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Thomas Bernhard - Scrittore austriaco (1931 - 1989) By Andrea Gussago

Thomas Bernhard nasce a Heerlen, Olanda, il 9 febbraio 1931 da genitori austriaci. Il padre, Alois Zuckerstatter, esercita la professione di falegname a Heendorf, Salisburgo, dove incontra Herta Bernhard, figlia dello scrittore Johannes Freumbichler (che nel 1937 ricever per il romanzo Philomena Hellenhub il premio di stato austriaco). La breve relazione dei due si conclude con la gravidanza di Herta: quando Alois viene a sapere che la ragazza aspetta un figlio, scappa in Germania e di lui si perdono le tracce. Solo anni pi tardi si scoprir che si sposato con un altra donna e ha messo al mondo cinque figli prima di suicidarsi nel 1940. Bernhard scrive del rapporto tra i suoi genitori nel romanzo autobiografico Un bambino (Adelphi, 1994), quinto e ultimo, sebbene primo in ordine cronologico, dei volumi dedicati alla propria biografia. Mio padre, figlio di un agricoltore dei dintorni, che come allora si usava aveva imparato un mestiere artigianale, la falegnameria nel suo caso [...] dovette entrare in quel periodo in uno stretto contatto con lei [...]. Questo veramente tutto ci che so della storia delle mie origini . Nella ultracattolica Austria le gravidanze al di fuori del matrimonio sono considerate scandalose, cos Herta deve fuggire da casa e raggiungere l Olanda, su invito di un amica, per poter mettere al mondo Thomas. Poco dopo Herta rientra in Austria, a Vienna, dove la famiglia Freumbichler ha trovato casa. La tormentata relazione con l amante e l onta subita dalla famiglia guastano sin dal principio i rapporti della madre con il piccolo Thomas che, da parte sua, si rivela presto un bambino problematico. In Un incontro , trascrizione delle conversazioni tra lo scrittore austriaco e la giornalista Krista Fleischmann, Bernhard racconta la sua visione dell infanzia. Lo si impara gi con i genitori. Se uno non glieli ruba [i soldi] o non li minaccia, fino a mandarli in collera, non si lasciano scappare nulla. In ci i bambini sono molto raffinati, pi tardi si molto pi rozzi. [...] L infanzia non significa solo essere minacciati, ma anche minacciare. I bambini minacciano molto di pi i genitori di quanto i genitori facciano con i bambini, poich i bambini sono molto pi furbi dei genitori". Su invito del nonno scrittore intraprende l avventura scolastica con un anno di anticipo, ma i primi approcci con la scuola sono disastrosi: dopo un inizio folgorante culminato con una pagella da primo della classe, Thomas perde repentinamente interesse nello studio tanto da rischiare la bocciatura gi in terza elementare. Herta Bernhard si sposa nel 1936 con Emil Fabjan, un attivista del clandestino partito comunista austriaco. Herta ed Emil si conoscono tramite il fratello di lei, Farald, anch egli iscritto al partito comunista. L elevata disoccupazione in Austria, annessa nel 1938 alla Germania nazista, non consente a Emil di trovare lavoro in patria, e poich dal suo lavoro dipende l intera sussistenza della famiglia Freumbichler (i guadagni dello scrittore Johannes Freumbichler sono cos esigui che bastano a malapena a comperare degli abiti nuovi e un servizio di stoviglie), Emil costretto a emigrare in Baviera, a Traunstein, dove trova lavoro come parrucchiere. Di l a poco, nel 1938, lo seguono la moglie Herta e il settenne Thomas. La separazione dal nonno, il suo unico e vero educatore, procura a Thomas la prima grande sofferenza. Sempre in Un bambino scrive: Continuare a vivere, senza il nonno, sotto la giurisdizione di un uomo estraneo, il marito di mia madre, che il nonno a seconda dell umore qualificava oggi come tuo padre e domani come il tuo tutore, mi sembrava la cosa pi impossibile del mondo. Questa catastrofe voleva dire prendere congedo da tutto, tutto ci che nel suo insieme era stato in effetti

il mio paradiso. La separazione solo temporanea: in quello stesso anno infatti Emil recupera a Johannes Freumbichler e sua moglie un alloggio in un villaggio poco distante da Traunstein. Il trasferimento in Germania, patria del nazismo, vissuta dall anziano scrittore come la peggiore di tutte le condanne. Thomas prende coscienza del significato delle parole del nonno solo quando riprende la scuola: qui subisce infatti la discriminazione di insegnanti e compagni per il semplice fatto di essere austriaco e non tedesco. La situazione cos opprimente da far affiorare i primi pensieri di suicidio, a cui fanno immediatamente seguito dei tentativi concreti di togliersi la vita. In quanto austriaco, avevo grandi difficolt a farmi valere. Ero completamente in bala del sarcasmo dei miei compagni di scuola. Dimostrandomi tutto il loro disprezzo, i figli dei borghesi nei loro costosi vestiti mi punivano per qualcosa che io non sapevo cosa fosse. I maestri non mi davano una mano, anzi mi presero da subito a pretesto per le loro esplosioni di collera. Ero solo e disarmato come non mai. [...] Andavo a scuola come si va al patibolo, la mia decapitazione era sempre e soltanto rinviata [...] Se solo potessi morire! era il mio pensiero dominante . Il fallimento scolastico di Thomas, a cui fa da pendant il fallimento del nonno, che non riesce a portare a forma compiuta la seconda opera nonostante l impressionante mole di pagine accumulate, l origine e insieme l ossessione del Bernhard scrittore. Tutti i personaggi dei romanzi di Bernhard che cercano di compiere un impresa, il pi delle volte filosofica, isolandosi nella natura finiscono inesorabilmente con il fallire: ne sono un esempio Rudolf, protagonista del romanzo Cemento, Roithamer in Correzione, Konrad in La fornace, e soprattutto il principe Sarau in Perturbamento, che considerato il suo capolavoro. Quel che si vuole si conclude sempre in un fallimento afferma in Un incontro. La situazione scolastica di Thomas peggiora, e i suoi rapporti con la madre si deteriorano irreversibilmente; Herta Bernhard non riesce a placare l irrequietezza del figlio neppure ricorrendo quotidianamente al nerbo di bue. Le umiliazioni si fanno di giorno in giorno pi frequenti e pi intollerabili per Thomas e raggiungono l apice il giorno in cui l assistente sociale della scuola propone, alla madre del bambino, di mandarlo in un istituto di rieducazione per bambini difficili in Turingia. La madre accetta di buon grado, rinfrancata dalla prospettiva di alleviare le tribolazioni che il figlio le procura, almeno per un po di tempo. La rieducazione, naturalmente, in realt educazione al nazismo. La disciplina rigidissima dell istituto spinge Thomas, giunto all et di undici anni, a intensificare i propositi di suicidio; l unico pensiero che lo tiene in vita quello del nonno. Se non mi gettai dalla finestra della soffitta o non mi impiccai o non mi avvelenai con il sonnifero di mia madre, fu solo perch non volli dare a mio nonno il dolore di aver perso suo nipote per pura negligenza . Quando fa ritorno a casa scopre di avere un fratello; due anni dopo nascer anche la sorella. Il nonno, nonostante i fallimenti scolastici, intravede nel nipote delle potenzialit artistiche. Gli procura, con i crescenti risparmi ricavati dalla vendita del libro, dapprima un cavalletto per dipingere che va distrutto nel trasporto (la storia del cavalletto ironicamente narrata da Bernhard: Mio nonno pag il cavalletto in contanti [...] Qualche giorno dopo, come convenuto, il cavalletto da pittore fu consegnato e depositato nella Schaumburgerstrasse. Era andato in pezzi. Poco tempo dopo fu usato come legna da ardere nella stufa del nostro soggiorno ), e poi un violino. Proprio quest ultimo acquisto si riveler decisivo per la vita di Thomas Bernhard che da questo momento in avanti rester indissolubilmente legata alla musica. Il violino , inoltre, l unica arma con cui Thomas combatte l idea del suicidio, idea che ha ripreso vigore dopo l ingresso nel convitto nazionalsocialista di Salisburgo, a cui viene ammesso nel 1943. L origine, primo volume dell autobiografia, prende le mosse proprio dal racconto del periodo trascorso nel convitto nazionalsocialista che, in seguito alla ricostruzione postbellica, si trasformer in un istituto cattolico, il Johanneum. Il paragone, anche se pi corretto parlare di associazione , stabilito dallo scrittore austriaco tra il convitto nazionalsocialista e l isituto cattolico alimenter, all uscita del libro nel 1975, un ondata di polemiche che sfoceranno addirittura in una querela per diffamazione. L origine in effetti un incessante invettiva contro Salisburgo e contro i suoi abitanti; l epigrafe anticipa significativamente i contenuti del romanzo. Si tratta di un trafiletto del Salzburger Nachrichten del 6 maggio 1975. Ogni anno duemila persone tentano di porre fine alla loro esistenza nella provincia confederata di Salisburgo, e un decimo di questi tentativi di suicidio ha esito mortale. Salisburgo detiene cos in Austria che con l Ungheria e la Svezia registra le pi alte percentuali di suicidio il record nazionale. Il romanzo infila una dopo l altra accuse gravissime al popolo austriaco; i salisburghesi sono definiti, gi nella prima

pagina irritanti e snervanti e ammorbanti e umilianti e urtanti, dotati di grande volgarit e bassezza ; Salisburgo, che come Bernhard ricorda la citt d origine dei suoi genitori, viene definita una malattia mortale, e in questa malattia i suoi abitanti vengono partoriti e avviluppati e, se non scappano via nel momento decisivo, essi compiono prima o poi, direttamente o indirettamente date le orribili condizioni che vigono nella citt - un repentino suicidio, oppure, direttamente o indirettamente, vanno verso una lenta e misera rovina in questa terra di morte, architettonicamente arcivescovile e ottusamente nazionalsocialista e cattolica, nemica dell uomo in tutto e per tutto . Gli abitanti di Salisburgo si difenderanno creando, in reazione ai contenuti del libro, un Comitato per la difesa e la valorizzazione del prestigio internazionale di Salisburgo . L agghiacciante soggiorno nel convitto nazionalsocialista si interrompe quando la guerra e i bombardamenti iniziano a devastare la citt. Il quattordicenne Bernhard assiste inorridito alle conseguenze delle bombe. Fa ritorno a Traunstein dove, su invito del nonno, continua a prendere lezioni di violino dal maestro Steiner che, da parte sua, lo incoraggia e lo rassicura attribuendogli un naturale talento per la musica. A guerra finita Bernhard riprende gli studi; frequenta il ginnasio, il Johanneum per l appunto, un istituto rigidamente cattolico sorto dalle macerie del vecchio convitto ricostruito. A sostituire il precedente direttore, la terribile SA Gurkrantz, c l altrettanto terribile sacerdote cattolico Franz. Proprio in questo personaggio, descritto con toni e parole per nulla dissimili dalla SA Gurkrantz, si riconoscer all uscita del libro il parroco di Salisburgo, Franz Wesenauer, che denuncer Bernhard per diffamazione. L avversione per la scuola, un catastrofico meccanismo di mutilazione dello spirito , si fa sempre pi aspra e intensa, fino a che, nel 1947, Bernhard decide di abbandonare gli studi. Ne La cantina la narrazione copre il periodo tra il 1947 e il 1949 in cui Bernhard, dando una svolta radicale alla propria vita, decide di diventare apprendista in un negozio di alimentari collocato non al centro, bens alla periferia di Salisburgo, in uno dei quartieri pi degradati e malfamati della citt. Qui, nella cantina adibita a spaccio di alimentari del signor Podlaha, circondato da persone definite senza mezze misure la feccia dell umanit , Bernhard trova il proprio rifugio, la propria salvezza. Affina le proprie doti di osservatore scrutando le vite dei clienti, e talvolta vi partecipa intrattenendo con loro discussioni sulla guerra e sulle storie del quartiere, il pi delle volte atroci notizie di cronaca giudiziaria. Il carattere introverso di Bernhard si trasforma, con una naturalezza inaspettata, in carattere aperto, espansivo; non solo conversa con gli abitanti del quartiere, ma lo fa adoperando il loro stesso linguaggio, un linguaggio diverso da quello imparato nelle scuole della citt, un linguaggio pi netto e pi intenso : l immedesimazione totale. ... fui in grado di parlare il loro linguaggio perch ero in grado di pensare i loro pensieri . Al lavoro nella cantina, svolto con alacrit e dal quale trae grande soddisfazione, Bernhard affianca l educazione artistica abbandonata insieme agli studi. Anche nella cantina, in fin dei conti, non riuscivo a cavarmela senza qualcosa di totalmente opposto, e cos mi venne in mente la musica e la mia carriera di violinista tanto ingloriosamente conclusa [...] Nel frattempo avevo provato un nuovo strumento, la mia voce. La pubert mi aveva regalato una voce di basso baritono . Per consentire al nipote di potenziare questa nuova dote, il nonno si rivolge a Maria Keldorfer, ex cantante lirica e insegnante di canto, che accetta di seguire il ragazzo; dopo una breve esibizione l anziana insegnante gli promette un futuro come cantante. Il talento del sedicenne Bernhard non tarda a manifestarsi, e cos, per affiancare la teoria alla pratica, il nonno lo iscrive al corso di estetica e teoria musicale presso il famoso professore Theodor W. Werner, musicologo e critico di Hannover nonch marito di Maria Keldorfer. La vita del giovane Bernhard si carica di contrasti, ma proprio di questi contrasti egli si nutre e in essi trova l insperata salvezza. Questi tre elementi, canto, musicologia e apprendistato nel commercio, avevano fatto all improvviso di me un individuo che viveva ininterrottamente nella massima tensione, un individuo in effetti oberato al massimo grado, e avevano reso possibile in me uno stato ideale di mente e corpo. Di colpo e del tutto inaspettatamente le circostanze erano diventate quelle giuste . La carriera di cantante prossima a realizzarsi: Bernhard partecipa alle prove del Festival di Salisburgo; riesce ad eseguire con la massima perizia le pi difficili arie di Mozart, Haendel, Bach; si sente pienamente soddisfatto e pronto a emergere. Di punto in bianco per un evento gli sconvolge nuovamente la vita e fa crollare tutti i sogni: un infreddatura contratta durante il lavoro nella cantina e trascurata per diverse settimane si trasforma in pleurite essudativa grave che lo tiene in bilico tra la vita e la morte. Il respiro, il terzo pannello dell autobiografia di Thomas Bernhard, inizia dall ospedale in cui il diciassettenne

ricoverato. In stato di semicoscienza, stipato in uno stanzone assieme a centinaia di altri pazienti moribondi o gi morti, Thomas Bernhard decide di non lasciarsi sopraffare dalla disperazione e di attaccarsi alla sua implacabile volont di vivere per non soccombere alla malattia. Le sue condizioni per non lasciano presagire alcuna speranza. La descrizione del trapassatoio , come Bernhard definisce la stanza in cui si trova a giacere, raccapriciante e precisa al tempo stesso. Mi trovo nella stanza da bagno. So quel che significa. Ogni mezz ora entra una suora, solleva la mia mano e la lascia ricadere, si pu supporre che faccia la stessa cosa con una mano nel letto davanti al mio che gi si trova nella stanza da bagno da pi tempo del mio. Gli intervalli tra un entrata e l altra della suora si fanno pi brevi. A un certo punto entrano alcuni uomini vestiti di grigio con una bara di zinco ermeticamente chiusa, scoperchiano la bara e vi depositano dentro una persona nuda. E in questo preciso momento che la vita di Thomas Bernhard prende la piega decisiva. Volevo vivere, tutto il resto non aveva importanza. Vivere, vivere la mia vita, viverla come e fino a quando mi pare e piace. Senza essere un giuramento, questo fu ci che si propose il ragazzo quando ormai era dato per spacciato nell attimo in cui l altro, l uomo davanti a lui, aveva smesso di respirare. Quella notte, nell attimo decisivo, tra le due possibili strade io avevo deciso la strada della vita [...] Non avevo voluto smettere di respirare come l altro davanti a me, avevo voluto continuare a respirare e continuare a vivere. Il respiro, per l appunto, l atto volontario e caparbio che distanzia definitivamente Bernhard dalla morte: da questo momento in poi le condizioni del ragazzo migliorano lentamente. Nonostante gli incoraggiamenti del nonno, anch egli ricoverato nello stesso ospedale per una grave malattia polmonare, Bernhard si rende conto di non poter pi riprendere la carriera di cantante: il suo corpo distrutto il testimone di questo ennesimo fallimento: I miei respiri, cos mi sembrava, erano i respiri di un polmone completamente distrutto . Pochi giorni dopo, l 11 febbraio, gli viene comunicata la morte del nonno: Bernhard scopre di essere rimasto completamente solo. Anzich lasciarsi andare allo sconforto, Bernhard trae da questa perdita la spinta esistenziale necessaria per sconfiggere la malattia e avviarsi sulla strada della scrittura: lasciato solo e libero dall unico educatore della sua vita, consapevole della propria forza di spirito, il diciottenne Bernhard fa leva su questa nuova condizione per analizzare con occhio lucido se stesso e tutto quello che ha vissuto. A un certo punto, quando il mio processo di guarigione era gi molto avanzato, avevo riscoperto il piacere di pensare, ossia di sezionare, scomporre, dissolvere gli oggetti che avevo osservato. Adesso avevo il tempo per farlo e gli altri mi lasciavano in pace. L essere analitico aveva ripreso in me il sopravvento . Proprio nell istante in cui la malattia sembra recedere una volta per tutte, i medici dell ospedale prendono la sciagurata decisione di trasferirlo dal trapassatoio al Hotel Votterl, un convalesceziario per persone affette da malattie dell apparato respiratorio, come indica la dizione medica: in realt si tratta di un edificio riservato ai tisici, allora pressoch incurabili, dove Bernhard contrae la malattia della sua vita, quella che lo accompagner per i successivi quarant anni fino alla morte, ovvero la tubercolosi. Al culmine della disperazione Bernhard trova l appiglio a cui sostenersi: incitato da un compagno di malattia riempie le lunghe e monotone giornate al Votterl leggendo i grandi filosofi del passato, in particolare Pascal, Montaigne e Schopenhauer. In questo modo ripercorre le orme del nonno defunto, anch egli avido lettore di opere filosofiche e filosofo lui stesso. Il freddo (Adelphi, 1991) il quarto capitolo dell autobiografia, l ultimo prima di Un bambino il quale, pur chiudendo il ciclo dei cinque volumi, in realt, come visto, si riferisce alla primissima infanzia di Thomas Bernhard. Questa volta il diciottenne viene trasferito a Grafenhof, un sanatorio pubblico per tubercolotici; la situazione, se possibile, peggiora: Bernhard fatica ad accettare la malattia, contratta per inettitudine dei medici, e le regole del nuovo edificio, subisce l indifferenza degli altri tisici e finisce per trovarsi nuovamente nella completa solitudine. Anche qui, nel luogo in cui sono raccolte tutte le persone votate alla morte , i malati di cui i sani hanno un sacro terrore , Bernhard, con un moto d orgoglio e di forza di volont, racoglie le sue energie per non farsi annientare dalla morte. La salvezza si presenta sotto forma di poesia. Gi a quell epoca mi ero rifugiato nella scrittura, scrivevo, scrivevo, non so pi, centinaia e centinaia di poesie, esistevo soltanto quando scrivevo, mio nonno lo scrittore era morto, adesso ero io che potevo scrivere, adesso avevo la possibilit di poetare per mio conto, osavo farlo, adesso, avevo a disposizione questo mezzo per raggiungere i miei fini, e allora con tutte le mie forze mi gettai nella scrittura, abusavo del mondo intero per trasformarlo in versi, quei

versi, se pur privi di valore, significavano tutto per me, niente al mondo aveva per me maggiore significato, e io non avevo pi niente, non avevo altro che la possibilit di scrivere poesie . Nel frattempo la madre si spegne a causa di un tumore all utero. Bernhard, che nell ultimo anno aveva parzialmente reuperato il rapporto con lei, incassa dalla vita un altro colpo. Ancora una volta si concentra sulla propria forza e sulla propria esperienza per distaccarsi dalla sofferenza e osservarla dall esterno, come se non la morte e la malattia sua e degli altri non lo riguardassero. La decisione era stata presa da tempo, mi ero deciso per la distanza, per la resistenza, avevo deciso che me ne sarei andato, insomma avevo optato per la guarigione [...] La mia volont di esistere era pi grande della mia disponibilit a morire, ragion per cui non ero uno di loro . Fa amicizia con il direttore d orchestra Rudolf Brandle che lo incoraggia a non abbandonare la formazione musicale. La lettura de I Demoni di Dostoevskij lo spinge definitivamente verso la letteratura. Arrivato ai diciannove anni, Bernhard decide di abbandonare il sanatorio. Il freddo, e con esso le memorie giovanili, si chiude cos. Adesso avevo ampiamente superato i diciannove anni, avevo rovinato il mio pneumoperitoneo e da un momento all altro ero di nuovo al punto di dover partire per Grafenhof. Ma dissi di no e non ci tornai mai pi. Nel 1951, dimesso dal sanatorio, viene ammesso alla scuola superiore di musica e arti drammatiche di Vienna, ma costretto a lasciarla per via delle difficolt economiche. L anno seguente, il 1952, l anno in cui inizia gli studi al Mozarteum che si concluderanno nel 1957 con un analisi comparata sul teatro di Artaud e di Brecht. Durante questo lustro collabora al quotidiano socialista Demokratisches Volksblatt con recensioni su eventi culturali, reportage e cronaca giudiziaria: l apprendistato giornalistico gli offrir innumerevoli spunti per i romanzi e i racconti del periodo pi maturo (l esempio pi lampante L imitatore di voci, una raccolta di cento racconti brevissimi pubbicata nel 1978 che potrebbe apparire, a una lettura superficiale, poco pi di una collezione di trafiletti di cronaca giudiziaria locale, ma che cela in realt la trasformazione della realt in una miriade di parabole all insegna dell inesorabilit del dolore e della tragedia). Maddalena la pazza sancisce l esordio del giovane scrittore: si tratta della prima prosa d arte documentabile, pubblicata nel 1953 sullo stesso giornale di Salisburgo per il quale lavora. A questo debutto fa immediatamente seguire, nel 1954, la pubblicazione sulla rivista letteraria Stimmen der Gegenwart , la pi prestigiosa d Austria, il racconto Grande, inconcepibile fame. Nel 1955 subisce il primo processo per diffamazione: l accusa di aver criticato con troppa violenza la gestione del Landestheatre di Salisburgo. Da questo momento in avanti i processi, le querele e le accuse nei riguardi di Bernhard segneranno un escalation che si placher solo con la sua morte; il carattere dello scrittore, fondato interamente sulla resistenza e sulla ribellione a tutto, alla scuola, alla malattia, alla famiglia, alla morte, non accetta di piegarsi davanti alle intimidazioni: conscio della propria forza Bernhard assume consapevolmente il ruolo di disturbatore della pubblica quiete . Scrive, ne La cantina: Per tutta la mia esistenza non ho fatto altro che disturbare. Io ho sempre disturbato e ho sempre irritato. Tutto quello che scrivo, tutto quello che faccio, disturbo e irritazione. Tutta la mia vita in quanto esistenza non altro che un continuo irritare e disturbare [...] Ci sono quelli che lasciano la gente in pace e ci sono altri, tra i quali anch io, che disturbano e irritano. Io non sono un uomo che lascia in pace la gente, e nemmeno vorrei avere un carattere del genere . Per tutta la vita Bernhard dovr subire le minacce e le querele delle persone colpite dalla sua feroce critica. Significativo il caso di Piazza degli eroi, un dramma scritto da Bernhard nel 1988, poco prima della morte, in cui viene affrontato il tema dell antisemitismo in Austria: addirittura prima che si conosca per intero il testo dell opera l autore, per mezzo stampa, tacciato di infamia e accusato di disonorare il paese. Il presidente Waldheim e un buon numero di politici chiedono la soppressione della rappresentazione. Alla prima, svoltasi al Burgertheater di Vienna grazie anche all intervento di numerosi intellettuali austriaci, un massiccio cordone di polizia deve placare una minoranza del pubblico che interrompe la messa in scena con urla e fischi. Alla fine dello spettacolo gli applausi si protraggono per pi di mezzora. Tra il 1957 e il 1963 Bernhard intesifica la produzione pubblicando diverse raccolte di poesie (In hora mortis, In terra e nell inferno, Sotto il coltello della luna, I folli) e un libretto per balletto, voci e orchestra intitolato Le rose del deserto. Dall amicizia con il compositore Lampensberg nascono alcuni lavori scritti da Bernhard e musicati dall amico: le rappresentazioni si tengono nel teatro all aperto di Maria-Saal.

Gli anni tra il 1963 e il 1967 sono quelli della svolta per la carriera dello scrittore; la casa editrice Insel pubblica il suo primo romanzo, Gelo (1963), che ottiene un largo successo di critica e pubblico. Arrivano anche i primi premi importanti: il Premio Julius Campe (1964) e il Premio Brema per la Letteratura (1965). Nel 1964 pubblica Amras, romanzo che Bernhard definir per tutta la vita il suo preferito. Acquista, con i proventi delle vendite, un podere nell Alta Austria dove si stabilisce alternando soggiorni nelle maggiori citta europee. In merito ai viaggi, alle residenze e alla necessit di trovare il clima adatto al lavoro intellettuale, Bernhard si esprime nel libro Un incontro: Le vacanze sono sempre importanti [...] Arriva il momento in cui non si possono pi vedere le stesse facce, allora si cambia ambiente e si va in vacanza. Ma quando faccio vacanza io, in genere lavoro al massimo. A casa lavoro meno perch mi distraggono troppe cose. Durante le cosiddette vacanze posso mettermi a tavolino e fare veramente qualcosa [...] Per il lavoro, almeno per me [...] importantissimo essere in un paese di cui non si capisce la lingua, perch si ha continuamente la sensazione che la gente dica solo cose piacevoli e parli di cose importanti, filosofiche. Mentre da noi, quando si capisce la lingua, si ha la sensazione che si dicano solo delle sciocchezze assolute. [...] Una cosa ragionevole andare e tornare in continuazione, molto importante. Cambiare la cosa pi importante. Nel 1967 esce Perturbamento, che come detto ritenuto il suo capolavoro; il principe Sarau, figura paradigmatica di tutti i personaggi creati da Bernhard, che dall alto del suo castello di Hochgobernitz nella Stiria non pu smettere di incedere in un soliloquio perturbante che tutto avvolge e che si contraddice costantemente, viene interpretato dalla critica nei modi pi differenti: secondo una parte di essa il principe Sarau altri non sarebbe se non la lingua tedesca in persona. Perturbamento gli frutta il Premio di Stato austriaco per la letteraura, riconoscimento gi peraltro conquistato dal nonno trent anni prima. Alla cerimonia per la premiazione Bernhard sfrutta il palcoscenico per ingiuriare il ministro e il popolo austriaco, scatenando le ire del ministro stesso che abbandona la sala indignato. Un breve stralcio del discorso, pubblicato per intero come appendice al libro Eventi : Lo stato una creazione ineluttabilmente condannata al fallimento, il popolo una creazione infallibilmente condannata all infamia e alla stupidit [...] Noi siamo austriaci, noi siamo apatici; siamo la vita come volgare disinteresse alla vita, siamo il senso di megalomania come futuro nel processo della natura . Bernhard ricever i premi successivi senza cerimonie pubbliche oppure diserter egli stesso le celebrazioni, limitandosi a intascare gli assegni annessi ai premi. Lo stile di scrittura musicale, ossessivo (un arte dell esagerazione secondo la definizione di Bernhard stesso), inaugurato con Gelo e perfezionato in Perturbamento accompagna tutta la produzione successiva dello scrittore austriaco: dal 1969 alla morte, avvenuta il 12 febbraio 1989 per l aggravarsi di una cardiomegalia diagnosticatagli gi nel 1980, la straordinaria prolificit di Bernhard gli consente di scrivere ventun copioni teatrali, diciotto romanzi (tra i quali i cinque menzionati dell autobiografia), quattro raccolte di racconti e diverse raccolte di poesie. Da ricordare tra i romanzi in particolare La fornace (1970), Correzione (1975), Il soccombente (1983) ed Estinzione (1986), oltre Perturbamento, naturalmente. Riceve innumerevoli premi letterari in tutta Europa: in Italia, dove viene tradotto a partire dal 1981 (L italiano, Guanda; Perturbamento, Adelphi), vince il premio Prato nel 1982, il premio Mondello nel 1983 e il premio Feltrinelli nel 1987 che per rifiuta avendo deciso di non accettare pi premi letterari. La morte di Thomas Bernhard viene comunicata, per sua espressa volont solo il 16 febbraio 1989, a funerali avvenuti. Il testamento lasciato dallo scrittore reca l ultima, terribile invettiva contro lo stato austriaco. Nulla, n di quanto pubblicato da me stesso in vita, n del mio lascito, ovunque esso si trovi, indipendentemente dalla forma in cui sia stato scritto, potr essere rappresentato, stampato o soltanto letto in pubblico per la durata dei diritti d autore all interno dei confini dello Stato austriaco, comunque tale stato si definisca. Sottolineo espressamente di non voler aver nulla a che fare con lo Stato austriaco, e mi oppongo non solo a qualsiasi forma di intrusione, ma anche ad ogni avvicinamento di tale Stato austriaco alla mia persona e al mio lavoro per sempre .

UNA SCHEDA SU PERTURBAMENTO -- di Andrea Gussago (pubb. Adelphi, Milano 1995) Perturbamento non , come scrivono i compilatori sempre pi stereotipati delle quarte di copertina, un viaggio nel... o un viaggio attraverso... ; viaggiare lascia semanticamente spazio a un certo grado di libert, di autodeterminazione, di escursionismo, mentre quello che Perturbamento presenta , invece, un itinerario, un

percorso preciso e lineare; un percorso lungo il quale per ci si pu fermare solo brevemente (dunque soffermare) a contemplare i panorami e le viste offerte dall ambiente, perch subito si costretti a lasciarsi alle spalle il visto per prepararsi a quello che ancora c da vedere. Fin dalle prime righe si intuisce che quello preparato da Bernhard non affatto un itinerario consueto: infatti coincide, o meglio, rappresentato, da quello che il medico condotto, padre del ragazzo incaricato di fungere da voce narrante, propone al figlio allorch lo invita a seguirlo in un giro di visite nella Stiria, zona montuosa dell Alta Austria. Il padre porta con s il figlio con la consapevolezza di poterlo turbare, il figlio segue il padre consapevole di poterne uscire (per)turbato. Disse che per me era una tristezza continua, quando lo accompagnavo, e che per questo motivo il pi delle volte lui esitava a portarmi con s nelle sue visite agli ammalati, perch sempre e infallibilmente risultava che tutto quello che lui doveva visitare, toccare e curare era malato e triste; di qualunque cosa si trattasse, lui si muoveva continuamente in un mondo malato, fra persone e individui malati; anche se questo mondo pretendeva o fingeva di essere sano, era pur sempre un mondo malato e gli uomini, gli individui, anche quelli cosiddetti sani, erano malati. Lui ci era abituato, ma io forse potevo esserne turbato e indotto a riflessioni per me dannose. [...] Era un errore, tuttavia, osserv, chiudere gli occhi di fronte al fatto che tutto malato e triste [...] e per questo motivo, a intervalli pi o meno lunghi, era sempre di nuovo tentato di portare me o mia sorella con s nelle sue visite ai malati. Questo lungo estratto contiene in s le premesse e i motivi del romanzo: non si tratta di un romanzo di formazione del personaggio, perch sin dal principio questi afferma che non la prima volta che accompagna il padre nel suo giro di visite, bens di un romanzo di formazione del lettore: il lettore che compie il percorso che padre e figlio hanno segnato prima di lui. Come Dante nella Divina Commedia, Bernhard affigge alle porte dell inferno un insegna che monito e attrazione al tempo stesso: per chi prosegue la speranza perduta, una volta superati i cancelli non pi possibile tornare indietro. Oltre questi cancelli si stende la Stiria, una terra immersa in una natura malefica, abitata da una popolazione di malati fisici e mentali, in cui la brutalit e la solitudine feroce ammantano la campagna come una densa coltre di nebbia. L illusione di contingenza che si prova nel trovare concentrato in un preciso punto del globo la malattia e la tristezza fugata con fermezza, anche se questo mondo pretendeva o fingeva di essere sano, era pur sempre un mondo malato . Siamo perturbati anche perch le porte dell inferno non si aprono, come in Dante, di fronte a un aldil metafisico, bens dinanzi alla realt di ciascuno di noi; i pazzi e malati che popolano la zona battuta dal medico condotto e dal figlio sono persone comuni, che svolgono lavori comuni, e che vivono in un ambiente apparentemente tranquillo come lo la campagna austriaca. In questa realt tremenda si agitano le figure viventi della malattia e del dolore: la moglie dell oste, picchiata a morte dagli avventori del locale senza alcun motivo; il professore, accusato ingiustamente per un crimine mai commesso e morto nel pi totale isolamento; la vecchia maestra agonizzante a causa di una malattia incurabile; il bambino in fin di vita caduto nel mastello per maiali pieno di acqua bollente; il mugnaio e sua moglie, che strangolano uno dopo l altro i propri uccelli esotici per via dei lamenti intollerabili e incessanti; l artista storpio e pazzo che, quando non legato al letto dai familiari, scarabocchia ingiurie sui ritratti dei grandi della musica classica; l industriale, isolato in un padiglione da caccia assieme alla sorella-schiava, che si dispera per portare a termine un impresa letteraria per lui impossibile. Il percorso tracciato da Bernhard, e in parallelo il giro di visite del medico, si arresta con l entrata del medico stesso e del figlio nel castello di Hochgobernitz, residenza del delirante principe Sarau. Da questo momento in poi la narrazione sospende qualunque pretesa di farsi racconto per diventare pura trascrizione riportata dello sconvolgente soliloquio del principe; in questo soliloquio si alternano incessantemente i temi prediletti da Bernhard e figurati dai personaggi incontrati nel preparatorio giro di visite: la malattia, la morte, il dolore, l incomunicabilit e la solitudine. Attraverso giudizi, aforismi e sentenze ripetuti e varianti impercettibilmente, come in una partitura minimalista, il principe Sarau non solo trascina il lettore in un perturbamento che qui, nella dissoluzione di ogni struttura di significato, raggiunge il massimo grado, ma arriva a contraddire e quasi negare la propria identit, smentendo le sue stesse affermazioni (esemplare , come rileva Bernardi nel suo puntuale saggio Dopo l ultimo spettacolo che completa l edizione Adelphi, l esempio della richiesta di giornali che il principe avanza dopo aver proclamato la falsit della stampa). Il linguaggio utilizzato dal principe nel suo soliloquio, un viluppo dal quale impossibile estrapolare una qualsiasi consequenzialit, abbraccia tutto quello del mondo si pu dire, e che in realt gi stato detto, per farlo mulinare in un vortice in perpetuo movimento. [Andrea Gussago]

LA SEDUZIONE DELL IMMAGINE Intorno al tema del compito in Thomas Bernhard* di Micaela Latini

Un germoglio di quercia piantato dentro un vaso prezioso che dovrebbe accogliere soltanto fiori delicati; le radici si espandono, il vaso si spezza -J. W. Goethe

Come stato notato un tema centrale e ricorrente nella letteratura di Thomas Bernhard pu essere individuato nella ricerca spasmodica del senso, senso che sempre, inevitabilmente, anche non-senso. Il nodo di tale problema si stringe intorno alla figura del compito, ossia a quella impresa capitale che i personaggi bernhardiani intraprendono. Nei romanzi di Bernhard il senso, ossessivamente cercato e ostinatamente perseguito, si rovescia in non-senso, la verit si rivela menzogna, la possibilit si tramuta in impossibilit, il dicibile si offre come indicibile. Di conseguenza il compito, dandosi come il compito, come l impresa capitale, e mai come un compito, si configura come un "mairealmente-eseguibile dover-essere-eseguito". Al tema del dover fare senso sempre connessa nei romanzi di Bernhard una volont di distacco dal mondo. Per crearsi le condizioni pi favorevoli alla realizzazione del loro lavoro, i "cacciatori della rappresentazione" smarriscono volontariamente i contatti con la realt e si rinchiudono in un rifugio isolato, al riparo dal contingente. Tale punto di fuga si tramuta di fatto in una prigione e ai personaggi bernhardiani non resta altro che constatare l impossibilit di pervenire all esito atteso. All "ombra della vita", infatti, il silenzio trova il terreno pi congeniale per il proprio proliferare. Come scrive Bernhard, coloro che credono di poter istituire il senso del mondo, ritirando il cervello e la testa dal mondo, elevandosi al di sopra del finito, traendosi all esterno del linguaggio, condannano la loro intelligenza all inefficienza, all atrofizzazione (Cfr. LF, p. 116). Un tale esito fallimentare porta, in quell'arte dell'esagerazione che la letteratura bernhardiana, a conseguenze tragiche: di fronte ai limiti della rappresentazione a questi eroi "sedotti dall'immagine assoluta e definitiva" sembra non restare altra possibilit che la pazzia o il suicidio. Pu essere utile, a proposito, rievocare le parole pronunciate da Bernhard in un discorso tenuto nel 1968. Il passo in questione suona: Quando siamo sulle tracce della verit senza sapere che cosa sia questa verit, che con la realt non ha nulla in comune, se non la verit che non conosciamo, allora siamo sulle tracce del fallimento, della morte [Wenn wir der Wahrheit auf dem Spur sind, ohne zu wissen, was diese Wahrheit ist, die mit der Wirklichkeit nichts als die Wahrheit, die wir nicht kennen, gemein hat, so ist das Scheitern, es ist der Tod, dem wir auf dem Spur sind] (WT, p. 347). La distanza tra Wahrheit e Wirklichkeit condanna al fallimento l impresa dei personaggi bernhardiani. Questi, infatti, portandosi sulle spalle la cancrena della verit logico-denotativa, si prefiggono lo scopo di trovare un simbolo capace di rappresentare l'assoluto. Una tale ricerca, che ha come posta in gioco la nozione di verit come assolutezza, non pu che risultare frustrata. E tuttavia in Bernhard l articolarsi di una interrogazione - e il compito non altro che questo - incontra il necessario profilarsi di un problema sul senso e non-senso, tale da coinvolgere la stessa interrogazione filosofica che lo ha fatto emergere, e quindi le condizioni dell esperienza in genere. Nella fedelt assoluta che i personaggi di Bernhard dimostrano nei confronti del compito della loro vita, trova spazio la possibilit di un apertura al senso. Il tema dell impresa deve essere quindi letto, in una diversa trama di riferimento, come una interrogazione sul senso e non-senso del mondo, come una riflessione critica capace di indicare alla mosca intrappolata nella bottiglia di vetro [Fliegenglas] la via d uscita dalla situazione di passivit, di prigionia.

