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LUNIVERSO DI

GI ACOMO LEOPARDI
Prima sotto-unit
La lezione verr avviata con la presentazione di Giacomo Leopardi. Lattenzione dellinsegnante dovr es-
sere rivolta non tanto alle lodi e alla grandezza dei suoi componimenti, quanto al suo profilo biografico, neces-
sario alla comprensione di unesistenza tanto tormentata e dibattuta.
In questa fase del lavoro la classe deve prendere confidenza con il bambino Leopardi, con i suoi affetti, i
suoi luoghi di gioco, le sue tenere passioni. Successivamente si cercher di lavorare con un apparato iconografi-
co che aiuti la classe a fissare nella memoria i volti degli affetti dellautore.
Al termine di questa sotto unit deve emergere il ritratto di un fanciullo che si racconta da solo, che per il
suo fascino e carisma diventa quasi uno di loro: un nuovo compagno intento nel racconto della propria storia.
IDENTIKIT DI UN FANCIULLO E
DELLA SUA FAMIGLIA
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NOTIZIE SULLA SUA VITA tratte dalla lettera allamico Carlo Pepoli scritta da Bo-
logna nel 1826, in Giacomo Leopardi. Storia di unanima. Scelta dallEpistolario, a
cura di Ugo Dotti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1982.
Caro Amico. Ti mando le notizie poco notabili della mia vita [...]
Nato dal conte Monaldo Leopardi di Recanati, citt della Marca di Ancona, e dalla marchesa Adelaide An-
tici della stessa citt, al 29 giugno del 1798, in Recanati.
Vissuto sempre nella patria fino allet di 24 anni.
Precettori non ebbe se non per li primi rudimenti che apprese da pedagoghi, mantenuti espressamente in
casa da suo padre. Bens ebbe luso di una ricca biblioteca raccolta dal padre, uomo molto amante delle lettere.
In questa biblioteca pass la maggior parte della sua vita, finch e quanto gli fu permesso dalla salute, di-
strutta da suoi studi; i quali incominci indipendentemente dai precettori in et di 10 anni, e continu poi sempre
senza riposo, facendone la sua unica occupazione.
Appresa, senza maestro, la lingua greca, si diede seriamente agli studi filologici, e vi persever per sette an-
ni; finch, rovinatasi la vista, e obbligato a passare un anno intero (1819) senza leggere, si volse a pensare, e si affe-
zion naturalmente alla filosofia; alla quale, ed alla bella letteratura che le congiunta, ha poi quasi esclusivamente
atteso fino al presente.
Di 24 anni pass in Roma, dove rifiut la prelatura e le speranze di un rapido avanzamento offertogli dal
cardinal Consalvi, per le vive istanze fatte in suo favore dal consiglier Niebuhr, allora Inviato straordinario della
corte di Prussia in Roma.
Tornato in patria, di l pass a Bologna, ec.
Pubblic, nel corso del 1816 e 1817, varie traduzioni ed articoli originali nello Spettatore, giornale di Mila-
no, ed alcuni articoli filologici nelle Effemeridi Romane del 1822 []
La paura era stata grande. Le doglie che duravano da molte ore, erano diventate insopportabili.
Qualcuno aveva temuto il peggio, voleva chiamare il sacerdote. Ma, mentre le prime ombre di una sera
estiva e ventosa calavano sul piccolo borgo rannicchiato sopra la collina, davanti allinfinita distesa del-
lAdriatico, alle paranze da pesca colorate, quel vagito si era fatto prepotentemente sentire.
Era il 29 giugno 1798. Venerd. Giorno di magra, di penitenza per la Chiesa riservato al ricordo del-
la passione e della morte di Cristo. La gioia esplose. E fu incontenibile. Raccolto intorno alla giovanissi-
ma partoriente, tutto il parentado pot trarre un respiro di sollievo. Adelaide aveva sofferto lindicibile,
quarantotto ore di pena per le lunghe doglie. Alla fine duramente segnato dal dramma della nascita,
Giacomo Leopardi era venuto al mondo e piangeva sonoramente, in una bella culla color crema e oro.
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[] La nascita del primogenito, momentaneamente, lo alleviava di tante amarezze e di tanti affan-
ni. Lo caricava di una responsabilit che in fondo aveva oscuramente cercato.
Sera sposato giovanissimo con sua cugina, Adelaide Antici, contro il parere di tutto il parentado
e, soprattutto, della madre che sera infuriata, ma poi aveva perdonato. []
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[] Appena compiuti i diciottanni Monaldo ave-
va deciso di vivere la sua giovent scialacquando
in frivolezze varie. Gli piaceva fare bella figura in
societ, concedendosi qualche costosa villeggiatu-
ra, vivere di forme eleganti e futili, degne del no-
me della casata che, essendo la pi in vista di Re-
canati, aveva bisogno di mantenersi allaltezza
del suo nome. Amava anche un certo lusso fine a
se stesso. Si muoveva come quei nobili con loc-
chialino tutti moine e galanterie salottiere.[]
[]La prudenza gli sarebbe stata opportuna. Inve-
ce dopo pochissimo tempo, era arrivato lincontro
con Adelaide.
Un matrimonio deciso nello spazio di appena sei
giorni, dal 15 giugno 1797, data del colpo di fulmine, al 21 dello stesso mese, quando Monaldo aveva gi
chiesta la mano. Tutto, come sempre, sera svolto precipitosamente. Linnamoramento durante la messa
solenne in cattedrale, per la festa di San Vito, protettore di Recanati; la prova del fuoco tre giorni dopo,
durante una processione, quando Monaldo non tolse mai gli occhi di dosso alla cugina; la rivelazione
dellamore e del proposito di matrimonio al fratello della donna, Carlo, suo amico dinfanzia. []
[] Giacomo intanto faceva le sue prime fondamentali esperienze.
Visse sicuramente in modo traumatico lallontanamento dalloggetto amato: per decisione di Mo-
naldo, non fu allattato dalla madre, ma da una balia, Maria Patrizi Rovello, che ricevette come ricompen-
sa un fazzoletto di terra. E il rapporto con Adelaide non fu, fin dai primi mesi, dei pi intensi ed effusivi.
Lei era piuttosto fredda, senza grandi chance emotive. Si realizzava soprattutto nel tenere ogni cosa sot-
to controllo, nellessere superattiva come il vero centro motore di tutta la casa.
Nelle sue prestazioni materne la muoveva un sen-
so molto cupo e fatalistico del proprio dovere,
interiorizzato come una inflessibile regola inter-
na. Ci le toglieva ogni slancio, ogni partecipazio-
ne affettiva. In pi ci furono di mezzo le altre gra-
vidanze, a getto continuo: un anno pi tardi nac-
que Carlo, poi fu la volta di Paolina. Si creava un
terzetto di figli pressoch coetanei, molto solidali
tra loro, uniti nelleducazione, con rapporti mol-
to intensi, senza particolari tensioni o conflitti.
Giacomo visse la sua primissima infanzia con la
sensazione che, accanto a lui, cerano Carlo e Paoli-
na. Poteva confrontarsi con loro in ogni momento, ma in posizione di forza derivatagli dalla maggiore
et. Si pose come una guida naturale nei giochi. Ci che apprendeva doveva farlo al pi presto conosce-
re agli altri due. Da questo scambio continuo usciva pi forte, pi appagato, meno solo.[]
[] Carlo e Paolina furono anche tra i primi naturali testimoni della sua sensibilit che, dalla pi
tenera et, fu tanto eccessiva. I piaceri e i dolori connessi allepoca del primo apprendimento [] lo se-
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Monaldo Leopardi e Adelaide Antici
gnarono profondamente. Gli restarono per sempre nella memoria come qualcosa di fortemente radicato
e di indelebile da cui lintera sua persona era stata impressa a fuoco. N luso del mondo, n leserci-
zio de patimenti riuscirono mai a cancellare in lui quel primo uomo, i sentimenti da cui era alimenta-
to, gli spaventi, le gioie, gli affetti e, soprattutto, i loro incontenibili, smisurati effetti.[]
[] E Giacomo aveva soprattutto una idea fissa che cercava di realizzare. Correva dietro la prima
persona che incontrava e chiedeva di raccontargli una favola, con linsistenza disarmante che i bambini
usano nel perseguire uno scopo
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. []
AMORE DELLE FAVOLE tratto da Storia di un'anima di Giacomo Leopar-
di, a cura di Plinio Perilli, collezione "Lo scrigno", 13, Carlo Mancosu Editore,
Roma 1993
Mi dicono che io da fanciullino di tre o quattro anni, stava sempre dietro a questa o quella persona perch
mi raccontasse delle favole. E mi ricordo ancor io che in poco maggior et, era innamorato dei racconti, e del maravi-
glioso che si percepisce colludito, o colla lettura (giacch seppi leggere, ed amai di leggere assai presto). Questi, se-
condo me, sono indizi notabili dingegno non ordinario e prematuro. Il bambino quando nasce, non disposto ad
altri piaceri che di succhiare il latte, dormire, e simili. Appoco appoco, mediante la sola assuefazione, si rende capa-
ce di altri piaceri sensibili, e finalmente va per gradi avvezzandosi, fino a provar piaceri meno dipendenti dai sensi.
Il piacere dei racconti, sebbene questi vertano sopra cose sensibili e materiali, per tutto intellettuale, o apparte-
nente alla immaginazione, e per nulla corporale n spettante ai sensi. Lesser divenuto capace di questi piaceri assai
di buonora, indica manifestamente una felicissima disposizione, pieghevolezza ec. degli organi intellettuali, o men-
tali, una gran facolt e vivezza dimmaginazione, una gran facilit di assuefazione, e pronto sviluppo delle facolt
dellingegno ec.
[] Tutte quelle storie lo accendevano, lo facevano vibrare. Lo riempivano di una tenerezza inspie-
gabile, di una disposizione alle cose e agli affetti iscritta in un eccezionale registro di sensibilit e di pas-
sionalit. Il loro regime era diurno, ma anche notturno. Tutte le creature fantastiche del giorno alimenta-
vano anche i sui diffici sonni. Potevano diventare veri e propri incubi, con effetti devastanti.
LOROLOGIO DELLA TORRE tratto da Storia di un'anima di Giacomo
Leopardi, a cura di Plinio Perilli, collezione "Lo scrigno",
13, Carlo Mancosu Editore, Roma 1993
Sento dal mio letto suonare (battere) lorologio della torre. Rimembranze di
quelle notti estive nelle quali essendo fanciullo e lasciato in letto in camera oscura,
chiuse le sole persiane, tra la paura e il coraggio sentiva battere un tale orologio. O
pure situazione trasportata alla profondit della notte o al mattino ancora silenzio-
so e allet consistente.
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La torre dellOrologio di Recanati
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Minore R., Leopardi. Linfanzia, le citt, gli amori, Bompiani, Milano 1997, pp. 9-27.
