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I BUDDENBROOK di THOMAS MANN

È il primo grande romanzo di Mann che costituisce, secondo Stanislao Mittner, ” per il suo
contenuto psicologico- sociale, per la geniale architettura, per la sua impostazione stilistica, una
summa dell’Ottocento borghese e, insieme, un’anticipazione dei tempi nuovi.” Romanzo che
consacrò il nome di Mann, appena 26enne, non solo in Germania ma anche in tutta Europa.
Origini e modelli del romanzo
Le origini letterarie di questo romanzo vanno ricercate negli intensi studi e letture effettuati da Mann sulle opere
di Émile Zola. Il ciclo de I Rougon-Macquart comprendeva appunto la storia di una famiglia allargata distribuita
su venti romanzi. Ulteriore fonte di ispirazione furono due autori nordici come Jonas Lie e Alexander
Kielland noti per le loro saghe di famiglie di estrazione borghese. Oltre a Zola e ai romanzi familiari di Kielland e
Lie, altri modelli importanti per Mann furono i libri dei fratelli Jules e Edmond de Goncourt, in
particolare Renée Maupérin, e quelli di Paul Bourget.
Come nasce il romanzo?
L'editore delle prime novelle di Mann, Samuel Fischer, sollecita Mann a impegnarsi in qualcosa di
grosso, che alla fantasia di Thomas appare ben presto come qualcosa di simile a ciò che Zola ha
disperso in un gran numero di libri troppo documentari e centrifughi, vale a dire la storia di
un'intera famiglia, tutto ciò nel corso di 4 generazioni, ossia un quarantennio. La prima idea di Mann
fu così di un racconto autobiografico, sulla prima parte della sua vita. Presto però Mann cominciò ad affiancare
all'infanzia e all'adolescenza di Hanno Buddenbrook eventi antecedenti, riguardanti la sua famiglia. Il contenuto
autobiografico, dunque – come in quasi tutte le opere di Mann- è molto consistente: trae infatti
ispirazione dalla propria storia familiare e dal milieu sociale che frequentò in gioventù.
Tra il 1896 e 1898 i fratelli Mann soggiornano in Italia, a Roma e a Palestrina, e ciò fornisce a
Thomas l'ispirazione per scrivere il romanzo che aveva in mente insieme al fratello Heinrich (che si
era già cimentato nel genere letterario) quasi a regalare alla Germania un'edizione lubecchese-
monacense dei fratelli Gouncourt. Essendo più grande di quattro anni e essend dunque in grado di
ricordare più dettagli sulla storia di famiglia, Heinrich, secondo Thomas, avrebbe dovuto occuparsi
della parte storica e di ricerca del materiale, mentre ritagliava per sé la descrizione psicologica. Alla
fine l'idea di un romanzo a 4 mani fu accantonata, ma il materiale raccolto da Heinrich gli fu
ugualmente utile.
Rientrato a Monaco, Mann continua la stesura. Aveva previsto un romanzo di lunghezza media, ma
alla fine si trova davanti un libro che supera le 700 pagine fitte. Tuttavia non sente di essere
prolisso, semplicemente la storia era più ricca e ramificata di quanto avesse supposto. Il voluminoso
manoscritto viene spedito all'editore nell'agosto del 1900 assicurandolo per una somma spropositata
(mille marchi). Fischer pur accorgendosi della qualità intrinseca dell'opera, ebbe delle perplessità sulla
pubblicazione contestandone l'eccessiva lunghezza. A Mann vengono perciò proposti dei tagli vigorosi ma lui, che
ormai aveva scoperto il proprio valore, seppre dimostrare a Fischer che il romanzo aveva un senso solo nella sua
interezza e riuscì ad averla vinta: finalmente, nell'agosto del 1901, uscì la prima edizione de I Buddenbrook,
pubblicata su due volumi, tuttavia troppo costosa per il lettore medio. L'editore decise così di stamparne una
versione economica in un solo volume con un'indimenticabile copertina di Wilhelm Schulz: da quel momento le
vendite aumentarono velocemente.
A Lubecca le copie del libro andarono a ruba (per gli standard dell'epoca); tantissimo infatti fu lo stupore e la
curiosità derivante dal fatto che il figlio di un senatore avesse scritto della propria famiglia, per di più in termini
non lusinghieri. Per la città giravano voci di come ogni personaggio del romanzo avesse il suo corrispondente, il
suo modello reale, tra i membri (presenti o passati) della famiglia Mann. I Buddenbrook divenne immediatamente
un best seller e con il tempo uno dei più tenaci longsellers della letterature mondiale, il romanzo che lanciò nel
mondo la narrativa tedesca moderna.
L'autore
Mann nasce nel giugno 1875 in quella venezia nordica che è Lubecca da una famiglia alto-borghese dedita al
commercio delle granaglie.Suo padre è senatore responsabile delle entrate fiscali di Lubecca (dal 1871 città
indipendente all'interno del Reich germanico): un titolo che, in quella città priva di ceto aristocratico, equivale a
quello di patrizio. I Mann vivono da gente facoltosa e di gusti raffinati e abitudini costose (ricevimenti,
villeggiature al mare, palco a teatro). Thomas dunque cresce in un ambiente alto-borghese intriso di spirito
protestante. Si suole pensare ai Mann come a una famiglia tutta nordica, ma non è del tutto vero. La madre di
Thomas è di origine mezzo-brasiliana – una creola insomma. Mann metterà sempre in rilievo questa eredità
meridionale, sudamericana: in alternativa, o in contrapposizione, a quella settentrionale e teutonica.