1. Il peccato della rappresentazione 1.1 "Quando costruiamo case, parliamo, scriviamo"

In una delle poche interviste concesse, Bernhard disse: "Ci sono schemi mentali che portano a credere di aver dato vita a qualcosa di definitivo, di immutabile e un momento dopo gi tutto finito. Una costruzione di cemento armato non molto diversa da una casa costruita con le carte da gioco. Per ognuna basta che arrivi il colpo di vento giusto" (UI, p. 217). La frase sembra riferirsi alla disavventura di Roithamer in Correzione. Il filosofo-scienziato, ideato da Bernhard sulla Gestalt di Wittgenstein, decide di costruire una casa per la sorella, allo scopo di regalare alla donna la massima felicit possibile. Fin da subito la costruzione si autodenuncia, per la forma stravagante e per la particolare collocazione, una sorta di allegoria della metafisica. Vediamo perch. La casa viene collocata, secondo il progetto di Roithamer, esattamente "al centro di Kobernausserwald", ossia oltre i limiti del rappresentabile. L'opera architettonica si presenta inoltre nella forma del cono [Kegel], ossia nella figura geometrica che, contraendo lo spazio in un punto inesteso, mira all'essenza. Queste indicazioni gi smascherano il compito roithameriano in quanto tentativo di cogliere la verit assoluta della realt oltrepassando il contingente. Lo scopo perseguito da Roithamer infatti quello di costruire una casa che corrisponda al cento per cento all'immagine della sorella, che la raffiguri nella sua pi intima essenza (cfr. C, p. 161). In altri termini si tratta di erigere la teoria referenziale, l idea del rispecchiamento a sistema: l'edificio conico si fa infatti specchio della realt. Il manifesto dell'audace progetto architettonico pu essere riassunto nei seguenti termini: "l'interno del cono come l'essere interiore di mia sorella, l'esterno del cono come il suo essere esteriore, e tutto il suo essere nell'insieme, come carattere del cono" (ivi, p. 155). A differenza di quel che accade nella maggior parte delle storie di Bernhard, in questo caso la dimostrazione architettonica riesce e la casa viene costruita. Ma il compito che il personaggio si era proposto, ossia quello di regalare la massima felicit possibile, fallisce miseramente. Le conseguenze alle quali la rappresentazione dell'essenza conduce si rivelano disastrose: la sorella di Roithamer non riesce a sopportare l idea di un edificio a sua immagine e somiglianza e quando, esattamente al centro di Kobernausserwald riceve il regalo, si ammala di una "malattia mortale". A Roithamer non resta altro da fare che seguire la donna amata. Quel che risulta che la riduzione dell'universale a qualcosa di particolare fa tutt'uno con la dissoluzione del finito. La casa conica, in quanto immagine che anela al raggiungimento dell'assolutezza, d vita a un processo di distruzione inarrestabile. Ci significa che la mora da pagare per la rappresentazione dell'irrappresentabile coincide con l'annullamento del contingente, con il venir meno del determinato. Il cono, che voleva darsi come punto di contatto tra essenza e contingenza, tra assoluto e finito, si fa simbolo di una "non-indifferenza", di un irreparabile frattura tra le due sfere. Il problema dell'inconciliabile dissonanza tra rappresentazione ed essenza si ripropone in tutta la sua valenza distruttiva nel racconto Gehen [:Camminare]. A svolgere la funzione del cono in questo caso il linguaggio logicodenotativo, che, avendo perso la coscienza dei propri limiti, pretende di cogliere definitivamente la verit. Fulcro del racconto di Bernhard l'episodio che vede impazzire il protagonista, Karrer, di fronte alla designazione di oggetti attraverso i nomi. la rigidit della connessione tra designante e designato, caposaldo nell'economia della teoria referenziale, a portare il personaggio bernhardiano alla follia. Ripercorriamo le tappe che segnano la dinamica dell'impazzire, nel tentativo di coglierne la causa scatenante. L'incidente avviene durante un litigio; Karrer, recatosi in un negozio di abbigliamento per degli acquisti, discute con il commesso circa la qualit della stoffa di un paio di pantaloni. A detta del protagonista di Gehen si tratterebbe palesemente di un "articolo difettoso cecoslovacco [tschekoslowachische Auschluware]" (G, p. 58). Diverso il parere del commesso, che si fa garante della qualit del tessuto: una "stoffa inglese di primissima classe [erstklassigste englische Stoffe]" (ibidem). La discussione tra i due personaggi, che nel frattempo si fatta animata, viene scandita dall'insopportabile e incalzante rumore della macchina usata dal proprietario del negozio, Rustenschacher, per etichettare i pantaloni. L'attenzione di Karrer si focalizza su questi martellamenti monocordi; a questo punto che sopraggiunge la pazzia. Il racconto, non privo di connotazioni ironiche, potrebbe sembrare una stravaganza. Non cos e per rendersene conto occorre cogliere a pieno il significato dell'atto di Rustenschacher. Il processo dell'etichettare rimanda, fuori di metafora, all'atto del denominare, ossia a un fissare la propria verit come universale, alla registrazione di un'identit stringente e irrevocabile tra nome e cosa. Sotto i colpi della macchina etichettatrice, linguaggio e realt vengono metafisicamente identificati; i concetti vengono cio prepotentemente inchiodati nell'immobilit di un principio di identit con i nomi. Una tale spietatezza risulta insostenibile per la mente di Karrer, dal momento che la discussione con il commesso aveva invece fatto venire al pettine quelli che sono i nodi di una concezione denotativa del linguaggio, ossia il fatto che l'essenza non direttamente attingibile. Sempre in Gehen Bernhard scrive che le designazioni che usiamo non

possono mai essere le stesse, e soprattutto si rivelano sempre come qualcosa di diverso dalle cose (ivi, p. 16). Partendo da questo assunto l'atto del denominare si configura come una "violenza" del linguaggio ai danni della realt. La distanza tra designante e designato non viene considerata se si adotta il punto di vista del linguaggio logicodenotativo, che non esita a ridurre la differenza a identit. A pagare lo scotto di tale uso rappresentativo Karrer che, mal sopportando le cosiddette etichette delle quali si vorrebbe composto il linguaggio, finisce per impazzire. Per Bernhard le frasi che usiamo si rivelano al contempo vere e false [sind gleichzeitig richtig und falsch] (ivi, pp. 16-7) e quindi ogni volta che tentiamo di "andare alla radice delle cose [...] diciamo una cosa e scopriamo subito il suo contrario" (P, p. 214). cosi che, per dirla con Wittgenstein, "ci rompiamo la testa sull'essenza del vero segnIl motivo del linguaggio referenziale come carico di minaccia dirompente emerge anche dalle pagine di Perturbamento. Il principe Saurau, nel bel mezzo del suo sterminato monologo, accusa le parole di omicidio (ivi, pp. 96, 101 e 119). Ancora una volta la nota polemica di Bernhard rivolta al linguaggio denotativo e alla sua pretesa di pervenire all'essenza. Coloro che, impigliati nella trappola della logica, credono di trovarsi nel mondo e nell'esperienza solo per il fatto di determinare i concetti mediante la rappresentazione (Cfr. ivi, p. 190 e 193), senza presupporre una preliminare condizione di senso, si condannano all impossibilit di comunicare le loro esperienze. Ognuno avrebbe infatti la propria immagine del mondo (Cfr. ivi , p. 192), immagine che finisce l dove lui stesso finisce (Cfr. Ge, p. 211), dove il suo linguaggio si arresta. A sortire gli effetti di una visione solipsistica di questo tipo la possibilit di parlare: Tutto completamente diverso, sempre tutto diverso. Farsi capire e impossibile (P, p. 33). Nessuna rappresentazione infatti tiene conto del fatto che non tutto dicibile, che il pensiero non si pu raffigurare (ivi, p. 168). Il processo di "assolutizzazione" della logica e il conseguente embargo della dimensione estetica comporta inevitabilmente l'inabissarsi del linguaggio stesso, l'azzeramento della comunicazione. E tuttavia, di fronte a una parabola di dissoluzione di questo tipo, la dimensione indicibile del linguaggio rivendica la sua presenza, dandosi sotto forma di ripetizione del gi detto. Con le parola del principe Saurau viviamo in un mondo che cita continuamente tutto, prigionieri di questa citazione continua che il mondo (ivi, p. 161). L'affermazione del castellano di Perturbamento viene ribadita in un passo di Gehen, che recita: in fondo tutto quello che viene detto citazione [Im Grunde ist alles was gesagt wird, zitiert] (G, p. 22) e ritorna in Gelo, dove si legge: Come riflessa dalle pareti di una chiesa torna l'eco di ogni singola frase (Ge, p. 166). Questa continua ripetizione, ben lontano dal voler significare un canto di morte del linguaggio, sta invece a indicare che il parlare non riducibile alla sua funzione eteroreferenziale. Non si pu infatti prescindere dall autoreferenzialit, che per il linguaggio la condizione del rimandare ad altro da s. A un medesimo sfondo problematico rimandano i due romanzi La fornace e Cemento, assimilabili per il fatto che in entrambi il tentativo di cogliere la verit definitiva passa attraverso l esigenza di scrivere la loro opera capitale. Anche nel quadro qui delineato da Bernhard troviamo prefigurasi il germe del silenzio; alla fine di un lungo e travagliato percorso i protagonisti non riescono a mettere su carta neanche una parola di quell'immenso e irripetibile lavoro intellettuale (da un lato il trattato su l'Udito, il pi filosofico di tutti i sensi, dall'altro il saggio su Mendellsohn Bartholdy) che da anni hanno in mente (Cfr. LF, pp. 117 e 125 e Ce, p. 17). In entrambi i casi la pretesa quella di riuscire a imprigionare la realt con il linguaggio, ma, al momento di annotare l'idea eccellente, che darebbe inizio al loro capolavoro, questa rifluisce nel silenzio (LF, p. 63). Ogni spiegazione verbale del pensato si rivela incompleta e quindi ridicola. Il linguaggio logico non riesce a restituire il pensiero in tutto il suo spessore, impedendogli di darsi come assoluto (Cfr. ivi, pp. 114-5). in gioco la spinosa questione della distanza tra pensare e dire: l'intelligenza come Bernhard scrive altrove - non si lascia mortificare, cristallizzare dalle morte parole scritte, non si fa trasmettere sulla carta (Cfr. PC, p. 52). Dal momento che la verit e assolutamente incomunicabile, ci che scriviamo o diciamo non pu che essere una approssimazione all'essenza della realt, come si legge in un volume della cosiddetta autobiografia di Bernhard (Cfr. LC, p. 36). E ancora nello stesso testo: Tutti qualche volta alziamo la testa, credendo di dover dire la verit o quella che sembra la verit, e poi di nuovo la incassiamo nelle spalle [ivi, p. 128]. la pretesa di scrivere il saggio della loro vita a fare del compito di Konrad e Rudolf una corsa incalzante verso la sconfitta. I due personaggi sono costretti a rilevare continuamente tracce di menzogna nella verit da loro trovata. A tarpare le ali alla ricerca dell'essenza la natura stessa della verit assoluta, la sua ineffabilit. In questi termini il pensato resta sempre un'alterit irriducibile, non abbordabile linguisticamente. L'impossibilit di rappresentare una volta per tutte e in modo assoluto l'essenza delle cose, condanna quei personaggi bernhardiani che si macchiano della colpa di metafisica, alla sconfitta. Il fallimento nel caso di La fornace e di Cemento assume le sembianze di quella ossessionante pagina bianca che Konrad e Rudolf si ritrovano continuamente davanti agli occhi. 1.2 Dichiarazione di fallimento: il ritratto e la fotografia La questione della discrepanza tra la rappresentazione e la cosa rappresentata trova il suo apogeo nel caso dell'arte mimetica. Il ritratto, nella sua pretesa di rispecchiare la realt, assimilabile al linguaggio logico-denotativo. Nella contemplazione di questa forma artistica infatti forte la tentazione di osservare la rappresentazione come se si avesse a che fare con un "trattato di meccanica" o con un documento storico, e quindi si sente l'esigenza di gettare

uno sguardo sulla realt, per confrontare l'immagine dipinta con lo stato di cose. in gioco la nozione di "verit come corrispondenza". In questi termini il ritratto rappresenta il bersaglio polemico di Bernhard nella commedia teatrale Ritter, Dene, Voss, dove il protagonista maschile inveisce contro i quadri che i suoi familiari si sono fatti fare. Leggiamo: Non vi rassomigliano per niente e sono privi di valore artistico (RDV, p. 157) e subito dopo: non posso neanche dire che vi abbia sfigurate fino a rendervi irriconoscibili, perch sarebbe gi qualcosa (ibidem). Se la pretesa del ritratto quella di rappresentare l'essenza della realt, il risultato non pu che essere una dichiarazione di fallimento [Das ist ja eine Bankrotterklrung] (ibidem). Viene in mente quella frase scritta da Bernhard altrove, dove si legge che il pensiero non si pu raffigurare (P, p. 198). in gioco l'inafferrabilit concettuale del non-identico. C' infatti sempre qualcosa che sfugge all'immagine, un'alterit ineffabile e non annullabile, capace di produrre un effetto di scardinamento rispetto a una rappresentazione immediata del reale. Nella stessa direzione del ritratto si muovono le fotografie, contro le quali Bernhard polemizza in Estinzione. Le immagini riprodotte dalla pellicola catturano un mondo perversamente deformato, che con il mondo vero non ha niente a che vedere (E, p. 27, cfr. anche ivi, pp. 1002); come sostiene Murau, le fotografie non sono altro che una mostruosa falsificazione della natura (ivi, p. 25. Cfr. anche ivi, p. 15 e 101). La rappresentazione mimetica fissa un attimo, lo paralizza per poi comunicarlo come eterno. Bernhard in una pagina di Estinzione ricorda due famose fotografie: la prima ritrae la linguaccia di Albert Einstein, mentre la seconda sorprende una smorfia di Winston Churchill. Probabilmente - nota lo scrittore i due hanno assunto quell'espressione una sola volta nella vita, eppure l'immagine di quell'attimo immortalata nella mente del mondo intero, tanto da risultare difficile scindere i nomi da tali paradossali e ironiche rappresentazioni (cfr. ivi, pp. 188-9).

2. Una necessaria "resa dei conti": la distruzione dei "castelli in aria" Alla luce del percorso finora considerato, vediamo come al fallimento dell impresa eroica sia connessa la crisi dell idea di rispecchiamento. Se la rappresentazione dell essenza si rivela di impossibile realizzazione, a meno di sacrificare la contingenza, occorre emanciparsi dalla tentazione di raggiungere la verit definitiva e disfarsi da quella che si rivelata una cattiva immagine. In tal senso deve essere intesa, a nostro avviso, quell incessante opera di correzione del manoscritto, che in Correzione Roithamer intraprende alla morte della sorella. Questa operazione non allude a un tuffo nel silenzio, ma bens muove dall'esigenza di svincolarsi dalla trappola della metafisica. Quel che pi preme al filosofo-scienziato di Correzione lo scardinamento dei meccanismi del sistema denotativo e quindi la rinuncia all'idea della fondamentalit della logica. Come la demolizione del vecchio manoscritto non porta al silenzio, ma semmai all'epifania di un nuovo lavoro intellettuale (Cfr. C, p. 258), cos sulle ceneri della verit denotativa sorge una nuova concezione della verit, lontana dalla tentazione dell assoluto. Anche il suicidio di Roithamer, correzione della correzione, deve essere inteso, a nostro avviso, come un'affermazione del finito stesso, come una dimostrazione di riconoscimento del proprio essere transeunte. Il personaggio bernhardiano, dopo aver cercato di risolvere l'universale nel particolare, a danno di quest'ultimo, restituisce il senso e conferisce dignit al suo statuto di finito proprio uccidendosi, ribadendo la valenza del suo essere mortale. Questo un punto decisivo. Stiamo dicendo che solo e proprio attraverso il finito, le determinatezze, che il senso pu darsi. Dello stesso avviso di Roithamer sembra essere Saurau in Perturbamento. Lasciamogli la parola: necessario [...] che noi distruggiamo tutte le immagini del mondo, l'importante che tutte le immagini del mondo vengano sempre da noi distrutte (P, p. 193). Anche in questo caso il discorso del castellano non vuole esprimere una vittoria del silenzio, del non-senso, ma si riferisce a quella che avverte come una necessaria operazione di scardinamento della prospettiva logico-denotativa: l uscita da quello stato di minorit a cui la dannazione della rappresentazione condanna l uomo. Il personaggio principale di Perturbamento dice: Tutto l'armamentario di parole che usiamo non esiste assolutamente pi. Tuttavia non neanche possibile ammutolire completamente (P, p. 168). Lontano dal proporre il silenzio, l intento di Saurau piuttosto volto a sottolineare l'importanza di una presa di distanze dall egemonia della prospettiva logico-denotativa, volta a riscattare il contingente dalla morsa di una visione onnicomprensiva della realt. Per guadagnare una nuova e pi proficua posizione gnoseologica, occorre in primo luogo scuotersi di dosso le ormai radicate superstizioni ed estirpare alla radice le false immagini, le illusioni.

3. Tentativo di salvezza. Dalla ricerca dell errore alla ricerca del senso Il nucleo problematico unitario che emerge dall'analisi degli scritti bernhardiani finora considerati risulta essere quello di un collasso della nozione di verit come rispecchiamento. Si tratta di una prospettiva che sembrerebbe comportare,

come abbiamo visto, un accettazione passiva dell'impossibilit di comunicare. Assistiamo .invece a qualcosa di ben diverso; proprio nel momento che dovrebbe sancire la vittoria del non-senso, emerge, a nostro avviso, un inaspettato emanciparsi dal vincolo della verit assoluta e un successivo affacciarsi sulla scena del senso, senso che si d sempre come intimamente connesso al non-senso. In vista di tale riscatto si fa necessario un cambiamento d'orizzonte, l'abbandono di quell'atteggiamento conoscitivo che pretendeva di venire a capo delle cose in modo definitivo e indiscutibile. L'interrogazione sul senso del mondo, attuandosi nel non-senso del mondo stesso, deve rinunciare a darsi nei termini dell assolutezza. Questo tuttavia non vuol dire rinunciare all'essenza, per mantenersi nei limiti del contingente, ma piuttosto capire che la verit resta sempre qualcosa di altro rispetto al dire, che tuttavia solo nel contingente pu darsi. Solo indagando la contingenza possiamo cogliere quell'alterit ineffabile che, come abbiamo visto, sancisce la condanna a morte della figura del "compito" nei romanzi di Bernhard. L'importante allora non il riconoscimento della verit, quanto la ricerca di questa, pur nella consapevolezza che l'assoluto di impossibile lettura. In questa ottica dovrebbe essere letto il tema del compito, ossia come una necessaria interrogazione sulla propria contingenza. proprio per questo motivo che i personaggi bernhardiani si lasciano travolgere da quell inquietudine che li spinge a lottare contro tutto e tutti per il raggiungimento del loro obiettivo. Nella figura del compito ineseguibile, ma perseguito fino allo spasimo, si rivela la domanda capitale sulle condizioni di possibilit del perseguire uno scopo determinato, il che ben diverso dal porsi un fine e cercare di raggiungerlo. l'atteggiamento interrogativo nei confronti della propria contingenza ad aprire la via d'accesso, in ogni momento conoscitivo determinato, allo sfondo garante del nostro operare e del nostro riflettere. Sotto questa nuova luce il tema del compito assume una valenza diversa. Si tratta, a ben vedere, di un luogo di interrogazione, di messa-in-questione della contingenza, in uno sforzo di comprensione dell'esperienza in genere, che si muove nell'assenza di garanzie. La ricerca del senso e dei limiti della propria esistenza, del proprio agire, dall'interno della contingenza, espone inevitabilmente al rischio del non-senso, a un salto nel buio, e tuttavia si tratta di un pericolo da correre. Se vero che non riusciamo a cogliere la verit in tutto il suo spessore, ci che conta per Bernhard la nostra ricerca, in quanto riflessione che permette di uscire dal mondo, stando nel mondo (Cfr. LC, p. 116). Non un caso se spesso ricorre nella letteratura bernhardiana l'immagine di uomini in equilibrio su una fune o sull'orlo di un abisso, comunque nel luogo-non luogo del limite, del margine, della distanza, della quasi instabilit, del rischio. Si tratta di metafore che alludono al luogo di confine tra il dentro ed il fuori, tra il contingente e il necessario, tra senso e non-senso. Siamo nel contingente e di qui, nel perseguimento del compito della vita, possiamo distanziarci per risalire alla comprensione del senso. Se nessun tipo di rappresentazione permette il raggiungimento diretto dell'essenza, anche vero che offre la possibilit di gettare uno sguardo sull'irrappresentabile. Tale funzione viene svolta, nel caso del linguaggio, da quelli che Bernhard chiama i concetti d'uso. Leggiamo quanto scrive lo scrittore austriaco, sulla scorta delle sollecitazioni offerte dalle Ricerche filosofiche di Wittgenstein: Quando camminiamo si tratta di cosiddetti concetti d'uso [...] quando pensiamo si tratta del tutto semplicemente di concetti [...] Attraverso il mondo dei concetti d'uso o dei concetti d'aiuto andiamo avanti, non attraverso il mondo dei concetti [Wenn wir gehen [...] handelt es sich um sogennante Gebrauchsbegriffe [...] wenn wir denken, handelt es sich ganz einfach um Begriffe [...] Durch die Welt der Gebrauchsbegriffe oder der Hilfsbegriffe, kommen wir weiter, nicht durch die Welt der Begriffe] (G., p. 91). Quel che Bernhard ci sta dicendo che sono i concetti d'uso (nel registro wittgensteiniano giochi linguistici), a gettare luce, nella loro molteplicit, sull uso, ossia sulla condizione interna, pragmatica, del nostro parlare, del nostro uso effettivo del linguaggio . Lasciamo per un attimo la parola a Bernhard, il quale in un'intervista afferma: Una descrizione non corrisponde mai al dato di fatto [...] se dico "tre persone sono morte" una cosa ben diversa che se rappresentassi la morte vera e propria, ci che del resto impossibile (CTB, p. 18). in gioco la problematica della rappresentazione. Se il linguaggio denotativo non pu rappresentare l'essenza della realt, occorre abbandonare l'approccio in forma di presa diretta, per alludere all'unit trascendentale attraverso la molteplicit dei giochi linguistici, delle metafore, degli esempi. Una tale alterit, che in ambito logico si sarebbe configurata come il limite della rappresentazione, qui finisce per svolgere la funzione di una sorta di trampolino di lancio. Come Bernhard scrive in Gehen, la sopravvivenza ci resa possibile dal fatto che le designazioni non coincidono mai totalmente con le cose, e che quindi ci impossibile pensare in modo assoluto (Cfr. G, p. 32). Nel dire qualcosa alludiamo sempre, contemporaneamente, a qualcos'altro, a quello che Bernhard chiama ora il contenuto di verit della menzogna, ora lo sfondo sul quale la verit giace come l'inesplorabile (Cfr. Ge, p. 195). Per questa ragione ogni dire anche un non-dire e ogni comprensione sempre anche noncomprensione. In questo senso va ancora letta la ricerca dell'errore palese da parte di Reger, in Antichi maestri. Il personaggio bernhardiano passa le sue giornate nella sala Bordone del "Kunsthistorisches Museum" di Vienna, allo scopo di individuare nel quadro di Tintoretto, quella imperfezione che rende l'immagine sopportabile al suo sguardo (AM, pp. 30-1). Il protagonista di Antichi maestri cerca nel quadro un "che" di oscillante tra l'essere un "di meno" rispetto al ritratto e un "di pi" rispetto alla raffigurazione. Si tratta di quell'aspetto irraffigurabile, indicibile, che si d attraverso

il rappresentato e che rende l'opera un capolavoro artistico, al di l del suo essere documento storico: la condizione estetica. L'errore palese un opacit, un alterit che eccede dal quadro e che tuttavia attraverso l immagine si d, proprio come mancanza, come ritrarsi. Sulla stessa linea si pone l'Io-narrante di Correzione, che si assume l'incarico di riordinare il lascito sotto forma di appunti dell amico suicida Roithamer. Mentre questi rimanda, nella sua presunzione di cogliere la verit definitiva al mondo della scienza, la posizione dell Erzhler-lch piuttosto assimilabile al punto di vista dell'estetica. Vediamo perch. L anonimo personaggio bernhardiano si rende conto del fatto che proprio l asistematicit, l'incompletezza, il disordine che regna negli scartafacci a costituire il loro peculiare ordine, l'unico possibile, dal momento che nessuna sistemazione pu darsi come definitiva. Non si tratta di contrapporre ordine e disordine, quanto piuttosto di riconoscere l'uno nell'altro, nel loro inevitabile e continuo ribaltarsi. Attraverso la pluralit di possibili percorsi che il testo offre, si esibisce quell'unit trascendentale che anche la loro condizione di possibilit. Si collegano i fatti in un certo modo, si d un ordine, uno dei tanti possibili, e non l'ordine, la sistematizzazione definitiva. Il rappresentabile, il dicibile, viene organizzato in quel modo che ci permette la scoperta delle connessioni illuminanti, e quindi fa emergere, dal suo stesso interno, la condizione indicibile, irrappresentabile, irriducibile a molteplicit, che d senso a ogni possibile riformulazione del dato. Per capire il senso di pi oggetti collegati tra loro non si deve intraprendere una ricerca storica e quindi logica, volta verso l'essenza di ogni singolo oggetto (Cfr. P., p. 204-216), ma ricercare le analogie, le interrelazioni tra un oggetto e un altro. proprio questo secondo tipo di indagine filosofica che permette l'accesso all'orizzonte ineffabile e necessario del contingente. forse alla luce dell'importanza di un'indagine che passa per il contingente che possiamo interpretare le parole di Saurau: Da molto tempo mi interessa non tanto chi arriver per primo sulla luna, quanto piuttosto chi attraverser per primo la terra (ivi, p. 215), ossia colui che, vivendo, soffrendo, riflettendo e soprattutto lavorando al proprio compito, cerca di prendere-le-distanze da quella situazione di passivit, alla quale la nascita lo avrebbe condannato, per risalire al senso, non-senso, ma pur sempre senso della propria vita.

---------------------------------NOTE * Queste pagine traggono spunto da un lavoro di pi ampio respiro, riguardante l'influenza che la filosofia di Ludwig Wittgenstein ha esercitato sulla letteratura di Thomas Bernhard. In questa sede si invece cercato di delimitare il campo di indagine alla problematica del senso nella narrativa bernhardiana. Il riferimento a Wittgenstein ci tuttavia sembrato in alcuni casi non del tutto eludibile. [1] stato Emilio Garroni ad aver messo in luce il ruolo centrale che il tema del compito gioca nella narrativa di Bernhard. Si rimanda il lettore alla sezione dal titolo Sul senso, sul non-senso e sull arte oggi in Emilio Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Milano: Garzanti, 1992 (1 a ed.), pp. 241-3. [2] Pensiamo in primo luogo a quel passo di Cemento, dove, come ha notato Emilio Garroni, viene tematizzata la problematica dell arte-senso come, insieme, non-senso e ricerca ossessiva del senso. L attenzione del personaggio bernhardiano Rudolf sembra cadere non tanto sulla realizzazione del compito - ossia in questo caso la stesura del saggio su Mendellsohn Bartholdy - quanto sul senso-non-senso di una tale impresa. Cfr a proposito Estetica cit., p. 242-43. [3] La nota metafora di Wittgenstein. Cfr. Ricerche filosofiche [Philosophische Untersuchungen, 1945-49]. Trad. it. di Mario Trinchero, Torino: Einaudi, 1991 (1a ed.: 1967), 309, p. 137. [4] Per quanto detto siamo ancora debitori a Emilio Garoni. Cfr. Id., Un esempio di interpretazione testuale: "Korrektur" di Thomas Bernhard in AA.VV., Il testo letterario. Istruzioni per l'uso, a cura di Mario Lavagetto, Roma-Bari: Laterza, 1996, (1a ed.), pp. 245-282. [5] Si tratta della variante riportata da Rhees in Ludwig Wittgenstein, Lezioni e conversazioni sull'etica, l'estetica e la credenza religiosa [Lectures and Conversations on Aestetics, Psycologhy and Religious Belief , 1929-30], trad. it. di

Michele Ranchetti, Milano: Adelphi, 1992 (1a ed. 1967), p. 53. [6] Oltre a cono il termine tedesco Kegel, che soprattutto si incontra nella formula Kegel und Kind, sta a significare figlio illegittimo. Alla luce di questa precisazione possiamo leggere il rapporto tra Roithamer e la sorella come una relazione incestuosa, che porta la donna al suicidio, quando scopre di aspettare un figlio dal fratello. In questi termini il romanzo ricalca la dinamica del racconto bernhardiano dal titolo Al limite boschivo. Cfr. Thomas BERNHARD, LB, pp.44-55. [7] L'allusione alla proposizione 5.64 del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein, dove si legge: L io del solipsismo si contrae in un punto inesteso e resta la realt coordinata ad esso. Cfr. Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, trad. it. di A. G. Conte: Tractatus logico-philosophicus e Quaderni, Torino: Einaudi, 1994, (1a ed. 1964). [8] qui sicuramente riconoscibile il piglio polemico di Wittgenstein nei confronti della teoria denotativa. Quando Bernhard scrisse le pagine di Gehen che affrontano l impazzire di Karrer (cfr. Bernhard, G., pp. 53-73), aveva sicuramente presente quei paragrafi delle Ricerche filosofiche, dove il filosofo austriaco, intento a denunciare gli errori della sua prima concezione linguistica, paragona il denominare al processo dell etichettare. Cfr. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche op. cit., 15, 26-27 e 449, pp. 16, 23 e 173. Il motivo polemico rivolto all indirizzo della filosofia del linguaggio del Tractatus, e a quei paragrafi della Grammatica filosofica, dove viene teorizzata l analogia tra il benennen e il einem Ding ein Namelstfelchen anheften (cfr. L. Wittgenstein, Grammatica filosofica [Philosophische Grammatik]. Trad. it. di Mario Trinchero, Firenze, La Nuova Italia, 1990, (1a ed.), I, 56 e 81, pp. 6290). Si rimanda il lettore interessato allo studio di Wendelin Schmidt-Dengler, Der bertreibungsknstler. Studien zu Thomas Bernhard, Wien: Sonderzahl, 1989 (1a ed. 1986), pp. 26-41 e a quello di Peter Kampits, Wittgenstein. Wege und Umwege zu seinem Denken, Graz-Wien-Kln: Styria, 1985, pp. 199-204. [9] Gehen non l unico luogo dove Bernhard polemizza contro le cosiddette etichette . Ricordiamo che lo scrittore disse a Kurt Hoffman durante un intervista: Quando a uno stata messa l etichetta bue rimane un bue fino al banco del macellaio. [BERNHARD, CTB, p. 53]. Al di l del dettato bernhardiano vediamo come il tema dei limiti della rappresentazione emerge in un passo del romanzo di Garcia Marquez Cent anni di solitudine. Qui vengono messe in luce quelle che lo scrittore avverte come le possibili conseguenze di un uso referenziale del linguaggio: Jos Arcadio con uno stesso inchiostrato segna ogni cosa con il suo nome: tavole, sedia, orologio [...] a poco a poco [...] si accorse che poteva arrivare un giorno in cui si sarebbero individuate le cose dalle loro iscrizioni, ma non se ne sarebbe ricordata l utilit. Allora fu pi esplicito. Il cartello che appese alla nuca della vacca era un modello esemplare [...]: Questa la vacca, bisogna mungerla tutte le mattine in modo che produca latte e il latte farlo bollire per aggiungerlo al caff e fare il caffelatte. Cos continuarono a vivere in una realt sdrucciolosa [Cfr. Gabriel Garcia Marquez, Cent anni di solitudine [Cien aos de soledad, 1967], trad. it. di Enrico Cicogna, Milano: Mondadori, 1983 (1a ed.), pp. 48-9]. [10] Ci sembra interessante notare che il racconto di Arthur Schnitzler, Io, pu essere considerato una vera e propria anticipazione della vicenda narrata da Bernhard. Il protagonista della novella, alla vista di una scritta PARCO fuori di un parco, impazzisce e cerca di etichettare ogni oggetto e persona che incontra Cfr. Arthur Schnitzler, Opere, Milano: Mondadori, 1988, pp. 608-619. [11] Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche cit., 105, p. 64. [12] molto significativo a proposito un breve racconto di Bernhard dal titolo L imitatore di voci, dove la dimensione eteroreferenziale del linguaggio, escludendo l autoreferenzialit, si autocondanna al silenzio. Cfr. Thomas BERNHARD, IV, pp. 11-12. [13] L'esigenza avvertita da Roithamer di liberarsi dal manoscritto contenente tutti gli studi sul cono, e quindi dal cono stesso, rimanda d un paragrafo delle Ricerche filosofiche, dove Wittgenstein, nel porre l'accento sull'importanza della pars destruens nell'indagine filosofica, usa la metafora della demolizione della casa. Tale operazione potrebbe sembrare ad un primo sguardo un passo indietro, perch riduce gli edifici a rottami e calcinacci. In realt, come il filosofo precisa, quelli che vengono demoliti sono solo castelli in aria [Luftgebude], ossia illusioni che, con la loro presenza, impediscono il vero progresso filosofico [Cfr. L. Wittgenstein, Ricerche cit., 118, p. 68]. Come Wittgenstein corresse la lettura con la quale aveva creduto di risolvere i problemi principali della filosofia e che invece li aveva creati (cfr. ivi, 133, p. 171), cos la correzione di Roithamer pu essere letta come una liberazione dalla tentazione di rappresentare l'assoluto.

[14] Si rimanda allo studio di A.G. Gargani, La frase infinita [vedi sotto], Roma-Bari: Laterza, 1990 (1a ed.) e all articolo di Guido Brivio, Dire di s al male, in Rivista di Estetica, Torino: Rosenber & Sellier, 1999.

Studi di Estetica III serie anno XXX, fasc. I 25/2002

THOMAS BERNHARD E IL RETROSCENA DELLA SCRITTURA Davide Sparti (Gennaio 2002) Introduzione Il 10 Febbraio del 2001 Thomas Bernhard avrebbe compiuto settant anni. Per celebrare l anniversario, l editore Suhrkamp ha pubblicato l insieme di tutte le sue opere, di prosa, teatro e poesia, mentre l editore Residenz ha proposto un diario segreto , tenuto di nascosto da un amico intimo, vicino di casa e uomo di fiducia di Bernhard, Karl Ignatz Hennetmair.[i] Il diario offre la cronaca giorno per giorno di un anno intero della vita di Bernhard, consentendo al lettore di entrare nei suoi tre cascinali austriaci e di seguire lo scrittore passo dopo passo nella vita quotidiana; mentre mangia, passeggia, impreca, guarda la televisione, lava i panni e li stira, gioca a carte, si gode un film di Godard in televisione (29/5), lavora con grande abilit a maglia.[ii] Mentre ricerca il punto preciso del terreno adiacente la sua cascina Krucka per farsi seppellire (19 e 21/9), fa la spesa all ingrosso di Wells (9/11), o mentre opera con la cura e l energia di un mastro nel restaurare la casa. E soprattutto mentre scrive e commenta le critiche che riceve, permettendo di conoscerne le manie, le ossessioni, le debolezze. Siamo nel 1972, Kalkwerk uscito da poco pi di anno e Bernhard lavora al romanzo Korrektur (11/2), che Suhrkamp pubblicher tuttavia quasi tre anni dopo. anche l anno della famosa e discussa messa in scena a Salisburgo del primo dei tre pezzi teatrali scritti su commissione dei Festspiele, ossia Der ignorant und der wahnsinnige, per la regia di Carl Peymann, con Bruno Ganz come attore protagonista e l artista Jean Tinguely fra coloro che contribuiscono alla scenografia. Bernhard e Hennetmair si conoscono dal 1965 (anno dell acquisto della prima e pi abitata cascina di Bernhard, quella quadrangolare nell Obernnathal, presso Ohlsdorf), ma proprio nel 1972 l amicizia si stringe al punto scrive Hennetmair (11/2) da poter emettere tranquillamente flatulenze l uno davanti all altro. Pi significativamente, Hennetmair assolve in qualche modo la funzione di riportare Bernhard con i piedi per terra , anche in senso letterale, aiutandolo a trovare, acquistare, restaurare ed arredare tutte e tre le sue propriet. Questa funzione esplicitamente riconosciuta da Bernhard, al punto che egli, alcuni anni dopo, creer una figura letteraria corrispondente a Hennetmair, ossia Moritz, nel romanzo Ja. Come Hennetmair, Moritz un agente immobiliare; come Hennetmair, Moritz costringe il narratore senza nome (alter ego di Bernhard) a uscire di casa e a staccarsi dal lavoro, accompagnandolo nei suoi giri d affari. Giri grazie ai quali Bernhard viene a conoscere nuove persone, e nuovi luoghi, ed anche nuovi aspetti ripugnanti dell esistenza umana, giri che hanno sempre al tempo stesso tonificato e oppresso Bernhard, ispirando molti suoi romanzi. In breve, Hennetmair, come Moritz, rappresenta un realittsvermittler per Bernhard, qualcuno che lo lega alla realt quotidiana, e dunque un lebensretter, un salvatore. Pur accogliendo il senso di intimit che il diario di Hennetmair riesce a restituire, in questo mio contributo mi soffermer non tanto sul ritratto umano di Bernhard quanto sullo sguardo che il libro consente di gettare nel retroscena dello scrittore e della scrittura. Uno sguardo privilegiato anche per il paragone che consente di tracciare fra il processo di scrittura di Bernhard e quello di alcuni dei suoi pi noti personaggi, mettendoci in condizione di apprezzare fino a che punto questi riflettano l autore nella sua concreta individualit biografica, fino a che punto, cio, Bernhard ed i suoi personaggi fossero vicini.[iii] Per motivi espositivi, il rapporto parallelo fra Bernhard ed i suoi personaggi verr talvolta intrecciato, altre volte sovrapposto (un paragrafo su Bernhard, a cui segue un paragrafo sul

personaggio di cui parla). Fra tali personaggi, mi concentrer soprattutto sulla vicenda del musicologo Rudolf e sulla sua impossibilit di iniziare uno studio su Mendelssohn-Bartholdy (in Beton), sulla vicenda di Konrad (Das Kalkwerk), il quale da anni lavora ad un saggio sull udito che non riuscir mai a stendere su carta, e su quella di Roithamer, il protagonista di Korrektur, che si uccide dopo aver finalmente realizzato il progetto che aveva orientato la sua intera esistenza. Pure la realizzazione del diario di Hennetmair ha richiesto un peculiare sforzo di scrittura, soprattutto a causa della necessit di stare costantemente all erta affinch Bernhard non lo sorprendesse. Abitando a poche centinaia di metri da Hennetmair, capitava non raramente che Bernhard compisse delle incursioni improvvise dal vicino. Mentre Hennetmair scrive, la moglie fa la guardia appostandosi presso la finestra e dando l allarme ( arrivaaa! ) in caso di avvistamento (27/4). Anche per questo Hennetmair, dopo undici mesi di 'attivit', confessa di essere sull orlo di un collasso per la tensione provocata dallo sforzo di memorizzare e poi trascrivere conversazioni ed avvenimenti, per di pi alle spalle di Bernhard. E ammette di essere in grado di portare a termine il diario solo perch si tratta di un anno di vita con Thomas Berhnard, ma non un giorno di pi (il 2 Gennaio 1973 il diario viene depositato presso un notaio dove resta sigillato per trent anni). E cos il diario acquista un interesse ulteriore, poich i tre assi della scrittura si incrociano: Hennetmair che scrive di Bernhard che scrive di quei suoi personaggi (come Konrad o Rudolf) i quali scrivono a loro volta (o falliscono nel farlo). Utilizzando l opportunit offerta dal diario, vorrei quindi affrontare uno dei temi fondamentali di molti romanzi di Bernhard, evidentemente un ossessione dello stesso autore: quello della ricerca delle condizioni ideali per gli scopi creativi, una ricerca che finisce per diventare essa stessa un scopo primario. Anche se con Hennetmair Bernhard non si quasi mai voluto esprimere direttamente sui contenuti del lavori in gestazione ( das ist meine sache ; sono affari miei), il contesto della creazione, ossia i luoghi, i tempi, le distrazioni, le ispirazioni, ecc. viene illuminato in modo esemplare dal diario. Quella che perci offrir in pratica una circostanziata disamina degli infiniti fattori interni ed esterni che si frappongo alla stesura di un lavoro creativo, ostacolandolo. I motivi sono quelli che ricorrono sempre nei romanzi di Bernhard: la relazione di odio-amore con le persone che lo circondano, con la solitudine, con la casa, con i luoghi ed il loro clima. Tali motivi verranno analizzati sempre in rapporto al processo della scrittura nell atto del suo formarsi, delineando cos una sorta di autoritratto spesso ironico, tragico e comunque grottesco dello scrittore impegnato a creare. Dico ironico poich esattamente come Kafka ebbe a dire dei suoi racconti (nella testimonianza di Max Brod), anche Bernhard ammette di scoppiare in risate fragorose gi quando scrive, ed anche dopo, durante la revisione (cfr. Bernhard 1993, p. 26. Cfr. anche Meyerhofer, 1988). Bench molti lettori trovino che non vi sia proprio nulla da ridere in Bernhard, egli stesso confessa di aver sempre descritto situazioni comiche nei suoi lavori (26/1). Che Bernhard fosse anche una persona con doti comiche lo testimonia a pi riprese Hennetmair, descrivendo come Bernhard, con le sue battute, cantando, imitando e prendendo in giro i presentatori televisivi, suscitasse attacchi di risa isteriche tali da provocare crampi allo stomaco, o da costringere non solo Hennetmair ma anche sua moglie, sua madre, e i suoi figli a sdraiarsi per terra (25/2, 26/6, 22/8, 4/9, 27/9, 7/11, 11/11).[iv] DELL INIZIO Una delle difficolt maggiori dei personaggi di Bernhard quella di iniziare a scrivere. Che occorresse cogliere il momento propizio Bernard lo sapeva bene: per poter scrivere si deve saltare subito fuori dal letto (1993, p. 39). Ed in effetti Bernhard un mattiniero. Egli scrive molto presto al mattino, dalle cinque alle nove (anzi: solo se cos presto, 31/12), esattamente come l amato nonno materno, Johannes Freumbichler, a sua volta scrittore. Dopo di che va a spasso, legge i giornali, assapora l ozio, mangia abbondantemente e poi eventualmente di nuovo, dalle quattro alle sette, lavora e va a fare due passi prima di consumare una cena leggera (18/9, 19/12). Nonostante numerosi tentativi, n Rudolf n Konrad riescono a cominciare a scrivere. Per iniziare a scrivere tutto sta nel trovare il momento giusto. Quello era il momento che lui aspettava, ecco il momento [...], ed effettivamente quel momento si presenta ogni giorno, non passa giorno senza che si presenti il momento nel quale io cedo di poter incominciare il saggio Sull udito e completarlo , dichiara Konrad (1984, p. 54). In quei momenti Konrad credeva che gli sarebbe stato possibile mettersi a tavolino e incominciare a stendere il saggio, e lui si sedeva, e nonostante la sensazione di riuscire a incominciare, non riusciva a incominciare (1984, p. 207). Proprio quando Konrad al culmine, nel momento cruciale, convinto di poter mettere d un tratto il saggio nero su bianco, di stenderlo su carta, ecco che tutto si gi frantumato... Come migliaia di altri prima di lui, anche Konrad era stato vittima della follia di credere che un bel giorno in un unico istante (il cosiddetto istante ottimale) sarebbe riuscito a realizzare il saggio mettendolo in

forma scritta (1984, p. 211). Come iniziare?, si chiede anche Rudolf. la cosa pi semplice e si deprime per il fatto che la cosa pi semplice non gli sia ancora riuscita. Arriva il momento di avvicinarsi alla scrivania, sedersi ed iniziare. La scrivania in ordine? S, lo . Vai alla scrivania e ti siedi e scrivi la prima frase del tuo studio. Non con cautela, con decisione! , ordina Rudolf a se stesso (1990, p. 17). Ma se mi siedo arriva un imprevisto, un contrattempo, un vicino grida, qualcuno bussa alla porta, il postino, la sorella... Partita la sorella, ritrovata la pace, Rudolf pensa finalmente di poter iniziare. Ma si rende conto di non aver ancora fatto colazione. La fa, e poi si pente. Non si pu iniziare un saggio a stomaco pieno!, casomai a stomaco vuoto. Come potuta venirgli l idea di cominciare dopo colazione?! In Thomas Bernhard ritroviamo queste difficolt. In estate fa troppo caldo, deve nuotare, o farsi la doccia ogni due ore. In autunno il tempo cos bello che lo sospinge fuori (26/9; 4/10). Si propone di lavorare. Si alza presto. Ma poi gli vengono in mente le cose pi assurde da poter fare in casa pur di non iniziare a scrivere (7/9). Rispetto all occupazione principale (scrivere) finisce cos per impegnarsi in una moltitudine di occupazioni secondarie: raccogliere le prugne, tagliare la legna (15/8), restaurare una cornice, fare i lavoretti di casa (2/10), ascoltare la radio e guardare la televisione (15/11). Tanto che ad un certo punto Bernhard decide di rimandare il tutto a fine autunno, a Bruxelles, dove potr isolarsi come un prigioniero e dedicarsi interamente alla scrittura (8/9), isolamento che tuttavia lo costringe poi a trasferirsi a Vienna, dove di nuovo, dopo alcuni giorni, non regge pi e deve scappare via. Forse a cause di tutte queste difficolt nell avviare un libro, Bernhard confessa che il mestiere dello scrivere va paragonato ai lavori pi duri (30/12). In ogni caso, a differenza di Konrad o Rudolf, quando finalmente Bernhard inizia a lavorare, in poche settimane l intero romanzo o pezzo teatrale scritto (13/8).[v] QUIETI E SOLI Quali possono essere i requisiti ideali per scrivere? Anzitutto quelli esterni, per esempio l assenza di rumore. Il 23 Aprile Bernhard si precipita da Hennetmair e dichiara animosamente di doversi trasferire da Nathal, e per anni! Una ditta intende fare delle perforazioni per ricercare olio proprio accanto al suo terreno. La battaglia legale per salvare una delle pi fondamentali condizioni di possibilit dello scrivere la quiete va avanti per mesi (con tanto di scavi avviati), ma viene vinta. Poi una seconda minaccia (anch essa infine sfumata) in Ottobre: la costruzione di un allevamento intensivo di maiali da macello, proprio accanto alla cascina. Il rumore e l odore rappresenterebbero un piaga tale da rovinare interamente la mia esistenza, spiega Bernhard, preoccupato al punto da non riuscire a dormire (10/10, 18/10). Il rumore, la puzza ed il chiasso sono fastidiosi, ma come sottolinea d altra parte lo stesso Bernhard, anche la quiete pu essere insopportabile. Basta rigirarsi nel letto e si sobbalza pensando che ci siano i ladri. Si sceglie la quiete estrema e poi succede il contrario di quello che si sarebbe voluto ottenere grazie a quella scelta; non ci si tranquillizza, si diventa sempre pi inquieti, scoprendo che la quiete estrema non genera affatto calma interiore (1984, p. 145). Un altra costellazione ideale quella dell isolamento. Ne Il soccombente l io-narrante dichiara di volersi chiudere nella casa di Calle del Prado e scrivere il suo saggio su Glenn (Gould) (1985, p. 172). Anche Konrad credeva che proprio l isolamento della fornace lo avrebbe produttivamente protetto dal resto del mondo, ma finisce per diventare prigioniero di una vita intollerabile. A momenti credo che sia colpa della fornace se non riesco a mettere il saggio per iscritto, a momenti credo che proprio perch vivo nella fornace che ho ancora la possibilit di mettere il saggio per iscritto. Cos si alternano i due pensieri, uno, il pensiero che riuscir a mettere il saggio per iscritto perch vivo nella fornace, e l altro, il pensiero che non riuscir a mettere il saggio per iscritto, che non ci riuscir mai, perch vivo nella fornace (1984, p. 166). Rudolf terrorizzato dalla presenza della sorella, la quale annienta sul nascere l idea stessa di poter iniziare il suo saggio: occorre essere soli per dare avvio ad un lavoro intellettuale. In effetti, lo stesso Bernhard non riesce a lavorare sapendo che amiche come la signora Hufnagl, o la signora Maleta, o anche effettivamente sua sorella(stra) possano farsi viva da un momento all altro in casa (27/9). Finalmente la sorella di Rudolf parte. Sei di nuovo solo, solo!, sii contento!, dice a se stesso. Ma tormentato dall idea che lei possa tornare in qualsiasi istante per un qualunque motivo ed annientare il suo progetto. Non riesce a dormire, teso com a sentire se lei non fosse alla porta. Poi, estenuato, si appisola. Si risveglia di soprassalto e constata che sono gi le cinque del mattino, mentre aveva deciso di iniziare il lavoro alle quattro. Spaventato da questa negligenza nell aver tardato a cogliere il momento giusto Rudolf, non riesce ad iniziare. Il tentativo di iniziare fallito. Albeggia: non pi possibile incominciare. Ma anche quello dell isolamento dello scrittore un ideale ambiguo. vero che Rudolf odia la presenza della sorella,

ma questa stata pur sempre chiamata dallo stesso Rudolf per liberarsi da una solitudine altrettanto nociva e paralizzante: Da soli a lungo non si resiste, e in due nemmeno (1993, p. 47).

