Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
14)
Le Paralisi Cerebrali Infantili (PC) vengono definite come disordini della postura e del
movimento, permanenti ma non invariabili, dovuti ad una encefalopatia precoce, non evolutiva.
Questo disordine della postura e del Movimento rappresenta un danno encefalico di carattere non
progressivo (encefalopatia fissa=malattia del cervello), e si verifica in epoca precoce. Un altro
aspetto che riguarda le paralisi cerebrali infantili è l'impossibilità da parte del soggetto di svolgere
in maniera adeguata determinati compiti ed attività. Tale limitazioni non riguardano solo le abilità
motorie ma anche altri campi come l'apprendimento, il comportamento, le competenze linguistiche
e l'adattamento emozionale.
CLASSIFICAZIONE. La classificazione delle paralisi cerebrali infantili è divisa in due criteri
classificatori, cioè quello clinico o quello topografico.
La classificazione clinica fa riferimento alla natura dei sintomi neurologici che caratterizzano il
quadro clinico tenendo conto del fatto che il sistema nervoso centrale, nella realizzazione
dell'azione motoria,
assume il doppio ruolo di organo che pensa pianifica il movimento, per mandarlo poi in esecuzione
attraverso stimoli che giungono in fine a specifici gruppi muscolari. L'encefalo quindi partecipa
nell'organizzazione dell'atto motorio ma è possibile individuare alcune stazioni critiche coinvolte
nella fase esecutiva cioè:
Nelle aree motorie della corteccia, le alterazioni che determinano l'insorgenza di una sintomatologia
definita di tipo piramidale caratterizzata da una compromissione funzionale (paralisi).
Il cervelletto viene indicato come sistema cerebellare perché ha una posizione centrale e risulta
determinante in tre funzioni, cioè l'inizio e la pianificazione del movimento, la coordinazione del
movimento e l'aggiustamento della postura e del mantenimento dell'equilibrio.
I nuclei della base sono rappresentati da un complesso di stazioni e la loro importanza dipende dalle
gravi anomalie (acinesia l'assenza di movimenti, e discinesia presenza di movimenti involontari
abnormi) che si verificano, quando essi vengono danneggiati. Quindi nel quadro clinico prevalgono:
• lesioni del sistema piramidale, quindi forme spastiche;
• lesioni del sistema cerebellare, quindi forme atassiche (dovute a lesioni del sistema cerebellare);
;• lesioni dei nuclei della base, quindi forme discinetiche (caratterizzate da una disabilità
nell’organizzare ed eseguire in maniera corretta movimenti intenzionali);
• interessamento di più sistemi e quindi forme miste.
La classificazione topografica si basa sulla distribuzione prevalente della compromissione
motoria. La disfunzione motoria che riguardano i disturbi del tono, del movimento e dei riflessi, può
interessare tutto il corpo o viceversa localizzarsi in determinati segmenti corporei. Quindi nella
classificazione topografica abbiamo:
• tetraplegia, compromissione dei quattro arti (è la più grave forma di PC);
• emiplegia, compromissione di un emilato (generalmente è di tipo spastico, e comincia a
presentarsi fra i 3 e i 6 mesi);
• diplegia, compromissione dei quattro arti con prevalenza di quelli inferiori (forma spastica
associata ad una nascita pre termine, forma atassica simile a quella spastica ma presenta una
componente cerebellare (atassia));
• triplegia, compromissione di tre arti;
• paraplegia, compromissione degli arti inferiori;
• monoplegia, compromissione di un solo arto.
