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Basile Rosa, 111010513

Relazione laboratorio di letteratura per l’infanzia 2020-2021

Libro: Al Kaya, Matrioske, Guida Editori, 2020

Questo romanzo è estremamente complesso, fa riferimento a più temi aggiungendoli


in una storia formata da finti madri e finti figli.

Ci sono innumerevoli flashback e flashback, e si può imparare di più sul


protagonista amandolo, odiandolo e riconoscendosi in lui.

Il romanzo ha inizio con un titolo di giornale nel quale si parla di un incidente


mortale avvenuto tra una macchina e un treno ma solo successivamente si capirà chi
è la vittima.

Tra i tanti personaggi, abbiamo Vera: una donna, una casalinga, una moglie ed una
madre, tutti ruoli che non le si addicono da subito nella sua vita.

Ha già due figli ma a quarantadue anni, scopre di aspettarne un terzo; ha paura del
“rigurgito di maternità”, ovvero pensa che il suo corpo possa non riprendersi più.
Vera è dunque una donna che vive per gli altri, non pensa mai a sé stessa e l’unico
modo che ha per distrarsi è leggere. Durante tutto il romanzo, la lettura possiamo
dire che è un tema ripetuto, qualcosa che unisce, che consente ai personaggi di
esprimersi e soprattutto permette al lettore di comprendere la storia nella sua
completezza. Molte volte i protagonisti si rispecchiano in protagonisti di altri libri,
in tal caso Vera, si riconosce in Ulrich “dell’Uomo senza qualità” estraniato dal
reale. Parlerà perciò spesso della sua certezza che scrittura e mondo siano due
universi diversi e di come lei sia riuscita ad unirli. E’ possibile notare come il
personaggio di Vera cambi durante il racconto. All’inizio infatti, non riesce a
compiere i ruoli citati prima. Nascono due visioni: lei più giovane e lei più anziana;
in una delle due visioni le viene fatta una domanda, quando si diventa davvero
mamma. Questa questione è importante in quanto lo si ritrova più volte nella lettura.
Viene ripresentato poi a madri diverse e ha risposte diverse. Leggendo troviamo
Marco, prima come bambino e poi come uomo e marito. Marco è un amico
d’infanzia di una delle figlie di Vera, Roberta. Il suo ambiente familiare è nocivo, al
punto che la mamma lo abbandonerà lascando una lettera nella quale anche lei,
come Vera, si chiede quando si diventa madre e per lei questa rappresenta una
“condizione di essere”. Lei non si sente madre, al contrario paragona la maternità ad
un nemico della femminilità. Marco cercherà di capire tale atteggiamento
cercandolo nella lettura, come suggerito da Vera. Una volta adulto Marco sposerà
Sara: moglie, traduttrice e madre insoddisfatta. Non ama più il suo lavoro come
prima, si allontana dal marito e avverte la maternità come un peso. Inizia a credere
che la figlia, Miriam, voglia volutamente farla sentire in difetto dandole la colpa di
averle portato via la sua femminilità a causa della gravidanza. E’ allora che anche
lei si chiede quando si diventa madre. Lei non si sente madre cominciando a non
sentirsi neanche moglie e donna. Inizia a prendere dei farmaci che giustificheranno i
suoi atteggiamenti. Sara definisce la notte come un incubo, i suoi pensieri viaggiano
e si sente oppressa. Anche qui il tema della lettura viene ripreso, Sara si sente come
Nora di “Casa di Bambola” (la quale abbandona il marito). Nei libri, aveva spesso
ritrovato la spiegazione del suo stato d’animo associato alla depressione, ma non lo
ammetteva poiché farsi aiutare significare per ella una sconfitta. Col tempo, i
farmaci la resero più pigra e distante, fino al punto in cui a causa di essi dimenticò
la figlia in macchina.

