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Imparare attraverso le lingue 1-2-3(dati aggiornati)-4

BILINGUISMO E TRANSLANGUAGING
Concetto di bilinguismo
La pluralità linguistica e dialettale è un tratto connaturato nella maggioranza delle società e presente in tutte le
epoche. Bilinguismo: continuum che si sviluppa lungo 2 poli principali: visione monolingue o “monoglossica”
che tende a considerare l’uso di una sola lingua come “norma” e il bilinguismo come una deviazione(somma di
due monolingui); prospettiva “eteroglossica” che è una condizione di diversità linguistica stratificata all’interno
di una stessa lingua nazionale e si manifesta in una serie di varietà(diverso da diglossia che prevede una
gerarchizzazione del repertorio linguistico).
Si indicava con bilinguismo il fenomeno di controllo nativo di due o più lingue, tuttavia questa definizione è
oggi obsoleta perché anche il parlante nativo è soggetto a variabili sociolinguistiche(luogo, categorie sociali…).
Haugen: si tratta di bilinguismo se riesce a produrre frasi di senso compiuto in altre lingue(mette al primo
posto l’efficacia comunicativa, indipendentemente dalla competenza nelle due lingue).
Weinreich: bilinguismo se alterna può passare da una all’altre; elimina ogni gerarchia linguistica(dialetti,
varianti…) e identifica il bilingue come il punto di contatto linguistico.
Grosjean: propone una visione olistica in cui il bilingue non è la somma di due monolingui, ma un
parlante-udente competente che utilizza diverse lingue per scopi e contesti diversi. Delinea inoltre il principio
di complementarietà che illustra come lo sviluppo o meno di una lingua dipenda dall’uso quotidiano.
Valdes: anche se limitato l'importante è che sia in grado di farsi capire(visione minimalista).
Si giunge così al modello del bilinguismo dinamico di Ofelia Garcia, secondo cui i confini tra L1 e L2 sono
labili e gli usi linguistici sono multipli, adattivi e multimodali. Garcia rappresenta il bilinguismo attraverso un
agglomerato di frecce in cui bianco e grigio indicano le lingue e i movimenti delle frecce la presenza
simultanea della molteplicità linguistica. Emerge l’idea di un individuo plurilingue con un sistema linguistico
unico e una manifestazione dello stesso in forma non lineare e pone le basi del translanguaging.
Questa idea venne già proposta dal modello CUP, o teoria dell’iceberg, di Cummins: le due lingue,
rappresentate come due punte dell’iceberg, sono una manifestazione in superficie di una comune
competenza(parte sommersa). Con questa relazione reciproca tutte le abilità esercitate in una lingua possono
influire sull’altra(Developmental interdependence hypothesis; teoria delle soglie: se competenza L1 alta la
L2 si apprende senza fatica, altrimenti l’esposizione a L2 rallenta o blocca lo sviluppo di entrambe; migranti
scarsamente esposti a lingua d’origine. Anche la consapevolezzza metalinguistica è condivisa tra le due lingue
e le dinamiche di transfer possono avere effetti positivi; necessario svilupparle entrambe, CALP), inoltre
metteremmo in gioco entrambe le nostre lingue anche in un contesto monolingue.
La differenza tra Cummins e Garcia sta ne fatto che la seconda non accetta ch un’unica competenza
linguistica si manifesti esternamente in modo lineare e binario
Effetti del bilinguismo
Baker e Wright identificano tre momenti principali nelle ricerche sull'impatto del bilinguismo: il periodo dello
svantaggio(effetti deleteri su sviluppo cognitivo; test non standardizzati e spesso in una sola lingua, non
considera variabili socioeconomiche e competenze linguistiche), il periodo degli effetti neutrali, il periodo del
vantaggio(dalla monografia di Pal e Lambert, mente più flessibile e maggiore inclinazione al pensiero
astratto).
Bialystok ha individuato e descritto negli anni le principali traiettorie di ricerca nel campo delle abilità non
verbali dei parlanti bilingui, osservando un vantaggio relativo la memoria di lavoro(trattenere e manipolare
info) e alle funzioni esecutive(controllo inibitorio: frena risposte abituali; flessibilità cognitiva: adattamento)
In diversi ambiti: mettere in ordine elementi secondo diversi criteri, rispondere in modo efficace a interferenze,
reagire rapidamente a conflitti spaziali; i bambini bilingui hanno risposto in modo più corretto e veloce.
I bambini con un bilinguismo più bilanciato hanno ottenuto risultati migliori a livello di controllo esecutivo,
solitamente abbinato a un migliore rendimento scolastico e a una più brillante realizzazione sociale.
Importante quindi sviluppare entrambe le lingue del repertorio di uno studente.
In alcune condizioni il vantaggio bilingue non si manifesta, specialmente nei bambini, anche se tende a
riemergere con l’età(effetti neurodegenerativi della demenza rallentano). Bialystok per spiegare queste
divergenze introduce l’idea di attenzione selettiva, che interagendo con le funzioni esecutive vengono
rimodulate(non solo incrementate) dall’esperienza bilingue.
Altro aspetto da considerare è relativo alla teoria della mente(attribuire percezioni e consapevolezza al
prossimo), più sviluppata nei bilingui. Legata a quest’ultima è la consapevolezza metalinguistica, cioè la
conoscenza della relazione tra segno e significato, oltre che la capacità di riflettere sulle forme linguistiche e
manipolarle(consapevolezza delle parole: segmenta flusso linguistico, della sintassi: individuare e correggere
errori ma non nello spiegarli, fonologica: associare suoni a significati).
Diverse ricerche hanno dimostrato come i bambini monolingui traggano vantaggio da un ambiente plurilingue
che stimola l'attività cognitiva
Translanguaging, aspetti teorici-ideologici
Il translanguaging è una pratica discorsiva in cui i soggetti bilingui esposti sfruttano le loro competenze
linguistiche per elaborare il discorso, spostandosi liberamente da un linguaggio all’altro(pratiche discorsive
plurilingue; inizialmente pratiche consapevoli di alternanza di codice tra input a output; può anche essere
interpretato come un orientamento pedagogico).
L’ecologia linguistica considera l’uso linguistico come elemento di un sistema socioculturale e storico-politico
e le lingue come processi dinamici, aperti al contatto e all’ibridazione. Temi centrali dell’ecologia linguistica
sono l’evoluzione delle lingue e il loro rischio di estinzione e di marginalizzazione.
García e Wei con languaging intendono il divenire di noi stessi e dei nostri usi linguistici nell’interazione e
nella pratica di creazioni/manipolazione di significato(-ing inteso come dinamico, non come struttura fissa);
concetto che procede con quello di decostruzione dell’idea di lingua come manifestazione determinata del
linguaggio umano(strutturalismo: lingua da osservare in modo sistematico analizzando ogni unità minima;
post-strutturalismo: le lingue sono invenzioni, costrutti sociali elaborati dall’uomo e rappresentazione della
conoscenza di un dato momento storico).
L'obiettivo dei sociolinguisti post-strutturalisti critici è quello di sostituire la visione statica delle lingue con un
approccio che consideri la fluidità delle pratiche linguistiche reali e locali di tutti i parlanti.
Il concetto di translanguaging appare più adatto a esprimere la mobilità e la complessità delle posizioni
teoriche discusse finora, rispetto a multilinguismo e plurilinguismo. È possibile analizzare la nozione di
translanguaging attraverso 4 livelli: descrittivo(descrive le pratiche discorsive dei soggetti che presentano più
varietà nel proprio repertorio; trascende la dicotomia tra lingue che si mantiene invece nel code-switching);
politico(diverso orientamento rispetto alle forme di pluralità linguistica e culturale; uso individuale delle
pratiche translinguistiche come mezzo per opporsi all’egemonia monolingue e affermare la propria identità);
teoria del linguaggio(transdisciplinare, fa riferimento a multicompetence: visione unitaria sistema linguistico,
repertori linguistici sono in relazione tra loro; multimodalità: legittimazione di risorse semiotiche multiple nella
scuola; comunicazione interculturale e third space: superare dicotomie e logica della visione unitaria di lingua,
nazione e identità; critica al neoliberismo: che tende ad elevare l’inglese per una logica di mercato); educativo
e didattico(tutte le declinazioni del translanguaging descritte trovano la loro applicazione concreta).
Translanguaging come pratica didattica in un contesto educativo
Il concetto di translanguaging nasce in contesto educativo. Secondo Williams la pratica translinguistica
consiste nell’interiorizzare un messaggio, un’idea o un concetto in una lingua, assegnarvi un significato e
utilizzarlo in un’altra lingua. Il translanguaging si contrappone quindi a quei contesti educativi in cui vi è una
netta separazione tra due o più lingue e può legarsi al concetto di biliteracy(inerente la scrittura).
García e Li Wei hanno identificato 7 strategie translinguistiche da parte dei docenti: distinguere le specificità
linguistiche degli studenti e adattare le pratiche comunicative della classe a seconda della presenza di studenti
monolingui, bilingui o bilingui emergenti; costruire una serie di conoscenze condivise (possibile proporre lavori
di gruppo su testi plurilingui di varia natura); approfondire la comprensione e l’impegno sociopolitico, in modo
da sviluppare un pensiero critico e una consapevolezza profonda(si può esplicitare come prodotto realizzato
da studenti); affinare le competenze metalinguistiche su più lingue di studenti monolingui e il transfer
cross-linguistico negli studenti plurilingui(bacheche plurilingui, riflessioni su falsi amici sono strategie valide per
perseguire questa finalità); esercitare una flessibilità cross-linguistica, per esempio alternando lingue diverse;
affermare l’identità degli studenti linguisticamente e culturalmente minorizzati per coinvolgerli; interrogare le
ineguaglianze linguistiche e decostruire le gerarchie linguistico-culturali e sociali.

Un'applicazione del translanguaging a scuola è il progetto “CUNY-NYSIEB", nato nel 2011 e sviluppato in una
rete di circa 30 scuole di New York, caratterizzate da un’elevata percentuale di studenti bilingui emergenti con
diversi background. La struttura operativa si fonda su una tipologia di ricerca-azione che viene condotta con i
docenti, invertendo le posizioni tra ricercatori e personale scolastico affinché ognuno possa condividere le
proprie competenze ed esperienze professionali e diventare al tempo stesso co-learner. Principi fondanti del
progetto: bilinguismo è risorsa nell’educazione; scuola è ambiente multilingue ecologico(modificare spazio).
Tre dimensioni principali nel processo di translanguaging sono: stance(insegnante deve sviluppare
atteggiamento filosofico o presa di posizione riguardo l’importanza dei repertori plurilingui degli studenti);
design(pianificazione puntuale fondata su collaborazione; translanguaging instructional design cycle);
shift(ricalibrare pratiche comunicative anche in itinere).
Garcia, Johnson e Seltzer propongono un modello di programmazione didattico bipartitico, formato da un
translanguaging unit plan(TUP;obiettivi e contenuti del lavoro su vari livelli) e un translanguaging
instructional design cycle(TIDC). Quest’ultimo si articola in differenti fasi: Explorar(creazione di un
background comune di conoscenze sulla tematica proposta), Evaluar(valutazione degli studenti delle risorse
proposte o ricerca di ulteriori materiali), Imaginar(produzione di un elaborato innovativo e plurilingue),
Presentar(presentazione del lavoro per ottenere riscontri in base a obiettivi), Implementar(momenti di
condivisione autentica con altri alunni).
La valutazione plurilingue si scontra con la realtà dei docenti che non possono conoscere tutte le lingue e si
basa quindi su una valutazione della performance in cui si considerano più prospettive(valutazione tra pari,
autovalutazione…)
Criticismi
Cummins sottolinea la valenza educativa della pedagogia translinguistica, ma afferma che risulta molto difficile
affermare l’inesistenza delle lingue. La decostruzione linguistica risulta quindi un argomento pericoloso
nell’ambito degli studi su bilinguismo, multilinguismo e code-switching.
MacSwan nega la possibilità che un unico repertorio linguistico si fondi su una grammatica unitaria e
indifferenziata.

