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Kriya Yoga: sintesi di un’esperienza personale

Autore: Ennio Nimis

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PRIMA PARTE: RICERCA DEL KRIYA

I/01 Autodidatta p.3


I/02 Un'organizzazione di Kriya p.18
I/03 Difficoltà con lo studio del Kriya per corrispondenza p.29
I/04 Assenza di respiro p.43
I/05 Ricerca del Kriya originale p.56
I/06 Sguardo alla vera natura del Kriya p.73
I/07 Fine di un'epoca p.88

SECONDA PARTE: CONDIVISIONE DELLE TECNICHE KRIYA

II/01 Forma base del primo Kriya p.111


II/02 Kriya superiori p.130
II/03 Diverse scuole di Kriya p.141

TERZA PARTE: PIANO DIDATTICO IN SEI FASI

III/01 Inizio p.161


III/02 Visione teorica del Kriya Yoga p.175
III/03 Verso la piena esperienza del Kriya p.188
III/04 Kriya delle cellule p.208
Appendice 1 Alcune note sulle routine ad incremento progressivo p.217
Appendice 2 Le quattro fasi della Alchimia Interiore p.228

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PRIMA PARTE: RICERCA DEL KRIYA

CAPITOLO I/01 AUTODIDATTA

La mia ricerca spirituale cominciò quando, affascinato in modo


inesplicabile dalle persone sedute nella "posizione del loto", comprai un libro
introduttivo allo Yoga classico. Il fatto di poter fare qualcosa d’importante
senza muovermi da alcuna parte, senza i rischi e i pericoli degli sport classici,
mi attraeva: lo Yoga mi appariva come un’arte, la più perfetta di tutte, che non
presentava dei limiti intrinseci.
Avevo quindici anni, frequentavo il liceo, quando incominciai a nutrire grandi
speranze nei confronti di «certe pratiche orientali». Un compagno di scuola
mi disse di possedere un testo dove erano spiegati, in tutti i dettagli, varie
forme di Pranayama, aggiungendo che: «questi esercizi ti trasformano
dentro...». Cosa poteva significare ciò? Non poteva certo riferirsi al solo
conseguimento di particolari condizioni di rilassamento o di concentrazione;
sicuramente non alludeva all’aderire ad una particolare filosofia o a mutare la
propria concezione della vita, ma intendeva qualcosa di più coinvolgente.
L'amico non si decise a prestarmi il libro e dopo alcuni giorni non ci pensai
più.
Per quanto riguarda altre letture, a differenza dei miei coetanei, prediligevo
testi poetici, in particolare quelli che trattavano di temi che potevo collocare
idealmente entro la cornice della vita campestre in cui vivevo parte del mio
tempo libero.
In quei giorni, quando vissi dal punto di vista affettivo qualcosa di intenso
che percepivo come una difficile sfida, verso cui la mia emotività imprudente
mi spingeva a fare dei passi che si rivelarono distruttivi, intrapresi il rito
quotidiano di ascoltare musica classica, soprattutto Beethoven.1
Durante lunghe passeggiate in mezzo alla natura, l'improvvisa vista di un
paesaggio così bello da togliere il respiro, accompagnato da un brano della
musica di Beethoven, la quale non aveva mai smesso di risuonare nella mia
mente e che ora era udita con più grande intensità a causa della febbre di
quello shock estetico, afferrava l'anelito del mio cuore, cancellava ogni
immagine dalla mia mente e mi concedeva un perfetto godimento entro un

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Lo studio della vita di Beethoven fu nutrimento per la mia anima. Egli estrasse dalle
profondità del suo essere una musica incomparabile da offrire ai suoi fratelli,
all’umanità. La tragedia della sordità lo colpì nel pieno della stagione creativa. Reagì in
modo dignitoso decidendo di portare avanti, in condizioni quasi impossibili, la
vocazione artistica. Il tremendo impatto della sua coraggiosa decisione si può trovare
nel Testamento di Heiligestadt.

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ebbro ideale di perfezione.
Il mio atteggiamento verso quella realtà che prendeva possesso della mia
anima assunse gradatamente un tratto distintivo di profonda riverenza.

Tecnica del vuoto mentale

Un giorno un semplice testo, Yoga in 20 lezioni, esposto presso l’edicola


della stazione ferroviaria, attirò la mia attenzione. Lo acquistai d'impulso. In
un angolo della nostra palestra, durante le lezioni di Educazione Fisica, dopo
gli esercizi preliminari di riscaldamento, l’insegnante mi dava il permesso di
separarmi dai compagni di classe – che si divertivano con qualche gioco di
squadra – e di dedicarmi a padroneggiare alcune posizioni di Yoga (Asana).
L’insegnante era stupefatto nell’osservare come riuscissi a muovere i muscoli
addominali per mezzo della tecnica Nauli.
Obiettivamente parlando, il mio libro di riferimento sullo Yoga non era di
qualità mediocre: c'era, insieme a ogni posizione (Asana), il chiarimento del
significato del nome che la designava, una breve annotazione sul miglior
atteggiamento mentale nei confronti della pratica e molte considerazioni su
come ciascuna poteva stimolare certe particolari funzioni fisiologiche
(importanti ghiandole endocrine ecc.). Era chiaro che queste posizioni non
dovevano essere considerate come un semplice "lavoro di stretching", ma
come un mezzo per fornire uno stimolo complessivo a tutti gli organi interni
per aumentarne la vitalità. Il senso di benessere, percepito alla fine della
sessione parlava in favore dell’utilità di questa pratica.
Un capitolo intero era dedicato alla "Posizione del cadavere", Savasana, da
praticarsi per ultima. Questa istruzione rivelava che l'autore ci aveva aggiunto
qualche cosa appresa in altri contesti. Strutturata con gran cura, tale
spiegazione divenne infatti la mia prima lezione di meditazione.
Il testo non perdeva di vista ciò cui mirava (come faceva invece la
maggioranza di libri che trattavano temi analoghi, attraverso complicate
dissertazioni sulle più svariate forme di energia all'interno del corpo ecc.) ma,
con un linguaggio tipicamente occidentale, presentava l’interessante
possibilità di fermare tutte le funzioni mentali e, senza cadere nello stato di
sonno, rimanere per un certo tempi in uno stato di pura consapevolezza.
Sottolineava così la possibilità di porre a riposo le facoltà pensanti e ricaricare
di fresca energia il nostro sistema psico-fisico.
Fui attratto dalla esagerata promessa che, in venti minuti, tale pratica avrebbe
fornito un riposo mentale equivalente a tre ore di sonno.
Tale esercizio si rivelò, per molte ragioni, essenziale; grazie ad esso, verificai
una volta per tutte la differenza, tuttora cruciale per la mia comprensione del
Kriya Yoga, tra "mente" e "consapevolezza".

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La posizione da assumere era quella supina, le braccia distese lungo i lati
del corpo e una benda per coprire gli occhi, onde non essere disturbati dalla
luce. Dopo due o tre minuti di quiete, l'esercizio cominciava con
l'affermazione mentale: «sono rilassato, sono calmo, non penso a niente».
Quindi, per entrare nello stato definito dall'autore "vuoto mentale", era
necessario portare avanti una sola azione: dare una forma visiva ai pensieri,
spingendoli via, uno per volta, come se «una mano interna li trasportasse
dolcemente dal centro dello schermo mentale verso la sua periferia». Tutti i
pensieri, senza eccezioni, dovevano essere messi da parte, anche il pensiero di
star praticando una tecnica.
Per eseguire correttamente questo processo delicato era essenziale "vedere"
ogni pensiero, anche se questo aveva caratteristiche astratte. Non si doveva
mai irritarsi per i nuovi pensieri, ma, visualizzandoli come un oggetti, li si
spostava da parte mettendoli come "in attesa", impedendo così che
sviluppassero, a loro volta, un’ulteriore catena di altri pensieri.
Dopo aver spinto via ciascun pensiero si ritornava al centro, tra le sopracciglia
(Kutastha) e ci si distendeva in qualcosa che era come un lago di pace. In tal
modo il potere di spingere da parte altri pensieri che avrebbero bussato alle
porte dell’attenzione sarebbe aumentato.
Quando in certe occasioni – che seguivano episodi di forte disturbo emotivo –
il meccanismo non voleva mettersi in moto, allora si trasformava la propria
concentrazione in un piccolo ago che continuava a toccare istante dopo istante
la zona tra le sopracciglia: ad un certo punto la fatica impiegata in tale atto
scompariva e un rilassamento simile allo stato che precede il sonno
sopraggiungeva.
Dopo alcuni minuti, la situazione era la seguente: mentre una parte dell'essere
assorta nel Kutastha, godeva di un piacevole senso di riposo, un'altra parte,
che si trovava alla periferia della precedente, caratterizzata come da un
tranquillo tremolio, osservava passivamente un processo di creazione
d’indefinite immagini. La consapevolezza rimaneva così ferma e tranquilla
per alcuni minuti.
Nella mia esperienza questo stato non durava più di 10 o 15 minuti e
l'esercizio, nella sua totalità, preparazione compresa, non superava i 25-30
minuti.
La tecnica finiva inevitabilmente in un modo strano: lo stato di calma
profonda era interrotto dal pensiero che l'esercizio dovesse essere ancora
intrapreso, alla qual cosa il corpo reagiva con un fremito e il cuore batteva più
veloce. Quindi appariva la consapevolezza che esso era stato portato
perfettamente a termine.
Da bravo studente, usai tale mezzo per riposare, di pomeriggio, tra una

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sessione di studio e quella successiva e cominciai ad affezionarmi ad esso.

Decisione di estendere la dinamica di questa tecnica alla vita pratica.

Quanto stavo sperimentando non mi lasciava indifferente; era interessante


osservare il modo in cui il processo mentale poteva essere momentaneamente
arrestato, il modo in cui la sua apparente consistenza si affievoliva mentre uno
stato di pura consapevolezza, autonoma da contenuti, contrassegnata da una
costante continuità nascesse. Intuii che questo stato particolare era la mia più
vera essenza. Il Cartesiano: «Penso dunque sono», gradualmente divenne: «Se
non sono in grado di dominare il meccanismo del pensiero al punto di poterlo
fermare a volontà, non posso dire di esistere realmente».
Provai ad estendere le dinamiche essenziali di questa tecnica alla vita
pratica, applicando la stessa disciplina ai pensieri specialmente nei momenti
di inattività.
Cruciale fu quel momento della mia vita e ciò che avvenne mi sorprese:
cercando il silenzio mentale (come lo chiamava Sri Aurobindo) entrai in una
specie di vuoto gelido. Talvolta, la mia vita sembrava come un'isola che
emergeva da un oceano di dolore. Non fu facile sostenere la sfida di quel cupo
e depresso stato d'animo, ma la lezione che ne ricavai fu oro puro.

Applicare questa disciplina e disperdere il fumo dei nostri pensieri


significa non solo ottenere uno stato di silenzio, pace, rilassamento ma anche
vedere con chiarezza un fatto che ci riguarda intimamente.
Scopriamo impietosamente la perversa situazione che caratterizza il nostro
modo di vivere e che si rivela come la causa primaria della nostra miseria.
Nello specchio della nostra introspezione resa limpida e non distorta,
cominciamo a vedere l'influenza enorme che la ricerca di una continua
iniezione di piccoli piaceri, inutili e pericolosi ha sulla nostra vita. Capiamo il
grado di dipendenza da certe abitudini. Ne abbiamo a dozzine, da
apparentemente innocenti come il bere bibite zuccherate, che pian piano mina
la nostra salute, a più complicate, costose e cerebrali. Afferrarsi testardamente
alle vecchie abitudini è una delle cause che creano una rottura delle relazioni
umane o un netto deterioramento di esse.
Quando siamo abbastanza lucidi per concepire un modo alternativo di vivere e
liberarci da tutto questo spreco di energia, dopo avere respirato per alcune ore
la limpida, scintillante, celestiale euforia della libertà, incontriamo con una
resistenza significativa. Rinunciare ad una abitudine è come subire una morte
interiore.
Ciascun piacere derivato dalle nostre abitudini è avvolto, e nobilitato in modo
inaspettato da una rete di pervicaci emozioni. I nostri sentimenti sembrano

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cospirare ad ingannarci in modo che noi portiamo avanti in perpetuo,
difendendola audacemente da ogni attacco, la causa del nostro continuo
impoverimento. Il fascino ipnotico di questa forza è grande, ma non abbiamo
alternative: a meno che non vogliamo creare uno dopo l'altro tutti i possibili
fallimenti, dobbiamo fermare l'agonia di questa situazione perversa.
La vita richiede duri sacrifici, mollare la presa su certe situazioni e volgere il
nostro cuore verso nuovi schemi di vita.
Sebbene la nostra disciplina è percepita come una agghiacciante inutile
tortura, se accettiamo il suo apparente dolore, scopriremo che dura poco.

Morirò per vivere!

Durante il mio primo anno all'università, mentre scivolavo


inesorabilmente nell'abitudine di nutrirmi continuamente di innumerevoli
memorie di speranze perdute, e continuavo a rubare ore al tempo che avevo
programmato per lo studio per leggere i classici Romantici, un fatto
particolare mi spinse di nuovo verso la piena applicazione di quella severa
disciplina che riguardava i pensieri.
Un amico mi "iniziò" alla seconda Sinfonia di Mahler Resurrezione. Avendo
cercato di penetrare il suo significato leggendo tutto quello che potevo trovare
su di essa, la ascoltavo rapito nella quiete della mia stanza. Dopo molti
entusiasti ascolti integrali, mi ritornava in mente durante il giorno. Cresceva,
si amplificava nei momenti di pace, espandendo gli stati elevati della mia
mente.
Le parole «Sterben werd ich, um zu leben!» - Morirò per vivere! -, scritte
dallo stesso Mahler e cantate dal coro nell'ultimo movimento sinfonico, erano
un'eco chiara al mio progetto. Esse divennero come un filo attorno al quale il
mio pensiero si cristallizzò, mentre il fascino dell’intera opera ripristinò in un
modo chiaro una visione d’infantile bellezza.
«Was du geschlagen, zu Gott wird es dich tragen!» (Quello che tu stesso ti sei
guadagnato, ti porterà a Dio!) così finiva la poesia.
Così lo interpretavo: «Il fatto stesso che hai continuato a lottare,
incessantemente, ti ricompenserà con la immersione finale nella Luce».
Sebbene avessi letto su Reincarnazione, Karma, Dharma, Maya e simili, non
era possibile aderire "ipso facto" a questo modo orientale di pensare; in quel
periodo di svolta della mia vita, ricevetti aiuto invece dalla suggestione creata
da quel brano musicale.
Ero determinato a rifiutare il "conforto" dei pensieri, fioche luci della mente,
tremolanti nella notte dell'incertezza; ero deciso a porre la parola fine a tutto
ciò che non era vero, volevo incontrare la verità assoluta, senza fronzoli -
non importa quale fosse – ed ero pronto ad attraversare con gli occhi ben

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aperti un vasto territorio di dolore. Mentre intensificavo il mio sforzo,
continuavo a ripetere entro di me: «Morirò per vivere»!
Un giorno attraverso un sentiero mal tracciato, raggiunsi un posto su
un'altura: il pensiero fisso era cosa avrei dovuto fare negli anni a venire onde
tenere vivi i miei ideali. Mi venne l'idea di riprendere con più serietà di un
tempo la pratica dello Hatha Yoga. Considerando i benefici per la salute, per
la memoria ecc. pensai che potesse essere un grande aiuto.
Acquistai il libro di B.K.S. Yengar Teoria e pratica dello Yoga.
Per un mese, circa un'ora al giorno volava via in una piacevole disciplina.
Alla fine del libro c'era una breve introduzione sul luminoso potere del
Pranayama. Delle annotazioni prudenziali invece di smorzare il mio
entusiasmo e guidarmi ad una estrema prudenza, mi accesero invece
un'infuocata volontà di praticarlo intensamente.
Vi trovai questo brano: «Il martello pneumatico può spezzare la roccia più
dura. Nel Pranayama lo yogi usa i suoi polmoni come uno strumento
pneumatico. Se esso non è usato propriamente, esso distrugge sia lo strumento
stesso sia la persona che lo usa. La pratica scorretta crea una sollecitazione
impropria nei polmoni e nel diaframma. Il sistema respiratorio ne soffre e il
sistema nervoso è colpito negativamente. Le stesse basi della salute fisica e
mentale verrà scossa da un pratica erronea del Pranayama».
Quando lessi quelle linee, un lampo improvviso pose il silenzio e la quiete nel
mio essere. Tale avvertimento prudenziale portò il mio interesse alla
esasperazione, proprio per il fatto che quanto cercavo di raggiungere era
qualsiasi cosa che producesse un cambiamento nel mio intimo. Avevo
bisogno di una qualsivoglia "miscela esplosiva" per sopraffare le resistenze
interne; persino un "terremoto interno" era da preferirsi alla presente
situazione. Forse attraverso quella disciplina avrei potuto imparare il segreto
per «morire a me stesso».
Una citazione dalla Bhagavad Gita colpì la mia immaginazione: «(Lo yogi)
conosce l'eterna gioia, quella che è al di là del confine dei sensi e che la
ragione non può afferrare. Abita in questa realtà e non si allontana da essa. Ha
trovato il tesoro dei tesori. Non c'è nulla più grande di questo. Colui che lo ha
raggiunto non sarà toccato dal più grande dei dolori. Questo è il vero
significato dello Yoga – una liberazione dal contatto col dolore e con la
disperazione.»
Ero veramente emozionato, non avevo mai letto nulla di simile! Ripetevo
spesso tale frase a quegli amici cui ritenevo di poter trasmettere il mio
entusiasmo.

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Pranayama

Non è un compito difficile capire che gli esercizi di respirazione non sono
volti ad allenare i muscoli del torace, fortificare il diaframma o creare delle
condizioni particolari d’ossigenazione di sangue ma ad agire sull'energia -
Prana - presente nel nostro sistema psicofisico.
Durante tale pratica, si cerca di percepire i flussi d’energia attraverso canali
sottili chiamati Nadi. I principali sono Ida, che fluisce verticalmente lungo il
lato sinistro della colonna spinale - si dice che possieda una natura femminile
- e Pingala - di natura maschile - che fluisce parallelamente alla precedente.
Nel mezzo fluisce Sushumna, al di là della dualità collegata alle Nadi laterali.
Non è difficile pensare che tali canali, proprio come i tubi che conducono
l'acqua nelle case, possano essere "arrugginiti", "sporchi", "ostruiti" e che
questo fatto implichi una diminuzione della vitalità nel corpo. L'ammontare
dell’"immondizia" nelle Nadi può essere collegata a disarmonia e conflitti
nella nostra disposizione d’animo; pulendo questi canali attraverso le tecniche
di Pranayama si ottiene una trasformazione interiore che si rifletta anche sulla
personalità.
Ci sono momenti nella nostra vita nei quali ci sentiamo più esteriorizzati, altri
in cui avviene il contrario; in una persona sana quest’alternanza significa un
equilibrio tra una vita di rapporti positivi ed un contatto sereno con la
profondità del proprio essere. Sfortunatamente, molte persone non possiedono
tale armonia. Le persone troppo introverse tendono a perdere il contatto con la
realtà. La conseguenza è che le vicissitudini della vita sembrano coalizzarglisi
contro onde minare la loro pacifica padronanza di sé. Le persone troppo
estroverse tradiscono fragilità nel fare i conti con quello che sale dal regno
subcosciente e possono dover affrontare dei momenti inaspettati di angoscia.
Attraverso la pratica del Pranayama, specificamente la varietà a narici-
alternate, tali tendenze opposte verranno, almeno temporaneamente,
equilibrate.
In pratica, ci sarà più gran consapevolezza emotiva, criteri più precisi di
valutazione e più abilità di elaborare le informazioni, più grande intelligenza
operativa. Da questa più efficiente sinergia tra pensiero e affettività, ne verrà
un’emozionalità più intensa e calibrata ed un pensiero logico più chiaro,
preciso e completo. Da quest’equilibrio può nascere l'intuizione che permette
di scavalcare la logica sequenziale del pensiero razionale ed affrontare al
meglio quei momenti della vita in cui si prendono le importanti decisioni.
Quando s’incominciano a percepire i primi buoni effetti derivanti dalla
pratica, la persona è incoraggiata a persistere, andando anzi sempre più in
profondità, cercando "qualcosa di più". Questo "di più" è l’attivazione della
corrente Sushumna che, fluendo, crea un'esperienza di gioia, felicità,

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esaltazione. Questo è l’inizio vero e proprio dell’avventura "mistica", un
processo che si mette in moto nonostante il soggetto potrebbe non avere alcun
barlume sul significato di tale esperienza.

Routine di base:

[a] Nadi Sodhana

È importante, prima di cominciare l'esercizio, pulire le narici così che il


respiro possa fluire liberamente. Questo può essere fatto usando acqua,
inalando essenza d’eucalipto e soffiandosi il naso. Talvolta qualcuno si
lamenta del fatto che una delle due narici è sempre ostruita: questo è un
problema medico che va preso nella dovuta considerazione. Se l’ostruzione è
causata da un serio raffreddore, non si dovrebbe praticare nessun esercizio di
Pranayama.
Per incominciare, la bocca deve essere chiusa, la narice destra deve essere
tenuta chiusa dal pollice destro e l’aria è lentamente, uniformemente e
profondamente inspirata attraverso la narice sinistra. L’inspirazione dura da
sei a dieci secondi. È importante non esagerare e sentire l’esercizio come
faticoso. Dopo avere inspirato attraverso la narice sinistra, si chiude la narice
sinistra col mignolo ed anulare - sempre della stessa mano – e si espira
attraverso la narice destra, sempre secondo lo stesso lento, uniforme e
profondo ritmo. Poi, le narici si scambiano il ruolo: mantenendo chiusa la
narice sinistra, l’aria è lentamente, uniformemente e profondamente inspirata
attraverso la narice destra. Poi, chiudendo la narice destra col pollice,
l’espirazione avviene attraverso la narice sinistra, sempre in modo lento,
uniforme e profondo. Questo è un ciclo: all’inizio se ne fanno sei, poi dodici.
Si può usare un conteggio mentale per essere sicuri che inspirazione ed
espirazione abbiano la stessa durata. Una breve pausa per un conteggio
mentale di tre, avviene dopo ciascun’inspirazione. Le dita possono essere
usate per aprire e chiudere le narici in diversi modi ed ognuno può fare come
preferisce.2

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Una tradizione suggerisce che l'espirazione duri un tempo doppio di quello usato per
l'inspirazione, mentre la pausa dopo l'inspirazione duri un tempo di ben quattro volte
tanto.

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[b] Ujjayi

La tecnica consiste nell'inspirare profondamente e poi espirare attraverso


entrambe le narici, producendo un suono/rumore nella gola. Durante
l’espirazione tale suono non è forte come durante l'inspirazione. Dopo la
pratica d’alcuni giorni, l'azione respiratoria si allunga senza sforzo.
Quest’esercizio è praticato normalmente per dodici volte.
Un conteggio mentale aiuta a far sì che inspirazione ed espirazione abbiano la
stessa durata. È importante non solo concentrarsi sul processo stesso, ma
anche sul senso di benessere e di calma indotta; in tal modo la concentrazione
si approfondisce.

[c] Bandha

Il collo e la gola sono leggermente contratti, mentre il mento s’inclina verso il


petto (Jalandhara Bandha). I muscoli addominali sono leggermente contratti
per intensificare la percezione d’energia nella spina dorsale (Uddiyana
Bandha). I muscoli del perineo - tra l'ano e gli organi genitali - sono contratti
come a volerli sollevare verticalmente e inoltre, in contemporanea, la parte
inferiore dell'addome è premuta indietro (Mula Bandha). I tre Bandha sono
applicati simultaneamente e mantenuti per approssimativamente quattro
secondi onde provocare una lieve vibrazione del corpo; quest’esercizio è
ripetuto per tre volte. Col tempo può essere percepita una sensazione di
corrente energetica che sale lungo la colonna spinale, un brivido interno quasi
estatico.
Dopo due-tre settimane di pratica, I Bandha sono praticati anche durante il
Nadi Sodhana – dopo l'inspirazione, durante la breve pausa del respiro.

[d] Concentrazione finale

Con un atteggiamento di profondo rilassamento, l'attenzione, per almeno


cinque minuti, è intensamente indirizzata nel Kutastha - il punto tra le
sopracciglia.

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Primi effetti

Attraverso una pratica seria, volli vedere da me se la disciplina del


Pranayama fosse realmente dotata di tale forte potenzialità. Intrapresi questa
pratica in un "modo assoluto", con una concentrazione feroce, quasi fosse la
mia unica ragione di vita. (Ricordo con nostalgia quest’intensità, ogni qual
volta mi accorgo che difetto della spontaneità iniziale.) Praticai la routine
descritta il mattino e la sera, stando attento a che lo stomaco fosse vuoto. Essa
era preceduta da qualche esercizio di stretching o, quando avevo più tempo,
da qualche semplice Asana. Quindi assumevo la posizione del mezzo-loto,
seduto sul bordo di un cuscino e tenendo la schiena in posizione diritta.
Mi concentravo con zelo nell’applicare correttamente le istruzioni unendovi
uno spirito di inventiva; mi concentravo alternativamente sulle sensazioni
alternate di fresco e di tepore prodotte dall’aria che sfiorava la mano, usata
per aprire e chiudere le narici. La pressione, il lieve e uniforme fluire del
respiro… ogni dettaglio si rivelò molto piacevole. Divenendo consapevole di
ciascun particolare tecnico riuscivo a mantenere una vigile attenzione senza
esserne stressato.
Talvolta nei primi giorni di sole dopo l'inverno, quando i cieli erano
cristallini, blu come non lo erano mai stati, praticai spesso all'aria aperta e
contemplavo ciò che mi circondava.
In una fossa piena di cespugli ricoperti di edera, il sole riversava la sua luce su
dei fiori. Alcune settimane prima, essi erano sbocciati durante i freddi giorni
invernali ed ora, incuranti dei giorni più miti, si attardavano nella loro
incantevole radiosità. Ero profondamente ispirato. Mai avrei pensato che lo
Yoga mi potesse guidare verso la dimensione del godimento estetico: potevo
solo immaginare che, qualora dall’esterno provenisse uno stimolo estetico, lo
Yoga potesse fornirmi una duratura base di lucidità, aiutandomi così a
mantenere la sua bella atmosfera durante la vita quotidiana.
Ma ora sentivo che la percezione delle cose era cambiata; cercavo ovunque
dei colori intensi restando affascinato da essi come se fossero una sostanza
materiale che potevo toccare e accogliere in me. Guardandomi intorno,
appariva un panorama tra le foglie: un gruppo di case distanti che
circondavano un campanile. Chiudevo gli occhi e mi affidavo ad un’interna
radiosità.
Dopo alcune settimane di pratica entusiasta, durante un quieto
pomeriggio, poco prima del tramonto, camminavo in mezzo agli alberi.
Dando ogni tanto un breve sguardo ad un commento di alcune Upanishad,
che portavo con me, una frase risvegliò una consapevolezza del tutto nuova,
ma nello stesso tempo antichissima: «Tu sei Quello»! Chiusi il libro e
cominciai a ripetere estasiato quelle parole. Non so se la mia ragione riusciva

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ad afferrare l’incommensurabile implicazione di quell’affermazione, ma sì …
io ero quella luce che filtrava attraverso le foglie che, testimoni della
primavera che portava la nuova vita, erano di un verde incredibilmente
delicato.
A casa, non tentai neppure di stendere su carta il "momento di grazia" esperito
- non sarei stato capace di farlo. Il mio unico desiderio era di immergermi
sempre più in questa nuova sorgente interiore di comprensione e
illuminazione.
Solo quella particolare "luce" poteva instillare nel mio essere un equilibrio
sovrumano e impedirmi dall'agire, per quanto riguarda i rapporti umani,
guidato da impulsi distruttivi generati da enormi, incontrollabili emozioni
nutrite dalla linfa grigiastra della mie paure.
Tante volte ebbi occasione di osservare un cambiamento nel funzionamento
complessivo della mia mente - memoria, concentrazione... - questo accadeva
sopratutto durante gli esami.
Alcuni minuti prima di sostenere un esame, praticando un po’ di Pranayama,
ero investito da un’improvvisa calma che durava per l’intero esame, non
importa quale fosse l'atteggiamento dell'esaminatore.
Non mi sentivo nervoso per niente. Ero capace di essere totalmente padrone
delle mie parole, tanto da esprimere non solo quello che sapevo, ma anche
qualche cosa più - come se alcuni concetti divenissero allora chiari per la
prima volta.

Risveglio di Kundalini

Dopo avere acquistato le opere di Ramakrishna, Vivekananda, Gopi


Krishna e gli Yoga Sutra di Patanjali (un grosso volume con i commenti di
I.K. Taimni), decisi infine di acquistare anche l’autobiografia di un Santo
Indiano, che indicherò con le iniziali P.Y. 3, un libro che avevo già visto anni
prima ma che non avevo acquistato in quanto, sfogliandolo, avevo notato che
3
Il lettore comprenderà perché non menziono il nome di P.Y. - non è difficile
comunque dedurne l’identità! Ci sono molte scuole di Yoga che diffondono i suoi
insegnamenti secondo una precisa legittimazione. Una di queste, attraverso i suoi
rappresentanti, mi fece comprendere che non solo non avrebbe tollerato la minima
violazione del Copyright, ma che non gradiva che il nome del loro amato Maestro
venisse, in Internet, mescolato a discussioni sul Kriya. La ragione va ricercata nel fatto
che, in passato, delle persone usarono quel nome per fuorviare la ricerca di un gran
numero di ricercatori che stavano cercando di ricevere gli insegnamenti originali.
Voglio porre l’accento sul fatto che nelle pagine seguenti mi soffermerò solo
sommariamente sulla mia comprensione dei Suoi insegnamenti, senza alcuna pretesa di
riuscire a dare un resoconto obiettivo di essi. Un lettore interessato non dovrebbe
rinunciare al privilegio di rivolgersi alla letteratura originale!

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non conteneva istruzioni pratiche. La mia speranza adesso era di trovarvi delle
informazioni utili come gli indirizzi di alcune valide scuole di Yoga.
La lettura di questa autobiografia mi appassionò molto e mi portò in una fase
di grande aspirazione verso il sentiero mistico: mi trovai in certi momenti a
bruciare di una febbre interiore. Tutto ciò creò un terreno fertile per
l'avverarsi di un evento che fu radicalmente diverso da quello che avevo
sperimentato prima. È stata un'esperienza spirituale "intima", ciononostante
ho deciso di parlarne in quanto ho ascoltato la descrizione di eventi simili
dalle labbra di molti ricercatori. Possiamo considerarlo un esito tipico di
quanto si può raggiunge attraverso la pratica del Pranayama.
Le premesse avvennero quando una notte, assorbito nella lettura della
autobiografia di P.Y., ebbi un brivido, come una corrente elettrica che
attraversava il corpo. L'esperienza fu insignificante in se stessa, ma il fatto fu
che mi spaventò molto. Conoscendo il mio carattere, ciò era alquanto strano.
Un pensiero mi attraversò la mente che un evento più profondo sarebbe
avvenuto in breve e che sarebbe stato forte, molto forte e che non avrei potuto
fermarlo in nessun modo. Era come se la mia memoria avesse una
inspiegabile familiarità con esso e il mio istinto conoscesse il suo potere
inesorabile. Decisi di lasciare che le cose avvenissero senza ostacoli e di
proseguire con la lettura. I minuti trascorrevano, ma non ero capace di
proseguire con la lettura; percepivo un senso di inquietudine che si trasformò
in ansia, e poi divenne paura, una paura intensa di qualche cosa di ignoto, una
minaccia alla mia esistenza. Non avevo davvero mai provato un simile terrore.
In momenti di pericolo, mi era capitato di restare come paralizzato, incapace
di pensare, ma ora l'ansia era di qualità diversa, era panico per qualche cosa
d’alieno all'esperienza comune, qualche cosa di assolutamente imprevedibile.
Mentre la mente prevedeva le peggiori ipotesi su quanto stava per accadere,
sentivo l'urgenza di fare qualcosa, anche se non sapevo cosa. Assunsi la
posizione di meditazione ed attesi. Mi sembrava d’essere vicino alla pazzia - o
alla morte. Una parte di me, forse la totalità di quell'entità che io chiamo "me
stesso", sembrava al punto di scomparire; i peggiori pensieri, minacciosi,
erano sospesi sopra di me senza una chiara ragione.4
4
In quei giorni avevo finito di leggere Kundalini, l'energia evolutiva dell’uomo di Gopi
Krishna. L'autore descriveva come, seguendo un’intensa pratica di concentrazione sul
settimo Chakra, aveva avuto un'esperienza splendida di "risveglio", mentre, dopo di
ciò, probabilmente poiché il corpo non era preparato, aveva incontrato dei seri problemi
fisici e, di riflesso, anche psichici. Secondo quella descrizione, nel suo corpo un'energia
si era messa in movimento dalla base della spina dorsale verso il cervello. Talmente
forte era il flusso da costringerlo a letto ed impedire il completamento delle normali
funzioni fisiche. Aveva l’impressione di stare letteralmente bruciando di un fuoco
interno, che non riusciva a spegnere in alcun modo. Settimane più tardi egli scoprì
intuitivamente come controllare il fenomeno, il quale rivelò la sua natura come una

14
Il mondo spirituale mi sembrava un orribile incubo, capace di distruggere,
annientare la persona che gli si era imprudentemente avvicinata. La vita
consueta, al contrario, mi sembrava la realtà più cara, più sana. Temevo di
non riuscire più a ritornare in quella condizione. Ero convinto, nel modo più
assoluto, che una malattia mentale stesse facendo a pezzi il mio essere: la
ragione era che avevo aperto una porta a ciò che era molto più immenso di
quanto potevo prefigurarmi.
Decisi di fermare l’esperienza e rimandare, se possibile, il momento fatale.
Mi alzai e uscii all'aria aperta. Era notte e non c'era alcuno a cui comunicare il
mio terrore! Al centro del cortile di casa ero oppresso, soffocato, schiacciato
da un sentimento di disperazione, invidiando quelle persone che non avevano
mai praticato lo Yoga. Provavo rimorso perché, attraverso parole aspre, avevo
ferito un amico.
Questi, come molti altri, aveva un tempo preso parte alla mia ricerca; poi
aveva rinunciato alla pratica e si era preoccupato soltanto di godersi la vita.
Dotato di una giovanile baldanza, gli avevo indirizzato parole per nulla
affettuose, e queste mi rintronavano ora in testa; provavo dolore per aver
espresso una crudeltà ingiustificata senza sapere che cosa realmente vi fosse
nella mente e nell’anima dell’amico.
Avrei fatto qualsiasi cosa per averlo di nuovo davanti a me, per potergli dire
quanto mi spiaceva. Sentivo di aver violato brutalmente il suo diritto a vivere
come meglio credeva; non aveva cercato altro che la salute psicologica e non
si era arrischiato ad avventurarsi in pratiche di cui non si sentiva sicuro e che,
intuiva, avrebbero potuto arrecargli più problemi di quanti non ne avesse.
Considerata la mia gran passione per musica classica, pensai che una bella
musica avrebbe avuto un effetto calmante, forse una protezione dall'angoscia,
forse un aiuto per ritornare indietro... perché non tentare? Fu la musica di
Beethoven - il suo Concerto per violino ed orchestra – a calmarmi e,
mezz’ora dopo, a conciliarmi il sonno. La mattina seguente mi svegliai con la
stessa paura. Per quanto possa sembrare strano, i due fatti cardine che oggi
suscitano le emozioni più intense della mia vita – che c'è una Intelligenza
Divina alla base stessa di ogni cosa che esiste nell'universo e che l'uomo può
praticare una precisa disciplina per entrare in sintonia con essa -- mi
comunicavano un senso di orrore!
La luce del sole entrava nella stanza attraverso le fessure delle imposte.

esperienza di realizzazione spirituale. Per quel che mi riguarda, temevo di essere


arrivato alla soglia della stessa esperienza ma, siccome non vivevo in India, ero
spaventato dal fatto che le persone attorno a me potessero non capire; in tal caso le
conseguenze sarebbero state terribili! Nessuno avrebbe potuto assicurarmi che, come
accadde a Gopi Krishna, essa si sarebbe indirizzata verso un esito corretto, benefico.

15
Avevo un intero giorno davanti a me. Sarei uscito di casa per cercare di
distrarmi in mezzo ad altre persone. Incontrai degli amici ma non dissi nulla
di quello che stavo sperimentando. Passai il pomeriggio scherzando su varie
cose, comportandomi proprio come le persone che avevo sempre considerato
pigre e intellettualmente spente; riuscii a nascondere la mia angoscia.
Il primo giorno passò così - la mia mente era logora. Dopo due giorni la paura
diminuì e finalmente mi sentii sicuro. In ogni modo, qualche cosa in me era
cambiata: non riuscivo infatti a pensare allo Yoga: rifuggivo da quell'idea!

Una settimana più tardi, distaccato e calmo, cominciai a pensare al


significato di quello che era accaduto. Compresi la natura della mia reazione.
Avevo, da codardo, volto le spalle proprio all'esperienza che avevo perseguito
per così lungo tempo! La dignità presente nel profondo del mio animo mi
diceva che dovevo ricominciare la ricerca dal punto dove l’avevo
abbandonata, accettando tutto quello che sarebbe accaduto, lasciando che ogni
cosa seguisse il suo corso, anche se ciò avesse potuto implicare la perdita
della mia vita o della salute mentale. Ripresi la pratica del Pranayama,
intensamente come prima. Alcuni giorni passarono e non percepii alcuna
forma di paura; poi sperimentai qualche cosa di tremendamente bello. (Molti
lettori riconosceranno nella seguente descrizione la loro stessa esperienza.)

Era notte. Mi trovavo rilassato in Savasana, quando percepii una piacevole


sensazione, come se un vento elettrico stesse soffiando nella parte esterna del
corpo, propagandosi rapidamente e con un moto ondoso, dai piedi alla testa. Il
corpo era così stanco che non potevo muovermi, anche se la mia mente
impartì l’ordine di muovermi. La Tranquillità era così profonda, che non
avevo alcun timore. Ero capace di mantenere la totalità del mio essere
assolutamente composta e serena.
Poi il vento elettrico fu sostituito da un’altra sensazione, comparabile ad
un’enorme forza che entrava nella spina dorsale e rapidamente saliva al
cervello. Quell'esperienza fu caratterizzata da un indescrivibile e fino allora
ignoto senso di beatitudine, e tutto fu accompagnato dalla percezione di
un’intensa luminosità. Posso condensare tutto ciò che riesco a ricordare con
un’espressione - «una certezza chiara ed euforica di esistere come oceano
illimitato di consapevolezza e beatitudine! ».
Nell’opera Dio esiste, io l’ho incontrato, l'autore, A. Frossard, tenta di
descrivere un'esperienza simile usando il concetto di "valanga al contrario".
La valanga è qualcosa che crolla, che va in giù, prima lentamente, poi in
modo più veloce e violento allo stesso tempo. Frossard suggerisce di
immaginare una "valanga al contrario" che comincia raccogliendo le forze ai
piedi della montagna e sale verso l'alto spinta da un potere che aumenta e poi,

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improvvisamente, fa un balzo verso il cielo. Non so quanto tempo durò
quest’esperienza, ma il suo culmine fu di soli pochi secondi, dopo i quali la
mia coscienza mollò la presa e si lasciò cadere in un sonno calmo ed
ininterrotto. La cosa strana è che nell'istante in cui la ebbi, la trovai familiare.
Quando finì, mi girai di lato e caddi in un sonno calmo, ininterrotto.
Il giorno seguente, quando mi svegliai, non ci pensai; mi ricordai di essa solo
alcune ore più tardi, durante una passeggiata.
Fui preso dalla bellezza di quell’esperienza e, appoggiandomi ad un albero,
per molti minuti fui letteralmente affascinato dal quel ricordo e dal riverbero
di quello stato d’animo. Il pensiero cercava di familiarizzarsi - compito
impossibile - con un'esperienza che lo travalicava.
Tutto ciò che fino allora avevo pensato sullo Yoga non aveva affatto
importanza. Per me l'esperienza era come essere stato colpito da un fulmine.
Non avevo nemmeno la possibilità di scoprire quali parti di me erano ancora
là e quali erano scomparse per sempre, non ero capace di capire realmente
quello che mi era accaduto, piuttosto non ero sicuro se "qualcosa" fosse
davvero accaduto.