Dalle profondit pi impensate della fantasia, dai recessi della mente cos plastica e immaginati-
va, uscivano mille apparizioni mostruose, streghe, fauni, satiri, spettri, ombre, fantasmi che lo rendeva-
no attonito e timoroso, lo costringevano a stare con angoscia nel letto, a sudar freddo, a gridare aiuto
rivolto a Carlo che gli dormiva accanto. E spesso doveva confortarlo, lui che durante il giorno, era confor-
tato e protetto dal flusso costante di invenzioni fantastiche in cui Giacomo lo proiettava
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.[]
DEI TERRORI NOTTURNI tratto da Saggio sugli errori popolari degli antichi, cap. VIII, in Gia-
como Leopardi. Poesie e Prose, a cura di Rolando Damiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
1988
Ombre, larve, spettri, fantasmi, visioni, ecco gli oggetti terribili che faceano tremare i poveri antichi, e che,
convien pur dirlo, ispirano ancora a noi spavento. Se i pregiudizi sogliono cedere al tempo, questo, pochissimo ha
perduto del suo vigore: esso pu dirsi il pregiudizio dei secoli. Come duopo ripetere dalla educazione la maggior
parte degli errori popolari universali, quella dei fanciulli su questo punto veramente malvagia, e ben lontana dal
corrispondere al presente stato di civilizzazione. Muove la bile del filosofo il vedere con quanta cura sistruisca un
fanciullo intorno alle favole pi terribili, e alle chimere pi atte a fare impressione sulla sua mente. Egli sa appena
balbettare e segnarsi la fronte ed il petto per mostrare di essere nato nella vera religione, che la storia dei folletti e
delle apparizioni ha gi occupato il suo luogo nel di lui intelletto pauroso e stupefatto. Alquanto inquieto, perch
vivace, egli era forse molesto ad una allevatrice impaziente, solita a confondere il brio colla insolenza e a chiamar
bont la dabbenaggine. La novella degli spiriti fu lo specifico sicuro per liberarla dalla importunit del fanciullo.
Eccolo infatti divenuto attonito e timoroso; riguardare lavvicinarsi della notte come un supplizio, i luoghi tenebro-
si come caverne spaventevoli; palpitare nel petto angosciosamente; sudar freddo; raccogliersi pauroso sotto alle len-
zuola; cercar di parlare, e nel trovarsi solo inorridire da capo a piedi. Lallevatrice ha perfettamente ottenuto il suo
intento. Il fanciullo durante il giorno non dimentica i suoi terrori notturni: basta minacciarlo di porlo in fondo ad
un luogo oscuro, o di darlo in preda a qualche mostro per renderlo ubbidiente e sottomesso a qualunque comando.
Qual barbarie! Le nutrici, o balie, che si servono di questi infami mezzi per tenere in freno i loro allievi, cospirano
contro il bene della societ, e si fanno ree di una specie di omicidio presso il genere umano. Esse tolgono ai fanciulli
il coraggio, che una delle doti pi proprie a render meno infelice che sia possibile la vita delluomo. Quanti mali
immaginari che il coraggio fa scomparire! Quanti mali reali, ma piccioli, che il coraggio disprezza alleggerisce mera-
vigliosamente, e che senza questo valido ostacolo farebbono soccombere lo sventurato sotto il loro peso! La sola espe-
rienza pu far conoscere pienamente di qual vantaggio sia questa inistimabile qualit, e di qual danno sia lesserne
privo. Luomo timoroso veramente infelice: ogni piccolo rischio lo pone in agitazione; ogni sventura lo abbatte;
ogni pericolo reale lo rende incapace di riflessione. Coloro perci che in luogo dispirar coraggio ai loro allievi, han-
no cercato di toglierlo, sono colpevoli di aver contribuito grandemente a render miserabile la loro vita. []
[] Fortemente fantasioso, molto dotato intellettualmente, in grado di acquisizioni in anticipo ri-
spetto ai suoi anni, pronto alleffusione ma sovente inibito a dimostrarla, il piccolo Giacomo aveva retico-
li sensitivi molto acuiti.[]
[] Adelaide non assecondava nessuno slancio, non incoraggiava nessuna confessione, non favori-
va nessuna vera intimit. Se Giacomo correva verso di lei e cercava protezione tra le sue braccia, subito
lo raggelava, troncava sul nascere ogni effusione con la sua alta, imponente figura, con il suo sguardo az-
zurro e quasi gelido. Se la minestra scottava e faceva piangere il figlio, lei gli raccomandava di offrire
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Minore R., Ibidem, pp. 28-31.
quel dolore per la salvezza eterna. Era tutta dedita alle sue pratiche religiose che imponeva con severit
ai figli
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RITRATTO MATERNO tratto da Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di
bella letteratura, di Giacomo Leopardi, Le Monnier, Firenze 1921-1924.
Io ho conosciuto intimamente una madre di famiglia che non era punto superstiziosa, ma saldissima ed esat-
tissima nella credenza cristiana, e negli esercizi della religione. Questa non solamente non compiangeva quei geni-
tori che perdevano i loro figli bambini, ma gl'invidiava intimamente e sinceramente, perch questi eran volati al pa-
radiso senza pericoli, e avean liberato i genitori dall'incomodo di mantenerli. Trovandosi pi volte in pericolo di per-
dere i suoi figli nella stessa [354]et, non pregava Dio che li facesse morire, perch la religione non lo permette, ma
gioiva cordialmente; e vedendo piangere o affliggersi il marito, si rannicchiava in se stessa, e provava un vero e sen-
sibile dispetto. Era esattissima negli uffizi che rendeva a quei poveri malati, ma nel fondo dell'anima desiderava che
fossero inutili, ed arriv a confessare che il solo timore che provava nell'interrogare o consultare i medici, era di sen-
tirne opinioni o ragguagli di miglioramento. Vedendo ne' malati qualche segno di morte vicina, sentiva una gioia
profonda (che si sforzava di dissimulare solamente con quelli che la condannavano); e il giorno della loro morte, se
accadeva, era per lei un giorno allegro ed ameno, n sapeva comprendere come il marito fosse s poco savio da attri-
starsene. Considerava la bellezza come una vera disgrazia, e vedendo i suoi figli brutti o deformi, ne ringraziava
Dio, non per eroismo, ma di tutta voglia. Non proccurava in nessun modo di aiutarli a nascondere i loro difetti, an-
zi pretendeva che in vista di essi, rinunziassero intieramente alla vita nella loro prima giovent: se resistevano, se
cercavano il contrario, se vi riuscivano in qualche minima parte, n'era indispettita, scemava quanto poteva colle
parole e coll'opinione sua i loro successi (tanto de' brutti quanto de' belli, perch n'ebbe molti), e non lasciava
[355]passare anzi cercava studiosamente l'occasione di rinfacciar loro, e far loro ben conoscere i loro difetti, e le con-
seguenze che ne dovevano aspettare, e persuaderli della loro inevitabile miseria, con una veracit spietata e feroce.
Sentiva i cattivi successi de' suoi figli in questo o simili particolari, con vera consolazione, e si tratteneva di prefe-
renza con loro sopra ci che aveva sentito in loro disfavore. Tutto questo per liberarli dai pericoli dell'anima, e nello
stesso modo si regolava in tutto quello che spetta all'educazione dei figli, al produrli nel mondo, al collocarli, ai mez-
zi tutti di felicit temporale. Sentiva infinita compassione per li peccatori, ma pochissima per le sventure corporali
o temporali, eccetto se la natura talvolta la vinceva. Le malattie, le morti le pi compassionevoli de' giovanetti estin-
ti nel fior dell'et, fra le pi belle speranze, col maggior danno delle famiglie o del pubblico ec. non la toccavano in
verun modo. Perch diceva che non importa l'et della morte, ma il modo: e perci soleva sempre informarsi curiosa-
mente se erano morti bene secondo la religione, o quando erano malati, se mostravano rassegnazione ec. E parlava
di queste disgrazie con una freddezza marmorea. Questa donna aveva sortito dalla natura un carattere sensibilissi-
mo, ed era stata cos ridotta dalla sola religione.
Nei primi anni di matrimonio apparve chiaro che gli errori commessi da Monaldo erano stati trop-
pi. Non cera possibilit duscita: i creditori incalzavano, mancava la liquidit. Il 3 Luglio 1803 gli fu inter-
detta lamministrazione dellintero patrimonio che, per sua stessa volont, fu assunto dalla moglie. Ade-
laide stessa richiam lattenzione del papa sulle difficili condizioni della famiglia, ottenendo molte facili-
tazioni per estinguere i debiti in un lungo arco di tempo. E cos prese gradualmente le redini della situa-
zione, impose (e si impose) rinunzie molto grandi. []
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Minore R., Ibidem, p. 28.
Subiva umiliazioni incredibili. Al caff poteva andare, poteva vedere gli amici, ma il conto lo paga-
va a fine anno Adelaide, spesso con derrate alimentari. Di fronte a necessit urgenti, era costretto a ven-
dere qualche prodotto della campagna, con complicit di domestici e fattori. Una sera fu rimproverato
aspramente da Adelaide perch aveva comprato una maglia di lana. Ed era inverno. Lui ne aveva biso-
gno! []
[] Adelaide assicurava che il disordine sarebbe passato, le cose sarebbero tornate al giusto posto.
Ma garantiva anche il mantenimento formale di tutti
quei simboli di casta necessari per continuare a vivere a
Recanati. Nel continuo confronto con le altre famiglie
nobili si prendeva distanza dalle classi emergenti, dai
neoricchi che non avevano n lo stemma familiare n il
conforto delleruzione e della cultura.[]
[]Monaldo alzava le barricate. Elaborava un si-
stema di difesa. Cominci con la biblioteca. Il suo vanto
prediletto. Qualcosa che aveva ostinatamente voluto,
una mescolanza impressionante di libri utili e inutili:
grammatiche e dizionari e glosse e commenti e storie e
orazioni e dissertazioni e infinito materiale di erudizione
greca, ebraica, latina, sacra e profana, civilt e barbarie, secoli aurei e ferrei, cose originali e imitazioni,
sommi e mediocri, tutto commisti.
Laveva voluta gradualmente, scaffale dopo scaffale. []
[] Lestensione della biblioteca riusciva a rasserenarlo, a placare la sua insoddisfazione. I libri di-
vennero il suo elemento naturale. Studiava e scriveva nel tempo libero che, poi, occupava gran parte del-
la sua giornata. Lo stimolavano, soprattutto, le ricerche su Recanati, sulla sua tradizione, sulle sue origi-
ni. Si occup delle zecche e delle monete recanatesi, della santa casa di Loreto, degli usi e dei costumi dei
suoi concittadini illustri. Ma aveva anche interessi letterari
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[]
Esercizi
Rispondi sul quaderno alle seguenti domande:
1. Rileggendo la lettera allamico Carlo Pepoli scrivi quali elementi hanno caratterizzato leduca-
zione di Giacomo.
2. Qual stata la passione di Giacomo da bambino? Pensi che le sue inclinazioni fantastiche ab-
biano influito nello sviluppo della sua genialit?
3. Riassumi, semplificando rispetto al linguaggio ottocentesco, i concetti relativi ai Terrori not-
turni espressi nel Saggio sugli errori popolari degli antichi.
4. Traccia a modo tuo, un ritratto di Adelaide, madre di Giacomo.
5. Osservando le notizie relative al conte Monaldo, padre di Giacomo, fai un confronto con il
tuo pap e metti in evidenza le differenze tra i due stili di vita.
