di Benucci: predilige un apprendimento di tipo attivo da parte dell’App, invitato a riflettere in senso
metacognitivi e a focalizzare la propria attenzione sul processo, anziché sul prodotto, ossia su come arriva a raggiungere
certi risultati e non sul risultato stesso. Proporre quindi ambienti formativi facendo leva su alcuni aspetti della
personalità: enfasi sulla costruzione della conoscenza, motivare l’App e farlo interagire, proporre il più possibile
compiti autentici che possano condurre a un apprendimento di tipo esperienziale, far sì che l?App riceva una didattica il
più aderente possibile alle proprie attitudini personali.
Teniamo conto anche di due differenze nei confronti dell’insegnamento: una cosa è l’insegnamento della grammatica,
un’altra è la riflessione sulla lingua. Nell’insegnamento della grammatica lo studente non prende l’iniziativa, fa gli
esercizi, che spesso vertono su singoli frasi avulse da testi (che invece rappresentano unità comunicative) e spesso si
tratta anche di esercizi prodotti ad hoc per presentare quell’argomento. In un testo autentico, invece, posso trovare o non
trovare l’argomento che voglio presentare, quindi questo comporta un tempo maggiore necessario alla scelta del
materiale da presentare in classe. Nel testo autentico potrei anche avere altri elementi che ivncee in quel momento non
voglio presentare. L’Ins decide gli argomenti, i tempi della riflessione (quante volte ripresentare in classe la stessa
forma), quale livello di correttezza richiedere riguardo a determinati elementi. La lingua è concepita come regole di
fonologia, morfosintassi, ortografia, aspetti testuali. L’idea della lingua è quella di una lista di regole e, inq uesto tipo di
insegnamento, più tradizionale, si fa ricorso anche alla terminologia grammaticale, non soltanto nelle spiegazioni, am
anche nelle istruzioni per svolgere le attività (“completa con gli agg. qualificativi”, ma il mio App potrebbe non sapere
cos’è un agg. qual: si crea un’ulteriore difficoltà all’App!).
La riflessione sulla lingua in classe invece implica l’attivazione presso l’App di aspettative, far sì che possa, attraverso
le tecniche didattiche, processare e elaborare input, verificare le ipotesi che esso si era fatto circa il funzionamento di
una determinata regola. Questo si ottiene spesso anche con la richiesta di completamento di griglie grammaticali; l’Ins è
il regista che guida la riflessione. La lingua non è concepita solo come forma, ma anche come insieme di grammatiche,
non solo aspetti morfosintattici, lessicali… ma anche prgamatici, culturali, comunicativi Si ricorre alla etrminologia
solo quando è indispensabile. Da parte dell’Ins, per una conduzione dell’insegnamento degli aspetti morfosintattici più
corretta possibile occorrono competenze specifiche:

3.3 Capacità di impostare materiali didattici adeguati e coerenti per le diversificate situazioni di apprendimento
e di comunicazione interlinguistica in contesti di contatto linguistico e di mediazione

Ci occupiamo adesso delle tecniche didattiche , gli strumenti fondamentali per realizzare la didattica. Una tecnica
didattica può essere valida a seconda del contesto di utilizzo, quindi anche tecniche più tradizionali (es. esercizi di
traduzione) possono essere utile purché inseriti in maniera ludica o presentati in funzione di altre attività. A partire dai
livelli più alti (es. B2) si possono utilizzare tecniche più complesse, che implicano la traduzione, la transcodificazione e
che soprattutto portano alla riflessione contrastiva e possono vertere su elementi sociolignuistici (quindi di maggiore
difficoltà).
Cosa sono le tecniche didattiche?
Le tecniche didattiche sono procedure operative che traducono le indicazioni del metodo in atti didattici. Ogni tecnica
dovrebbe coinvolgere alcuni procesi cognitivi, linguistici, implicare un certo modo di gestione della classe (concessione
di autonomia minore o maggiore, condurre la riflessione su aspetti culturali o pragmatici…).
Esse possono essere classificate con varie tassonomie; la più generale è quella che le suddivide in tre amcrocategorie:
- Tecniche di tipo comportamentistico; tecniche che stimolano poca riflessione, ma sviluppano certe abilità;
- Tecniche simulative, che simulano la comunicazione reale;
- Tecniche manipolative, che servono a manipolare il testo input e quindi servono maggiromente a puntualizzare
la riflessione e l’analisi critica di ciò che si sta facendo.
Un’altra precisaazione da fare è che spesso, a torto si parla solo di esercizi quando si allude alle pratiche didattiche
contenute in un corso o in un manuale. Dovremmo invece essere più precisi, in quanto le tecniche didattiche
comprendono due macro-tipologie: attività e esercizi. Sono attività tutte le tecniche che implicano l’uso della lingua
per uno scopo comunicativo, motivano e coinvolgono entrambi gli emisferi. Gli esercizi invece sono più finalizzati
all’addestramento verso una determinata regola, sulla sua fissazione, creazione di abitudini mentali; possono essere
usati come manipolazione del testo ma sono generalmente poco motivanti e coinvolgono il solo emisfero sinistro. Non
sono quindi finalizzati a un vero e proprio scopo comunicativo. Entrambe le tipologie sono comunque utili e possono
essere usate nello stesso amnuale, senza che si mettano in contrapposizione le abilità che essi stimolano. Gli esercizi
sono più meccanici e servono per la fase di memorizzazione; le attività sono più divertenti e servono maggiormente
all’apprendimento. Apprendere non significa memorizzare: posso imparare a memoria il paradigma dei verbi in
spagnolo e dimenticarle subito, mentre invece l’apprendimento della comunicazione, se motivato strumentalemente, si
perde con maggior difficoltà.
Le tecniche didattiche possono anche essere sotto-categorizzate per scopi: analisi, sintesi, riflessione, controllo,
rinforzo, recupero, comprensione… a seconda delle finalità possiamo scegliere questa o quella tecnica.
Le tecniche volte all’individuazione di certi elementi sono derivate dall’impiego di un input testuale, in cui si chiede
all’App di intervenire (sottolineatura di alcuni aspetti o parole, ricopiarle…); altre tecniche favoriscono la formulazione
di ipotesi (impiego di griglie, schemi vuoti, discussione in classe); le tecniche più adatte alla fissazione possono essere
di natura comportamentistica (es. manipolazione, giochi); con i livelli più avanzati possiamo avere anche la creazione di
veri testi, legato comunque alle tecniche di reimpiego). Per reimpiego si intende l’utilizzo creativo degli elementi della
lingua, con esercuizi in cui si applicano le regole, ma con funzione comunicativa. Ci sono poi anche tecniche che
stimolano una riflessione esplicita, che può essere guidata o no dal docente.
Abbiamo anche una suddivisione delle tecniche in intralinguistiche e interlinguistiche; le prime sono le tecniche che
implicano il alvoro su una sola lingua (L2 o L2), producono certe abilità come saper dialogare, saper riassumere,
prendere appunti, parafrasare, scrivere sotto dettatura, parlare a partire da una traccia scritta…queste tecniche implicano
una concentrazione sioprattutto sulal lingua target; le seconde coinvolgono almeno la lingua target e la L1, o anche altre
lingue, come nel caso dell’InC. Le tecniche interlinguistiche implicano attività di traduzione e interpretariato, possono
servire per condurre un’analisi comparativa e migliorare la capacità di lettura di tipo intensivo. Entrambe le tecniche
sono da alternare, ma le intralinguistiche sono più adatte ai primi livelli, le interlinguistiche dal B2 in poi.
Al di là di queste etichette, vediamo alcuni esempi di tecniche.