17
CAPITOLO I/02 UN'ORGANIZZAZIONE DI KRIYA

Intraprendere la pratica del Pranayama fu come piantare un seme nella


desolazione della mia anima: crebbe illimitatamente in gioia e libertà
interiore. La consuetudine stabilitasi di gioire del flusso controllato del mio
respiro cambiò il corso della mia vita: questa disciplina implicò molto di più
che smussare le disarmonie e conflitti entro la mia personalità o raffinare la
capacità del godimento estetico: si prese cura delle mie speranze e le portò
avanti.
Una certezza d’eternità, una condizione euforica che si distendeva oltre i
confini della mia consapevolezza - come una specie di memoria che si
nascondeva nei recessi della coscienza - cominciò a rivelarsi come se una
nuova regione del mio cervello fosse stata stimolata verso una condizione di
pieno risveglio.
Per quanto riguarda l'esperienza di Kundalini, apparve di nuovo nei mesi
seguenti. Mi impegnavo a studiare fino a tardi concedendomi, ogni tanto, un
brevissimo riposo. Nel momento in cui, esausto, mi distendevo per dormire,
dopo alcuni minuti essa avveniva e la salita dell'energia si verificava più di
una volta.
Ci sono circostanze che la favoriscono. Ci vuole molto di più che un
tiepido interesse o una aspirazione verso una realtà superiore: il proprio cuore
deve essere in fiamme! Poi la propria tecnica di meditazione deve includere
un'intensa concentrazione nel Kutastha - meglio se seguita da quella sul
Sahasrara ("Loto dai mille petali" in cima alla testa).
Inoltre, il fattore che rende l'esperienza quasi automatica è il dedicarsi a
qualsivoglia lavoro o studio che richieda una continua concentrazione. Questo
deve essere portato avanti senza cedere alla tendenza di addormentarsi.
Quando ci si distende per dormire, dopo pochi minuti, in una pacifica
condizione intermedia tra sonno e veglia, l'esperienza avviene.
Ora, anche se questa esperienza fosse apparsa una sola volta nella mia vita,
le attese per alcune opportunità professionali mutarono per sempre.
Qualunque professione contemplassi, doveva lasciarmi il tempo necessario
per le mie pratiche meditative. Una vita passata solo a studiare o a lavorare mi
pareva senza senso. Molte persone hanno la stessa meta, ma sono travolte
dagli eventi e continuano ad anelare verso una libertà che non arriverà mai.

Per quanto riguarda i rapporti con gli altri, non seppi fare a meno di
utilizzare la realtà della vita quotidiana come un campo di osservazione: nella
mia giovanile baldanza ero convinto di riuscire a vedere le persone come in
trasparenza. Commisi l’errore di voler discutere con altri delle mie opinioni.
Siccome per me la miseria umana consisteva in un solo fatto - la tirannia dei

18
pensieri incontrollati e delle emozioni istintive e selvagge - cercai di rendere i
miei amici consapevoli di ciò. Infatti, il loro modo di agire e di esprimersi mi
appariva come accompagnato da una specie di isteria la quale incarnava un
inganno mentale: volevano creare una immagine totalmente falsa di sé.
L'enorme quantità di energia sprecata in questa commedia, era
controbilanciata da periodi in cui davano l'impressione di "implodere" in se
stessi. Scomparivano per un certo tempo e, strano a dirsi, non riuscivano più a
tollerare la presenza di quegli amici che dicevano di amare così tanto.
Credevo che il Pranayama avesse il potere di aiutarli vivere meglio
rivelando un fondo di illimitata gioia disteso dietro la non necessaria auto
tortura delle loro sceneggiate. Smascherai spietatamente il loro
comportamento, tanto da generare una violenta reazione. Quasi per
scongiurare la fatica di ascoltarmi attentamente, risposero che ero incapace
d’amare, di rispettare e di mostrare disponibilità umana verso gli altri. Inoltre,
la trasparenza mentale di cui parlavo sembrava un vuoto insignificante,
qualche cosa di innaturale; aveva il sapore della «morte», era come una morsa
fredda e dolorosa che minacciava di estinguere ogni gioia nella loro vita.
Solamente un amico, un "Hippy", manifestò un po' di empatia; l'unica cosa
che considerava impropria era l'eccessivo entusiasmo nel potere del
Pranayama. Gli altri continuarono a rivoltarsi contro di me con amarezza.
Nacque un periodo della mia vita in cui, disorientato, mi chiesi quale fosse il
ruolo della sincerità e onestà nell'amicizia. Dovetti cedere e ammettere che,
almeno per il momento presente, non ero capace di parlare esprimendo un
senso genuino di rispetto e amore. Tormentato da sensi di colpa, mi convinsi
che stavo effettivamente sfruttando le confessioni e i racconti dei miei amici
solo per cercare conferma alle mie teorie.

Prime informazioni sul Kriya

Proseguii lungo la strada che mi ero scelto, ben deciso a migliorare, senza
alcun limite, l’arte del respiro.
Nella lettura della autobiografia di P.Y. arrivai al punto in cui l'autore parla
del Kriya Yoga, quel genere di Pranayama, che fu per primo insegnato da
Lahiri Mahasaya. Egli scrisse che questa tecnica avrebbe dovuto essere
padroneggiata in quattro stadi successivi. Questo fatto accese la mia curiosità.
Lahiri Mahasaya era dipinto come l'incarnazione dello Yoga: questo mi faceva
pensare che ci doveva essere qualcosa di unico nel suo "sentiero"! Amavo il
Pranayama e l’idea di approfondirlo attraverso quattro livelli mi sembrava
qualcosa di meraviglioso: se le tecniche che avevo già praticato mi avevano
dato risultati così belli, era chiaro che un sistema fatto di quattro livelli li
avrebbe ingigantiti!

19
Cominciai ad esplorare tutta la letteratura che riuscivo a trovare sul
Pranayama e continuai a leggere i libri di P.Y.
Ero stupito dalla sua personalità, dotata d’incomparabile potere di volontà e
spirito pratico. Non mi emozionava quando parlava con un tono puramente
devozionale, bensì quando assumeva un tono tecnico che mi permetteva di
avvicinarmi a qualche aspetto dell'arte sottile del Kriya – allora la consideravo
un'arte in continuo perfezionamento, non un impegno religioso.
Ciò che riuscii a intuire fu che il Pranayama insegnato nel Kriya Yoga
consisteva di un modo di respirare lento e profondo, mentre la consapevolezza
era focalizzata sulla spina dorsale.
In qualche modo l'energia interiore veniva fatta ruotare attorno ai Chakra.
L'autore poneva l’accento sul valore evolutivo del Pranayama, non solo
includendo il lato spirituale di un uomo ma anche i suoi lati fisici e mentali.
Spiegava che se noi paragoniamo la spina dorsale ad una sostanza
ferromagnetica, costituita, come insegna la Fisica, di magneti elementari che
si volgono verso la stessa direzione quando un campo magnetico è
sovrapposto ad essi, allora l'azione del Pranayama è analoga a questo
processo di magnetizzazione.
Creando un orientamento uniforme di tutte le parti "sottili" dell’essenza fisica
e astrale della nostra spina dorsale, il Kriya Pranayama brucia i cosiddetti
"cattivi semi" del nostro Karma. Ci riferiamo al Karma allorquando
riportiamo la comune credenza che una persona erediti dalle vite precedenti
una gran massa di tendenze latenti, comparabili a semi destinati a fiorire, alla
fine, nella vita attuale. Naturalmente il Kriya è una pratica che può essere
sperimentata senza dovere necessariamente accettare alcun credo. Comunque,
siccome il concetto di Karma sta alla base del pensiero indiano, vale la pena
di comprenderlo e parlarne liberamente. Secondo questa credenza, il
Pranayama può essere considerato un processo che esaurisce gli effetti di
quei semi prima che si manifestino nelle nostre vite. È spiegato ulteriormente
che le persone che sono attirate intuitivamente da metodi di sviluppo
spirituale come il Kriya, hanno già praticato qualcosa di analogo
nell’"incarnazione precedente". Si fa notare, infatti, che tale azione non è mai
invano e nella presente incarnazione la persona riprende il suo cammino
esattamente da dove, in un passato remoto, lo aveva abbandonato.
Mi chiedevo se i quattro livelli del Kriya consistessero nello sviluppare un
processo di concentrazione sempre più profondo nella spina dorsale,
includendo anche la consapevolezza di particolari aree nel cervello. La mia
immaginazione era scatenata e il mio fervore cresceva.
Il mio problema urgente era decidere se dovevo, o no, partire per l'India dove
cercare un insegnante per ottenere tutti i chiarimenti necessari al Kriya.
Siccome progettavo di completare al più presto possibile i miei studi

20
universitari, esclusi un viaggio immediato. Scelsi piuttosto di migliorare gli
esercizi che già praticavo, usando i libri che potevo trovare - poco importava
in che lingua fossero scritti.
Per lo meno ora sapevo cosa ricercare: un tipo di Pranayama in cui si dovesse
visualizzare l'energia che ruota in qualche modo attorno ai Chakra. Se questo
era - come P.Y. affermava - un processo universale, avevo delle buone
probabilità di rintracciarlo presso altre fonti.

Qualcosa riposto in un angolo della mia memoria mi ritornò vivo davanti


agli occhi. Quando ero piccolo, leggevo tutto ciò che mi capitava tra le mani,
specialmente libri censurati dalla Chiesa o, per qualche ragione, considerati
non adatti alla mia età; ero orgoglioso di esercitare una totale libertà di scelta;
non badavo ad alcun suggerimento. Sprecai molto tempo in letture di poco
conto; tra quel gran mucchio non era possibile distinguere in anticipo i libri
che avevano un po' di valore da tanti altri che, pur avendo un titolo allettante
contenevano le invenzioni di coloro che amavano sbalordire le persone. Alla
fine compresi di aver fatto un viaggio in un caos indistinto. Capivo con
amarezza che i segreti più preziosi erano ancora ben nascosti a me in qualche
altro libro che non ero stato abbastanza fortunato di trovare.
Ma torniamo a noi, mi ricordavo, indistintamente, di aver visto dei disegni che
ritraevano, di profilo, una persona: c’erano diversi circuiti di movimento
energetico che attraversavano il suo corpo. Nacque l’idea di cercare la
necessaria informazione nella sfera esoterica piuttosto che nei libri classici di
Yoga – come gli Yoga Sutra di Patanjali, lo Hatha Yoga Pradipika.
Cominciai a frequentare una rivendita di libri usati; era molto ben fornita,
probabilmente perché una volta era stata la libreria di riferimento della
Società Teosofica. Trascurai i testi che trattavano solo di temi filosofici,
mentre, estatico e senza badare al tempo, sfogliavo quelli che illustravano
degli esercizi pratici.
Prima di acquistare un libro mi assicuravo che accennasse alla possibilità di
guidare l'energia lungo certi condotti interni, creando così le condizioni per il
risveglio dell'energia Kundalini.
Fin dalla prima visita fui molto fortunato; leggendo l'indice di un testo in tre
volumi, che presentava il pensiero magico della confraternita Rosacroce, fui
attirato dal titolo di un capitolo: Esercizio di respirazione per il risveglio di
Kundalini. Si trattava di un approfondimento del Nadi Sodhana; questo era,
secondo gli autori, il segreto per svegliare l'energia misteriosa!
Delle note ammonivano che l'esercizio non doveva essere usato in modo
esagerato, perché rischiava di risvegliare Kundalini prematuramente. Ciò
doveva essere evitato con tutti i mezzi. Di sicuro, questo non poteva essere il
Kriya di P.Y., il quale, da vari indizi, non era eseguito respirando

21
alternativamente attraverso le narici.
Continuai a frequentare la libreria; il proprietario era molto gentile con me ed
io mi sentivo quasi obbligato, anche in considerazione del prezzo conveniente
dei libri - di seconda mano ma in condizioni perfette - di comprarne almeno
uno ad ogni visita. Spesso troppo spazio era destinato a teorie che rifuggivano
dai semplici concetti che trattavano della vita pratica, cercando di descrivere
quello che non è visto, quello che non può essere sperimentato - come i mondi
astrali, i vari gusci sottili d’energia che avvolgono il nostro corpo fisico.
Un giorno, dopo una faticosa selezione, mi avvicinai al proprietario
tenendo in mano un libro; forse mi lesse negli occhi che non ero sicuro del
suo valore e mentre lo riguardava decidendo il prezzo, sembrò ricordare
qualche cosa che avrebbe potuto accendere il mio interesse.
Mi condusse in un angolo nascosto del suo negozio e m’invitò a frugare in un
mucchio disordinato di fogli contenuti in una scatola di cartone. Tra una
quantità consistente di materiale miscellaneo (serie complete della rivista
teosofica, note sparse di un vecchio corso di ipnosi ecc.) - trovai un libretto,
scritto in tedesco da un certo K. Spiesberger che illustrava diverse tecniche
esoteriche tra cui il Respiro Kundalini.
Non avevo allora abbastanza dimestichezza con la lingua tedesca, ma riuscii
ad intuire subito la straordinaria importanza di quella tecnica; a casa, con
l'aiuto di un dizionario, sarei riuscito indubbiamente a decifrarla.5
La descrizione di questa tecnica ancora mi stupisce; l’autore, infatti, non era
tanto vicino al Kriya di Lahiri Mahasaya quanto alla versione portata in
occidente da P.Y.. Durante un respiro profondo, l'aria era immaginata, invece
del suo corso abituale, fluire dentro la colonna spinale; era perciò indicata la
visualizzazione di questa come un tubo vuoto. Inspirando l'aria, questa doveva
essere immaginata fluire dentro il tubo cavo dalla base fino alla zona tra le
sopracciglia; espirando, si sarebbe dovuto sentire che l'aria andava in giù
verso il Muladhar lungo lo stesso percorso. C'era anche la descrizione di due
particolari suoni che l'aria originava nella gola.
In un altro libro, in Inglese, c’era una descrizione esaustiva del Respiro
Magico - che era circa lo stesso esercizio, ma la differenza consisteva nel
visualizzare/sentire l'energia intorno alla spina dorsale, seguendo un percorso
ellittico, non entro di essa. Tramite l'inspirazione, l'energia saliva dietro la
colonna spinale, fino al centro della testa; espirando, scendeva lungo la parte
5
Sorrido quando sento persone affermare di essere appassionate di Kriya, e tuttavia
non si danno da fare nello studiare importanti testi in inglese, avendo paura – così
dicono - di interpretare male tale idioma! Sono convinto che il loro interesse è
superficiale e piuttosto emotivo. Tale era il mio entusiasmo, che sarei stato in grado di
mettermi a studiare il Sanscrito o il Cinese, o qualsiasi altra lingua nella quale, ahimè,
fossero stati compilati gli insegnamenti essenziali del Pranayama!

22
frontale del corpo, proprio come nella "Orbita microcosmica", la tecnica
descritta nei testi dell'Alchimia Interiore che rappresenta la tradizione mistica
dell’antica Cina. Lasciai da parte tutto l'altro materiale. L’espressione di
soddisfazione con la quale mi presentai al proprietario della libreria, come se
avessi trovato un tesoro di valore insondabile, mi cagionò certamente un
aumento di prezzo. Ritornando a casa, non potevo non trattenermi dallo
sfogliare quelle pagine, molto curioso a riguardo di alcuni disegni grezzi che
illustravano altre tecniche basate sul movimento dell’energia interiore. Lessi
che il Respiro Magico era uno dei segreti più preziosi di tutti i tempi: questo
mi riempii del più grande entusiasmo; se praticato costantemente, con forza di
visualizzazione, avrebbe costruito una specie di sostanza interna che avrebbe
poi condotto alla visione dell'occhio spirituale. Mi convinsi che il Respiro
Magico era il Kriya di Lahiri Mahasaya. Lo incorporai nella mia routine
quotidiana: esso sostituiva la pratica dell'Ujjayi Pranayama. Ero molto
soddisfatto anche se nelle settimane successive non percepii dei sostanziali
mutamenti negli effetti.
Mentre cercavo tutti i modi possibili per trovare altre informazioni utili,
rileggendo un testo di P.Y. venni a sapere, con mio grande stupore, che questi
aveva scritto un intero corso di lezioni sul Kriya, e che queste si potevano
ricevere per corrispondenza. Ciò mi avrebbe risparmiato, almeno per alcuni
anni un viaggio in India. Mi iscrissi il più velocemente possibile a tale corso.

Far parte di un'organizzazione e di un gruppo di meditazione

Un giorno, attendendo l’arrivo delle lezioni, giunse una lettera della


organizzazione mi informava dell’esistenza di altre persone, vicino a me, che
praticavano il Kriya Yoga e che avevano formato un gruppo. Ne fui
entusiasta, fremevo dell’anticipazione gioiosa di incontrarle. Quella sera
riuscii a stento a prendere sonno.
Il primo contatto avvenne incontrando il kriyaban (colui che pratica il Kriya)
che organizzava quelle riunioni. Con grande entusiasmo ed una specie
d’euforia, nutrita dalle mie recenti esperienze spirituali, mi avvicinai a lui
nella speranza di ricevere maggiori dettagli sulla tecnica del Kriya.
«Troppo brillanti erano i nostri cieli, troppo distante, troppo fragile la loro
eterea sostanza», scrisse Sri Aurobindo: non avrei mai pensato che alle
conseguenze del nostro incontro si sarebbero potute applicare tali parole!
Con amara ironia, direi che la fase attuale della mia esistenza era troppo un
felice per durare. La vita è fatta di brevi momenti di tranquillità ed equilibrio
immersi tra alternate vicissitudini durante le quali una persona sperimenta i
problemi, le limitazioni, le deformazioni causate dalla mente umana.
Avvicinandomi a tale personaggio con totale e disarmante sincerità, non

23
potevo rendermi conto di quale duro colpo stessi per ricevere.
Visibilmente emozionato, mi diede il benvenuto, sinceramente entusiasta di
incontrare uno con cui condividere la sua passione. Sin dal primo istante del
nostro incontro - non avevo ancora varcato la soglia della sua casa - gli dissi
quanto fossi entusiasta della pratica del Kriya! Di rimando mi chiese quando
fossi stato iniziato al Kriya, dando per scontato che l’avessi ricevuto dalla
stessa organizzazione di cui lui era un membro. Quando seppe come avevo
imparato la tecnica, rimase pietrificato, mostrando un sorriso amaro di
sconforto. Era come se gli avessi dichiarato di essere l'autore del più gran
crimine.
Mi disse con enfasi che il Kriya non poteva essere appreso attraverso libri.
Cominciò il racconto - che in seguito avrei avuto l'opportunità d’ascoltare
tante volte fino alla nausea - dello yogi tibetano Milarepa che, avendo
acquisito senza le benedizioni del suo Guru, delle tecniche spirituali, non
ricavando risultati incoraggianti anche se queste erano state praticate con
grande intensità, ricevette finalmente le stesse istruzioni dalla bocca del suo
Guru - con le benedizioni di questo - ed i risultati questa volta arrivarono
facilmente!
Sappiamo che la mente umana è condizionata più da una storia che
dall'inferenza logica! Un aneddoto come questo, anche se completamente
immaginato, tanto per costruire la trama di un romanzo, possiede un genere di
"luminosità interna" che condiziona il buon senso di una persona: suscitando
una emozione in noi, può far accettare conclusioni che apparirebbero assurde
alla facoltà raziocinante. Questa storia mi ammutolì, non seppi cosa
rispondere.
C'era solamente un modo per imparare il Kriya: essere iniziato da un
"Ministro" autorizzato dalla direzione della sua organizzazione! Secondo
quanto diceva, nessun'altra persona era autorizzata a insegnare quella tecnica.
Fissandomi direttamente negli occhi, con un enorme impatto emotivo
cominciò a dirmi che una pratica imparata da qualsivoglia altra fonte «non
valeva nulla, non sarebbe stata effettiva per quanto riguarda la finalità
spirituale», ed eventuali effetti, solo apparentemente incoraggianti, sarebbero
stati «solo una pericolosa illusione nella quale l'ego sarebbe rimasto
intrappolato per molto tempo».
Infiammato da una fede assoluta, si lanciò in una digressione sul valore del
"Guru" - Maestro spirituale - un concetto che per me rimaneva enigmatico,
anche perché attribuito ad una persona che non era stata conosciuta
direttamente. In base a quello che mi comunicava, poiché lui era stato iniziato
al Kriya da canali legittimi, P.Y. era una presenza reale nella sua vita: era il
suo Guru. La stessa cosa avveniva per coloro che appartenevano al suo
gruppo. Il loro "Guru" era l’aiuto che Dio stesso aveva loro inviato, quindi un

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tale evento era «la più gran fortuna che potesse accadere ad un essere
umano». La conseguenza logica - e l’amico rilevò questo con grande enfasi -
era che abbandonare di conseguenza tale forma d’aiuto, o cercare un percorso
spirituale diverso, equivaleva a «rifiutare con disprezzo la mano del Divino
protesa in benedizione».
Sorrise, poi mi condusse nella sua stanza e mi chiese di dimostrare per lui la
mia tecnica Kriya appresa dai libri.
Era naturalmente curioso e, suppongo, dalla speranza di verificare un ben
radicato pregiudizio secondo cui la tecnica, appresa fuori dai canali legittimi
non poteva essere - a causa di una particolare legge spirituale - che corrotta.
Fu sollevato, intimamente rassicurato quando vide che stavo respirando
attraverso il naso e non attraverso la bocca, come a lui era stato detto di fare;
la mia pratica era - secondo la sua impressione - chiaramente sbagliata. Mi
chiese di spiegare più profondamente quello che visualizzavo internamente
durante la mia respirazione e, mentre glielo stavo descrivendo, vedevo una
soddisfazione intima che si diffondeva sul suo volto.
Il lettore ricorderà che, secondo i libri letti, l’energia interiore poteva essere
guidata sia lungo un percorso ellittico attorno ai Chakra sia in su e in giù
dentro la spina dorsale. Avevo provato entrambi i metodi ma, poiché P.Y.
aveva scritto che la pratica del Kriya avveniva facendo ruotare l'energia
attorno ai Chakra, mi ero abituato principalmente al primo metodo; perciò
questa fu la versione che esposi. Inoltre, avendo letto in un altro libro che
durante il Kriya Pranayama si doveva cantare mentalmente Om nei Chakra,
aggiunsi anche questo dettaglio. Non potevo immaginare che P.Y. avesse
deciso di semplificare le istruzioni e insegnare in occidente l’altra variante
omettendo il canto mentale di Om.
Mentre parlavo, il mio amico non riconobbe il suo Kriya. Il "segreto" cui lui
era legato non era dunque stato violato da alcun autore dei miei libri esoterici!
La situazione era davvero bizzarra: gli stavo esponendo quello che a tutti
gli effetti era davvero il Pranayama originale di Lahiri Mahasaya e lui
sorrideva con espressione sarcastica, sicuro al cento per cento che stessi
dicendo delle sciocchezze! Fingendo di sentirsi addolorato per la mia naturale
disillusione, mi confermò in un tono ufficiale, definitivo, che la mia tecnica
«non aveva niente a che fare con il Kriya Pranayama»!
Poiché la mia posizione era totalmente inconsistente, mi raccomandò di
spedire una descrizione scritta, precisa e dettagliata, delle mie vicissitudini
alla direzione della scuola, nella speranza che loro mi accettassero come
discepolo. Solo allora avrei potuto legittimamente far parte della grande
famiglia del Kriya e praticare in modo sicuro sotto la loro sorveglianza.
Ero come inebetito dal tono che il nostro dialogo stava assumendo; per
riattivare l'amabilità iniziale della riunione tentai di rassicurarlo parlando

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degli effetti positivi che avevo ottenuto con la mia pratica.
Quest’affermazione ebbe l'effetto di peggiore la situazione, dandogli
l'opportunità per una seconda reprimenda, davvero non completamente
sbagliata, ma in ogni modo fuori luogo.
Mi chiarì che, nella pratica del Kriya, non avrei mai dovuto cercare degli
effetti tangibili; meno ancora vantarmene, perché così « li avrei persi».
Quel "bravo giovine", senza rendersi conto, si era cacciato in una chiara
contraddizione: stava dicendo che i risultati erano importanti ed uno non
doveva neppure rischiare di perderli raccontandoli ma, poco prima, aveva
sottolineato che non valevano niente.
Realizzando che mi aveva dedicato fin troppo del suo tempo, una strana
metamorfosi avvenne nel suo comportamento. Era come se tutto un tratto
fosse stato investito da un ruolo sacro: promise che avrebbe pregato per me!
Per quel giorno, almeno, avevo perso la partita. Dissi all'amico che avrei
seguito i suoi suggerimenti.

Il gruppo di persone che praticavano il Kriya s’incontravano due volte a


settimana per praticare insieme tali tecniche. La stanza dedicata alla
meditazione aveva un arredamento essenziale, ma piacevole. I membri si
erano auto tassati per affittarla affinché la sua fruizione non dipendesse dai
capricci del proprietario, e anche per il piacere di consacrarla esclusivamente
ad un uso spirituale. La mia frequentazione avvenne in un periodo che ricordo
con particolare nostalgia: l'ascoltare canti spirituali indiani, tradotti ed
armonizzati all'occidentale e, soprattutto, il fatto di meditare insieme era una
vera gioia! Tutto mi sembrava paradisiaco - anche se l'ammontare di tempo
dedicato alla pratica delle tecniche era davvero corto: non più di 20 minuti,
spesso solo 15.
Una sessione di pratica collettiva, di particolare ispirazione, arricchita da canti
devozionali, avveniva alla vigilia di Natale e durava molte ore.
Siccome non avevo ricevuto ancora il Kriya nel "modo ufficiale", mi fu
richiesto di limitare la pratica al puro atto di focalizzare la mia
consapevolezza nel punto tra le sopracciglia. Al termine di ciascuna seduta di
meditazione era previsto che ci allontanassimo in silenzio, perciò cominciai a
conoscere più da vicino i miei nuovi amici solo durante gli incontri mensili.
In effetti, una volta il mese c’era il "pranzo sociale". Era una bella occasione
di passare insieme del tempo parlando e rallegrandosi della reciproca
compagnia. Perché molti di noi non godevano dell'approvazione e meno
ancora dell'appoggio nella pratica dello Yoga da parte della loro famiglia,
l'occasione unica di trovarsi fra persone con le stesse idee ed interessi era
un'esperienza di gran serenità e rilassamento.
Sfortunatamente un certo imbarazzo rovinava la piacevolezza degli incontri.

26
La direzione dell’organizzazione chiedeva di non parlare tra noi di altri
percorsi spirituali e di non trattare i specifici dettagli del Kriya. Tale compito
doveva essere riservato solamente a persone di proposito autorizzate dalla
scuola e nel nostro gruppo nessuno aveva ricevuto tale autorizzazione.
Durante gli incontri, la necessità di indirizzare i contenuti delle conversazioni
su binari ben definiti rendeva difficile trovare un argomento di conversazione
che rispettasse le regole, essendo, nello stesso tempo, interessante. Non era
certo quello il luogo per pettegolezzi mondani, disadatti a gruppo spirituale.
Certo si poteva conversare sulla bellezza del percorso Kriya, sulla gran
fortuna di averlo trovato! Ma, come si può presumere, dopo alcune riunioni di
"reciproca esaltazione", cominciò a regnare nel gruppo una noia quasi
allucinante. Come ultima risorsa, qualcuno si arrischiava a fare qualche
battuta innocente; non si trattava certo di storielle che potevano offendere
qualcuno, ma di un uso moderato del senso dell'humour. Purtroppo questo si
scontrava con l'atteggiamento ispirato a devozione tenuto dalla maggior parte
dei membri e capitolava di fronte alla loro fredda reazione, incapace di
mostrare una sola briciola di vera giovialità.
Non posso certo dire che le persone erano sul depresso andante, anzi parevano
divinamente felici, ma quando si cercava di apparire simpatici, si riceveva uno
sguardo e un abbozzo di sorriso che ti lasciava raggelato per il resto della
giornata.
Non ci si deve meravigliare che il gruppo fosse caratterizzato da un grande
riciclo; molti, entrati con entusiasmo, dopo alcuni mesi non solo decidevano
di abbandonarlo ma poi si davano da fare per rimuovere completamente
quell'esperienza dalla loro coscienza.
Il mio temperamento aperto mi permise di avvicinare qualche persona e
stabilire un legame che più tardi divenne vera amicizia.
Comunque, non era così facile trovare quello che si poteva chiamare un libero
ricercatore nel campo spirituale: molti erano "devoti" dalla intensa carica
emotiva che indossavano un paraocchi.
Anche se cercavo di fare del mio meglio per convincermi di trovarmi fra
individui simili a me - vale a dire appassionati, entusiasti del Kriya - dovetti
ammettere che la realtà era ben diversa! Alcuni reagivano al mio entusiasmo
con un certo fastidio: non potevano credere che non coltivassi alcun dubbio o
incertezza verso il sentiero del Kriya. Consideravano la mia euforia quella
tipica di un principiante immaturo. Una persona che praticava il Kriya da
molti anni mi disse: «Quando riceverai il Kriya resterai deluso». Non riesco a
capire cosa avesse inteso, dal momento che quando ricevetti il Kriya, ne fui
entusiasta.
Con lo scopo non ben celato di ricevere qualche delucidazione sulla
tecnica del Kriya, in svariate occasioni provai a discutere quella che era stata

27
la mia pratica di esso come l'avevo appresa dai libri. Speravo che qualcuno,
facendo qualche osservazione su di essa si lasciasse scappare il segreto.
Nessun "corteggiamento" riuscì ad estrarre da loro nemmeno una briciola
d’informazione. Tutti ripetevano che non erano «autorizzati a dare
spiegazioni»: questa regola era strettamente rispettata: avevano ricevuto la
tecnica, sottoscrivendo una precisa e solenne promessa di segretezza!
Segretezza! Come insolito risuonò tale termine alle mie orecchie, che strano
richiamo, che misteriosa fascinazione esercitò sul mio essere! Fino a quel
momento avevo sempre creduto che fosse di poco o di nessun valore il modo
in cui un certo insegnamento fosse appreso, su quale genere di libri fosse stato
studiato; l'unica cosa importante era che dovesse essere praticato in modo
corretto, con l’aggiunta, auspicabile, del costante desiderio di perfezionarlo.
Cominciò ad entrarmi in testa l'idea che fosse una bella cosa quella di
proteggere un insegnamento prezioso da occhi indiscreti. In seguito, nel corso
di molti anni, fui testimone di una serie innumerabile di assurdità che si
originarono da questa richiesta; in modo drammatico, ebbi l’evidenza che essa
portò delle ripercussioni miserabili nella vita di migliaia di persone.

Con l'eccezione di una sola persona (che nutriva veramente delle strane
idee sul sentiero spirituale, al punto tale che un giorno pensai che non ci stesse
tanto con la testa) questi nuovi amici kriyaban parevano censurare il mio
eccessivo interesse per le tecniche, affermando che la devozione era molto più
importante; spesso facevano riferimento ad un concetto che a mio avviso
stonava nel campo dello Yoga: il valore supremo della lealtà nei confronti di
P.Y. e della sua organizzazione.
Mentre il loro sforzo nel praticare le tecniche di meditazione in modo
profondo non era rimarchevole, cercavano con ogni mezzo esteriore (letture,
canti devozionali, convocazioni...) di estrarre dalle profondità della loro
psiche qualsivoglia traccia di attitudine religiosa, ogni briciola di aspirazione
spirituale. La impregnavano col naturale affetto del cuore per il loro Guru -
anche se lo avevano conosciuto solo per mezzo di foto - ottenendo in tal modo
la fermezza di una dedizione che sarebbe durata per una vita intera.
Chiamavano la solidità della loro resa a tale ideale: "Bhakti" – devozione.
Pensando a quei tempi, mi chiedo quale potesse essere l'opinione che si erano
fatti del mio atteggiamento impaziente, troppo diverso dalla loro quietudine.
Nella mia sensibilità, non riuscivo a concepire l'idea di appoggiarmi
passivamente alla protezione di un santo che ti risolve i problemi. Questo
fatto, assieme ad altri sperimentati in quella scuola, furono la cause di un vero
conflitto. Il mio approccio al sentiero spirituale era realmente diverso dal loro
e non c'era speranza di raggiungere un punto di contatto, un terreno comune.

28
CAPITOLO I/03 DIFFICOLTA' CON LO STUDIO DEL KRIYA
PER CORRISPONDENZA

Poco dopo la mia ammissione al gruppo fui presentato ad una signora


anziana che era stata in corrispondenza con P.Y. stesso. Grazie alla sua
serietà, sincerità e comportamento "leale", aveva ricevuto l’autorizzazione di
insegnare le tecniche preliminari al Kriya. Il suo temperamento era molto
dolce e sembrava più incline alla comprensione che alla censura.
M’insegnò due tecniche preliminari al Kriya, invitandomi a limitare la mia
pratica a queste. 6
La prima calma il respiro e l’intero sistema psicofisico; è detta Hong-so a
causa del Mantra impiegato. La seconda riguarda l’ascolto dei suoni interiori
(astrali) che, approfondendo, si mescolano, si fondono col suono di Om. Non
mi diede queste istruzioni in un’unica sessione ma in due momenti diversi - la
seconda quattro mesi più tardi. Ebbi perciò la splendida opportunità di
dedicarmi per molto tempo solamente alla prima tecnica e, per altri mesi,
nell’attesa dell’iniziazione al Kriya, alla combinazione delle due: la prima il
mattino, la seconda di notte. Potei sperimentare perciò il significato e la
bellezza di ciascuna.

Tecniche preliminari al Kriya

[I] La tecnica Hong-so è semplice e consiste - dopo alcuni respiri profondi


che ossigenano il sangue e calmano il sistema - nel lasciare il respiro libero,
ripetendo mentalmente il Mantra Hong-so, collegando la sillaba Hong con
l'inspirazione e So con l'espirazione. La concentrazione, lo sguardo interiore,
viene mantenuto sul terzo occhio. La raccomandazione essenziale è non
influenzare il respiro attraverso la volontà, poiché esso deve procedere in
modo del tutto naturale e spontaneo.

[II] Per praticare la tecnica Om, uno yogi appoggia i gomiti su un comodo
sostegno che può essere stato costruito anche solo per questa funzione.
L'appoggio può essere dato da una tavoletta orizzontale fatta di qualsiasi
materiale coperta di gommapiuma e fissata su un’asta verticale d’altezza
regolabile. È bene che uno si chiuda in una stanza per evitare che qualcuno
possa disturbare - il miglior momento per questa pratica è la sera o la notte.
6
Volendo essere precisi, mi corresse anche i cosiddetti "Esercizi di Ricarica" che avevo
già appreso dalle lezioni scritte. Questi erano degli esercizi fisici simili alla ginnastica
isometrica che si praticavano stando in piedi. In essi la forza della concentrazione
dirigeva il Prana in tutte le parti del corpo.

29
La tecnica consiste nel chiudere le orecchie coi pollici e nell'ascoltare
qualsiasi suono interiore, continuando a ripetere mentalmente «Om, Om
Om...» (seguendo un ritmo lento di circa un Om per secondo) durante tutta la
pratica. L'attenzione, secondo quanto appresi, doveva essere diretta alla parte
interna dell'orecchio destro, poiché è lì che i suoni sottili possono essere
facilmente realizzati e con più chiarezza.
L'intuizione dello yogi comincia un lungo viaggio nella sua più profonda
memoria, quella della sua origine divina. Il suono dell’Om può apparire
attraverso diverse varianti; può essere percepito facilmente dopo che gli
orecchi sono stati chiusi, non appena si crea un minimo di calma interiore.
L'atteggiamento corretto è quello di focalizzarsi sulla più forte tra queste
varianti. Ogni ripetizione mentale del Mantra Om mantenendo desta
l’attenzione è essenziale; la consapevolezza segue pazientemente ciascun
debole suono interiore come se fosse un "filo d’Arianna" per uscire fuori del
labirinto della mente. Gradualmente si avvicina ad una dimensione sublime,
quella della Realtà Omkar che è la vibrazione dell'Energia primordiale.
Prevedendo il pensiero che si stava formando nella mia mente, la mia
insegnante precisò che la tecnica Hong so, nonostante la sua apparente
semplicità, non era per niente facile! Disse che se i risultati mi avessero
deluso, la causa sarebbe stata alcuni sottili errori nella pratica. Rimase un po'
sul vago ma, con un sorriso incoraggiante, concluse: «La tecnica contiene
tutto ciò di cui hai bisogno per entrare in contatto con l'Essenza Divina».
Devo ammettere, francamente, che il mio atteggiamento da principiante mi
portò a considerare il Mantra come una "parola magica" che poteva darmi,
con pochi giorni di pratica, una concentrazione sovrumana.
Chiaramente incontrai una forte disillusione: quella mi sembrava la procedura
più noiosa del mondo. La pratica sembrava inutile e ottusa.
Un giorno, sostenuto dalla stessa buona volontà che caratterizza il mio modo
di imparare, incominciai ad osservare con attenzione due dettagli che, a mio
avviso, era i responsabili dei miei fallimenti.
[1]… Ripetendo il Mantra mentalmente tante e tante volte, esso può
facilmente e naturalmente conformarsi ad un ritmo che ha la tendenza a
mantenersi immutato. Se il respiro segue questo ritmo è chiaro come il sole
che non rallenterà mai! Quando tale ritmo si è stabilizzato, la persona inspira
ed espira anche se il corpo "gradirebbe" o "potrebbe" rimanere dei momenti
senza respirare.
Chiunque può evitare quest’errore rimanendo sempre attento a non cadere in
tale tranello. Le pause tra un respiro e l’altro devono "poter esistere"; perciò
esse dovrebbero essere sperimentate, anche se ciascuna dura meno di un
istante. Questo semplice fatto è sufficiente per calmare drasticamente il
respiro, mentre una condizione di totale o quasi perfetta immobilità si

30
stabilizza nel corpo.
[2]…Durante l'inspirazione il torace si dilata e si crea una tensione elastica.
Mentre i polmoni e il diaframma sono tesi, c'è una forza elastica che cerca di
rilassarli. Perciò la pausa tra inspirazione ed espirazione è contrastata non solo
dal ritmo ma anche dall'elasticità dei muscoli della cassa toracica. È un'ottima
cosa essere consapevoli di questa forza elastica: ciò basta per rendere più
confortevole e più libera la pausa dopo l’inspirazione - l'esercizio allora verrà
eseguito e sperimentato nella massima armonia.
Mettendo tutto questo in pratica - un "circolo virtuoso" tra la calma
crescente e la ridotta necessità di ossigeno - mi portò in una gradevole
condizione in cui il movimento dell'aria attraverso il naso era così lieve da
essere del tutto impercettibile.
Quando tentai di discutere le mie osservazioni con coloro che praticavano
tale tecnica, mi resi conto di quanto fosse difficile per loro parlare di simili
argomenti. Talvolta incontrai un’enorme ed irragionevole resistenza verso tale
discussione.
C'erano coloro che non erano soddisfatti della loro pratica ma progettavano di
migliorarla in futuro (in tale occasione avrebbero preferito posporre l'ascolto
dei miei ragionamenti), mentre altri non riuscivano a comprendere quello che
stavo dicendo.
Ricordo che quando cercai di discutere questi dettagli con una signora che era
amica della nostra famiglia da molti anni, lei finse di ascoltarmi con
attenzione; alla fine disse brutalmente che lei aveva già un Guru e non sentiva
il bisogno di un altro. La sua osservazione mi ferì profondamente, poiché non
era mia intenzione insegnarle nulla: il mio scopo era portare avanti un
discorso costruttivo che potesse essere di ispirazione per entrambi. A parte
questo, che amicizia ci può essere tra due persone quando una si esprime in
questo modo?
Fu il susseguirsi di episodi simili a confermarmi l'idea che non essendo stati
incoraggiati a fidarsi della limpidità dell’auto osservazione, molti tra i miei
amici andavano avanti ad eseguire meccanicamente quello che era divenuto
null’altro che un vuoto rituale, ma che comunque metteva in pace la loro
coscienza.

Per introdurre la seconda tecnica preliminare, la cosiddetta tecnica Om, la


signora spiegò che il suo insegnante P.Y., (lo stesso che decise che questa
tecnica, fra tante possibili, dovesse essere una preparazione necessaria e non
facoltativa al Kriya) aveva illustrato in un modo nuovo l'insegnamento della
Trinità. Om è l'Amen della Bibbia - lo Spirito Santo, il suono "testimone"
della vibrazione dell'energia che sostiene l'universo.
La tecnica Om che stavo per imparare, una scoperta che i mistici fecero tempo

31
addietro, rende possibile percepire tale vibrazione. Grazie ad essa è possibile
essere guidati verso l’esperienza del "Figlio" - la consapevolezza Divina
presente all’interno della vibrazione energetica summenzionata.
Alla fine del proprio viaggio spirituale, uno può raggiungere la più alta realtà:
il "Padre" - la consapevolezza Divina che risiede oltre tutto ciò che esiste
nell'universo. 7
Il chiarimento ricevuto dalla signora era caratterizzato da un tale sentimento
di sacralità che rimase con me nei mesi seguenti e mi aiutò a superare la fase
iniziale della pratica nella quale sembrava improbabile che i suoni interiori
apparissero.
Ripenso con nostalgia a quel tempo in cui vivevo confinato nella mia stanza
come un eremita. Dopo tre settimane di pratica assidua, un giorno, dopo circa
dieci minuti dall’inizio, mi resi conto che stavo ascoltando un suono interiore.
Non avvenne all’improvviso: era come se lo stessi già ascoltando da alcuni
minuti. Mi trovavo in uno stato di gran rilassamento, il suono mi ricordava il
ronzio di una zanzara, poi finalmente si trasformò nel suono di una distante
campana, che era un abbraccio di dolcezza. Si trattò di una vera esperienza
estatica e si manifestò in un modo talmente strano che mi incantò. Ascoltare
l'Om significò toccare la bellezza stessa. Non riesco ad immaginare qualcosa
di simile che possa far sentire una persona così a proprio agio
Per la prima volta nella mia vita sentii che il concetto di "devozione" aveva un
senso. Ricordo che quando mi nasceva quel senso di beatitudine, dicevo a me
stesso «Questo è esattamente quello che ho sempre desiderato, e non voglio
perderlo più».8

Ricordo della mia cerimonia di iniziazione al Kriya

Studiando il corso per corrispondenza, imparai diversi modi per creare


delle abitudini salutari e come comportarmi onde non ostacolare ma anzi
favorire il fiorire delle mie esperienze spirituali.
Cercai in ogni modo di abbracciare la visione religiosa Induista-Cristiana
7
Tale tecnica non appartiene a quelle incluse nel Kriya originale, nel quale i suoni
interiori si manifestano senza chiudere le orecchie. Non è una invenzione di P.Y. in
quanto è descritta ampiamente nei libri di yoga classico, col nome di Nada Yoga - "lo
Yoga del suono." Essa è un’ottima tecnica di preparazione al Kriya in quanto invece di
porre l’accento sul "fare" insegna l’atteggiamento di "percepire".
8
Molti affrontano il Kriya con un atteggiamento sbagliato, quasi per cercare risultati
che gratificano l'ego. Credono e sperano che il Kriya sia un percorso di "crescita
psicologica" ma non vi troveranno un sostituto della psicoterapia! La cosa migliore è
rilassarci ricreando tramite la memoria l’atmosfera delle esperienze più belle incontrate
nella nostra vita e sentire un forte desiderio di ritrovarle nella vibrazione Om.