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Biblioteca di Casa Leopardi
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Minore R., Ibidem, pp. 31-35
Seconda sotto-unit
In questa sotto unit linsegnante comincia a svelare il cuore di un adolescente che, mosso da un fervido desi-
derio di gloria e da una profonda passione, sceglie una strada di studio matto e disperatissimo. Non mancheran-
no gli spunti di riflessione. Perch una scelta di questo tipo? Era forse presente unalternativa che potesse appagare
ugualmente le aspirazioni del poeta? Quali possono essere le motivazioni che lo hanno spinto verso questa scelta
estrema?
Nel corso di questo segmento didattico linsegnante cercher di sottolineare attraverso i testi i nodi tematici
e le riflessioni di carattere esistenziale che preludono alla formazione del suo pensiero.
LADOLESCENZA E IL PRIMO
AMORE
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Cera solo un modo per muoversi sulla via della gloria, per ottenerla al pi presto e duraturamen-
te. Per non essere come le moltissime persone che vedeva morire in giovanissima et, senza avere il tem-
po di farsi conoscere al mondo (e da costoro la curiosit era attratta fino alla commozione). Giacomo di-
venne uno studente precocissimo, Un vero e proprio modello di virt scolastica.
Si applicava con passione, rigore, determinazione. Apprendeva tutto con la massima facilit e pi
apprendeva pi quella capacit si accresceva e si moltiplicava. Aveva tante curiosit e tanti interessi inso-
liti per la sua et. Era in grado cos piccolo e cos indifeso verso di se di guidare i fratelli anche nello
studio guadagnandosi sempre lelogio di Monaldo che lo spronava additandolo come esempio tra paren-
ti e amici. []
[] Monaldo pomposamente faceva discorsi aulici, il figlio per emularlo, inizi a provare un parti-
colare interesse per il latino.
In pochissimo tempo fu in grado di leggere, tradurre, parafrasare i pi importanti classici. Ebbe an-
che, in quel tempo, solide basi di retorica, teologia, fisica. []
[] Monaldo controllava lapprendimento. Dava consigli. Indicava e comprava libri per ulteriori
approfondimenti. E ogni anno organizzava a casa dei veri e propri spettacolini didattici: (per lo pi eru-
diti e sacerdoti) i tre Leopardi dovevano dimostrare i progressi compiuti nei vari campi dello scibile uma-
no. Nulla veniva trascurato per lottima riuscita di quegli spettacoli domestici di cui veniva stampato per-
fino il programma. []
[]La mobilitazione in famiglia era sempre grande. Linge-
nuo teatrino serviva a Monaldo per darsi un tono, per dimostrare
quanto i suoi metodi fossero validi, per sfogare un certo suo innato
istinto alla scena e allesibizione. Fortemente motivati da lui, i figli
stavano al gioco. Affrontavano quel cimento molto caricati, molto
emozionati. []
[] Giacomo studiava tanto, troppo. I suoi interessi sallarga-
vano sempre pi. Ci che detestava pi sorpresa e ammirazione era-
no la tenacia, la capacit di applicarsi. Con perizia da orafo, rifiniva
i suoi quadernetti, contaminava brani tradotti e brani di sua creazio-
ne, li abbelliva con disegnini nitidi, dalla sicura grazia espressiva.
Pomposamente gi li chiamava le sue opere. Erano versioni dal latino, esercitazioni, i primi versi. Scri-
veva a getto continuo, avendo il gusto del prodotto finito, operando ad incastro nel mettere insieme pi
fonti.
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Testo autografo dellInfinito
Lavorava accanto alla finestra che dava sulla piazza, co-
me Monaldo impegnato nella stanza accanto. Soltanto in
questo modo placava completamente le sue preoccupa-
zioni, le sue ansie, i terrori.
Gli procuravano grande piacere le lodi del padre che va-
lorizzava al massimo il suo precoce talento. Se ne senti-
va lusingato. Il suo destino era gi delineato rispetto ai
suoi coetanei
5
. []
Quando nel Febbraio del 1817 fu stampata la traduzione del secondo libro dellEneide, ne fece pre-
sentare tre copie, una al Monti, una ad Angelo Mai, una a Pietro Giordani, che allora stavano tutti e tre a
Milano; e scrisse a tutti e tre. [] Ma quando ebbe parlato con leditore [] e seppe che il dotto conte era
poco pi che un fanciullo, mingherlino e sparuto, il Giordani, che faceva nobile professione daiutare gli-
nizii dei giovani, fu pieno di stupore e del pi vivo affetto per quel miracoloso fanciullo; e cominci a
scrivergli delle lettere piene dammirazione, di premura, di paterni consigli. Questo fu un merito grandis-
simo del Giordani []: fu il primo letterato di gran fama che gli venne incontro francamente incoraggian-
do e consolando la sua dolorosa solitudine. Ne aveva un gran bisogno il Leopardi in quel tempo. Con la
vita che aveva fatto per tanti anni nella tenera adolescenza, studi e chiesa nientaltro, la sua salute era gi
rovinata. [] Le amorose parole del Giordani gli furono luce e ristoro dolcissimo; cominci a sfogarsi di
tutto quello che aveva nel cuore; pot parlare di poesia e di gloria con uno che poteva intenderlo. Si pu
dire che il merito del Giordani fu tutto qui. Non gli insegn, propriamente, nulla: cominci, vero a dar-
gli molti consigli e di prudenza nellapplicarsi e di metodo negli studi; ma il Leopardi era gi troppo in-
nanzi per servirsene. Cerc inutilmente di riconciliarlo col borgo nativo: il giovinetto aveva gi sofferto
troppo. Lo consigliava dimpratichirsi della prosa prima di far versi, e il Leopardi si sentiva portato con
tutte le forze dellanima alla poesia
6
. []
LAMICO PIETRO GIORDANI tratto dalla lettera a Pietro Giordani scritta da
Recanati il 30 Aprile 1917, in Giacomo Leopardi. Storia di unanima. Scelta dal-
lEpistolario, a cura di Ugo Dotti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1982.
Oh quante volte, carissimo e desideratissimo Signor Giordani mio, ho supplicato il cielo che mi facesse trova-
re un uomo di cuore dingegno e di dottrina straordinario, il quale trovato potessi pregare che si degnasse di conce-
dermi lamicizia sua. E in verit credeva che non sarei stato esaudito, perch queste tre cose, tanto rare a trovarsi
10
Finestra dello studiolo di Giacomo da cui scorgeva Silvia
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Minore R., ibidem, pp. 36-69
6
Levi G. A., Leopardi. Una biografia per immagini, Centro Nazionale di Studi Leopardiani, Il Lavoro Editoriale, Ancona 1997, pp. 39-43.
ciascuna da s, appena stimava possibile che fossero tutte insieme. O sia benedetto
Iddio (e con pieno spargimento di cuore lo dico) che mi ha conceduto quello che do-
mandava, e fatto conoscere lerror mio. E per sia stretta, la prego, fin da ora tra
noi interissima confidenza, rispettosa per altro in me come si conviene a minore, e
liberissima in Lei. Ella mi raccomanda la temperanza nello studio con tanto calore
e come cosa che le prema tanto, che io vorrei poterle mostrare il cuor mio perch
vedesse gli affetti che vha destati la lettura delle sue parole, i quali se l cuore non
muta forma e materia, non periranno mai, certo non mai. E per rispondere come
posso a tanta amorevolezza, dirolle che veramente la mia complessione non debo-
le ma debolissima, e non istar a negarle che ella si sia un po risentita delle fatiche che le ho fatto portare per sei an-
ni. Ora per le ho moderate assaissimo; non istudio pi di sei ore il giorno, spessissimo meno, non iscrivo quasi
niente, fo la mia lettura regolata dei Classici delle tre lingue in volumi di piccola forma, che si portano in mano age-
volmente, s che studio quasi sempre alluso de Peripatetici, e, quod maximum dictu est, sopporto spesso per molte
e molte ore lorribile supplizio di stare colle mani alla cintola. O chi avrebbe mai pensato che il Giordani dovesse pi-
gliar le difese di Recanati? O carissimo Sig. Giordani mio, questo mi fa ricordare il si Pergama dextr. La causa
tanto disperata che non le basta il buon avvocato n le ne basterebbero cento. un bel dire: Plutarco, lAlfieri ama-
vano Cheronea ed Asti. Le amavano e non vi stavano. A questo modo amer ancor io la mia patria quando ne sar
lontano; or dico di odiarla perch vi son dentro, ch finalmente questa povera citt non rea daltro che di non aver-
mi fatto un bene al mondo, dalla mia famiglia in fuori. Del luogo dove s passata linfanzia bellissima e dolcissi-
ma cosa il ricordarsi. []
[] La prima cosa, a me non va di dar la vita per questi pochissimi, n di rinunziare a tutto per vivere e mo-
rire a pro loro in una tana. Non credo che la natura mabbia fatto per questo, n che la virt voglia da me un sacrifi-
zio tanto spaventoso. In secondo luogo, ma che crede Ella mai? Che la Marca e l mezzogiorno dello Stato Romano
sia come la Romagna e l settentrione dItalia? Cost il nome di letteratura si sente spessissimo: cost giornali acca-
demie conversazioni librai in grandissimo numero. I Signori leggono un poco. Lignoranza nel volgo, il quale se
no, non sarebbe pi volgo: ma moltissimi singegnano di studiare, moltissimi si credono poeti filosofi che so io. So-
no tuttaltro, ma pure vorrebbero esserlo. Quasi tutti si tengono buoni a dar giudizio sopra le cose di letteratura. Le
matte sentenze che profferiscono svegliano lemulazione, fanno disputare parlare ridere sopra gli studi. [] Qui,
amabilissimo Signore mio, tutto morte, tutto insensataggine e stupidit. Si meravigliano i forestieri di questo
silenzio, di questo sonno universale. Letteratura vocabolo inudito. I nomi del Parini dellAlfieri del Monti, e del
Tasso, e dell`Ariosto e di tutti gli altri han bisogno di commento. Non c uno che si curi dessere qualche cosa, non
c uno a cui il nome dignorante paia strano. Se lo danno da loro sinceramente e sanno di dire il vero. Crede Ella
che un grande ingegno qui sarebbe apprezzato ? Come la gemma nel letamaio. Ella ha detto benissimo (e sapr ben
dove) che gli studi come pi sono rari meno si stimano, perch meno se ne conosce il valore. Cos appuntino accade
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in Recanati e in queste provincie dove lingegno non si conta fra i doni della natura. Io non sono certo una gran co-
sa: ma tuttavia ho qualche amico in Milano, fo venire i Giornali, ordino libri, fo stampare qualche mia cosa: tutto
questo non ha fatto mai altro recanatese [] Per appunto. I Giornali come sono stati letti nella mia famiglia, vanno
a dormire nelle scansie. Delle mie cose nessuno si cura e questo va bene; degli altri libri molto meno: anzi le dir
senza superbia che la libreria nostra non ha eguale nella provincia, e due sole inferiori. Sulla porta ci sta scritto
chella fatta anche per li cittadini e sarebbe aperta a tutti. Ora quanti pensa Ella che la frequentino? Nessuno mai.
