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Mishima Yukio

Mishima Yukio (1925-1970) nonostante non abbia mai vinto un premio Nobel per la
letteratura, è lo scrittore del ‘900 giapponese più conosciuto e studiato in Giappone e nel
mondo; fama ottenuta grazie alle sue opere avvincenti e controverse (romanzi, film e opere
teatrali ), al suo brillante stile di vita e, soprattutto, al suo scioccante e drammatico suicidio
avvenuto nel 1970.
Nato il 4 Gennaio del 1925 a Tokyo, Hiraoka Kimitake ( il suo pseudonimo, Mishima Yukio,
era stato inventato per non farsi scoprire dal padre che volva che facesse il burocrate e non
il letterato. Era composto da “Mishima”, che era la stazione di scambio tra casa sua e
l’università, e Yukio, nome scelto in modo da avere 5 caratteri totali: 2 occupati dal cognome
e 3 dal nome) è il più grande tra i tre figli di una famiglia benestante.
Mishima viene cresciuto dalla nonna paterna Natzuko, l’unica della famiglia ad avere origini
nobiliari, che lo tiene sotto la sua opprimente ala protettiva fino all’età di 10 anni. Situazione
anomala che si verifica in parte data l’assenza del padre per via del suo lavoro da burocrate
e, in parte, dalla totale sottomissione della madre a questa nonna matriarca.
A soli 5 anni, già di per sé gracile di costituzione, Mishima comincia ad avere problemi di
salute, tra cui perenni attacchi di vomito, che smetteranno soltanto con l’inizio della prima
elementare e, perciò, probabile segno psicosomatico dato dalla situazione con la nonna
Nazuko che, oltre a sorvegliarlo costantemente, gli impedisce tra le altre cose di lasciare
casa e di giocare con i bambini maschi.
Condizione che naturalmente porta il piccolo Mishima a non socializzare e a non saperlo
fare.
Data quindi la sua scarsa capacità nello stringere amicizia, Mishima si dedica sin dalle
elementari alla scrittura e alla letteratura; passione che gli viene trasmessa e inculcata dalla
nonna sin da piccolo tanto che, appena dodicenne, già aveva letto tutti i classici giapponesi
e possedeva una conoscenza notevole della sua lingua, conoscenza che lo porta anche da
adulto ad utilizzare, nelle sue opere, kana e kanji molto desueti.
E anche se fino a 16 anni preferisce considerarsi più un poeta che non uno scrittore, a 12
anni realizza il suo primo racconto “Fiori di acetosa”.

Un altro shock che finisce con l’accompagnare la letteratura di Mishima fino alla fine dei suoi
giorni è la vista del mare. Nel 1938, tornato a casa con la madre e i fratelli, quest’ultima
decide di portarli al mare. Lì Mishima rimane folgorato dalla immensità dell’oceano e
dell’orizzonte, al punto da aver paura di tuffarsi e nuotare in quell’immensità = ( Il mare della
fertilità )
Venuto a conoscenza di tale terrore, il padre di Mishima si infuria con lui dato che considera
ciò una paura da “femmina“ inculcatagli dalla nonna. Di conseguenza, volendo insegnargli
che di fronte al pericolo non si deve mai scappare, il padre porta Mishima davanti alle rotaie
di un treno dove quasi lo butta provocandogli, logicamente, soltanto un altro shock.

Sakuranpo, Fiori di acetosa, è un racconto potentissimo che narra di un bambino di 6 anni la