PREVALENZA. Per quanto riguarda la prevalenza, le forme spastiche sono le più frequenti e in
particolar modo, nelle forme spastiche abbiamo l'emiplegia e la diplegia che sono le forme più
rappresentate. Un fattore che sembra incidere sulle diverse forme di paralisi cerebrali infantili, è
rappresentato dalla prematurità e/o dal basso peso alla nascita (fattore predisponente) infatti la
diplegia spastica è la forma più frequente nei neonati di basso peso
CAUSE. Fra le altre cause responsabili del danno encefalico abbiamo:
• prenatali, si riferiscono a fattori che possono incidere prima o durante la gravidanza (fattori
genetici= infezioni come rosolia, toxoplasmosi, malattie croniche materne, intossicazioni da
farmaci, fumo, alcool);
• perinatali, si riferiscono ai fattori che possono incidere durante il parto o nella prima settimana di
vita (rottura precoce del sacco, difficoltà respiratorie);
• postnatali, sono rappresentate Dalle condizioni patologiche che si verificano dopo la prima
settimana di vita e includono infezioni, traumi cranici, intossicazioni o disturbi metabolici.
Tra le cause abbiamo anche quelle neuropatologiche che si riferiscono alle caratteristiche del
danno anatomico.
DIAGNOSI. Per quanto riguarda la diagnosi non ci sono problemi poichè nelle paralisi cerebrali
l'encefalopatia è fissa. Maggiori problemi di diagnosi però si hanno per quanto riguarda le paralisi
cerebrali di tipo atassico siccome questo sintomo può associarsi a molteplici quadri clinici. Per
questo motivo è necessario programmare periodici controlli dello sviluppo neuropsichico, dove
questi controlli vanno effettuati in particolari età, chiamate età chiave dello sviluppo psicomotorio,
che risultano particolarmente idonee per formulare un giudizio diagnostico. (L'età chiave sono: il 1
mese di vita, l'età del sospetto; il 4 mese di vita, età di orientamento; 9 mese di vita, età della
certezza; 12 mese di vita, età della diagnosi; 18 mese di vita, età della prognosi.)
TERAPIA. Per questo motivo le paralisi cerebrali richiedono una complessa articolazione di
interventi, poiché queste sono condizioni che si modificano nel tempo ma accompagnano il soggetto
per tutto il suo sviluppo, e quindi è necessario un progetto terapeutico personalizzato che deve
essere periodicamente riformulato in rapporto alle esigenze che il soggetto presenta. I principali
interventi si dividono in:
• interventi sul bambino:
- interventi riabilitativi (rivolti all'area delle abilità motorie, l'area maggiormente compromessa,
all'area delle abilità comunicativo linguistiche e all'area delle abilità cognitive.
- trattamento farmacologico, che prevede l'uso di farmaci miorilassanti che in nessun caso può
risolvere il problema motorio.
- interventi ortopedici, che prevedono interventi conservativi (utilizzano i tutor) e interventi
chirurgici (rivolti prevalentemente agli arti inferiori per la correzione delle deformità).
• interventi sull'ambiente:
- interventi sulla famiglia, servono per garantire continuità al trattamento, infatti l’equipe
terapeutica chiarisce con i genitori le finalità della riabilitazione e sottolineano che l'obiettivo
dell'intervento è favorire la partecipazione del soggetto all'ambiente.
- interventi nella scuola, sottolineano il diritto del bambino con paralisi cerebrale ad essere inserito
all'interno della scuola, (legge 57 del 1977- insegnante di stostegno).
PROGNOSI. Il disturbo delle paralisi cerebrali è un disturbo permanente attraverso il quale è
possibile ipotizzare dei miglioramenti che, possono dipendere dalla qualità degli interventi, la
capacità dei genitori di fronteggiare le difficoltà e l'entità della compromissione motoria.
(ESAMINATORE: CAP.5)
L’esame psichico è finalizzato a raccogliere informazioni che consentono di definire le caratteristiche del
disturbo presentato dal bambini, di chiarirne la natura e di leggerlo dal punto di vista affettivo-relazionale.
Tale esame prende in considerazione alcuni momenti quali: l’osservazione, il colloqui e l’utilizzo di specifici
strumenti di valutazione. Inoltre è importante che l’esaminatore abbia delle specifiche caratteristiche:
disponibilità di voler ascoltare e comunicare, l’assenza di idee preconcette, desiderio di comprendere.
