Sei sulla pagina 1di 5

CAPITOLO 2: BILINGUISMO E BICULTURALISMO

Quando parliamo di bilinguismo e biculturalismo ci riferiamo a dei fenomeni ampi,


complessi e dinamici che si verificano quando una persona usa più di una lingua e
vive più di una cultura. Fondamentalmente, se ci pensiamo tutti siamo bilingui,
soprattutto nel nostro contesto italiano, in cui è diffuso l’uso di dialetti e dove le
lingue straniere vengono insegnate a scuola, all’università. Ma se è vero ciò occorre
considerare che lo siamo in modi diversi , per cui il fenomeno va valutato e
considerato ai fini degli interventi tenendo presente le circostanze
dell’apprendimento di ciascuna lingua, l’uso che se ne fa, la competenza nelle due
lingue, l’organizzazione cognitiva di ogni lingua, l’attivazione e l’identità che le diverse
lingue comportano
Bilingue, per l’appunto è quando si usa una lingua diversa da quella materna a
prescindere dal grado di competenza, dalla frequenza d’uso e della distanza
strutturale.
Inoltre, nell’interazione tra due o più soggetti si possono generare due tipi di
conversazioni:
Conversazione monolingue: quella in cui un interlocutore usa la sua lingua madre e
l’altro la usa seconda lingua.
Conversazione bilingue: si alternano nello stesso evento comunicativo le lingue in
quanto i due interlocutori conoscono entrambe.
Quando parliamo di bilinguismo è opportuno porre una distinzione tra le diverse
tipologie:
Bilinguismo infantile: è quando la seconda lingua viene imparata
contemporaneamente alla lingua madre.
Bilinguismo adulto: quando la seconda lingua viene appresa in una fase successiva a
quella della L1.
Le circostanze riguardano il fatto se si tratti di:
Bilinguismo isolato: riguarda una persona o un nucleo familiare, per esempio
quando un individuo o una famiglia si trasferisce per motivi di lavoro o studio ed
impara da solo la L2. Ciò accade quando l’individuo non vive in una comunità
bilingue.
Bilinguismo collettivo: si manifesta quando un intero gruppo (famiglia, comunità o
nazione) padroneggia due lingue diverse e le usa in maniera alternativa. Riguarda le
migrazioni di massa.
Altre distinzioni di bilinguismo:
Bilinguismo primario: quando la L2 viene acquisita in ambiente L2, ovvero quando
oltre alla lingua in immersione si apprendono anche i contenuti culturali.
Bilinguismo secondario: , quando la L2 viene acquisita in ambiente L1, quindi senza
immersione linguistica e culturale.
Bilinguismo additivo: le lingue imparate si vanno ad aggiungere a quelle già
conosciute nel bagaglio socio cognitivo ed emotivo della persona
Bilinguismo sottrattivo: la seconda lingua si impara a spese della prima, che perde
pertanto forza e peso nella vita di quella persona.
Bilinguismo elitario: quelli appartenenti ai ceti socioculturali medio-alti
Bilinguismo popolare: ceti bassi
Riguardo alle motivazioni dello studio d’apprendimento di L2 si distingue inoltre in :
Bilinguismo strumentale: quando la seconda lingua viene imparata per scopi
utilitaristici (per lavoro, scuola)
Bilinguismo integrativo: per poter interagire con i parlanti di quella data lingua, per
potersi immergere in quella data cultura.
Dal punto di vista psicologico, potremmo affermare che il bilinguismo strumentale
riguarda un tipo di motivazione estrinseca, laddove il bilinguismo integrativo
riguarda una motivazione intrinseca, per il piacere di imparare quella lingua, di
aprirsi a una nuova cultura (che potremmo anche collegare a fattori di personalità
quali l’apertura mentale).
Inoltre, le persone bilingui alterano l’uso delle lingue in base a con chi parlano,
quando, dove, perché.
Ad esempio, un medico parlerà a lavoro in italiano e dialetto in casa, ma in casa può
utilizzare anche l’italiano quando ad esempio aiuta il figlio a fare i compiti, come sul
lavoro può usare il dialetto per enfatizzare qualche spiegazione ad un paziente
anziano per farsì che esso capisca meglio in modo diretto.
Quanto alla competenza linguistica bisogna considerare tre fattori:
Fattore linguistico: le competenze linguistiche, quali la pronuncia, lessico,
grammatica e le abilità linguistiche leggere, scrivere, ascoltare.
Fattore cognitivo-funzionale: riguarda i fattori psicolinguistici come l’abilità di
traduzione tra le due lingue, l’organizzazione del lessico, quanto la memoria riesce
ad immagazzinare.
Fattore socioculturale: qui la competenza è formata da due macro componenti:
