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STRATEGIE DI MEMORIA
Favoriscono il ricordo di un contenuto specifico; BES stentano a ricordare informazioni per ragioni organiche e
mancanza di strategie. Creando legami sonori e visivi tra stimoli e risposte creano un ponte tra le aree
cognitive(utile per DSA). Queste strategie richiedono abilità di linguaggio, tra cui la lettura, risultando
inappropriate per soggetti con disabilità intellettive gravi.
In pratica
Parole chiave, parole gancio, acronimi, usare le immagini.
Essenziale la motivazione, l’attenzione(variare tono, porre domande, introdurre novità…), le
emozioni(influenzano capacità dell’amigdala di trattenere informazioni(Emozioni positive rilasciano endorfine e
dopamina che stimolano la corteccia prefrontale. Emozioni negative invece stimolano produzione di cortisolo
che blocca il processo), mantenere giusto ritmo(tempo di elaborare info), utile ripetere e usare
rappresentazioni mentali(mappe concettuali, storyboard, diagrammi di flusso)
Evidenze
Effect size maggiore(1.62); la disabilità e il grado non influiscono sull’efficacia, ma in caso di ritardo mentale è
necessario approccio lento, progressivo e strutturato.
Insegnare le mnemotecniche abbatte le differenze di memoria.
Rischi
-Fare troppo affidamento su strategie verbali, piuttosto che rappresentazioni mentali
-Poca attenzione alla comprensione del contenuto e al collegamento tra info
-Aspettative troppo elevate(strumento per aiutare a rievocare info) e richiedere di elaborare strategie proprie
APPROCCI COMPORTAMENTALI
Dagli studi sul condizionamento classico e operante, puntano a modificare comportamenti indesiderati
attraverso un processo in tre fasi:
-precedente a modifica(identifica frequenza, intensità; antecedenti e conseguenze; obiettivi…)
-modifica del comportamento(applicazione strategie scelte)
-successiva a modifica(sospende procedura, osserva mantenimento e generalizzazione, progettare altro)
In pratica
- evitare di creare contesti che scatenano comportamento; quando prepariamo i compiti possiamo scegliere
fra vari antecedenti(difficoltà; fornire organizzatori anticipati; accompagnare con aiuti verbali, gestuali…);
materiali adeguati e stimolanti; schede con immagini per ricordare a studenti le varie fasi.
- diverse strategie di modifica sono: rinforzo positivo o negativo(fornisce piacere/rimuove spiacevole);
punizione di tipo 1 o 2(fornisce spiacevole/rimuove piacere); estinzione(astensione dal rinforzo); rinforzamento
differenziale(del comportamento incompatibile, alternativo, della bassa frequenza cioè se avviene di rado);
modellamento(rinforzare progressive approssimazioni di un comportamento desiderato, rinforzo prima
avvicinarsi all’acqua, poi immergersi fino al torace, infine nuotare); concatenamento(concatenare dei
comportamenti in una sequenza); fading(ridurre frequenza del rinforzo).
- gioco del buon comportamento(gioco di squadra in cui i giocatori vengono rinforzati per la prestazione
comportamentale complessiva portandoli ad aiutarsi a vicenda).
- programma Prevenire(fornendo aiuti, possibilità di scelta...)-Insegnare(comportamenti,
abilità...)-Rinforzare(comportamenti; sistema condiviso casa-scuola). Si articola in 5 fasi: formare la squadra;
definire gli obiettivi; analisi funzionale dei comportamenti; selezionare strategie d’insegnamento e definire
piano di sostegno comportamentale; usare i dati per valutare l'efficacia del programma.
Evidenze
Efficace per DOP, ADHD e comportamenti esternalizzanti; tecniche di rinforzo utili per disturbi della condotta.
Intervento intensivo e precoce utile per autismo e per sviluppare abilità funzionali; previene comportamenti
problema organizzando ambiente e con rinforzi efficaci(non le lodi)
Rischi
Richiede molto tempo e lavoro perché non produce risultati immediati(importante perseverare).
TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Processo attivo di modificazione degli schemi di pensiero negativi di una persona che porta a cambiamenti nel
comportamento(bambino scarso in matematica pensa “faccio schifo” scatenando circolo vizioso;
autoregolazione elemento chiave); utile per adulti e bambini che soffrono di ansia, depressione, aggressività…
In pratica
Anticipare e prevenire difficoltà fornendo strumenti e tecniche utili a gestirle:
-tecnica ABC(analizza evento attivante, pensieri che emergono e conseguenze per attivare ristrutturazione
cognitiva del pensiero); 6
-fasi di Meichenbaum(modellamento cognitivo mostrando e descrivendo il comportamento, guida esterne in
cui studente svolge e altro descrive, guida interna esplicita in cui studente svolge e descrive, guida interna
meno esplicita in cui descrive a sottovoce, guida tacita in cui pensa le azioni e le svolge, autorinforzo per
riconoscere prestazione);
-programma FRIENDS(insegna a riconoscere ansia ed emozioni negative per sostituire pensieri ansiogeni con
altri utili);
-tecnica fermati e pensa(crea dialogo interiore per identificare problema e trovare soluzioni alternative)
Evidenze
Efficace con ADHD, comportamenti aggressivi e dirompenti, antisociali(per i più grandi con approccio
multimodale), ansia, problemi scolastici, disturbi della condotta, depressione e autolesionismo(riduce uso di
sostanze), traumi(abuso sessuale), disturbi dello spettro autistico(combina terapia individuale, insegnamento
delle abilità sociali in gruppo e formazione dei genitori).
Rischi
Richiede maturità cognitiva per concetti di autodialogo e autoistruzione; richiede collaborazione di studenti e
genitori; in alcuni casi deve essere combinato con altri trattamenti(ADHD, farmacologici o comportamentali).
Dev’essere utilizzata con cautela per i bambini più piccoli ed è consigliabile combinarlo con il parent training.
La diagnosi
Per diagnosi funzionale si intende una valutazione che descrive il funzionamento in termini di limitazioni e
potenzialità per predisporre un piano di intervento. In età evolutiva si parla di diagnosi di sviluppo(descrive
situazione attuale e valuta il potenziale evolutivo), per cui i criteri di riferimento sono le competenze nei vari
contesti.
La legge quadro sull'handicap del 5/2/1992 introduce diagnosi e intervento come anelli ineliminabili per
integrazione in ambito educativo; diagnosi medica determina il Profilo di funzionamento per avviare il
processo integrativo(si aggiorna al passaggio di ogni grado o in presenza di nuove condizioni).
Profilo di funzionamento redatto tramite qualificatori ICF: capacità e performance(le seconde rappresentano
ciò che può fare in relazione al contesto; attività e partecipazione), barriere e facilitatori(permettono passaggio
o meno tra capacità e performance; fattori ambientali). Per facilitare l’uso ICF esistono checklist e protocolli
standard(rischio di accomunare disabilità alla malattia per stretto legame tra funzionamento e stato di salute).
La legge 170/2010 è la legge di riferimento per i Disturbi Specifici dell’Apprendimento che riconosce e
definisce dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia come disturbi specifici di apprendimento e il loro
diritto ad accedere a misure didattiche di supporto(compensativi e dispensativi). Evidenzia inoltre
l'importanza della formazione dei docenti.
L'intervento
Può essere medico(prevenire l'estensione di una menomazione, soprattutto per forme croniche);
psicologico(conoscere le competenze relative ai processi di sviluppo e apprendimento, ma anche supporto);
educativo(socializzazione, acquisizione comportamenti adattivi, apprendimento); sociale(gruppi istituzionali,
associazioni delle famiglie o delle stesse persone disabili); riabilitativo(attivare e migliorare funzioni e
competenze sulla base di potenzialità e bisogni della persona).
Gli interventi non sono indirizzati solo alla persona con disabilità, ma sull’ambiente di vita.
Importante la storicità(connesso alla diagnosi e a percorsi precedenti; documentare); globalità; partecipazione
attiva(del bambino e della famiglia); qualità della vita(come fine: indipendenza, partecipazione, benessere);
programmazione puntuale(obiettivi a lungo e breve termine realistici; impostazione poco rigorosa rende meno
visibili i risultati).
Disabilità uditiva
In base alla localizzazione del danno si distingue tra:
-sordità trasmissive: interessano parti dell’apparato uditivo destinate alla trasmissione del suono(onde
sonore arrivano parzialmente all’orecchio interno);
-sordità percettive: neurosensoriali se riguarda l’orecchio interno e le connessioni nervose; centrali se
riguarda i centri uditivi del cervello e le connessioni distali del nervo acustico(da lieve a gravissima;
compromessa trasformazione delle vibrazioni in percezione uditiva);
- sordità miste: anomalie nella conduzione e percezione del suono.
Parametri per definire la gravità sono l’intensità(dB) e l'altezza(frequenza) dei suoni percepiti. L’OMS distingue
in lieve(26-30dB), moderata(31-60dB), severa(61-80dB), profonda(oltre 81dB). Un’altra classificazione può
essere operata a partire dalle cause (ereditarie e acquisite) e dall'epoca di insorgenza del deficit (prenatale,
perinatale, postnatale).
Molto importante diagnosi precoce che consenta presa in carico nel periodo ottimale per lo sviluppo del
linguaggio e un intervento con tecnologie adeguate. Le protesi acustiche consentono di privilegiare le
frequenze del parlato, anche in ambienti rumorosi e di garantire un basso grado di distorsione; l'impianto
cocleare invece è uno stimolatore delle fibre residue del nervo acustico(coclea gravemente deficitaria; non
ripristina l'apparato uditivo come nel bambino udente; vantaggi fonologici accessibili e variabili in base a
educazione formale, intensiva e strutturata). L’efficacia di quest'ultimo è estremamente variabile e necessita di
prudenza per non sottoporre inutilmente il bambino a intervento chirurgico complesso.
Riguardo lo sviluppo affettivo e sociale, l’incapacità dei neonati di reagire alla voce materna può essere un
ostacolo nello stabilirsi del legame di attaccamento, a cui si aggiunge la percezione di una scarsa responsività
materna(mancanza stimoli vocali, ansia dei genitori per la mancata reattività del figlio...).
Tali problematiche appaiono meno rilevanti per diadi madre-bambino entrambi sordi, sia per maggiore
prevedibilità della disabilità, sia per precoce comunicazione attraverso il canale visivo-gestuale.
Sembra che la dimensione principale nel garantire un buon avvio allo sviluppo affettivo e sociale sia il
mantenimento di un contesto interattivo stimolante e una comunicazione ricca(orale o gestuale).
Gli studi sulle tappe successive di sviluppo evidenziano la tendenza a maggiore intrusività e direttività(ausili
acustici moderni arginano un po’ il problema), utile per il coinvolgimento nella conversazione ma che può
danneggiare l'indipendenza e il senso di sicurezza.
Diverse caratteristiche comportamentali e temperamentali(impulsività, iperdipendenza, bassa autostima,
aggressività…) sembrano effetti secondari della sordità che dipendono dallo strutturarsi di relazioni
problematiche, superabili quando la conoscenza reciproca consente di adattare il proprio modo di
comunicare.
Lo sviluppo cognitivo subisce un ritardo dovuto alla povertà di esperienze e solo indirettamente al carente
sviluppo linguistico, in quanto ostacolo a interazioni sociali. Lo sviluppo intellettivo nel periodo
operatorio(6-12) è equivalente nei sordi e negli udenti, ma in entrambi i gruppi si riscontra un'elevata
variabilità. Emergono alcune considerazioni: estrema variabilità in base a qualità dell'esperienza educativa ed
efficacia dei metodi riabilitativi utilizzati; il fatto che molte persone sorde raggiungano gradi elevati di istruzione
e lavorativi porta a concludere che il ritardo nell'acquisizione di certe competenze non è dovuto alla sordità.
Anche gli studi sulla memoria evidenziano forte variabilità; differenze tra sordi e non sembrano legate non
tanto al fatto di non sentire, quanto alle differenti esperienze linguistiche(per bambini che fanno uso di
linguistiche dei segni, un codice visivo o cinestesico di una parola può aiutare la memoria, allo stesso modo di
un codice verbale o fonologico per bambini con udito o sordi che fanno uso del linguaggio orale).
Importante offrire occasioni di ripetizione e di fissazione del materiale di apprendimento e insegnare strategie
di memorizzazione.
Lo sviluppo del ragionamento sui processi cognitivi(compiti di falsa credenza) nei bambini sordi, può essere in
ritardo nei figli di genitori udenti, mentre non presenta ritardi nei figli di genitori sordi, dimostrando che non è la
sordità a inficiare il ragionamento sui processi mentali, quanto il ritardo nel linguaggio(orale o segnato).
Sordità non implica cecità mentale, ma è importante che un linguaggio ricco anche in termini di vita mentale ed
emotiva sia integrato nei programmi di riabilitazione orale per supportare ragionamenti su processi cognitivi.
Lo sviluppo linguistico presenta un ritardo, nella maggior parte dei casi anche per il bambino sordo
segnante; maggior predisposizione individuale e stimolazione da parte degli adulti porta a risultati migliori.
L’aspetto più compromesso è quello fonologico per sensibilità ai suoni e carenza feedback uditivo; l’aspetto
semantico presenta strategie simili di apprendimento ma manca estensione del significato a diversi contesti;
quello grammaticale evidenzia difficoltà morfologiche(morfemi liberi come articoli e preposizioni o legati a
genere/numero; brevi e non accentati, difficili da percepire e riprodurre); lo sviluppo sintattico sembra invece
influenzato dalle metodologie educative utilizzate(frasi semplici, brevi e incomplete che portano a stereotipie).
A livello di macrostruttura narrativa(6-11 anni) raccontano storie coerenti a livello di contenuto, utilizzano
dispositivi narrativi quali discorso diretto e indiretto, aggettivi e avverbi, ma mostrano deficit a livello di
microstruttura narrativa(morfemi grammaticali e meccanismi linguistici di coesione). Necessario un percorso
riabilitativo che curi l'acquisizione di un vocabolario ricco a livello quantitativo e qualitativo.
Per quanto riguarda l'apprendimento della lingua scritta molti individui sordi presentano problemi e ritardi
analoghi a quelli riscontrati nel linguaggio orale, ma si possono affrontare con intervento mirato.