Oh veda Ella se questo terreno da seminarci. Ma e gli studi, le pare che qui si possano far bene? Non dir che con
tutta la libreria io manco spessissimo di libri, non pure che mi piacerebbe di leggere, ma che mi sarebbero necessari;
e per Ella non si meravigli se talvolta si accorger che io sia senza
qualche Classico. []
[] Che cosa in Recanati di bello? che luomo si curi di vedere o
dimparare? niente. Ora Iddio ha fatto tanto bello questo nostro
mondo, tante cose belle ci hanno fatto gli uomini, tanti uomini ci
sono che chi non insensato arde di vedere e di conoscere, la terra
piena di meraviglie, ed io di dieciottanni potr dire, in questa caver-
na vivr e morr dove sono nato? Le pare che questi desideri si pos-
sano frenare? che siano ingiusti soverchi sterminati? che sia pazzia
il non contentarsi di non veder nulla, il non contentarsi di Recanati? Laria di questa citt l stato mal detto che
sia salubre. mutabilissima, umida, salmastra, crudele ai nervi e per la sua sottigliezza niente buona a certe com-
plessioni. A tutto questo aggiunga lostinata nera orrenda barbara malinconia che mi lima e mi divora, e collo stu-
dio salimenta e senza studio saccresce. So ben io qual , e lho provata, ma ora non la provo pi, quella dolce malin-
conia che partorisce le belle cose, pi dolce dellallegria, la quale, se m permesso di dir cos, come il crepuscolo,
dove questa notte fittissima e orribile, veleno, come Ella dice, che distrugge le forze del corpo e dello spirito. Ora
come andarne libero non facendo altro che pensare e vivendo di pensieri senza una distrazione al mondo? e come
far che cessi leffetto se dura la causa ? Che parla Ella di divertimenti? Unico divertimento in Recanati lo studio:
unico divertimento quello che mi ammazza: tutto il resto noia. So che la noia pu farmi manco male che la fati-
ca, e per spesso mi piglio la noia, ma questa mi cresce com naturale, la malinconia, e quando io ho avuto la di-
sgrazia di conversare con questa gente, che succede di raro, torno pieno di tristissimi pensieri agli studi miei, o mi
vo covando in mente e ruminando quella nerissima materia. Non m possibile rimediare a questo n fare che la mia
salute debolissima non si rovini, senza uscire di un luogo che ha dato origine al male e lo fomenta e laccresce ogni
d pi, e a chi pensa non concede nessun ricreamento. []
[] Vedo con esultazione che Ella nella soavissima sua dei 15 Aprile discende a parlarmi degli studi. Ri-
sponder a quanto Ella mi scrive, dicendole sinceramente quando le sue opinioni si siano scontrate nella mia mente
con opinioni diverse, acciocch Ella veda quanto io abbia bisogno chElla mi faccia veramente da maestro, e compa-
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tendo alla debolezza e piccolezza de pensieri miei si voglia impacciare di provvederci. Che la propriet deconcetti e
delle espressioni sia appunto quella cosa che discerne lo scrittor Classico dal dozzinale [] verit tanto evidente
che fu la prima di cui io maccorsi quando cominciai a riflettere seriamente sulla letteratura: e dopo questo facilmen-
te vidi che il mezzo pi spedito e sicuro di ottenere questa propriet era il trasportare duna in altra lingua i buoni
scrittori. Ma che quando lintelletto giunto a certa sodezza e maturit e a poter conoscere con qualche sicurezza a
qual parte la natura lo chiami, si debba di necessit comporre prima in prosa che in verso, questo le dir schietta-
mente che a me non parea. Parlando di me posso ingannarmi, ma io le racconter, come a me sembra che sia, quello
che m avvenuto e mavviene. Da che ho cominciato a conoscere un poco il bello, a me quel calore e quel desiderio
ardentissimo di tradurre e far mio quello che leggo, non han dato altri che i poeti, e quella smania violentissima di
comporre, non altri che la natura e le passioni ma in modo forte ed elevato, facendomi quasi ingigantire lanima in
tutte le sue parti, e dire, fra me: questa poesia, e per esprimere quello che io sento ci voglion versi e non prosa, e
darmi a far versi. Non mi concede Ella di leggere ora Omero Virgilio Dante e gli altri sommi? Io non so se potrei
astenermene perch leggendoli provo un diletto da non esprimere con parole, e spessissimo mi succede di starmene
tranquillo e pensando a tuttaltro, sentire qualche verso di autor classico che qualcuno della mia famiglia mi recita
a caso, palpitare immantinente e vedermi forzato di tener dietro a quella poesia. E m pure avvenuto di trovarmi
solo nel mio gabinetto colla mente placida e libera, in ora amicissima alle muse, pigliare in mano Cicerone, e leggen-
dolo sentire la mia mente far tali sforzi per sollevarsi, ed esser tormentato dalla lentezza e gravit di quella prosa
per modo che volendo seguitare, non potei, e diedi di mano a Orazio. E se Ella mi concede quella lettura, come vuole
che io conosca quei grandi e ne assaggi e ne assapori e ne consideri a parte a parte le bellezze, e poi mi tenga di non
lanciarmi dietro a loro? Quando io vedo la natura in questi luoghi che veramente sono ameni (unica cosa buona che
abbia la mia patria) e in questi tempi spezialmente, mi sento cos trasportare fuor di me stesso, che mi parrebbe di
far peccato mortale a non curarmene, e a lasciar passare questo ardore di giovent, e a voler divenire buon prosato-
re, e aspettare una ventina danni per darmi alla poesia, dopo i quali, primo, non vivr, secondo, questi pensieri sa-
ranno iti; e la mente sar pi fredda o certo meno calda che non ora. Non voglio gi dire che secondo me, se la na-
tura ti chiama alla poesia, tu abbi a seguitarla senza curarti daltro, anzi ho per certissimo ed evidentissimo che la
poesia vuole infinito studio e fatica, e che larte poetica tanto profonda che come pi vi si va innanzi pi si conosce
che la perfezione sta in un luogo al quale da principio n pure si pensava. Solo mi pare che larte non debba affogare
la natura e quellandare per gradi e voler prima essere buon prosatore e poi poeta, mi par che sia contro la natura la
quale anzi prima ti fa poeta e poi col raffreddarsi dellet ti concede la maturit e posatezza necessaria alla prosa.
[] Per io avea conchiuso tra me che per tradur poesia vi vuole unanima grande e poetica e mille e mille altre co-
se, ma per tradurre in prosa un pi lungo esercizio ed assai pi lettura, e forse anche (che a me pare necessarissimo)
qualche anno di dimora in paese dove si parli la buona lingua, qualche anno di dimora in Firenze. [] Per carit,
Sig. Giordani mio, non mi voglia credere un temerario, perch le ho detto s francamente e con tanto poco riguardo
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alla piccolezza mia, quello che sentiva. Non isdegni di persuadermi. Questa sar opera piccola per s, ma sar opera
di misericordia. e degna del suo bel cuore. []
[]Come far, signor Giordani mio, a domandarle perdono dellaverle scritto un tomo in vece di una lette-
ra? Veramente ne arrossisco e non so che mi dire, e contuttoci gliene domando perdono. La sua terza lettera ma-
vea destato in mente un tumulto di pensieri, la quarta me lo ha raddoppiato. Mi sono indugiato di rispondere per
non infastidirla tanto spesso, ma pigliata in mano la penna non ho potuto tenermi pi. Ho risposto a un foglietto
de suoi con un foglione de miei. Questa la prima volta che le apro il mio cuore: come reprimere la piena de pen-
sieri? Unaltra volta sar pi breve, ma pi breve assaissimo. Non vorrei chElla sirritasse per tanta mia indiscre-
tezza: certo lira sarebbe giustissima, ma confido nella bont del suo cuore. Mi perdoni di nuovo, caro Signor mio, e
sappia che sempre pensa di Lei il suo desiderantissimo servo Giacomo Leopardi.
Esercizi
Rispondi sul quaderno alle seguenti domande
1. Qual lo stato danimo di Giacomo quando risponde alla lettera di Pietro Giordani? Spiega le ragioni
che lo determinano.
2. Quali sono gli argomenti trattati dal giovane poeta nella sua lunga lettera?
3. Giacomo, per quanto giovane, dimostra di avere le idee molto chiare in relazione alla sua indole. Ti
sembra che voglia assecondare i consigli di Pietro Giordani? Argomenta la risposta.
Ben presto anche per Giacomo giunse il primo amore. Questi arriv inaspettato e buss alle porte
di casa Leopardi sotto il nome di Gertrude Cassi Lazzari, una lontana cugina di Pesaro, sette anni pi
grande di lui e gi sposata con un uomo pi anziano di lei, grosso e pacifico. La donna si trovava a Reca-
nati per mettere la figlioletta in convento.
Il cuore del giovane poeta, ardente dal desiderio di confrontarsi con delle belle donne, desiderio
represso e ostacolato dai rigidi costumi della famiglia ed in particolare della madre Adelaide, cominci a
palpitare. Questa passione amorosa, come tutti i sussulti adolescenziali, non dur molto, tuttavia im-
portante ricordarla per il fatto che da questo momento in poi Giacomo si rende conto che gli interessi di
un uomo non possono essere rivolti solo allo studio, ed in particolare che lamore nobilita lanimo il qua-
le non pu perseguire solo la gloria.
Questa esperienza che in un giovane della stessa rappresenterebbe la primavera delle passioni in
lui signific, tuttavia, unamara constatazione: lessere depositario di unanima appasionata, stretta in un
corpo che precocemente aveva perso il fior della giovent.
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MEMORIE DEL PRIMO AMORE tratto da Storia di un'anima di Giacomo Leo-
pardi, a cura di Plinio Perilli, collezione "Lo scrigno", 13, Carlo Mancosu Edito-
re, Roma 1993
Io cominciando a sentire limpero della bellezza, da pi dun anno desiderava di parlare e conversare, come
tutti fanno, con donne avvenenti, delle quali un sorriso solo, per rarissimo caso gittato sopra di me, mi pareva cosa
stranissima e maravigliosamente dolce e lusinghiera: e questo desiderio nella mia forzata solitudine era stato vanis-
simo fin qui.
Ma la sera dellultimo Gioved, arriv in casa nostra, aspettata con
piacere da me, n conosciuta mai, ma creduta capace di dare qualche sfogo
al mio antico desiderio, una Signora Pesarese nostra parente pi tosto lonta-
na, di ventisei anni, col marito di oltre a cinquanta, grosso e pacifico, alta e
membruta quanto nessuna donna chio mabbia veduta mai, di volto per
tuttaltro che grossolano, lineamenti tra il forte e il delicato, bel colore, occhi
nerissimi, capelli castagni, maniere benigne, e, secondo me, graziose, lonta-
nissime dalle affettate, molto meno lontane dalle primitive, tutte proprie del-
le Signore di Romagna e particolarmente delle Pesaresi, diversissime, ma
per una certa qualit inesprimibile, dalle nostre Marchegiane.
