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(LE PARALISI CELEBRALI INFANTILI: CAP.

14)
Le Paralisi Cerebrali Infantili (PC) vengono definite come disordini della postura e del
movimento, permanenti ma non invariabili, dovuti ad una encefalopatia precoce, non evolutiva.
Questo disordine della postura e del Movimento rappresenta un danno encefalico di carattere non
progressivo (encefalopatia fissa=malattia del cervello), e si verifica in epoca precoce. Un altro
aspetto che riguarda le paralisi cerebrali infantili è l'impossibilità da parte del soggetto di svolgere
in maniera adeguata determinati compiti ed attività. Tale limitazioni non riguardano solo le abilità
motorie ma anche altri campi come l'apprendimento, il comportamento, le competenze linguistiche
e l'adattamento emozionale.
CLASSIFICAZIONE. La classificazione delle paralisi cerebrali infantili è divisa in due criteri
classificatori, cioè quello clinico o quello topografico.
La classificazione clinica fa riferimento alla natura dei sintomi neurologici che caratterizzano il
quadro clinico tenendo conto del fatto che il sistema nervoso centrale, nella realizzazione
dell'azione motoria,
assume il doppio ruolo di organo che pensa pianifica il movimento, per mandarlo poi in esecuzione
attraverso stimoli che giungono in fine a specifici gruppi muscolari. L'encefalo quindi partecipa
nell'organizzazione dell'atto motorio ma è possibile individuare alcune stazioni critiche coinvolte
nella fase esecutiva cioè:
Nelle aree motorie della corteccia, le alterazioni che determinano l'insorgenza di una sintomatologia
definita di tipo piramidale caratterizzata da una compromissione funzionale (paralisi).
Il cervelletto viene indicato come sistema cerebellare perché ha una posizione centrale e risulta
determinante in tre funzioni, cioè l'inizio e la pianificazione del movimento, la coordinazione del
movimento e l'aggiustamento della postura e del mantenimento dell'equilibrio.
I nuclei della base sono rappresentati da un complesso di stazioni e la loro importanza dipende dalle
gravi anomalie (acinesia l'assenza di movimenti, e discinesia presenza di movimenti involontari
abnormi) che si verificano, quando essi vengono danneggiati. Quindi nel quadro clinico prevalgono:
• lesioni del sistema piramidale, quindi forme spastiche;
• lesioni del sistema cerebellare, quindi forme atassiche (dovute a lesioni del sistema cerebellare);
;• lesioni dei nuclei della base, quindi forme discinetiche (caratterizzate da una disabilità
nell’organizzare ed eseguire in maniera corretta movimenti intenzionali);
• interessamento di più sistemi e quindi forme miste.
La classificazione topografica si basa sulla distribuzione prevalente della compromissione
motoria. La disfunzione motoria che riguardano i disturbi del tono, del movimento e dei riflessi, può
interessare tutto il corpo o viceversa localizzarsi in determinati segmenti corporei. Quindi nella
classificazione topografica abbiamo:
• tetraplegia, compromissione dei quattro arti (è la più grave forma di PC);
• emiplegia, compromissione di un emilato (generalmente è di tipo spastico, e comincia a
presentarsi fra i 3 e i 6 mesi);
• diplegia, compromissione dei quattro arti con prevalenza di quelli inferiori (forma spastica
associata ad una nascita pre termine, forma atassica simile a quella spastica ma presenta una
componente cerebellare (atassia));
• triplegia, compromissione di tre arti;
• paraplegia, compromissione degli arti inferiori;
• monoplegia, compromissione di un solo arto.
PREVALENZA. Per quanto riguarda la prevalenza, le forme spastiche sono le più frequenti e in
particolar modo, nelle forme spastiche abbiamo l'emiplegia e la diplegia che sono le forme più
rappresentate. Un fattore che sembra incidere sulle diverse forme di paralisi cerebrali infantili, è
rappresentato dalla prematurità e/o dal basso peso alla nascita (fattore predisponente) infatti la
diplegia spastica è la forma più frequente nei neonati di basso peso
CAUSE. Fra le altre cause responsabili del danno encefalico abbiamo:
• prenatali, si riferiscono a fattori che possono incidere prima o durante la gravidanza (fattori
genetici= infezioni come rosolia, toxoplasmosi, malattie croniche materne, intossicazioni da
farmaci, fumo, alcool);
• perinatali, si riferiscono ai fattori che possono incidere durante il parto o nella prima settimana di
vita (rottura precoce del sacco, difficoltà respiratorie);
• postnatali, sono rappresentate Dalle condizioni patologiche che si verificano dopo la prima
settimana di vita e includono infezioni, traumi cranici, intossicazioni o disturbi metabolici.
Tra le cause abbiamo anche quelle neuropatologiche che si riferiscono alle caratteristiche del
danno anatomico.
DIAGNOSI. Per quanto riguarda la diagnosi non ci sono problemi poichè nelle paralisi cerebrali
l'encefalopatia è fissa. Maggiori problemi di diagnosi però si hanno per quanto riguarda le paralisi
cerebrali di tipo atassico siccome questo sintomo può associarsi a molteplici quadri clinici. Per
questo motivo è necessario programmare periodici controlli dello sviluppo neuropsichico, dove
questi controlli vanno effettuati in particolari età, chiamate età chiave dello sviluppo psicomotorio,
che risultano particolarmente idonee per formulare un giudizio diagnostico. (L'età chiave sono: il 1
mese di vita, l'età del sospetto; il 4 mese di vita, età di orientamento; 9 mese di vita, età della
certezza; 12 mese di vita, età della diagnosi; 18 mese di vita, età della prognosi.)
TERAPIA. Per questo motivo le paralisi cerebrali richiedono una complessa articolazione di
interventi, poiché queste sono condizioni che si modificano nel tempo ma accompagnano il soggetto
per tutto il suo sviluppo, e quindi è necessario un progetto terapeutico personalizzato che deve
essere periodicamente riformulato in rapporto alle esigenze che il soggetto presenta. I principali
interventi si dividono in:
• interventi sul bambino:
- interventi riabilitativi (rivolti all'area delle abilità motorie, l'area maggiormente compromessa,
all'area delle abilità comunicativo linguistiche e all'area delle abilità cognitive.
- trattamento farmacologico, che prevede l'uso di farmaci miorilassanti che in nessun caso può
risolvere il problema motorio.
- interventi ortopedici, che prevedono interventi conservativi (utilizzano i tutor) e interventi
chirurgici (rivolti prevalentemente agli arti inferiori per la correzione delle deformità).
• interventi sull'ambiente:
- interventi sulla famiglia, servono per garantire continuità al trattamento, infatti l’equipe
terapeutica chiarisce con i genitori le finalità della riabilitazione e sottolineano che l'obiettivo
dell'intervento è favorire la partecipazione del soggetto all'ambiente.
- interventi nella scuola, sottolineano il diritto del bambino con paralisi cerebrale ad essere inserito
all'interno della scuola, (legge 57 del 1977- insegnante di stostegno).
PROGNOSI. Il disturbo delle paralisi cerebrali è un disturbo permanente attraverso il quale è
possibile ipotizzare dei miglioramenti che, possono dipendere dalla qualità degli interventi, la
capacità dei genitori di fronteggiare le difficoltà e l'entità della compromissione motoria.
(ESAMINATORE: CAP.5)

L’esame psichico è finalizzato a raccogliere informazioni che consentono di definire le caratteristiche del
disturbo presentato dal bambini, di chiarirne la natura e di leggerlo dal punto di vista affettivo-relazionale.
Tale esame prende in considerazione alcuni momenti quali: l’osservazione, il colloqui e l’utilizzo di specifici
strumenti di valutazione. Inoltre è importante che l’esaminatore abbia delle specifiche caratteristiche:
disponibilità di voler ascoltare e comunicare, l’assenza di idee preconcette, desiderio di comprendere.
L’OSSERVAZIONE: è un aspetto dell’esame psichico e non si trova solo nell’anamnesi ma tende a ritrovarsi
nel tempo; è attuata inizialmente su bimbi piccolo ai quali non si riescono a somministrare test e perciò si
osserva, il processo parte dall’osservare il modo in cui il bambino entra nella stanza, il modo in cui si
reagisce alla presenza dell’altro. Si osserva soprattutto la sua capacità esplorativa e ludica: il GIOCO, il modo
in cui lo usa, la verbalizzazione che lo accompagna… il gioco è perciò visto come uno strumento che
consente di conoscere il livello di sviluppo del bambino, e si basa su alcune tappe: fino a 7 mesi il bambino
manipola l’oggetto con cui gioca; a 8 mesi tende ad impegnarsi in giochi senso motori; a 10 mesi fa la
comparsa il gioco funzionale per cui il bambino riconosce l’oggetto in base al suo uso e glielo attribuisce; a 2
anni si ha il gioco rappresentativo: bambino usa una mazza facendo finta che sia un cavallo; a 4-5 anni
compare il gioco socio-drammatico: il bambino interpetra delle parti e a 7 anni il bimbo si imbatte in giochi
che hanno delle regole ex: calcio. Il GIOCO inoltre serve anche per capire le dinamiche relative al mondo
interno del bambino, infatti, l’esaminatore, osserva il gioco del bambino totalmente libero così da notare le
azioni che svolge e il modo in cui interagisce con gli oggetti. Un altro aspetto importante dell’esame
psichico è: il COLLOQUIO: all’interno del quale si ha un approccio diretto con i bambini rispetto alla loro
libertà di espressione, è importante anche averlo con i genitori per ricostruire le varie fasi di sviluppo del
bimbo e eventuali problematiche. Il COLLOQUIO può essere: LIBERO: soggetto parla e l’esaminatore
ascolta; SEMI-STRUTTURATO: si indaga su aree specifiche; STRUTTURATO: avvengono domande dirette. GLI
STRUMENTI DI VALUTAZIONE: sono rappresentati da una serie di procedure e sono somministrati
attraverso: INTERVISTE SEMI-STRUTTURATE, QUESTIONARI, OSSERVAZIONI STRUTTURATE. I QUESTIONARI:
elenchi di domande che riguardano il comportamento generale del soggetto il quale risponde con i genitori
alle domande. INTERVISTE SEMI-STRUTTURALI: contengono domande chiave poste al soggetto o ai genitori
sotto una forma colloquiale dove potersi esprimere liberamente. LE OSSRVAZIONI STRUTTUREATE:
procedure di osservazioni dirette del soggetto e delle relazioni agli stimoli. GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONI
sono divisi in: STRUMENTI PER LO SCREENING: questionari somministrati in condizioni sospette;
STRUMENTI PER LA DIAGNOSI NOSOGRAFICA E FUNZIONALE: rappresentati anch’essi da interviste e
questionari. Affinchè la diagnosi sia FUNZIONALE ha bisogno di essere AFFIDALIBILE E VALIDA.
L’AFFIDABILITà: è rappresentata dalla reciprocità dei risultati anche se usato da due operatori diversi,
quindi quanto più i risultati combaciano maggiore è l’affidabilità. LA VALIDITà: è il grado di percezione con
cui uno strumento misura ciò che dichiara di misurare. GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE si distinguono in:
di LIVELLO: servono per valutare appunto il livello di sviluppo raggiunto dal soggetto in determinare aree
prestazionali; PROIETTIVI: usano la proiezione per cui nel rispondere alle domande il soggetto proietta ciò
che ha dentro. IL DISEGNO è un’attività molto gradita dai bambini, attraverso esso il bambino tende ad
esprimere ciò che ha dentro. All’inizio si parla di piccoli tratteggi o linee poi a 3-4 anni dà vita a elementi
grafici, a 6 anni narra attraverso esso e poi inizia successivamente a disegnare anche volti familiari,
esprimendo il suo adattamento al nucleo familiare, osservando chi mette al primo posto.