DIVERSITÀ LINGUISTICA NEL CONTESTO EDUCATIVO EUROPEO


Plurilinguismo a scuola
Necessità di lingua comune europea, dove lingua materna, adottiva e internazionale sono l’intelaiatura, da
costruire nelle scuole.
Il Consiglio d’Europa, soprattutto il Centro europeo di lingue moderne, ha supportato la progettazione e la
diffusione di due documenti:
-Guida per lo sviluppo e l'attuazione di curricoli per un'educazione plurilingue e interculturale:
per i dirigenti che vogliono integrare percorso scolastico(importanza di indagine su situazione linguistica
locale e della dimensione esperienziale). Elenca alcune misure da evitare nella gestione delle classi
plurilingui(isolamento dei neoarrivati, riduzione eccessive dai programmi, sottovalutazione competenze
linguistiche pregresse); alcuni approcci didattici orientati al mantenimento della lingua della famiglia(riflessione
sulla diversità delle lingue…). Inoltre evidenzia l'importanza dall'esposizione all'ascolto di testi letti a partire
dalla scuola, dal momento che a molte famiglie mancano le risorse(ruolo di ridistribuzione democratica).
La definizione di translanguaging qui presente promuove l’attenuarsi dei confini fra le lingue ma ne mantiene la
separazione(weak translanguaging).
-FREPA/CARAP(Quadro di riferimento per gli approcci plurali alle lingue e alle culture):
Strumento di supporto nella progettazione di attività e nell'identificazione di obiettivi specifici per una didattica
plurilingue. Tra gli approcci didattici si ricordano l'approccio interculturale, una didattica integrata delle lingue,
l'intercomprensione fra lingue affini, il risveglio delle lingue(importante nel nostro contesto perché riferito a
lingue che la scuola non insegna).
Individua 7 competenze(gestire la comunicazione linguistica e culturale in un contesto di alterità, costruire e
ampliare repertorio linguistico e culturale plurale, decentramento, attribuire senza elementi linguistici e culturali
non familiari, distanziamento, analizzare in maniera critica la situazione e le attività, riconosce alterità dell'altro)
e dei descrittori di risorse articolati in saperi, saper essere(attenzione, sensibilità, desiderio…), saper
fare(osservare, individuare, confrontare, parlare, utilizzare una lingua per comprendere altra, interagire,
apprendere ).
Il Companion Volume espande il FREPA e presenta nuovi descrittori in merito alla lingua dei segni, alla
mediazione e alla competenza plurilingue e pluriculturale(Lingue e culture sono interconnesse e non
compartimenti separati, tutte le esperienze linguistiche contribuiscono ad accrescere la competenza, l'obiettivo
non è piena padronanza ma la capacità di modulare usi linguistici a seconda del contesto). Si nota comunque
una tendenza a trattare le lingue in termini di giustapposizione, lingua per lingua, semplificando il concetto di
translanguaging.
In quest'ottica anche le competenze chiave hanno subito delle modifiche: dove prima si parlava di
comunicazione nella madrelingua ora si fa riferimento a competenza alfabetica funzionale; comunicazione
nelle lingue straniere è invece sostituito da competenza multilinguistica(importanza mediazione tra lingue;
legittimazione dei repertori linguistici).
Nonostante ciò persiste in Europa un carattere generalmente elitario dell' educazione bilingue, oltre che una
marginalizzazione delle lingue di origine degli studenti con background migratorio. Viene inoltre fatto notare
come il plurilinguismo(diversi gradi di competenza in più lingue distinte) sia concesso prevalentemente ai
cittadini europei bianchi, mentre gli studenti figli di immigrati sono tenuti a perseguire un livello di competenza
nativo e monolingue nella lingua del paese ospite.
A livello di applicazione educativa l'approccio plurilingue e translinguistico presentano molte convergenze.
Difficilmente oggi uno studente sia proprio la lingua come una tabula rasa ma può avere conoscenze
pregresse, il docente è un ruolo di direzionamento di tutte le risorse e di scaffolding per il raggiungimento
dell'inclusione sociale e delle abilità di pensiero superiori (approccio CLIL).
Didattica plurilingue e translanguaging nella ricerca europea
In Europa quindi l'educazione plurilingue si fonda sulla separazione tra lingue, mentre l'impulso della
pedagogia del translanguaging o rientra didattica verso il coinvolgimento dell'intero repertorio linguistico.
Questa pratica potrebbe apparire pericolosa insegnamento di lingue minoritarie in abbinamento a lingue
maggioritarie che produrrebbero la scomparsa delle prime(Paesi Baschi: Basco-Spagnolo-Inglese; Belgio:
Fiammingo, Olandese…; Svezia: Finlandese, Svedese…), tuttavia le ultime ricerche parrebbero smentire
queste ipotesi.
Vengono individuate tre funzioni principali della pedagogia del translanguaging: simbolica(riconoscimento
presenza delle lingue in classe); scaffolding(Sostegno educativo fra pari o fra docente-studente al fine di
legittimare e includere le lingue nella routine); epistemologica(uso delle lingue per l'apprendimento dei
contenuti, necessaria una competenza specifica del docente o un assistente).