Dibattito sui metodi educativi e riabilitativi storicamente centrato sulla lotta fra oralismo(più centrato su
produzione che comprensione) e gestualismo. Le ricerche dimostrano che è cruciale intervenire
precocemente, prestare attenzione agli aspetti fonologici e prosodici, promuovere l'utilizzo di un lessico ricco e
variegato(anche termini meno concreti), potenziare le capacità mnemoniche, promuovere l'autoregolazione
favorendo una partecipazione attiva. Oggi si riconosce l'importanza di competenza linguistica anche verbale.
Metodo bimodale: obiettivo è una buona competenza linguistica orale, utilizzando un supporto segnico(non
LIS, ma ISE: regole dell'italiano) nell'insegnamento della lingua vocale. Il metodo prevede una formazione dei
genitori per esporre bambini fin da piccoli, ma presenta un problema di varietà di codici eccessiva.
Educazione bilingue: lingua dei segni e lingua vocale parlata dai genitori, per comunicare con udenti, ma le
due lingue non vengono utilizzate contemporaneamente. Difficile che la lingua parlata venga appresa con gli
stessi tempi di quella dei segni, inoltre ci si chiede come insegnarla perché la perdita uditiva impedisce
un'acquisizione per semplice esposizione.
Metodo orale classico: obiettivo è una competenza linguistica vicina a quella degli udenti. Necessaria
diagnosi precoce, tempestiva protesizzazione e intervento riabilitativo, partecipazione della madre al
programma. Si basa su: allenamento acustico(con strumenti e bocca schermata); labiolettura;
tattolettura(mano su gola, guance, naso); esercizi di respirazione; impostazione dell'articolazione(terapeuta
mostra modo e punto esatto di articolazione di ciascun fonema); associazione della parola(inizio suoni
onomatopeici) con l'oggetto e con l'immagine corrispondente; uso precoce della lettura(2 anni).
Metodo verbo-tonale: sfrutta il residuo uditivo attraverso speciali apparecchi; oltre agli amplificatori vengono
impiegati dei vibratori(sul corpo o apposite pedane). Approccio multidisciplinare perché fa uso di stimolazioni
musicali, drammatizzazione, stimolazioni grafo-motorie, psicomotricità e sussidi visivi. Può essere svolta in
gruppo, per incrementare la socializzazione, la comunicazione e l'apprendimento linguistico.
Rischio che troppi stimoli poco coordinati possano generare confusioni.
Tecnologie informatiche: lo spazio virtuale consente di fare incontri, discutere, imparare, divertirsi in un
mondo sociale con caratteristiche particolari(sottotitolazione, trascrizione di lezioni,rispeakeraggio…). Può
aumentare la sicurezza e il senso di essere alla pari. Adolescenti sordi mostrano una maggior solitudine e
minor autostima, ma ciò non accade a quelli che usano maggiormente internet.
Metodo creativo, stimolativo, riabilitativo della comunicazione orale e scritta con strutture musicali di
Zora Drezancic: dai primi mesi fino all'adolescenza, finalizzato a insegnare anche a bambini sordi profondi un
linguaggio verbale orale e scritto adeguato alle richieste comunicative dei diversi ambienti.
Principi sono: anche sordi profondi dalla nascita possono arrivare a buona competenza linguistica; rispetto
modi e tempi; modelli multisensoriali(percezione uditiva, espressione del viso…); stimolazioni che il bambino
sia in grado di riprodurre al fine di motivarlo ed evitare pronunce errate; scelta dei vocaboli in funzione dell'età;
collaborazione fra logopedisti, educatori e famiglie.
Il primo programma affronta il problema dell'intervento precoce, ma senza ricorrere a mezzi inadatti(lettura)
per bambini sotto i tre anni(voce cantata, modulata e parlata e giocattoli). Nel secondo e terzo programma si
consolidano le acquisizioni precedenti e si affianca il lavoro scolastico. Il quarto programma prevede
autonomizzazione nell’esercizio che consente di non perdere la qualità di quanto imparato.
Disabilità visiva
Principali parametri per valutare la capacità visiva sono l'acuità visiva(capacità di distinguere a una distanza
data determinate forme, o di discriminare due punti vicini) e il campo visivo(ampiezza della scena visibile).
Può variare da cecità totale (impossibilità di percepire qualsiasi stimolo visivo), a legale (residuo visivo
inferiore a un minimo prestabilito),a ipovisione (parziale capacità).
L’OMS prevede una suddivisione in base alla gravità: ipovedente lieve(2-3/10), medio-grave(1-2/10),
grave(1/10-1/20), cieco parziale, cieco totale(vede solo ombre e luci). Altri due criteri di classificazione: zone
interessate ed epoca di insorgenza(congenita, perinatali, post-natali). Si distingue tra cecità reale(nessuna
percezione visiva) e funzionale(possiede percezione ma non riesce a organizzare l’input sensoriale).
Ritardo dello sviluppo motorio perché necessita di un tempo maggiore affinchè la mobilità avvenga per
iniziativa personale.
Vista e prensione si sviluppano in sincronia e ciò determina un ritardo nella strutturazione dello schema della
prensione e nell'utilizzo delle mani(primi mesi in prossimità delle spalle, 8-10 mesi ricerca dell'oggetto sonoro),
che tende a usarle come strumento di autostimolazione(in bocca o premute contro gli occhi producono
immagini luminose). ll ritardo nello sviluppo grosso motorio e della motricità fine sono in relazione: la capacità
di assumere una ferma postura da seduti favorisce i processi per raggiungere e afferrare gli oggetti.
L’elaborazione dello spazio avviene attraverso udito e tatto, ma non in modo sostanzialmente diverso dai
vedenti; importante comunicazione tra modalità sensoriali per l'acquisizione di aspetti percettivi.
Scienziati distinguono tra effetti diretti, legati al ruolo del feedback visivo per coordinare i movimenti e indiretti
come mancanza di stimoli visivi che incentivano il movimento, minori stimolazioni sociali, insicurezza
nell’esplorazione, ritardo nella costruzione del reale.
Lo sviluppo cognitivo può subire ritardi, specie se danno visivo ha origini neurologiche o in presenza di altri
disturbi. Rilevante il fatto che sia congenita(danni irreversibili) o acquisita(effetti meno drastici, necessario
reintegrare la funzione nella nuova struttura percettiva gerarchica). Alcuni deficit visivi sono correggibili, ma se
questo non è precoce il bambino non sarà più in grado di utilizzare la capacità visiva anche se l'organo visivo
viene reso funzionale. Per quanto riguarda l'ipovisione, le capacità di lettura e scrittura saranno difficilmente
acquisibili senza strumenti appropriati da parte di bambini con scotomi centrali, mentre per un bambino con
scotomi periferici sarà più difficile muoversi e orientarsi nello spazio(esperienza diversa dal cieco).
Per le persone cieche dalla nascita ritardo non solo sulla motricità, ma anche sulle attività collegate(ricerca
oggetti), la coordinazione udito-prensione si sviluppa infatti più lentamente di quella visiva(ritardo nella
permanenza dell’oggetto). Tic e condotte stereotipiche di autostimolazione sono stimoli per sopperire quelli
che non gli provengono dall'esterno, non inficiano lo sviluppo cognitivo ma nemmeno lo incoraggiano.
Riguardo lo sviluppo del ragionamento logico, mostrano un ritardo in operazioni infralogiche(conservazione
della quantità) e logico matematiche implicanti percezione e manipolazione di oggetti concreti(classificazione
forme geometriche), ma migliori nei compiti di seriazione. Effetti negativi sembrano legati a specifici compiti
piuttosto che a deficit globale.
L’esperienza gioca un ruolo fondamentale nel determinare differenze(rappresentazioni spaziali maggiori
limitazioni conoscitive); per localizzazioni e orientamento l'individuo ha necessità di ancorarsi a un sistema di
riferimento, nel non vedente è costituito dal proprio corpo piuttosto che da punti di riferimento esterni(prolunga
egocentrismo piagetiano). Processi integrativi tendono a colmare differenze(ritardi di acquisizione).
Lo sviluppo affettivo sociale subisce influenza diretta(deprivazione visiva) e indiretta(psicologica). Il bambino
con deficit visivo è capace di emettere vocalizzi e sorridere, rispondendo alla voce e alle stimolazioni corporee,
ma manca un contatto visivo(scoraggia genitori mancanza di uno sguardo reciproco o di una risposta).
Si verificano ritardi in alcune tappe fondamentali: discriminare le figure familiari dagli estranei,
separazione-individuazione(dalla madre, a causa del ritardo motorio e di iperprotezione materna), attribuire
alla madre un'individualità separata dalla sua presenza fisica(come per costanza oggetti). Distacco da figure
familiari è possibile se legame soddisfacente, consapevolezza della propria e altrui identità, tolleranza per
assenza(importanti per autonomia psicologica).
Competenza espressiva di base consente di decodificare le emozioni base(gioia, dolore, rabbia, ecc.), per
quelle più complesse i fattori di apprendimento sociale sembrano rilevanti nel compensare le mancate
esperienze visive. Attività ludiche coordinate da un adulto promuovono lo sviluppo di comportamenti sociali nei
confronti dei coetanei, il bambino con deficit visivo tende a svolgere giochi concentrati sul proprio corpo o a
produrre schemi ripetitivi perché non vede attività degli altri.
Nello sviluppo linguistico non sono state riscontrate differenze nelle vocalizzazioni(6-7 mesi),
successivamente i bambini non vedenti appaiono meno loquaci, ma pronti a rispondere alle stimolazioni con
vocalizzi. Importante gratificare e incentivare le vocalizzazioni spontanee, dando risposta al bambino e
favorendo la comunicazione per aumentare il livello delle produzioni sonore.
Rischio di ritardo nell'acquisizione dei primi vocaboli e nell'uso di frasi di due o tre parole, sia per i limiti nella
comunicazione non verbale, sia per la limitata esperienza del mondo che rallenta il processo di
conoscenza(errore dei genitori è prediligere canale vocale e non considerare info su sentimenti e fantasie);
ritardi temporanei. Tendenza all'iperverbalismo(ripete termini o strutture frasali che sente dall'adulto senza
saperne il significato: stelle, colori, mare…); anche per vedenti il significato delle parole si costruisce
gradualmente, inoltre questo fenomeno si attenua con l'esperienza.
I bambini ciechi dalla nascita imparano elementi lessicali e relazioni tematiche, quasi nello stesso ordine dei
bambini vedenti(toccare/guardare dietro di sé).
Sebbene il disturbo riguardi gli aspetti esecutivi, la lesione può colpire anche le capacità sensoriali e percettive
e la capacità di elaborazione delle informazioni(apprendimento e controllo motorio). Le funzioni motorie
innate(riflessi…) sono modificate da un sistema di selezione e analisi delle info e un insieme di regole oltre che
da un sistema di controllo che consente correzioni(livello di elaborazione piani d’azione compromesso).
L'indagine diagnostica dovrà percið comprendere una valutazione sensoriale, dello sviluppo cognitivo,
dell'organizzazione percettiva e prassica, dello sviluppo affettivo. Per la valutazione del livello di esecuzione
del programma motorio comprenderà la valutazione di competenze funzionali(postura, deambulazione,
motricità oculare, manipolazione fine, motricità bucco-facciale e capacità di fonazione e alimentazione).
Si utilizza un sistema multiassiale composto da nove assi: motricità(funzionalità motoria), anamnesi
lesionale(epoca, sede ed estensione lesione), anamnesi riabilitativa(info a partire da emissione diagnosi:
comunicazione e reazione famiglia, interventi attivati…), complessità(compromissioni a livello sensoriale,
neuropsicologico e sui disturbi di acquisizione e generalizzazione degli apprendimenti motori),
complicanze(condizioni associate relative a salute del paziente e altri fattori di rischio), famiglia, servizi di
riabilitazione, comunità infantile(fotografia del contesto e delle possibilità sociali) e qualità della vita(fine).
Lo sviluppo cognitivo può manifestare disturbi imputabili all'estensione della lesione o all’impedimento
motorio. Lo sviluppo della conoscenza procede attraverso due fasi: la prima si sviluppa attraverso la
costruzione degli schemi percettivi e motori(fase esplorativa, manipola oggetto per ottenere info, bicchiere
cilindro); la seconda consiste nell'integrazione di questi schemi e nella risultante formazione dei
concetti(esperisce caratteristiche funzionali degli oggetti, bicchiere per bere). Non è l'esecuzione dell'atto, ma
l'intenzione di eseguirlo(ipotesi e pianificazione per uno scopo) uno degli elementi fondanti la conoscenza.
Necessità di valutare la presenza di intenzioni.
Lo sviluppo psicologico presenta difficoltà perché la motricità rappresenta il mezzo attraverso il quale il
bambino conosce il mondo circostante e costruisce la propria esperienza soggettiva. È attraverso il
comportamento motorio che il bambino raggiunge le tappe dello sviluppo psicologico(separazione) che
consentono l'organizzazione di propria identità. Sono quindi frequenti un'eccessiva dipendenza e intolleranza
alla separazione dalla madre(rapporto di fusione-confusione).
Col pieno sviluppo del linguaggio e della maturazione della percezione(se possibile) si manifesta la coscienza
della disabilità, con stati depressivi e autoisolamento(percezione propria immagine; privazione di esperienze;
sessualità). L'adattamento sociale risulta impoverito ed è necessario fare esperienze coi pari.
Nelle relazioni l'aiuto primario per i genitori mira a intervento su aspettative genitoriali, per favorire il
superamento del trauma e consentire il passaggio da una relazione assistenziale a una parentale. Le madri di
bambini con PCI risultano essere più soggette al rischio di depressione, ma il supporto sociale può avere
effetti positivi. Talvolta fratelli e sorelle sviluppano somatizzazioni, ansie, paure, conflitti, ambivalenze e
soprattutto sensi di colpa nell'essere il fratello "sano" e senso di responsabilità(eccessivo accudimento).
Genitori devono mostrarsi capaci di accogliere loro emozioni e sentimenti negativi, non significa attribuire il
ruolo di terapisti ma è altrettanto scorretta la completa delega ai terapisti dell'impegno riabilitativo. La famiglia
ha un ruolo importante come moderatore delle reazioni agli stress. Nelle interazioni tra pari riveste un ruolo
importante l'apparenza e questo potrebbe spiegare una riduzione delle interazioni(fisica meno attraenti).
Un'importante osservazione riguarda la qualità degli interscambi: i bambini rivolgono nei loro confronti
comportamenti assistenziali, consistenti principalmente in supporti di tipo fisico (muoversi nella classe). La
possibilità di comunicare riveste grande importanza per partecipare all'interazione.
