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COMPETENZE

Nell’ambito dello studio della lingua, quali competenze occorre sviluppare? Dunque, che cosa vuol dire
“insegnare” una lingua?
In tale ambito ad essere sviluppate devono essere quelle competenze che permettono ad una persona di
agire e di compiere determinate attività linguistiche usando specificamente strumenti linguistici. Le
competenze, ovvero i sistemi di regole e di conoscenze, si differenziano tra quelle presenti nella mente,
generali e astratte, e quelle utilizzate nel mondo, che permettono di agire all’interno di precise circostanze
spazio-temporali. Tra le due dimensioni si colloca un insieme di abilità linguistiche. Nella mente di ciascun
essere umano si possono, pertanto, sviluppare tre tipi di competenze che qualificano il ‘sapere la lingua’,
ovvero: la competenza linguistica, la competenza extralinguistica e la competenza socio-pragmatica. È,
dunque, la padronanza di queste abilità che consente di trasformare le potenzialità delle competenze
mentali in azioni comunicative socialmente efficaci.

La competenza linguistica
Per competenza linguistica si intende quella competenza che include conoscenze e abilità riferite al lessico,
alla fonologia, alla sintassi e ad altre dimensioni del linguaggio visto come sistema, indipendentemente
dalla valenza sociolinguistica delle sue variabili e dalle funzioni pragmatiche delle sue realizzazioni. Le
persone con tale competenza hanno imparato a utilizzare la grammatica della loro lingua parlata per
generare una quantità illimitata di affermazioni. Questo termine è ben distinto dal concetto di competenza
comunicativa, che determina invece ciò che è un discorso socialmente appropriato. Di fatti, la semplice
conoscenza della lingua non garantisce che si abbia delle buone capacità di comunicazione.
La competenza linguistica non ha a che fare, però, soltanto con la gamma e la qualità delle conoscenze (in
termini di distinzione fonetica e di estensione e precisione del vocabolario), bensì anche con
l’organizzazione cognitiva, con il modo in cui le conoscenze sono immagazzinate e con la loro accessibilità.

L’errore di gran parte delle scuole è la tendenza a privilegiare una quantità eccessiva di conoscenze e si è
interessati a lavorare maggiormente sui prodotti che sui processi, rischiando quindi di non generare alcuna
competenza.

La competenza extralinguistica
Accanto alla competenza linguistica, o nell’accezione allargata chomskiana di competenza linguistica, si
colloca la competenza extralinguistica, ossia quel complesso di codici che vengono che si accompagnano a
quello verbale sottolineandolo o modificandolo. Essa include: la competenza cinesica, che riguarda la
capacità di comprendere e utilizzare in maniera pertinente il linguaggio non verbale dei gesti e dei
movimenti corporei (posture, mimica del volto, giochi di sguardi, ecc.). Ovviamente la cinesica varia dal
punto di vista antropologico e sociologico; la competenza prossemica, ossia la capacità di comprendere e
utilizzare appropriamente lo spazio e le distanze spaziali connesse all’interazione comunicativa
interpersonale. Chiaramente, non soltanto sono significative le distanze tra i partecipanti all’evento
comunicativo, bensì anche i movimenti che gli stessi soggetti compiono, per cui si rende necessario
integrare l’analisi prossemica con quella cinesica e, di rimando, con quella paralinguistica (cioè il tono di
voce e la velocità dell’eloquio); la competenza oggettuale, che rimanda all’uso di oggetti come strumenti
per comunicare.

La competenza socio-pragmatica
La competenza socio-pragmatica è una componente essenziale della competenza comunicativa, e quindi
obiettivo fondamentale degli approcci comunicativi. Essa è la risultante di varie componenti, tra cui:

- l'aspetto pragmatico, che si identifica con la capacità di perseguire i propri fini attraverso la
comunicazione;
- l'aspetto sociolinguistico, che identifica la capacità di scegliere la varietà, soprattutto di registro, adeguata
alla situazione al cui interno si intendono perseguire i propri fini;

- l'aspetto culturale, che riguarda la capacità di interagire e perseguire i propri fini in maniera adeguata all’
"evento” culturale in cui ha luogo la comunicazione.