32
della scuola. Fu facile per me ammirare e amare la figura di Krishna,
immaginandoLo come la quintessenza di ogni bellezza; più difficile fu
avvicinarsi alla figura della Divina Madre, che non era la Madonna, ma un
addolcimento dell’idea della dea Kalì. Tanto mi diedi da fare che mi
allontanai di molto da me stesso. Lessi e rilessi solo gli scritti di P.Y.; talvolta
trovavo un suo particolare pensiero così bello e così perfetto che lo scrivevo
su un foglio di carta e lo tenevo davanti a me sulla scrivania, mentre studiavo.
Mentre continuavo a ricevere da chiunque, anche senza chiederle, lezioni di
devozione, umiltà e lealtà, il mio interesse per il Kriya divenne una vera e
propria brama, una febbre che mi consumava. Non capivo il motivo per cui
dovevo attendere tanto: la mia anticipazione, a volte, diveniva una inutile
tortura.
Il Kriya vero e proprio poteva, di norma, essere richiesto dopo un anno di
studio delle lezioni per corrispondenza. Nel mio caso, per motivi contingenti -
il materiale scritto che la scuola inviava viaggiava per nave e i ritardi erano
enormi – tale periodo divenne di due anni.
Coloro che già possedevano il Kriya, mi prendevano in giro con malcelata
crudeltà e mi dicevano: «Vedrai che a te il Kriya neanche lo daranno, perché
un devoto non deve desiderare una tecnica con tanta intensità: Dio si trova
anzitutto con la devozione e l’abbandono alla Sua volontà». Cercavo di stare
buono; attendevo e sognavo.
Alla fine venne il momento in cui potei formalmente richiedere
l’insegnamento per corrispondenza del Kriya. Passarono quattro mesi, ogni
giorno speravo di ricevere il tanto desiderato materiale, finalmente arrivò una
busta. La apersi con un’aspettativa che non riesco a descrivere: rimasi
profondamente deluso perché conteneva soltanto altro materiale introduttivo.
Dall’indice del materiale, posto alla prima pagina, compresi che la lezione che
tenevo in mano era la prima di una serie e che la tecnica completa sarebbe
giunta entro circa quattro settimane. Così, per un altro mese, avrei dovuto
studiare le solite filastrocche che conoscevo a memoria.
Avvenne invece che nel frattempo un Ministro di quella organizzazione
visitò il nostro paese e potei partecipare ad una cerimonia di iniziazione.
Dopo mesi di attesa, finalmente giunse il tempo di «stringere un patto eterno
con il Guru e ricevere la tecnica Kriya nell’unica maniera legittima, carica
quindi delle Sue benedizioni».
Quelli che, come me, erano pronti a ricevere l'iniziazione, erano circa un
centinaio. Ci trovammo in una bellissima stanza, affittata per l'occasione ad
un costo molto elevato, decorata con tantissimi fiori, quanti non ne ho mai
visti in vita mia, neanche nei più sontuosi matrimoni! L’introduzione alla
cerimonia avvenne in un modo sfarzoso: una trentina di persone indossando
una sobria uniforme, entrarono in fila nella stanza, con atteggiamento solenne

33
e mani giunte in preghiera.
Mi venne spiegato che quelle persone facevano parte del gruppo locale il cui
capogruppo era uno stilista il quale aveva preparato la coreografia di quella
entrata trionfale. I due Ministri, appena arrivati dall'estero camminavano
umilmente, disorientati, dietro di loro. La cerimonia vera e propria
incominciò. Accettai senza obiezioni che ci fosse richiesta una promessa di
fedeltà eterna non solo al Guru P.Y. ma anche ad una catena formata da altri
cinque Maestri: Lahiri Mahasaya ne era un anello intermedio mentre P.Y. era
il così detto Guru-precettore, ovvero colui che si sarebbe parzialmente
assunto il peso del nostro Karma. Sarebbe stato veramente strano se nessuno
avesse avuto dubbi su quest’ultimo evento: ricordo, infatti, che un’amica mi
chiese se P.Y. - non potendo confermarlo, essendo residente nei mondi astrali
- l'avesse realmente accettata come "discepola" prendendosi, di conseguenza,
anche il fardello del suo Karma.
Ci assicurarono che il Cristo apparteneva a questa catena di Maestri e che un
tempo era apparso a Babaji (Guru di Lahiri Mahasaya) chiedendogli di
mandare qualche emissario nell'Ovest per diffondere l'insegnamento del
Kriya. Questa storia non mi provocò alcuna perplessità: forse non avevo il
tempo di pensarci. Ero ansioso di ascoltare la spiegazione della tecnica che
sarebbe avvenuta di lì a poco. D’altro canto, considerare che la missione di
diffusione del Kriya, fosse originata dal Cristo stesso era un’idea assai carina.
La tecnica Kriya incarnava le più effettive benedizioni di Dio alla Sua
creatura privilegiata, l'essere umano, dotata, a differenza degli animali, di
sette Chakra. La scala mistica dei Chakra fatta di sette gradini è la vera
autostrada verso la salvezza, la via più veloce e più sicura.
La mia mente era in una condizione d’enorme attesa per quello che avevo
desiderato con tutto il mio essere: per questo mi ero seriamente preparato da
mesi. Non partecipavo ad una cerimonia per far contento qualcuno o per
salvaguardare una tradizione di famiglia: essa rappresentava il coronamento di
una scelta definitiva! Il mio cuore era immensamente e perfettamente felice
anticipando la gioia che sarebbe scaturita dalla pratica del Kriya.
Quando arrivammo alla spiegazione del Kriya Pranayama, scoprii che già
conoscevo la tecnica: si trattava del Respiro Kundalini che avevo trovato
tempo addietro nelle mie letture esoteriche - quello in cui la corrente
energetica fluiva totalmente all’interno della spina dorsale. Ho già spiegato
che non lo avevo preso in seria considerazione poiché P.Y. nei suoi scritti
aveva scritto che l’energia ruotava «attorno ai Chakra, lungo un circuito
ellittico». Non fui deluso, anzi, la tecnica mi sembrava perfetta.
La spiegazione delle tecniche Maha Mudra e Jyoti Mudra (non usavano mai il
termine più comune Yoni) concludeva le istruzioni tecniche.
Tutte le tecniche vennero spiegato nei minimi dettagli, in un modo che non

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ammetteva la minima variante e, inoltre, venne caldamente raccomandata una
precisa routine. Se fosse sorto il minimo dubbio sulla correttezza di un certo
dettaglio, nessuno era incoraggiato a tentare un esperimento per conto proprio
e trarre da sé le conclusioni. L'unica azione "corretta" era quella di prendere
contatto con la direzione della scuola, esporre il problema, ricevere i consigli
appropriati. Questo, in effetti, fu quello che sempre feci. Imparai ad interagire
solamente con persone "autorizzate"; cercavo con molta serietà il loro
giudizio come se fosse dato da esseri perfetti che non potevano sbagliare.
Credevo che fossero dei "canali" attraverso i quali le benedizioni del Guru
fluivano. Inoltre, ero intimamente convinto che - anche se non lo
ammettevano per umiltà - loro avessero già raggiunto il più alto livello di
realizzazione spirituale.

Voglio anticipare qui un problema che è fondamentale nel costruire una


buona routine Kriya. Il primo esercizio da praticarsi era la tecnica di
osservazione del respiro (la tecnica Hong-so) che durava da dieci a venti
minuti. Il respiro si sarebbe calmato e ciò avrebbe creato un buon livello di
concentrazione. Poi, dopo avere messo gli avambracci su un appoggio,
iniziava l'ascolto dei suoni interiori – questo avrebbe richiesto circa lo stesso
tempo. Poi ci sarebbe stata un'altra interruzione a causa del Maha Mudra.
Infine, ritornando nella posizione immobile e cercando di ripristinare lo stato
di sacralità, s’incominciava il Kriya Pranayama nel rigido rispetto di tutte le
istruzioni. Dopo lo Jyoti Mudra, la routine Kriya si sarebbe conclusa con dieci
minuti di pura concentrazione nel Kutastha assorbendo gli effetti della pratica.
Nella mia esperienza pratica, le due tecniche preliminari erano profondamente
sacrificate, mentre il tempo da dedicarsi alla concentrazione finale era troppo
breve. Durante l’esecuzione della tecnica Hong-so, il pensiero che presto
avrei dovuto interromperla per passare alla tecnica Om mi creava una
sensazione di disturbo, limitando il mio abbandono totale alla sua bellezza.
Lo stesso accadeva con la seconda tecnica, che veniva interrotta per praticare
il Maha Mudra e il Pranayama.
La tecnica d’ascolto dell'Om era in se stessa un universo "completo" e portava
all'esperienza mistica: ecco perché l'atto di interromperla era qualcosa di
peggio che un semplice disturbo. Era incompatibile con ogni logica; come se,
riconosciuto con piacevole sorpresa un amico in mezzo alla folla, mi
intrattenessi con lui, poi, all’improvviso, gli volgessi le spalle, mi mescolassi
alla folla con la speranza di sperimentare entro breve tempo la sorpresa di
incontrarlo nuovamente per riprendere la conversazione sospesa.
Il suono di Om rappresentava l'esperienza mistica stessa, la Meta che cercavo,
perché mai avrei dovuto interromperne quella sublime sintonia per poi
riconquistarla attraverso un'altra tecnica? Forse perché il Kriya Pranayama

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era una procedura più elevata? Più elevata? Ma cosa diavolo significa? È una
cosa senza senso! Mi costrinsi a questa assurdità per un periodo estremamente
lungo. Provo imbarazzo a confessare che durò non meno di tre anni. Proseguii
senza mutare la routine che mi era stata consigliata, sperando in una ipotetica
evoluzione futura di tale precaria situazione. Tale era il potere di quella follia
che nel nostro gruppo era chiamata "lealtà".
Ero divenuto come uno di quegli animali nutriti dall’uomo che perdono il
potere di essere auto sufficienti. Allora, il pensiero di usare la mia testa mi
pareva un atto di stupida superbia.

Difficoltà col materiale stampato relativo ai Kriya superiori

Nella mia ricerca spirituale, la tecnica del Secondo Kriya fu un segreto


ben-sigillato per molti anni. 9
Siccome P.Y. scrisse che la tecnica del Secondo Kriya rende capace uno Yogi
di lasciare il corpo consciamente a volontà, apprendere tale delicato
meccanismo era uno dei miei sogni. Ero certo che esercitarmi con tale
procedura avrebbe avuto un forte effetto sulla mia evoluzione spirituale.
Fra i kriyaban del gruppo di meditazione, c'era una signora, che aveva
ricevuto l'iniziazione al Kriya molti anni addietro e aveva un tempo vissuto
presso la sede centrale della nostra scuola.
Un giorno le chiesi se avesse ricevuto il Secondo Kriya. Sembrò non capire la
domanda. Perciò, celando il mio stupore, le ricordai che un discepolo di Lahiri
Mahasaya, Swami Pranabananda, aveva accompagnato il momento della sua
morte con la pratica del Secondo Kriya. Si alterò visibilmente, dicendo che la
citazione chiaramente si riferiva alla tecnica del Pranayama: un respiro, poi
un altro ancora e questo "secondo respiro" era, a suo dire, il "Secondo Kriya"!
Mi sentii mancare; la guardai in modo mite ma intenso: senza rendersi conto
mi aveva rivelato in quale infimo posto avesse messo quanto P.Y. aveva
scritto o detto. Ebbi l'impressione che la stessa idea di un'ulteriore tecnica da
aggiungersi col tempo alle troppe già ricevute e praticate quotidianamente, la
infastidisse alquanto. Era come se sentisse di aver fatto uno sforzo così grande
9
Se ora considero che cosa diversi insegnanti dissero e stanno dicendo attualmente su
questa tecnica, penso a una iettatura che ci grava sopra! Come se stessero esplicando
una volontà perversa, essi diedero sfogo a tutta la loro abilità di generare la più
selvaggia deformazione. Uno di loro tentò di convincermi che il Secondo Kriya era
simile alla tecnica tibetana di aprire un foro nella Fontanella (cima della testa) e la
prova della validità della tecnica era la stessa delle tradizioni tibetane: un kriyaban
avrebbe dovuto poter inserirvi il gambo di un fiore (!). Non opprimerò il lettore con
l'elenco di altre sciocchezze udite da me nel corso degli anni. La ragione che spiega
come mai rimasi pressoché ipnotizzato dal fascino magico di tali assurdità, era che
avevo l'attitudine di privilegiare tecniche complicate.

36
nello stabilirsi nell'abitudine alla pratica quotidiana del Primo Kriya che non
poteva impegnarsi maggiormente - aveva già «dato il massimo». So per
certo che fino ad oggi è rimasta ferma nella sua convinzione.
Non so quale fu il peggior esempio di quella che chiamo mancanza di rispetto
per il Kriya, se quello riferito o il seguente.
Un giorno una signora dall'aspetto aristocratico mi rivelò di aver ricevuto
molto tempo addietro l'iniziazione ai cosiddetti Kriya superiori. Pieno di
entusiasmo sgranai gli occhi. Disse che si era sentita così indegna che li aveva
messi in disparte e, dopo un po' di tempo, li aveva dimenticati completamente.
Quest'ultimo abominio era inconcepibile per me. Quando obiettai che il suo
comportamento sembrava una manifestazione di indifferenza verso gli
insegnamenti elevati del suo Guru, mi guardò smarrita come se la mia
impertinenza avesse violato una legge implicita: non entrare impudentemente
nella dimensione intima del suo Sadhana. Mi rispose dicendo che quello che
aveva le bastava; poi troncò bruscamente il discorso.

La scuola forniva solamente per scritto istruzioni sui Kriya superiori. Non
vennero mai impartite delle iniziazioni dirette. Il lettore può intuire quanto
fossi interessato a imparare per bene tali tecniche. Esse venivano illustrate
nell'ultima parte del corso per corrispondenza. Purtroppo alcuni dettagli erano
ambigui. Avevo dei dubbi su come il Kechari Mudra dovesse essere ottenuto
(P.Y. scrisse che esso era un tecnica importante, da essere praticata
regolarmente onde risvegliare Kundalini), incerto su come eseguire la forma
particolare di Secondo Kriya e anche su come padroneggiare la tecnica del
Thokar (la scuola lo chiamava Terzo e Quarto Kriya) che richiedeva dei
particolari movimenti della testa. Scrissi alla direzione della scuola per fissare
un appuntamento con uno dei suoi rappresentanti, un Ministro che presto
sarebbe giunto in visita in Italia. Speravo di chiarire ogni cosa in quella
occasione e attendevo quell'appuntamento con grande anticipazione. Quando
il Ministro arrivò gli fui presentato. Disse che avrebbe chiarito i miei dubbi
appena possibile. Ero tranquillo e attendevo. Fui molto deluso quando mi
accorsi che questi continuava a posporre, senza valide ragioni, il momento del
nostro incontro.
Siccome avevo deciso di non arrendermi, finalmente ci incontrammo.
Attraversai un'esperienza veramente spiacevole. Credevo che l'ipocrisia, la
burocrazia, le formalità, le piccole falsità e sottili violenze all’onestà altrui
fossero totalmente estranee a chi dedicava la propria esistenza a praticare e
insegnare il Kriya. L’impressione che ebbi fu simile a quella di incontrare un
manager che aveva altre cose più importanti in testa e che era molto irritabile.
Fu irremovibile sul non parlare del Kechari Mudra e per quanto riguarda i
movimenti del Thokar, mi consigliò bruscamente di limitare la mia pratica

37
alle tecniche del Primo Kriya.
Affermò che ero troppo agitato per essere un buon kriyaban (...ero solo
disperato e profondamente deluso); infastidito m’invitò bruscamente ad
indirizzare le mie domande, in forma scritta, alla direzione della scuola. Non
servì a nulla obiettare che non era possibile verificare per mezzo di una lettera
i movimenti della testa, mi trovai di fronte ad un muro ed il rifiuto fu assoluto.
Avevo sempre avuto fiducia e rispettato quella scuola; avevo studiato tutta la
relativa letteratura come se avessi dovuto preparare un esame universitario. La
mia costernazione era quella d’essere ora un testimone impotente del
capriccio insensato di un uomo in una posizione di potere. Dopo l'intervista
con quel personaggio mal disposto, mi trovavo in una atroce condizione
mentale ed emotiva.
Coloro che mi videro subito dopo tale incontro rimasero scioccati: dissero che
ero irriconoscibile. Afferrato quello che era successo, un'amica kriyaban con
voce agnellata suggerì che quella era una importante "calmata" che Gurudeva
mi aveva dato. Non riuscivo ad accettare alcun invito alla calma e a lasciar
perdere l'intera questione.
Ci sono pensieri infantili che emergono in momenti difficili: temevo,
oscuramente, che quest’uomo, ritornato alla direzione della scuola potesse
parlare male di me, dicendo qualche cosa che nel futuro avesse potuto mettere
in pericolo un'altra opportunità di avere quei chiarimenti tanto agognati.
Temevo di non poter più affidarmi al rapporto idilliaco con quella
organizzazione di Kriya che per tanti anni aveva rappresentato il mio
orizzonte.
Allo stesso tempo, un'altra parte di me stesso, che le regole del gruppo non
erano riuscite a soffocare completamente, sapeva che quell'esperienza
distruttiva si sarebbe trasformata in qualcosa di cruciale non solo per me, ma
anche per altre persone. L'autodidatta entusiasta del Pranayama, risvegliato
da un sonno fin troppo lungo per mezzo di quel salutare calcio "nel fondo
schiena", stava godendosi l'intera situazione.

Anni dopo venni a sapere che un gruppo di appassionati di Kriya, che


vivevano in un'importante città europea, dopo avere cercato invano di ricevere
dai cosiddetti "Ministri autorizzati" i chiarimenti sui Kriya superiori, si erano
rivolti ad un insegnante indiano invitandolo nel loro gruppo. Questi accettò
l'invito, giunse nel gruppo e, dando una lettura veloce al materiale scritto,
oggetto di così tanti dubbi, affermò di non riconoscere il Kriya da lui
praticato.
Gli insegnamenti scritti forniti dalla scuola erano effettivamente ambigui.
Per portare un esempio, il Mantra era presentato in un modo inusuale, scritto
in modo specifico per gli anglofoni (om naw maw bhaw….). Si può rispettare

38
questa scelta, ma solo fintantoché essa sia integrata da una nota che riporta il
vero spelling del Mantra. A parte questo, la cosa assurda era che detto
Mantra era sempre scritto con dodici sillabe separate, come se non di un
Mantra si trattasse ma di dodici. Il lettore medio non era capace di
riconoscere affatto il Mantra: Om Namo Bhagavate Vasudevaya e perdeva
tempo a cercare invano di immaginare l’origine e il significato di ciascuna
delle sillabe, come se ciascuna fosse uno strano bija Mantra. Ora, conoscendo
gli indiani, sono sicuro che quel Maestro aveva totale familiarità con quanto
andava leggendo ed era capace di chiarire ogni dubbio. Stava fingendo: la sua
sceneggiata era intesa a dare l’impressione che gli insegnamenti di P.Y.
fossero totalmente errati, ingannevoli, costruiti di fantasia. In questo modo
voleva dare l’impressione di essere venuto presso il gruppo per salvare le
persone da un completo abisso di errore. Affermò che era necessario ripartire
completamente daccapo e ricevere di nuovo, da lui, l’iniziazione al Primo
Kriya. Come conseguenza perse immediatamente due terzi degli studenti che
rifiutarono categoricamente di diventare formalmente "suoi discepoli", come
lui richiedeva. Quelli che accettarono le condizioni furono iniziati di nuovo
nel Primo Kriya e ricevettero tecniche nuove come il Kechari Mudra e il Navi
Kriya. Provvidenzialmente la segretezza non fu rispettata, ed informazioni
preziose giunsero ai miei orecchi. Alcuni praticanti assidui ricevettero in
seguito anche i Kriya superiori; qualcuno tra loro non si fece più sentire e
scomparve, come in un buco nero, nell'orbita di quell’insegnante, altri
rimasero con un piede nella scuola ed uno fuori, portando avanti una pratica
contraddistinta da molti ripensamenti e da un generale sentimento
d’insoddisfazione.

Ripensandoci, forse quel monaco almeno su un punto aveva ragione: calmo


non ero affatto, anzi non lo sarei stato proprio più. Volevo conoscere il Kriya
alla perfezione e nessuno ormai avrebbe più potuto trattenermi, con nessuna
motivazione. Anzi, trovavo strano, che una simile passione non dominasse
l'esistenza dei miei amici kriyaban. Pur restando fedele alla mia
organizzazione Kriya, non accettavo veti.
Mi rivolsi a quella signora anziana che mi aveva già insegnato le tecniche
preliminari e che era investita ufficialmente del ruolo chiamato "Meditation
Counselor". Mi incolpò di aver reso burrascoso il colloquio col Ministro.
Lei i Kriya superiori li aveva appresi anni prima e solamente in forma scritta,
proprio come me. Cosa alquanto strana - a mio avviso una negligenza
imperdonabile - non se li era mai fatti controllare da discepoli diretti di P.Y.,
pur avendo avuto tante occasioni per farlo. In seguito aveva smarrito tale
materiale scritto e non si era mai curata di richiederne una nuova copia. In
parole povere, forse ne sapeva meno di me. Incapace, come era, di chiarire i

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miei dubbi tecnici, sostenne comunque con forza, anche se nel suo modo
sempre dolce, che il consiglio del Ministro incarnava la volontà di Dio.
Cercai di ragionare con lei sul mio diritto e dovere di esplorare tutte le fonti
possibili. Discussi il progetto di andare in India a perfezionare il mio Kriya.
Farfugliò qualcosa sull'India, su tante persone che a suo dire restarono deluse
o che trovarono la droga o che persero la grazia del rapporto Guru-discepolo.
Non capivo. Mi portò l'esempio di coloro che incontrarono in un famoso
Ashram un insegnante che diede loro l'iniziazione al Kriya senza averne
alcuna autorizzazione e che lo mescolava con tecniche che nulla avevano a
che fare col Kriya. Mi uscì d'istinto una frase molto forte di cui poi mi
sorpresi: «Dovessi ricevere un insegnamento sul Kriya dal peggiore
delinquente del mondo, sarei capace di trasformarlo in oro. E se questo fosse
inquinato avrei l'intuizione di separare il grano dall'oglio».
Rimase sorpresa, forse pensava che tante parole e ammonimenti non erano
serviti a niente. Sospirando disse che la mia logica nasceva da un ego ferito.
Mi girai verso una particolare foto di P.Y., presa lo stesso giorno della sua
morte. Era stata incorniciata con molta cura, alcuni fiori e un pacchetto di
incenso erano posti davanti ad essa. In quei momenti di silenzio, mi sembrò di
vedere come se una lacrima fosse in procinto di formarsi nei suoi dolci occhi
(non era una sensazione bizzarra, altre persone mi riferirono la stessa
impressione); le riferii questa osservazione, divenne seria, e guardando in
lontananza verso un punto indefinito, sospirò gravemente: «Questa
impressione prendila come un avvertimento; il Guru non è contento di te»!
Non c'era alcun dubbio che non stava affatto scherzando. In quel momento mi
resi conto di come P.Y. fosse una "presenza" nella sua vita, anche se non lo
aveva mai incontrato di persona!
Mi parlò a lungo, ininterrottamente per circa un'ora. Continuò a spiegare che
l'intelligenza è un'arma a doppio taglio: essa può essere usata per eliminare
l'ascesso dell'ignoranza e anche per recidere di netto il collegamento con la
linfa vitale che sostiene il percorso spirituale.
Poi mi parlò di un discepolo di P.Y. il quale, un tempo, aveva fatto parte della
direzione della scuola, poi si era messo in proprio aprendo una scuola di
Kriya: un "traditore" secondo lei. Lo paragonò all'angelo Lucifero, bello e
intelligente. Poi si perse parlando di disciplina, di lealtà ...
Ricordo in particolare un aneddoto che voleva illustrare come tutto quello che
l'organizzazione mi chiedeva veniva direttamente da Dio.
Mi raccontò quanto accadde quando un discepolo decise di lasciar l'Ashram di
P.Y.. Il Guru, consapevole di ciò, cercò di fermarlo, quando sentì
internamente una voce - quella di Dio stesso, Lei assicurò - la quale gli
intimava di non interferire con la libertà del discepolo.
Il Guru obbedì ed in un bagliore d’intuizione vide tutte le incarnazioni future

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del suo discepolo, quelle in cui lui si sarebbe perso, nelle quali avrebbe
continuato a cercare - in mezzo a sofferenze innumerabili e indicibili,
passando da un errore ad un altro - lo stesso sentiero spirituale che ora stava
abbandonando. Poi, alla fine, sarebbe ritornato sullo stesso sentiero.
La signora disse che il suo Guru specificò il numero delle incarnazioni che
quest’immenso e desolato "viaggio" sarebbe durato: approssimativamente
trenta (!) La morale di questa storia era evidente, qualcosa da cui non potevo
sfuggire: dovevo ubbidire a ciò che mi era stato consigliato e non cercare altro
«perché quella era sicuramente la volontà di Dio». Se non lo avessi fatto mi
sarei senz'altro perso in un labirinto di enormi sofferenze e chissà quando
avrei di nuovo ritrovato la strada giusta.
Sebbene ammirasse la serietà con la quale procedevo lungo il sentiero -
diversamente da altre persone tiepide ed esitanti che andavano da lei
unicamente per essere ricaricate di una motivazione che non riuscivano a
trovare in loro stessi - era delusa per il fatto che la devozione che lei provava
per il suo Guru mi era totalmente estranea.
Raccontando questo o altri episodi della vita di P.Y., cercava di rendermi
partecipe delle sue esperienze. Le sono grato per tutti i suoi sforzi sinceri e per
il tempo che spese per me; ma come poteva cambiare la mia natura? Fece
quello che era nelle sue possibilità: non poteva dar sollievo alla mia immensa
sete di conoscenza dell’arte del Kriya. Guardando i suoi begli occhi
rattristati, ebbi la chiara impressione che lei fosse in permanente anticipazione
che io agissi in qualche modo "sleale."

Non seguii i suoi consigli. A lungo sperai di trovare in qualche libro indizi
che mi aiutassero a chiarire i dubbi che riguardavano sui Kriya superiori - uno
era la prassi del Kechari Mudra, il secondo cosa fossero i colpi psicofisici con
cui P.Y. assicurava che era possibile risvegliare i Chakra.
La mia ricerca prese una particolare direzione: lei stessa mi aveva fatto tre
nomi di discepoli diretti di P.Y. che avevano litigato con la direzione della
scuola e che in seguito si erano messi per conto proprio. Senza farle sapere
nulla, acquistai tutto il materiale pubblicato da loro, persino registrazioni di
loro conferenze. Speravo che per mostrare quanto fossero abili col Kriya, essi
uscissero fuori con delle frasi interessanti, più profonde del materiale fornito
dalla scuola. Avevo anche una debole aspettativa che regalassero al lettore
(che trascurava la fonte principale per ascoltare la loro voce di dissenso) il re-
galo di un materiale didattico più accurato.
Il primo discepolo sembrava un esperto in chiacchiere ed era avaro con le
spiegazioni pratiche; il secondo era indubbiamente più professionale, dotato
di spirito didattico, ma dalla sua letteratura e registrazioni su nastro solo una
delle sue frasi gettò una debole luce su uno dei Kriya superiori; nella

41
letteratura del terzo discepolo – sorprendente e preziosa in quanto, avendo
incontrato la tragedia della malattia mentale, raccontava dettagliatamente il
suo travaglio – trovai (tranne una frase illuminate sul ruolo del Kechari
Mudra) solo una devastante banalità. I segreti, se ne avevano, erano ben
custoditi! Mesi più tardi, la signora che avevo conosciuto, la meditation
counselor venne a sapere che avevo letto i "libri proibiti".

Non avevo dubbi che in questo terzo millennio una persona potesse leggere
quello che riteneva più conveniente e così feci; uno di questi libri anche se
non chiariva nulla era interessante: ne regalai una copia ad alcuni amici!
Dopo alcuni mesi, un amico mi mostrò una lettera nella quale lei si riferiva a
me come «uno che pugnala il suo Guru alle spalle e distribuisce pugnali
affinché altri facciano lo stesso»!
La sua reazione fu così abnorme che non mi ferì affatto; sperimentai piuttosto
per lei una sorta di tenerezza. Sentii che aveva agito sull'onda di
un’emozionalità irrefrenabile e che decenni di condizionamento avevano
influito irreparabilmente sul suo buonsenso.
Ravvisando che le sue infauste attese nei miei confronti si erano
materializzate, sono certo che mentre scriveva quella lettera e ci riversava
molte altre considerazioni come per liberare tutta la tensione accumulata, la
sua espressione doveva essere stata finalmente tranquilla e serena come quella
di chi assapora una dolce, intima, soddisfazione.

Alcuni anni dopo, quando il mio rapporto con quella scuola di Kriya era
quasi completamente compromesso, incontrai un altro dei suoi rappresentanti:
in cinque minuti quel ministro mi mostrò (senza riserve ed isterismi) come
venivano fatti i movimenti del Terzo e Quarto Kriya e mi incoraggiò nella
pratica di tutte le tecniche del Kriya. Aveva Dio mutato i Suoi piani, o avevo
finalmente incontrato una persona educata ed assennata?

42
CAPITOLO I/04 ASSENZA DI RESPIRO

Vincendo una certa riluttanza, cominciai a leggere alcuni libri scritti dai
discepoli di Lahiri Mahasaya, che non avevano alcun collegamento con P.Y..
La mia esitazione ad abbandonare la letteratura legata a P.Y. derivava dal fat-
to che, a mio avviso, egli era unico ed ero certo che avrei usato solo il suo in-
segnamento durante la mia vita. Se qualcuno affermava che c'erano dei segreti
sul Kriya da potersi ottenere al di fuori del lascito di P.Y., questo fatto m’infa-
stidiva.
I libri scritti da diretti discepoli di Lahiri Mahasaya (o da loro discepoli) erano
pochi: principalmente commenti dei classici spirituali. Mi delusero parecchio
e mi fecero rimpiangere lo stile chiaro di P.Y. Non vi trovai nient’altro che
parole vuote, prive di alcun significato, ripetizioni senza fine unite alla carat-
teristica intollerabile di saltare continuamente da un argomento ad un altro. I
chiarimenti pratici che erano presentati come preziosi non erano altro che del-
le povere cose copiate dai libri classici di Yoga. Erano scritti così male da far
pensare che l'autore non si fosse neanche dato la pena di controllare i testi ori-
ginali che citava. Probabilmente aveva copiato da un altro libro il quale a sua
volta era copiato da altri, in una catena dove ogni autore aggiungeva qualche
strana considerazione tanto per contraddistinguere il suo personale contributo.
Mi convinsi a torto che da quelle fonti non avrei potuto ricavare nulla.
Decisi di studiare di nuovo tutto il materiale fornito dalla organizzazione e
scavare più profondamente in esso. Ero solito incontrare alcuni amici
kriyaban la Domenica pomeriggio, leggere alcuni pezzi cruciali dalle lezioni
sul Kriya e parlava di questi durante una passeggiata. Ciascuno si impegnava
in uno studio personale di cui quelle chiacchierate rappresentavano un vertice.
Rabbrividisco al pensiero di quanto sterile fosse il nostro sforzo - come cavar
sangue da un muro - eppure le cose andarono avanti così per circa due anni.
Poi una profonda crisi sradicò ogni apparente certezza. Essa nacque dalla
decisione ostinata di affrontare nel modo yogico i problemi connessi con una
delicata relazione umana. Scelsi, fra tutti gli scritti di P.Y., una frase che
sembrava confermare quei modi di comportamento verso cui il mio istinto
cieco mi conduceva. Ingannai me stesso ripetendola internamente come un
Mantra mentre agivo in un modo che era contrario al buon senso. Non riuscii
a vedere che questo letale approccio mi impediva di esercitare prudenza e
discriminazione. Stavo agendo come sostenuto dall’"alto", immaginando che
le benedizioni e la forza del Guru fossero con me.
Il fallimento venne e fu desolante e deplorevole.
In un primo momento non riuscivo ad accettarlo. Rifiutavo di credere di avere
agito in modo errato. Ero convinto che l'altra persona fosse incapace di essere
all’altezza del mio modo di agire. Credevo che il mio fosse un fallimento

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apparente, che un giorno tutto si sarebbe risolto a mio favore. Poi il mio sogno
illusorio cominciò a disintegrarsi, lentamente ma inesorabilmente.
Per alcuni mesi non fui capace di rintracciare il filo di un pensiero coerente,
poi riuscii a guardare all'intera situazione con il dovuto distacco.
I miei primi sforzi nell'esplorare il mio Pranayama che avevo appreso dai
libri erano accompagnati da intelligenza e anche da un po' di coraggio: potevo
servirmi solo della mia intuizione. Questa disciplina era per me un'arte da
perfezionarsi con la più grande concentrazione. Mentre praticavo, sognavo i
suoi impensabili sviluppi ed ero quietamente eccitato durante ciascun istante
di essa. Questo mi rivelò un autentico paradiso!
Per ciò che concerneva il modo con cui avevo affrontato la pratica delle
tecniche Hong So e Om, ero stimolato dall'idea (che si rivelò falsa) che esse
non erano efficaci come il Kriya Pranayama. Espressi perciò una dedizione
che non fui più in grado di riprodurre: il risultato mi ricompensò
immensamente.
In seguito, avendo ricevuto il Kriya, l'idea di praticare «la tecnica più
veloce tra quelle che favoriscono l'evoluzione spirituale» fece perdere il
mordente alla intensità del mio sforzo. A parte altri stupidi pensieri, avevo
bevuto l'idea infantile che ciascun respiro Kriya producesse «l'equivalente di
un anno solare di evoluzione spirituale» e che con un milione di questi respiri
avrei raggiunto infallibilmente la Coscienza Cosmica. Cercavo solo di
eseguire il più gran numero possibile di Pranayama onde avvicinarmi più
velocemente al momento in cui avrei completato il numero menzionato sopra.
L'atmosfera ipnotica delle "benedizioni del Guru" fece sì che non mi
rendessi conto della situazione in cui ero lentamente scivolato e quindi non
sentivo vergogna o rimorso. Mi sentivo un essere privilegiato, cui era stato
concesso un vantaggio inaspettato. «Non siete contenti di aver trovato un
vero Guru? - per anni ascoltai questo ritornello dall'organizzazione - Non
siete entusiasti che Lui sia stato mandato a voi da Dio Stesso?» «Oh siiii che
siamo contenti» rispondevamo con lacrime di gioia. Questa idea, più di
qualsiasi altro fattore, ebbe effetti letali su di me: fu la culla in cui il mio ego
fu nutrito e rafforzato.
Il ricordarmi che ero entrato nella organizzazione di Kriya solo per
perfezionare la mia già buona pratica del Pranayama creò un dolore
pungente: era imperativo ricreare lo spirito di una autentica ricerca. Dovevo
smettere di comportarmi come un uomo che ha trovato un tesoro, lo nasconde
e ci dorme sopra soddisfatto; era necessario da questo momento in avanti, se il
Pranayama era effettivamente un tesoro come ero convinto, usare la mia
intelligenza per perfezionarlo. Questo implicò accettare anche il disagio
dell'incertezza e del dubbio.

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Patanjali

Studiai gli Yoga Sutra di Patanjali per trovarvi un indizio su come


pianificare una routine di Kriya. Patanjali fu un pioniere nell’arte di
considerare razionalmente il sentiero mistico, cercando di individuare una
direzione agli eventi che fosse universale, fisiologica, che spiegasse come mai
un certo fenomeno, inerente al sentiero spirituale, dovesse precederne un altro
e necessariamente seguirne un altro. La sua fatica di sintesi potrebbe essere
criticata, o, a causa della sua distanza temporale, essere di difficile
comprensione ma, in ogni caso, è di straordinaria importanza.
Nello sviluppo del processo mistico (Yoga), egli individua otto passi: Yama,
Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi.
Ci sono diversi modi di tradurre questi termini sanscriti. Yama: autocontrollo
(non-violenza, non mentire, non rubare, non lussuria e non attaccamento).
Niyama: osservanze religiose (pulizia, appagamento, disciplina, studio del Sé,
e resa al Dio Supremo).
Per quanto riguarda Asana (posizione del corpo) Patanjali spiega che deve
essere stabile e comoda.
La prima azione significativa è il Pranayama: regolazione del Prana
principalmente tramite la regolazione del respiro. Ne nasce uno stato di calma
e di equilibrio che diviene il fondamento dei passi successivi. La fase del
Pranayama conduce allo stato elevato di assenza di respiro. Pratyahara (la
consapevolezza è scollegata dalla realtà esterna) richiede perfetta immobilità.
Dharana significa concentrazione (focalizzare la mente su un oggetto scelto).
Dhyana è meditazione o contemplazione (la prosecuzione dell'azione di
focalizzazione come un flusso costante ininterrotto della consapevolezza che
esplora pienamente tutti gli aspetti dell'oggetto scelto) e Samadhi è perfetto
assorbimento spirituale (contemplazione profonda, nella quale l'oggetto della
meditazione diviene inseparabile da colui che medita).
Per quanto riguarda Dharana e Dhyana, Patanjali spiega che, dopo la
scomparsa del respiro, lo Yogi dovrebbe cercare un oggetto concreto o astratto
verso cui volgere la sua concentrazione ed esercitarla in una specie di
meditazione contemplativa fino a perdersi in esso.
Onde porre in relazione gli otto passi di Patanjali con il Kriya, appare
chiaro che i primi due passi (le cose che è giusto fare come anche quelle che è
giusto evitare) dovrebbero essere dati per scontati senza menzionarli. È palese
la totale inutilità delle "prediche" moraleggianti. Questo non significa che la
vita del kriyaban possa essere dissoluta. Però la necessità di conformarsi a dei
precisi precetti morali è qualcosa che si comprende solo dopo aver gustato il
miele dell'esperienza spirituale.
Per dirla in modo semplice, si è visto che delle persone che conducono una

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vita moralmente discutibile hanno avuto successo con il Kriya arrivando
spontaneamente alla cosiddetta vita virtuosa, mentre molti "benpensanti"
abbiano fallito.
Un buon insegnante di Kriya è sempre incline a far finta di non vedere tanti
fatti discutibili riguardanti il comportamento dell’allievo. Egli ha gran fiducia
nell’effetto trasformante della pratica del Kriya. D'altro canto è ovvio che se
una persona, desiderosa di imparare il Kriya, va dall'insegnante e questi gli
propone le regole morali di Patanjali (Yama, Niyama) chiedendogli una
solenne promessa di adeguarsi ad esse, quasi sicuramente l’allievo farà tale
promessa, solo per accontentare l'insegnante.
Per quanto riguarda Asana, nel Kriya si utilizza comunemente il mezzo-loto
(raramente Siddhasana, e ancor più raramente Padmasana). La maggior parte
degli insegnanti di Kriya non si sognano nemmeno di sprecare il loro tempo
nel dare dei consigli personali dettagliati che riguardano questo punto: sanno
che lo studente serio e risoluto userà il suo buon senso per trovare una
posizione ideale e confortevole, in modo di poter mantenere facilmente la
schiena ben diritta durante la pratica del Kriya. La pratica del Maha Mudra,
oltre al suo ruolo importante nel preparare il corpo per il Pranayama, aiuta a
mantenere la spina dorsale sempre flessibile.
Il Pranayama è il nucleo del Kriya Yoga: i kriyaban lo sanno bene! Quello
che invece sembrano scordare è il fatto che esso è solo una fase dell'intero
processo.
Il Kriya Pranayama, soprattutto se integrato ai Kriya superiori, prevede delle
procedure così ampie e delicate che molti kriyaban non hanno il tempo per
prestare la dovuta attenzione a ciò che viene dopo. Nella assoluta immobilità
fisica avviene il Pratyahara che, senza soluzione di continuità, sfocia nel
Dharana e quindi nel Dhyana.
Le tecniche che richiedono movimento devono essere idealmente e
praticamente collocate entro la fase del Pranayama: globalmente esse
costituiscono una decisa azione sul respiro e quindi sull'energia in esso
contenuta. Il Prana viene guidato, incanalato - donde l'utilità di certi
movimenti – in precise parti del corpo. Il respiro e il cuore rallentano.
Durante il Pratyahara la consapevolezza del respiro viene dimenticato quasi
del tutto: esso prosegue liberamente con il suo ritmo naturale. Intensificando
la consapevolezza della spina dorsale e dei centri del cervello, esso si calma
quasi del tutto. In questa fase, e in quelle successive, non è possibile muovere
alcun muscolo del corpo.
Entrando in una immobilità ancora più grande, quella mentale, si incontra la
Realtà Omkar nella forma di suono interiore e luce spirituale. Questa fase è
Dharana che diventa spontaneamente Dhyana: i confini tra le due essendo in
pratica indistinguibili.

