AVANZATA DELL’INSEGNAMENTO
DELLA LINGUA E CULTURA
ITALIANA A STRANIERI
LABORATORI ITALS
DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICI E CULTURALI
COMPARATI
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MASTER 2 LIVELLO “Grammatica e Lessico dell’italiano” Paolo E. Balboni
INDICE
0. Introduzione al modulo
6 Grammatiche di riferimento
7 Il lessico
Scheda: Lessico, parola, termine; dizionario, vocabolario, terminologia
Scheda: Denotazione e connotazione
Riferimenti bibliografici
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0. Introduzione al modulo
Il tema affrontato è estremamente delicato, perché nell’insegnamento linguistico
spesso si confondono la descrizione della grammatica e del lessico con
l’acquisizione della grammatica e del lessico, ritenendo che la prima sia la via
naturale per la seconda.
Si tratta invece di due processi totalmente differenti: l’acquisizione del linguaggio
avviene in maniera del tutto indipendente dalla descrizione dello stesso, come
dimostra l’acquisizione spontanea dei bambini e degli immigrati non inseriti in
contesti scolastici.
La descrizione può certamente svolgere una funzione di monitor, cioè di controllo
di quanto acquisito, che potrebbe essere scorretto per errori di processing, per
interferenza da altre lingue, ecc., ma non produce acquisizione bensì
apprendimento (si veda la teoria dell’acquisizione della seconda lingua in
Krashen, che dagli anni Settanta ha posto un punto fermo sulla questione).
Come usare questa ‘traccia’ di riflessione sull’italiano pensata per chi deve
insegnare a studenti stranieri?
La cosa più semplice è quella di cercare di completare in gruppo le varie voci che
nel modulo sono trattate per cenni – né poteva essere fatto diversamente dato che
non stiamo costruendo una ‘grammatica italiana’, essendocene molte di ottime in
circolazione: ad esempio, quando si dice che uno dei problemi per gli stranieri è la
complessità del sistema verbale del passato, il gruppo può cercare di produrre uno
schema riassuntivo che comprenda i problemi del passato; quando si accenna al
valore connotativo di molti suffissi, e se ne danno alcuni esempi, il gruppo può
cercare di creare schede complete della maggior parte dei suffissi, e poi
confrontarle con le grammatiche di riferimento.
Un secondo lavoro possibile è, una volta definito il quadro generale del passato o
dei suffissi connotativi, consultare gli indici dei manuali dei grandi editori per
vedere come questi temi sono distribuiti nei vari livelli del Consiglio d’Europa.
Non si trovano quindi nel corso del modulo stimoli che invitano a fare: è compito
del tutor ma soprattutto dei corsisti decidere che taglio dare, se più descrittivo
(completando la descrizione che noi accenniamo) o più ‘investigativo’, per vedere
che cosa fa la manualistica più diffusa.
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mente mondo
competenza
linguistica
padronanza
padronanzadelle capacità di
competenze extra- abilità,
delle saper
abilità, agire socialmente
linguistiche ‘fare’ lingua
capacità con la lingua
di ‘fare’ lingua
competenze socio-
pragmatica e
(inter)culturale
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Lingua, linguaggio
Sono due termini su cui anche a livello teorico ci sono
posizioni distinte, ma in linea di massima possiamo dire
che sono linguaggi i sistemi di segni con cui l’uomo
Un’altra parola chiave è regola. comunica, e sono lingue i linguaggi verbali: in questa
accezione dunque lingua è un iponimo di linguaggio.
In italiano è diventata sinonimo di In realtà l’uso è assai più complesso.
norma, e lo stesso è avvenuto in altre Ci sono tre classi di strumenti di significazione: i sintomi, i
lingue, portando Jakobson a parlare di segnali, i segni. I primi sono prodotti dalla natura delle
grammatica ridotta a “giurisprudenza cose: un tuono è sintomo di un temporale, la febbre è
sintomo di infiammazione, il rumore delle ruote sulla
del linguaggio”. strada è sintomo dell’arrivo di un veicolo: temporali,
In realtà le regole sono dei infiammazioni, veicoli non possono né scegliere che tipo
meccanismi di funzionamento, sono di rumore produrre né se produrlo o non: non si tratta di
delle scelte regolari, costanti: un linguaggi; i segni, l’unione di un significato ed un
significante, sono invece legati alla volontarietà della
italofono adulto sceglie regolarmente comunità che ha stabilito una convenzione per cui penna
di usare le forme vado, vai, va, è un oggetto con cui si scrive, la sirena dell’ambulanza
andiamo, andate, vanno quando usa il richiede comportamenti specifici da parte degli altri
presente di andare: il suo automobilisti, il berretto rigido significa che il signore che
gesticola in mezzo alla strada è un vigile, e così via: alcuni
comportamento è costante, regolare, di questi vengono chiamati segni, altri segnali, ma sono
segue la regola di questo verbo (anche tutti linguaggi arbitrari e convenzionali, propri di una
se capisce, soprattutto in bocca a un comunità che può crearli, modificarli, bandirli; sono
bambino, io ando); alcune regolarità segnali quelli prodotti geneticamente, senza possibilità di
scelte alternative, da animali e piante: il gatto segnala
sono molto potenti, totalizzanti: ad irritazione agitando la coda, ma lo stesso segnale indica
esempio, tutte le frasi con il si gioia nel cane (per cui cane a gatto non si capiscono, a
impersonale accettano il verbo solo meno che non siano cresciuti insieme per cui sono
‘bilingui’), le gabbianelle segnalano il momento della
alla terza persona singolare, mentre
fertilità con piume nere sul capo mentre le piante lo fanno
tutte le frasi con il si passivante con i fiori: l’uso di linguaggio in questo caso è abbastanza
possono avere il verbo alla terza diffuso per gli animali (il linguaggio delle api, delle
persona singolare o plurale, a seconda formiche, dei delfini, ecc.) ma non per le piante: il
‘linguaggio dei fiori’ è l’uso significativo che gli uomini
dell’oggetto (che in realtà diventa fanno dei fiori, inviando mazzi di rose rosse in numero
soggetto della frase passiva implicita pari o dispari, ad esempio.
