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1
Alda Merini, Delirio amoroso, Genova, Il Melangolo, 1989, pp. 4-5.
2
Alda Merini, La pazza della porta accanto, Milano, Bompiani, 1995, p. 139.
3
sforzi mentali e soprattutto cominciai a sentire i primi sensi
di colpa.3
Alda Merini dichiara che quando era piccola, aveva una crisi
d’identità sessuale, cioè rifiutava la sua identità femminile. Ciò è dovuto
come conseguenza alla società patriarcale che dava più valore all’entità
maschile, e alla madre che si comportava in modo instabile, mascolino e
pragmatico, trascurando le emozioni necessarie per formare un carattere
3
Alda Merini, Reato di vita. Autobiografia e poesia, a cura di Luisella Veroli, Milano, La Vita Felice, 1994, p.
14.
4
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, Milano, BUR, 2013, p.26.
5
Luisa Brusa, Mi vedevo riflessa nel suo specchio. Psicoanalisi del rapporto tra madre e figlia, Milano,
FrancoAngeli, 2004, p. 26.
4
femminile equilibrato. Lei ricorda che quando era piccola, voleva,
inconsciamente, essere maschio per sentirsi più apprezzata e quando le
sono venuti i primi segni della pubertà femminile, si è scioccata perché
ha scoperto di essere donna uguale a sua madre che la faceva soffrire.
L’episodio ha traumatizzato la piccola e siccome non poteva fuggire da
casa sua , fuggiva patologicamente da se stessa e dal suo corpo, nella sua
nevrosi:
Al contrario del rapporto tra Alda Merini e sua madre che era
pieno di rabbia, confusione e senso di colpa, il rapporto con il padre era
pieno di tenerezza, affetto, serenità e fiducia.
6
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., pp. 44-45.
5
le ha regalato un vocabolario, e ogni sera gli chiedeva il significato di
dieci parole; in più entravano insieme in biblioteca e leggevano versi
dalla Divina Commedia.
7
Alda Merini, Delirio amoroso, op. Cit., p.5.
6
Infatti, la famiglia della Merini, come tutte le altre del tempo, non
poteva incoraggiare le passioni delle figlie, soprattutto che le figlie
venivano programmate sin dall’infanzia ad adottare i ruoli femminili
comuni e a rispettarli. Il fatto che le figlie diventassero autonome o
famose non era semplice come oggi:
8
Victoria De Grazia, Le donne nel regime fascista, Venezia, Marsilio, 1993, p. 177.
9
Alda Merini, Reato di vita, op. Cit., p. 25.
7
In seguito al bombardamento tante persone sono scappate sul
primo carro e sono approdate a Vercelli, nelle risaie in quanto le bombe
non scoppiano sull’acqua. Ci sono rimaste sole la piccola Merini e la
madre che era incinta. La Merini ha aiutato la madre a portare alla luce il
fratello maschio, mentre il padre e la sorella maggiore erano a Milano a
cercare gli altri.
10
http://www.aldamerini.it/?page_id=8, cliccato il 5 giugno 2021, ore 14.
11
Alda Merini, Reato di vita, op. Cit., p. 26.
8
povere condizioni che ha vissuto, insieme alla famiglia, al ritorno a
Milano, dopo la guerra:
12
http://www.aldamerini.it/?page_id=8, cliccato il 9 luglio 2021, ore 17:00.
13
Alda Merini, Reato di vita, op. Cit. p. 27.
9
avuto quattro figlie che sono state adottate, poi, da altre famiglie, per il
prolungato ricovero della madre presso l’ospedale psichiatrico di Paolo
Pini: Emanuela (1955), Flavia (1958), Barbara (1968) e Simona (1967).
10
La diagnosi medica era la schizofrenia paranoide14, ma leggendo la
biografia di Alda Merini, si può percepire che lei non aveva gravi segni
di disturbo se non alcuni tratti di stanchezza e esasperazione. La Merini
aveva un’inclinazione a isolarsi, da quando era bambina; oltre alla sua
fragilità emozionale e i persistenti sensi di colpa che provava verso la
madre; le difficili condizioni di vita durante la guerra; poi
nell’adolescenza la precoce sofferenza di anoressia, seguita da cecità
isterica; e in fine, il suo rapporto con il marito che la maltrattava,
picchiandola. Così le figlie di Alda Merini raccontano:
14
È un tipo di psicosi caratterizzato dal “prevalere di allucinazioni e deliri, dall’assenza di disorganizzazione
dell’eloquio e del comportamento [...] da allucinazioni di tipo uditivo che concordano per contenuto con i
deliri. Un paziente paranoide può avere un delirio secondo cui esiste un’organizzazione criminale
intenzionata a ucciderlo e sentire le voci dei sicari che minacciano di ucciderlo” in Vittorio Lingiardi, La
personalità e i suoi disturbi, Lezioni di psicopatologia dinamica, Milano, Il Saggiatore, 2004, p.216-217.
15
http://www.aldamerini.it/?page_id=8#1513804312488-4be084e7-f9a4, cliccato il 17 novembre 2021, ore
8:36.
11
Gli anni che seguono al suo internamento al Paolo Pini sono, per
fortuna, anni pieni di attività letteraria, interviste e interventi pubblici: il
1984 segna la pubblicazione del suo capolavoro, La terra santa; nel 1986
ha pubblicato L’altra Verità. Diario di una diversa; nel 1987 Fogli
bianchi; nel 1988 Testamento; nel 1989 Delirio Amoroso; nel 1990 Il
tormento delle figure; nel 1991 Le parole di Alda Merini e Vuoto
d’amore, nel 1992 La vita felice, nel 1993 Titano amori intorno, nel 1994
Reato di vita. Autobiografia e poesia, nel 1995 La pazza della porta
accanto, e nel 2008 ha pubblicato Lettere al dottor G.
Non si può parlare del tema della follia per Luigi Pirandello senza
menzionare la malattia mentale di sua moglie: Nel 1894, egli si è sposato
16
https://www.nazioneindiana.com/2010/03/30/che-cosa-la-letteratura-ha-imparato-dai-matti/, cliccato il
30 agosto 2021, ore 15:40.
17
Il “folle” da follis che ha il senso della leggerezza d’ingegno e della vacuità, in altri termini una persona con
pensieri vani e atti strani, mentre il “pazzo” viene da patior cioè patire dall’incapacità di comprendere la
realtà in cui si vive. Sia la pazzia che la follia possono essere attribute a ogni comportamento socialmente
incomprensibile.
18
Cesare Segre, Fuori del mondo, Torino, Einaudi, 1990, p. 100.