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Quindi è da escludere che dopo il Kriya Pranayama la propria routine si
completi col semplice attendere passivamente cinque-dieci minuti prima di
alzarsi dalla propria Asana.
Non fu difficile rispettare questo principio; la sua correttezza appariva
proprio dalla profusione di interna gioia. La concentrazione sul terzo occhio -
l'"occhio interiore" che Wordsworth con parole appropriate definisce come
"l'estasi della solitudine" - avveniva spontaneamente.
Non praticai mai più la tecnica Hong So prima del Pranayama ma,
eventualmente, solo dopo. Delle volte, specie la sera, la sostituivo con la
tecnica Om. Questa felice scelta fece nascere uno dei periodi più belli della
mia vita, ma per parlare di questo è necessario premettere alcune
considerazioni sul Japa.

Mére (la Madre)

Il gran fascino per quest’eminente figura era incominciato anni prima,


dopo aver incontrato il pensiero di Sri Aurobindo - i cui Aforismi, la sua
Sintesi dello Yoga e il poema epico Savitri mi avevano profondamente
impressionato. Dopo la morte di Aurobindo nel 1951, fu Mére che portò
avanti la sua ricerca e incarnò il suo sogno: che il Divino - l’intelligente forza
evolutiva alla base di tutto ciò che esiste - potesse giungere ad una perfetta
manifestazione su questo pianeta!
«Il mondo non è uno accidente mal riuscito: è un miracolo che si muove verso
la sua piena espressione» e «Nella materia, il Divino diviene perfetto…»
erano le sue frasi preferite.
Dal 1958 al 1973 - l'anno in cui Mére lasciò il corpo - cercò di trovare dov'era
il passaggio alla prossima specie, di scoprire un nuovo modo di vita nella
materia e raccontò la sua straordinaria esplorazione a Satprem. I loro colloqui
sono trascritti nell'Agenda [Edizioni Mediterranee]10
Lei non si atteggiò a Guru tradizionale, sebbene cercasse di estrarre da ogni
essere umano che veniva a cercare inspirazione ai suoi piedi, tutte le
potenzialità nascoste. «Non appartengo ad alcuna nazione, ad alcuna civiltà,
ad alcuna società, ad alcuna razza, ma al Divino. Non obbedisco ad alcun
Maestro, ad alcun sovrano, ad alcuna legge, ad alcuna convenzione sociale,
ma al Divino» affermava.
La Sua presenza nella mia vita, evocata da letture attente e appassionate,
agiva come una pressione interna che invocava la necessità di estrarre un
significato da ciascuna parte della mia esistenza. Secondo il suo
insegnamento, uno diventa un vero individuo solo quando, in un aspirazione
10
Questo grandioso documento – 6000 pagine in 13 volumi – è il resoconto delle
scoperte di Mére in un periodo di 22 anni.

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costante per una più grande bellezza, armonia, potere e conoscenza, è
perfettamente e compattamente unificato attorno al suo centro divino.
Lei pose l’accento sul valore di non cercare ad ogni costo di divenire puri
davanti agli occhi degli altri, ma di comportarsi in armonia con la verità del
proprio essere. Secondo Mére, ciascuno dovrebbe riconoscere il proprio lato
oscuro, accettare il fatto che nel profondo del suo essere si agita la stessa
sostanza che in alcuni si è sviluppata in un modo di vivere disapprovato dalla
società. Non so dove trovai l’affermazione secondo cui «il desiderio della
purezza è il più grande ostacolo sul cammino spirituale»! «Non cercate di
sembrare virtuosi - aggiunse - vedete fino a che punto siete uniti, una sola
cosa con tutto ciò che è anti-divino.»
Non riuscirò mai a descrivere l’esplosione di gioia, il sentimento di libertà che
provai leggendo quelle parole così rivoluzionarie!

Japa

Fui molto colpito da come Mére trattava un tema che poi divenne uno dei
miei favoriti miei: il Mantra (Japa).
Durante la proiezione di un film lei ascoltò il Mantra Sanscrito: OM NAMO
BHAGAVATE. Si chiese cosa sarebbe successo se lei lo avesse ripetuto
durante la sua meditazione quotidiana. Lo fece ed il risultato fu straordinario.
Riferì che: «(Il Mantra) coagula qualche cosa: tutta la vita cellulare diviene
una massa solida, compatta, in una enorme concentrazione - con una sola
vibrazione. Invece di tutte le solite vibrazioni del corpo, c'è ora una sola
vibrazione. Diviene dura come un diamante, una sola concentrazione
massiccia, come se tutte le cellule del corpo avessero... Mi sono irrigidita.
Ero così rigida che ero una sola unica massa». [Questa citazione, così come le
prossime, sono tolte dall'Agenda di Mére.] La pratica del Japa divenne una
abitudine che durò per tutta la vita.
Quando sedeva per la meditazione, cominciava sempre con la ripetizione del
Mantra e c'era una risposta nelle celle del corpo: tutte cominciavano a vibrare
come «afferrate da un'intensità di aspirazione» e quella vibrazione continuava
ad espandersi.
Non è qui il luogo per soffermarci sulle fasi sottili del suo lavoro nel corpo:
lei usava il Mantra per accelerarlo. Quello che era importante per me era il
fatto che osava sfidare l'autorità di Sri Aurobindo. In effetti, disse a Satprem:
«Sri Aurobindo non diede alcun [Mantra]; disse che uno dovrebbe essere
capace di fare tutto il lavoro senza dovere ricorrere a mezzi esterni. Se lui
avesse raggiunto il punto dove mi trovo adesso, avrebbe visto che il metodo
puramente psicologico è inadeguato e che un Japa è necessario, perché
solamente il Japa ha un'azione diretta sul corpo. Quindi dovetti trovare il

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metodo tutto da sola, trovare il mio Mantra da sola. Ma ora tutto è pronto, ho
fatto il lavoro di dieci anni in pochi mesi.»
In molti pezzi dell'Agenda di Mére sono riportate le loro discussioni su
come il Mantra calma le persone attorno creando un'atmosfera di tale
intensità che le disarmonie cessano di esistere.
Inoltre: «Il Mantra ha una grande azione: può prevenire un incidente. Esso
scaturisce in un lampo, all'improvviso» ma «deve apparire senza che uno lo
pensi di proposito: dovrebbe scaturire spontaneamente dall'essere, come un
riflesso, esattamente come un riflesso.»
Ma il Mantra è anche la più dolce di tutte le cose: «Nei giorni in cui non ho
delle preoccupazioni o delle difficoltà speciali (giorni che potrei chiamare
normali, quando sono normale), tutto quello che faccio, tutti i movimenti di
questo corpo, tutto, tutte le parole che pronuncio, tutti i gesti che faccio sono
accompagnati e sostenuti e ricoperti per così dire, da questo mantra: OM
NAMO BHAGAVATEH... OM NAMO BHAGAVATEH... tutti, tutto il
tempo, tutto il tempo, tutto il tempo».
Un ultimo commento sorprendente che cito è che lei era capace di notare la
differenza tra quelli che hanno un Mantra e quelli che non lo hanno. «Con
quelli che non hanno un Mantra, anche se hanno una forte abitudine alla
meditazione o alla concentrazione, qualcosa attorno a loro rimane fosco e
vago, mentre il Japa infonde a quelli che lo praticano una qualche precisione,
solidità: un'armatura. Diventano per così dire galvanizzati.

Inutile dire che in quei giorni una sola idea ruotava nella mia mente:
dovevo trovare il mio Mantra. Feci esperimenti con quello di Mére - Om
Namo Bhagavate - ma non funzionava per me. Nel frattempo seguii la routine
di Kriya più semplice possibile e cercai di vivere un modo più consapevole
(essere continuamente attento ad ogni percezione, interna ed esterna).
Cercai di realizzare la ben nota istruzione di mantenere risolutamente un
atteggiamento imparziale verso eventi piacevoli e sgradevoli, mantenendomi
come un "testimone" distaccato. Questa disciplina è raccomandata pressoché
in tutti i libri che trattano di pratiche meditative orientali. Dopo tre giorni, io
mi sentii insopportabilmente stressato come se tutto fosse una finzione,
un'illusione.

Fu a questo punto che incontrai e lessi avidamente una biografia di Swami


Ramdas, il santo indiano che si era mosso in lungo e in largo attraverso tutta
l’India ripetendo incessantemente il Mantra Sri Ram Jai Ram Jai Jai Ram
Om. Questo fu davvero un evento importante: la sua fotografia - la semplicità
quasi infantile del Suo sorriso - accese la mia intuizione e mi spinse a provare
la stessa pratica.

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Da questa decisione venne qualche cosa che è rimasta sempre nella mia vita
come un’esperienza di vetta. Con l'aiuto di un mala (rosario) incominciai a
praticare il Japa ad alta voce per 108 volte durante una passeggiate, poi tentai
di continuarlo mentalmente durante la restante parte del cammino e durante le
attività della giornata.
(Sebbene le tradizioni Orientali raccomandino che il Japa sia fatto
mentalmente, ho la certezza che esso dovrebbe essere fatto a voce alta -
perlomeno durante un insieme iniziale di un centinaio di ripetizioni.
L’esperienza e il buon senso contraddicono inoltre la credenza che un Mantra
funzioni solo se è ricevuto dal proprio Guru; naturalmente è chiaro che una
persona esperta che ci aiuta a scegliere un Mantra ed usa tutto il suo potere di
persuasione per convincerci ad applicarlo continuamente, ci fa il più grande
favore possibile, ma questo è tutto!)
Il suono del Mantra che già avevo ascoltato in una registrazione di un canto
spirituale, era molto piacevole. Siccome la scelta del mio Mantra era scaturita
da una predilezione inequivocabile, amavo accarezzare la sua vibrazione,
prolungarla sulle mie labbra, farla vibrare nel mio petto, investirla
dell’aspirazione del mio cuore. Il mio atteggiamento non fu mai l’attitudine
di supplica di un devoto che si lamenta e singhiozza ma quella di un uomo che
si trova ad un passo dalla sua meta. Anche se qualche volta mi sentivo un po’
stordito, ero determinato a non abbandonare mai la pratica.
Dal momento che, facendolo, notai un impulso irresistibile di mettere tutto in
ordine, pensai che il Mantra potesse lavorare in un modo simile pulendo la
mia sostanza mentale e mettendo in ordine la mia "mobilia psicologica".
La pratica era come un martello pneumatico che distruggeva il cemento dei
condizionamenti mentali, permettendomi di attraversare indenne le sue paludi
e raggiungere la dimensione della pura consapevolezza.
Avevo l'impressione che esso annullasse il rumore di fondo delle mente, della
cui presenza ero consapevole solo quando mi sedevo per praticare il Kriya –
talvolta mi sentivo disperato poiché esso bloccava definitivamente ogni
tentativo di concentrazione.
Ci sono dei pensieri che possiamo visualizzare, identificare e bloccare, ma un
diffuso persistente rumore di fondo annulla tutti i nostri sforzi. Questo è vinto
col Japa! Questo mezzo è unico, può fare "miracoli" proprio dove falliscono
le nostre migliori intenzioni!
Ero stupefatto nel percepire il suo deciso effetto.
Ci deve essere sicuramente una ragione se il Japa ("Preghiera Continua",
"Preghiera Interiore", "Preghiera del Cuore", Dhikr) fu ed è la pratica base
della maggioranza dei mistici.
So che alcuni kriyaban non usano mai il Japa; obiettano che Lahiri Mahasaya
non raccomandò tale pratica. A questo possiamo ribadire che pressoché tutti

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suoi discepoli, indù e musulmani, lo praticavano poiché era, a quell'epoca ed
in quel ambiente, una pratica molto diffusa.

Lo stato di assenza di respiro

Venne l'estate e ogni giorno praticavo il mio Japa di mattina e il Kriya a


mezzodì in campagna.
Un giorno, durante il Pranayama mentale, mentre stavo salendo e scendendo
su e giù attraverso i Chakra, percepii distintamente una fresca energia che
sosteneva il corpo dall’interno. Entrai in un'immobilità perfetta e, ad un certo
momento, scoprii di essere completamente senza respiro. Questa condizione
durò vari minuti, senza alcun sentimento di disagio: non c'era né il minino
fremito di sorpresa, né il pensiero: «Finalmente ho ottenuto questo stato! »
Questo evento era di una gioia oltre le parole: in una profondità fatta di blu,
essa conteneva i cieli della mia infanzia.
Nei giorni successivi lo stesso meccanismo si verificò di nuovo. Osservai una
perfetta associazione tra la pratica del Japa e l'ottenimento di questo stato. Fui
sorpreso che una delle più semplici tecniche del mondo, qual è il Japa, avesse
prodotto un tale prezioso risultato!
Prima di cominciare la mia pratica Kriya, guardavo il panorama circostante e
mi chiedevo se tra poco avessi sperimentato ancora una volta quello stato:
dopo circa 35-40 minuti avevo già completato la parte attiva - gli ultimi
respiri del Pranayama - e poi, dopo non più di due o tre minuti, mentre a
malapena avevo completato un giro di concentrazione sui Chakra in su e in
giù, il miracolo avveniva.
Un incomparabile senso di libertà interiore - che è impossibile da dimenticarsi
– accompagnava l'impressione di essere implacabilmente frantumato dalla
bellezza della natura e, allo stesso tempo, di essere situato al di sopra del
mondo intero. Per quanto riguarda gli effetti sulla vita quotidiana, mi
ricordava ciò che Sri Aurobindo scrisse descrivendo il momento in cui piede
sul suolo indiano, dopo il lungo periodo di studi in Inghilterra. Parlò di una
vasta calma che discese su di Lui, lo circondò e con Lui rimase per sempre.
In seguito, osservai attentamente, come sorgeva lo stato di assenza di respiro.

La mia consapevolezza faceva una pausa su ogni Chakra


approssimativamente per dieci secondi - come un'ape attratta dal
nettare nei fiori, che si libra su ciascuno in grande delizia - "toccando"
lievemente il suo nucleo lungo un percorso antiorario (se guardato
dall'alto). Più mi rilassavo durante questa azione interiore, più
divenivo consapevole di una fresca sensazione di energia che

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sosteneva ogni parte del mio corpo. Ero così simultaneamente
consapevole sia dei Chakra che del corpo nel suo insieme. Una
percezione ben netta di leggerezza interiore e assoluta trasparenza
mentale era il segno che lo stato senza respiro si stava stabilendo. La
respirazione, che nel frattempo era divenuta molto molto corta, alla
fine raggiungeva l'immobilità, come un pendolo che arriva dolcemente
al punto di equilibrio.

Nel corso di tre mesi vissi in questa dimensione celestiale, perfettamente a


mio agio, senza alcun desiderio da realizzare. Una calma euforia mi
accompagnava: la certezza di aver trovato finalmente qualcosa di stabile e
immutabile entro l’evanescente flusso dell’esistenza, che talvolta sembra
avere la consistenza di un’infinita teoria di riflessi sull’acqua. Barlumi dello
stato finale di libertà toccavano la mia mente...
Quando uscivo per una passeggiata, se incontravo qualcuno e mi fermavo ad
ascoltarlo, non importa quello che dicesse, un’improvvisa gioia scoppiava nel
mio petto, saliva fino agli occhi, tanto che era difficile trattenere le lacrime.
Guardando le montagne lontane o altre parti del paesaggio, cercavo di
indirizzare verso di esse quello che sentivo, onde trasformare la gioia
paralizzante in un rapimento estetico: questo tratteneva la gioia che serrava il
mio essere, e la nascondeva.
Assenza di respiro non significa azione; essa è la mancanza totale di
movimento e del più lieve palpito causato dal pensiero, comunque è da tale
stato che nasce l’azione che cambia il proprio destino. Aurobindo scrisse «La
mente non agisce; semplicemente dai suoi recessi origina un’azione
irresistibile». Seguirono diversi cambiamenti esteriori nella mia vita;
certamente la luminosità che un giorno mi avrebbe aiutato a liberarmi di tutti i
miei dubbi a riguardo della decisione di scrivere un libro sul Kriya, rompendo
così il voto di segretezza, cominciò ad irradiarsi sin da quest'epoca
incantevole. Pensavo: «Non devo dimenticarmi mai di quest’esperienza,
voglio provarla ogni giorno della mia vita poiché è la cosa più vera mai
sperimentata»! Sembrava impossibile perderla. Durò quasi un anno, poi lo
persi. Il mondo dei "Guru itineranti" si stava avvicinando alla mia vita, e con
esso un'incredibile confusione.

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UNA NOTA SUL JAPA

La letteratura sul Japa è molto vasta e di grande ispirazione. I miei libri


preferiti sono: In cerca di Dio di Swami Ramdas e I racconti di un pellegrino
russo [Anonimo; Bompiani]. Si tratta di due semplici libri, facili da trovarsi,
che spiegano con semplicità sorprendente tutto ciò che è essenziale sul Japa.

Swami Ramdas nacque nel 1884 a Hosdrug, Kerala, India e venne


chiamato Vittal Rao. Visse una vita normale finché raggiunse i trentasei anni
e sperimentò pure gli alti e bassi della vita di un capofamiglia.
Spesso ricercò quale fosse il vero significato della vita e sentì la necessità di
intraprendere il percorso spirituale per trovare la "Pace" reale.
Al momento propizio, suo padre l'iniziò nel Mantra di Ram, assicurandolo
che ripetendolo incessantemente avrebbe, a tempo opportuno, raggiunto la
felicità divina alla quale aspirava.
Fu allora che rinunciò alla vita secolare ed andò in cerca di Dio quale un
Sadhu mendicante. I primi anni della sua nuova vita sono descritti nella citata
autobiografia.
Il Mantra "Om Sri Ram Jai Ram Jai Jai Ram" era sempre sulle sue labbra.
Oltre alla pratica del Japa, adottò la disciplina di guardare tutte le persone
come forme di Ram - Dio - e di accettare ogni evento come provenisse dalla
volontà di Dio.
In breve tempo il Mantra sparì dalle sue labbra ed entrò nel suo cuore. Vide
una piccola luce circolare nel punto tra le sopracciglia che gli regalava brividi
di delizia. Poi la luce abbagliante lo permeò e l'assorbì. Perso in questa
beatitudine inesprimibile rimaneva seduto per ore. Il mondo gli sembrava
come una fioca ombra. Raggiunse ben presto uno stadio in cui questo
dimorare nello spirito divenne un'esperienza permanente ed immutata.
Ramdas raggiunse il Mahasamadhi nel 1963. Incontrare la semplicità della
sua vita e la grandezza della sua esperienza è molto ispirante: si riceve un
impeto fresco per incominciare col Japa.

Il secondo libro, I racconti di un pellegrino russo, è legato all'Esicasmo,


un movimento Cristiano Ortodosso che ha somiglianze stupefacenti con il
percorso del Kriya Yoga (vedi ulteriore discussione nel capitolo III/01).
L'origine di questo classico spirituale è, per molti versi, un mistero. Nessuno
sa per certo se si tratta di una storia vera che riguarda un particolare
pellegrino, o un romanzo spirituale creato per diffondere il lato mistico della
fede Cristiana Ortodossa.
Siamo colpiti dalle parole di apertura: «Per grazia di Dio sono un Cristiano,
per le mie azioni un grande peccatore, e per vocazione un vagabondo di umile

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nascita senza dimora che erra da luogo in luogo. I miei beni sono una bisaccia
con un po' di pane secco, ed una Bibbia nel taschino. Questo è tutto».
La vita dell'eremita errante è posta davanti al lettore come guida ed
imitazione. Coloro che vorrebbero veramente condurre una vita spirituale
sentiranno sicuramente un'onda di attrazione per questo semplice e coraggioso
modo di vivere e trarranno beneficio dall'idea centrale di incominciare con un
numero fisso di ripetizioni di un Mantra e poi aumentarlo finché diviene
automatico.
Onde realizzare l'ideale di "pregare incessantemente", il pellegrino è istruito a
ripetere la Preghiera di Gesù 6000 volte al giorno, poi passare a 12000. Poi
scopre che la Preghiera è sulle sue labbra e nella sua mente ogni momento in
cui lui è sveglio, così spontaneamente e senza sforzo come il respiro stesso.
In questa meravigliosa condizione riesce a sperimentare il fulgore della luce
divina, l'intimo "segreto del cuore". Per dare l'idea di quello che, da ora in
avanti, è divenuta la sua vita, cita il passaggio Evangelico degli uccelli
dell'aria ed dei gigli del campo, identificandosi con essi come completamente
dipendenti da Dio: qualunque cosa che avviene non può separarlo da Dio.

L'importanza di avere questi esempi come riferimento è sentita quando uno


incontra momenti in cui la tentazione di abbandonare la pratica del Japa è
tremenda. Talvolta uno si potrebbe sentire come un convalescente in un
difficile processo di guarigione; talvolta il rumore proveniente dal mondo
esterno arriverà alle sue orecchie come amplificato, mentre la sensibilità
allargata darà l'impressione di essere divenuto più fragile, vulnerabile ed
indifeso. Ed è allora che è necessario concentrarsi sul Mantra scelto con un
fervore assoluto, al punto di sfinimento – un apparente sfinimento.

Ho usato il termine "sfinimento" dopo aver discusso il Japa con un amico.


Egli praticava senza ottenere alcun risultato. Ebbi l'impressione che il Japa
fosse per lui un atto cerebrale. Erano i suoi pensieri che lo ripetevano, la sua
vibrazione non era collegata in alcun modo al suo corpo. Lo osservai
attentamente mentre praticava: fui testimone di una pratica esangue, una
stanca richiesta di misericordia a Dio. Non per nulla aveva messo da parte il
suo bel Mantra indiano e scelto una espressione nella sua lingua madre che
non era altro che un sospiro di autocommiserazione. Non c'era da
meravigliarsi se, dopo alcuni giorni, abbandonò del tutto la pratica.
Non sapeva che si accingeva a divenire il più grande sostenitore del Japa.
Il momento di svolta avvenne quando un giorno partecipò ad un
pellegrinaggio di gruppo. Qualcuno incominciò a recitare il rosario - un
numero fisso di ripetizioni della stessa Preghiera: a questo tutti i pellegrini si
unirono. Anche se stanco e quasi senza fiato, il mio amico non si sottrasse a

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quest’atto ispirato a devozione. Camminando e sussurrando la preghiera,
cominciò ad entrare in uno stato di tranquillità mai conosciuta prima. Guardò
con occhi diversi lo spettacolo dei paesaggi che mutavano attorno a lui man
mano che procedeva e gli sembrò di vivere una situazione paradisiaca.
Continuò a ripetere la Preghiera senza sosta lungo tutto il percorso,
dimenticando completamente che era stanco e assonnato.
Quando il gruppo si fermò per una sosta ebbe la fortuna di essere lasciato solo
– indisturbato; entrò in uno stato introspettivo e fu pervaso da qualcosa che
vibrava nel suo cuore e che lui identificò con la Realtà Spirituale. Lo stato
estatico assunse la consistenza della realtà, diviene quasi insostenibile, lo
travolse. Questa esperienza gli insegnò il modo corretto di praticare il Japa.
Mi rivelò che il segreto era raggiungere e superare lo stato di "sfinimento".
Dopo alcuni esperimenti ritornò al suo Mantra indiano e con esso raggiunse
l’assenza di respiro.

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CAPITOLO I/05 RICERCA DEL KRIYA ORIGINALE

Durante una gita a Vienna (Austria), trovai un testo scritto da uno


Swami Indiano, che affermava di insegnare il Kriya originale di Lahiri
Mahasaya - quello di P.Y. era menzionato come una forma lievemente
modificata. Ovviamente il testo, come infiniti altri che avrei letto in futuro,
doveva servire da esca, per interessare le persone a quella scuola di Kriya
fondata dallo Swami e non includeva spiegazioni pratiche.
Ero molto incuriosito quando lessi che la pratica del Pranayama doveva
essere considerata errata se, dopo un opportuno numero di respiri di
assestamento, il praticante - senza chiudere gli orecchi - non avesse ottenuto
l’esperienza del suono interiore dell’Om.
L'affermazione valeva la pena di essere presa in considerazione: era chiaro
che l'insegnante si riferiva ad una pratica molto profonda del Pranayama.
Leggendo il libro, ebbi la sensazione che l'autore conoscesse il processo del
Kriya Yoga più profondamente di altri insegnanti. Il Kriya era, secondo lui,
suddiviso in sei livelli. Egli affermava che essi costituivano dei gradini
progressivi volti a produrre l’illuminazione finale che sarebbe avvenuta nel
cervello, nella cosiddetta "grotta di Brahma". Nella parte frontale di questa
regione vi è la ghiandola ipofisi e, dietro, la pineale: rispettivamente la sede
del sesto e del settimo Chakra. Fra questi due "poli" si sarebbe prodotta
un’emissione di luce, una specie d’arco di voltaico il quale avrebbe
"illuminato" la regione. Questo fatto era descritto come un "matrimonio
mistico". La descrizione era accompagnata da uno schizzo suggestivo che
invogliava a credere alla validità e universalità dell'esperienza.
Non avevo alcuna idea su quando e dove avrei avuto l’opportunità di
incontrare questo insegnante ma pregustavo la meravigliosa possibilità di
approfondire il Pranayama e di chiarire, probabilmente, ogni altro dubbio che
riguardava il Kechari Mudra e i Kriya superiori. Ero eccitato come un
bambino che sta per ricevere il più bel regalo.
Nei mesi seguenti, la mia idea fissa era intuire in che modo il Pranayama
potesse essere approfondito.
Talvolta appariva un dubbio insidioso: qualora avessi ricevuto questo nuovo
insegnamento, come avrei fatto a capire se esso era davvero quello originale
oppure non era altro che un’invenzione? La ragione di tali incertezze derivava
dai miei condizionamenti di allora secondo i quali qualsivoglia informazione
Kriya, ottenuta al di fuori della scuola, poteva essere un’invenzione da parte
di coloro che curavano solo i loro interessi personali, come far soldi o
esercitare potere sulle altre persone.
Comunque ragionai così: l’ascoltare l’Om con le orecchie aperte sarebbe stata

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la prova di un ottimo approfondimento del Pranayama.
Mi convinsi che la decisiva aggiunta tecnica consisteva nel cantare
mentalmente Om nei Chakra, esercitando, allo stesso tempo, tutta la possibile
attenzione all’ascolto dei suoni interiori. 11
Non ricordo quanti di questi respiri ero solito praticare ciascun giorno: di
sicuro non più di 48-60 unità. Siccome la mia scuola di Kriya mi aveva
insegnato a praticare il Pranayama con la bocca aperta o semichiusa, così
continuavo a fare.
Dopo questi piacevoli respiri continuavo ad ascoltare internamente.
La cosa migliore era di rimanere consapevole del respiro (un respiro calmo,
breve, quasi impercettibile che pare quasi stia per scomparire), ponendo in
relazione ciascun respiro con un Chakra diverso.12
Poiché la tecnica di ascolto dell’Om appresa all’interno della scuola mi aveva
regalato la più profonda delle soddisfazioni, ero certo del successo con il mio
nuovo intento.
Il suono interiore apparve dopo appena quattro giorni di pratica assidua.
Era d’inverno e avevo tre settimane di vacanza. Scelsi di rimanere tutte le
mattine nel caldo della mia casa praticando il più possibile. Sperimentai un
appagamento totale come se il percorso Kriya fosse giunto alla fase finale.
Durante il giorno tutte le cose sembravano essere circondate da un alone
magico che rendeva ogni dissonanza impossibile. Tutto era come trasfigurato;
era come vivere in una realtà perfetta, ogni cosa mi sorrideva in estasi; ogni
dolore era volato lontano dal mio sguardo.
Trascorsi anche alcuni giorni in una bella località di sport invernali, dove ero
libero di camminare nella campagna bianca di neve senza una destinazione
prefissata. Mentre oziosamente camminavo senza una meta, il tramonto
veniva presto e colori meravigliosi tingevano il paesaggio; le luci del piccolo
villaggio sprofondato nella neve si accendevano nel buio. Quello rimarrà per
sempre lo splendido simbolo del mio contatto con l’esperienza Omkar.
La cosa curiosa è che ancora non conoscevo l’insegnante, avevo soltanto letto
il suo libro: era l’intensità della mia pratica che era totale!
Le vacanze invernali finirono e ripresi il lavoro. Nei pochi momenti liberi
pensavo alla preziosità del Kriya e visualizzai per il mio futuro la possibilità
11
Quel insegnante mi avrebbe deluso. Quello che stavo ora indovinando era il Kriya
originale di Lahiri Mahasaya non la forma insegnata da quello Swami. Durante il corso
degli anni, questi aveva purtroppo semplificato la tecnica originale. L'intera questione è
affrontata in dettaglio nel capitolo II/3: quello che lui insegnava prima di fare tanti
cambiamenti è ricostruito nella trattazione della scuola [A].
12
Nel libro avevo trovato un dettaglio profondo: se vogliamo fare un notevole progresso
spirituale, dovremmo impegnarci ad essere consapevoli di 1728 respiri al giorno.

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di approfondire, con totale dedizione, anche i Kriya superiori.
Un giorno, sul luogo di lavoro, mi trovavo in una stanza da cui, attraverso una
porta di vetro, potevo vedere da lontano le montagne e contemplare sopra di
loro un cielo di un puro celestiale. Ero in estasi! Quel cielo distante era lo
specchio dei miei anni futuri dove avrei gioito solamente del mio Kriya. Per la
prima volta, il progetto di andare in pensione e vivere con un minimo reddito,
permanendo in questo stato per il resto dei miei giorni, venne a me.

Il mio primo insegnante di Kriya

L’autore del libro, a causa della necessità di essere sottoposto ad un


intervento chirurgico negli Stati Uniti, si sarebbe presto fermato in Europa; mi
diedi molto da fare per incontrarlo e ricevere da lui l’iniziazione al Kriya.
Quel momento giunse finalmente!
La conferenza introduttiva fu di grande impatto emotivo. Egli aveva un
aspetto maestoso e nobile, era "bello" nel suo abito ocra, anziano con capelli
lunghi, barba pure - era la personificazione del saggio. Lo sbirciavo nascosto
dietro alcune file di persone; sentivo che parlava del lascito di Lahiri
Mahasaya per esperienza diretta.
I concetti teorici che introdusse erano assolutamente nuovi per me e
creavano una cornice bella e coerente per una pratica Kriya concepita come
un unico processo progressivo di sintonia con la realtà Omkar. Come un filo
in cui sono infilate delle perle, la percezione Omkar attraversava tutte le
diverse fasi del Kriya. Il Maha Mudra non era separato dal Pranayama il
quale non era separato dal Pranayama mentale. Inoltre, la realtà Omkar
doveva essere percepita non solo nell'aspetto di suono e luce ma anche come
"sensazione di oscillazione" (altre volte parlò di un senso di pressione). Le sue
stupende e affascinanti parole erano per me una rivelazione ma in certi
momenti, essendo enormemente curioso di apprendere i nuovi dettagli tecnici,
ero incapace di prestare la dovuta attenzione a quanto diceva e perciò non
compresi subito tutte le implicazioni di quei concetti.
La mia ossessione era: «Che tipo di suoni nella gola devono essere prodotti in
questo Kriya originale? Fino a quale centro sale l'energia durante
l’inspirazione?»
Per far sì che gli studenti comprendessero l'aspetto di movimento proprio di
Omkar, "toccò" alcuni di loro (testa e torace) vibrando la sua mano, cercando
di trasmettere questo tremito al loro corpo. Stava guidando noi ascoltatori in
una meravigliosa dimensione, si donò completamente a noi affinché
potessimo intuire il profumo di questa esperienza.
L'iniziazione al Primo Kriya mi entusiasmò e mi deluse allo stesso tempo:
i piegamenti che precedevano il Maha Mudra erano realmente preziosi e così

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fu anche la meditazione finale, chiamata impropriamente Paravastha, ma il
Pranayama sembrava sparito e ridotto ad un brevissimo processo puramente
mentale.
Il suo Secondo Kriya, che appresi mesi dopo, era facile e godibile: esso
conteneva una bella forma di respirazione. Consisteva principalmente nel
fondere il Mantra di dodici sillabe (Om Namo Bhagavate Vasudevaya) con un
respiro frammentato. L'effetto era di toccare internamente ciascun Chakra con
una sillaba. 13 Nessuno tra noi incontrò difficoltà nell'eseguirlo e nel farlo
diventare parte regolare della propria routine quotidiana.

Tuttavia, nonostante la sua rimarchevole capacità di persuasione, il terreno


che lui aveva dissodato e stava coltivando cominciò a diventare sterile in
quanto aveva commesso il fatale errore di non spiegare alcune delle tecniche
che Lahiri Mahasaya ci aveva tramandato – non solo parte dei Kriya superiori
ma anche alcune tecniche base come il Kechari Mudra e il Navi Kriya.
Consapevole che lo spirito del Kriya originale fosse stato perso presso le altre
scuole, si concentrò solo sul farci toccare il suo nucleo.
Le tecniche originali del Kriya di Lahiri Mahasaya, lui le aveva provate tutte e
aveva concluso che alcune non erano essenziali, che altre erano troppo
delicate e difficili da praticare. Il tentativo maldestro di applicarle avrebbero
potuto risolversi in un’inutile distrazione per gli studenti e, per lui, insegnante,
in una perdita di tempo.
Si espresse in modo molto fermo: la richiesta, da parte di alcune persone, di
ricevere altre tecniche superiori dimostrava il loro scarso impegno nei
confronti della pratica di base. Quanto diceva era vero, eppure finì per
isolarlo. Non aveva tenuto conto della realtà della mente umana, della sua
curiosità insaziabile, del rifiuto totale di ubbidire a qualunque censura.
Aveva tutti i mezzi necessari per attrarre il mondo occidentale. Il libro che
aveva scritto era stato una perfetta azione strategica che lo aveva reso
popolare in occidente, facendogli ottenere un posto di centrale importanza nel
campo del Kriya. Inoltre c'era anche la sua figura di saggio indiano che
colpiva le persone. C'erano centinaia di ricercatori che erano entusiasti di lui,
che erano pronti a sostenere la sua missione, che l'avrebbero sempre trattato
come una "divinità" e si sarebbero comportati in maniera altrettanto rispettosa
anche con eventuali suoi collaboratori o successori.
Ma la sua infausta decisione mise in moto un meccanismo inesorabile che
allontanò le persone a lui più indispensabili. Letteralmente divorati dalla
brama di ricevere gli insegnamenti completi, cominciarono a volgersi alla
13
Questo insegnamento è del tutto simile all'Omkar Pranayama che molte scuole di
Kriya danno oggi come introduzione al Secondo Kriya. Il modo particolare con cui
questa scuola lo insegna oggi è illustrato nel capitolo II/03 (vedi scuola [A])

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ricerca di altri maestri. Deluso dalla loro defezione, si intestardì a focalizzarsi
sempre più sull'essenza dell'insegnamento semplificando ulteriormente
l'insieme di tecniche del Primo Kriya.
Ebbi la prova drammatica della sua solitudine quando un giorno, durante una
seduta di ripasso del Kriya, rivolgendosi al pubblico, affermò che il vero
Pranayama poteva avvenire solo nello stato di respiro calmo: al contrario,
quello con contrassegnato da un respiro lungo, profondo (che molti sapevano
era la caratteristica del lascito di Lahiri Mahasaya), era «buono solo per
bambini di asilo»!
Chiuse le narici con le dita e rimase in quella posizione per un certo tempo.
Intendeva in tal modo alludere al fatto che egli aveva padroneggiato lo stato di
assenza di respiro; sembrava volesse indicare che il pubblico non era in grado
né di capire né di praticare il Kriya.
Dentro di me pensavo a chissà quante delusioni lo avevano portato a quella
singolare dimostrazione. Forse aveva incontrato solo persone che non erano
state capaci di adottare la disciplina di una meditazione regolare e quindi non
avevano realizzato nulla se non curiosità per chissà quali altri segreti del
Kriya.
Molti recepirono questo come uno sgradevole commento al fatto che lui ci
stava dando delle spiegazioni solo per cortesia ma che il pubblico non era in
grado di capire veramente il senso profondo di quanto ci stava illustrando.
Le persone lo guardavano senza capire; lo ritenevano bizzarro, originale.
Il risultato fu che i principianti non percepirono altro che una distanza
incolmabile tra loro e il maestro.
Coloro che avevano già una buona conoscenza del Kriya videro confermato il
loro sospetto che quello che lui aveva insegnato fino a quel momento fosse
una semplice introduzione al Kriya e che non avesse fornito la chiave per
ottenere l'esperienza decisiva.
È vero che molti si trovavano bene col suo Kriya, ma si trattava di persone
che tendenzialmente mai si sarebbero date da fare per organizzargli dei
seminari. Per dirla franca, la fedeltà di molti non gli bastò ad evitare il
peggiore esito.
Il suo sforzo ammirevole, tutte le meravigliose sottigliezze con cui aveva
arricchito il nostro Kriya, rendendo questa pratica molto più bella, non fu
sufficiente ad impedirgli di incontrare il naufragio di tutta la sua missione,
almeno qui in Europa.
Coloro che cercarono di fargli capire l’assurdità della situazione e di
impedirla, si trovarono davanti ad un muro impossibile da valicare.
Usando gli stessi volantini, solo cambiando foto e nome, molte di quelle
persone che si erano date da fare per organizzare i suoi seminari, invitarono
un altro insegnante dall'India perché sapevano che costui era favorevole a

60
spiegare il Kriya nella sua forma completa.
Questo invito era molto strano e fatto forse più per disperazione che per
convinzione, in quanto coloro che lo avevano già incontrato in India sapevano
che la sua realizzazione spirituale era quasi inesistente.
Ci vollero due anni affinché riuscisse a superare problemi del visto e potesse
venire in Europa ma quando arrivò si trovò praticamente tutti i discepoli
dell'insegnante descritto sopra pronti ad accoglierlo come un messaggero
mandato da Dio.