in quella con il si passivante): non Se la lingua è il linguaggio verbale ambiti ristretti della
esistono eccezioni a questa lingua sono spesso chiamati linguaggi: il linguaggio
infantile, quello letterario, scientifico, ecc.
‘regolarità’: Una caratteristica peculiare della lingua rispetto a tutti gli
- in Italia si parla ad alta voce è altri linguaggi è la doppia articolazione, cioè un duplice
impersonale, quindi il verbo è livello di suddivisione in unità più piccole delle parole,
singolare indipendentemente dai l’unità base della significazione: la parola ragazz+o/a/i/e è
articolata in un lessema, la parte che veicola il significato,
milioni di parlanti ad alta voce; e un morfema, in questo caso la parte che indica genere e
- in Italia si parla l’italiano (= numero e combina, seguendo le regole morfosintattiche
l’italiano è parlato in Italia) e in di una lingua, una parola con gli altri elementi dell’unità
Italia si parlano molti dialetti (= base della comunicazione, l’enunciato; la seconda
articolazione è quella in fonemi, che sono in numero
molti dialetti sono parlati in limitato ma permettono una quantità presso che infinita
Italia) di combinazioni (alcune delle quali tuttavia sono vietate
Mentre esistono eccezioni alla nelle singole lingue: pizo potrebbe essere una parola
regolarità dei verbi, dei comparativi, italiana, ma non zpio o pzio perché la combinazione
diretta tra z e p non esiste in italiano).
della formazione del genere e del Da BALBONI P.E., Le sfide di Babele, Torino, Utet Università,
numero, ecc.: sono le forme 2015
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Un problema particolare è dato dagli studenti di alcune lingue, che non conoscono
alcune opposizioni proprie dell’italiano, ad esempio tra s sorda e sonora (assente
in spagnolo), tra r e l nel caso dei cinesi, tra t/d per i tedeschi, f/v e p/b per arabi e
estremo-orientali, tra b/v per sudamericani ispanofoni, ecc. Esistono dei manuali
specifici, che descrivono questi problemi (Luise 2003, nel secondo volume
include saggi sugli studenti di origine slava, cinese, arabi, albanese; D’Annunzio
2009, Rastelli 2010 Rastelli, Bonvino 2011 riguardano i cinesi; Giacalone Ramat
et al. 2001, e Della Puppa 2006, riguardano gli studenti arabofoni; Celentin,
Cognigni 2006 riguarda gli studenti di origine slava), ed esistono delle tecniche
didattiche per far ‘sentire’ queste opposizioni, e da lì per muovere poi a farle
‘produrre’ (si vedano i nostri volumi sulla didattica dell’italiano, del 2014, e sulle
tecniche didattiche, del 2013 per un approfondimento; nel manuale il Balboni-A1
abbiamo inserito degli audio appositi, reperibili gratuitamente in
www.bonaccieditore.it, per la correzione fonetica).
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a. non viene indicato l’accento tonico se non nelle parole tronche, anche se
molte parole omografe si distinguono proprio per l’accento, come
càpitano/capitàno, àncora/ancòra
b. alcune parole monosillabe, che sono per definizioni tronche, hanno cioè
l’accento sull’unica e ultima sillaba, usano l’accento, ma non per indicare
la sillaba tonica, bensì per poterle discernere da altre omografe: sì/si, sé/se,
lì/li, là/la, è/e; si noti che sé è privo di accento se non c’è rischio di
confusione, come in se stesso, se medesimo; di solito gli altri monosillabi
non sono accentati, con l’eccezione di già;
c. pochissimi italiani sanno che alla fine di una parola la è accentata è sempre
acuta (di solito ci pensa il correttore automatico di Word a uniformare),
tranne in è, cioè, tè, caffè, Noè.
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Un segno che provoca problemi anche a italiani laureati è l’apostrofo in due casi:
- po’ viene sempre più spesso scritto, anche in testi pubblici e in
giornali, come pò; ormai scomparse sono due parole che si
comporterebbero come po’ e cioè mo’ per ‘modo’ e pie’ per ‘piede’;
anche editori molto seri scrivono, nelle loro guide di stile, ‘note a piè
di pagina’;
- un altro, e come questo esempio tanti altri in cui l’articolo
indeterminativo maschile precede una parola che incomincia per
vocale, è spessissimo scritto un’altro, salvo correzione automatica del
computer; d’altra parte per analogia con l’omologo determinativo lo
dovrebbe essere apostrofato davanti a vocale…
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Attività 1.