(ANAMNESI CAP.1)

LA NEUROPSICHIATRIA: disciplina scientifica, legata ad aspetti umanistici come: la pedagogia, la sociologia;


si occupa dell’età evolutiva: periodo in cui lo sviluppo è al massimo, avvengono cambiamenti e si
acquisiscono competenze specifiche. I maggior cambiamenti specifici si hanno intorno ai 25 anni. È
importante per il neuropsichiatra effettuare una DIAGNOSI: processo di conoscenza che avviene in modo
graduale, ha un inizio e una fine, bisogna essere empatici, entrare in contatto con il paziente, si ha una
presa in carico in cui si cerca di conoscere il bambino a 360°, si necessita di farsi appunto carico della vita
del bambino per poter decifrare sintomi, da cui emergono caratteristiche come: LA VARIABLITà: riguarda i
cambiamenti che un comportamento può subire nel tempo, ci sono alcuni segni che possono mostrarsi
diversi da una prima apparenza, ex: disturbi che rimandano a patologie ma sono tutt’altro; GLI
ADATTAMENTI EVOLUTIVI: riguardano la crescita dell’individuo avviene attraverso la maturazione e
integrazione di una serie di fattori, che spesso sfociano in una crisi crisi evolutiva sotto un piano clinico;
SCARSA COLLABORAZIONE DEL PAZIENTE: appunto il paziente non collabora e non si capisce se per la sua
tenera età o per il disturbo; LA COMPLESSITà DEI FATTORI CONCORRENTI: riguarda fattori interni ma anche
esterni che tendono a calcare l’evidenza del disturbo. Si ricorre perciò ad una DIAGNOSI DI LAVORO: avvio
di un processo in collaborazione con i genitori in cui c’è la valutazione dei vari sintomi presentati nel
piccolo, questo processo si avvale di: ANAMNESI, ESAME NEUROLOGICO ED ESAME PSICHICO.
L’ANAMNESI: storia del paziente, colloquio che avviene con il paziente o con i genitori i quali mirano ad
ottenere delle informazioni sul problema, raccogliendo informazioni relative alla famiglia, al livello socio-
culturale, gravidanza, svezzamento. Ci si deve concentrare sul disturbo per il quale si è presentato il
bambino ad osservazione. Durante questa fase si possono conoscere anche i genitori, il loro carattere.
L’ANAMENESI PATOLOGICA REMOTA: deve focalizzarsi sul disturbo per il quale hanno sottoposto il figlio ad
osservazione, tra questi sintomi vanno evidenziati: la modalità di insorgenza, la frequenza del disturbo; tali
fattori portano poi ALL’ANAMNESI PATOLOGICA PROSSIMA. Inoltre si parla di ANAMNESI FAMILIARE:
conoscenza dei genitori o ANAMNESI PERSONALE: colloquio direttamente con il paziente. Da ciò emerge il
processo della diagnosi che porta ad acquisire una serie di dati su esami clinici, neuropsichiatrici e su
strumenti di valutazione. Abbiamo dunque 2 diagnosi: DIAGNOSI NOSOGRAFICA: consiste nell’osservare i
sintomi e notare se corrispondono a criteri diagnostici, tale processo si basa su un sistema di classificazione
che è internazionale: classificazione internazionale del disagio elaborato dall’organizzazione mondiale della
sanità (ICD-10) e prende in considerazione tutti i quadri patologici. DIAGNOSI FUNZIONALE: riguarda le
competenze del bambino finalizzato a definire il livello di sviluppo in tutte le sue aree funzionali come la
motricità, l’autonomia e tende ad evidenziare eventuali punti di forza o debolezza. Così facendo si
permette di dare un nome clinico ai sintomi presenti. Inoltre da ciò si mira D UN PROGETTO TERAPEUTICO
PERSONALIZZATO: mira alla cura del disturbo del bambino e a favorire un adeguata crescita e integrazione
del soggetto. Emerge la componente dell’ICF (classificazione internazionale di funzionamento di una
persona), si occupa di funzioni e disabilità; tutte le aree sono classificate con una lettera e non si limita alla
malattia ma al funzionamento. L’icf è deve usare un linguaggio universale e per tale ragione usa quello
alfanumerico, in ogni area ci sono strutture che indicano i domini. Ci sono due qualificatori: LA
PERFORMANCE: riguarda le caratteristiche di un soggetto e di cosa è in grado di fare tenendo conto anche
dell’ambiente; LA CAPACITà: tiene conto delle caratteristiche del soggetto nel fare qualcosa, escludendo
l’ambiente circostante.

(MANIFESTAZIONI PAROSSISTICHE: CAP. 16)

Col termine di MANIFESTAZIONI PAROSSISTICHE sono indicati quegli episodi critici (crisi) con un inizio
brusco, di breve durata, caratterizzato da fenomeni di diversa natura che possono associarsi a disturbi della
coscienza; sono presenti maggiormente in età evolutiva. Esse sono suddivise in 2 grandi gruppi:
MANIFESTAZIONI PARATOSSICHE EPILETTICHE E MANIFESTAZIONI PARATOSSICHE NON EPILETTICHE. LE
MANIFESTAZIONI PARATOSSICHE EPILETTICHE: hanno un ruolo importante per la loro incidenza e
drammaticità; l’epilessia (crisi neurologica) è la più frequente della malattie croniche; si subisce
nell’infanzia, nell’adolescenza l’80% dei casi viene confusa tra epilessia e convulsioni, due cose nettamente
diverse. Le CONVULSIONI sono: un sintomo che si verifica in una sola volta, sono crisi intese come una
scarica improvvisa rapida , occasionali che non rientrano nell’ambito dell’epilessia. L’EPILESSIA: rappresenta
una condizione in cui si hanno attacchi convulsivi ricorrenti, non provocati ecco perché se si presenta
singolarmente non per forza si tratta di epilessia. LE CAUSE sono: IDIOPARTICHE: (su base familiare o
genetica) si verificano crisi convulsive ripetute e non provocate da una situazione di partenza;
CRIPTOGENICHE: si ipotizza che possa esserci una disfunzione genetica organica ma non la si riesce a
dimostrare; SINTOMATICHE : dovute a cause note. Per formulare una DIAGNOSI di epilessia è necessario
che la crisi sia di natura epilettica e che si ripeta altrimenti si parla di convulsione e perciò non si può
effettuare una diagnosi. Ecco perché nei confronti di un bambino che presenta per la prima volta una crisi è
obbligatorio intraprendere un iter diagnostico volto a comprendere la natura e ad individuare la causa. Per
effettuare lo studio di tale episodio è importante formulare una DIAGNOSI ANAMNESTICA: consente di
distinguere se si tratta di un episodio epilettico o no, successivamente può fornire preziosi elementi
diagnostici sul tipo di crisi, sulla possibile causa e sulla presenza di eventuali fattori scatenanti. Quando si
passa poi all’anamnesi patologica e quindi alla descrizione dell’episodio “critico”, si inviteranno i genitori a
descrivere dettagliatamente eventuali sintomi che l’hanno preceduto. L’ESAME OBIETTIVO: è un altro
momento fondamentale dell’indagine clinica, è anche importante non trascurare la cronologia. Infatti
l’indagine anamnestica non dovrà mai trascurare eventuali fattori scatenanti o facilitanti la crisi come:
stimolazioni visive intense, stress… una volta completata l’analisi anamnestico-clinica si passerà ad
effettuare uno studio ELETTRONCEFALOGRAFICO: che inizia con una registrazione routinaria in veglia che
può già avere valore diagnostico eppure mostrare anomalie epilettiche. In caso di normalità del tracciato di
metteranno in atto forme particolari di stimolazione allo scopo di far emergere eventuali anomalie
registrabili cioè: L’IPERVENTILAZIONE: consiste nel far respirare profondamente il soggetto per alcuni
momenti; LA FOTO STIMULAZIONE LUMINOSA INTERMITTENTE: che consiste nel somministrare flash di
luce attraverso lampada ad intermittenza. Le crisi epilettiche vengono distinte in: PARZIALI= funzionamento
anomalo che riguarda una singola porzione di neuroni; GENERALIZZATA=anomalia in zona centrale che si
diffonde a tutte le zone della corteccia e riguarda tutti i neuroni della corteccia. Le PARZIALI si dividono a
loro volta in: ELEMENTARI= il soggetto è cosciente ed assiste alla sua stessa crisi; COMPLESSE= viene
compromesso lo stato di coscienza; GENERALIZZATE= partono come parziali per poi generalizzarsi. Invece le
GENERALIZZATE si dividono in: CONVULSIVE e NON CONVULSIVE. L’EPILESSIA ASSENZA: esordisce nel
bambino più grande, dopo i 3 anni e rappresenta la più frequente forma di epilessia con prevalenza nel
sesso femminile; le crisi hanno un inizio improvviso e una fine altrettanto brusca, durano 5-10 secondi e
sono pluriquotidiane che si verificano fino a 50-100 volte in un giorno, sono più frequenti al mattino e
variabili da giorni a giorni. L’assenza può essere pura o associata a lievi movimenti del capo e spesso si
accompagnano a perdita di urina e rossore. IL GRANDE MALE: prevale leggermente nei maschi, esordisce in
età adolescenziale (tra i 10-20 anni). Le crisi sono tipicamente tonico-cliniche con perdita improvvisa di
coscienza preceduta da urlo, ad un’iniziale fase tonica in cui si ha irrigidimento degli arti e possibile
morsicatura della lingua; tale crisi dura da alcuni minuti ad alcune ore; i fattori scatenanti sono: il sonno, le
mesturazioni, lo stress, l’alcool. Nell’ambito di queste forse è inserita anche LA SINDORME DI WEST o
SINDROME DEGLI SPASMI INFANTILI: durante gli spasmi, il lattante flette bruscamente il capo e gli arti sul
tronco per alcuni secondi. Si manifestano scosse improvvise che tendono a presentarsi in diversi minuti e
diverse ore, soprattutto al risveglio o all’addormentamento. Con il passar dei giorni, le crisi diventano
pluriquotidiane e si assiste alla comparsa del rallentamento o regressione delle acquisizioni psicomotorie
del bambino. Poi abbiamo la SINDOROME DI LENNOX-GESTAUT: prevale nei maschi tra i 2-13 anni e la
caratteristica principale è la crisi di tipo diverso nello stesso paziente. La prognosi è in relazione con l’età
d’inizio dell’epilessia, la causa, la frequenza e la durata. LE MANIFESTAZIONI PARATOSSICHE NON
EPILETTICHE: che rendono difficile formulare una diagnosi e differenziarle da quelle epilettiche vere; nel 1
anno di vita, possono creare problemi quali i tremori. Molto più grave è il MIOCLONO BENIGNO DEL
SONNO, caratterizzato da colonie ripetitive. Un’altra manifestazione molto frequente rappresentate dalle
SINCOPI che consistono in crisi che possono essere: LA LIPOTOMIA: annebbiamento della coscienza
accompagnato da pallore, vertigini e nausea; LA SINCOPE VERA E PROPRIA: dura 10 secondi, inizia come
una lipotimia ed evolve in totale perdita della coscienza ed abolizione del tono muscolare che porta la
caduta a terra del soggetto; LA SINCOPE CONVULSIVA: dura più di 10 secondi, inizia con una sincope
semplice dove il soggetto caduto a terra presenta uno spasmo tonico che può portare alla morsicatura della
lingua e perdita delle urine. Un gruppo a parte è costituito dalle MANIFESTAZIONI PARATOSSICHE NON
CONVULSIVE che si verificano durante il sonno del bambino e tra queste abbiamo: IL SONNABULISMO= in
cui il bambino si siede sul letto ma poi scende, va in bagno, chiude la luce… IL SONNILIQUIO: caratterizzato
da parole intelligibili e l’incubo notturno associato a sogni particolarmente terrorizzanti. Una
manifestazione parossistica non epilettica è la VERTIGINE PAROSSISTICA BENIGNA: il bambino
all’improvviso sente girare tutto intorno a sé, è spaventato e tenta di afferrare le gambe o le braccia della
madre, tale tipo di manifestazione si presenta tra i 2 e i 5 anni per poi scomparire.