-la competenza linguistica in senso stretto, vale a dire conoscenza del codice e dei
significati referenziali;
-Competenza comunicativa: usare lingua in modo appropriato in un dato contesto.
Quanto all’organizzazione cognitiva il bilinguismo si distingue in:
-Bilinguismo coordinato: è proprio di chi abbia immagazzinato separatamente e in
tempi successivi i due sistemi linguistici, avendo appreso a parlare la prima lingua
con i suoi genitori e la seconda lingua a scuola o al lavoro
-Bilinguismo composito: è invece tipico di quei parlanti che siano entrati
precocemente in contatto con una seconda lingua.
Quanto all’attivazione è uno stato temporaneo, dinamico, dipendente dal contesto
dell’interazione e sorge spontanea una domanda: quanto spesso e quanto a lungo
usano le loro due lingue le persone bilingui? È una dimensione del bilinguismo
individuata da Grosjean chiamata language mode.
A un estremo si colloca lo stato di attivazione monolingue dove l’altra lingua è
disattivata e all’altro lo stato di attivazione bilingue dove le due lingue sono
alternate. È infatti improbabile che in una conversazione bilingue non ci sia una
lingua di base, mentre si verificano spesso fenomeni di code-switching (alternanza
tra le lingue) e code-mixing (mescolanza tra le lingue). I fattori che determinano lo
stato di attivazione sono:
Partecipanti all’interazione;
- Situazione dell’interazione;
-Funzione della lingua;
- l’identità.
L’apprendimento comporta un cambio di identità quando la lingua che si apprende è
utilizzata attivamente. L’esempio è di una ragazzina italiana che impara l’inglese per
passare gli esami e che si attiva poco fuori dalla classe per migliorarne la
competenza. Il suo bilinguismo sarà secondario e strumentale, coordinato
psicologicamente e socialmente isolato con competenza scarsa in lettura e scrittura
nella lingua più debole e ciò non comporta alcun cambio di identità; invece un
ragazzino di origine pakistana arrivato in Italia in età infantile avrà un bilinguismo
urdu-italiano integrativo nei confronti dell’italiano e questo avrà notevoli differenze
quanto l’identità e se è sottrattivo nei confronti dell’urdu avrà anche problemi di
identità.
Per quanto riguarda, invece, il biculturalismo cosa significa essere biculturali?
Significa essere programmati, pensare, sentire e agire in due modi diversi. Questo è
possibile e ce lo spiega Hosfstede, nel suo modello in cui vengono distinti i valori
dalle pratiche. Secondo l’autrice il biculturalismo è possibile se è una questione di
pratiche che appartengono a due culture, ma non è impossibile se è una questione
di valori.
Biculturali significa partecipare alle manifestazioni di due culture, dei loro simboli e
rituali. Siccome tra i simboli c’è anche la lingua, nel diventare bilingui si diventa
implicitamente anche biculturali.
Si parla di identità ibrida quando si acquisiscono aspetti di una nuova cultura.
Se essere biculturali vuol dire vivere i valori della C2 perdendo quelli della C1, non è
possibile. Questo perché la cultura è per la collettività quello che la personalità è per
l’individuo, in quanto possiamo averne solo una.
Esempio: non possiamo essere ebrei in settimana e cattolici la domenica. Per
esempio, mentre in Australia i saluti esprimono uguaglianza, tra gli wolof del Senegal
esprimono rapporti di superiorità-inferiorità. Ebbene, si può imparare a salutare in
modi diversi imparandone le lingue, ma l’uguaglianza-disuguaglianza e l’attività-
passività sono poli opposti di due valori. Un protestante può diventare cattolico e un
socialista può diventare liberale e più in là possiamo anche ri-convertirci, ma non
possiamo essere entrambe le cose. Il contatto intenso e prolungato con la L2 ci
cambia prontamente, ma non si diventa biculturali, si crea una terza cultura,
chiamata C3 o terzo spazio, conosciuto come eccletticismo biculturale.
Quanto alla doppia personalità, possiamo intendere la personalità come:
Insieme di stati psicologici temporanei dovuti a comportamenti diversi e diverse
identità, allora com’è possibile essere biculturali nel senso delle pratiche culturali è
possibile avere anche una doppia personalità.
-insieme di tratti psicologici permanenti è impossibile avere due personalità, come
dice Jung. Una persona estroversa non può diventare estroversa o una persona
classica diventare romantica.

Potrebbero piacerti anche