cui madre non vuole che vada a giocare su una collina perché lì vi è un evaso. Un giorno,
però, il bambino va e la sera vede sbucare dal buio degli alberi la figura di un uomo, ma il
bambino non si spaventa e i due cominciano a parlare. Dopo che l’uomo gli confessa che
sta viaggiando e che è scappato da casa (la prigione), il bambino gli suggerisce di tornare “a
casa”, altrimenti la mamma si arrabbia e non potranno più giocare assieme.
L’uomo è un padre che ha ammazzato il figlio.
L’uomo dopo aver scontato la pena, torna alla collina per giocare con i bambini ma le madri
li allontanano da lui. Il signore dà quindi ai piccoli dei fiori di acetosa, ma alcune delle madri li
prendono e li calpestano.
Tutti questi temi:
-Foresta scura, le tenebre
- Bel bambino che piange, bellezza pura minacciata dall’uomo
- Connotazione omoerotica della bellezza e della sua minaccia → uomo incolto, muscoloso,
sudato, attraente, che rischia di vedere la bellezza affievolirsi
- Desiderio di evasione, da parte dell’uomo incarcerato che non riesce a rendersi conto di
essere l’assassino del figlio + evasione del bambino da casa
- Mare, evasione e gabbiano che invece di volare si tuffa in mare.
- Morte
Non sono solo temi presenti in Fiori di acetosa, ma saranno ricorrenti e tipici in tutte le opere
successive di Mishima.
In oltre, tra le varie correnti letterarie del periodo, Mishima è travolto dal Romanticismo, che
si fonde nella sua mente con il nazionalismo (Mishima è attratto dai soldati in divisa,
attrazione erotico-estetica) e con le concezioni di epoca Heian.
Ma quando si inizia a parlare di morte in guerra e della “bella morte eroica”, questi ultimi
diventano il suo ideale estetico per eccellenza.
L’ultranazionalismo estetico del Giappone vede nell’Imperatore la figura al suo vertice:
estetica, bellezza, nazionalismo e tradizione, ed è per questo che Mishima è attratto
dall’Imperatore come figura leader del Giappone.

A scuola Mishima ottiene ottimi risultati e il padre insiste affinché faccia anche lui il
burocrate.

1941, il suo mentore Shimizo Fumio lo invita a pubblicare sulla rivista Bundei Bunka (rivista
romantica) come tanti altri grandi scrittori.

Pubblica la sua prima storia “una foresta piena di fiori” (hanazakari no mori) nel 1941,
quando era ancora un adolescente (16 anni) utilizzando per la prima volta il suo pseudonimo
Mishima Yukio.
Il racconto, diviso in cinque parti, non ha un vero protagonista ma sono comunque presenti
degli accenni autobiografici (c’è sempre dell’autobiografismo in Mishima).
Più che un narratore abbiamo un pov che narra la storia della famiglia di Mishima fino
all’epoca Heian. L’estetica Heian è vissuta come una bellezza gloriosa, ricca di solennità e
tradizione, mostrando, di conseguenza, disappunto verso la contemporaneità dove bellezza
e solennità sembrano essersi divisi.
Viene quasi considerata una “Lettera d’amore nei confronti delle parole” per la grande
bellezza nel suo uso del Giapponese.
Acqua e mare, elementi che sono qui metafora del desiderio. Il mare è metafora del
desiderio, ovvero di qualcosa di inafferabile poiché l’infinito non si può prendere. Diventa
così, allo stesso tempo, negazione del desiderio proprio perché impossibile da afferrare =
vorrei farlo ma non ci riesco.
Con questo romanzo conquista gli esponenti del romanticismo giapponese di quel periodo,
ovvero il Roman-ha.
In questi anni, quando pubblica la foresta in fiore, il padre è ad Osaka. Quando torna a casa
a Shibuya, Mishima deve nascondere ancora di più la sua attività da scrittore, arrivando
quindi a lavorare di notte e a dormire un’ora massimo dato che di giorno continuava,
comunque, a frequentare l’università. Ma, nonostante i suoi sforzi, una mattina il padre lo
scopre e gli strappa tutti i manoscritti. Da quel momento Mishima porta con sé in università
tutte le sue opere in modo da salvarle dal padre. Nel mentre Mishima continua a leggere, in
particolare legge tutti gli autori romantici, lasciandosi influenzare soprattutto dal nichilismo e
da Nietzsche. Si cristilazzila in lui questa idea di bellezza uguale a morte (soprattutto la
morte in giovane età ) e, man mano, la bellezza comincia ad essere associata anche al
genio.
Si crea perciò questa equazione: morte = bellezza; bellezza = genio; genio = morte.

Comincia la guerra, Mishima inizia a vedere i soldati che partono per la guerra. L’idea della
morte non è più soltanto astratta e idealizzata nella testa di Mishima, ma inizia a essere
presente nella vita quotidiana delle persone. Comincia a insorgere in Mishima il desiderio
che anche la sua sarà una bella morte.
Nel 1944 si diploma con tanto di regalo da parte dell’imperatore, e si iscrive a giurisprudenza
a Tokyo.