(BULIMIA NERVOSA: CAP. 12)

Con il termine disturbi del comportamento alimentare (DCA) si fa riferimento a due quadri clinici
complessi:
l’anoressia nervosa: si traduce in una mancata restrizione dell’apporto alimentare infatti si cerca di
“perdere peso” attraverso vomito autoindotto, lassativi oppure esercizi fisici esagerati;
la bulimia nervosa: cioè l’assunzione smoderata di cibo (abbuffate) che porta poi al vomito
autoindotto che nasce dal senso di colpa per tutto ciò che si è mangiato.
ANORESSIA NERVOSA: nel termine anoressia (dal greco mancanza di appetito, di desiderio) è
costantemente presente il rifiuto del cibo per un'intensa paura di ingrassare anche quando si è
sottopeso, quindi il soggetto si sente grasso anche quando è scheletrico e si autopriva del cibo.
PREVALENZA. Essa insorge tipicamente nella prima adolescenza interessando soprattutto il sesso
femminile.
CAUSE. Come tutti gli altri disturbi psichiatrici complessi anche per l’anoressia nervosa non è
definibile una causa precisa e sono emersi una serie di fattori connessi al disturbo:
- fattori “predisponenti” individuali che, sul versante biologico, è stata più volte segnalata la
ricorrenza di altri casi di anoressia nervosa in ascendenti e collaterali di soggetti affetti (soprattutto
nei gemelli).
- fattori “predisponenti” familiari cioè viene enfatizzato il ruolo fondamentale della famiglia
nella genesi del disturbo (eventi negativi in famiglia, morte di uno o entrambi i genitori,
maltrattamenti, abusi ecc).
-fattori “predisponenti” sociali cioè ipotesi a sostegno di fattori socio-culturali nella genesi del
disturbo.
CLINICA. Le modalità di esordio e di decorso variano da caso a caso, esso è graduale e con una
generica decisione da parte del soggetto di iniziare una dieta per “migliorare“ il proprio aspetto.
Sappiamo che il termine anoressia etimologicamente significa “perdita dell’appetito“ ma nonostante
questo i soggetti dichiarano di aver avuto fame ma si sono imposti di non mangiare per perdere peso
o per la paura di acquistare peso, infatti con l’inizio del dimagrimento il soggetto presenta uno stato
di euforia e soddisfazione e si impegna in attività fisiche continue. Man mano che la situazione
procede il dimagrimento diventa sempre più evidente però, in questa fase, scompare l’iperattività e
viene sostituita da apatia, disinteresse e depressione che può portare a conseguenze negative,
principalmente il rischio del suicidio che rappresenta una delle più frequenti cause di morte. Alla
fine, nonostante il grave deperimento, il soggetto continua a manifestare il terrore di ingrassare e la
condizione di essere sovrappeso.
DIAGNOSI. La diagnosi non pone in genere alcun problema ed è finalizzata a definire il quadro
clinico generale in termini di stato nutrizionale, situazione cardiologica e gestroenterologa, il profilo
affettivo-relazionale (le dinamiche intrafamiliari e interpersonali),l’eventuale presenza di situazioni
psicopatologiche associate e le caratteristiche dell’ambiente in cui il soggetto vive.
TERAPIA. La complessità della situazione prevede l’attuazione di una serie di interventi
psicoterapeutici, riabilitativi, educativi e farmacologici i quali vanno articolati in un Progetto
terapeutico Personalizzato che tiene conto delle caratteristiche di ciascun caso. Nelle forme più
gravi è necessaria l’ospedalizzazione che dipende dalla presenza di complicanze mediche, il rischio
suicidario e la presenza di situazioni familiari a rischio.
L’anoressia può anche essere INFATILE cioè il bambino rifiuta di mangiare un’adeguata quantità
di cibo per almeno 1 mese, l’esordio avviene prima dei 3 anni, il bambino non comunica la fame e
vi è mancanza d’interesse per il cibo, infatti mostra un significativo deficit di crescita e l’esclusione
di eventi traumatici e di malattie mediche. Però nella prima e seconda infanzia sono state
individuate altre 2 forme di anoressia precoci:
1) l’anoressia comune precoce o di opposizione insorge tra 6 mesi e 2 anni e prevale nelle
femmine. Il fattore scatenante è lo svezzamento a seguito del quale il bambino rifiuta di alimentarsi
ma continua ad assumere liquidi. La relazione madre-bambino è di opposizione/costrizione poiché
lui rifiuta di alimentarsi mentre lei lo forza.
2) le anoressie neonatali che presenta:
-una forma banale cioè rifiuto del nutrimento da parte del neonato o lattante, quindi rifiuta il seno o
il biberon e allontana la testa;
-una forma grave cioè rifiuto del cibo tramite l’inerzia, ovvero l’alimento cola dalla bocca e il
bambino ha scarsa o nulla suzione;
-forme secondarie dovute a disfunzione della sfera oro-alimentare, cioè i bambini rifiutano il cibo
ma conservano integro l’appetito.
BULIMIA NERVOSA: Per quanto riguarda la bulimia nervosa, colpisce prevalentemente le donne
ed è il contrario dell'anoressia anche se hanno un elemento psicopatologico comune, cioè l’alterata
percezione del peso e della propria immagine corporea. Essa è caratterizzata dalla presenza di crisi
bulimiche date dall’assunzione smoderata di cibo e dall'ingestione eccessiva di cibo, seguita da
depressione, senso di colpa, ansia, tristezza e solitudine. La crisi ha una durata inferiore alle due ore
poi si passa al vomito auto-indotto che dà un forte senso di sollievo e fa diminuire l'ansia connessa
alla paura di ingrassare.
PREVALENZA. Tale disturbo si presenta durante il periodo dell’adolescenza principalmente nelle
femmine, invece nei maschi tali disturbi sono stati poco studiati e forse sono sottostimati. Questi
ultimi hanno una particolare apprensione per la propria massa muscolare e per raggiungere obiettivi
atletici perseguiti attraverso l’esercizio fisico, quindi tali aspetti si differenziano dalla
preoccupazione per il peso e forma corporea descritta nell’AN, anche se la forma corporea è
associata alla forma muscolare.
DIAGNOSI. Prevede l’anamnesi, conoscenza del disturbo, del soggetto e dell’intero contesto
ambientale.
TERAPIA. Essa si inscrive nell’ambito di un Progetto Terapeutico Personalizzato che considera la
specificità di ogni singolo caso.

(DIAGNOSI E DISTURBO D’ANSIA: CAP.8)

L’ANSIA è uno stato d’animo di irrequietezza e disagio; si verifica anche nei bambini ma in modo differente
che nell’adulto. Nel bambino piccolo infatti comprende: il corpo, la mente e l’organismo. L’ansia
rappresenta situazioni nuove avvertite come pericolo. L’ansia può essere di 2 tipi: NORMALE=non è
riconducibile a esperienze passate ma è legata ad esperienze nuove; tende a basarsi non su situazioni
immaginative ma su fatti concreti e reali, non è stereotipata ma salutaria. ANSIA PATOLOGICA= si manifesta
con sentimenti di inadeguatezza, indecisione e deriva da una compromissione del sistema nervoso che
scaturisce la nevrosi isterica, nevrosi d’ansia, nevrosi fobica; i basa molto su esperienze passate, si focalizza
molto su fatti che non rispecchiano la realtà e si manifesta in modo ricorrente. I disturbi d’ansia si
presentano in bambini tra i 7-11 anni e le cause si rifanno a 3 orientamenti: IPOTESI COSTITUZIONALISTA:
presenza di fattori costituzionali individuabili sulla predisposizione di una base genetica; IPOTESI
PSICOANALITICA: l’ansia qui deriva dal fallimento di meccanismi di difesa messi in atto contro l’angoscia;
IPOTESI COGNITIVO-COMPORTAMENTALE: tutte le persone tendono a dare un interpretazione degli eventi
quotidiani che si manifestano, organizzando le esperienze effettuate. L’ansia è caratterizzata in base a una
serie di quadri clinici che in base all’età e altre caratteristiche assumono caratteristiche particolari come: IL
DISTURBO D’ANSIA DA SEPARAZIONE (DAS= è dovuta ad un ansia che nasce nel momento in cui si ha una
separazione con le persone alle quali si è legati ex: la famiglia, accade ciò intorno all’8 mese di vita quando il
bambino deve separarsi dalla mamma, piange e il pianto è significativo in quanto capisce che dipende dalla
mamma e che su di essa non ha capacità di controllo. Tale disturbo cambia in base all’età, i bambini piccoli
ex hanno spesso bisogno della figura materna come prima di addomentarsi, hanno bisogno che la mamma
stia un po' con loro, durante la notte se si svegliano e non la trovano vanno nel suo letto. Crescendo la
circostanza che tende a crearsi è che il bambino dovrà per forze maggiori allontanarsi per una gita, un
viaggio, soffre sentendo il bisogno di chiamarla spesso, inventa scuse per tornare a casa. L’ansia da
separazione è accompagnata da fattori biologici quali: diarrea, vomito, palpitazioni… sempre in
quest’ambito rientra la FOBIA SCOLARE= rappresenta l’espressione di un’ansia da separazione, un rifiuto
ansioso della scuola, si ha verso i 5-10 anni ma in generale temono il distacco dalla famiglia. Poi emerge il
DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO (DAG)= è generalizzato dalla presenza di ansia e preoccupazione
eccessiva, associata ad irrequietezza, disturbi del sonno… la causa dell’ansia è dovuta a situazioni di
malessere. I bambini che soffrono di quest’ansia hanno paura per varie situazioni come ad ex: terremoti,
piogge. Ci sono 2 tipi di fobie: FOBIA SOCIALE= timore persistente di situazioni che possono comportare
sentimenti di umiliazione derivanti dal giudizio degli altri ex: il bimbo rifiuta di stare con gli altri e di giocare;
FOBIA SPECIFICA= paure persistenti nei confronti di specifici oggetti o situazioni. Da ciò emerge la DIAGNOSI
che si basa principalmente sull’ANAMNESI, SUL COLLOQUIO CON I GENITORI E SULL’OSSERVAZIONE DEL
SOGGETTO. NELL’ANAMNESI bisogna valutare se i comportamenti riferiti siano da considerare patologici,
mentre NEL COLLOQUIO bisogna individuare gli elementi caratterizzanti lo stimolo; NELLA FASE
DELL’OSSERVAZIONE bisogna definire il profilo emotivo del soggetto e l’ambiente significativo. Per la
TERAPIA è importante formulare un progetto terapeutico integrato che prende in considerazione diversi
interventi: INTERVENTI FARMACOLOGICI= prevedono farmaci scelti in base al sintomo, tipo ansiolitici che
dipendono dall’età e dal tipo di disturbo; INTERVENTI PSICOTERAPEUTICI AD ORIENTAMENTO
PSICOANALITICO= cercano di spronare il soggetto ad elaborare il suo inconscio; INTERVENTI EDUCATIVI=
terapie di sostegno rivolte al soggetto e ai genitori e ci sono vari incontri con una figura competente. La
prognosi ci dice che nella maggior parte dei casi i disturbi d’ansia tendono a scomparire con il temppo in età
adulta se ciò non accade è perché il disturbo persiste.