I LUOGHI DELLA SCRITTURA Fra i requisiti ideali per poter scrivere vi anche il clima. Nei castelli e nei borghi austriaci, ad esempio, l umidit dei muri arreca danni irreparabili. Il clima freddo e nebbioso (anche a Nathal Bernhard si lamenta dopo quattordici giorni di nebbia continua, 10/11). Il muro della casa accanto a solo venti metri eppure non si vede: esistere da solo in un nebbia del genere folle! (1990, p. 31). D altra parte, il riscaldamento eccessivo o la presenza opprimente di persone indesiderate possono rendere il clima soffocante e l aria irrespirabile, tanto che uno dei gesti caratteristici di Rudolf quello di spalancare le finestre per dare aria alla casa (una vera e propria mania dello stesso Bernhard, 21/9). Dopo averlo fatto per la terza volta, l odore penetrante e sgradevole della sorella si attenuato, ma il freddo in casa diventata improvvisamente insopportabile, tanto che Rudolf corre il rischio di congelare. In queste condizioni non pu nemmeno pensare di accingersi a scrivere. Il clima rimanda direttamente al luogo, ed il primo luogo della scrittura quello domestico. All interno della casa i personaggi di Bernhard passano continuamente da una stanza all altra, scendono di sotto e poi risalgono, socchiudono la porta, aprono e chiudono le finestre, non trovano requie. L uno ha bisogno di camere grandi, si sente sollevato, l altro si sente oppresso nelle camere grandi. Per l uno abitare in una camera sopra un cortile o rivolta verso una parete di roccia costituisce una scelta rovinosa, per l altra rappresenta una scelta ideale. Anche Bernhard triangola sempre pi frequentemente, e freneticamente, fra le sue tre case.[vi] Il cascinale in Obernathal la base di Bernhard, ma quando ha bisogno di movimento fisico o di maggiore isolamento per lavorare meglio, si rifugia su alla Krucka (8/7, 11/8). Quando l isolamento inizia ad opprimerlo si sposta di nuovo gi a Nathal, o va a Vienna. Dopo due giorni (quattro prima del previsto) non ne pu pi della grande citt e ritorna all amata/odiata campagna (8/10, 4/9), dove per tutto cos bello che non riesce a scrivere. A Bruxelles, che grigia e sporca, l s che riesce a scrivere. Dopo l acquisto della terza casa Hansbum nel mese di Novembre, Bernhard decide di trasferirsi per alcuni mesi l, considerandolo il luogo ideale per lavorare (ed affidando temporaneamente la Krucka al fratellastro). In Korrektur Rothaimer si dedica interamente alla costruzione di un edificio per la sorella, singolare sia nella forma (a cono) che nella collocazione (nel mezzo del Kobernausserwald). Per assicurarsi la massima concentrazione, Rothaimer si pone il problema del luogo ideale per progettare, trovandolo non nel castello di famiglia ad Altensam dove mai sarebbe stato nemmeno in grado di ambientarsi, figuriamoci di svolgere un lavoro intellettuale ma nella soffitta dell amico Hller, quattro metri per cinque, rivelatasi favorevole per i suoi scopi sotto ogni aspetto. nella soffitta di Hller, situata nella gola del fiume Aurach, che Roithamer riesce a formulare idee che per decenni erano rimaste latenti. E tuttavia, affinch la soffitta resti luogo ideale, Roithamer deve trattenervisi non pi a lungo del necessario ossia per un certo periodo (calcolato con precisione), solo il tempo necessario, altrimenti la soffitta lo porta all annientamento totale, se non altro per i bruschi ed assolutamente nefasti cambiamenti di tempo a cui si esposti. Attraverso la voce dell io-narrante, l erede testamentario di Roithamer incaricato di gestire il lascito dell amico defunto, il tema della creazione in Korrektur si riflette e raddoppia. Il narratore va pi volte su e gi per la soffitta di Hller immaginando tutti i vantaggi di un soggiorno in alta montagna e tutti gli svantaggi di un soggiorno in casa di Hller nella gola dell Aurach, poi di nuovo vede solo svantaggi nel soggiorno in alta montagna (in questa stagione) e solo vantaggi in casa Hller, l alternarsi di questo preferire il soggiorno in alta montagna e sminuire il soggiorno in casa di Hller e viceversa mi aveva portato quasi sull orlo della follia (1995, p. 108). Avvicinandosi alla finestra pensa: domani faccio i bagagli e lascio la casa di Hller, devo salire ad una certa altezza. E poi di nuovo va dalla finestra alla porta e l viceversa mi fermavo e pensavo, sbagliato lasciare domani la soffitta di Hller [...] e andare in un paese d alta montagna, in un paese qualsiasi d alta montagna che in fondo mi odiosa... (ibid.). La ricerca del luogo ideale viene di fatto a coincidere con una condizione, quella di chi ha sempre bisogno di qualcosa di diverso, forse anche per guadagnare quella distanza prospettica che aiuta a cogliere il senso di quanto si va scrivendo. Si qua e occorre andarsene al pi presto. Si l e la cosa si fa insopportabile. Cambiare posto al momento giusto, lasciarsi la casa alle spalle, pendolare, l unica possibilit. Rudolf decide di partire, per cominciare lo scritto nell atmosfera della grande citt: in una valigia gli scritti su Mendelssohn-Bartholdy, nell altro i vestiti. Nella pi grande gli appunti, nella pi piccola vestiti e biancheria, ma senza eccessi, si commette sempre l errore di portare troppi vestiti con s. Gi alla domanda quali pantaloni, quelli grigi o quelli marroni Rudolf indeciso. Dopo aver finalmente fatto le valigie, totalmente spossato. Neanche questa volta si pu iniziare.

Ma i luoghi della scrittura sono anche quelli dai confini pi ampi, nazionali. Bernhard personalmente dichiara di lavorare bene all estero poich in un paese di cui non capisce la lingua si ha continuamente la sensazione che la gente dica solo cose importanti [...] (1993, p. 22). Anche Konrad spera (invano) che cambiando luogo potr godere di condizioni pi creative, spingendo fino al limite del grottesco l accennata ricerca di un punto spaziale che sia anche un punto di vista favorevole ai propri scopi creativi: Ancora una serie di frasi come questa pensava e il saggio si lascer finalmente mettere sulla carta. Ma centinaia e migliaia di volte aveva pensato [...] che gli sarebbe bastato scrivere un paio di frasi per essere improvvisamente capace di mettere per iscritto tutto quanto [...], mille volte l aveva pensato, mille volte, come diceva lui, non aveva potuto fare a meno di pensare e di fare cos e cio di troncare tutto dopo un paio di frasi iniziali, gi ai tempi di Augusta aveva creduto di riuscire a buttare gi il saggio tutto d un fiato dopo un paio di frasi, ad Augusta e a Innsbruck e a Parigi e ad Aschaffenburg e a Schweinfurt e a Bolzano e a Merano e a Roma e a Londra e a Vienna e a Firenze e a Copenhagen e ad Amburgo e a Francoforte e a Colonia e a Bruxelles e a Ravensburg e a Rattenberg e a Toblach e a Neulengbach e a Korneuburg e a Gnserndorf e a Calais e a Kufstein e a Monaco e a Prien e a Mrzzuschlag e a Thalgau e a Pforzhein e a Mannheim. Tutte queste frasi iniziali e queste idee, ogni volta perdute per sempre (1984, pp. 51-2). [vii] PREPARARSI, ABBOZZARE Tra i requisiti interni per impostare bene un lavoro, oltre alla fondamentale autodisciplina di cui parla Glenn Gould ne Il soccombente (1985, p. 31), serve una valida preparazione. Roithamer dedica tre anni alla progettazione del cono, scegliendo accuratamente le letture da fare ( niente di Neutra, tutto di Mises van der Rohe ), prima degli ulteriori tre anni necessari allo sviluppo ed alla costruzione dell edificio. Rudolf mette scrupolosamente assieme tutti gli scritti possibili di e su Mendelssohn Bartholdy, visita tutte le possibili biblioteche per conoscere a fondo il compositore e studiarlo nel modo pi accurato in vista di un lavoro scientifico inappuntabile, prende una montagna di appunti con il proposito di cominciare il lavoro. Dopo anni di preparazione ed esercizi di udito con la moglie (paralitica), Konrad ha il saggio nella testa completamente finito in tutti i suoi dettagli.[viii] Ed una enorme fatica mentale tenere nella testa per decine di anni un saggio completo in ciascuno dei suoi capitoli. Ma Konrad continua a prepararsi ed a sperimentare con il metodo Urbancic per renderlo ancora pi perfetto e completo prima di metterlo per iscritto. Verso sera, quando avevamo iniziato gi di primissimo mattino [...] e dopo mezzanotte, quando avevamo iniziato al pomeriggio [...Konrad], davanti a sua moglie, pronunciava alcune frasi con la I breve, per esempio: Liquidati i quartieri sull Inn [una frase-chiave dei suoi esercizi], un centinaio di volte lentamente, un centinaio di volte rapidamente e per finire circa duecento volte rapidamente, il pi rapidamente possibile, scandendo le parole. Appena finito, pretendeva che lei gli descrivesse immediatamente l effetto prodotto sul suo udito (1984, p. 70). Spesso Konrad stava alla finestra in camera sua e decideva all istante: ora vado subito in camera di mia moglie e davanti a lei pronuncio rapidamente la frase: Stormi d uccelli, sempre nuovi stormi d uccelli oscurano il parco [...] ora nell orecchio destro di lei, ora in quello sinistro (1984, p. 88). Gi mentre si alza Konrad pensa che inizier dagli esercizi di udito con sua moglie durante la prima colazione: Dall angolo rivolto a est della sua camera le avrebbe gridato della parole con la U. Urali Uremia Urlo Unno Urto Unicorno Uzzolo Universo Unitario Uruguay Uriel eccetera. Poi delle parole con la O. Orticoltura Occhia Ora Oro Olio Odio Oblio eccetera. Poi delle parola con Ca. Castagna Carta Cartum Carogna Catastrofe Catafalco Cabala Cacania Cabul Catarsi Cataratta eccetera. Poi delle parole con la E. Esterel Ester Estragon Eskudos Espania Esquimese eccetera. Poi della parole con Al. Altamira Alba Alacron Alhambra Algebra Alcalino Almira Alpeggio eccetera. Poi delle parole con Is. Islanda Istria Ismaila Istambul Islam eccetera (1984, p. 98). Al fine dell impostazione di una impresa creativa anche giusto ed importante avere diversi abbozzi di un lavoro. Ma quando di abbozzi se ne fanno troppi, si rovina ogni cosa (1985, p. 84). Konrad si logora nel fare abbozzi, poi un sunto, poi ancora un abbozzo, poi un sunto del sunto, e poi un altro sunto, e ancora un altro sunto; poi ricomincia a fare abbozzi; ne completa uno, poi rif un sunto... e cos via. Quando il lavoro gi abbozzato, se la sua natura appare insoddisfacente o addirittura vacua, si inizia a modificarlo (perch mai completare qualcosa che non ha alcuna giustificazione?). La modificazione la risposta alla sproporzione fra il risultato atteso e quello realizzato. Quanto spesso si deve constatare: che idea brillante ero riuscito a farmi venire nella testa, che annotazioni penose ne sono risultate . Allora si modifica, e si modifica, si modifica il manoscritto cos spesso che alla fine di quel manoscritto non rimane pi nulla. In effetti quei cambiamenti non sono che la totale cancellazione del manoscritto stesso. Anche l io-narrante in Korrektur ha il problema di esaminare e riordinare gli appunti lasciati da Roithamer, frammenti e brandelli di frammenti da unire e mettere in relazione, un insieme dal quale non si pu togliere il minimo dettaglio, perch altrimenti tutto si vanifica. Compito improbo che

richiede a sua volta di essere affrontato nelle condizioni mentali giuste. Il narratore decide allora di avvicinarsi soltanto alle opere postume di Roithamer, in un primo tempo soltanto avvicinarsi, dopodich esaminare e riordinare. Poi cambia idea: non far la minima rielaborazione, solo la parola rielaborare o rielaborazione mi ha sempre dato la nausea (1995, p. 128). Cos continuavo a pensare, lo interrompo, e poi di nuovo, non lo interrompo, non mi occupo pi delle opere postume di Roithamer, comunque non adesso, poi di nuovo, giusto adesso mi fa bene occuparmi delle opere di Roithamer .

CONCENTRAZIONE, DISTRAZIONE Quando la giornalista Krista Fleischmann chiede a Bernhard come lavora, lui risponde: con molta concentrazione. Per guadagnare quella concentrazione occorre evitare tutte le cose che distraggono dal lavoro: evitare altri libri, pensa Rudolf, non mettere mano a niente su Nietzsche o Schopenhauer... tutte distrazioni che allontanano da Mendellson Bartholdy. Ma al pari di Bernhard, nemmeno Rudolf riesce a sottrarsi ai giornali,[ix] sopratutto ai casi di cronaca (non dimentichiamo che lo stesso Bernhard fu giornalista di cronaca in giovent). Rudolf colpito da un caso che non gli d tregua. E invece di cominciare il Mendelssohn, cosa che aveva assolutamente intenzione di fare e per la quale in fondo addirittura all improvviso, come aveva creduto alle tre e mezzo del mattino, aveva avuto i presupposti ideali, dopo il risveglio pensava ormai solo al [...] caso di cronaca . (1990, p. 113). Ben sapendo che ogni irruzione esterna avrebbe potuto provocare la perdita irreparabile del lavoro nel quale si immersi, Bernhard che non ha mai voluto il telefono evita spesso di rispondere alle lettere ed alle cartoline, talvolta persino ai telegrammi. Similmente, Konrad si domanda di tanto in tanto se non sia il caso di mettersi a tavolino e rispondere a tutte le lettere e le cartoline che ha ricevuto e che ha lasciato senza risposta, e se non sia addirittura opportuno farlo, sapere cosa ne sia stato di tutta quella gente con cui da anni non aveva pi avuto contatto. Ma mentre preparava la carta da lettera e riempiva d inchiostro la penna, improvvisamente pensava quanto fosse stupido occuparsi della corrispondenza proprio quando avrebbe potuto invece mettere per iscritto il saggio, nel tempo impiegato a escogitare risposte che quei corrispondenti gi da un pezzo semi dimenticati non si aspettavano pi, avrebbe benissimo potuto incominciare a mettere per iscritto il saggio, sarebbe stato meglio scervellarsi per mettere sulla carta il saggio piuttosto che per rispondere a inutili lettere e cartoline, e cos [...] allontanava la carta da lettera dallo scrittoio e riavvicinava il mucchio dei fogli destinati al saggio spingendolo proprio dinanzi a s sul ripiano del tavolo. Ma non appena aveva davanti a s il mucchio dei fogli destinati al saggio, ricreate quindi le condizioni ideali per il saggio, ridiventava incapace d incominciarne la stesura, a lungo stava l seduto a guardare il mucchio di fogli sino a quando non gli era chiaro che anche questa volta non gli sarebbe riuscito d incominciare la stesura del saggio e allora rispingeva dinanzi a s le carte da lettere, cos andavano le cose per diverse ore, a momenti c era davanti a lui la carta da lettere, a momenti il mucchio dei fogli destinati al saggio, a forza di spostare carta-di-qua-mucchio-di-l e poi mucchio-di qua-carta-di l, a lungo andare diventava completamente impossibile sia incominciare effettivamente a mettere il saggio per iscritto che riprendere la corrispondenza (1984, pp. 205-6). Altra causa di improduttivit in quanto ostacolo alla concentrazione sono le interruzioni impreviste. Konrad, ad esempio, viene prima disturbato da qualcuno che incomincia a spaccare la legna, il quale tuttavia non lo disturba fino al punto da distruggere quello che aveva in mente. Poi dall assessore che bussa, e che naturalmente rovina tutto: il mio impegno con il saggio [...] una faccenda [...] nella quale non si pu venire disturbati due volte di seguito . Se dopo la prima interruzione causata dal taglialegna, gli era ancora possibile riapplicarsi al saggio, dopo la seconda interruzione causata dall assessore, riapplicarsi non gli pi possibile (1984, pp. 56-7). Non appena [...] Konrad si sedeva al tavolino, veniva disturbato [...] una volta era il fornaio, uno volta lo spazzacamino, una volta era Wieser, una volta Fro, una volta [...] l assessore, era Hller, era sua moglie, era l ispettore federale, era un rumore, e cos via. Ma quando bussavano alla porta della fornace era assolutamente impossibile non scendere ad aprire, far finta di non sentire che qualcuno stava bussando alla porta della fornace, questo non poteva farlo [...], lasciare che qualcuno continuasse a bussare contro la porta della fornace senza scendere ad aprire, non poteva farlo , anche perch questo continuo e tremendo rintronare dei colpi contro la porta lo avrebbe reso completamento pazzo (1984, p. 54). Konrad indotto ad abbandonare il suo saggio per una sciocchezza qualsiasi, perch proprio in quel momento sua moglie al piano di sopra vuole che le si raddrizzi un cuscino, perch vuole qualcosa da bere, perch vuole che le si legga un brano dell Ofterdingen, perch vuole che le si aprono o che le si chiudano le tende, perch debbo affettarle del pane, annodarle il nastro tra i capelli, allacciarle la giarrettiera, perch debbo riempirle la zuccheriera (1984, p. 56). L intera giornata era perduta, tutto nella sua testa era andato distrutto. In modo analogo, quando una volta Hennetmair ricorda a Bernhard che questi si era riproposto di lavorare ogni giorno

con regolarit, ecco, bastata questa esortazione che Bernhard non riesce nemmeno pi a concepire l idea di lavorare; per tutto il resto della giornata la possibilit di scrivere definitivamente sfumata (31/12). Anche molti personaggi dell universo di Bernhard rivelano una tale ipersensibilit. L io-narrante di Korrektur, ad esempio, non riesce a concentrarsi sulla sua revisione degli appunti di Roithamer perch dalla soffitta in cui si trova riesce a spiare Hller nel suo laboratorio di imbalsamazione intento ad imbottire di cellulosa un enorme uccello nero. Il pensiero dell uccello enorme lo ossessiona, non riesce a non pensarci. Passano alcune ore, notte fonda, e Hller ancora occupato con il gigantesco uccello nero, e sembra impensabile che smetta. L io-narrante non riesce a capire come un uccello possa contenere tanta cellulosa, ma Hller riesce sempre a pigiare ancora un po di cellulosa dentro l uccello, finch tutt a un tratto questo procedimento di riempire di cellulosa il gigantesco uccello da la nausea al narratore (1995, p. 120). Mentre Hller continua imperterrito, l io-narrante si siede su una vecchia poltrona e si batte la testa pi volte con il palmo della mano, come se questo battermi la testa con il palmo della mano potesse servire a qualcosa, ero entrato in uno stato di agitazione dal quale non riuscivo pi a liberarmi, ho gi usato tutti i trucchi possibili, pensavo, andare su e gi, alla finestra e via, al divano e via, andare alla porta e tornare indietro, fissare il pavimento, fare qualcosa con le mani, qualcosa con i piedi (1995, pp. 132-133). Per non subire interruzioni e per non essere raggiunto da persone indesiderate, Bernhard lo si menzionato sceglie di non avere telefono.[x] E vediamo come egli trasformer questo non-farsi-trovare in una vera e propria arte. Di questa maestria nello sviare gli altri al fine di non farsi pescare apprendiamo abbondantemente nel corso del diario, anche perch Hennetmair fa volentieri da complice nel proteggere Bernhard da giornalisti, studenti, donne interessate ma anche amici passati per una visita da Bernhard reputata inopportuna. Bernhard ricorre ad ogni sorta di stratagemma, dal nascondersi nel rifugio rappresentato da casa Hennetmair al fingersi malato, dalla fuga alla rimozione della macchina per fare credere che sia assente. Quando nessuna di queste strategie funziona, Bernhard capace di coinvolgere gli ospiti sopravvenuti (in mocassini) in una passeggiata in salita nei boschi ad un ritmo talmente frenetico da seminarli o stroncarli (13/2). D altra parte, certe distrazioni sono anche volute, (le ricercate ablenkungen 19/8), per non soffocare nella concentrazione richiesta dalla stesura di un lavoro scientifico o poetico. La concentrazione sul cono stata tale che per dormire Roithamer deve liberare la propria mente da tutto ci che connesso al cono, ad esempio dalla parola statica, che affiora di continuo durante la notte e mi rende impossibile anche solo pensare di addormentarmi, se mi addormento ho in testa la parola statica e in realt non mi addormento, cos da anni (1995, p. 151). Una tappa essenziale in questo senso rappresentata dalla passeggiata quotidiana, due ore, talvolta di pi, fra boschi e campi, a cui Bernhard, quasi sempre in compagnia di Hennetmair, non rinuncia mai, nemmeno con temporali e tempeste di neve (8/1). Si tratta di un altra abitudine che Bernhard ha sviluppato fin da piccolo insieme al nonno. Dall andatura di Bernhard, Hennetmair in grado di accorgersi quando questi, durante il cammino, pensa al suo romanzo, e rispetta il suo bisogno di silenzio (29/1). Ricordiamo ancora una volta il ruolo salvifico assolto da Hennetmair/Moritz, capace di tirare lo scrittore fuori dalla prigionia che ha scelto volontariamente come sua condizione. A causa di questa dialettica fra concentrazione e distrazione, lo scrittore finisce sempre sia per pensare al lavoro, sia a trascurarlo pensando a tutte le possibili distrazioni, talvolta al limite dell assurdo. Riconsideriamo Das Kalkwerk: a mezzogiorno Konrad continua a domandarsi cosa avrebbe mangiato per cena, la sera cosa avrebbe mangiato a colazione, a colazione, cosa avrebbe mangiato a pranzo, e naturalmente il saggio ne risente terribilmente. Allora, proprio perch tali aspetti secondari gli paiono assurdi, Konrad cerca di tornare al saggio, ritornare al saggio, al tavolino, alla ragione. Ma non appena era in cammino verso la ragione e quindi verso il saggio e il mucchio di carta che teneva sullo scrittoio pronto per scriverci sopra il saggio, gi si domandava se non fosse giusto andare dal taglialegna a fare dunque una cosa irragionevole, piuttosto che ripetere per il centomillesimo tentativo a tavolino, questo dubbio si rafforzava nel momento in cui rimetteva piede nella fornace e s ingigantiva man mano che Konrad si avvicinava al saggio e quando raggiungeva la sua camera aveva ormai perduto qualsiasi motivazione a mettere il saggio per iscritto (1984, p. 202). E ancora: Invece di pensare al saggio, alla cosa pi importante, pensava a cose secondarie. Molte volte, mentre camminava in su e gi, all improvviso gli veniva in mente di scendere da Hller e spaccar legna con lui, cammino in su e in gi [...] e penso che scender da Hller a spaccare legna con lui, un ora intera sto a rimuginare l idea di scendere a spaccare legna e non abbandono questo pensiero sino a quando non riconosco che assurdo scendere a spaccar legna con Hller, eppure mentre cammino in su e gi in camera mia continuo sempre a cercare qualcosa che mi distolga dal saggio, mentre dovrei impegnarmi completamente e concentrarmi sul saggio e su nient altro (1984, p. 196). D altra parte, la fabbrica della scrittura non comporta affatto un processo di produzione lineare: l opera teatrale Die

Jagdgesellschaft venuta in mente a Bernhard mentre questi abbatte la vecchia stecconata che circondava la casa Hansbum (13/2). La struttura stessa di Korrektur inizio, svolgimento, fine gli improvvisamente venuta in mente mentre camminava dal bagno alla cucina. Di pi: proprio perch subisce cose spiacevoli e irritanti Bernhard scrive, proprio perch di cattivo umore finisce per scrivere. Se tutto fosse piacevole probabilmente Bernhard non scriverebbe una riga.[xi] In conclusione mettendo allo specchio vita e scrittura, vita pratica e vita intellettuale, il diario acquista un interesse raddoppiato, gettando luce su quella ricerca delle condizioni ideali per scrivere che stata oggetto del presente contributo.

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NOTE [i] Hennetmair ha scritto il diario di nascosto, ossia senza che Bernhard ne fosse in alcun modo al corrente, poich aveva la certezza che questi avrebbe disapprovato l iniziativa. [ii] I numeri fra parentesi riportati nel testo indicano rispettivamente il giorno ed il mese in cui l episodio descritto nel diario (l anno sempre il 1972). [iii] Occorrono a questo punto due avvertenze cautelative. La prima che questo mio contributo non intende dare risposte alla questione di come cogliere l atto creativo, o di quali strategie si possano a tale fine mettere in atto, ma solo offrire, mediante Bernhard, una sorta di fenomenologia delle circostanze in cui si trova lo scrittore impegnato a creare. La seconda che usando il termine retroscena non intendo in alcun modo suggerire una separazione essenzialista fra il Bernhard pubblico, cos come appare attraverso i suoi personaggi, ed un Bernhard privato, nascosto dietro ad essi. Ho anzi accennato alla vicinanza fra autore e personaggi. Il termine retroscena rimanda invece ad uno slittamento del punto di vista dal contenuto di un lavoro letterario al contesto in cui stato prodotto. Nel caso di Bernhard testo e contesto sono uno. [iv] peraltro Bernhard medesimo a teorizzare esplicitamente questa dialettica fra il tragico ed il comico, nel suo scritto Ist es eine tragdie? Ist es eine komdie?, in Prosa, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1967. [v] La domanda ulteriore: ma perch Bernhard riesce ed i suoi personaggi falliscono?, non ha una risposta immediata. Intanto anche Bernhard ha avuto stagioni e fasi improduttive. E poi i personaggi di Bernhard, pi che caricature di falliti, corrispondono a diversi lati dello stesso Bernhard, riflettendo dunque le sue ansie ed i suoi timori, al di l dell apparente riuscita. [vi] Le tre cascine non debbono far pensare che Bernhard fosse particolarmente ricco. Egli ammette a pi riprese di riuscire a scrivere produttivamente solo sotto pressione, finanziaria e temporale (15/2). Per questo appena riceve denaro (per la vendita di un libro, un premio letterario o la produzione di una sua opera teatrale), lo investe in case e terreni. Fino a che non si rende conto di avere bisogno di denaro, non riesce a scrivere (bene). Deve, per cos dire, porsi delle sfide finanziarie. [vii] Questa insistenza sui luoghi non implica che la questione del tempo sia in Bernhard irrilevante. Lo , sia per quanto riguarda la ricerca del momento opportuno per scrivere (ne abbiamo gi accennato nel paragrafo intitolato Dell inizio), sia per quanto riguarda il tempo interno alla sua scrittura, la sua peculiare ritmicit (Bernhard, come noto, ha studiato a lungo sia musica che canto). [viii] A differenza di quanto si speculato in passato, la relazione fra Konrad e la moglie non riflette il rapporto di Bernhard con le donne. Bench la questione non sia in alcun modo oggetto di questo mio contributo, voglio sottolineare l utilit del diario di Hennetmair sia per formare un giudizio pi equilibrato sulla relazione fra Bernhard e

l universo femminile, sia perch, offrendo il ritratto di un Bernhard scrittore s, ma anzitutto casalingo, consente di constatare il rovesciamento dei ruoli sessuali tradizionali. [ix] Consegnati da Hennetmair o consultati in caff, Bernhard i giornali li sfoglia quotidianamente, ed in misura enorme: almeno sette al giorno. [x] Fin dal terzo giorno del diario (3/1) scopriamo il ruolo centrale svolto dalla posta nella vita di Bernhard, ricevuta quotidianamente. Il primo appuntamento con Hennetmair ha quasi sempre luogo fra le 7 e le 8 del mattino presso l ufficio postale di Ohlsdorf (il paese adiacente al cascinale di Nathal). Intorno alla lettere scritte, ricevute, cestinate, commentate, si svolge buona parte dell esistenza comunicativa di Bernhard. [xi] Si consideri la seguente piccola lista di vicende irritanti di cui il diario offre un resoconto: il programma dei Festspiele di Salisburgo 1972 che riporta solo met del titolo dell opera Der wahnsinnige und der ignorant; un telegramma lunghissimo di protesta indirizzato al presidente dei Festspiele che l addetto postale non vuole accogliere perch fuori misura (15/2); premi letterari talmente bassi (15/2) da indurre Bernhard a far donare il compenso ad ex detenuti (22/9); un episodio grottesco connesso al ritiro di un ulteriore premio letterario (durante la cerimonia di conferimento, un ministro austriaco accoglie in modo celebrativo tutti i nomi eccellenti dell alta societ presente all occasione, ma non accoglie n riconosce, anzi: neppure conosce lui, Bernhard, il premiato!) (23/1). Ancora: l editore Suhrkamp che propone una seconda edizione di Frost con gli stessi errori di stampa da Bernhard pi volte segnalati (27/9), o che talmente contrario al titolo Verstrung (Perturbamento) da minacciare di non stampare il libro senza un titolo pi adeguato (31/5); che invia copie di libri sbagliati rispetto a quelli richiesti (31/5), oppure due volte lo stesso testo (13/1).

LA VERA EREDITA' DI THOMAS BERNHARD A dieci anni dalla morte. La vera eredita' di Thomas Bernhard. Qualche tempo fa scrissi di quell' agente letterario che aveva scovato, nella casa di campagna di Thomas Bernhard, un manoscritto inedito dal titolo "Il Tovagliolo". L'agente un tipo ostinato che mi ha sempre proibito di rivelare il suo nome: perch sostiene che un agente dovrebbe, egoismo supremo, passare inosservato. La storia del "Tovagliolo" ha fatto il giro del mondo perch lui stesso aveva rivelato il contenuto di quel "Tovagliolo": succedeva che Bernhard, invitato a Salisburgo da Herbert von Karajan al "Goldener Hirsch" per una colazione, poich il maestro non si era fatto vedere perch, provando e riprovando, per passione, la parte alla violinista Anne Sophie Mutter nei "Concerti per violino e orchestra" di Mozart, aveva dimenticato l'invito. E Thomas Bernhard si era accontentato di sedersi a tavola in compagnia della moglie di von Karajan. Loro due soli. Alla avvenente signora era scivolato per tre volte il tovagliolo dalla sottana sulla quale stava posato: e, per altrettante volte il maitre glielo aveva sostituito. Da quella occasione era nata la storia di un nuovo "perturbamento", una delle pi famose fissazioni che hanno reso celebre la letteratura di Bernhard. Nel suo testamento, riferisce l'agente letterario, Bernhard aveva scritto chiaro e tondo che, dopo la sua morte, proibiva a editori o direttori di giornali o riviste austriache, di pubblicare, anche in frammento, i suoi romanzi, racconti o commedie perch non aveva mai nutrito una grande considerazione per la qualit e l' intelligenza degli austriaci. Lo aveva anche scritto, a chiare lettere, nel "Nipote di Wittgenstein" quando, invitato dall' Accademia delle scienze di Vienna che gli voleva conferire il Premio Grillparzer - e sono parole di Bernhard - "mi sono lasciato cagare in testa nei municipi e nelle sale di ricevimento perch il conferimento di un premio solamente cacca, cacca che ti arriva in testa. Se uno cos abbietto e spregevole da accettare un premio dalle loro mani". E per liberarsi dall' onta di essere stato premiato da quella gente, Bernhard aveva precisato, nel testamento, quella sua volont . E - continua l'agente - poco prima di morire mi aveva fatto avere, da una delle sue famose amiche, un biglietto con l'ordine di leggerlo dieci anni dopo la sua morte. Perch Bernhard sapeva che dopo dieci anni gli eredi avrebbero potuto inventare qualcosa per raccattare una certa quantit di denaro. E infatti non si sbagliava perch quest'anno vengono rappresentate almeno cinque sue commedie. E precisamente: "Il riformatore del mondo", "Immanuel Kant", "Ritter, Dene, Voss", "Prima della pensione", "Alla meta", "Semplicemente complicato", "L' ignorante e il pazzo" e "L' apparenza inganna". E, in virt del fatto che quando metti in scena una commedia, raccatti molto denaro, gli eredi vorrebbero modificare il testamento e

autorizzare gli editori, soprattutto austriaci questa volta - da lui detestati come sappiamo - a pubblicare romanzi, racconti brevi, ma soprattutto a far recitare in pubblico le sue commedie. O Dio, si pu anche supporre che la mancanza di denaro si debba al fatto che, per tenere in piedi la "Fondazione Bernhard" l'unico denaro che si pu cavar fuori proprio quello salato del prezzo dei biglietti di chi paga per andare in teatro a godersi, o a restare terrorizzati, da una sua commedia. Insomma, questa la storia. Bernhard mi ha fatto avere quel biglietto - dice ancora l'agente - dove sta scritto: intuisco che i miei eredi, fottendosene delle mie volont, e in combutta con gli austriaci, daranno tutti i permessi per far denaro mentre a me resta, conficcata in questo cervello senza macchia e senza paura, la convinzione che il popolo austriaco non sia degno di potermi rappresentare visto che, in vita, si sono comportati con me in modo penoso, come ho raccontato nel "Nipote di Wittgenstein" e in altri romanzi come "Estinzione": quando un ministro in carica e altri oratori hanno detto di me cose ridicole, modeste e inesatte. Ho tentato di protestare dal fondo della sala dell'Accademia delle scienze, a Vienna, loro si sono subito scusati ma, scusandosi, hanno peggiorato la situazione perch hanno dimostrato, anche in quella pubblica occasione, di essere dei piccoli burocrati. Ecco allora la mia idea, scrive Bernhard nel suo biglietto. Io vorrei che lei, signor agente, verso la met del primo atto delle mie commedie, prevedesse e organizzasse un finto malore che prende allo stomaco il primo attore della mia commedia cos che, dopo qualche attimo di incertezze e di panico, il regista si presenta in palcoscenico e scusandosi, piegato in due verso il pubblico, lo avverte che la recita sospesa. Ovviamente saranno rimborsati i biglietti a tutti. Solo in questo modo riusciremo a mandare in malora il loro losco progetto al quale mi oppongo con tutte le mie forze. Purtroppo c' un fatto: io sono morto e nessuno pi mi dar retta. Questo il destino di noi morti e non c' rimedio. A meno che uno non abbia un agente del suo calibro e della sua onest che si batter con tutte le forze per evitare questi disastri. Comunque: non sono stato il solo a patire di queste avventure. Quante volte, andando a sentire Shakespeare, o leggendo un suo sonetto amoroso, li ho sentiti recitare come cani, o, peggio, ascoltare certe traduzioni che mi facevano accapponare la pelle. E, se posso darle non un consiglio ma un affettuoso avvertimento, voglio sperare che il suo nome resti fuori da queste contese, ben sapendo che lei ha sempre desiderato, da vero agente, di essere invisibile. Un saluto dal suo affezionato, ma anche morto, Thomas Bernhard.

di GIORGIO SOAVI

I SETTE SOSPIRI DI THOMAS BERNHARD Thomas Bernhard, il piu' aspro, intransigente e scostante degli scrittori di lingua tedesca, capace di maledire tutto e tutti, in primo luogo la natia Austria e la sua gente (tanto che, quando mori' di tubercolosi sette anni fa, lascio' scritto che nessuna delle sue opere doveva piu' essere pubblicata o messa in scena nel suo Paese), era in realta' un uomo di grande humour, capace di passare ore a ridere, tra battute, imitazioni, giochi di carte e di parole, e vino rosso. Un uomo pieno di fantasia, di attenzioni, di sarcasmi e tenerezze, un compagno di chiacchiere, di gite, di osteria, in grado, come uno studente, di far la valigia e decidere di partire in ventiquattr' ore, dalla casa di campagna dove viveva, per la Sicilia, la Spagna, la Grecia, il Portogallo, mete assolate sempre, per via della malattia che negli inverni del nord gli tagliava il respiro. Uno scrittore che, pur avendo in tutti i modi espresso il suo disprezzo per ogni tipo di apparato, militare, politico o ecclesiastico (basti pensare alla sua ultima piece Piazza degli eroi, nella quale con violenza butta dal piedistallo tutti i grandi e meno grandi austriaci), non solo fu amico fraterno di un vescovo italiano, ma compose anche alcuni salmi e una volta fu fortemente tentato di interrompere un itinerario portoghese per deviare in direzione Fatima. Il volto privato, umano dell' inavvicinabile e perennemente corrucciato Bernhard e' rievocato da una sua amica di lunga data, Gerda Maleta, pi' o meno coetanea dello scrittore, sua vicina di campagna, confidente, accompagnatrice. Non compagna. Partner di innumerevoli conversazioni, viaggi, escursioni culturali, serate teatrali, pranzi e cene; ma anche punching-ball pronta ad assorbire i suoi sbalzi di umore, le sue invettive, i silenzi, rare volte perfino le lacrime. Mamma e figlia doveva essere Gerda (moglie e ora vedova di un anziano ex politico socialista), amica e segretaria, infermiera e giullare, presenza evanescente e tuttavia tenace. Non amante. C'era gi Hede, sua compagna per quarant'anni, bizzarramente, forse perch pi anziana, da lui soprannominata "zia". Donna per s: nel senso che egli si secc molto quando la trov' per scherzo abbracciata a un quasi sconosciuto e si scandalizz la volta che, durante un viaggio, la sorprese in camera in sottoveste, convinto che si trattasse di una rozza avance, mentre in realt ella stava solo aggiustandosi la gonna. Ma donna, femmina anzi, anche per il modo in cui le si rivolgeva: "Lei ha 40 grammi di comprendonio e 3 chili di sesso", le disse una volta infuriato per qualche sua irragionevolezza pensando

ovviamente di offenderla, mentre Gerda, che aveva gi passato i cinquanta, si sent ringalluzzita dal complimento. Senza parlare del fatto che spesso e volentieri l'accompagnava in qualche boutique e per lei sceglieva un gran numero di abiti. Per tutti i diciassette anni che dur la loro amicizia, pur confidenti e a volte estremamente intimi, sempre si diedero rigidamente del lei. E' soltanto nel libro di ricordi che Gerda Maleta gli ha dedicato sotto forma di lunga e affettuosa lettera che infine gli da' del tu. Seteais: giorni con Thomas Bernhard s'intitola il volume, pubblicato qualche tempo fa da un piccolo editore austriaco, "Bibliothek der Provinz", e passato quasi inosservato probabilmente proprio perch Bernhard ha fatto di tutto per non farsi amare in patria, pur soffrendo atrocemente di questo disamore. Il misterioso "Seteais" del titolo e' il nome di una palazzo portoghese visitato assieme, che significa "sette sospiri": sospiri di infelicit, di disperazione o di gioia, sempre rievocati dai due amici viaggiatori come parola magica da usare. Tra loro. Come un misterioso e felice codice privato. Ma non vi sono solo amenit nel libro della Maleta, come la passione di Bernhard per le scarpe belle e costose, come gli appellativi dolci o gli epiteti offensivi che egli inventava per lei a seconda se era fortunato o sfortunato a carte ("Bambina d' oro", "Pulcina", "Prugnetta mia" o "Puzzona", "Bestiaccia"), come la sua esasperazione di fronte all' entusiastica esternazione di un maresciallo dei carabinieri incontrato sulle pendici dell'Etna il quale, nell'apprendere che aveva a che fare con degli austriaci, non aveva cessato di invocare a gran voce l'imperatore Cecco Beppe; oppure la sua comica perplessit quando, sempre in Sicilia, compr una macchina da scrivere realizzando solo al momento di mettersi a tavolino per lavorare che la tastiera era italiana e non prevedeva dittonghi e dieresi. Ci sono la malattia di Thomas Bernhard, la sua infelicit, la terribile solitudine, la sapienza, la grazia, la vulnerabilit. Ci sono, soprattutto, le sue parole lasciate come un' eredit: "Non si lasci influenzare da niente e da nessuno, non pensi ne' allo stile ne' alla forma, scriva nella lingua del suo io che non e' ripetibile, che e' sincero e ha la sua propria forza d'espressione". Ci vorrebbe per tutti. Vien da pensare con invidia. Un amico che sia scrittore. Isabella Bossi Fedrigotti

BERNHARD CERCA LA VERITA' NELL'INFERNO SOTTOPROLETARIO Thomas Bernhard: La cantina, editore Adelphi L' ultima parte dell' autobiografia dello scrittore Nella parte dell'autobiografia intitolata La cantina e pubblicata da Adelphi nella bella traduzione di Eugenio Bernardi, Thomas Bernhard narra del periodo della sua adolescenza in cui, per sfuggire all'atmosfera opprimente del ginnasio di Salisburgo, egli si impiega come apprendista in un negozio di alimentari del quartiere sottoproletario di Scherzhauserfeld. Questa "anticamera dell' inferno" dalla quale escono soltanto alcolizzati e delinquenti costituisce per lui, come recita il sottotitolo del libro, "una via di scampo", proprio perche' in esso l'atrocita' della vita umana si presenta nuda, non piu' mascherata dal velo dell'ipocrisia. A spingere l'inquieto sedicenne verso questo ambiente sembra essere non tanto un impulso di solidarieta' ("Non sono entrato per compassione nel quartiere di Scherzhauserfeld. -- puntualizza Bernhard -- Ho sempre odiato la compassione e, piu' profondamente che mai, l'autocompassione"), quanto una sete tormentosa di conoscenza, fondata sull'intuizione che "chiarire l' esistenza, non solo comprenderla ma far luce in essa ogni giorno fino al massimo grado e' l'unica possibilita' di venirne a capo". Si tratta quindi di una ricerca della verita' che si accompagna pero' con un radicale scetticismo circa il suo conseguimento. Questo erede di Schopenhauer infatti giunge ad applicare alla stessa volonta' di verita' la condanna metafisica pronunciata dal suo grande predecessore nei riguardi della volonta' in generale: "Come qualsiasi altra volonta', la volonta' di verita' e' la via piu' rapida verso la falsificazione e la contraffazione di un certo dato di fatto". Di conseguenza "la verita' che conosciamo e' logicamente la menzogna, la quale, visto che non possiamo evitarla, e' anche la verita'", e "alla fin fine quello che importa e' soltanto il contenuto di verita' della menzogna". Se solo nell' "anticamera dell' inferno" si puo' trovare rifugio e salvezza, e' appunto perche' l'unica verita' esprimibile e' la verita' della menzogna, il suo esibirsi come tale. Precisamente questo offre l'umanita' miserabile di Scherzhauserfeld, incapace persino di recitare la commedia della gioia o dell'allegria festiva senza scivolare nel grottesco: cosi' a carnevale gli abitanti inscenano mascherati un tripudio che il contrasto con le loro condizioni rende "raccapricciante", e il sabato pomeriggio trascorre fra noia e litigi, mentre la disperazione prorompe, non essendo tenuta a bada dall' anestetico del lavoro. Il gioco di specchi tra verita' e menzogna non resta certo privo di conseguenze sulla natura stessa dell'autobiografia, non piu' confessione ne' esplorazione del mondo, ma teatro, quale si rivela nelle ultime, splendide pagine del libro. "Io ho aperto a quattro, a cinque e a sei anni per tutto il resto della mia vita un teatro che e'

poi diventato una ribalta pazzamente innamorata di centinaia e migliaia di personaggi, dopo la data della prima gli spettacoli sono migliorati, gli attrezzi per la scena sono stati sostituiti, gli attori che non capiscono lo spettacolo che si recita sono stati cacciati via, cosi' e' sempre stato. Ciascuno di quei personaggi sono io, tutti quegli attrezzi sono io, il direttore sono io". A questa tragicommedia solipsistica si riduce in fondo il nostro desiderio di conoscere, di "rintracciare l' esistenza" propria e altrui: "Tutti qualche volta alziamo la testa credendo di dover dire la verita' o quella che sembra la verita', e poi di nuovo la incassiamo nelle spalle. Questo e' tutto". Paola Capriolo

Thomas Bernhard: ESTINZIONE IL FUOCO DENTRO Uno sfacelo La parola 'Estinzione' evoca l'immagine di un incendio esaurito, per quanto, nel romanzo di Thomas Bernhard, si riferisca anche alla scomparsa di una discendenza, un casato nobiliare colluso con il nazismo, che possiede terre, immobili, personale, ed ha accumulato rancori, incomprensioni, inimicizie. Di certo c' che la prosa esagerata di Bernhard infiamma le pagine di questo romanzo e brucia indomabile dalla prima frase all'ultimo imprevedibile epilogo

Voglio cominciare a mettere per iscritto tutto ci che, riguardo a Wolfsegg, non mi da pace, tutto ci che riguarda Wolfsegg. Quel giorno ho detto a Gambetti che l arte dell esagerazione un arte del superare, superare l esistenza cos come l ho in mente io, ho detto a Gambetti. Sopportare l esistenza, ho detto a Gambetti, renderla possibile con l esagerazione, infine con l arte dell esagerazione.