13
con Maria Antonietta Portulano. I primi anni di matrimonio sono stati
anni felici e tranquilli, fino a quando la moglie ha dato i primi segni di
squilibrio mentale: Antonietta ha investito una parte dalla sua dote nella
miniera di zolfo che suo suocero aveva acquistato, ma purtroppo, in un
giorno, la moglie, a sapere che tale miniera, d’improvviso, si è allagata,
cade semiparalizzata per la brutta notizia. È stato quell’evento
improvviso a scatenare la pazzia della moglie. Con il tempo, la fragile
condizione mentale della moglie l’ha resa insostenibilmente gelosa del
marito. Nel 1919, Luigi Pirandello ha preso la dolorosa decisione, quella
di far internare la moglie in manicomio, in quanto è diventata pericolosa
per se stessa e per gli altri. La moglie è morta in manicomio dopo
quarant’anni, mentre Pirandello si è dedicato alla scrittura.
19
Luigi Pirandello, Così è ( se vi pare), Roma, L’unità, 1993, p.85.
14
fuga dalla realtà e dalla condanna degli altri. Il protagonista afferma:
preferii restar pazzo [...] viverla- con la più lucida coscienza- la mia pazzia20.
Dario Fo, nelle sue opere, faceva un ricorso frequente alla figura
del matto, quel personaggio che sembra ragionare più logicamente
rispetto ai “normali” e raccontava in modo ironico le scomode verità,
usando la sua particolare intelligenza. Il matto, nelle opere di Dario Fo,
aveva un modo straniato di vedere il mondo. Come nella sua opera Morte
accidentale di un anarchico, il matto è affetto dalla “istriomania”, una
patologia che Il Matto stesso definisce:
20
Luigi pirandello, Enrico IV, Aquila, Rea edizioni, 1960 p. 84-85.
21
Dario Fo, Dialogo provocatorio sul comico, il tragico, la follia e la ragione con Luigi Allegri , Bari, Laterza,
1990 p. 24.
22
Oltre a Luigi Pirandello che ha vinto il premio nobel nel 1934, anche Alda Merini è stata candidata per il
premio Nobel nel 2001.
15
Insomma ho l'hobby di recitare delle parti sempre diverse.
Soltanto che io sono per il teatro verità, quindi ho bisogno
che la mia compagnia di teatranti sia composta da gente
vera, che non sappia di recitare23
24
Mario Tobino, Le libere donne di Magliano, introduzione di Geno Pampaloni, Milano, A. Mondadori, 1967,
p. 5.
25
Mario Tobino, Per le antiche scale, Milano, Mondadori, 1972, p. 84.
17
I.1 La sofferenza
26
Andrea Scartabellati, L'umanità inutile. La «Questione follia» in Italia tra fine Ottocento e inizio Novecento
e il caso del Manicomio provinciale di Cremona, Milano, FrancoAngeli, 2001, p. 101.
18
La scrittrice, nel diario, si riteneva una moglie e una madre felice.
A volte, però, come tutti, ha momenti di stanchezza, di tristezza e di
rassegnazione soprattutto dopo la morte di sua madre nel 1954, le severe
condizioni di povertà e le continue incomprensioni da parte del marito
che si ubriacava e la picchiava e che, in seguito a un litigio, ha chiamato
l’ambulanza per portarla in manicomio:
28
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 14.
29
Ivi, p. 10.
20
Giornalmente i malati si svegliavano tutti alle cinque di mattina e
si mettevano in fila nella stanza dell’elettroshock. Poi, per il resto della
giornata, non gli era permesso di fare nulla, nemmeno di parlare né di
fumare. In manicomio non davano ai malati da mangiare al di là degli
orari del pranzo o della cena. Mentre la notte era particolarmente
dolorosa, in quanto si sentivano continui grida, sussulti e borbottii e
siccome di giorno non facevano niente, di sera tendevano a rimanere
svegli, e di conseguenza gli infermieri li legavano a letto con delle
fascette.
21
visita qualsiasi persona su questa terra. [...] Comunque era
insonnia, e lì si curava con pesanti elettroshock.30
30
Ivi, p. 18.
31
Ibidem
22
Allora il dottor N., che mi aveva sempre vista di malocchio,
ordinò che mi si facessero una serie di elettroshock. E io
dovetti sottostare, malgrado non ne avessi nessuna necessità
perché non avevo forme né di depressione, né paranoiche. 32
32
Ivi, p. 20.
33
Ibidem.
23
Il dottore responsabile dell’elettroshock arrivava, di solito, tardi e
la prima cosa che faceva era legare i degenti per anestetizzarli guardando
in alto o ridendo a pieni denti insieme alle infermiere. 34, il che faceva
pesante il loro spavento.
34
Ibidem.
35
Ivi, p. 13.
24
sulle “pancacce sordide”. E in quel momento tutte guardavano per terra
in silenzio totale con un’ aria d’indifferenza.
36
Ibidem.
25
che avevano bisogno di cure e di sostentamenti psicologici,
ma c’era anche gente che veniva internata per far posto alla
bramosia e alla sete di potere di altre persone.37
37
Ivi, p. 14.
38
Ivi, p. 22.
39
Ivi, p. 17.
40
Ivi, p. 25.
26
La scrittrice afferma che prima di entrare nel manicomio lei era
completamente cosciente della sua realtà, ma dopo è diventata assente e
confusa a causa degli psicofarmaci, il maltrattamento delle infermieri e
l’ambiente stesso. E così si esprime:
41
Ivi, p. 24.
42
Ivi, p. 22.
27
Queste sue parole dimostrano che gli psicofarmaci che le davano,
potrebbero essere sbagliati e che non rilevavano il suo dolore, mentre i
medici le dicevano che, dopo lei si sarebbe sentita meglio, ma la scrittrice
afferma che quel “dopo” non è arrivato mai.
43
Ivi, p. 17.
28
È molto chiaro che i degenti nel manicomio non sono curati con i
farmaci giusti o con le dose appropriate. Ciò dimostra la trascuratezza da
parte del manicomio, e la poca attenzione alla salute del paziente. Tali
farmaci non erano efficienti nel caso della Merini, anzi l’hanno resa una
persona indifferente e completamente assente.
44
Ivi, p. 19.
29
[…] la memoria senza età di un male cancellato nella sua
forma di malattia, ma irriducibile come dolore.45
45
Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, Milano, La Biblioteca Universale Rizzoli (BUR), 1969, p.
304.
30
I.1.2. Sofferenza psicologica
46
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 23.
31
Una volta giunse a rifiutarsi di darmi la comunione solo
perché avevo baciato un malato sulla guancia. Fu un giorno
terribile, quello, per me. Un giorno in cui caddi veramente
in crisi, perché la colpa mi fu immediatamente sopra come
un avvoltoio.47
47
Ibidem
48
Alda Merini, La vita facile, Milano, Bompiani, 2017. p. 131.