In termini glottodidattici più specifici, la competenza socio-pragmatica viene acquisita nel momento in cui
lo studente riesce ad espletare le varie funzioni (personale, interpersonale, regolativo-strumentale,
referenziale, metalinguistica, poetico-immaginativa) attraverso gli atti comunicativi adeguati. Le tecniche
didattiche usate per acquisire la competenza socio-pragmatiche sono tutte quelle legate alla simulazione,
dalla drammatizzazione, al roleplay, allo scenario.

Secondo alcuni autori è possibile individuare anche una "competenza strategica", che include le regole di
organizzazione del proprio testo in modo da raggiungere gli scopi prefissi, la quale, più di frequente, viene
considerata una componente della competenza socio-pragmatica.

Tra le tecniche glottodidattiche che più specificamente accentuano il ruolo della competenza strategica c'è
lo scenario.

La competenza comunicativa interculturale


Per formare una competenza comunicativa, sappiamo che, concorrono diverse componenti: la conoscenza
psicolinguistica (cioè la capacità dei parlanti di trasformare una realtà mentale in una realtà sociale ai fini
della comprensione) e la conoscenza socioculturale (cioè la capacità di comprendere l’appropriatezza in
relazione al contesto in cui è usato). Ovviamente, la competenza comunicativa non solo richiede che il
parlante abbia queste conoscenze, bensì che sviluppi l’abilità di usarle.

Se parliamo di insegnamento di una lingua non ha senso parlare di qualcosa di astratto: non significa
imparare solo regole, costruzioni e quindi non è solo lo strumento linguistico che deve interessare colui che
apprende. Una persona che possiede uno strumento linguistico deve anche poterlo contestualizzare e
quindi considerare la cultura dove tale strumento è usato. Quello che, però, spesso avviene in incontri fra
individui di culture differenti è esattamente il fraintendimento interculturale. Si è visto come l’interazione
fra persone di culture diverse sia marcata da una serie di momenti di asincronia, che si manifestano in
silenzi, sovrapposizioni, reazioni impreviste o interruzioni che mostrano la difficoltà di stabilire e
mantenere una conversazione a causa delle differenze nel background culturale e nelle convenzioni di
comunicazione. Ora, la domanda è: si può insegnare una competenza interculturale? Non esattamente: si
può, però, insegnare ad osservarla. Essere consapevoli dei fattori di asincronia e delle sue possibili
conseguenze negative sono un prerequisito necessario per l'apprendimento di tale competenza in quanto
permette di ripercorrere retrospettivamente il discorso e di individuare adatte strategie di riparo.
Per potersi aprire al confronto con persone di culture differenti e allenare le abilità relazionali, pertanto, è
necessario aprirsi e riconoscere l’esistenza di modelli culturali diversi, rispettare e tollerare le diversità
finché queste non causano l’insorgere di questioni strettamente morali.