SCUOLA PLURILINGUE IN ITALIA


Quanto è equa la scuola italiana nei confronti degli studenti bilingui emergenti
Premesse terminologiche:
Studente straniero: studente di nazionalità diversa da quella italiana. Il termine “straniero” abbraccia un
grande numero di studenti, comprendendo anche coloro che sono nati e cresciuti in Italia(a causa di jus
sanguinis). Si tende a etichettare gli studenti “stranieri” come svantaggiati, considerando come parametro
soltanto quello giuridico e non quello legato ai repertori linguistici(di cui non si considera il background).
Bilingui emergenti: enfasi sulle potenzialità date dal fatto di disporre di un ampio repertorio linguistico
individuale(contrapposto a “non italofono”; rifiuto di processi di minorizzazione linguistica e culturale per
passare dalla concezione del plurilinguismo come ostacolo a quella del plurilinguismo come risorsa),
incoraggiando slittamento percettivo positivo nei confronti di molti studenti che spesso vengono minorizzati.
I documenti presi in esame sono:
-Notiziario MIUR "Alunni con cittadinanza straniera"(rapporto statistico e informativo sulla presenza e sul
profitto degli studenti di nazionalità non italiana nel sistema scolastico nazionale);
-Report Eurydice 2019: risultati di mappatura delle misure e delle strategie politiche di 42 sistemi educativi;
-Rapporto prove INVALSI (2018): prova di inglese per la classe quinta della scuola primaria e per la classe
terza della scuola secondaria di primo grado ma il resto è in italiano(si nota influenza livello socioeconomico,
ma anche migliori risultati nella lingua inglese da parte di cittadini stranieri, dovuti ai vantaggi del bilinguismo);
-Il dossier MIUR "La dispersione scolastica nell’anno scolastico;
-Indagine OCSE/PISA: concentrato in modo particolare sulla competenza matematica, scientifica e nelle abilità
di lettura degli studenti intorno ai 15 anni.
Le domande che ci poniamo sono: equità della scuola italiana nei confronti di studenti stranieri; come
differiscono le valutazioni delle performance di studenti stranieri e non; quali parametri incidono su successi.
Presenza alunni stranieri nel sistema scolastico italiano
Nell'anno scolastico 2017-18, il 9,7% degli alunni erano con cittadinanza NON italiana; nel 2019/2020 questa
percentuale è salita al 10,3%. La maggioranza degli studenti stranieri è costituita da studenti di seconda
generazione(65,4%), nati in Italia da genitori non italiani(non garantisce padronanza linguistico-comunicativa;
unica componente in crescita della popolazione scolastica anche se il trend tende a stabilizzarsi).
Nel complesso la popolazione scolastica è calata, soprattutto quella composta da studenti con cittadinanza
italiana, è naturale quindi che aumenti la percentuale di incidenza degli studenti stranieri.
La scuola primaria è interessata dal numero maggiore di alunni di nazionalità non italiana, con il 36,2% del
totale(rispetto a stranieri nelle scuole; numeri abbastanza stabili). I bambini con cittadinanza non italiana oggi
presenti nella scuola Primaria costituiscono il 12,0% del totale, percentuale più elevata tra i diversi gradi di
istruzione.
Posto uguale a 100 il numero di studenti con cittadinanza non italiana presenti nelle scuole, nell’A.S.
2019/2020 sono cresciuti del 22,5% nella scuola dell’Infanzia, del 30% nella scuola Primaria, del 25% nella
scuola Secondaria di I grado e del 43% negli istituti di Secondaria di II grado(crescita maggiore nei gradi
superiori, ma si concentrano comunque maggiormente nei gradi inferiori; prima erano più concentrati sulla
primaria, poi i sono distribuiti).
Per quanto riguarda la distribuzione geografica degli studenti stranieri, la Lombardia si attesta al primo posto
per valore percentuale di alunni di nazionalità NON italiana sul totale a livello nazionale (25,6%); mentre
l’Emilia-Romagna si classifica al primo posto per percentuale di studenti stranieri in relazione al numero totale
di studenti a livello regionale (17,1%; Lombardia 16,0%).
Nelle regioni con un’incidenza più elevata di alunni con cittadinanza non italiana, le seconde generazioni
costituiscono la maggioranza. In Veneto, Umbria, Piemonte, Toscana, Lombardia ed Emilia Romagna la
quota degli studenti non cittadini italiani che sono nati in Italia varia tra il 71,7% e il 68,1% sul totale.
La maggioranza degli studenti con cittadinanza non italiana si concentra nelle regioni settentrionali (65,3%) a
seguire il centro (22,2%) e infine nel mezzogiorno 12,5%(aumento particolare in Campania +11,5%).
L’esame a livello provinciale evidenzia che le prime 10 province assorbono da sole il 39,7% del totale degli
studenti con cittadinanza non italiana(Milano, Brescia, Bergamo, Bologna, Firenze, Verona, Modena, Padova).
Se si considera l’indicatore degli studenti con cittadinanza non italiana in rapporto alla popolazione scolastica
locale, la graduatoria cambia decisamente.
I tassi di scolarità degli studenti con cittadinanza non italiana sono prossimi a quelli degli italiani sia nella
fascia di età 6-13 anni (intorno al 100%), corrispondente alla scuola del 1° ciclo, sia nella fascia 14-16 anni,
corrispondente al primo triennio di Secondaria di II grado (nella quale scendono al 96%). Al contrario, a 17 e
18 anni di età (ultimo biennio di Secondaria II grado) il tasso di scolarità degli studenti con cittadinanza non
italiana diminuisce fino al 73,2% rispetto all’81,1% degli studenti italiani. Nell’infanzia alunni senza cittadinanza
rappresentano l’86% del loro tot, gli italiani il 96%.
Interessante rilevare la brusca interruzione della frequenza scolastica a 17 e 18 anni. Le differenze di genere
evidenziano che l’interruzione scolastica investe in misura più preoccupante i ragazzi rispetto alle ragazze,
mentre sono più i bambini che le bambine a frequentare la scuola dell’Infanzia (84,6% contro 82,8%).
Circostanza che mette in luce motivazioni culturali e familiari.
La presenza degli studenti con cittadinanza non italiana nella scuola Secondaria di II grado registra comunque
una dinamica espansiva; appare decisivo il risultato conseguito all’esame di licenza media per la prosecuzione
degli studi(simile agli studenti italiani, basso= professionale).
Al fine di evitare la concentrazione degli alunni con cittadinanza non italiana in determinate scuole e favorire
una distribuzione equilibrata, il Ministero dell’Istruzione ha fissato alcuni criteri organizzativi: le scuole non
possono rifiutare l’iscrizione di un minore straniero in ragione del superamento di una determinata
percentuale(30% per classe, esclusi quelli in possesso di adeguate competenze linguistiche; costante leggero
superamento specialmente nella primaria, perché molti sono di seconda generazione e conoscono la lingua);
promozione di accordi a livello locale.
Alcune comunità sono più rappresentate rispetto ad altre: il 45,4%, proviene da un paese europeo, 26,1% di
origine africana, asiatica il 20,5%, dall’America l’8,0% e dall’Oceania lo 0,03%.
Per quanto concerne le principali nazionalità degli studenti stranieri, ai primi posti si attestano la Romania,
l’Albania e il Marocco(comunità più consistente del continente africano). Nell’ambito delle comunità asiatiche
la cittadinanza più numerosa è senz’altro quella Cinese; seguono gli studenti di origine Indiana.
Rendimento alunni stranieri nella scuola italiana
Dati relativi a Invalsi 2018 sottolineano come il parametro che penalizza maggiormente il rendimento non sia
legato al fatto di essere italiano o straniero, quanto il background socioeconomico familiare.
In italiano e in matematica gli studenti italiani totalizzano punteggi superiori rispetto ai compagni stranieri.
Nelle prove in lingua inglese, non si riscontrano stesse discrepanze(scarto minore o alunni stranieri superiori,
forse per attitudine dei soggetti bilingui di sviluppare meccanismi di interdipendenza linguistica che li guidano
nei processi di acquisizione/saper fare e apprendimento/sapere di altre lingue). I divari medi fra studenti italiani
e studenti stranieri NON risultano essere così grandi come quelli fra studenti con livello socioeconomico e
culturale diverso. Rendimento medio di studenti italiani più alto, ma consideriamo che i test invalsi sono
standardizzati.
Il sistema scolastico italiano è più equo rispetto alla media OCSE sia verso gli alunni con background
socioeconomico basso sia verso gli alunni di altre nazionalità.
Abbandono Scolastico degli alunni stranieri
Le percentuali di studenti di altre nazionalità che abbandonano il sistema scolastico italiano sono superiori
rispetto a quelle che interessano gli alunni italiani(maggiormente studenti di prima generazione).
Il fatto di essere in ritardo scolastico(inserimenti in classi inferiori all’età anagrafica, non ammissioni e
ripetenze) incide sull'abbandono. Nonostante i miglioramenti, le distanze tra gli studenti italiani e quelli di
origine migratoria rimangono notevoli: nell’A.S. 2019/2020 gli studenti italiani in ritardo sono l’8,9% contro il
29,9% degli studenti con cittadinanza non italiana(massimo divario scuola di II grado).
Questo ci induce a riflettere sul grado di equità della scuola italiana sia in termini di messa in pratica di efficaci
protocolli di accoglienza e di strategie di personalizzazione degli interventi didattici, sia in termini di valutazione
delle competenze pregresse e di valorizzazione dei repertori plurilingui individuali.
Dimensione e incidenza di politica educativa e linguistica su inclusività verso bilingui emergenti
Nel Report Eurydice il sistema scolastico italiano rientra nel cosiddetto approccio Whole Child approach, un
approccio olistico che pone attenzione sulla creazione di ambienti di apprendimento che promuovono
competenze sociali ed emozionali oltre a quelle accademiche(contrapposto ad approccio assimilazionista e
multiculturalista). La scuola italiana valorizza quindi la diversità in termini emotivi e psicologici ma mette in
secondo piano la molteplicità di risorse e vantaggi didattici che può apportare la sua pluralità; allo stesso
tempo l'Italia rientra tra i paesi che nelle normative forniscono definizioni specifiche per studenti stranieri(nuovi
arrivati in Italia, NAI). Questa categorizzazione associata ai concetti di svantaggio linguistico e culturale rischia
di alimentare processi di minorizzazione focalizzando l'attenzione sulle carenze invece che sui potenziali
vantaggi.
Nonostante la qualità dei documenti ufficiali l'Italia risulta essere carente nella realizzazione pratica di strategie
concrete e la messa a disposizione di risorse per un'effettiva ed efficace accoglienza.
Necessario promuovere strategie in grado di includere attivamente le lingue di origine degli studenti in modo
da sostituire il paradigma monolingue, il translanguaging rappresenta in quest'ottica una risorsa fondamentale.
Storia dell'educazione plurilingue nella scuola italiana
Già negli anni ‘60 don Milani aveva riconosciuto l’importanza del plurilinguismo(tante lingue insieme; diverso
da multilinguismo) come risorsa e diritto per maturare un sentimento di cosmopolitismo
Nel 1974 il 25% delle persone dichiarava di parlare sempre italiano, mentre il 51,3% di usare sempre il dialetto
e il 23,7% di usarli in modo alternato(popolazione italofona minoritaria rispetto a dialettofona).
Il sistema scolastico italiano prediligeva un modello di italiano standard(pedagogia linguistica tradizionale)
poco tollerante verso le deviazioni dalla norma, l’uso dei dialetti nei contesti educativi veniva spesso
sanzionato. Il modello insegnato era lontano dalla realtà, inoltre l’approccio didattico era incentrato sulla
valorizzazione della scrittura avvantaggiando i ceti sociali medio-alti.
In questo periodo inizia la promozione di un’educazione linguistica democratica, più equa e aperta
all’inclusione delle varietà dialettali e alla sperimentazione di nuove forme di didattica.
Vanno in questa direzione le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica di GISCEL del 1975, coi
seguenti principi: centralità del linguaggio verbale; tema dei diritti linguistici; promozione di una educazione
linguistica democratica(contrapposto a pedagogia tradizionale); importanza del background come punto di
partenza. Un’altra associazione che ha contribuito a sollecitare attenzione verso innovazioni didattiche in
chiave democratica è LEND, che ha lo scopo di condurre un lavoro di ricerca, sperimentazione, formazione e
aggiornamento degli insegnanti dell’area linguistica; diffondere nuovi orientamenti didattici; rinnovare
l’insegnamento nella scuola in un’ottica multiculturale. Anche il Movimento di Cooperazione
Educativa(MCE) si occupa di promuovere processi educativi e sociali che contribuiscono alla costruzione e al
rafforzamento di una società più democratica. Questa spinta dal basso è stata fondamentale per gettare le
basi di una riflessione sulla valorizzazione dei repertori linguistici.
L’espansione dei repertori linguistici nella scuola italiana
Con il flusso migratorio degli anni ‘70-’80 comincia a delinearsi un nuovo spazio linguistico, all’interno del
quale al plurilinguismo endogeno(italiano, dialetti e minoranze) si affianca un plurilinguismo esogeno(lingue di
origine dalle persone immigrate). Tale situazione di pluralità linguistica(neoplurilinguismo) inizia a interessare
anche la scuola italiana. Al fine di studiare e analizzare lo sviluppo dell’interlingua di persone di altre
nazionalità, inizia ad affermarsi la linguistica acquisizionale, con un progetto(Progetto Pavia) finalizzato a
indagare le sequenze di acquisizione dell’italiano da parte di stranieri. Il mondo della ricerca in collaborazione
con la scuola mette a punto strumenti per la rilevazione del background socioculturale e delle competenze
linguistiche e comunicative degli studenti, con la finalità di orientare la didattica in una direzione di maggiore
inclusività e garantire migliori processi di accoglienza(Glotto-kit).
La prima Circolare che menziona l’inserimento degli studenti stranieri all’interno del sistema scolastico italiano
risale al 1989 e sottolinea la necessità integrare la programmazione didattica con progetti specifici, sulla base
delle condizioni di partenza e degli obiettivi di ciascuno.
L’affermazione della didattica interculturale e la strutturazione dell’accoglienza
Gli anni ‘80 sono quindi un periodo di transizione verso un sistema sociale e scolastico caratterizzato dal
contatto dell’italiano con nuove varietà.
Gli anni ‘90 sono invece il periodo di consapevolezza nei confronti di questo nuovo spazio linguistico
complesso, dinamico ed eterogeneo. A livello istituzionale la scuola italiana sceglie la via interculturale,
prendendo le distanze dai paradigmi assimilazionisti o multiculturalisti e dedica un’attenzione crescente
all’educazione interculturale come strumento per valorizzare la presenza di studenti stranieri.
La circolare ministeriale 205 del 1990 menziona per la prima volta il concetto di “educazione interculturale”,
tema che verrà ripreso sempre più spesso e che funge da strumento che contribuisce a “normalizzare” la
presenza di studenti di altre nazionalità e parlanti altre lingue(indicazioni per l’accoglienza).
L’interculturalità si pone come strumento per valorizzare la pluralità come una risorsa funzionale a nuovi
approcci didattici tesi a promuovere principi e temi, quali la cittadinanza globale e l’antirazzismo(rischio di
banalizzazioni).
Iniziano a strutturarsi azioni strategiche e servizi funzionali a incoraggiare efficace accoglienza degli alunni
stranieri nella scuola italiana; vengono attivate iniziative di scambio culturale(Scambiando s’impara” 1996);
l’accoglienza viene incoraggiata e normata attraverso le indicazioni contenute nel D.P.R. n. 394 del
1999(promozione di percorsi didattici in italiano L2; riconosce minoranze linguistiche storiche in Italia).
Didattica interculturale, “lingue in contatto” e influsso prospettiva europea del plurilinguismo
Negli anni 2000 continuano a diffondersi progetti interculturali e di valorizzazione dei repertori linguistici. La
comunicazione interculturale viene rappresentata come un fenomeno complesso che include sia una
dimensione pregressa(conoscenze condivise o meno), sia una dimensione situazionale(negoziare significati).
Anche i riferimenti normativi(via italiana per scuola interculturale e integrazione di studenti stranieri) pongono
enfasi sull’importanza di valutare il background; far prevalere una valutazione formativa piuttosto che
certificativa. Viene inoltre affermato che il mantenimento della lingua d’origine è un diritto dell’uomo e
strumento fondamentale per la crescita cognitiva.
I contributi sulle “lingue in contatto” si focalizzano sulla rilevazione dei repertori plurilingui per evidenziare
eterogeneità di usi linguistici in contrapposizione a visione gerarchica della lingua.
Vengono valorizzate le figure del mediatore e del facilitatore linguistico, necessari per garantire pieno esercizio
dei diritti linguistici e un accesso efficace ai contenuti da parte di bilingui emergenti.
Importante sottolineare l’affermazione del concetto di linguistica educativa, che ha per oggetto la lingua vista
in funzione del suo apprendimento, dell'insegnamento e dello sviluppo delle capacità semiotiche, ma anche
l'elaborazione di approcci, metodi e tecniche didattiche che servano a potenziare l'apprendimento e l'insegnamento
linguistico.
L’impatto dei documenti emanati a livello europeo incoraggia lo sviluppo di nuovi approcci sperimentali, sono
questi gli anni in cui inizia a emanciparsi il CLIL(Content and Language Integrated Learning).
Crescente attenzione verso legittimazione dei repertori plurilingui
Svolta degli anni 2000 caratterizzata da allargamento campi d’interesse verso il plurilinguismo(documenti
europei, diversi gradi scolastici)
Per quanto riguarda la dimensione politica educativa e linguistica abbiamo processi di promozione delle
lingue d’origine e una consapevolezza della loro importanza per lo sviluppo cognitivo(interdisciplinarietà;
inclusione e integrazione; ottica policentrica che coinvolga famiglie, enti e figure professionali; necessario
potenziare biblioteche scolastiche con offerta multilingue e pluriculturale).
Ci si allontana infine dall’ottica compensativa(Diversi da chi?), secondo cui gli stranieri sono svantaggiati, per
passare ad una che valorizzi i repertori linguistici e una formazione dei docenti sul tema della diversità
linguistica. Anche le Indicazioni nazionali enfatizzano il ruolo del plurilinguismo per la formazione di un senso
di cittadinanza.
Per quanto riguarda la dimensione dell’educazione linguistica e della didattica delle lingue si è assistito ad una
affermazione di lingue extraeuropee nel curricolo(cinese, arabo)
Verso il translanguaging: esperienze recenti di didattica plurilingue innovativa
Per quanto riguarda le esperienze e le sperimentazioni basate sulla legittimazione delle lingue di origine, negli
ultimi anni sono stati portati avanti diversi progetti innovativi in classi plurilingui attraverso approcci, modalità e
azioni di varia tipologia, che condividono però le basi concettuali e alcuni obiettivi di partenza: propensione
verso la piena legittimazione didattica di repertori linguistici plurali; valorizzazione delle lingue di origine degli
alunni in un’ottica di de-gerarchizzazione linguistica e di maggiore equità fra le lingue; volontà di garantire il
pieno esercizio di diritti linguistici a scuola; sviluppo delle competenze metalinguistiche(language awareness);
valorizzazione delle lingue in quanto tali(promozione pluralità linguistica); promozione di un senso di
cittadinanza globale.
Prendendo in considerazione la suddivisione operata da Favaro (2014) in 3 fasi temporali in riferimento alla
scuola multiculturale italiana(accoglienza; dei dispositivi di integrazione; dell’inclusione), potremmo ipotizzare
di trovarci adesso in un processo di graduale emersione di una nuova fase: quella della “piena legittimazione
didattica dei repertori plurilingui”.
Si elencano di seguito alcune esperienze condotte negli ultimi anni in scuole plurilingui d’Italia:
-Progetto “Valorizzazione del plurilinguismo” (2014-2015; Pistoia; secondaria I e II grado): laboratori dedicati a
specifici sistemi linguistici(cinese,lingue inventate,LIS…) con l’obiettivo di far riflettere sulla ricchezza apportata
dalla pluralità di codici linguistici e semiotici con cui le scuole plurilingui si confrontano.
-Progetto “Noi e le nostre lingue” (2015, Torino; primaria): incontri annuali per presentare caratteristiche
fonologiche, morfologiche, sintattiche e semantiche di più lingue, con l’obiettivo di lavorare sulla dimensione
della metalinguisticità riflessiva e sullo sviluppo di abilità di riflessione su sistemi linguistici diversi.
-IRIS: (2017; progetto Erasmus+): hanno partecipato 6 paesi europei; in Italia il progetto è stato coordinato
dall’Università degli Studi di Milano in 14 classi, dalla primaria alla secondaria di secondo grado(province di
Milano e Pavia). Il percorso è stato suddiviso in 3 tappe: Le autobiografie linguistiche degli
insegnanti(consapevolezza); La fotografia linguistica della classe(visibilità); La scoperta delle lingue(colori,
alfabeti, contatti). L'obiettivo è ampliare le conoscenze plurilingui e interculturali degli insegnanti e favorire lo
sviluppo di un contesto più positivo e inclusivo per gli alunni neo-arrivati.
-Progetto “RepertoirePlus” (2016; Alto Adige). Duplice scopo: rilevare i repertori linguistici di un campione di
studenti e le modalità attraverso cui questi vengono messi in pratica e valorizzati in situazioni di interazione
plurilingue; sviluppare strumenti con cui possano essere descritti l’ampiezza e l’uso di repertori linguistici, al
fine di promuovere nel miglior modo possibile le competenze plurilingui nell’ambito educativo.
-Progetto “Che lingua è il matematichese?” (2019; Bolzano; quarte e quinte primarie): per facilitare
l’insegnamento della matematica in italiano, in tedesco e nelle lingue di origine degli studenti.
-Progetto “Lingua Italiana-Lingua di Origine” (2013-2015; Genova; classi con presenza di ispanofoni): per
sostenere l’uso dello spagnolo come lingua di origine, come strumento per valorizzare competenze bilingui dei
numerosi alunni ispanofoni. Considerato il primo progetto di translanguaging intrapreso nella scuola italiana.
-Progetto "L'AltRoparlante" (2016) in una rete interregionale di scuole di diversi ordini, basato sul paradigma
del translanguaging come pratica didattica.