Il padre è l’incarnazione del borghese ligio al proprio dovere, attento al decoro personale e della
famiglia, dedito al lavoro e all’azione, mentre la madre possiede un temperamento totalmente
diverso, è una sognatrice, ama e coltiva l’arte e la musica. Il temperamento di Thomas Mann nasce
proprio dall’influenza, ugualmente determinante, del carattere paterno e di quello materno. Lo
scrittore tedesco, del resto, dichiarerà sempre di aver ereditato dal padre il senso del dovere e la
serietà nel lavoro e dalla madre la sensibilità artistica e la tendenza all’introspezione. Dall' unione di
due elementi così diversi, quello paterno borghese, protestante e tedesco e quello materno,
fantastico, musicale e mediterraneo Thomas Mann amò attribuire la sua natura di «artista borghese»
destinato a vivere, soffrire e ricomporre le contraddizioni spirituali che in essa erano presenti.
Nasce a Lubecca nel 1875
Eredità paterna ed eredità materna: “artista borghese
Morte del padre e trasferimento a Monaco (1891)
Viaggio in Italia (1896) --- Mann inizia a scrivere i Buddenbrooks
Principali influenze: Nietszche, Schopenauer, Wagner e Goethe
Matrimonio nel 1905: fine della boheme artistica
Nel 1929 ottiene il Premio Nobel per la letteratura
Esilio volontario in seguito all'avvento di Hitler
Muore nel 1955 in Svizzera

Alla sua morte nel 1891 Thomas ha appena 16 anni, e col padre muore anche la ditta commerciale e finisce per i
Mann il periodo di Lubecca (il quale tuttavia resterà per Mann un “forma di vita spirituale” che lo influenzerà nel
suo percorso di uomo e di scrittore). Il fratello Heinrich si reca in Italia mentre Thomas e il resto dei giovani Mann
segue la madre a Monaco, la più “latina” delle città tedesche, nonché la più amica delle arti, abituata alla presenza
di pittori e scultori, fervida di salotti e caffè letterari, ricca di giornali e riviste tra il culturale e il satirico: insomma
una città dove gli intellettuali hanno ampio spazio ed esercitano il loro dominio.
Sono questi gli anni della boheme di Thomas Mann, della ribellione antiborghese, che tuttavia durerà poco e gli
frutterà una sola novella. Del resto, anche la serenità economica conferitagli dal patrimonio paterno e il privilegio
di potersi dedicare unicamente alla propria formazione e carriera artistica non era vissuto in maniera
aproblematica, poiché in qualche modo entrava in conflitto con l'etica borghese del lavoro e del dovere derivanti
dalla sua origine sociale.
Thomas, dopo un breve praticantato in una società assicurativa, frequentà l'università con attenzione alquanto
distratta, ma soprattutto si scopre e viene considerato scrittore dopo la pubblicazione nel 1894 in una importante
rivista letteraria (Die Gesellschaft) un racconto “Gefallen” (Perduta). Oltre a una discreta rendita derivata dalla
liquidazione della ditta paterna, Thomas percepisce uno stipendio dal famoso foglio satirico Simplicissimus, di cui
è redattore (1898-1900). Dunque è ormai inserito in quel mondo: frequenta caffè dove si discute di naturalismo e
simbolismo, partecipa a spettacoli teatrali inscenati da dilettanti (lui stesso reciterà durante la prima
rappresentazione tedesca dell'Anatra selvatica di Ibsen), stringe amicizie con persone che contano. Considera
come suoi maestri (già dai tempi di Lubecca) Richard Wagner, che tanto influenzerà il suo stile, Nietzsche (di cui
ignorerà l'egotismo vitalistico, concentrandosi su di lui in quanto moralista spregiudicato e analizzatore del
tramonto borghese), Schopenhauer. Studierà Zola e Bourget: il primo, autore della moderna, naturalistica epopea
di una famiglia, il secondo, descrittore di quel fenomeno patologico che è la decadenza – individuale e sociale- del
tardo Ottocento.
>>>i binomi fondamentali che stanno alla radice della vicenda culturale di Mann e che si possono riassumere
con le parole di Lelio Cremante “da un lato la nostalgia per un borghesismo che è per lui sinonimo di
vita semplice, chiara, dignitosa; dall’altro il fascino decadente per tutto ciò che è disordinata e
morbosa avventura spirituale.”
Il 1896 vede Thomas Mann viaggiare in compagnia del fratello Heinrich in Italia.
Contemporaneamente scoprirà il pensiero di Nietszche e di Schopenhauer. In particolare l'incontro
con la filosofia schopenaueriana costituirà per il giovane scrittore un'esperienza sconvolgente (il
pensiero di Schopenhauer è fondamentale nei Buddenbrook: la lettura di alcune pagine di Il mondo
come volontà e rappresentazione arriveranno addirittura a sconvolgere uno dei protagonisti del
romanzo, Thomas). In Italia nel 1897 inizia a scrivere i Buddenbrook, che verranno pubblicati nel
1901. Nel 1905 sposa Katia Pringsheim: matrimonio che sancisce il definitivo abbandono della
boheme artistica e l'intregrazione nelle strutture borghesi. Questo rientro nella normalità borghese è
decisivo per lo scrittore che da sempre doveva fare i conti con la sua doppia natura: quella seria e
rigorosa ereditata dal padre e quella sognatrice che gli proviene dalla madre. Dunque inizia una
nuova vita che senza rinunciare alla creatività artistica viene scandita da ritmi precisi, gli stessi che
secondo il padre erano fondamentali per svolgere bene il proprio lavoro.