Nei casi di disabilità motoria non sono le differenze nella menomazione a incidere significativamente sulla
qualità della vita(benessere psicologico, concetto di sé, supporto sociale, ambiente scolastico, risorse
economiche, accettazione sociale), quanto piuttosto il dolore fisico e l’affaticabilità(precludono certe attività).
La riabilitazione vuole promuovere qualità di vita possibili nella globalità dell’individuo. Gli interventi si
concentrano sul bisogno di trasferire abilità apprese nelle sedute di trattamento in diversi contesti(coinvolgere
genitori; importante ambiente di vita).
Distinzione tra interventi "abilitativi"(nelle prime fasi di sviluppo del bambino, promuove competenze
potenzialmente presenti ma che potrebbero non emergere adeguatamente per il danno neurologico) e
"riabilitativi"(finalizzato a recuperare delle funzioni che in seguito a un danno neurologico si sono sviluppate in
modo disfunzionale). L’approccio riabilitativo deve essere precoce, interdisciplinare, intensivo(allenamento
quotidiano e in diversi contesti), centrato sulla famiglia, centrato sul bambino, attento al contesto.
Merita attenzione un nuovo approccio riabilitativo basato sulla scoperta dei neuroni specchio(cellule nervose si
attivano quando l'individuo assiste a un atto motorio al pari di quando è lui stesso a eseguirlo). Quando
l'osservazione è abbinata all'esecuzione, la formazione delle memorie motorie ne risulta fortemente facilitata.
Disabilità intellettiva
Per formulare la diagnosi in accordo al DSM-5, devono essere soddisfatti i seguenti criteri: deficit delle funzioni
intellettive(ragionamento, pianificazione, pensiero astratto…), deficit del funzionamento adattivo(ambito
concettuale, sociale e pratico), insorgenza dei deficit nell'età evolutiva.
Si distingue fra lieve(QI 50-70; apprendimento lento, difficoltà nel problem solving, buona memoria e
linguaggio), moderato(QI 30-50; linguaggio semplice, aiuto nella cura di sé), grave(QI 20-30; abilità
comunicative elementari, relazioni esclusive coi genitori), estremo(QI<20; linguaggio limitato ai gesti,
dipendenti da altri).
Le cause possono essere molteplici:
-cromosomiche e genetiche: anomalie dei cromosomi non sessuali; esempi sono la Sindrome di
Down(trisomia 21, caratterizzati da ipotonia, occhi stretti e ravvicinati, palato ogivale; difficoltà di attenzione e
di memoria a breve termine, ma meglio in compiti visivi e spaziali; comprensione linguista migliore della
produzione; allegri e socievoli); la Sindrome di Williams(problema cromosoma 7, caratterizzati da ipotonia e
anomalie cardiache e gastrointestinali; difficoltà visuo-percettive e motorio, ma produzione del linguaggio
fluente e prolissa; buona socializzazione ma difficoltà nelle attività quotidiane), la Sindrome dell’X
fragile(mutazione del cromosoma X, caratterizzati da viso stretto e lungo, fronte e mandibola prominente,
orecchie grandi; difficoltà di memoria visuo-spaziale e di attenzione; ritardo del linguaggio con eloquio
disordinato e veloce)
-biologiche non genetiche: infezioni e malnutrizione in gravidanza, problemi cronici di salute materna,
assunzione alcool o droghe in gravidanza; nascite premature, trauma cranico durante il parto; infezioni,
carenza ormonale, malnutrizione…
il riconoscimento del ruolo dell'ambiente mette in crisi l'idea che il grado di deficit sia immutabile, facendo largo
al concetto che l'intelligenza è modificabile attraverso l'intervento educativo e riabilitativo.
A una diagnosi corretta e funzionale all'intervento concorrono più tipi di valutazione: medica(per individuare
casi in cui è possibile un intervento che attenui il deterioramento mentale, per individuare patologie associate,
per escludere causa genetica); psicometrica e psicologica(test QI, sotto 70 si parla di deficit intellettivo; da
affiancare ad altri test di organizzazione psicomotoria, percezione visiva, comprensione verbale, memoria,
abilità scolastiche); clinica(per età infantile, del funzionamento intellettivo; colloquio clinico e prove piagetiane
per stabilire modalità di ragionamento del bambino).
Il test del QI può fare uso di diverse scale: Bayley Scale of Infant and Toddler Development(migliori
caratteristiche psicometriche e potenzia valore predittivo dello strumento; valutazione completa dello sviluppo
0-42mesi con prove somministrate al bambino e questionari di osservazione per genitori); scale
Wechsler(WISC IV, calcola QI sullo scarto tra risultati e media dei coetanei; esiste una versione per adulti e
una per bambini 2-7anni; carattere multidimensionale permette valutazione dell’intelligenza generale
attraverso indici di comprensione verbale, ragionamento visuo-percettivo, memoria di lavoro, velocità di
elaborazione, abilità generale, competenza cognitiva suddivisi in 15 prove); Matrici di Raven(in ognuna delle
60 figure proposte manca una parte da aggiungere, scegliendo fra 6 alternativa; per bambini esiste la Matrice
Progressiva a colori; misura intelligenza generale ma non fornisce info su deficit e peculiarità)
I deficit che caratterizzano i DSA hanno origine neurobiologica, ma è necessario considerare anche alcune
variabili che influenzano il processo di apprendimento: prerequisiti cognitivi, prerequisiti affettivi (soprattutto
alla motivazione), esperienza didattica e qualità dell'ambiente familiare.
Sembra che alcuni fattori genetici, in concerto con altri fattori di rischio e protezione genetica e
ambientale(principio multifattoriale), siano responsabili dello sviluppo di deficit cognitivi e della variabilità(età
della diagnosi, possibilità di accesso ai servizi, difficoltà di formulare una diagnosi che per distinguere problemi
che comportano cadute del rendimento scolastico).
L’ambiente può avere effetto aggravante, specialmente se svantaggio "socioculturale"(assenti o fortemente
limitati stimoli intellettuali; povertà di risorse e problemi famigliari ostacolano rapporti con scuola).
Secondo il neurocostruttivismo non esistono disturbi evolutivi che colpiscono selettivamente un'abilità, poiché
un deficit potrebbe influenzare altri dominí(intero sistema ne risente; serve approccio longitudinale).
L'apprendimento della lettura e della scrittura avviene per tre stadi evolutivi: logografico(si ignora l'ordine
delle lettere e il loro valore fonologico, processo di riconoscimento delle parole globale e istantaneo porta però
errori tra parole simili); alfabetico(approccio sistematico con i processi di conversione grafema-fonema; si
consolida il vocabolario interno e il lessico); ortografico(sviluppa la conoscenza delle regole per la conversione
di morfemi in fonemi; rappresentazione mentale astratta delle parole; riconosce dalla prima vocali e
consonanti; impara a scrivere). I successivi sviluppi riguardano l'efficienza e la velocità dei processi che
conducono all'automatizzazione della lettura.
Spesso, nel corso dello sviluppo, si presentano problemi che ritardano o bloccano il consolidamento di alcune
capacità.
I disturbi di lettura (dislessie) ,a cui sono spesso associati disturbi di scrittura (disortografie e disgrafie)
possono essere distinti in dislessie:
-acquisite: causate da insulto cerebrale che danneggia meccanismi percettivo/linguistici; possibilità di recupero
con meccanismi compensatori. Dislessia superficiale(impossibile recupero delle informazioni lessicali, le
parole conosciute sono stringhe di lettere sconosciute; difficoltà nella lettura di parole irregolari, errori di
accentazione e problemi di lettura, scrittura e comprensione di parole come l'una-luna…) e fonologica(deficit
nella conversione grafema-fonema; difficoltà a leggere parole sconosciute).
-evolutive: di origine neurobiologica, riguarda l'acquisizione del codice scritto e si manifesta con difficoltà nella
correttezza e nella rapidità della lettura(deficit fonologico).
Presentano lentezza nell’acquisizione del codice alfabetico e nella corrispondenza lettere-suoni, limitato
accesso lessicale, difficoltà di comprensione del testo(possibilità che sia un disturbo specifico indipendente a
livello sintattico e semantico), difficoltà nel linguaggio orale, instabilità motoria e disturbi di attenzione.
La discalculia include difficoltà nell’elaborazione dei numeri(comprensione tramite meccanismo lessicale e
produzione; 117-127 o 172-1072) e nei calcoli(elaborazione di segni matematici e operazioni; lentezza
nell’esecuzione; importante l’esercizio). Modello evolutivo della cognizione numerica distingue 4 stadi:
subitizing(distinguere quantità di un ridotto numero di oggetti); forma linguistica; forma arabica; linea dei numeri
mentale.
Nel DSM V include difficoltà nel concetto di numero, nella memorizzazione dei fatti aritmetici, nell’accuratezza
e nella fluenza del calcolo e nel ragionamento matematico(non comprende concetti base operazioni e segni
matematici; non riconosce simboli numerici; difficoltà ad attuare manipolazioni aritmetiche standard, nel
comprendere numeri pertinenti al problema, ad allineare i numeri o ad inserire decimali o simboli; scorretta
organizzazione spaziale dei calcoli; incapacità ad apprendere le "tabelline").
Le ricorrenti esperienze fallimentari hanno ripercussioni non soltanto sulle abilità cognitive, ma anche
psicologiche, emotive perché influenzano le convinzioni e i sentimenti che ciascun individuo prova nei
confronti di se stesso. La concezione dell'intelligenza(stabile e immutabile per cui tutto è inutile), la
motivazione, lo stile attributivo(a che si attribuisce successo o non; eventi incontrollabili) e
l'autostima(autoefficacia…) influenzano l'atteggiamento che gli individui hanno nei confronti
dell'apprendimento, fino a “impotenza appresa”(passività).
Individui con DSA sono caratterizzati da strategie disfunzionali nei confronti dell'apprendimento come evitare
le sfide, sperimentare emozioni negative, esibire bassa persistenza e abbandono del compito, decremento dei
livelli di prestazione in relazione ai fallimenti, basso concetto di sé circa la riuscita scolastica.
Tra i fattori di rischio è indicata la presenza di due o più anestesie generali successive al parto, subite prima
del quarto anno di vita; l'appartenenza al genere maschile(x2.5); una storia genitoriale di alcolismo o di
disturbo da uso di sostanze; difficoltà nelle competenze comunicativo-linguistiche(x dislessia), motorio
prassiche, uditive e visuospaziali in età prescolare; storia familiare pregressa; funzioni esecutive(insieme
processi cognitivi base dei comportamenti finalizzati; implicate nella memoria di lavoro, pianificazione,
decisioni…).
La diagnosi prevede un'anamnesi finalizzata anche ad accertare la presenza dei fattori di rischio(dati
fisiologici, medici, familiari, scolastici). Fondamentale risulta la valutazione del funzionamento intellettivo e
delle abilità colpite dal disturbo(realizzata tramite scala WISC IV); in caso di QI tra 70 e 85 si parla di
funzionamento intellettivo limite(sotto 70 si esclude diagnosi di DSA), a cui possono associarsi problemi
nell'apprendimento e nell'adattamento, giustificando diagnosi di DSA o BES. Gli apprendimenti devono essere
valutati con strumenti standardizzati e utilizzando precisi parametri(per dislessia prove di comprensione e
lettura; per disortografia prove di dettato; per discalculia prove per calcoli, lettura e scrittura di numeri, di
confronto di quantità e conteggio); parametri sono l'accuratezza e la rapidità, oltre che analisi qualitativa degli
errori. ll percorso diagnostico termina con la predisposizione della diagnosi funzionale(integrazione delle info di
prove diverse; essenziale per avviare progetto riabilitativo)
Insegnanti quindi rilevano difficoltà specifiche, informano famiglie e attuano interventi, se problema persiste si
chiede intervento specialisti che formula diagnosi e definisce un progetto(approccio multidisciplinare).
Suggerito rilasciare una diagnosi di DSA non prima della fine del 2 anno della scuola primaria, poiché il
completamento dell'istruzione formale al codice scritto coincide con il completamento del primo ciclo di scuola
primaria e poiché è ormai accertata un'ampia variabilità nell'automatizzazione dei processi di decodifica e delle
prime procedure di calcolo(possibile formulare ipotesi diagnostiche con verifiche successive).
Secondo l'ICD 10 è richiesto che il livello delle prestazioni nelle prove di lettura, scrittura o calcolo sia
significativamente inferiore rispetto a quello atteso in base alla scolarità e al livello Intellettivo(metodo della
discrepanza; ormai superato; differenze negli apprendimenti dei bambini con DSA, livello di prestazione pari a
bambini d'età inferiore, confronto tra livello intellettivo generale e capacità di apprendimento specifica).
L’intervento comprende tre tipologie di misure: gli interventi di potenziamento delle capacità(promuove
capacità chiave per l'apprendimento scolastico; si inseriscono nella programmazione didattica per
consolidamento abilità linguistiche e cognizione numerica), gli interventi sulla funzione specifica(abilitazione
competenze metafonologiche, metalinguistiche, lessicali, ortografiche, abilità di calcolo; per dislessia velocità e
correttezza di lettura oltre che comprensione del testo che sono anche parametri di valutazione; per discalculia
fornire strategie di calcolo e di stima), le misure compensative e dispensative(registratore, audiolibri, computer
con programmi di videoscrittura con correttore ortografico e sintesi vocale, supporti audio per i materiali
significativi, tabelle dei mesi…).
Gli autori rilevano come alcuni trattamenti abbiano migliorato la velocità di lettura, come durante i periodi di
non trattamento non ci sia stato un cambiamento apprezzabile e, infine, come ripetendo il trattamento ad ogni
ciclo si sia verificato un miglioramento progressivo. Emerge la possibilità che un disturbo si possa modificare.
Questi individui mostrano carenze nello sviluppo di una “teoria della mente”, utile per attribuire a sé stessi e
agli altri stati mentali(desideri, intenzioni, pensieri, credenze). Gli autori assumono che il deficit sia legato a un
danno neurologico selettivo(permanenza delle persone, capacità di assumere prospettiva hanno buone
prestazioni) che spiega i disturbi nella socializzazione, nella comunicazione e nell'immaginazione.
Si ritiene però poco chiaro quanto i deficit nella teoria della mente spieghino i problemi a livello sociale o
quanto derivino da precoci anomalie delle competenze sociali e dalla limitatezza delle esperienze connesse.