Prova a riflettere sulle tue esperienze di studente/-essa e insegnante di lingua.
Come studente/-essa:
a. Ritieni che i tuoi insegnanti abbiano privilegiato la competenza d’uso,
la competenza sull’uso o abbiano trovato il modo di sviluppare
entrambe in modo armonico?
b. Qual è stato il risultato? Hai raggiunto la competenza comunicativa?
c. Quando ti hanno insegnato le lingue straniere, che ruolo ha svolto
l’apprendimento del lessico?
Come insegnante:
a. Dai la priorità al lessico o alla grammatica?
b. Come affronti gli argomenti di grammatica in classe?
c. Quali tecniche adotti per far imparare il lessico?
Attività 2.
Ne Il Balboni (http://www.bonaccieditore.it/come-e-strutturato-il-manuale.n3701)
si dice che “una regola grammaticale viene prima intuita e poi, con l’aiuto del
manuale e sotto la guida sapiente del docente, solo successivamente
sistematizzata, senza trovare quasi mai la “regola” pronta all’uso: se non si usa
la testa autonomamente, non si acquisisce stabilmente”). Alcuni studi di caso
indicano invece che la supremazia nell’uso della lingua degli studenti che hanno
seguito modalità induttive rispetto a quelli che hanno seguito un insegnamento di
tipo deduttivo non è così evidente.
Qual è la differenza tra “insegnamento della grammatica” e “riflessione
linguistica”? Secondo te che cos’è più utile: insegnare la grammatica o
promuovere la riflessione linguistica? In quali situazioni didattiche è meglio usare
l’una o l’altra? Quali possono essere i vantaggi di una riflessione esplicita e
strutturata sui meccanismi di funzionamento della lingua?
Ti sei mai interrogato/a sul perché sia importante sviluppare insieme alle abilità
d’uso anche le abilità sull’uso?
Attività 3.
La competenza comunicativa e metacomunicativa comprende non solo tutti gli
aspetti di una lingua (fonemico, grafemico, lessicale, morfosintattico e testuale)
ma anche le grammatiche extralinguistiche. Come tenere conto di questi aspetti e
stimolare la riflessione sulle regole che governano l’uso sociale e pragmatico della
lingua? Fate degli esempi concreti.
Attività 4.
Prova a riflettere sulle seguenti questioni a partire dai manuali che hai in adozione
o che conosci.
a. È data la precedenza alla grammatica o al lessico? Oppure grammatica
e lessico sono integrati? Se sì, come? Se no, perché secondo te?
b. Quali tecniche glottodidattiche sono impiegate per soffermarsi su
ortoepia e ortografia? Ti sembrano appropriate? Faresti delle
modifiche e/o integrazioni? Se sì, quali?
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La linguistica acquisizionale
La linguistica acquisizionale studia una realtà chiamata ‘interlingua’, cioè la lingua usata
da una persona che sta apprendendo una lingua e che rappresenta una porzione
dell’intero sistema linguistico posseduto da un nativo.
Lo schema che abbiamo dato all’inizio del paragrafo 1 presenta un diagramma
strutturale della competenza comunicativa; è possibile averne anche un diagramma
dinamico, evolutivo, che parte dal punto “zero” di competenza e rende visibile il
progressivo aumento del volume complessivo della competenza:
Livello 0
Livello A1
Livello A2
Livello B1
Il grafico si legge in questo modo:
- le cinque facce della piramide corrispondono ai cinque componenti del modello
strutturale visto sopra:
- due facce sono visibili nel mondo della comunicazione reale, quelle legate alla
padronanza e alla pragmatica,
- le altre tre facce non sono visibili perché costituiscono la dimensione mentale, le
competenze.
Sono poi indicati dei “tagli”, che creano piramidi di volume via via più maggiore:
l’acquisizione allarga via via il volume spostando la base verso destra. Va da sé che se
viene curata una sola faccia, ad esempio l’aspetto grammaticale a scapito di quello
pragmatico, la base non è più perpendicolare all’asse della piramide, e quindi questa
risulta sghemba, squilibrata.
Non è possibile acquisire una sezione centrale della piramide, ma si deve
necessariamente partire dal punto 0, costruendo la propria competenze secondo
sequenze d’acquisizione che vengono studiate dalla linguistica acquisizionale: tali
sequenze sono ‘implicazioniali’: per essere acquisito, cioè inserito nella propria memoria
stabile, ciascun elemento implica la presenza di altri elementi già acquisiti, secondo la
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logica della ‘zona di sviluppo prossimale’ (Vygotsky) o dell’ ‘ordine naturale’ (Krashen): il
nuovo si salda all’input interiorizzato solo se è l’elemento immediatamente successivo
(ordine naturale) o in piena prossimità (sviluppo prossimale) alla competenza già
acquisita.
Ciò significa, ad esempio, che alcuni errori non sono ‘colpa’ dello studente ma sono
propri di alcuni stadi dell’interlingua, e quindi vanno trattati come spie dello stadio di
uno studente piuttosto che come effetti dell’interferenza dalla lingua materna o come
mancanza di ‘applicazione nello studio’, secondo una parola cara agli insegnanti.