Nonostante la vita appartata, Thomas Mann diviene sempre più conosciuto, anche grazie alle
numerose conferenze che tiene in tutta Europa. Nel 1929, a pochi anni dalla pubblicazione de La
Montagna incantata, ottiene il premio Nobel per la letteratura. Nel 1933 le aperte ostilità nei
confronti del Nazionalsocialismo convincono Mann a lasciare la Germania. Inizia il periodo
dell’esilio, che culminerà con la revoca della cittadinanza tedesca da parte delle autorità naziste nel
1936. Dopo aver ottenuto la cittadinanza cecoslovacca e averla conservata per otto anni, nel 1944
Mann diventa cittadino americano. L’addio alla Germania, anzi all’intera Europa, sembra dunque
definitivo. Tuttavia il desiderio di riaffermare il valore della cultura è però troppo forte, e così
Thomas Mann fa ritorno in Europa all’inizio degli anni Cinquanta, per poi giungere a Francoforte
dove, nel 1949, tiene una conferenza su Goethe. Si trasferisce infine in Svizzera, a Zurigo, dove
muore il 12 agosto del 1955.
il titolo
Il libro si intitola Buddenbrooks Verfall Einer Familie (il momento finale del tramonto si riflette,
grazie al titolo ammonitorio, su tutta la corale vicenda, a partire dall'inizio.
Vi è narrata la storia di una famiglia che, nell’arco di quarant’anni anni ( 1835/1875  ) muta
radicalmente il proprio carattere e la propria situazione sociale ed economica fino alla rovina
definitiva: All'etica luterana originale, improntata al lavoro e al dovere da cui originava il lustro politico e
mercantile, subentra una progressiva inquietudine e indolenza che emergono definitivamente nella fragilità
dell'ultimo rampollo, Hanno.
Il sottotitolo è "Decadenza di una famiglia" (Verfall può essere tradotto anche come "declino" e “rovina”). Il tema
della caduta era già stato affrontato da Thomas Mann nel 1894 nella sua prima novella intitolata appunto Gefallen.
Il romanzo comincia nel momento migliore della famiglia e lentamente ne illustra il declino. Nonostante le
fortune aziendali siano alterne, e non manchino le perdite, la rovina non ha ragioni economiche.
La famiglia, seppur impegnata politicamente e in società, sembra vivere in una dimensione propria. Questo fa
capire che la loro rovina sia dovuta principalmente a cause interiori, perché gli eventi esteriori (tra cui anche la
guerra austro prussiana)sembrano quasi sfiorarli.

I motivi del successo


L'idea della decadenza in un romanzo di ambiente borghese non era affatto nuova, dato che Zola, Bourget e tanti
altri avevano già trattato questo tema. La novità che Mann introduce con I Buddenbrook è che al processo di
decadenza di una famiglia della borghesia mercantile lubecchese si affianca una attenta ricostruzione sociale e
soprattutto un importante e notevole approfondimento delle componenti psicologiche dei personaggi, in
particolare Hanno, Tony e Tom.Rimane invece ai margini del libro la ricostruzione storica del periodo
trattato (1835-1877).
I Buddenbrook è un romanzo d'impianto ottocentesco, che contiene una ampia e accurata
descrizione del quadro sociale del periodo in cui si svolgono le vicende:il culmine estremo del
realismo ottocentesco e la nascita di quella caratterizzazione psicologica dei personaggi
squisitamente novecentesca.

Tema della decadenza nei Buddenbrook


Le undici parti in cui il romanzo si divide narrano questo lento ma inesorabile processo di
disgregazione di un mondo che sembrava costruito per durare in eterno. I rappresentanti della
famiglia Buddenbrook, da sempre dedita al commercio nell’antica città mercantile di Lubecca,
riveleranno a poco a poco nei loro volti, nel loro comportamento e nei loro pensieri, le tracce di un
dissesto che non sarà soltanto economico e sociale ma innanzitutto spirituale e individuale.
La decadenza che si insinuerà nell’apparente solidità di questa famiglia borghese mostrerà in un
primo momento il proprio volto meno spaventoso, quello del raffinamento dello spirito che porterà i
più giovani tra i rampolli dei Buddenbrook a disinteressarsi degli affari di famiglia per dedicarsi alla
musica e al teatro, ma infine si rivelerà in tutta la sua carica distruttrice e foriera di morte,
trascinando nella tomba l’ultimo giovanissimo esponente della famiglia: man mano che si procede
nelle generazioni si accresce il desiderio di distacco dalla vita finché nel rappresentante dell’ultima
generazione c’è solo amore per la morte. Enrico de Angelis scrive che i Buddenbrook descrivono la
decadenza di una famiglia e l'accettazione di quanto la decadenza comportava in termini di
raffinamento dello spirito e mancanza di presa sulla vita.

L’atmosfera in cui conduce la prima parte del romanzo, ambientata nell’ottobre del 1835, è però
tutt’altro che decadente. Al contrario, in essa si respira un’aria di forza e luminosa potenza
incarnantesi nella figura del patriarca della famiglia, l’ormai anziano console Johann Buddenbrook.
In compagnia della moglie Antoinette, del figlio Jean e della nuora Elisabeth, il vecchio
commerciante attende gli ospiti che sono stati invitati all’inaugurazione della nuova grande dimora
di famiglia. Sono tutti riuniti per festeggiare la fortuna dei Buddenbrook e quella nuova casa, frutto
del lavoro e della forza del console.