Deficit allo sviluppo della teoria della mente non rende conto di comportamenti ripetitivi e ossessivi, rigidità, e
la presenza di un profilo cognitivo con evidenti discrepanze(picchi su conoscenze fattuali, memorizzazione
dati, attenzione a particolari; insuccessi su comprensione senso comune, memoria di lavoro, pianificazione).
Deficit della coerenza centrale impedisce di elaborare informazioni nel loro complesso ostacolando
l'accesso ai significati di più alto livello, a vantaggio della memoria per i particolari. Una scarsa tendenza a
cercare il significato globale e un'attitudine a concentrarsi sui singoli dettagli spiega comportamenti
stereotipati(concentrazione sul dettaglio perde di vista l’obiettivo) e carenze del linguaggio(porta a elaborare la
frase pezzo per pezzo).
Altra ipotesi richiama il coinvolgimento delle funzioni esecutive ossia delle abilità implicate nel pianificare e
organizzare l'azione, nell'inibire risposte automatiche e nell'anticipare la progressione di un evento. Il
comportamento appare rigido e inflessibile(angoscia per cambiamenti; seguono routine ossessiva; difficoltà a
inibire le risposte). Rigidità e perseverazione sono attribuibili ad un deficit nell'iniziare nuove azioni e alla
tendenza a rimanere ancorati su un dato compito(spiega stereotipie e interessi limitati).
L’idea del deficit socio affettivo primario cerca di trattare separatamente cause dell’autismo da modalità con
cui si esprime, definendo un piccolo numero di deficit psicologici alla base(Hobson,1990). In questa
prospettiva le difficoltà nel comprendere stati mentali nascono da incapacità innata a instaurare i normali
contatti affettivi con le persone.
Nonostante ancora oggi i modelli sopra esposti costituiscano un punto di riferimento la letteratura conduce a
spiegazioni multifattoriali del fenomeno(processi percettivi, attenzione, memoria, profilo cognitivo generale,
attenzione congiunta, elaborazione delle emozioni…).
Non esistono trattamenti che possano con certezza rendere reversibile questo disturbo, ma è possibile avere
ricadute positive. Efficaci terapie comportamentali precoci e globali(rinforzi, modellamento…).
Il modello Dir è un trattamento centrato sugli aspetti affettivo relazionali per instaurare rapporti positivi e
comunicazione gestuale significativa(si stimola il bambino all’attenzione condivisa, alla comunicazione, al
problem solving mentre gioca.
Il programma Teacch(olistico) una rete di servizi rivolti a persone di tutte le età e di tutti i livelli di
funzionamento con diagnosi di autismo; si basa su: osservazione del bambino(non solo analisi teoriche);
collaborazione genitori-operatori; il favorire la capacità di adattamento del bambino tramite l'insegnamento di
nuove abilità e mediante l'adattamento dell'ambiente; il potenziamento delle abilità e l'accettazione dei deficit.
II trattamento di attivazione emotiva e reciprocità corporea mobilita le risorse relazionali dei genitori per
una crescita della mente e un recupero di abilità latenti(stimola canale comunicativo; estrema variabilità).
La comunicazione facilitata(CAA) consente sostegno fisico ed emozionale per digitare o indicare lettere su
una tavola, con la convinzione che alla base dell’autismo ci sia una aprassia che impedisce movimenti
volontari. Un sistema per potenziare le capacità comunicative delle persone con autismo è il WOCE(Written
Output Communication Enhancement), "Scrittura per lo sviluppo della comunicazione", che pone enfasi su
un training complesso, finalizzato all'acquisizione dell'abilità di indicazione intenzionale, orientata alla
comunicazione, al raggiungimento di un maggior controllo, alla programmazione dell'atto motorio volontario e
all'acquisizione di abilItà simboliche e di scrittura finalizzate alla comunicazione.
Trattamento psicoterapeutico non è di facile applicazione a causa delle limitazioni nell'attività ludica, che
spesso costituisce la base delle psicoterapie infantili. Fondamentale il coinvolgimento dei genitori, mirato a
fornire un sostegno psicologico e a ristabilire fiducia nelle proprie capacità genitoriali.
DISABILITA' E FAMIGLIA
La nascita di un bambino con disabilità è una potenziale fonte di difficoltà e disagio per qualsiasi famiglia(sogni
e progetti sull'idea di un bambino sano; evento altamente stressante) per lo stravolgimento delle attività
abituali(routine quotidiane: pasti, sonno…; ritmi lavorativi; attività ricreative) e in termini di tempo di vita che
ciascun componente della famiglia dedica all'assistenza della persona disabile(rischio isolamento).
Una prima variabile che incide sul superamento della crisi familiare è la situazione del bambino(natura e alla
gravità disabilità; presenza di comportamenti problematici; salute; disturbi del sonno…); un'altra sono le
caratteristiche personali. Il raggiungimento di un equilibrio soddisfacente è collegato alla cooperazione dei
genitori, a una suddivisione dei compiti, alla qualità del rapporto, alla supporto intrafamiliare(nonni…) e a
supporto sociale,risorse che la comunità riesce ad attivare(servizi, figure professionali e loro capacità
relazionali e professionali).
Necessario stabilire incontri per fornire gradualmente un'informazione più possibile completa e corretta
riguardante la malattia, oltre che per capire i bisogni specifici di ciascuna famiglia. Fasi cruciali spesso
coincidono con tappe importanti nella crescita del figlio, che pongono nuovi problemi di
adattamento(crescendo aumenta discrepanza rispetto ai coetanei). L'ingresso a scuola è un passaggio molto
delicato(diminuiscono occasioni di condivisione con altre famiglie problematiche e spesso col bambino).
L'ingresso nella pubertà e nell'età adulta costituiscono momenti cruciali(difficoltà culturale a pensare la
persona con disabilità come adulto emancipato; rischio che non abbia vita privata e tutto ciò che la riguarda
viene eterodiretto, si pensi a sfera sessuale). Uno dei problemi è quello che l'individuo acquisti
consapevolezza e si ponga in modo attivo rispetto alle scelte che lo riguardano.
La famiglia è fondamentale: partecipa attivamente nel trattamento(ruolo proprio, diverso da terapisti e
educatori), ha supporto psicologico e/o materiale alla famiglia(assistenza al disabile per lasciare tempo libero,
supporto economico, strutture educative, programmi di addestramento per i genitori…); è il primo luogo nel
quale si verifica se le competenze apprese vengono utilizzate nella vita quotidiana.
IL NUOVO PEI IN PROSPETTIVA BIO-PSICO-SOCIALE ED ECOLOGICA
1-PER UN PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO INCLUSIVO(PEI)
L’idea di inclusione di oggi fa riferimento a definizioni più ampie riguardo la capacità della comunità scolastica
di sviluppare pratiche didattiche e organizzative capaci di valorizzare ciascuno(socializzazione e
apprendimento di qualità; diversa da passata limitata a garantire presenza e accoglienza a scuola).
Ricerca del punto di contatto
Nonostante ciò il PEI è ancorato dall'inizio a una scelta orientata alla ricerca della qualità dell'esperienza di
apprendimento e di partecipazione. C’è la necessità di coordinare connettere l'insegnamento normale e quello
di recupero e sostegno, sebbene la normativa italiana indichi con chiarezza come non esista un curricolo
parallelo separato per alunni con disabilità, ma un PEI con la funzione di costruire un contatto fra il curriculum
di tutti e i bisogni specifici(facilitatore di inclusione; alcuni paesi europei presentano ancora curricoli distinti).
Apporto inclusivo prospettiva bio-psico-sociale
D.lgs 66/2017 introduce l’idea di un PEI basato su prospettiva bio-psico-sociale, evidenziando il
funzionamento umano come frutto di complesse relazioni che portano a ricadute in termini di progettazione del
PEI. La prima riguarda il modo in cui si cerca di comprendere il funzionamento del bambino, non è sufficiente
la sintesi del profilo di funzionamento, ma è importante lo sguardo di chi conosce l'alunno nel proprio ambiente
di apprendimento(docenti, famiglia…prospettive diverse). La seconda è che implica la necessità di concepire il
PEI come un percorso di apprendimento per l'alunno, ma anche come sviluppo del contesto di
apprendimento(valorizzata dimensione individuale e contestuale)
Importanti le sezioni dedicate al contesto e al riconoscimento di barriere e facilitatori(modalità di descrizione
su come influenzano le dimensioni dell’alunno) con la relativa attivazione di strategie per costruire un ambiente
inclusivo, distinguendo tra performance(possibilità di agire e partecipare in base al contesto) e
capacità(possibilità di fare in ambiente protetto). Una delle sezioni del PEI richiede una progettazione
disciplinare in cui ciascun insegnante si assume la responsabilità di declinare la progettualità del PEI per il
proprio ambito disciplinare, formalizzando l’impegno di tutto il team docenti.
Apporto inclusivo di una visione prospettica del PEI
Per visione prospettica si intende un allargamento del pensiero progettuale(verso una pluralità di luoghi di
vita e avanti nel tempo; oltre la scuola), ben visibile Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione(GLO, collega
diversi contesti di vita creando rete fuori scuola) e nelle prime sezioni dove viene richiesto il punto di vista
della Sanità(sintesi profilo di funzionamento), degli insegnanti(osservazioni) e dei genitori(quadro informativo).
Questa pluralità facilita una comprensione globale dell’alunno(potenzialità e difficoltà) e facilita la
partecipazione del bambino(una sezione chiede raccordo con progetto individuale comunale e progettazioni
extrascolastiche). Le scuole sono insiemi di ecosistemi e contribuiscono allo sviluppo di un’inclusione sociale.
Una direzione oltre la scuola significa anche mantenere la razionalità, ma coltivare aspirazioni e desideri ma
(pensiero troppo razionale si schiaccia sul presente impedendo al bambino di crescere). Nella sezione delle
Competenze trasversali e dell’orientamento si tiene conto di come il passaggio al mondo del lavoro sia un
momento sensibile(investimento su orientamento e progetto di vita crea consapevolezza su scuola da
frequentare).
Apporto inclusivo della voce degli alunni con disabilità
Secondo il capability approach l'uguaglianza fra le persone può essere valutata sulla base delle libertà reali
di cui dispongono per raggiungere un livello di funzionamento buono per loro; diventa quindi fondamentale non
solo progettare per i bambini, ma con i bambini secondo il principio di autodeterminazione(partecipazione).
Diventa altrettanto importante una scuola che supporti nello sviluppo di una consapevolezza delle proprie
inclinazioni e desideri oltre che di capacità di scelta. Il tema dell'autodeterminazione nella pedagogia speciale
richiede lo sviluppo di competenze ma anche elementi di contesto facilitatori(progettazione inclusiva solo
tramite partecipazione); l'autodeterminazione non si raggiunge con l'età adulta ma attraverso un lungo
percorso di prove ed errori in diversi contesti.
Il processo di progettazione del PEI deve diventare inclusivo esso stesso, garantendo l’ascolto della voce degli
studenti(attenzione ai diritti dei bambini).
Ad oggi la partecipazione degli studenti con disabilità al GLO è prevista solo nelle scuole secondarie di
secondo grado, che nel modello presentano sezione “Elementi desunti dalla descrizione di sé dello studente”,
veicolando l’idea che l’autodeterminazione sia legata al mondo adulto.
Rischi del PEI per l’inclusione
Il limite del PEI risiede nel fatto che sia uno strumento riservato solo ad alunni con disabilità, contribuendo così
ai fenomeni di delega ed etichettamento. Bisogna favorire processi di cambiamento che investono tutta la
scuola, ma questo implica il rischio di trattare in modo indifferenziato le molte differenze, o che alcune
specificità di una condizione di disabilità non siano trattate con sufficiente attenzione(qui ha senso prevedere
misure particolari per un gruppo di persone). Se proponiamo le stesse attività potrebbero non rispondere ai
bisogni individuali, se proponiamo attività diverse potrebbero creare diversità fra gruppi. Necessario equilibrio
instabile(differenza equa; dialogo partecipazione col gruppo-progettazione specifica, punto di contatto).
Per essere inclusivo il PEI deve abbracciare la prospettiva biopsicosociale, accogliere una visione prospettica
e dare spazio alla voce degli alunni; strumento di progettazione del percorso individuale e del contesto.
I fattori ambientali organizzati secondo il concetto della progettazione universale costituiscono il fondamento
dell’inclusione scolastica. L’Universal design for learning rappresenta un quadro di riferimento per la
progettazione di percorsi che garantiscono la massima flessibilità al fine di ottimizzare le opportunità di
apprendimento e partecipazione di tutti(un libro leggibile con modalità e strumenti diversi è un facilitatore
ambientale universale permettendo la lettura anche a persone con particolari condizioni). Un ambiente capace
di soddisfare i differenti bisogni nelle varie forme è da considerare un contesto educativo ecologico e
sostenibile, che migliora la partecipazione e il rapporto costi-benefici riducendo i fattori ambientali che
alimentano bisogni educativi speciali. L'analisi e la descrizione di presenza o assenza(impatto sul soggetto) di
facilitatori sono parte integrante del profilo di funzionamento; la loro assenza costituisce una barriera genera
disabilità(inclusività del contesto inversamente proporzionale al livello di disabilità che genera).
Le modifiche necessarie per rendere inclusivo il contesto scolastico sono descritte con il termine di
accomodamento ragionevole(adeguamento a un grado accettabile di funzionalità senza imporre carichi
sproporzionati o eccessi; alunna con elevata sensibilità alla luce potrebbe aver necessità di un ambiente con
veneziane per regolare la luce naturale, regolatori della luce artificiale, posizione con schiena verso la finestra
senza però costringere tutta la classe a lavorare in un'aula con poca luce). Anche l'adeguamento della
didattica a differenti bisogni(didattica delle differenze e autodeterminazione) è un accomodamento
ragionevole, mentre la didattica tradizionale è un fattore ambientale di restrizione della partecipazione e
possono avere impatto negativo su fattori personali.
Progettazione universale e accomodamento ragionevole non escludono dispositivi speciali(protesi, dispositivi
specifici, interventi riabilitativi, penne con impugnatura particolari, impianto cocleare…), per gruppi di persone
con disabilità, indispensabili per il loro funzionamento. I facilitatori speciali sono impiegati per lo più nelle
attività di base(apprendimento, routine, comunicazione, mobilità, cura della persona) e spesso richiedono un
processo di familiarizzazione che può interferire con la partecipazione alle attività scolastiche rendendo il
facilitatore stesso una barriera temporanea(effetti collaterali e interferenze devono emergere dal Profilo di
funzionamento e dal PEI). Il tempo per familiarizzare non è aggiuntivo a quello ordinario della vita scolastica e
non si può sfruttare il tempo libero in cui avvengono le maggiori occasioni di coinvolgimento. Molti facilitatori
richiedono inoltre condizioni ambientali adeguate per offrire il massimo potere facilitante(apparecchio acustico
non è utile in un'aula piena di riverbero o se l’insegnante non permette lettura labiale).