La lingua della letteratura e l’educazione letteraria


La scelta delle tipologie testuali da fornire ai discenti costituisce una componente fondamentale per il
successo dell’insegnamento linguistico. Il testo letterario, sebbene spesso trascurato a vantaggio di altri tipi
di testo, rappresenta una tipologia testuale contraddistinta dall’alta qualità dell’input sia linguistico che
culturale. Facciamo, però, qualche passo indietro: quali sono le caratteristiche che rendono “letterario” un
testo? Il testo letterario è un testo ricco che veicola contenuti copiosi in termini di humanitas, cosa che
invece i testi suoi antagonisti (interviste, brevi relazioni, materiali pubblicitari, ricette, dialoghi, filastrocche
ecc.) non fanno. Il testo letterario è un testo in cui la lingua usata si caratterizza per deviazioni volontarie e
consapevoli. Soprattutto però il testo letterario è un testo autentico, reale e vivo al tempo stesso; prova di
tale vitalità è il fatto che esso sia sempre interpretabile in funzione del soggetto lettore che, assimilandolo,
ne coglie il significato grazie ad un importantissimo processo: la rielaborazione personale.
Grazie a ciò la letteratura, mai banale nei suoi contenuti e nei suoi aspetti, favorisce gli aspetti
motivazionali, provocando nello studente reazioni che conducono ad una maggiore produzione in termini
di “output linguistico”.
Se ben riflettiamo, però, osserveremo che raramente il testo letterario è stato protagonista all’interno
dell’insegnamento linguistico e dei suoi percorsi didattici. Solamente in alcune scuole ad indirizzo specifico
(come, per esempio, i licei linguistici) il testo letterario viene utilizzato per l’insegnamento, ma purtroppo
anche in questo caso, più che come mezzo di apprendimento linguistico, esso ne costituisce l’oggetto o
addirittura il pretesto di studio, perdendo così le proprie potenzialità umanistiche. Il testo letterario è un
testo per sua natura dinamico, un testo che induce a pensare ma purtroppo con l’uso improprio che ne è
stato fatto, e che purtroppo ne viene ancora spesso fatto, la letteratura è ammutolita perdendo così la sua
prerogativa di sviluppare la capacità di pensare autonomamente. Occorre, quindi, individuare un suo
nuovo utilizzo che le permetta di riacquisire le sue potenzialità originarie, un approccio glottodidattico che
la ponga al centro e non al margine dell’insegnamento linguistico. In che modo, ad esempio? Un’ipotesi
potrebbe essere quella di ridurre al minimo innanzitutto l’insegnamento frontale di stampo tradizionale:
i testi letterari, scelti dall’insegnante (magari in base alla tematica che si desidera affrontare), diventano
oggetto di riflessione e rielaborazione degli studenti in quanto la letteratura, in tal caso, non costituisce
un’entità predefinita, bensì un interrogativo rivolto al lettore. Questo condurrà lo studente a collegare i
contenuti testuali con le esperienze personali e, soprattutto, interpretare il testo in base alla propria
individuale lettura. Ecco, quindi, come il processo didattico che ne scaturisce accetti diverse
interpretazioni dello stesso testo e faccia delle differenze di lettura una fonte inesauribile di ricchezze da
valorizzare mediante il confronto e la comunicazione.

La competenza interculturale e letteraria


Seppur appaiano apparentemente ben distinte, in realtà, le abilità relazionali della competenza
interculturale applicate all’educazione letteraria si traducono proprio nella capacità di interagire con i testi
e con la classe, di interpretarli e formulare un giudizio critico. Il carattere interculturale della competenza
letteraria si deve al riconoscimento del fatto che la comunicazione avviene innanzitutto tra persone e solo
successivamente tra culture. Al di là delle differenze linguistiche e culturali che possono contraddistinguere
gli studenti, il rischio di incomprensioni del testo letterario o la diversità dei punti di vista all’interno della
stessa classe può dipendere da fattori familiari, sociali, religiosi o di genere. È per questo che è
fondamentale esercitare contemporaneamente la competenza comunicativa letteraria ed interculturale
poiché la discussione sui significati del testo letterario può coinvolgere anche studenti di nazionalità
diverse o dai valori differenti. Pertanto, realizzare la competenza letteraria assieme a quella interculturale
permette in primis la maturazione etica degli studenti, grazie all’immedesimazione nei personaggi,
rappresentanti di sistemi valoriali diversi, e al confronto sui temi morali con i compagni di classe, in
secundis la conoscenza di sé stessi e del mondo attraverso l’osservazione e poi riflessione sul mondo da
prospettive diverse che incentiva di certo la crescita psicologica e relazionale.

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