L’OSSERVAZIONE: è un aspetto dell’esame psichico e non si trova solo nell’anamnesi ma tende a ritrovarsi
nel tempo; è attuata inizialmente su bimbi piccolo ai quali non si riescono a somministrare test e perciò si
osserva, il processo parte dall’osservare il modo in cui il bambino entra nella stanza, il modo in cui si
reagisce alla presenza dell’altro. Si osserva soprattutto la sua capacità esplorativa e ludica: il GIOCO, il modo
in cui lo usa, la verbalizzazione che lo accompagna… il gioco è perciò visto come uno strumento che
consente di conoscere il livello di sviluppo del bambino, e si basa su alcune tappe: fino a 7 mesi il bambino
manipola l’oggetto con cui gioca; a 8 mesi tende ad impegnarsi in giochi senso motori; a 10 mesi fa la
comparsa il gioco funzionale per cui il bambino riconosce l’oggetto in base al suo uso e glielo attribuisce; a 2
anni si ha il gioco rappresentativo: bambino usa una mazza facendo finta che sia un cavallo; a 4-5 anni
compare il gioco socio-drammatico: il bambino interpetra delle parti e a 7 anni il bimbo si imbatte in giochi
che hanno delle regole ex: calcio. Il GIOCO inoltre serve anche per capire le dinamiche relative al mondo
interno del bambino, infatti, l’esaminatore, osserva il gioco del bambino totalmente libero così da notare le
azioni che svolge e il modo in cui interagisce con gli oggetti. Un altro aspetto importante dell’esame
psichico è: il COLLOQUIO: all’interno del quale si ha un approccio diretto con i bambini rispetto alla loro
libertà di espressione, è importante anche averlo con i genitori per ricostruire le varie fasi di sviluppo del
bimbo e eventuali problematiche. Il COLLOQUIO può essere: LIBERO: soggetto parla e l’esaminatore
ascolta; SEMI-STRUTTURATO: si indaga su aree specifiche; STRUTTURATO: avvengono domande dirette. GLI
STRUMENTI DI VALUTAZIONE: sono rappresentati da una serie di procedure e sono somministrati
attraverso: INTERVISTE SEMI-STRUTTURATE, QUESTIONARI, OSSERVAZIONI STRUTTURATE. I QUESTIONARI:
elenchi di domande che riguardano il comportamento generale del soggetto il quale risponde con i genitori
alle domande. INTERVISTE SEMI-STRUTTURALI: contengono domande chiave poste al soggetto o ai genitori
sotto una forma colloquiale dove potersi esprimere liberamente. LE OSSRVAZIONI STRUTTUREATE:
procedure di osservazioni dirette del soggetto e delle relazioni agli stimoli. GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONI
sono divisi in: STRUMENTI PER LO SCREENING: questionari somministrati in condizioni sospette;
STRUMENTI PER LA DIAGNOSI NOSOGRAFICA E FUNZIONALE: rappresentati anch’essi da interviste e
questionari. Affinchè la diagnosi sia FUNZIONALE ha bisogno di essere AFFIDALIBILE E VALIDA.
L’AFFIDABILITà: è rappresentata dalla reciprocità dei risultati anche se usato da due operatori diversi,
quindi quanto più i risultati combaciano maggiore è l’affidabilità. LA VALIDITà: è il grado di percezione con
cui uno strumento misura ciò che dichiara di misurare. GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE si distinguono in:
di LIVELLO: servono per valutare appunto il livello di sviluppo raggiunto dal soggetto in determinare aree
prestazionali; PROIETTIVI: usano la proiezione per cui nel rispondere alle domande il soggetto proietta ciò
che ha dentro. IL DISEGNO è un’attività molto gradita dai bambini, attraverso esso il bambino tende ad
esprimere ciò che ha dentro. All’inizio si parla di piccoli tratteggi o linee poi a 3-4 anni dà vita a elementi
grafici, a 6 anni narra attraverso esso e poi inizia successivamente a disegnare anche volti familiari,
esprimendo il suo adattamento al nucleo familiare, osservando chi mette al primo posto.