Il protagonista di Estinzione ha quarantotto anni e vive a Roma, che per la testa dell antichit [...] stata la citt ideale, per la testa d oggi di nuovo la citt ideale e, nella caotica situazione che oggi regna qui, a maggior ragione, ed la citt dove ha scelto di vivere. Vi svolge una professione antica, emblematica, come insegnante di tedesco ma, in realt, come precettore del suo unico allievo, rampollo di una ricca famiglia della borghesia cittadina. Come il suo autore Thomas Bernhard (19311989), nato in Olanda da genitori austriaci proviene dalla vicina Austria, che mostra di detestare. La verit che riceve per il proprio mantenimento, dalla natia Wolfsegg, la casa che ha lasciato e alla quale non vorrebbe mai pi fare ritorno, una somma spropositata, pi volte rinfacciatagli dai famigliari, rimasti a governare l immensa propriet e ostili al suo stile di vita intellettuale e cosmopolita (La parola Italia sempre stata anche per i miei sinonimo di situazione caotica, del paese dalla situazione caotica per eccellenza, e spesso mi hanno chiesto perch io mi sia per cos dire trasferito proprio in Italia, dove da decenni regna la situazione pi caotica in assoluto). Una somma che gli permette di vivere in uno dei pi bei palazzi romani, in un appartamento prospicente il Pantheon, in Piazza della Minerva. Se i miei genitori sapessero quanto Lei ricco, gli confesser l allievo, non le pagherebbero nulla, non mi permetterebbero di prendere lezione da Lei. L autore ci rivela l identit del suo protagonista con una di quelle acrobazie letterarie che gli estimatori di Thomas Bernhard hanno imparato a conoscere. Nella preposizione che d inizio alla narrazione scrive: Dopo il colloquio con il mio allievo Gambetti, col quale mi sono incontrato il ventinove al Pincio, scrive Murau, Franz Joseph,.... Un artificio che costringe subito il lettore a un passo indietro logico, come una parentesi graffa all inizio dell equazione; una presa di distanza che prima di tutto dell autore da una narrazione in prima persona, uno stream of consciousness che caratterizza i due capitoli del romanzo dall inizio alla fine, senza soluzione di continuit e senza andare mai a capo! Bernhard scrive che Murau scrive che... . Alla fine del romanzo, la parentesi verr puntualmente richiusa con un altro ... scrive Murau (nato nel 1934 a Wolfsegg, morto nel 1983 a Roma).... Un incipit e una conclusione che si presentano, nella loro formulazione burocratica, con la fredda formalit di un

memoriale estratto dallo scaffale di uno studio notarile, in perfetta sintonia con il titolo, di cui vedremo tra un momento. A parte questo, la narrazione ci travolge con l impeto di una piena che trascina ponti e ogni cosa che incontra porta con s: famiglia, religione, societ, cultura... Come con l ultimo fiotto di una corrente sanguigna, generato da un estremo battito cardiaco, in un ultimo infinito istante davanti agli occhi ricompare tutta una vita, il flusso della coscienza fa i conti con i conflitti irrisolti che il protagonista da sempre coltiva nei confronti degli affetti, del paese in cui nato, nei confronti della religione e persino della propria cultura linguistica. Un testamento spirituale, quindi, che nomina pochi eredi, ridimensionando alquanto la quota spettante ad altri legittimi aventi diritto. Io non sono propriamente uno scrittore, sono un mediatore di letteratura, per la precisione di quella tedesca [...] Gli scrittori, tutti quanti, sono le persone pi repellenti che esistano [...] che poi i miei scritti siano stati pubblicati qui e l, una cosa di cui mi pento. [...] Nessuno tranne Maria in grado di farmi capire che i miei manoscritti non valgono nulla, che sono da buttare nel fuoco. Insomma, Estinzione si presenta come un immenso fal, un gigantesco incendio appiccato da un piromane lucidamente pazzo, che fa piazza pulita di tutto quanto pu bruciare, risparmiando solo pochi monumenti e lasciando alquanto anneriti anch essi. Il titolo suggerisce proprio questo: l esito di un rogo che si risolve estinguendosi da s, quando ormai non rimasto pi nulla da bruciare, lasciando un panorama desolato. Estinzione significa anche l esaurimento di un ceppo di discendenza, la scomparsa simultanea, nel caso specifico, dei genitori e di un fratello grande e scapolo, erede designato, che lascia sopravvissuti proprio coloro che mai si pensato potessero sopravvivere: un uomo di mezza et minato nel fisico (e nello spirito, verrebbe d aggiungere) e due sorelle ormai sterili. L Estinzione lascia dietro di s un patrimonio, inutili rimpianti e irredimibili rancori. L infanzia stata usata e consumata da me fino in fondo, pensai, svenduta per due soldi, pensai. Ho sfruttato l infanzia fino all ultimo. Cerchiamo dappertutto l infanzia e dappertutto non troviamo altro che il famoso vuoto assoluto pensai, quando entriamo in una casa in cui nell infanzia abbiamo trascorso ore o addirittura giorni tanto felici, crediamo di guardare dentro quell infanzia, e invece guardiamo dentro quel famigerato vuoto assoluto, pensai. Si salvano pochi amici: l allievo Gambetti, rivoluzionario in erba, bombarolo in potenza; Eisemberg, compagno di studi, fratello nello spirito, nonch rabbino di Vienna; Zacchi, eccentrico filosofeggiante, mentore del protagonista; Maria, personificazione della poetessa Ingeborg Bachmann, nella cui opera l autore riversa un illimitata considerazione; Spadolini, lo splendente, il vescovo gigol, il pericoloso Spadolini, che va a letto con la spudorata madre di Murau e da lei si fa offrire viaggi tropicali e abiti sofisticati. L ambiguo Spadolini possiede una mente brillante e una connaturata disposizione alla diplomazia, il che gli permette di girare il mondo e fare una carriera fulminante in Vaticano. Spadolini non una persona a cui si possa rinunciare, quale che sia la nostra opinione di una persona simile noi non vogliamo farne a meno, poco importano i danni che quella persona provoca, cos io a Gambetti Forse perch Spadolini talmente spregiudicato, si pu permettere delle opinioni obiettive e originali, andreottiane, come quelle che elargisce sulla gravissima situazione italiana negli anni Settanta. Un epoca inquieta, spaventosa ma anche la pi interessante che l Italia abbia mai conosciuto. E rimangono, ancora pi defilati e decimati i parenti graditi: l idealista cugino Alexander, fuoriuscito a Bruxelles, la zia di Titisee, esiliata nella Foresta Nera, oltre al ricordo dell insostituibile e mai abbastanza compianto zio Georg, uomo libero, padre spirituale del protagonista e segreto edificatore della sua educazione liberale. Tutti quelli che valgono qualcosa, per Murau-Bernhard, si sono sottratti all'influenza nefanda di Wolfsegg. Quindi ci sono i libri, che nel corso della narrazione, con la loro discreta ma significativa presenza occupano un ruolo da comprimari. Contribuiscono a caratterizzare la scena, colmano di contenuto il messaggio che l autore sembra voler trasmettere al lettore, un lascito che si desideri impreziosire con qualcosa di unico e imperdibile. Cos la vicenda prende avvio dopo un colloquio tra il precettore e Gambetti, nel corso del quale il protagonista consegna al giovane cinque libri. Si tratta di Siebenks, di Jean Paul; Il processo di Franz Kafka; Amras di Thomas Bernhard (sic); La portoghese di Musil; Esch o l anarchia di Brock. Si capisce che non si tratta di titoli sparati a caso, ma

di una cinquina di libri da salvare, tanto pi che in prospettiva si delinea l opportunit di discutere con l allievo di due o tre altri titoli, che insieme ai primi cinque e ad altri successivamente (tra cui Il mestiere di vivere di Pavese) ricompaiono tra le pagine di Estinzione: Le affinit elettive di Goethe e Il mondo come volont e rappresentazione di Schopenhauer, Effi Briest di Fontane, Malattia mortale di Kirkegaard, la poesia di Heine e della Bachmann... E cos dopo questo colloquio, rincasando dal Pincio in Piazza della Minerva, che il protagonista trova il telegramma che lo informa della tragedia avvenuta. Notizia che necessita di qualche ora per depositarsi pienamente nella coscienza dell uomo, tempo che egli trascorre nella contemplazione, alternativamente, dell impareggiabile paesaggio che gli si offre dalla finestra di casa e nell esame di tre fotografie raffiguranti i genitori nell atto d imbarcarsi, in perfetta tenuta Burberry, alla Stazione Vittoria di Londra, sul treno diretto a Dover; una seconda ritrae il fratello sulla sua barca a vela sulle rive del Wolfgangsee; la terza riproduce una smorfia beffarda sulle labbra delle sorelle, immortalate di fronte alla villa di Cannes dello zio Georg (Non ho sorelle, mi dissi, ho soltanto le loro facce beffarde). L osservazione di queste istantanee, che occupa tutta la prima parte di Estinzione, dar adito a una serie di considerazioni esagerate, che rappresentano la cifra stilistica pi genuina di questo autore, assai poco amato in patria. Mentre la seconda parte sar passata da Murau nei preliminari e nello svolgimento del coreografico funerale, in cui egli far i conti vis vis con tutto ci che, del paese in cui nato e cresciuto, detesta maggiormente, fino all imprevedibile epilogo. Pensandoci bene, con Estinzione Thomas Bernhard ha anche prodotto un'opera nel canone della pi pura Neoavanguardia. Il romanzo scritto in prima persona; le riflessioni che contiene oscillano, tra una trama cronachistico-cinematografica, la critica letteraria e la teoria del romanzo; manifesta un approccio marcatamente multidisciplinare, tra letteratura, filosofia, musica, arti figurative, scienze sociali e teoria dell'informazione. Inoltre, il binomio costruito tra il "precettore" e il "giovin signore" suggerisce una strizzata d'occhio a una figura tra le pi care ai componenti del Gruppo 63: Giuseppe Parini. Il cosmopolitismo che pervade la personalit del protagonista un elemento a sostegno di questa prospettiva. La stesura del romanzo precede di qualche anno l'ultima opera dell'autore A colpi d'ascia. Una irritazione (Holzfllen. Eine Erregung), che determiner la clamorosa e risentita ostilit della comunit intellettuale viennese al suo completo nei confronti dello scrittore ma ne rappresenta il testamento letterario e verr pubblicato successivamente, dopo un periodo di pi profonda valutazione.

E la mia arte dell esagerazione io l ho sviluppata fino a vette incredibili, avevo detto a Gambetti. Per rendere comprensibile una cosa dobbiamo esagerare, gli avevo detto, solo l esagerazione d alle cose forma visibile, anche il pericolo di essere presi per pazzi non ci disturba pi, a una certa et. Non c nulla di meglio, a una certa et, che essere dichiarati pazzi. Il segreto della grande opera d arte l esagerazione, ho detto a Gambetti, il segreto del grande pensiero filosofico altrettanto, l arte dell esagerazione , in assoluto, il segreto dello spirito, ho detto a Gambetti, ma poi abbandonai quel pensiero, senza dubbio assurdo, che a un esame ancora pi attento, senza dubbio, doveva per forza rivelarsi il solo giusto, mi allontanai dalla casa dei cacciatori in direzione della fattoria, e mi avviai verso la villa dei bambini, pensando intanto che era stata la villa dei bambini a farmi venire in mente quegli assurdi pensieri. Estinzione, ho pensato mentre dalla villa dei bambini tornavo alla fattoria, perch no.

THOMAS BERNHARD, IL NULLA DA SEGNALARE di Luca Canali (Agosto 2008)

Nelle sue variazioni su un tema sostanzialmente monocorde, la scrittura di Bernhard ha una sua inconfondibile

originalit e una sua assillante forza d urto: i suoi libri colpiscono come un pugno, per usare un espressione di Kafka, col quale Bernhard ha un sostanziale, anche se ben delimitato rapporto di parentela. Cos Claudio Magris in un suo saggio compreso nel volume Il romanzo tedesco nel Novecento (Einaudi, 1973). Tale originalit di Thomas Bernhard (del cui primo romanzo, Gelo, del 1963, poi riedito da Einaudi, parleremo brevemente) viene rilevata per distinguere questo autore dall industria della negazione, che, secondo Cesare Cases, divenuta la pi scontata e redditizia delle mode: frasi perfette, ma che a loro volta necessitano di una precisazione. La documentazione del male e del nulla che costituisce il tema dominante nelle undici opere narrative (dal 63 al 70) di questo instancabile atleta della distruzione e dell orrore, pu risultare attendibile e soprattutto letterariamente valida, solo a una condizione: che essa presupponga una realt morale e intellettuale alternativa, altrimenti lo straripare della negativit non pu che essere fittizio. Arretrando nei secoli, faccio un esempio: un poeta assolutamente e violentemente negativo, Giovenale, le cui satire nulla assolvono e costruiscono agghiaccianti immagini di corruzione, di stupidit, di violenza, ma presupponendo un giudizio. Ma ogni giudizio (e Bernhard non fa altro, anch egli, che giudicare) non pu non presupporre una qualche specularit positiva, una fede, insomma qualcosa senza la quale il giudicato non sarebbe neanche percepibile. Come farebbe, chiunque sia immerso nella turpitudine, a sentirla come tale e addirittura a rappresentarla, senza avere in s almeno un bagliore di purezza? Giovenale credeva, pur con qualche dubbio, nella virt degli avi agricoltori. In cosa crede Bernhard? Se egli non crede in nulla, la sua requisitoria e i suoi cataloghi di obbrobri, di incubi, di ridicole o tragiche assurdit, non sarebbero altro che quinte artificiali di un abile ma fittizia rappresentazione ben lontana dalla tragedia universale che essa vorrebbe rappresentare. Ma veniamo a questo Gelo (Einaudi, trad. Magda Olivetti). un volume che sembra raccogliere i motivi dominanti in tutte le opere successive dell autore. La vicenda strutturalmente semplice: Strauch, pittore folle, si isola dal mondo rifugiandosi nell orrido e gelido paese di Weng, dove suo fratello chirurgo lo fa sorvegliare da un suo praticante (che poi diventa il narratore); la gente di Weng di bassa statura, abbrutita da un incontenibile lussuria e dall ubriachezza; la locanda dove Strauch si stabilito gestita da una donna che ha il marito in carcere e intanto si porta a letto quanti pi amanti pu. Insomma l orrore dovunque e le interminabili divagazioni di Strauch non sono altro che una spietata requisitoria contro una malattia che inquina il mondo e si installa come autodistruzione nella stessa persona del parlante. Ma si tratta di una follia lucida, che dunque ha perfetta consapevolezza di s e crea con la sua esplosiva negativit un mondo virtuale opposto a quello reale, ma non meno attendibile, e quindi involontariamente vivo, forse pi vivo della normalit sconsacrata. La negazione di Bernhard largamente debitrice a quella del nostro Leopardi che in A se stesso scrive: Omai disprezza/ te, la natura, il brutto/ poter che, ascoso, a comun danno impera/ e l infinit vanit del tutto, e nella Ginestra si beffa de le magnifiche sorti e progressive, non gi in funzione conservatrice, ma di stimolo a tutte le idee di rinnovamento che troppo spesso degenerano in una dilettantesca demagogia parolaia.

TRADUCENDO IL NIPOTE DI WITTGENSTEIN DI THOMAS BERNHARD

Der Kranke, der monatelang von zuhause weg ist, komm zurck als einer, dem alles fremd geworden ist und der sich nur nach und nach und auf das mhseligste mit allem wieder anfreunden und sich alles wieder aneignen mu, gleich, um was es sich handelt, es ist ihm in der Zwischenzeit tatschlich verloren gegangen, jetz mu er es wiederfinden. Und da der Kranke grundstzlich immer alleingelassen ist, alles andere ist eine perverse Lge, mu er sich schon um ganz und gar bermenschliche Krfte bemhen, will er wieder da weitermachen knnen, wo er Monate oder, wie in meiner Falle schon mehrere Male, gar Jahre vorher, aufgehrt hat. Das begreift der Gesunde nicht, er ist sofort ungeduldig und erschwert aus seiner Ungeduld heraus gerade da dem zurckgekehrten Kranken alles das, was er ihm erleichtern sollte. Die Gesunden haben noch nie mit dem Kranken Geduld gehabt und natrgem auch die Kranken nich mit dem Gesunden, was nocht vergessen werden darf. Denn der Kranke stellt naturgem viel hhere Ansprche an alles, wie der Gesunde, der solche hheren Ansprche ja nichts zu stellen braucht, weil er gesund ist. Die Kranken verstehen die Gesunden nicht, wie umgekehrt die Gesunden nicht die Kranken und dieser Konflikt ist sehr oft ein tdlicher, dem letzten Endes der Kranke nicht gewachsen ist, aber auch natrgem nicht der Gesunde, der an einem solchem Konflikt schon oft krank geworden ist. Es ist nicht leicht, mit einem Kranken, der pltzlich wieder da ist, wo ihn Monate oder Jahre vorher die Krankheit herausgerissen hat, aus allem nmlich, umzugehen und die Gesunden haben meisten auch gar nicht den Willen, dem Kranken zu helfen, in Wahrheit heucheln sie fortwhrend ein Samaritertum, das sie nicht haben, nicht haben wollen und das, weil es ein geheucheltes ist, dem Kranken nur schadet und nicht im geringsten

ntzt. UNA TRADUZIONE ITALIANA Il malato, colui che per mesi stato lontano da ci che gli familiare, torna indietro come uno per cui tutto diventato estraneo, e con una fatica che gli viene dalla sua stessa stanchezza di nuovo deve cercare confidenza con le cose di un tempo, e di nuovo deve farle proprie; a qualsiasi natura le cose appartengano, queste gli sono scivolate dalle mani nel tempo della lontananza, e adesso deve ritrovarle. appurato che il malato per sua natura lasciato a se stesso - il resto non che una bugia che sfiora la perversione - e gli tocca tirare fuori una forza sovrumana se vuole mettersi in condizione di rientrare nel punto in cui mesi, o come nel mio caso con pi di un intervallo, addirittura anni prima, uscito. Il sano questo non riesce a capirlo, perde subito la pazienza e con la sua impazienza riesce puntualmente a rendere pi difficile al malato fresco di ritorno, tutto ci che invece dovrebbe alleviargli. Non si mai visto che dei sani abbiano pazienza con dei malati e regolarmente neanche che i malati abbiano comprensione per i sani, e su questo non ci piove. In effetti il malato per sua natura accampa pretese esagerate su tutto, come del resto fa anche il sano, che per non ha alcun bisogno di pretendere tali esagerazioni, stando il fatto che sano. I malati non comprendono i sani, cos come i sani non comprendono i malati, e a questo conflitto, che spessissimo portatore di morte, in definitiva il malato non riesce a far fronte, e come naturale conseguenza neanche il sano, col risultato che - gi capitato - a causa di simili conflitti persone sane sono diventate persone malate. Non facile andar d'accordo con un malato che improvvisamente ti ritrovi fra i piedi, quando la malattia gi mesi o anni prima l'aveva sbattuto fuori, e i sani nella maggior parte dei casi, non hanno neanche la volont di andare incontro ai malati, in realt giocano di continuo al buon samaritano, quando non solo non lo sono, ma neanche vogliono esserlo; ne risulta una pura forma di ipocrisia che in quanto tale nuoce al malato e non gli arreca vantaggio alcuno. (Questa traduzione stata elaborata nell'ambito di un laboratorio da me condotto per il corso "Tradurre la letteratura", presso l'Istituto 'San Pellegrino' di Misano Adriatico. Ringrazio i miei allievi Laura Lanni, Beniamino Siboni, Cristina Corradetti, Valeria Lattanzi, Elvira Grassi ed Emanuela Piacentini; di fatto, coautori).

NEL LABIRINTO CIECO Il linguaggio, in Thomas Bernhard, un labirinto di porte cieche: nessuna conduce il soggetto a farsi protagonista della propria azione. La tecnica del 'monologo interiore' viene rovesciata dallo scrittore austriaco in un 'solipsismo della definizione' al termine del cui delirio le cose hanno perso consistenza, e sono diventate come dei feticci: i loro vuoti nomi. Dedicare un romanzo al nipote di Wittgenstein ha una serie di conseguenze. La crisi del linguaggio stata indagata sia da Bernhardt che da Wittgenstein, con prospettive coincidenti: il primo mette in scena la finzione dei sentimenti generata dal linguaggio; l'altro fa dei nomi, dell'attitudine stessa alla conversazione, una pura pulsione emotiva priva di qualsiasi contenuto intellettuale. Il linguaggio, con il suo finimento di stabilit nel vero, inganna l'uomo, e lo svia dall'unico linguaggio proprio e reale di cui disponga: quello del proprio corpo. L'intento principale di Bernhard quello di mettere in crisi le categorie kantiane: spazio e tempo, lungi dall'essere intuizioni precedenti ogni sensazione, e da cui procede l'intera ricchezza del mondo sensoriale, sono prigioni dell'intelletto entro cui si consumano i tanti monologhi della mente con se stessa che qualcuno scambia per discorsi. L'intera cultura della dialettica, con la sua determinazione a dedurre risposte particolari da categorie generali, viene messa in crisi da Bernhard col semplice fare di tic logici, pulsioni ossessive, meccanicismi della mente, strategie articolate del discorso umano. L'unica verit intellettuale possibile, per lo scrittore, l'abitudine. Il linguaggio non lo strumento dell'evoluzione umana; una strategia di caccia entro la quale i buoni sentimenti sono reti per gli uccelli. Tutto, in Bernhard, retorica, arte della persuasione. Il linguaggio permette ad ogni individuo di occupare uno spazio ed un tempo determinati: il suo territorio vitale, entro il quale egli non consentir a nessuno di piantare radici. Se ci prover, verr respinto a colpi di giudizi etici: perversione degli istinti, secondo Bernhard, e, quindi, concrezioni cancerose del linguaggio. La sintassi di Bernhard ipnotica: procede per litanie associative di carattere onirico-magico, dentro cui la coscienza annega. L'infinito paradossale - il sublime - dello scrittore, procede da quello romantico per rovesciamento ironico: la piccolezza interminabile della prospettiva individuale rende impossibile dire altro che 'Io', ma questa parola prende l'aspetto illusorio di un intero cosmo verbale. La falsa percezione produce, nella sintassi, un falso movimento. Bernhard sa usare con grande maestria l'ambiguit tra spazio e tempo, tra sostanza e qualit, propria alle particelle

subordinanti tedesche. In lui, "wie" sempre sia "come" che "in qualit di", "wo" sia "dove" che "allorquando". Inoltre, le epesegetiche dimostrative "es" e "der", nel passaggio di cui ci occupiamo, esprimono la messa in crisi del potere esplicativo del linguaggio, cos inefficace da dover venire sostituito con dita puntate; esclamazioni volte a richiamare l'attenzione del corpo, visto che la mente si rinchiusa in un proprio, personale, universo di segni. PROBLEMI FRASEOLOGICI E SPUNTI INTERPRETATIVI La difficolt maggiore, qui, per un traduttore, sta nella necessit di non articolare mai proposizioni deduttive. Nel caso di lingue centripete - tutte le lingue neolatine - si tratta di un problema non da poco. Il ricorso al punto e virgola, nonch a parentetiche articolate in funzione riassuntiva ("dato il fatto che") ed anacoluti di seconda specie, capaci di porre tra parentesi il soggetto della percezione ("questo, il malato, non riesce a capirlo"), diventa d'obbligo. La rigidit della sintassi di Bernhard nasce anche dagli intenti parodistici della sua prosa, spesso ricalcata su locuzioni del gergo burocratico dentro cui, improvvisamente, compaiono termini dialettali o espressioni proverbiali sciatte e ripetute. La proliferazione delle comparative, di protasi ed apodosi inanellate lungo una scimmiottatura del periodo ipotetico latino, comunica un senso di 'riso filologico', per cos dire, dentro la cui violenza naufragano le 'magnifiche sorti e progressive' degli studia humanitatis. La tensione costruita da Bernhard in questo passaggio del romanzo giocata su di un'opposta vettorialit del tempo: da una parte, il malato ritorna agli affetti domestici, convinto di ritrovare in essi la propria stabilit mentale compromessa dalla malattia; dall'altra, quello che per lui erano 'gli affetti domestici' si dimostra essere la grigia vertigine dell'inganno. Chiamare qualcuno come 'caro' significa ingannarsi sulla sua sostanza, non equivale a farsi accogliere da lui. Il senso di alienazione, in questo tremendo passaggio, nasce dalla dissociazione tra le due vettorialit temporali. Tra il 'malato' ed il 'sano' si frappone un terzo personaggio: 'colui che ritorna', il cui linguaggio differente da quello parlato dagli altri due. il linguaggio delle leggi biologiche, che pongono a fondamento degli affetti l'assuefazione alla presenza, piuttosto che la verit delle emozioni. Il linguaggio un'abitudine all'inganno, e viene, in quanto tale, smentito da tutta quelle serie di incisi ("naturalmente", " inevitabile che") con cui la natura accampa i propri diritti sul destino umano. In traduzione, rendere questo gioco di false coincidenze tra mente e natura diventa una sfida ai poteri agglutinanti del periodo. L'articolazione delle frasi deve avvenire per coordinate/subordinate, facendo precipitare dentro la coscienza dell'Io narrante ogni suo tentativo di collusione col mondo esterno. Di qui la necessit di separare tra loro le frasi con incisi ripetuti, delegando alla sintassi ci che sarebbe virt della punteggiatura. Un simile rovesciamento di mezzi retorici esprime efficacemente quella che l'intuizione poetica primaria di Bernhard: nel nostro contesto sociale, le pulsioni egoistiche dei sensi vengono ipocritamente fatte passare per atteggiamenti morali e visioni del mondo. L'egoismo dell'uomo contemporaneo non pu neppure venire sbugiardato, perch quello stesso linguaggio che dovrebbe procedere alla demistificazione stato corrotto fino alle radici dall'infingimento di senso, diventando un circuito autoreferenziale. Questo infingimento altro non che la 'cultura' tutta. La prosa difficile di Bernhard passa attraverso tutte queste categorie, rendendo il periodo verbale lo sferragliare meccanico di tanti ingranaggi il cui movimento preordinato quello di agitare turbine a creare vento sotto una cupola di vetro, quando fuori, nella natura, infuria la tempesta. Tale , per lo scrittore, la condizione della dialettica umana.

IL SOCCOMBENTE Recensione di Cristina Bolzani (ROMA - 09/12/2003)

Nei libri di Thomas Bernhard l'uomo destinato a sprofondare nel nulla che lo circonda. I suoi personaggi tentano di restare nella realt, ma rimangono intrappolati in discorsi che si ripetono, si intrecciano, si diramano in mille rivoli, come temi di una sinfonia novecentesca. E se il parlando monologico dello scrittore si cimenta con l'intervista..? Lo stile delle conversazioni con Krista Fleischmann, la giornalista che sin dai primi anni Settanta riuscita a 'strappargli' alcune interviste per la televisione austriaca, pare quello dei suoi libri e lui sembra uno dei personaggi da lui inventati, disperato ma lucidissimo, capace di tracciare con una certa immaginazione negli argomenti, e un perenne gusto per il paradosso, la sua idea di letteratura.

E' interessante, per esempio, sapere dalla sua voce perch ometta ogni aspetto descrittivo: la descrizione intralcia soltanto ed terribilmente noiosa. I processi interiori che nessuno vede, sono l'unica cosa interessante che ci sia in letteratura. Tutto ci che esteriore si conosce. Ha un senso descrivere solo ci che non vede nessuno. Altrettanto interessante imbattersi nelle ragioni alla base del suo odio per la vita intellettuale austriaca; odio che ispir un libro, A colpi d'ascia, che fu addirittura sequestrato in tutto il Paese dopo la querela di Gerhard Lampersberg, compositore che si riconobbe in una delle figure del romanzo. Dice Bernhard, che Vienna appunto una macina dell'arte, la pi grande macina d'arte al mondo in cui tutti saltano dentro volontariamente... La sua scrittura ha un andamento concentrico, maniacale, incredibilmente musicale. Aspetti che in un suo romanzo si fondono con particolare efficacia. Nel Soccombente Bernhard racconta la storia pi struggente che sia mai stata scritta su un pianista. Il protagonista Wertheimer ha l'enorme sfortuna di partecipare - insieme a un terzo pianista che la voce narrante - a un corso, a Salisburgo, assieme al geniale Glenn Gould. Il romanzo si dipana come una variazione ossessiva e claustrofobica sul tema dell'invidia, dell'emulazione, del sentire doloroso il talento altrui e la propria mancanza di talento, la propria sconfitta. Ogni frase si perde nella successiva con grazia e anche con esiti ineluttabili: la Forza di Gould ha la meglio sulla Debolezza del pianista mediocre, che contempla il proprio fallimento; che non riesce a essere, laddove Gould, semplicemente, . Chiamarlo il soccombente stata una geniale invenzione di Glenn Gould, pensai, Glenn ha capito Wertheimer fin dal primo istante, Glenn ha capito a fondo fin dalla prima volta tutte le persone che ha conosciuto.

THOMAS BERNHARD e IL SOCCOMBENTE Recensione di Gianfranco Franchi (2004) PREDESTINAZIONE

Tutte le predisposizioni sono in me micidiali, mi ha detto una volta, pensai, tutto stato predisposto in me in maniera micidiale da coloro che mi hanno generato. Wertheimer ha sempre letto dei libri in cui si parla di suicidi, di malattie e di morti, pensai mentre ero in piedi nella sala della locanda, libri nei quali descritta la miseria umana, la mancanza di ogni via di scampo, l insensatezza e l inanit di ogni sforzo, libri nei quali tutto sempre e continuamente devastante e micidiale (pp. 60-61)

IL SOCCOMBENTE il romanzo dell irrimediabilit: della dannazione, dell elezione, della predestinazione. La scrittura di Thomas Bernhard plumbea, cupa e febbrile; un inarrestabile monologo d un io narrante, un tetro stream of consciousness d un condannato a morte. Morte che ha strappato via le anime dei suoi antichi compagni: Wertheimer, e Glenn Gould. Il termine predisposizione , che s ritenuto opportuno enfatizzare nell incipit di queste brevi pagine, una concessione alla speranza che l umanit possa correggere quel che invece, nel testo, appare inevitabile: per questo, leggendo e analizzando l opera, sembra di interiorizzare un romanzo incentrato non sulla predisposizione , ma sulla predestinazione. Tre personaggi: il narratore superstite, testimone ed ermeneuta del senso e dei significati delle loro esistenze. Glenn Gould morto di morte naturale a cinquantuno anni; Wertheimer si suicidato poco tempo dopo. S erano incontrati ventotto anni prima, allievi del Mozarteum, giovani rampolli dell alta borghesia (medio-alta nel caso del narratore), pianisti segnati dalla dedizione all arte e dal sacro fuoco dell entusiasmo, esasperati dall opposizione delle rispettive famiglie alla loro scelta esistenziale e dalla mediocrit degli insegnanti conosciuti fino

a quel momento. Finalmente conoscono, nel corso d una breve ma intensa e determinante estate, cosa significhi poter godere della guida e del sostegno d un maestro (potrebbe rivelarsi fascinosa, a questo proposito, la comparazione tra questo romanzo e il dramma breve dell islandese Hrafnhildur Hagaln: g er Meistarinn http://www.lankelot.eu/index.php?p=194): Horowitz. In quel periodo, l insonnia di Gould diventa irreversibile; i tre amici non si interessano pi neppure dell alimentazione, limitandosi a nutrirsi, e spontaneamente i due austriaci tendono a confrontarsi con questo canadese d incredibile talento: Glenn aveva una malattia polmonare, e soltanto nella musica si sentiva vivo. Il suo invasamento per l arte salutato come radicalismo pianistico dal narratore: che non nasconde d averne intuito sin dal principio l irripetibile genio, e d averne sofferto. La percezione dell abisso che divideva Gould dai suoi compagni era irrefutabile: e cos, quando anche i giornali s accorsero delle sue qualit, dopo i primi concerti, Wertheimer mise all asta il suo piano, dedicandosi allo studio della scienza dello spirito; mentre il narratore, dopo aver regalato il suo strumento a una bambina, si ripieg nella filosofia, vivendo rattristato , cosciente dei suoi limiti, detestando a morte il piano. Il talento di Glenn Gould innesca le tendenze suicide dei suoi amici: e tutto quel che afferma a proposito dell arte, dalla sua professione di fede nell autodisciplina, al suo paradosso legato a quanto poco sappia ogni artista della propria arte, dal culto per il dilettantismo, al disprezzo e al disinteresse per il pubblico, va a cristallizzarsi nelle loro anime. Incidendo, e decidendo le loro sorti. Mentre Glenn Gould, dopo 34 concerti in due anni, si ritira a vita privata, barricandosi in un appartamento di New York dove suona dalle otto alle dieci ore al giorno, i suoi vecchi compagni di studi arrancano. Quello che chiamava il soccombente , per la sua aria d andare sempre pi a fondo, Wertheimer, si dedica a stilare schede e a scrivere un libro con quel nome, che rimaneggia e rimaneggia di continuo, cancellandone in sostanza il contenuto a intervalli regolari di tempo. Quello che chiamava filosofo , il narratore, scrive libri che non pubblica, e non riesce nemmeno pi a leggere: detesta le descrizioni, trova pace solo in qualche frammento dei pensieri di Pascal. Si sente un esperto di visioni del mondo (p. 49). L incontro con un dio vivente ha fatto deragliare i due giovani musicisti: nessuno tra loro sembra essersi mai pi ripreso da un esperienza vissuta con ammirazione e disperazione allo stesso momento; non Wertheimer, che viveva leggendo segni di caducit, di morte e di malattia in ogni frangente, e che salutava nelle biblioteche degli istituti di pena per i grandi spiriti; e non il narratore, che non trovava il coraggio di pubblicare i suoi scritti perch non si sentiva autentico, e si concedeva il brivido masochistico della distruzione di tutto quel che creava (p. 72). Quel che illumina a un tratto il testo la descrizione della risata di Glenn Gould. I suoi compagni non sapevano ridere, non conoscevano l innesco che sprigiona l essenza. Wertheimer pativa una smania di competizione che lo soffocava: voleva sempre e soltanto primeggiare, ma non v era mai riuscito (p. 90). Anni dopo, non ricordava pi neppure come si strimpellasse: annaspava, precipitando nell amarezza della coscienza della sconfitta. A far da sfondo alle memorie del narratore, l Austria contemporanea, decadente e claustrofobica, che Bernhard amava odiare e maledire; ombra nell ombra della Mitteleuropa, popolata da cittadini ottusi e freddi e solcata da citt che soffocano ogni ispirazione, come Salisburgo e Vienna. Il romanzo sembra essere il documento della rassegnazione di chi ammette, impotente, di non avere realizzato nessuna delle sue ambizioni, e di non aver concretizzato nessun sogno; pu al limite cantare le luci della sua giovinezza e la penombra schiacciante della sua maturit, e silenziosamente infine discendere nel niente; sentendo dentro s la musica divina di chi naturalmente incarnava ed era arte, quel pianista canadese-americano che nient altro voleva che essere musica. Il passato dell Austria stato tanto grande che vederlo cos negato e vinto assurdo, impronunciabile, inaccettabile; questo libro scritto nella rabbia e nel risentimento e nella malinconia d un presente che avvilisce e castra ogni talento; e sfuma la predisposizione in predestinazione, modellando un manuale d un suicidio: d una generazione, e d una cultura.