PROGETTO L’ALTROPARLANTE: PEDAGOGIA DEL TRANSLANGUAGING NELLA SCUOLA ITALIANA


Obiettivi e contesti
Il nome del progetto rispecchia la volontà di dare voce alle lingue degli altri, sottolineando che l'alterità
rappresenta sempre un valore aggiunto. Tre scopi principali sono: promuovere e praticare una didattica basata
sul translanguaging per sostenere lo sviluppo della competenza plurilingue incoraggiando il mantenimento
della lingua d’origine e incentivando la riflessione metalinguistica(ambiente linguistico ecologico); verificare
l’impatto esercitato dalla costruzione e dall’esposizione ad attività basate sul translanguaging sulle pratiche
comunicative; supportare lo sviluppo di dinamiche di empowerment degli studenti di origine straniera
attraverso la promozione di un ambiente favorevole allo sviluppo di multilingual literacy skills(capacità di
autoaffermazione).
Il progetto è stato portato avanti in 4 istituti scolastici. Le differenze riguardano la proporzione fra alunni
stranieri di prima e seconda generazione(maggiori); l’eterogeneità in termini di provenienza geografica e
repertori linguistici; l’espansione del contesto(3/4 si trovano in piccoli centri, l’altro in una città di medie
dimensioni dove è più facile esercitare i propri diritti linguistici). Ciò che invece accomuna le scuole è il fatto di
considerarsi come contesti superdiversi, dove la differenza è percepita come la norma. Tale situazione porta
spesso a ritenerle ingiustamente “scuole ghetto” e incoraggia molti genitori di alunni italiani a iscrivere i propri
figli in scuole limitrofe con una minore presenza di stranieri.
-Istituto comprensivo “Martiri della Benedicta” di Serravalle Scrivia(Alessandria)
Alta percentuale di residenti e studenti(20,5%) con background migratorio. La maggioranza degli studenti è
nata in Italia, ma i principali luoghi di provenienza dei genitori sono Marocco, Tunisia, Albania, Romania,
Polonia, Russia, Ecuador, India, Nigeria. Grazie al contributo di tutti gli attori coinvolti l’istituto è diventato un
avamposto in termini di accoglienza e dialogo. Al momento sono incluse nel progetto 4 classi di scuola
dell’infanzia, 13 classe della primaria, 4 classi della secondaria di primo grado; per un totale di circa 40
docenti.
-Istituto comprensivo di Cerreto Guidi(Firenze)
I residenti di nazionalità italiana rappresentano il 14,7% della popolazione totale; fra questi il 66% sono cinesi,
seguono albanesi, rumeni e polacchi. All’interno del gruppo sinofoni(cinesi) esiste una eterogeneità che
dimostra quanto un contesto appuntamento omogeneo possa essere intrinsecamente superdiverso.
-Istituto comprensivo “Marco Polo”(Prato)
Alta percentuale di studenti con background migratorio, con forte prevalenza di cinesi. La nazionalità cinese
non rappresenta solo la prima fra quelle straniere, ma anche la prima in assoluto all’interno dell’Istituto
precedendo quella italiana. Come per la scuola precedente i luoghi di provenienza degli alunni sinofono sono
vari e la prima generazione padroneggia il dialetto della zona d’origine, oltre al cinese mandarino. Altre lingue
ben rappresentate sono albanese, urdu, rumeno, tagalog, bengali, arabo marocchino. Si registra un numero
non trascurabile di alunni neo-arrivati, anche se si sta stratificando sempre di più una percentuale di studenti di
seconda generazione.
-Istituto comprensivo “G. Bertolotti”(Gavardo)
Contesto caratterizzato da importanti flussi di immigrazione da diverse aree geografiche, in particolare
Pakistan, Marocco, Romania, Albania, Senegal, Africa sub-sahariana(Ghana, Burkina Faso, Nigeria). Forte
presenza di bambini che non padroneggiano lettura e scrittura nella lingua d’origine implica necessità di
prestare maggiore attenzione alla dimensione orale.
Progetto di ricerca-azione trasformativa
Il progetto AltRoparlante si configura come una ricerca-azione trasformativa in cui il mondo della scuola e della
ricerca attivano un dialogo basato sull’apprendimento reciproco.
Uno dei primi elementi trasformativi consiste nella relazione docenti e ricercatori: il ricercatore innesca
l’iniziativa tramite la formazione iniziale e funge da supporto nella pratica e nella programmazione didattica;
l’insegnante è coinvolto nella ricerca(non sulle insegnanti ma con e per) per migliorare le pratiche in classe e
creare un circolo di sperimentazione di strategie strumenti su misura.
Col termine trasformativo si intende l’idea di esercitare un cambiamento di attitudine nei soggetti coinvolti e
nella comunità intera, alimentando una riflessione costante sui principi dell’educazione linguistica democratica.
Il percorso che ogni scuola intraprende quando si inserisce nella rete del progetto L’AltRoparlante è articolato
in sei tappe:
-Contatto: avvicinamento fra ricercatori e scuola, incontri coi dirigenti e docenti, indicazioni sulle necessità
educative e linguistiche. Ricercatori espongono visione di bilinguismo e pedagogia del translanguaging.
-Formazione: per docenti e famiglie, sullo scardinamento dell’ideologia monolingue(critical multilingual
language awareness) verso una consapevolezza dei diritti linguistici e del plurilinguismo come risultato di un
confronto. L’obiettivo non è la trasmissione di concetti e pratiche ma generare una presa di posizione dei
docenti nei confronti del bilinguismo come risorsa a cui attingere.
Per i genitori gli incontri tendono a sfatare i falsi miti sul bilinguismo, evidenziando i vantaggi cognitivi e
proponendo strategie per sostenerne lo sviluppo(biliteracy: materiale di lettura).
-Rilevazione etnografica: realizzato attraverso attività ludiche e raccolte di dati(strumenti offerti da ricercatori)
per far emergere emozioni e schemi percettivi legati ai repertori linguistici, al fine di attingere ai diversi
repertori in modo rispettoso e strategico. Non fornisce solo supporti teorico-pratici per l’interpretazione dei
contesti, ma contribuisce a focalizzare sul carattere complesso delle singole individualità e
sull’interdipendenza micro-meso-macro(dal contesto piccolo al grande e viceversa; usi sociolinguistici…). Per
porsi come etnografi e osservare i processi di trasformazione degli schemi percettivi è necessario adottare la
prospettiva dell’ascoltatore attivo, in cui l’oggettività lascia spazio alla soggettività dell’osservatore.
Nel progetto L’AltRoparlante si svolgono attività di ice-breaking di tipo collaborativo e ludico, per sensibilizzare
gli studenti alla pluralità linguistica, identificando resistenze o rifiuti iniziali dei singoli bambini verso lingue
d’origine.
Particolare importanza riveste la biografia linguistica, una risorsa multimodale funzionale a indagare
dinamiche di interazione fra repertori plurilingui collettivi e individuali. Prevede la consegna dell’immagine di
una silhouette in bianco e nero da colorare associando delle lingue ad ogni colore; infine viene invitato ad
argomentare le scelte fatte. Alcune delle silhouette emerse sono: biografie contenenti visibili separazioni tra
competenze linguistiche(sempio testa divisa in due, percezione di competenza bilingue a compartimenti stagni
e difficoltà a mettere in relazione i diversi codici); biografie con primi segnali di consapevolezza linguistica(casi
in cui distinguono lingue che sentono, parlano e conoscono); biografie con segni di appartenenza e legami
identitari(contengono simboli geografici come la bandiera della nazione ed evidenziano l’affermazione di
schemi identitari); biografie arlecchino(considerevole varietà cromatica abbinata a percezione di repertorio
linguistico plurale non necessariamente padroneggiato; questa tipologia emerge nei contesti abituati a lavorare
in chiave plurilingue).
-Progettazione e primo livello di implementazione(Design): costruzione, in collaborazione con insegnanti,
di attività translinguistiche integrate nella didattica a livello curricolare. Si inizia con la ristrutturazione dello
spazio linguistico, che garantisce il livello di mantenimento plurilingue, attraverso tecniche di linguistic
schoolscape(etichettatura locali scolastici;dizionario plurilingue; bacheca plurilingue, realizzabili in modalità
libera, italiano come L2, routine, disciplinare, rendicontazione), si continua con l’organizzazione di momenti di
storytelling plurilingue da parte delle famiglie(obiettivo di coinvolgere genitori ed esporre gli alunni a testi
orali in lingue diverse per promuovere consapevolezza; può essere necessario mediatore linguistico; spiccata
transdisciplinarietà dei testi orali e possibile adattamento a contenuti disciplinari) e si termina proponendo
attività che ruotano intorno a tali testi, stimolando il lavoro cooperativo nella fasi ricettiva, di analisi e
produttiva.
-Implementazione avanzata e monitoraggio(Shift): docenti più autonome(dopo circa due anni consecutivi) e
capaci di adattare i materiali, oltre che in grado di guidare riflessioni esplicite sui diritti linguistici. Grazie allo
scaffolding plurilingue gli alunni sanno gestire diverse tipologie testuali e fare comparazioni sul funzionamento
linguistico. L'impianto della ricerca sostiene il monitoraggio delle attività, con incontri mensili di
programmazione e formazione continua.
Generalmente si procede con un approccio testuale, attraverso un testo plurilingue che contenga anche una
presenza grafica dalle lingue della classe. solitamente si comincia sulla dimensione della ricezione(formare
parola riordinando i grafemi, abbinamento parole immagini…), per poi incoraggiare la stesura di testi sulla
base di input forniti(lavoro cooperativo; testi che cambiano lingua ad ogni paragrafo oppure in italiano ma con
frequenti parole in altre lingue; l'obiettivo e rendere gli studenti partecipi di un processo di manipolazione e
costruzioni delle lingue incoraggiando decostruzione gerarchica e una riflessione metalinguistica). Questo
input può essere di diversi tipi, se partiamo da uno in lingua italiana possiamo applicare una serie di strategie:
skimming(esplorazione del testo, comprende la riflessione sul titolo e ipotesi sul contenuto); analisi parole
chiave(dopo la prima lettura si individuano parole significative e la loro trasposizione nelle lingue); scanning(il
testo viene scandagliato in modo selettivo per individuare informazioni precise le domande possono essere
poste in diverse lingue); schemi e mappe(struttura basata sulle relazioni gerarchiche fra concetti esplicitate
tramite la lingua); riformulazione(delle parti del testo più complesse; importante la direzionalità cioè la
traiettoria linguistica, da italiano a lingua di origine o viceversa); trasformazione(passaggio da discorso
indiretto a quello indiretto, possibile attività realizzazione di un fumetto); sintesi(riassunto del testo italiano nella
lingua di origine ed esposizione alla classe).
In alcuni casi non è possibile ricorrere a una dimensione scritta(all'infanzia), è possibile proprio unificare
attività stimolando le abilità orali(riferimenti topologici, parole legate alla routine, silent book ovvero libro con
solo immagini che i bambini devono narrare).
-Disseminazione e comunicazione: i materiali didattici elaborati, alcuni estratti delle registrazioni e le
considerazioni teoriche e pratiche vengono condivisi tra docenti e attraverso la rete l’AltRoparlante, con
incontri annuali e seminari aperti a tutti, affinché le buone pratiche plurilingui e pluriculturali possano costituire
un modello educativo e relazionale.
L’insegnante ricercatore e le “domande essenziali”
Indispensabile tracciare una serie di domande su cui ogni insegnante o educatore dovrebbe interrogarsi prima
della pianificazione di un percorso didattico orientato alla pedagogia del translanguaging. Queste domande
spingono il docente a ipotizzare soluzioni, raccogliere info e sperimentare diverse alternative a seconda del
contesto di lavoro:
-chi sono io?
fa riflettere il docente sul proprio approccio didattico, indispensabile per individuare spazi translingustici e
adattarli al proprio stile
-com’è composta la mia classe? i miei studenti di origine straniera sono..? quanti anni hanno i miei studenti?
fase di rilevazione etnografica per conoscere competenze linguistiche e predisposizione emotiva rispetto al
proprio repertorio, in modo da adattare le attività a seconda del contesto(se uno non conosce scritto mi
concentro sull’orale).
-quali risorse, supporti o soggetti possono coinvolgere?
rilevante in fase di progettazione, l’insegnante non può conoscere tutte le lingue presenti nel contesto, è quindi
necessario un riposizionamento in chiave collaborativa con gli attori coinvolti, scardinando i consueti ruoli di
educatori, studenti e genitori.
-che input posso proporre? in che lingua propongo l’input? quali attività corredate all’input posso proporre?
quali attività di output posso proporre?
relativo a progettazione e implementazione delle attività orientate alla pedagogia del translanguaging. Alcuni
degli elementi più rilevanti sono la bacheca plurilingue e l’intervento dei genitori, ma l’input può essere
rappresentato da un testo orale, scritto, un video, un’immagine, un oggetto.
La scelta della tipologia di input deriva dagli obiettivi posti dal docente e dalle caratteristiche linguistiche della
classe(sviluppo abilità multilinguistica, testo plurilingue).
Fondamentale che le attività di analisi e sfruttamento dell’input, così come quelle di output siano plurilingui.
-come valuto?
La valutazione è uno dei punti più vulnerabili del concetto di translanguaging; da un punto di vista educativo
sono disponibili una varietà di strumenti: descrittori FREPA/CARAP per competenze multilinguistiche;
valutazione performance based se è prevista la realizzazione di una presentazione.
Esempio di unità di lavoro/apprendimento
Importante una programmazione trasversale e verticale con una progressione degli obiettivi trans linguistici nel
tempo; alcuni elementi della struttura proposta del gruppo CUNY-NYSIEB possono essere adattati nel
contesto italiano. Nasce quindi la proposta di un modello articolato in due parti: il Quadro Generale
dell'Unità(Competenze chiave per l'apprendimento permanente, obiettivi di apprendimento dalle Indicazioni
nazionali, competenze e saperi di tipo plurilingue riferiti al FRERA/CARAP) e le Fasi di sviluppo(modello
operativo dell'Unità di lavoro/apprendimento).
Le fasi delle UdlA sono: motivazione, analisi, globalità, sintesi, riflessione, rinforzo, verifica e valutazione,
feedback
L’UdlA “Come vivere felici: diritti, doveri, individui e società” è un esempio di percorso svolto in tre lezioni. La
classe era già inserita nel progetto l'altroparlante e quindi era già stata svolta una ricerca etnografica ed è
stato possibile proporre un percorso quasi esclusivamente sulle competenze bilingue e metalinguistiche
Come prima attività c'è un approccio iniziale al testo in lingua italiana partendo dal titolo della sua
lettura(explorar). Il docente presenta una pluralità di risorse testuali,Successivamente viene inserito l'uso della
bacheca plurilingue è la prima lezione si conclude con una riflessione collettiva sulla domanda “Come vivere
felici?”(Evaluar, studenti si confrontano in modo critico sul testo per esprimere i propri pensieri).
Durante la seconda lezione gli studenti, a gruppi, redigono un testo argomentativo su un ambito da loro
individuato funzionale per vivere nella società( ambiente non inquinato, libertà di espressione, lotta alla
violenza e razzismo,...). La pianificazione del testo si è svolta in lingua italiana e la redazione è venuta in
entrambe le direzionalità(da italiano a lingua d'origine e viceversa; Imaginar, studenti costruiscono in modo
collaborativo idee e sperimentano l'utilizzo delle lingue).
Nell'ultima lezione gli studenti hanno esposto la classe i testi prodotti, potevano scegliere se presentare prima i
testi in una lingua o nell’altra, o se presentarne alcune parti in italiano e altre nella lingua d'origine. Al resto
della classe erano stati assegnati diversi compiti per stimolare l'ascolto attivo, come individuare espressioni
ricorrenti o termini simili all'italiano e alle loro lingue d'origine(presentar).
I testi realizzati sono stati raccolti in un fascicolo in attesa di un momento di incontro con una rappresentante
dell'amministrazione comunale per discutere i temi proposti, conducendo gli studenti fuori dall'aula scolastica
per agire attivamente sulla comunità(implementar).