(DEFICIT DA IPERATTIVITA’, DISATTENZIONE E IMPULSIVITA’: CAP.20)

Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI) (ADHD acronimo inglese) è una


sindrome comportamentale caratterizzata da impulsività, incapacità di fissare l'attenzione in
maniera continuativa e livelli di attività molto accentuati.
PREVALENZA E CAUSE. La prevalenza di questo disturbo è presente nei bambini di età scolare
a la sindrome è decisamente più frequente nel sesso maschile, e per quanto riguarda le cause, come
per tutti i disturbi del neurosviluppo (il DSM-5 inserisce questo disturbo in questa categoria), sono
sconosciute. Diverse indagini epidemiologiche hanno enfatizzato l'importanza di fattori genetici,
riconducibili a sofferenze encefaliche pre, peri o immediatamente postnatali. Oltre a ciò queste
stesse indagini hanno messo in evidenza l'importanza della familiarità, in particolare, la frequenza
dei segni di DDAI, nei genitori di soggetti affetti da disturbo, è molto alta.
CLINICA. Il DDAI è una sindrome comportamentale caratterizzata da una serie di comportamenti
atipici per frequenza e intensità. I comportamenti nei soggetti affetti assumono rilevanza clinica in
quanto la loro intensità interferisce nella normale attività del soggetto. Perciò, i comportamenti che
caratterizzano il disturbo possono essere ricondotti a 3 aree disfunzionali:
• iperattività, è caratterizzata da livelli di attività motoria particolarmente elevati, il soggetto è
incapace di stare fermo e anche quando sta fermo, si agita da fermo muovendo in continuazione le
mani, i piedi o il capo. Sente il bisogno di muoversi e spesso lascia il posto in situazioni in cui
dovrebbe stare seduto come a scuola. Si dedica prevalentemente a giochi e passatempi che
prevedono un'intensa attività motoria come il correre e ha difficoltà a dedicarsi in modo
continuativo a giochi tranquilli. Anche quando con la crescita impara a ridurre i livelli di attività
motoria il soggetto è sempre irrequieto.
• impulsività, è la capacità di trasformare in azione ciò che ha in testa, cioè è un modo di essere e di
relazionarsi caratterizzato dall'incapacità di riflettere, mediare e, eventualmente, dilazionare le
risposte comportamentali. Il soggetto cioè non pensa prima di agire o di rispondere ad una richiesta
e, nei giochi o nelle attività di classe è incapace di attendere il proprio turno, infatti si intromette nei
giochi o nelle attività degli altri in maniera invadente, e si intromette nelle conversazioni degli altri
interrompendole.
• disattenzione, si esprime con un incapacità di mantenere l'attenzione in maniera stabile su un
determinato compito, infatti il soggetto ha difficoltà a prestare attenzione ai particolari, commette
errori di distrazione nei compiti scolastici, è sbadato nelle attività quotidiane, non sembra ascoltare
quando gli si spiega qualcosa e si lascia facilmente distrarre da stimoli estranei rispetto al compito
che stai seguendo, dimenticando spesso anche gli oggetti necessari per le sue attività.
DECORSO. Il DDAI comincia in genere a manifestarsi nei primi anni di vita. In epoca prescolare
riesce molto difficile distinguere i comportamenti caratterizzanti la sindrome dai comportamenti che
possono riscontrarsi i bambini particolarmente vivaci. L'epoca abituale in cui il disturbo comincia
ad incidere è l'inizio della scuola primaria, e il disturbo tende poi a persistere nell'età adulta anche
se assume progressivamente una espressività diversa. In particolare l'iperattività sempre molto
accentuata nei primi anni dello sviluppo, tende abitualmente a ridursi, anche se nell'adolescenza si
trasforma in una sorta di irrequietezza e sensazione interiore di nervosismo, invece la disattenzione
e impulsività tendono a persistere nel tempo, pur modificandosi infatti connotano un particolare
stile comunicativo-relazionale caratterizzato da decisioni avventate, mancanza di riflessione ecc.
DIAGNOSI. La diagnosi del DDAI viene formulata in base a criteri comportamentali, nel senso
che non esistono indagini strumentali o di laboratorio che possono funzionare, per questo motivo
l'osservazione assume una particolare importanza.
Fin dal primo incontro vanno tenuti in considerazione una serie di aspetti caratterizzanti il disturbo
e questi sono rappresentati dal modo con cui il bambino entra nella stanza (irruente), investe lo
spazio (caotico), si rapporta all'oggetto (frenetico), aderisce alle proposte dell'esaminatore
(superficiale), si impegna nel compito (discontinuo) e resistere alle distrazioni (inadeguato).
Accanto agli elementi clinici rilevabili dal osservazione libera risulta particolarmente importante
ricorrere a situazioni più strutturate, in cui lo spazio, gli oggetti disponibili e le prove che si
intendono presentare siano organizzati in maniera prestabiliti e standardizzata.
Oltre a ciò però per la formulazione di una diagnosi definitiva è necessario verificare se gli stili
comportamentali osservati nel bambino caratterizzano il modo di essere del soggetto anche nei
contesti di vita abituale come a casa. Bisogna infatti tenere in considerazione la possibilità che il
soggetto trovandosi in un ambiente nuovo con persone sconosciute ossa adottare modalità
inadeguate legate al particolare momento.
Uno dei criteri determinanti per la formulazione della diagnosi dei comportamenti atipici
riguardanti i contesti di vita del bambino, è l’utilizzo di questionari, che permettono di raccogliere
notizie sul comportamento del bambino a casa, a scuola e nell'ambito delle attività del tempo libero.
Una valutazione semi obiettiva dell'attenzione e della capacità di controllare le risposte impulsive
può essere invece effettuata attraverso il "Continuous Performance Test", un reattivo specifico
somministrato mediante il computer, infatti viene presentato al bambino sul monitor, una sequenza
di stimoli (singole lettere o figure), in rapida successione. Fra essi, viene previamente stabilito uno
stimolo bersaglio. Il bambino non deve far altro che stare attento e premere un tasto quando sul
monitor compare lo stimolo bersaglio. Gli errori che il bambino può compiere sono errori di
omissione (non preme il tasto alla comparsa dello stimolo) o di commissione (preme il tasto per uno
stimolo che non è lo stimolo bersaglio). Inoltre il numero di errori di omissione fornisce
un'indicazione sulla capacità di mantenere l'attenzione mentre il numero di errori di commissione è
in relazione all'impulsività.
In una prima fase diagnostica, l'esame neuropsichiatrico è finalizzato a valutare se l'iperattività,
l'impulsività e la disattenzione raggiungono un livello tale da soddisfare i criteri diagnostici di un
DDAI. La fase successiva del processo diagnostico è rivolta a valutare se i suoi comportamenti
rilevati possono essere considerati solo sintomi di più complessi quadri sindromatici o se si tratta di
una categoria autonoma. In ogni caso l'anamnesi, l'esame neurologico, l'esame psichico e le
eventuali indagini strumentali e di laboratorio sono in genere sufficienti a verificare se sono
soddisfatti i criteri diagnostici definiti dei principali sistemi di nosografia codificata (ICD e DSM)
per riconoscere un'autonomia nosografica il quadro clinico presentato dal soggetto.
Molto frequentemente i sintomi caratterizzanti il disturbo si associano a sintomi che sembrano
appartenere a condizioni cliniche di natura diversa e, in queste situazioni, il processo diagnostico
definisce le situazioni di comorbidità che nel caso del DDAI sono molto frequenti. Quindi il
disturbo coesiste con altre condizioni patologiche tra cui i disturbi della condotta, disturbi dello
spettro autistico, disturbi del linguaggio, disturbi d'ansia, dell'apprendimento, epilessia ecc.
TERAPIA. Dalla fase diagnostica si passa perciò la formulazione del progetto terapeutico, un
approccio al soggetto che deve essere di tipo interpretativo, cioè un approfondimento che cerchi di
capire chi è la persona portatrice di quei particolari comportamenti, che peso hanno tali
comportamenti ecc. Quindi anche per il DDAI viene a determinarsi la necessità di un progetto
terapeutico personalizzato che prevede:
• interventi farmacologici, vengono utilizzati farmaci psicostimolanti, come il metilfenidato che è
il farmaco maggiormente studiato e il più utilizzato per la sua capacità di incidere sul rilancio e sul
recupero della dopamina. Alcuni soggetti invece ricorrono all’utilizzo di stupefacenti come farmaci;
• interventi riabilitativi, per i bambini in età prescolare e scolare trova indicazione la terapia della
neuropsicomotricità che prevede sedute effettuate in ambienti attrezzati ed elegge come modalità di
approccio privilegiata l'interazione e la comunicazione sociale in un contesto ludico. Il lavoro viene
effettuato attraverso esperienze di condivisione, gioco cooperativo, con il quale, il terapista vuole
raggiungere l'obiettivo di prolungare i tempi di attenzione del bambino, potenziare i processi di
controllo degli impulsi, far rispettare le regole al bambino ecc. Si tratta di esperienze che nel breve
periodo porta ad un miglioramento dei comportamenti iperattivi e impulsivi e disattenti e che nel
medio periodo facilità i processi di mentalizzazione. Fra gli altri interventi riabilitativi abbiamo la
logopedia che può fronteggiare le difficoltà di apprendimento e può lavorare sulla componente
narrativa del linguaggio;
• interventi psicoeducativi, la gestione quotidiana di un bambino con questo disturbo è difficile ed
impegnativa, infatti i genitori finiscono per sviluppare sentimenti di inadeguatezza, di colpa o di
angoscia. Tali vissuti si traducono in atteggiamenti pedagogici molto spesso inadeguati che
finiscono per aggravare il malessere che investe tutto il sistema famiglia. Gli interventi
psicoeducativi perciò sono rivolte a creare nell'ambiente significativo del soggetto le condizioni
utili a favorire l'estinzione dei comportamenti disadattivi e la comparsa e il rinforzo di
comportamenti adeguati, per questo motivo gli interventi psicoeducativi individuano i genitori come
interlocutori privilegiati con i quali vanno condivisi gli obiettivi terapeutici e altri aspetti del
progetto terapeutico;
• interventi psicoterapeutici, le psicoterapie ad orientamento cognitivo-comportamentale
assumono un posto importante nel progetto terapeutico personalizzato soprattutto in fase pre e
adolescenziale perché, le tecniche di modifica del comportamento e il lavoro di organizzazione
cognitiva del mondo esperienziale, riescono a favorire l'estinzione di condotte disadattive.