La nozione fondamentale, secondo Selinker (il creatore del termine ‘interlingua’), è che
l’interlingua è un sistema a sé, per quanto parziale: non è strutturato a caso, prodotto
dell’input dell’insegnante nella lingua straniera o dell’ambiente nell’acquisizione
spontanea ad esempio da parte di immigrati, è un sistema che ha le sue basi nella
grammatica universale (patrimonio innato, che sottostà a tutte le lingue naturali), oltre
che nella lingua materna (che comunque interferisce) e soprattutto nella lingua che si
sta apprendendo: in italiano, ad esempio, l’interlingua nella sua varietà basica include un
passato generico, con la forma in -to, come ‘andato’, ‘coprito’ (che nulla ha a che fare
con il participio passato) e che poi si articola progressivamente nei passati perfettivi e,
poi, imperfettivi.
L’interlingua quindi non è una competenza ‘sbagliata’, è una competenza ridotta,
parziale, ma con una sua struttura, ha dei suoi meccanismi – soprattutto quello di
generalizzazione, da cui derivano i passati ‘aprito’ e ‘prenduto’ – che rendono comunque
l’interlingua efficiente nel comunicare, per quanto con mezzi ridottissimi che producono
‘errori’. Ma un ‘errore’ prevedibile in quel dato stadio interlinguistico non è più un
‘errore’, è una produzione propria di quello stadio di acquisizione. E un insegnamento
mirato su quell’errore, con spiegazioni ed esercitazioni, non serve che a demotivare lo
studente facendolo sentire incapace: quell’errore si verifica perché la grammatica
mentale di quello studente, a quel dato punto di evoluzione dell’interlingua, non
prevede l’esecuzione corretta che invece arriverà, in modo naturale (e questo aggettivo
è la chiave) in uno stadio successivo.
Come aiutare il progredire di una interlingua in modo che sia sempre più vicina a quella
di un madrelingua?
Per gli studiosi di matrice chomskyana è la grammatica universale innata a guidare il
processo, in maniera quasi automatica, ed i risultati insoddisfacenti derivano o dalla
casualità (alcune forme non sono mai comparse significativamente nell’input ricevuto da
quella persona) o dalla limitatezza della sua memoria: l’acquisizione di una lingua
straniera segue percorsi e meccanismi simili a quelli dell’apprendimento della lingua
materna.
L’esperienza didattica non concorda tanto con questa ipotesi quanto piuttosto con
quella di studiosi cognitivisti, che notano come l’apprendimento della lingua materna sia
spontaneo, mentre quello della lingua straniera coinvolga persone che non solo sanno
già cosa vuol dire sapere una lingua – ne sanno già almeno una, da nativi; e gli studenti
di italiano nel mondo hanno già studiato almeno l’inglese – ma sanno anche che stanno
imparando una lingua, sanno cosa vogliono imparare perché sanno quel che vogliono
dire: hanno strategie, compiono atti, confrontano la lingua che stanno apprendendo con
quella o quelle che sanno già (e questo può produrre errori di interferenza, ma lo
studente può scoprire, anche con l’aiuto dell’insegnante, che si tratta di interferenza e
quindi attivarsi per superarla).
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Ciò non significa che allo studente sia consentito di sbagliare impunemente, ma che ha il
diritto di sbagliare quel che non può ancora essere acquisito: la formula di Krashen è: è
acquisibile il livello i + 1, cioè quanto si trova a un solo passo da quanto è stato
interiorizzato, intaken.
Tuttavia la i della formula, cioè quello che è stato acquisito, non è una variabile
individuale, per cui ciascuno ha dei suoi percorsi e quindi possiede un i differente (al di
là di differenze nelle ultime regole interiorizzate): è legata alla struttura della lingua, cioè
alle sue sequenze di acquisizione che, come abbiamo detto sopra, richiedono la
presenza di elementi precedenti: la ‘zona di sviluppo prossimale’ implica che ci sia una
zona già consolidata, in prossimità della quale altre cose possono essere acquisite.
Derivata dal concetto di ordine naturale di acquisizione, c’è una variabile cognitiva,
studiata dalla teoria della processabilità di Pienemann: la mente è disponibile ad
imparare per prime le cose che richiedono meno sforzo cognitivo, ciò che è più ‘facile’.
‘Facile’ non significa solo più vicino alla lingua materna, o più semplice, o più frequente,
ma piuttosto che è più facile da osservare nell’input, più evidente a quello stadio dello
sviluppo interlinguistico, più utile per poter comunicare efficacemente.
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Da BALBONI P.E., Le sfide di Babele, Torino, Utet Università, 2015
a. i pronomi personali
singolare plurale
prima persona io noi
seconda persona tu, lei voi
terza persona egli, lui, esso essi, esse, loro
ella, lei, essa
Anzitutto in molte aree del Sud i pronomi di seconda persona singolare che gli
studenti trovano quando vengono in Italia o vedono film ambientati al Sud o
ascoltano i vecchi emigranti italiani (non solo del Sud) c’è il pronome familiare
tu, c’è il pronome di cortesia e distacco lei e c’è il pronome di rispetto voi, mentre
in Lazio e Toscana spesso il tu è dilagante, come nei giovani di ogni regione,
anche verso sconosciuti; ci sono poi esso/a, egli/ella ed essi/esse che di fatto sono
spariti all’orale, ma sono ancora presenti allo scritto – ma insegnanti di italiano
cresciuti in Italia ed emigrati 50 anni fa continuano ad usarli in molte classi.