49
https://www.aldamerini.it/?page_id=10572, cliccato il 12 agosto 2021, ore 10:39.
32
di comunicare prima con lui e sapere i motivi che stanno dietro e
risolverlo.
Per i malati la pena piccola era uguale a quella più grave perché
venivano sempre e comunque colpevolizzati. Ecco che i malati di mente
avevano paura di agire, perché come abbiamo sottolineato ogni loro
comportamento umano si considerava dentro il manicomio insania
mentale, e di conseguenza venivano puniti. Tale paura poteva causare
loro un senso di annientamento, come se il malato di mente dovesse
dubitare su ogni fatto che compieva. Di conseguenza il normale e
l’anormale per il degente diventavano uguali. In altre parole, ogni loro
50
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 19.
33
parametro di riferimento veniva annullato e sostituito da forti sensi di
colpa.
51
Ibidem
34
peccare… Ma “Terra Santa” anche perché luogo di martirio per i malati,
torturati dalle fascette con cui sono legati ai letti52.
Alda Merini sottolinea anche che ogni giorno aspettava per ore
che suo marito venisse a trovarla, ma purtroppo questo non succedeva, il
che le faceva piangere.
52
Brigitte Urbani, Alda Merini: Poesia di una “diversa”, Firenze, Cesati, 2007, vol. 3, p.3.
53
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 25.
54
Ibidem.
55
Ivi, p.10.
35
facesse vivo. Poi, vinta dalla stanchezza, e con le lacrime
agli occhi, tornavo nel mio reparto56
Ecco che le sue quattro figlie sono state allontanate dalla loro
madre, per colpa del pregiudizio sociale sul fatto che chi aveva addosso
lo stigma della malattia mentale, è incapace di far crescere figli, tenendo
conto che una malattia mentale vera e propria lei non l’aveva: Alda
Merini, sensibile come era, soffriva psicologicamente delle difficili
condizioni della vita e delle quotidiane liti con il marito che la picchiava
quando era ubriaco, mentre lei non mostrava che “segni di stanchezza”.
In realtà lei non soffriva che di “un disturbo della emotività”.
Alda Merini, come gli altri degenti del manicomio, si era abituata,
non solo, a quella solitudine feroce, ma anche al silenzio. Racconta che la
mattina si allineavano sopra delle panche con le mani dentro il grembo e
“con l’ordine di “non fiatare”. A proposito del silenzio nel manicomio
Alda Merini racconta dicendo:
58
http://www.aldamerini.it/?page_id=8#1513808652271-873525b5-29f2, cliccato il 12 luglio 2021, ore
16:00.
37
La nostra legge era il silenzio. Il silenzio gravato da mille
solitudini; un silenzio ingombrante, atono, come le foglie
ferme ma noi eravamo teneri usignuoli feriti e la nostra
infelicità dava sangue e le nostre ali erano tarpate e il nostro
grembo deserto.59
59
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 24.
38
però a differenza dei peccatori di Dante, non aveva dietro di
sé colpa alcuna.60
60
Ivi, p. 22.
61
Pino Roverdo, Alda Merini. Dall’orfismo alla canzone. Il percorso poetico (1947-2009), Trieste, Asterios
Editore, 2009, p.11.
62
Alda Merini, Reato di vita, op. Cit. p. 20.
39
la non ragione63, e ancora leggiamo nella stessa ultima opera il
manicomio è stato un triste sotterraneo, una sepoltura atroce64.
63
Alda Merini, Il tormento delle figure, Milano, Il Melangolo, 1990, p. 53.
64
Ivi, p. 111.
65
http://www.aldamerini.it/?page_id=8#1513807994288-6bc41026-60ba, cliccato il 25 agosto 2021, ore
13:00.
66
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 23.
40
il vero inferno67 dove ti giudicano, ti criticano e non ti amano 68. Tale
realtà ribadisce il fatto che la società trova più facile giudicare e segnare
col dito ciò che è diverso, invece di cercare di capirlo e così ci afferma
dicendo: Quando si aprirono le porte del carcere fui buttata nell’unico
manicomio reale: la vita.69.
67
Ivi, p. 31.
68
Ibidem.
69
Alda Merini, La vita facile, op. Cit. p. 94.
70
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 31.
41
è chiaro che il malato di mente non ha nessuna voglia di
rendersi bello proprio perché, essendo stato strappato via
della società, non ha più voglia di avere contatti con
l’esterno71
71
Ivi, p. 36.
72
Alda Merini, La vita facile, op. Cit., pp. 21-22.
73
Alda Merini, Clinica dell’abbandono, a cura di Giovanni Rosadini, Torino, Einaudi, 2003, p. 50.
74
Alda Merini, in Brigitte Urbani, Alda Merini: Poesia di una “diversa”, op. Cit., p. 2.
42
La gente al mio ritorno mi ha riconosciuta, soppesata,
dileggiata, offesa, respinta e riaccettata. Dovevo chiedere
scusa ad ogni donna di malaffare, ad ogni lavandaia, ad
ogni oste di essere una poetessa.75
diversa fra le diverse-, per la sua vita fuori del comune, per
l’esperienza manicomiale che incide su buona parte della
sua produzione, per il tipo di poesia che scrive e il modo in
cui la scrive, e, infine, per il fenomeno mediatico che è
diventata oggi, a più di settant’anni76
Così Alda Merini ci sottolinea come la sua società allora dava agli
uomini la libertà di diventare ciò che volevano, mentre non incoraggiava
la donna a sviluppare le sue passioni, in quanto doveva solo badare alla
sua famiglia. La Merini, essendo già diversa dal modello femminile che
la società voleva vedere, è stata giudicata pazza. Ne La pazza della porta
accanto descrive la condizione della donna:
78
Elisa Biagini, Nella prigione della carne: appunti sul corpo nella poesia di Alda Merini, Forum Italicum,
2001, vol. 35, p. 443.
79
Alda Merini, La presenza di Orfeo, Milano, Scheiwiller, 1993, p. 99.
45
E l'anima ragiona appunto con la sua miglior purezza
quando non la conturba nessuna di cotali sensazioni, né
vista, né udito né dolore, e nemmeno piacere; ma tutta sola
si raccoglie in se stessa dicendo addio al corpo; e nuIla più
partecipando del corpo ne avendo contatto con esso, intende
con ogni sforzo alla verità80
80
Marco Valgimigli, Poeti e filosofì di Grecia, voI.I, Firenze, Sansoni, 1964, p. 350.
81
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p.26.
82
Ivi, p. 25.
46
Alda Merini nella sua opera tende a rovesciare il rapporto causa-
effetto per affermare la sua idea che la pazzia in sé non esiste ma viene
anzi generata con il rimedio sbagliato e con la categorizzazione sociale.
