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Ogni mattina a Jenin

Tre parole che considero “chiave” per parlare di “Ogni mattina a Jenin”, poiché sono sempre presenti nel
libro e quindi anche nella mia recensione: Famiglia, Radici, Emozioni.

In questo romanzo ci viene raccontata la storia di quattro generazioni di una famiglia palestinese, la famiglia
Abulehja, attraverso la quale ripercorriamo la storia del conflitto arabo-israeliano; per questo motivo il libro
può essere considerato un romanzo storico della contemporaneità.

Nel 1941 la guerra tra Israele e Palestina inizia a sconvolgere intere popolazioni. In quel periodo a Ain Hod,
un paesino a est di Haifa, Hassan, figlio del patriarca della famiglia, sposa Dalia; dall’unione nascono prima
Yussef e poi Isma’il. Nel 1948 le famiglie di Ain Hod sono costrette a lasciare la propria terra e trasferirsi al
campo profughi di Jenin. È in quel luogo e soprattutto in quell’atmosfera carica di speranza, rabbia, amore,
unione, disperazione che nasce Amal, la terza figlia di Hassan e Dalia, nel 1955. E Amal, che in arabo, con la
vocale lunga, significa anche speranza, cresce provando tutte quelle emozioni, le rende parte di sé.
Attraverso la sua voce, quella dei suoi due fratelli, ripercorriamo l’incredibile storia della vita sua e della sua
famiglia: Dalia, sua madre; Hassan, suo padre; Yussef, uno dei due fratelli; Fatima, compagna di Yussef;
Isma’il, l’altro fratello; Maijid, uno dei due amori della sua vita; sua figlia Sara, l’altro amore e anche Huda,
la sua amica di infanzia, l’unica vera amica che abbia mai avuto.

Con il padre, Amal ha un rapporto speciale, magico e unico: ogni mattina all’alba lei si siede sulle sue
ginocchia e ascolta con meraviglia, anche se non ne comprende il significato, le poesie che lui le legge: è
l’unico momento in cui sono soltanto loro due, le poesie e l’alba; si crea così un rapporto incredibile tra un
padre e una figlia, in cui si sprigiona un amore illimitato, che nemmeno il dolore della guerra può spezzare.
Dalia, la madre, è una beduina ribelle, una donna forte all’esterno, ma così fragile dentro di sé da infrangersi
per sempre. Lei è senza dubbio il personaggio più misterioso dell’intero romanzo: la guerra le ha
letteralmente portato via un figlio e fatto provare dolori troppo grandi tali che un animo fragile come il suo
non riesce a sopportare; da allora vive in un mondo tutto suo, non comunica con il mondo esterno quasi mai.
Tenendo dentro di sé tutto il dolore, diventa, soprattutto con la figlia Amal, fredda come un iceberg. È
impossibile capirla fino in fondo, e Amal da bambina è quella che più ne soffre, perché fatica a comprendere
sua madre nello stato mentale in cui si trova e prova rabbia nei suoi confronti. Nei primi anni di vita di Amal,
tuttavia, le due fanno insieme uno dei mestieri più belli al mondo: fanno nascere bambini nel campo
profughi. Forse questo è il periodo più felice che le due vivono insieme, tant’è che, quando Amal farà
nascere il piccolo nipote Falastin, ricorderà quei momenti vissuti con la madre. E forse è proprio Amal che
riuscirà a comprendere al meglio sua madre: parlando con suo fratello dirà riguardo alla donna: “Amava oltre
misura. Quando ero giovane pensavo che fosse fredda, ma con il tempo ho capito che era troppo fragile per il
mondo in cui era nata. Perse qualcosa di fondamentale quel giorno del 1967 in cui pensò che fossi rimasta
uccisa nell’esplosione che devastò la cucina, mentre ero acquattata in una buca con la mia amica Huda e la
cuginetta Aisha. Credo che fu la goccia che fece traboccare il vaso. Nel corso degli anni mi sono chiesta
spesso e con un enorme senso di colpa se avrei potuto salvarla.”