In questi anni vive una prima contraddizione (ce ne saranno molte nella vita di Mishima): lui
odia la guerra, ne ha paura (impatto del treno) ma continua ad essere fortemente attratto
dalla morte. È ancora di costituzione molto gracile e soffre delle medesime malattie di
quando era bambino, quindi è anche attratto dai soldati proprio per la loro fisicità e
imponenza. Ed anche se critica tutto ciò che è volgare, mediocre e “basso”, ne è allo stesso
tempo attratto.
Durante la seconda guerra mondiale, come a tutti i ragazzi del periodo, anche a Mishima
viene fatta la visita medica per partire al fronte, ma viene bollato come “inabile al servizio
militare” perché troppo gracile. Da una parte si sente sollevato, dall’altra deluso perché vede
svanire la possibilità di morire in modo glorioso in battaglia.
Nel 1944 è l’unico autore che riesce a pubblicare durante la guerra. La foresta in fiore,
divenuto un volume autonomo, viene accettato dalla censura perché celebra la bellezza
tradizionale della corte imperiale giapponese.
Durante la guerra, Mishima è sconvolto da ben 3 avvenimenti:
1. La bomba su Hiroshima
2. La bomba su Nagasaki
3. La dichiarazione di umanità (Ningen Senden 人間宣伝) dell’imperatore, avvenuta il 15 Agosto
1945. È il discorso in cui l’imperatore ammette di non essere divino e nega l’ideologia di guerra. Quel
giorno centinaia di generali (500) si suicidarono, tra cui il generale Hanami. Il generale si squarciò il
ventre con il seppuku, rifiutando il colpo di grazia della persona che avrebbe dovuto decapitarlo.
Quella data raggiunse il record di giorno con il più alto numero di suicidi registrati in Giappone.

L’intero popolo giapponese si sente tradito da chi, fino al giorno prima, era al vertice di una
piramide che aveva guidato il Giappone per millenni.
Mishima quel giorno ha la febbre, quindi ascolta il discorso dell’imperatore attraverso una
radiolina scadente che neanche trasmette bene tutte le parole, perciò inizialmente assorbe
sì il messaggio, ma non lo metabolizza del tutto. Il ningen senden finirà comunque per
essere un altro tema che lo perseguiterà fino alla sua morte.

Shock del dopoguerra, tutto silenzioso, niente più kamikaze, niente più morte che incombe.
Mishima, che fino a quel momento ha idealizzato l’esercito e l’impero, si sente un comune
mortale mentre, fino a poco tempo prima, era convinto di essere un eletto. Dove sono tutte
le promesse che aveva fatto Il Romanticismo? Tradito e deluso da questa corrente, se ne
allontana.

Dopo la guerra in Giappone torna la sinistra, sia in letteratura che in politica. Il comunismo
torna in voga, così come le riviste e gli autori di sinistra. Mishima, pur con i suoi ideali
nazionalisti, si avvicina alla sinistra giapponese al punto che avrà soltanto amici di sinistra.
Patriota e nazionalista che sta solo con gente liberale ( altra contrazione alla Mishima),
eppure non nasconde le proprie idee mentre li frequenta.
Si avvicina alla Sengoha, alla scuola letteraria del dopoguerra e alla letteratura di sinistra.
Frequenta i marxisti e la letteratura proletaria (niente più ministero della censura).

Anche se la letteratura di sinistra parla di rinascita, questi sono anche gli anni in cui il cibo
scarseggia e inizia, perciò, il razionamento del cibo (shinbashi, Tokyo, c’è ancora traccia del
mercato nero). Fame, voglia di libertà e sofferenza sono le grandi tematiche della letteratura
di sinistra, ma nel mentre Mishima continua a portare avanti le sue: estetica della morte e
l’idea che anche lui morirà in modo bello ed eroico.

Nel 1947 Mishima si laurea in giurisprudenza tedesca ed entra nel ministero delle finanze. Il
padre è contentissimo per la sua strada da burocrate, ma nel mentre Mishima continua a
scrivere di notte e a lavorare di giorno. Dopo nove mesi si rende conto di voler fare lo
scrittore e si licenzia, anche perché i romanzi che pubblica sotto pseudonimo stanno avendo
successo.
Il padre, che riconosce la sua scelta soltanto quando comincia a notare la sua crescente
fama da scrittore, si raccomanda dicendogli la nota frase “se vuoi diventare uno scrittore,
devi diventare il migliore“.

1948, si lega alla Kindai bungaku, rivista e lettori di sinistra.