(ANAMNESI CAP.1)
Col termine di MANIFESTAZIONI PAROSSISTICHE sono indicati quegli episodi critici (crisi) con un inizio
brusco, di breve durata, caratterizzato da fenomeni di diversa natura che possono associarsi a disturbi della
coscienza; sono presenti maggiormente in età evolutiva. Esse sono suddivise in 2 grandi gruppi:
MANIFESTAZIONI PARATOSSICHE EPILETTICHE E MANIFESTAZIONI PARATOSSICHE NON EPILETTICHE. LE
MANIFESTAZIONI PARATOSSICHE EPILETTICHE: hanno un ruolo importante per la loro incidenza e
drammaticità; l’epilessia (crisi neurologica) è la più frequente della malattie croniche; si subisce
nell’infanzia, nell’adolescenza l’80% dei casi viene confusa tra epilessia e convulsioni, due cose nettamente
diverse. Le CONVULSIONI sono: un sintomo che si verifica in una sola volta, sono crisi intese come una
scarica improvvisa rapida , occasionali che non rientrano nell’ambito dell’epilessia. L’EPILESSIA: rappresenta
una condizione in cui si hanno attacchi convulsivi ricorrenti, non provocati ecco perché se si presenta
singolarmente non per forza si tratta di epilessia. LE CAUSE sono: IDIOPARTICHE: (su base familiare o
genetica) si verificano crisi convulsive ripetute e non provocate da una situazione di partenza;
CRIPTOGENICHE: si ipotizza che possa esserci una disfunzione genetica organica ma non la si riesce a
dimostrare; SINTOMATICHE : dovute a cause note. Per formulare una DIAGNOSI di epilessia è necessario
che la crisi sia di natura epilettica e che si ripeta altrimenti si parla di convulsione e perciò non si può
effettuare una diagnosi. Ecco perché nei confronti di un bambino che presenta per la prima volta una crisi è
obbligatorio intraprendere un iter diagnostico volto a comprendere la natura e ad individuare la causa. Per
effettuare lo studio di tale episodio è importante formulare una DIAGNOSI ANAMNESTICA: consente di
distinguere se si tratta di un episodio epilettico o no, successivamente può fornire preziosi elementi
diagnostici sul tipo di crisi, sulla possibile causa e sulla presenza di eventuali fattori scatenanti. Quando si
passa poi all’anamnesi patologica e quindi alla descrizione dell’episodio “critico”, si inviteranno i genitori a
descrivere dettagliatamente eventuali sintomi che l’hanno preceduto. L’ESAME OBIETTIVO: è un altro
momento fondamentale dell’indagine clinica, è anche importante non trascurare la cronologia. Infatti
l’indagine anamnestica non dovrà mai trascurare eventuali fattori scatenanti o facilitanti la crisi come:
stimolazioni visive intense, stress… una volta completata l’analisi anamnestico-clinica si passerà ad
effettuare uno studio ELETTRONCEFALOGRAFICO: che inizia con una registrazione routinaria in veglia che
può già avere valore diagnostico eppure mostrare anomalie epilettiche. In caso di normalità del tracciato di
metteranno in atto forme particolari di stimolazione allo scopo di far emergere eventuali anomalie
registrabili cioè: L’IPERVENTILAZIONE: consiste nel far respirare profondamente il soggetto per alcuni
momenti; LA FOTO STIMULAZIONE LUMINOSA INTERMITTENTE: che consiste nel somministrare flash di
luce attraverso lampada ad intermittenza. Le crisi epilettiche vengono distinte in: PARZIALI= funzionamento
anomalo che riguarda una singola porzione di neuroni; GENERALIZZATA=anomalia in zona centrale che si
diffonde a tutte le zone della corteccia e riguarda tutti i neuroni della corteccia. Le PARZIALI si dividono a