Poi c’è un’altra donna, la figlia più piccola di Vera, Camilla; lei ama viaggiare e
programma i suoi viaggi attraverso la lettura. Per lei però non rappresentato
semplici viaggi ma fughe, avute a causa di un’insoddisfazione. Nonostante col
tempo Camilla fosse diventata importante per la sua famiglia, da piccola venne
cresciuta con l’idea che avrebbe dovuto conquistarsi l’amore deli suoi familiari.
Una volta adulta e sposata, scopre di essere affetta della sindrome di Kallman e di
essere perciò sterile. Tale condizione la portò a sentirsi meno donna nonostante il
marito non l’avesse mai fatta sentire in colpa, percepiva la sua insoddisfazione di
non poter diventare padre. Decisero di adottare un bambino; Camilla si convinse
grazie ad una lettera che le scrisse il marito, nella quale ancora una volta, riprende il
tema della maternità. Quest’ultima viene intesa non come qualcosa che ha origine
allattando, ma bensì allevando, educando e amando chi scegli come figli. Durante il
loro viaggio a Kerch, dove avrebbero poi adottato il bambino Mikhail, Camilla
confida al marito di averlo tradito, allontanandosi così nuovamente dalla maternità.
Lei non voleva ferirlo, si trattava ancora una volta dell’ennesima battaglia con sé
stessa, tra essere e dover essere. Leggendo, più avanti c’è Roberta, la primogenita di
Vera, anche lei donna, madre e moglie, anche lei sentiva il peso di questi ruoli e
anche lei non si era mai sentita madre; aveva scoperto la maternità solo dopo la
nascita delle figlie. Come tutti, anche lei era legata alla lettura, era l’unica cosa che
la univa alla madre Vera. Dopo un periodo di distacco, ciò che avvicinò Roberta
alla lettura fu il libro “Anna Karenina”, leggeva questo romanzo come un qualcosa
che le potesse dare delle risposte. Oltre ad avvicinarla alla lettura, questo fu il libro
che le fece recuperare il rapporto col suo amico d’infanzia Marco, con il quale tradì
il marito. Quell’incontro la rese donna, la sconvolse e le modificò tutte le certezze.
Marco era sempre stato legato a Roberta e a sua madre Vera, in quanto fu
quest’ultima ad avvicinarlo alla lettura, modo che Marco usò sia dopo l’abbandono
della madre che dopo l’incidente mortale di Roberta. Andando avanti nei capitoli di
questo romanzo, gli anni di Vera avanzano e alla fine troviamo una Vera affetta di
Alzheimer, lei che durante una visita scambia la sua dottoressa per la figlia defunta
Roberta e le racconta di avere una raccolta di lettere con le quali le aveva potuto
scrivere una storia di tutti loro. Solo a tal punto il lettore capisce che tutto ciò che si
è letto fino a quel momento è in realtà ciò che veniva scritto da Vera per non
dimenticarlo. La diversa condizione di quelle storie, le dava la possibilità di formare
nuove storie. Si trattava della sua vita, ma era definita una vita di “carta” paragonata
al suo esser stata una “madre di carta”. Vera scrive per fermare il tempo, per
scappare da ciò che la rincorre, il buio totale. Durante quell’episodio era presente
anche Marco, il quale le era stato vicino a Vera anche dopo la morte della figlia
Roberta. Marco capì che per Vera quella patologia rappresentava una “condizione
stessa dell’essere”. Aveva smesso di esaminare e non fingeva più. Per Marco, Vera
rappresentava una buona figura materna: era donna, madre, nonna e amica e si
realizzava presentandosi. Marco non riprende solo il tema della maternità ma anche
quello della lettura, iniziò a leggere i romanzi di Vera per capirla meglio e decidere
di aprire la scatola nella quale c’erano le loro lettere e i loro ricordi. E’ ora che nel
romanzo si riscontrano tre lettere diverse, due di Vera e una di Marco. La prima è
una lettera alla figlia Roberta nella quale gli chiede scusa per non essere stata una
buona madre, si chiede perché il loro rapporto si sia nuovamente crepato e le augura
di essere una madre migliore di lei. La seconda lettera è scritta da Marco per Vera,
nella quale spiega che inizia a scrivere perché lo fa sentire bene ed inizia a parlarle
anche di Roberta, di come sono innamorati e di come però non vogliono far soffrire
le proprie famiglie, le domanda come poter gestire la situazione e conclude
chiedendole la mano della figlia. L’ultima lettera è scritta da Vera per Marco; inizia
dicendole di liberarsi dai sensi di colpa, di ammettere che è uomo con difetti e di
dover vivere inseguendo i propri sogni. Alla fine si firma con “tua madre Vera”.
Dopo la morte di Roberta, Marco si avvicina maggiormente a Vera; solo quando era
con lei si liberava, si mostrava per ciò che era, ciò perché Marco la capiva e
l’ammirava. Aveva capito che nonostante i vari ruoli: moglie, madre e donna di
cosa le venissero così bene, a lei stavano stretti, erano per lei al contempo un dovere
grazie al quale era in grado di staccarsi dalla realtà, di non vedere. Vera trasformò la
sua vita in un racconto e affermò che per accettare e amare il mondo bisognava
osservarlo a distanza. Durante una delle loro uscite, aveva spiegato a Marco che per
far parte del mondo della letteratura doveva avere un “gancio”. Solo dopo una
visione di Roberta, o meglio, un ricordo nel quale lei si smascherò per ciò che
realmente è, confidandogli che non aveva paura della morte e che per lei
rappresentava una via di fuga, Marco capì che il suo “gancio” era Vera, il suo unico
riferimento femminile materno. Decise di andare a vivere con lei per darle una
mano, ma ciò non bastava, e per tal motivo ancora una volta si fece aiutare dalla
letteratura. Cominciò a scrivere per contribuire alla storia di Vera, scriveva come se
quelle cose sarebbero state lette da lei; non solo per aiutare ma anche per liberarsi.
Voleva stare lì da lei, per recuperare la giovinezza e rincontrare Roberta, solo così
avrebbe potuto superare il lutto e poter poi aprirsi con lei. Il romanzo termina con
l’inizio di un nuovo capitolo, l’inizio della storia di Marco, di lui che riapre quella
scatola dei ricordi, legge l’articolo di giornali riguardante l’incidente e ritrova
l’ultimo messaggio lasciato da Roberta prima di morire. Un messaggio per Marco,
nel quale esprime il suo amore, lo ringrazia e lo rassicura che per qualsiasi cosa
accada, lei ci sarà sempre con lui.

Commento:
A parer mio questo romanzo è interessante in quanto affronta più tempi che quasi
tutti prima o poi si devono affrontare. Parla di amore, maternità, vita di coppia,
femminilità, tradimento ecc… lo scrittore ha avuto la capacità di riuscir a rendere
ogni personaggio unico e al contempo legato al restante. Il linguaggio è semplice, in
quanto si sofferma sulla descrizione dei protagonisti senza essere pesante; anche se
ogni capitolo fa riferimento a personaggi e argomenti diversi, al lettura risulta
scorrevole e semplice. Si notano vari significati attribuiti al ruolo della madre,
abbiamo “madri di carta”, come Vera che per tutta la sua vita si è creata la sua
storia; madri non pronte per quel ruolo, come Roberta; madri con idee diverse
rispetto alla maternità come Sara che non è stata capace di affrontarlo; e donne che
si sono sentite meno donne a causa della gravidanza.

Come lettrice di questo libro posso affermare che ne vale la pena leggerlo!

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