Ha successo, ma gli ideali di: bellezza, soldati che sfilano e morte gloriosa, continuano a
tormentarlo. Tormento probabilmente accentuato dalla sua attrazione inconsapevole verso i
soldati stessi. In questo momento, il dibattito dello shisousetsu non si è ancora concluso, e
lui ne prende dei pezzi.
Da tutti questi tormenti ne esce il capolavoro del 1949, “Kamen no kokuhaku” ( Confessioni
di una maschera), spingendo Mishima alla ribalta nel mondo letterario.
Il termine “confessioni” riporta al dibattito “tutto ciò che è scritto in un romanzo è vero o è
finzione ?” = veridicità del romanzo vs la maschera = “cosa deve confessare una
maschera?”
Il tatemae (maschera) di una persona è costruita, quindi la sua confessione è vera o falsa?
Scetticismo nei confronti della confessione della verità dato che la confessione è legata
all’arbitrio di chi confessa, e chi confessa indossa comunque una maschera, quindi nessuno
mostra davvero il suo honne. - - > nero su bianco di tanizaki, fino a quanto la storia è vera?
Nonostante evidenti somiglianze con la sua vita e il suo passato, Mishima nega ogni
riferimento autobiografico.
Il protagonista di Confessioni di una maschera è un bambino dalle condizioni fisiche precarie
che, chiuso nella camera della nonna, scopre la sua omosessualità. Ma, più nello specifico,
il romanzo esplora il tormentato mondo interiore di un giovane che è eroticamente
ossessionato dagli uomini, dalla bellezza e dalla violenza. E mentre il protagonista lotta per
condurre una vita conformista ed eterosessuale, segretamente adora il dipinto del San
Sebastiano di Guido Reni così come la vista di un uomo muscoloso che lavora nel quartiere.
Confessioni di una maschera è comunemente considerato un romanzo di ispirazione
autobiografica, anche se quest’ultima è romanzata in modo fittizio. Si tratta infatti di
autobiografismo visionario, ovvero attinge dalla propria storia e la trasforma idealizzando
tutti questi episodi tramite visioni ed esaltazioni di ogni elemento, tutto viene esagerato
(Mishima è l’esteta dell’esagerazione che non conosce vie di mezzo).
Ma quindi, è un romanzo autobiografico o un espediente letterario per mischiare ciò che è accaduto
con ciò che avrebbe voluto accadesse? Ogni volta che un uomo si confessa, nella confessione ci butta
sempre i propri desideri nascosti → la confessione in purezza è impossibile.
Ma che le fantasie sadomasochistiche che dominano la vita interiore della maschera siano
confessioni di Mishima e dei propri sentimenti, è meno significativo dell'identificazione tra
Mishima e l'inesorabile ricerca del suo protagonista per dimostrarsi speciale, destinato al
martirio o a un destino "orgoglioso e tragico...persino radioso".
Temi presenti in Confessioni di una maschera: morte, omosessualità, eros e Thanatos e il
San Sebastiano di Guido Reni
Il bambino protagonista ha da sempre associato la bellezza e la morte tragica al sesso
maschile. Perciò quando ammira l’illustrazione di un cavaliere nel libro che sfoglia sempre, è
convinto si tratti di un uomo. Un giorno però, scopre che quel cavaliere da cui è tanto
affascinato è in realtà una donna. Il libro infatti narra le gesta di Giovanna D’Arco, ed è lei ad
essere ritratta in armatura in quel’illustrazione. Questa scoperta provoca uno shock nel
ragazzo. Infatti lui era attratto dal cavaliere in quanto uomo, ma il fatto che in realtà sia una
donna, non solo lo delude (dato che rovina la sua estetica di morte gloriosa), ma lo porta a
interrogarsi sulla sua sessualità.
Giovanna d’Arco distrugge la sua estetica di morte sanguinosa, ma per fortuna arriva il San
Sebastiano di Guido Reni a rappresentare appieno il suo ideale. Nel dipinto, infatti, San
Sebastiano è ritratto come un bellissimo giovane, legato per i polsi ad un albero e con ben
tre frecce conficcate nel torso. Il giovane protagonista adorerà questa immagine al punto da
masturbarvici sopra. Anche Mishima sarà realmente ossessionato da quest’opera, tanto da
farsi fare un set fotografico in cui posa allo stesso modo del San Sebastiano.
Il San Sebastiano è il suo ideale di morte gloriosa ( date le frecce conficcate nella carne), i muscoli, il
giovane. → simbolo delle sofferenze dello scrittore

Il romanzo è uno dei più studiati nella letteratura di Mishima, soprattutto dal pov dell’omosessualità.
Noriko Mizuta, grandissima critica, dice: l’omosessualità di Mishima era un fato volutamente scelto.
Mishima si sente minacciato dal doversi confrontare con un dopoguerra tranquillo, e quindi
l’omosessualità può essere letta come la sostituzione del fato della morte di cui Mishima era stato
privato dalla guerra → l’omosessualità riscoperta nel dopoguerra va in sostituzione della morte come
ricera di un nuovo tormento.