THOMAS BERNHARD PERTURBAMENTO Recensione di Gianfranco Franchi (2006)

PERTURBAMENTO (1967) fu il secondo romanzo di Thomas Bernhard. Scrive Eugenio Bernardi, nel saggio Prima dell ultimo spettacolo : Bernhard affronta, in modi evidenti e diretti, il problema dell eredit del passato, ora attraverso l immagine ricorrente di un immenso patrimonio di cui gli eredi, labili e ossessionati da fantasie di

cambiamento radicale, provano e spesso riescono a disfarsi, ora invece (o contemporaneamente) nell immagine emblematica del rapporto padre/figlio, anch esso ossessivamente presente (in Perturbamento al doppio livello del medico/figlio del medico e del principe/figlio del principe/padre del principe (p. 227). Bernhard il fanatico officiante d un rito funebre: morta la grande Austria, e quel che ne rimane non conosce altro che vizio, malattia, sofferenza. In un certo senso, difficile liberarsi dall idea che questa sua irresistibile acredine nei confronti dell Austria presente, e dei suoi connazionali, non sia altro che una macabra forma di voyeurismo e, al contempo, una feroce satira della decadenza. La sua scrittura nervosa, confusa e febbrile: nonostante l illusione d una fluidit e d una compattezza abnormi, per via del rifiuto d una suddivisione in capitoli del testo e per l immediata adozione della narrazione in prima persona, Perturbamento un libro ondivago, impetuoso e precipitoso e a un tratto disteso; schiuma di disperazione, di nausea esistenziale, di orrore per la quotidianit. velenoso, e non conosce altro che non sia distruzione: l ossessiva nenia d un anima che come la sua nazione sembra non conoscere idea diversa dal suicidio; sembra che la tendenza d un intero popolo sia quella di vagheggiare e agognare il suicidio sin dalla prima giovinezza, e qualora si sia mancati all appuntamento si finisca col macchiare e col deteriorare tutto quel che . Non difficile individuare le principali antitesi tra i personaggi del romanzo come opportunamente segnala Bernardi nel passo poc anzi citato , piuttosto, difficile individuare una, e una sola figura letteraria che scampi, in questo libro, alla morsa della malattia, alla febbre dell autodistruzione, alla barbarie o alla corruzione. Leggendo, ho visualizzato l artista austriaco come un burattinaio che mette in scena uno spettacolo all inferno, attori e spettatori le anime dannate: e m ha inquietato il parossismo di questa compiaciuta rappresentazione del degrado, della fatiscenza e della putrefazione d un popolo, d una nazione e d una cultura. Perturbante che non esista non solo traccia di speranza, ma seme di rinascenza: stile e argomento coincidono nei tre colori principali: irrimediabilit, inevitabilit, impotenza. Non la rabbia, ma il disprezzo rimane; un disprezzo che sfianca ed esaurisce il lettore, perch cos estremo e incurante d ogni altra sensibilit che finisce con l andare a scrivere, nelle nostre menti, un secondo libro; dedicato e intitolato, per cos dire, alla radice del perturbamento: la coscienza della passata grandezza, dello splendore e dell intelligenza d un impero e d una nazione, che sembrano assolutamente smarrite. Non si pu negare quel che stato: non si pu dimenticare: ma la comparazione con il presente cos grottesca e stridente da impedire ogni serenit e ogni auspicio di rinascenza. Verrebbe da dire: ogni lucidit. Difficile pretenderla, tuttavia, in chi, austriaco, ha dedicato un esistenza a scavare una fossa pi profonda ancora per l Austria, scandendone miserie, fallimenti, suicidi e grettezza con precisione e puntualit impeccabile e implacabile. Nelle prime pagine del libro, il narratore parla di suo padre, dottore, vittima d una popolazione malata , portata alla violenza e alla pazzia . Il dottore vede un mondo tutto malato e triste: e vuole educare i suoi figli alla comprensione e alla coscienza di questa realt, perch non neghino quel che effettivamente accade (p. 19). L insopprimibile pessimismo e il radicale male di vivere del dottore possono essere confermati da un passo come questo: Quello che c di essenziale in una persona viene alla luce soltanto quando dobbiamo considerarla perduta per noi, disse mio padre, nel momento in cui, ormai, questa persona pu soltanto dirci addio. Ad un tratto, in tutto ci che in essa ormai soltanto preparazione alla morte definitiva, questa persona pu essere riconosciuta nella sua verit (p. 25). Il dottore ha un solo amico, Bloch. Nutre grande preoccupazione nei confronti di sua figlia: afflitta da un angoscia invincibile, somiglia sempre pi, nell ostinata contemplazione dell idea della morte, a sua madre (p. 45): la sua una malinconia cristallizzata, permanente; recentemente divenuta apatia. L esistenza di questa ragazza, sorella del narratore, alterna pensieri di suicidio a tentativi di suicidio (p. 50). Il narratore, ventunenne, sente di potersi disciplinare grazie alla volont: sa di essere costantemente sul punto di cadere nella disperazione, ma s accorge di preferire la stanchezza alla depressione (p. 48). un quadro micidiale: alla malattia d un nucleo famigliare s accostano morbi e vizi d una intera comunit, rivelata e sintetizzata dalle esperienze e dalle visite del dottore. Non viene risparmiata nessuna forma d abominio comportamentale, turba psichica e deviazione etica: testimonieremo, per ogni ceto sociale, per ogni ruolo della cittadinanza, decadenza, isolamento, fatiscenza. Ciascuno di noi completamente isolato in se stesso, anche se tra noi il legame strettissimo. La vita intera non altro che un tentativo ininterrotto di ritrovarci (p. 46). il valzer del suicidio: nella nazione europea con il pi alto tasso di suicidi, in cui gli studenti pi benestanti e intelligenti sembrano avere nel sangue il pensiero ossessivo di levarsi la vita (quanto esaspera e mortifica questa insistenza sulla decadenza d un popolo: inaccettabile), un personaggio di questo coro tragico non pu che giungere a parlare del suicidio dello Stato: lo Stato che rovina tutto, questo continuo, perenne suicidio dello Stato. Caro dottore, oggi tutti gli Stati, e non soltanto in Europa, continuano ininterrottamente a suicidarsi ( ). Lo Stato che rovina tutto e gli uomini che non riescono a venire a

capo di questo loro Stato e lo mandano in rovina. Mi viene in mente il termine catastrofe intellettuale ( ) (p. 117): in frangenti come questo, non pu che tornare in mente quel che preesisteva alla grottesca Austria contemporanea, ridicolizzata e massacrata dalla narrativa di Bernhard: la granitica e confortante esistenza dell illuminato impero absburgico, erede spirituale del Sacro Romano Impero, dilaniato dalle avvilenti tenaglie dei nazionalismi istintuali e barbarici dell Europa orientale e dall avidit delle nazioni europee occidentali. Il nuovo cittadino austriaco contraddistinto, sembra di intuire leggendo questo romanzo che incarna lo spirito del male umano e sociale di questo nostro tempo dalla distanza dal suo prossimo: vicinanza e comunanza solo nel dolore, non nel tormento (p. 136). I padri sono ombre, i figli spettri di carne che accompagnano queste ombre nell Ade, negandosi sogno, immaginazione e speranza: ma un Ade che somiglia, sinistramente, al presente troppo, per non poterlo combattere. Allora la ritirata nella satira, nella letteratura della dissoluzione e dell oltraggio, pu valere per i cittadini austriaci ed europei come monumento artistico; ma non pu essere accettata come disamina o affresco della nostra sconfitta. Non storia: lettura e trasfigurazione della storia: letteratura. E in fin dei conti, in ogni caso, la storia composta da fasi ed epoche; che, a distanza di tempo, possiamo percepire come istanti, di luce e d ombra.

UN'ESISTENZA CATTOLICA Estratto da: Conversazioni di Thomas Bernhard (a cura di Kurt Hofmann), Guanda 1989.

Tutto destinato a naufragare, tutto finisce al cimitero. Una persona pu fare quello che vuole, la morte viene comunque a prenderla, e con ci finisce tutto. La maggior parte della gente si lascia afferrare dalla morte gi a diciassette, diciotto anni. I giovani di oggi si abbandonano nelle braccia della morte a dodici, quattordici anni. Poi ci sono i combattenti solitari, che lottano fino agli ottanta, novant'anni finch non muoiono anche loro, ma hanno pur sempre avuto una vita pi lunga. E siccome la vita bella ed un divertimento, essi hanno goduto di un divertimento pi lungo rispetto a coloro che sono morti prematuramente, che in fondo sono da compatire, perch non hanno affatto conosciuto la vita con tutte le sue crudelt. Per tutta la vita mia madre ha sofferto di un terribile mal di testa, cosa che io, invece, non ho mai avuto. Certo, non ha avuto una vita molto lunga, ma ha pur sempre vissuto i suoi anni. Ricordo che mi mandava a comprarle delle pasticche molto forti contro il mal di testa; un giorno sono entrato nel negozio, chiedendo: Le pasticche per la mamma. Il commesso le ha tirate fuori con gentilezza da una bottiglietta e io le ho inghiottite - credo fossero una trentina - tutte in una volta. Questa fu la mia salvezza; infatti, siccome erano troppe, le ho vomitate tutte. Ricordo ancora molto bene di essere rimasto a letto per una settimana e di non aver fatto altro che sputare, sebbene lo stomaco nel frattempo si fosse gi svuotato. una sensazione molto sgradevole, sembra che lo stomaco si debba strappare. I bambini hanno sempre il diavolo in corpo. Se non sono malati e obbedienti, se non fanno attenzione a tutto, si sentono sempre dire: Tu hai il diavolo in corpo. E cos, perch i genitori si arrabbiano e in verit sono sempre i pi forti. Il bambino, invece, possiede un intelletto ancora sano, non ancora guastato. I genitori questo lo avvertono e perci, in fondo, odiano i propri figli e, con il passare del tempo, essendo i responsabili del loro sviluppo, finiscono per odiare anche se stessi. Non credo di sbagliarmi affermando che quasi ogni bambino spesso assalito dal pensiero di uccidersi, molte volte ci prova anche, ma alla fine o non lo fa o non ci riesce. Questo molto forte nei bambini; come un'ondata, pi o meno fra i sette e i dodici anni, poi si placa, allora ci si irrobustisce un po', e poi si sperimenta nuovamente una fase estremamente sensibile, fra i diciotto e i ventiquattro anni; chi riesce a superarla, arriva fino ai cinquanta, si sposa,

cammina a testa alta e nel normale flusso della vita. Intorno ai cinquant'anni poi la gente ricomincia a riflettere. Nel frattempo i matrimoni sono falliti, i figli sono diventati orrendi, e il mondo ha mostrato la sua ingratitudine. Fino a oggi ho sempre sentito il desiderio di uccidermi, in ogni istante della mia vita, ma dato che non l'ho fatto, significa che la vita per me vale pi di ogni altra cosa. Quindi non so. La mia malattia non come una sclerosi multipla che scompare e poi torna di nuovo, credo che con essa non sia possibile andare d'accordo. E difficile dirlo, ma forse uno si sbaglia e vive fino a ottant'anni, non si pu certo sapere, n stabilire chiaramente. Non serve a niente starsene in carrozza e battere il cavallo, se questo cadavere da un bel pezzo. Posso dire di essere sempre vicino alla fine. Ho dei polipi ai polmoni, che probabilmente risalgono alla polmonite che ho avuto da bambino; credo si siano formati allora. Siccome ho un dolore continuo, dovuto alla cardiodilatazione che una malattia incurabile, posso avere ancora tre quarti d'ora di vita oppure tre anni, cos come pu darsi che fra sette anni viva ancora. Stando al parere dei medici, dovrei essere gi morto da un bel pezzo, quindi sono sopravvissuto molti anni. La morte arriva sempre, in un modo o nell'altro - quindi non ho affatto paura, essa mi del tutto indifferente. Non riesco a capire come si possa avere paura della morte, perch il morire un atto naturale, come pranzare. Qualche volta ho paura della gente, ma della morte non si pu proprio avere paura. Che vita , quando non si pi capaci di far niente? In questo caso garantisco che la faccio finita con la vita, non continuo di certo a vivere spegnendomi lentamente. Ognuno libero di decidere della propria vita, ci si pu uccidere in qualsiasi momento. L'unico problema come. difficile accettare un'esistenza nella quale non si pu pi fare quello che si vorrebbe, ma nel mio caso il problema non si porrebbe nemmeno. Quando la gente sotto terra allora si dicono delle atrocit caritatevoli - del tipo: tutti raggiungono in qualche modo il regno dei cieli - altrimenti nient'altro. A partire dai maltesi fino a non so chi, tutto disgustoso. Credo che ciascuno di noi dovrebbe pensare di pi a se stesso, per avere la sensibilit giusta, in quel caso allora non avrebbe bisogno di medici omeopatici. Non necessario che qualcuno mi dica quel che devo fare, lo so da solo; so che devo ingerire cibi leggeri, espettoranti, e che di pi non si pu comunque fare. Ti devi convincere che stai arrugginendo; anche la gola va pulita come la canna di un fucile. Mangiare cibi leggeri, oleosi, miele e latte e camminare all'aria buona, non affatto stupido, anzi proprio cos che il male scompare. L'unico problema che se non scompare definitivamente, resta per tutta la vita. vero che nei miei libri ho parlato del mal di testa, il terribile mal di testa, perch mi ha sempre interessato; mio nonno soffriva di atroci mal di testa, come mia madre del resto, in verit come un po' tutti nella mia famiglia, solo che io non so cosa vuol dire avere un mal di testa, a parte quello di cui si soffre quando si beve troppo. Provo un dolore insopportabile quando cambia il tempo, lo si avverte alla testa. In qualche modo dipendiamo dal tempo. Non c' da stupirsi se a uno fa male la testa, basta guardare il cielo e capiamo subito perch cos. In verit nella mia testa non mai salito su niente, nel mio caso il dolore sale da dietro, conficcandosi dentro. Non gli si pu sfuggire; naturalmente ha anche un effetto stimolante, ma quando non si riesce a chiudere occhio per mesi e mesi, nemmeno per una notte, e si considera una vera fortuna riuscire a dormire tre ore di seguito senza che ci faccia male qualcosa allora naturalmente il piacere molto ridotto. Oggi ero insieme a mio fratello, che - per mia fortuna, lavora come internista, facendomi risparmiare ogni tipo di stupida e orribile visita medica - sempre sorpreso di tutte le cose che riesco ancora a fare. Lui pensa che nelle mie condizioni uno dovrebbe restarsene a letto, e gi da molti anni, e fare non so bene cosa; se fosse stato cos, probabilmente non sarei pi al mondo. Ma sono ancora relativamente in gamba e preferisco fare troppe cose piuttosto che troppo poche, altrimenti si spacciati. Mentre mi trovavo a Lisbona ho avuto un blocco all'uretra per tre giorni, poi, all'improvviso, sono arrivati sangue e pus. Allora ho telefonato a mio fratello, che mi ha detto di recarmi immediatamente all'ospedale, che non c'era tempo da perdere. In quei casi, se si aspetta un giorno di pi si pu morire, proprio come successo a mio nonno. Ci nonostante ho deciso di tornare e ho preso l'aereo con il catetere in mano, e siccome non era troppo tardi, ero ancora in tempo e basta. Mia madre rimasta a letto per due anni a causa di un tumore, che poi l'ha portata all'altro mondo; alla fine era ridotta a uno scheletro. Invece mia zia - che anche lei ha conosciuto - dovuta restare a letto per un anno e, praticamente, l'ho curata io. Si trovava costantemente fra la vita e la morte, stato terribile, erano rimaste soltanto la pelle e le ossa. So bene cos' la cosiddetta morte naturale e la trovo una cosa tremenda. Infatti questa gente, sebbene non capisca pi niente, ancora attaccata alla vita, e questo cos spiacevole a vedersi che molto difficile parlarne. La morte e la vita sono processi del tutto naturali e come tali devono essere accettati. La cosa spiacevole vedere qualcuno in queste condizioni che giunge a tal punto; questo terribile. Si comincia a perdere le forze e non si possono pi fare certe cose. Io, per esempio, non posso pi salire al primo piano, proprio come un giorno non si riesce

pi a nuotare o a correre. E credo addirittura che una persona che non ancora morta o che non si uccisa, possa essere considerata in qualche modo fortunata, anche se colpita da una disgrazia: altrimenti la farebbe finita. Nel momento in cui prevale il disgusto, quando esso diventato cos forte da far desiderare il suicidio, allora si liberi di decidere della propria fortuna e sfortuna. Perch la fortuna non viene certo gi dal cielo, come si cerca di far credere alla gente. In fondo, ognuno di noi ha la sua vita nelle proprie mani. Credo che si possa affermare - sebbene l'esempio naturalmente sia esagerato - che per un cieco la gioia pi grande sarebbe poter vedere ancora per una volta, anche se per questo dovesse sopportare dei dolori tremendi e fosse mezzo morto di fame. In quel momento si riterrebbe fortunato. Per esempio, il fatto che io adesso non la uccida con la zappa la sua pi grande fortuna, perch lo potrei fare veramente. Forse per sarebbe stata la sua maggiore fortuna se l'avessi uccisa, oppure la mia, chiss, non lo possiamo sapere. Succede la stessa cosa all'assassino che, solo due minuti dopo aver commesso l'omicidio, prende coscienza di quello che ha fatto, prima arriva lo choc. Dopo circa due minuti si precipita fuori, gridando: Ah, ho ucciso un uomo! Probabilmente, anch'io farei la stessa cosa, non credo che mi allontanerei tranquillamente in Mercedes, gridando dal finestrino aperto: Ho ucciso il tale. Credo proprio di no. Quindi anch'io mi precipiterei fuori con la camicia sbottonata, o con la cerniera dei pantaloni aperta, insomma in modo tale che chi mi vedesse, pensasse che sono impazzito, per non correre cos alcun rischio; credo che in quel momento si agisca gi con una certa scaltrezza. Ogni giorno si ha un po' di fortuna. Credo che la fortuna venga elargita a tutta la gente, proprio come la sfortuna. La fortuna una cosa del tutto relativa. Perfino una persona con una gamba sola pu essere considerata fortunata, perch appunto ha ancora una gamba. Anche colui a cui rimasto soltanto il torso da ritenere fortunato. cos fino alla fine, forse consiste in ci la fortuna, probabilmente arrogante sostenere che si dovrebbe avere pi fortuna. Ma naturalmente non sono certo un curato di campagna; io non contesto niente. Sono pienamente soddisfatto di tutto. Probabilmente perch sono contento di me stesso e felice di tutto, nel vero senso della parola. Sono completamente felice, dalla punta dei capelli fino alla punta dei piedi, dalla mano sinistra alla destra, come se fossi una croce. E proprio questa la cosa pi bella. Un'esistenza cattolica. Auguro a ogni uomo la religione e tutto quel che collegato ad essa, perch una cosa magnifica. come mangiare una minestra densa. Allora non si pu fare niente. Si riceve un nome, per esempio Thomas Bernhard, e lo si porta per tutta la vita. Se una volta, mentre passeggia in un bosco, qualcuno le scatta una fotografia, per ottant'anni lei sar solo una persona che va a passeggio nel bosco, e non potr fare niente per impedirlo. Se un giornalista seduto in un locale qualsiasi le sente dire: La carne di manzo non buona, allora, per tutta la vita, sosterr sempre: Questo l'uomo a cui non piace la carne di manzo. Mentre pu darsi che lei, proprio a partire da quel momento, abbia mangiato soprattutto carne di manzo. Quando a uno stata messa l'etichetta bue, rimane un bue fino al banco del macellaio. Tutti sanno che in primavera mangia l'erba, poi il fieno di secondo taglio. Per lo scrittore la stessa cosa, anche lui ha impressa su di s l'etichetta scrittore. Cos come il contadino vende il bue al macello, allo stesso modo l'editore vende lo scrittore al mercato del libro. Tutti sanno quello che fa uno scrittore. Cos come la mucca mangia l'erba, lo scrittore trangugia i pensieri, non ha alcuna importanza se siano sempre gli stessi oppure altri. Quel che conta la superiore ispirazione. Forse nel mio caso ci dovuto al fatto che a diciotto anni sono finito in ospedale, dove mi stata somministrata l'estrema unzione, dopodich, per molti mesi, sono stato in un sanatorio in alta montagna. Avevo davanti a me sempre la stessa montagna. Non mi potevo muovere, e la noia e la solitudine di tutti quei mesi davanti alla montagna o finiscono per farti impazzire, oppure ti spingono a scrivere. stato l che, attraverso la scrittura, sono riuscito a superare l'odio che avevo per i libri, per le matite e per lo stesso atto di scrivere. Questa sicuramente la causa di ogni male, ma tutto ci spinge oltre; si deve pur vivere di qualcosa e per questo nella vita si fanno appunto soltanto delle sciocchezze. La vita costituita da tutta una serie di sciocchezze, da poche cose sensate, ma quasi soltanto da sciocchezze; uguale per tutti, anche per le persone formidabili o considerate tali, si tratta sempre di una miseria che conduce alla fine. A casa si possono ordinare i libri in una scaffalatura e poi guardarli, ma ci nonostante il mulino continuer a girare lo stesso. Come ci si abitua a bere un caff o un t al mattino - meglio il t - la stessa cosa succede con la scrittura, si diventa dipendenti, come una droga. Se uno vive volentieri, com' nel mio caso, allora costretto a vivere in una situazione costante di amore-odio nei confronti di tutte le cose; un po' come camminare sul filo, lasciarsi cadere direttamente significherebbe la morte. Se uno ama la vita, allora non vuole morire. Tutti gli uomini amano la vita, anche il suicida, solo che lui non ne ha pi la

possibilit. Infatti non si pu fare marcia indietro. La vita ci scaraventa da una parte all'altra; proprio questo il miglior impulso e stimolo che essa ci possa fornire. Se uno ama soltanto perduto, cos come se odia soltanto; senza erotismo non c' vita, nemmeno per gli insetti, anche loro ne hanno bisogno. A meno che uno non abbia un'immagine molto primitiva dell'erotismo, ma questo non il mio caso, perch faccio sempre attenzione a superare quel che primitivo. Non ho bisogno n di una sorella, n di un'amante. Possediamo tutto in noi stessi, e quando lo desideriamo, possiamo ricorrere a queste risorse. La gente pensa sempre che le cose di cui non si parla direttamente non esistano neppure, ma questa una stupidaggine. Un vecchio di ottanta anni, che giace da qualche parte e che non prova l'amore da cinquant'anni, immerso anche lui nella sua vita sessuale. Anzi, molto pi bello vivere un'esistenza sessuale di questo genere, piuttosto di quella primitiva. Allora preferisco osservare un cane durante l'atto sessuale e per il resto rimanere imperturbabile. In ogni persona la sessualit gioca un ruolo importantissimo, alla pari dell'uso che ne fa - perch la deve usare in qualche modo, dato che ce l'ha a disposizione. Non esistono persone prive di sessualit; anche se alla gente venissero tagliati il seno e il pene, tutto dipenderebbe sempre completamente dalla sessualit. Anche se in quel caso la gente sarebbe morta, e vittima totale della sessualit totale. Thomas Bernhard (Guanda 1989)

Thomas Bernhard Gelo Il romanzo che nel 1963 ha rivelato Bernhard come uno dei grandi scrittori del Novecento. L'invenzione di un nuovo stile, di una nuova labirintica sintassi delle ossessioni che avrebbe poi caratterizzato tutte le altre opere di Bernhard, nonch folte schiere di epigoni. Traduzione di Magda Olivetti - Letture Einaudi, pp. XIV-358 Necessari, indispensabili, inevitabili: questo il marchio dei libri di Bernhard. ~Ingeborg Bachmann

Il romanzo che nel 1963 ha rivelato Bernhard come uno dei grandi scrittori del Novecento. I lunghi monologhi di Strauch, il pittore pazzo isolatosi dal mondo in un paesino di montagna, sono l'invenzione di un nuovo stile, di una nuova labirintica sintassi delle ossessioni che avrebbe poi caratterizzato tutte le altre opere di Bernhard, nonch folte schiere di epigoni. Tra memorie autobiografiche, deliri persecutori, congetture filosofiche, invettive e allucinazioni, Strauch riesce a trasformare il suo totale orrore del mondo in una vitalissima, istrionica performance all'insegna dell'ironia e della complicit con il suo imbarazzato-affascinato interlocutore, che ben rappresenta la naturale reazione dei lettori di questo libro. Ho riletto Gelo dopo parecchi anni. Con pi attenzione della prima volta, fermandomi spesso a pensare a Weng, il paese di montagna pi cupo che si possa immaginare, e ai suoi abitatori, la moglie dell'oste che gestisce quella locanda fredda e fuori mano, lo scuoiatore che fa anche il becchino, l'ingegnere che dirige i lavori della centrale elettrica in costruzione, e naturalmente Strauch, che riempie con i suoi infiniti discorsi, quasi un monologo ininterrotto, le fitte pagine del romanzo, l'esordio stupefacente di quel Thomas Bernhard che oggi tutti considerano una delle vette della narrativa contemporanea. Il documento di un divenir-folli? Non solo e non semplicemente, anche se la parola follia gi di per s dice tutto, e Bernhard comincia qui a darle una fisionomia speciale, che fa esplodere la cosa (chiamiamola cos) in mille frammenti, tutte le tonalit del nero e insieme tutti i colori della realt. Una preparazione alla morte? Ma in quella landa mortificata dai brividi del freddo c' vita, e Strauch il pi vivo di tutti. --Dalla prefazione di Pier Aldo Rovatti

L'INIZIO DI GELO...

PRIMO GIORNO

La pratica d'ospedale non sta solo nell'assistere a complicate operazioni intestinali, nell'incidere peritonei, nel pinzare lobi polmonari, nell'amputar piedi, non sta davvero soltanto nel chiuder gli occhi ai morti o nel tirar fuori bambini per farli venire al mondo. La pratica d'ospedale non soltanto questo: buttare con noncuranza nel secchio smaltato gambe e braccia intere o tagliate a met. Non sta nel continuare a correr dietro come un cretino al primario e all'assistente e all'assistente dell'assistente, far parte del codazzo durante le visite. N pu consistere solo nel nascondere la verit ai pazienti e nemmeno nel dire: Il pus naturalmente si scioglier nel sangue e Lei sar completamente guarito. O in centinaia d'altre simili fandonie. Nel dire: Andr tutto bene! - quando non c' pi nulla che possa andar bene. La pratica d'ospedale non serve soltanto a imparare a incidere e a ricucire, a far fasciature e a tener duro. La pratica d'ospedale deve anche fare i conti con realt e possibilit extracorporee. Il compito che mi stato affidato di osservare il pittore Strauch mi costringe a occuparmi di questo tipo di realt e di possibilit. A esplorare qualcosa d'inesplorabile. A scoprirlo sino a un certo sorprendente grado di possibilit. Come si scopre un complotto. E pu darsi che l'extracorporeo - e con questo non intendo l'anima - che cio quel che extracorporeo senza essere l'anima della quale non so proprio se esista, anche se mi aspetto che esista, pu darsi che a questa ipotesi millenaria corrisponda una millenaria verit; pu benissimo darsi che l'extracorporeo, vale a dire quel che senza cellule, sia proprio ci da cui trae la sua esistenza il tutto e non viceversa, e che non sia semplicemente l'uno conseguenza dell'altro.

SECONDO GIORNO Ho preso il primo treno, quello delle quattro e mezzo. Viaggiavo tra pareti di roccia. A sinistra e a destra tutto era nero. Quando salii sul treno battevo i denti. Poi lentamente mi scaldai. C'erano anche le voci di operai e di operaie che tornavano a casa dopo il turno di notte. A loro and subito la mia simpatia. Uomini e donne, giovani e vecchi, ma tutti dello stesso umore, e tutti esausti - dalla testa ai piedi, compresi seni e testicoli - per la notte passata in bianco. Gli uomini con i berretti grigi, le donne coi fazzoletti rossi in testa. Le gambe avvolte in panni di loden, unica arma per combattere il freddo. Capii subito che si trattava di un gruppo di spalatori saliti sul treno a Salzau. Faceva caldo come dentro al ventre di una mucca: come se l'aria, sotto la spinta di potenti muscoli cardiaci si autoaspirasse continuamente da quei corpi umani per poi ripomparsi di nuovo negli stessi corpi. Meglio non starci a pensare! Mi misi con la schiena appiccicata alla parete del vagone. Poich non avevo dormito tutta la notte, mi appisolai. Quando mi svegliai rividi la traccia di sangue che scorreva piuttosto irregolare sul pavimento bagnato del vagone, come un fiume su una carta geografica continuamente deviato da massicci montuosi, e terminava tra la finestra e la sua cornice, sotto al freno di sicurezza; la traccia era partita da un uccello schiacciato, che la finestra, salita all'improvviso, aveva spezzato in due. Forse gi molti giorni prima. S'era richiusa con tale violenza che non entrava pi nemmeno un filo d'aria. Il controllore che passava di l esercitando il suo squallido mestiere, finse di non accorgersi dell'uccello morto. Ma doveva averlo visto. Quest'era la mia impressione. A un tratto udii la storia di un guardalinee rimasto soffocato nella tormenta, che finiva cos: A quello non gli importava niente di niente! Che fosse il mio aspetto esteriore oppure quello interiore che si esprimeva sul mio volto, o l'emanazione dei miei pensieri, del mio incarico - al quale mi stavo preparando con tutte le mie energie - sta di fatto che accanto a me non venne a sedersi nessuno, bench ogni posto col tempo fosse diventato prezioso. Il treno attraversava sferragliando la valle dove scorre il fiume. Col pensiero tornai brevemente a casa una volta. Poi andai lontanissimo, in qualche grande citt dove un giorno ero stato di passaggio. Poi notai delle particelle di polvere sulla mia manica sinistra e tentai di strofinarle via col braccio destro. Gli operai tirarono fuori dei coltelli e si misero a tagliare il pane. Trangugiavano grossi pezzi di pane e insieme mangiavano fette di carne e di salame, certi bocconi che uno non mangerebbe mai stando seduto a tavola. Soltanto col pranzo sulle ginocchia. Tutti bevevano birra gelata ed erano evidentemente troppo deboli per riuscire a ridere di s, bench si trovassero ridicoli. La loro stanchezza era tale che non ci pensavano nemmeno a chiuder la bottega dei pantaloni o a pulirsi gli angoli della bocca. Pensavo: appena scesi dal treno quelli cascano subito nel letto. E alle cinque di sera, quando gli altri smettono di lavorare, loro ricominciano. Il treno correva rumoroso e scendeva a precipizio come il fiume al suo fianco. Si faceva sempre pi buio. La mia camera piccola e poco confortevole come la mia stanzetta di praticante a Schwarzach. Se laggi era insopportabile il rumore del fiume che scorreva vicino, qui insopportabile il silenzio. Su mio desiderio la moglie

dell'oste ha staccato le tende. ( sempre la stessa storia: non mi piacciono le tende in stanze che m'incutono paura). La moglie dell'oste mi ripugna. la stessa ripugnanza che da bambino mi faceva vomitare davanti alle porte spalancate dei mattatoi. Se lei fosse morta - oggi - non mi ripugnerebbe, i cadaveri da sezionare non mi fanno mai pensare a dei corpi vivi - ma lei vive, e vive in mezzo a un odore putrido e stantio di vecchia cucina d'osteria. A quanto pare devo esserle piaciuto, visto che mi ha portato su la valigia e si dimostrata pronta a servirmi la colazione in camera contrariamente al suo principio che quello di ignorare che cosa sia una colazione servita in camera. Il signor pittore un'eccezione, disse lei. Anche lui era un cliente fisso e i clienti fissi godono di certi privilegi. E sono pi uno svantaggio che un vantaggio per gli osti. Come avevo scoperto la sua locanda? Per caso, dissi io. Volevo rimettermi in salute al pi presto e ritornare a casa dove mi aspettava una montagna di lavoro arretrato. Lei si mostr comprensiva. Le dissi il mio nome e le diedi il mio passaporto. Fino a questo momento non ho ancora visto nessuno all'infuori della moglie dell'oste, bench nel frattempo un giorno alla locanda si fosse sentito un gran baccano. Durante l'ora del pranzo, mentre mi trovavo in camera mia. Domandai alla moglie dell'oste dove fosse il pittore e lei mi disse che era nel bosco. quasi sempre nel bosco, disse lei. Non sarebbe tornato prima dell'ora di cena. Se conoscevo il signor pittore, mi domand. No, dissi io. In silenzio, mentr'era ancora nel vano della porta, parve chiedermi una cosa che solo una donna pu chiedere a un uomo in modo cos fulmineo. Rimasi sconcertato. Non potevo essermi sbagliato. Respinsi la sua offerta senza dire una parola e non senza un'improvvisa sensazione di disgusto. Weng il paese pi malinconico che io abbia mai visto. Molto pi malinconico della descrizione che ne aveva fatto l'assistente. Il dottor Strauch vi aveva accennato come si accenna a un tratto di strada pericolosa che un amico debba percorrere. Tutto ci che l'assistente aveva detto erano accenni. I lacci invisibili con cui di secondo in secondo lui mi legava sempre pi stretto all'incarico che m'aveva affidato, erano diventati causa di una tensione quasi intollerabile tra lui e me, poich gli argomenti che lui m'imprimeva nella mente senza il minimo riguardo mi facevano l'effetto di chiodi conficcati a forza nel cervello. Riusc per a evitare d'irritarmi. Si limitava a mettermi a parte dei punti ai quali avrei dovuto scrupolosamente attenermi. Effettivamente questa regione m'incuteva spavento e me ne incuteva ancora di pi il paese popolato di uomini piccolissimi che si possono tranquillamente chiamare idioti. Non pi alti di un metro e quaranta in media, questi uomini camminano barcollando tra muri pieni di crepe e cunicoli, concepiti nell'ubriachezza. Pare che siano tipici di questa vallata. Weng un paese situato molto in alto, eppure come se si trovasse sul fondo di una gola. impossibile valicare quelle pareti di roccia. Solo la ferrovia laggi riesce ad aggirarle. un paesaggio che per via della sua bruttezza estrema ha pi carattere dei paesaggi belli che non hanno carattere. Qui tutti hanno voci da ubriachi, voci infantili e stridule che arrivano sino al do acuto, voci che a udirle da vicino ci trapassano da parte a parte. Ci trafiggono. Voci che ci trafiggono emesse da ombre, devo dire, perch in realt sinora ho visto solo ombre d'uomini, ombre umane in miseria e in preda a una sensualit convulsa e tremante. E queste voci che ci trafiggono, emesse da queste ombre, sulle prime m'avevano confuso e fatto scappar via di corsa. Queste osservazioni tuttavia io le facevo a mente piuttosto serena, non ne restavo sconvolto. A dire il vero tutto m'infastidiva soltanto perch era terribilmente scomodo. Per giunta mi toccava anche portare la mia valigia di cartone in cui gli oggetti in gran confusione sbatacchiavano da tutte le parti. La strada che dalla stazione laggi, dove la fabbrica e stanno costruendo la centrale elettrica, arriva fin lass a Weng, pu essere percorsa solo a piedi. Cinque chilometri che non si possono abbreviare, ad ogni modo non in questa stagione. Dappertutto cani che abbaiano e che latrano. Non stento a credere che a lungo andare la gente diventi pazza a forza di fare osservazioni come quelle che avevo continuato a fare io sia sulla strada che conduce a Weng sia a Weng, se non si distrae col lavoro o coi divertimenti o con altre attivit simili come andare a puttane pregare o ubriacarsi, oppure con tutte queste attivit simultaneamente. Che cosa pu attirare un uomo come il pittore Strauch in una regione come questa, proprio di questa stagione in una regione come questa, che dev'essere come un pugno in faccia in ogni istante? Il mio incarico assolutamente segreto e volutamente, calcolatamente, mi stato affidato di sorpresa, da un giorno all'altro. All'assistente doveva certo essere gi venuta da tempo l'idea di affidare a me l'incarico di osservare suo fratello. Perch proprio a me, perch non a uno di quegli altri, anche loro praticanti come me? Forse perch io spesso gli facevo certe domande difficili e gli altri no? Mi raccomand di non fare mai in nessun caso sorgere nel pittore Strauch il sospetto che tra me e lui, il chirurgo Strauch, ci fosse un qualsiasi rapporto. Per questo se me lo domanderanno dir che studio legge perch siano completamente distolti dal pensiero della medicina. L'assistente si accoll le mie spese di viaggio e di soggiorno. Mi diede una somma di denaro che gli sembr sufficiente. Mi chiese di osservare suo fratello con attenzione, niente altro. Vuole che gli descriva i suoi vari modi di comportarsi, come passa le sue giornate; che lo informi sulle sue opinioni, intenzioni, dichiarazioni, sui suoi giudizi. Vuole che gli faccia una relazione su come cammina, sul suo modo di gesticolare, di arrabbiarsi, di difendersi dagli uomini. Su come maneggia il suo bastone. Osservi la funzione del bastone che mio fratello tiene in mano, la osservi nel modo pi preciso.

Il chirurgo non vede il pittore da vent'anni. Da dodici anni fanno a meno di scriversi. Il pittore questo loro rapporto lo chiama apertamente inimicizia. Tuttavia come medico voglio fare un tentativo, disse l'assistente. A tale scopo aveva bisogno del mio aiuto. Le mie osservazioni gli sarebbero state pi utili di tutto ci che aveva scoperto fino allora. Mio fratello, - aveva detto, - uno scapolo come me. , come si suol dire, un pensatore. Ma gravemente disturbato. Perseguitato da vizi, vergogne timori reverenziali, rimproveri e autorit, mio fratello un tipo che ama le passeggiate, quindi un uomo che ha paura. iracondo. Un misantropo. Questo incarico un'iniziativa personale dell'assistente e fa parte della mia pratica d'ospedale a Schwarzach. la prima volta che considero l'osservazione come un lavoro. Avevo intenzione di portarmi dietro il libro di Kolz sulle malattie del cervello, che si suddivide in attivit potenziate (fenomeni di eccitazione) e in prestazioni ridotte (paralisi) del cervello e invece l'ho lasciato a casa. In compenso mi son portato dietro un libro di Henry James con cui mi ero gi distratto a Schwarzach. Alle quattro lasciai la locanda. In quell'improvviso, ruvido silenzio una agitazione spaventosa s'impadron di me, e non soltanto del mio corpo. La sensazione di aver indossato la mia camera come una camicia di forza e che ora me la dovessi togliere mi fece fare le scale a precipizio. Entrai nella sala. Poich nessuno rispondeva ai miei ripetuti richiami, uscii fuori all'aperto. Inciampai in un cumulo di ghiaccio, ma subito mi rimisi in piedi e mi prefissi una meta: un ceppo a una ventina di metri di distanza. Mi fermai davanti al ceppo. Ora vedevo spuntare dalla neve tanti ceppi simili che parevano squarciati da proiettili, a decine e decine. In quel momento mi venne in mente che avevo dormito per oltre due ore seduto sul letto. Il viaggio e la novit dell'ambiente erano le cause della mia spossatezza. Il fhn, pensavo. Quand'ecco che dal tratto di bosco, a non pi di cento metri da me, vidi spuntare un uomo che camminava a fatica, senza dubbio il pittore Strauch. Ne vedevo spuntare solo il busto, perch le gambe erano nascoste da immensi mucchi di neve. Notai il suo gran cappello nero. Controvoglia, cos mi parve, il pittore si spostava da un ceppo all'altro. S'appoggiava al suo bastone col quale poi si spronava, come se fosse - a un tempo - mandriano bastone e bestia da macello. Ma questa impressione spar e rest il problema di come avvicinarmi a lui al pi presto e nel migliore dei modi. Come mi presento a lui? pensai. Mi avvicino e gli domando qualcosa, adotto quindi il metodo sicuro anche se sciocco di quello che vuol sapere l'ora e il luogo? S? No? S? Non sapevo decidermi. S. Decisi di tagliargli la strada. Cerco la locanda, dissi io. E tutto era andato bene. Mi squadr, poich la mia improvvisa apparizione era pi inquietante che rassicurante - e mi prese con s. Lui era un cliente fisso della locanda, disse. Non poteva che trattarsi di una stravaganza o di un errore se uno voleva trattenersi a Weng. Venire a Weng per rimettersi in salute. In quella locanda l? Non si pu essere abbastanza giovani per non capire subito che una cosa assurda. In questa regione? Un'idea cos balorda poteva venire solo a un cretino. Oppure a un aspirante suicida. Domand chi fossi e che cosa studiassi, poich certamente stavo ancora studiando qualcosa, e io, come se dicessi la cosa pi ovvia del mondo risposi: Legge. Gli bast. Cammini pure davanti a me. Io sono un vecchio, disse. Per alcuni attimi rimasi cos spaventato dal suo aspetto che mi rinchiusi completamente in me stesso quando lo vidi per la prima volta cos indifeso. Se Lei continua a camminare nella direzione che Le sto indicando col bastone giunger in una valle che potr percorrere per ore e ore in lungo e in largo senza il minimo timore, - disse. - Non deve aver timore di venir scoperto. Non potr succederLe nulla: tutto completamente senza vita. N ricchezze nel sottosuolo, n coltivazioni, nulla. Numerose tracce di questa o quell'epoca, pietre, frammenti di muro, segni, di che cosa nessuno lo sa. Una chiesa in rovina. Scheletri. Orme di animali selvatici passati di l. Quattro, cinque giorni di solitudine, di silenzio, - disse. - Una natura completamente indisturbata dagli uomini. Qua e l una cascata. come attraversare un millennio di un'epoca preumana. La sera qui scende improvvisa come un colpo di tuono. Come se a comando venisse fatto calare un enorme sipario di ferro che separa una met del mondo dall'altra con un taglio netto. Ad ogni modo: la notte cala nel tempo di fare un passo. Si spengono i tristi opachi colori. Tutto si spegne. Non vi transizione. a causa del fhn che il freddo nelle tenebre non diventa pi intenso. Un clima che a dir poco indebolisce i muscoli cardiaci quando non li blocca del tutto. Gli ospedali la sanno lunga su quest'aria: pazienti che sembravano guariti a forza d'imbottirli d'arte medica sino all'inverosimile, sino a ritrovare la speranza, cadono in deliquio e non possono pi essere riportati alla vita da nessuna teoria umana per quanto abilmente applicata. Influenze atmosferiche che favoriscono gli emboli. Misteriose formazioni di nuvole molto lontano, da qualche parte. I cani corrono come impazziti attraverso vicoli e cortili e aggrediscono anche le persone. I fiumi esalano un odore putrido lungo tutto il loro corso. Le montagne hanno la forma di strutture cerebrali contro cui si pu andare a sbattere e sono nitidissime di giorno, assolutamente invisibili di notte. Estranei si rivolgono la parola improvvisamente a un crocicchio, fanno domande e dnno risposte che non gli sono mai state richieste. Come se fosse un momento di fratellanza totale: la bruttezza osa avvicinarsi alla bellezza, la brutalit alla debolezza. Rintocchi d'orologi cadono come gocce sul cimitero e sugli spioventi dei tetti. La morte si fa abilmente

strada in mezzo alla vita. Tutt'a un tratto anche i bambini cadono in uno stato di prostrazione. Non gridano, ma si buttano sotto a un treno accelerato. Nelle osterie e alle stazioni, vicino alle cascate, s'intrecciano rapporti che non durano pi di un secondo. Si stringono amicizie che non fanno neanche in tempo a sbocciare; il tu viene esaltato come una tortura sino all'intenzione omicida e poi rapidamente soffocato in una piccola malvagit. Weng si trova in una fossa, scavata durante milioni di anni da enormi blocchi di ghiaccio. Il ciglio dei sentieri invita alla lussuria

---Estratto da: L' INVIDIA DEL SOCCOMBENTE. UN'APPLICAZIONE DELLA TEORIA MIMETICA GIRARDIANA AL ROMANZO DI THOMAS BERNHARD DER UNTERGEHER di Claudia Marobin

Nel mio lavoro ho descritto il ruolo della fenomenologia mimetica in Der Untergeher uno dei pi noti romanzi di Thomas Bernhard. La teoria mimetica di Ren Girard si basa sul concetto di imitazione o mimesi. Lo studioso distingue la mimesi positiva, pacifica e culturale, sulla quale si basano l educazione, il sapere e l arte, dalla mimesi negativa o conflittuale che porta inevitabilmente a invidia, rivalit, antagonismo, risentimento, vendetta e violenza. La teoria mimetica indaga le conseguenze distruttive dell imitazione, presente non solo nei comportamenti umani pi superficiali ma anche e soprattutto nel desiderio. Il desiderio necessita sempre di un modello, imita il desiderio di un altro, non mai fissato su oggetti o obiettivi predeterminati. Ognuno ha uno o pi modelli perch ognuno tende a confrontarsi con gli altri. Il desiderio non mai spontaneo, ma sempre orientato sull altro: il desiderio dell altro quindi il modello del proprio desiderio. La rappresentazione grafica di questa "costellazione" il triangolo, al cui vertice si trova il mediatore/modello e alla cui base stanno il soggetto desiderante e gli oggetti desiderati. Secondo Girard, mentre le opere romanzesche rivelano la presenza del mediatore/modello e sottolineano l importanza dell imitazione, le opere romantiche camuffano l imprescindibile ruolo della mimesi. Der Untegeher opera romanzesca: il racconto-monologo dell io narrante smaschera infatti l illusoria menzogna romantica del desiderio originale e spontaneo. Il romanzo di Bernhard descrive una situazione di mediazione interna dove il triangolo del desiderio ha al suo vertice il glenngeniale Gould. Gli altri due protagonisti, Wertheimer e l io narrante, invidiano Glenn Gould perch questi sa suonare in modo superbo le bachiane Goldberg Variationen . Oggetto del loro desiderio una esecuzione pianistica pari se non superiore a quella di Gould. Ossessionati dalla loro invidia e dalla loro inferiorit artistica sprofondano nel sottosuolo mimetico della mediazione interna dove non desiderano altro che identificarsi con l idolo Gould e dove gradualmente diventano vittime di ci che Girard definisce "masochismo e sadismo esistenziali". Glenn Gould ad affibbiare a Wertheimer il nomignolo soccombente , colpendolo con ci a morte: Wertheimer assume il ruolo esistenziale della vittima e si sottomette alla volont dell idolo sadico e persecutore. L atteggiamento a sua volta sadico che Wertheimer adotta nei confronti della sorella diretta conseguenza del suo atteggiamento masochistico verso il modello Gould; a causa del suo fallimento artistico Wertheimer ha bisogno di una vittima su cui scaricare il suo risentimento. L unica soluzione per riemergere dall abisso della mediazione interna per Wertheimer il suicidio. L io narrante invece in grado di sottrarsi alla morsa del desiderio mimetico rinunciando all essere dell altro, rinunciando allo stesso desiderio mimetico e ponendo un freno all invidia che lo ha roso per anni. La conversione , la capacit di pensarsi, nonostante i propri limiti, un essere unico al mondo, lo redime quindi dalle pastoie del desiderio triangolare.--Claudia Marobin