Esempi di tecniche
Role-play
Tecnica molto utilizzata oggi in classe, serve per imparare a dialogare. Role-play significa “assumere un ruolo” e può
essere di vari tipi; può essere condotto in maniera più o meno dettagliata e/o autonoma da parte dell’App. Abbiamo la
drammatizzazione, il role.taking, il role-making, il dialogo aperto, role-play vero e proprio, role-play letterario o storico.
In questa tecnica chi dialoga deve saper comprendere il contesto sociale in cui gli si richiede di agire, saper produrre
testi congruenti a questo contesto e applicare regole anche pragmatiche, socio-linguistiche e socio-culturali. Si tratta di
una recitazione ed è molto utile in classe, ma ci sono aspetti problematici: il role-play rompe il flusso rassicurante
“insegnante – allievo”, perché implica che gruppi o coppie di allievi drammatizzino; generalmente se si fa effettuare
role-play a gruppi in una classe molto numeroso questo comporta una certa confusione e quindi disturbo; non sono
attività facili da impostare, né economiche in termini di tempo. Spesso le negoziazioni all’interno del gruppo vengono
svolte in L1 (a meno di diverse indicazioni da parte dell’Ins). C’è sempre un gruppo più lento che deve essere
sollecitato; l’Ins non può intervenire contemporaneamente sul lavoro dei vari gruppi e richiedono quindi un certo tempo
e una certa maturità da parte degli App (attenzione: spesso gli adulti non accettano questo tipo di tecnica).
- Drammatizzazione: livello più semplice e imitativo  ripetere un dialogo con la finalità di fissare alcuni
elementi (fonologici, grammaticali, lessicali…). Questa attività è poco creativa, ma è necessaria per permettere
all’App si sensibilizzi nei confronti della produzione e dell’ascolto, non è una sfida eccessiva e rispetta la fase
del silenzio che sia ha nelle prime fasi dell’App. Si ha quindi un copione già scritto.
- Role-taking: l’App assume ruoli già previsti nel dialogo fornito dall’Ins, ma viene invitato a introdurre alcune
modifiche; es. Ins può chiedere di svolgere questa attaività nell’ambito della richiesta di informazioni; il
modello può riguardare es. il contesto della stazione ferroviaria e di volta in volta Ins può invitare a cambiare
alcuni dettagli (orari, destinazioni…) a seconda del materiale forntio (es. orari ferroviari). L’attività implica
quindi la lettura di alcuni testi ed è più motivante.
- Role-making: si presenta come un dialogo iniziale, gli App però hanno maggiore libertà e possono reimpiegare
in modo più creativo elementi culturali, pragmatici e morfo-sintattici e usare la L2 in base al proprio livello. È
una via di mezzo tra guidato e autonomia.
- Role-play vero e proprio: recitazione a canovaccio. L’Ins fornisce una lista di istruzioni (routine comunicative),
attribuisce i ruoli ai vari App e le caratteristiche dei personaggi; l’App si deve calare nel ruolo e capire queste
istruzioni, che spesso sono in L1. Nel role-play l’App sulla base della situazione data e degli atti comunicativi
che è invitato a riprodurre, può usare liberamente il dialogo (se l’istruzione è chiedere con cortesia, l’App potrà
chiedere un caffè o rifiutare una proposta in modo gentile).
- Dialogo aperto: si forniscono le battute di un solo personaggio, si possono utilizzare AV in cui sono state tolte
alcune parti; in questo caso uno dei due App è libero di realizzare la rpopria perfromance, am quello che deve
dire deve essere ina ccordo con le partin del dialogo proposte. Questa tipologia è adatta ad adulti, a persone che
sono abituate a riflettere sulle implicazioni del detto/non detto;
- Role-play lettarario o storico: si svolge come role.play vero e proprio ma i personaggi da interpretare sono
realmente esistiti; questo implica che prima della lezione l’App debba fare un lavoro di ricerca su questo
personaggio al fine di poterlo intepretare. È un modo per fare “cultura alta” e esercizio in lingua. Questo tipo di
role-play è molto gradito perché permette di acquisire nozioni culturali e reimpiegarli in modo giocoso senza il
carico emotivo da interrogazione (l’Ins ha comunque le informazioni che gli servono per la valutazione).
Tecniche per la motivazione e l’approccio globale all’input testuale
Servono per far avvicinare l’App ai contenuti di un determianto testo e per creare un clima di motivazione.
- Tecniche di elicitazione, con le quali si richiede all’app di estrarre alcune info dal testo input  cerchiatura,
sottolineatura
- Esplorazione di parole chiave: viene fatta svolgere prima della presentazione del testo input, se ci sono parole
difficili o sulle quali l’App deve riflettere; generalmente le parole chiave vengono presentate quando il testo
input è un AV
- Guida alla comprensione: tecniche che danno compiti ben precisi all’App per condurlo per mano nella
fruizione del testo input; spesso viene fatto svolgere durante la lettura/ascolto del testo input (domande a scelta
multipla, griglia… le griglie sono ottimi strumenti ma non sempre tutti i testi input ne permettono la
creazione);
- Richiesta di transcodificazione: passaggio da un codice all’altro (es. dal codice verbale a quello iconico 
disegnare ciò che si sente; oppure tecniche più complesse come trasposizione di un testo orale a scritto)
- Drammatizzazione: forma di role-play molto guidata e costruita

Tecniche per lo sviluppo delle abilità di comprensione


- Accoppiamento lingua-immagine, per livelli più bassi
- Ascolto plurilingue, per livelli C1-C2
- Ascolto selettivo, richiesta di ascoltare facendo attenzione solo a determinati elementi indicati dal docente
- Canzone, spesso utilizzata anche per produzione, per far apprendere una certa pronuncia
- Cloze
- Questionari, tecnica più usata; sono di varie tipologie: V/F, scelta multipla. Il questionario viene usato molto
spesso anche nel testing (ma in questo caso ha un altro scopo). Il questionario implica che si parta da un testo
(AV o scritto), letto dall’Ins o dall’App, che venga mentalmente riassunto e di cui si riescano a individuare i
nodi contenutistici e saper ricavare le info richieste. Sono una tecnica abbastanza poco motivante e naturale
(nella vita reale è difficile che ci venga richiesto questo tipo di attività). Spesso la risposta può essere
indovinata partendo dalla domanda stessa (es. quante volte è uscito di casa Francesco? Se si richiede la risposta
in L2, se l’App è abbastanza abituato riutilizza parte della stringa della domanda, ma spesso le domande,
soprattutto quando il testo di partenza è semplice, sono anch’esse molto semplici),. Questa tecnica serve per
verificare la comprensione, ma la risposta comporta una produzione da parte dell’App: le risposte sono errate
perché l’App non ha compreso il testo, o perché non è capace di gestire il codice L2 in produzione? I
questionari referenziali sono più facilmente riconoscibili (anche se App non ha compreso il testo alla
perfezione) o inferenziali, che presuppongono una certa rielaborazione da parte dell’App. Il questionario vero e
proprio viene spesso sostituito dal questionario a scelta multipla, che però non è sempre costruibile da parte
dell’Ins: servono almeno 3 scelte (se sono 2 diventa un V/F,. con il 50% di probabilità che l’App indovini la
risposta!). Un punto molto importante è quello della scelta dei distrattori: in molti casi, su 3 item proposti, uno
è evidentemente errato e uno corretto, quindi bisogna costruire gli item in forma più possibile
morfosintatticamente omogenea fra loro, in modo tale che l’App debba riflettere per procedere alla scelta
giusta. Una variante migliore del questionario SM o V/F è quella della griglia. Se io faccio effettuare un
questionario a partire da un testo orale, invito il mio App a lavorare sulla base della propria memoria e sulla
capacità di memorizzare, che il parlato ha caratteristiche diverse dallo scritto, che il testo orale va
adeguatamente contestualizzato. I questionari, poi, non servono generalmente a verificare la comprensione
delle regole morfo-sintattiche (a questo scopo sono meglio le cloze, le tecniche d’incastro, il dettato ma anche
role-making).
- Griglia: non sempre è facile da ricavare da un testo input.
- Transcodificazione
- Trascrizione