Johann Buddenbrook è un uomo che vive solo nel presente. Non conosce il passato, non ricorda
nemmeno la data di costruzione della casa appena acquistata. La sua vita è tutta proiettata
nell’attimo presente, quello in cui la vita pulsa di ogni possibilità e promessa. Se non fosse così, se
la sua mente indugiasse in altro al di fuori del momento immediato, la sua forza svanirebbe.
Rosenbrock, nella sua analisi dell'opera manniana, osserva come Johann Buddenbrook senior possa
essere considerato la personificazione letteraria della volontà schopenaueriana. Con la sua morta
inizia la decadenza di una famiglia i cui esponenti non saranno più in grado di aderire alla vita con
la stessa forza e la stessa passione del vecchio patriarca. Eppure anche nella vita di quest’uomo
all’apparenza tanto energico c’è un lato oscuro, un cupo e cocente dolore che pure il vecchio
Buddenbrook ha tentato più volte di dimenticare: la morte della prima moglie, Josephine, con la
quale aveva vissuto il periodo più felice della sua vita e deceduta dando al mondo il primogenito
Gotthold che ormai vive lontano da tempo ma che ricorrentemente si fa vivo per chiedere al padre
somme di danaro. La reazione di Johann Buddenbrook alle reiterate richieste del figlio, è di rifiuto;
egli non vuole ricordare, non vuole pensare a questo figlio lontano, non vuole nemmeno prendere in
considerazione le sue pretese (lo stesso Mann scrive come Johann odiasse il figlio e non lo
perdonasse per la morte dell'amata moglie).
La seconda parte del romanzo prende avvio nel 1838. Jean Buddenbrook, il figlio di Johann, siede
alla scrivania e consegna alle pagine del diario di famiglia, da lui stesso gelosamente custodito, la
lieta notizia di un nuovo nato. Si tratta di Clara, la quartogenita di Jean e Elizabeth. Vi è un accenno
alla religiosità di Jean (assente nel padre) . Jean ringrazia infatti ripetutamente Dio per aver voluto
donare alla famiglia un nuovo nato, così come in passato lo ha ringraziato per averlo aiutato in tanti
momenti difficili. Jean è un uomo certamente più riflessivo del padre ma non giunge mai a un
livello di introspezione tale da fargli dimenticare il suo ruolo di capofamiglia e di imprenditore.
Proprio in questa seconda parte della vicenda Thomas Mann si sofferma a presentare i figli della
coppia: Antonie, detta Tony, Thomas e Christian. Questi primi accenni al carattere dei giovani
Buddenbrook sono molto importanti, perché in essi è possibile cogliere le prime tracce di quella
decadenza che costituisce un orizzonte assolutamente lontano nella prima parte del romanzo. In
particolare emerge il contrasto tra i due figli maschi, Thomas e Christian: quest'ultimo era lunatico,
esuberante, inquieto, mentre Thomas è equilibrato, intelligente, solido, pertando il padre e il nonno
fanno affidamento su di lui per quanto riguarda il futuro della ditta. Tuttavia anche in Thomas
covano i germi della decadenza.
Dopo la morte del patriarca, Tony viene mandata in collegio poiché con il passare del tempo è
divenuta troppo vanitosa e vivace; altrettanto preoccupante è l'esuberanza di Christian (che suscità
l'ilarità di tutta la buona società cittadina per essersi presentato nel camerino di un attrice con dei
fiori).
La terza parte è incentrata su Tony, ormai in età da marito, e alla sua lacerazione interiore tra la
consapevolezza della sua responsabilità nei confronti della famiglia e della ditta (cioè sposare un
buon partito, in questo caso rappresentato dall'agente di commercio amburgese Bendix Grunlich) e
l'amore sincero per un uomo non ricco, lo studente di medicina Morden Schwarzkompf. Il padre le
scriverà: “figlia mia, noi non siamo nati per quella che con occhi miopi reputiamo la nostra piccola
felicità personale...non siamo creature sciolte, indipendenti e autonome, ma anelli di una catena, e
non saremmo come siamo senza la serie di persone che ci ha preceduto e ci ha mostrato la via”,
cosicchè, tornata dal suo soggiorno a casa Schwarzkompf a Travemunde accetterà il proprio ruolo
nella storia della famiglia. Allo stesso tempo anche Tom, in procinto di partire per Amsterdam,
dovrà dire addio alla giovane fioraia Anna: anche Thomas sa che la sua vita è segnata e che dovrà
trovare una sposa del suo rango. Thomas è il personaggio che più si impegna a mantenere
l'equilibrio.
Nella quarta parte del romanzo casa Buddenbrook comincia a presentare alcune crepe, segno di un
movimento discendente che ha iniziato il suo corso e non potrà più essere interrotto. Il matrimonio
tra Tony e Grunlich non procede bene, poiché sembra che l'uomo non garantisca una vita agiata a
Tony e alla figlia nata da poco, Erika, e si scopre che in realtà si trovava pieno di debiti e vicino alla
bancarotta e aveva falsificato i propri conti per convincere la famiglia Buddenbrook a dargli in
moglie la figlia per ottenerne la dote: insomma un complotto orchestrato ai danni di Jean e della
famiglia. Tony deve mantenere intatta la dignità della ditta e della famiglia, l'anello della catena
deve reggere, non può spezzarsi: così torna a casa con il padre e la figlia e avvia le pratiche per il
divorzio. Qualcuno in città chiacchiererà, ma presto tutto cadrà nell'oblio e la normalità sarà
ristabilita, pensa Tony. Il console Jean è ormai anziano, ma conta sul primogenito Thomas, del quale
alcuni tratti del carattere cominciano a essere svelati. Jean si preoccupa non solo della sua salute
cagionevole ma anche l'interesse che nutre per la letterature, che questi giudica con severità.