IL MODELLO GENIALE

Per tutta la durata del corso di Horowitz, due lunghissimi mesi e mezzo, caratterizzati da notti insonni e ininterrotte esercitazioni al piano, i due amici subiscono l umiliazione derivante dal continuo confronto col genio, cui consegue una clamorosa menomazione del loro prestigio personale, uno smacco per il loro amor proprio. I due, a causa dell inevitabile confronto col genio sono costretti a ridimensionare sempre pi le loro aspettative. Fin dall inizio l invidia per una tale personalit musicale manifesta. L io narrante attribuisce di continuo a Wertheimer un nefasto sentimento di invidia per Gould, evitando per di attribuirlo a se stesso. Di Wertheimer dice che avrebbe voluto essere non solo Glenn Gould, ma anche Horowitz, Mahler, Berg. Al contrario, il narratore, assumendo quell atteggiamento che in termini mimetici viene definito romantico , afferma di non avere mai voluto essere nessun altro se non se stesso, e preferisce parlare del suo stupore , piuttosto che della sua invidia, di fronte all arte pianistica di Gould: Wertheimer neidete Glenn aber fortgesetzt diese Knstlerschaft, er war nicht fhig, sie neidlos zu bestaunen, wenn auch nicht zu bewundern, wozu auch mir alle Voraussetzungen fehlten und fehlen, ich habe niemals etwas bewundert, aber doch sehr viel im Leben bestaunt und am meisten, darf ich sagen, habe ich in meinem Leben, das mglicherweise doch ein Knstlerleben genannt zu werden verdient, ber Glenn gestaunt, staunend habe ich seine Entwicklung beobachtet [...]. Ich hatte immer die Mglichkeit, meinem Staunen freien Lauf zu lassen, mich durch niemanden und durch nichts in meinem Staunen beschrnken, einengen zu lassen, dachte ich. Diese Fhigkeit hatte Wertheimer niemals gehabt, in gar keiner Beziehung, dachte ich. Ich hatte ja auch niemals zum Unterschied von Wertheimer, der sehr wohl gern Glenn Gould gewesen wre, Glenn Gould sein wollen, ich wollte immer nur ich selbst sein, Wertheimer aber war immer jenen zugehrig, die stndig und lebenslngich und bis zur fortwhrenden Verzweiflung, ein anderer, wie sie immer glaubten muten, Lebensbegnstigter sein wollen, dachte ich. Wertheimer wre gern Glenn Gould gewesen, wre gern Horowitz gewesen, wre wahrscheinlich auch gern Gustav Mahler gewesen oder Alban Berg. [1] Gi alla fine del corso di Horowitz l io narrante e Wertheimer sono certi di avere conosciuto il pi grande pianista del secolo: Als wir den Unterricht bei Horowitz beendet hatten, war es klar, da Glenn schon der bessere Klavierspieler war als Horowitz selbst [ ] und von diesem Augenblick an war Glenn der wichtigste Klaviervirtuose auf der ganzan Welt fr mich, so viele Klavierspieler ich auch von diesem Augenblick an hrte, keiner spielte so wie Glenn, selbst Rubinstein, den ich immer geliebt habe, war nicht besser. Wertheimer und ich waren gleich gut, auch Wertheimer hat wieder immer gesagt, Glenn ist der beste [ ] [2] I due amici notano in Gould una estrema Kunstbesessenheit e un inflessibile Klavierradikalismus [3] e tentano di imitarne l ascesi esteticoartistica. Osserva Luigi Reitani: [ ] tutti e tre i pianisti guardano alla musica con la stessa radicale devozione, che li porta ad escludere qualsiasi altra cosa che li possa distrarre dal compito che si sono assegnati. [4] La devozione s la stessa in tutti e tre, ma poich, a parit di devozione, Gould spicca sempre sugli altri due, l io narrante e Wertheimer infine non reggono pi al confronto. I due sono teste raziocinanti piuttosto che virtuose : Ich selbst hatte nie das Bedrfnis nach Weltverblffung gehabt, auch Wertheimer nicht, dachte ich. Wertheimers Kopf war dem meinen hnlicher als der Kopf Glenns, dachte ich, der absolut einen Virtuosenkopf aufgehabt hat zum Unterschied von Wertheimer und mir, die wir Verstandeskpfe waren. [5] Pur essendo ottimi pianisti non posseggono l innata genialit che caratterizza il loro modello-mediatore. Glenn , riprendendo il neologismo di Bernhard, glenngenial . [6] L io narrante invece si esclude dalla cerchia degli artisti di genio: Ich war nicht, wie es Glenn gewesen war, vielleicht sogar Werheimer, was ich nicht hundertprozentig sagen kann, zum Klaviervirtuosen geboren, aber ich zwang mich ganz einfach dazu, redete es mir, spielte es mir ein [ ] [7] Quando scegliamo e poi cerchiamo di imitare i nostri modelli con l aspirazione di eguagliarli, se non di superarli, scegliamo coloro che sono maestri nel campo in cui vorremmo distinguerci, o meglio, data l influenza di determinati

modelli sulla nostra vita, scegliamo di distinguerci nello stesso campo in cui si distinguono o si sono distinti i nostri modelli. ovvio pertanto che due pianisti del calibro di Wertheimer e dell io narrante, che sono gi eccellenti esecutori, scelgano quel modello che nel loro campo il migliore. Non potrebbero certo sceglierne uno che, nella scala che va dai pianisti dilettanti ai pianisti eccelsi, si trovi ad un gradino inferiore al loro. Si gi accennato al fatto che Wertheimer e l io narrante, prima di conoscere Gould, potevano considerarsi tra i migliori pianisti d Austria, se non d Europa. Avevano frequentato il Mozarteum e la Wiener Akademie, ovvero, le migliori accademie musicali del mondo. La loro carriera di virtuosi del pianoforte poteva dirsi ormai avviata. Ma la vicinanza di un modello tanto geniale li distoglie dal proposito di diventare dei Klaviervirtuosen . Come potrebbero continure a suonare dopo essere stati testimoni delle doti sovrumane del genio pianistico del secolo? L invidia dei due amici meno geniali per l amico-modello-ostacolo si irrobustisce sempre pi. Feriti nell orgoglio e ossessionati dalla loro inferiorit a tale modello i due s inabissano nel sottosuolo mimetico della mediazione interna. La tubercolosi, che la malattia che accomuna modello e discepoli, metafora della rivalit tra le due parti e dell invidia che regna nel sottosuolo musicale dove i tre si esercitano giorno e notte. Tanto pi che non solo Wertheimer e l io narrante sono vittime del desiderio triangolare, ma anche Gould: se Wertheimer e l io narrante vorrebbero essere Gould, Gould vorrebbe essere Bach. Un esecuzione delle opere bachiane pari a quella di Gould l oggetto metafisico del desiderio di Wertheimer e dell io narrante, ma poich la fase del desiderio mimetico che stiamo analizzando quella finale, la pi grave, ci che ora assume rilievo il desiderio di immedesimazione col modello. Nel sottosuolo della mediazione interna scompaiono gli oggetti e dominano le rivalit. L imperativo diventa: essere come Glenn Gould. Per Wertheimer la perfetta esecuzione gouldiana delle Goldberg Variationen si rivela per fatale. Nel momento in cui sente suonare Gould la sua carriera di virtuoso finita. Il tentativo di emularlo, il desiderio di essere come Gould sono per lui l inizio della fine e lo portano lentamente all autoannientamento: Glenn hatte nur ein paar Takte gespielt und Wertheimer hatte schon an Aufgeben gedacht [...] Pathetisch gesagt, war es das Ende, das Ende der Wertheimerschen Virtuosenlaufbahn. Wir studieren ein Jahrzehnt lang auf einem Instrument, das wir uns ausgesucht haben und hren dann, nach diesem mhseligen, mehr oder weniger deprimierenden Jahrzehnt, ein paar Takte eines Genies und sind erledigt, dachte ich. Wertheimer hat das nicht zugegeben, jahrelang nicht. Aber diese paar Takte Glennspiel waren sein Ende, dachte ich.[8] Nel momento in cui il mediatore si fa interno, toccando la sfera dei soggetti desideranti, i soggetti cercano quindi l immedesimazione col mediatore stesso. Nasce la rivalit e l oggetto desiderato, l esecuzione di Gould delle opere bachiane Goldberg Variationen, Die Kunst der Fuge e Das Wohltemperierte Klavier, passa in secondo piano. Wertheimer, infatti, dopo aver sentito Gould suonare le Goldberg Variationen non prova pi a cimentarsi con quest opera, se non poco prima del suicidio, ma in modo indegno anche del pi dilettantesco dei pianisti. L oggetto dei suoi desideri, un esecuzione delle Goldberg Variationen pari a quella di Gould, subito sostituita dal desiderio di diventare Gould. una delle leggi della mediazione interna. Desiderare significa desiderare essere l altro. Poich Glenn Gould non funge da mediatore esterno ma da mediatore interno, si giunge allo scacco dei soggetti. I due hanno infatti a che fare con Glenn Gould in carne ed ossa, non con un modello esterno. Come gi stato osservato, l io narrante fa notare che se non avesse mai incontrato il pianista canadese sarebbe probabilmente diventato uno dei migliori pianisti del mondo:

Htte ich Glenn Gould nicht kennengelernt, ich htte wahrscheinlich das Klavierspiel nicht aufgegeben und ich wre ein Klaviervirtuose geworden und vielleicht sogar einer der besten Klaviervirtuosen der Welt, dachte ich im Gasthaus. Wenn wir dem Ersten begegnen, mssen wir aufgeben, dachte ich. [9] L io narrante, dopo avere incontrato il migliore rinuncia alla carriera di virtuoso, consapevole che il modello che si scelto inarrivabile, inimitabile. Vedremo poi quale significato assuma nel contesto del romanzo la rinuncia, che si rivela essere l unica via di uscita dal sottosuolo mimetico in cui sono sprofondati i protagonisti di Der Untergeher. Dopo avere conosciuto il migliore, l io narrante e Wertheimer vedono sfumare i loro sogni di gloria perch sono ormai consapevoli del fatto che, per quanto si possano esercitare al pianoforte, non potranno mai eguagliare il virtuosisimo del loro modello, non potranno mai competere con il Klavierradikalismus di Gould. Decidono pertanto di seguire altri percorsi, di abbandonare la musica e di darsi allo studio. L io narrante si d alla filosofia e Wertheimer alle scienze dello spirito, diventando un Aphorismenschreiber :

Da ich zum Philosophen nicht geboren bin, habe ich mich [ ] zum Aphoristiker gemacht, zu einem dieser widerwrtigen Philosophiepartizipanten, die es zu Tausenden gibt, sagte er, dachte ich. [10] Wertheimer e l io narrante sono vittime di un rapporto di mediazione interna dove il mediatore funge da idolo adorato e nel contempo odiato, adorato perch il migliore e odiato perch di ostacolo ai loro sogni di grandezza. I due non eliminano l idolo-ostacolo, il divino interprete delle Goldberg Variationen, ma interiorizzano la loro dipendenza da esso, soccombendo al masochismo esistenziale di cui parla Ren Girard, atteggiamento tipico di situazioni di mediazione interna giunte ad un grado estremo di parossisimo.

MASOCHISMO ESISTENZIALE

Wertheimer e l io narrante non desiderano la sofferenza ma ciononostante soffrono e si sentono feriti e umiliati. I due hanno imparato che gli oggetti di cui ci si impossessa facilmente non hanno valore, per cui si interessano solo di quegli oggetti che un modello-ostacolo insormontabile impedisce loro di possedere: l esecuzione di Gould delle Goldberg Variationen e delle altre opere bachiane. Osserva Girard: [ ] le sujet sait, par exprience, que drrire les obstacles qui se laissent trop aisment surmonter, la dception l attend. Il cherche donc l obstacle insurmontable, le rival imbattible, l objet insaisissable. Plus que jamais, le dsir vise le succs. Mais il n a que faire des succs faciles [ ] Le dsir aspire des plaisirs inous et des triomphes clatants. C est bien pourquoi il n espre pas le trouver dans les expriences ordinaires et les rapports qui se laissent matriser. C est dans les avanies qu on lui fait subir, et les ddains dont on va l accabler qu il lira de plus en plus les signes de la supriorit absolue du modle, la marque d une autosuffisance bienheureuse forcment impntrable sa propre insuffisance. [11] Il masochista una persona che dopo una serie di successi e, quindi, di delusioni, si augura di soccombere. Solo lo scacco gli pu rivelare la presenza di un modello insormontabile, di un idolo autentico. Tutti gli altri modelli li ha infatti gi eguagliati o superati, per cui non sono pi degni di essere venerati e imitati si osservi che Wertheimer e l io narrante sono i migliori pianisti del Mozarteum, forse i migliori d Austria o addirittura d Europa. Il masochista, stanco dei successi e delle conseguenti delusioni metafisiche, vuole giungere subito alla conclusione del processo metafisico e trovare pertanto quel modello divino che gli si riveler modello inimitabile. Poich per sar inevitabile il suo fallimento di fronte a questo modello, assieme allo scacco subentreranno la vergogna, l umilazione e la sofferenza: L chec n est pas vis pour lui-mme mais en tant qu il signifie tout autre chose, le succs d un Autre, bien entendu, et cet Autre seul m intresse, puisque je peux le prendre pour modle; je peux me mettre son cole et lui arracher enfin le secret de ce succs qui m a toujours lud. Ce secret, il faut que l Autre le possde, puisqu il sait si bien me faire chouer, me rduire rien, me rvler mon inanit au contact de son tre inaltrable. [12] L io narrante giudica di continuo Wertheimer e se stesso inferiori all idolo- modello, palesando con ci l atteggiamento masochistico che li accomuna: Glenn ist der Triumphator, wir sind die Gescheiterten [...] . [13] Prigionieri del triangolo mimetico, stimano il loro valore nullo e percepiscono la loro inferiorit e il loro insuccesso come segni della divinit di Glenn Gould. L estrema vicinanza del mediatore-modello porta inevitabilmente il soggetto al disprezzo masochistico di s, questo vero in particolare per Wertheimer. L io narrante infatti non giunge ad un disprezzo tale del proprio io da suicidarsi. Wertheimer, invece, considera la sua inferiorit al modello talmente biasimevole, che decide di sopprimere il proprio essere, per porre fine all invidia per Gould e le sue esecuzioni che da anni gli arrovella l animo: Immer wieder fragen wir nach der Ursache und kommen nach und nach von einer Mglichkeit auf die andere, dachte ich, da Glenns Tod die eigentliche Ursache fr Wertheimers Tod ist, dachte ich immer wieder, nicht da Wertheimers Schwester zu dem Duttweiler nach Zizers ist. Die Ursache sagen wir nicht nur, liegt immer viel tiefer und sie liegt in den Goldbergvariationen, die Glenn in Salzburg whrend des Horowitzkurses gespielt hat, das Wohltemperierte Klavier ist die Ursache, dachte ich [ ] [14] _________________

ESTINZIONE. UNO SFACELO DI THOMAS BERNHARD Con il suo ultimo romanzo Estinzione. Uno sfacelo (Titolo originale: "Auslschung. Ein Zerfall") Thomas Bernhard (1931-1989) ci ha lasciato una commedia amara e pungente sull'Austria contemporanea. di Sabrina Bottaro

Ogni cosa ridicola, se paragonata alla morte*

Un romanzo ambientato nel periodo della Seconda Guerra Mondiale nasconde, fra le sue pagine, qualcosa di singolare. Se poi la trama anticipa di qualche anno lo scoppio della guerra, allora il romanzo suggestione. La scrittura evidenzia, in qualche modo forse incomprensibile ma efficace, la rottura con la tranquillit e con l ordine e il breve ma intenso viaggio verso il baratro. Il tono della narrazione sempre inquieto e apprensivo e fa presagire il peggio in una costante attesa di colpi di scena che come previsto arrivano. La trama sempre affascinante e concitata. Si ha l impressione di essere fisicamente l, a osservare la scena dai diversi fronti del conflitto e capire di essere ormai spacciati. Credo che questo sentimento di precariet nel modo in cui la narrazione influisce sulla trama sia dovuto al senso di fragile certezza nella fine prossima della guerra che i protagonisti del romanzo cercano di conservare fino alla fine assistendo per al declino del mondo circostante. Questo leggere, per esempio, Estinzione del geniale Thomas Bernhard, un esperienza che frastorna e obbliga ad apprezzare la stessa per quello che . Siamo in presenza di una solenne e grottesca commedia umana dove il semplice atto di narrare il proprio passato e la riflessione, spesso futile, che scaturisce da esso ci ricordano quanto il culto della memoria abbia influito maestosamente sulla letteratura novecentesca. Il romanzo prende forma nel presente per tornare indietro nel tempo, secondo un lavoro della famosa memoria involontaria che qui appare per vagamente intenzionale. Un uomo, rifugiatosi a Roma per eludere la sua famiglia bigotta e opprimente rimasta nel feudo austriaco di Wolfsegg, nome che verr ripetuto un milione di volte nel romanzo sotto forma di rammarichi e recriminazioni del protagonista, riceve un telegramma che gli annuncia la morte dei genitori e del fratello. Una volta tornato nella tenuta il protagonista si trova a faccia a faccia con le due patetiche sorelle (una di loro ha sposato un fabbricante di tappi per bottiglie da vino di Friburgo, un personaggio bieco e paradossale) e con la sua eredit, la stessa tenuta. All improvviso la mente del protagonista ritorna al passato: un padre ottuso, una madre ignorante, un fratello voltagabbana, due lamentose sorelle e il loro fanatico collaborazionismo con le SS e la loro fedele adesione e cieca fedelt al nazionalsocialismo. Il leitmotiv il costante, sempreverde disprezzo del protagonista per la propriet di Wolfsegg e la famiglia d origine in una serie di lunghissimi periodi proustiani che coinvolgono qualsiasi cosa, dalla riflessione sul cattolicesimo a quella sulla fotografia. Ritratto di famiglia nel suo interno in un epoca terribile, Estinzione la cronaca di un odio viscerale che, simile all amore, porta il protagonista a speculare sulla sua vita e sul suo passato dal quale non riuscito per a fuggire completamente. Il protagonista racconta il veleno e il disagio, l acredine familiare e la matassa d intrighi, ma egli non intende rendere conto del tempo andato per ricordarlo, come avrebbe fatto un raffinatissimo Proust, ma per estinguerlo, per distruggerlo, per dimenticarlo, "perch il mio resoconto il solo per estinguere ci che in esso viene descritto, per estinguere tutto ci che intendo con Wolfsegg, e tutto ci che Wolfsegg , tutto."

______________ * commento di Thomas Bernhard quando, nel 1968, ricevette un premio nazionale austriaco.

TRE POESIE BREVI DI THOMAS BERNHARD CON LUNGHISSIMA NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA (28 Marzo 2007)

Poesie, da Auf der Erde und in der Hoelle, In terra e all'inferno, in Gesammelte Gedichte, Tutte le poesie, Suhrkamp 1993. La traduzione di Stefano Beretta. E la trovate nel suo blog assieme ad altre tracce di scrittura interessanti: cadavrexquis. Non esiste una traduzione italiana delle poesie di Bernhard, noto ai pi come romanziere e drammaturgo. La lunghissima nota bio-bibliografica viene apposta con ironia in contrapposizione alle poesie. Sicuramente tale biscione biografico avrebbe inorridito il caustico e sulfureo scrittore austriaco, ma i lettori-navigatori ne apprezzeranno i suggerimenti bibliografici, almeno spero. (Claudio Di Scalzo)

IL MIO BISNONNO COMMERCIAVA IN STRUTTO Il mio bisnonno commerciava in strutto e ancora oggi lo conoscono tutti tra Henndorf e Thalgau, Seekirchen e Koestendorf, e sentono la sua voce e si stringono al suo tavolo, che era anche il tavolo del signore. Nel 1881, in primavera, scelse la vita: piant una vite contro il muro di casa e convoc i mendicanti; sua moglie Maria, quella con il nastro nero, gli diede in dono altri mille anni. Invent la musica dei maiali e il fuoco dell'amarezza, parlava del vento e delle nozze dei morti. A me non darebbe un pezzo di lardo per le mie disperazioni.

IL MATTINO PORTA UN GROSSO SACCO Il mattino porta un grosso sacco. Io gli dico: sei tanto vecchio da non dovermi disprezzare. Hai le scarpe lacere, la tua veste un tempo m'apparteneva Sono seduto nel buco e t'attendo, non come la vecchia, non come i bambini, non come il prete che dopo la predica scende a prendere il vino e scambia la terra. Ti accolgo con la frusta, tremante, vile e fragile come un cardo al margine del sole.

STANCO Sono stanco... Con gli alberi ho conversato. Con le pecore ho patito la siccit. Con gli uccelli ho cantato nei boschi. Ho amato le ragazze del villaggio. Ho alzato lo sguardo al sole. Ho visto il mare. Ho lavorato con i vasai. Ho inghiottito la polvere sulla strada maestra. Ho visto i fiori della malinconia nel campo di mio padre. Ho visto la morte negli occhi del mio amico. Ho allungato la mano verso le anime degli annegati. Sono stanco...

LUNGHISSIMA NOTA BIO-BIOBLIOGRAFICA

Thomas Bernhard nasce a Heerlen, Olanda, il 9 febbraio 1931 da genitori austriaci. Il padre, Alois Zuckerstatter, esercita la professione di falegname a Heendorf, Salisburgo, dove incontra Herta Bernhard, figlia dello scrittore Johannes Freumbichler (che nel 1937 ricever per il romanzo Philomena Hellenhub il premio di stato austriaco). La breve relazione dei due si conclude con la gravidanza di Herta: quando Alois viene a sapere che la ragazza aspetta un figlio, scappa in Germania e di lui si perdono le tracce. Solo anni pi tardi si scoprir che si sposato con un altra donna e ha messo al mondo cinque figli prima di suicidarsi nel 1940. Bernhard scrive del rapporto tra i suoi genitori nel romanzo autobiografico Un bambino (Adelphi, 1994), quinto e ultimo, sebbene primo in ordine cronologico, dei volumi dedicati alla propria biografia. Mio padre, figlio di un agricoltore dei dintorni, che come allora si usava aveva imparato un mestiere artigianale, la falegnameria nel suo caso [...] dovette entrare in quel periodo in uno stretto contatto con lei [...]. Questo veramente tutto ci che so della storia delle mie origini. Nella ultracattolica Austria le gravidanze al di fuori del matrimonio sono considerate scandalose, cos Herta deve fuggire da casa e raggiungere l Olanda, su invito di un amica, per poter mettere al mondo Thomas. Poco dopo Herta rientra in Austria, a Vienna, dove la famiglia Freumbichler ha trovato casa. La tormentata relazione con l amante e l onta subita dalla famiglia guastano sin dal principio i rapporti della madre con il piccolo Thomas che, da parte sua, si rivela presto un bambino problematico. In Un incontro, trascrizione delle conversazioni tra lo scrittore austriaco e la giornalista Krista Fleischmann, Bernhard racconta la sua visione dell infanzia. Lo si impara gi con i genitori. Se uno non glieli ruba [i soldi] o non li minaccia, fino a mandarli in collera, non si lasciano scappare nulla. In ci i bambini sono molto raffinati, pi tardi si molto pi rozzi. [...] L infanzia non significa solo essere minacciati, ma anche minacciare. I bambini minacciano molto di pi i genitori di quanto i genitori facciano con i bambini, poich i bambini sono molto pi furbi dei genitori. Su invito del nonno scrittore intraprende l avventura scolastica con un anno di anticipo, ma i primi approcci con la scuola sono disastrosi: dopo un inizio folgorante culminato con una pagella da primo della classe, Thomas perde repentinamente interesse nello studio tanto da rischiare la bocciatura gi in terza elementare. Herta Bernhard si sposa nel 1936 con Emil Fabjan, un attivista del clandestino partito comunista austriaco. Herta ed Emil si conoscono tramite il fratello di lei, Farald, anch egli iscritto al partito comunista. L elevata disoccupazione in Austria, annessa nel 1938 alla Germania nazista, non consente a Emil di trovare lavoro in patria, e poich dal suo lavoro dipende l intera sussistenza della famiglia Freumbichler (i guadagni dello scrittore Johannes Freumbichler sono cos esigui che bastano a malapena a comperare degli abiti nuovi e un servizio di stoviglie), Emil costretto a emigrare

in Baviera, a Traunstein, dove trova lavoro come parrucchiere. Di l a poco, nel 1938, lo seguono la moglie Herta e il settenne Thomas. La separazione dal nonno, il suo unico e vero educatore, procura a Thomas la prima grande sofferenza. Sempre in Un bambino scrive: Continuare a vivere, senza il nonno, sotto la giurisdizione di un uomo estraneo, il marito di mia madre, che il nonno a seconda dell umore qualificava oggi come tuo padre e domani come il tuo tutore, mi sembrava la cosa pi impossibile del mondo. Questa catastrofe voleva dire prendere congedo da tutto, tutto ci che nel suo insieme era stato in effetti il mio paradiso. La separazione solo temporanea: in quello stesso anno infatti Emil recupera a Johannes Freumbichler e sua moglie un alloggio in un villaggio poco distante da Traunstein. Il trasferimento in Germania, patria del nazismo, vissuta dall anziano scrittore come la peggiore di tutte le condanne. Thomas prende coscienza del significato delle parole del nonno solo quando riprende la scuola: qui subisce infatti la discriminazione di insegnanti e compagni per il semplice fatto di essere austriaco e non tedesco. La situazione cos opprimente da far affiorare i primi pensieri di suicidio, a cui fanno immediatamente seguito dei tentativi concreti di togliersi la vita. In quanto austriaco, avevo grandi difficolt a farmi valere. Ero completamente in bala del sarcasmo dei miei compagni di scuola. Dimostrandomi tutto il loro disprezzo, i figli dei borghesi nei loro costosi vestiti mi punivano per qualcosa che io non sapevo cosa fosse. I maestri non mi davano una mano, anzi mi presero da subito a pretesto per le loro esplosioni di collera. Ero solo e disarmato come non mai. [...] Andavo a scuola come si va al patibolo, la mia decapitazione era sempre e soltanto rinviata [...] Se solo potessi morire! era il mio pensiero dominante. Il fallimento scolastico di Thomas, a cui fa da pendant il fallimento del nonno, che non riesce a portare a forma compiuta la seconda opera nonostante l impressionante mole di pagine accumulate, l origine e insieme l ossessione del Bernhard scrittore. Tutti i personaggi dei romanzi di Bernhard che cercano di compiere un impresa, il pi delle volte filosofica, isolandosi nella natura finiscono inesorabilmente con il fallire: ne sono un esempio Rudolf, protagonista del romanzo Cemento, Roithamer in Correzione, Konrad in La fornace, e soprattutto il principe Sarau in Perturbamento, che considerato il suo capolavoro. Quel che si vuole si conclude sempre in un fallimento afferma in Un incontro. La situazione scolastica di Thomas peggiora, e i suoi rapporti con la madre si deteriorano irreversibilmente; Herta Bernhard non riesce a placare l irrequietezza del figlio neppure ricorrendo quotidianamente al nerbo di bue. Le umiliazioni si fanno di giorno in giorno pi frequenti e pi intollerabili per Thomas e raggiungono l apice il giorno in cui l assistente sociale della scuola propone, alla madre del bambino, di mandarlo in un istituto di rieducazione per bambini difficili in Turingia. La madre accetta di buon grado, rinfrancata dalla prospettiva di alleviare le tribolazioni che il figlio le procura, almeno per un po di tempo. La rieducazione, naturalmente, in realt educazione al nazismo. La disciplina rigidissima dell istituto spinge Thomas, giunto all et di undici anni, a intensificare i propositi di suicidio; l unico pensiero che lo tiene in vita quello del nonno. Se non mi gettai dalla finestra della soffitta o non mi impiccai o non mi avvelenai con il sonnifero di mia madre, fu solo perch non volli dare a mio nonno il dolore di aver perso suo nipote per pura negligenza. Quando fa ritorno a casa scopre di avere un fratello; due anni dopo nascer anche la sorella. Il nonno, nonostante i fallimenti scolastici, intravede nel nipote delle potenzialit artistiche. Gli procura, con i crescenti risparmi ricavati dalla vendita del libro, dapprima un cavalletto per dipingere che va distrutto nel trasporto (la storia del cavalletto ironicamente narrata da Bernhard: Mio nonno pag il cavalletto in contanti [...] Qualche giorno dopo, come convenuto, il cavalletto da pittore fu consegnato e depositato nella Schaumburgerstrasse. Era andato in pezzi. Poco tempo dopo fu usato come legna da ardere nella stufa del nostro soggiorno, e poi un violino. Proprio quest ultimo acquisto si riveler decisivo per la vita di Thomas Bernhard che da questo momento in avanti rester indissolubilmente legata alla musica. Il violino , inoltre, l unica arma con cui Thomas combatte l idea del suicidio, idea che ha ripreso vigore dopo l ingresso nel convitto nazionalsocialista di Salisburgo, a cui viene ammesso nel 1943. L origine, primo volume dell autobiografia, prende le mosse proprio dal racconto del periodo trascorso nel convitto nazionalsocialista che, in seguito alla ricostruzione postbellica, si trasformer in un istituto cattolico, il Johanneum. Il paragone, anche se pi corretto parlare di associazione , stabilito dallo scrittore austriaco tra il convitto nazionalsocialista e l isituto cattolico alimenter, all uscita del libro nel 1975, un ondata di polemiche che sfoceranno addirittura in una querela per diffamazione. L origine in effetti un incessante invettiva contro Salisburgo e contro i suoi abitanti; l epigrafe anticipa significativamente i contenuti del romanzo. Si tratta di un trafiletto del Salzburger

Nachrichten del 6 maggio 1975. Ogni anno duemila persone tentano di porre fine alla loro esistenza nella provincia confederata di Salisburgo, e un decimo di questi tentativi di suicidio ha esito mortale. Salisburgo detiene cos in Austria che con l Ungheria e la Svezia registra le pi alte percentuali di suicidio il record nazionale. Il romanzo infila una dopo l altra accuse gravissime al popolo austriaco; i salisburghesi sono definiti, gi nella prima pagina irritanti e snervanti e ammorbanti e umilianti e urtanti, dotati di grande volgarit e bassezza; Salisburgo, che come Bernhard ricorda la citt d origine dei suoi genitori, viene definita una malattia mortale, e in questa malattia i suoi abitanti vengono partoriti e avviluppati e, se non scappano via nel momento decisivo, essi compiono prima o poi, direttamente o indirettamente - date le orribili condizioni che vigono nella citt - un repentino suicidio, oppure, direttamente o indirettamente, vanno verso una lenta e misera rovina in questa terra di morte, architettonicamente arcivescovile e ottusamente nazionalsocialista e cattolica, nemica dell uomo in tutto e per tutto. Gli abitanti di Salisburgo si difenderanno creando, in reazione ai contenuti del libro, un Comitato per la difesa e la valorizzazione del prestigio internazionale di Salisburgo . L agghiacciante soggiorno nel convitto nazionalsocialista si interrompe quando la guerra e i bombardamenti iniziano a devastare la citt. Il quattordicenne Bernhard assiste inorridito alle conseguenze delle bombe. Fa ritorno a Traunstein dove, su invito del nonno, continua a prendere lezioni di violino dal maestro Steiner che, da parte sua, lo incoraggia e lo rassicura attribuendogli un naturale talento per la musica. A guerra finita Bernhard riprende gli studi; frequenta il ginnasio, il Johanneum per l appunto, un istituto rigidamente cattolico sorto dalle macerie del vecchio convitto ricostruito. A sostituire il precedente direttore, la terribile SA Gurkrantz, c l altrettanto terribile sacerdote cattolico Franz. Proprio in questo personaggio, descritto con toni e parole per nulla dissimili dalla SA Gurkrantz, si riconoscer all uscita del libro il parroco di Salisburgo, Franz Wesenauer, che denuncer Bernhard per diffamazione. L avversione per la scuola, un catastrofico meccanismo di mutilazione dello spirito , si fa sempre pi aspra e intensa, fino a che, nel 1947, Bernhard decide di abbandonare gli studi. Ne La cantina la narrazione copre il periodo tra il 1947 e il 1949 in cui Bernhard, dando una svolta radicale alla propria vita, decide di diventare apprendista in un negozio di alimentari collocato non al centro, bens alla periferia di Salisburgo, in uno dei quartieri pi degradati e malfamati della citt. Qui, nella cantina adibita a spaccio di alimentari del signor Podlaha, circondato da persone definite senza mezze misure la feccia dell umanit , Bernhard trova il proprio rifugio, la propria salvezza. Affina le proprie doti di osservatore scrutando le vite dei clienti, e talvolta vi partecipa intrattenendo con loro discussioni sulla guerra e sulle storie del quartiere, il pi delle volte atroci notizie di cronaca giudiziaria. Il carattere introverso di Bernhard si trasforma, con una naturalezza inaspettata, in carattere aperto, espansivo; non solo conversa con gli abitanti del quartiere, ma lo fa adoperando il loro stesso linguaggio, un linguaggio diverso da quello imparato nelle scuole della citt, un linguaggio pi netto e pi intenso: l immedesimazione totale. ...fui in grado di parlare il loro linguaggio perch ero in grado di pensare i loro pensieri. Al lavoro nella cantina, svolto con alacrit e dal quale trae grande soddisfazione, Bernhard affianca l educazione artistica abbandonata insieme agli studi. Anche nella cantina, in fin dei conti, non riuscivo a cavarmela senza qualcosa di totalmente opposto, e cos mi venne in mente la musica e la mia carriera di violinista tanto ingloriosamente conclusa [...] Nel frattempo avevo provato un nuovo strumento, la mia voce. La pubert mi aveva regalato una voce di basso baritono. Per consentire al nipote di potenziare questa nuova dote, il nonno si rivolge a Maria Keldorfer, ex cantante lirica e insegnante di canto, che accetta di seguire il ragazzo; dopo una breve esibizione l anziana insegnante gli promette un futuro come cantante. Il talento del sedicenne Bernhard non tarda a manifestarsi, e cos, per affiancare la teoria alla pratica, il nonno lo iscrive al corso di estetica e teoria musicale presso il famoso professore Theodor W. Werner, musicologo e critico di Hannover nonch marito di Maria Keldorfer. La vita del giovane Bernhard si carica di contrasti, ma proprio di questi contrasti egli si nutre e in essi trova l insperata salvezza. Questi tre elementi, canto, musicologia e apprendistato nel commercio, avevano fatto all improvviso di me un individuo che viveva ininterrottamente nella massima tensione, un individuo in effetti oberato al massimo grado, e avevano reso possibile in me uno stato ideale di mente e corpo. Di colpo e del tutto inaspettatamente le circostanze erano diventate quelle giuste. La carriera di cantante prossima a realizzarsi: Bernhard partecipa alle prove del Festival di Salisburgo; riesce ad

eseguire con la massima perizia le pi difficili arie di Mozart, Haendel, Bach; si sente pienamente soddisfatto e pronto a emergere. Di punto in bianco per un evento gli sconvolge nuovamente la vita e fa crollare tutti i sogni: un infreddatura contratta durante il lavoro nella cantina e trascurata per diverse settimane si trasforma in pleurite essudativa grave che lo tiene in bilico tra la vita e la morte. Il respiro, il terzo pannello dell autobiografia di Thomas Bernhard, inizia dall ospedale in cui il diciassettenne ricoverato. In stato di semicoscienza, stipato in uno stanzone assieme a centinaia di altri pazienti moribondi o gi morti, Thomas Bernhard decide di non lasciarsi sopraffare dalla disperazione e di attaccarsi alla sua implacabile volont di vivere per non soccombere alla malattia. Le sue condizioni per non lasciano presagire alcuna speranza. La descrizione del trapassatoio , come Bernhard definisce la stanza in cui si trova a giacere, raccapriciante e precisa al tempo stesso. Mi trovo nella stanza da bagno. So quel che significa. Ogni mezz ora entra una suora, solleva la mia mano e la lascia ricadere, si pu supporre che faccia la stessa cosa con una mano nel letto davanti al mio che gi si trova nella stanza da bagno da pi tempo del mio. Gli intervalli tra un entrata e l altra della suora si fanno pi brevi. A un certo punto entrano alcuni uomini vestiti di grigio con una bara di zinco ermeticamente chiusa, scoperchiano la bara e vi depositano dentro una persona nuda. in questo preciso momento che la vita di Thomas Bernhard prende la piega decisiva. Volevo vivere, tutto il resto non aveva importanza. Vivere, vivere la mia vita, viverla come e fino a quando mi pare e piace. Senza essere un giuramento, questo fu ci che si propose il ragazzo quando ormai era dato per spacciato nell attimo in cui l altro, l uomo davanti a lui, aveva smesso di respirare. Quella notte, nell attimo decisivo, tra le due possibili strade io avevo deciso la strada della vita [...] Non avevo voluto smettere di respirare come l altro davanti a me, avevo voluto continuare a respirare e continuare a vivere. Il respiro, per l appunto, l atto volontario e caparbio che distanzia definitivamente Bernhard dalla morte: da questo momento in poi le condizioni del ragazzo migliorano lentamente. Nonostante gli incoraggiamenti del nonno, anch egli ricoverato nello stesso ospedale per una grave malattia polmonare, Bernhard si rende conto di non poter pi riprendere la carriera di cantante: il suo corpo distrutto il testimone di questo ennesimo fallimento: I miei respiri, cos mi sembrava, erano i respiri di un polmone completamente distrutto. Pochi giorni dopo, l 11 febbraio, gli viene comunicata la morte del nonno: Bernhard scopre di essere rimasto completamente solo. Anzich lasciarsi andare allo sconforto, Bernhard trae da questa perdita la spinta esistenziale necessaria per sconfiggere la malattia e avviarsi sulla strada della scrittura: lasciato solo e libero dall unico educatore della sua vita, consapevole della propria forza di spirito, il diciottenne Bernhard fa leva su questa nuova condizione per analizzare con occhio lucido se stesso e tutto quello che ha vissuto. A un certo punto, quando il mio processo di guarigione era gi molto avanzato, avevo riscoperto il piacere di pensare, ossia di sezionare, scomporre, dissolvere gli oggetti che avevo osservato. Adesso avevo il tempo per farlo e gli altri mi lasciavano in pace. L essere analitico aveva ripreso in me il sopravvento. Proprio nell istante in cui la malattia sembra recedere una volta per tutte, i medici dell ospedale prendono la sciagurata decisione di trasferirlo dal trapassatoio al Hotel Votterl, un convalesceziario per persone affette da malattie dell apparato respiratorio, come indica la dizione medica: in realt si tratta di un edificio riservato ai tisici, allora pressoch incurabili, dove Bernhard contrae la malattia della sua vita, quella che lo accompagner per i successivi quarant anni fino alla morte, ovvero la tubercolosi. Al culmine della disperazione Bernhard trova l appiglio a cui sostenersi: incitato da un compagno di malattia riempie le lunghe e monotone giornate al Votterl leggendo i grandi filosofi del passato, in particolare Pascal, Montaigne e Schopenhauer. In questo modo ripercorre le orme del nonno defunto, anch egli avido lettore di opere filosofiche e filosofo lui stesso. Il freddo (Adelphi, 1991) il quarto capitolo dell autobiografia, l ultimo prima di Un bambino il quale, pur chiudendo il ciclo dei cinque volumi, in realt, come visto, si riferisce alla primissima infanzia di Thomas Bernhard. Questa volta il diciottenne viene trasferito a Grafenhof, un sanatorio pubblico per tubercolotici; la situazione, se possibile, peggiora: Bernhard fatica ad accettare la malattia, contratta per inettitudine dei medici, e le regole del nuovo edificio, subisce l indifferenza degli altri tisici e finisce per trovarsi nuovamente nella completa solitudine. Anche qui, nel luogo in cui sono raccolte tutte le persone votate alla morte, i malati di cui i sani hanno un sacro terrore , Bernhard, con un moto d orgoglio e di forza di volont, raccoglie le sue energie per non farsi annientare dalla morte. La salvezza si

presenta sotto forma di poesia. Gi a quell epoca mi ero rifugiato nella scrittura, scrivevo, scrivevo, non so pi, centinaia e centinaia di poesie, esistevo soltanto quando scrivevo, mio nonno lo scrittore era morto, adesso ero io che potevo scrivere, adesso avevo la possibilit di poetare per mio conto, osavo farlo, adesso, avevo a disposizione questo mezzo per raggiungere i miei fini, e allora con tutte le mie forze mi gettai nella scrittura, abusavo del mondo intero per trasformarlo in versi, quei versi, se pur privi di valore, significavano tutto per me, niente al mondo aveva per me maggiore significato, e io non avevo pi niente, non avevo altro che la possibilit di scrivere poesie. Nel frattempo la madre si spegne a causa di un tumore all utero. Bernhard, che nell ultimo anno aveva parzialmente reuperato il rapporto con lei, incassa dalla vita un altro colpo. Ancora una volta si concentra sulla propria forza e sulla propria esperienza per distaccarsi dalla sofferenza e osservarla dall esterno, come se non la morte e la malattia sua e degli altri non lo riguardassero. La decisione era stata presa da tempo, mi ero deciso per la distanza, per la resistenza, avevo deciso che me ne sarei andato, insomma avevo optato per la guarigione [...] La mia volont di esistere era pi grande della mia disponibilit a morire, ragion per cui non ero uno di loro. Fa amicizia con il direttore d orchestra Rudolf Brandle che lo incoraggia a non abbandonare la formazione musicale. La lettura de I Demoni di Dostoevskij lo spinge definitivamente verso la letteratura. Arrivato ai diciannove anni, Bernhard decide di abbandonare il sanatorio. Il freddo, e con esso le memorie giovanili, si chiude cos. Adesso avevo ampiamente superato i diciannove anni, avevo rovinato il mio pneumoperitoneo e da un momento all altro ero di nuovo al punto di dover partire per Grafenhof. Ma dissi di no e non ci tornai mai pi. Nel 1951, dimesso dal sanatorio, viene ammesso alla scuola superiore di musica e arti drammatiche di Vienna, ma costretto a lasciarla per via delle difficolt economiche. L anno seguente, il 1952, l anno in cui inizia gli studi al Mozarteum che si concluderanno nel 1957 con un analisi comparata sul teatro di Artaud e di Brecht. Durante questo lustro collabora al quotidiano socialista Demokratisches Volksblatt con recensioni su eventi culturali, reportage e cronaca giudiziaria: l apprendistato giornalistico gli offrir innumerevoli spunti per i romanzi e i racconti del periodo pi maturo (l esempio pi lampante L imitatore di voci, una raccolta di cento racconti brevissimi pubbicata nel 1978 che potrebbe apparire, a una lettura superficiale, poco pi di una collezione di trafiletti di cronaca giudiziaria locale, ma che cela in realt la trasformazione della realt in una miriade di parabole all insegna dell inesorabilit del dolore e della tragedia). Maddalena la pazza sancisce l esordio del giovane scrittore: si tratta della prima prosa d arte documentabile, pubblicata nel 1953 sullo stesso giornale di Salisburgo per il quale lavora. A questo debutto fa immediatamente seguire, nel 1954, la pubblicazione sulla rivista letteraria Stimmen der Gegenwart, la pi prestigiosa d Austria, il racconto Grande, inconcepibile fame. Nel 1955 subisce il primo processo per diffamazione: l accusa di aver criticato con troppa violenza la gestione del Landestheatre di Salisburgo. Da questo momento in avanti i processi, le querele e le accuse nei riguardi di Bernhard segneranno un escalation che si placher solo con la sua morte; il carattere dello scrittore, fondato interamente sulla resistenza e sulla ribellione a tutto, alla scuola, alla malattia, alla famiglia, alla morte, non accetta di piegarsi davanti alle intimidazioni: conscio della propria forza Bernhard assume consapevolmente il ruolo di disturbatore della pubblica quiete. Scrive, ne La cantina: Per tutta la mia esistenza non ho fatto altro che disturbare. Io ho sempre disturbato e ho sempre irritato. Tutto quello che scrivo, tutto quello che faccio, disturbo e irritazione. Tutta la mia vita in quanto esistenza non altro che un continuo irritare e disturbare [...] Ci sono quelli che lasciano la gente in pace e ci sono altri, tra i quali anch io, che disturbano e irritano. Io non sono un uomo che lascia in pace la gente, e nemmeno vorrei avere un carattere del genere. Per tutta la vita Bernhard dovr subire le minacce e le querele delle persone colpite dalla sua feroce critica. Significativo il caso di Piazza degli eroi, un dramma scritto da Bernhard nel 1988, poco prima della morte, in cui viene affrontato il tema dell antisemitismo in Austria: addirittura prima che si conosca per intero il testo dell opera l autore, per mezzo stampa, tacciato di infamia e accusato di disonorare il paese. Il presidente Waldheim e un buon numero di politici chiedono la soppressione della rappresentazione. Alla prima, svoltasi al Burgertheater di Vienna grazie anche all intervento di numerosi intellettuali austriaci, un massiccio cordone di polizia deve placare una minoranza del pubblico che interrompe la messa in scena con urla e fischi. Alla fine dello spettacolo gli applausi si protraggono per pi di mezzora.