Tecniche per l’analisi, la sintesi e la riflessione sugli elementi morfo-sintattici


Negli approcci comunicativi ha molta importanza la riflessione esplicita dell’App sulle regole della lingua. Almeno a
partire dal B2, ma anche a partire dal B1, si possono stimolare riflessioni contrastive a livello sociolinguistico, sulla
differnza da codice (scritto VS orale), o sull’impiego di una data regola, con varie tecniche, che vanno dalla scoperta
della regola stessa alla verifica dei suoi limiti di applicabilità su vari tipi di testi, all’interiorizzazione della regola con
attività ed esercizi specifici e l’impiego comunicativo delle regole.
• Cloze
• Incastro
• Dettato
• Role-taking, role-making, role-play
Vediamo alcuni esempi più specifici:

Gli esercizi strutturali sono più meccanici e sono utilizzati nella memorizzazione, ma la manipolazione è più motivante.
Possono esserci anche esercizi in forma di gioco (es. filetto; dividere la classe in due gruppi e proporre una sfida es.
sulla coniugazione dei verbi, le due squadre si sfidano a coniugare bene i verbi); abbiamo anche mappe concettuali (o
spidergram), che possono essere costruiti sia su aspetti culturali che linguistici (preposizioni, verbi, congiunzioni…).
Sono più adatte al controllo, al rinforzo e al recupero le tecniche di transcodificazione, i cloze, la richiesta di produzioni
(monologhi o composizioni), i riassunti.

Qualsiasi sia la tecnica utilizzata, dobbiamo sempre utilizzare consegne chiare e semplici, dare sempre aiuto all’App
nella comprensione del compito da svolgere. Per le tecniche di analisi e riflessione abbiamo anche redazione di testi di
supporto es. per l’introduzione di un determinato argomento, o, nel caso di livelli più avanzati, far riflettere l’App su
come si costruisce un testo scolastico (v. tabella in slide 23, esempio di come si può costruire un testo molto
comprensibile).

Tecniche su atti comunicativi e aspetti pragmatici

Si richiede all’App, ad esempio, di colorare dei quadratini, non facendogli quindi produyrre alcun testo in L2. A questa
tecnica di tipo pragmatico può seguire una richiesta di produzione di frasi, es. per chiedere informazioni.
Normalmente le tecniche didattiche che vertono sulla riflessione morfo-sintattica sono spesso più comportamentistiche
e sarebbe bene che, via via che sui avanza con l’apprendimento, fossero sostituite da tecniche più creative e applicative,
che comportino un reimpiego più libero e meno meccanico delle strutture in oggetto.
Esempio di riflessione esplicita (per adulti e livelli avanzati):

Altre tecniche divertenti possono prevedere l’utilizzo di materiale iconico; possiamo applicarle a vari aspetti della
lingua e della cultura. Esempio: ho una stanza vuota e una arredata, un App descrive dove si trovano gli oggetti della
stanza arredata e l’altro li disegna sulla sua immagin di stanza vuota.
Si possono inoltre usare tecniche di incastro, composizione di frasi spezzate, riordino, esplicitazione di alcuni elementi
(colorandoli o unendoli con tratto di penna  attività poco motivante di per sé, ma può essere posta come gioco; si
possono usare scelte multiple grammaticali, si pone quindi un questionario a scelta multipla le cui scelte equivalgono a
elementi grammaticali; individuazione di certi elementi a partire da un testo input…
Per quanto riguarda la riflessione grammaticale, si può lavorare su tutti gli aspetti: morfologia, sintassi (in questo caso
sono molto utili i diagrammi a ragno), varietà della lingua (riconoscimento dalla varietà non standard a quella standard);
in slide 30 vediamo un esempio di analisi da parte dell’App sull’uso degli articoli:

Questo esercizio permette all’App di riflettere sull’uso degli articoli.


Altro esercizio interessante a slide 31: trascrizione di una sequenza tratta da “Il piccolo diavolo”, su pronomi e
aggettivi., che consiste nel trovare la corrispondenza tra pronomi e sostantivi ai quali si riferiscono
Per quanto riguarda la fonetica si può riflettere sulle coppie minime, ma non sono attività molto motivanti, considerato
inoltre che ormai oggi in italiano non abbiamo più una norma molto rigida (es. uso vocale aperta VS chiusa, pésca VS
pèsca) a questo riguardo. Su fonetica e intonazione, possiamo far osservare gli organi della fonazione e invitare l’App a
produrre determinati suoni ponendo la mano sulla bocca in modo da riconoscere quali parti dell’apparato fonatorio sono
messi in gioco dalla produzone di un certo suono.
Altro tipo di riflessione grammaticale è quella tipica dell’InCE, ponendo due o tre lingue a confronto e ricavandone le
corrispondenze; tecniche di incastro, abbinamento, riordino (es. ricostruire un testo scomposto a partire da indici come
connettivi, è una prova pragmatica molto importante!, v. esempio sotto)

Questo tipo di attività si può fare con App con adeguate conoscenze metalinguistiche (almeno B2, terminologia tecnica
specifica).

Riflessione sulle varietà del repertorio,es. spezzone da Jonny Stecchino (studenti di livello C2);: si invita a riconoscere
le varietà utilizzate nel film, prima bisogna presentare degli esempi a cui gli studenti possano fare riferimento. Una
volta fornita la trascrizione del testo, si può invitare l’App a riscrivere il testo in italiano standard.

Tecniche per lo sviluppo delle abilità di produzione


• Canzone (sarebbe meglio farlo in laboratorio linguistico; serve anche per la pronuncia)
• Costellazione
• Monologo libero o su traccia (monologo libero  difficile gestione del tempo o degli elementi che si vuole far
sviscerare all’App)
• Trasformazione di modalità e di genere: ricetta di cucina, descrizione, mail…

Tipi di esercizi di manipolazione - di scrittura che possono riguardare un testo letto:


a) riscritture locali e superficiali (riscrivere un testo difficile in uno facile, riscrivere usando sinonimi delle parole piene,
riscrivere dalla terza persona alla prima);
b) riscritture con diversa disposizione del materiale tematico (si numerano i paragrafi di un testo e poi si dispongono in
altro modo);
c) riscritture che modificano i contenuti del testo (sostituire alcune parti prendendole da altri testi o inventandole);
d) riscritture cambiano il genere del testo (trasformare una ricetta in un racconto, un racconto in un testo da recitare,
coinvolgendo più canali).

Nell’esempio del volantino (slide 41): si parte da un testo autentico di contestazione giovanile; testo semplice, ma il
lavoro che si richiede è complesso (almeno livello B2), dopo attenta lettura si chiede di decidere un tema su cui
contestare, la classe è divisa in gruppi, ognuno dei quali stila una lista dei problemi, da mettere in ordine di priorità e
redigere un testo di protesta con determinate istruzioni ben precise, curandone anche la grafica.