I fattori personali sono molto importanti, se l'alunno non accetta il facilitatore speciale perché lo percepisce
come elemento di diversità, il potere facilitante diminuisce o si azzera pur se adeguato sul piano funzionale.
Atteggiamenti, comportamenti, percezioni e opinioni delle persone che entrano in contatto con lo
studente(educatori…) possono avere impatto neutrale, facilitante, ostacolante sulla sua disabilità e sul suo
funzionamento(non sempre assenza è ostacolante e presenza facilitante). Presenza o assenza dei facilitatori
umani deve essere prima affiancata e poi sostituita da facilitatori individuali, da adattamenti e accomodamenti
ragionevoli e dalla progettazione universale, per promuovere l'autonomia(autodeterminazione).
Il potere facilitante degli ausili e delle protesi speciali dipende dalla complessa interazione tra le funzioni e
strutture corporee, l'attività e la partecipazione(come funziona la persona) e i fattori ambientali personali(di
cosa ha bisogno per funzionare meglio).
Potrebbe risultare utile focalizzare l’osservazione su elementi e fattori che incidono sul funzionamento globale
e sull’apprendimento(fattori contestuali personali come autostima, autoefficacia, motivazioni…)
In alcuni casi si osservano comportamenti problema che ostacolano l’apprendimento. Per capire le cause di
questi comportamenti e scoprirne le funzioni è necessaria un'analisi funzionale, ovvero osservare l'ambiente
prima della manifestazione(stimoli antecedenti; affaticamento o noia, ritmo lezione, richieste eccessive…), gli
stimoli conseguenti(ciò che avviene dopo il comportamento, fattori che lo rinforzano).
Dati utili sono relativi la frequenza, per rendersi conto dei momenti specifici in cui si verificano e riflettere sulle
variabili che possono essere modificate. Importante monitorare le fasi di valutazione di intervento e verificare il
raggiungimento degli obiettivi e dell'efficacia globale del programma(osservazione sistematica tramite griglie).
Universal design for learning è un approccio pedagogico inclusivo, intenzionale e pianificato, che fa
riferimento a tutti gli studenti per supportarli nello sviluppo e nell'apprendimento.
L'ossatura metodologica su cui si fonda è costituita da tre presupposti: utilizzare diversi modi di coinvolgimento
motivazionale ed emotivo per incontrare interessi studenti(opzioni per l’autoregolazione, per sostenere
l’impegno, per stimolare interesse), diversi modi di rappresentazione per l’acquisizione di conoscenza(opzioni
per la comprensione, nei linguaggi, per la percezione del materiale), diversi modi di azione ed espressione per
dimostrare conoscenza(opzioni per le funzioni esecutive, per la comunicazione, per le azioni fisiche).
L’educazione dovrebbe aiutare a diventare competenti nell’apprendere, ma spesso i curricula sono progettati
sulla base dello studente medio(rigido); l’UDL fornisce invece una definizione di curricolo più estesa(non solo
sequenza di contenuti). Le quattro componenti di ogni curricolo efficace sono: obiettivi(per definire metodi e
materiali per raggiungere scopo), valutazione(formativa e sommativa), metodologie educative(adattabili in
base a esigenze; offrire ampia scelta), materiale educativo(vari e flessibili, ampia scelta).
Oltre a promuovere l'utilizzo di strategie inclusive i dirigenti possono assumere un ruolo centrale per diffondere
la cultura dell’UDL incoraggiando gli altri istituti, guidando i colleghi richiedendo formazione professionale
specifica(necessaria accettazione estesa).
Una buona relazione è indispensabile per ogni attività di sviluppo e apprendimento. Si può parlare di valore
positivo intrinseco(fine a se stessa, benessere psicologico vissuto direttamente, immateriale) e
strumentale(utile per raggiungere gli scopi all'interno del contesto); due aspetti indissolubili. Il valore positivo
deve essere vissuto tale da tutti i partecipanti, dobbiamo quindi abbandonare una visione meccanicistica(metto
empatia, di ascolto, aiuto…) accettando l'idea che per una buona relazione serva del tempo(per insegnanti
ansia delle scadenze rende difficile la relazione). Nello svilupparsi di una relazione buona potremmo agire su
tre leve per facilitare il legame: accettazione incondizionata e attribuzione di valore positivo all'alunno, ascolto
attivo(conoscenza, empatia; non fare interpretazioni frettolose), proattività(stimolo, aiuto, accompagnamento,
azione orientata…), che favoriscono autostima, identità e sicurezza.
Si rende necessario ascoltare, comprendere l’alunno attraverso linguaggi diversi(verbali, prossemica,
comportamenti…) in un’ottica di globalità.
L'empatia(capacità di sentire l’altro) gioca un ruolo fondamentale nella regolazione dei vari livelli della vita
affettiva; le relazioni con gli adulti contribuiscono a processi di alfabetizzazione affettiva(regolazione stati
d’animo ed emozioni; conforto ed etichette verbali per stati affettivi). Una relazione buona produce un aumento
di autostima che è connesso ad altri risultati o dimensione psicologiche; la nostra azione dovrebbe anche
favorire lo sviluppo di un'identità più autonoma ponendosi come modelli di motivazioni, valori.
Una risorsa fondamentale nell'inclusione scolastica sono le relazioni collaborative tra docenti, indispensabili
per una co-progettazione e una compresenza didattica efficace e funzionale. L'eterogeneità dei vari bisogni
educativi speciali richiede risposte tempestive ed efficienti a una molteplicità di problematiche diverse, un
lavoro coordinato con momenti di intervento individualizzato/personalizzato, ma anche lavori di gruppo, tra
coppie, laboratori… Queste modalità comportano procedure che hanno necessità di una compresenza tra
insegnanti, superando la funzione dell'insegnante di sostegno come insegnante del solo alunno con difficoltà.
Questo porta gli studenti con disabilità a spendere più tempo all'interno della classe utilizzando le strategie che
sarebbero impiegate nell'aula alternativa. La proposta didattica inclusiva in compresenza è quindi in grado di
promuovere la valorizzazione delle differenze e un ambiente di apprendimento flessibile e creativo.
Per far diventare la classe una vera comunità sono indispensabili strategie di sostegno alla prosocialità e
solidarietà tra studenti(fa bene a tutti). L’ambiente interpersonale in classe ha un’influenza importante su
atteggiamenti, interessi, impegno e rendimento.
Le abilità cooperative si apprendono con lavori in gruppo, senza una continua supervisione(dare a tutti
opportunità di parlare, adeguarsi alle necessità del gruppo; abilità per cooperare si devono apprendere).
L’apprendimento cooperativo stimola abilità cognitive e metacognitive(articolare e esporre il proprio
pensiero, formulare ipotesi, generalizzare…); importante la partecipazione equa(osservatore monitora e
protegge da abusi). Lavorando in piccoli gruppi gli studenti migliorano reciprocamente l’apprendimento di
ognuno(applicabile ad ogni compito e curricolo).
Gli studenti apprendono meglio partendo da una situazione di conflitto socio cognitivo dove devono giustificare
i propri punti di vista e rendersi conto che possono esserci diverse prospettive legittime, ma non tutti sono in
grado di gestire il disaccordo(attacchi personali, abbandonano il gruppo…). Si può intervenire chiedendo agli
studenti di pensare come rivivere meglio quanto accaduto; se questa formazione porta all’interiorizzazione di
norme cooperative(trasferibili ad ogni contesto) libera il docente dalla necessità di un controllo costante.
L'efficacia dell'apprendimento cooperativo è stata dimostrata dalla ricerca osservando migliori risultati
scolastici(motivazione intrinseca, lavorano di più), relazioni più positive(spirito di squadra e amicizia) e un
maggior benessere psicologico(autostima, senso di autoefficacia).
Ci sono tre principali tipi di gruppi di apprendimento cooperativo: formali(per insegnare il contenuto, abilità
diverse assicurando il coinvolgimento attivo), informali(creati momentaneamente per focalizzare l'attenzione
sul materiale), di base( eterogenei a lungo termine per dare sostegno ai partecipanti).
Affinché la cooperazione funzioni importante definire le basi: interdipendenza positiva(non c’è successo
individuale senza collettivo; degli obiettivi, delle gratificazioni, delle risorse, dei ruoli, di identità); doppia
responsabilità(individuale nel contribuire e di gruppo nel raggiungere obiettivi); interazione costruttiva
diretta(lavorare insieme e promuovere condivisione delle risorse); abilità sociali(occuparsi del compito ma
anche dalle interazioni; bisogna sostenere un ruolo di guida, prendere decisioni, creare fiducia, comunicare);
valutazione del grado di cooperazione(alunni verificano e discutono i progressi compiuti identificando azioni
positive o negative dei membri).
Un'altra strategia è quella del peer tutoring, secondo cui un alunno(tutor) insegna a un altro, in modo che
entrambi traggano vantaggio dall'esperienza(sia in ambito scolastico che sociale; approccio individualizzato,
scaffolding; visione positiva della scuola). Esistono diverse procedure di tutoring con differenti obiettivi: gruppi
della stessa classe(4 o 5 alunni, eterogeneo); tra alunni di età diversa a favore del discente(più bravi assistono
più giovani in specifica disciplina); tra alunni di età diversa a favore anche del tutor(imparare insegnando,
sicurezza, autostima).
Nella fase di definizione e di adattamento degli obiettivi individualizzati vengono definiti i vari livelli(lungo,
medio, breve termine) da tre ambiti: bisogni fondamentali dell'alunno, progetto di vita, programmazione
curricolare della classe.
La ricerca del punto di contatto è un processo continuo; in ogni fase dobbiamo tener conto delle componenti
dell’azione(input e output) che chiediamo all’alunno, del principio di efficacia(adattamento deve essere
decisivo per facilitazione dell’alunno) e del principio di parsimonia(modificare il meno possibile). Nel rispetto
di tali principi Ianes individua i seguenti passaggi: sostituzione(cura l’accessibilità degli obiettivi senza
modificarlo, cambia codice dell’input o le modalità di output), facilitazione(ricontestualizza l’obiettivo
modificando tempi e spazi, arricchisce input con aiuti come schemi o immagini), semplificazione(semplifica
gli obiettivi rendendoli più comprensibili o accettando più errori di output), scomposizione in nuclei
fondanti(identifica nuclei fondanti della disciplina in obiettivi accessibili), partecipazione alla cultura del
compito(anche se non riesce a fare nulla importante che partecipi e viva un clima emotivo di tensione
cognitiva, condividere emozioni coi compagni partecipando a stesse attività). CONTROLLA BENE
L'uso di strategie logico visive e delle mappe cognitive è una via intermedia tra l’insegnante che adatta
materiali didattici e l’azione dello studente che elabora in maniera differente le informazioni producendo in
autonomia i propri schemi; l'efficacia risiede nel potenziare la logica che sottende la costruzione delle mappe e
non nell'uso delle mappe come strumenti alternativi. Si basa sullo sviluppo del pensiero logico e strategie
logico visive per l'organizzazione della conoscenza.
Schemi e mappe cognitive non sono sinonimi: i primi possono essere del tutto liberi mentre i secondi
presentano regole formali di composizione, simboli, codici(scala di riduzione, differenti linee di
collegamento…). Sulla base di questi esistono differenti tipi di mappe: mentali(modello a raggiera;
associazione di idee chiave, ogni parola nella mappa fa riferimento a quella centrale; idea di mente come
rete), concettuali(più strutturate e complesse; esplicitano come un concetto è rappresentato nella mente
dell’autore; composte da concetti legati tra loro da parole-legame, i primi possono essere oggetto o evento,
seconde descrivono azioni e relazioni che li uniscono; la mappa deve avere una domanda focale iniziale e un
ordine gerarchico per una migliore organizzazione sebbene possano esistere relazioni trasversali).
Preso atto della disomogeneità delle classi e dei differenti stili di apprendimento è necessario adottare una
differenziazione didattica per permettere ad ogni allievo di raggiungere i migliori risultati sul piano di
conoscenze, abilità, competenze. La differenziazione didattica può quindi essere definita una prospettiva
metodologica volta a proporre attività educative didattiche mirate per soddisfare le esigenze dei singoli e
promuovere apprendimenti significativi, in un clima educativo in cui è consuetudine affrontare il lavoro didattico
con modalità differenti.
Progettare per differenziazione significa mettere al centro la persona nella sua integrità, individuando i pilastri
su cui fondare l'azione educativa e lavorare per competenze chiave, come suggeriscono le Indicazioni
Nazionali(comunicazione nelle lingue straniere, matematica e competenze base in scienze e tecnologia,
digitale, imparare imparare, sociali e civiche, spirito di iniziativa e imprenditorialità, consapevolezza ed
espressione culturale).
Le ricerche testimoniano l’importanza di alcune condizioni: rinnovamento didattico(modificare vecchio modo
di fare scuola che vede la classe come un unico blocco molto ad assorbire le esperienze unitarie che il
docente propone), accoglienza della diversità(riconoscere i bisogni personali dei singoli ed essere disposti a
modificare il piano didattico programmato), apertura ai contributi esterni(scuola deve aprirsi al territorio
perché vita reale deve essere un riferimento costante per le proprie scelte dando alla proposta formativa un
carattere solido è valido poiché ragazzi hanno bisogno di comprendere le ragioni dell'impegno a scuola),
lavoro di team(ragazzi capiscono se manca la cooperazione è compito del dirigente scolastico occuparsi
delle relazioni tra docenti sollecitandoli a prendere coscienza del valore di una proposta unitaria della scuola).
L’inclusione si attua quando un alunno accetta di buon grado di svolgere un determinato compito
appositamente ideato per lui, poichè tutti in quel momento stanno lavorando su compiti diversi, generando così
un apprendimento significativo.