-Verso una nuova lingua: capire l’acquisizione di L2; cap 1-2-3-4


L’OGGETTO: COS'È UNA SECONDA LINGUA e COSA SIGNIFICA ACQUISIRE UNA LINGUA
Acquisire…
Con acquisizione di una lingua si intende il fenomeno per cui un essere umano diventa progressivamente
competente nell’uso di una lingua per la comunicazione(diventa un “parlante”). La linguistica acquisizionale
studia processi e meccanismi di acquisizione di una lingua, spesso intesa come seconda lingua.
Una lingua acquisita nella prima infanzia madrelingua, lingua nativa o lingua materna. L'acquisizione è
innescata dall'esposizione agli input di una lingua ovvero dalla possibilità di ascoltarla all'interno di un contesto
che consenta di comprenderla. Attraverso l'interazione con i propri simili è quindi possibile acquisire una lingua
spontaneamente(anche per sordi con lingua dei segni).
Differenza fondamentale(fundamental difference)
Se nell'infanzia si impara naturalmente a interagire oralmente(altre forme come lo scritto non sono esperienze
universali e spontanee), con l'avanzare dell'età l'acquisizione di altre lingue(seconde) diventa più difficoltosa e
variabile. I motivi della diversità di tali esiti sono in buona parte sconosciuti, non sono da ricercare nella diversa
natura dell'oggetto di acquisizione(tutte le lingue sono strutturalmente simili).
Un primo aspetto riguarda le condizioni in cui si trova l’essere umano nel momento dell'acquisizione da
madrelingua rispetto alle seconde lingue, sul piano cognitivo(L1 può rallentare L2) ed emotivo(motivazioni;
rapporti relazionali e pratiche comunicative).
Acquisire vs Insegnare
Linguistica acquisizionale e glottodidattica hanno un comune interesse per l'acquisizione di seconda lingua ma
hanno finalità diverse: la prima è interessata all'osservazione del processo di acquisizione( processi cognitivi,
atteggiamente, contesti di acquisizione naturale) per spiegare i fattori che la rendono possibile; la seconda alla
riflessione sull'insegnamento delle lingue, allo sviluppo di proposte metodologiche e relativi effetti, a strumenti
di verifica(contesti di acquisizione guidata) per rendere l’apprendimento più efficace.
La prima è centrata quindi sul discente, la seconda sul docente; entrambe però hanno interesse nelle
rispettive ricerche, coniando il termine di didattica acquisizionale(studi della linguistica acquisizionale aiutano
glottodidattica nella progettazione di interventi efficaci; ricerca glottodidattica aiuta linguistica acquisizionale
nell'esplorare gli effetti di specifiche tecniche didattiche sui percorsi di acquisizione).
Acquisire vs Sapere: sistemi statici e dinamici
Nel processo di acquisizione l'apprendente è costantemente confrontato con l'input dei parlanti con cui è in
contatto, cioè il loro sistema linguistico stabile che funge da modello(target; la varietà linguistica utilizzata dai
parlanti è definita varietà target). Il percorso di apprendimento può essere descritto come un percorso di
progressiva ricostruzione di un sistema linguistico.
La presenza di errori regolari(avverbio sempre dopo verbo…) ha suggerito che il comportamento degli
apprendenti una lingua abbia tratti di sistematicità, cioè rispecchi un sistema linguistico instabile e in
evoluzione chiamato interlingua o varietà di apprendimento(non coincide con la lingua dei parlanti ma può
essere considerata una sua varietà).
L'apprendente una seconda lingua è, in ogni fase del suo percorso, un parlante della stessa. L'evoluzione
linguistica dell'apprendente è ricostruibile dal progressivo modificarsi dal suo comportamento linguistico ma ciò
che è osservabile è il suo comportamento linguistico in ogni fase del percorso acquisizionale(comportamento
come parlante).
…una lingua seconda
La distinzione tra madrelingua e altre lingue acquisite rimanda alla biografia linguistica di un individuo, in
particolare ai modi e i tempi in cui sono state acquisite, tuttavia la distinzione è usata spesso in riferimento alle
competenze. Sul piano biografico si definisce lingua materna(L1) quella che si acquisisce in età infantile nella
socializzazione primaria, le lingue acquisite dopo la prima infanzia vengono dette lingue seconde(L2,
indipendentemente dal numero di lingue apprese). Si distingue ulteriormente fra lingua seconda, terza…,
facendo riferimento all'ordine in cui sono state apprese o al livello di competenza(dominanza).
I contesti di acquisizione e le occasioni d'uso possono essere vari, in linguistica acquisizionale si definisce
lingua straniera quella che viene appresa fuori dalla comunità di parlanti nativi, tipicamente nel contesto
scolastico.
Parlanti nativi si nasce, ma parlanti competenti si diventa
Esposizione precoce a una lingua garantisce un vantaggio acquisizionale, ma non è sufficiente a garantire una
piena competenza(lingua contesto sociale, alfabetizzazione…).
Per cogliere la distinzione fra lingue native e non native Berruto definisce parlante nativo continuo, una
persona la cui pratica in quella lingua si è protratta con costanza dall’infanzia in diverse situazioni
d’uso(alfabetizzazione e scolarizzazione). Si parla di parlante quasi nativo per identificare colui che ha
appreso una lingua seconda e ne ha sviluppato una competenza elevata(criterio di competenza e geografia
congiunti). Si definiscono invece heritage speakers i parlanti che hanno appreso una lingua all'interno del
contesto familiare che trova però usi ridotti all'esterno. Questa lingua d’origine è per l’individuo una lingua
nativa con ambiti d’uso ristretti e quindi con una competenza probabilmente limitata.
In presenza di una scarsa competenza in una lingua a cui si è esposti dall’infanzia, si parla di semi-parlante.
Oggi non si parla più solo di competenza linguistica, ma di competenza comunicativa, che tiene a conto delle
varietà linguistiche e dei contesti in cui vengono usate(riesco ad essere scortese quando voglio?), oltre che del
fatto che l'uso fa la norma.
Acquisizione e perdita di competenza
Nelle spese comune la fragilità pare caratterizzare la competenza nelle seguenti lingue sebbene sia possibile
perderle anche nella lingua materna. Berruto adotta la denominazione di parlante ex-nativo nel caso di una
persona che stia perdendo la lingua della socializzazione primaria a favore di un’altra(mutano condizioni di
esposizione; frequente in condizioni migratorie); si parla di fenomeno di attrition(erosione linguistica).
Le competenze linguistiche non sono quindi stabili nel tempo, nemmeno per le lingue native e l'acquisizione di
nuove lingue può avere ripercussioni su quelle già conosciute(la causa non è l'apprendimento di una nuova
lingua ma l'uso dominante dalla stessa).
Bilinguismo e acquisizione di L2, parlanti nativi in più lingue
Termine plurilinguismo può essere usato in riferimento a diverse situazioni: in riferimento a una popolazione si
parla di plurilinguismo comunitario, ovvero una percentuale significativa di popolazione caratterizzata
dall'uso di più lingue(Belgio; Trentino Alto Adige; dialetti italiani; Africa, Asia…); quando invece facciamo
riferimento a un fenomeno individuale parliamo di plurilinguismo individuale.
Anche in questo caso però può essere utilizzato in termini più o meno specifici: può essere inteso come due
lingue un parlante che ha competenze in più lingue oppure si può fare riferimento solo alle lingue native
dell'individuo(condizione tipica dalle famiglie con due genitori di origini diverse).
Solo con l'esposizione infantile e la socializzazione primaria si può parlare di acquisizione bilingue(bilingue
nativo, definito da Berruto semi-nativo per evidenziare differenza rispetto ai nativi monolingui); si parlerà
invece di acquisizione di seconda lingua in età infantile nel caso l'esposizione avvenga al di fuori del
contesto di socializzazione primaria(asili plurilingui, scuola dell'infanzia…).
Si parla di bilinguismo bilanciato nel caso di un parlante ugualmente competente in entrambe le
lingue(utopia utile per fissare uno standard) altrimenti si parla di dominanza di una delle lingue(caso estremo
quando si ha una competenza solo recettiva per una lingua). Si parla anche di bilinguismo ascendente(in via
di sviluppo) o bilingui incipienti(all'inizio) e bilinguismo recessivo(“dimentichi” lingua).
Differenza fra parlanti bilingui e monolingui si sono osservate a più livelli: competenza, accettabilità di
specifiche strutture linguistiche, neurolinguistiche(parlante nativo bilingue non è somma di due monolingui).
Cook propone la nozione di multicompetenza per identificare la specificità della competenza del parlante
plurilingue e distinguerla dalla somma delle competenze di più parlanti monolingui.
Parlanti nativi di nessuna lingua
Un individuo privo di lingua materne sarebbe un individuo che, nella socializzazione primaria, non è stato
esposto ad alcuna lingua naturale. Si tratta di casi rari in condizioni di estremo abbandono, condizione detta di
deprivazione. Nei pochi casi documentati la tardiva esposizione ad una lingua ha dato esiti di acquisizione
molto limitati, nemmeno comparabili a quelle sviluppate nell'acquisizione di seconda lingua(non equiparabili né
a parlanti nativi né a parlanti lingue seconde). Da questo punto di vista non si può essere parlanti di sole lingue
seconde senza avere una lingua nativa perché si perde la finestra di opportunità per l'acquisizione linguistica,
deviando così tutti i processi successivi.
Si definisce un parlante semilingue colui che conosce una o più lingue, ma non è in grado di usarle per
attività cognitive e comunicative diverse dalla comunicazione interpersonale di base(rischio delle pratiche
scolastiche a discapito della lingua materna è creare tale classe).