loro volta in: ELEMENTARI= il soggetto è cosciente ed assiste alla sua stessa crisi; COMPLESSE= viene
compromesso lo stato di coscienza; GENERALIZZATE= partono come parziali per poi generalizzarsi. Invece le
GENERALIZZATE si dividono in: CONVULSIVE e NON CONVULSIVE. L’EPILESSIA ASSENZA: esordisce nel
bambino più grande, dopo i 3 anni e rappresenta la più frequente forma di epilessia con prevalenza nel
sesso femminile; le crisi hanno un inizio improvviso e una fine altrettanto brusca, durano 5-10 secondi e
sono pluriquotidiane che si verificano fino a 50-100 volte in un giorno, sono più frequenti al mattino e
variabili da giorni a giorni. L’assenza può essere pura o associata a lievi movimenti del capo e spesso si
accompagnano a perdita di urina e rossore. IL GRANDE MALE: prevale leggermente nei maschi, esordisce in
età adolescenziale (tra i 10-20 anni). Le crisi sono tipicamente tonico-cliniche con perdita improvvisa di
coscienza preceduta da urlo, ad un’iniziale fase tonica in cui si ha irrigidimento degli arti e possibile
morsicatura della lingua; tale crisi dura da alcuni minuti ad alcune ore; i fattori scatenanti sono: il sonno, le
mesturazioni, lo stress, l’alcool. Nell’ambito di queste forse è inserita anche LA SINDORME DI WEST o
SINDROME DEGLI SPASMI INFANTILI: durante gli spasmi, il lattante flette bruscamente il capo e gli arti sul
tronco per alcuni secondi. Si manifestano scosse improvvise che tendono a presentarsi in diversi minuti e
diverse ore, soprattutto al risveglio o all’addormentamento. Con il passar dei giorni, le crisi diventano
pluriquotidiane e si assiste alla comparsa del rallentamento o regressione delle acquisizioni psicomotorie
del bambino. Poi abbiamo la SINDOROME DI LENNOX-GESTAUT: prevale nei maschi tra i 2-13 anni e la
caratteristica principale è la crisi di tipo diverso nello stesso paziente. La prognosi è in relazione con l’età
d’inizio dell’epilessia, la causa, la frequenza e la durata. LE MANIFESTAZIONI PARATOSSICHE NON
EPILETTICHE: che rendono difficile formulare una diagnosi e differenziarle da quelle epilettiche vere; nel 1
anno di vita, possono creare problemi quali i tremori. Molto più grave è il MIOCLONO BENIGNO DEL
SONNO, caratterizzato da colonie ripetitive. Un’altra manifestazione molto frequente rappresentate dalle
SINCOPI che consistono in crisi che possono essere: LA LIPOTOMIA: annebbiamento della coscienza
accompagnato da pallore, vertigini e nausea; LA SINCOPE VERA E PROPRIA: dura 10 secondi, inizia come
una lipotimia ed evolve in totale perdita della coscienza ed abolizione del tono muscolare che porta la
caduta a terra del soggetto; LA SINCOPE CONVULSIVA: dura più di 10 secondi, inizia con una sincope
semplice dove il soggetto caduto a terra presenta uno spasmo tonico che può portare alla morsicatura della
lingua e perdita delle urine. Un gruppo a parte è costituito dalle MANIFESTAZIONI PARATOSSICHE NON
CONVULSIVE che si verificano durante il sonno del bambino e tra queste abbiamo: IL SONNABULISMO= in
cui il bambino si siede sul letto ma poi scende, va in bagno, chiude la luce… IL SONNILIQUIO: caratterizzato
da parole intelligibili e l’incubo notturno associato a sogni particolarmente terrorizzanti. Una
manifestazione parossistica non epilettica è la VERTIGINE PAROSSISTICA BENIGNA: il bambino
all’improvviso sente girare tutto intorno a sé, è spaventato e tenta di afferrare le gambe o le braccia della
madre, tale tipo di manifestazione si presenta tra i 2 e i 5 anni per poi scomparire.