(DSA=DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO; DISLESSIA: CAP.25)


Il disturbo specifico dell'apprendimento (DSA) include una serie di quadri clinici in cui
l'elemento caratterizzante è rappresentato da un deficit che riguarda una o più abilità scolastiche,
infatti i deficit possono riguardare la lettura, la scrittura o le abilità di calcolo.
PREVALENZA. Il disturbo interessa circa il 20% dei soggetti nella scuola primaria ed è molto più
frequente nei maschi rispetto alle femmine.
CAUSE. Il disturbo viene incluso nei disturbi del neurosviluppo e le cause, non sono conosciute
ma, si ipotizza che esistono una serie di disfunzioni neuropsicologiche che si traducono nella
mancata acquisizione delle abilità scolastiche.
Anche se le cause non sono conosciute, viene però suggerita l'importanza di una componente
genetica alla base del disturbo. Altri dati invece ritengono che le cause del disturbo possono essere i
fattori organici di natura acquisita, come la prematurità, complicazioni della gravidanza, anomalie
del tono muscolare, deficit dei nervi cranici ecc.
CLINICA. Il quadro clinico si rende evidente con l'inizio della scuola primaria e progressivamente
assume le sue connotazioni specifiche. Il deficit può interessare come abbiamo già detto, la lettura,
la scrittura o il calcolo ma in alcuni casi si ha la compromissione contemporanea di più aree
(disturbo specifico dell'apprendimento di tipo misto).
Disturbo specifico dell'apprendimento con compromissione della lettura (DISLESSIA).
Riguardo il deficit che interessa l'apprendimento della lettura, abbiamo un soggetto che legge male
per problemi che possono riguardare l'accuratezza, la velocità o la comprensione del testo letto.
Queste tre dimensioni sono difficili da differenziare nettamente ma, l'accuratezza riguarda gli errori
che un soggetto fa durante la lettura ad alta voce e la tipologia degli errori e la loro quantità variano
in rapporto all'età del soggetto e alla severità del disturbo, infatti gli errori più frequenti sono
l'omissione di lettere, l'omissione di sillabe, confusione fra lettere simili per forma, unione di parole,
omissione di parole, mancata osservanza della punteggiatura ecc, infatti la maggior parte di questi
errori riguardano i processi di trascodifica fonema-grafema; la velocità riguarda il tempo che
soggetto impiega nel leggere un brano e il soggetto legge male poiché impiega un tempo
eccessivamente lungo per leggere una parola, segue con il dito la lettura delle parole, mostra una
discontinuità nel ritmo ecc. I motivi alla base del rallentamento possono essere di varia natura e in
alcuni casi, la causa si lega all’accuratezza e alle difficoltà di ritrovamento delle corrispondenze fra
il segno scritto (grafema) e il rispettivo suono (fonema); la comprensione riguarda invece
l'incapacità da parte del soggetto di comprendere il significato di ciò che ha letto. Il deficit quindi,
compromette la possibilità di acquisire attraverso la lettura notizie, informazioni e conoscenze.
Questo deficit quando non viene associato all’accuratezza e alla rapidità, viene riconosciuto
tardivamente quindi intorno agli 8-9 anni. Il disturbo però tende a persistere nel tempo e rende
difficile agli adolescenti e agli adulti l’immediata comprensione di una lettura, di un documento o di
un testo scritto perciò, il soggetto ha bisogno di leggerlo più volte per comprenderlo e capirne i
punti principali.
Disturbo specifico dell'apprendimento con compromissione della scrittura. Riguardo il deficit
che interessa la scrittura, le difficoltà iniziano con la scuola primaria e si manifestano con sempre
maggiore evidenzia, ciò dipende dalla severità del disturbo e dalla componente interessata. Un
bambino perciò può scrivere male per problemi che riguardano la grafia, l'ortografia o la
composizione del testo. La disgrafia (la grafia, cattiva scrittura) è un deficit che riguarda la
componente di realizzazione della scrittura, della fluidità e del controllo del tratto grafico, infatti il
disturbo si manifesta con segni di eccessiva velocità nello scrivere, impugnatura scorretta, scarsa
pressione della penna sul foglio, irregolarità delle lettere scritte fino all’ illeggibilità ecc; la
disortografia (errori di ortografia) è un deficit che riguarda la trascodifica fonema-grafema e il
padroneggiamento delle regole che riguardano il sistema grafemico, infatti il soggetto presenta le
inversioni (Il soggetto può scrivere sefamoro invece di semaforo), omissioni (il soggetto o mette la
doppia consonante scrivere pala invece di palla), confusione tra grafemi simili, errori che
riguardano la punteggiatura ed errori che riguardano gli accenti; la composizione del testo, è un
deficit che appunto prevede la composizione libera e la costruzione del testo scritto, questo deficit
inoltre tiene conto dell'età e della classe frequentata e si tratta di una difficoltà riconosciuta a partire
dagli 8-9 anni. Inizialmente le difficoltà si traducono in brevità del testo, povertà del vocabolario,
inadeguata strutturazione della frase, errori grammaticali e di punteggiatura. Nel corso del tempo
invece le difficoltà appaiono maggiormente definite e quindi si rendono maggiormente evidenti.
Il disturbo specifico dell'apprendimento con compromissione del calcolo (DISCALCULIA).
Riguardo il deficit che interessa l'apprendimento dei numeri e del calcolo, le difficoltà iniziano con
la scuola primaria e si definiscono con sempre maggior chiarezza nel corso degli anni successivi al
primo. Il grado di compromissione dipende sempre dalla severità del disturbo che risulta
caratterizzato da difficoltà che riguardano il riconoscimento immediato di piccole quantità, la
seriazione, strategie di composizione e scomposizione di quantità, comprendere i termini o i segni
matematici, a prendere le tabelle della moltiplicazione ecc.
DIAGNOSI. Nei confronti di un bambino segnalato per disturbi dell'apprendimento è necessario
perciò un percorso diagnostico articolato in diverse fasi che partono dall’accertamento di una reale
difficoltà di apprendimento per arrivare alla diagnosi differenziale e alla definizione dei disturbi
associati. Perciò la prima fase del processo diagnostico è finalizzata a verificare il livello
prestazionale raggiunto nelle aree della lettura, della scrittura e del calcolo. Si può così passare alla
diagnosi differenziale, che si rivolge alla valutazione globale del soggetto e alla ricerca degli
elementi utili a valutare se sono soddisfatti i criteri per una diagnosi di disturbo specifico. La
diagnosi differenziale perciò si fonda sulla anamnesi, sull' esame neurologico, sull' esame psichico,
sulla valutazione del livello intellettivo globale del profilo cognitivo, l'approfondimento delle
funzioni neuropsicologiche, questionario di interviste e semistrutturati ed esami strumentali e di
laboratorio.
Numerose ricerche condotte sui bambini con disturbo specifico dell'apprendimento hanno rilevato
la frequente presenza di disturbi associati, come l'alterazione del linguaggio, disturbi emotivi ecc.
TERAPIA. Nel nostro paese la cura dei disturbi specifici dell'apprendimento spetta alla scuola e
agli insegnanti che hanno il compito potenziare le competenze scolastiche dell'alunno e nel
contempo prevenire il disagio psicologico connesse alle difficoltà di apprendimento. Per questo
motivo il disturbo dell'apprendimento assumono rilevanza clinica tale da richiedere un intervento
specialistico, ovvero il progetto terapeutico personalizzato, aggiunto al piano didattico
personalizzato. Abbiamo perciò:
• interventi riabilitativi, comprende sia stimolazioni specifiche, sia stimolazioni generali, dove le
stimolazioni specifiche consistono nella ripetizione, che può essere facilitata, guidata e rinforzata,
consente l'apprendimento e automatizzazione dei processi coinvolti, perciò queste stimolazioni
comprendono esercizi di lettura, esercizi di dettato e esercizi di calcolo. Le stimolazioni generali
invece prevedono attività di pregrafismo allo scopo di facilitare e favorire il padroneggiamento e la
manipolazione della matita o della penna, attività per facilitare il riconoscimento delle parti del
proprio corpo, attività finalizzate all'apprendimento dei rapporti spaziali, attività di ritmo ecc;
• interventi psicoeducativi, riconoscono come interlocutori privilegiati i genitori e gli insegnanti
dove gli insegnanti rilevano le difficoltà del bambino e non sempre riescono a spiegarne la natura,
di conseguenza non sanno come regolarsi, mentre i genitori, allertati dagli insegnanti, elaborano
fantasie di diversità del proprio figlio. In tali situazioni perciò, l'intervento educativo mira a definire
la natura del disturbo, collocarlo nella sua esatta dimensione e a suggerire le modalità di approccio
più idoneo in termini affettivo pedagogici;
• interventi psicoterapeutici, possono assumere gradi di approfondimento crescenti in rapporto
alle esigenze del singolo caso, ma in tutti i casi è necessario un counseling psicologico con
interventi di rassicurazione e di sostegno rivolte al soggetto affinché egli possa superare i sentimenti
di inadeguatezza e di frustrazione ed acquisire maggiore fiducia in se stesso.
PROGNOSI. I disturbi specifici dell'apprendimento presentano l'evoluzione migliorativa infatti le
difficoltà nell’adolescente e nell'adulto non ostacolano la realizzazione sociale del soggetto, ma vi
sono dei casi in cui disturbi persistono limitando quindi anche in età adulta, le competenze di
lettura, di scrittura e di calcolo.