Kriya inquinato dal "New Age"

Nel frattempo incontrai diversi gruppi che praticavano il Kriya Yoga. Mi


tuffai nel territorio desolato dove il Kriya è inquinato dalle tendenze "New
Age". Questo periodo mi ritorna in mente quando ascolto le registrazioni di
alcuni canti devozionali che acquistai allora. Per qualcuno dei miei amici che
mi seguirono in questa escursione, esso divenne il teatro di cocenti delusioni e
segnò l’abbandono definitivo del sentiero spirituale.
Il cuore, se solo mi fossi fermato un istante ad ascoltarlo, mi avrebbe detto
che stavo andando alla deriva perdendo delle acquisizioni fondamentali come
lo stato di assenza di respiro, l'ascolto del suono di Om... È molto strano da
riconoscere: avevo dimenticato tutto, ero come ipnotizzato. In quell'ambiente
incontrai molte persone che – per lo meno questa fu la mia prima impressione
– avevano un tratto in comune. Legati ad uno stile di vita orientaleggiante,
amavano particolarmente un'atmosfera, un modo di atteggiarsi caratterizzato
da specifiche sensazioni che cercavano di coltivare con piccole attenzioni e,
soprattutto, innocenti manie. 14
14
La sensibilità New Age è caratterizzata dalla spiccata percezione di un qualcosa di
"planetario" all’opera. Siccome alla sensibilità New Age contribuirono uomini di
scienza, non è il caso di soffermarci sull’affermazione, irrilevante, secondo cui tale
progresso coincise con l’entrata del sistema solare nel segno dell’Acquario - anche se
proprio da questa credenza deriva il termine "Età dell’Acquario o New Age".
Ciò che è essenziale è che le persone si accorsero che le scoperte della Fisica, le
Medicine Alternative, gli sviluppi della Psicologia del profondo, tutti portavano verso
un’unica comprensione: la sostanziale interdipendenza tra universo, corpo, psiche e
dimensione spirituale dell’uomo. Le società esoterico-iniziatiche superando, da sempre,
le differenze di cultura e di visione religiosa avevano già riconosciuto questa verità, la
quale, ora, divenne patrimonio comune. Nel ‘900 il pensiero umano ha fatto un passo in
avanti in una direzione senz’altro sana. Ci sono tanti motivi per credere che, in futuro,
tale epoca sarà studiata con quello stesso senso di rispetto con cui oggi si studia
l’Umanesimo, il Rinascimento, l’Illuminismo.
Il pensiero New Age merita profondo rispetto per tante ragioni. Se parlo di "manie" mi
riferisco all'uso eccessivo da parte di alcuni di ricorrere a costosi rimedi alternativi per
ogni tipo di disturbi reali o immaginari e a ancora più pericolose teorie prese a prestito
con molta superficialità da varie correnti esoteriche, piuttosto che a un profondo

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Imparai ad associarmi con ognuno - per esempio quelli che mi ospitarono
quando frequentai seminari in città distanti - come un esploratore affronta
degli animali ignoti, preparandomi a qualsivoglia eccentrica rivelazione. A
volte reagivo alle loro stranezze con un po' d’ironia, che sgorgava da me
spontanea, intrattenibile.
Nel gruppo legato con la prima organizzazione, incontrai persone il cui
entusiasmo verso il Kriya era molto tiepido, e sembrava praticassero le poche
tecniche che conoscevano come se stessero compiendo un sacrificio per
espiare la "colpa" di esistere. In questo nuovo ambiente, conobbi molte
persone che, invece, erano persino "troppo entusiaste" del Kriya e delle
pratiche meditative orientali, nutrendo troppa fiducia nel loro presunto potere
catartico di risolvere i problemi.
Molti focalizzavano la loro attenzione solo su aspetti secondari del sentiero
mistico e avevano perso di vista la meta.
Spesso un vago senso di benessere percepito praticando una certa tecnica per
la prima volta era la prova della bontà della tecnica stessa. Non si rendevano
conto che, in tal modo, avevano fatto del loro ego la bussola del loro viaggio
spirituale.
Nella loro stanza di meditazione, colma di poster e cuscini dai mille colori,
decorazioni, cristalli e altri oggetti, erano soddisfatti dalla bella atmosfera
creata. Non esisteva altra realtà da essere ricercata.
Talvolta questo atteggiamento era come preparare la propria casa per un
ospite distinto, continuando a pulirla e decorarla, estasiati dalle varie
comodità che la loro casa offre – mentre l'ospite, dopo aver suonato varie
volte il campanello, sedeva, trascurato, sullo stuoino davanti alla porta…
Ricerche su medicine alternative, terapie di gruppo dirette da bizzarri
personaggi privi di formazione accademica, erano distrazioni costose da
abbinarsi al Kriya.
Alcuni avevano la mania pericolosa e potenzialmente distruttiva di cercare
senza sosta di esplorare i misteri inerenti al "potenziale umano". Erano capaci
di fare qualsiasi sciocchezza per questo fine. Alcuni erano stati convinti ad
investire in costosi seminari dove i loro canali energetici sarebbero stati aperti
ed essi avrebbero appreso il segreto di come usare l'Energia Universale.
Tutto questo veniva a costare parecchio, anche perché i seminari non erano
tenuti nelle vicinanze ma all'estero, presso costose residenze. Molti
abbandonano il loro atteggiamento genuino e cominciano a perdere il contatto
con la realtà. Quando osai scuoterli dalla loro illusione, infastiditi mi dissero

progresso nella comprensione, nella espansione della coscienza fuori dai ristretti confini
del piccolo ego legato ossessivamente alla conservazione delle sue meschine comodità.

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che non c'era alcuna ragione di essere perplessi riguardo alle loro pratiche
senza averle provate: «È il nostro Karma che ci sta dando la migliore
opportunità di crescere su tutti i piani.» «Ci si aspetta che noi rispondiamo in
modo positivo. Non dobbiamo opporci a questa benefica corrente altrimenti
potrebbe rendersi necessario ... morire e rinascere di nuovo solo per vivere
quelle esperienze che ora stiamo rifiutando!» «Le tecniche Kriya si praticano
con l’energia presente nel corpo - dicevano - quindi se questa è ricaricata dal
flusso dell’energia universale, quello che si presenta come un lungo cammino
diventa una "passeggiata"».
Per quando riguarda il Kriya vero e proprio, ricevemmo diverse
iniziazioni da parte di insegnanti per così dire "minori" – ovvero coloro che
un tempo erano stati il braccio destro di qualche Guru famoso e poi si erano
resi indipendenti per propria scelta o perché erano stati ripudiati da questo.
Sebbene sentissi che quella atmosfera mi era estranea, la accettai come un
inevitabile inconveniente per riuscire ad ottenere le informazioni che cercavo
con tanta passione.
Era prescritto di portare dei fiori - qualche insegnante ne chiedeva uno, altri
chiesero tre o sei - poi qualche frutto. Qualcuno pretendeva un cocco -
costringendo le persone ad andare, quasi con disperazione, a cercarlo di
negozio in negozio. Infine un'offerta in denaro, qualche volta libera, qualche
volta di ammontare predeterminato.
Uscivo da quelle "iniziazioni" ripetendomi quanto fossi soddisfatto,
proponendomi da allora in poi di abbandonare altre pratiche e dedicarmi con
gran serietà solamente a quelle appena ricevute. Rifuggivo dalla
consapevolezza che la nuova iniziazione aveva solo aggiunto qualcosa di
insignificante rispetto a quello che già conoscevo, che restringermi solo ad
esso sarebbe presto divenuto una "gabbia" che prima o poi avrei trovato
troppo stretta e da cui mi sarei allontanato.
Quelle iniziazioni erano come un vizio. C'era la tendenza ad accumulare
tecniche come per prepararsi ad una carestia. Questa abitudine creò delle
fratture nella mia personalità. Tanto per fare un esempio, in quasi tutti questi
seminari d’iniziazione un impegno solenne di segretezza era la parola d'ordine
per essere accettati. Tutti devotamente facevano questa promessa e, appena la
riunione era finita, condividevano al cellulare le informazioni ottenute coi loro
amici, i quali, in cambio, avrebbero preso parte ad altre iniziazioni e restituito
il favore.
In linea di massima, dopo diversi rituali, la spiegazione era sempre rapida e
superficiale; spesso c'era anche una polemica spietatamente distruttiva nei
confronti delle informazioni ricevute da altre fonti. Eravamo pienamente
d'accordo che i nostri insegnanti erano, nella pressoché totalità dei casi,
persone mediocri, con grandi limiti dal lato umano; ciò sarebbe stato

63
tollerabile in una persona comune, ma molto stridenti in individui che si
presentavano come "maestri spirituali."
Non fummo capaci di trovarne almeno uno che lasciasse trasparire
quell'abilità essenziale in una questione sottile e delicata come il lavoro
pedagogico che pensava di svolgere. Dei fatti secondari confermarono la
prima impressione di precarietà ed improvvisazione e, in un caso, persino
d’instabilità mentale. Sapevano pochissimo del Kriya Yoga ed in modo ancora
più superficiale lo insegnavano. Come era possibile che tollerassimo questa
situazione?
Eravamo soggiogati dal mito che il Kriya va appreso da un insegnante
"autorizzato". Ci dicevano che lo erano e questo ci bastava. È strano pensare
che questa suggestione profondamente radicata in noi, ricevuta dalla scuola di
P.Y. era proprio ciò che sosteneva il nostro atteggiamento deferente e
tollerante verso personaggi che stavano realmente abusando delle nostra
buona fede.
Trovai strano che coloro che organizzavano i seminari davano l'impressione
di essere ricercatori onesti e anzi davano la rassicurazione che dalla loro
bocca non sarebbe mai uscita alcuna sciocchezza. Rimasi stupito quando uno
di loro, non per pura e semplice esibizione, citò a memoria alcune righe di
uno scritto di P.Y. - proprio quelle stesse frasi sibilline che erano state un
tempo la fonte di tante incertezze.
Aveva letto e riletto quei testi moltissime volte tentando di decifrarli, chino su
di essi, ci aveva "sofferto" veramente. Sentii che simili ricercatori erano la
mia vera "famiglia"; imparai ad ascoltarli con rispetto ed in silenzio quando
corressero molte mie interpretazioni fantasiose sul Kriya. Il nostro rapporto
era basato su un reale affetto e non c'era mai disapprovazione, acidità o
formalità. Furono sempre generosi verso di me e rispettosi della mia
personalità. Mai cercarono di impormi qualche loro convincimento, mentre
condividevano tutto quello che conoscevano, anche quanto era costato tempo,
sforzo e denaro.

Altre delusioni dall'India

Alcuni nostri amici, di ritorno dall’India, mostravano l'emozione di avere


conosciuto una terra straordinaria e, nello stesso tempo la delusione per tutto
quanto non erano riusciti a imparare. Capitò spesso che qualcuno avesse
incontrato un millantatore il quale li aveva assicurati di conoscere il Kriya e di
poter dare loro l'iniziazione. Questo a patto che essi mantenessero la più totale
segretezza sul fatto, senza stabilire alcun contatto con altri ricercatori. In tal
modo questi si sentiva sicuro che per molto tempo i suoi iniziati non si
sarebbero resi conto che in realtà quello che avevano ricevuto non aveva nulla

64
a che fare con il Kriya.
Mi accorsi di ciò solo quando riuscii a vincere le resistenze interiori di
qualcuno e mi feci dire la tecnica che avevano appreso; si trattava della
semplice ripetizione di un Mantra! La cosa che più mi dispiaceva non era
tanto la sostanziosa offerta che questi amici avevano fatto a quelle persone
(che per un indiano significava una fortuna) ma il fatto che così, pur
viaggiando in varie parti dell'India si erano privati della possibilità di
apprendere il Kriya da altre fonti, in altri posti.
Un fatto di diversa natura accadde ad un amico il quale incontrò un
discendente di Lahiri Mahasaya, un nipote diretto, un uomo di grande
istruzione accademica e anche di profonda conoscenza del Kriya, ma non ne
ricavò assolutamente nulla. Rimasi allibito quando, ritornato dall'India mi
annunciò qualcosa di veramente singolare. Mi disse che a Benares, e
probabilmente ovunque in India, il Kriya non si praticava più.
Mantenni abbastanza controllo da non interromperlo o contestarlo, poi
ponendogli delle domande apparentemente marginali, cercai di capire quello
che era accaduto.
Il mio amico, come era solito fare, aveva aperto la conversazione
introducendo argomenti futili come domande sulle abitudini indiane,
l'indirizzo di un Ashram dove voleva recarsi, poi, verso la fine dell'intervista -
quasi ricordando improvvisamente di trovarsi nella casa di Lahiri Mahasaya -
aveva chiesto se per caso qualcuno dei discendenti di Lahiri Mahasaya
praticasse ancora il Kriya.
Il suo modo di atteggiarsi deve aver raggelato l’illustre ascoltatore perché la
risposta, che nascondeva un amaro sarcasmo, fu negativa; in altre parole:
«certo che no, qui nessuno lo pratica più. In India non si pratica più. Sei
rimasto solo tu a praticarlo!»
Finito il suo racconto l'amico mi guardava con occhi stupiti. Non so ancora se
sperava di convincermi o se, più che altro, era immerso nella sua amarezza e
frustrazione. Non dissi nulla. Credo che non si rendesse conto di quanto
stupidamente si era comportato con quella nobile persona.
La batosta gli arrivò un mese dopo, quando venne a sapere che un suo
concittadino aveva ricevuto l'iniziazione al Kriya proprio da quella stessa
persona da lui intervistata a Benares. Fu molto contrariato, offeso dalla notizia
e fece il progetto di ritornare in India e protestare presso quel Kriya
Acharya.15
Un altro amico si era fermato per alcuni giorni presso un Ashram dove
15
Purtroppo non ci ritornò più, perché una grave malattia ci portò via quest’amico.
Nonostante la diversità abissale del nostro carattere, gli sarò sempre grato per tutto
quello che del sentiero spirituale in generale volle condividere con me.

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sapeva che si poteva ricevere il Kriya Yoga. Il monaco che guidava questo
Ashram non era presente, però l'amico ricevette l'iniziazione al Kriya da un
suo discepolo. Acquistò un grosso volume dove c'era la descrizione sintetica
delle tecniche.
Di ritorno dall'India l'amico, visibilmente soddisfatto, mi mostrò questo libro:
le tecniche non erano molto diverse da quelle che conoscevo però c'erano
tante altri dettagli in più. Non c'era nulla, in ogni caso, che andasse a chiarire
i miei dubbi, non un cenno al Kechari Mudra, nulla sul Thokar. Ricordo
invece una tecnica molto complicata basata sulla visualizzazione dei Chakra
come sono descritti nei testi tantrici.
Ogni tecnica era preceduta da un'introduzione teorica con citazioni da libri
antichi e accompagnata da un'illustrazione che eliminava ogni possibile
dubbio. Alla fine del libro veniva data una routine graduale molto precisa.
C'era naturalmente l’affermazione che tutte queste tecniche costituivano il
Kriya come spiegato da Babaji, il mitico Guru di Lahiri Mahasaya.
Siccome il materiale era molto interessante, mi sarebbe tanto piaciuto
illudermi che la mia ricerca fosse finalmente conclusa e che quegli appunti
contenessero quanto cercavo! Bastava solo credere che Babaji, per creare il
Kriya Yoga, non avesse fatto nient'altro che fare una sintesi del comune
tantrismo. Ci voleva inoltre l’audacia di pensare che il Thokar potesse essere
considerato null’altro che una banale variante del Jalandhara Bandha! E se
non c'erano le istruzioni per il Kechari Mudra, pazienza, ciò voleva dire ….
che tale Mudra non era importante! Con un po’ di buona volontà sarei riuscito
a far quadrare il cerchio! Il caso volle che ascoltassi la registrazione di una
conferenza dell'autore Swami S. S.. Raccontava di aver trovato tali tecniche in
alcuni testi tantrici e di averne fatto una selezione accurata per formare un
sistema coerente: quello costituiva il suo sistema Kriya!
Come poteva spiegarsi allora l'affermazione secondo la quale quegli
insegnamenti provenivano da Babaji? Semplice! Come molti altri insegnanti
indiani, erano stati i suoi discepoli, non lui, a redigere quel materiale; questi
ebbero la bella pensata di renderlo più interessante accennando alla
derivazione dal mitico Babaji. L'insegnante, sempre rispecchiando un tipico
costume indiano, non aveva mai controllato quegli appunti - rimase, infatti,
sconcertato quando seppe di quell’aggiunta. Difese però l'operato dei suoi
discepoli affermando che, in fondo … «anche il Kriya di Babaji aveva origini
tantriche».
Come se non bastasse questa confusione, alcuni anni dopo apparvero in
internet dei Forum sul Kriya. Ricordo ce n'era uno, senza moderatore dove si
era scatenata una volgarità indicibile e le persone si sentivano libere di
insultare grezzamente coloro che avevano opinioni diverse.
Naturalmente c'erano - e ci sono ancora - dei Forum molto genuini; quello che

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mi dà fastidio è che ci sono sempre dei kriyaban che rispondono a domande
legittime e ragionevoli con un tono inaccettabile.
Con falsa tenerezza, tradendo la forma più bassa di considerazione,
continuano a bollare come pericolosa mania il desiderio del ricercatore di
approfondire la conoscenza del Kriya. Essi hanno l'audacia di consigliare al
disorientato studente di migliorare la profondità delle tecniche già ricevute e
di accontentarsi di ciò. Mi chiesi come osassero, non invitati, entrare nella vita
di un’altra persona, della quale non sanno nulla, e trattarla da principiante
incompetente e superficiale! È davvero tanto difficile confessare: «Non
possiedo l'informazione che tu cerchi»?

DEFORMAZIONI

L'incontrare diversi gruppi di persone che praticavano il Kriya (sin dai tempi della
mia appartenenza ad una organizzazione di Kriya e più tardi in diverse parti del
mondo seguendo questo o quel Guru) fu come incontrare la mia più vasta famiglia.
In quel periodo ero molto felice: mi innamoravo di un bhajan indiano e lo cantavo
entro di me tutto il santo giorno. Per me aveva la consistenza del cibo; anzi avevo
proprio l'impressione di mangiare quella musica in quanto dopo alcuni giorni di
canto realizzavo di averla esaurita e cercavo un altro canto per tuffarmi in esso come
se fosse l'unico degno di essere cantato. Nuotando in questo stato d'animo felice non
capivo nulla delle altre persone e mi sembrava che anche se avevano tanti interessi,
essi vivono una vita bellissima, facevano lavori bellissimi e io sognavo di vivere
sempre come loro. In seguito ebbi diverse occasioni di incontrare e avvicinarmi più
intimamente a varie tipologie di ricercatori.

[a] Fui colpito dalla tendenza a spendere molto denaro in seminari dove si parlava
di metodi di guarigione dei propri conflitti interiori. Frequentai un gruppo Kriya che
era sotto l’influenza di un individuo astuto il quale, a seconda delle necessità,
assumeva il ruolo di psicoterapeuta, di insegnante spirituale, di medico alternativo e,
con il pendolo in mano, pretendeva di diagnosticare tutto, dalle più lievi
indisposizioni alle malattie più serie, così come di suggerire rimedi. Innocui metodi
come aroma terapia, terapia coi cristalli, terapia coi colori… suscitavano grande
entusiasmo, sembrarono intensificare la nostra esperienza del Kriya: funzionarono
per un certo tempo, dopo di che vennero abbandonati.
Era anche tipico per noi, durante seminari di fine settimana, prender parte a varie
forme di psicoterapia alternativa. Tali metodi richiamavano quelli tradizionali,
dando grande importanza a riferire in pubblico i propri traumi infantili. Dal punto di
vista legale, tali attività dovevano essere camuffate da giochi sociali, attività
culturali o religiose. Ricordo vividamente come, seduti sul pavimento, posti in
circolo, formavamo gruppi di lavoro e, vincendo delle resistenze interiori,
condividevamo, talvolta con acuta sofferenza, esperienze che non avevamo mai
detto prima. C’erano anche quelli che cercavano di ritrovare, attraverso la

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regressione ipnotica le proprie vite passate per far rivivere e quindi comprendere i
traumi più profondi…
Sembrava - e l'idea non era affatto malvagia - che questo processo di rimozione dei
blocchi interiori potesse aiutare l'energia a fluire meglio nel corpo durante il Kriya.
Questo processo, a sua volta, divenendo più intenso poteva dare l'aiuto decisivo
nelle fasi più delicate del processo di pulizia globale.
L'idea di porre in moto questo circolo virtuoso ci affascinava senza limite, purtroppo
alcuni andarono molto lontano dal Kriya fino a perderlo del tutto.
Alcuni furono irretiti dalla affermazione secondo cui le pratiche meditative classiche
- i metodi sobri adottati da sempre dai mistici delle varie religioni - non sono più
validi per il nostro tempo. Andavano bene 50 anni fa, ma con la nuova era l’uomo si
è evoluto ed è pronto a impiegare mezzi più veloci. Furono sedotto dalla tentazione
di applicare mezzi più veloci. Divennero entusiasti di tecniche costose condivise nei
fine settimana, le quali in 20 minuti al giorno avrebbero prodotto una rigenerazione
del DNA, una espansione di coscienza mai ottenuta con altri mezzi, la liberazione
finale ecc.
Per un amico in particolare, gli eventi presero una brutta piega. Capiva
intuitivamente la differenza tra magia e dimensione mistica, tuttavia, non smetteva
di sognare che nel campo esoterico esistessero delle tecniche segrete, conosciute
solo a pochi eletti, che costituivano una scorciatoia all'Auto realizzazione.
Per un certo tempo egli cercò di "migliorare" le tecniche del Kriya incorporandovi
varie tecniche esoteriche, come quelle descritte nei rituali di magia cerimoniale. Era
convinto che solamente usando certi rituali, formule e simboli iniziatici, fosse
possibile completare il salto evolutivo che portava alla liberazione.
Incontrò un auto nominatosi esperto in materie occulte che gli rivelò di conoscere i
segreti di un sentiero esoterico quasi scomparso e, in particolare, una tecnica
spirituale - molto più evoluta di quelle conosciute oggi - che era praticata secoli o
millenni fa da pochi eletti privilegiati.
Questo amico entrò in una situazione in cui le stesse basi economiche, essenziali al
suo vivere rischiarono di essere spazzate via, annientate fin nelle minuzie.
Il pseudo esperto, che dava l'impressione di essere un sognatore ma che non era così
ingenuo come sembrava, lo ammaliò facilmente. «Ora che l’umanità non è più
quella di un tempo, tali insegnamenti non sono più rivelati ad alcuno» esordì; fece
una pausa e infine, con un sospiro, concluse: «Gli attuali ricercatori non saprebbero
apprezzarli e, nelle loro mani, diverrebbero pericolosi.»
Usava una terminologia affascinante vicina alla Cabala (movimento mistico entro
l’Ebraismo) e parlò anche del Cristianesimo originale, dei cui testi sacri (canonici e
apocrifi) offriva un’interpretazione non convenzionale. Il mio amico, cercò di
circuire l’insegnante per ricevere più informazione.
Confidando di esser disposto a qualunque sacrificio purché gli fossero rivelati questi
straordinari segreti, cadde nella trappola.
Dopo aver simulato una certa perplessità, alla fine il nostro furbo insegnante sembrò
capitolare ma … «Solo per te, soltanto perché mi sento guidato a fare un’eccezione»
sussurrò.
Il mio amico, una povera vittima tremante di emozione, visse il miglior momento
della propria vita, convinto che l’incontro con l’esperto fosse stato deciso nelle alte

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sfere. L’offerta che portò all’iniziazione - unita alla promessa di mantenere
l’assoluta segretezza – non poteva che essere cospicua in quanto, attraverso essa,
egli doveva dare prova di attribuire un grande valore a tale evento.
La donazione sarebbe servita all’insegnante per compiere buone opere ....
ovviamente!
(Tali insegnanti affermano invariabilmente di trasmettere le offerte ad un certo frate
- curiosamente non ad un prete - che si prende cura di un orfanotrofio.)
Mentre il mio amico, tutto soddisfatto, si preparava a ricevere tale ineguagliabile
dono (il nostro esperto dell'occulto aveva sottolineato con grande enfasi che di dono
si trattava e nulla avrebbe potuto ricompensare adeguatamente le benedizioni che
tale iniziazione avrebbe comportato nella sua vita) il lestofante decideva pigramente
quali chiaviche gli avrebbe esposto, con splendente solennità.
L’amico ricevette con indicibile emozione la nuova tecnica e trascorse uno o due
giorni di pura esaltazione.
In seguito, imprigionato nella sua chimera, sperimentò il riaccendersi della sua
passione e la farsa si ripeté. Sentì ancora parlare di altre "rivelazioni" dal valore
ineguagliabile. L’illusione in cui viveva era, in effetti, invincibile. Ricevuta la sua
droga, continuò la corsa, inesorabile, verso il baratro. Non so se un giorno potrà
capire che le tecniche per le quali pagò una fortuna furono prese da alcuni libri
comuni e deformate affinché egli non riuscisse a intuirne l’origine.

[b] Resterà per sempre una delle esperienze più tristi, tuttavia utili, quella
incontrare delle persone che usano lo spiritismo per contattare i Maestri del Kriya.
In effetti, ci sono persone che affermano di avere il privilegio ... di comunicare
direttamente con i Maestri storici del Kriya.
Se lo spiritismo mantenesse le sue promesse, sarebbe la più valida miniera di
informazioni - un collegamento diretto con l'aldilà, molto più accurato di qualsiasi
altra fonte! In vero, coloro che lo praticano sentono di essere infinitamente più
fortunati di qualsiasi altro ricercatore spirituale. Sebbene credano fermamente che
un grande cataclisma mondiale sia praticamente alle porte, sono sempre ottimisti, e
camminano ad un metro da terra avendo ricevuto l'assicurazione che si salveranno.
Molti giunsero allo spiritismo sognando un contatto con un parente o amico
deceduto, alcuni furono mossi dalla pura sete di conoscenza occulta.
Lo spiritismo classico – caratterizzato da un Medium che sprofonda nello stato di
trance e il tavolino che batte i colpi come risposta cifrata alle domande poste dagli
astanti – ha ceduto il posto ai metodi moderni dove tutti i partecipanti, ponendo le
mani sul bicchiere capovolto che si muove così agevolmente tra le lettere
dell’alfabeto, stampate su una comoda tavoletta pieghevole, sono loro stessi dei
medium. Molti preferiscono le rivelazioni più accessibili di un Channeler. Questo è
una persona che, senza tante complicazioni, lascia che l’entità invocata si esprima
attraverso il fiume in piena della sua stessa eloquenza. È curioso vedere come le
biografie dei Channeler ricalchino un unico schema.
Tutti raccontano come un tempo fossero scettici delle loro facoltà e non volevano
cedere alla Volontà suprema che aveva deciso di affidare loro la difficile missione di
fare da tramite tra gli spiriti e l’umanità. Una volta accettata la missione, dalla fonte
ultraterrena venne l’ispirazione a mescolare il flusso delle varie rivelazioni alla

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diagnosi d’improbabili malattie, alla prescrizione di costosissimi rimedi alternativi.
Ciò di cui fui testimone, con un dolore acuito dalle particolari situazioni che
allora si vennero a creare, fu la fragilità mentale della maggior parte di coloro che
praticavano lo spiritismo. Mi sbalordirono non solo in base alle loro affermazioni
ma anche in base a quanto scorgevo nei loro occhi. Era come se, da dietro la
maschera del loro volto, apparisse un'altra personalità, estremamente sicura di sé,
ma che in realtà permetteva agli altri di ingannarli e defraudarli nel peggiore dei
modi. Quanto è strana l’intera faccenda! A parte la scrittura automatica nella quale
chi chiede è la stessa persona che dà la risposta, il medium sa in anticipo le
preferenze e le anticipazioni della persona che a lui si rivolge. Perciò tutto diviene
come un circuito chiuso: domanda e risposta si riverberano in una spirale senza fine
come il fischio di reazione di un microfono posto vicino al relativo altoparlante.
Come chiunque può osservare, le comunicazioni sono sempre gradevoli. Ogni
adepto, anche di intelligenza limitata, riceve la comunicazione che il Divino gli ha
assegnato un'importante missione…
Essere coinvolti in questa attività è un modo straordinariamente semplice di
distruggere, in breve tempo, anni di genuino sforzo spirituale. Ho dei motivi per
ipotizzare che l’infido territorio dello spiritismo sia una delle migliori aree per
coltivare spaccature entro la personalità.
Conobbi alcuni kriyaban che si ficcarono in situazioni di tale ristrettezza di visione
da apparire grottesche. Il loro desiderio originale di trovare la libertà totale nel
Kriya Yoga finì nella peggiore di tutte le prigioni. Diedero tutti i loro possessi, e la
loro vita, ad una persona che era una autentica canaglia.
Come ho detto ci sono alcuni che affermano di comunicare direttamente con i
Maestri storici del Kriya. È patetico e persino divertente sentirsi riferire il loro
messaggio proveniente dall'aldilà: «In questa epoca, il Kriya è fuori moda ed inutile.
Basta la devozione!».

[c] Conobbi anche delle persone che dimostravano più attaccamento ad una
persona, che al sentiero spirituale stesso.
Siamo d'accordo che la conoscenza esoterica è trasmessa molto meglio attraverso
una stretta relazione umana. È anche ovvio che scivolare in un acritico culto della
personalità, nella deificazione della figura dell'insegnante è la fine della ricerca
spirituale. Talvolta, un discepolo è affascinato dall'idea di "trasmissione del potere".
Sappiamo che molte fratellanze esoteriche nonché grandi tradizioni mistiche
insegnano che la forza dei grandi Maestri del passato, la loro sottile vibrazione è
ancora presente nei loro discendenti - non discendenti per consanguineità, ma
tramite trasmissione di potere - come una catena ininterrotta. Spiegano che il
progresso spirituale non può avvenire se non ricevendo quel "potere". Un piccolo
gruppo di persone sono autorizzate ad agire come canali di questa trasmissione. I
grandi mezzi finanziari che le organizzazioni dispongono non servono solo a
mantenere la bellezza dei loro edifici ma anche a dare lustro e circondare di un’aura
divina i loro Ministri e rappresentanti. 16
16
Le persone dimenticano facilmente quanto sia importante procedere senza mai dare
ad un'altra persona o istituzione il diritto di abusare di noi. Discutere il tema di sette,
dove la dignità dell'individuo è schiacciata, esula dal nostro tema principale. Per un

70
È normale che uno provi un grandissimo rispetto per il canale umano che è
ufficialmente investito della missione di trasmettere questa particolare
"benedizione". È comprensibile che uno cerchi di conquistarsi un posto nel loro
cuore. Il problema è che qualche volta questo raggiungimento diviene più
importante della meditazione stessa.
L’impatto emotivo di questo condizionamento è forte e si trasforma, col tempo, in
pretese irragionevoli: uno vuol essere accettato, amato e cerca ogni occasione per
avere dei colloqui privati con quella amata persona. Anche se non ha dubbi sulle
tecniche, se li crea, tanto per il gusto di mantenere una corrispondenza inutile e dal
forte tono emotivo.

Conobbi un kriyaban, degno del massimo rispetto e ammirazione, più anziano di


me che aveva intrapreso il sentiero del Kriya molti anni prima. Ci frequentammo
nella parte finale della sua vita. Ci furono momenti in cui, conoscendo la solitudine
totale in cui viveva, mi si stringeva il cuore nello stare mesi senza vederlo. Per vari
motivi ciò fu inevitabile; lo incontravo sempre per brevi e fuggevoli pomeriggi,
camminando e parlando tranquillamente. Gioivo della sua compagnia, eppure mi
sentivo come se stessi per essere travolto da una ondata di nostalgia che restava
trattenuta, sospesa. Fui testimone di un processo inesorabile che lo condusse al
punto di vivere della sola irradiazione proveniente dal ricordo di un abbraccio, di
uno sguardo, o persino di un semplice cenno di saluto ricevuto da una persona
(l'epitome del suo ideale di perfezione) appartenente alla direzione
dell’organizzazione Kriya cui si sentiva legato. La sua suprema delizia era l'illusione
di aver creato un legame privilegiato con quella persona.
Aveva pienamente accettato l’idea che su questo pianeta ci fossero persone speciali
come la persona "autorealizzata" che ho menzionato, e persone irrimediabilmente
comuni. In una dimensione di totale sincerità, un giorno sfogò tutta la sua tristezza.
Considerando quanto superficialmente - così diceva - aveva praticato le tecniche di
meditazione, non aveva dubbi che, in questa vita, avrebbe certamente mancato
l’"obiettivo". Stava già sognando future incarnazioni in cui avrebbe praticato con
maggiore impegno.
Espresse quello che, anni prima, non avrebbe nemmeno osato pensare: l’idea di una
presunta evoluzione dell’individuo, conseguita attraverso il Kriya era così lenta, da
essere praticamente insignificante.
(Strano a dirsi, l'idea di una evoluzione automatica determinata da ferree leggi
matematiche restava in lui come un riflesso istintivo al punto che avrebbe
continuato a ripeterla rivolgendosi a quanti gli chiedevano informazioni sul Kriya.)
Le tecniche Kriya erano, per lui, come un rito religioso che andava svolto
scrupolosamente per dimostrare la propria lealtà. Sfortunatamente questo assioma
ineluttabile sosteneva la trama sulla quale aveva continuato a intrecciare il suo
pensiero. Talvolta sentivo che mi stavo perdendo nel suo stato di dolce

ricercatore che vuole investire il suo tempo nello studiare questo argomento, ci sono
tante fonti dalle quali si può trarre del materiale prezioso. Colpisce indubbiamente il
materiale fornito dalle istituzioni che puntano a difendere le persone dalle sette.
Scioccanti sono i siti web creati dagli ex-adepti di una setta.

71
rassegnazione ma non potevo accettare che la pratica Kriya lasciasse le persone,
dopo decadi, nelle stesse condizioni in cui avevano iniziato la pratica. Il mio amico
viveva nella certezza di qualcosa di bello che esisteva nell’aldilà; il suo essere era
già proiettato in quella dimensione.
Oggi che lui non c’è più, mi chiedo se la diffusione del Kriya qui in Occidente è
servita solo a questo, a diffondere la venerazione di certe persone che sono
"sfacciatamente" sante, perfette, maestose. Quanto miserabile era stata per lui la
credenza che il suo bene supremo dipendesse dallo sguardo permeato d’amore
proveniente da quella persona che lui sentiva divina! Aveva fatto l’imperdonabile
errore di credere che l'eterna sorgente spirituale nel centro del suo essere, si
inaridisse lontano dalle benedizioni di questa persona verso cui aveva diretto la
totale aspirazione del suo cuore.

72
CAPITOLO I/06 SGUARDO ALLA VERA NATURA DEL KRIYA

Quando giunse il momento di incontrare il tanto atteso insegnante


dall’India - quello che, speravo, mi spiegasse il Kriya nella sua forma
completa – non ero nello stato d’animo ottimale. Da alcuni indizi, sapevo che
stavo per fare i conti con un approccio radicalmente nuovo. Temevo che
questo potesse scombussolare la semplice e abbastanza remunerativa routine
nella quale mi ero stabilito.
La magica dimensione di Omkar, nella quale l’insegnante precedente mi
aveva immerso in un modo così appassionato, non poteva essere messa da
parte o dimenticata. Non potevo nemmeno pensare di porre altri principi a
fondamento del mio sentiero spirituale. Perciò mi avvicinai al nuovo
insegnante, bene deciso a rifiutarlo se lui, in qualche modo, sembrasse
portarmi lontano da tale realtà.
Lo incontrai in un Centro Yoga dove era stato invitato da alcuni discepoli.
La sintesi del suo discorso introduttivo era che il Kriya non significava
gonfiare mente ed Ego muovendosi verso un’ipotetica mente superiore, ma un
viaggio oltre la mente, in un territorio incontaminato. Da certe risposte a
domande poste dal pubblico, vidi che conosceva il mio ultimo insegnante ed
era consapevole della sua scelta di non insegnare tutte le tecniche del Kriya.
Ci fece capire in modo chiaro che la ragione del suo viaggio in occidente era
ripristinare gli insegnamenti originali. Questo fu sufficiente a vincere le mie
resistenze.
Nel seguente seminario d’iniziazione osservai con indulgenza alcuni difetti
di comportamento che impressionarono negativamente altre persone. Rivelò,
infatti, un temperamento irascibile. Esplodeva quando gli venivano rivolte
troppe domande, anche se erano legittime; trovava sempre, al di sotto delle
parole, un’intenzione nascosta di contestarlo, una forma velata di opposizione.
La spiegazione delle tecniche era ragionevolmente chiara ma in alcune parti
sintetica in modo inusuale. Per esempio le istruzioni sul Pranayama -
formalmente corrette - potevano essere capite solamente da chi già praticava
da molto tempo il Kriya. Alla spiegazione di questa tecnica dedicava un
tempo veramente modesto. In un'occasione lo cronometrai e vidi che non
aveva dedicato più di due minuti alla relativa spiegazione. Continuò così per
anni, nonostante le gentili rimostranze dei suoi intimi collaboratori. Dava
inoltre dimostrazione del Pranayama facendo un suono esageratamente forte,
vibrato. Lui stesso ammetteva che questo suono non era corretto ma continuò
ad utilizzarlo allo scopo di essere udito anche dalle persone sedute nelle
ultime file, risparmiandosi la fatica di muoversi vicino a loro, come di solito
fanno gli insegnanti di Kriya. Purtroppo non si prendeva la pena di chiarire

73
che il suono doveva essere pulito e non vibrato. So che molte persone,
pensando che esso fosse il "segreto" che lui ci aveva portato dall'India,
tentarono, per mesi, di produrre lo stesso rumore.
Di come i nostri rapporti finirono ne parlerò nel prossimo capitilo, anche
perché ciò mi fornirà una particolare opportunità di discutere i miti del
rapporto Guru-discepolo e della richiesta di segretezza per quanto riguarda le
tecniche del Kriya.
I sei anni passati con questo maestro furono importanti sia per la particolare
routine di Kriya che adottai17 che per la comprensione del Kriya che scaturì
dai miei studi.

All'inizio della mia pratica di Yoga, non la associai al percorso spirituale.


La mia ben radicata passione per il Pranayama era nutrita non solo dal
desiderio di «morire a me stesso» (e padroneggiare così lo stato di silenzio
mentale) ma dal mio interesse per gli affascinanti scritti di Jung. Avendo
studiato Jolande Jacobi La Psicologia Analitica di CG Jung, seguita da Jung,
Jaffé (1965) Ricordi, Sogni, Riflessioni, non potevo non sentire il grande
desiderio di cominciare il "processo di individuazione". Ma esso richiedeva di
aspettare molti anni e guadagnare molto denaro per pagare le mie sedute di
analisi!
Nel frattempo, dopo avere sperimentato i primi effetti del Pranayama, rimasi
sbalordito: l'impressione predominante era che esso stesse operando un
processo di pulizia del mio subconscio. Feci la supposizione che il
Pranayama potesse guidarmi lungo il sentiero dell'individuazione.
Nel mio cuore adolescente sognavo che avrei affrontato gli archetipi
dell'Inconscio Collettivo.... avevo fiducia in me stesso, sentivo che potevo
fare questo lavoro.
Chi possiede una buona conoscenza del pensiero Junghiano troverà questa
idea una follia. Ciononostante, essa mi infuse entusiasmo, grande vigilanza, la
meticolosità e la volontà indomabile di condurre la mia pratica alla
perfezione.

17
Mi riferisco alle routine ad incremento progressivo che sono un tratto peculiare del
Kriya di Lahiri Mahasaya. Esse sono un mezzo per ottenere una salda trasformazione
interiore, sia nella psiche che nell’abilità di raggiungere stati di profonda di
introspezione. Ecco in cosa consistono: una volta alla settimana, per un certo numero di
settimane (20 - 24 - 36 …), si mette da parte la routine solita e si utilizza una sola
tecnica, il cui numero di ripetizioni è gradualmente aumentato fino a raggiungere un
determinato numero che la tradizione ha tramandato come ottimale. I principali processi
in cui si contempla una routine ad incremento progressivo sono quello del Navi Kriya,
del Pranayama mescolato a quello dell'Omkar Pranayama e quello del Thokar.
L'argomento è ripreso nella terza parte, capitolo III/01.

74
Entrare in una organizzazione fondata sul Kriya significò essere irretito e
confuso da tanti racconti fiabeschi. Ero convinto che trovare il Kriya fosse
come un colpo di fortuna, un regalo dal Divino grazie a non so quale merito.
Cominciai a considerare le persone che appartenevano al mio stesso sentiero
come persone accorte che sapevano come prendersi il meglio dalla vita; di
conseguenza guardavo a quelli che lo rifiutavano o, nonostante molto parlare,
erano ancora incerti se dovessero fare il passo decisivo di iniziarne la pratica,
come degli idioti che non sapevano quello che stavano perdendo.
Il mio Kriya Pranayama, praticato per dei mesi con entusiasmo, divenne una
tranquilla buona abitudine. La durezza della mia disciplina si ammorbidì nella
tenera atmosfera delle "benedizioni del Guru".
Il mio desiderio di rimanere fedele ai valori instillati in me dalla mia cultura
(un atteggiamento razionale aperto ai valori della creazione artistica) venne
gradatamente distorto. Era come se una larga parte del cervello si chiudesse
mentre un'altra, che faceva tutto quanto era in suo potere per credere in quello
che le conveniva credere, tentasse di usurparne le funzioni.
Se nei primi tempi, il mio cervello "spirituale-orientale" non sapeva come
reagire alle obiezioni di altre persone e reagiva fuggendo o rispondendo con
violenza; in seguito divenne così furbo che imparai a comportarmi
normalmente in società (la gente cominciò a considerarmi un uomo che aveva
scelto un semplice stile di vita, contrassegnato da elevati principi...) senza
dare a vedere come l'imparzialità di giudizio fosse compromessa,
praticamente inesistente.

È difficile scorgere il lentissimo processo attraverso cui ripresi possesso


delle mie facoltà di giudizio. Decisive furono le letture di Sri Aurobindo,
Mére e Satprem. Il loro fascino scaturì dal fatto che trattavano i temi della
spiritualità Indiana con un linguaggio occidentale che era sia lirico che
razionale, al sommo grado di eccellenza.
Erano loro alcune osservazioni illuminanti secondo cui la contemplazione
della bellezza nella natura e l'emozione che nasce dall'ascolto della musica
classica erano considerate un tramite per arrivare all'esperienza spirituale.
Loro erano capaci di esprimere in modo euforicamente vivido, le mie più
intime convinzioni, quelle che non avevo i mezzi per chiarire così
lucidamente nemmeno a me stesso.
Nella loro aspirazione per una piena manifestazione del Divino negli atomi
della materia inerte, c'era una fragranza che mi eccitava e mi commuoveva.
Talvolta, mentre li leggevo, avevo l'impressione di avere la febbre.
Una rivoluzione, un'inversione di valori stava accadendo lentamente ma
inesorabilmente in me. Affascinato, stavo contemplando il brillante splendore
di un nuovo modo di guardare al percorso spirituale: due mondi

75
apparentemente opposti, quello di una raffinata atmosfera paradisiaca, che noi
immaginiamo sia goduta dalle anime degli asceti, e quello del pieno
godimento della bellezza terrena, così caro agli artisti, potevano unificarsi
nella coscienza di ciascun kriyaban attraverso un uso atipico ma geniale del
Kriya Pranayama. Esso poteva essere utilizzato non solo per portare l'energia
e la consapevolezza nella spina dorsale, ma anche nelle cellule del corpo!
I miei primi tentativi di fare ciò furono come scoprire il Kriya per la prima
volta. Da quel momento in poi, la meditazione divenne la prosecuzione
dell'esperienza dell'arte, la ricerca di una perfetta Bellezza irraggiungibile
attraverso mezzi ed abilità umane. L'ingenua concezione della devozione
come una emozione febbrile che nasce dai bhajan devozionali, da certe foto,
dal profumo di certi incensi... fu superata per sempre.