Spesso non viene citato l’uso dell’impersonale per la prima persona singolare,
ritenendo che sia proprio del dialetto toscano, mentre è in forte diffusione. E allo
stesso modo non viene citato il soggetto singolare te, originariamente centro-
italiano, oggi in violenta diffusione tra i giovani.
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Il problema per gli stranieri arriva comunque sui pronomi personali complemento:
- c’è una divisione tra forme toniche ed atone che spiazzi chi non viene
da madrelingue neolatine;
- la forma atona di terza persona lo/la/le è uguale ad alcuni articoli e
all’orale è omofona di l’ho, l’ha e questo provoca molti problemi nella
comprensione;
- la terza persona plurale ha una forma riflessiva, sé/si, difficile da far
comprendere;
- nel complemento di termini spesso nell’italiano che gli studenti
ascoltano negli spezzoni autentici trovano gli anche con il femminile, e
al nord trovano ci per entrambi i generi;
- con i modi indefiniti e con l’imperativo, i pronomi atoni si fondono al
verbo in posizione conclusiva (portami, guardandolo) e richiedono il
raddoppiamento nei monosillabi (dimmi, falle, vatti, dacci, ma non gli)
mi ti gli/le si ci vi Gli Si
lo me lo te lo glielo se lo ce lo ve lo Glielo se lo
la me la te la gliela se la ce la ve la Gliela se la
li me li te li glieli se li ce li ve li Glieli se li
le me le te le gliele se le ce le ve le Gliele se le
ne me ne te ne gliene se ne ce ne ve ne Gliene se ne
mi ti lo la ci vi li le Si ne
diretti mi ci ti ci ce lo ce la non vi ci ce li ce le ci si ce ne
esiste
b. i pronomi ci e ne
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SINGOLARE PLURALE
MASCHILE
davanti a consonante Quel quel bambino quei quei bambini
davanti a S + Quello quello studente quegli quegli studenti
consonante, Z, PS,
GN, X
davanti a vocale quell' quell'albero quegli quegli alberi
FEMMINILE
davanti a consonante Quella quella casa quelle quelle case
davanti a vocale quell' quell'ape quelle quelle api
Infine, gli stranieri si stupiscono del fatto che il pronome quello – e non questo –
si usa per evitare la ripetizione di un sostantivo e prima dei pronomi relativi.
d. Pronomi relativi
Godono di fama negativa, ma in realtà non sono molto complessi per gli studenti
stranieri, se si eccettua cui, soprattutto al dativo in cui si può eliminare la
preposizione a e al genitivo in cui, collocato tra articolo e nome, perde la
preposizione di:
- La persona (a) cui hai prestato il libro
- La persona il (di) cui libro mi hai prestato
I verbi italiani hanno oltre 90 forme, laddove i verbi inglesi (lingua che gli
studenti hanno quasi sempre già studiato quando intraprendono un corso di
italiano, e che quindi serve da parametro, da punto di riferimento su che cosa
significhi imparare una lingua e come lo si debba fare) al massimo ne hanno 5
(speak, speaks, spoke, spoken, speaking). Se si aggiunge che i verbi di largo uso
in italiano sono spesso irregolari, si coglie uno dei grandi punti di difficoltà.
Una sintesi delle irregolarità è la seguente, che può essere molto utile da
presentare agli studenti stranieri:
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Per gli irregolari, una soluzione è quella di individuare famiglie di irregolari, sia
per composizione attraverso prefissi (porre, comporre, scomporre, disporre,
preporre, anteporre) sia per combinazioni particolari di fonemi prima della
desinenza (spendere, accendere, comprendere, prendere e molti altri verbi in -
dere formano gran parte delle loro forme irregolari allo stesso modo): una lista dei
verbi irregolari suddivisi per le venti principali famiglie è disponibile
gratuitamente nelle pagine dedicate a il Balboni in www.bonaccieditore.it.
Le principali famiglie sono queste; il verbo sottolineato è quello usato come
modello per gli altri verbi della stessa famiglia:
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La maggiore difficoltà non sta tanto nella complessità dei tempi (al solo
indicativo: imperfetto, passato prossimo, trapassato prossimo, passato remoto,
trapassato remoto, futuro anteriore, futuro nel passato), quando nella disparità tra
italiano orale e italiano scritto, italiano quotidiano e italiano letterario, italiano del
Nord e del Sud.
In linea di massima, il passato remoto sta recedendo dall’uso (ovunque, non solo
al nord, dove non si è mai usato) a favore del passato prossimo, tranne nelle
narrazioni; il trapassato remoto sparisce a sua volta, sostituito dove possibile da
forme implicite (quando fummo partiti, ci rendemmo conto che avevamo preso il
treno sbagliato).