(I disturbi depressivi: CAP.10)


I disturbi depressivi includono una serie di quadri clinici, il cui elemento caratterizzante è un
disturbo che riguarda l'umore, così detto umore depresso, che può essere definito come una tonalità
emotiva di fondo, che ha una certa durata nel tempo, nasce in genere in maniera spontanea,
connotando l'atteggiamento posturale del soggetto, i suoi livelli di attività motoria e le sue modalità
di rapportarsi alla realtà. I disturbi dell'umore possono essere:
• depressione, caratterizzata da una situazione in cui il soggetto vive un profondo senso di tristezza,
di dolore morale e talvolta di angoscia e disperazione.
• euforia, mania, situazione opposta alla precedente, infatti questa situazione è caratterizzata da un
senso di benessere e di gioia (euforia), che può arrivare fino all'esaltazione marcata con eccitamento
psicomotorio (mania).
• labilità affettiva è un'instabilità del tono dell'umore, che oscilla fra depressione ed euforia.
I disturbi depressivi possono assumere da caso a caso aspetti differenti, infatti abbiamo:
• il disturbo depressivo maggiore, è un quadro clinico caratterizzato dalla ricorrenza di uno o più
episodi depressivi, intesi come periodi di almeno due settimane e durante i quali si verificano
depressione dell'umore, perdita di interesse o di piacere per le attività, irritabilità e ritiro sociale;
• il disturbo depressivo persistente, si riferisce a quelle forme in cui l'umore è cronicamente
depresso, per gli adulti la durata di questo periodo è di almeno due anni, per i bambini l'umore
anziché essere depresso può essere irritabile e perciò la durata minima per formulare la diagnosi è di
solo un anno.
PREVALENZA. Il disturbo si presenta nei bambini, e negli adolescenti, sia maschi che femmine.
CAUSE. Le cause della depressione non sono ben definite. Ci sono state numerose indagini che
hanno fornito una serie di dati, e secondo queste indagini ciò che può portare dalla depressione
sono:
• fattori a rischio, dove vengono incluse, la familiarità (è stato valutato che i figli con uno dei
genitori affetti da depressione ha un rischio tre volte superiore di manifestare un episodio
depressivo e che tale rischio aumenta quando entrambi i genitori sono depressi); situazioni familiari
inadeguate (è stato rilevato che in ambienti familiari caratterizzati da conflitti, situazioni di abuso,
rifiuto, problemi di comunicazione, portano il bambino alla depressione); presenza di eventi
stressanti (divorzio dei genitori, morte di uno dei genitori, malattie dei genitori).
• modelli interpretativi della clinica, dove abbiamo l'ipotesi psicodinamica (sottolinea
l'importanza delle esperienze precoci che quando sono frustranti, impediscono i normali processi di
elaborazione. Il verificarsi di eventi stressanti comporterebbe vissuti depressivi); ipotesi cognitivista
(afferma che i disturbi del pensiero, intesi come la percezione negativa di sé stessi e della qualità
delle relazioni che il soggetto stabilisce con le persone del suo ambiente significativo, non sono la
conseguenza del carattere depressivo ma sono l'essenza del disturbo); l'ipotesi neurobiologica
(nasce sulla base dell'osservazione che diversi farmaci sono in grado di incidere sul tono
dell'umore).
CLINICA. L'elemento caratterizzante la sintomatologia depressiva è quindi l’alterazione del tono
dell'umore. Nei soggetti in grado di verbalizzare il loro stato, vengono fornite descrizione del tipo
"mi sento depresso”. Nelle situazioni in cui il soggetto non è in grado di verbalizzare il suo stato il
tono dell'umore si manifesta attraverso un’espressione di tristezza, rarità del sorriso, pianto ecc.
Questo si esprime anche attraverso la perdita di interessi, infatti il soggetto appare incapace di
provare piacere per tutte, o quasi tutte le attività, anche per quelle che precedentemente lo avevano
coinvolto. Tutto questo ovviamente si ripercuote sulla qualità dell'interazione sociale, infatti i
bambini depressi tendono ad evitare le occasioni di incontro con gli altri e questo si ripercuote
inevitabilmente anche a scuola e ne riveste anche il rendimento scolastico. Il bambino lamenta
spesso disturbi della memoria, mostra difficoltà di concentrazione ed appare preoccupato
dell'insuccesso e ciò può sfociare nella fobia scolare e nell’abbassamento dell'autostima. Inoltre può
essere presente anche il senso di colpa, l'auto svalutazione e alcuni disturbi somatici, come
difficoltà di addormentarsi, risvegli notturni, incubi, disturbi del comportamento alimentare.
Accanto a questi in età evolutiva sono ricorrenti anche i pensieri di morte, infatti il suicidio è raro
prima di 10 anni ma diventa più frequente tra gli adolescenti. La sintomatologia depressiva quindi
assume differenti modalità espressive in rapporto all'età e al livello di maturazione del bambino.
Infatti nei primi due anni di vita le manifestazioni depressive vengono espresse attraverso il
comportamento come il pianto frequente, nel momento in cui inizia a maturare l'apparato psichico
del soggetto, le manifestazioni possono essere espresse anche attraverso sogni e giochi, fino a
quando il bambino non diventa consapevole e quindi le manifestazioni vengono verbalizzate.
DIAGNOSI. La diagnosi di depressione in età evolutiva non è sempre facile, a causa delle
caratteristiche della sintomatologia che spesso sono mal definite, e a causa dell'incapacità del
bambino di verbalizzare i propri stati d'animo. Il processo diagnostico si basa innanzitutto sulla
anamnesi che va integrata con l'osservazione diretta del bambino; è previsto poi l'esame psichiatrico
che utilizza il gioco e il disegno per cogliere molti aspetti relativi al mondo interno del bambino, in
termini di sentimenti. TERAPIA. Come per tutti i disturbi psicopatologici
dell'età evolutiva, l'approccio terapeutico prevede una serie di interventi:
• interventi psicoeducativi, prevedono periodici incontri con il soggetto e soprattutto con i genitori,
perché è con loro che vengono definiti gli atteggiamenti affettivo pedagogici da adottare e le
esperienze da attivare per facilitare l'integrazione e la partecipazione del bambino;
• interventi psicoterapeutici, sono gli interventi ad orientamento psicodinamico, che fanno
riferimento al vissuto esperienziale del soggetto, e gli interventi cognitivo-comportamentali, che si
basano sulle tecniche del condizionamento, cognitive e di autocontrollo;
• interventi farmacologici invece prevedono l'utilizzo di farmaci organizzati in rapporto all'età del
soggetto, al tipo e all'intensità della sintomatologia e alla compliance dei genitori.
PROGNOSI. Nella maggior parte dei casi l'episodio depressivo maggiore tende a risolversi nel
giro di qualche mese e resta un episodio unico nella vita del soggetto. In altre situazioni invece
l'episodio depressivo può durare di più e addirittura può evolvere verso forme croniche. In molti
casi invece a partire dall'adolescenza oltre all'episodio depressivo possono comparire altri tipi di
disturbi come: Il disturbo bipolare è un disturbo dove la depressione, nel
suo decorso, lascia spazio alla mania che esprime un tono dell'umore esaltato (ipomania)
caratterizzato da un eccitamento psicomotorio e da un senso di benessere e di gioia. La prevalenza
dei disturbi bipolari in età evolutiva non è ben definita, e questo vale anche per quanto riguarda le
cause, ma fra i fattori di maggiore interesse assume particolare importanza la familiarità, infatti i
bambini con un familiare affetto da disturbi bipolare presentano un rischio 10 volte superiore.
L'incertezza che riguarda la prevalenza e le cause riguarda anche la diagnosi, infatti l'esame clinico
va integrato ad un'attenta ricostruzione anamnestica ed è particolarmente importante accertare se, al
di là dei sintomi maniacali o ipomaniacali, il bambino presenti o abbia presentato manifestazioni
depressive. Per quanto riguarda la terapia è necessario un progetto terapeutico personalizzato che
prevede interventi educativi, interventi psicoterapeutici e interventi farmacologici.
Il disturbo da disregolazione dell'umore dirompente si riferisce alla presenza di una situazione
di irritabilità permanente che incide significamente sulla qualità del funzionamento adattivo del
soggetto. L'elemento caratterizzante quindi è questo stato di irritabilità persistente e non episodico,
il bambino cioè sembra costantemente arrabbiato per tutto e contro tutti e mostra esplosioni di ira.
Tutto ciò condiziona negativamente il comportamento del bambino non solo nel contesto familiare
ma anche in quello extra familiare, infatti sia a scuola che nelle attività del tempo libero il bambino
ripropone atteggiamenti di irritabilità che lo rendono un bambino intrattabile, infatti il bambino
viene spesso evitato o comunque trattato con modalità relazionali tese a non irritarlo, che però
finiscono per sviluppare una sorta di non accettazione con conseguenti vissuti di rabbia. La diagnosi
può essere posta perciò fra i 6 e i 10 anni anche se l'esordio viene collocato in epoche più precoci.
Considerando perciò l'incidenza negativa del disturbo sul funzionamento adattivo generale sono
necessari interventi terapeutici di natura psicoeducativa con il coinvolgimento dei genitori. Inoltre
considerando l'età di esordio e la natura delle difficoltà, la scuola è importante sia per la terapia che
come mezzo preventivo.

(La disabilità intellettiva: CAP. 18)