Tuttavia Thomas sa che certi interessi per l'arte non devono interferire con l'attività commerciale e
pertanto, alla morte del padre, egli è pronto a prendere in mano le redini della ditta. Tuttavia non si
deve pensare che in Thomas la vita pulsi come nel nonno e nel padre: Tom è il primo Buddenbrook
che si pone dei dubbi sulla sicurezza della sua situazione, che vive con ansia anche le più piccole
perdite, che soffre terribilmente lo stress dei suoi mille impegni politici ed economici .
Per quanto riguarda Christian, torna a casa dopo un periodo di otto anni passati all’estero. Agli
occhi di Thomas l’amore del fratello per il teatro rappresenta un pericolo. E poi c’è anche la musica:
Christian ha iniziato a suonare l’harmonium anche se il suo senso musicale lascia molto a
desiderare e del resto la musica non è mai stata coltivata da nessun esponente della famiglia .
Christian rappresenta un problema: “Gli manca quello che si potrebbe definire equilibrio,
l’equilibrio personale. Da un lato non è in grado di controllarsi di fronte alle ingenuità e alle
indelicatezze degli altri… Non ne è capace, non sa dissimulare, perde completamente la padronanza
di sé… Ma d’altro canto può perdere la padronanza di sé a tal punto da tirar fuori anche lui le
chiacchiere più sgradevoli e parlare dei suoi fatti più intimi . Christian è semplicemente troppo
preso da se stesso, da quello che succede nel suo intimo”. Quello tratteggiato da Thomas è
chiaramente il ritratto di un decadente. La decadenza, esattamente nei termini intuiti e formulati
da Paul Bourget, è un processo che porta l’individuo a chiudersi in se stesso, a coltivare se stesso
fino a distaccarsi completamente dal mondo circostante: esattamente quello che accade a Christian
Buddenbrook.I pericoli di una eccessiva introspezione sono del resto noti anche a Thomas, perché
vi ha indugiato anche lui in certi momenti della sua vita passata . «Anch’io ho riflettuto a volte su
questo inquieto, vanesio e curioso lavorio su di sé, perché in passato io ho pure avuto questa
inclinazione. Ma ho notato che rende irresoluti, inetti e instabili… e per me la capacità di controllo,
l’equilibrio, sono la cosa principale....noi non siamo che semplici commercianti, le nostre
autoanalisi sono disperatamente trascurabili”
Da una parte la vita, dall’altra lo spirito. Questa contrapposizione,costituisce il vero leitmotiv del
romanzo di Thomas Mann. Laddove la vita prevale sulla riflessione, laddove l’individuo agisce
ponendosi poche domande, ebbene lì vi sono salute e forza. E dunque vittoria. Ma quando è il
pensiero a prevalere, quando la consapevolezza e l’autoanalisi prevalgono sull’azione, lì si troverà
soltanto la malattia. E quindi sconfitta e infine morte. Ecco dunque che Thomas tenta di inserire il
fratello negli ingranaggi della ditta, affidandogli dei compiti di non eccessiva responsabilità e
sperando che in questo modo Christian maturi, si liberi delle proprie fisime intellettuali e spirituali e
divenga finalmente anche lui un vero Buddenbrook . A rasserenare la mente preoccupata di Thomas
interviene dopo qualche tempo una novità: Clara, la sorella più giovane, si fidanza e poi si sposa
con Siever Tiburtius. Thomas è entusiasta della notizia, un buon matrimonio è forse quello che ci
vuole per riportare un po’di serenità a casa Buddenbrook, e inoltre anche lui ha trovato una
fidanzata. Si tratta di Gerda Arnoldsen fanciulla bellissima e di ottima famiglia anche se con
qualche passione non proprio comune, prima tra tutte l’amore per la musica e il violino. Eppure,
nonostante la diversità di carattere e temperamento, Thomas decide di sposarla . All’uomo sembra
così che un nuovo sole sia sorto e risplenda sulla famiglia e anche sulla ditta, che aumenta
notevolmente il suo fatturato .
Nella sesta parte del romanzo, il dissidio tra i due fratelli Buddenbrook emerge però in tutta la sua
drammaticità. Thomas tenta nuovamente di inserire il fratello nella vita della ditta di famiglia, ma
tutto si rivela inutile. Christian dimostra di non avere alcun interesse per gli affari e il commercio, e
quel che è peggio non si cura minimamente del nome della famiglia, che anzi contribuisce a
denigrare con la sua condotta riprovevole da ozioso viveur. Un giorno tra i due fratelli scoppia una
lite furiosa. Thomas accusa il fratello di essere un perdigiorno e di rendersi ridicolo agli occhi
dell’intera città. Christian: “È questa la differenza tra di noi, vedi. Anche a te piace andare a teatro e
anche tu, detto tra noi, in passato hai avuto i tuoi amorazzi e anche a te per un certo periodo è
piaciuto leggere romanzi e poesie e cose del genere… Ma hai sempre saputo combinare tutto con il
lavoro ben fatto e la serietà della vita… Io non ne sono capace, vedi. Vengo completamente
assorbito dal resto, dalle futilità, sai, e non mi resta energia per le cose ben fatte… Non so se mi
capisci…»
La rottura tra i due fratelli sembra irreparabile. . Un Buddenbrook non appartiene soltanto a se
stesso ed è dovere salvare le apparenze, per questo Thomas manda il fratello Christian ad Amburgo.