Riassumere
Il riassunto è una tecnica molto usata anche a scuola, spesso anche senza cognizione di causa. I riassunti servono per
potenziare le proprie capacità di scrittura e non devono essere confusi con i commenti. I testi più facili da riassumere
sono quelli brevi e narrativi (es. fiabe); i più difficili sono quelli argomentativi.

Si può usare il fumetto: es. trasposizione di un testo in fumetto e viceversa, attività molto creativa. Saper riasumere è
una operazione compelssa, che prevede una contrazione del testo; si può chiedere di dare un testo definitivo a partire da
uno più ampio indicando una percentuale di riduzione; si può riscrivere un articolo di giornale es. da cronaca locale a
testata nazionale, con l’obbligo quindi di sintetizzare il testo input.
Per lavorare su questa contrazione del testo bisogna che l’App sia addestrato a riconoscere i tipi di testo e che l’Ins
sappia quale testo si presta a quali attività (v. slide 44).

Tecniche didattiche per l’insegnamento della scrittura


1. Esplicitazione dei pronomi e dei connettivi: è una tecnica fondamentale per il rafforzamento della competenza
testuale. Di solito si chiede allo studente di evidenziare e di collegare con frecce ogni pronome (in italiano anche i
problematici “ci” e “ne”) con il proprio referente, evidenziando così anafore e catafore.
2. Scelta multipla: come tecnica può essere usata anche per verificare conoscenze morfosintattiche o lessicali o la
comprensione. Il formato di scelta multipla più utile per la competenza testuale è quello che presenta frasi o testi in cui
alcune parole (connettori, pronomi, rimandi anaforici e cataforici, forme verbali) possono essere sostituite da quattro
possibilità in alternativa. L’allievo deve indicare la possibilità corretta;
3. esclusione: dato un insieme di elementi linguistici gli studenti devono individuare gli elementi che rendono
disomogeneo un insieme. A livello di competenza testuale si può pensare anche a una serie di testi (lettere, annunci, testi
letterari) tra i quali compare un estraneo: testo di un altro genere o di un destinatario diverso;
• 4. incastro di paragrafi: si chiede agli studenti di riordinare e mettere in successione un testo scritto i cui paragrafi sono
disposti in ordine casuale.
• 5. cloze: procedura che consiste nell’inserire le parole mancanti in un testo. La versione classica lascia le prime righe
complete per consentire una prima contestualizzazione, poi elimina ogni sette parole. L’allievo deve inserire una parola
appropriata anche se non coincide con il testo originale. Se il testo risulta troppo difficile si può optare per il “cloze
facilitato” che presenta in calce le parole da inserire o che contiene negli spazi vuoti un disegno che illustra la parola
cancellata.
6. riempimento: è simile al cloze, ma le parole sono eliminate in base ad un preciso scopo didattico. Per quanto riguarda
la competenza testuale si può richiedere il completamento con elementi di coesione testuale (pronomi, connettori e così
via);
6. completamento (cloze più ampio e libero): tecnica in cui vengono eliminati in un testo spezzoni piuttosto estesi,
mettendo in gioco l’intera competenza testuale dell’allievo, che dovrà basarsi sulla coerenza globale e dovrà tener conto
dei meccanismi di coesione presenti nella parte di testo data per completarlo in maniera accettabile.
Per quanto riguarda i testi per insegnare a scrivere, le narrazioni sono molto importanti per via della partecipazione
emotiva che comportano (spesso l’App parla di sé), o il racconto di un evento, o ancora testi istruittivi. Ciascuno di
questi testi ha proprietà specifiche e permettono all’App di esercitarsi su aspetti diversi.

Saper riassumere è importante, ed è un’attività che dovrebbe essere posseduta dall’App a prescindere dalla L2; altra
tecnica molto utilizzata è quella di prendere appunti  implica saper anticipare il possibile contenuto del testo,
selezionare le informazioni rilevanti, gestire e raggruppare le informazioni, riorganizzarle; ha un ruolo importante
perché coinvolge tutte e due le parti del cervello, dal punto di vista linguistico la struttura semantica domina quella
morfosintattica che viene tralasciata, fa uso comunicativo della lingua ed è quindi pragmatica- Conviene farlo su
istruzioni di un gioco per motivare, o per costruire qualcosa che piace (cfr. la barchetta).
Predere appunti coinvolge entrambi gli emisferi del nostro cervello e presuppone una capacità di conoscere l’ortografia,
le forme tachigrafiche, la punteggiatura. Saper prendere appunti è molto importante e può essere fatto anche sotto
formas di gioco (sforzo cognitivo senza accorgersene), si può fare dando istruzioni come ad esempio quelle necessarie a
costruire una barchetta di carta.

Saper scrivere sotto dettatura è importnate ma spesso non si fa nella maniera corretta, bisogna conoscere quali sono le
capacità che entrano in gioco. Se il materiale è noto, la dettatura serve per una verifica, se il materiale è nuovo
coinvolge i meccanismidella comprensione e attiva l’expectancy dell’App, che dev0essere capace di anticipare ciò che
potrebbe essere dettato.
Ci sono anche varianti del dettato (slide 52).

Dettato
• Discriminazione auditiva
• Comprensione orale di elementi lessicali e grammaticali
• Velocità di scrittura
• Capacità di rileggersi
• Capacità di correggere i propri errori
• Capacità di scrivere secondo l’ortografia italiana
Implica:
• Elaborazione di sequenze di materiale nella lingua con restrizioni temporali
• Compito di suddividere la catena parlata e trascrivere ciò che si è udito (richiede comprensione del significato del
materiale)
• Coinvolgimento simultaneo di più operazioni mentali e procedimenti
Difficoltà di distinzione di errori:
• accertare se si tratta di errore sistematico o occasionale
• Tempi lunghi per la correzione (in caso di correzione individuale)
• Attività problematica se gli App hanno problemi di udito

Traduzione e interpretariato
Tecnica consigliata per livelli medio.alto di apprendimento, serve a comparare due lingue. Quando si traduce/interpreta
si deve fare una lettura intensiva, comprendere in profondità, quindi la traduzione è un’ottima tecnica per la valutazione
da parte dell’Ins della comprensione, ma anche per manipolare la lingua da parte dell’App e per la produzione.

Cloze
Molto usato nella didattica: è un testo che permette di verificare ma al tempo stesso di far progredire la competenza
dell’App; è una sfida, quindi attenua il filtro affettivo ed è perciò adatta anche agli adulti. Ci sono varie tipologie di
cloze:
- Cloze classico, comporta l’eliminazione a caso, quindi meccanica, di una parola su 7 (quetso perché si +è
studiato che è il minimo necessario per consentire la ricostruzione del testo);
- Cloze semplificato; se abbiamo una classe omogenea dal PdV della L1 si può chiedere di riempire gli spazi in
L1. Quando si svolge un cloze spesso si può inserire nello spazio una soluzione non prevista dal testo, sta
all’Ins accettare tutto ciò che è coerente anche se non presente nel testo di partenza.
I cloze possono essere amnche mirati:
- semantici, in cui si cancellano solo parole di senso pieno
- sintattici, in cui si cancellano es. congiunzioni
- grafo-fonico; in cui si nascondono solo alcune lettere; può essere condotto anche oralmente
- audio-orali (sottocategoria delò dettato)
- pittografici, per allievi più piccoli o dei livelli base, si ivnitano a riempire gli spazi con delle immagini, o i
cloze contengono già immagini e l’App deve trovare la parola a cui corrisponde l’immagine.
Il cloze può essere sia scritto che orale, quando è orale è un po’ più difficoltoso (generalmente infatti è scritto).