Con la denominazione di Disabilità Intellettiva (DI) vengono indicati quadri clinici con diversa
causa caratterizzati da significative limitazioni che investono sia il funzionamento intellettivo, sia il
comportamento adattivo, con compromissione delle competenze sociali e necessarie a provvedere
alle richieste nelle attività quotidiane. L'elemento caratterizzante è rappresentato da un’intelligenza
che risulta significativamente inferiore rispetto al livello normale. L'intelligenza viene definita come
la capacità di acquisire abilità, la capacità di trarre profitto dall'esperienza, la capacità di condurre
un ragionamento astratto, la capacità di adattarsi a situazioni mutevoli. Questo significa che
misurare l'intelligenza è difficile, infatti nella pratica clinica vengono utilizzati diversi tipo di test,
ma quelli più diffusi sono quelli della serie Wechsler. Anche se le metodologie e i riferimenti
concettuali sono identici, le prove da somministrare sono diverse in base all'età del soggetto da
testare. Lo scopo del test è quello di sottoporre il soggetto ad una serie di prove e il numero di prove
superate permette di valutare il suo Quoziente Intellettivo (QI, cioè un punteggio ottenuto tramite
un test che ha lo scopo di valutare l’intelligenza cioè lo sviluppo cognitivo dell’individuo). Siccome
la disabilità intellettiva è una significativa limitazione del funzionamento intellettivo si configura in
quei soggetti che presentano QI con un valore inferiore a 70 (55/90 valori bassi; 100 media;
110/145 valori alti). Per poter formulare una diagnosi di disabilità intellettiva però oltre alla
limitazione del funzionamento intellettivo, deve essere presente la limitazione del comportamento
adattivo, cioè l'insieme di quei comportamenti che permettono all'individuo di adattarsi all'ambiente
in cui vive, come comunicazione, a cura di se stessi, abilità domestiche. L'esordio della disabilità
intellettiva avviene prima dei 18 anni e questo ha diverse implicazioni concettuali infatti, con
l'esordio prima dei 18 anni, si vuole sottolineare che le disabilità intellettive che insorgono da adulto
non possono essere così denominate, ma vanno indicate con il termine demenza o disturbi
neurocognitivi, perché si tratta di processi di disorganizzazione di funzioni che nel corso dello
sviluppo si erano strutturate adeguatamente. In questo modo l'intelligenza viene considerata come
una funzione complessa che si organizza progressivamente nel corso dell'età evolutiva, e che
accompagna il soggetto per tutta la sua esistenza.
CAUSE. Le cause vengono divise in:
• Fattori Genetici: sono anomalie già presenti nel patrimonio genetico e queste incidono
direttamente o indirettamente sui processi di formazione, differenziazione e sviluppo. Tra i teressi o
attività e perciò, questo disturbo, è legato a quello dell’autismo solo che la differenza è la presenza
di un linguaggio normostrutturato. Il disturbo di Asperger è un autismo ad “alto funzionamento”,
dove la compromissione dell’interazione e della comunicazione sociale si traduce in un deficit dove
il soggetto è incapace di comprendere le regole alla base dei rapporti interpersonali e di
conseguenza assume dei comportamenti non rispondenti alle esigenze del contesto. Per quanto
riguarda le cause abbiamo un’elevata frequenza della familiarità e, per quanto riguarda l’evoluzione
a lungo termine, è decisamente migliore dell’autismo poiché il soggetto ha la possibilità di un
soddisfacente adattamento sociale.
(I disturbi del comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della
condotta: CAP.21)
I disturbi da comportamento sono un gruppo di quadri clinici che condividono due aspetti
importanti, ovvero un disturbo importante della regolazione dell'emotività e del comportamento, e
l'assunzione di atti e modalità reattive che violano i diritti degli altri e che quindi mettono il
soggetto in situazioni di conflittualità con le figure che rappresentano l'autorità. I quadri clinici
inclusi in questo gruppo sono: il disturbo della condotta e il disturbo oppositivo-provocatorio.
Il Disturbo della Condotta. Con il termine Disturbo della Condotta (DC) viene indicato un
quadro clinico caratterizzato da una serie di comportamenti inadeguati in cui i diritti fondamentali
degli altri, le norme o le regole della società appropriate per l'età adulta, vengono violate. I
comportamenti che caratterizzano il disturbo rappresentano il modo di essere e di relazionarsi del
soggetto in tutti gli abituali contesti di vita.
CLINICA. Il repertorio dei comportamenti inadeguati è molto ampio e può interessare diverse aree
del funzionamento adattivo, in particolare questi comportamenti possono essere suddivisi in quattro
gruppi:
• condotte aggressive che causano danni fisici ad altre persone o ad animali;
• condotte non aggressive che però causano perdita o danneggiamento della proprietà, come
danneggiare monumenti;
• frode o furto;
• gravi violazioni di regole, come fuggire da casa.
Il quadro clinico può esordire già prima di 10 anni e perciò la sintomatologia varia molto in
rapporto alla fase di sviluppo. Nei quadri ad esordio precoce, prevalgono i disturbi comportamentali
caratterizzati da prepotenza nei confronti dei coetanei, bullismo, disobbedienza, violazione delle
regole. I soggetti che sono tendenzialmente aggressivi E violenti, possono dare inizio a scontri fisici
ed è frequente anche la crudeltà nei confronti di persone e soprattutto animali. Nei quadri ad esordio
in adolescenza compaiono invece comportamenti disfunzionali a carattere sessuale, come stupri o
abusi. In questi quadri però possono anche rientrare gli atti delinquenziali come aggressione a scopo
di furto, e le condotte tese a distruggere le proprietà altrui. In ambito scolastico, l'apprendimento è
spesso al di sotto del livello previsto sulla base dell'età e dell'intelligenza, inoltre i soggetti hanno
una scarsa tolleranza alla frustrazione, con modalità reattive caratterizzate da iper-reattività ed
esplosioni di rabbia. Tutto ciò rende difficile un adeguato inserimento del soggetto nelle normali
attività di vita come la scuola o esperienze di gruppo. Sul piano affettivo relazionale inoltre i
soggetti con disturbo della condotta, presentano una scarsa attenzione per i sentimenti, i desideri e il
benessere degli altri infatti, il loro profilo funzionale è caratterizzato da freddezza, insensibilità e
appiattimento delle emozioni.
PREVALENZA. La prevalenza del disturbo della Condotta ha presentato sensibili variazioni nel
corso del tempo, ma attualmente essa sembra essere sia cresciuta Soprattutto negli ambienti urbani,
e caratterizza sia il sesso maschile che quello femminile al di sotto dei 18 anni.
CAUSE. I disturbi della Condotta riconoscono una genesi plurifattoriale, cioè le indagini che hanno
lo scopo di definire la natura del disturbo si collocano in due aree di ricerca.
Nell'ambito dell'area neurobiologica, le ricerche erano finalizzate a valutare l'esistenza di una
componente genetica e quindi hanno messo in evidenza una generica predisposizione, infatti hanno
sottolineato che il rischio di un disturbo della Condotta è particolarmente alto nei bambini che
hanno uno dei genitori con questo disturbo, ma frequente e anche la presenza fra adolescenti e
collaterali come dipendenza da alcol, disturbi dell'umore o schizofrenia.
I fattori ambientali invece sottolineano che condizioni ambientali carenziali e le stesse situazioni
sopra accennate agiscono dall'esterno sullo sviluppo affettivo relazionale del bambino favorendo
quindi il disturbo.
Altre ricerche invece hanno messo in evidenzia le anomalie cognitive, sottolineando che, i soggetti
con disturbo della Condotta sono incapaci di comprendere e di sentire quello che gli altri provano in
termini emotivi e quindi sono caratterizzati da un deficit di empatia e del rimorso cioè, un deficit
che impedisce al soggetto di assumere la prospettiva dell'altro e di cogliere la sua sofferenza, e un
deficit caratterizzato dalla mancanza di rimorso, dove il rimorso è un senso di malessere legato a
una trasgressione o a un incidente provocato. Nei soggetti con disturbo della Condotta inoltre è
presente un’aumentata sensibilità nei confronti della minaccia cioè, il soggetto rientra in un sistema
di protezione che permette di percepire una situazione di pericolo e mettere in atto una serie di
comportamenti difensivi. Inoltre queste ricerche hanno sottolineato che i soggetti affetti da disturbo
della Condotta assumono comportamenti aggressivi e violenti, infatti questi soggetti sono convinti
che l'essere collaborativi sia dannoso e non riconoscono l'autorità come legittima e giusta.
DIAGNOSI. La diagnosi di disturbo della Condotta è essenzialmente clinica e si basa su tre fonti di
informazioni, cioè l'osservazione diretta e il colloquio con il soggetto, il colloquio con i genitori, e
la documentazione esibita dei genitori che deve includere anche rapporti stesi da personale della
scuola. Le informazioni così raccolte permettono di valutare il tipo di comportamenti atipici
presentati dal soggetto, la loro durata, la loro frequenza, la loro intensità, le caratteristiche
dell'ambiente in cui vive il soggetto, le abituali modalità che caratterizzano le relazioni genitori
bambino e la presenza di altri tipi di disturbi. Tutto ciò è fondamentale anche per formare il piano di
trattamento che, solo la conoscenza del sintomo, del soggetto e della sua famiglia, può permettere.
Il Processo diagnostico infine va a valutare l'eventuale presenza di quadri clinici associati, come
disturbi dell'apprendimento, del linguaggio o le epilessie.
TERAPIA. Il progetto terapeutico prevede interventi articolate diversi livelli, scelti in base all'età
del soggetto, le caratteristiche del disturbo e a quelle della mente significativo.
Interventi farmacologici sono limitati a quelle situazioni in cui sono presenti altre condizioni
patologiche in comorbidità.
Interventi riabilitativi vanno presi in considerazioni quando si verificano delle situazioni in cui il
disturbo della Condotta è associato ad altri disturbi come disturbi della comunicazione,
dell'apprendimento e così via.
Interventi psicoeducativi, prevedono la creazione di spazi all'interno dei quali il soggetto possa
esprimersi e confrontarsi con modelli di comportamento maggiormente strutturati, in una
dimensione affettivo relazionale in grado di contenere il tuo disagio. Questi interventi Inoltre
prevedono il coinvolgimento attivo dei genitori che devono essere informati, guidati e sostenuti
nell'adozione di atteggiamenti che possono favorire l'adattamento del soggetto a regole e stili di
comportamento. Inoltre è necessario concordare anche con gli operatori della scuola delle strategie
di comportamento che siano finalizzate a favorire le esperienze condivise.
Interventi psicoterapeutici rivestono un ruolo centrale. Le psicoterapie ad orientamento
psicodinamico servono a favorire l'adeguata elaborazione delle dinamiche conflittuali inconsce che
sottendono il disturbo. Le psicoterapie di orientamento sistemico-relazionale sono importanti per
quelle situazioni in cui il nucleo disfunzionale va individuato non il singolo ma nel sistema famiglia
nel suo complesso. Le psicoterapie ad orientamento cognitivo comportamentale sono le più
utilizzate e, attraverso tecniche di modifica del comportamento, mirano a determinare l'estensione
di comportamenti disadattivi e a favorire quelli adattivi.
PROGNOSI. Il decorso del disturbo della Condotta è variabile ed è condizionato soprattutto dalla
qualità delle esperienze emozionali e relazionali. Nella maggioranza dei casi il disturbo tende a
scomparire con l'età adulta, mentre negli altri casi il disturbo persiste manifestandosi con condotte
antisociali.