Alcuni anni più tardi, il primo insegnante di Kriya che incontrai fuori
dall'organizzazione legò strettamente insieme, nella mia concezione, Bellezza
ed esperienza Omkar. Mi portò più vicino all'esperienza dei diversi aspetti
(suono, luce e sensazione di movimento) di Omkar: esso divenne l'unico
obiettivo della mia concentrazione, un contatto da essere ottenuto durante la
pratica del Kriya e conservato con la massima cura durante il giorno. Una
semplice idea come questa fu una cascata di luce nella mia vita: vissi per
alcuni giorni nella più dolce realtà. La sfera dei miei sentimenti fu toccata in
un modo più forte, più coinvolgente che qualsiasi delle mie esperienze
passate. Per la prima volta avevo la chiara percezione che stavo seguendo non
solo un astratto ideale di perfezione ma anche uno stato di inconcepibile
dolcezza che potevo assaggiare ogni giorno, durante la pratica ed in ogni
momento quando riposavo, libero dal lavoro. In quel periodo felice della mia
vita cercai di rintracciare nella letteratura spirituale qualsivoglia movimento o
eminente figura che avesse qualcosa a che fare con quel tema.
Il primo nome che mi venne in mente fu quello di San Giovanni della
Croce. Egli diede una descrizione splendida del suo incontro con la "musica
silenziosa", la "solitudine sonora." Non c'è dubbio che sentì il tipico suono
Omkar come quello di acque che scorrono. Mi ispirò a dare più enfasi alla
pratica del Japa – Preghiera. Assieme a Santa Teresa di Avila, era convinto
che la perfezione nella vita spirituale poteva essere raggiunta solo espandendo
al limite la pratica della Orazione Interiore. Intendevano una Preghiera che
andasse oltre la supplica, oltre le parole - una "Preghiera del cuore".

Lungo i secoli, tantissima incomprensione offuscò questa pratica. Per molti


devoti la Preghiera ha – con rare eccezioni – il significato di supplica a Dio
per ottenere dei favori personali o benedizioni per l'umanità che soffre. Il
concetto di "Orazione interiore" rischiò una quasi totale eclissi.

76
Lo stato di coscienza nato durante quel periodo elevato mi inspirò a giovarmi
anche dallo studio delle vite di quei santi che non avevo avuto prima
occasione di conoscere. Lessi un libro sul santo Ortodosso Serafino di Sarov e
altra letteratura su altri santi Ortodossi. Era facile riconoscere nella
spiegazione del significato dello Spirito Santo la stessa Realtà Omkar. Ero
stato così orgoglioso della mia pratica Kriya ed ora cominciavo a scoprire di
essere meno di un novizio.
Le loro pratiche non venivano definite "tecniche", a loro non veniva dato un
nome ridondante, non c'era alcuna nota sui loro effetti "straordinari". Erano
descritte in un modo molto semplice come un processo universale che avviene
naturalmente in qualsivoglia anima che calca sinceramente il percorso
spirituale. L'idea della segretezza o era totalmente estranea o era
semplicemente l'effetto di un naturale, non istituzionalizzato istinto di decenza
e modestia che quelle anime umili avevano. Ma questa riserva scompariva nei
loro scritti autobiografici.
Molto interessante fu la letteratura relativa all’Esicasmo, un movimento
cristiano ortodosso che considera la pace interiore come una necessità d’ogni
essere umano. L'essenza di questo movimento si trova nel già citato libro I
racconti di un pellegrino russo. Il principale strumento che viene
raccomandato è la "Preghiera continua, ininterrotta". La storia è quella di un
pellegrino di ritorno dal Santo Sepolcro che si fermò a Monte Athos e
raccontò ad un monaco la sua ricerca, durata una vita intera,
dell'insegnamento su come fosse possibile «pregare continuamente» - secondo
le raccomandazioni di San Paolo. Egli era deciso a percorrere le steppe fino
all’infinito pur di trovare una guida spirituale che gli svelasse il segreto di
come riuscire a pregare in tal modo. Un giorno il suo ardore fu premiato e un
maestro spirituale lo accettò come discepolo chiarendogli, nel corso del
tempo, ogni dettaglio della pratica della "Preghiera continua". Molto
interessante è il fatto che la pratica esicasta prevede un esercizio di
respirazione con una posizione della lingua simile a quella del Kechari
Mudra.
Dopo questo passo iniziale, c’è un incoraggiamento ad essere saldi nel
pregare con la concentrazione sull’ombelico. «...(in questo modo) è possibile
scoprire in se stessi un'oscurità senza gioia, senza luce interiore ma,
perseverando, si raggiungerà una felicità senza limiti». Una volta superato
l'ostacolo dell'ombelico, si apre, infatti, il sentiero che porta al cuore.
Indimenticabile è la descrizione del momento in cui la Preghiera entra nel
cuore; gli effetti sono straordinariamente simili a quelli del Thokar di Lahiri
Mahasaya! Il colpire il Chakra del cuore è ottenuto coll'unire le sillabe della
preghiera col pulsare del cuore. La coscienza vi entra e là contempla la "Luce
Increata" (ovviamente l'aspetto di luce di Omkar), che è considerato il più alto

77
dei conseguimenti mistici.

L'arte della Preghiera è sviluppata in un modo stupefacente nel percorso


dei Sufi. Non v'è dubbio che il Thokar sia lo stesso processo che i Sufi
chiamano "Dhikr." Interessante è apprendere che Lahiri Mahasaya diede il
Mantra islamico Lâ Ilâha Illâ Allâh ai suoi discepoli musulmani da praticarsi
durante il Thokar.

Non abbiamo i dettagli esatti di tale procedura ma sembra ragionevole che


la Preghiera venisse sollevata (con o senza l'aiuto del respiro) da sotto
l'ombelico su fino al cervello; dopo aver raggiunto il cervello, venisse spostata
dal cervello alla spalla destra, poi alla spalla sinistra e poi colpisse il cuore.
Una moderna confraternita Sufi pratica nel modo seguente: "La" è posto nella
testa, "ilaha" (con la testa che si piega a destra) nella parte superiore destra
del torace "illaal" (con la testa che si piega a sinistra) nella parte superiore
sinistra del torace, e "lah" (con la testa che si china in avanti) nel cuore; poi
di nuovo "La" nella testa, sollevandola....
Penso che se uno vuole seguire il sentiero dei Sufi usando le tecniche Kriya,
non incontrerà alcuna difficoltà. Chiaramente dovrebbe essere dotato di un
forte spirito di autodidatta. Per quanto riguarda il numero delle ripetizioni di
ciascuna tecnica, può attenersi ai numeri dati nelle scuole di Kriya o può
andare oltre esse in una dimensione completamente diversa. Man mano che il
canto aumenta di intensità, un'ebbrezza profonda sarà percepita nel cuore:
potrà raggiungere numeri di ripetizioni inconcepibili per un kriyaban.

Qualsivoglia spiegazione del Dhikr nella letteratura Sufi è assai inspirante.


Vengono date istruzioni per evitare le distrazioni, in modo tale che il cuore
non sia occupato "né con la famiglia né con i soldi". Si comincia la pratica
pronunciando il Mantra ad alta voce - questo è il Dhikr della lingua. Si
continua finché un grande assorbimento rende impossibile proseguire in
questo modo. «La ruggine sul cuore è arsa, l'oscurità si trasforma in giorno e
la candela della mente è resa inutile dal sole della luce divina (Corano)».
Il cuore è continuamente impegnato nel Dhikr. Il devoto persevera
assiduamente, finché le sillabe sono cancellate dal suo cuore e solo il
significato delle parole rimane: un tocco del divino ricordo fa impazzire la
mente – esplode la più inebriante delle gioie.

Studiai anche Kabir [1398 Benares - 1448/1494 Maghar] i cui insegnamenti e


quelli di Lahiri Mahasaya combaciano perfettamente.
Tessitore analfabeta, musulmano d’origine, fu un gran mistico, aperto all'influenza
vedantica e yogica, cantò il Divino in modo straordinario concependolo al di là

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d’ogni nome e forma. Le poesie e i detti, a lui attribuiti, sono espressi in un
linguaggio particolarmente efficace che rimane inciso per sempre nella memoria del
lettore. Nel secolo scorso Rabindranath Tagore, il gran poeta mistico di Calcutta,
riscoprì la validità dei suoi insegnamenti e la forza della sua poesia e fece una
bellissima traduzione in inglese dei suoi canti. Kabir fu educato a concepire l'Islam e
l'Induismo come due vie convergenti verso un’unica meta: fu sempre convinto della
possibilità di superare le barriere che dividono queste due grandi religioni. Non
sembrò basare il suo insegnamento sull'autorità delle sacre scritture; rifuggiva i
rituali religiosi. Insegnò a non rinunciare alla vita e divenire un eremita, a non
coltivare alcun approccio estremo alla disciplina spirituale, in quanto indebolisce il
corpo e aumenta l'orgoglio.
Che Dio debba essere riconosciuto interiormente, nella propria anima - come un
fuoco che, se nutrito con continua cura, brucia trasformando in ceneri tutte le
resistenze, dogmi, ignoranza - appare molto bene nel suo detto: «un giorno la mia
coscienza, come un uccello, volò in cielo ed entrò nel paradiso. Quando arrivai, vidi
che non c’era Dio: realizzai infatti che dimorava nel cuore dei Santi». Dall’Induismo
Kabir accetta il concetto di reincarnazione e la legge del Karma, dall'Islam prende il
monoteismo assoluto e la forza per combattere il concetto di casta e ogni forma
d’idolatria. Trovai in lui il senso pieno dell'esperienza yogica; egli afferma che nel
nostro corpo c'è un giardino pieno di fiori, i Chakra, e invita a stabilire la coscienza
nel Loto dai mille petali dal quale contemplare, la bellezza infinita.
Per quanto riguarda il suo concetto di "Shabda", che può essere tradotto come
"Parola" (la parola del Maestro) possiamo porlo in relazione con l’insegnamento
Omkar. Secondo lui questo Shabda-Om allontana tutti i dubbi, tutte le difficoltà del
discepolo, però è vitale mantenerlo continuamente, come una presenza vivente, nella
nostra consapevolezza. Om, il richiamo divino presente nel corpo di ognuno, che
nasce nel silenzio di un dolce Kriya, è l’ago della bussola. Seguendolo ci viene
rivelato il Kutastha.

Lo studio di Kabir mi portò direttamente a considerare la meravigliosa figura di


Guru Nanak (1469 – 1539). L'insegnamento era lo stesso. Egli disapprovò le
pratiche ascetiche ed insegnò invece a rimanere internamente distaccato facendo la
vita del capofamiglia. «L'ascetismo non è nei vestiti da asceta, o nel bastone per
camminare, né nel visitare luoghi di sepoltura. L'ascetismo non è nelle mere parole;
l'ascetismo è rimanere puri in mezzo alle impurità!» Tradizionalmente, la
liberazione dalla schiavitù mondana era la meta, perciò la vita del padrone di casa
era considerata un impedimento ed un ostacolo. In contrasto, nell'insegnamento di
Guru Nanak, il mondo divenne l'arena dello sforzo spirituale. Egli era incantato
dalla bellezza della creazione e considerava il panorama della natura come il più bel
scenario per l'adorazione del Divino.
Scrisse i suoi insegnamenti in Punjabi, la lingua parlata dell'India Settentrionale. La
sua noncuranza per il Sanscrito suggerì che il suo messaggio non facesse alcun
riferimento alle sacre scritture esistenti. Si sforzò di liberare totalmente i suoi
discepoli da tutte le pratiche rituali, modi ortodossi di adorazione e dalla classe
sacerdotale. Il suo insegnamento richiedeva un approccio completamente nuovo.
Mentre una piena comprensione del Divino è al di là degli esseri umani, descrisse

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Dio come non completamente inconoscibile. Dio deve essere visto attraverso
"l'occhio interiore", cercato nel "cuore": enfatizzò la rivelazione attraverso la
meditazione. Nei suoi insegnamenti ci sono cenni alla possibilità di ascoltare
un'ineffabile melodia Interiore (Omkar) e di gustare il nettare (Amrit). Si ha
l'impressione che lui dava un significato unico al concetto del monoteismo.

Studiai anche la base della religione Sikh, fondata sugli insegnamenti di Guru
Nanak e nove Guru successivi: la quinta tra le religioni organizzate più grandi del
mondo. Quello che apprezzai in particolare era che la chiave caratteristica distintiva
di Sikhismo era un concetto non-antropomorfico di Dio, al punto tale che uno poteva
interpretare Dio come l'Universo stesso. Ma soffermarmi su questo argomento non
rientra nelle mie intenzioni. Mi entusiasmai della fede Radhasoami che è
considerata come una derivazione del Sikhismo. Ad essa ci si riferisce anche come
Sant Mat (Sentiero dei Santi).
Tutto quello che lessi mi fece ricordare gli scritti di P.Y. e della mia prima
organizzazione di Kriya! Diedi una occhiata a pagine dove era celebrato il ruolo del
Guru - c'era la teoria secondo cui un Guru si assume su di sé parte del karma del
discepolo, appare a questi nel momento della morte per presentarlo a Dio...
Si spiegava che un discepolo non poteva mai recidere il collegamento sacro col
Guru per nessuna circostanza. L'iniziazione a questo percorso doveva essere
ricevuta dal Guru o da un degno rappresentante... Si sottolineava la necessità di
presenziare al servizio spirituale o "satsang"...
Il mio principale interesse fu quello che loro chiamavano Surat Shabda Yoga:
l'insegnamento su come ascoltare il suono interiore Omkar -- esattamente lo stesso
insegnamento, con le stesse parole che ricevetti dalla mia prima organizzazione di
Kriya!
Surat vuole dire "anima", Shabda vuole dire "parola." La "parola" è la "Corrente
sonora", il "Flusso di Vita udibile" o l'"Essenza dell'Essere Supremo ed Assoluto".
Con le stesse parole dell'organizzazione di P.Y., affermavano che questo Shabda era
la Parola a cui ci si riferiva nella Bibbia: "All'inizio era la Parola, e la Parola era con
Dio, e la Parola era Dio". (Giovanni 1:1)
La vibrazione del Suono, la forza dinamica dell'energia creativa che fu emessa
dall'Essere Supremo all'alba della manifestazione dell'universo, e che è
continuamente emanata, attraverso i secoli, plasmando tutte le cose, animate ed
inanimate, può essere ascoltato attraverso il Surat Shabda Yoga.
La meditazione sul suono, vuole anche dire percepire la Luce interiore la cui
intensità può variare da un bagliore sottile allo splendore di molti milioni di soli.
Durante l'iniziazione il Satguru vivente (Sat - vero, Guru - insegnante) attiva questo
Shabda che diviene il Satguru interno collocato presso il terzo occhio del discepolo.
Attraverso la sua Luce interiore il discepolo viene a "conoscere Dio."
La tecnica Om è praticata dai gruppi Radhasoami chiudendo orecchi ed occhi, sia
usando la posizione classica di accovacciarsi, appoggiando i gomiti sui ginocchi o
usando un sostegno per le braccia. Alcuni abbinano l'ascolto dei suoni interiori col
tentativo di assaggiare nettare (Amrit) tenendo la punta della lingua premuta sul
palato. Prima di ascoltare il suono e vedere la luce, alcuni gruppi muovono il Prana
su e giù nella spina dorsale...

80
Leggevo con brividi di sorpresa quella che era stata la mia vita, le mie più profonde
convinzioni. Era lo stesso Kriya Yoga di cui avevo sempre sentito parlare. Potevo
affermare che, in tutti i sensi, l'organizzazione e il mio primo insegnate di Kriya mi
avevano dato l'iniziazione alla luce e al suono, proprio come fanno i gruppi
Radhasoami.
A tutti gli effetti ero stato un membro di un gruppo Radhasoami.
Quando in qualche particolare (forse non ortodossa) letteratura Radhasoami leggo
strane teorie sul ruolo della ghiandola pineale, descrizioni di sei Chakra
supplementari nella materia grigia del cervello e altri sei in quella bianca, che
potrebbero essere attivati attraverso pratiche di meditazione, vedo chiaramente
l'origine di molte modifiche del Kriya.
Quanti ricercatori si chiedono quale sia l'origine certe varianti del Kriya! Cercano di
trovare tutte le buon ragioni per giustificare il comportamento di questo o di
quell'insegnante - di solito un discepolo diretto di Lahiri Mahasaya – che le
introdusse creando complicazioni senza fine. Che dire dell'ipotesi che, nei primi
anni della loro formazione, quegli insegnanti appartenessero ad un gruppo
Radhasoami e, forse anche senza essere completamente consapevole di ciò,
aggiunsero al Kriya degli elementi di teoria e pratica che avevano appreso
precedentemente? Prendendo per esempio in considerazione la teoria sopra citata di
diversi insiemi di Chakra presenti nel nostro cervello, capisco come mai alcuni
Kriya Acharya aggiunsero al Quarto Kriya di Lahiri Mahasaya (in cui i Chakra
sono sollevati nel Kutastha) altre procedure (che essi chiamano Quinto, Sesto...
Kriya) per stimolare questi altri ipotetici centri. Molte tecniche (non del tutto
sbagliate o inutili ma sicuramente non essenziali) potrebbero essere inventate
usando la dinamica ed i metodi del Kriya (il potere di visualizzazione unito alla
consapevolezza del respiro ed all'uso di certi Mantra) per tradurre in pratica una
teoria che non era quella di Lahiri Mahasaya.

Sebbene il libro Puran Purush (Yogiraj Publication. Calcutta) non sembra


rispettare alcun ordine logico nella disposizione degli argomenti e contiene un
numero infinito di ripetizioni e frasi retoriche, la sua pubblicazione anni fa fu un
vero e proprio evento! Penso che studiarlo possa aiutare molto più di altri libri, a
capire la personalità di Lahiri Mahasaya - con ciò, il nucleo del Kriya può essere
intuito con la rapidità di una freccia. È basato sui diari di Lahiri Mahasaya. Puran
Purush venne alla luce in Bengali (poi in Francese e in Inglese) grazie ad uno dei
nipoti di Lahiri Mahasaya, Satya Charan Lahiri [1902 - 1978] che possedeva
materialmente quei diari. Con l'aiuto di uno scrittore suo discepolo decise di operare
una selezione dei principali pensieri che sarebbero potuti tornare utili per coloro che
praticavano il Kriya.
In estate lo portavo con me in campagna; tante volte, dopo averne letto una parte,
guardavo le montagne distanti e ripetevo dentro di me «finalmente, finalmente...!».
Guardavo la fotografia di Lahiri Mahasaya sulla copertina; chissà in quale stato
elevato si trovava quando fu scattata tale foto! Osservai sulla sua fronte delle linee
orizzontali, le sopracciglia sollevate come nel Shambhavi Mudra, dove la
consapevolezza è stabilita in cima alla testa; una leggera tensione del mento
sembrava rivelare che stava praticando il Kechari Mudra. Durante quei giorni la

81
sua figura, con quel lieve sorriso pieno di beatitudine, era un sole nel mio cuore; era
il simbolo della perfezione cui volevo arrivare. Dalle poche parole che sono
ragionevolmente attribuite a lui emergeva la grande importanza che lui dava al
Pranayama, al Thokar e allo Yoni Mudra.
Colpisce la sua capacità di comunicare concetti astratti quando afferma che tutto il
cammino del Kriya è una grande avventura che comincia col Prana dinamico e
finisce col Prana statico. Uno sente un palpito di delizia quando incontra delle frasi
che hanno una luce in sé: «Kutastha è Dio, Lui è il Brahma supremo».

Lessi anche avidamente i commenti alle sacre scritture attribuiti a Lahiri Mahasaya.
Egli, infatti, commentò a voce alcuni testi sacri. Le sue interpretazioni furono
stampate più tardi dal suo discepolo P. Bhattacharya. Questi libri per molto tempo
rimasero poco conosciuti, perché redatti in Bengali. In seguito furono tradotti in
Inglese. Molte persone li studiarono con entusiasmo, sperando di trovarvi delle
informazioni utili alla comprensione del Kriya, eppure ne rimasero delusi.
Esaminandoli, non riusciamo a ricavarne alcunché di utile; non ce la sentiamo di
affermare che essi siano adulterati ma riconosciamo obiettivamente che il loro
valore, dal punto di vista esegetico, è quasi nullo.
Mi sembra quasi impossibile che provengano realmente da lui: non trovo la stessa
saggezza pratica e l'enorme realizzazione che egli espresse nei suoi diari. Ci trovo
piuttosto una mente con una tendenza quasi maniaca ad interpretare ogni cosa alla
luce del Kriya, come se secoli fa gli autori di quei lavori spirituali conoscessero
esattamente, una per una tutte le tecniche del Kriya.
Secondo me è possibile ipotizzare che, leggendo i versi di quei testi, Lahiri
Mahasaya fosse trasportato dalla forza del suo acume, dimenticasse completamente
la scrittura di partenza e, rapito, parlato ampiamente e liberamente sulle sottigliezze
del Kriya. Molto probabilmente quello che disse in quell'occasione fu preso come
un specifico commento a quel testo. Inoltre, è possibile che per pubblicare quelle
note difficili da comprendere, l'editore le abbia completate con la propria filosofia.

Verso una definizione di Kriya

Alcuni autori sprecano il loro tempo nell'asserire che il Kriya è una


scienza. A che pro? Per adescare chi? Possiamo esporre razionalmente i suoi
principi e discutere i suoi effetti in un modo analitico, pratico ma non
possiamo portare l'interezza di esso sul tavolo di un laboratorio.
Affermano che il Kriya aiuta a calmare la mente, il respiro e il cuore e
promuove un benessere olistico... tutti questi sono effetti secondari: molte
altre discipline, sport, passatempi producono gli stessi risultati.
Ci sono libri con pagine e pagine di dimostrazioni pseudo scientifiche di come
il Kriya produce uno stato di perfetta concentrazione...
Tutto questo blaterare non conduce a nulla.
Il Kriya Yoga è un percorso mistico - nulla altro. È un processo di
raffinamento, in fasi successive, della nostra sintonia con Omkar.

82
Il pensiero di Lahiri Mahasaya ci regala una impareggiabile ispirazione.
Il Kriya Yoga è la fede di Kabir e Guru Nanak: una religione monoteistica
dove il Dio "unico" è sostituito da Omkar! Tutti gli altri nomi dati alla Realtà
Finale (usati anche da Lahiri Mahasaya nei suoi diari) sono parole del tutto
inutili, coperture effimere imposte dalla mente umana. Omkar è la meta finale
di Kriya e l'unica essenza che scorre attraverso tutte le sue fasi.

Un'interessante esperienza

Un giorno, cercai di "ricatturare" la magia di quel periodo lontano in cui


raggiunsi per la prima volta lo stato di assenza di respiro. Ripresi le letture di
allora: specialmente Mére. Non potevo dire di aver tradito Aurobindo e Mére,
ma fino adesso cosa avevo realizzato del loro insegnamento? Praticamente
nulla, se non il fatto di essermi liberato da tutti i Guru. Spesso ripetevo come
un Mantra la frase di Aurobindo:

"Ora i terreni vaghi, ora il silenzio;


Un muro nero nudo, e dietro il cielo".

Fu dopo esser ritornato sull'Agenda di Mére che lasciai avvenire


liberamente, un'esperienza che rivelò una ricchezza insondabile: la battezzai il
Kriya delle cellule. Tale nome derivò dal fatto che il mio Pranayama
cominciò ad iniettare la consapevolezza nelle cellule del corpo. Queste,
secondo Mére, agivano come porte che si aprivano su una dimensione
totalmente nuova della coscienza – l'unica libera dai labirinti della mente.
Un giorno, mentre praticavo il Kriya all'aperto, sentii un'inesplicabile
repulsione ad usare il Kechari Mudra e praticai il Pranayama senza di esso e
con gli occhi aperti: non volevo abbandonare la bellezza del paesaggio che mi
stava davanti. La natura era per me la sorgente di ispirazione da cui non mi
volevo staccare.
Durante l’inspirazione, facevo vibrare nella mia coscienza un potente Vaaa:
esso partiva dalla zona sessuale, assorbiva l’energia proprio da lì e la portava
in testa; espirando, era la vibrazione di Shii che guidava l’energia in giù come
una pioggia in tutto il corpo. Gradualmente questo scendere divenne come un
ago ipodermico che iniettava la consapevolezza nelle cellule. Venne
spontaneo far sì che l’espirazione durasse molto più della inspirazione: il
suono del respiro risultava più acuto e pareva più facile guidare l'energia in
tutte le cellule. A questo punto ragionai nel modo seguente: perché non
dovrebbe questa azione interiore del Pranayama continuare, nello stesso
modo, quando ho completato il mio numero programmato di lunghi respiri
Pranayama e il respiro è lasciato fluire liberamente? Perché questa mania di

83
fare altre cose, di guidare l'energia in altre parti del corpo fisico o astrale?
Qualcosa di confortante accadde, infatti: ci fu una spontanea rotazione
dell'energia, che prese il posto del classico Pranayama mentale.
Era come un miracolo e mi diede un senso di infinita sicurezza circondata
dallo stato cristallino di una mente immobile. Fu come aver attraversato la
barriera della materia e vivere allo stesso tempo sia nel corpo che in uno
spazio sconfinato.
Emersi da quella seduta di Kriya sopraffatto dall'euforia: era come se tutti i
problemi a livello psicologico fossero un incubo che si era dissolto per
sempre, una illusione dalla quale ero emerso definitivamente. La mia vita,
che, fino ad ora, era stata piena di asperità, sembrava distendersi serenamente
e senza intoppi verso il futuro. Quando ritornai ai miei doveri quotidiani, la
bellezza del vivere, sembrava scaturire da ogni atomo, come il vino da una
tazza ricolma e mi empiva il cuore; gioivo nel sentire una insondabile
chiarezza della mente.
Nei giorni seguenti sperimentai uno strano effetto: sentii come se "non
avessi più la pelle". Questo è un modo simbolico per indicare l'impressione di
percepire - non solo con la consapevolezza ma anche "con il corpo" - quello
che stava avvenendo nella coscienza di un'altra persona (non ciascun pensiero
ovviamente, ma il suo stato d'animo) e, strano a dirsi, scambiarlo per mio.
Per essere chiaro, riferisco un episodio ricorrente. 18
Avviene che improvvisamente una depressione profonda prende possesso del
mio animo (non sono mai stato soggetto a depressione), dura diverse ore e poi
scompare; non si tratta di una semplice dissonanza, una disarmonia, ma di un
dolore straziante in un momento in cui non c'è giustificazione per tale stato.
Immancabilmente mi rendo conto che si è verificata una circostanza
significativa: sono stato presentato ad una nuova persona, c'è stata una stretta
di mano e abbiamo parlato con sincero coinvolgimento. Sappiamo come la
nostra mente sia brava quando si tratta di arrampicarsi sugli specchi; ma
quando un simile episodio è osservato con il dovuto distacco e si ripete con
matematica precisione nel corso del tempo, allora l’evidenza del fenomeno di
sintonia con la coscienza di un’altra persona non può essere negato.
Quello che uno è e quello che altri sono si mescola.

La mia ipotesi è che questa forma di Pranayama con la sua dolce


pressione sulle cellule del corpo possa spezzare la barriera della mente e
18
Prima di scrivere questo ho esitato a lungo. Il lettore può restare deluso dal fatto che
esso può richiamare le manie New Age. È solo dopo avere ascoltato simili effetti
ottenuti da altri ricercatori e tenuto conto della mia decisione di aderire alla più totale
sincerità, che ho deciso di riferire questa particolare esperienza.

84
toccare la dimensione psicologica che lega insieme tutti gli esseri umani: il
vasto oceano dell'Inconscio Collettivo. Non è un concetto poetico ma un reale
ampliamento della sfera della propria consapevolezza. Questo spiega il suo
tratto "borderline" e la sostanziale difficoltà nel descriverlo.
Credo che le scoperte di Jung siano preziose per la comprensione del
percorso mistico – forse più di qualsiasi altro concetto formulato durante il
20° secolo. Sebbene egli sia stato prudente nelle sue affermazioni, la
comunità scientifica non gli perdonò di essersi occupato di questioni che non
erano considerate parte della psichiatria - l'alchimia, che sembrava
un'assurdità, il mondo dei miti, che erano considerati un'immaginazione priva
di significato e, più d’ogni altra cosa, il gran valore che lui attribuiva alla
dimensione religiosa che considerava qualche cosa d’universale,
fondamentalmente sano e non, come altri avrebbero preferito, una patologia.
Al giorno d’oggi rimane l’entusiasmo per i suoi scritti, specialmente fra
coloro che si occupano di argomenti spirituali o esoterici. Jung introdusse una
terminologia che permette di sondare un aspetto del percorso mistico che
altrimenti rischierebbe di essere totalmente estraneo non solo alla nostra
capacità di espressione ma anche alla nostra comprensione.
Nella letteratura esoterica c'è il vasto capitolo dei miracoli e dei Siddhi
(poteri), ovvero delle leggi sottili che operano nella vita di un mistico. Coloro
che scrivono libri sullo Yoga non sanno resistere alla tentazione di copiare
alcune linee dagli Yoga Sutra di Patanjali. Un classico è trovare il ridicolo
avvertimento del pericolo che viene dall'abuso del Siddhi. Citando Patanjali
(IV:1), raccontano che i Siddhi sono i poteri spirituali (abilità psichiche) che
possono avvenire grazie a rigide austerità; spiegano che esse variano da forme
relativamente semplici di chiaroveggenza, telepatia, ad essere capaci di
levitare, ad essere presente in vari luoghi contemporaneamente, di divenire
piccoli come un atomo, di materializzare oggetti e chi più ne ha più ne metta.
E quindi raccomandano ai loro lettori di non indulgere mai in questi poteri
poiché «sono un grande ostacolo al progresso spirituale». Indulgere: che bel
termine! Avete mai visto una persona che pratica alcune forme di Pranayama
e poi indulge nella bilocazione?
Probabilmente non pensano a quello che scrivono poiché si lasciano sedurre
dal sogno di possedere tali poteri ... forse già immaginano tutto il chiasso che
ne verrebbe: interviste, prendere parte a vari talk show ecc.
Jung pose una base razionale per lo studio di questo soggetto in La
sincronicità (1980 Boringhieri). Tanto più consideriamo intelligente,
affascinante e stimolante il suo pensiero, tanto più vuote ci appaiono le
quattro fesserie che troviamo nei libri di Yoga quando affrontano l'argomento
dei Siddhi. Il nostro corpo rimane ancora un mistero. Guidare l'energia e

85
quindi la coscienza in esso ha effetti che noi non possiamo neanche
immaginare.

Incontro con l'Alchimia Interiore

A quel punto della mia ricerca, un amico mi diede una fotocopia di un


libro sull'Alchimia Interiore - la filosofia alla base del Taoismo. 19
Quando lessi la descrizione della procedura di base (Orbita microcosmica) di
questa antica disciplina, vidi che era molto simile al Kriya Pranayama. Le
varie metafore usate per spiegare il suo meccanismo (la zampogna capovolta,
il flauto senza fori...) mi riportarono alla mente con sorprendente analogia
alcune strane spiegazioni relative al Pranayama e al Kriya in generale, che
ricevetti un tempo da una fonte eminente. La descrizione della seconda fase
dell'Alchimia Interiore (dopo un certo numero di rotazione dell'Orbita
Microcosmica, l'energia accumulata nel cervello era guidata dalla testa in giù
nel Dan Tien) esemplificava palesemente il principio del Navi Kriya.
Ero disorientato: ciò significava che il Kriya Yoga non esisteva come
tradizione indipendente ma era l'Alchimia Interiore insegnata entro un
contesto indiano con palese uso sia di tecniche puramente indiane sia di
procedure (come il Navi Kriya) che erano indiane solo all'apparenza.
Il Kriya Yoga risultava essere una disciplina che può essere descritta
attraverso i simboli di due culture diverse ma era decisamente diverso dallo
Yoga classico, Hatha Yoga o Kundalini Yoga tantrico.
Pensai che non fosse un'idea bizzarra che il mitico Babaji fosse/sia uno degli
"immortali" della tradizione taoista. Comunque, la mia attenzione era stata
notevolmente stimolata e mi imbarcai in uno studio più accurato. Consapevole
che il libro ricevuto valeva la pena di essere studiato con grande attenzione,
ne ritagliai vari paragrafi (stavo maneggiando delle fotocopie e non avrei mai
fatto qualcosa di simile ad un libro), li misi in ordine secondo un'ideale
sequenza logica di esposizione e li incollai su quattro fogli di carta che
riassumevano rispettivamente le quattro fasi dell'Alchimia Interiore. Su un
foglio diverso sistemai un Glossario rudimentale, limitato alle definizioni
essenziali. Acquistai il libro per godermi il fatto di leggere tutto di nuovo,
sottolineando i passaggi essenziali. In seguito studiai ogni titolo che potevo
trovare sul soggetto (Taoismo incluso). La mia risposta entusiasta derivò dalla
intuizione che Kriya Yoga e Alchimia Interiore condividevano un fondamento
comune e studiando quest'ultima avrei potuto comprendere più chiaramente il
funzionamento di qualche tecnica Kriya.
Ebbi lunghi discorsi appassionati con persone che avevano studiato e

19
Lu Kuan Yü. Lo Yoga del Tao. Mediterranee.

86
seguivano quel percorso da decadi. Fu di grande aiuto leggere degli articoli e
saggi scritti da Michael Winn. Questo ricercatore studiò il Kundalini Yoga
negli anni '70 e poi il Kriya Yoga con un rinomato insegnante. Osservò che
mentre attraverso il Kundalini Yoga uno sta semplicemente cercando di salire
fino alla corona della testa per sperimentarvi l'estasi divina, nella Alchimia
Interiore uno utilizza quello stato per raggiungere il corpo, nutrirlo e
trasformarlo. Notò che sebbene il Kriya Yoga abbia molti parallelismi con
l'Alchimia Interiore, rimane sostanzialmente un sentiero di "fuoco", un
sentiero di "ascesa." Ma ogni movimento energetico verso l'alto deve essere
bilanciato da un movimento discendente, fino a quando uno si stabilisce nel
quieto punto di non movimento. Nel nostro corpo questo punto è il Dan Tien,
la via d'accesso per raggiungere lo stato prenatale di beata assenza di respiro.
Michael Winn si dedicò completamente all'Alchimia Interiore e al Qigong
(Chi Kung). Secondo lui nessuna tradizione rispetta l'intero mistero della
natura umana come l'Alchimia Interiore. Uno che vuole seguire il percorso
spirituale potrebbe evitare un'ampia serie di problemi ascoltando la saggezza
pratica che essa incarna.
Si prese l'impegno vincolante di insegnare solamente ciò che proveniva dalla
sua diretta esperienza personale. Secondo lui, gli insegnamenti orali o scritti
possono divenire trappole: solamente l'esperienza vivente promuove la vera
auto-indagine che conduce alla Auto-realizzazione.
Uno dovrebbe prendere in considerazione gli insegnamenti ricevuti dalla
tradizione, provarli con molto rispetto e prendere anche il coraggio di
risolvere da solo i problemi che potrebbero sorgere. Riferisce che, nei molti
anni della sua propria pratica, cercò sempre di muoversi verso la semplicità;
ha fiducia che qualcuno prenderà in considerazione le sue versioni migliorate
e le migliorerà ulteriormente.
Fra le informazioni molto interessanti che trovai nei suoi scritti, fui
sorpreso nell'apprendere che il problema fastidioso della segretezza
concerneva anche l'Alchimia Interiore. Come vuole la prassi si diceva che la
segretezza era intesa per proteggere la purezza del lignaggio e prevenire la
corruzione da parte di persone egoiste che potrebbero abusare del potere
spirituale ottenuto...
L'autore afferma che questi sono pretesti, non sinceri e su cui non si riflette
abbastanza. In realtà un taoista gli disse: «Non sappiamo perché gli antichi
tenessero la loro conoscenza così segreta. Noi non facciamo altro che
imitarli». La nobile posizione definitiva di Michael Winn è che se uno si sente
spiritualmente attirato a qualche particolare insegnamento e si sente degno di
riceverlo, allora ha il diritto di impararlo senza mettersi prono ai piedi di
alcuno. A nessun essere umano dovrebbe essere negata l'opportunità di
raggiungere la vera indipendenza spirituale!

87
CAPITOLO I/07 FINE DI UN'EPOCA

Gli studi di cui ho riferito nel capitolo precedente contribuirono a


spingermi a fare i conti con i miti di Guru e di segretezza. Ma procediamo per
ordine e cominciamo col completare il racconto le vicissitudini col secondo
maestro. Quel conflitto mi portò a sognare e poi a realizzare questo libro sul
Kriya.

Quando il mio secondo insegnante mi chiese di insegnare il Kriya a quelle


persone che si dimostravano interessate, fui felice di quella opportunità poiché
potevo finalmente spiegare ogni cosa in modo esaustivo. Volevo che nessuno
provasse il dolore di vedere una domanda legittima rimanere senza risposta.
Dopo alcuni mesi, avevo l’impressione che ogni cosa stesse procedendo nel
modo migliore: circa una dozzina di persone avevano ricevuto il Kriya senza
alcun problema. Tutt'a un tratto la situazione sembrò precipitare.
Questo avvenne quando, alcuni mesi prima della sua visita nel nostro gruppo,
onde preparare un bell'evento, gli scrissi una lettera chiedendogli se fosse
possibile, al termine del suo seminario di iniziazione al Kriya, controllare la
comprensione degli studenti attraverso una pratica di gruppo guidata. Questo
naturalmente non era mai avvenuto e, infatti, le persone ritornavano a casa
dopo l'iniziazione con vari dubbi.
La sua reazione fu inspiegabile: come risposta, mi eliminò immediatamente
dall'elenco dei suoi discepoli e comunicò la sua decisione ad uno stretto
collaboratore ma non a me. Probabilmente la mia avventura con
quest’insegnante sarebbe finita lì - e sarebbe stata la cosa migliore - se quel
collaboratore mi avesse informato della situazione. Del tutto inconsapevole
dell'accaduto, quando gli diedi il benvenuto al suo arrivo in Europa, lui mi
abbracciò come se nulla fosse accaduto. Probabilmente interpretò la mia
presenza come una mossa di ritorno sui miei passi.
Quando, tempo dopo, venni a sapere quello che era accaduto rimasi
frastornato. Per il bene della pace del gruppo decisi di non reagire ma
deliberatamente cominciai a controllare il mio atteggiamento e non gli proposi
più nulla.
Per parlare poi della rottura definitiva dei nostri rapporti è necessario
ritornare sulla superficialità con cui spiegava la tecnica del Thokar.
Avvenne che da un anno all’altro spiegò una tecnica molto importante in
modo visibilmente diverso. Cambiò la procedura dei movimenti di una forma
particolare di Thokar. Quando uno tra i presenti chiese chiarimenti sul
cambiamento, fece finta di non comprendere, poi sostenne che non aveva
cambiato nulla, che probabilmente, in passato, c'era stato un problema di

88
traduzione. Ero io che allora avevo fatto la traduzione. Seppi trattenermi e non
protestai: la sua bugia era fin troppo evidente. I miei amici si ricordavano
bene i suoi movimenti della testa avendoli visti con i loro occhi ed erano
effettivamente diversi. Pur passando settimane con lui non fu possibile trovare
cinque minuti per discutere tale dettaglio tecnico.
Considerando altri cambiamenti, avevo l'impressione di essere il collaboratore
di un archeologo che intenzionalmente altera alcuni reperti per presentarli al
pubblico all’interno del suo abituale quadro di riferimento teorico. Vidi che
tante cose non andavano per niente bene. Il mio inconscio faceva sentire la
sua voce: ancora è vivo nella mia memoria un sogno nel quale nuotavo nel
letame.
Sentivo che quest’uomo, cui cercavo di soddisfare ogni pur piccolo capriccio,
donandomi in ciò totalmente come se stessi compiendo un atto sacro, non
amava il Kriya; se ne serviva invece soltanto per condurre qui in occidente un
vita molto più bella rispetto alla vita grama in India quale spesso mi
descriveva.
Collaboravo a programmare i suoi viaggi in modo che egli potesse diffondere
il Kriya nel suo modo affrettato e superficiale: dietro alla mia maschera di
finta delizia, la mia anima conosceva un’agonia di aridità. C'erano momenti
nei quali, pensando ai miei semplici inizi con lo Yoga, il mio cuore distillava
una nostalgia indefinita per tale periodo che non aspettava altro che coerenza
e integrità da parte mia per sorgere di nuovo e fiorire pienamente.
Passò un altro anno. Come risposta alla richiesta di alcuni amici all’estero,
andai nel loro gruppo ad insegnare il Kriya Yoga, sempre per conto del mio
insegnante. In quel gruppo incontrai uno studente molto serio che conosceva
bene i modi del mio insegnante e che partecipava alla iniziazione solo come
occasione di ripasso. Mi pose delle domande molto pertinenti e trovò sempre
precise risposte. Il problema fu proprio quello: «Da chi hai appreso tutti questi
particolari?» mi chiese.
Egli sapeva bene che il mio insegnante era un disastro totale da un punto di
vista didattico. Percepiva che avevo appreso molti dettagli da altre fonti.
Come potevo allora dare l’iniziazione al Kriya usando una conoscenza che
non proveniva dal mio insegnante?
Poteva comprendere il mio imbarazzo ma era perplesso che, proprio per il
fatto che questi mi aveva autorizzato ad insegnare il Kriya, non avessi mai
avuto l’occasione di parlargli apertamente di dettagli tecnici!
Era logico, anzi per me doveroso, risolvere la questione e il più presto
possibile. Conoscendo però il temperamento irascibile del mio insegnante,
esitai molto, ma non c'era alternativa.
Tramite un amico gli spedii un fax dove menzionavo il problema in oggetto e
lo pregavo di predisporre il suo tempo in modo che ne potessimo discutere

89
dopo il suo arrivo nel mio gruppo durante il suo prossimo giro. Lui si trovava
in Australia ma al massimo entro una settimana avrei avuto la risposta.