Tra il 1957 e il 1963 Bernhard intensifica la produzione pubblicando diverse raccolte di poesie (In hora mortis, In terra e nell inferno, Sotto il coltello della luna, I folli) e un libretto per balletto, voci e orchestra intitolato Le rose del deserto. Dall amicizia con il compositore Lampensberg nascono alcuni lavori scritti da Bernhard e musicati dall amico: le rappresentazioni si tengono nel teatro all aperto di Maria-Saal. Gli anni tra il 1963 e il 1967 sono quelli della svolta per la carriera dello scrittore; la casa editrice Insel pubblica il suo primo romanzo, Gelo (1963), che ottiene un largo successo di critica e pubblico. Arrivano anche i primi premi importanti: il Premio Julius Campe (1964) e il Premio Brema per la Letteratura (1965). Nel 1964 pubblica Amras, romanzo che Bernhard definir per tutta la vita il suo preferito. Acquista, con i proventi delle vendite, un podere nell Alta Austria dove si stabilisce alternando soggiorni nelle maggiori citta europee. In merito ai viaggi, alle residenze e alla necessit di trovare il clima adatto al lavoro intellettuale, Bernhard si esprime nel libro Un incontro: Le vacanze sono sempre importanti [...] Arriva il momento in cui non si possono pi vedere le stesse facce, allora si cambia ambiente e si va in vacanza. Ma quando faccio vacanza io, in genere lavoro al massimo. A casa lavoro meno perch mi distraggono troppe cose. Durante le cosiddette vacanze posso mettermi a tavolino e fare veramente qualcosa [...] Per il lavoro, almeno per me [...] importantissimo essere in un paese di cui non si capisce la lingua, perch si ha continuamente la sensazione che la gente dica solo cose piacevoli e parli di cose importanti, filosofiche. Mentre da noi, quando si capisce la lingua, si ha la sensazione che si dicano solo delle sciocchezze assolute. [...] Una cosa ragionevole andare e tornare in continuazione, molto importante. Cambiare la cosa pi importante. Nel 1967 esce Perturbamento, che come detto ritenuto il suo capolavoro; il principe Sarau, figura paradigmatica di tutti i personaggi creati da Bernhard, che dall alto del suo castello di Hochgobernitz nella Stiria non pu smettere di incedere in un soliloquio perturbante che tutto avvolge e che si contraddice costantemente, viene interpretato dalla critica nei modi pi differenti: secondo una parte di essa il principe Sarau altri non sarebbe se non la lingua tedesca in persona. Perturbamento gli frutta il Premio di Stato austriaco per la letteratura, riconoscimento gi peraltro conquistato dal nonno trent anni prima. Alla cerimonia per la premiazione Bernhard sfrutta il palcoscenico per ingiuriare il ministro e il popolo austriaco, scatenando le ire del ministro stesso che abbandona la sala indignato. Un breve stralcio del discorso, pubblicato per intero come appendice al libro Eventi: Lo stato una creazione ineluttabilmente condannata al fallimento, il popolo una creazione infallibilmente condannata all infamia e alla stupidit [...] Noi siamo austriaci, noi siamo apatici; siamo la vita come volgare disinteresse alla vita, siamo il senso di megalomania come futuro nel processo della natura. Bernhard ricever i premi successivi senza cerimonie pubbliche oppure diserter egli stesso le celebrazioni, limitandosi a intascare gli assegni annessi ai premi. Lo stile di scrittura musicale, ossessivo (un arte dell esagerazione secondo la definizione di Bernhard stesso), inaugurato con Gelo e perfezionato in Perturbamento accompagna tutta la produzione successiva dello scrittore austriaco: dal 1969 alla morte, avvenuta il 12 febbraio 1989 per l aggravarsi di una cardiomegalia diagnosticatagli gi nel 1980, la straordinaria prolificit di Bernhard gli consente di scrivere ventun copioni teatrali, diciotto romanzi (tra i quali i cinque menzionati dell autobiografia), quattro raccolte di racconti e diverse raccolte di poesie. Da ricordare tra i romanzi in particolare La fornace (1970), Correzione (1975), Il soccombente (1983) ed Estinzione (1986), oltre Perturbamento, naturalmente. Riceve innumerevoli premi letterari in tutta Europa: in Italia, dove viene tradotto a partire dal 1981 (L italiano, Guanda; Perturbamento, Adelphi), vince il premio Prato nel 1982, il premio Mondello nel 1983 e il premio Feltrinelli nel 1987 che per rifiuta avendo deciso di non accettare pi premi letterari. La morte di Thomas Bernhard viene comunicata, per sua espressa volont solo il 16 febbraio 1989, a funerali avvenuti. Il testamento lasciato dallo scrittore reca l ultima, terribile invettiva contro lo stato austriaco. Nulla, n di quanto pubblicato da me stesso in vita, n del mio lascito, ovunque esso si trovi, indipendentemente dalla forma in cui sia stato scritto, potr essere rappresentato, stampato o soltanto letto in publico per la durata dei diritti d autore all interno dei confini dello Stato austriaco, comunque tale stato si definisca. Sottolineo espressamente di non voler aver nulla a che fare con lo Stato austriaco, e mi oppongo non solo a qualsiasi forma di intrusione, ma anche ad ogni avvicinamento di tale Stato austriaco alla mia persona e al mio lavoro -- per sempre.

LA PAROLA IMPRIGIONATA. PESSOA, JABS, BERNHARD E LA SCRITTURA Giuseppe Pulina, La parola imprigionata. Pessoa, Jabs, Bernhard e la scrittura, in XOS. Giornale di confine, Anno II, N.1 Marzo-Giugno 2003

La fine del mondo non un oziosa questione metafisica. Non nemmeno, come con una certa malizia si potrebbe supporre, un rompicapo escogitato dall ingegno postmoderno. , pi di ogni altra cosa, la risorsa estrema, forse una delle ultime carte da giocare, della filosofia occidentale. Un istanza estrema, che si misura con l estremo e il vertiginoso. Non una semplice ed innocente, per quanto a suo modo spinta, visione del mondo, ma un tentativo di pensare senza il mondo (qui inteso anche come l idea kantiana finemente confutata nella Critica della Ragion pura), per stabilire che cosa mai possa dire di nuovo la sua rivelazione. Per pensare, insomma, il mondo al di l del mondo. Non un oltremondo, perci, n un regno dei fini ritagliato su misura per l uomo di Auschwitz, si tratti pure del sopravvissuto o del suo responsabile. Pensare la fine del mondo ci che in realt oggi si fa tutte le volte che si riflette sul senso della nostra esperienza storica, sull attualit o meno delle filosofie della storia e su ci che molto riduttivamente si potrebbe intendere come destino. Dopo Nietzsche, attraverso Heidegger, sino alle cosiddette filosofie del postmoderno , la filosofia si qualificata come una forma di pensiero estremo che aspira in un certo senso a fare del mondo il soggetto di una rappresentazione senza cornice, l alter ego delle metanarrazioni, come le definisce Lyotard, in cui la storia finisce con l avere sempre uno sviluppo ordinato e dotato di senso. Un modo per pensare la fine del mondo , fra i tanti possibili, quello del pensiero pensante, il pensiero di pensiero che non coincide con una sterile appercezione intellettuale, quasi si trattasse di un aggiornato socratico. Ha un po dello sventurato naufrago del Titanic, questo pensiero che pensa se stesso, costretto a vivere in un mondo senza orizzonte [1] , a lustrarsi senza potersi specchiare, a resistere sul ponte di maestra alla forza montante delle onde. un pensiero che potr non piacere, ma il pensiero (vale a dire la caratteristica posa speculativa del soggetto postmoderno) con il quale oggi ancora si in grado di pensare la fine, comune a filosofi, poeti, artisti, per molti dei quali l essere obliato di cui parla Heidegger non merita di essere riscattato con la memoria. Esemplari sotto questo profilo ci sembrano le esperienze estetiche di Fernando Pessoa, Thomas Bernhard ed Edmond Jabs, tre scrittori che oggi si tende forse un po arbitrariamente a considerare sub specie philosophiae. Le loro esperienze, il modo in cui hanno tradotto sotto uno stile che fa tutt uno con il suo contenuto l oggetto delle rispettive visioni del mondo e qua weltanschaung non pu significare ideologia segno che il pensiero diventato in campo letterario l espressione pi alta della dissoluzione, la diretta sperimentazione sulla propria pelle quella dello scrittore che non finge di raccontare se stesso della possibilit della fine. in parte vero che tanta scrittura letteraria sia oggi perdutamente personale e troppo coinvolta con le vicende del suo autore, ma ci non toglie rilievo al fatto che la scrittura sia sempre pi l ambito di esercizio di quel tipo di pensiero di cui la filosofia rivendica da tempo e con urgenza un maggiore controllo. Come nascondere o spiegare altrimenti la simpatia che i filosofi dimostrano di avere per Char, Genet, Rilke, per non parlare dell Hlderlin heideggeriano, modello di una propensione filosofica per la poesia che regge ancora il passo? Lo Juan de la Cruz tanto amato da Edith Stein non ad esempio il santo che rivoluzion gli schemi della religiosit carmelitana (non solo quelli, comunque), quanto, piuttosto, il poeta del Canto della notte oscura [2] ? Con ci si vuole dire che dopo aver gettato la maschera e tirato le somme della sua rivoluzione copernicana, la filosofia si resa debitrice di spazi, risorse e meccanismi di analisi alla letteratura, da cui attinge a piene mani e in cui si concede frequenti incursioni. Che ci non sia poi cos inverosimile lo dimostra proprio la nostra domanda di partenza (quella che, non ancora formulata, abbiamo semplicemente voluto lasciare intendere): la fine, la raccontano meglio i filosofi o gli scrittori di professione ? possono i filosofi raccontarla ? il racconto non tradisce forse un ritorno a forme di lettura degli eventi del mondo abbondantemente superate almeno in campo filosofico? Come si pu capire, allora, prendere brevemente in esame i casi di Pessoa, Jabs e Bernhard (tre autori a noi cari) un operazione che non contraddice affatto il senso del nostro lavoro. LA SCRITTURA CONTABILE DI BERNARDO SOARES L opera nella quale Fernando Pessoa si sarebbe identificato quel Livro do Desassossego [3] che non riusc (o che forse non avrebbe mai potuto) realmente completare. Il desassossego, l inquietudine che si fa parola, la condizione

limite, il perno sdrucciolevole e strutturalmente instabile attorno al quale gravita l universo pessoano, in cui una strana forma di indolenza dettata dalla vecchiaia dell eterno nuovo [4] , impone l esigenza di un radicale spossessamento, un mettersi a nudo dell anima, per togliersi di dosso, come un abito pesante, vicino al grande letto, lo sforzo involontario di essere [5] . Operazione tutt altro che facile e per niente indolore che ha gia propiziato numerosi tentativi letterari che sarebbe opportuno non confondere con quello messo in atto da Pessoa, che cerca, con la penna, di prendere congedo da s, rinunciando volontariamente all inalienabilit del personaggio incarnato ( spossessandosi , appunto), malgrado l uso di eteronomi, di cui quello di Bernardo Soares, protagonista del Livro, la somma che li comprende tutti. Che cosa significa spossessarsi ? E perch poi Pessoa avrebbe trasformato la sua tecnica di scrittura in un esercizio apocalittico ? Forse perch Vivere essere un altro [6] o perch, ma in fondo la stessa cosa, essere oggi il cadavere vivo di ci che ieri stata la vita perduta [7] . Verrebbe da pensare ad una forma di malheur letterario, ad un esistenza che non si eleva oltre la mediocrit malgrado lo stato di autentica angoscia, e di estrema solitudine, in cui versa. Ma non semplice solitudine, e se lo fosse, se fosse cio sensato chiamarla cos, coinciderebbe con uno stato esistenziale ancor pi esclusivo. La mia solitudine non consiste in una ricerca di felicit, che non ho la forza di raggiungere; n di tranquillit, che si ottiene soltanto se non la si mai perduta. Ma una ricerca di sonno, di annullamento, di piccola rinuncia [8] . D altronde, il pensiero della fine del mondo attraversa tutto Pessoa. un pensiero per cos dire riflesso, sdoppiato, disingannato, follemente vigile, come quello di chi pensa che non ci sia niente di nuovo da pensare, niente di nuovo da vedere e che il detto dell Ecclesiaste niente di nuovo sotto il sole tradisca il pi beffardo degli assunti metafisici: l inessenzialit dell essere e la vanit del pensiero che lo riflette. Un gioco di specchi, sul quale si regge l onirismo pessoano, il desassossego, per il quale l artificiosit un modo di assaporare la naturalit [9]. Una forma di puro e ingenuo onirismo, nient altro che questo? Lo sarebbe potuto essere, se non fosse stato che il sogno un accesso abusato, un luogo troppo comune per non essere anche volgare [10] . Quello che le circostanze esigerebbero una forma di aristocratico pudore per trattare i nostri sogni e i nostri desideri pi segreti in modo altero, en grand seigneur, porre un intima delicatezza nel non averne cura [11] . Vale a dire che, per poter stare a nostro agio, dobbiamo ricordarci sempre che siamo costantemente alla presenza di noi stessi, che non siamo mai soli [12] . Sognare, allora. O vivere come se la vita fosse sogno o un viaggio sperimentale fatto involontariamente [13] . Sognare, allora, senza misura, perch non possibile alcuna moderazione. Anche perch smettere di sognare decidere realmente di interrompere il sogno cos come si smette un antico vestito come decidere di non vivere pi e vivere nello stesso tempo o, per usare le parole che Paul Eluard riferiva comunque ad altro genere di esperienza, vivere e non pi vivere . Non resta che sognare, allora. Ho sempre sognato molto. Sono stanco di aver sognato, ma non sono stanco di sognare. Nessuno si stanca di sognare, perch sognare dimenticare e il dimenticare non pesa ed un sonno senza sogni fatto in stato di veglia. In sogno ho raggiunto tutti gli scopi. Talvolta mi sono anche risvegliato, ma cosa importa? Quanti Cesari sono stato! E i gloriosi, che meschini! Cesare, salvato dalla morte dalla generosit di un pirata, lo fa crocifiggere appena l ha catturato dopo un accurata ricerca. Napoleone fa il suo testamento a Sant Elena e lascia un eredit a un facinoroso che aveva tentato di assassinare Wellington. Oh, grandezze, pari alla grandezza d animo della dirimpettaia strabica! Oh, grandi uomini della cuoca di un altro mondo! Quanti Cesari sono stato e sogno ancora di essere! [14] Questo inchiostro apocalittico. E apocalittico l atto della serpe che tenta invano ma non le resta altro da fare che mordersi la coda. Ricerca dell estremit, di concavit inesplorabili, votata allo scacco dell autoderisione. Ci dica il lettore se nel passo che di seguito proponiamo si consuma o no tutto il senso residuo della kantiana rivoluzione copernicana? o non l atto di congedo dal mondo (e qui, su questa nozione di mondo , si potrebbe davvero aprire una parentesi interminabile) di un soggetto che non sa che farsene del suo dominio assoluto? Ma che cosa? Che cosa c nell aria se non l aria alta, che non niente? Che c nel cielo se non un colore che non suo? Che cosa c in quegli stracci men che nuvole, di cui pur dubito, se non l incisione di riflessi di luce di un sole gi tramontato? Che cosa c in tutto questo se non io? Ah, ma il tedio questo, solo questo. In tutto questo cielo, terra, mondo ci che c in tutto questo non se non io! [15] IL LIBRO DIVENIENTE DI EDMOND JABS L opera di Edmond Jabs, poeta ebreo e francese, segue lo sviluppo di uno spartito a spirale. come una partitura

senza cornice costituita da una gamma di variazioni tutte incentrate sulla stessa questione: il Libro. Jabs scrive libri [16] perch va alla ricerca del Libro, il grande Libro, che pu far giustamente pensare al testo sacro dell ebraismo, nel quale cova e si esaurisce l atto di ogni autentica sovversione. In Jabs, pi che in altri scrittori [17] , si pu cogliere quella dimensione apocalittica della scrittura che un tratto caratteristico del nostro tempo. Scrittura che esercizio di morte, esperienza della fine, ricerca di nuovo e vecchio senso, subversion [18]. La scrittura o il Libro termini difficili da distinguere in un significato appartato hanno in comune lo stesso destino, impulso, direzione: la morte. Noi andiamo verso il libro, come si va con certezza alla morte. Ah, chi ci legger dopo di noi?, diceva Reb Stein. La razza si estingue con l estremo vocabolo [19] . L esaurimento della parola equivarrebbe all estinzione della razza, e, si badi, non solo per inciso, come questo riferimento non sia affatto innocuo in Jabs. La parola troncata coinciderebbe con il muto silenzio che non dice pi niente. Insomma, la parola lambisce la morte e, non a caso, la morte l apoteosi del nome [20] . Nella morte, il vocabolo diventa visibile. la legge letta. Questa rinascita del segno il mistero che denuncia la scrittura; mistero umano che, senza il libro, nessuno potrebbe sospettare. Tutte le fasi della creazione sono nella frase. La morte la tappa in cui la vita prende un senso, in cui la perla, al di fuori della collana, prova la sua profonda e immortale libert [21] . Come dire che (e Jabs lo sostiene realmente) per il fatto di rivelare l oggetto nominandolo, la parola inaugura un esistenza mortale [22] . La parola interrompe la morte, se la morte pu dirsi silenzio assoluto e se mai tale esperienza potr raccontarsi e diventare (ma chiss come) parola. Nel silenzio, per Jabs, siamo sempre in ascolto della morte [23]. L esaltazione del linguaggio (perch a questo complesso ufficio speculativo si riduce in fin dei conti la metapoesia di Jabs) rivelerebbe superficiali e sorprendenti affinit con l Heidegger cultore di Hlderlin, se non fosse per per la forte connotazione religiosa, e pi autenticamente lirica, in cui Jabs, ebreo scampato ad Auschwitz, immerge le proprie riflessioni. La facilit del parallelo non sfuggita a Vitiello, che, rinvenendo radici pi profonde nella scrittura jabsiana, pensa, sulla scorta di quanto aveva gi annotato Scholem, di scorgere una sua possibile connessione alla concezione cabalistica della creazione come autolimitazione divina [24] . Basterebbe prendere in esame due passaggi tratti rispettivamente dal terzo e dal secondo Libro delle interrogazioni per avere una facile conferma. Il destino della parola il destino delle nostre passioni. Lo scrittore si interroga all infinito nell infinita solitudine di Dio di cui ha ereditato il gesto spento. Riaccendere, ogni volta, il gesto divino, questo il nostro contributo alla luce. Siamo nel cuore della creazione, assenti nel Tutto, nel midollo o nei riflessi dell Assenza, con il Nulla per risorsa, come mezzo per essere e sopravvivere. Di modo che, nell atto creatore, siamo, e sino al superamento, il Nulla di fronte al Tutto rigeneratore. Libro del libro escluso e rivendicato. La parola, di cui fui la meditazione ed il dolore, scopre che il vero luogo il nonluogo dove Dio sta, dove risplende di non essere, di non essere mai stato. Da allora, ogni interpretazione di Elohim, ogni incontro di Adonai non pu essere che personale; ogni legge che legge individuale, ogni verit che verit solitaria nel grido che ci strappa. E ci nella trasmettibilit di una Verit riconosciuta, di una legge comune e chiusa [25] . Verr forse un giorno in cui i vocaboli perderanno per sempre i vocaboli. Verr un giorno in cui la poesia morir. Sar l era del robot e della parola imprigionata. La sventura degli Ebrei sar universale [26] . La parola gesto creatore. - Creazione [27] . La si dica pure Verbo , ma tenendo conto della possibile e non esplicitamente dichiarata simpatia di Jabs per le culture religiose ebraiche ai margini della ortodossia [28] . La parola imprigionata l urlo strozzato di un deportato che respira l aria di morte di un campo di sterminio sar la grande sventura. L ultima parola coincider con il gesto irreparabile. Si capisce allora che non la parola scritta a cancellarci, ma la parola cancellata nella parola [29] . Parole, solo in apparenza nuove [30] , che cancellano altre parole, in cui consiste l humus del mondo (la ricetta della creazione, se si vuole dare corpo all espressione impiegata) e in cui sono possibili il gioco della con-divisione e la prospettiva dell alterit, l essere straniero e il non essere Dio. Alla parola viene perci delegata la pi autentica forma di trascendenza. Lo ha sostenuto Lvinas in rapporto a Maurice Blanchot, nel quale si pu cogliere pi di una suggestione jabsiana (e viceversa, comunque). Il dire Desiderio che l approssimarsi del Desiderio esaspera, scava e dove, cos, l approssimarsi del Desiderabile si allontana. Tale la modalit della trascendenza, di ci che avviene veramente [31] . Lo ha detto Lvinas lo ripetiamo ma poteva dichiararlo negli stessi termini anche Blanchot, cos come lo stesso Jabs.

THOMAS BERNHARD: PENSARE COME SCRIVERE, SCRIVERE COME PENSARE Se Jabs pratica la sovversione modalit non sospetta di lettura del Libro Bernhard pi incline a quella che lo stesso autore di Korrektur e Verstrung ha piuttosto chiamato inversione , ma anche Widerdenken ( pensare contro ) o correzione della correzione . Pensare contro che cosa verrebbe da chiedersi e quale correzione correggere? In gioco sarebbe la verit. La sua posta non molto gradevole sotto il profilo filosofico sarebbe la nonverit. In Korrektur si legge che la verit sempre un abisso. La non-verit un lass, un sopra, soltanto la non-verit non la morte come verit la morte, soltanto la non-verit non l abisso [32]. Eccoci, allora, ancora una volta in presenza di una scrittura che ha scelto di misurarsi con la morte tentandole per tutte per non cadere nell abisso. Optando, quindi, per la menzogna, la vita, la non-verit. Insomma, Bernhard avrebbe praticato un uso esorcistico della scrittura. Lo ha creduto e, a nostro avviso, non a torto Giorgio Gargani [33] , che ne ha ricondotto lo stile ad una forma di espressivit densamente speculativa, perch quello che Bernhard racconterebbe non sarebbe il pensiero di un oggetto (di un qualsiasi oggetto), ma, e di questo rende ragione anche l impianto a spirale di alcuni suoi romanzi, la cura affannosa e tormentata dello stesso pensiero [34]. Se il pensiero l inversione di tutte le verit riconosciute [35], pensare, per Bernhard e i suoi personaggi, significher compiere, attraverso una serie di esercizi speculativi, una continua e salutare correzione della realt. Il lettore di Bernhard pu anche avere talvolta la sensazione che le trame si svolgano attorno ad un soggetto inconsistente e che tutto si riduca in fin dei conti ad un gioco (ma dove c fiction, si dovrebbe sapere, non c vero inganno) di pure prestazioni cerebrali. Sensazione che forse un effetto deliberatamente ricercato dallo stesso Bernhard in A colpi d ascia, romanzo del 1984, in cui un personaggio senza volto e senza nome, identificabile nello stesso autore, usa il pensiero come un affilata ascia che sbriciola, senza risparmio (nemmeno di chi la impugna), tutto ci su cui si abbatte. Holzfllen [36] un romanzo non facile, in cui potrebbe sembrare che il vero oggetto della trama sia l irritazione (e Eine Erregung, Una irritazione, ne il sottotitolo), un moto d ira contro la decadente e anacronistica Vienna della seconda met del Novecento. Si tratta, invece, a ben guardare, di altro. E cio di una tecnica del racconto che assume il ruolo di protagonista, di una serie di pensieri ininterrotti la cui apparente continuit data da un puzzle di frammenti. Una vera e propria scepsi linguistica [37], si potrebbe dire, consistente in una saldatura di impercettibili interruzioni, malgrado l apparente e banale contraddizione in termini. Come dire che pensiero e linguaggio e il pensiero per Bernhard la forma pi estrema di linguaggio non devono compromettersi con il mondo, tenendosi sempre ben distanti da questo. Altrimenti come potrebbero rifletterlo [38], raccontarlo, prenderne le misure? disincantamento? Esilio forzato del concetto nel verbo che trattiene a stento la parola pensata? Sembra, pi che altro, un opera di resistenza contro la vanit delle cosiddette verit e l impossibilit per la parola, che gli dovrebbe dare corpo, di stringerle e afferrarle. Movendo dalla lettura di Verstrung, Eugenio Bernardi ha osservato come la constatazione che tutto gi stato detto e scritto non porta a un gioco con le parole e le strutture sintattiche, anzi, continua a indicare, a ogni aggressione, un margine di resistenza, una reticenza [39]. Difficile non essere d accordo. La parola perde cos ogni carica consolatoria, non sutura ferite, ma lenisce solo il dolore. Cio: non chiamata a riprodurre il senso di un mondo della cui caduta semplice testimone. Non le resta da dire che ci che non pu assolutamente cambiare, vivendo quasi in bilico (e lo pensa Bernardi [40] ) tra dissoluzione e trascendenza, nichilismo e vitalismo. Non dissoluzione assoluta. Se lo fosse, la parola non potrebbe raccontare nemmeno s stessa. E non nemmeno se si vuole dare ragione a quel che in proposito ha scritto Claudio Magris [41] una forma di sopravvivenza residuale al mondo che non c pi. una parola deteriorata, senza speranza, che si presta ad un esercizio di morte, al racconto di un esperienza della fine verso cui si sente inadeguata, come un moto sterile che non sa esprimere ci che lo provoca. O, se volessimo utilizzare le parole che, in Ungenach [42], il notaio Moro di Gmunden riferisce a Robert Zoiss, potremmo definire la scrittura bernhardiana come un enorme attivit diretta contro la noia un insensatezza rivolta contro la mancanza di senso [43]. Siamo o non siamo nel punto nave della meno escatologica delle apocalissi?

______________ NOTE [1] Si pensi alla sentenza nietzscheana della morte di Dio e all annuncio del folle che si chiede se esistano ancora un alto e un basso o se si stia forse vagando attraverso un infinito nulla. Un mondo senza orizzonte non potrebbe essere diverso da quello. Cfr. Nietzsche, La gaia scienza, in Opere, vol. V, tomo II, Adelphi, Milano, 1991, pp. 150-152.

[2] Cfr. Edith Stein, Scientia Crucis, Roma, OCD, 1996; in particolare, il primo capitolo, La Croce e la Notte ( Notte dei sensi , pp. 61-77), in cui si coglie l impatto del primo approccio interpretativo alla poetica del mistico spagnolo. [3] Pubblicato per la prima volta in Portogallo nel 1982. il Libro dell inquietudine (tr. it. Maria Jos de Lancastre e Antonio Tabucchi, Milano, Feltrinelli, 2000) pi di qualsiasi altra opera di Pessoa quella in cui l autore avrebbe voluto identificarsi. Un libro-progetto , fa presente Tabucchi nel saggio introduttivo preposto all edizione italiana, un libro assoluto , un diario dell intimo ordinario redatto con lo stile di una scrittura contabile . Un libro rimasto inesorabilmente incompiuto, che, come la vita, si lascia raccontare, quando ci possibile, solo a mezza strada. [4] F. Pessoa, Il libro dell inquietudine, cit., p. 44. L opera, oggetto di ripetute citazioni, sar segnalata d ora in avanti con la sigla LD. [10] I sogni hanno questo di volgare: che tutti sognano. Nel buio pensa a qualcuno il garzone che durante il giorno si appisola appoggiato al lampione, nell intervallo fra una vettura e l altra. Io lo so che cosa pensa fra s e s: pensa alla stessa cosa nella quale mi inabisso fra un addizione e l altra nel tedio estivo dell ufficio silenzioso (LD, p. 79). [12] Ibid. Nella stessa pagina del Livro si legge che L aristocratico colui che non si dimentica mai di non essere mai solo; perci la prassi e il protocollo sono appannaggio delle aristocrazie. Dobbiamo imparare l aristocrazia interiore. Strappiamola ai saloni e ai giardini e trasferiamola nella nostra anima e nella nostra coscienza di esistere. Stiamo sempre al cospetto di noi stessi in protocolli e prassi, in gesti studiati e fatti per gli altri . [16] Libri, scrive, ad esempio, Jabs, il cui destino immobile avventura io ho sposato quando li ho decifrati, quando mi sono identificato in essi fino a diventare davvero la loro stessa scrittura. Miracolo reso possibile al prezzo del mio dissolvimento (Il libro della sovversione non sospetta, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 95). [17] Non neghiamo di aver pensato al Blanchot de L infinito intrattenimento. Scritti sull insensato gioco di scrivere (Torino, Einaudi, 1977). [18] La sovversione il movimento stesso della scrittura: il movimento della morte (Il libro della sovversione non sospetta, cit., p. 7), ordine virtuoso opposto ad un ordine reazionario (p. 12), l arma preferita dell inconsueto ma anche dell ordinario (p. 34) o forse solo lo scarto tra la cosa creata e la cosa scritta (p. 35). [19] E. Jabs, Il libro delle interrogazioni. II. Il libro di Yukel, Genova, Marietti, 1988, p. 80. [20] Il libro delle interrogazioni. III. Il ritorno al libro, cit., p. 141. [23] Ibid, I, p. 92. E in un altra pagina del Libro delle interrogazioni si legge: Ho voluto, amore mio, chiamarti con un nome che sfugge alla morte, nome inviolabile, dalle catene divine. Ti ho voluto chiamare LM. Ero il merito di questo nome privo di storia, senza et n luce. Ero, di fronte a questo nome, con te, senza te. La mia emozione non era terrena. Passavo attraverso la scrittura (LI, 148). [24] Vincenzo Vitiello, La scrittura del frammento. La teologia apofatica di Edmond Jabs, in aut aut , gennaiofebbraio 1991, n. 241, p. 42. Cos, pi estesamente, Vitiello: Das Sein entzieht sich. Jabs ripete Heidegger? No, la sua scrittura ha radici pi profonde. Si connette alla concezione cabalistica della creazione come autolimitazione divina (Scholem GJ, 41-73). La parola ebraica tzimtzum (contrazione) nomina l atto originario di Dio, che per far essere le cose, il mondo, si ritirato in s. Da questo originario ritrarsi sorto l Urraum, lo spazio originario, lo splendore dell universo , il luogo della rivelativit dell ente, degli enti. La verit o disvelatezza, l , dell ente in generale. Die Lichtung des Seins (p. 42).

[27] "La parola va alla parola per promuovere prima la frase, poi la pagina, ed infine il libro: per sopravvivere infatti, essa deve attivamente contribuire ad emancipare il mondo della parola, essere un elemento dinamico della sua trasformazione e della sua unit. All ombra o a fianco del pensiero, la parola si unisce a quella che la segue logicamente nell inflorescenza della frase, o a quella di cui presagisce la venuta. Ogni sillaba, ogni lettera di tale parola gioca la sua parte di noto e d ignoto nella meditazione o nell audacia. Il pensiero assiste ai segreti incontri di vocaboli che ha provocato; ne favorisce le alleanze ed il proposito sottile, poich grazie ad essi o attraverso essi il pensiero si precisa, si prolunga, supera se stesso, s inventa, rinuncia" (LI, p. 56). [28] Cfr. Vincenzo Vitiello, Op. cit., pp. 33-49, in cui si indica nel nomadismo radicale di Jabs il tramite che lo porterebbe diritto nell alveo del nichilismo europeo. [29] Jabs, Uno straniero con, sotto il braccio, un libro di piccolo formato, Milano, SE, 1991, p. 34. [30] Nominiamo ci che, da sempre, possiede un nome nascosto. Gli diamo un nome che ci permetter di nominarlo; nome della con-divisione (Ivi, p. 56). [31] Emmanuel Lvinas, Su Blanchot, Bari, Palomar, 1994, p. 68. [32] Bernhard, Korrektur, Suhrkamp, Frankfurt a M., 1984, p. 361. [33] Aldo Giorgio Gargani, La frase infinita. Thomas Bernhard e la cultura austriaca, Bari, Laterza, 1990. [34] Il pensiero, quale esercizio di inversione e perversione delle verit comuni e usuali, come pratica della continua correzione che ha l effetto di mostrare che tutto diverso, che tutto sempre diverso attraverso la dissoluzione di qualsiasi dato, fatto e concetto, questo pensiero dunque il pensiero che incontra quella che poi la condizione fondamentale della vicissitudine da cui tormentata l esistenza umana disegnata da Bernhard, e cio un mondo che si autodistrugge, che si scompagina attraverso lacerazioni tormentose, la natura, che una natura crudele, ingannevole, infame, l amore per la quale perversione (Gargani, Op. cit., p. 33). [36] Holzfllen. Eine Erregung (Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Maim, 1984) vale a dire A colpi d ascia. Una irritazione (Milano, Adelphi, 1990), secondo la traduzione italiana di Agnese Greco e Renata Colorni di cui ci siamo serviti. [37] Cfr. Gargani, Op. cit., p. 29. [38] L immagine, in quanto identificazione di un idea con il mondo, costituisce per l arresto stesso, la paralisi mortale del pensiero; essa costituisce la sottrazione delle possibilit alternative sull oscillazione delle quali poggia il pensiero stesso, in quanto esso esiste contro i fatti (Ivi, p. 16). [39] Eugenio Bernardi, Prima dell ultimo spettacolo, postfazione critica all edizione italiana di Verstrung (Perturbamento, Milano, Adelphi, 1981, p. 234). [41] Cfr. Claudio Magris, Thomas Bernhard: La geometria della tenebra, Il Veltro , 11, n. 5-6, sett.-dic. 1977, pp. ***. [42] T. Bernhard, Ungenach (tr. it. di E. Bernardi), Torino, Einaudi, 1993.

VICINO A BERNHARD: W. G. SEBALD O IL RETICOLO IPNOTICO DEL ROMANZO di Massimo Bonifazio

La seria concentrazione con cui un orsetto lavatore sfrega ripetutamente un torsolo di mela nell'acqua di un ruscello, nel suo ambiente ricostruito in uno zoo di Antwerpen, un lavacro che va molto oltre ogni ragionevole scrupolosit, come se lavando in quel modo potesse sfuggire alla falsit del mondo in cui capitato in certa misura senza il suo intervento. Un'immagine vivida, malinconica, dai molti richiami come non pensare ad Heidegger? , metafora della memoria e della scrittura, della coazione a ripetere e delle ossessioni di cui soffrono i personaggi di W. G. Sebald e insieme a loro tutti gli uomini contemporanei. L'orsetto compare all'inizio di Austerlitz (Hanser 2001, pp. 424, in traduzione in Italia), un libro per cui difficile trovare definizioni efficaci. Come nei libri precedenti, Schwindel. Gefhle (1990), (Vertigini, non tradotto) Die Ausgewanderten (1994, Gli emigrati, Bompiani 1996, trad. it. di G. Rovagnati) e Die Ringe des Saturn (1996, Gli anelli di Saturno, Bompiani 1998, trad. it. di G. Rovagnati) davanti al lettore si delinea lo sforzo di fondere la finzione narrativa con la tensione documentaria, la notazione saggistica di vario genere con la riflessione etica sull uomo, sulla tragicit della storia, sull importanza della memoria. Sforzo riuscito peraltro benissimo, tanto da far evocare a molti il nome di Robert Musil; e riuscito soprattutto grazie ad una scrittura del tutto inusuale nel panorama contemporaneo. Nelle pagine spesso prive di paragrafi si succedono lunghissime frasi, che si incastonano l una nell altra, ricordando a tratti da vicino lo stile di Thomas Bernhard, ma recuperando anche la lezione di Adalbert Stifter. Ne nasce una prosa ipnotica, da cui facilissimo lasciarsi trascinare, sedurre e persino impressionare. Tutti i testi di Sebald sono scritti sotto il segno di Saturno, e dunque di una malinconia che fa da filtro ad ogni percezione della realt, fino alla paralisi fisica e psicologica persino del lettore. Sebald mette in scena se stesso proiettando i suoi tratti in quelli del narratore, uguale in tutti i libri: tedesco emigrato negli anni 60 in Inghilterra, dopo gli studi, per sfuggire alla rigidit e alla colpevole incapacit di confrontarsi con il passato della Germania, ora professore di letteratura tedesca a Norwich, bibliofilo, coltissimo. C dunque una sorta di vezzo intellettuale nel sottolineare continuamente la condizione di malinconico dopo Drer, chiunque abbia a che fare con i libri soggetto all atra bile; ma c anche una concezione della storia e della condizione umana che permeata di profondo pessimismo. Il narratore di Sebald prende il posto dell angelo di Walter Benjamin: voltandosi indietro, il suo sguardo cade sulla storia come cumulo di rovine. La storia infatti in questi libri travolgente processo distruttivo. Le tragedie del 900, soprattutto quelle tedesche, vengono riviste con gli occhi di chi le ha vissute o di chi ne scampato, come in alcuni racconti degli Emigrati, forse il pi bel libro di Sebald; oppure, come nel caso di Jacques Austerlitz, di chi cerca di ricomporre la propria identit ricostruendo la storia della propria origine. Nei suoi lunghi monologhi alla presenza del narratore, Austerlitz ripercorre la sua storia, a cominciare dall'infanzia passata in Galles nella casa del predicatore Elias. Nel collegio dove va a studiare gli viene rivelato il suo vero nome fino ad allora aveva creduto di chiamarsi Dafydd Elias; ma non trova nessuna indicazione sulla sua vera famiglia. Solo quarant'anni pi tardi, nel 1998, riesce a ritrovare la sua balia a Praga, che gli racconta la storia della sua famiglia, come prima dell'arrivo delle truppe tedesche egli sia stato caricato su di un treno verso l'Inghilterra, come il padre sia riuscito a fuggire a Parigi e la madre sia stata invece deportata a Theresienstadt, perch ebrea. C' una sorta di ossessione archiviaria in questi testi, anch'essa di ascendenza benjaminiana, dal Passagen-Werk: colui che raccoglie per collezionare attribuisce ai suoi oggetti un senso che al profano indecifrabile. A quel processo di declino che la storia, al mondo falso, Sebald sottrae appunto oggetti, testi e immagini, come quelle che sono disseminate nei suoi libri, per collocarle in un ordine nuovo, immettendole in una rete di allegorie dal senso inafferrabile, anche per lo stesso narratore. L'ombra delle coincidenze, che alludono ad un ordine sfuggevole e misterioso, sempre presente, fornendo unit e compattezza al narrato. Quasi ogni dettaglio descritto ne ricorda un altro, in ogni persona vi sono tratti che fanno pensare ad un'altra, in un continuo dj vu che richiama lo slancio ideale di Novalis verso l'unit organica del cosmo, rovesciandone per il senso: se l le connessioni rappresentavano l'apertura alla possibilit, qui diventano sinistro presagio di sventura. Spesso si tratta di coincidenze letterarie: l esperto di letteratura mette al centro dei suoi libri altri libri. Il reticolo intertestuale fittissimo, tanto da diventare l anima stessa di questi testi. Abbiamo gi citato Bernhard, autore di cui Sebald si occupato anche come critico. Si potrebbe dire che Sebald usa il tono elegiaco come Bernhard usa quello grottesco: in maniera volutamente esagerata, per ottenere un effetto di straniamento, una comprensione differente del mondo attraverso un linguaggio che parla da s. Sono decine gli autori citati da Sebald, in maniera esplicita o implicita; interi testi, quali Vertigini e Gli emigrati sono strutturati su motivi e immagini tratte da opere di altri autori, come Franz Kafka e Vladimir Nabokov. Sebald molto amato nei paesi anglosassoni, e non solo dal pubblico. Critici come Cynthia Ozyck e James Wood hanno gridato al miracolo nelle loro recensioni; Susan Sontag elenca Sebald fra i suoi talismanic writers, insieme ad autori come Borges e Barthes, e lo osanna sulle pagine del Times Literary Supplement, ponendo la sua scrittura nell'ambito di

quel sublime che sembrava scomparso dalla letteratura contemporanea. Insieme alla Sontag, Antonia S. Byatt e Tariq Ali hanno proposto Vertigo (traduzione inglese di Schwindel. Gefhle) come International Book of the Year nel 1999. Non cos nei paesi di lingua tedesca, dove Sebald non ha riscosso un grande successo, nonostante recensioni molto positive seppur prive delle grandiose lodi americane; non un caso, del resto, che il retro di copertina dell'edizione italiana degli Emigrati contenga solo citazioni di autori anglosassoni. Questa disparit di ricezione dipende forse da un certo scetticismo del pubblico di lingua tedesca per la grande arte, che puzza sempre di rievocazione nostalgica del passato seppure nella denuncia delle atrocit richiamando i miti del totalitarismo. Lo sguardo all'indietro di Sebald capace di cogliere, fra i frammenti delle rovine, immagini straordinarie come quella dell'orsetto, rilevandone una misteriosa valenza universale di cui non sa dare pienamente ragione e questo dona alla sua scrittura un'eccezionale modernit, impedendo al suo tono ottocentesco di finire nel Biedermeier. Ma d'altra parte, questo stesso sguardo a tratti troppo incrostato di letteratura, troppo concentrato sul particolare e sul singolo, per dare una visione davvero lucida della storia. DA: Alias - Supplemento culturale de "il manifesto" - sabato 27 ottobre

THOMAS BERNHARD -- BIBLIOGRAFIA ITALIANA ( anno originale di pubbl. tra parentesi)

1. Gelo (1963) 371 pagine | Einaudi | 2008 ~Un chirurgo affida a un suo studente un'insolita missione: dovr studiare segretamente il comportamento di suo fratello, un anziano pittore che si isolato dal mondo ritirandosi a Weng, un paesino d'alta montagna, buio e malinconico. Durante lunghe passeggiate attraverso un paesaggio pietrificato dal gelo, bellissimo e terribile, lo studente si smarrisce ben presto nel labirinto ossessivo dei monologhi del pittore in cui verit lancinanti sembrano brillare al di l della fitta trama di allucinazioni, manie, congetture filosofiche, deliri persecutori e memorie autobiografiche. Il romanzo il progressivo coinvolgimento dello studente e del lettore nella visionaria psicosi del pittore e nella vita quotidiana del villaggio, i cui abitanti sono esemplari di una umanit priva di ogni possibile luce di redenzione. "Ho riletto 'Gelo' dopo parecchi anni. Con pi attenzione della prima volta, fermandomi spesso a pensare a Weng, il paese di montagna pi cupo che si possa immaginare, e ai suoi abitatori, la moglie dell'oste che gestisce quella locanda fredda e fuori mano, lo scuoiatore che fa anche il becchino, l'ingegnere che dirige i lavori della centrale elettrica in costruzione, e naturalmente Strauch, che riempie con i suoi infiniti discorsi, quasi un monologo ininterrotto, le fitte pagine del romanzo, l'esordio stupefacente di quel Thomas Bernhard che oggi tutti considerano una delle vette della narrativa contemporanea. Il documento di un divenir-folli? Non solo e non semplicemente, anche se la parola follia gi di per s dice tutto, e Bernhard comincia qui a darle una fisionomia speciale, che fa esplodere la cosa (chiamiamola cos) in mille frammenti, tutte le tonalit del nero e insieme tutti i colori della realt. Una preparazione alla morte? Ma in quella landa mortificata dai brividi del freddo c' vita, e Strauch il pi vivo di tutti." (Dalla prefazione di Pier Aldo Rovatti - vedi incipit a pag.4)

2. Amras (1964) 146 pagine | SE | 2005 ~Segregati in una torre - al tempo stesso eremo mistico e simbolo della loro tradizione familiare - due fratelli vivono un tempo sospeso e dilazionato, dopo il suicidio dei genitori, cercando un impossibile approccio all'Assoluto. In questo bruciante racconto della maturit, Thomas Bernhard ha condensato con sapienza narrativa i motivi e i temi cardine del suo intero universo poetico. Quei suoni che provengono dalla strada, le figure ancora intraviste dalle tende tirate nell'incombente buio della sera, i libri di poesia ancora compulsati, i noti oggetti e volti quotidiani, percepiti in un istante che si avverte come estremo: tutto questo evocato con un amore segreto e umanissimo, che restituisce alla vita tutta la sua aura sacrale.