(I disturbi della comunicazione: CAP.24)


La comunicazione può essere definita come lo scambio di messaggi fra due o più persone. Una
delle condizioni indispensabili affinché possa realizzarsi lo scambio e la condivisione da parte
dell'emittente e del ricevente di un sistema di codici comunicativi condivisi, che comprendono il
linguaggio verbale e il linguaggio non verbale.
I disturbi della comunicazione verso rappresentano delle condizioni cliniche che comprendono
deficit dell'eloquio, del linguaggio è della comunicazione. All'interno dei disturbi della
comunicazione abbiamo:
• Disturbo del linguaggio,
• Disturbo della fluenza (la balbuzie).
Disturbo del linguaggio. Il linguaggio è una funzione complessa che si realizza progressivamente
nel tempo attraverso la maturazione e lo sviluppo di una serie di strutture, rappresentate dalle
labbra, lingua, diaframma, orecchio, vista area del linguaggio ecc. Queste strutture rappresentano
l'equipaggiamento di base su cui si organizza la funzione linguistica, ma questa Indipendentemente
dalle strutture di base, si organizza secondo una serie di regole che il soggetto deve
progressivamente Acquisire per poter utilizzare in maniera corretta il linguaggio. Tutto ciò fa sì che
molte condizioni mediche e/o psicopatologiche, possono disturbare la comparsa del linguaggio. In
queste situazioni, quando il disturbo viene considerato sintomo di un più complesso quadro
sindromico, come ad esempio la sindrome di down, si parla di disturbo del linguaggio secondario.
Quando invece il disturbo del linguaggio non sembra attribuibile ad altra malattia o condizione
patologica, si ha il disturbo del linguaggio primario.
CAUSE. Le cause del disturbo del linguaggio Non sono conosciute, ma si fa spesso riferimento a
fattori ambientali o a fattori genetici. Fra i fattori ambientali vanno incluse le situazioni di
ipostimolazione delle funzioni linguistica, particolarmente drammatica quando viene a verificarsi in
fasi critiche dello sviluppo. Riguardo invece i fattori genetici, l'importanza e sostenuta da una serie
di indagini epidemiologiche che mettono in evidenza una particolare ricorrenza di disturbi del
linguaggio in ascendenti e collaterali, e quindi viene sottolineata una componente genetica nella
realizzazione della funzione linguistica.
CLINICA. L'esordio del disturbo del linguaggio è molto precoce Infatti Esso coincide con l'epoca
abituale di insorgenza del linguaggio. Il bambino cioè presenta un ritardo nell'accedere alle tappe
del linguaggio previste dallo sviluppo tipico. L'evoluzione nel tempo di ritardo e la
caratterizzazione clinica del disturbo, dipendono dalla funzione prevalentemente interessata e dal
suo grado di compromissione, infatti abbiamo forme lievi (esordiscono e si risolvono in età
prescolare o con l'ingresso nella scuola primaria e queste forme vengono indicate con il termine di
ritardo semplice del linguaggio, siccome caratterizza l'età tra i 2 e i 5 anni= Il bambino a 2 anni ha
un vocabolario molto ridotto, limitata a 10 parole che non utilizza per scambi comunicativi. A 3
anni arricchisce il vocabolario anche se è limitato. A 4 anni il bambino comincia a utilizzare il
vocabolario per scambi comunicativi. A 5 anni il linguaggio verbale è buono e scompaiono le
difficoltà), forme di media gravità (è simile alla forma lieve ma la differenza sta nella durata perché,
le difficoltà continuano ad esserci anche nei primi anni della scuola primaria) e forme gravi (sono
quelle forme in cui l'entità del deficit è tale che anche da adulto il soggetto soffre di questo
disturbo).
DIAGNOSI. La diagnosi è clinica e prevede anamnesi, prevede anamnesi, esame clinico generale,
esame neurologico, esame psichico e indagini di laboratorio e/o strumentali. Nel caso di questo
disturbo, il percorso diagnostico ha l'obiettivo di stabilire il livello di sviluppo del linguaggio, se c'è
il linguaggio è realmente deficitario e quanto differisce dalla norma, e caratterizzare il tipo di
disturbo, se c'è la compromissione riguarda una sola componente o tutte le componenti. Una volta
fatto ciò, il processo diagnostico è finalizzata a valutare l'eventuale presenza di patologie associate,
sottolineando se il sintomo ha un carattere secondario o primario.
TERAPIA. I provvedimenti terapeutici da adottare dipendono dall'età del bambino, dall'eventuale
presenza di disturbi associati e Dalle caratteristiche dell'ambiente significativo. Quando si ha la
possibilità di intervenire precocemente, cioè nei primi anni di vita, il programma di lavoro deve
essere mirato alla comunicazione alla relazione piuttosto che al linguaggio, Infatti risulta
particolarmente indicato un approccio abilitativo, per favorire esperienze di condivisione con l'altro,
alternanza dei turni, giochi ecc. Attraverso il gioco infatti è progressivamente attivando situazioni
ludiche più strutturate, si favoriscono i processi di pensiero simbolico, indispensabile per lo
sviluppo del linguaggio. Non appena il bambino comincia a presentare un investimento del canale
verbale con una maggiore disponibilità alla condivisione, va inserito un intervento maggiormente
strutturato, centrato sulla facilitazione, l'apprendimento e l'automatizzazione delle competenze
linguistiche, cioè la logopedia punto questa va sempre inserita in un ampio progetto finalizzato a
favorire l'integrazione del bambino nel suo ambiente significativo. Infatti la scuola e le attività del
tempo libero sono esperienze con un elevata valenza terapeutica.
Disturbo della fluenza verbale (la balbuzie). La balbuzie è un disturbo dell'articolazione della
parola dovuto ad uno spasmo intermittente dell'apparato fonatorio (labbra, lingua, laringe,
diaframma).
PREVALENZA. È un disturbo molto frequente con una netta prevalenza però per i maschi.
CAUSE. Le cause della balbuzie risultano ancora oggi indefinite, ma sono state formulate diverse
ipotesi. L'orientamento organicista fa riferimento ad una serie di dati epidemiologici e clinici
rappresentati da:
• familiarità, la presenza di balbuzie fra ascendenti e collaterali;
• sesso, esiste una netta prevalenza per il sesso maschile;
• disturbi della lateralizzazione;
• ritardi del linguaggio.
Alla base del disturbo quindi troviamo un fattore organico, o meglio una forte componente genetica
definita come il fattore predisponente.
CLINICA. La balbuzie viene abitualmente suddivisa in:
• balbuzie tonica, quando uno spasmo ostacola la via del suono o il passaggio da un suono a quello
successivo;
• balbuzie clonica, quando li inceppo nell'eloquio è dovuto alla ripetizione di un suono che in
genere la prima sillaba o la prima parola della frase, prima che venga emesso quello successivo.
Il disturbo e spesso accompagnato anche da sincinesie facciali o diffuse a tutto il corpo ma,
frequente e anche il rossore la sudorazione e problemi respiratori. La balbuzie presenta diversi gradi
di intensità e subisce nello stesso individuo variazioni evidenti, Infatti il disturbo Si accentua in
particolari situazioni di impegno emotivo, come al momento di un esame, mentre si attenua in
circostanze nelle quali il linguaggio è automatizzato, come il canto. In alcuni casi si hanno periodi
anche di mesi di remissione, che fanno pensare alla guarigione. Questi possono comparire già nel
corso del terzo anno di età, ma in Tale periodo però, la balbuzie ha spesso un carattere transitorio.
In ogni caso la maggiore incidenza sia ha tra i 6 e 10 i anni, cioè quando il linguaggio è sottoposto a
nuove esigenze.
TERAPIA. Riguardo la terapia, sono stati promossi numerosi metodi di intervento.
• interventi riabilitativi, si articolano seguendo due obiettivi cioè il facilitare la riorganizzazione
della funzione e stimolare il controllo tecnico emozionale del soggetto;
• interventi psicoeducativi, mirano a rassicurare sostenere il soggetto e a favorire modificazioni
degli atteggiamenti dell'ambiente significativo;
• interventi psicoterapeutici, hanno connotazioni diverse infatti abbiamo terapie cognitivo-
comportamentali che si basano su tecniche di decondizionamento, e psicoterapia ad orientamento
psicodinamico che sono finalizzate a favorire un adeguato controllo pulsionale ed una gestione più
produttiva dell'ansia;
• interventi farmacologici, sono interventi indicati in situazioni particolari, quando cioè sia la
presenza di manifestazioni ansiose o sintomi di natura depressiva.
PROGNOSI. Nella maggioranza dei casi il disturbo si risolve nell'arco dell'età evolutiva, tuttavia
però tende a persistere in età adulta.
Il disturbo oppositivo- provocatorio. Il Disturbo Oppositivo- Provocatorio (DOP) è
caratterizzato da un insieme di comportamenti che assumono l'aspetto di una costante sfida nei
confronti delle figure dell'ambiente significativo. Questi comportamenti spesso vanificano i tentativi
di stabilire rapporti di cooperazione e condivisione e l'atteggiamento emotivo di fondo è
rappresentato da una situazione di irritabilità e frequenti scoppi d'ira.
CLINICA. Il quadro clinico esordisce in genere in età prescolare e si esprime con una serie di
comportamenti che possono essere fatti rientrare in tre aree disfunzionali:
• umore collerico e/o irritabile, è presente cioè una bassa tolleranza nei confronti delle
frustrazioni, infatti il soggetto va spesso in collera per motivi banali. Di fondo l'umore del soggetto
e irritabile persone esperienze le normali richieste dell'ambiente vengono percepite come frustranti,
inoltre un altro aspetto caratteristico è la permalosità;
• comportamento polemico e/o provocatorio, il soggetto cioè Vuole sempre avere l'ultima parola,
ha grosse difficoltà ad accettare le regole in quanto tende ad imporre i suoi bisogni, Inoltre litiga
spesso con l'autorità o anche con i pari che gli richiedono di adattarsi alle regole. Spesso il Rita
l'altro per cercare la lite e, il desiderio di sfidare l'altro, il più delle volte i genitori, si realizza
attraverso una serie di comportamenti che servono per esasperare i genitori e provocare la loro
rabbia;
• tendenza alla vendicatività, il soggetto cioè ricorre spesso Alla vendetta per torte i reali o
presunti, non riesce ad elaborare i vissuti di rabbia, rimugina sull'esperienza e mette in atto strategie
vendicative.
DIAGNOSI. La diagnosi pure spesso una serie di difficoltà diagnostiche, soprattutto quando i
sintomi esordiscono in epoche molto precoci, cioè prima dei 5 anni. Esprimendo Sì infatti con
comportamenti spesso molto diffusi, risulta difficile definire quanto questi comportamenti sono
elementi caratterizzanti il disturbo. La diagnosi poi deve avvalersi di dati attendibili che riguardano
il comportamento del soggetto in tutti gli abituali contesti di vita, visto che le difficoltà riguardano
le interazioni con i genitori e con i coetanei. Un'altra difficoltà poi è la diagnosi differenziale, infatti
gli atteggiamenti oppositivi provocatori possono rappresentare il sintomo di differenti quadri
psicopatologici, Perciò il compito principale del processo diagnostico e quello di accertare che gli
atteggiamenti rilevati non sono attribuibili ad un altro quadro psicopatologico.
TERAPIA. Per questo motivo la presa in carico del soggetto deve prevedere un programma
articolato su più interventi.
Gli interventi riabilitativi sono quelli che permettono di rispondere ad alcuni obiettivi critici come
l'educazione alle emozioni, la comunicazione sociale ecc. In questa prospettiva la terapia della
neuropsicomotricità, soprattutto nei primi anni di vita è molto importante.
Gli interventi psicoeducativi sono quelli che si rivolgono al contesto, Siccome vogliono favorire la
crescita psicologica del soggetto e facilitare atteggiamenti comportamentali aderenti alle esigenze
del contesto. Perciò il coinvolgimento delle figure dell'ambiente significativo, come genitori e
insegnanti può conferire una valenza terapeutica agli abituali contesti di vita.
Gli interventi psicoterapeutici sono simili a quelli proposti per il disturbo della condotta, in
particolare, la scelta del tipo di psicoterapia deve essere dettata dalla valutazione di diversi fattori
come l'età del soggetto, le caratteristiche del suo profilo interattivo ecc.
PROGNOSI. Il disturbo e rappresenta molto spesso la fase iniziale del disturbo della condotta. In
una percentuale significativa esiste il rischio che questo disturbo possa può associarsi ad altri
quadri. Per quel che riguarda l'evoluzione a lungo termine, non gli adulti che in età evolutiva hanno
sofferto del disturbo, è frequente la presenza di quadri psicopatologici di diversa natura.

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