A partire da confessioni di una maschera l’omosessualità di Mishima prende forma, anche


se non lo confesserà mai apertamente, neppure alla maglie Yoko Hiraoka. Matrimonio,
quello tra Mishima e Yoko, che avviene in parte perché voluto dalla famiglia e, in parte,
come copertura per l’omosessualità dello scrittore. Agli inizi degli anni ‘60 è quindi Mishima
ad indossare una nuova maschera, infatti se da una parte abbiamo il Mishima scrittore,
dall’altra abbiamo Mishima come soggetto privato.
Mishima infatti, anche se sposato, continua comunque ad avere diverse relazioni
omosessuali che mantiene “segrete” basandosi sui concetti, tuttora presenti in Giappone, del
tatemae e dello honne (vita pubblica e vita privata), secondo cui ogni persona deve
mantenere una certa immagine, e per farlo la vita privata non deve interferire con quella
pubblica e viceversa (ex: i politici per tatemae devono avere una famiglia e sposarsi, anche
se nell’honne possono avere relazioni omosessuali. Infatti tutt’ora non c’è nessun politico in
Giappone dichiaratamente omosessuale, e solo una scrittrice è dichiaratamente lesbica).
Il tatemae di Mishima è quello di scrittore e uomo sposato con tre figli mentre, nella sua vita
privata (l’honne), è omosessuale e ha diversi amanti uomini tra cui il noto Miwa Akihito
( attore, compositore, drag queen transgender che sarà il sua amante per il resto della vita =
la loro relazione era il segreto di pulcinella).
Il concetto di honne e tatemaee è talmente forte in Mishima, al punto da fargli negare in
pubblico la sua omosessualità nonostante tutti ne fossero a conoscenza.
Mishima ci tiene a questa divisione tra sfera pubblica e privata tanto da impedire a giornalisti
e paparazzi di entrare in casa sua e di fare foto ai figli, infatti, anche se siamo pieni di foto di
Mishima, poche sono le foto che si hanno della sua famiglia.

Mishima conquista man mano sempre più successi sia in Giappone che all’estero tanto che,
nel 1949, dopo che Confessioni di una maschera si conferma come il romanzo più venduto
in Giappone, Mishima viene consacrato come scrittore internazionale.