Le tecniche didattiche servono a sviluppare abilità, a potenziarle e soprattutto sarebbe bene almeno per i livelli medio-
alti poter potenziare le abilità integrate; il ettato è un ottimo strumento a questo scopo; in slide 58 troviamo un elenco di
altre competenze che l’App può sviluppare con le tecniche didattiche.
Le attività e le tecniche che vertono su abilità interlinguistiche sono più adatte ai livelli avanzati e sono generalmente
sfide ben accette oltre che interessanti, possono anche riguardare la parafrasi, il riassunto, coinvolgendo due lingue o
meglio ancora più di una lingua.

Concludendo sulle tecniche didattiche, la stessa tecnica didattica può avere più scopi e può essere utilizzata in diversi
momenti dell’unità didattica (o meglio, unità di apprendimento). Le tecniche come i questionari sono più adatti alla
prima fase (motivazione); le tecniche di analisi, riscrittura, riassunto, manipolazione, sono più adatte per la fase
centrale, ossia per la fase di analisi, sintesi e riflessione; le tecniche che vertono sulla riscrittura più libera sono più
adatte alla fase finale, che riguarda la rielaborazione dopo conferma delle ipotesi che l’App si è formato sugli aspetti
trattati nell’unità di apprendimento.
Fase 4 - Acquisizione di competenze per la valutazione di procedure didattiche
4.1 Acquisizione di spirito critico nei confronti di procedure didattiche e di scelte teorico-pratiche finalizzate
all’insegnamento delle lingue moderne e in particolare dell’italiano a stranieri
Excursus storico
Questa sezione si riferisce all’articolo di Benucci in Il mondo dell’italiano, l’italiano nel mondo. Ci concentriamo ora su
indicazioni e descrizione di come si è evoluto l’IL2/ILS. Quanto abbiamo detto finora vale per qualsiasi lingua, ma ora
vediamo quale è stato lo sviluppo dell’UNISTRASI.
UNISTRASI e UNISTRAPE sono state le prime strutture in Italia dedite all’insegnamento dell’italiano a stranieri;
inizialmente UNISTRASI aveva la denominazione di scuola di lingua italiana; si caratterizza subito per una visione
moderna dell’insegnamento, inizialmente rivolto a specifici gruppi linguistici e generalmente per corsi estivi. Questi
corsi riflettevano l’approccio dell’epoca: corsi di grammatica, conversazione, composizione, traduzione, storia della
letteratura..e perfino letture della Divina Commedia. Dopo la IIGM il pubblico di questi corsi si allarga e da un primo
pubblico soprattutto francese, inglese, tedesco, ungherese si aggiungono anche studenti americani e sauditi. I corsi
accentuano il loro carattere linguistico e iniziano a prendere sempre meno in considerazione gli aspetti culturali (es.
storia dell’arte e della letteratura).. Tuttavia il vero rinnovamento avviene dalla metà degli anni ’70: vengono organizzati
corsi di lingua e cultura, si ospitano convegni e conferenze, e si iniziano a organizzare corsi di perfezionamento per
l’insegnamento (es. Malta) e a seminari rivolti sia a lavoratori che a docenti. Negli anni ’70 in Italia la glottodiadattica
era una disciplina ancora inesistente, e mancava quindi una riflessione epistemologica che potesse influenzare
l’insegnamento. La didattica dell’italiano era erogata da poche relatà (es. Dante Alighieri), ma l’italiano all’estero si
stava espandendo. Dal pdv metodologico i corsi erogati in quegli anni erano ancora improntati all’idea, in voga fin dal
‘700, che l’italiano fosse uan lingua adatta agli studi umanistici, grazie allo sviluppo letterario del ‘400 e all’influsso
dello Stato della Chiesa. A partire dagli anni ’80, anche a causa del crescente numero di stranieri che sostenevano esami
di ammissione alle università italiane, sui sviluppano i grandi progetti glottodidattici che vedono UNISTRASI in
posizione predominante rispetto al panorama italiano, assieme a UNISTRAPE (da cui comunque si differenziava).
UNISTRASI ha potenziato la costruzione di materiali per organizzare i corsi: sillabi, programmi, attività di testing.
Negli anni ’80 a livello europeo ci sono elaborazioni teoriche molto importanti che darano in seguito luogo ai livelli
soglia di cui abbiamo già parlato. Prosegue per UNISTRASI un’intensa attività convegnistica: 1981  primo convegno
per professori di ILS, primo di molti altri. UNISTRASI si specializza anche in corsi per lettori di italiano all’estero,
organiozzati dal Ministero; vengono effettuatio seminari sul testing e si inizia a sperimentare l’impiego degli AV e del
cinema grazie al’istituzione del Centro Audiovisivi, in grado di fornire un importante supporto agli insegnanti del centro
CLUSS (unico presente all’epoca).
Negli anni ’90 prosegue la formazione di docenti di ILS e di studenti stranieri; vengono organizzati i primi corsi di
traduzione (italiano  francese,  tedesco, spagnolo, inglese). Vengono organizzati anche corsi di sociolinguistica e
l’offerta didattica si differenzia per livelli (principiante, intermedio, avanzato  non esistevano ancora i livelli soglia!).
Mancava a quell’epoca un’offerta formativa strutturata e gli editori che pubblicavano manuali di italiano per stranieri.
Questa però è anche l’epoca in cui iniziano aessere elaborate le prime indagini motivazionali, grazie all’elaborazione
del concetto di bisogno linguistico; alcune di esse sono state condotte anche da gruppi di ricerca di UNISTRASI e si è
iniziato quindi a conoscere più nel dettaglio il tipo di pubblico a cui era possibile rivolgersi.
Agli inizi degli anni 2000 si differenziano i percorsi di apperendimento e i relativi strumenti in base ai tipi di pubblico;
nel 2004 viene istituito il primo Master di UNISTRASI (uno dei primi italiano) in Didattica di ILS; vengono poi creati
anche altri master in seguito all’istituzione dei centri DITALS e FAST. Ci si concentra per l’offerta formativa e per
l’attività di ricerca sull’insegnamento ad adulti immigrati dei corsi serali, tramite una proficua collaborazione con gli
allora CTP e organizzazioni di volontariato; un filone di ricerca riguardava bambini e adolescenti; si iniziano ad
analizzare gli elementi di insegnamento agli studenti in mobilità grazie al programma ERASMUS; si prosegue
l’insegnamento agli adulti in soggiorno temporaneo (perlopiù turisti). Gli anni 2000 costituiscono una notevole linea di
demarcazione anche nel cambiamento della tipologia di destinatario dei corsi: all’italiano come lingua colta, che era
stato oggetto della formazione proposta da UNISTRASI si aggiungono quindi altre sensibilità verso l’italiano del
lavoro, degli studi, dell’integrazione sociale, del commercio, delle relazioni internazionali.
Negli anni 2000 si esplorano anche le diverse componenti della competenza comunicativa: oltre a una riflessione
tradizionalmente sempre presente nella didattica dell’italiano, ossia quella sulla grammatica (anche per assimilazione
delle tecniche di insegnamento proprie delle lingue classiche), si inizia a diffondere una certa sensibilità verso la
comunicazione e l’introduzione del concetto di cultura nella didattica. A quell’epoca il professor Balboni era direttore
del CLUSS: visto che Balboni è sempre stato molto sensibile verso gli aspetti interculturali, questa impronta è stata
determinante nell’organizzazione delle attività del CLUSS e della ricerca di UNSITARSI. Il cocnetto di cultura in
glottodidattica crea subito dei problemi, che riguardano il posto e la qualità degli elementi culturali da inserire nel
programma. Gli aspetti culturali sono infatti legati al profilo del destinatario (bisogni, formazione…) e inoltre la
presentazione della società italiana contemporanea è problematica, in quanto essa è in continua evoluzione. A
quell’epoca ci si rende conto che l’approccio alla descrizione della cultura italiana del modello anni ’60-’70 (bipolare)
era inadeguato per le esigenze glottodidattiche dell’epoca e si cominciano ad esplorare nuove modalità per la
presentazione di elementi culturali in classe.
L’altro aspetto su cui si modifica l’idea dell’insegnamento è quello legato al carattere monolitico o plurisfaccettato della
lingua e della comunicazione: si introduce sempre di più il concetto di plurilinguismo, associato al concetto di
pluriculturalismo, in Italia non è stato semplicissimo sensibilizzare gli insegnanti all’apertura verso varietà diverse dallo
standard, in quanto la scelta dello standard stesso era legata al concetto di emancipazione sociale e borghese. Si inizia
apensare all’autenticità dei modelli d’analisi proposti nei manuali e nei corsi, nella ricerca di modelli che si adattino ai
destinatari della didattica e accertandosi dell’autenticità stessa, certificando la validità di questi modelli per una
globalità di pubblico o specifici ambiti. Si inizia a lavorare sull’analisi dei materiali didattici, che nel 2000 sono molti di
più rispetto ai primi tempi; si inizia ad analizzarne la costruzione da vari pdv, es. da come sono costruite le ingiunzioni
pedagogiche (ossia le istruzioni fornite dal manuale per lo svolgimento di esercizi e attività), es. si indaga sul loro
livello descrittivo/propositivo o sul livello contenutistico/strumentale. Si continua l’analisi della trattazione degli aspetti
grammaticali e dell’autenticità dei modelli di descrizione della lingua utilizzati dai manuali. Altro ambito di indagine è
quello dell’uso delle immagini: prima statiche, ma in seguito anche cinesiche -_> si è già consapevoli del ruolo rivestito
dalle immagini nell’insegnamento della cultura e della lingua, in quanto possono essere usate come strumento per
svològere attività didattiche.
Fino agli inizi degli anni 2000 erano molto impiegate anche le antologie, ma in seguito queste cominciano a scomparire
dal mercato editoriale. Si indaga anche, nel corso degli anni 2000 su come portare avanti una DILS democratica, data
l’evoluzione del pubblico di App, con la crescita della figura dell’immigrato che richiede scelte glottodidattiche
improtante. Si continua a lavorare su sillabi, programmi, attività di testing. Negli ultimi 6-7 anni si comincia a lavorare
anche su ulteriori strumenti come protfolio (forma specifica di certificazione), utilizzato sia per lo studente con modalità
generiche di apprendimento, ma anche per lo studente con necessità professionali (e in questo UNISTRASI è leader
europeo). Il portfolio è stato elaborato dal gruppo di Benucci in collaborazione con la CILS e inizialmente riguardava le
attività lavorative per detenuti stranieri, ma è stato poi utilizzato con profitto anche nei corsi di formazione
professionalizzante per rifugiati e immigrati.