IL PRODOTTO: COM'È FATTA LA LINGUA DI CHI IMPARA UNA SECONDA LINGUA


Descrivere una seconda lingua
Competenza del parlante nativo
La nozione di errore, nel descrivere il comportamento di un apprendente, richiede sempre una comparazione
con il comportamento di un parlante nativo competente(apprendente commette errore se usa una struttura che
parlante non userebbe, ma anche in base a frequenze d’uso di certi aspetto: sottoutilizzo o sovrautilizzo).

Ricerca di sistematicità: analisi degli errori


Corder rimanda all’importanza della regolarità nel comportamento, anche deviante, di un apprendente,
distinguendo tra errors(errori sistemici) e mistakes(errori occasionali). La semplificazione rappresenta
quindi l'esito di una strategia che l'apprendente mette in atto; in alcuni casi può avere valore esplicativo(ad
esempio in termini di decodifica dell’input che non percepisce forme di scarsa salienza o trasparenza: “mia
mamma di Giada” non decodifica significato di mia).
Alcuni esempi di errori sistematici sono: omissione di morfemi funzionali o semiliberi come forma di
semplificazione(preposizioni, ausiliari…); riduzione di opposizione funzionali legate a determinati alternanza di
forme(singolare/plurale usati indistintamente); sovraestensione quando si usa una forma per coprire spazi
funzionali di altre forme(terza persona “io beve”; preposizione per “andato per Egitto”); regolarizzazione o
formazioni analogiche quando l’apprendente conia una forma o un uso non esistenti(vado-vadato invece di
andato, perché costruita per esempio sul modello parlo-parlato).
Un esempio particolare è il caso fato-fatto, che potrebbe derivare da una semplificazione funzionale sul piano
fonetico(non percepisce t) o da una forma regolarizzata(parla-parlato/ fa-fato). Questo ci mostra come la
categoria di errore non sia semplice da definire e richiede una riflessione più esplicita, ma soprattutto una
definizione dei limiti entro cui una struttura è considerata non target(non del sistema nativo; “Pensavo che
Genova era una grande città” si discosta dall’italiano standard ma non dal sistema linguistico dell’italiano). La
nozione di errore è talvolta troppo semplificatoria nella sua dicotomia corretto/sbagliato, il solo confronto con le
forme target non è sufficiente a descrivere il comportamento dell’apprendente(mani belli; risposti semplici;
sedie bianchi; non possiamo sapere se si tratta di errore lessicale genere-nome, morfologico nome-aggettivo,
fonetico). Spesso solo la regolarità dell’errore ci consente di fare supposizioni(se sbagli coniugazioni di alcuni
verbi e non di altri forse il problema è la percezione fonetica).
Un’ultima cautela riguarda la sovrapposizione dei piani descrittivo(comparazione comportamento di
apprendente e nativo) ed interpretativo(spiegazione comportamento dell'apprendente): apprendenti italiano
usano poco i pronomi clitici e si suppone sia perchè essendo complessi li evitano, ma potrebbe essere per
diverse cause(producono testi con minor numero di frasi subordinate e coordinate e ne hanno meno bisogno;
preferiscono costruzioni più esplicite…). Non quindi una strategia di evitamento, ma l’uso di strutture che non li
richiedono.
Critiche all’approccio comparativo
- La nozione di fallacia comparativa evidenzia la distorsione nella descrizione dei dati, e quindi nella loro
interpretazione, che può essere provocata dalla comparazione con il parlante nativo(uso non accorto della
nozione di errore). Se per esempio facciamo riferimento alla sovraestensione della terza persona, osservando
i dati possiamo accorgerci che l'apprendimento delle forme in terza persona è più alto rispetto alle altre(dal
punto di vista della forma usata per esprimere le varie funzioni le forme di terza persona risultano più corrette,
ma dal punto di vista delle funzioni espresse dalle varie forme sono più scorrette perché spesso sovraestese).
Solo un'osservazione complessiva ci consente di comprendere in modo coerente(alunni cinesi osservati usano
terza persona singolare in modo generalizzato producendo a volte risultati corretti e altre no).
La fallacia consiste nel considerare l'errore una strategia anziché il risultato di una strategia; l'errore rischia di
essere trattato come causa e spiegazione del comportamento dell'apprendente, ma costituisce solo il risultato
di una comparazione fra il comportamento suo e di un parlante competente.
- La nozione di fallacia di prossimità mette in guardia dal fatto che il comportamento degli apprendenti possa
essere spiegato sulla base del grado di somiglianza con il comportamento di parlanti nativi. L'obiettivo non è la
misurazione della discrepanza, ma la ricostruzione di una sistematicità interna al comportamento
dell'apprendente che deve essere osservato senza preoccupazioni relative al corrispondente del
parlante(bisogna quindi osservare più volte in diversi contesti gli errori dell'apprendente per poterli
comprendere).
- Con fallacia monolingue si intende considerare il caso del parlante nativo monolingue come paradigmatico
(esito del percorso di formazione linguistica) portando ad un'aspettativa che l'apprendente possa essere
descritto come la somma di parlanti monolingui, confrontandolo con comportamenti di parlanti monolingui delle
stesse lingue. Proprio per la competenza plurilingue i parlanti di questo genere hanno comportamenti diversi
da quelli tipici dei monolingue(usare più codici in stessa comunicazione, competenze sbilanciate) e
considerare questi aspetti come deficit costituisce un difetto metodologico(Cook, multicompetenza).
Opportuno ribadire la nozione di parlante nativo monolingue quanto quella di errore, poggiate sulle due fallace
esposte, costituiscono utili categorie descrittive da non demolire per un malinteso politicamente corretto.