Quella sera la vidi, e non mi dispiacque; ma le ebbi a dire pochissime
parole, e non mi ci fermai col pensiero. Il Venerd le dissi freddamente due
parole prima del pranzo: pranzammo insieme, io taciturno al mio solito, te-
nendole sempre gli occhi sopra, ma con un freddo e curioso diletto di mirare un volto pi tosto bello, alquanto mag-
giore che se avessi contemplato una bella pittura. Cos avea fatto la sera precedente, alla cena. La sera del Venerd, i
miei fratelli giuocarono alle carte con lei: io invidiandoli molto, fui costretto di giuocare agli scacchi con un altro:
mi ci misi per vincere, a fine di ottenere le lodi della Signora (e della Signora sola, quantunque avessi dintorno mol-
ti altri) la quale senza conoscerlo, facea stima di quel giuoco. Riportammo vittorie uguali, ma la Signora intenta ad
altro non ci bad, poi lasciate le carte, volle chio linsegnassi i movimenti degli scacchi: lo feci ma insieme cogli al-
tri, e per con poco diletto, ma maccorsi chElla con molta facilit imparava, e non se le confondevano in mente
quei precetti dati in furia (come a me si sarebbero senza dubbio confusi), e ne argomentai quello che ho poi inteso da
altri, che fosse Signora dingegno. Intanto laver veduto e osservato il suo giuocare coi fratelli, mavea suscitato
gran voglia di giuocare io stesso con lei, e cos ottenere quel desiderato parlare e conversare con donna avvenente:
per la qual cosa con vivo piacere sentii che sarebbe rimasta fino alla sera dopo. Alla cena, la solita fredda contempla-
zione.
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Gertrude Cassi Lazzari e suo fratello
Lindomani nella mia votissima giornata aspettai il giuoco con piacere ma senza affanno n ansiet nessuna:
o credeva che ci avrei trovato soddisfazione intera, o certo non mi pass per la mente chio ne potessi uscire malcon-
tento. Venuta lora, giuocai. Nuscii scontentissimo e inquieto. Avea giuocato senza molto piacere, ma lasciai anche
con dispiacere, pressato da mia madre. La Signora mavea trattato benignamente, ed io per la prima volta avea fatto
ridere colle mie burlette una dama di bello aspetto, e parlatole, e ottenutone per me molte parole e sorrisi. Laonde
cercando fra me perch fossi scontento, non lo sapea trovare. Non sentia quel rimorso che spesso, passato qualche
diletto, ci avvelena il cuore, di non esserci ben serviti delloccasione. Mi parea di aver fatto e ottenuto quanto si pote-
va e quanto io mera potuto aspettare. Conosceva per benissimo che quel piacere era stato pi torbido e incerto,
chio non me lera immaginato, ma non vedeva di poterne incolpare nessuna cosa. E ad ogni modo io mi sentiva il
cuore molto molle e tenero, e alla cena osservando gli atti e i discorsi della Signora, mi piacquero assai, e mi ammol-
lirono sempre pi; e insomma la Signora mi premeva molto: la quale nelluscire capii che sarebbe partita lindoma-
ni, n io lavrei riveduta.
Mi posi in letto considerando i sentimenti del mio cuore, che in sostanza erano inquietudine indistinta, scon-
tento, malinconia, qualche dolcezza, molto affetto, e desiderio non sapeva n so di che, n anche fra le cose possibili
vedo niente che mi possa appagare. Mi pasceva della memoria continua e vivissima della sera e dei giorni avanti, e
cos vegliai sino al tardissimo, e addormentatomi, sognai sempre come un febbricitante, le carte il giuoco la Signo-
ra; contuttoch vegliando avea pensato di sognarne, e mi parea di aver potuto notare che io non avea mai sognato di
cosa della quale avessi pensato che ne sognerei: ma quegli affetti erano in guisa padroni di tutto me e incorporati
colla mia mente, che in nessun modo n anche durante il sonno mi poteano lasciare.
Svegliatomi prima del giorno (n pi ho ridormito), mi sono ricominciati, com naturale, o pi veramente
continuati gli stessi pensieri, e dir pure che io avea prima di addormentarmi considerato che il sonno mi suole
grandemente infievolire e quasi ammorzare le idee del giorno innanzi specialmente delle forme e degli atti di perso-
ne nuove, temendo che questa volta non mi avvenisse cos. Ma quelle per lo contrario essendosi continuate anche
nel sonno mi si sono riaffacciate alla mente freschissime e quasi rinvigorite. E perch la finestra della mia stanza
risponde in un cortile che d lume allandrone di casa, io sentendo passar gente cos per tempo, subito mi sono ac-
corto che i forestieri si preparavano al partire, e con grandissima pazienza e impazienza, sentendo prima passare i
cavalli, poi arrivar la carrozza, poi andar gente su e gi, ho aspettato un buon pezzo collorecchio avidissimamente
teso, credendo a ogni momento che discendesse la Signora, per sentirne la voce lultima volta; e lho sentita.
Non mha saputo dispiacere questa partenza, perch io prevedeva che avrei dovuto passare una trista giorna-
ta se i forestieri si fossero trattenuti. Ed ora la passo con quei moti specificati di sopra, e aggiugnici un doloretto
acerbo che mi prende ogni volta che mi ricordo dei d passati, ricordanza malinconica oltre a quanto io potrei dire, e
quando il ritorno delle stesse ore e circostanze della vita, mi richiama alla memoria quelle di que giorni, vedendomi
dintorno un gran voto, e stringendomisi amaramente il cuore. Il quale tenerissimo, teneramente e subitamente si
apre, ma solo solissimo per quel suo oggetto, ch per qualunque altro questi pensieri mhanno fatto e della mente e
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degli occhi oltremodo schivo e modestissimo, tanto chio non soffro di fissare lo sguardo nel viso sia deforme (che se
pi o manco mannoi, non lo so ben discernere) o sia bello a chicchessia, n in figure o cose tali; parendomi che quel-
la vista contamini la purit di quei pensieri e di quella idea ed immagine spirante e visibilissima che ho nella mente.
E cos il sentir parlare di quella persona, mi scuote e tormenta come a chi si tastasse o palpeggiasse una parte del
corpo addoloratissima, e spesso mi fa rabbia e nausea; come veramente mi mette a soqquadro lo stomaco e mi fa di-
sperare il sentir discorsi allegri, e in genere tacendo sempre, sfuggo quanto pi posso il sentir parlare, massime ne-
gli accessi di quei pensieri. A petto ai quali ogni cosa mi par feccia, e molte ne disprezzo che prima non disprezzava,
anche lo studio, al quale ho lintelletto chiusissimo, e quasi anche, bench forse non del tutto, la gloria. E sono svo-
gliatissimo al cibo, la qual cosa noto come non ordinaria in me n anche nelle maggiori angosce, e per indizio di
vero turbamento.
Se questo amore, che io non so, questa la prima volta che io lo provo in et da farci sopra qualche conside-
razione; ed eccomi di diciannove anni e mezzo, innamorato.
E veggo bene che lamore devesser cosa amarissima, e che io purtroppo (dico dellamor tenero e sentimentale)
ne sar sempre schiavo. Bench questo presente (il quale, come ieri sera quasi subito dopo il giuocare, pensai, proba-
bilmente nato dallinesperienza e dalla novit del diletto) son certo che il tempo fra pochissimo lo guarir: e questo
non so bene se mi piaccia o mi dispiaccia, salvo che la saviezza mi fa dire a me stesso di s.
Volendo pur dare qualche alleggiamento al mio cuore, e non sapendo n volendo farlo altrimenti che collo
scrivere, n potendo oggi scrivere altro, tentato il verso, e trovatolo restio, ho scritto queste righe, anche ad oggetto
di speculare minutamente le viscere dellamore, e di poter sempre riandare appuntino la prima vera entrata nel mio
cuore di questa sovrana passione.
La Domenica 14 di Decembre 1817
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Esercizi
1. Quanti anni aveva Giacomo allepoca del primo amore?
2. Rileggendo la pagina del diario e soffermandoti sui moti dellanimo del giovane Leopadi noterai uno
strano contrasto di umori. Riportali nella griglia.
GIOIA TRISTEZZA
3. Riscrivi la pagina del diario di Giacomo come se egli fosse un educato ragazzo del XXI secolo.
4. Cosa si intende con lespressione doloretto acerbo sottolinea sul testo le parole con cui lautore cer-
ca di spiegare questo stato danimo.
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Terza sotto-unit
In questa terza terza sotto unit si vuole lavorare sulla testimonianza viva e quindi solo sui documenti, sen-
za ricorrere ad alcun cenno biografico. Cominciando con la lettera di commiato che Giacomo scrive al fratello Carlo
in seguito alla sua fuga, seguir la lettura della missiva diretta al padre nella stessa occasione. A questo punto lin-
segnante raccoglier le idee della classe, evidenziando alla lavagna i motivi che hanno spinto il poeta a scappare. La
prima parte di questa sezione si concluder poi con una amara lettera che Giacomo invier al suo amico Pietro Gior-
LA FUGA FALLITA
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dani dopo il fallimento della sua fuga. Gli alunni, dunque, memori delle due letture precenti dovranno ricavare il
perch di un tale stato danimo, partendo dalle domande: Perch lautore scrive ancora da Recanati? Giacomo feli-
ce? Perch non fa riferimento alla nuova vita intrapresa dopo la fuga? A questo punto, si lavorer sopra alcune
espressioni e parole chiave che porteranno ad una migliore comprensione dei pensieri del poeta come condizione de-
gli uomini/vanit di tutte le cose, vita/ morte, noia, disperazione, dolore, malinconia.
A CARLO LEOPARDI tratto da Storia di un'anima di Giacomo Leopardi, a cura
di Plinio Perilli, collezione "Lo scrigno", 13, Carlo Mancosu Editore, Roma 1993
Recanati: senza data, ma fine di Luglio 1819.
Mio caro. Parto di qua senzavertene detto niente, prima perch tu non sia responsabile della mia partenza
presso veruno; poi perch il consiglio giova alluomo irresoluto, ma al risoluto non pu altro che nuocere: ed io sape-
va che tu avresti disapprovata la mia risoluzione, e postomi in nuove angustie col cercare di distormene. Sono stan-
co della prudenza, che non ci poteva condurre se non a perdere la nostra giovent, ch un bene che pi non si rac-
quista. Mi rivolgo allardire, e vedr se da lui potr cavare maggior vantaggio. Tuttavia questa deliberazione non
repentina; bench fatta nel calore, ho lasciato passare molti giorni per maturarla; e non ho avuto mai motivo di pen-
tirmene. [] Ora che la legge mi fa padrone di me stesso, non ho voluto pi differire quello chera indispensabile
secondo i nostri principii. Due cagioni mhanno determinato immediatamente, la noia orribile derivata dallimpossi-
bilit della studio, sola occupazione che mi potesse trattenere in questo paese; ed un altro motivo che non voglio
esprimere, ma tu potrai facilmente indovinare. E questo secondo, che per le mie qualit s mentali come fisiche, era
capace di condurmi alle ultime disperazioni, e mi facea compiacere sovranamente nellidea del suicidio, pensa tu se
non dovea potermi portare ad abbandonarmi a occhi chiusi nelle mani della fortuna. Sta bene, mio caro, e a riguar-
do mio sta lieto, chio fo quello che doveva fare da molto tempo, e che solo mi pu condurre ad una vita se non con-
tenta, almeno pi riposata. Laonde se mami, ti devi rallegrare: e quando io non guadagnassi altro che desser piena-
mente infelice, sarei soddisfatto, perch sai che la mediocrit non per noi. Porto con me le mie carte, ma potendo
avvenire che fossero esaminate, non voglio comprometter me, e molto meno le persone che mi hanno scritto col por-
tarne qualcuna che sia sospetta. Ho separate tutte quelle di questo genere, s mie, che altrui (cio lettere scrittemi) e
postele tutte insieme sul com della nostra stanza. Ve ne sono anche di quelle che non ho voluto portare perch non
mi servivano. Te le raccomando: abbine cura e difendile: sai che non ho cosa pi preziosa che i parti della mia mente
e del mio cuore, unico bene che la natura mabbia concesso. Se verranno lettere del mio Giordani per me, aprile e
rispondi, e salutalo per mio nome, e informalo della mia risoluzione. Al Brighenti si debbono paoli 8 per la Cronica
del Compagni, paoli 3 per le Prose del Giordani, e baiocchi 16 di errore nella spedizione del danaro per lEusebio. In
tutto 1 e 36. Proccura che sia soddisfatto e, domanda perdono a Paolina se i 3 paoli che mi diede pel Giordani, e i
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baiocchi 16 per luso detto di sopra, gli ho portati con me, sperando chElla non avrebbe negato questultimo dono
al suo fratello se glielo avesse chiesto. Oh quanto avrei caro che il mio esempio servisse a illuminare nostri genitori
intorno a te ed agli altri nostri fratelli! Certissimamente ho speranza che tu sarai meno infelice di me. Addio, saluta-
mi Paolina e gli altri. Poco mi curo dellopinione degli uomini, ma se ti si dar occasione, discolpami. Voglimi eter-
namente bene, che di me puoi esser sicuro sino alla morte mia. Quando mi trovi in luogo adattato a darti mie nuo-
ve, ti scriver. Addio. Abbraccia questo sventurato. Non dubitare, non sarai tu cos. Oh quanto meriti pi di me!