Con suo fratello Yussef, a Beirut, trascorrerà un breve periodo più felice della sua vita. Sarà suo fratello a
trovarla, mentre lei è in America, e portarla da lui a Beirut. Egli è il fratello più sofferto: è quello che se ne
va a combattere per l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) quando Amal è ancora
bambina, lasciandola e affidando a lei le cure della madre. Ma è anche quello a cui è più legata
affettivamente, poiché infatti, quando è nata, non ha conosciuto l’altro fratello. È grazie a lui se Amal smette
di essere la fredda Amy per un po’ e torna a essere la vera Amal di sempre; è grazie al suo invito di
raggiungerlo a Beirut, li Amal trovò l’amore della sua vita: Majid, l’uomo che la rende davvero felice, con
cui prova l’amore vero. Fatima, la moglie di Yussef, è fondamentale per Amal, perché è lei che fa
innamorare i due. È lei forse che con un suo discorso riesce meglio a esprimere ciò che è amore per i
Palestinesi: “Amal, credo che la maggior parte degli americani non ami come amiamo noi. Non è questione
di inferiorità o di superiorità. Vivono in sfere sicure e superficiali, e raramente spingono le emozioni umane
nelle profondità in cui viviamo noi. Vedo che sei confusa. Pensa alla paura. Quella che per noi è semplice
paura per altri è terrore, perché ormai siamo anestetizzati dai fucili che abbiamo continuamente puntati
contro. La nostra rabbia è un furore che gli occidentali non possono capire. La nostra tristezza può far
piangere le pietre. È un amore che puoi conoscere solo se hai provato la fame atroce che di notte ti rode il
corpo. Un amore che puoi conoscere solo dopo che la vita ti ha salvato da una pioggia di bombe o dai
proiettili che volevano attraversarti il corpo”. Anche l’altro fratello, Isma’il, la fa viaggiare: la convince a
tornare alla sua terra, alle sue radici, a casa sua. Grazie a lui Amal torna con sua figlia e con lui a Jenin,
riattraversa le vie che percorreva da bambina e rincontra Huda, la sua migliore amica. Le due hanno
trascorso tutta l’infanzia sempre insieme, in ogni situazione (la buca sotto il pavimento della cucina, quando
si separano e Amal va a Gerusalemme, quando Amal torna Jenin molti anni dopo); mano nella mano hanno
affrontato non solo la gioia del gioco ma anche la tristezza e il dolore della guerra.

E Amal? È il personaggio a cui ci si affeziona di più poiché è la sua voce che ci accompagna, a più riprese, in
tutta la narrazione; sono le sue le emozioni più forti che leggiamo, addirittura le sue emozioni sono così vere
che il lettore le prova dentro sè: turbamento, amore, orrore, rabbia e tutto il turbinio incredibile di sentimenti
che le attraversano la vita e nei quali il lettore si immedesima. Amal è il personaggio più dinamico di tutti:
lei prova emozioni talmente forti che la cambiano in meglio e purtroppo, a volte, anche in peggio: la sua vita
è un continuo viaggio interiore, ma purtroppo è anche un continuo viaggio da una terra a un’altra: vive da
profuga, si sposta da Jenin a Gerusalemme, da lì negli Stati Uniti, a Beirut e poi ancora negli Stati Uniti;
passa dal periodo più felice della sua vita a quello più brutto nell’intervallo di circa un mese soltanto. È una
donna forte, ma non indistruttibile: è distrutta dal dolore di molte perdite, a tal punto che anche la nascita di
una nuova vita, per molto tempo, non le strappa un sorriso, ma la spinge a tenere tutto dentro: diventa una
copia di sua madre. Ciononostante, anche se il mondo che ama le crolla addosso prima ancora che lei riesca
a rendersene conto, la forza dell’amore vince ancora una volta e lei trova uno spiraglio di luce in fondo al
tunnel buio che aveva davanti a sé, trova un nuovo motivo per andare avanti: sua figlia Sara, che fa tornare
alla madre la voglia di vivere, ma soprattutto la convince a tornare alle sue radici, alla sua terra e la costringe
a raccontarle tutta la sua vita, ad aprirsi con lei dopo anni di chiusura totale, acquisendo così un eredità
importantissima: la storia della vita di sua madre.

Dopo un brillante preludio iniziale, avviene un flashback che ci porta all’inizio della storia parlandoci di
Yehya, patriarca della famiglia Abulehja.

Io ho adorato questo libro, poiché è stato finora il primo che mi ha fatto provare emozioni tanto forti tutte
insieme, mi ha fatto sentire parte della famiglia Abulehja, ho sentito i personaggi intorno a me, loro erano
vivi e io ero con loro, mi ha fatto riflettere giorni e giorni sul significato della vita, della morte, della forza
che gli uomini trovano anche in situazioni così negative. Mi ha fornito nuove riflessioni sul significato della
guerra, mi ha mostrato quelli che sono i reali effetti della guerra sulle persone, su quanto le trasforma; mi ha
fatto riflettere sul significato delle proprie radici e della propria terra; mi ha fatto pensare a quanto oggi,
troppo spesso, il significato delle proprie radici sia quasi dimenticato.

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