Sopra abbiamo citato un altro punto di estrema difficoltà per gli studenti stranieri:
le forme esplicite, che abbiamo sia con il participio passato, come nella secondaria
temporale che abbiamo esemplificato sopra, sia con il gerundio per le causali:
dovendo partire, ho chiesto un po’ di soldi – sono possibili solo quando il
soggetto implicito della secondaria è lo stesso della principale, ma non se sono
diversi: dopo che fu partito, sentimmo nostalgia di lui oppure visto che doveva
partire, gli ho dato qualche soldo.
Ma tutta la consecutio temporum crea problemi, sia in generale sia in due casi
particolari:
- Il passaggio dal discorso diretto a quello indiretto, riportato;
- Il periodo ipotetico nelle sue tre forme.
g. Congiuntivo e condizionale
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h. Scelta dell’ausiliare
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6 Grammatiche di riferimento
Ci sono vari tipi di grammatica cui l’insegnante può fare ricorso per avere quadri
generali o per risolvere dubbi:
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Attività 5.
Per insegnare/ riflettere sulla grammatica di una lingua:
a. come far leva sul piacere della scoperta, della sistematizzazione e della
sfida?
b. quali differenze tra bambini, adolescenti e adulti possono influire sulle
metodologie e gli approcci da adottare?
Attività 6.
Come risolvere il dilemma: spiegare tutto di un certo argomento di grammatica,
spiegare tutti gli usi, le eccezioni oppure selezionare? E in questo caso quando
fermarsi? Pensa alla tua prassi didattica: descrivi e valuta il tuo modo di
procedere.
Attività 7.
Se pensi ai tuoi studenti:
a. quale tra gli aspetti grammaticali ricordati da Balboni (pronomi personali,
pronomi relativi, morfologia verbale, tempi del passato, modi congiuntivo
e condizionale, selezione dell’ausiliare) procura maggiori problemi
d’apprendimento? Che cosa fai per aiutarli a superare le difficoltà?
b. dove è inserito o come è distribuito l’aspetto da te individuato all’interno
dei vari livelli del QCER nel manuale che usi? Presenta uno specchietto
riassuntivo ed esprimi la tua opinione sulla progressione seguita.
Attività 8.
Prova a elaborare uno schema riassuntivo dei problemi suscitati dalla selezione
dell’ausiliare che puoi caricare nel forum. Verifica poi nella manualistica che usi
come è affrontato il problema ed esprimi la tua opinione in merito.
Attività 9.
Attraverso quali strumenti si può elicitare la produzione linguistica per verificare
l’acquisizione di un determinato tratto morfosintattico? Quali possono essere gli
strumenti di valutazione che tengano in debita considerazione efficacia
comunicativa, fluenza e correttezza? Vale a dire, come è possibile verificare se
effettivamente i nostri studenti stanno sviluppando una maggiore correttezza
morfosintattica? Quali strumenti o task possono essere utilizzati in classe per
monitorare e valutare il processo di sviluppo della competenza linguistica
(morfosintattica e/o lessicale) da parte degli studenti?
Dopo aver discusso nel forum su questo nucleo tematico, crea uno strumento
adatto ai tuoi studenti (in base a età, livello ecc. da indicare) per l’osservazione e
la raccolta di dati relativi alla correttezza grammaticale e caricalo nel compito
predisposto, descrivendolo brevemente nel forum.
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7 Il lessico
Il lessico è l’insieme delle parole e delle
locuzioni di una lingua e può essere visto nella Per affrontare i punti critici riguardanti la
sua completezza (il lessico dell’italiano da competenza lessicale è necessario
quello degli Indovinelli veronesi di mille anni fa specificare che cosa si intende quando,
a quello d’oggi) oppure per sezioni sincroniche
(l’italiano del Duecento, quello del Ventennio genericamente, si parla di “lessico”,
mussoliniano); nessun parlante possiede perché si tratta di un concetto
l’intero lessico della sua lingua (raccolto nei intuitivamente facile ma tecnicamente
dizionari), ma ne conosce una parte, che
costituisce il suo vocabolario: il vocabolario che assai più difficile da definire: ad esempio,
una persona comprende, detto ricettivo, è di “marca da bollo” è di fatto un vocabolo
solito più vasto di quello che utilizza, cioè del unico, sebbene composto di tre parole, ma
vocabolario attivo, soprattutto nelle lingue non
native. se “bollo” in senso burocratico è una
L’insieme delle parole e delle locuzioni che, parola, “bollo” come prima persona
sulla base del lessico di frequenza (cioè della verbale è solo una derivazione di
rilevazione statistica delle parole più usate), si
ritiene copra il livello soglia della “bollire”… Il lessico comprende almeno
comunicazione in una lingua oggetto di studio è quattro categorie:
detto lessico fondamentale o di base – ma sulla
logica che presiede alla definizione di tali lessici
le scuole di pensiero sono varie e conducono a a. parole singole o complesse: sono
risultati differenti. le parole singole e le locuzioni che
Un lessico fondamentale, comunque, non esistono in quanto unite, come “marca da
include solo le 800 parole (tanto per fare un
esempio) di più alto rango nella lista delle bollo”;
frequenze, ma anche il lessico ad alta
disponibilità o accessibilità, cioè parole che b. co-occorrenze o collocazioni: sono
comunque devono essere incluse in un sillabo,
ad esempio ‘ambulanza’. combinazioni ad alta frequenza; ad