Durante uno di quei giorni cruciali, feci una gita presso le montagne
vicine per sciare. Durante il viaggio ero assorto nei miei pensieri. Il mio
inconscio era pronto al cataclisma, in anticipazione di un evento che
intuitivamente sapevo che sarebbe avvenuto. Molto probabilmente il mio
insegnante si sarebbe molto arrabbiato e avrebbe dato in escandescenze. Se
l’intera situazione mi fosse sfuggita di mano e, come risultato della nostra
rottura, non fosse venuto più nel nostro gruppo, coloro che gli volevano bene
ne avrebbero sofferto; pochi avrebbero potuto comprendere le ragioni del mio
agire. Sarei stato colui che aveva disturbato un situazione non perfetta ma
comunque confortevole. Lui piaceva infatti ai miei amici; il fatto che ogni
anno visitasse il nostro gruppo era molto stimolante; si preparavano a quelle
occasioni con una pratica intensa del Kriya. Ognuno apprezzava la sua
concezione di vita che non era molto lontana dal pensiero di Krishnamurti20

Era un bel giorno per sciare. Durante una pausa mi fermai a guardare le
montagne lontane che delimitavano, in tutte le direzioni, l'orizzonte. In meno
di mezz'ora il sole le avrebbe dipinte di rosa, di più quelle ad oriente, di un
rosa che sfumava nel blu quelle ad occidente. Immaginai che l’India fosse là
dietro, che l’Himalaya fosse il prolungamento di quelle montagne. Il mio
pensiero andò a tutti gli appassionati di Kriya che, come me, trovavano degli
ostacoli insuperabili nella comprensione della loro amata disciplina. 21
Per la prima volta osai contemplare un'immagine che indugiava da molto
tempo tra i miei pensieri: un libro sul Kriya dove ogni tecnica fosse spiegata
nei dettagli. Tante volte mi ero chiesto cosa sarebbe successo se Lahiri
Mahasaya o uno dei suoi discepoli lo avesse scritto!
La mia immaginazione era arrivata a visualizzare il colore della copertina, a
dare uno sguardo alle sue scarse pagine – un libro sobrio ma molto ricco in
contenuto. Se questo libro esistesse, avremmo avuto un affidabile manuale di
Kriya che avrebbe limitato le tante piccole o grandi varianti inventate da
diversi maestri. Forse alcuni commentatori avrebbero tentato di "forzarne" il
significato per adattarlo alle loro teorie. Anzi, sono certo che qualche pseudo-
20
Fino ad oggi ho continuato a leggere alcune opere di Krishnamurti (come La sola
rivoluzione) che trasmettono una impareggiabile visione dei tratti distintivi della
autentica mente spirituale.
21
Mi riferisco a quei ricercatori che avevano appreso i rudimenti del Primo Kriya e
qualcosa dei Kriya superiori da un'organizzazione o da un insegnante itinerante in
occidente. Non mi riferisco a coloro che hanno avuto la fortuna di incontrare un vero
Maestro.

90
guru avrebbe suggerito che le tecniche incluse erano intese per i principianti,
che c’erano tecniche più "evolute", che solamente le persone "autorizzate"
potevano comunicare. Alcuni avrebbero abboccato, preso contatto con
l'autore, pagato cifre enormi per ricevere tecniche che, o con la fantasia o
prendendole da qualche libro esoterico, questi aveva escogitato. Queste son
cose che accadono, questa è la natura umana. Ma i veri ricercatori sarebbero
sicuramente stati capaci di riconoscere la forza, l'intrinseca evidenza
autosufficiente del testo originale senza commento.
Il problema consisteva nel fatto che il mio era solo un sogno! Lasciai che i
pensieri vagassero su cosa sarebbe successo se io stesso lo avessi scritto.
Era difficile, pur tuttavia possibile, sintetizzare la totalità di quello che
conoscevo del Kriya in un libro, armonizzare teoria e tecniche in una visione
pulita, razionale. Di sicuro l’intenzione non era quella di celebrare me stesso o
porre le fondamenta di una nuova scuola di Kriya. Se avessi accennato alle
mie esperienze, questo sarebbe stato solamente per essere più chiaro nelle
spiegazioni teoriche e tecniche.
Non più retoriche affermazioni di legittimazione, non più frasi enigmatiche
per far intuire qualche particolare tecnico, creando però più dubbi di prima!
Che bello era sognare un libro che provasse la sua validità incarnando il
pensiero di Lahiri Mahasaya nel modo più semplice e logico, in un insieme
completo, armonioso di tecniche!
Il modello avrebbe potuto essere il libro di Theos Bernard Hatha Yoga
resoconto di un’esperienza personale [1943]. 22
Di certo, molti insegnanti di Kriya - quelli che vivono per mezzo delle
donazioni ricevute durante le iniziazioni e, grazie al vincolo della segretezza,
esercitano il loro potere sulle persone - avrebbero considerato il libro una
minaccia al loro lavoro. Forse quello che sembrava virtualmente eterno per
alcuni - vivere come dei pascià, circondati da persone pronte a soddisfare tutti
i loro capricci nella speranza di ricevere le briciole di ipotetici "segreti" -
avrebbe potuto cambiare, e lo avrebbero temuto come la peggior peste. Essi
avrebbero tentato di distruggerne l’affidabilità con una censura impietosa. Già
sentivo il loro commenti sprezzanti mentre lo sfogliavano velocemente:
«Contiene solo fantasie che nulla hanno a che vedere con l'insegnamento di
Babaji e Lahiri Mahasaya. Diffonde un insegnamento falso!»

22
Questo straordinario manuale riesce più che altri a chiarificare gli insegnamenti
contenuti nei tre testi fondamentali del tantrismo: Hatha Yoga Pradipika, Gheranda
Samhita e Shiva Samhita. Nonostante gli anni trascorsi dalla sua pubblicazione ed i
numerosi testi di Hatha Yoga apparsi recentemente, tale libro rimane ancora uno dei
migliori. Delle tecniche polverose divennero attuali più che mai, fattibili, chiare davanti
agli occhi dell'intuizione. Ecco perché pensai che un lavoro analogo sul Kriya sarebbe
stato per molti studenti e ricercatori una vera "manna dal cielo".

91
Ma un testo simile non poteva essere una minaccia alla attività di nessun
onesto insegnante, soprattutto se questi avesse accettato di comunicare le
varie parti del Kriya, gradualmente, con la delicatezza e la cura richiese dalla
materia, senza tenere alcuna cosa per sé per qualsivoglia motivo, onesto o
disonesto.
Buoni insegnanti sono e saranno sempre richiesti, in qualsiasi campo, quando
si tratta di trasmettere una particolare abilità.
Ma come riassicurarli senza collidere con i condizionamenti radicati nella loro
stessa "chimica cerebrale"?
Altre persone per ragioni diverse potrebbero non gradire il libro, sia perché
sono sconcertati dalla sobrietà di una esposizione priva di fronzoli, che urta
le loro convinzioni, sia perché la loro affinata sensibilità non riesce a
percepire quella vibrazione che dovrebbe caratterizzare la genuinità
dell'esperienza dell'autore.
Solo quelli che amano il Kriya più dei loro capricci avrebbero provato un
immenso sollievo a scoprirlo in un libreria esoterica. Io già vivevo nella loro
felicità. Grazie a loro, il libro avrebbe continuato a circolare, e chissà quante
volte sarebbe ritornato davanti agli occhi di quegli insegnanti che ne aveva
decretato la condanna. Talvolta questi avrebbero dovuto far finta di non
vedere che, durante i loro seminari, alcuni se lo stavano passando,
sfogliandolo, perdendo con ciò parte della conferenza…
Ciascuna parte di questo sogno si sviluppò nello spazio di alcuni secondi,
invase la mia coscienza come un torrente in piena, come se ogni parte di esso
fosse già stata provata ed accarezzata infinite volte.
Ma come avrei potuto trovare il coraggio di violare il dogma delle segretezza
per ciò che concerne le tecniche Kriya, sfidando rudemente la sacralità del
rapporto Guru-discepolo come l'unico modo per ricevere istruzione in esso?
Anche se i Guru conosciuti finora (non mi riferisco a figure storiche che non
ho conosciuto personalmente) non avevano nulla di sacro, il Kriya era sacro.
Esso doveva essere ricevuto da persone "autorizzate" e non da libri: questo
mi era stato ripetuto mille volte.
Ero radicalmente convinto che non potevo scriverlo, tuttavia guardandomi
attorno e osservando il cielo blu sopra l'orlo dorato delle montagne che
stavano assumendo sfumature rosa tutto pareva dirmi che il libro era già
scritto in qualche angolo del mio cuore!

Col pensiero del libro che premeva entro me, riflettei molto sulla
situazione della diffusione del Kriya. Era molto difficile per me porre tutti i
punti critici in un ordine logico. Vari condizionamenti, dogmi incisi nel mio
cervello, agivano come entità che avevano una vita propria. Ogni volta che
cercavo di pensare in logica sequenza si metteva in moto un meccanismo

92
automatico che si prendeva cura di organizzare la mia visione in un tutto ben
integrato e coerente: ma questo, per una ragione o per l'altra, mi appariva
come una mostruosità.

Riflessione sul concetto di Guru

È bene ricordare che il grande Lahiri Mahasaya rifiutò di essere adorato


come un Dio. Questo è un fatto che alcuni tra i Suoi seguaci sembrano aver
dimenticato. Egli disse: «Io non sono il Guru, io non mantengo una barriera
tra il vero Guru (il Divino) ed il discepolo». Aggiunse che voleva essere
considerato a guisa di «uno specchio». Quando il kriyaban comprende che
Lahiri Mahasaya è la personificazione di quello che un giorno lui stesso
diventerà, allora quello specchio deve essere «gettato via». Sì, piaccia o non
piaccia, dice proprio così: gettato via.
Le persone che sono state allevate in un’organizzazione di Kriya non possono
capire appieno l'impatto di queste parole; se lo capissero troverebbero una
forte contraddizione con tutto quello che è stato loro insegnato. Per capirle ci
vuole il coraggio di abbandonare le proprie illusioni, quelle che fanno
comodo, nonché un buon cervello.

Organizzazioni a parte, molti pensano che il Kriya debba essere ricevuto


da un Guru «perché solo il Guru sa quello di cui tu hai veramente bisogno!»
Questo può accadere senza alcun ombra di dubbio in qualche rarissimo
rapporto, ma di solito un Kriya Acharya da le stesse istruzioni a tutti e
preferisce non ascoltare domande molto intime e personali, alle quali
risponde: «quella è la tua vita!» oppure «quelle sono faccende che devi
risolvere con la tua intuizione».
Purtroppo quei kriyaban che potrebbero essere definiti Maestri Kriya onesti
e competenti stanno fissi in India e non viaggiano. Mi è stato detto che molti
conoscono la condizione critica della diffusione del Kriya in occidente.
Loro non apprezzano il fatto che, pur di apprendere qualche briciola di Kriya,
noi andiamo ad ascoltare personaggi che loro giudicano ciarlatani. Pensano
che siamo irrimediabilmente stupidi, ma invece di venirci incontro e dare ad
alcuni dei loro studenti il permesso di correggere la nostra esecuzione del
Kriya, accecati dai dogmi, chiusi nelle loro torri d'avorio, agiscono contro il
buon senso e chiedono ancor più segretezza ai loro pochi discepoli
occidentali.

Un amico col quale avevo condiviso ogni cosa del percorso spirituale, che mi aveva
accompagnato in tutte le vicissitudini relative ad entrambi gli insegnanti precedenti
e sofferto sulla sua pelle per gli stessi motivi, fece una lunga vacanza in India e fece

93
una visita proprio a un insegnante che io stimavo molto, anche se non avevo mai
avuto l’occasione di conoscere.
L’amico spiegò al Maestro la deplorevole situazione della diffusione del Kriya qui
in occidente e in particolare le vicissitudini del nostro gruppo; questi si dimostrò
addolorato e disse di essere disposto ad aiutarci. L’amico si fece controllare il
Pranayama. Quando ritornò in Italia lo incontrai: era molto felice e mi chiese di
praticare il Pranayama davanti a lui. Affermò che riscontrava un errore nella mia
pratica. Gli chiesi di cosa si trattasse, la sua risposta mi gelò: disse, infatti, che non
poteva dirlo perché aveva promesso solennemente all’insegnante di non rivelare
nulla. 23
Precisò che aveva chiesto all’insegnante il permesso di correggere eventuali nostri
errori: la risposta era stata negativa anzi il maestro aveva preteso un vero e proprio
giuramento di non rivelare nulla. Quest’insegnante - che aveva manifestato
l’intenzione di aiutarci - aveva forse paura che, una volta chiarito l’errore, non ci
saremmo più recato da lui? Era veramente così meschino e scortese?
Non pretendevo certo che il mio amico mi raccontasse per filo e per segno tutte le
cose che si erano dette lui e l’insegnante; non potevo e non volevo entrare
nell’intimità di quell’esperienza, ma come poteva lasciarci continuare con quello
che lui riteneva un errore? Trovai questo fatto allucinante. Reagii molto male,
troncai ogni discussione e me ne andai via. L’unico risultato pratico fu la rottura del
rapporto con quell’amico.

I "saggi" maestri indiani non hanno "rappresentanti" in occidente ed i loro


studenti non hanno il permesso di insegnare nulla. Ora è impensabile che ogni
anno una serie innumerevole di voli charter trasportino tutti gli interessati al
Kriya - non conta se vecchi o malati - presso un remoto villaggio indiano,
come un pellegrinaggio a Lourdes o a Fatima! Sfortunatamente la distanza tra
noi e loro è destinata a crescere.

Una sera, dopo una lunga passeggiata, spento da un'improvvisa stanchezza,


mi trascinai a casa. Logorato dai miei pensieri, il problema del rapporto
Guru-discepolo cominciò ad emergere oscuramente, più come una ferita che
come una teoria che dispiega i suoi miti. Regolai il lettore CD con la funzione
"repeat" sul secondo movimento del Concerto Imperatore di Beethoven...
Era mai successo che qualcuno, carico delle benedizioni del Guru ricevute dal
frequentare tutte le possibili cerimonie di iniziazione tenute da canali
legittimi, avesse mai praticato il Kriya con quella dignità e coraggio con cui
Beethoven aveva sfidato il suo destino?
Spensi la luce e contemplai il sole che scendeva in lontananza dietro gli alberi

23
Ripensando all’episodio compresi qual era questo particolare errato: non avevo fatto
un respiro visibilmente addominale. Son sicuro di questo perché era l’unica cosa che il
mio amico fu capace di vedere – non parlammo dei dettagli interiori della pratica.

94
in cima ad una collina. La silhouette di un cipresso eclissava in parte il grosso
disco del sole, rosso come il sangue. Quella era la bellezza eterna! Quella era
la norma a cui ispirarsi.
Mi sedetti un po’ assonnato; una strana immagine afferrò la mia attenzione:
quello della "investitura" di Vivekananda da parte del suo Guru Ramakrishna.
Avevo letto che un giorno, verso la fine della sua esistenza terrena,
Ramakrishna entrò in Samadhi mentre il suo discepolo Vivekananda (Naren)
gli era vicino. Quest’ultimo cominciò a sentire una forte corrente, poi perse
conoscenza. Quando ritornò in sé, il suo Guru, piangendo, gli sussurrò: «O
mio Naren, oggi ti ho dato tutto, ora sono divenuto un povero fachiro, non
possiedo nulla; con questo potere farai un immenso bene al mondo». In
seguito Ramakrishna spiegò che i poteri che aveva passato a Vivekananda non
potevano essere utilizzati dal suo discepolo per accelerare la propria
realizzazione spirituale - perché ognuno deve sostenere da solo tale fatica -
ma lo avrebbero aiutato nella sua missione futura quale insegnante spirituale.
Il mio inconscio si manifestò con quest’immagine come per ammonirmi a non
cedere alla tentazione di gettare via qualcosa di valido e prezioso. Ora, se
affermavo che Ramakrishna era il Guru di Vivekananda era chiaro che mi
riferivo ad un fatto autentico e di profondità insondabile.
Mi venne spontaneo rileggere l’indimenticabile, straordinario discorso di
Dostoevskij sul ruolo dei padri anziani - Starec - nei monasteri Russi (I
fratelli Karamazov).

«Ma allora che cos'è uno starec? Lo starec è colui che accoglie la vostra anima, la
vostra volontà nella propria anima, nella propria volontà. Quando scegliete uno
starec, voi rinunciate alla vostra volontà e gliela affidate in completa sottomissione,
con assoluta abnegazione. Questo tirocinio, questa terribile scuola di vita viene
accettata spontaneamente da colui che offre se stesso, nella speranza, al termine
della lunga prova, di sconfiggere il proprio essere e di dominarsi fino al punto di
conquistare infine, attraverso una vita di ubbidienza, la libertà assoluta, vale a dire la
libertà da se stesso, per evitare il destino di coloro che hanno vissuto tutta una vita
senza trovare dentro di sé se stessi.»

Le mie riflessioni arrivarono sino a quel punto e là si fermarono - per mesi.


Non ero ancora capace di vedere che il problema non stava nel concetto di
Guru – il quale meritava di essere esplorato appieno - ma nel fatto che
l'organizzazione mi aveva fatto credere che mi trovavo in una condizione
fortunata, che avevo un Guru - mentre infatti ero distante anni luce dall'averne
uno. Ero ipnotizzato e non riuscivo a vedere che la storia di Vivekananda e
l'estratto di Dostoevskij rappresentavano situazioni che erano intrinsecamente,
molto diverse dalla mia.
Ci volle tempo prima che la consapevolezza albeggiasse su di me che mentre i

95
grandi esempi di relazione Guru-discepolo erano basati su un vero incontro
fisico tra due persone, il mio rapporto era puramente ideale.
Non so come avevo anche accettato l'impudente supposizione che il Guru e
Dio fossero la stessa Realtà.
Un capo del più importante gruppo italiano della mia scuola mi aveva a suo
tempo istruito: «Non capisci che P.Y. è la Madre Divina Stessa»? Molti
kriyaban, i miei amici più cari davano questa identificazione per gratuita. Un
giorno, quando fui capace di smascherare questa alienazione, chiusi gli occhi
per vari minuti e tentai di avere un discernimento spassionato, impassibile
della situazione. Mi sembrò un'assurdità che vestiva i panni di un incubo -
sentii un'infinita ribellione.

Ebbene, chi è un Guru?


Consideriamo l’idea di una rete; ogni individuo è un nodo dal quale partono
diversi collegamenti, come quelli fra i neuroni del cervello. Quando il singolo
individuo fa una azione - intendo un movimento significativo, come
intraprendere il sentiero mistico e farvi buoni progressi – egli muove anche la
rete nelle immediate prossimità. Chi pratica seriamente non è mai isolato; egli
sarà aiutato dalla risposta positiva di altre persone e sarà rallentato dalla loro
indolenza e apatia. A mio avviso il rapporto Guru-discepolo trovava in questo
fenomeno la sua base. Un Maestro illuminato è capace di trascinare in avanti
l'evoluzione del discepolo, ovvero favorire il suo progresso spirituale,
attraverso un contatto reale con la dimensione inconscia dell'altra persona. È
capace di immergersi nell'oceano dell'Inconscio Collettivo e rintracciarvi
l'esile vibrazione che è l'ego del discepolo ed incrinarlo fino ad un certo
punto, infondendolo di luce, di vastità. Di solito i Kriya Acharya autorizzati
(coloro che ricevettero l'autorizzazione ufficiale di concedere l'iniziazione al
Kriya) non hanno neanche un'oncia di tale potere. Ramakrishna e
Vivekananda avevano due personalità diverse ma in profondità erano una sola
cosa.
Come il lettore sa, Jung affermò che c’è un livello più profondo
dell'Inconscio che è «ereditato con la nostra struttura cerebrale» e consiste dei
«modi umani tipici di risposta» alle situazioni più intense che possono
accadere nella vita: nascita di un bambino, matrimonio, morte di una persona
amata, malattia seria, crisi familiare, amore vero, calamità naturali, terremoto,
inondazioni, guerra....
Noi esseri umani siamo legati l'un l'altro attraverso questo Inconscio
Collettivo. Se per Freud l’Inconscio era una parte della psiche simile ad un
deposito pieno di vecchie cose "rimosse" - rifiutate da un atto quasi
automatico della volontà - un ammasso che oggi non riusciamo più a
richiamare alla coscienza - questo Inconscio Collettivo lega insieme tutti gli

96
esseri umani attraverso gli strati più profondi della coscienza.
Chi afferma di aver ricevuto legittimamente il potere di iniziare, farebbe bene
a riflettere sul fatto che accettare un discepolo non si risolve nel darsi da fare
per spiegargli il Kriya, ma nel accettare lucidamente e coerentemente i futuri
grovigli o sofferenze che tale rapporto potrà comportare.
Coloro che ebbero la fortuna di essere attratti al percorso spirituale e guidati
lungo esso da un vero Guru, non dovrebbe sprecare tutto il loro tempo e
sforzo raccontando innumerabili aneddoti, storie miracolose riguardanti la vita
del loro Guru, la cui grazia liberò la loro vita dalla insignificanza.
È vero che alcune storie possono contribuire a creare fiducia, ispirare e
trasmettere utili lezioni, ma esagerando con esse, inutili miti ed aspettative
ingiustificate possono essere costruite. È perfettamente comprensibile che
anime generose vorrebbero estendere ad altri studenti le benedizioni ricevute.
Avviene anche che, possedendo un'umiltà assoluta, esitino nell'impartire
un'istruzione spirituale se questa si basa solo sulle proprie esperienze.
Ma il seme spirituale che il loro benefattore piantò nel loro essere può rifiorire
in altre anime solo passando attraverso il calore della loro imperfetta ma
sincera e compassionevole umanità.

L'inganno della segretezza

Dopo che mi fui liberato da tutti i Guru, fui invitato dalla locale università
della terza età a tenere lezioni sulla storia dei percorsi mistici. Dopo avere
completato il primo ciclo di lezioni, accettai di ripetere il corso negli anni
seguenti che in tutto divennero cinque.
Il percorso mistico fu considerato da diversi punti di vista e, durante gli ultimi
due anni, ci fu anche un'introduzione pratica ad alcune pratiche elementari
come il Japa, il Pranayama preso dallo Yoga classico...
Mi dilettai a preparare le lezioni studiando i migliori saggi e manuali che
potevo rintracciare. Mi riferisco a libri scritti da studiosi che non
appartenevano (o erano così intelligenti da nascondere la loro appartenenza)
ad alcuna particolare scuola mistica e manifestavano un atteggiamento
distaccato verso l'intera materia. Questo fu un periodo molto sereno della mia
vita: ero molto appagato dall'avere il tempo e l'opportunità di occuparmi di
tali studi.
Apprezzai quei testi che sapevano cogliere l'essenza dei movimenti religiosi,
specialmente di quelli fioriti liberamente attorno alle grandi religioni.
L'impatto di certe letture, la vivezza di certe testimonianze biografiche, hanno
l'effetto di spazzare via le nostre fissazioni nate da forti condizionamenti,
lasciati entrare in tutta innocenza nelle nostre vite attraverso la porta della
devozione.

97
Tali studi contribuirono a lenire il mio cruccio ricorrente di aver violato la
"sacra" regola di mantenere la segretezza sulle tecniche Kriya. Quante volte
mi son detto: «Tale regola non è sacra, è umana, è la causa di disastrosi
effetti, di strazianti conflitti e sofferenze». Ciononostante continuavo a sentire
una stretta dolorosa nel petto accompagnato da un senso generale di disagio
ed irrealtà. Tra tutti i miei ragionamenti, questo solo mi aiutò, quasi
istantaneamente, a sentirmi sollevato e riconquistare sicurezza: il Kriya è una
raccolta di mezzi di introspezione che, pur essendo perfettamente integrati,
derivano da tradizioni diverse. Non è possibile, non è corretto dire che essi
appartengono ad una organizzazione o ad un maestro: nessuno può avanzare
pretese di proprietà esclusiva.

A sentire l'organizzazione da cui avevo appreso i primi rudimenti del


Kriya, la segretezza serviva «per mantenere gli insegnamenti puri»: l'evento
paradossale era che questa organizzazione fu la prima a saltar fuori con
notevoli alterazioni nella pratica del Kriya! Forse avrebbe fatto meglio a dire:
«per mantener pure le alterazioni!»
«Le tecniche sono efficaci solo se sono ottenute da Ministri autorizzati»,
ripeteva l'organizzazione. Talvolta vidi l'esatto opposto.
Colui che era stato iniziato in modo solenne le praticava con l’illusione di
essere sottilmente e automaticamente aiutato da un Guru, mentre l’umile
autodidatta ci metteva tutta la prudenza e la creatività possibile, essendo
sempre nel dubbio che sul libro da cui le aveva apprese o nelle parole
dell’amico che gliel’aveva rivelate non fossero contenute tutte le istruzioni
necessarie.
La richiesta pressante, ossessiva di segretezza con la minaccia di eventuali
sciagure che capiterebbero a chi la viola, stona palesemente con tutto quello
che leggiamo nelle biografie dei santi; s'addice perfettamente invece con la
dimensione esoterico magica di certe società – anzi è indispensabile alla loro
esistenza. Le organizzazioni di Kriya hanno bisogno della segretezza per non
divenire modeste istituzioni dedicate alla pubblicazione delle opere del
Maestro. Il mito della segretezza permette di tenere in vita il mito della
divinità del loro Guru (il concetto di Avatar – incarnazione divina). Se non ci
fosse la segretezza, il Guru sarebbe di tutti, sarebbe inevitabilmente più
"umano", un personaggio di grande rispetto ma non certo un Dio in forma
umana. In questa situazione non potrebbero portare avanti quella sottile opera
di persuasione per cui alla fine il Guru si identifica con Dio e l’organizzazione
diviene la materializzazione della Sua volontà. Solo in quest'ultima ipotesi
possono affermare che un kriyaban non può arrivare a Dio se non attraverso
quel Guru e quella organizzazione.

98
La fine di un incubo

La risposta da parte del mio insegnante arrivò pochi giorni dopo. In


tono sprezzante non si indirizzò direttamente a me ma finse di rispondere alla
persona che materialmente gli aveva spedito il fax.
Scrisse che il mio eccessivo attaccamento alle tecniche non mi avrebbe mai
permesso di uscire fuori dai recinti della mia mente - ero come San Tommaso,
troppo desideroso di toccare con mano e verificare la bontà dei suoi
insegnamenti. Aggiunse che avrebbe soddisfatto la mia richiesta ma solo per
gratificare il mio ego.
Leggendo il termine "gratificazione" vidi che non aveva capito nulla.
Avremmo dovuto parlarci, parlarci tanto tempo prima! Mi chiesi perché non
mi aveva mai lasciato esprimermi. Non volevo contestarlo, non volevo
distruggerlo, la necessità che mi portò a scrivergli fu per stabilire una volta
per sempre cosa avrei dovuto dire e cosa non dire ai kriyaban durante
l'iniziazione. Perché mi era sempre sfuggito?24
Decisi di comportarmi limpidamente come se non avessi afferrato il suo tono:
volevo proprio vedere cosa avrebbe fatto. Non chiesi scusa e nemmeno risposi
in tono risentito. Risposi che un incontro per parlare sulle tecniche Kriya era
necessario in quanto io insegnavo il Kriya a nome suo. Aggiunsi che a tale
evento avrebbero potuto prendere parte anche le altre tre persone in Europa
similmente autorizzate da lui. Gli feci dunque capire che non avrebbe sprecato
il suo tempo e fiato solo per me.

Non ebbi, né allora né mai più, alcuna risposta. Settimane dopo mi fecero
notare che sul suo sito Internet, il piano della sua visita in Italia era stato
cambiato e il nome del mio paese non figurava più: la mia seconda lettera
aveva compiuto la rottura definitiva. L’incubo era finito! Mi presi una
giornata di vacanza e feci una lunga passeggiata; camminai molto,
nervosamente, immaginando un ipotetico discorrere con lui. A un certo punto
mi ritrovai a piangere di gioia: era troppo bello, ero libero, ero stato sei anni
con lui, ed ora era veramente finita!
Tale rottura fu percepita con sconcerto dai miei amici. Come un effetto
domino, alcuni coordinatori appartenenti ad altri gruppi qui in Europa, che da
24
Un giorno, durante un periodo di tre settimane passate con lui, eravamo soli e lui
stava cercando qualcosa in una stanza: trovai il coraggio di rivolgergli una domanda
tecnica sul Kriya – era una domanda delicata su un argomento che contrapponeva una
scuola di Kriya contro un’altra. Si volse improvvisamente verso di me con gli occhi
iniettati di un tale odio che sembrava sul punto di ammazzarmi, mi urlò di praticare
come mi piaceva, che tanto non era affare suo. Questo, credo, fu l’unico discorso
tecnico che ebbi con lui nel giro di alcuni anni.

99
tanto tempo mal tolleravano i suoi modi, colsero l’occasione per tagliare
definitivamente i legami con lui. Sentivano che il tempo era ormai maturo per
arrivare a tale liberazione.
Il periodo seguente fu gradevole anche se non così euforico come
prevedevo: il senso di tutto il tempo buttato via, di tutte le cose sciocche che
erano state portate avanti senza pensare, mi opprimeva.
Non avevo la più pallida idea di cosa sarebbe divenuto il nostro gruppo senza
un insegnante che fosse venuto a visitarci in futuro.
Poche settimane dopo sembrò che la ruota della buona sorte riprendesse a
girare; c'era la possibilità di invitare un nuovo insegnante nel nostro gruppo.
Poiché si trattava di una persona stimata, accettai la proposta di sostenere le
spese per il suo viaggio.
Alcuni giorni più tardi quando fui contattato dalla sua segretaria, lei trattò il
lato finanziario del viaggio con una scioccante rozzezza, aggiungendo delle
condizioni inaccettabili. Ero veramente nauseato della intera situazione; ne
avevo abbastanza di comportarmi come un accondiscendente discepolo che
tutto accetta onde ricevere una briciola in più di informazione sul Kriya.
Declinai l'offerta.

La prima stesura del libro

Gli anni che seguirono alla rottura dei rapporti col mio secondo e ultimo
insegnante furono del tutto diversi da quelli precedentemente descritti.
Avendolo mandato al diavolo, una situazione snervante aveva trovato la
parola fine. Non dovevo più andare di qua e di là per organizzare i seminari a
quel losco individuo. Non dovevo più indossare una maschera di ipocrisia
mentre rispondevo a quanti mi chiedevano informazioni su di lui. Mi sentivo
libero dentro. Vissi finalmente un periodo tranquillo nel quale sperimentai la
calma e il senso di appagamento che viene a coloro che dedicano tutti i propri
sforzi ad un unico scopo. Nel mio caso era il Kriya: praticarlo intensamente e
scrivere su di esso. Sapevo, senza dubbio, che la mia indole non mi avrebbe
permesso di impigrirmi, che i prossimi mesi dovevano segnare una nuova
nascita al percorso del Kriya: dovevo ritrovare l'entusiasmo iniziale.
Acquistai un computer e, da prigioniero volontario, ridussi al minimo la
vita sociale e intrapresi il lavoro di scrivere il libro. Il senso di questo libro
doveva essere solo quello di fornire informazioni sull'aspetto tecnico del
Kriya a quelli che, per le loro ragioni personali, le stanno cercando. Un
ricercatore avrebbe potuto trovarvi del materiale attraverso il quale poter
arricchire la sua ricerca.

Il tempo impiegato per completare il libro è stato fin troppo lungo. I miei

100
amici mi prendevano in giro e dicevano che non avrei mai posto la parola fine
all’impresa.
Una delle ragioni della mia lentezza nello scrivere fu non solo l'inesperienza,
ma anche il fatto che praticai molto Kriya, specialmente le routine ad
incremento progressivo preferibilmente all'aria aperta. Potei così dedicare una
più costante attenzione a quello che, anni prima, era stato affrontato in modo
superficiale. Riconosco che in passato, la forza trainante che mi spingeva a
completare al più presto possibile il numero di ripetizioni prescritte per
ciascun Kriya superiore fu anche l'ansietà di ottenere dal mio insegnante
l’iniziazione successiva. Il desiderio ardente di "spremere" qualunque cosa
potesse insegnarmi, era nutrito da uno strano timore: come se, per qualche
insondabile ragione, non avessi più potuto incontrarlo in futuro.
Le routine ad incremento progressivo rivelarono ben presto il loro grande
valore euristico. Il nucleo essenziale di ciascuna tecnica, privata di qualunque
abbellimento, apparve come qualcosa di fisso, definitivo, inevitabile, qualcosa
che non poteva essere altro che così. Se una certa variante di una tecnica
Kriya era superflua o inefficace, finiva necessariamente per auto eliminarsi.
Le routine ad incremento progressivo applicate a qualsivoglia tecnica, mi
aiutarono molto a sviluppare la qualità della discriminazione. Un criterio
fondamentale per giudicare essenziale una tecnica era che essa doveva
apparire come la più semplice logica realizzazione pratica delle parole di
Lahiri Mahasaya. Lasciai perdere alcune varianti ridondanti ed inefficaci;
questa fu la fine di un insieme di tecniche, che mi era stato presentato come il
Dhyana Kriya: il loro strumento base era il potere, portato all’esasperazione,
della visualizzazione.
Già eminenti scrittori avevano fatto notare come tali pratiche non potessero
avere diritto di cittadinanza nel Kriya di Lahiri; esse non avevano alcuna
somiglianza con altre tradizioni mistiche ma presentavano una forte, anzi
perfetta analogia con la tradizione esoterica o magica.25 Non avevano nulla a
che fare con la percezione Omkar o con lo stato di assenza di respiro.
Sperimentai in modo molto evidente la loro inutilità e pericolosità: fu un
sollievo ripulire per sempre la mia vita da tale ciarpame.
Cercai di estrarre dai miei consistenti fascicoli di appunti, raccolti in tanti anni
presso insegnanti diversi, l'essenziale. C'era l’impressione di trovarmi a
ricomporre un ampio puzzle, senza avere qualsiasi anteprima di quello che
sarebbe apparso alla fine. Non sapevo se il quadro finale prevedesse quattro,
sei o più livelli di Kriya. Invero, non ero del tutto sicuro se avessi compreso
che cosa fossero questi livelli. Inoltre, nel caso che solo quattro stadi
dovessero emergere come palesemente fondamentali, non sapevo se questi
25
Sappiamo che la visualizzazione è l'ingrediente principale - talvolta accompagnato
da una affermazione - di una innumerevole serie di metodi New Age.

101
dovessero essere posti in corrispondenza biunivoca col processo di sciogliere i
nodi interiori (lingua, ombelico, cuore, coccige).
Nella prima stesura, la descrizione dei Kriya Superiori fu data come una
catena di tecniche (undici), ciascuna che preparava idealmente la successiva.
Dopo vari ripensamenti, decisi di descrivere tutte le tecniche nello schema di
quattro Kriya (evitando di utilizzare nomi di fantasia come quinto, sesto
Kriya) e di considerare ogni altra valida tecnica Kriya come appartenente ad
uno dei quattro livelli.

Nella seconda parte del libro condivido tutto quello che conosco sulle
tecniche Kriya. Mi restano, in effetti, alcune varianti e diversi dettagli nei
blocchi di appunti stenografati, pronti ad essere aggiunti al libro ma solo nel
caso in cui ricevessi altre informazioni che andranno ad avvalorarli e, allo
stesso tempo, mostrarne l'intrinseco valore alla luce del pensiero di Lahiri
Mahasaya.
Nella presente fase della mia vita non sono più alla ricerca frenetica di
informazioni presso qualsiasi fonte anche se studio attentamente tutto quello
che mi capito tra le mani.
Rifletto profondamente sulle critiche che ricevo di quando in quando - che
non mi lasciano mai indifferente. Però, affermazioni drastiche come: «Il
famoso maestro X che è discepolo di Y che era discepolo diretto di Lahiri
Mahasaya ha affermato che parte delle tecniche che lei descrive sono una
invenzione» mi lasciano calmo e sereno.
Questo nasce dal fatto che ho toccato con mano il loro valore: esse sono
meravigliose e resteranno nella mia vita!

Perché nasce la terza parte del libro.

Dopo avere completato e messo in rete le prime due parti del libro, fui in
corrispondenza con diverse tipologie di ricercatori. Quasi tutti avevano già
sperimentato qualche forma di Kriya. Discutemmo liberamente di tecniche e
di routine. Condivisi anche il Kriya con persone che muovevano i primi passi.
Non trattiamo qui la ragione del loro interesse. Parlando con loro, quando
sentii che potevo fidarmi di loro, accettai di guidare i loro primi passi. Questo
avvenne sempre di persona. Alcuni erano particolarmente abili, con una
mente intelligente e sana. La responsabilità di scegliere un piano didattico era
mia. Per concepirlo, presi come punto di partenza le mie esperienze passate.

Mi ero interessato del problema su come insegnare il Kriya quando, per


conto del mio secondo maestro concedevo l'iniziazione al Kriya rispettando il
protocollo fisso che lui mi aveva intimato di seguire. Dopo avere presentato il

102
tema della non-mente, una sintesi dei temi fondamentali del pensiero di
Krishnamurti, che il mio insegnante chiamava impropriamente Swadhyaya,
richiamavo gli otto passi di Patanjali.
Talvolta la mia coscienza si ribellava all'idea di chiedere - come ero stato
richiesto di fare - ai miei studenti maschi di guardare le donne come "madri"
e, corrispondentemente, alle donne di guardare i maschi come "padri." Ero
consapevole dell'ovvia impossibilità di rispettare questo precetto. (Il mio
insegnante dava grande enfasi a ciò - ricordo come il pubblico ascoltava le sue
inutili parole con uno sospiro di malcelato fastidio.) Poi passavo alla
spiegazione delle tecniche di base. Mentre concludevo consigliando una
routine minima sentivo che avevo fatto un lavoro praticamente inutile.
Prendevo congedo da quei studenti, ben sapendo che avrebbero praticato per
dei giorni, o settimane, poi la maggior parte avrebbe abbandonato tutto per
inseguire altri interessi esoterici. Dopo alcuni giorni, accadeva di solito che
uno o due tra i più tenaci studenti si inventavano delle domande e mi
telefonavano se non altro per avere l'illusione di portare avanti, a distanza, un
rapporto con una persona reale. Rispondevo gentilmente ma in modo succinto
e li invitavo al prossimo seminario dove il mio insegnante sarebbe presente.
Di solito, non "sopravvivevano" a tale incontro. Osservando nel mio
insegnante la totale mancanza di umana comprensione, e forse di intelligenza,
entravano in una crisi profonda. Dubitavano che il Kriya funzionasse e di aver
fatto la giusta scelta nel ricevere iniziazione in esso.
Ma ora quel tempo era finito e dovevo riconsiderare tutta la faccenda usando
la mia testa.