Manuali
Per quanto riguarda la panoramica più strettamente legata ai manuali, vi sono varie modalità di analizzarli:
- in sincronia: possiamo selezionare un periodo e vedere tutto ciò che è stato prodotto in questo periodo di
riferimento;
- per tipologia (in ottica diacronica): es. tutte le grammatiche, come sono cambiate
- confronto delle riedizioni dello stesso manuale: molti manuali redatti da UNISTRAPE hanno avuto più di una
riedizioni (UNISTRAPE si è mossa prima di Siena);
- analisi di pratiche su uno o più contenuti in un campione di manuali (es. trattazione della grammatiche, quali
immagini sono presenti, analisi delle ingiunzioni pedagogiche, aspetti SL)
Gli aspetti linguistici sono quelli su cui si è più abituati a riflettere (anche perché sono quelli più facilemte osservabili):
suddivisione, grafiche, modalità in cui sono trattati e denominati, sensibilità culturale e SL, livello metalinguistico
adottato, presenza o meno di una riflessione contrastiva…

Il mondo dell’italiano, l’italiano nel mondo


Riassume gli atti prodotti all’interno del Convegno del 2017, tenutosi nel centenario della fondazione di UNISTRASI
(che all’epoca si chiamava scuola). Contiene una prima parte, di tipo storico (si veda articolo di Troncarelli); leggere
con attenzione anche articolo di Benucci, Villarini (su e-learning), Machetti (su CILS, che propone un bilancio
dell’attività della CILS nei suoi 25 anni di lavoro), Diadori (prospettiva storica su certificazione DITALS; che si rivolge
alla formazione degli insegnanti, punto di attenzione tradizionale di UNISTRASI; nel 2005 è stato fisicamente istituito
il centro DITALS, che ha via via affinato la propria offerta formativa dotandosi di Master di I e II livello, pubblicando
vari quaderni con prove di elaborazione e percorsi su cui essere valutati. Una seconda sezione del volume contiene un
articolo di Trifone sull’italiano come lingua di cultura, rivolta all’immagine che dell’italiano si ha all’estero, quindi
riferito più a IL2 che non come ILS. L’articolo di Maraschio parla della cattedra di Toscana favella, che viene datata nel
1588: già da quell’epoca, quindi è cambiata la vocazione dell’insegnamento dell’italiano! Anche il contributo di Coveri,
sull’italiano delle canzoni nel mondo, è interessante, considerato che la canzone è una buona pratica dìinsegnamento, tra
l’altro molto usata ed apprezzata negli USA. Interessante anche l’articolo di Micheli sull’uso del cinema: Micheli si
occupa di didattica dell’italiano attraverso il cinema presso il CLUSS, e propone alcuni aspetti interessanti sulla
ricchezza del cinema di spunti di modelli di lingua e cultura. L’ultima parte del volume riguarda la diffusione
dell’italiano nel mondo contemporaneo. Interessante l’articolo di Yang sull’italiano nelle università cinesi e di
Ricci/Siebetcheu sull’italiano in Africa, di cui si ha ampia richiesta in zone dell’Africa centrale interessate da flussi di
migrazione verso l’Italia. L’articolo di Casini offre invece uan ricognizione degli studi di italianistica in Nordamerica. Il
pubblico e gli isnegnanti di italiano all’estero è molto più “purista”, anche per un motivo di insicurezza personale; fino
agli anni ’90 la maggior parte degli insegnanti all’estero non avevano neanche i titoli per poterlo fare (es. laurea in
campo umanistico).