Abbiamo usato finora ‘parola’, ma si tratta di esempio, “indurre in” si lega solo a
una… parola difficile da definire. Intuitivamente “peccato”, “errore” e “tentazione”;
sono parole quelle comprese tra due spazi
bianchi, ma in realtà abbiamo almeno tre
categorie: parole ‘piene’, con un significato c. routine: “buon giorno”, “neanche
intrinseco (‘penna’, ‘tastiera’), parole ‘vuote’, per idea” e così via sono entità fissate
che hanno un significato funzionale (articoli,
pronomi, ecc.), ‘locuzioni’, cioè gruppi di parole nell’uso, hanno un significato unitario e
che veicolano un significato unitario (modi di creano spesso problemi in lingue non
dire come ‘farne di cotte e di crude’, native, dove non sempre ci sono routine
congiunzioni o avverbi come ‘in quanto a’,
‘accanto a’), che sono diverse dalle corrispondenti a quelle italiane;
‘collocazioni’, cioè parole spesso collocate
insieme (‘buon giorno’, ‘indurre in d. modi di dire, metafore fossili,
tentazione/peccato/errore’); alcune collocazioni
sono ordinate diversamente nelle varie lingue: proverbi: sono entità lessicali di base
‘bianco e nero’ corrisponde in inglese a ‘black metaforica (“è furbo come una volpe”) o
and white’, ad esempio. di cultura popolare (“l’abito non fa il
Le parole sono di solito polisemiche, hanno
cioè più significati, spesso vicini (una ‘linea’ può monaco”), che hanno un significato
essere tracciata con una penna, ma può essere unitario – talmente fissato dalla tradizione
data da un manager, o indicare la condotta da che consentono la creazione di varianti
seguire); nelle microlingue le parole sono, per
quanto possibile, monosemiche e vengono comprensibili solo se si conosce il modo
dette termini, raccolti nella terminologia di un di dire originario: parlando
dato ambito scientifico-professionale. dell’importanza sociale della padronanza
linguistica, possiamo dire “l’abito
linguistico fa il monaco” o, variando un
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altro proverbio, “dimmi come parli e ti dirò chi sei”; con lo stesso
meccanismo possiamo creare effetti ironici dicendo “furbo come una volpe
con l’Alzheimer” e così via.
treno bicicletta
nave aereo
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Denotazione e connotazione
Ogni segno, linguistico e non, è Spesso queste coppie sono articolate in maniera
composto da un oggetto fisico (un diversa in altre lingue, ad esempio l’italiano “alto” è
suono, un segno grafico, un gesto, articolato in high e tall in inglese, così come
ecc.) che è il “significante”, e da un “sopra/sotto” si articola in on/under e above/below.
concetto, un’idea, il “significato”.
I significati tuttavia hanno una duplice
natura, legata alle due dimensioni L’aspetto più creativo del lessico – che non è affatto
fondamentali della comunicazione una lista, per quanto ordinata in ambiti lessicali e
umana, cioè sistemi completi – sta nella generazione di lessico, e
cioè nel sistema dei prefissi e dei suffissi.
a. la comunicazione pura e
semplice, diretta, mirata a
Tra i principali suffissi troviamo quelli connotativi,
conseguire un fine pragmatico che cioè aggiungono un tratto emozionale
(ottenere un caffè lungo, indicare (connotazione) alla denominazione semplice della
una persona, chiedere l’ora, parola: è il processo di alterazione, che si realizza nei
ecc.): è la dimensione denotativa nomi, negli aggettivi e in molti avverbi con suffissi
della lingua;
b. la comunicazione che esprime
molto carichi di connotazione e che, a seconda del
uno stato d’animo, un giudizio, tono di voce, possono talvolta essere sia
una considerazione particolare su vezzeggiativi sia peggiorativi:
ciò che viene denominato:
“Adesso mi faccio un - -ino/a, -etto, -otto, -ella, -uccio, per i
caffettino!” ha un significato
affettivo, una connotazione, che
diminutivi, come in gattino, libretto, orsacchiotto,
aggiunge un dato rispetto a finestrella; talvolta si sommano come in librettino,
“Adesso prendo un caffè”. giacchettina, caffettino. Quando la parola finisce per
-one o -on si aggiunge una -c: torroncino,
Il modo più semplice e camioncino; se però si dice che è un ragazzo bellino
grammaticalizzato di esprimere
connotazioni è dato dalle alterazioni,
o che si è mangiato benino si tratta di diminuzioni di
anche se ci sono quasi più eccezioni bello e bene, che spesso sono solo eufemismi per dire
che regolarità: una “cagnetta” è bella e brutti/bruttino e male; il suffisso -ell- si usa anche
cara, ma una “donnetta” è per alterare alcuni verbi: canterellare, salterellare;
disprezzabile; un “cagnaccio” fa
paura, ma un “ragazzaccio”, a seconda
del tono, può essere ancor più pauroso
- -one/a per gli accrescitivi, anche se spesso c’è
o un ragazzo apparentemente violento una connotazione positiva: il mio gattone;
ma in realtà amabile, così come il
“ragazzone” e il “ragazzino” non - -accio/a, -astro, -igno sono peggiorativi: il
riguardano solo le dimensiono o l’età. primo qualifica negativamente (ma è possibile un uso
Un altro forte problema di
connotazione è costituito dall’ordine
vezzeggiativo: il mio gattaccio può essere
delle parole, in una lingua come affettuoso), il secondo indica un’imprecisione, una
l’italiano che lascia una certa libertà: mancanza di completezza vissuta come negativa:
“uomo grande” vs. “grande uomo”, rossastro, giallastro; un problema connotativo alto si
“donna buona” vs. “buona donna”, e ha con figliastro, fratellastro, sorellastra; sempre
così via.