Nel frattempo Tony conosce un commerciante di luppolo bavarese, il signor Alois Permander, con il
quale si fidanza e poco tempo dopo convola a nozze. Le seconde nozze della giovane Buddenbrook,
così pensa Thomas, serviranno anche a restituire alla famiglia intera il rispetto della comunità
cittadina, ancora scossa dal primo turbolento matrimonio della ragazza e dal successivo divorzio.
L’idillio, però, dura pochissimo. Una sera Tony scopre il marito completamente ubriaco mentre
molesta una domestica, disperata scrive al fratello per ottenere da lui il permesso di divorziare. Per
la seconda volta Tony e la figlia fanno ritorno a casa .
Nella settima parte del romanzo fa la propria comparsa Johann ( detto Hanno), il figlio di Thomas e
Gerda. Per nascere, il bambino ha dovuto lottare e c’è stato addirittura un momento in cui i genitori
hanno perso le speranze . Thomas ha un disperato bisogno di percepire che la vita scorre ancora
nelle vene della famiglia Buddenbrook, che l’antica forza non se ne è andata. Su quel bambino ha
deciso di riporre ogni speranza .
Un’altra sciagura non tarda però ad abbattersi sulla famiglia: Clara si ammala gravemente e in poco
tempo muore. Malattia e morte sembrano essere divenuti ormai ospiti abituali nella grande casa
dei Buddenbrook. Se qualcuno, come ad esempio Thomas, cerca con tutte le sue forze di combattere
il male che pur vede crescere anche dentro di sé, qualcun altro, come Christian, alla malattia si
lascia andare completamente e quasi con un senso di compiacimento. Un evento felice, un altro,
sembra concedere respiro a Thomas: il matrimonio della nipote Erika con Hugo Weinschenk . C’è
poi un’altra preoccupazione che angustia Thomas. Si tratta di suo figlio, quel bambino così strano,
così taciturno che da qualche tempo ha iniziato a soffrire anche di disturbi del sonno. Anche gli
affari iniziano ad andare male, molto male, e la ditta Buddenbrook sembra aver perso la solidità di
un tempo. Le crepe, quelle crepe che inizialmente avevano fatto la loro comparsa soltanto
all’interno della vecchia casa di famiglia, ora iniziano a comparire anche tra le mura dell’azienda.
Nonostante tutta la resistenza opposta fino a questo momento, Thomas si vede costretto dopo tanto
tempo a riflettere ..Thomas, che già in passato ha avuto il sospetto di non essere poi tanto diverso
dal fratello, si trova improvvisamente di fronte a una realtà che non riesce più a rimanere nascosta:
anche lui è diverso, diverso dal padre, dal nonno, diverso da tutti i Buddenbrook che lo hanno
preceduto. La sua forza, quella dimostrata in tanti anni di studio e poi di lavoro, non è stata che una
rigorosa e difficile autoimposizione “Per tutta la vita si era presentato agli altri come un uomo
attivo; ma benché fosse considerato tale con ragione non lo era forse˗ per dirla con il motto
goethiano che citava così volentieri˗ per consapevole riflessione? “
La vita di Thomas è stata un lungo combattimento tra l’azione e la contemplazione, la vita e lo
spirito e a costo di sforzi sovrumani egli è sempre riuscito a far prevalere la forza e la volontà
su ogni tentazione di introspezione e autoanalisi. “Infatti l’esistenza di Thomas Buddenbrook non
era molto diversa da quella di un attore, ma un attore la cui vita, fin nei più piccoli dettagli
quotidiani, sia diventata una rappresentazione, una rappresentazione che, con l’eccezione di pochi
e brevi momenti di solitudine e di distensione, assorbe e logora continuamente tutte le forze”.
Lo sforzo continuo, però, l’ha macerato e ora che gli anni incalzano sente che le energie vengono
meno. Su chi fare affidamento se non su Hanno? Tutto sarebbe molto più semplice se quel bambino
non fosse tanto introverso e sensibile . Inoltre poi ha scoperto la musica e questo è avvenuto certo
per influenza della madre. Si trattasse poi almeno della musica classica tradizionale, quella che può
allietare lo spirito semplice e poco esigente dei borghesi. No, Hanno ama Richard Wagner. la
beatitudine offerta dall’opera di Wagner è tale che permette al piccolo Hanno di dimenticare, anche
se per pochissimo tempo, il dolore dell’esistenza. Non bisogna del resto scordare che l’arte di
Wagner era considerata da Friedrich Nietzsche una tipica espressione dello spirito di
decadenza. La musica di Wagner rappresenta dunque un ulteriore elemento di decadenza che si
insinua nella vicenda narrata da Mann. Che Hanno privilegi proprio la musica di Wagner è
assolutamente incomprensibile per Thomas Buddenbrook. Di più, l’attrazione che la musica esercita
nei confronti del figlio lo terrorizza perché sa che può definitivamente strappare quel bambino alla
realtà e alla concretezza. La situazione in cui si trova Thomas è drammatica: da una parte il fratello
Christian, il simbolo stesso della decadenza dei Buddenbrook, un uomo debole e malato, privo di
volontà, incapace di dedicarsi a un’attività lavorativa seria; dall’altra il figlio Hanno, perso nel suo
mondo di fiabe e musica, e come se non bastasse, la salute di Hanno si fa sempre più cagionevole. A
scuola, poi, i risultati sono disastrosi. Hanno non si trova a proprio agio né con i compagni né
tantomeno con gli insegnanti, che gli appaiono gretti e mediocri, ottusamente severi e incapaci di
suscitare passioni ed emozioni negli studenti. L’unico con cui stringe amicizia è il giovane conte
Kai Möln.