Mishima viaggia molto durante gli anni '50. Visita gli States e l’Europa, intrattenendo
conferenze e conoscendo scrittori ed editori, ma saranno Rio de Janeiro e la Grecia a
colpirlo e a influenzarlo maggiormente. Il primo per il carnevale (estasi dionisiaca per
eccellenza) e il secondo per l’arte classica ( rimane colpito dalla bellezza delle statue, dal
teatro e dalla tragedia, e capisce che arte e genio sono una forma d’arte totale che
abbraccia la vita e non solo il romanzo).
Dopo il viaggio tra le bellezze della Grecia antica, Mishima sviluppa il mantra “mens sana in
corpore sano”. Egli ricerca infatti un nuovo fisico al pari delle sculture classiche, adeguato a
una morte bella, romantica e possibilmente collettiva, proprio come quelle della tragedia
greca, e in grado di fargli avere agli occhi del pubblico una forte presenza maschile (Mishima
è l’unico tra i grandi scrittori ad essere astemio e a non essersi mai ubriacato in modo tale
da essere sempre lucido e consapevole di sé).
Inizia quindi i suoi famosi allenamenti di body building, anche come verifica estrema della
sua esistenza = linguaggio del corpo affiancato al linguaggio delle parole = ritorno
all’immagine dei giovani che portano il palanchino, tragedia greca collettiva.
Per tutti gli anni '50 e '60, i media sono pieni di fotografie di Mishima.
Dagli anni '50 fino al decennio successivo, Mishima si distingue nelle sue diverse attività, ovvero, sia
in quelle letterarie sia in quelle per spettacolo. Infatti, dopo 4 anni dove si dedica quasi
esclusivamente al teatro producendo spettacoli per il teatro moderno e per il teatro tradizionale Noh,
pubblica nel 1956 ( stesso anno in cui porta il palanchino del matsuri) il suo capolavoro assoluto: 金
閣寺 Kinkaku-ji, Il padiglione d’oro.
L’opera, ispirata ad un fatto di cronaca realmente avvenuto ( un pazzo aveva cercato di dare
fuoco al kinkakuji), narra la storia di Mizoguchi, un giovane monaco buddhista che soffre di
balbuzie e che si sente, anche per tale motivo, brutto, difettoso e, di conseguenza, non
accettato.
La balbuzie del monaco è fondamentale per comprendere la sua condizione, infatti
quest’ultima era motivo di esclusione sociale nel Giappone di allora = “martellare il chiodo
che sporge / il chiodo che sporge viene martellato, dobbiamo tutti essere uguali”.
A quest’ultimo, però, assegnano il Kinkakuji, considerato uno dei templi più belli per via della
patina d’oro che lo ricopre, e per i suoi giardini.
Ma Mizoguchi, invece di trovare liberazione e sollievo nella bellezza trascendentale
rappresentata dal Padiglione d'Oro, scopre che questo gli blocca la strada verso il
riconoscimento di altri tipi di bellezza, come l'amore per le donne, e si sente piuttosto
minacciato da quest’ultimo.
Si evidenzia perciò la contrapposizione tra la figura brutta ed esclusa del monaco, e la
bellezza ideale del Kinkakuji.
Mizoguchi si chiude nel suo mondo, si vede perennemente contrapposto alla bellezza del
tempio, sono di fatto in antitesi. Tutti adorano il tempio ma nessuno adora lui.
Tutto ciò porta il giovane monaco ad odiare il Kinkakuji, che diventa piuttosto il suo peggior
nemico, al punto da convincersi che l’unica soluzione, per vivere in pace e non essere più
tormentato dalla sua estrema bellezza, è distruggerlo.
Mizoguchi crede che finché esisterà il tempio, lui non potrà vivere.
Ironia del finale = quando Mizoguchi dà fuoco al Kinkakuji, decide di entrare al suo interno
così da bruciare anche lui assieme al tempio (suicidio eroico) ma, quando ci prova, le porte
non si aprono impedendogli perciò di avere il finale glorioso che desiderava = il padiglione
(la bellezza) rifiuta il monaco (la bruttezza) fino alla fine, negandogli addirittura la possibilità
di morire assieme.
Allora il monaco va su una collina, con il nuovo piano di suicidarsi lì mentre osserva la morte
del Kinkakuji dall’alto.
Ma una volta giunto sul luogo non trova il coltellino che pensava di avere in tasca, al suo posto trova
soltanto delle sigarette e un fiammifero. Allora, accendendo e fumando una sigaretta pronuncia la
famosa frase 生きようと私は思った。(いきよう。。。)= decidisi di vivere\ volevo vivere\ ho
scelto di vivere ( in quel momento ho pensato che volevo vivere).
Sebbene scritto con una narrazione in prima persona, il padiglione d’oro è ispirato ad un
incidente reale, mostrando così un netto allontanamento dalla modalità confessionale di
Confessioni di una maschera.
Come per gran parte della letteratura di Mishima, anche quest’opera è scritta quasi a voler
sfidare il lettore, utilizzando di proposito kanji difficili e inusuali.

A livello unanime il padiglione d’oro è considerato un capolavoro, anche se non è proprio


piaciuto a molti per via delle idee nazionaliste presenti al suo interno anche se, durante il
dopoguerra, Mishima sarà il primo ad avvicinarsi a opere e scrittori di sinistra, e prendendo
abbastanza sul serio anche il movimento studentesco di sinistra al punto da partecipare a
lunghi e vigorosi dibattiti con i suoi membri alla fine degli anni '60.