Ricerca di sistematicità: varietà e sequenze di apprendimento


In una prospettiva che accoglie la fallacia comparativa la sistematicità può essere descritta evitando la
comparazione con sistema target e puntando alla ricostruzione di un vero e proprio sistema linguistico degli
apprendenti.
L'osservazione del comportamento degli apprendenti manifesta tratti di sistematicità su diversi piani:
individuale(in un dato momento del percorso manifesta regolarità nel proprio comportamento linguistico);
interindividuale(regolarità si manifestano fino apprendenti diversi dalla stessa lingua); evolutivo(regolarità si
manifesta nella transizione tra uno stadio e un altro dello sviluppo della competenza)
I sistemi linguistici che gli apprendenti manifestano sono definiti sistemi approssimativi, varietà idiosincratiche,
interlingue, varietà di apprendimento; queste denominazioni pongono l'accento su alcune proprietà: presenza
di sistematicità, specificità di tali sistemi distinti dalla lingua target, loro transitorietà.
Oltre ad una sistematicità sincronica, manifestata in un dato momento del percorso di apprendimento, le
varietà di apprendimento si manifestano anche come sistematicità evolutiva, relativa la transizione da una
tappa all'altra del percorso. Questo può essere analizzato attraverso un'osservazione longitudinale( prolungata
nel tempo) o comparazione trasversale(gruppi di livello diverso). Le varietà di apprendimento mostrano una
notevole sistematicità nelle direzioni di sviluppo e nelle tappe attraversate(es: all’inizio della fase di
apprendimento usare l’infinito invece del presente…) ma non si osserva la medesima regolarità nella velocità
dello sviluppo.
Ricerca di sistematicità: stadi di apprendimento
Accanto alla ricostruzione delle tappe di sviluppo la ricerca tenta di individuare criteri e principi che possono
caratterizzare in modo più ampio e spiegare i diversi percorsi evolutivi che si svolgono contemporaneamente;
si parla di stadi di apprendimento.
Secondo il modello funzionalista della basic variety le varietà di apprendimento si muovono da principi
organizzativi comuni e indipendenti dalle lingue specifiche per differenziarsi progressivamente avvicinandosi
alle caratteristiche della lingua target. Ipotesi che il punto di partenza di un percorso di apprendimento sia
costituito dal sistema della lingua prima è alla base della nozione iniziale di interlingua. Questo modello
propone tre stadi di apprendimento: pre-basico(principi pragmatici indipendenti della grammatica, distanti dalla
varietà target e con molte somiglianze con varietà iniziali di altre lingue), basico, post- basico(questa varietà
integra i tratti specifici delle varietà target stesse). In un percorso evolutivo di successo lo stadio finale coincide
con la varietà target, quando questo non accade si parla di fossilizzazione e di varietà fossilizzate che
hanno quindi perso il carattere transitorio per diventare varietà stabilizzate differenti dalla varietà target.
Variabilità e instabilità
In quanto sistematiche, le varietà di apprendimento possono essere considerate varietà di una lingua e quindi
oggetto di studio della linguistica, sebbene presentino forti variazioni ed eccezioni.
La variazione interessa le varietà di apprendimento più livelli: intraindividuale(una regola non vale sempre
per il singolo apprendente); interindividuale(la regola di un apprendente non vale per un altro).
Rilevante se la variazione può essere ricondotta a regole(variabilità condizionata) tradizionalmente indagate
dalla sociolinguistica oppure se si tratti di una variazione libera(instabilità).
Variabilità e instabilità nel percorso evolutivo
Data la variabilità interna al comportamento degli apprendenti in ogni momento del percorso come possiamo
dire che l'apprendente si trova di una certa tappa, o che ha acquisito una certa struttura? Questo dubbio è
dovuto a una mancanza nel definire il costrutto di acquisizione, è quindi importante distinguere tra
comparsa(momento in cui inizia ad essere usata produttivamente in modo autonomo) e padronanza( soglie
di accuratezza di realizzazione nei contesti stabiliti) di una struttura.
Le fasi di consolidamento che portano dalla comparsa di una struttura la sua padronanza possono essere
governate da regole(posizione post verbali degli avverbi di fase: “io ho mangiato già””), ma questo non vale
per tutti gli aspetti della variazione(flessione di genere solitamente si sovraestende il maschile singolare).
Realizzazioni alternative dello stesso item possono convivere fino al definitivo stabilizzarsi dalle regole target
senza che sia possibile prevedere l'esito(instabilità: variazione non governata da regole).
Secondo gli studiosi è tipico della varietà di apprendimento possedere regole e categorie sotto specificate, c'è
regole che lasciano indeterminati alcuni vincoli di realizzazione. L'instabilità sarebbe quindi l'esito di strategia
tipica della fase iniziale di ogni tappa del percorso di apprendimento in cui avviene una sperimentazione delle
strutture disponibili e le regole si fisserebbero progressivamente(da singole forme a regole).
Variabilità nel confronto fra gruppi di apprendenti
Proponiamo i risultati di studi che si sono occupati degli effetti di fattori di variazioni legati soprattutto alle
condizioni di apprendimento e alle modalità di esposizione alle varietà target.
Uno studio condotto sull'effetto dell'esposizione all’input rispetto all'insegnamento esplicito(apprendimento
spontaneo o guidato), su un gruppo di liceali di madrelingua maltese apprendenti l’italiano, non ha
evidenziato differenze significative in relazione al variare delle modalità di apprendimento. Si è però registrata
una correlazione significativa rispetto all’intensità dell’esposizione all’input televisivo, specie se in età
precoce(più di 3h al giorno dalle elementari hanno maggior competenza morfo sintattica e minor incidenza
della commutazione di codice, quindi maggior autonomia espressiva).
Un altro studio ha evidenziato una correlazione inversa fra grado di integrazione e peso dell’interferenza,
mentre non si è rivelato una correlazione significativa fra il grado di integrazione e livello di competenza
morfosintattica né fra livello di competenza e peso dell'interferenza. Gli apprendenti possono avere una
morfosintassi sviluppata, ma scarsa accuratezza nella realizzazione di singoli elementi morfologici interferiti
con la lingua materna. Ciò evidenzia che tratti diversi dell'apprendimento possono essere condizionati da
fattori diversi: non tutte le manifestazioni di una competenza vicino alla varietà target si sviluppano
parallelamente.
La ricerca si è interrogata sull'esistenza di limiti alla possibilità di variazione delle varietà di apprendimento, ma
ancora non ci sono risposte certe.
Cosa significa sapere una lingua
Da descrizione del comportamento a rappresentazione delle competenze
Lo scopo della descrizione del comportamento di un apprendente è ricavare info per ricostruire una
rappresentazione delle sue competenze, con l’ausilio di indicatori osservabili nel verbale e non.
Importante ricordare che comportamento e competenze non coincidono e che il dibattito si come quest'ultime
vadano descritte e su come siano correlate alle prime è ancora aperto.
Competenza ed esecuzione
Secondo Chomsky la competenza linguistica sarebbe quella di un “parlante-ascoltatore ideale” che conosce la
lingua perfettamente e per il quale si suppone una comunità linguistica completamente omogenea.
Tale visione idealizzata non si adatta con quanto osservato nella realtà:
-non viene considerata la variazione intra e interindividuale, caratteristica rilevante e vistosa delle varietà di
apprendimento(non considerate in questo caso manifestazioni della competenza linguistica);
-la competenza linguistica è intesa come un insieme di conoscenze(regole del sistema linguistico) separate
dalle procedure che intervengono nel momento dell'esecuzione(strategie di evitamento in determinati contesti;
mancanza di possibilità di pianificazione della conversazione). La posizione generativista propende per una
visione della competenza ristretta alle conoscenza, ma in questo caso è necessario utilizzare strumenti
appositi per osservarla eliminando il ricorso a componenti di processing(pianificazione) nella codifica o
decodifica di messaggi: i giudizi di accettabilità(test di lettura e ascolto, dubbi su effettiva mancanza di
attivazione della competenza esplicita/esecutiva); marcatori fisiologici(misure dell’attività cerebrale e eye
tracking per capire quando si attivano i meccanismi di processing).
-non è condivisa l’idea che le regole della grammatica possano essere considerate anche regole della mente,
ma studiosi emergentisti credono che le prime siano da considerare solo come comode rappresentazioni
schematiche. Inoltre la competenza non può essere intesa come preesistente all’esecuzione ma semmai ne
deriverebbe.
Competenza linguistica e comunicativa
Anche fra gli studiosi che accettano la distinzione competenza/performance si è aperto il dibattito riguardo a
quali competenze siano ricondotte nell’ambito della comprensione linguistica.
Nella prospettiva chomskiana la competenza linguistica include esclusivamente una rappresentazione delle
regole della grammatica universale, ma per gli scopi di ricerca perseguiti dalla linguistica acquisizionale tale
visione è eccessivamente limitata(competenza linguistica più ampia, abbraccia almeno la conoscenza del
sistema della lingua specifica).
Hymes sottolinea come la visione chomskiana non consenta di mettere in luce l’esistenza di un sistema di
conoscenze socioculturali necessarie ad un uso appropriato della lingua e di competenze legate all’agire
linguistico(servirsi di conoscenze relative a una lingua). Definisce quindi la competenza comunicativa come
dipendente da conoscenze e abilità.
Canale parla di competenza grammaticale(regole lessicali e morfosintattiche), sociolinguistica(valutare
appropriatezza nel contesto), discorsiva(organizzare e interpretare) e strategica(gestire risorse comunicative).
Sulla base di queste ultime ricerche Lehmann definisce la competenza linguistica come inclusiva di
conoscenze e abilità, distinguendo tra pragmatica e variazionale, per estenderla oltre l’ambito delle regole
morfosintattiche.

Anche la performance può essere oggetto di studio e dare informazioni tramite tre ambiti:
accuratezza(conformità delle realizzazioni dell’apprendente alle regole del sistema target);
complessità(determinate strutture linguistiche presenta difficoltà maggiori); fluenza(facilità di accesso alle
competenze linguistiche); più un bonus di accuratezza(in base al contesto alcuni tratti possono essere
accettati: se lo sapevo non venivo, gli al posto di le, che al posto di a cui…; neostandard).
Competenza implicita ed esplicita
Molte delle conoscenze relative alla nostra lingua nativa sono implicite; si parla di competenza implicita ogni
volta che si manifesta nel comportamento linguistico senza che il parlante stesso sia in grado di accedere
consapevolmente alle regole che la caratterizzano.
La capacità di verbalizzare una regole è invece manifestazione di una competenza esplicita, detta anche
metalinguistica(osservare in modo riflessivo il proprio comportamento).
Queste competenze non sono necessariamente compresenti nella competenza linguistica dell’apprendente
per la presenza di due “depositi” differenti: memoria dichiarativa(relativa a concetti, parole, sapere che;
competenza esplicita); memoria procedurale(abilità, sapere come; competenza implicita). I due tipi di
competenza si formano quindi attraverso meccanismi distinti: ricostruzione consapevole di una
rappresentazione simbolica il primo(deduttivo) e associazioni tra fenomeni a cui si è esposti ripetutamente il
secondo(induttivo).
Si pensa siano possibili forme di travasabilità dall’una all’altra sono possibili, mentre secondo Schmidt
l’apprendimento non può essere completamente subliminale ma necessita di consapevolezza.

IL PROCESSO: INPUT, INNESCO DELL’ACQUISIZIONE


Input, output e intake
Tra i fattori che incidono sul processo di apprendimento abbiamo l’input(materiale linguistico in lingua target a
cui l’apprendente è esposto, elemento che fa da innesco al processo di acquisizione); l’output(ciò che
l’apprendente produce nella lingua target, indispensabile per un apprendimento, soprattutto per fluenza e
accuratezza); l’intake(corrisponde ai dati dell'input che vengono selezionati ed elaborati in base ai meccanismi
interni di apprendimento del soggetto; da NON confondere con ciò che è già interiorizzato ma è una fase
intermedia tra input e “grammatica della varietà di apprendimento”, cioè le regole che saranno acquisite).
Il processo che porta un input a diventare intake dipende da diversi fattori che ne determinano l’apprendibilità:
salienza percettiva del fenomeno, rilevanza comunicativa, competenza dell'apprendente. Se le conoscenze
che lo studente possiede non sono sufficienti affinché possa notare un fenomeno linguistico allora questo non
entrerà a far parte dell’intake.
Distinguere ciò che non viene percepito dell’input e l’intake è abbastanza complicato, in un approccio
interazionista si può osservare il fenomeno delle eteroripetizioni(ripetono ciò che dice l’altro); in altri casi è
stato misurato tramite test di produzione, prassi criticata perché misura l’acquisizione e non l’intake.
Un input ideale
È importante indagare l'effetto dell'input sull'acquisizione, ma risulta complesso a causa delle numerose
variabili(tenere traccia di ogni dato linguistico).
Sono però state rilevate alcune caratteristiche fondamentali che rendono l'input determinante, oltre alla
disponibilità abbiamo:
comprensibilità: livello dev’essere leggermente superiore rispetto a quello posseduto dal discente.
Alcuni fenomeni osservati tra nativi e non(foreign talk/teacher talk) sono semplificazione(dire poco/ridurre
all’indispensabile) e chiarificazione(dire molto/aumentare ridondanza), tuttavia processare l’input per capirlo è
diverso dal processarlo per impararne i tratti formali.
Sulla base di ciò, secondo alcuni studiosi, è proprio ciò che risulta incomprensibile a far procedere
l’acquisizione generando il processo di negoziazione del significato e della forma(parlanti modificano struttura,
forma, contenuto del messaggio). Importante in questi casi l’attenzione selettiva verso gli aspetti formali della
lingua target, che attiva il fenomeno del noticing(registrazione cognitiva di uno stimolo sensoriale per
successiva elaborazione).
Per attivare questo processo si richiamano i concetti di input potenziati(processazione sequenziale del
significato e poi della forma) e Focus on Form(processazione congiunta di forma e significato) che reputano
l’apprendimento implicito insufficiente e sfruttano il noticing come attività compensatoria.
Alcuni dati rilevano che, in presenza di specifiche condizioni, la bidirezionalità della comunicazione non è un
requisito indispensabile(sola esposizione a mezzi di comunicazione può generare competenze recettive e
produttive avanzate grazie alle sue caratteristiche: parlato-recitato, semiotica ricca…)
Cosa aiuta a decifrare il codice
Alle difficoltà nel controllo delle variabili dell’input gli acquisizionalisti hanno risposto con diverse soluzioni:
esporre gli apprendenti a sistemi linguistici artificiali a scapito della validità ecologica(imparare lingua che non
può essere utilizzata fuora dal contesto dell’esperimento non è motivante); disporre di campioni ampi e
rappresentativi dell’input qualitativi e quantitativi(impresa non semplice perché molti dati, ma comunque più
orientata al reale), tuttavia è impossibile determinare singolarmente l’impatto di ciascun fattore(prospettiva
multidimensionale).
I tre fattori di cui trattiamo sono:
frequenza: assoluta(padronanza imputata all’alta frequenza nel quotidiano) incide a livello lessicale(contesto
incide sul vocabolario)e morfosintattico(strutture); a livello di tipo(numero di contesti in cui si applica o varietà
distribuzionale) incide sull’accuratezza(specie per la terza persona singolare).
salienza: cognitiva(semantica; rilevanza di certe distinzioni della realtà esterna codificate nella lingua);
percettiva(significante del segno linguistico; ciò che è più percepibile è più suscettibile di trasformarsi in
intake; soggettiva per ogni apprendente). Pare sia proprio la salienza, più della frequenza, a determinare
l’ordine di padronanza dei morfemi(plurale/singolare, machile/femminile…)
trasparenza: relazione tra forma e significato può essere di trasparenza(corrispondenza biunivoca tra forma e
significato) o di opacità(stesso significato realizzabile tramite più forme; stessa forma codifica diversi
significati). Questo fattore può riguardare diversi livelli linguistici, ma il livello tradizionalmente valutato è quello
morfologico(-eria può riferirsi a nomi deaggettivali di qualità come furberia o a nomi denominali o deverbali
come birreria, stamperia…; identica forma per significati diversi). Nel caso di apprendenti si nota una
sovraestensione del morfo più frequente e trasparente(-ezza e -ità: testardezza, superbità…; in-:
intipico,inabitat,inregolare.…).
Dobbiamo ricordare che tutti questi fattori interagiscono tra loro e con altri fattori più oggettivi.
Input e interazione
Un’interazione non è da intendersi come sommatoria di momenti in cui si alternano input e output; l’interazione
facilita l’acquisizione linguistica perché mette in collegamento l’input, le capacità interne
dell’apprendente(attenzione selettiva) e l’output. L’input internazionalmente modificato rappresenta l’ideale
della comprensibilità grazie a mosse conversazionali dette negoziali(rendono reciprocamente comprensibile il
significato; rallentare l’articolazione, picchi di enfasi, ripetizioni, parafrasi, separazione e sintesi delle
informazioni; conferme di comprensione…). Studi successivi hanno dimostrato che attraverso tali mezzi l’input
non diventa solo più comprensibile, ma anche più saliente(più probabilmente notabile e apprendibile)
Importante nell’interazione il fatto che tutti i soggetti coinvolti contribuiscono alla manipolazione dell’input a
disposizione con richieste o altro.