Con la Legge 170 l’alunno con DSA può essere aiutato ad affrontare l’esperienza scolastica attraverso un
ambiente pensato apposta per lui(misure dispensative e compensative)
La direttiva del MIUR evidenzia come non esista una sindrome BES, ma un’area dei bisogni educativi speciali
che racchiude alunni con deficit(Legge 104), con disturbi evolutivi specifici(Legge 170) e che presentano
problematiche temporanee personali, mettendo in luce l’importanza di approccio differente rivolto al singolo.
I modelli di insegnamento ordinari non sono più funzionali(organizzati su tutti, non su caratteristiche di
ognuno), ma sembra che molti docenti abbiano risolto il “problema” facendo ricorso a una diminuzione della
complessità della domanda formativa per i meno abili, portando a insoddisfazione generale(alcuni fanno cose
in più; unica soluzione è differenziazione).
Secondo Tomlinson è necessario che il docente riesca a differenziare il contenuto(cosa bisogna apprendere),
il processo(cosa docente mette in atto per permettere ad allievi di costruire il sapere), Il prodotto(saper attivare
strategie non memorizzare nozioni; compito autentico). Tale modello è basato su una conoscenza
approfondita degli allievi per sapere se possiedono possibilità reale di acquisizione(prontezza; sviluppo
prossimale di Vygotskij) oltre che i loro interessi e motivazioni(anche extrascolastici), il loro profilo di
apprendimento(stile di apprendimento; individuale, in gruppo…) e le caratteristiche dell’intelligenza. Tutto ciò
per declinare al meglio la proposta formativa orientata al singolo.
Cottini affronta il tema del ruolo dell’insegnante specializzato, individuando 4 piani dell’inclusione interagenti
tra loro:
-piano dei principi: l’orientamento inclusivo non può essere messo in discussione perché diritto inalienabile di
ognuno; fa riferimento al modello sociale secondo cui la disabilità dipende dal contesto e quindi tutti siamo
potenzialmente emarginabili anche senza certificazione. Promuovere l’inclusione significa stimolare la
partecipazione; necessario riordinare e semplificare il sistema di formazione dei docenti.
-piano organizzativo: predisposizione dei contesti educativi richiede organizzazione precisa e flessibile(orari,
monte ore…) e coordinamento preciso a livello del Consiglio di classe(condividere l’approccio didattico e di
valutazione; elaborazione POF) e del Gruppo di Lavoro per l’Inclusione(GLI; elaborazione PAI). Si gioca
nell'interazione fra insegnanti e dirigente, nella programmazione congiunta fra colleghi, nei gruppi di lavoro per
l'inclusione, nel coinvolgimento delle famiglie e nei rapporti tra scuola ed enti.
L’approccio Universal Design for Learning(UDL; ambito didattico) e Design for all(ambito architettonico)
rispondono a questa esigenza di inclusione per ciascuno, evidenziando la profondità del concetto di
accessibilità(non solo alla struttura fisica, ma anche ai curricoli educativi differenziati).
-piano metodologico-didattico: l'inclusione per tutti passa anche attraverso un affinamento delle procedure
didattiche, le quali devono promuovere il ruolo attivo di ogni studente. È possibile individuare 5 linee di lavoro
tra loro integrate: clima e gestione della classe(atteggiamenti, reazioni e comportamenti incidono su
apprendimento; può essere contraddistinto da uno spirito collaborativo e di comunità o stile maggiormente
competitivo e individualistico; necessario promuovere adeguate relazioni e atteggiamento positivo nei confronti
dell’apprendimento in un sistema di regole condivise); strategie cooperative(costruzione collaborativa della
conoscenza enfatizza il ruolo che possono assumere le interazioni tra pari per l’apprendimento: peer tutoring,
cooperative learning con specifici compiti e ruoli per ogni membro dei gruppi); strategie cognitive e
metacognitive(per insegnare come si apprende, basate su potenziamento delle funzioni cognitive e sulla
consapevolezza dell’allievo; favoriscono approccio strategico al compito); educazione socioemozionale e
prosociale(studenti possono acquisire e applicare competenze socioemotive in attività specifiche,
promuovendo conoscenza e controllo proprie e altrui emozioni, salvaguardando l’identità, la creatività e
l’iniziativa); strategie specifiche di intervento BES(non bisogna sottovalutare i bisogni specifici che alcuni
individui presentano e pensare che non devono essere messe in campo didattiche rivolte alla persona;
necessarie competenze inclusive in ogni insegnante).
-piano dell’evidenza empirica: necessario appurare attraverso la ricerca se le procedure organizzative e le
strategie didattiche adottate, in una prospettiva inclusiva, risultano efficaci. Fondamentale predisporre
strumenti per verificare, anche attraverso l'autovalutazione degli insegnanti, l'inclusività di classi e scuole e
portare un reale contributo alla riflessione.
Per la diagnosi le limitazioni nel comportamento adattivo sono definite operazionalmente con una prestazione
inferiore di almeno una delle tre dimensioni di comportamento adattivo(concettuale, sociale, pratica) o del
comportamento adattivo globale. La valutazione del comportamento adattivo è utile per la classificazione della
gravità del disturbo(lieve, moderato, grave, estremo; rilevare la compromissione di vita quotidiana), sia nel
caso di disturbi fisici che mentali; permette inoltre di identificare punti di forza e debolezza e pianificare
interventi personalizzati per incrementare l’autonomia(raggiungere obiettivi, integrarsi, incrementare qualità
vita).
La scala DABS(Diagnostic Adaptive Behaviour Sale) rileva se individui 4-21 anni presentano limitazioni nel
comportamento adattivo necessarie per la diagnosi del disturbo di disabilità intellettiva(punteggio inferiore di
circa due deviazioni standard). Sono disponibili tre versioni in base all’età, ognuna formata da tre scale di 25
item ciascuna che rilevano abilità adattive concettuali, sociali, pratiche; compilata con un’intervista
semi-strutturata a una persona che conosce bene il soggetto da valutare. L’intervistatore deve essere un
professionista con adeguata formazione al testing; per lo scoring è necessario utilizzare un software. La DABS
risulta attendibile e valida, ad oggi è disponibile in USA, ma la stanno adattando anche per l’Italia.
Le tecnologie possono agire sul funzionamento della persona diventando strumenti in grado di compensare il
deficit, per questo sono collocate all'interno dei fattori ambientali della prospettiva bio psico sociale dell’ICF.
Il rapporto disabilità tecnologie deve essere circolare e distaccato dalla logica protesistico-medica. È
importante partire dalle caratteristiche della persona, dalla funzione e dal tipo di utilizzo di una tecnologia,
sostituendo alla selvaggia prescrizione una reale valutazione dell'impatto e dell'apporto del mezzo sulla vita
quotidiana(possono risultare strumenti ostacoli anche in termini di inutilità, eccessiva facilità, iper
compensazione…). L’apporto delle tecnologie è significativo nella misura in cui rendono il contesto di vita più
facilitante e incrementano la partecipazione.
In una prospettiva pedagogico speciale si auspica che lo strumento possa essere condivisibile e funzionale ai
bisogni di tutti, con un alto grado di individualizzazione e personalizzazione, che concorra a sviluppare
l'attenzione e la motivazione(importante per tutti gli alunni).
Nel caso gli alunni con gravi disabilità l'obiettivo non è riprodurre contenuti curriculari quanto i processi
sottostanti accrescendo la capacità attentiva, di risposta, l'estensione di comportamenti problema(riduce
interferenze, adatta apprendimento, senso di autoefficacia, migliore autopercezione…), permettendo di ridurre
le distanze tra il singolo e la classe. L'uso di percorsi digitali permette di usare strumenti e contesti comuni per
tutti mantenendo una progettazione il più possibile condivisa e agganciata al curricolare(strumenti per tutti,
accessibilità per ciascuno). Occorre guidare l'utilizzo dei nuovi strumenti e dei nuovi linguaggi della
multimedialità riconducendole alla costruzione di competenze specifiche e trasversali attraverso
un'educazione al pensiero strategico, critico e problem solving.
Tutto ciò pone competenze nuove per il docente: digitali, progettuali, di mediazione. L'insegnante deve usare
in modo esperto di tecnologie didattiche piegandolo alle esigenze della classe; deve scegliere e proporre le
tecnologie in ragione degli obiettivi specifici da raggiungere(strumento efficace per alcune persone),
condividendoli con un patto di corresponsabilità.
L’index è uno strumento di analisi-intervento che permette di conoscere la situazione scolastica, attraverso cui
è possibile guidare gli insegnanti verso la progettazione e sviluppo di pratiche inclusive. Inoltre è possibile
descrivere l'utilizzo didattico educativo delle tecnologie per l'inclusione ponendo quesiti di autovalutazione del
proprio agire didattico; può essere utile per progettare pratiche inclusive mediate dall'utilizzo consapevole delle
tecnologie e diventa un facilitatore della progettazione didattico educativa poiché consente di orientare i
processi e le azioni del fare inclusione(documenta il percorso).
La prima responsabilità è progettare lo sviluppo tecnologico sul piano di miglioramento qualità della vita; la
seconda riguarda riflessione sui diritti di democrazia da garantire attraverso tecnologie; la terza riguarda la
necessità di formazione e collaborazione tra insegnanti così come la ricerca sulle pratiche tecnologiche.
Una prima affinità tra pedagogia speciale e psicologia consiste nell'aiutare la persona in un percorso di vita
verso un’accresciuta maturità(passaggio dal principio del piacere e del benessere immediato, al principio di
realtà che ci permette di superare il dispiacere facendoci sperimentare cose nuove).
L'educazione e la psicologia lavorano con modalità differenti: la prima lavora sul presente con un orientamento
al futuro, la seconda lavora sul passato(a pedagogia spetta un arricchimento della personalità dell'educando, a
psicologia una revisione alla crescita personale).
In entrambi gli approcci l'utente, paziente è il protagonista(centralità della persona) dell'intervento, che
deve assumersi la responsabilità di essere parte attiva del proprio percorso.
Il contributo di Amenta, Gestire le condotte aggressive in classe, è un esempio d’interazione tra
Pedagogia(indica finalità del processo educativo per rispondere ai bisogni) e Psicologia(elabora modelli per
principi e piani educativi).
Anche l’organizzazione degli spazi l’inclusione per promuovere l’apprendimento e la partecipazione di tutti
gli studenti fa riferimento al benessere nell’ICF e deriva dalla possibilità del soggetto di sentirsi agente.La
prassi educativa deve adottare una dimensione progettante che si nutre di contaminazioni con altre
discipline(lessicali: benessere…), senza perdere la centralità della persona, e innalzando il livello del
benessere in chiave educativa(costruire contesti flessibili, leggibili). La professionalità dell’educatore è quindi
in grado di orientare l’azione e la riflessione educativa anche nel dialogo con altri professionisti.
La ricerca di Maggiolini e Zanfroni riporta l’attenzione al tema del benessere mentale degli educatori,
utilizzando due parole chiave: prevenzione, promozione(prospettive di intervento pedagogico e psicologico;
conoscere lessico di entrambe le discipline).
Nel contributo di Bulgarelli l’autrice mette in evidenza la necessità di individuare strumenti e metodologie della
ricerca psico-pedagogica per valutare il gioco come elemento prioritario per lo sviluppo.
Frattini ravvisa nell’inclusione delle persone con disabilità un ponte che fornisce elementi per una
collaborazione tra due discipline.
Le due discipline hanno tentato di collaborare in maniera dialettica, non gerarchica, forse perché entrambe
hanno sviluppato un’identità propria e responsabilità sociale, culturale, politica.
La Pedagogia Speciale è chiamata a cambiare limiti e barriere in traguardi e percorsi formativi che possono
estendersi nel tempo(supera riduzionismo); bisogna inoltre favorire una lettura integrata nell’analisi di contesti
e pratiche che concorrono alla costruzione di culture inclusive(visione prospettica coglie sfumature; stessa
immagine diverse interpretazioni); infine superare egocentrismi disciplinari scongiura autoreferenzialità e
assolutizzazione(necessità dialogo costante con ogni scienza che pone al centro l’interesse dell’uomo).
GLI INCLUSIO-SCETTICI
Il nostro sistema scolastico reale ha qualche serio problema di inclusività, a fronte di ottimi principi civili, sociali
e culturali, si hanno problemi generalizzati di implementazione, di attuazione, di dare realtà alle cose.
La Corte dei Conti osserva diverse critiche:
-sistema conoscitivo italiano inefficiente e poco attendibile(scarsità di info precise); info trasmesse dal
MIUR, in riferimento a disabilità(accesso e frequenza, esito scolastico e risultati curricolari), sono esigue e
frammentarie, nonostante sia nota l'importanza di adottare un sistema di rilevazione statistica nazionale.
-complessità normativa e operativa, rende difficile trovare punti dì riferimento normativi e operativi(molteplici
livelli di compiti e responsabilità che non si coordinano; mancanza di trasparenza procedure e risultati).
-carenza ed episodicità di risorse, non solo economiche; riguardo a “professionalità, capacità umane e
sensibilità” rileva carenza di referenti specializzati, personale di supporto ATA con insufficiente professionalità.
Il problema risiede nel fatto che le risorse vengono destinate solo in presenza di certificazioni e non risultano
adeguati.
-carenza di coordinamento, il sistema di enti e soggetti che dovrebbero implementare le prassi di
integrazione scolastica si è rivelato farraginoso e con troppo cambiamenti di governance non aiutando la
progettualità delle scuole e dei dirigenti(problema che riguarda anche le reti di scuole).
-famiglie insoddisfatte, alta percentuale di famiglie di alunni/e con disabilità fa ricorso alla giustizia
amministrativa(TAR) per ottenere un aumento delle ore di sostegno assegnate al proprio figlio/a.
La student voice degli alunni/e con disabilità è ascoltata pochissimo allo scopo di migliorare le pratiche
concrete, benché molti strumenti di autovalutazione e autosviluppo delle scuole, in particolare l'Index per
l'inclusione, ne prevedano l'uso. Gli insegnanti forniscono valutazioni e informazioni con vari gradi di
attendibilità, spesso «abbellendo» la realtà, più o meno consciamente(edulcorata, narrazione difensiva e
ideologizzata; problema per la ricerca). Emerge tuttavia una insoddisfazione e problematicità.
Dei dirigenti abbiamo poche info, ma non pare ci sia implementazione soddisfacente, di cui sono responsabili.
Problemi comuni sono: il mantenimento di pratiche selettive e di separazione precoce che coesistono con
sistemi inclusivi, l'aumento costante di diagnosi e processi di categorizzazione degli alunni/e, la forte presenza
di meccanismi di delega agli insegnanti di sostegno e la loro separazione dai colleghi curricolari, la diffusione
di varie forme di microesclusione(pull/push out).