Con il termine disturbi del comportamento alimentare (DCA) si fa riferimento a due quadri clinici
complessi:
l’anoressia nervosa: si traduce in una mancata restrizione dell’apporto alimentare infatti si cerca di
“perdere peso” attraverso vomito autoindotto, lassativi oppure esercizi fisici esagerati;
la bulimia nervosa: cioè l’assunzione smoderata di cibo (abbuffate) che porta poi al vomito
autoindotto che nasce dal senso di colpa per tutto ciò che si è mangiato.
ANORESSIA NERVOSA: nel termine anoressia (dal greco mancanza di appetito, di desiderio) è
costantemente presente il rifiuto del cibo per un'intensa paura di ingrassare anche quando si è
sottopeso, quindi il soggetto si sente grasso anche quando è scheletrico e si autopriva del cibo.
PREVALENZA. Essa insorge tipicamente nella prima adolescenza interessando soprattutto il sesso
femminile.
CAUSE. Come tutti gli altri disturbi psichiatrici complessi anche per l’anoressia nervosa non è
definibile una causa precisa e sono emersi una serie di fattori connessi al disturbo:
- fattori “predisponenti” individuali che, sul versante biologico, è stata più volte segnalata la
ricorrenza di altri casi di anoressia nervosa in ascendenti e collaterali di soggetti affetti (soprattutto
nei gemelli).
- fattori “predisponenti” familiari cioè viene enfatizzato il ruolo fondamentale della famiglia
nella genesi del disturbo (eventi negativi in famiglia, morte di uno o entrambi i genitori,
maltrattamenti, abusi ecc).
-fattori “predisponenti” sociali cioè ipotesi a sostegno di fattori socio-culturali nella genesi del
disturbo.
CLINICA. Le modalità di esordio e di decorso variano da caso a caso, esso è graduale e con una
generica decisione da parte del soggetto di iniziare una dieta per “migliorare“ il proprio aspetto.
Sappiamo che il termine anoressia etimologicamente significa “perdita dell’appetito“ ma nonostante
questo i soggetti dichiarano di aver avuto fame ma si sono imposti di non mangiare per perdere peso
o per la paura di acquistare peso, infatti con l’inizio del dimagrimento il soggetto presenta uno stato
di euforia e soddisfazione e si impegna in attività fisiche continue. Man mano che la situazione
procede il dimagrimento diventa sempre più evidente però, in questa fase, scompare l’iperattività e
viene sostituita da apatia, disinteresse e depressione che può portare a conseguenze negative,
principalmente il rischio del suicidio che rappresenta una delle più frequenti cause di morte. Alla
fine, nonostante il grave deperimento, il soggetto continua a manifestare il terrore di ingrassare e la
condizione di essere sovrappeso.
DIAGNOSI. La diagnosi non pone in genere alcun problema ed è finalizzata a definire il quadro
clinico generale in termini di stato nutrizionale, situazione cardiologica e gestroenterologa, il profilo
affettivo-relazionale (le dinamiche intrafamiliari e interpersonali),l’eventuale presenza di situazioni
psicopatologiche associate e le caratteristiche dell’ambiente in cui il soggetto vive.
TERAPIA. La complessità della situazione prevede l’attuazione di una serie di interventi
psicoterapeutici, riabilitativi, educativi e farmacologici i quali vanno articolati in un Progetto
terapeutico Personalizzato che tiene conto delle caratteristiche di ciascun caso. Nelle forme più
gravi è necessaria l’ospedalizzazione che dipende dalla presenza di complicanze mediche, il rischio
suicidario e la presenza di situazioni familiari a rischio.