Esempi di manuali
Slide 32. Volume di Diadori  Italiano a fumetti; il fumetto ha grandi potenzialità didattiche perché presentano forme
di parlato trascritto unito a delle immagini funzionali a spiegare la situazione e le intenzioni del parlante. In questo caso
è stato utilizzato Dylan Dog. Ci si sta quindi specializzando non solo per tipi di pubblico, am anche per tipi di testi input
da utilizzare nei manuali. Nella direzione della specializzazione e dell’apprendimento differenziato escono due volumi,
nel 2006 e nel 2012, indirizzati a pubblici specifici: Marco Polo, di grande rilevanza per la nostra università, e
Turandot, destinato agli studenti cinesi che seguono i corsi del CLUSS. Questi manuali hanno caratteristiche in parte
tradizionali (devono infatti essere adattati alle abitudini di studio degli studenti cinesi), ma hanno comunque anche
un’impronta di tipo comunicativo.
Io e l’Italia, a cura di Benucci e D’Amico, edito nel 2009: questo volume è la punta dell’iceberg di un lavoro complesso
e effettuato con sperimentazioni presso tutti i corsi di ILS a prescindere da livello e tipo di pubblico; D’Amico insegna a
studenti USA con sperimetnazioni sui corsi di lingua e cultura italiana erogati nelle università americane, dove questo
manuale è ancora in uso. Il volume è organizzato in 5 unità, preceduto da un’unità 0 ed è corredato da un glossario e da
un elenco di fonti. Nell’unità 0 si ha una sezione di questionari e attività di elicitazione, che servono a chiarire all’App
quale idea abbia della lingua e cultura italiana e come pensa di utilizzare il manuale (il volume è costruito anche per
l’autoapprendimento). Le 5 unità di contenuti sono state costruite sulla base delle richieste dei programmi americani
dell’epoca: Unità 1  Le origini, Etruschi e Romani, unità 2  1000-1400, unità 3 1400-1600, unità 4 1600-1800,
unità 5  1800-oggi. Il manuale è destinato a App generici, anche se il pubblico per cui era stato inteso inizialmente è
quello degli studenti americani; l’App deve avere almeno un livello B1; il testo introduce alla sensibilità verso la cultura
italiana, non pretende però di fare cultura italiana in senso completo, può essere utilizzato come ampliamento nei corsi
di lingua. La nozione di cultura alla quale si sono ispirate le autrici è quella di cultura in senso etnoantropologico 
sensibilità verso i modi di vedere la vita di un determinato popolo. Quale approccio è usato per questo volume, che
tratta la grammatica in modo innovativo per l’epoca in cui è stato messo a punto? Il manuale non ha l’intenzione di
essere esaustivo nella presentazione della cultura, fornisce elementi che stimolino l’interesse a successivi
approfondimenti individuali; fornire elementi base della storia d’Italia partendo da un’angolazione, es. un testo stimolo
su cui intrecciare altri temi correlati, istituendo un rapporo con il vissuto e la cultura d’appartenenza dell’App, nonché
con il presente, es. con note che rimandano al confronto tra un dato periodo storico con il presente -> approccio non
descrittivo. Questo approccio implica un’azione diretta da parte dell’App nei confronti degli elementi culturali in
un’ottica costruttivista, con procedimento ciclico; il focus è su elementi rappresentativi e stimolanti l’attenzione. Il
manuale vuole sviluppare la capacità di identificare e analizzare aspetti culturali simili o differenti da quelli della C1,
facendo sì che l’App si possa orientare nello spazio culturale dell’italiano, consentendogli di formulare analisi il più
possibile scevre da pregiudizi sul funzioanmento degli aspetti culturali.
Le attività sono strutturate secondo un approccio sia – soprattutto - deduttivo (stimolare la costruzioni di ipotesi) che
induttivo. È sempre presente una parte più tradizionale (nella parte segnalata come “revisione”) in cui si forniscono le
soluzioni delle attività svolte dall’App: questa è la parte più informativa. Abbiamo poi letture di appoggio al testo
principale, generalmente relative a aspetti del presente, curiosità o di crattere ludcio. Le immagini sono funzionali allo
svolgimento delle attività.
In ogni unità c’è un’immagine di avvio della procedura didattica, vengono presentati compiti finalizzati a stimolare
l’interesse e creare ipotesi; ci sono spiegazioni sul lessico non di base (quindi più difficile); sono presenti note che
partono da elementi del testo con collegamenti al presente; revisione; fonti e documenti di varia natura; glossario
tradotto in inglese che riporta il lessico spiegato nelle unità. V. slide sull’unità 1: in questa sezione si chiede di indicare
secondo l’App quale sia il periodo in cui sono vissuti gli Etruschi, poi la revisione, che fornisce la risposta a questa
domanda; lettura a cui bisogna rispondere per iscritto si chi erano gli Etruschi e una cartina da colorare in cui App deve
indicare dove hanno vissuto gli Etruschi. Vi sono molte immagini (v. slide 28) che riguardano oggetti del quotidiano o
simbolici. L’attviità 7 in slide 29 è tratta da un articolo di Memorie di Adriano che parla di Roma da un pdv inconsueto:
si parla dell’organizzazione della città romana, degli aruspici, vie lastricate (grande attenzione anche agli aspetti
materiali); abbiamo anche l’utilizzo del fumetto per avere un impatto visivo con la cultura romana.