Molte cose avvengono durante gli anni ‘60: coesistono diversi movimenti politici in
Giappone, vengono rinnovati i trattati di sicurezza tra Giappone e Stati Uniti, vengono
costruite nuove basi americane e la parte più conservativa del Giappone insiste nel voler
restaurare l’impero giapponese con i suoi ideali.
Abbiamo quindi continui scontri politici e nuovi movimenti di sinistra che vorrebbero “liberare”
il Giappone = liberalismo
Il 26 Febbraio del 1960 si verifica, tra le altre cose, un noto evento dove 21 giovani ufficiali
decido di attaccare il governo e ben 1350 soldati, occupando una zona strategica di Tokyo,
uccideranno 3 politici.
Ma quando l’imperatore Hirohito decide di far uccidere tutti i soldati che hanno tentato il
colpo di stato, questi ultimi, anziché farsi uccidere dall’imperatore, preferiscono suicidarsi.
Ispirato da tale notizia Mishima scrive Patriottismo = un romanzo che ripercorre la storia dei
1350 soldi, e nella post fazione scrive “ la morte agonizzante per mezzo della propria spada
rappresenta l’atto di suprema lealtà …” = ideale della morte bella e della morte collettiva
( elemento della tragedia greca) = nella sua mente comincia pian piano a germogliare l’idea
del suo suicidio.
A partire dal 1966, Mishima perseguì due linee d'azione parallele che sarebbero culminate
con la sua morte. Dal punto di vista artistico, completa il romanzo Neve di primavera (Haru
no yuki, 1966), primo volume della sua famosa tetralogia, Il mare della fertilità (Hojo no umi).
Titolo che fa riferimento al mare feconditatios che, se da una parte ci fa pensare a qualcosa
di positivo, rimanda in realtà a una zona desertica della luna = il titolo stesso è un riferimento
al suo nichilismo cosmico = ultime fasi della sua piena maturità.
Nell'autunno dello stesso anno Mishima trasformò il suo interesse per la spada e l'esercito in
un'azione decisiva iscrivendosi all'addestramento della Jieitai (Japan Self Defense Force,
JSDF).

Il mare della fertilità è una tetralogia (4 romanzi) composta da: neve di primavera (‘66), a
briglia sciolta (‘67), il tempio dell’alba (‘68) e la decomposizione dell’angelo (iniziato nel ‘69 e
terminato il 5 novembre del ‘70). Possono essere tutti considerati come romanzi singoli, ma
a collegarli vi è un personaggio che compare in tutte le storie e che ritrova in tutti i
protagonisti la reincarnazione di un vecchio amico.
Mizuage Kyoaki = personaggio che muore ogni volta e che si reincarna in ogni volume e che
viene riconosciuto ogni volta dall’amico Honda Shigekuni per via di due nei sul braccio.
Temi = sogno e metempsicosi = cultura Giapponese, buddismo, psicologia,
psicoanalitico,ecc…

Nel 1967, Mishima completa il secondo volume della tetralogia: a briglia sciolta (Honba),
pubblicato a puntate nel 1968; opera che ritrae l'ultranazionalista Isao combattere lo status
quo negli anni '30.