L’anoressia può anche essere INFATILE cioè il bambino rifiuta di mangiare un’adeguata quantità
di cibo per almeno 1 mese, l’esordio avviene prima dei 3 anni, il bambino non comunica la fame e
vi è mancanza d’interesse per il cibo, infatti mostra un significativo deficit di crescita e l’esclusione
di eventi traumatici e di malattie mediche. Però nella prima e seconda infanzia sono state
individuate altre 2 forme di anoressia precoci:
1) l’anoressia comune precoce o di opposizione insorge tra 6 mesi e 2 anni e prevale nelle
femmine. Il fattore scatenante è lo svezzamento a seguito del quale il bambino rifiuta di alimentarsi
ma continua ad assumere liquidi. La relazione madre-bambino è di opposizione/costrizione poiché
lui rifiuta di alimentarsi mentre lei lo forza.
2) le anoressie neonatali che presenta:
-una forma banale cioè rifiuto del nutrimento da parte del neonato o lattante, quindi rifiuta il seno o
il biberon e allontana la testa;
-una forma grave cioè rifiuto del cibo tramite l’inerzia, ovvero l’alimento cola dalla bocca e il
bambino ha scarsa o nulla suzione;
-forme secondarie dovute a disfunzione della sfera oro-alimentare, cioè i bambini rifiutano il cibo
ma conservano integro l’appetito.
BULIMIA NERVOSA: Per quanto riguarda la bulimia nervosa, colpisce prevalentemente le donne
ed è il contrario dell'anoressia anche se hanno un elemento psicopatologico comune, cioè l’alterata
percezione del peso e della propria immagine corporea. Essa è caratterizzata dalla presenza di crisi
bulimiche date dall’assunzione smoderata di cibo e dall'ingestione eccessiva di cibo, seguita da
depressione, senso di colpa, ansia, tristezza e solitudine. La crisi ha una durata inferiore alle due ore
poi si passa al vomito auto-indotto che dà un forte senso di sollievo e fa diminuire l'ansia connessa
alla paura di ingrassare.
PREVALENZA. Tale disturbo si presenta durante il periodo dell’adolescenza principalmente nelle
femmine, invece nei maschi tali disturbi sono stati poco studiati e forse sono sottostimati. Questi
ultimi hanno una particolare apprensione per la propria massa muscolare e per raggiungere obiettivi
atletici perseguiti attraverso l’esercizio fisico, quindi tali aspetti si differenziano dalla
preoccupazione per il peso e forma corporea descritta nell’AN, anche se la forma corporea è
associata alla forma muscolare.
DIAGNOSI. Prevede l’anamnesi, conoscenza del disturbo, del soggetto e dell’intero contesto
ambientale.
TERAPIA. Essa si inscrive nell’ambito di un Progetto Terapeutico Personalizzato che considera la
specificità di ogni singolo caso.