Ciò si rende ovvio nel fatto che la Merini stessa, poiché soffriva solo di
“un disturbo della emotività”, sin da piccola, è stata internata in
manicomio, e di conseguenza l’attributo “pazza” l’ha accompagnata per
tutta la vita. Lo stesso vale anche per la paziente che soffriva solo di
insonnia; è stata internata e esposta agli elettroshock e dopodiché ne esce
pazza; ancora la ragazza giovane che si tagliava le mani con le lamette, è
stata considerata pazza come effetto dell’abbandono della sua famiglia.
83
Vincenzo Ampolo, Voci dell’anima. Scrittura narrazione e pratica analitica, Nardò, Besa, 2004, p. 125.
47
I.2. La Salvezza
84
Stefano Redaelli, Alda Merini: la scelta della follia, la salvezza della parola, Romanica Silesiana, 2013, vol.
8, n.2, p. 9.
49
I.2.1. Dottor Enzo Gabrici
Un giorno, senza che io gli avessi detto mai nulla del mio
scrivere, mi aperse il suo studio e mi fece una sorpresa.
«Vedi» disse, «quella cosa là? È una macchina per scrivere.
E per te per quando avrai voglia di dire le cose tue.» [..].
Ma lui, con fare molto paterno, incalzò: «Vai, vai, scrivi».
Allora mi misi silenziosamente alla scrivania e cominciai:
“Rivedo le tue lettere d’amore...”.85
85
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p.17.
50
Franca Pellegrini, a proposito del ruolo che ha la figura del dottor
G. nella guarigione della scrittrice, commenta affermando che egli “rimane
per Merini il riferimento umano cui appellarsi in un mondo che non ha per lei più nulla
di umano, è l’unico contatto con il mondo dei vivi”86.
90
Ivi, p.18.
53
I.2.2. La scrittura
Non solo il dottor G. che “ha salvato” Alda Merini dal suo dolore
con la psicoanalisi basata sull’affetto e la comprensione. Questi due
elementi sono principali per la salute emotiva delle persone, soprattutto
per la Merini che era emotivamente fragile sin da piccola: Iniziando dalla
madre severa e la seconda guerra mondiale al matrimonio non voluto, e
alla difficile esperienza manicomiale. Un altro mezzo di particolare
importanza nell’iter della sua guarigione è la scrittura. Il dottor G.
descrive questa attività come un “balsamo” che attenuava il suo disagio:
91
Enzo Gabrici, in prefazione a Lettere ad dottor G., Milano, Frassinelli, 2008, pp. 6-7.
54
La scrittura per la Merini era, dunque, un dono divino che le
permetteva di confidare ai fogli le sue tristezze e le difficoltà che ha
dovuto affrontare nella vita e il diletto che attenuava il suo dolore.
92
Alda Merini, L’altra verità. Il Diario di una diversa, op. Cit., p. 18.
55
un ragazzo che aveva la chitarra
se la vide strappare dalle mani
fatta a pezzi e buttata
nei giardini del manicomio.93
Le mille metamorfosi
le molte primavere perdute
nei giardini del manicomio
adesso io voglio star sola.
[...] perché io sono una martire
e dopo andrò davanti all’altare
povera di ogni memoria
93
Ivi, p. 23.
56
e mi dirò al mio signore
ma adesso, sì proprio adesso,
io voglio finalmente stare sola.94
94
Ivi, p. 25.
95
Alda Merini, Delirio amoroso, op. Cit., p. 64.
57
emozioni senza i giudizi o le malintese da parte di nessuno. Lei stessa lo
afferma in Lettere al dottor G. dicendo:
96
Alda Merini, Lettere al dottor G, Milano, Frassinelli, 2008, pp. 81-82.
97
Ambrogio Borsani, Il buio illuminato di Alda Merini, Il suono dell’ombra. Poesie e prose 1953-2009, Milano,
Mondadori, 2010, p. 25.
58
l’inconscio, che cerca nella manifestazione grafica un gesto ordinatore e
pacificatore.”98
101
Antonio Chiocchi, Di alcuni passaggi in Alda Merini, Società e conflitto, n. 41, 2010,p. 3.
102
Giorgio Manganelli, prefazione a Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 11.
103
Alda Merini, Reato di vita. Autobiografia e poesia, op. Cit., p. 104.
60
È possibile che la Merini abbia trovato nella scrittura l’amore
mancato che le serviva per guarire, un amore che la accompagnava,
comunque fosse il suo stato d’animo, fino alla morte.
104
Giorgio Manganelli, prefazione a Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit. p. 9.
105
Cfr. Stefano Redaelli, Tre punti di vista sulla follia: Tobino, Merini, Samonà, Rassegna europea di
letteratura italiana, n. 39, 2012, p. 100.
61
I.2.3. Forza interiore
1.2.3.1. Immaginazione
106
Alda Merini, Reato di vita. Autobiografia e poesia, op. Cit., p. 122.
62
ll giardino d’estate era pieno di uccelli: io pensavo a quanto
la natura non riuscisse, suo malgrado, a falsare il segno
della sua innata bontà. Anche se noi percepivamo quei
suoni come si potrebbero percepire in un Eden, dove tutto è
possibile e impossibile, pure il sentirci controllati dalla
natura, il sentirci serviti dai suoi concetti, dal suo clima, ci
faceva gran bene al cuore, e, così, l’erba verde ci parlava di
fiducia, e così i fiori, e così i ruscelletti che si aprivano
dolcemente in mezzo a qualche piccola aiola, e così il cielo
tutto.107
107
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 16.
108
Silvia Dipace, Il multiforme universo delle poesie di Alda Merini, Siena, Prospettiva, 2008, pp. 53-54.
63
Alda Merini, essendo scrittrice e poetessa, la sua libertà interiore
era invincibile in mezzo a tutto quel dolore subito nella sua vita, perché
secondo lei l’anima di un poeta sorvola oltre i limiti del reale, cioè il
poeta non può essere carcerato nemmeno dentro il suo corpo.
109
Antonio Chiocchi, Di alcuni passaggi in Alda Merini, op. Cit., p. 3.
64
E per ore, inginocchiata a terra stetti a bere di quella
sostanza vitale, senza peraltro fiatare, senza dire a nessuno
che avevo incontrato un nuovo tipo di morte. Divine,
lussureggianti rose!110
110
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p.26.
111
Antonio Chiocchi, Di alcuni passaggi in Alda Merini, op. Cit., p.4
112
Ambrogio Borsani, Note in Alda Merini, Delirio amoroso, op. Cit., p. 109.
65
La scrittrice, nel manicomio, sembra di cercare la parte positiva
nella sua esperienza, invece di lamentarsi inutilmente, adeguandosi con
intelligenza e forza a un ambiente così severo, facendo quello che amava,
cioè scrivere e sognare.