Che sono io? Un uomo proprio da nulla. Lo vedo e sento vivissimamente, e questo pure mha determinato a far qucl-
lo che son per fare, affine di fuggire la considerazione di me stesso, che mi fa nausea. Finattantoch mi sono stima-
to, sono stato pi cauto; ora che mi disprezzo, non trovo altro conforto che di gittarmi alla ventura e cercar pericoli,
come cosa di niun valore. Consegna linclusa a mio padre. Domanda perdono a lui, domanda perdono a mia madre
in mio nome. Fallo di cuore, che te ne prego, e cos fo io collo spirito. Era meglio (umanamente parlando) per loro e
per me, chio non fossi nato, o fossi morto assai prima dora. Cos ha voluto la nostra disgrazia. Addio, caro, addio.
A MONALDO LEOPARDI tratto da Storia di un'anima di Giacomo Leopardi, a
cura di Plinio Perilli, collezione "Lo scrigno", 13, Carlo Mancosu Editore, Roma
1993
Recanati senza data, ma fine di Luglio 1819
Mio Signor Padre. Sebbene dopo aver saputo quello chio
avr fatto, questo foglio le possa parere indegno di esser letto, a
ogni modo spero nella sua benignit che non vorr ricusare di sen-
tir le prime e ultime voci di un figlio che lha sempre amata e lama,
e si duole infinitamente di doverle dispiacere. Ella conosce me, e co-
nosce la condotta chio ho tenuta fino ad ora, e forse, quando voglia
spogliarsi dogni considerazione locale, vedr che in tutta lItalia, e
sto per dire in tutta lEuropa, non si trover altro giovane, che nel-
la mia condizione, in et anche molto minore, forse anche con doni intellettuali competentemente inferiori ai miei,
abbia usato la met di quella prudenza, astinenza da ogni piacer giovanile, ubbidienza e sommessione ai suoi genito-
ri, chho usata io. Per quanto Ella possa aver cattiva opinione di quei pochi talenti che il cielo mi ha conceduti, Ella
non potr negar fede intieramente a quanti uomini stimabili e famosi mi hanno conosciuto ed hanno portato di me
quel giudizio chElla sa, e chio non debbo ripetere. Ella non ignora che quanti hanno avuto notizia di me, ancor
quelli che combinano perfettamente colle sue massime, hanno giudicato chio dovessi riuscir qualche cosa non affat-
to ordinaria, se mi si fossero dati quei mezzi che nella presente costituzione del mondo e in tutti gli altri tempi, so-
no stati indispensabili per fare riuscire un giovane che desse anche mediocri speranze di se. Era cosa mirabile come
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ognuno che avesse avuto anche momentanea cognizione di me, immancabilmente si maravigliasse chio vivessi tut-
tavia in questa citt, e comElla sola fra tutti, fosse di contraria opinione, e persistesse in quella irremovibilmente.
[] Molto dopo let consueta, cominciai a manifestare il mio desiderio che Ella provvedesse al mio destino,
e al bene della mia vita futura nel modo che le indicava la voce di tutti. Io vedeva parecchie famiglie di questa mede-
sima citt molto, anzi senza paragone meno agiate della nostra, e sapeva poi dinfinite altre straniere, che per qual-
che leggero barlume dingegno veduto in qualche giovane loro individuo, non esitavano a far gravissimi sacrifici
affine di collocarlo in maniera atta a farlo profittare de suoi talenti. Contuttoch si credesse da molti che il mio intel-
letto spargesse alquanto pi che un barlume, Ella tuttavia mi giudic indegno che un padre dovesse far sacrifizi per
me, n le parve che il bene della mia vita presente e futura valesse qualche alterazione al suo piano di famiglia. Io
vedeva i miei parenti scherzare coglimpieghi che ottenevano dal sovrano, e sperando che avrebbero potuto impe-
gnarsi con effetto anche per me, domandai che per lo meno mi si procacciasse qualche mezzo di vivere in maniera
adattata alle mie circostanze, senza che perci fossi a carico della mia famiglia. Fui accolto colle risa []. Io sapeva
bene i progetti chElla formava su di noi, e come per assicurare la felicit di una cosa chio non conosco, ma sento
chiamar casa e famiglia, Ella esigeva da noi due il sacrificio, non di roba ne di cure, ma delle nostre inclinazioni,
della giovent, e di tutta la nostra vita. [] Ella conosceva ancora la miserabilissima vita chio menava per le orri-
bili malinconie, ed i tormenti di nuovo genere che mi proccurava la mia strana immaginazione, e non poteva ignora-
re quello chera pi chevidente, cio che a questo, ed alla mia salute che ne soffriva visibilissimamente, e ne sofferse
sino da quando mi si form questa misera complessione, non vera assolutamente altro rimedio che distrazioni po-
tenti, e tutto quello che in Recanati non si poteva mai ritrovare. Contuttoci Ella lasciava per tanti anni un uomo
del mio carattere, o a consumarsi affatto in istudi micidiali, o a seppellirsi nella pi terribile noia, e per conseguen-
za, malinconia, derivata dalla necessaria solitudine, e dalla vita affatto disoccupata, come massimamente negli ulti-
mi mesi. Non tardai molto ad avvedermi che qualunque possibile e immaginabile ragione era inutilissima a rimuo-
verla dal suo proposito, e che la fermezza straordinaria del suo carattere, coperta da una costantissima dissimulazio-
ne, e apparenza di cedere, era tale da non lasciar la minima ombra di speranza. Tutto questo, e le riflessioni fatte
sulla natura degli uomini, mi persuasero, chio bench sprovveduto di tutto, non dovea confidare se non in me stes-
so. Ed ora che la legge mi ha gi fatto padrone di me, non ho voluto pi tardare a incaricarmi della mia sorte. []
Avendole reso quelle ragioni che ho saputo della mia risoluzione, resta chio le domandi perdono del disturbo
che le vengo a recare con questa medesima e con quello chio porto meco. [] Me ne duole sovra-namente, e questa
la sola cosa che mi turba nella mia deliberazione, pensando di far dispiacere a Lei, di cui conosco la somma bont
di cuore, e le premure datesi per farci viver soddisfatti nella nostra situazione. Alle quali io sono grato sino allestre-
mo dellanima, e mi pesa infinitamente di parere infetto di quel vizio che abborro quasi sopra tutti, cio lingratitu-
dine. [] Quello che mi consola il pensare che questa lultima molestia chio le reco, e che serve a liberarla dal
continuo fastidio della mia presenza, e dai tanti altri disturbi che la mia persona le ha recati, e molto pi le rechereb-
be per lavvenire. Mio caro Signor Padre, se mi permette di chiamarla con questo nome, io minginocchio per pre-
22
garla di perdonare a questo infelice per natura e per circostanze. Vorrei che la mia infelicit fosse stata tutta mia, e
nessuno avesse dovuto risentirsene, e cos spero che sar dora innanzi. Se la fortuna mi far mai padrone di nulla,
il mio primo pensiero sar di rendere quello di cui ora la necessit mi costringe a servirmi. Lultimo favore chio le
domando, che se mai le si dester la ricordanza di questo figlio che lha sempre venerata ed amata, non la rigetti
come odiosa, n la maledica; e se la sorte non ha voluto chElla si possa lodare di lui, non ricusi di concedergli quel-
la compassione che non si nega neanche ai malfattori.
A PIETRO GIORDANI tratto da Giacomo Leopardi. Storia di unanima. Scelta
dallEpistolario, a cura di Ugo Dotti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano
1982.
Recanati il 19 Novembre 1919
Sono cos stordito del niente che mi circonda, che non so come abbia forza di prender la penna per rispondere
alla tua del primo. Se in questo momento impazzissi, io credo che la mia pazzia sarebbe di seder sempre con gli oc-
chi attoniti, colla bocca aperta, colle mani tra le ginocchia, senza n ridere n piangere, n muovermi altro che per
forza dal luogo dove mi trovassi. Non ho pi lena di concepir pi nessun desiderio, neanche della morte, non per-
chio la tema in nessun conto, ma non vedo pi divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene pi a conso-
larmi neppure il dolore. Questa la prima volta che la noia non solamente mi opprime e stanca, ma mi affanna e
lacera come un dolor gravissimo; e sono cos spaventato della vanit di tutte le cose, e della condizione degli uomi-
ni, morte tutte le passioni, come sono spente nellanimo mio, che ne vo fuori di me, considerando ch un niente an-
che la mia disperazione.
Gli studi che tu mi solleciti amorosamente a continuare, non so da otto mesi in poi che cosa sieno, trovando-
mi i nervi degli occhi e della testa indeboliti in maniera, che non posso non solamente leggere n prestare attenzione
a chi mi legga checch si voglia, ma fissar la mente in nessun pensiero di molto o poco rilievo.
Mio caro, benchio non intenda pi i nomi damicizia e damore, pur ti prego a volermi bene come fai, ed a
ricordarti di me, e credere chio, come posso, ti amo, e ti amer sempre, e desidero che tu mi scriva. Addio
Esercizi
1. Rispondi sul quaderno alle seguenti domande
!
Per quale ragione sono state scritte le prime due lettere?
!
Quando Giacomo progetta la fuga quanti anni ha?
!
Perch lautore scrive ancora da Recanati?
!
Giacomo felice?
23
!
Qual il suo stato di salute?
!
Perch non fa riferimento alla nuova vita intrapresa dopo la fuga?
2. Raccogli le idee che hai ricavato dallesercizio 1 e scrivi in un massimo di 20 righe un segmento del-
la biografia dellautore.
3. Dopo aver riletto attentamente le lettere scritte da Giacomo al fratello, al padre e a Pie-
tro Giordani, isola nella griglia sottostante il tema: morte, vita, malinconia, dolore, con-
dizione umana. Successivamente collegali alla lettera cui si riferiscono e spiega a modo
tuo il significato che lautore ha attribuito a queste parole.