La piaga non duole meno sul versante della ricerca, sia per le questioni epistemologiche(manca consenso
anche sull'oggetto: inclusione o integrazione), sia per una resistenza ideologica a indagare quello che è
ritenuto un fiore all’occhiello della nostra scuola, accumulando dati descrittivi e confirmatori su ciò che accade.
Le due fragilità del sistema scolastico inclusivo: l'implementazione quotidiana e la ricerca su di esso si
intrecciano con altre variabili; dobbiamo quindi decostruire e comprendere i processi che portano
all'inclusio-scetticismo e a fenomeni di degenerazione applicativa.
Individuiamo quattro grandi famiglie di processi:
-difficoltà consuete di implementazione di qualunque innovazione: il testimone motivazionale e valoriale
sta passando con fatica alle nuove generazioni di insegnanti e dirigenti che non hanno lottato direttamente per
una scuola dell'uguaglianza; l'inerzia del sistema scolastico insieme alla burocrazia e agli interessi personali
spinge all'immobilismo; mancano precise responsabilità e prassi rigorose di valutazione che spingono gli
insegnanti a chiudersi nella loro aula limitandosi ad autovalutarsi; le competenze didattiche non sono di
semplice acquisizione e sono presenti molti insegnanti di sostegno senza preparazione; manca l’attivazione
sistematica di un supporto tecnico socio-psicopedagogico e l'insegnante è lasciato solo.
-trappole culturali cognitive(processo di percezione e interpretazione della realtà che può produrre effetti
opposti alle intenzioni): prima trappola è la retorica del bene assoluto secondo cui l'educazione inclusiva è il
bene e le scuole speciali con le classi speciali sono il male, condannate in chiave etica e valoriale(bravi nella
narrazione e nell’intenzionalità, con decreti e documentazioni, ma non nella realizzazione). La seconda
trappola è quella della cecità e minimizzazione che ci porta a chiudere gli occhi di fronte alla realtà che non si
adatta alla nostra ideale narrazione positiva; la terza vede il dominio del modello medico individuale
secondo cui l'apprendimento e ogni caratteristica della persona sono frutto di fattori personali
dell'individuo(cervello, corpo) e non di interazioni complesse e contestuali. La quarta trappola è infine quella
dell'incremento quantitativo delle risorse che mette in secondo piano la qualità delle stesse.
-strutture distorsive: il concetto di struttura si avvicina a quello di istituzione e da forma alle prassi: se in un
parco sono presenti le strutture dei cestini si manifesta la prassi di gettare i rifiuti nel cestino; se non esistono
strutture che premiano l'impegno e la professionalità dei docenti si manifestano comportamenti di disimpegno
e demotivazione… Alcuni aspetti strutturali che portano a processi negativi che ostacolano un'integrazione
buona sono: norme fondate su un approccio individuale-medico(insegnanti credono serva diagnosi per
costruire programmazione individualizzata e recenti decreti ribadiscono il primato della certificazione portando
meccanismi di impotenza e delega); ruolo diverso degli insegnanti di sostegno(se disabilità è un fatto
individuale/medico necessita di intervento speciale); aule di sostegno(spazio identitario per l'insegnante di
sostegno ma anche un fattore della scuola per mettersi in mostra, se l'alunno ha reali difficoltà nella
partecipazione si attiva meccanismo di conferma che consolida la scelta di lavorare in un'aula apposita;
l'errore non sta nell'aula di sostegno ma nel fatto che uscire e rientrare dalla classe e la pluralità di spazi
dovrebbe essere la normalità); risorse aggiuntive attribuite solo attraverso certificazione sanitaria(risorse
aggiuntive sono per lo più rappresentate da insegnante di sostegno e altri specialisti, a cui si aggiunge la
necessità di una certificazione sanitaria, portando scuola e famiglie a vivere con difficoltà tali situazioni);
didattica ordinaria poco inclusiva(metodologie didattiche più utilizzate sono ancora quelle tradizionali,
trasmissive e standardizzate che non si prestano all'individualizzazione tanto quanto l'apprendimento
cooperativo, il tutoring o le didattiche laboratoriali e a progetto).
-difficoltà epistemologiche: la storia della ricerca sull'educazione inclusiva è molto breve e inizialmente s'è
quasi del tutto orientata all'integrazione di alunni con disabilità e non all'aspetto più generale. Emergono una
serie di problemi epistemologici: il concetto di educazione inclusiva risulta ambiguo(presenza fisica in una
classe la rende inclusiva? serve alunno DSA o anche BES?...); la ricerca sull'educazione inclusiva per tutti si
occupa paradossalmente solo di alcuni(ampliamento di prospettiva moltiplica la complessità; poche ricerche
su disabilità intellettive gravi); spesso non si capisce I soggetti e le caratteristiche di cui parlano le
ricerche(disabilità, quale diagnosi, gravità…; usate spesso categorie medico-psicologiche del vecchio
modello); difficoltà a costruire campioni rappresentativi della popolazione che si vuole studiare e scarsa
affidabilità dei dati raccolti(bias di desiderabilità dei rispondenti; ricerche non generalizzabili…).
GLI INCLUSIO-SCETTICI
Il dibattito si è acceso in virtù del nuovo paradigma dell'inclusione che deve creare le condizioni e le
opportunità per permettere a tutti di esprimersi e realizzare il proprio progetto di vita senza dover rivendicare
ogni giorno i propri diritti. Col modello ICF la disabilità è definita il risultato dell'interazione tra fattori contestuali
e il funzionamento della persona, identificando ostacoli e barriere fuori dall'individuo(importanza contesto).
Si fa strada l'idea che Il curricolo scolastico ufficiale possa contenere elementi di disabilitazione, ovvero scarsa
flessibilità e capacità di adattamento ai bisogni educativi speciali; occorre quindi personalizzare metodi,
materiali, strategie e contesti in funzione del diritto di apprendere di tutti dominando al contempo la
complessità(ricerca del punto di contatto). I numerosi fallimenti in tale ambito sfociano nell’inclusioscetticismo
e nelle seguenti pubblicazioni:
-L’inclusione è morta di Imray e Colley, ovvero il fallimento dell’idea di adattare il curricolo per tutti,
compresi quelli con disturbi molto gravi. Secondo gli autori i principi dell'equità e della partecipazione non
hanno portato alla realizzazione di sistemi scolastici pienamente inclusivi, facendo riferimento in particolare
alunni con limitazioni gravi, tali da richiedere spazi e tempi adeguati e separati dalla classe. Sostenere l’idea
iniziale significa disconoscere i loro bisogni e quindi venir meno all'obiettivo di raggiungere il massimo
incremento delle potenzialità nell'apprendimento e nell’autonomia personale. L’attenzione ai fattori
socio-economici ha rimosso quelli che determinano biologicamente la condizione di svantaggio reale,
contribuendo all'idea che sia sempre possibile adattare il contesto ai bisogni educativi individuali. Secondo
l'autore il processo di trasformazione da sistemi separati a educazione a sistemi inclusivi sarebbe stato
accompagnato da premesse non basate su evidenze empiriche: alunni con disturbi gravi apprendono come
alunni tipici; implica che si può insegnare tutto a tutti, ma falso perché alunni con deficit soltanto livelli base dei
curricoli scolastici e la partecipazione a contesti comuni rallenterebbe apprendimento.
L'idea secondo cui modello equo e giusto è quello che promuove occasioni per l'esercizio di libertà individuali
e quindi di scegliere come autorealizzarsi è accettata dagli autori, ma occorre una revisione critica e una
considerazione attenta e scevra da ideologismi(apertura a soluzioni che prevedono convivenza tra normalità e
specialità oltre che a ricerche future sui sistemi scolastici pienamente inclusivi). In Italia manca
documentazione e confronto tra le due scuole(scuole speciali non esistono più).
-Il tranello dell’inclusione secondo Felten, ovvero il sospetto che l'inclusione sia parte di un progetto politico
di risparmi di spesa nella cui priorità rientra la chiusura delle scuole speciali(in Germania). Secondo Felten il
rischio è un sistema di istruzione che non garantisce il diritto all'apprendimento, dove l’isolamento di alunni ed
educatori renderebbe ancora più disgregato il quadro d’insieme senza un investimento(scuola inclusiva
avrebbe bisogno di più risorse, ma queste mancano perché l’obiettivo è il risparmio). Contrario all'idea di un
sistema scolastico totalmente inclusivo, ma disponibile all'incontro con le diversità, Felten propone un modello
di compromesso basato su un collegamento dinamico tra scuole speciali e normali(ci si incontra per
determinate attività; non sono i contesti di apprendimento a fare l’inclusione, ma la socializzazione; lasciare
coesistere i due sistemi).
Gli inclusioscettici si distinguono nel valore attribuito all’eterogeneità, un ostacolo nei processi di
apprendimento ed è compito del sistema scolastico selezionare gli alunni più capaci; per la pedagogia
dell’inclusione è una risorsa per l'apprendimento per l'efficacia è la qualità dei processi stessi. A sostegno dei
primi è nata la didattica omodossa, che vede nella lezione frontale un modello ideale(omogenea;tempo e
metodo unico) ma che esclude tutti gli alunni con disabilità all'interno di un sistema scolastico speciale.
Secondo Feyerer una politica scolastica inclusiva si può realizzare investendo sulla formazione degli
insegnanti, rendendoli capaci di intervenire sul piano metodologico didattico per rispondere all’eterogeneità
delle classi(manca volontà politica, costi elevati).
Nel caso svizzero le scuole godono di una maggiore autonomia e sebbene a livello nazionale sia chiaro
l'obiettivo di una scuola inclusiva a livello dei singoli Cantoni e dei Comuni si evidenziano difficoltà e
contraddizioni(modello dominante è dell'integrazione,no inclusione). Questo modello porta a fare affidamento
sulle risorse più che sui modelli pedagogici e secondo Anderegg è necessario un rinforzo della cultura e delle
competenze inclusive dei dirigenti scolastici.
L'adattamento di spazi del curricolo sono stati prioritari per il cambiamento del sistema scolastico inglese,
dando inizio a ricerche fondate su analisi del contesto scolastico per l'inclusione e sulle condizioni che
rendono possibile la partecipazione.
Gli avversari dell'inclusione hanno sviluppato un repertorio ricorrente di dispositivi retorici e argomenti
difensivi, che definiamo luoghi comuni dell’inclusio-scetticismo(non fondati su evidenze empiriche ma su
argomenti quasi-logici):
-impossibile annullamento delle differenze: fantasie dorate di insegnanti ed educatori insostenibili che
perdono di vista la realtà del limite inerente la condizione di disabilità(differenze fondate su base naturale sono
ostacolo inaggirabile), producendo forme di rinuncia rassegnata e proiettando i fallimenti sul contesto e sulle
condizioni istituzionali(limite della normalizzazione e decategorizzazione);
-disturbi del comportamento e inclusione non possono convivere: problematiche difficili da gestire e di
ostacolo allo svolgimento della normale didattica e quindi istruzione di tali alunni deve avvenire separatamente
alleggerendo le condizioni di lavoro dei docenti. Anche potenziare le competenze specialistiche degli
insegnanti richiederebbe un sovraccarico che porterebbe alla disaffezione dalla professione. Alunni che
presentano tali comportamenti all'interno di una classe normale vengono spesso emarginati e vivono una
situazione di rifiuto e bullismo rendendo la scuola inclusiva esclusiva;
-insuperabile selettività del sistema scolastico: selezione e differenziazione sono voluti e desiderabili effetti
della scuola che deve prendere atto delle contraddizioni che in questo modo sorgono(visione di scuola che
prepara al lavoro); il modello inclusivo porterebbe a uno scadimento della qualità dell'istruzione perché
prevederebbe una ristrutturazione del sistema stesso che non risolverebbe il problema dell’insuccesso
scolastico degli alunni con difficoltà(matrice socio-culturale ed economica che non verrebbe risolta da
ristrutturazione scolastica). Autori ipotizzano istituzione di scuole orientate ai bisogni locali specificatamente
attrezzate per rispondere alle esigenze del territorio e quindi ulteriormente differenziate;
-impossibilità di convivere tutti sotto lo stesso tetto: introdurre un solo modello di scuola inclusiva è
antidemocratico e assolutistico eliminando la libertà di scelta e portando alla polarizzazione tra scuola
inclusiva(bene), scuole speciali(male); gli autori parlano di discriminazione positiva quando spazi e metodi non
sono condivisi perchè non rispondono alle esigenze del soggetto e auspicano mantenimento di scuole speciali
in collegamento stretto con normali(mancanza di risorse; dinamismo da un contesto all’altro);
-inaggirabile standardizzazione del curricolo: inclusione percepita come elemento di rottura delle prassi
didattiche consolidate(manca punto di contatto), che vede il sistema scolastico sottoposto alla duplice
pressione di raggiungere standard formativi e rispondere alle esigenze individuali, obiettivi escludenti tra loro.
L'autore propone una forma di inclusione moderata dove alunni con particolari problemi possono partecipare
alle normali attività purché sia permesso il bene di tutti e le capacità dell’insegnante siano sufficienti;
differenziare i mezzi ma non gli obiettivi finali.
Norwich sottolinea che l'inclusione non è soltanto essere istruiti sotto lo stesso tetto e acquisire abilità
cognitive e competenze scolastiche, ma è un'esperienza più ampia che comprende abilità prosociali,
componenti emozionali e la dimensione sociale dell'apprendimento. Lascia aperta la possibilità di forme ibride
di partecipazione in cui è possibile far prevalere le somiglianze in alcuni momenti e le differenze in altre e
suggerisce l'apertura del setting didattico a soluzioni plurime, all'interno della stessa cornice inclusiva e nella
stessa scuola, alternando momenti di apprendimento comuni ad altri più centrati sulla persona.
INCLUSIO-COSTRUTTORI
Difficile accorgersi dei miglioramenti senza uno sguardo sul lungo periodo e sull’intero contesto di vita.
Secondo lo human capability approach lo sviluppo globale di una persona è un processo in continua
espansione; l’educazione e lo sviluppo delle abilità personali, l’autodeterminazione data dalla libertà di scelta,
l’inclusione sociale sono indicatori che contribuiscono a elevare la qualità della vita della persona con
disabilità. Questo approccio considera il contesto socio-lavorativo extrascolastico come ambito di molteplici
occasioni di crescita, riservando alla scuola il ruolo di promozione di reti di collaborazione tra enti.