Ciò che preoccupa Thomas sopra ogni altra cosa: rendersi conto che la forza e la volontà, la
capacità di afferrare il mondo con grinta e tenerne la presa con tenacia, hanno abbandonato
definitivamente la famiglia Buddenbrook. Il giovane Hanno è incapace, assolutamente incapace di
vivere nel mondo della realtà e della concretezza. Prendere atto di questo significa per Thomas
comprendere che la china discendente della famiglia Buddenbrook ha raggiunto il punto di non
ritorno: non ci sarà più un Johann Buddenbrook in famiglia .
Per Hanno Il rischio è quello di diventare come lo zio Christian, che il padre non perde occasione di
additare come modello negativo e che ormai è considerato una presenza estranea alla famiglia, da
quando una violenta lite tra i due fratelli è scoppiata al capezzale della madre morente . è
l’introspezione di Christian a essere messa sotto accusa. Thomas l’ha sperimentato sulla propria
pelle: riflettere su di sé e porsi troppe domande non porta a nulla di buono. Se si vuole vivere, e
vivere significa essere attivi, fare, costruire, allora è necessario abbandonare le sciocche e inutili
domande sull’esistenza. Su questa capacità di sotterrare ogni accenno di pensiero e turbamento i
Buddenbrook hanno costruito la propria fortuna .«Tu ti sei conquistato un posto nel mondo, una
posizione rispettata, e adesso te ne stai lì e respingi con freddezza e deliberatamente tutto quello che
per un attimo potrebbe confonderti e turbare il tuo equilibrio, perché la cosa più importante per te è
l’equilibrio […]» (Christian a Thomas)
La fortuna decide di abbandonare Thomas Buddenbrook anche dal punto di vista lavorativo: la ditta
non rende più come una volta, i guadagni sono calati drammaticamente e non resta altro da fare che
vendere la grande casa acquistata dal nonno. Il mediatore incaricato della vendita, Siegismund
Gosch, oltre a stabilire un prezzo di vendita inferiore al valore reale, trova come compratore proprio
l'odiato Hermann Hagenström. Tony vede l'eventuale acquisto come la definitiva vittoria dei
"nemici" della famiglia, e cerca in tutti i modi di dissuadere il fratello, che parla solo di "ironia della
sorte" . Casa Buddenbrook sta crollando, anzi è già crollata all’interno di troppi componenti della
famiglia: Christian, Hanno… e lo stesso Thomas. C’era in lui un senso di vuoto, e non vedeva alcun
progetto stimolante né alcun lavoro che lo appassionasse e a cui potersi dedicare con gioia e
soddisfazione. Ma la sua spinta all’azione, l’incapacità della sua mente di trovare requie, il suo
dinamismo, che era sempre stato fondamentalmente diverso dal naturale e costante amore per il
lavoro dei suoi padri, non lo aveva abbandonato, lo dominava sempre più, aveva preso il
sopravvento e diventava un martirio, disperdendosi in una massa di futilità.
Un pomeriggio, quasi per caso, Thomas prende dalla biblioteca di casa un libro. Il libro è Il mondo
come volontà e rappresentazione e il suo autore è il filosofo Arthur Schopenhauer. In realtà Thomas
Mann non nomina né il pensatore tedesco né tantomeno la sua opera, ma le riflessioni di Thomas e
le sue considerazioni, lasciano intuire che si tratti proprio del capolavoro di Schopenhauer e
precisamente del passo in cui il filosofo tratta della morte intesa come superamento dei limiti
individuali. Si tratta certamente di uno dei passi più importanti del romanzo: Thomas, l’uomo che
agli occhi dei famigliari, degli amici e dei concittadini rappresenta la vita, la salute, l’azione, scopre
una filosofia di morte “La morte era felicità, così profonda che poteva essere giudicata solo in
momenti di grazia come quelli. Era il ritorno da un labirinto indicibilmente tormentoso, la
correzione di un grave errore, la liberazione dai vincoli e dai limiti più avversi˗ rimediava a un
incidente deplorevole”. L’esistenza individuale, con tutti i suoi affanni, i suoi dolori e le sue lotte
quotidiane per la sopravvivenza, non ha alcun senso: ecco il messaggio delle pagine di Arthur
Schopenhauer che sconvolgono improvvisamente la vita di Thomas Buddenbrook. Egli comprende
che la sua vita individuale non conta nulla, non ha alcun significato, l'individualità è solo
un'illusione.
Hanno rappresenta la fase terminale del processo di decadenza. Nasce a fatica, fin dalla prima
infanzia presenta malattie di ogni tipo, è debole nel fisico. Ma soprattutto non ha la tempra dei
Buddenbrook, manca totalmente anche di quella parvenza di forza che il padre ha millantato per
tutta la vita. Hanno è l’individuo che, schopenhauerianamente, ha sollevato il velo di Maja e ha
visto la realtà per quello che è: sofferenza, irrazionalità, dolore. Il solo rifugio lo trova nella propria
interiorità, ma così facendo si condanna alla morte. Privo di qualsiasi maschera formale o idealistica
come suo padre e i suoi avi, Hanno percepisce la realtà unicamente come sofferenza o angoscia, e
solo nella musica trova una «felicità», una «pace», una «beatitudine» destinate a svanire in un
attimo.