113
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 13.
114
Maria Corti, Introduzione in Alda Merini, Fiore di poesia, Torino, Einaudi, 2014, p. 5.
66
La scrittrice ha rifiutato di essere vittima delle violenze del
manicomio né di essere uno degli stereotipi sociali, anzi, ha potuto
vedere il bello sia della sua esperienza di vita che della sua personalità
diversa dal comune, il che ha reso la sua scrittura ben originale. E con
questa forza interiore la Merini è riuscita a realizzarsi superando le
difficoltà della vita.
Alda Merini ha potuto notare che l’amore puro, che non trovava
facilmente fuori, esisteva con forza tra i malati nel manicomio. Infatti i
malati si consolavano tra di loro e reciprocavano sentimenti veri
soprattutto quando uno di loro veniva maltrattato dagli infermieri. In
realtà si dividevano tra loro ciò che mangiavano e si facevano dei regali
con quello che potevano: fiori, sigarette, cioccolate, pane o semplici gesti
di affetto.
67
matti mi chiedevano di comprargli le sigarette, il vino, la
cioccolata. E se mi riusciva di farlo, sentivo che il legame
affettivo che la follia a volte crea tra le persone è più forte
di quello che ci procura la normalità115
115
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/08/24/alda-merini-lettere-dalla-
follia.html, cliccato il 11 marzo 2022, ore 7:18.
116
Brigitte Urbani, Alda Merini: Poesia di una “diversa”, op. Cit., p. 5.
117
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p.17.
68
L’autrice, contemplando la bellezza del mondo, si sentiva
“piccola” davanti alla potenza divina, così come quando sentiva il suo
compagno cantare con una voce stupenda mentre guardava il cielo. Era
come se non ci fossero pareti né sbarre nel manicomio, cioè un senso di
totale libertà.
118
Ivi, p. 23.
69
che non conosco [...]
Non è né un principe né un depredato,
è soltanto l’idea celeste
di un’entità sconosciuta
che ho chiamato
Dio.119
II.1. I personaggi
119
Ivi, p.7.
70
II.1.1.1. Alda
Alda aveva gli occhi verdi, le guance rosse come se fossero “due
pesche”, portava sempre i capelli acconciati, un’ampia vestaglia azzurra e
calzature di legno ai piedi.
120
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 13.
121
Ivi, p. 23.
122
Ivi, p.18.
72
Alda ha menzionato anche la Divina Commedia di Dante
Alighieri, sempre riferendosi alla crudeltà del manicomio: “Credo che
solo le illustrazioni del Doré per la Commedia dantesca potessero rendere
bene il fascino e la mostruosità del manicomio.”123.
123
Ivi, p.24.
73
Il manicomio non è correzionale. Ognuno che vi entra vi
porta i suoi valori sostanziali e ve li conserva gelosamente.
Così ho fatto io, a dispetto di tutti i vituperi e di tutti gli
elettroshock.124
Lei, come afferma nel suo diario, era buona e tranquilla ma,
purtroppo, poi, con il tempo, dentro il manicomio, Alda è diventata
124
Ivi, p. 22.
125
Ibidem.
126
Ivi, p.17.
74
malinconica, taciturna, passiva, solitaria e indifferente che non ha più
“bisogno di nulla”.
127
Ivi, p. 23.
128
Ivi, p. 18.
75
La Merini ha addirittura dedicato una poesia alle sigarette che
fumava in manicomio:
Vado fumando questa sigaretta
e il mio tempo, lo spazio e ogni riposo
stento nell’ozio che non più mi affretta
ma intanto brucio questo verde alloro
e qualche forte mio pensiero audace
che mi viene a trovare qual sirenetta129
129
Ivi, p.25.
76
Lui affermava che la protagonista non era malata di mente, ma
era colpita da un forte trauma nell’infanzia, che si è fatto più pesante
durante il suo soggiorno in manicomio.
II.1.2.1. I degenti
130
Ivi, p. 20.
77
I degenti sono il riflesso del mondo interiore della protagonista:
sia la paura e la fragilità che l’amore e la fratellanza. Le facce dei degenti
erano mostruose, sembravano proprio come “le streghe del Macbeth”131.
Avevano le unghie lunghe e portavano sempre le ampie vestaglie del
manicomio.
131
Macbeth è una fra le più note tragedie di William Shakspeare che tratta l’ascesa di Macbeth, un nobile
scozzese, al potere. Le tre streghe (o le tre sorelle) sono tre personaggi che con il loro inganno e le loro
profezie malvagie inducono il nobile a compiere atti di omicidio per sentirsi al sicuro.
78
fare: “proprio lì dentro, imparai ad amare i miei simili.” 132. Infatti, i malati
dividevano il pane tra di loro e si regalavano quello che potevano: fiori,
sigarette, poesie o cioccolatini.
Nel diario si narra che c’era una malata vecchia che quando
vedeva passare Alda Merini la schiaffeggiava senza alcun motivo, mentre
la scrittrice prendeva la sua mano e gliela baciava perché le sembrava
come la mano di sua madre. Questo è un atto di violenza, scambiato con
amore e tenerezza:
II.1.2.2. Pierre
Pierre aveva una statura piccola e la pelle chiara. La sua faccia era
amorosa e infantile con tratti molto delicati. Pierre era un uomo tenero e
133
Ibidem
80
romantico e faceva il pittore. Ogni giorno sgattaiolava arrivando al
padiglione dove stava Alda e le regalava “un mazzetto di margheritine”
abbracciandola. La sua gentilezza è chiara nei suoi atteggiamenti con la
protagonista:
«Allora» dissi io, «perché mi cerchi?»
«Così, perché mi sei simpatica.»
[...] «Cosa hai da regalarmi?», gli chiesi subito io
aggressiva.
«Oh, nulla, ma se ti piacciono le sigarette posso anche fare
un debito.»
134
Ivi, p. 21.
81
Questa storia d’amore, purtroppo, finisce drammaticamente: il
loro rapporto è stato scoperto dagli infermieri e lui è stato deportato in un
altro manicomio dei malati considerati inguaribili. Di conseguenza, la
protagonista non ha potuto non sentire un senso di colpa e compassione
verso Pierre.
1.2.3. Aldo
135
Ivi, p. 13.
82
Quando la vedeva, la abbracciava facendola rotolare per terra
dalla felicità. Alda Merini le piacevano la sua sincerità e la sua
innocenza.
II.1.2.4. La Z
83
Lei era una donna a cui piaceva Alda. Infatti lei aveva degli
atteggiamenti omosessuali, e perseguitava così talmente la protagonista al
punto di farle paura.
136
Ivi, p. 20.