IL PROCESSO: SPECIFICITÀ DELL’ACQUISIZIONE DI UNA SECONDA LINGUA


Il ruolo dell’età
Esiste una discussione in merito alle differenze fra l’apprendimento di lingua materna e L2, e sul ruolo incisivo
dell’età nell’acquisizione delle lingue, sebbene nel caso di apprendimento della L2 sarebbero da considerare
anche pregresse conoscenze di altre lingue(diverso apprendere una lingua per la prima volta).
“Età” e “capacità di acquisizione”: due costrutti complessi
Quando si parla di età a cui si acquisisce una lingua si intende l'età di prima esposizione all’input, ma il fattore
anagrafico ha poca forza esplicativa sul fenomeno, bisogna quindi considerare i cambiamenti che avvengono
mentre la nostra età aumenta. Avvengono cambiamenti neurobiologici e neurocognitivi, per cui esisterebbero
delle finestre d’opportunità, entro le quali le lingue possono essere apprese con facilità, ma anche varietà dei
contesti di acquisizione(scuola, famiglia, viaggi…) oltre che un diverso atteggiamento e motivazione
all’apprendimento. Per questo sarebbe più opportuno non parlare dell’effetto dell’età sull’acquisizione, ma di
effetti correlati all’età.
Si evidenziano problemi metodologici nel misurare gli effetti dell'età sull'acquisizione, uno di questi riguarda la
necessità di separare tale fattore da quello della durata dell'esposizione all’input(durata dell'esposizione
sembra avere un effetto meno significativo e conferma ruolo rilevante dall'età di acquisizione); un ultimo
problema è la questione di quale sia un gruppo di controllo appropriato per comprare le capacità di
acquisizione(nativi monolingui, ricade nella monolingual fallacy, traguardo è parlare come nativo).
Anche la capacità di acquisizione presenta problematicità di definizione: per molti è rappresentata dallo stadio
finale raggiunto nelle competenze in una lingua, ma anche in questo caso i termini competenze(muta e si
arricchisce; mutamento culturale spinge a nuovi lessici e mutamento linguistico porta a imparare nuove
costruzioni) e stadio finale(una competenza non arriva mai allo stadio finale) aprono una serie di dibattiti.
La competenza che si tende a misurare in linguistica acquisizionale è la competenza morfosintattica, che
rappresenta al meglio le caratteristiche evolutive della facoltà di linguaggio ed è un livello in cui le competenza
di parlanti nativi sembrano stabilizzarsi prima(morfologia della lingua non cambia nell'arco di vita di un
individuo se non in aspetti limitati ed è omogenea per tutti); mentre si tende a considerare il punto finale del
percorso di apprendimento una fascia temporale dopo almeno 10 anni dall’esposizione alla lingua.
Un'altra dimensione indagate la velocità di acquisizione intesa come una misurazione della facilità con cui si
impara, ma anche in questo caso risultano rilevanti e diversi i tempi di esposizione e di pratica(frequenza,
intensità, varietà dei contesti). Sembra che la maggiore età di apprendimento giochi a favore di una maggiore
velocità di acquisizione, che varia a seconda del tipo di apprendimento(guidato; in un contesto naturale…).
Ipotesi del periodo critico per l'acquisizione delle lingue
Per spiegare i casi gli adulti che apprendono una L2(apprendenti tardivi) a un livello elevato e superiore
rispetto a bambini dell'infanzia(apprendenti precoci) sono state formulate varie ipotesi: interferenza della L1,
dominanza della L1, motivazione…, ma la protagonista del dibattito è la spiegazione di tipo biologico detta
ipotesi del periodo critico, un intervallo temporale durante il quale un organismo è sensibile a certi
stimoli(esempio familiare quello dell'imprinting).
Si distingue tra periodo critico(arco temporale delimitato da confini precisi in cui la mancata esposizione uno
stimolo produce un effetto irreversibile) e periodo ottimale o sensibile(intervallo temporale più favorevole al
raggiungimento di un certo effetto in seguito all'esposizione, lo stadio può comunque essere raggiunto in una
fase superiore).
L'ipotesi di questo timer biologico si è diffusa in riferimento all'acquisizione della lingua materna, in cui si
osserva che i bambini afasici più piccoli tendono a recuperare il linguaggio più rapidamente di chi riporta danni
simili in età adulta, perché compensano con l'altro emisfero. Altre prove a favore delle ipotesi del periodo
critico sono i cosiddetti bambini selvaggi, per cui è quasi impossibile produrre apprendimenti davvero
significativi. L'esempio viene riportato anche nel caso di sordi che imparano tardi la lingua dei segni, ma in
questo caso non si parla di mancato apprendimento bensì di deficit linguistici, rendendo la prova non a favore
dal periodo critico.
I dati empirici attestano una chiara correlazione tra età all'inizio della posizione ed esito finale, offrendo una
chiara prova a favore delle ipotesi del periodo critico: i soggetti che entrano in contatto con la L2 entro i 18
anni hanno risultati significativamente migliori rispetto agli altri; il declino è incalzante appena oltre l'inizio della
pubertà, mentre se l'età di arrivo è uguale o superiore ai 40 la decrescita nel livello di competenza raggiunto
ha un grado minimo di pendenza(incidenza moderata all'infanzia; rottura nel periodo di maturazione; incidenza
più bassa in età adulta).
Verificata la correlazione tra età ed esito finale resta da stabilirne la causa, che si pone verosimilmente nella
perdita di plasticità cerebrale, ossia la capacità di stabilire nuove connessioni tra neuroni. Tale perdita è
causata dal processo di mielinizzazione dei neuroni, attraverso il quale le cellule cerebrali si coprono di una
sostanza(mielina) che permette un più rapido passaggio delle informazioni a scapito di nuove connessioni.
Diverse questioni sono state sollevate riguardo eventuali limiti iniziali e finali del periodo critico(da fase
neonatale a 16 anni); alla possibile esistenza di molteplici periodi critici(ciascuno per un diverso livello di
analisi); alla distinzione tra periodo critico e ottimale/sensibile(elevato tasso di variabilità tra gli apprendenti
tardivi mette in crisi l'esistenza del primo, casi di adulti che acquisiscono perfettamente una L2; si ritiene sia
per fattori socio-psicologici, motivazionali che suppliscono a perdita plasticità cerebrale).
Riguardo quest'ultimo interrogativo sull'esistenza di un periodo critico o ottimale, nell'ambito della L2 la
nozione di periodo ottimale pare più adeguata a descrivere una situazione caratterizzata dalla presenza di
apprendenti tardivi che riescono a raggiungere livelli di competenza intermedi; nell'ambito dell'acquisizione L1
invece la mancata attivazione della facoltà di linguaggio entro il limite della pubertà porta alla riduzione della
capacità di apprendere un sistema linguistico rendendo più appropriata la nozione di periodo critico.
Il ruolo delle altre lingue conosciute, definire e individuare l'interferenza
Si può definire interferenza l'influenza che la conoscenza di una lingua ha sulla conoscenza o sull'uso di
un'altra lingua(lingua materna, fonte di interferenza sulla destinataria). Al termine interferenza, in ambito
anglosassone, si preferisce utilizzare cross-linguistic influence che esprime meglio un concetto di
trasferimento o influsso di una lingua sull'altra.
Opportuno ricordare che l'interferenza non è un fenomeno osservabile e bisognerà far riferimento ai
comportamenti, è quindi necessaria una omogeneità degli stessi in un gruppo di apprendenti che condividono
la stessa lingua materna(non devono verificarsi invece in parlanti una lingua di interferenza diversa) e una
ripetitività similare nelle due lingue(fonte e destinataria). Questi tre fattori servono per accertarsi di una
possibile interferenza legata esclusivamente alla lingua materna.
Effetti dell'interferenza: competenza e uso
Si può distinguere tra interferenza positiva(di aiuto all'acquisizione, in caso di vicinanza tra lingua nativa e
seconda) o negativa(di ostacolo, quando le due lingue sono distanti; Richards distingueva tra errori
intralinguistici, legati a caratteristiche del sistema in corso di apprendimento, ed errori interlinguistici, legati
a interferenza del sistema della lingua nativa).
Interferenza negativa produce effetti più visibili e si parla di interferenza scoperta mentre per interferenza
positiva si dice coperta, perché non direttamente osservabile(visibile comparativamente). La presenza o
assenza di errori non è l'unico effetto possibile dell’interferenza ma può anche accelerare, rallentare o
modificare i percorsi di acquisizione, manifestando anche fenomeni di ibridazione tra lingua materna e
target(percorso di acquisizione che consiste nella progressiva sostituzione; spagnolo/italiano).
Il principale effetto di interferenza positiva fra lingue vicine è quello di facilitare la comprensione, agevolando i
meccanismi di decodifica dell'input e quindi di avvio dell'acquisizione.
Esistono anche fenomeni di interferenza inversa ovvero in cui una lingua presa più recentemente investe una
lingua di più antica acquisizione, inclusa materna.
Effetti dell'interferenza: livelli linguistici interessati
L'interferenza agisce quindi su più livelli: fonetico(più frequente; può diventare tratto stabile di una varietà
etnica, come pronuncia della r per i cinesi); morfologico( distinzione d'uso fra tempi verbali; come per i
tedeschi fra imperfetto e passato prossimo perché hanno un sistema tempo-aspettuale diverso);
morfosintattico(sempre legato ai tempi verbali per quanto riguarda tedeschi); lessicale(a livello di forme nel
caso di falsi amici o adattamenti come “improvisely” e di significato per cui vengono usati sinonimi come
“meat” da parte di un italiano per indicare la carne umana quando in realtà si riferisce solo a quella
alimentare); segnali discorsivi(lessicale; in italiano alle domande “Hai letto il giornale?/Non hai letto il
giornale?” rispondiamo sì In entrambi i casi per indicare che l’abbiamo letto e no per indicare che non
l’abbiamo letto, ma no può fungere anche da marcatore di smentita:no, l'ho letto; questo non avviene in
coreano); selezione preferenziale(lessicale; si prediligono parole divergenti rispetto a quelle che farebbe un
nativo: scendere/uscire); testuale(anche in questo caso avremo scelte divergenti, modalità di costruzione di
narrazioni).
Trasferibilità: le condizioni per l'interferenza
L’interferenza non rappresenta solo un prodotto, ma anche un processo, inizialmente interpretato come un
meccanismo incontrollato di trasferimento di abitudini comportamentali e solo successivamente come un filtro
che preseleziona le ipotesi sul funzionamento di un sistema linguistico.
Interferenza si manifesta nel modo più vistoso quando causa errori, ovvero quando la lingua fonte e
destinataria divergono nelle strutture. Alla base del meccanismo sta un principio di apprendimento generale
dell'essere umano agisce sulle analogie, cioè sulla ricerca di somiglianze: quando un parlante crede di
individuare una somiglianza per una struttura della lingua in corso di apprendimento struttura nota crea una
relazione fra le diverse componenti favorendo l'apprendimento e l'uso(interferenza positiva), oppure
ostacolandolo se l'ipotesi di somiglianza è scorretta(interferenza negativa).
Non è importante l'oggettiva similarità, ma quella soggettiva(vincoli psicotipologici; vedi esempio carne e
meat). Un parlante nell’istituire relazioni analogiche è guidato da una propria valutazione sulla prototipicità o
perifericità di una struttura o uso: strutture percepite più periferiche sono valutate come meno trasferibili da
una lingua all'altra.
Interferenza può avere luogo solo quando l'input fornisce degli indizi del fatto che la struttura della lingua fonte
sia presente anche nella lingua target.
Un altro fattore che agisce sulla trasferibilità è il principio di marcatezza differenziale(strutture non marcate
acquisite prima di strutture marcate, di contro strutture marcate di una lingua fonte sono meno probabilmente
oggetto di interferenza: “Io non dormo bene” la posizione della negazione prima del verbo viene spesso
utilizzata dagli italofoni anche in altre lingue)

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