L’ANSIA è uno stato d’animo di irrequietezza e disagio; si verifica anche nei bambini ma in modo differente
che nell’adulto. Nel bambino piccolo infatti comprende: il corpo, la mente e l’organismo. L’ansia
rappresenta situazioni nuove avvertite come pericolo. L’ansia può essere di 2 tipi: NORMALE=non è
riconducibile a esperienze passate ma è legata ad esperienze nuove; tende a basarsi non su situazioni
immaginative ma su fatti concreti e reali, non è stereotipata ma salutaria. ANSIA PATOLOGICA= si manifesta
con sentimenti di inadeguatezza, indecisione e deriva da una compromissione del sistema nervoso che
scaturisce la nevrosi isterica, nevrosi d’ansia, nevrosi fobica; i basa molto su esperienze passate, si focalizza
molto su fatti che non rispecchiano la realtà e si manifesta in modo ricorrente. I disturbi d’ansia si
presentano in bambini tra i 7-11 anni e le cause si rifanno a 3 orientamenti: IPOTESI COSTITUZIONALISTA:
presenza di fattori costituzionali individuabili sulla predisposizione di una base genetica; IPOTESI
PSICOANALITICA: l’ansia qui deriva dal fallimento di meccanismi di difesa messi in atto contro l’angoscia;
IPOTESI COGNITIVO-COMPORTAMENTALE: tutte le persone tendono a dare un interpretazione degli eventi
quotidiani che si manifestano, organizzando le esperienze effettuate. L’ansia è caratterizzata in base a una
serie di quadri clinici che in base all’età e altre caratteristiche assumono caratteristiche particolari come: IL
DISTURBO D’ANSIA DA SEPARAZIONE (DAS= è dovuta ad un ansia che nasce nel momento in cui si ha una
separazione con le persone alle quali si è legati ex: la famiglia, accade ciò intorno all’8 mese di vita quando il
bambino deve separarsi dalla mamma, piange e il pianto è significativo in quanto capisce che dipende dalla
mamma e che su di essa non ha capacità di controllo. Tale disturbo cambia in base all’età, i bambini piccoli
ex hanno spesso bisogno della figura materna come prima di addomentarsi, hanno bisogno che la mamma
stia un po' con loro, durante la notte se si svegliano e non la trovano vanno nel suo letto. Crescendo la
circostanza che tende a crearsi è che il bambino dovrà per forze maggiori allontanarsi per una gita, un
viaggio, soffre sentendo il bisogno di chiamarla spesso, inventa scuse per tornare a casa. L’ansia da
separazione è accompagnata da fattori biologici quali: diarrea, vomito, palpitazioni… sempre in
quest’ambito rientra la FOBIA SCOLARE= rappresenta l’espressione di un’ansia da separazione, un rifiuto
ansioso della scuola, si ha verso i 5-10 anni ma in generale temono il distacco dalla famiglia. Poi emerge il
DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO (DAG)= è generalizzato dalla presenza di ansia e preoccupazione
eccessiva, associata ad irrequietezza, disturbi del sonno… la causa dell’ansia è dovuta a situazioni di
malessere. I bambini che soffrono di quest’ansia hanno paura per varie situazioni come ad ex: terremoti,
piogge. Ci sono 2 tipi di fobie: FOBIA SOCIALE= timore persistente di situazioni che possono comportare
sentimenti di umiliazione derivanti dal giudizio degli altri ex: il bimbo rifiuta di stare con gli altri e di giocare;
FOBIA SPECIFICA= paure persistenti nei confronti di specifici oggetti o situazioni. Da ciò emerge la DIAGNOSI
che si basa principalmente sull’ANAMNESI, SUL COLLOQUIO CON I GENITORI E SULL’OSSERVAZIONE DEL
SOGGETTO. NELL’ANAMNESI bisogna valutare se i comportamenti riferiti siano da considerare patologici,
mentre NEL COLLOQUIO bisogna individuare gli elementi caratterizzanti lo stimolo; NELLA FASE
DELL’OSSERVAZIONE bisogna definire il profilo emotivo del soggetto e l’ambiente significativo. Per la
TERAPIA è importante formulare un progetto terapeutico integrato che prende in considerazione diversi
interventi: INTERVENTI FARMACOLOGICI= prevedono farmaci scelti in base al sintomo, tipo ansiolitici che
dipendono dall’età e dal tipo di disturbo; INTERVENTI PSICOTERAPEUTICI AD ORIENTAMENTO
PSICOANALITICO= cercano di spronare il soggetto ad elaborare il suo inconscio; INTERVENTI EDUCATIVI=
terapie di sostegno rivolte al soggetto e ai genitori e ci sono vari incontri con una figura competente. La
prognosi ci dice che nella maggior parte dei casi i disturbi d’ansia tendono a scomparire con il temppo in età
adulta se ciò non accade è perché il disturbo persiste.