84
L’unico modo per allontanarla, Alda le faceva ricordare di essere
una madre e di avere figlie. In quel modo, la Z. si metteva a piangere e
lasciava la protagonista in pace.
II.1.2.5. La D.
Era una malata che veniva da una famiglia dove c’erano altri
fratelli pazzi. Lei aveva una figura mascolina, ma era bellissima, per
Alda assomigliava quasi a Cleopatra. Quando lei passava, uomini e
donne si voltavano a guardarla. Era viziosa e violenta: veniva sorvegliata
da qualche infermiere. Infatti lei “Era un donnone grande e grosso di una beltà
singolare ma chiaramente volgare”.137
137
Ivi, p. 15.
85
La D., dopo aver saputo che Alda aveva scritto una poesia alla Z.,
ha dato uno schiaffo alla protagonista davanti a tutti. Si vede infatti come
quella degente era, come Alda Merini descrive, “chiaramente
masochista.”.
II.1.2.6. La C.
II.1.2.7. La M.
86
Nel manicomio c’erano anche persone che avevano delle visioni
spirituali come la M.
87
anche importante citare la teoria del triangolo drammatico di Stephen
Krapman138 che ci spiega questo squilibrio.
Gli uomini a cui era attratta nel manicomio sono, invece, come il
padre che aveva un carattere buono e tenero ma abbastanza debole e
passivo. Lei stessa, descrivendo il dottor G., sentiva come se lui fosse
una donna più che un uomo come suo padre: In tutta questa storia atroce
mio padre non aveva alcuna parte perché mi ero compiaciuta, fin da
bambina, di considerarlo un uomo castrato. [...] Di fatto, nella mia mente
anche il dottor G. [...] me lo immaginavo così per potervi parlare,
altrimenti sarebbe diventato un mio nemico.139
138
“Il triangolo di Karpman (conosciuto anche come: triangolo drammatico di Karpman) è un modello sociale
riguardante dinamiche distruttive d’interazione umana, che coinvolgono tre figure emblematiche [vittima,
persecutore e il soccorritore] Si tratta di tre individui in profondo conflitto tra loro, ma che, proprio a causa
di tale conflitto, sono strettamente legate, assumendo ruoli che possono essere intercambiabili a seconda
delle condizioni esterne.” in https://www.coaching.uno/triangolo-drammatico-di-karpman-vittima-
persecutore-e-salvatore/ cliccato il 28 febbraio 2022, ore 19:15.
139
Ivi, p. 14.
88
II.1.3. Antagonisti
II.1.3.1. Infermieri
La caposala, la B., era una donna cattiva. Aveva gli occhi verdi e
una statura forte. Si divertiva vedendo i malati soffrire sotto le forti
terapie. Alda la vedeva ogni tanto uscire dall’ufficio del dottor G. con
sbagliati farmaci da applicare sui poveri malati. La B. allineava,
giornalmente, tutte le malate lungo il muro e faceva l’appello, mentre le
malate avevano le braccia dritte e la faccia china. Un’immagine che
faceva ricordarsi ad Alda Merini di quando era respinta dall’esame di
stato, ma adesso si sentiva respinta, ogni giorno, dalla società.
140
Ivi, p. 21.
90
Ho letto che nei tempi andati, i malati di mente, circa cento
anni fa, credo, venivano fatti passeggiare in giardino e poi
gli infermieri si divertivano a pisciare loro sulla testa.
Credo che, se non proprio così, eravamo trattati quasi allo
stesso modo.141
Gli infermieri non erano attenti allo stato sia fisico che
psicologico dei degenti. La scrittrice ricorda che durante l’attività del
bagno alcune anziane scivolavano e potevano anche battere pesantemente
la testa. Gli infermieri facevano i degenti asciugarsi con uno stesso
asciugamano puzzolente. Tale attività del bagno potrebbe aver segnato
una memoria atroce per la protagonista. Ella stessa racconta che la prima
volta che ha dovuto sottomettersi a quel lavello comune non ha potuto
sopportare il ribrezzo ed è subito svenuta.
142
Ivi, p. 18.
143
Ivi, p. 19.
92
psicologicamente avevano più bisogno di rispetto e affetto, necessari per
la loro cura. Già Alda Merini stessa menziona:
II.1.3.2. Medici
Il medico di guardia era un uomo crudele, con una testa grossa. Era
d’origine germanica. Sembra patologicamente un sadista. Alda Merini lo
descrive come “un omaccione che [...] aveva un fare così untuoso, proprio come il
Mangiafuoco di Pinocchio145”. Girava tutto il giorno con la sua bicicletta per
vedere se c’era un malato da punire. Quando un malato stava male, gli
offendeva dandogli grandi dose di medicinali come se fosse un cavallo.
Era innamorato di un’infermiera che era, al suo contrario, timida e
spaventata tutto il tempo. Quando lo vedeva, cercava di scappare da lui.
Faceva paura e ribrezzo a tutti. All’improvviso, è morto sempre sulla sua
bicicletta. Alda Merini ha considerato la sua morte “la giustizia di Dio”.
144
Ibidem.
145
Ibidem.
93
Il medico degli elettroshock era anche come lo descrive l’autrice
“un uomo di fatica che un vero e proprio dottore” 146. Lui era abituato ad arrivare
tardi, masticando qualcosa in bocca e ridendo con le infermiere.
Cominciava ad anestetizzare i malati mentre scherzava con le infermiere,
infischiandosi, proprio, di quanta è la paura che i malati provavano. Non
passava, nemmeno, a vederli dopo il risveglio. Infatti lui era il “baubau”
del manicomio.
146
Ivi, p. 20.
94
le sue capacità interiori né avere un obiettivo per cui occuparsi per il
resto della sua vita. La protagonista ha dichiarato nel diario di aver aperto
una sottoscrizione per i malati di mente e di aver scritto questo libro per
far sapere agli altri che i degenti del manicomio sono persone degne di
accettazione, di rispetto e soprattutto di amore.
95
II.2. Spazio-tempo
II.2.1. Spazio
147
Giorgio Manganelli, prefazione a Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit. p. 9.
96
La casa di cura era divisa in due parti: una parte per le donne e
una per gli uomini. Nel diario è descritta in modo inquieto, cioè uno
spazio con le mura giganti, stanze orrende, portoni ben chiusi con i
cancelli, e immense vetrate, descritto anche come un labirinto [...] e la
sera venivano “abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos
infernale”148
148
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit. p.10.