3. Perturbamento (1967) 239 pagine | Adelphi | 1995

Un medico condotto della Stiria, accompagnato dal figlio, fa un giro di visite: insieme a loro, dalla prima frase fin oltre l'ultima, siamo presi in un 'Perturbamento' che avvolge tutto come uno scirocco metafisico. Una vibrazione di malattia e di tristezza emana dalla psiche e dalla natura. La campagna, qui, il luogo prediletto della brutalit: dal caldo opprimente dei fienili, dove i bmbini hanno paura di morire soffocati, al gelo segregato di un castello, a picco su una gola ostile alla luce: ovunque si percepisce un invito alla distruzione, un incoraggiamento all'ansia suicida. Le porte si aprono ogni volta su qualcosa di atroce: la moglie di un oste malmenata a morte, senza ragione, dagli avventori del locale; una vecchia maestra in agonia, con "il sorriso delle donne che si destano dal sonno sapendo di non avere pi speranza"; una fila di uccelli esotici strangolati, perch i loro lamenti sono assordanti. In uno stile asciutto, protocollare, Bernhard elenca i relitti del dolore, finch la scansione inflessibile, martellante dei fatti lascia il posto all'immane delirio dell'ultimo infermo: il principe Saurau, raggelato da un eccesso di lucidit, scosso da un continuo frastuono nella testa, abbandonato ormai a una ""micidiale tendenza al soliloquio"". Nelle sue parole incessanti confluiscono e si dilatano i frammenti dell'orrore che gi abbiamo traversato. Ma qui essi vengono scalzati dalla loro fissit e presi in un vortice, il moto perpetuo del 'perturbamento'. Bernhard ci conduce in un terribile viaggio nella solitudine e nella malattia: il solipsista industriale alla ricerca dell ispirazione filosofica, immerso in un ermetica misantropia dalla quale non esclude per la sorella, che costretta quindi a vivere il dramma con lui, e che porter entrambi alla rovina; l artista ragazzo che in preda alla follia scarabocchia i ritratti dei grandi della musica classica, quando non legato al letto dalla madre e dai parenti a causa delle convulsioni; la signora Ebenhoh, straziata da una malattia mortale in completa solitudine alleviata di tanto in tanto da qualche libro (La principessa di Cleves) e da Schubert; il maestro costretto alla solitudine da un malinteso su un presunto crimine e condotto alla follia e alla malattia nel pi miserevole disonore: tutti queste variazioni sul tema della solitudine e della malattia, nonch della sofferenza, sono uno stampo, un formante plastico per i personaggi che popoleranno i lavori seguenti di Bernhard e sfociano nella gi citata figura del principe Sarau che li riassume tutti e li trascina in un vortice, causando un perturbamento, per l appunto. [Andrea Gussago]

4. L'italiano (1971) 64 pagine | Guanda | 1981 ~I tre racconti presentati qui fotografano dunque l'unica follia senza scampo, quella della razionalit. "L'italiano", crudele indagine dietro le quinte di un funerale di campagna, oppone forestieri a forestieri; "Kulterer" rivela, in modo non dissimile, l'alienazione di un carcerato che non ha pi carcere; "Al limite boschivo", vertiginosa allegoria, dichiara addirittura la reciproca vacuit della vita e della morte, che appaiono entrambe ridotte, in questo 'giallo' di montagna, a connotazioni casuali. E importante per intendere che non si tratta mai di invettiva, o di denuncia a carico della diserzione di Dio. Di pura cronaca, invece. Dove i fatti sono sempre operati dagli altri, e dove il cronista non sappiamo neppure se ci sia veramente.

5. L'ORIGINE. UN ACCENNO (1975) 130 pagine | Adelphi | 1982 ~In questo volume della sua biografia, Bernhard ha voluto subito raccontare un periodo della sua vita a cui risale il manifestarsi di una lesione insanabile in lui: i mesi passati durante la guerra nel Convitto nazionalsocialista di Salisburgo, fra macerie e angherie, e i mesi passati nello stesso collegio, ora chiamato Johanneum, e retto da sacerdoti cattolici, sempre fra angherie, all'inizio di una ottusa pace. Nell'intima compenetrazione salesburghese fra nazismo e cattolicit, nella vocazione della citt al suicidio (una delle pi alte percentuali europee) e all'Arte Universale, nella scuola come offesa permanente, nella capacit locale di cancellare la memoria e sovrapporre una nobile decorazione a un fondo putrido, Bernhard riconosce una costellazione atroce e beffarda alla quale da sempre ha tentato di sottrarsi: e qui la presenta e la ripercorre in pagine ossessive, implacate. Il piccolo Thomas Bernhard, al Convitto nazionalsocialista, suonava il violino nella "stanza delle scarpe", "piena zeppa di centinaia di scarpe dei suoi compagni intrise di sudore, accatastate su scaffali di legno marcio". Suonare il violino era per lui una preparazione al suicidio - e un modo di sfuggire al suicidio, concentrandosi nell'atto del suonare. Anni dopo sar lo scrivere stesso, per Bernhard, una metodica esplorazione dell'orrore - e insieme l'unica mossa efficace per sfuggirgli.

6. LA CANTINA. UNA VIA DI SCAMPO (1976) 128 pagine | Adelphi | 1984

~Per abbandonare veramente il ginnasio di Salisburgo gi descritto ne "L'origine", con la sua nefasta mistura di nazismo e piet cattolica, il giovane Bernhard doveva scegliere qualcosa che fosse anzitutto, e in tutti i sensi, "nella direzione opposta", il punto pi lontano possibile nella direzione opposta. Perci abbandonare il centro di Salisburgo, dove le persone stesse sono "arte decorativa", e finire nel quartiere pi malfamato e pi sordido della citt, i cui abitanti vengono spesso chiamati "feccia dell'umanit". E in quel quartiere fermarsi nel negozio dell'amabile signor Podlaha: una cantina adibita a spaccio di alimentari, sempre piena di clienti, di movimento, di cose da fare. Quel luogo, al centro dell'"anticamera dell'inferno", ha per qualcosa di oscuramente attraente: i clienti vi entrano anche senza ragione, trafficano con i bollini delle tessere annotarie, parlano della guerra e delle storie per lo pi atroci che li riguardano, bevendo rum dalla bottiglia che hanno con s. L'apprendista Bernhard li ascolta con attenzione vorace, attraverso di loro entra in molte vite, in molte case, spesso portando pesanti borse della spesa e chiaccherando nella lingua cruda e netta del luogo. Impara "a vivere in compagnia di molte persone fra loro diversissime", il suo dono di intenso osservatore si acuisce. Per lui tutto questo equivale, anche se ancora forse non lo sa, a una prima sortita in quello che sar il suo territorio di scrittore: da quel quartiere che la "macchia di sporcizia" nella nobile citt di Salisburgo, e dall'umida cantina che il suo centro segreto, si propaga una moltitudine di voci disparate, disadorne, stridenti, che Bernhard amorosamente raccoglier nella sua prosa angolosa, martellante, obbedendo alla sua vocazione di "disturbatore della pubblica quiete". Cos egli ha potuto scrivere che il periodo di apprendistato nel negozio di alimentari stato il "pi importante" della sua vita.

7. IL RESPIRO. UNA DECISIONE (1978) Libro | 126 pagine | Adelphi | 1989 ~Fra monache impazienti che i malati esalino l'ultimo respiro e cappellani ansiosi d'impartire l'estrema unzione, il diciottenne Bernhard, malato di pleurite, si trova in punto di morte nel reparto degli agonizzanti (il trapassatoio) in un ospedale di Salisburgo, unico giovane in mezzo a vecchi decrepiti che attorno a lui, uno dopo l'altro, cessano di respirare. in quel luogo di orrori e in quel momento estremo che il ragazzo decide di vivere e inizia un difficile processo di guarigione, nonostante l'improvvisa morte del nonno, unico essere da lui amato al mondo, utopista e bonario despota che soleva ripetere al nipote: " il corpo che obbedisce allo spirito e non viceversa". Ma anche lo spirito che s'inventa le malattie: poich "il malato un veggente", esse sono indispensabili all'artista e soprattutto allo scrittore per affinarne intelletto e sentimenti. Nel "Respiro", parte dell'autobiografia, Bernhard ha ormai concluso il primo ciclo dei grandi romanzi della follia e dell'autodistruzione. Anche la prosa scorre qui quasi piana e discorsiva, rinunciando ai monumentali grovigli sintattici delle opere precedenti. Pur restando sempre ossessiva, ricca di impennate e di pathos. Fedele e scorrevole la bella traduzione di Anna Ruchat.

8. Ja (S) (1978) 103 pagine | Guanda | 2003 ~In un sonnolento villaggio austriaco, uno studioso di scienze naturali che vive da tempo in totale isolamento decide di confessare la propria "infermit psicoaffettiva" e di "rovesciar fuori" la parte interiore di s. Con questa intenzione si reca a casa dell'amico Moritz, un agente immobiliare che, al contrario, vive a contatto quotidiano con gli altri. Proprio quando lo scienziato entra nel vivo delle sue confidenze, compare una coppia di clienti dell'amico: lui un costruttore svizzero, lei persiana. Fin dal primo istante la donna affascina l'intellettuale, che scopre in lei una degna compagna di passeggiate, conversazioni e disquisizioni filosofiche. A poco a poco la narrazione del loro incontro, condotta con straordinarie doti affabulatorie dallo scienziato, viene scoprendo un mondo di solitudini in cui l'atto esistenziale di maggior senso quello della confessione. Ma non sempre l'autosvelamento produce un beneficio. Lo scienziato ne trae vantaggio: l'incontro con la donna lo rende di nuovo "avido di vita", e lo allontana dall'idea accarezzata del suicidio. Alla persiana non accade la stessa cosa: in fondo al suo tentativo di confessarsi c' ben altra e pi profonda solitudine. Il cui senso racchiuso tutto nel suo 'ja', nel suo estremo, definitivo 's'.

9. I mangia a poco (1980) 118 pagine | Adelphi | 2000 ~Da una parte un uomo di pensiero che cerca caparbiamente, e invano, di riversare in un libro (un audacissimo trattato di fisiognomica) sedici anni di furiose riflessioni; dall'altra quattro personaggi dalle vicende ordinarie, legati fra

loro solo dall'abitudine di pranzare insieme alla CPV (la Cucina Pubblica Viennese) scegliendo puntualmente il men pi economico. Fra questi due poli, come fra due diversi volti di un'unica entit che la mania stessa - motore immobile dell'esistenza, cintura di salvataggio nel tentativo di sopravvivere - si intesse "I mangia a poco". Anche qui, come spesso in Bernhard, sar lecito domandarsi se ci si trova in mezzo a una tragedia o a una commedia. Ci che domina comunque un'indagine maniacale - e spesso esilarante - della mania, a ogni suo livello, dall'infimo al supremo, vista come ultimo, disperato relitto di un grandioso tentativo di imporre un senso all'esistenza: un'esistenza mutilata, cos come mutilato il protagonista Koller, cui il morso di un cane ha inflitto una ben remunerata invalidit. E tutto questo perch l'uomo in balia del caso, proprio come Koller, che un fatidico giorno - fausto ed insieme infausto - in un parco viennese, anzich andare automaticamente e come sempre verso il vecchio frassino, va verso la vecchia quercia, ribaltando cos la sua esistenza e arrivando nel contempo al centro del proprio 'filosofismo'. 10. IL FREDDO. UNA SEGREGAZIONE (1981) 122 pagine | Adelphi | 1991 ~Il freddo racconta il periodo passato da Thomas Bernhard, fra i diciotto e i diciannove anni, nel sanatorio pubblico di Grafenhof. Ed la storia di un'altra lotta durissima per la sopravvivenza, dove la malattia che assale il giovane Bernhard al tempo stesso una malattia terribilmente fisica - legata a una specifica persecutoriet ambientale e sociale - e una malattia dell'anima, come gi indica l'epigrafe di Novalis, che la chiave del libro: "Ogni malattia pu essere definita malattia dell'anima". In questa vicenda di un "inabissarsi" in una "comunit della morte", per poi riemergerne quando tutto sembra perduto, arricchito dalla scoperta che "la via dell'assurdo la sola praticabile", e quasi salvato dalla musica (a cui allora contava di dedicarsi), Bernhard ci offre il penultimo, possente pannello della sua autobiografia, impresa solitaria e altissima della letteratura del nostro tempo.

11. UN BAMBINO (1982) 148 pagine | Adelphi | 1994 ~Bernhard scrisse per ultima questa parte dell'autobiografia che racconta i suoi primi anni, fino all'entrata nel collegio di Salisburgo. Ed come se, tornando alle radici di angosce e orrori, egli raggiungesse uno stato di euforia, di leggerezza, di primordiale scoperta, altre volte celato o piegato alla lotta feroce con il mondo circostante. Qui tutto comincia con un bambino di otto anni che si getta in una sfrenata spedizione in bicicletta. "Sarebbe stato del tutto contrario alla mia natura scendere dalla bicicletta dopo qualche giro; come tutte le imprese che iniziavo, anche questa la spingevo fino all'estremo". In questo bambino che si lancia in bicicletta 'fino all'estremo' c' gi tutto Bernhard. Ma in una versione pi ariosa, di elementare felicit. Aspetto che ritroveremo anche nei ritratti mirabilmente nitidi del nonno, della madre e degli amici d'infanzia. Tutte le torture che il mondo tiene in serbo gi si intravedono, si presagiscono o irrompono sulla scena (siamo negli anni del nazismo e della guerra) - ma anche, con grande naturalezza, l'irresistibile meraviglia del bambino davanti a una tazza di cioccolata calda, quando i nonni lo portano con loro nel vasto mondo, a pochi chilometri da casa.

12. Cemento (1982) 153 pagine | SE | 2004 ~Per scrivere il suo studio su Mendelssohn Bartholdy, il narratore, Rudolf, ha bisogno di essere a casa propria, in campagna. Ha dunque atteso con impazienza la partenza della sorella, venuta a trascorrere qualche giorno con lui. Ma non era stato forse lui a invitarla, proprio perch non riusciva a mettersi al lavoro? Cos, dopo la sua partenza, Rudolf non riesce ugualmente a scrivere. Avverte dovunque la presenza invadente di lei, sente il suo discorso protettivo, ironico, provocatorio... Rudolf penser di sfuggirle intraprendendo un viaggio. Ma il suo soggiorno a Palma non far che rianimare in lui il ricordo di un dramma di cui stato testimone anni prima: un suicidio, un fatto di cronaca di desolante banalit.

13. Il nipote di Wittgenstein. Un'amicizia (1982) Libro | 132 pagine | Adelphi | 1989

~Paul Wittgenstein, nipote del filosofo "il cui 'Tractatus logico-Philosophicus' ben noto in tutto il mondo scientifico e pi ancora in tutto il mondo pseudoscientifico", fu per lunghi anni amico di Thomas Bernhard. Uomo sensibilissimo, inadatto al mondo, nutrito da una passione "esclusiva e spietata" per la musica, ma anche per l'automobilismo, dissip con furia la sua fortuna sino a ridursi "per la maggior parte della sua vita" all'indigenza. "Partorito 'come un malato mentale'", convisse con questa malattia "fino alla morte con la massima naturalezza, cos come gli altri vivono 'senza' una simile malattia mentale". Usava dire a Bernhard: "Duecento amici verranno al mio funerale e tu dovrai tenere un discorso sulla mia tomba". Quando Paul Wittgenstein mor, solo otto o nove persone andarono al suo funerale. In quel momento, Bernhard era a Creta. Ma, in certo modo, questo libro ha preso il posto di quel discorso che non venne mai pronunciato. Bernhard vi ha disegnato un ritratto delicato e terribile, spesso increspato da una selvaggia comicit. E insieme ha ritratto se stesso, come in un ulteriore frammento della sua autobiografia, sullo sfondo della Vienna inconsistente e ciarliera dei nostri anni. Agli estremi opposti dell'inermit e della forza, sussiste infatti una corrispondenza fra il narratore Bernhard e il suo amico, per lo meno nella "insana ferocia" nei confronti di se stessi "e di tutto". Corrispondenza che qui Bernhard spinge, come sempre, alle ultime conseguenze: "L'unica differenza tra Paul e me che Paul si lasciato 'completamente' dominare dalla sua pazzia, si calato, se cos si pu dire, nella sua pazzia e io invece no, io non mi sono mai lasciato dominare completamente dalla mia pazzia..."

14. Il soccombente (1983) 186 pagine | Adelphi | 1999 ~A un corso di Horowitz, a Salisburgo, si incontrano tre giovani pianisti. Due sono brillanti, promettenti. Ma il terzo Glenn Gould: qualcuno che non brilla, non promette, perch ''. Una magistrale variazione romanzesca sul tema della grazia e dell'invidia, di Mozart e Salieri, ma ancor pi sul tema terribile del 'non riuscire a essere'. Thomas Bernhard non si smentisce: padrone assoluto dei suoi mezzi espressivi, egli garantisce sempre un elevato livello letterario. E tuttavia corre da un po' di tempo il rischio di diventare epigono di se stesso. Il soccombente arricchisce il repertorio dei suoi personaggi votati a un inarrestabile processo di autodistruzione di una variante originale, grazie soprattutto a un elemento "documentario" appartenente alla recente storia musicale. Oltre a discorso funebre per un artista fallito, questo romanzo assurge anche a monumento celebrativo di un musicista incomparabile come Glenn Gould. L'incontro con lui durante un corso di Horowitz a Salisburgo nel lontano 1953, sar infatti per il giovane pianista Wertheimer un "colpo mortale", come dice il narratore, pianista anche lui e anello di congiunzione di questa costellazione fatale. Wertheimer, dopo aver sentito suonare da Gould le "Variazioni Goldberg" di Bach sentir per sempre l'incubo di questo modello. Dopo una lotta estenuante nel tentativo di eguagliarlo egli abbandona la carriera di pianista consumando il resto della sua vita in studi filosofici infruttuosi e nell'esercizio di un tirannico dominio sulla sorella. Quando ella riuscir a sottrarglisi attraverso il matrimonio Wertheimer perder definitivamente il suo equilibrio interiore. Non meno fulminato di Wertheimer dall'esperienza musicale fatta con Glenn Gould, l'io narrante. Ma egli si sottrae al ruolo del pi debole, destinato alla sconfitta. Il suo processo di ricostruzione della lenta autodistruzione dell'amico non tuttavia condotto con la forza chiarificatrice dell'analisi psicologica. Quei pochi elementi ai quali egli riconduce la sua tragedia interiore entrano a far parte di un sapiente ed ossessivo gioco di variazione e ripetizione che attira il lettore in un vortice di cupa necessit. Del resto tutti i tre personaggi del romanzo hanno accettato la scommessa romantica sull'arte: la sua esigenza di assolutezza si rivela distruttiva per tutti i tre. Glenn Gould appare vittima di un bisogno di perfezione quasi disumana mentre sia Wertheimer che il narratore appaiono transfughi decaduti di una borghesia che porta in se stessa i germi della sua disgregazione. [A.Reininger]

15. A colpi d'ascia. Un'irritazione (1984) 222 pagine | Adelphi | 1990 ~Siamo a Vienna, negli Anni Ottanta. La sera c' stata una rappresentazione dell'Anitra selvatica di Ibsen al Burgtheater. Segue una "cena artistica" a casa della coppia Auersberger, che il narratore non vede da vent'anni: lei cantante, lui "compositore nella scia di Webern", entrambi "signorilmente consunti". Tutto il romanzo il resoconto di ci che il narratore vede e ascolta, seduto nella sua poltrona in anticamera con una coppa di champagne in mano, e poi, seduto a tavola, durante questa serata: implacabile, ferocemente comico, inesauribile nelle variazioni e nei ritorni sul tema, Bernhard devasta con l'ascia della sua prosa il mondo della pretenziosit e dell'inconsistenza intellettuale, che non corrisponde solo a una certa scena viennese ma a ci che circonda noi tutti. La "cena artistica" diventa cos il condensato di tutte le "atrocit" da cui il narratore riuscito a "mettersi in salvo" durante la sua vita, come se quell'incessante chiacchiericcio tentasse di impaniarlo di nuovo, ma con l'unico risultato di provocare un furioso

desiderio di fuga, una corsa cieca, che finisce per coincidere con la scrittura martellante di 'questo' libro, che trafigge l'atrocit con la forma. E questa appunto stata sempre l'arte di Bernhard.

16. Antichi maestri-Commedia (1985) 198 pagine | Adelphi | 1992 ~Ogni due giorni, un vecchio signore si siede nella Sala Bordone della Pinacoteca di Vienna e guarda un celebre quadro di Tintoretto. Quell'uomo ha molto del genio, in un Paese che non tollera i geni ("Il genio e l'Austria non sono compatibili" leggeremo qui). Che cosa cerca? Qualcosa che non indovineremmo mai e che solo in un romanzo di Bernhard pu diventare tema centrale: cerca i difetti dei capolavori ("Il tutto e il perfetto non li sopportiamo"). Quel vecchio signore, che conosce l'arte come nessuno - e ne trasmette i segreti a un guardiano del museo, devoto fino all'identificazione -, sa anche vedere la minaccia che si nasconde nell'arte, nella pretesa oppressiva del capolavoro. Nulla pi rischioso che osservare 'a fondo' un capolavoro. Tanto maggiore la gravit dello sguardo, tanto pi squassante il riso convulso che ci coglier mentre continuiamo a ripeterci certe celebrate parole, come se dietro il significato pi alto si spalancasse ancora un vortice di insensatezza. Questa la 'donne' di "Antichi Maestri", uno dei romanzi ultimi di Thomas Bernhard ( apparso nel 1985), e anche uno dei libri dove egli si spinto pi in l, in una vera terra di nessuno fra l'arte e la vita, una terra abitata dalla lucidit, dalla disperazione, dal lutto per un amore perduto. Come in una confessione testamentaria, Bernhard parla non solo di ci che la pittura - e la musica, la letteratura e la filosofia - sono, ma di ci che non possono essere, non potranno mai essere: di quel punto in cui l'arte viene meno. Temi azzardati, ai quali il genio di Bernhard sa dare una prodigiosa immediatezza. Non solo: variando su di essi, egli riesce a inscenare, con verve sinistra e al tempo stesso liberatoria, quella che egli definisce, nel sottotitolo, una "commedia". 17. Estinzione. Uno sfacelo (1986) 494 pagine | Adelphi | 1996 ~Ultimo tra i romanzi di Thomas Bernhard, "Estinzione" anche quello dal respiro pi vasto, dove l'orchestrazione sottile e ossessiva della sua prosa raggiunge l'esito supremo. Come se Bernhard avesse voluto riprendere, 'una volta per sempre', tutto ci che aveva oscuramente nutrito la sua "arte dell'esagerazione". E gi nel titolo si pu avvertire tale furia liquidatoria. Dalla lontana specola di una Roma solare e felice, dove si rifugiato per sottrarsi alla persecuzione, alla soffocazione familiare, il narratore getta uno sguardo esacerbato sulla tetra Wolfsegg, feudo avito nell'Austria superiore toccatogli in eredit in seguito all'improvvisa morte dei genitori e del fratello. "Roccaforte dell'ottusit", Wolfsegg il luogo geometrico di quel "complesso dell'origine" che marchia a fuoco l'esistenza del protagonista. Stupidit del padre, incultura, ipocrisia della madre, supino opportunismo del fratello, beffardo disprezzo da parte delle sorelle, insofferenza per ci che porta il segno dello spirito. Inoltre: complicit della famiglia con le SS, prima e dopo il Terzo Reich, in un inestricabile intreccio di risentimenti, di cattolicesimo bigotto e fanatico nazionalsocialismo: tutto questo significa l'origine. Come possibile farne defluire il veleno? Anche il pi drastico rifiuto finisce per innalzare fortezze e pinnacoli di parole che aspirano a sostituirsi, in una sorta di annientamento verbale, alla realt dominante: "Perch il mio resoconto l solo per estinguere ci che in esso viene descritto, per estinguere tutto ci che intendo con Wolfsegg, e tutto ci che Wolfsegg , tutto". Ma "Estinzione" non sarebbe la meraviglia che se non lo percorresse da cima a fondo quel gusto teatrale per il continuo rovesciamento ironico anche del gesto o della frase in apparenza pi radicali e inappellabili. [un'altra scheda]>> L'estinzione, di Thomas Bernhard Vi sono titoli che suonano come un congedo dal mondo. forse per questo che Thomas Bernhard ha lasciato il manoscritto di "Estinzione" per qualche tempo nel cassetto, prima di pubblicarlo nel 1986, quando il suo paese eleggeva, tra lacerazioni e polemiche, Kurt Waldheim a presidente della Repubblica, scoprendone contemporaneamente il passato di ufficiale nei ranghi della Wehrmacht. Tre anni dopo Bernhard moriva al termine di una lunga e dolorosa malattia, che risaliva alla tubercolosi della giovinezza. Sebbene non sia il suo ultimo romanzo dal punto di vista della stesura (lo "A colpi d'ascia", Adelphi, 1990), Estinzione cos l'ultimo romanzo pubblicato in vita dall'autore, e anche per questa ragione stato letto come una sorta di suo estremo testamento poetico (su cui gi esiste un'ampia letteratura, per la quale si rimanda a un bel volume curato da Hans Hller e Irene Heidelberg-Leonard: "Antiautobiographie. Thomas Bernhards "Auslschung"", Suhrkamp). Il protagonista e narratore di Estinzione apprende da un telegramma la notizia della morte dei propri genitori e del fratello maggiore. Inaspettatamente Franz Josef Murau, che conduce a Roma una forma di esistenza artisticofilosofica, si ritrova cos a essere l'erede di un immenso patrimonio, concentrato in un castello dell'Austria Superiore, a Wolfsegg. La famiglia, la patria, le origini, dalle quali ha sempre cercato di sfuggire, lo risucchiano in una spirale senza

fine di meditazioni e ricordi. Per oltre trecento pagine le riflessioni di Murau muovono da tre fotografie che ritraggono i suoi familiari. In queste pagine non accade pressoch nulla: il narratore si sposta dalla scrivania alla finestra, guarda le fotografie e le dispone in sempre nuove combinazioni. Si tratta, sul piano della tecnica narrativa, di uno straordinario pezzo di bravura. Non per un virtuosismo fine a se stesso. La coscienza si confronta qui con le immagini (falsificate) del mondo: un'eco, forse, di "Immagine e coscienza" di Jean-Paul Sartre. Nella "Camera chiara" (dedicato appunto a questo libro di Sartre), Roland Barthes aveva del resto scritto che "in ogni foto c' quella cosa vagamente spaventosa che il ritorno del morto". Un'affermazione che sembra calzare perfettamente per la situazione narrativa di Estinzione: attraverso le foto il passato ritorna nella coscienza del protagonista. Anche questo romanzo di Bernhard si presenta dunque - come gi "Correzione" (Einaudi, 1995) o "Il Soccombente" (Adelphi, 1987) - come un processo di "elaborazione del lutto", condotto in una forma radicale. Ma al posto di un narratore che riflette sulla morte di una figura a lui speculare o affine, vi questa volta un personaggio che medita sulla propria condizione di figlio e di erede. Il lutto investe dunque i rapporti familiari e la critica non potrebbe essere pi dura. Murau ritrae suo padre come un opportunista compromesso col nazismo, prigioniero di un'ottusa mentalit burocratica; il fratello maggiore come un uomo precocemente inaridito, condannato a seguire le orme del padre, con il solo estro delle macchine da corsa. Ma gli strali pi feroci si appuntano sulla madre, quintessenza dell'incultura, del mondo dell'utile e del denaro, interessata alla sola mondanit, amante di un alto prelato romano. Sono loro, i genitori e il fratello, a rendere Wolfsegg, che pure - si dice - immersa in uno dei paesaggi pi belli dell'Austria, un inferno per il giovane Murau. Per il narratore Wolfsegg rappresenta dunque il mondo angusto e asfittico delle convenzioni, dell'utile, della burocrazia, il luogo in cui la storia del Novecento (e mai come in questo romanzo la storia dell'Austria cos presente in Bernhard) ha minacciato di schiacciare inesorabilmente l'Io. O almeno una parte di Wolfsegg, giacch Murau sembra distinguere tra esperienze dolorose e ricordi positivi. Decisiva, in questo senso, appare la figura dello zio Georg, che inizia il nipote all'arte e alla letteratura, indicandogli con il proprio esempio un modello alternativo di comportamento rispetto all'ottusit dei genitori. Nel romanzo di Bernhard, infatti, a Wolfsegg si contrappone l'esistenza libera di Murau a Roma. Nella citt italiana Murau stringe intorno a s rapporti affettivi che sembrano specularmente contrapporsi alla costellazione familiare. La genealogia patriarcale qui sostituita da una sorta di antifamiglia liberamente scelta. Al posto della madre troviamo ad esempio la poetessa Maria, in cui palesemente rivive la figura (e il mito) di Ingeborg Bachmann. Ma il rapporto pi significativo tra le amicizie romane di Murau quello con l'allievo Gambetti, a cui il narratore insegna il tedesco. C', insomma, qualcosa di utopico in "Estinzione", sottolineato dal finale, in cui l'intera propriet di Wolfsegg viene donata alla comunit israelitica di Vienna. Un'utopia, ad ogni modo, radicale e distruttiva, che annienta lo stesso protagonista e che comunque soverchiata dal risentimento e dall'odio verso il luogo delle origini. Bernhard, tuttavia, non sarebbe Bernhard se questa critica, cos accanita e incalzante, non si trasformasse in un ritmo vertiginoso di parole dal respiro musicale (magnificamente reso da Andreina Lavagetto), in un'aria cantabile, la cui leggerezza contrasta con il carattere greve e cupo delle affermazioni; ed lo stesso ritmo, il meccanismo inesorabile, spiraliforme, delle iperboli e dei superlativi, a conferire alla narrazione l'inconfondibile "vis comica" propria dei testi dell'autore. L'esagerazione sfocia nel grottesco, la tragedia lascia il posto alla commedia. E spesso nel testo si ode una lunga risata liberatoria. "Tutto ridicolo, di fronte alla morte", aveva scritto Bernhard, e pochi altri autori del nostro tempo hanno mostrato quanto siano labili i confini che separano il tragico dal comico. [L.Reitani]

18. Correzione Einaudi, 1995 ~L'austriaco Roithamer, docente a Cambridge, in anni di febbrili progetti, costruisce per la sorella, l'unica persona da lui amata, un'abitazione a forma di cono in mezzo a un bosco. La risposta al regalo la morte, il cono (rifugio, mausoleo, simbolo fallico, centro geometrico perfetto dell'esistenza e del pensiero) destinato a scomparire risucchiato da una lussureggiante natura, eterna nemica. Tipica figura maniacale di Bernhard, Roithamer corregge all'infinito il suo progetto, lo corregge fino all'estrema autocorrezione: il suicidio. "Correzione" si dibatte tra amore e disprezzo, umanit e degrado, ipocrisia e violenza, malattia e morte in un crescendo che porta la follia alle soglie estreme di un'assoluta lucidit. 19. Eventi L'opera costituisce una tappa essenziale dell'itinerario poetico di Thomas Bernhard, all'interno del quale il lettore riconoscer alcune costanti della sua opera: l'alienazione dell'individuo in una natura e in una societ a lui estranee, la desolazione della provincia, la morte o la pazzia in fondo al vicolo cieco dell'esistenza. Con un saggio di Luigi Reitani.

POESIE et al.

20. In hora mortis 128 pagine | SE | 2002 --Poesie. Prima di affermarsi come prosatore e drammaturgo, Thomas Bernhard esord in qualit di poeta, pubblicando cinque volumi in versi strettamente legati a un bisogno giovanile e autobiografico di sublimazione psicologica e fortemente connessi al clima della lirica austriaca degli anni cinquanta. In hora mortis il suo secondo libro di poesia, dato alle stampe per la prima volta nel 1958 e in seguito riproposto dallo stesso autore, nonostante avesse ormai trovato nella narrativa e nel teatro i generi pi adeguati alla piena manifestazione del suo talento. Relegati come fase preliminare dell attivit letteraria di Berhard, i suoi versi meritano tuttavia un attenta lettura per la loro forza espressiva, la componente musicale, l espressionismo formale e visivo che, sebbene rientrino spesso in stilemi tradizionali probabile testimonianza di una fase di ricerca mantengono tuttavia la loro originalit e rivelano gi i primi segni del genio. In hora mortis si rif alla tradizione degli Sterbebchlein, quella letteratura religiosa rivolta a insegnare l ars morendi [ ] che spiega Luigi Reitani nel breve e accuratissimo saggio conclusivo diffusa in tutta Europa fin dal tardo medioevo, aveva trovato il suo apice nel mistico francese Johannes Gerson (1363-1429). Gli Sterbebchlein avevano il compito di preparare spiritualmente l uomo, con raccoglimento e preghiera, al momento della morte, ossia all incontro con Dio, apice dell esperienza dell anima. Questa preparazione si svolgeva secondo quattro gradini, trattati nelle quattro parti in cui i testi erano suddivisi exortationes, interrogationes, orationes e observationes e fondamentali per comprendere la struttura quadripartita del poemetto di Bernhard. Nella prima sezione l invocazione incessante di Dio costante dell intera opera, tanto da darle un impianto salmodiale si unisce all espressione bruciante e incontenibile del proprio dolore, fiore costantemente nutrito da un malessere esistenziale che sboccia nell ira che nel cielo affonda. Il tormento personale si carica delle pene del mondo e dello stesso Dio, al quale sembra stringerlo un rapporto ambivalente di amore, identificazione e rabbia. L impotenza alla quale si sente abbandonato (come l albero nell inverno / che mi travolge nel silenzio / mio verbo mia felicit mio pianto) lo lascia disorientato nella pi completa solitudine, alla merc degli uccelli / del battito dell orologio crepitante, agli albori di una notte immensa che presto lo travolger. La seconda sezione approfondisce, nell apprestarsi dell hora, il processo di disintegrazione totale dell io lirico in Dio: invoca il proprio annientamento perch Egli non lo abbandoni, perch solo allora la Sua voce pu diventare la propria. La morte attesa come liberazione e allo stesso tempo come paura e preghiera. Nella terza sezione il poeta sembra aver ormai raggiunto uno spazio fuori dal tempo, lontano dalla necessit dei sogni, l dove necessario che resti sveglio per guardare in faccia la propria morte, ormai accettata e assunta come la soluzione finale del proprio essere in Dio. L ultima parte lontana da ogni angoscia e pu risolversi nella lode di quel Signore che lo accompagner per quanto duri il tempo, lontano da un mondo che vuole dimenticare e dal quale vuole essere dimenticato. Eppure l ultima sequenza si chiude con un esclamazione di strazio reiterata, nel segno di un dolore incancellabile, annunciato dalla visione degli uccelli che Reitani interpreta come tributo alla poesia di Trakl. I segni di una natura espressionisticamente ritratta accompagnano in effetti tutto il poema, incarnazione distorta e inquieta del dolore esistenziale dell uomo, prima fra tutte una luna scura e soffocante, densa e grave come quella dell epigrafe leonardesca. Il linguaggio biblico e metaforico arricchisce una partitura retoricamente molto curata, dalla musicalit spezzata e violenta, esito di una ricerca espressiva che, nonostante alcune ingenuit poetiche, non tarder a dare i suoi frutti nell opera matura di Bernhard. Una lode particolare all edizione SE che, oltre a riportare l utile testo a fronte, completa il volume con una biografia approfondita del grande scrittore austriaco e materiale fotografico. (Giuliana Altamura - 27/05/2008)

La Tua voce sar la mia voce nell amarezza la Tua voce che sparge il morire in rigidi solchi che mi distrugge Signore la mia preghiera crea dalla notte e dal timore il sole la luna la Tua voce la mia voce Signore sono in te schiacciato nel mio tormento che mi infiamma gli occhi perch bruci il mio Dio nel fuoco della Tua ira che spinge il suo aculeo nel mio cervello di sangue.

***

Signore lasciami dimenticare la mia anima e il tormento degli occhi e il pugnale di stanche labbra e il fuoco verde di lontane capanne la bocca di ogni stagno dimenticare Signore mio Dio il giorno che mi ha squarciato il grido che gridai e il corteo dei molti uccelli in pezzi la mia ira e libero il mio sangue in fiumi.

21. L'imitatore di voci 166 pagine | Adelphi | 1999

~Rare cose fanno sognare come quelle notizie di cronaca che racchiudono un destino in poche righe dettate in tono di spassionata neutralit. In questo libro Thomas Bernhard ha scelto come forma letteraria appunto la notizia di cronaca. Cos troveremo qui pi di cento romanzi in altrettante pagine. Prendendo di sorpresa il lettore, e sostituendo una guizzante velocit al martellio ossessivo dei suoi libri pi celebri, Bernhard inanella una serie di storie esilaranti e oltraggiose, tutte enunciate da un cronista che si pretende di impeccabile sobriet e precisione. I fatti innanzitutto sembra dirci, con celato sarcasmo. E i fatti, nella loro nudit, riescono pur sempre a sbalordirci. Sono multifomi e coatti come il protagonista della storia che d il titolo al libro: un imitatore di voci che riusciva a imitare ogni voce possibile ma rimaneva interdetto e si dichiarava incapace quando gli chiedevano di imitare la propria.

22. Thomas Bernhard e la musica 159 pagine | Carocci | 2006

~L'opera di Thomas Bernhard (1931-1989) ormai nota anche in Italia, dove ha trovato un gran numero di attenti e appassionati lettori. Il volume vuole contribuire alla conoscenza di questo scrittore austriaco, studiandone uno degli aspetti pi avvincenti, il suo rapporto con la musica. Musicale infatti la sua scrittura e innumerevoli allusioni a motivi musicali si ritrovano nei suoi romanzi e lavori teatrali. Attraverso un approccio trasversale di grande fascino e suggestione, con questo volume anche il lettore non specialista pu cos avvicinarsi a uno scrittore tra i pi significativi del Novecento. A cura di Luigi Maritani.

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