Fase 4.2 Concetto di “buona pratica” e caratteristiche più ricorrenti - Indicazioni per la costruzione di un data
base di buone pratiche in italiano a stranieri
Questa fase è dedicata alla definizione di buona pratica. Cosa s’intende per “buona pratica”? Nel nostro ambito, questa
è un’azione o un’attività pedagogica (linea guida, sperimentazione, manuale), che in uno specifico contesto socio-
educativo ha permesso ai suoi esecutori di raggiugnere i risultati previsti dalla pratica stessa con modalità adeguate al
contesto per il quale era stata realizzata (e non solo in quel contesto). Questa pratica, per essere considerata buona, deve
avere un valore riconosciuto dagli App, dagli Ins, dai valutatori esterni; può essere quindi considerata come un modello
da riutilizzare in nuovi contesti.
È utile adottare dei criteri di qualità; questi (v. slide 3) sono ricavate da ampie analisi transnazionali, come quella del
progetto Riuscire sull’InCE: 15 criteri, ormai riconosciuti anche in altri ambiti, che possiamo prendere a modello:
Per organizzare un’indagine sulle BP per IL2 dobbiamo definire il campo dell’indagine stessa, raccogliere una
bibliografia specifica, adottare i criteri di cui sopra ed elaborarne eventualmente di nuovi, stilare griglie di raccolta dei
dati, scegliere la modalità di analisi di questi dati (possibilmente con referaggio), costruire griglie di analisi dei materiali
e costruire un database. Nel nostro ambito il campo di indagine è definito dai sgeuenti punti:
- Manuali didattici di italiano L2
- Ricognizione bibliografica di analisi degli errori di apprendenti di italiano L2 con varie LM
- Strumenti esistenti per produrre/mantenere motivazione
- Analisi materiali didattici/programmi per la didattica CLIL, o e-learning..
- Ricognizione e analisi del materiale didattico esistente per l’insegnamento dell’italiano attraverso audiovisivi
- Analisi di materiali didattici pubblicati o materiali grigi
- Analisi di manuali di grammatica
- Manuali per adulti/bambini/ adolescenti/ immigrati/lavoratori
- Analisi di materiali didattici non pubblicati
- Indagine presso insegnanti di it L2 su: manuali che preferiscono / programmi che adottano/loro valutazioni
- Analisi di corsi on line
- Analisi materiali e programmi su internet /testimonianze e esempi di insegnamento
- Analisi di sillabi/programmi/curricoli
- Analisi di ricerche (recenti) sull’apprendimento/acquisizione dell’It L2
- Programmi di Corsi di aggiornamento/formazione per insegnanti di it L2
- Presso le scuole raccolta di testimonianze da parte di insegnanti su strumenti che impiegano per i loro alunni
non italofoni inseriti nei percorsi scolastici
Si va quindi dagli strumenti per la programmazione (sillabi, curricoli), di cui si può indagare la tipologia, la
ricorrenza, quali tecniche didattiche comportano e dove queste vengono trattate, approcci e metodi didattici,
differenze/discrepanze rispetto alle teorie di riferimento.
Il caso che analizzeremo come esempio di indagine sulle BP è legato a una ricerca condotta presso
UNISTRASI da Benucci e pubblicato in due riviste sull’InCE. Per quanto riguarda questa analisi delle BP in
InC, mancando una univocità di definizione dell’InC era difficile descriverne anche le BP. Il primo passo è
stato quello di definire le BP: ci sono varie definizioni circolanti sulle BP; ma nel campo dell’InC è stata
adottata una definizione molto ampia. I Paesi e le lingue più coinvolti erano Spagna, Portogallo, Francia,
Germania e Italia. I migliori risultati in InC si sono conseguiti tra le lingue romanze. I destinatari delle BPO
erano soprattutto adulti e studenti universitari, come atteso visto che per InC è riciesto di attivare una capcità
metacognitiva abbastanza evoluta, nonché Ins. Il tipo di materiale prodotto consiste in siti web, CD e manuali;
erano poche le guide per l’Ins e i video. Troviamo un’analisi dei Paesi di cui si sono occupate le BP in InC in
cui si vede quali sono i Paesi in cui esse prevalgono, in slide 14 abbiamo esempi delle lingue più presenti; in
slide 15 abbiamo i destinatari, oltre ai tipi di pubblico già menzionato abbiamo anche il pubblico interessato ai
linguaggi specifici, gli internauti. Gli obiettivi presenti nelle BP sono lo sviluppo generale della competenza
linguistica, attivazione della motivazione in secondo luogo e, a pari merito, sviluppo di competenze culturali,
interculturali, metalinguistica, infine sviluppo della competenza pragmatica, inserimento nella società,
scolatico, competenza SL.
Le abilità più presenti nelle BP analizzate, data l’impostazione metodologica dell’InC, sono ovviamente la
comprensione scritta e orale, come ci si poteva aspettare, anche se in maggior modo la comprensione scritta
ha maggior rilievo, perché più semplice. Erano comunque presenti anche abilità di produzione scritta, segno
ceh le pratiche di InC non servono solo a comprendere, l’interazione e la produzione orale. Per quanto
riguarda i materiali, in slide 18 possiamo osservare che i siti web erano i più utilizzati; il CD, non più in uso,
all’epoca si usava ancora abbastanza (indagine di 7-8 anni fa); per quanto riguarda la valutazione, per avere
maggiore scientificità, oltre all’analisi dei ricercatori sulle BP, esse sono state sottoposte anche a referaggio. I
referee sono esperti europei di didattica delle lingue moderne imparziali, ossia non esperti di InC e non
coinvolti nel progetto. Altro elemento interessante è il giudizio espresso sulle BP con le quali erano venuti in
contatto da un gruppo di studenti di UNISTRASI che avevano seguito un corso incentrato sull’InC tenuto da
Benucci; i giudizi sono molto interessanti e sono quasi sempre giudizi positivi. Concludiamo la sezione
ricordando che, qualsiasi sia l’ambito in cui svolgeremo l’analisi, dobbiamo sempre crearci strumenti di
analisi precisi e criteri di qualità ben definiti. Oltre a questo, bisogna poter ricevere un feedback esterno al
fine di non farci condizionare eccessivamente dalle nostre aspettative sull’indagine.
Possiamo utilizzare non tanto un database per le BP, ma delle schede che possono oreintarci all’interno
dell’analisi dei materiali; l’anno scorso con gli studenti abbiamo lavorato con queste schede, una di queste,
generale, è stata proposta, composta di varie sezioni, es. grafica del manuale, ingiunzioni didattiche, aspetti e
modelli linguistici presentati, eventuali indicazioni e riferimenti alla metodologia a cui è ispirata la pratica…
poi ci sono aspetti che riguardano la tipologia dell’attività, la presenza o meno di una sensibilità SL,
culturale… e aspetti più tecnici, come la strutturazione del manuale in unità didattica, di apprendimento,
moduli… Questa scheda non va riempita, ma è giusto per servircene nel caso vogliamo fare delle indagini; è
utile per l’analisi dei manuali, ma può essere adattata anche per analisi di curricoli, sillabi.
Concludiamo con alcune indicazioni riguardo ai testi di riferimento:

Scuola di formazione (Lamarra – Caruso – Diadori): questo manuale fornisce indicazioni su ambiti dell’impiego di
insegnamento IL2; comprende un articolo di Roberto Dolce (UNISTRAPE) sulla lingua e cultura italiana per
priomuocvere l’imamgine dell’Italia all’estero; un articolo di Balboni su musica pop e musica colta nell’educazione
linguistica e letteraria; articolo di Diadori su insegnamento attraverso danza, musica e teatro. La canzone rpesenta
molti spunti per l’applicazione di tecniche didattiche divertenti e motivanti: nell’articolo di balboni si trovano molti
esempi sul melodramma; qualche anno fa era stata creata una collana dall’editore Guerra sulla musica dell’opera.
Uno dei pubblici interessati all’italiano è proprio quello dei cantanti d’opera, che devono avere almeno a livewllo di
pronunciaun’ottima conoscenza dell’italiano; l’opera è proprio il veicolo attraverso il quale molti, all’estero, hanno
imparato qualche parola d’italiano, anche se il testo operistico è molto difficile da comprendere. Nell’articolodi
Caon invece si parla invece di musica più moderna, ma anche la canzone pop spesso ha riferimenti a opere
letterarie, quindi è uno strumento molto potente per introdurre in classe anche saperi tradizionali. L’articolo di Caon
illustra un progetto condotto alla Ca’Foscari, con la sperimentazione di alcune canzoni, su cui sono state utilizzate
alcune tecniche, come la transcodificazione, le griglie, V/F, completamento… utilizzando il testo della canzone
come testo input. L’articolo di Diadori invece tratta anche altri tipi di testi multimediali o trasmessi, il cui valore sta
nella possibilità di introdurre in classe alcuni elementi culturali, ma anche di utilizzarli per la didattica CLIL; è un
apprendimento multimodale quello che viene favorito da questi tipi di testi, che permette di raggiungere delle
performance (attraverso le arti performative, che combinano componenti psicofisiche oltre che cognitive e
riflessive). Del resto, il teatro è spesso impiegato nella didattica delle lingue, dal momento che costituisce un
grande esperimento di role-play. L’articolo di Spinoza fornisce indicazioni sull’insegnamento dell’italiano con i
fumetti, facendoci riflettere sull’efficacia dell’immagine e sul trasporre staticamente i benefici di un testo
audiovisivo (il fumetto è di fatto un AV bloccato), che permette di presentare una situazione e rappresentare, con i
balloon, gli aspetti prosodici, la mimica; in particolar modo i fumetti d’autore possono attrarre un consistente
pubblico. Per quanto riguarda altri articoli di interesse su questo manuale possiamo citare l’articolo di Monami
sulal tipolgia del feedback correttivo orale in IL2: questo è il frutto della ricerca di una tesi di dottorato, ed è
un’analisi molto dettagliata di strategie di correzione orali dell’errore e tipologia di feedback che viene prodotto
spontaneamente dall’App. Segue un articolo a cura di Benucci – Grosso, nel quale vengono illustrati i passaggi
necessari per poter impostare correttamente un percorso di apprendimento per adulti partendo da un curricolo di
riferimento con unità di lavoro (oltre quindi l’unità didattica, che è troppo rigida). L’articolo è indirizzato
soprattutto agli adulti in situazioni svantaggiate o che hanno problemi nell’apprendimento dovuti ad aspetti
psicologici (detenuti, immigrati del mondo libero); infine, Semplici illustra tecniche didattiche di IL2, ottimo
articolo guida per analizzare le BP.

BP e repertori linguistiche in carcere: v. libro

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