97
Leggendo le parole di Alda Merini, si può notare la sua condanna
all’incoerenza e all’illogicità nelle maniere con cui la società tendeva a
definire le cose: da una parte il manicomio è visto dalla società come la
“terra dei maledetti da Dio”, cioè un luogo di contenimento dei devianti e
di quelli che costituiscono delle paure sociali, ma da un’altra parte è
visto, sempre dalla società, come “terra santa” cioè un luogo le cui regole
sono inviolabili e in cui chi c’entra dentro deve essere all’altezza della
sua sacralità. È il luogo estremo dove i “pazzi” devono comportarsi da
sani e santi senza mai commettere nessuno sbaglio.
149
Ivi, p. 18.
150
Vincenzo Ampolo, Voci dell’anima. Scrittura narrazione e pratica analitica, op. Cit., p. 124.
98
L’istituzione manicomiale era il luogo dove sono scaricati quelli
considerati un peso per le loro famiglie. Così come Bonaccia che “non
aveva nulla di follle”151, ma c’è entrata perché la sua famiglia non la voleva.
Ad affermarlo è Vittorino Andreoli:
151
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 10.
152
https://books.google.com.eg/books/about/I_miei_matti.html?
id=rsA5YnHQdN8C&printsec=frontcover&source=kp_read_button&hl=it&redir_esc=y#v=onepage&q=queste
%20&f=false, cliccato il 10 febbraio 2022, ore 8:22.
99
Terra Santa! Quella era certamente una terra maledetta da
Dio.153
153
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 22.
154
Vincenzo Ampolo, Voci dell’anima. Scrittura narrazione e pratica analitica, op. Cit., p. 124.
155
Ivi, p. 125.
100
Il manicomio è quel tragico palco, scenario, dove trionfa la
legge del “dentro”156
156
Valentina calista, Alda Merini: quell’incessante bisogno di Dio, in «Otto/Novecento», 2010, n. 1, p. 96.
101
la nostra sofferenza era arrivata fino al fiore, e era diventata
fiore essa stessa. Dio!, mi parve di essere un’ape, un’ape
gonfia ed estremamente forte. […] Divine lussureggianti
rose! Non avrei potuto scrivere in quel momento nulla che
riguardasse i fiori perché io stessa ero diventata un fiore, io
stessa avevo un gambo e una linfa157
Si noti qui gli aggettivi gonfio e forte che indicano la vita e libertà
mancata dentro la casa di cura. La natura spingeva la Merini a sentirsi
in armonia con il mondo: lei si immaginava un fiore che ha un grembo
che è il suo corpo e la linfa che è la circolazione sanguigna.
157
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 29.
102
II.2.2. Tempo
103
I degenti passavano tutto il tempo a fare nulla: non gli era
permesso di parlare, fumare né di mangiare al di là del pranzo o della
cena. Ogni tanto passava il carrello dei psicofarmaci e un’infermiera a
controllare sopra e sotto le lingue delle malate per vedere se avevano
davvero ingurgitato le pastiglie. Alda Merini descrive le sue giornate
come l’inferno dantesco dicendo:
158
Ivi, p. 17.
159
Ivi, p. 10.
104
accadono, lo stesso gesto, l’accadimento ripete se
medesimo in una sorta di sublime balbuzie.160
160
Giorgio Manganelli, prefazione a Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit. p. 9.
161
Franca Pellegrini, La tempesta originale. La vita di Alda Merini in poesia, op. Cit., pp. 36-37.
105
nelle sue opere. Infatti, non c’è opera di poesia o di prosa che non
contenga almeno uno o due testi relativi a quel periodo.162
162
Brigitte Urbani, Alda Merini: Poesia di una “diversa”, op. Cit., p. 2.
106
II.3. Il diario
Alda Merini non ha trovato meglio del diario per raccontare le sue
esperienze. Per questo motivo, l’autrice ha intitolato la sua opera L.altra
verità. Diario di una “diversa” riferendosi a se stessa, mentre a suggerire
“L’altra verità” era il suo secondo marito Michele Pierri per indicare la
realtà del malato di mente che è sempre presente e che è da accettare.
107
Lei, dunque, ha scritto il diario per scaricare i suoi sentimenti
negativi, mettere in ordine i suoi pensieri e rivedere e rivalutare le sue
esperienze passate. A tal proposito è molto interessante citare il parere di
Francesco Scrivano:
nel caso del diario intimo, rivedersi nel passato [...] può
provocare sorprese anche nell'autore del diario: non
riconoscersi, o riconoscersi per quel che si è veramente o si
è veramente stati, capire di non aver capito, comprendere di
essersi ingannati o anche di essersi auto ingannati, scoprire
di aver mentito a se stessi o scoprire di non ricordare più.163
165
Alda Merini, Delirio amoroso, op. Cit., p. 95.
166
Clara Capello, Il sé e l'altro nella scrittura autobiografica, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, p. 30.
109
Tale forma di saluto tradizionale manca nel diario della Merini,
come se la scrittura fosse finalizzata solo a se stessa, il che
rispecchierebbe la solitudine a cui Alda Merini si era abituata. Ella stessa
afferma in Delirio amoroso che non avrebbe mai creduto che gli altri
potessero leggere la propria sofferenza.
167
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 17.
110
II.4. Il linguaggio
169
Franca Pellegrini, La tempesta originale, op. Cit., pp. 76-77.
170
Vincenzo Ampolo, Voci dell’anima, op. Cit., p. 91.
171
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p.26.
113
Significativi in questo senso sono i dialoghi che aveva la Merini con i
suoi compagni. Come quelli con Aldo:
«Ma tu sei donna?», mi chiese una volta.
«Certamente», risposi io.
«Non mi sembra [...] io sì che sono un uomo!»
[...] gli dicevo io, «che sei un uomo. Solo che adesso devi
pensare a curarti.»
«E i miei figli?», proseguiva lui.
«I tuoi figli sono in mani buone, e anche tu: perché io ti
voglio bene.»172
172
Ivi, p. 15.
173
Ivi, p. 24.
114
atroce”174,mentre la malinconia era profonda: E sentii “una profonda
malinconia invadermi il cuore”175. L’aggettivo “atroce” da ater, cioè nero e
oscuro, e l’aggettivo “profondo” appartengono al campo semantico della
mancanza di lucidità sia quella mentale che quella emozionale.
174
Ivi, p.17.
175
Ivi, p.20.
176
Ivi, p. 18.
177
Ivi, p. 15.
115
Secondo lui, attraverso il
controllare un sommovimento interiore angoscioso”178.
linguaggio femminile, la scrittrice ha potuto, con delicatezza, esprimere
l’inconscio, cioè “alla logica consequenziale, propria del maschile, oppone
l’analogia, la metafora, il simbolo”179.
Vediamo come Alda Merini voleva scrivere per dare sfogo alla
sua anima tormentata sin dall’infanzia. Lei è cresciuta in condizioni che
le hanno formato un carattere delicato e sensibile. Di conseguenza il
pianto per la scrittrice era un modo per manifestarsi apertamente,
soprattutto in quell’ambiente severo.