Seguendo queste direttive si possono rintracciare alcune costanti di buone pratiche inclusive:
-laboratorio: spazio di attività interne o esterne alla scuola con la finalità di sviluppare capacità pratiche,
competenze socio-relazionali e preparare alla vita adulta(tirocinio…). Permettono di costruire un sistema di
relazioni con gli enti(condividere risorse) e di far partecipare alunni con disabilità al gruppo classe, realizzando
due principi alla base della scuola dell’autonomia: sperimentazione e apertura al territorio. Esistono diversi
esempi, come “il laboratorio di erbe aromatiche” in cui i compiti sono vicini alla realtà e rientranti negli ambiti
disciplinari(misurazione terreno…); il laboratorio ha un carattere interdisciplinare che mette insieme
conoscenze teoriche e pratiche partendo da un argomento generale e con vari livelli di difficoltà.
-tecnologie applicate alla didattica e nascita Centri territoriali di supporto: in Italia si osserva un generale
ritardo nell’uso delle tecnologie, sebbene se ne riconosca l’importanza a livello inclusivo. Ad oggi sarebbe
impossibile utilizzare un percorso personalizzato o compensativo senza un programma di sintesi vocale o
software per la didattica rivolta agli alunni con bisogni educativi speciali. L’istituzione dei centri territoriali di
supporto(CTS), per la sperimentazione e la diffusione delle nuove tecnologie per la didattica, è stata decisiva.
Dalle prime tecnologie per ciechi ai libri digitali(stampante di testi in braille…), fino alla formazione dei
docenti(contrasto al cyberbullismo…). Diminuzione dei finanziamenti rischia di far cadere nel nulla tali sforzi.
-inclusione scolastica e sociale di persone con sindrome autistica e alta complessità: la scuola italiana
ha costruito nel tempo un repertorio di buone azioni educative, didattiche e di integrazione nel gruppo grazie
alle capacità dell'insegnante di realizzare efficaci sintesi di conoscenze teoriche e pratiche. Punto di partenza
per l'avvio del processo di integrazione scolastica dell'alunno con sindrome autistica sono le linee guida per
l'autismo della SINPIA(incentrate sulla risorsa costituita dai coetanei), ovvero un documento scientifico creato
con la collaborazione tra specialisti a scuola. Una delle sperimentazioni più efficaci di tale sinergia è quella
realizzata in Emilia Romagna con la collaborazione tra Servizio Salute mentale e Servizio Politiche familiari,
con l'obiettivo generale di creare un linguaggio comune tra sanità e scuola in tema di disturbi dello spettro
autistico attraverso iniziative di formazione teorico-pratiche. I dati emersi evidenziavano una buona prassi
generale nelle scuole dell'infanzia e danno forza all'efficacia del modello italiano di integrazione fondato sulla
stretta collaborazione tra servizi di neuropsichiatria e scuole.
Gallo evidenzia la necessità di attivare attorno all'alunno con sindrome autistica una rete di supporto e di
continuità educativa per elaborare un progetto educativo strutturato e condiviso(famiglia, insegnanti,
specialisti; continuità tra scuole). Nel gruppo interdisciplinare emergono punti di vista nuovi: sviluppare
l'autonomia dell'alunno negli spostamenti casa-scuola, potenziare le capacità comunicative attraverso metodo
TEACCH, strutturare il tempo scuola in momenti e scansioni riconoscibili…(applicate a contesto specifico, ma
molto generalizzabili)
Altre pratiche che rendono inclusive le nostre scuole sono: pratiche professionali e riflessive(rielaborazione
e analisi del proprio agire porta alla luce la componente affettivo-relazionale e indica soluzioni di lunga durata,
arginando lo scetticismo e fornendo dati nuovi incentrati sull’automiglioramento); lavorare in squadra(agire
pedagogicamente in un contesto con alunni con difficoltà richiede un investimento di autocontrollo,
elaborazione di strategie di prevenzione e contenimento destinate all'inefficacia senza un gruppo di colleghi
che permetta di superare il senso di isolamento superando le distinzioni di ruoli); valorizzare e promuovere la
relazione tra pari(l’adulto ha un ruolo decisivo nel creare una corrente positiva di relazioni per raggiungere un
gruppo classe coeso, anche proponendo attività o intervenendo a livello didattico eliminando la competitività e
valorizzando le risorse e l’eterogeneità); valorizzare le componenti emozionali
dell’apprendimento(personalizzare significa agganciare i contenuti disciplinari al vissuto personale di chi
apprende affinché non sia estraneo alla personale ricerca di senso; la scuola dovrebbe aiutare ad elaborare i
propri vissuti, ma barriera del curricolo e del programma standardizzato); buona comunicazione
scuola-famiglia(i genitori degli alunni con bes si rivolgono alla scuola con sguardo attento e critico e chiedono
di seguire le esigenze dei figli, con maggior consapevolezza giuridica e didattica, ma le rappresentanze
istituzionali non sono più sufficienti per rispondere alle esigenze di ciascuno ed è quindi necessario necessario
ricreare spazi di ascolto e dialogo che vadano oltre l’adempimento burocratico fondando alleanze sulla
reciproca fiducia); ripensare le metodologie didattiche e i modelli organizzativi(i punti trattati finora
impongono un ripensamento del sistema scuola, che elevi la personalizzazione a prassi generalizzata, basato
sull’UDL e sulla peer education; il dirigente scolastico oltre a competenze gestionali e organizzative necessita
di sensibilità e presenza sul campo, coinvolgendo tutta la comunità scolastica).
La ricerca dimostra come gli alunni con disabilità integrati in classi normali impieghino più tempo attivo
nell’apprendimento e riescano a raggiungere risultati migliori(effetti su autostima…), rispetto a quelli in classi
speciali. Con gli interventi appropriati in contesti di integrazione possono inoltre raggiungere risultati migliori
degli alunni di pari età mentale(teoria del surplus). Altri studi documentano lievi progressi nella lettura e in
matematica anche nei compagni di classe, senza contare dei miglioramenti nelle aree di comunicazione e
delle abilità sociali(sia dei compagni normali che di quelli più gravi).
PROPOSTE CONCRETE PER RIGENERARE LA SCUOLA INCLUSIVA
Per inclusio-scettici l’eterogeneità è elemento di squilibrio e nei casi più estremi mette a repentaglio la qualità
dei processi formativi, per questo e perché non troverebbero adeguata risposta negli spazi comuni andrebbero
assegnati ad altri spazi .
Nonostante la continua immissione di risorse nel sistema scolastico i risultati paiono non
proporzionati(inefficiente), tanto che risulta ancora globalmente poco inclusivo(necessario spostare attenzione
dall’input delle risorse al processo del loro utilizzo). Non è quindi la quantità di risorse, ma la loro
organizzazione; la ricerca ha dimostrato che la cultura organizzativa più adatta a favorire le pratiche inclusive
rifugge modelli burocratici e gerarchici e si basa su criteri di flessibilità(necessario abbandonare vecchi
schemi rigidi) di tempi(fine dell’orario non coincide con raggiungimento risultati impedendo di sperimentare la
soddisfazione; troppo rigidi e frammentati, necessità di poter estendere il tempo della lezione articolando le
discipline), spazi(flessibilità e possibilità di realizzare l’istruzione in contesti vari e diversi; gruppi e sottogruppi;
non bastano le normative ma servono cambiamenti nei processi di insegnamento) e metodologie(esprimono
tutta la loro efficacia in un contesto flessibile per tempi, ambienti e gruppo classe; flessibilità che viene
confermata dalla normativa, la quale prevede attività di integrazione per gruppi di classi diverse, numero di
alunni ridotto a 20 se presente alunno con disabilità riguardo l’orario di insegnamento e di quello destinato alle
singole discipline). Una più flessibile organizzazione del gruppo classe e della didattica passa anche per la
valorizzazione del ruolo dell’insegnante di sostegno entro una distinzione meno rigida dei ruoli(co-teaching
difficile a causa dello spiccato individualismo e del modello organizzativo che ne definisce i ruoli; necessaria
riflessione condivisa tra docenti e sulle pratiche didattiche).
Con l’autonomia la flessibilità didattica è prassi normale e il PDP è uno degli strumenti che la scuola ha a
disposizione per personalizzare gli interventi, ma un’eccessiva formalizzazione delle procedure(ogni difficoltà
corrisponde a referto psicologico e PDP) genera etichette e porta ad atteggiamenti pericolosi degli insegnanti.
Dalla flessibilità macro(organizzativa e strutturale) si passa a quella micro(personalizzazione), come nel caso
del PEI(Piano Educativo Individualizzato) essenziale perché obbliga a una metodologia razionale e
sistematica costituita da una fase di conoscenza, definizione degli obiettivi e strategie, verifica e valutazione.
Obbliga inoltre ad un approccio non assistenziale(massima partecipazione) e a definire azioni formative sulla
base di specifiche individualità, permettendo anche ad alunni con gravi disabilità di frequentare la scuola.
L’ICF ci aiuta a costruire un buon PEI, con la sua visione antropologia biopsicosociale(globalità, dinamica di
funzionamento per regolare intervento, orientamento ai vari ruoli di partecipazione sociale, valorizzazione delle
scelte dell’alunno) per programmare azioni educativo-didattiche su misura per lo specifico alunno.
Un altro aspetto dell’inclusività micro riguarda il ruolo dell’insegnante di sostegno secondo i 12 punti di
azione:
-riconosce e valorizza tutte le differenze: l’inclusione riguarda tutti non solo BES, bisogna considerare le
caratteristiche delle varie differenze: linguistiche, culturali, familiari… senza categorizzare, scongiurando
passaggio da differenza a diversità e da disuguaglianza a ingiustizia. La valorizzazione avviene poi attraverso
positività del linguaggio e delle relazioni, con la formazione di gruppi eterogenei;
-osserva e comprende il funzionamento individuale con approccio biopsicosociale basato su ICF:
accurata conoscenza del funzionamento dell’alunno, da misurare e valutare nei suoi punti di forza e debolezza
secondo modello ICF dell’OMS(senza però classificare, solo strumento per conoscere e comprendere). Le
diverse valutazioni devono però interagire tra loro dando quadro completo(ICF è transprofessionale);
-costruisce eterogeneità nei gruppi e contrasta la divisione degli alunni: questo permette dinamismo dei
gruppi e dei ruoli; le differenze rappresentano un vantaggio per abilità scolastiche e soft(non raggruppa BES);
-collabora paritariamente con tutti gli insegnanti curricolari: per arricchire le opportunità di apprendimento
per tutti. Questo permette di attivare più risorse evitando lo stigma del sostegno su un alunno(non solo per
BES, ma per la classe), creando le condizioni per un clima prosociale inclusivo(laboratori, cooperative
learning, UDL…);
-cura e promuove interventi educativi e didattici fondati su evidenze: interventi efficaci che portino allo
sviluppo visibile delle competenze previste, fondati sulle evidenze scientifiche per situazioni particolarmente
delicate come lo spettro autistico, diffondendo la propria competenza nel contesto(per non diventare una
competenza tecnica isolata e fattore di esclusione; abilitatore di contesti) e smussando il tecnicismo;
-attiva risorse della scuola e dell’extrascuola per prevenire ogni forma di marginalizzazione: mette in
luce disfunzioni emarginanti della scuola(uscire dall’aula per il suo bene, attività sportive marginalizzanti se
squadre escludono i più deboli; può assolvere pratiche di micro esclusione). Una forma di marginalizzazione
nei PEI è il sovradimensionamento di obiettivi e attività diversi da quelli curricolari e un abbassamento
improprio delle aspettative didattiche che alimentano senso di ingiustizia negli altri;
-promuove iniziative di sviluppo globale: accompagnando un ciclo costante di autoanalisi e
automiglioramento dell’inclusività, senza farsi delegare lo sviluppo dell’inclusione ma coinvolgendo l’intera
scuola(motore principale di sviluppo della scuola intera, a livello individuale, di classe, di scuola, di comunità);
-rompe schemi e abitudini consolidati e li evolve in modo creativo: scuola inclusiva richiede coraggio e
creatività per spingere i diversi cambiamenti, contrastare pigrizia mentale dell’abbiamo sempre fatto
così(abitudine). Deve saper inventare nuovi modi di utilizzare spazi, tempi e strumenti esprimendo al meglio
l’autonomia scolastica
-attiva le risorse delle famiglie e della comunità circostante: ponte tra scuola e famiglia insieme alle altre
figure di supporto; molte famiglie hanno bisogno di un’alleanza significativa che si realizza tramite info chiare e
valorizzazione dei ruoli. Alleanza basata sul compito concreto, non sulla cura, esigendo il rispetto e la non
invasione del proprio ruolo. Anche i professionisti esterni scelti dalla famiglia possono diventare risorse
preziose fornendo info e competenze. Una scuola aperta alla comunità deve tradurre in azioni le tre parole
d’ordine: informare, sensibilizzare, corresponsabilizzare
-amplia il PEI nel Progetto di Vita: insegnante di sostegno deve guardare oltre la scuola, sulle competenze
adulte(rappresentazione di sé…) con l’aiuto dei giusti mezzi(stage, alternanza…) collaborando con le diverse
figure e considerando il pensiero caldo(utopistico) da quello freddo(realistico).
-promuove un utilizzo misto del sostegno: realizza cattedre miste, formate da ore di sostegno e di
insegnamento alla classe(sostegno non cristallizzato su una persona), permettendo di sganciare l’attribuzione
del sostegno dalla certificazione “normalizzandosi” e diffondendo la propria competenza.
-evolve radicalmente il sostegno: il passo più radicale sarebbe la trasformazione dell’80% degli insegnanti di
sostegno in curricolari, sfruttando l’autonomia organizzativa e didattica per far crescere strutture parallele
inclusive e disseminare cultura a colleghi e famiglie.
L’ultima proposta per costruire inclusione è quella di una prospettiva transdisciplinare. Per incontrare la
complessità delle situazioni è infatti necessario un approccio collaborativo che coinvolga una pluralità di figure,
in grado di generare nuove conoscenze oltre che progettare e realizzare ciò che viene decisa in percorsi di
ricerca-azione. Si parla quindi di famiglia abilitativa, giuridica, pedagogica e didattica, sociale,
tecno-architettonica, ognuna col proprio focus. L’inclusività si costruisce mischiando tali sapero richiedendo
ulteriore fatica intellettuale e relazionale