La sua inettitudine, tanto più poeticamente risalta in quanto diviene icona di un’intera epoca che
tramonta, schiacciata dal peso dei suoi riti, dei suoi mascheramenti, dei suoi valori opprimenti. Del
resto l'osservanza di falsi valori si era già ridotta nel senatore Thomas Buddenbrook, padre di
Hanno, a fragilissima scorza esterna, a maschera esteriore sotto cui si celava una ben più
cupa disperazione, un pessimismo che non sapendo confessarsi a sé stesso infieriva, con incredibile
crudeltà, sul figlio. Dal dinamismo fattivo della prima generazione, attraverso un affinamento e una
progressiva presa di coscienza che, se pur costituiscono valori positivi, intaccano però la volontà di
potenza o anche solo l'istinto di conservazione originari, si giunge a una rinunciataria inettitudine,
incarnata nel personaggio d Hanno.

A Mann non sfugge la crisi identitaria della borghesia, anzi ne fa il fulcro del suo romanzo. Che sia
ormai una classe in decadenza è dimostrato dalla scelta strutturale di rappresentarla quasi
esclusivamente negli interni. Poche sono le descrizioni esterne. Il prevalere degli spazi chiusi
trasmette un’idea di immobilità, asfissia, di mancanza di vita, che si riflette sui protagonisti. Non a
caso Italo Svevo ne La coscienza di Zeno sottolinea che la salvezza del borghese sta nella
“mobilità”, la disponibilità ai cambiamenti ed alle trasformazioni. Ne I Buddenbrook domina invece
un ordine etico-sociale fisso e fermo, a cui tutti devono attenersi, soffocando impulsi ed aspirazioni.
È quel che succede a Tony e a Thomas, costretti a reprimere i propri sentimenti d’amore per un
rigido classismo, perché sono “anelli di una catena” – come dice il padre.
La malattia, l’attrazione per la morte, topoi classici dell’estetica decadente, rivelano nel romanzo le
contraddizioni di una classe che ha perso la fiducia in se stessa e vede vacillare la fede nelle verità
in cui ha sempre creduto

Per essere individui sani, cioè per essere davvero dentro la vita, l’interiorità dell’uomo deve essere
scandagliata il meno possibile. A che cosa possono portare l’eccessiva cura del proprio sé interiore,
l’esasperata auscultazione dei propri sentimenti e dei propri moti interiori? Secondo Bourget, già lo
si è visto, il risultato di questo ripiegamento dell’individuo su se stesso è la decadenza. Esattamente
questa è la dinamica che investe la famiglia Buddenbrook nell’omonimo romanzo di Mann, ma per
cogliere la particolarità che il processo di decadenza riveste nell’opera dello scrittore tedesco, è a
questo punto necessario fare un breve riferimento al filosofo che forse più di ogni altro ha influito
sulla sua formazione. Si tratta di Arthur Schopenhauer e, in particolare, della sua fondamentale
opera Il mondo come volontà e rappresentazione. Secondo Schopenhauer, il mondo è “volontà” e
“rappresentazione” , è il “velo di Maya”, il mondo della rappresentazione è il mondo del
soggettivismo, del relativismo e dell'illusorietà. L’essere umano, però, può anche indirizzare lo
sguardo al proprio interno, ripiegarsi su se stesso ed è così in grado di scoprire che dietro e sotto il
mondo dei fenomeni esiste una forza cieca, un impulso prepotente che Schopenhauer chiama
“volontà”o anche “volontà di vivere” . Proprio perché ogni uomo è «corpo», la sua coscienza non si
limita semplicemente a «rappresentarsi» come un oggetto tra gli oggetti, ma si «sente» anche
vivere, intendere, desiderare, agire, godere, soffrire e afferra, insomma, la sua realtà di essere
esistente: insomma, attraverso la coscienza del proprio corpo, l’uomo giunge così a conoscere ciò
che esiste al di là della rappresentazione: una potente, illimitata e cieca volontà.
Theo Rosenbrock, nel suo studio dedicato ai Buddenbrook coglie il fondamentale collegamento tra
la filosofia di Schopenauer e il romanzo di Mann: “La vita, così insegna Schopenhauer, si fonda su
un costante contrasto tra la volontà e la rappresentazione, ovvero tra la vita che vuole, agisce e
afferra e il pensiero che considera e soppesa, vale a dire la consapevolezza. L’aspetto più importante
è la consapevolezza. Essa rende tale l’essere umano. Ma che cosa accade quando, come del resto
suolo accadere, la consapevolezza sopravanza la cupa volontà di vivere? Ecco che allora cessa ogni
capacità, ogni azione, la Storia tace e rimane soltanto il Nulla” = nel momento in cui l’uomo scopre
l’illusorietà del mondo fenomenico e si affaccia sull’abisso della propria interiorità scoprendo la
tremenda verità della “volontà”
la vicenda dei Buddenbrook si inserisce proprio all’interno della visione del mondo
schopenhaueriana . La drammatica antinomia del mondo dei Buddenbrook è identica all’antinomia
di Schopenhauer: infatti gli antagonisti schopenhaueriani, il mondo come volontà e la conoscenza
che penetra il mondo e ne scopre la sua dolorosa e angosciante nullità, si ritrovano nel romanzo dei
Buddenbrook come antitesi di vita e spirito: in questi termini si configura la decadenza della
famiglia B., in quanto i suoi ultimi rappresentanti (Thomas e ancora di più Hanno) penetreranno a
fondo nella tragica verità di un mondo governato unicamente dalla schopenhaueriana “volontà”.

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