TEMI
LETTERA
SIGNIFICATO
morte
vita
malinconia
infelicit
dolore
condizione umana
24
Quarta sotto-unit
In questo particolare momento della lezione lobiettivo non vuole essere quello di entrare esaustivamente nel
mondo di Leopardi, ma solo di avvicinarsi al testo per riflettere sulle modalit con cui esso stato costruito e per
trovarvi la manifestazione dei sentimenti dell'autore. Elemento indispensabile la lettura di un passo dello Zibaldo-
ne (165/166) col quale si introducono i concetti di infinito, felicit e piacere. Per chiarire i concetti pi complessi si
distribuir una mappa concettuale. Successivamente attraverso la lettura dei sonetti lInfinito e alla Luna, linse-
gnante esegue la parafrasi e il commento.
I PRIMI IDILLI
4
25
IL CONCETTO DI INFINITO tratto da Storia di un'anima di Giacomo Leopardi, a cura di Pli-
nio Perilli, collezione "Lo scrigno", 13, Carlo Mancosu Editore, Roma 1993
[165]Il sentimento della nullit di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci l'animo, e la
tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e pi
materiale che spirituale. L'anima umana (e cos tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira
unicamente, bench sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicit, che considerandola bene, tutt'uno col
piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch' ingenita o congenita coll'esistenza, e perci
non pu aver fine in questo o quel piacere che non pu essere infinito, ma solamente termina colla vita. []Quan-
do giungi a possedere il cavallo, [166]trovi un piacere necessariamente circoscritto, e senti un vuoto nell'anima,
perch quel desiderio che tu avevi effettivamente, non resta pago. Se anche fosse possibile che restasse pago per
estensione, non potrebbe per durata, perch la natura delle cose porta ancora che niente sia eterno. []Il piacere
infinito che non si pu trovare nella realt, si trova cos nella immaginazione, dalla quale derivano la
speranza, le illusioni ec. Perci non maraviglia 1. che la speranza sia sempre maggior del bene, 2. che la felicit
umana non possa consistere se non se nella immaginazione e nelle illusioni.
Luomo tende al
piacere che L. iden-
tifica con la felicit
Luomo riprende la ricerca di un nuovo piacere
Questo desiderio e questa tendenza non hanno limi-
ti
Il piacere infinito che non si pu trovare
nella realt, si trova cos nella immagina-
zione, dalla quale derivano la speranza e
le illusioni
Luomo tende verso un infi-
nito che non riesce a com-
prendere e che non riesce a
possedere concretamente
La felicit circoscritta perch nel momento in cui
il piacere viene soddisfatto subentra il vuoto, sinto-
mo di una nuova insoddisfazione
26
L'INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di l da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Cos tra questa
Immensit s'annega il pensier mio:
E il naufragar m' dolce in questo mare.
Esercizi
1. Dove si trova il poeta e che cosa sta facendo?
!
Da quale elemento prende avvio la riflessione del poeta?
!
Quale emozione suscita su di lui limmagine spazi infiniti?
!
A che cosa viene paragonato il rumore del vento? Questo paragone quali pensieri suscita nellautore?
2. Qual il tema principale della poesia?
o La descrizione della natura
o Unesperienza damore
o Un ricordo
o Unavventura della mente
3. Dividi la poesia in quattro parti e assegna a ogni sezione un numero, indica poi per ciascuna di es-
se il tema fondamentale fra quelli posti
o rappresentazione dello spazio infinito
o descrizione di un luogo reale
o descrizione del sentimento che lInfinito suscita nel poeta
o contrapposizione tra infinito e finito
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4. Il poeta nellultimo verso sceglie il mare come metafora dellinfinito: spiega quale significato, se-
condo te, ha questa associazione, questo rapporto tra i due elementi.
5. Nella poesia c una continua opposizione tra finito/infinito, reale/immaginario, vici-
no/lontano. Questo contrasto si riflette nelluso delle parole concrete che rimandano al-
la realt finita, e di parole astratte che danno lidea dellinfinito lontano e immaginato.
Raccogli nella griglia le parole concrete e quelle astratte.
PAROLE CONCRETE
(finito, reale, vicino)
PAROLE ASTRATTE
(infinito, immaginario, lontano)
colle silenzi
siepe quiete
6. Scrivi la parafrasi e il commento
ALLA LUNA
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l'anno, sovra questo colle
Io venia pien d'angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed , n cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l'etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l'affanno duri!
28
Esercizi
1. Il testo parla di due situazioni molto simili ma non identiche: quella che il poeta vive al presente e
quella di un anno prima. Nella tabella inserisci le differenze.
LANNO PRIMA OGGI
Io venia pien dangoscia a rimirarti Il poeta non prova pi angoscia
Nebuloso e tremulo dal pianto il tuo volto apparia Il volto della luna non appare pi nebuloso e tremulo
Il ricordo non giovava al suo dolore E pur mi giova la ricordanza
2. Adesso trova gli elementi comuni alle due situazioni:
o il luogo
o lora serale
o la presenza di un amico al quale il poeta scrive
o la luna che illumina il paesaggio, in particolare un bosco sul quale sta come sospesa
o una fitta oscurit che rende cupo e misterioso il paesaggio
3. Il componimento poetico che hai letto in endecasillabi sciolti. Che cosa significa? Scegli tra le
spiegazioni seguenti:
o formato da versi di undici sillabe che non rimano tra loro
o formato da versi di undici sillabe con rime disposte in modo irregolare
o formato da versi di dodici sillabe pochi dei qual sono in rima
4. Volgi in prosa il componimento
29
Quinta sotto-unit
In questultima sotto-unita linsegnate presenta alla classe il volto dellautore al di fuori di Recanati. Stru-
mento indispensabile per conoscere a fondo il suo pensiero sono gli scambi epistolari.
Poich a questa fase appartengono anche A Silvia e il Sabato del villaggio, si ritiene opportuno presentarli
alla classe per completare il percorso conoscitivo del pensiero del poeta.
Lunit si conclude con una riflessione generale, che partir proprio da Leopardi, dal suo desiderio di gloria
e dal mancato riconoscimento tributatogli dai contemporanei. La classe dovr produrre delle considerazioni che fa-
LONTANO DA RECANATI
5
30
ranno riferimento alle esperienze personali. In questo modo si cercher di incoraggiare i ragazzi ad avere fiducia nel-
le loro possibilit, riflettendo sul fatto che non sempre il giudizio della societ valido.
Finalmente Il gran giorno era arrivato. Quel 17 novembre 1822 non fu proprio un giorno qualsia-
si per Giacomo. Una data che si sarebbe impressa indelebilmente nella sua memoria, come un anniversa-
rio. []
[] In quella mattina chiara e luminosa [] Per la prima volta, nella sua vita, il ventiquattrenne
Giacomo lasciava il borgo tanto odiato, dove si era sentito misconosciuto, deriso, imprigionato senza spe-
ranza di venirne mai fuori. Dove lo aveva relegato la volont dolcemente tirannica di suo padre Monal-
do, che, mille volte, gli aveva prospettato i pericoli del mondo e gli aveva elogiato la serenit che deriva
dal vivere sempre nello stesso posto, circondato dalle stesse persone, nel regime familiare con le sue rego-
le e i suoi piaceri. []
[] Ora il permesso tanto invocato era stato accordato. Giacomo poteva partire per Roma. Con
tanto ritardo rispetto allet intraprendeva il viaggio di educazione sentimentale e intellettuale che i nobi-
li di provincia concedevano ai propri figli.
A Roma lo avrebbe protetto una seconda famiglia, quella dello zio Carlo Antici [].
[] La partenza provoc un gran trambusto familiare, tutti erano commossi. E ognuno aveva il
suo modo di dimostrarlo, secondo il suo temperamento. Adelaide fu di poche parole, brusca, vera madre
incapace di slanci. Forse ripet al figlio la raccomandazione che gli aveva gi fatto, che non le scrivesse.
Per una donna come lei, dispotica, le lettere erano una forma di spreco sentimentale, un di pi che non
poteva concedere allintimit dei rapporti familiari.
[] Paolina era agitata, in preda a un gran dolore per il distacco dal fratello, un avvenimento dav-
vero eccezionale per la monotonia della vita comunitaria. []
[] Soltanto Carlo visse tragicamente levento, con quellenfasi emotiva che era un suo dato carat-
teriale. Abbracci convulsamente il fratello, gli disse addio, cerc di distrarsi, di pensare ad altro
7
. []
A CARLO LEOPARDI tratto dalla lettera scritta da Roma il 25 Novembre 1822, in Giacomo Leo-
pardi. Storia di unanima. Scelta dallEpistolario, a cura di Ugo Dotti, Biblioteca Universale Rizzoli,
Milano 1982.
Carlo mio. Se tu credi che quegli che ti scrive sia Giacomo tuo fratello, tinganni assai, perch questi morti-
to, e in sua vece resta una persona che a stento si ricorda il suo nome. Credi, Carlo mio caro, che io son fuori di me,
non gi per la maraviglia [] e delle gran cose che io vedo, non provo il menomo piacere, perch conosco che sono
maravigliose, ma non lo sento, e taccerto che la moltitudine e la grandezza loro m venuta a noia dopo il primo
giorno. []
[] Ma giunto chio sono, e veduto questo orrendo disordine, confusione, nullit, minutezza insopportabile
e trascuratezza indicibile, e le altre spaventevoli qualit che regnano in questa casa; e trovatomi intieramente solo e
nudo in mezzo ai miei parenti (bench nulla mi manchi), ti giuro, Carlo mio, che la pazienza e la fiducia in me stes-
so, le quali per lunghissima esperienza mi eran sembrate insuperabili e inesauribili, non solamente sono state vinte,
ma distrutte. Come inespertissimo delle strade, io non posso uscir di casa, n recarmi in alcun luogo, n restarvi,
31
7
Minore R., ibidem, Milano 1997, pp. 71-73.
senza la compagnia di qualcuno della famiglia; e conseguentemente, per quanta forza io voglia fare in contrario, so-
no affatto obbligato a far la vita di casa antici. []
[] Insomma io sono in braccio di tale malinconia, che di nuovo non ho altro piacere che il sonno: e questa
malinconia, e lessere sempre esposto al di fuori, tutto al contrario della mia antichissima abitudine, mabbatte ed
estingue tutte le mie facolt []
[] Senti, Carlo mio, se potessi esser con te, crederei di poter anche vivere, riprenderei un poco di lena e di
coraggio, spererei qualche cosa, e avrei qualche ora di consolazione. In verit io non ho compagnia nessuna: ho per-
duto me stesso; e gli altri che mi circondano non potranno farmi compagnia in eterno. Scrivimi distesamente erag-
guagliami a parte a parte dello stato dellanimo tuo, intorno al quale ho molti dubbi che mi straziano. Amami, per
Dio. Ho bisogno damore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita: il mondo non mi par fatto per me: ho trovato il
diavolo pi brutto assai di quello che si dipinge. Le donne romane, alte o basse, fanno propriamente stomaco: gli uo-
mini fanno rabbia e misericordia. [].
CITT GRANDI E CITT PICCOLE tratto dalla lettera a Paolina Leopadi scritta da Roma il 6 Dicem-
bre 1822, in Giacomo Leopardi. Storia di unanima. Scelta dallEpistolario, a cura di Ugo Dotti, Biblio-
teca Universale Rizzoli, Milano 1982.