178
Vincenzo Ampolo, Voci dell’anima, op. Cit., p. 90.
179
Ivi, p. 101.
180
Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, op. Cit., p. 21.
181
Ivi, p. 25.
116
Il racconto sulla sofferenza si rinforza attraverso l’uso
dell’anafora, che potrebbe anche far parte della scrittura di getto come
per esempio:
182
Ivi, p. 14.
183
Ivi, p.25.
184
Ivi, p.14.
117
Interessante è come Alda Merini descriveva il manicomio per
sottolineare la sua malinconia come: il manicomio è “un’istituzione
falsa” per esprimere la sua inefficienza; è anche “un circolo vizioso” per
indicare le complicazioni che il manicomio portava a chi soffriva invece
di aiutarlo; è “il più efferato” degli inferni, dove sono puniti quelli che
non hanno fatto alcuna pena, se non nati diversi e poco amati; ed è anche
una “palude secca e selvaggia” dove seppellire i desideri umani dei
degenti.
118
stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era
l’anticamera, dove “ci preparavano per il triste evento”185. Lo stesso vale anche
per gli psicofarmaci che sono considerati come “potentissimi, che ti
invischiano il corpo e l’anima”186.
190
Ivi, p. 13.
191
Ivi, p. 17.
192
Ivi, p. 13.
120
Nel diario, i pazzi sono delineati attraverso gli attributi riferiti agli
atteggiamenti spontanei come: “un pazzo scappato da una cella di contenzione
entrò furibondo nello spaccio”193.
I pazzi sono anche definiti “poveri”: Ero sola e gli chiesi in che
concetto Dio tenesse i poveri pazzi194. Era anche “poverina” la ragazza
che tentava il suicidio in manicomio:
193
Ivi, p. 16.
194
Ivi, p. 10.
195
Ivi, p. 11.
196
Ivi, p.15.
121
La scrittrice ci ha trasmesso l’orrore dell’ambiente anche
attraverso gli aggettivi usati nella descrizione fisica dei malati di mente:
197
Ivi, p. 12.
198
Ivi, p. 10.
199
Ivi, p. 12.
200
Ivi, p. 19.
122
L’autrice si è ricorsa all’anafora anche per evidenziare il suo
disagio dagli atteggiamenti della Z., la cui malattia potrebbe aver fatto
male alla protagonista: “Allora soffrivo, soffrivo perché ero stanca, perché in quel
momento volevo estraniarmi, anche dalla Z.”201.
201
Ivi, p. 22.
202
Ivi, p. 12.
203
Ibidem
204
Ivi, p. 22.
123
La Scrittrice ricorre alla metonimia per esprimere come la fede
era essenziale durante l’esperienza manicomiale. Era come se fosse
l’ancora a cui aggrapparsi per salvarsi dall’angoscia:
205
Ivi, p. 21.
206
Ivi, p. 24.
207
Ivi, p. 31.
124
Il sentimento della libertà interiore aiutava l’autrice a vedere la
bellezza delle cose. Ciò si rende chiaro nella descrizione delle rose del
giardino che sono “stupende” e “mangifiche”. Ma non solo, ma ha anche
espresso l’armonia della natura attraverso l’immedesimazione con i fiori
del giardino. La similitudine, infatti, serve a cristalizzare il sentimento
della libertà: “io stessa ero diventata un fiore”208
208
Ivi, p. 23.
209
Ivi, p. 20.
125
dolci, dalle margheritine che mi regalava ogni giorno. Un
giorno mi portò Giulietta e Romeo, e me lo indicava col
dito sottolineando la parola Romeo.210
Lo stile con cui Alda Merini ha scritto il suo primo diario, L’altra
verità. Diario di una diversa, delinea, quindi, il suo carattere che,
nonostante la sua fragilità, ha una grande forza interiore, indispensabile
per vincere tutta la sofferenza che ha patito.
210
Ivi, p. 11.
211
Ivi, p. 13.
212
Ivi, p. 28.
126
Conclusione
127
grande impatto sul suo carattere, la guerra, i suoi rapporti amorosi, e
l’esperienza manicomiale.
Non si poteva fare a meno di citare alcuni altri nomi grandi della
letteratura italiana che erano interessati, nelle loro narrazioni, alla follia
come: Luigi Pirandello che trovava nella pazzia una vera libertà; Dario
Fo che tendeva a mostrare il matto come una persona capace di pensare
in modo più logico, rispetto ai cosiddetti “normali”; e Mario Tobino che
difendeva, nelle sue scritture, i malati di mente e rifiutava la
categorizzazione sociale delle persone.
128
Abbiamo osservato che il diario di L’altra verità. Diario di una
diversa, racconta la sofferenza che Alda Merini ha patito durante il suo
internamento dentro il manicomio di Paolo Pini. Tale sofferenza si divide
in sofferenza fisica, quella subita dentro il manicomio in seguito al
maltrattamento degli infermieri e dei medici e quella psicologica di cui la
protagonista ha sofferto sempre dentro la casa di cura e fuori dalla
società.
129
Abbiamo potuto evidenziare, studiando analiticamente tale opera
diaristica, il quadro generale della cultura italiana del tempo, soprattutto
dal punto di vista sociale e storico, come la condizione del malato di
mente e i privilegi che la società dava agli uomini rispetto alle donne,
oltre alle preziose teorie psicoanalitiche che hanno aiutato la protagonista
a risolvere i suoi disturbi emozionali.
130
Bibliografia
Opere di Alda Merini
131
- Pirandello, Luigi, Enrico IV, Aquila, Rea edizioni, 1960.
- Biagini, Elisa, Nella prigione della carne: appunti sul corpo nella
poesia di Alda Merini, Forum Italicum, vol. 35, 2001.
Critica generale
135
- Petrelli, Micla, Scrivano, Fabrizio, Diario e narrazione.
Conversazione di Micla Petrelli con l’autore del volume Fabrizio
Scrivano, PsicoArt – Rivista Di Arte E Psicologia, vol. 5, n. 5,
2015.
Sitografia
- http://www.aldamerini.it/?page_id=8
- https://books.google.com.eg/books/about/I_miei_matti.html?
id=rsA5YnHQdN8C&printsec=frontcover&source=kp_read_butt
on&hl=it&redir_esc=y#v=onepage&q=queste%20&f=false
- https://www.etimo.it/
- https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/
2008/08/24/alda-merini-lettere-dalla-follia.html
136
- https://www.nazioneindiana.com/2010/03/30/che-cosa-la-
letteratura-ha-imparato-dai-matti/
- https://www.treccani.it/enciclopedia/alda-merini_(Dizionario-
Biografico)/
- http://www.vigata.org/tesi/TesiElhoudaAmira.pdf
137