Mishima mirava da tempo a vincere il Premio Nobel per la letteratura scegliendo i suoi
traduttori e curando i suoi rapporti con giornalisti, critici ed editori stranieri. Nell'ottobre 1968,
tuttavia, apprende che il premio è stato invece assegnato al suo vecchio amico e mentore
Kawabata Yasunari. Ne è felice ma lo rimpiange perché sa che non ci sarà un’altra
occasione per lui, dato che già sta programmando il colpo di stato assieme al suo esercito
dove, appunto, si sarebbe tolto la vita. Esercito che, sotto il nome di Tate no kai (società
degli scudi), Mishima fonda nel 1968. Era un piccolo esercito privato, quasi una sorta di
setta, dove lui era a capo (creato anche con lo scopo da appagare la sua fantasia di vivere
una vita da guerriero).
Molti membri del pubblico e dei media consideravano questo gruppo composto da studenti
universitari disarmati e di destra (che, come Mishima, professavano fedeltà all'imperatore)
come uno scherzo, ma la JSDF permetteva comunque loro di allenarsi con il loro campo di
addestramento.
Nella primavera del 1970 Mishima completa la serializzazione di Il tempio dell’alba (Akatsuki
no tera), ovvero il terzo volume della tetralogia.
Mentre infuriavano massicce discussioni pubbliche sull'imminente rinnovo del Trattato di
sicurezza USA-Giappone, Mishima inizia quelli che sarebbero stati gli ultimi compiti della
sua vita sia nella sfera militare che in quella letteraria. Con un gruppo ristretto di membri
della Società dello scudo, pianifica un'azione politica decisiva in reazione alla costituzione
del Giappone in tempo di pace e, nel mentre, lavora febbrilmente all'ultimo libro della
tetralogia, La decomposizione dell’angelo (Tennin gosui), opera che completa quello stesso
anno, ovvero un anno in anticipo a quanto programmato
Ma sebbene Mishima abbia provato molte volte la sua morte e abbia chiarito nei suoi scritti,
film, opere teatrali e fotografie il suo fascino per l'estetica della “bella morte", poche persone
si aspettavano che avrebbe effettivamente oltrepassato il limite, sorprendendo il mondo
quando, il 25 novembre 1970, compie il suo tanto agognato colpo di stato.
Tutto inizia il 14 novembre quando Mishima incontra 4 adepti tra cui Morita, il suo braccio
destro e probabile amante, ed espone loro i suoi piani (suicido + colpo di stato). In oltre gli
spiega che il loro compito è quello di non suicidarsi e di raccontare l’importanza della società
degli scudi alla polizia che sicuramente li avrebbe arrestati.
Così deciso, la mattina del 25 novembre Morita e gli altri 3 adepti, vestiti in uniforme, si
incontrano con Mishima che dà loro i soldi per gli avvocati e una lettera in cui egli si prende
tutta la responsabilità dell’azione.
Si recano quindi al quartier generale delle Forze di autodifesa di Ichigaya (Tokyo), dove
riescono a convincere il comandante Matsuda a farli entrare e per farlo, poi, loro prigioniero.
Mishima compare quindi sul balcone per il suo proclama alle 12 in punto, con la bandiera
ecc…e comincia a spiegare i suoi ideali, dei torti della costituzione del dopoguerra, degli
Stati Uniti e della resistenza in nome dell'imperatore, ma le cose non vanno come previsto
infatti, anziché ascoltare in silenzio, i presenti cominciano ad urlargli contro e a insultarlo,
inoltre la sua voce è ulteriormente coperta dal rumore degli elicotteri dei giornalisti. Per tale
motivo Mishima decide di non finire il suo discorso ma di procedere direttamente con il suo
suicidio. Ma anche in questo caso non tutto volge per il meglio, infatti non solo Mishima non
riesce a tagliarsi bene la pancia, ma neppure Morida riesce bene con la decapitazione, tanto
che sarà un altro adepto a completare l’azione. Preso dallo sconforto e dalla vergogna,
anziché consegnarsi alla polizia secondo quanto avevano deciso, anche Morida si
ammazzerà allo stesso modo di Mishima.
Nonostante la sua morte sia stata molto poco eroica, Mishima riesce comunque a realizzare
il suo sogno ovvero quello di “non morire, ma di vivere per sempre.”
La notizia finisce su tutti i giornali diventando una delle date indelebili della storia del
Giappone.

La grande opera finale in più volumi di Mishima, Il mare della fertilità, descrive le vite
intricate di cinque personaggi principali nell'arco del ventesimo secolo, e spazia da Nara alla
Thailandia. Enfatizzando i temi della reincarnazione e della trasmigrazione, Mishima
ripercorre la vita di un uomo di nome Honda dalla giovinezza (nel romantico neve di
primavera) alla vecchiaia ( la decomposizione dell’angelo), mentre incontra e cerca le
quattro persone che sono reincarnazioni di un unico essere. Un neo sul braccio funge da
segno di autentica reincarnazione. Nel primo volume, questo essere si manifesta in Kiyoaki,
un bellissimo ragazzo ricco innamorato di Satoko, una donna promessa a qualcun altro; in
Briglia sciolta, forse il volume più drammatico, è Isao, un giovane di destra coinvolto in una
ribellione degli anni '30 in nome dell'imperatore.
Mishima si è recato in Thailandia per fare ricerche su Il tempio dell’alba, che presenta una
principessa thailandese che porta il segno della reincarnazione. Il volume finale mostra
Honda che affronta la disillusione quando Toru, l'uomo che sembra essere la reincarnazione
di Kiyoaki, potrebbe essere un falso, e Satoko, ora un'anziana suora in un tempio buddista,
afferma che Kiyoaki non è mai esistito. Alla fine di La decomposizione dell’angelo, Honda si
trova nel giardino di un tempio: “Il giardino era vuoto. Era arrivato, pensò Honda, in un posto
che non ha ricordi, niente. Il sole meridiano dell'estate scorreva sul giardino immobile” (236).
Questo famoso passaggio di chiusura riecheggia la scelta di Mishima per il titolo
paradossale della tetralogia - il Mare della Fertilità, che è in realtà un'area arida e senza vita
della luna - così come il nichilismo che ha tentato Mishima per tutta la vita.
La sua scelta di una forma di morte pubblica anacronistica gli ha permesso di presentarsi
come un uomo d'azione nietzschiano per eccellenza, e di uscire dal palco come l'esecutore
spettacolare che era sempre stato, ma significava anche che la sua opera letteraria sarebbe
stata letta per sempre all'ombra di quell'ultimo atto.

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