Luomo non pi assolutamente vivere in una grande sfera, perch la sua forza o facolt di rapporto limitata.
In una piccola citt ci possiamo annoiare, ma alla fine i rapporti delluomo alluomo e alle cose, esistono, perchla
sfera de medesimi rapporti ristretta e proporzionata alla natura umana. In una grande citt luomo vive senza
nessunissimo rapporto a quello che lo circonda, perch la sfera cos grande, che lindividuo non la pu riempi-
re,non la pu sentire intorno a s, e quindi non vha nessun punto di contatto tra essa e lui. Da questo potere con-
getturare quanto maggiore e pi terribile sia la noia che si prova in una grande citt, di quella che si prova nelle cit-
t piccole: giacch lindifferenza, quellorribile passione, anzi spassione, delluomo, ha veramente e necessariamente
la sua principal sede nelle grandi citt, cio nelle societ molto estese. La facolt sensitiva delluomo, in questi luo-
ghi si limita al solo vedere. Questa lunica sensazione degli individui, che non si riflette in nessun modo nellinter-
no. Lunica maniera di poter vivere in una citt grande, e che tutti, presto o tardi, sono obbligati a tenere, quella
di farsi una piccola sfera di rapporti, rimanendo in piena indifferenza verso tutto il resto della societ. Vale a dire,
fabbricarsi dintorno come una piccola citt, dentro la grande []
LA TOMBA DEL TASSO tratto dalla lettera a Carlo Leopardi scritta da Roma il 20 Febbraio 1823, in
Giacomo Leopardi. Storia di unanima. Scelta dallEpistolario, a cura di Ugo Dotti, Biblioteca Univer-
sale Rizzoli, Milano 1982.
32
Venerd 15 febbraio 1823 fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo il primo e lunico piacere che
ho provato in Roma. La strada per andarvi lunga, e non si va a quel luogo se non per vedere questo sepolcro; ma
non si potrebbe anche venire dallAmerica per gustare il piacere delle lagrime lo spazio di due minuti? pur certis-
simo che le immense spese che qui vedo fare non per altro che per proccurarsi uno o un altro piacere, sono tutte
quante gettate allaria, perch in luogo del piacere non sottiene altro che noia. Molti provano un sentimento dindi-
gnazione vedendo il cenere del Tasso, coperto e indicato non da altro che da una pietra larga e lunga circa un palmo
e mezzo, e posta in un cantoncino duna chiesuccia. Io non vorrei in nessun modo trovar questo cenere sotto un
mausoleo. Tu comprendi la gran folla di affetti che nasce dal considerare il contrasto fra la grandezza del Tasso e
lumilt della sua sepoltura. Ma tu non puoi avere idea dun altro contrasto, cio di quello che prova un occhio av-
vezzo allinfinita magnificenza e vastit de monumenti romani, paragonandoli alla piccolezza e nudit di questo
sepolcro. Si sente una trista e fremebonda consolazione pensando che questa povert pur sufficiente ad interessare
e animar la posterit laddove i superbissimi mausolei, che Roma racchiude, si osservano con perfetta indifferenza
per la persona a cui furono innalzati, della quale o non si domanda neppur il nome, o si domanda non come nome
della persona ma del monumento. Vicino al sepolcro del Tasso quello del poeta Guidi, che volle giacere prope ma-
gnos Torquati cineres, come dice liscrizione. Fece molto male. Non mi rest per lui nemmeno un sospiro. Appena
soffrii di guardare il suo monumento, temendo di soffocare le sensazioni che avevo provate alla tomba del Tasso. An-
che la strada che conduce a quel lungo prepara lo spirito alle impressioni del sentimento. tutta costeggiata di case
destinate alle manifatture, e risuona dello strepito de telai e daltri tali istrumenti, e del canto delle donne e degli
operai occupati al lavoro.
Esercizi
1. Cosa pensa Giacomo di Roma? La citt eterna come se la aspettava?
2. Come si trova lautore nella casa dello zio Carlo Antici?
3. Ritrova nella lettera inviata al fratello Carlo, la parola precisa con cui lautore esprime la sua tristezza
e il disagio della lontananza.
4. Qual il rimedio che lautore ipotizza per non essere alienato dalla vita nella grande citt? Fai un con-
fronto con la tua epoca. Pensi che questo sistema sia applicabile ancora oggi?
5. Qual il primo e lunico piacere provato dallautore durante la sua permanenza a Roma?
33
PISA tratto dalla lettera a Paolina Leopardi scritta da Pisa il 12 Novembre 1827, in Giacomo Leopardi.
Storia di unanima. Scelta dallEpistolario, a cura di Ugo Dotti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano
1982.
Sono rimasto incantato di Pisa per il clima: se dura cos, sar una
beatitudine. [] Laspetto di Pisa mi piace assai pi di quel di Firenze:
questo lungArno e uno spettacolo cos bello, cos ampio, cos magnifico,
cos gaio, cos ridente, che innamora: non ho veduto niente di simile n a
Firenze n a Milano n a Roma; e veramente non so se in tutta lEuropa
si trovino molte vedute di questa sorta. Vi si passeggia poi nellinverno
con gran piacere, perch v quasi unaria di primavera: sicch in certe
ore del giorno quella contrada piena di mondo, pienna di carrozze, di
pedoni:vi si sentono parlare dieci o venti lingue:vi brilla un sole bellissi-
mo tra le dorature dei caff, delle botteghe piene di galanterie, e nelle inve-
triate dei palazzi e delle case, tutte di bella architettura. Nel resto, poi,
Pisa un misto di citt grande e di citt piccola, di cittadino e di villerec-
cio, un misto cos romantico, che non ho veduto altrettanto. A tutte le altre bellezze, si aggiunge la bella lingua. E
poi vi si aggiunga che io, grazie a Dio, sto bene; che mangio con appetito; che ho una camera a ponente, che guarda
sopra un grandorto, con una grande apertura, tanto che si arriva a veder lorizzonte, cosa di cui bisogna dimenti-
carsi a Firenze.
A SILVIA
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando belt splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di giovent salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Cos menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
34
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perch non rendi poi
Quel che prometti allor? perch di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
N teco le compagne ai d festivi
Ragionavan d'amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'et mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
INTORNO A TERESA FATTORINI
35
Ma veramente una giovane dai 16 ai 18 anni ha
nel suo viso, ne' suoi moti, nelle sue voci, salti ec. un
non so che di divino, che niente pu agguagliare. Qua-
lunque sia il suo carattere, il suo gusto; allegra o malin-
conica, capricciosa o grave, vivace o modesta; quel fiore
purissimo, intatto, freschissimo di giovent, quella spe-
ranza vergine, incolume che gli si legge nel viso e negli
atti, o che voi nel guardarla concepite in lei e per lei;
quell'aria d'innocenza, d'ignoranza completa del male,
delle sventure, de' patimenti; quel fiore insomma, quel primissimo fior della vita; tutte queste cose, anche senza in-
namorarvi, anche senza interessarvi, fanno in voi un'impressione cos viva, cos profonda, cos ineffabile, che voi
non vi saziate di guardar quel viso, ed io non conosco cosa che pi di questa sia capace di elevarci l'anima, di tra-
sportarci in un altro mondo, di darci un'idea d'angeli, di paradiso, di divinit, di felicit. Tutto [4311]questo, ripe-
to, senza innamorarci, cio senza muoverci desiderio di posseder quell'oggetto. [] Del resto se a quel che ho detto,
nel vedere e contemplare una giovane di 16 o 18 anni, si aggiunga il pensiero dei patimenti che l'aspettano, delle
sventure che vanno ad oscurare e a
spegner ben tosto quella pura gioia,
della vanit di quelle care speranze,
della indicibile fugacit di quel fiore,
di quello stato, di quelle bellezze; si
aggiunga il ritorno sopra noi medesi-
mi; e quindi un sentimento di compassione per quell'angelo di
felicit, per noi medesimi, per la sorte umana, per la vita, (tutte
cose che non possono mancar di venire alla mente), ne segue un
affetto il pi vago e il pi sublime che possa immaginarsi.
Esercizi
1. Rispondi alle seguenti domande:
!
Nella seconda e nella terza strofa Leopardi descrive un momento della sua giovinezza e di quella di
Silvia. Come trascorrevano le giornate Silvia e il poeta?
!
Il ricordo del poeta si colloca in una precisa stagione dellanno. Quale?
!
Quale sentimento lo coglie quando ricorda la speranza che lo animava da giovane?
!
Che cosa accade a Silvia e che corrispondenza c tra il destino della ragazza e quello del poeta?
36
2. La figura di Silvia acquista nella poesia un valore simbolico, rappresenta cio una realt astratta.
Secondo te Silvia simboleggia:
o La speranza nel futuro o Il dolore o Lamore
o Lillusione destinata a morire o La morte o Il destino umano
3. Nei versi 36-39 (O natura, o naturafigli tuoi?) espresso il senso profondo del pensiero di Leo-
pardi. Scegli la frase che lo esprime meglio:
!
Luomo non riesce nemmeno a immaginare la sua felicit
!
La natura promette alluomo la felicit e poi lo delude non concedendogliela
!
Luomo un essere profondamente infelice
4. Nella poesia ci sono molti termini di derivazione latina (latinismi), o comunque di uso non corren-
te. Sai tradurli nel linguaggio attuale?
Rimebri________________ Tornami_______________ Splendea______________
Doler__________________ Limitare________________ Pria__________________
Opre__________________ Verno__________________ Splendea______________
Morbo_________________ Veroni_________________ Ostello________________
Porgea_________________ Molceva________________ Quinci_______________
Negre__________________ Fato___________________ Teco_________________
Sovviemmi______________ Peria__________________ Speme_______________
5. Volgi in prosa il testo e sucessivamente scrivi il commento
IL SABATO DEL VILLAGGIO
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al d di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
37
Incontro l dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai d della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'et pi bella.
Gi tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Gi da' colli e da' tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla d segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e l saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al d del suo riposo.
Poi quando intorno spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette il pi gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier far ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta et fiorita
come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
Esercizi
1. Rispondi alle seguenti domande
!
La poesia si apre con la descrizione di alcuni abitanti del villaggio colti in un momento particolare
della loro giornata. Di quali personaggi si tratta e che cosa stanno facendo?
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!
In quale momento della giornata si svolgono gli avvenimenti descritti dal poeta? Sottolinea i versi
da cui hai tratto la risposta.
!
Che cosa annuncia il giorno di festa che sta per arrivare? Quale sentimento suscita questo segnale?
!
Perch il poeta afferma che il sabato il giorno pi lieto? Da che cosa viene rattristata la domenica?
!
A chi si rivolge il poeta nellultima strofa?
!
La poesia si divide in una parte descrittiva e in una riflessiva. Quali versi sono dedicati alla descrizio-
ne e quali alla riflessione?
2. Con quale sentimento il poeta osserva e descrive gli abitanti del villaggio?
o disincanto o antipatia o malinconia
o simpatia o affetto o pena
3. Prova ad esprimere con parole tue il messaggio fondamentale della poesia e indica i versi in cui
racchiuso.
4. Nella poesia puoi riscontrare molte forme diminutivo-vezzeggiative: elencale e spiega perch, a tuo
parere, il poeta ne fa uso.
5. Scrivi la parafrasi e il commento
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