Saper gestire la denotazione (è
negativo è -igno/a: si usa molto meno, e
fondamentale, ma saper gestire la essenzialmente con patrigno e matrigna, che sono
connotazione lo è forse ancor di più complementari a figliastro, e con maligno;
per le lingue che si padroneggiano a
livelli alti dove, per certi versi, è - -iciattolo, -u(n)colo, -upola hanno un uso
proprio la padronanza dei sistemi
limitato e tendenzialmente peggiorativo, come in
connotativi a fare la differenza.
mostriciattolo, omuncolo, donnucola, casupola.
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L’ipotesi che chiaramente sottostà alla nostra riflessione è che, come si vede da
questo esempio con i soli suffissi di alterazione, il vero problema dell’analisi
lessicale sia quello della connotazione, che diventa difficilissima per apprendenti
stranieri perché estremamente variabile e, spesso, legata all’intonazione.
C’è un secondo problema, che è quello legato alla scelta dei suffissi per
trasformare la funzione linguistica di una parola o per generare parole derivate.
Nel primo caso l’italiano (come le altre lingue europee) offre un esempio di
anarchia totale:
Un ulteriore problema legato alla natura del lessico è quello della polisemia, ad
esempio
Suona piano
Vivo al Lei suona il
primo piano piano
Piano
Dal monte al militare
piano Scorre su un
piano inclinato
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Infine, c’è il problema dei verbi che cambiano significato a seconda della
preposizione che li completa – ma è un problema comune a tutte le lingue
europee, su cui regna incontrastato esempio di pluralità il verbo inglese to get.
Per approfondimenti:
- in generale sul lessico nelle lingue non native sono Cardona 2004, Corda,
Marello 2004, Porcelli 2004; Gilardoni 2014; Bernini et al. 2008 offre un
quadro di riferimento acquisizionalista;
- quanto all’italiano, si vedano Barni et al. 2008, Lo Duca, Fratter 2008,
Jafrancesco 2001; il numero 19 (2015) della rivista Italiano a stranieri ha
alcuni contributi specifici sul lessico nell’insegnamento dell’italiano a
stranieri;
- Maggio 2009 e Gallina 2015 offrono un quadro del lessico degli stranieri
in Italia.
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a. chi studia una lingua e quindi sta cercando di portare la propria interlingua
sempre più verso livelli vicini al madrelingua, quindi al C2, ha bisogno di
un dizionario bilingue, che gli fornisce dati di primo livello: “come si dice
… in italiano?”
b. chi sa già l’italiano a livello alto (in parte C1, senz’altro C2) può trarre
vantaggio dall’uso di un dizionario monolingue dove cercare informazioni
di secondo livello: “che differenza c’è tra tristezza, mestizia, malinconia,
nostalgia?”
Sabatini-Coletti
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Hoepli
malinconia
[ma-lin-co-nì-a] lett. melanconia; ant. malanconia, maninconia, melancolia
s.f. (pl. -nìe)
1 Stato dell'animo che per naturale temperamento o per causa particolare è
pervaso da una vaga, calma e talvolta dolce mestizia: soffre di m.; essere preso da
m.; occhi pieni di m.
2 Pensiero triste che è causa di preoccupazione, di tristezza: non lasciarti
prendere dalle malinconie
3 PSICOL Alterazione psichica tipica delle sindromi depressive, caratterizzata da
senso di sfiducia, tristezza, pessimismo immotivati
4 ST Nell'antica medicina ippocratica, uno dei quattro umori fondamentali
dell'organismo umano, di colore nero, secreto dalla bile, che causava tristezza ǁ
pegg. malinconiàccia
Olivetti
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Treccani
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Attività 10.
Sempre più spesso le case editrici offrono materiali per “grammatiche da
costruire”? Ne conosci? Hai mai utilizzato grammatiche di questo tipo con i tuoi
studenti? Se sì, che esperienze hai fatto? Se no, cosa pensi dell’idea?
Attività 11.
a. Quali tecniche glottodidattiche trovano maggiormente impiego nella
manualistica corrente per facilitare l’apprendimento del lessico? Quali ti
sembrano più efficaci e perché?
b. Impieghi in classe o consigli l’uso di dizionari (anche online)? Se sì, quali
(monolingue, bilingue, per immagini)? Motiva la tua preferenza.
Attività 12.
Crea una scheda il più completa possibile dei suffissi nominali con valore
connotativo dell’italiano e, consultando il manuale che hai in adozione, cerca di
verificare come i suffissi connotativi sono distribuiti all’interno dei vari livelli del
QCER e come sono presentati.
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Riferimenti bibliografici
Qui indichiamo solo gli studi cui abbiamo fatto un rimando diretto:
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