Ora era necessario pormi nei loro panni, chiedendomi, spesso senza
risposta, se il marasma e il disagio che trovai in alcuni, era dovuto a motivi
caratteriali o fisici. Era palese che molti avevano intrapreso il percorso del
Kriya con un atteggiamento non corretto. Seguendo l'alternarsi dei loro stati
d'animo e il cambiamento drastico del loro punto di vista, cercai di
comprendere il motivo dei loro fallimenti specie quando ero convinto che essi
non fossero inevitabili. Alcuni avevano un'idea completamente infantile del
Kriya. Erano rigidi nel portare avanti le loro false speranze, immaginando una
complicità da parte mia. Alcuni riversavano nel Kriya un impegno
straordinario ma, comunque, non ottenevano nulla. Talvolta mi sentivo
incline a discutere con loro fino allo sfinimento, dimenticando il tempo. Vidi
che erano irremovibili nel praticare il Kriya con delle modalità sbagliate,
commettendo palesi errori.
(Per esempio, uno trascurava le normali regole della salute, rifiutava, durante
la meditazione, di assumere la posizione corretta della spina dorsale, non
badava a mantenere l'immobilità nella parte finale della routine.) Era

103
impossibile per correggerli. Si comportano verso me in un modo molto
cordiale ma, quando si trattava di difendere le loro scelte, rivelavano un
talento dialettico che mi faceva sentire un idiota. Ai loro sofismi avrei
preferito cento volte ascoltare un buontempone gridarmi in faccia: «Lascio il
Kriya ad idioti come te: mi piace mangiare, bere e godermi la vita!».
Le storture mentali di qualcuno riuscirono a portarmi in un stato di
alienazione. Ricordo uno che cercava la totale armonia con la vita, allo stesso
tempo facendo appello freneticamente ad ogni mezzo per sviluppare il suo
nascosto potenziale psichico. Continuò a prestare attenzione alle rivelazioni
che provenivano da un channeler guaritore (da cui si recava affinché gli spiriti
gli rivelassero le ragioni karmiche di una malattia, come pure gli
atteggiamenti da cambiare affinché i suoi problemi fossero distrutti
astralmente) ma, allo stesso tempo, frequentava una chiesa dove fingeva una
devozione genuina chiedendo una "particolare" benedizione quale blanda
forma di esorcismo.
Un giorno, dopo avere parlato con lui, annaspando per potermi "ritrovare" di
nuovo, sentii il bisogno di camminare nell'aria aperta e praticare il Japa. Il
senso di estraniamento sembrava allargarsi fino all'orizzonte e toccare l'orlo
del cielo. Ebbi un pensiero luminoso e caldo: anche se tutti i miei amici, tutte
le persone che io conosco lasciassero il Kriya, io vi rimarrei saldo comunque,
non perché ho fede nell'ottenere un giorno da esso i buoni effetti desiderati,
ma perché il Kriya già mi ha dato qualche cosa di incomparabile. Non ho
bisogno di una ricarica di motivazione rivolgendomi di nuovo alle vecchie
letture di narrativa spirituale: è la radianza della mia memoria che mi salva
ogni volta, ogni giorno.
Una gioia irrefrenabile si sparse come un brivido attraverso la mia pelle: vidi
chiaramente che il Kriya ha il potenziale per disperdere le nubi nella mente di
ogni persona. Noi galleggiamo su un oceano di beatitudine ma - questo è il
potere della illusione - ci sentiamo separati da esso, come olio sull'acqua;
abbiamo solo bisogno di un mutamento di prospettiva per trasformare la
nostra vita in un paradiso.

Ho già raccontato che tenni delle lezioni sulla storia dei sentieri mistici
presso la locale università della terza età. Questo fu ripetuto alcuni anni dopo.
Proposi di aggiungere al nostro studio alcune informazioni sui movimenti
esoterici più noti. Il mio scopo era paragonarli alle tendenze New Age e
mostrare dove, entro esse, era situata la linea di confine tra la ricerca mistica
genuina e il coltivare ambizioni magiche.
Non era difficile vedere la devastante inconsistenza teorica di molti
movimenti esoterici, ampiamente riconosciuti come impegnativi ed elitari.
Una vastissima terminologia che colpiva per la grandiosità e che un tempo mi

104
avrebbe entusiasmato, mi riempiva di nausea come se fosse un'oscenità creata
da un mostro. Ero sempre più colpito dalla debolezza mentale dei cosiddetti
ricercatori di verità al punto di sentire un senso pessimistico di
scoraggiamento circa il loro potenziale di dissolvere abbaglianti falsità e
ragionamenti ingannevoli.
Fui inevitabilmente traghettato nel più interessante campo di studio: la psiche
umana, la sua suggestionabilità e vulnerabilità quando si tratta di avvicinarsi
al sentiero spirituale.
Vidi che l'interesse dei miei studenti su questo tema era quasi nullo. Rimasi
stupefatto nel comprendere che la maggior parte di loro venivano alle mie
lezioni per ricevere sostegno e nutrimento per le loro illusioni. Nonostante
tutte le spiegazioni non avevano ancora compreso in senso pratico che cos'è
realmente un percorso mistico e sopratutto quanta gioia e significato esso può
arrecare alla propria esistenza.
Fu in quell'occasione che presi coscienza profonda dell'atteggiamento
improprio nei confronti del Kriya in cui molti ricercatori si incancreniscono.
Compresi l'importanza di chiarire a ciascuna persona che sarebbe venuta a me
per imparare il Kriya un punto fondamentale: il Kriya non ha niente a che fare
con gli studi paranormali, o tentativi infruttiferi di sviluppare i poteri latenti
della mente.
Se in alcuni contesti la parola mistico evoca una relazione col mistero, col
concetto di iniziazione (dal Greco μυστικός [mustikos], un iniziato) a segreti
rituali religiosi (anche questo dal Greco μύω, celare) un mistico è uno che
cerca sinceramente (adottando qualsivoglia forma di disciplina mentale e
fisica) di arrendersi a qualche cosa che sta oltre i territori della mente,
irraggiungibile dal puro e semplice potere della volontà e dell'immaginazione,
che è la quintessenza del supremo conforto.
Sfortunatamente molti coltivano l'illusione che il Kriya sia un insieme di
segreti (di efficacia crescente man mano che uno si muove verso i Kriya
superiori) da essere sfruttati nel più astuto possibile dei modi – rimanendo
virtualmente lo stesso Ego. Praticano molto poco, fingendo di praticare
molto. Hanno spesso udito che il Kriya è la «suprema fra tutte le tecniche
spirituali, la via aerea alla realizzazione del Divino». Sembra che «...suprema
fra tutte le....» entri trionfalmente nel loro cervello ma «...realizzazione del
Divino...» viene lasciato fuori. Fantasticano su ciò che non esiste. Sono legati
ad una concezione magico-esoterica del Kriya, che è ovviamente una
caricatura del Kriya di Lahiri Mahasaya.
Questa frenesia può durare per sempre o scomparire improvvisamente per
ragioni di agghiacciante banalità, come per esempio incontrare un kriyaban
che soffre di una malattia seria. «Come è possibile una tale cosa! Il Kriya non
ha valore!» Lo sostituiscono con un'altra pratica - non necessariamente

105
qualcosa di nobile (meditazione buddista, Chi Kung..) ma con qualche cosa
che quando senti di cosa si tratta dalle loro labbra, è un miracolo non piegarsi
in due dal ridere (comunque non si riesce ad evitare la ridarella per il resto
della giornata).
Il sentiero spirituale è per coloro che, anche se hanno compiuto tutto quello
che l’umana follia può concepire e sprecato anni nell'esaurire le energie vitali,
da un certo momento in poi sanno voltare pagina e cercano non più i "poteri",
ma la pace e il conforto che che son rivelate dal processo di interiorizzazione.

Nonostante questi chiarimenti ripetuti infinite volte rimanevano comunque


tante piccole manie e fissazioni che rovinavano tutto.
Esse sorgevano e divenivano virulente dopo aver letto alcuni libri, ascoltato le
opinioni degli amici, ricevuto apparenti delusioni...
Una forte inquietudine nasceva che spingeva a progettare viaggi per contattare
questo o quel personaggio, a imbarcarsi impazientemente in vasti studi
esoterici, fare volontariato, il che non è negativo affatto ma potrebbe distrarre
molto. In seguito a questo spreco di tempo, l'armonia paradisiaca che si era
stabilita all'inizio era inacerbita e persa.

Ecco un esempio di problemi con cui mi sono confrontato


# Un caso difficile, snervante, quasi impossibile è quello di una persona che ha
dei conflitti con la religione in cui è stata educata. Durante la nostra infanzia, quasi
tutti ricevemmo una formazione spirituale entro una religione strutturata. Grande fu
la forza con la quale alcuni miti religiosi furono inculcati nella nostra coscienza.
Introdotti attraverso racconti e resi più reali da alcune piacevoli raffigurazioni, quei
miti furono investiti da una particolare solidità, specialmente quando evidenziavano
una qualche figura ideale mancante nella costellazione familiare.
Benché nell’età adolescenziale tali miti venissero messi da parte, nella piena
maturità, sentimmo di nuovo il loro fascino – essi incarnavano una parte del nostro
passato.
Il profumo di quei vecchi racconti è come un incenso di nostalgia, come un balsamo
di infantile gioia che si distende sulle ferite, mai rimarginate, della nostra vita.
Quando prendiamo parte a riti religiosi, tutta una successione di ricordi legati a care
persone scomparse si mette in moto … il cuore vibra, profondi sentimenti sono
coinvolti come mai era stato prima.
Per qualcuno, i condizionamenti dell’infanzia ottengono una solidità inattaccabile
e diventano un insieme di elementi fissi nel proprio modo di pensare. Nell'inconscio
si forma una ferrea intenzione: «La dimensione della fede che mi è stata comunicata
dai miei genitori distilla per me il profumo del tempo più bello della mia vita. Devo
difenderla ad ogni costo».
Ora, cerchiamo di comprendere cosa accade quando una persona, che sta vivendo
questa esperienza, decide di intraprendere una disciplina come il Kriya. All’inizio si
sentirà colpito dalla sua efficacia. Percepirà che la sua vita religiosa si è fortemente

106
ricaricata di entusiasmo ed è divenuta più acuta. Anche se gli sarà difficile accettare
che gli "strani" esercizi possano essere considerati in sé e per sé un sentiero mistico
autonomo, comincerà a considerarli con molta attenzione e crescente rispetto.
Il problema nasce quando uno ritiene corretto riferire della sua pratica a un direttore
spirituale. Il rischio di arrendersi a delle suggestioni restrittive e limitate è molto
forte. È un peccato che questo evento possa creare un totale naufragio della propria
avventura col Kriya.
I Ministri di una religione potrebbero non essere stati nemmeno informati circa le
pratiche dei mistici della loro stessa religione. Potrebbero non afferrare il significato
genuino della pratica meditativa. Il vizio di studiare troppi libri potrebbe aver
soffocato la loro istintiva innocenza; ci sono libri che sporcano la coscienza e
bruciano l'intelletto.
Il continuo sforzo cerebrale di rispondere con risposte intelligenti alle domande
esistenziali e alle lamentele altrui – risposte così belle da lasciar stupefatta la stessa
persona che le ha pronunciate - logora il senso di proporzione. Ricevendo le
confidenze di un kriyaban, un Ministro può pronunciare delle evidenti assurdità: che
il desiderio di seguire il sentiero mistico sia una fissazione pericolosa e fuorviante,
nata da problemi psicologici irrisolti; che la Preghiera ha un valore solo se è fatta in
comunità; che la sola forma di meditazione consiste nello studiare e meditare sulle
Sacre Scritture…
Essi sono inclini a giudicare le esperienze spirituali come delle allucinazioni
isteriche auto prodotte. È triste vedere come la maggior parte delle persone
cosiddette religiose siano convinte che i mistici furono uomini scelti da Dio, a cui fu
concessa una particolare grazia: «non dovremmo cercare in alcun modo di seguire i
loro passi, se non vogliamo divenire mentalmente instabili!» pensano alcuni.
L'implicazione emotiva delle loro parole, può vincere le ragioni della saggezza e
distruggere l'aspirazione di un ricercatore. Uno potrebbe convincersi che il suo
principale dovere sia quello di consolidare la propria formazione dottrinale.
Evidentemente non c’è nulla da dire contro lo studio dei dogmi di una religione,
purché sia integrato con lo studio delle opere dei grandi mistici. Un studio
puramente razionale delle dottrine teologiche può non armonizzarsi alla sensibilità
che la nostra persona sta sviluppando. Facilmente entrerà in crisi e sperimenterà
sensi di colpa. Sappiamo che la forza con la quale egli potrebbe resistere a tali
momenti di crisi è direttamente proporzionale alle autentiche esperienze spirituali
che lui ha incontrato nella meditazione - ma non dobbiamo dimenticare che stiamo
considerando un principiante. L'angoscia di trovarsi sul sentiero errato, di muoversi
verso la dannazione eterna, non placato dalla forza dell'idea contraria, crea un
indurimento del suo cuore e la splendida avventura si impaluda. Ho conosciuto delle
persone che erano kriyaban da anni (ed erano veramente dogmatici) che si
rivoltarono contro il Kriya come se esso fosse una cosa demoniaca. Non fu un bello
spettacolo osservare il loro comportamento e ascoltare le loro parole, dove
sicuramente mancava equilibrio ed obiettività. Ci si chiedeva se la loro emotività
fosse inquinata da superstizione o da agghiacciante disonestà intellettuale.
Chissà se è possibile che, durante un giorno di sole, in mezzo alla natura (la quale è,
davvero, una grande insegnante - forse più dei libri), davanti ad un panorama che si
estende all’infinito, possano provare il desiderio di praticare ancora un processo di

107
meditazione. Chissà se la naturalezza di tale pratica riuscirà a sciogliere la morsa
della loro paura e se la splendida avventura potrà incominciare di nuovo!

# Alcuni si sentono indegni: applicano coscienziosamente le tecniche Kriya ma


sono convinti che devono portare avanti un lavoro enorme sul piano mentale,
psicologico onde poter "crescere" sul piano spirituale.
Continuano a rimuginare un solo pensiero: «Cosa posso fare nel regno della mia
mente, delle mie abitudini per migliorarmi?» La loro idea di base è che il Divino
risieda al di fuori degli esseri umani e che un individuo possa avvicinarsi ad Esso
solo dopo aver essersi guadagnato un qualche merito. Sono convinti che lavorando
duramente sia possibile distruggere nella loro coscienza le radici dell'iniquità e
dell'egoismo. Non hanno fiducia nella pura applicazione di una tecnica a meno che
non sia abbinata ad un sforzo faticoso di tormentare e torturare la loro struttura
psicologica. Il Kriya è solo un corollario di questo lavoro cardine. Vogliono
costruire mattone dopo mattone, faticando fino all'estremo delle forze, come se si
trattasse di un complesso edificio, la loro Liberazione. Tale atteggiamento rende, a
priori, virtualmente impossibile ogni progresso sul sentiero spirituale.
L'esperienza mistica avviene quando uno si rilassa totalmente ed è in pace con sé
stesso. Solo allora qualche cosa di tremendamente vasto, oltre la mente, si manifesta
improvvisamente e travolge ogni dicotomia di degno o indegno. Ora, se durante le
proprie pratiche meditative, il respiro e il pulsare del cuore sembrano scomparire,
questi ricercatori, essendo sempre in allerta, invece di rilassarsi bloccano
l'esperienza. Ci può essere solamente una via d'uscita: che l'esperienza spirituale
possa emergere quando sono troppo stanchi o mezzi addormentati per reagire, e
annientare così le loro resistenze. Se questo non avviene, col tempo essi si stancano
di tutti i loro sforzi e il Kriya scompare dalla loro vita senza alcun rammarico o
ripensamento. Questa scomparsa è percepita come una rinascita e vivono felici da
ora in avanti.

# Alcuni concepiscono il Kriya come una filosofia che possiede in sé stessa un


potere di redenzione.
Amano coltivare la pura conoscenza esoterica. Hanno familiarità con alcuni metodi
di introspezione spirituale ma, per quanto riguarda la concreta applicazione delle
tecniche, portano avanti solo una timorosa e frettolosa sperimentazione. Di solito
danno grande enfasi ai principi morali.
Difficile è trovare una ragione plausibile che spieghi come mai una ricchezza senza
fine attende di manifestarsi dietro lo schermo delle loro rivoluzioni mentali, tuttavia
essi non fanno il minimo passo per afferrarla o permettere che la sua radiosità
pulisca la cantina polverosa dove preferiscono vivere.
Trascorrono tutto il loro tempo a leggere libri spirituali ed in infinite discussioni con
qualche amico dai simili interessi. Ci sono buoni libri dai quali potrebbero trarre
benefici, ma sembra che essi preferiscano tenerli ad una certa distanza; affermano di
averli già letti tutti, ma è una bugia. I libri che loro raccomandano caldamente ci
colpiscono per la quantità di informazioni che essi contengono. Leggendoli,
entriamo in un stato quasi ipnotico e, forse, non comprendiamo immediatamente che

108
ogni catena di idee non ha alcun sostegno, è il parto dell'immaginazione sfrenata
dell'autore. Siamo stupiti nel vedere come, tramite una ubriacatura di parole,
l’immaginazione dell'autore si dispiega libera dalla relazione con la realtà e dalle
regole della logica. Il tutto ci sembra un puro divertimento - paragonabile a quello di
leggere libri gialli. Ci chiediamo come il lettore possa pensare, con tale pattume, di
evolversi in qualche modo. Almeno in un caso compresi la ragione di tale
comportamento.

Penso che fu un complesso di colpa non risolto che fermò del tutto gli sforzi
Kriya di un mio amico e lo trasformò in un pigro lettore. Era veramente una brava
persona; nella sua gioventù aveva vissuto appassionatamente l'intenzione di fare
qualcosa di buono per l’umanità. Manifestava un rispetto sincero verso tutte le
persone. Qualche volta era amareggiato nel scoprire che le sue azioni disinteressate
si scontravano con l'ignoranza e la grossolanità delle persone.
Aspirava ardentemente a seguire il sentiero dell'Illuminazione. Condividemmo la
passione per l’esoterismo e per i libri. Leggemmo veramente tanti, troppi libri
pattume: invece di provare orrore per tali deformazioni, ci lasciammo avvincere
dalle fantasie dei più svariati autori. Era incredibile quale enorme impatto potesse
avere su di noi un libro quando il titolo o le quattro righe di presentazione
lasciavano intuire che esso contenesse la chiave dei misteri occulti!
Assieme condividemmo l’entusiasmo per la scoperta del Kriya. Aspettando di essere
iniziato in esso, praticò qualche esercizio di Pranayama. Una o due settimane
bastarono per ottenere una esperienza di risveglio spirituale, la cui intensità lo
disturbava profondamente: la Realtà Spirituale si manifestò a lui come
l'Immutabilità stessa. Usò proprio queste parole, parlando con me. Mentre i giorni
passavano, vidi sgomento che egli temeva che la pratica, ponendo davanti ai suoi
occhi il lato oscuro della sua personalità, potesse mettere in pericolo la sua stabilità
psichica. I suoi ideali religiosi gli impedivano di accettare quello che poteva
emergere dalle profondità della sua personalità. Molto ben nascosta, una ferita non
risanata lo tratteneva.
Sottolineando il valore dei principi etici e nauseandomi con l'insistere che nessuno
dovrebbe praticare alcuna tecnica di meditazione senza aver prima raggiunto una
perfetta vita morale, si rivolgeva ovviamente a se stesso.
«È meglio che non cominci a praticare tecniche del cui effetto non sono sicuro - mi
diceva - è meglio che attenda finché non mi sentirò totalmente sicuro di ciò che sto
maneggiando». Assunse un atteggiamento talmente prudente che sembrava
prematuramente invecchiato – persino il suo modo di camminare sembrava
tremolante.
Presupponendo che fosse sincero, molte volte tentai di aprire i suoi occhi,
rendendolo consapevole che le sue obiezioni erano assurde. In fine dovetti
riconoscere il mio fallimento. Non era corretto sprecare il mio tempo costringendolo
a costruirsi complicati pretesti per consolidare la sua decisione. Smisi di
"tormentarlo" e posi fine ai nostri usuali banchetti di parole. Il dovere verso la mia
anima doveva prevalere su quello della cortesia.
La forza della reciproca eccitazione nata dai nostri elevati interessi era una specie di
proiezione verso un ideale di amicizia dell’anima; ma attraverso essa non sarei

109
arrivato a nulla, piuttosto, in modo pericoloso, mi sarei estraniato dalla mia anima.
Dopo anni di separazione ci incontrammo di nuovo, sembrava la quintessenza del
saggio. Nei suoi begli occhi lessi la gioia del nostro incontro e un caldo messaggio:
«Come vedi, non ho ancora ceduto al modo comune di vivere!»
Aveva ancora intatto l'entusiasmo passato, ma forse o la sua mente era opaca oppure
non mi permise di entrarci. Continuò a riprodurre, con parole variate, delle vecchie
credenze di base – ammirai l'ampliarsi del suo lessico.
Osservando il tramonto e parlando quietamente, ero seduto con lui quando, a un
certo punto, mi apparve chiaro che lui non faceva altro che difendersi da me. Guidò
il discorso in modo così astuto che era impossibile io potessi ricordargli il suo
passato e quella grande esperienza. Promise che sarebbe venuto a trovarmi, ma non
venne ed è improbabile che venga.

110
SECONDA PARTE: CONDIVISIONE DELLE TECNICHE KRIYA

CAPITOLO II/01 FORMA BASE DEL PRIMO KRIYA

"DISCLAIMER"
Le tecniche qui descritte sono esposte solamente per motivi di studio, per servire
come raffronto col lavoro di altri ricercatori. Da questa condivisione spero derivi un
feedback intelligente. Osservazioni, critiche, correzioni e aggiunte saranno ben
ricevute. Prima di cominciare a porvi tutte le domande più strane possibili e
immaginabili, leggete completamente la Parte II e III di questo libro in modo da
avere una completa visione della materia. Scoprirete che molte domande trovano
risposta man mano che proseguite con la lettura.
Tengo a precisare che questo libro non è un manuale di Kriya! Forse in futuro ne
scriverò uno e allora affronterò il problema di come dividere l'intero argomento in
diverse lezioni cercando, per ciascuna fase d’apprendimento, di fornire tutti i
consigli necessari. In ogni caso, certe tecniche non possono essere apprese leggendo
un manuale. Ci sono tecniche delicate come per esempio il Maha Mudra, il
Pranayama, il Thokar, lo Yoni Mudra che è impensabile apprendere senza l'aiuto di
un esperto che controlli la loro esecuzione.
Ogni persona è diversa e nessuno può dire a priori quali saranno gli effetti di una
determinata tecnica, soprattutto se praticata in dosi consistenti.
L'autore non si assume alcuna responsabilità nel caso di risultati negativi,
particolarmente nel caso in cui uno decida di praticare le tecniche senza aver cercato
la supervisione di un esperto. Coloro che intendono portare avanti questa pratica
dovrebbero farlo con il dovuto senso del sacro e la consapevolezza della ricchezza
che essa potrà portare nella loro vita. Sebbene ognuno ha il diritto e il dovere di
controllare il suo destino, garantirsi il consiglio o la guida di un esperto è
indispensabile.

N.B. Quando ci si reca da un esperto, è necessario comunicargli l’esistenza di


ogni eventuale problema fisico, come ipertensione, problemi ai polmoni, segni di
iperventilazione… Se avete particolari problemi fisici, un esperto potrà
raccomandarvi una forma delicata di Pranayama e dei Mudra ad esso collegati – e se
necessario potrebbe raccomandare di praticarli solo mentalmente.

111
Introduzione alla localizzazione dei Chakra

I Chakra sono organi sottili astrali entro la spina dorsale; gradini ideali di
una scala mistica che conduce una persona, senza alcun pericolo, alla più
elevata esperienza estatica. Molti credono di poter applicare automaticamente
al Kriya quello che è scritto sui libri di Yoga, ma questo non funziona. Tali
testi sono riempiti di inutili, devianti raffigurazioni. Perdendo tempo a
visualizzare tutto quel materiale, un kriyaban potrebbe correre il rischio di
perdere l’autentico significato delle tecniche del Kriya, o parte delle loro
ricchezze.
Il Kriya è un processo naturale che porta a dei risultati benefici e non
dovrebbe essere distorto dal potere della cosiddetta visualizzazione "creativa",
specie se essa si pone in contrasto con la fisiologia del corpo. Il Kriya non si
basa sul creare una condizione artificiale nel corpo. Quando certe condizioni
particolari si stabiliscono - silenzio mentale, rilassamento del corpo, una
intensa aspirazione dell’anima - la Realtà Spirituale si manifesta in modo
molto affascinante, assorbendo l'attenzione. Quindi, dei movimenti sottili di
energia nel corpo – o un particolare raccogliersi dell'energia in qualche parte
del corpo – rivelano l'essenza dei Chakra.
Per intraprendere la pratica del Kriya, gli Yogi (useremo il termine
kriyaban) visualizzano semplicemente la spina dorsale come un tubo vuoto
che si estende dalla sua base al cervello: la Nadi Sushumna. Con ulteriore
pratica, la spina dorsale è percepita idealmente come divisa in cinque parti
(vedi Figura 1).

Figura 1. I Chakra e altri centri associati di energia nel cervello.

II primo Chakra, Muladhar è localizzato alla base della colonna spinale


proprio sopra la regione del coccige; il secondo Chakra, Swadhisthana, si

112
trova presso la prima vertebra lombare all'altezza dell'osso sacro (a metà
strada tra il Muladhar e il successivo Chakra Manipura); il terzo Chakra,
Manipura, è nella regione lombare all'altezza dell'ombelico. Il quarto Chakra,
Anahata, è nella regione dorsale; la sua sede può essere individuata
avvicinando le scapole e concentrandosi in mezzo, lì dove i muscoli sono
contratti. Il quinto Chakra, Vishuddha, si trova dove il collo si unisce alle
spalle, proprio sopra la settima vertebra cervicale.
Un kriyaban cerca di sentire i Chakra intuitivamente, anche se in modo vago:
col tempo, sarà capace di sperimentarle come cinque sottili stati di coscienza.
Delle tradizioni tra loro indipendenti collocano il sesto Chakra, Ajna, dai due
petali, in luoghi diversi. Secondo la tradizione Kriya la sua sede è nel centro
del cervello. Poiché il Midollo allungato (bulbo alla sommità della spina
dorsale, sotto il Pons Varolii, davanti al cervelletto) è molto vicino alla sua
sede, spesso si dice che il Midollo allungato è la sede del sesto Chakra.
Secondo gli insegnamenti che ci sono stati tramandati nel Kriya, esso va
visualizzato come avente la forma del dorso di una tartaruga. Anche un
principiante può sperimentarlo focalizzando la concentrazione in quella zona;
l'irrequietezza scompare immediatamente mentre nella coscienza si stabilisce
uno stato di tranquillità.
Il Kutastha, (tra le sopracciglia, anzi leggermente sopra), conosciuto anche
come il "terzo occhio" o "occhio spirituale", è un’immagine riflessa del sesto
Chakra. Tutte le tecniche Kriya si praticano mantenendo lo sguardo
focalizzato in quel punto. Convergervi tutta l'energia è la condizione per
entrare nel canale più interno della spina dorsale. Poiché è nella natura umana
che l'energia sia dispersa nel corpo e i canali interiori che conducono al
Kutastha siano ostruiti, tale condizione è molto difficile da essere realizzata.
Purtroppo, alcuni studenti di Kriya nel tentativo di raggiungere tale stato
portano nella loro pratica lo stesso atteggiamento avido, impaziente, a volte
insensibile, che hanno nella vita - specialmente quando sono imbevuti di
Esoterismo e di Pensiero Magico. Sono fuorviati da qualche libro oppure non
comprendono che certi stati richiedono tempo prima di essere sperimentati.
Esercitando un grande sforzo di visualizzazione, impongono al loro Prana di
salire direttamente dal quinto Chakra al Kutastha. Questo porta ad un
restringimento di tale passaggio, piuttosto che alla sua apertura. Più si
sforzano, più problemi si procurano. Per questa ragione – per raggiungere il
Kutastha in modo calmo ed effettivo – è opportuno concentrarsi prima sul
centro Bindu che ha un collegamento col Kutastha. Bindu è localizzato nella
regione occipitale, dove l’attaccatura dei capelli forma una specie di vortice.
(È qui che alcuni Indù, con la testa rasata, mantengono una ciocca di capelli.)
Nella fase finale del Kriya, dove il respiro è quasi inesistente, l'energia e la
coscienza si stabiliscono nel settimo Chakra, Sahasrara. Questo non è come

113
gli altri Chakra; è infatti una realtà superiore, e non possiamo concentrarci su
di esso come sugli altri. Sebbene non sia difficile "entrare in sintonia" con lo
stato che quest'ultimo incarna, l'unico modo di raggiungerlo è attraversare la
porta del Kutastha. Non è necessario usare un'eccessiva immaginazione per
divenire consapevoli dei Chakra, ma uno deve capire che, durante qualsiasi
tecnica Kriya, essi sono percepiti del tutto differentemente a seconda che uno
si stia focalizzando su di essi partendo dal Muladhar e salendo lungo la spina
dorsale (come avviene durante la inspirazione del Pranayama) o cominciando
da Ajna e scendendo ( come avviene durante la espirazione del Pranayama).
I primi sei Chakra possiedono una natura duale.
Quando la consapevolezza sale lungo la spina dorsale, essi sono percepiti
come piccole "luci" che illuminano il tubo cavo visualizzato entro la colonna
spinale. Quando la consapevolezza scende lungo la spina dorsale, essi sono
percepiti come organi che distribuiscono energia nel corpo. In altre parole,
durante la discesa della consapevolezza, uno sperimenta l'energia di ciascun
Chakra come onde luminose che si dipartono dalla sua sede entro la spina
dorsale e si irradiano, ravvivando così quella parte del corpo che si trova
davanti a loro.

Tecniche di base

I momenti ideali per la pratica delle tecniche seguenti sono prima della
colazione, mezzodì prima del pranzo, pomeriggio tardi prima della cena, e di
notte almeno 2-3 ore dopo aver mangiato. Talabya Kriya ed Om Japa
possono essere praticate alcune ore prima delle tecniche specifiche del Kriya.

Talabya Kriya

Cominciando dalla posizione nella quale la lingua è rilassata e con la punta


che tocca il lato interno dell'arcata superiore dei denti, il kriyaban preme il
corpo della lingua contro il palato superiore per creare un effetto di ventosa.
Avendo così premuto la lingua al tetto del palato, la mascella inferiore è
abbassata per allungare il frenulo (il tessuto che unisce la lingua alla base
della bocca). L'effetto di stiramento dovrebbe essere percepito distintamente
(vedi Figura 2). La lingua che per alcuni istanti è rimasta premuta contro il
palato superiore si libera e ritorna a scendere nella sua posizione naturale con
uno schiocco. La lingua è poi spinta fuori dalla bocca e puntata verso il
mento. All'inizio è opportuno non ripetere questa procedura più di 10 volte al
giorno onde non sforzare troppo o produrre uno strappo nel frenulo! In
seguito è possibile raggiungere le 50 ripetizioni. L'intera procedura di 50
ripetizioni richiede circa due minuti (110-120 secondi) per essere completata.

114
Molti praticano il Talabya Kriya in modo sbagliato poiché volgono
istintivamente indietro la lingua (o la tengono verticale) e questo annulla
completamente l'effetto. È molto importante che la punta della lingua, prima
di essere premuta contro il palato superiore, tocchi il lato interno dell'arcata
superiore dei denti. 26

Kechari Mudra

Dopo mesi di pratica regolare del Talabya Kriya, dovrebbe essere possibile
inserire la lingua nella cavità della faringe nasale: questo è chiamato Kechari
Mudra (vedi Figura 3).

26
Nei testi di Hatha Yoga ci sono diversi consigli per allungare il frenulo. Uno molto
noto è avvolgere un pezzo di tela attorno alla lingua e con l'aiuto delle mani, tirare
gentilmente (rilassando e ripetendo diverse volte) la tela sia orizzontalmente che in su,
verso la punta del naso. Lahiri Mahasaya era assolutamente contrario al taglio del
frenulo per ottenere risultati più veloci e più facili.

115
Quando il tempo è maturo, l’inserimento della lingua è raggiunto anzitutto
con l'aiuto di una o due dita che spingono la lingua vicino alla sua base in
modo che la punta tocchi l'ugola. A quel punto, la base della lingua è spinta
ulteriormente indietro finché la punta scivola oltre il palato molle. In seguito
la punta della lingua può infilarsi nella faringe nasale. Dopo alcune settimane,
si può raggiungere la stessa posizione senza aiutarsi con le dita. Allora si
possono praticare le tecniche con la lingua mantenuta stabile in quella
posizione. 27

Nota
Siccome il Talabya Kriya crea un distinto effetto calmante sui pensieri, esso non
dovrebbe mai essere messo da parte, neanche quando il Kechari Mudra è realizzato.
Non è facile giustificare per quale motivo, agendo sul frenulo, sia possibile riuscire
a calmare il processo di formazione di pensieri inutili. Sta di fatto che chiunque può
osservare questo effetto. Naturalmente il Kechari Mudra amplificherà enormemente
questo processo di introversione.

Maha Mudra

Si incomincia piegando la gamba sinistra sotto il corpo in modo tale che il


tallone sinistro sia il più possibile vicino al perineo, con la gamba destra
estesa in avanti. La posizione ideale (anche se non necessaria) è quando il
tallone sinistro esercita una pressione sul perineo. Questa pressione è il modo
migliore per stimolare la consapevolezza del Muladhar Chakra nella regione
coccigea alla base della spina dorsale. Per mezzo di una profonda inspirazione
l’energia è sollevata attraverso il tubo cerebrospinale nel centro della testa
(Ajna Chakra). Questa è una sensazione semplice e facile da ottenere, non c’è
bisogno di renderla troppo complicata.
Trattenendo il respiro, ci si piega in avanti (in maniera molto rilassata) in
modo che le mani intrecciate riescano ad afferrare il pollice del piede esteso e
serrarsi attorno ad esso. In questa posizione estesa il mento è premuto sul
petto in modo naturale. Continuando a trattenere il respiro, si canta
mentalmente Om 28 nel Kutastha da 6 a 12 volte. Ancora trattenendo il
27
Nella illustrazione vediamo la differenza tra il Talabya Kriya e il Kechari Mudra.
Mentre si pratica il primo, aprendo la bocca davanti ad uno specchio, notiamo che
soltanto il frenulo viene in avanti; nel secondo vediamo appena la radice della lingua: è
l’ugola che viene in avanti. In attesa del Kechari Mudra si può praticare le tecniche del
Kriya con la lingua rivolta indietro.
28
Il Mantra non dovrebbe essere pronunciato: "ommm" ma "ooooong", in altre parole
una "o" abbastanza lunga che finisce in una "n" nasale. In questa procedura "Om" è una
pura vocale. Quando si pronunciano i Mantra indiani - Om namo bhagavate…, Om
namah Shivaya…- la consonante "m" in "Om" è pronunciata, qui invece non si sente

116
respiro, si ritorna alla posizione iniziale e con una lunga espirazione, si
visualizza l'energia tiepida che scende alla base della spina dorsale.
L’intera procedura è ripetuta nella posizione simmetrica, col tallone della
gamba destra vicino al perineo e la gamba sinistra estesa frontalmente.
La procedura è ripetuta un’altra volta ancora, tenendo ambo le gambe estese e
questo completa un ciclo di Maha Mudra. Questo ciclo di tre movimenti (che
richiede circa 60-80 secondi) è ripetuto due volte ancora per un totale di nove
estensioni.

Punti chiave

[1] Alcune scuole insegnano, durante l’inspirazione, ad avvicinare il


ginocchio della gamba che sta per essere allungata (o entrambi i ginocchi,
prima del terzo movimento) al corpo, cosicché la parte superiore della gamba
è il più possibile vicina al petto. Le mani, con le dita intrecciate, sono poste
attorno al ginocchio ed esercitano pressione su di esso. Si spiega che questo
serve a raddrizzare la schiena e a far sì che il suono interno del Chakra
Anahat divenga udibile.
[2] Questo Mudra deve riuscire facilmente, uno non deve farsi male! Per
quanto riguarda la distensione in avanti, la maggior parte dei kriyaban non è
capace di raggiungere tale posizione senza farsi male alla schiena o al
ginocchio. Essi non dovrebbero, per alcuna ragione, tenere la gamba diritta,
ma piegarla un po’ al ginocchio nel modo più opportuno!
Nella posizione estesa, trattenendo il respiro, si mantiene una contrazione
muscolare alla base della spina dorsale mentre i muscoli addominali sono
leggermente tirati in dentro in modo che l'ombelico è premuto verso il centro
lombare.
[3] Come abbiamo visto, nella posizione estesa, l’alluce è afferrato con
fermezza. Alcune scuole ritengono che questo dettaglio sia particolarmente
importante. Esse spiegano che ripetendo questa azione su ciascuna gamba
l'equilibrio tra i due canali di Ida e Pingala è rafforzato. Una variante è la
seguente: l’unghia dell’alluce è premuta col pollice della mano destra mentre
l’indice e il dito medio sono dietro di esso e la mano sinistra tiene a mo’ di
coppa la pianta del piede.
Quando la procedura è ripetuta con entrambe le gambe estese, le mani
allacciate afferrano entrambi i pollici. (Una variante è che i pollici di ciascuna
mano premono le unghie rispettive degli alluci mentre indice e medio tengono
l’alluce da dietro.)

poiché la "o" è molto lunga e, sul finire della pronuncia di detta vocale, la bocca non è
chiusa completamente, creando così il suono nasale "ng".

117
[4] Il Maha Mudra contiene tutti i tre Bandha. 29 Applicati simultaneamente
con il corpo piegato in avanti, senza usare una eccessiva contrazione, essi
aiutano ad essere consapevoli di entrambe le estremità del Sushumna e
producono la sensazione di una corrente energetica che si muove in alto nella
spina dorsale. Col tempo uno percepirà l'intera Sushumna come un canale
raggiante.

Om Japa

Questo esercizio dovrebbe eseguito con concentrazione prima di


incominciare il Pranayama poiché aiuta a "generare" il Pranayama. Non si
dà alcuna attenzione al respiro. Cominciando col Muladhar (primo Chakra),
si canta il Mantra "Om" concentrandosi su di esso; poi si fa lo stesso con il
secondo Chakra e così via fino al Chakra cervicale Vishuddha, e poi Bindu.
Durante questa salita della consapevolezza lungo la spina dorsale, si cerca di
fare il proprio meglio per riuscire a toccare intuitivamente il nucleo interno di
ciascun Chakra.
Poi si canta "Om" nel Midollo allungato, poi nel Chakra cervicale e così via
fino al Muladhar. Durante questa discesa della consapevolezza, si cerca di
percepire la sottile radiazione di ciascun Chakra.
Una salita (Chakra 1, 2, 3, 4, 5 e Bindu) e una discesa (Midollo allungato, 5,
4, 3, 2, 1) costituiscono un ciclo; esso dura circa 30 secondi. Si fanno da sei a
dodici di questi cicli. È opportuno, nei primi tre cicli, cantare il Mantra a
voce, in tutti gli altri si può continuare a dirlo a voce oppure mentalmente.

Pranayama

Il Pranayama è la più importante tecnica del Kriya. È un esercizio di


respirazione che agisce direttamente sull'energia (Prana) presente nel corpo.
Ogni kriyaban lo pratica in modo diverso ed ogni insegnante ha la sua propria
strategia. Stiamo per illustrare diversi dettagli: non è facile spiegare come essi
sono integrati in un tutto armonioso. La spiegazione è divisa in due parti. Alla
fine del capitolo saranno aggiunti dei commenti. Altre varianti di questa
tecnica saranno aggiunte in seguito (vedi capitolo II/3).

29
Abbiamo dato la definizione di Bandha nel capitolo I/01

118
Prima parte: Pranayama di base

Gli occhi sono chiusi e rilassati ma focalizzati sul Kutastha e la bocca è


chiusa. Chi è capace di porre la lingua in Kechari Mudra lo fa adesso. In caso
contrario, la punta della lingua è rivolta indietro toccando il palato superiore
nel punto dove il palato duro diventa molle. Una profonda inspirazione
attraverso il naso che produce un suono sordo nella gola agisce come una
"pompa idraulica" per sollevare l'energia dalla base della spina dorsale fino al
Midollo Allungato e alla regione occipitale (Bindu). Dopo una breve pausa
(2-3 secondi), una profonda espirazione attraverso il naso riporta l’energia alla
base della spina dorsale. Qui c'è un'altra breve pausa (2-3 secondi). Questo è
un respiro Kriya.
Durante il respiro profondo, l'aria che entra è percepita come moderatamente
fresca mentre l'aria che esce è percepita come moderatamente tiepida. Nella
letteratura è indicato che il Pranayama perfetto avviene con 80 respiri in
un'ora - circa 45 secondi per respiro. I kriyaban possono raggiungere questo
ritmo solo durante delle lunghe sedute. I principianti dovrebbero raggiungere
un ritmo di circa 18-20 secondi per respiro Kriya e completare 12 respiri in un
modo naturale, senza fretta che richiederà circa 4 minuti.

Punti chiave

[1] Durante l’inspirazione, l’addome si espande e il petto si muove solo


leggermente a causa della espansione addominale. È sbagliato riempire
completamente di aria la cavità toracica. Durante l’espirazione, l’addome
rientra ed alla fine della espirazione c'è una chiara percezione dell'ombelico
che si muove verso la spina dorsale.
[2] In generale, il suono nella gola mentre si inspira è come un tranquillo
schhhh… Il suono è simile a quello prodotto da un altoparlante che trasmette
un rumore di fondo amplificato e c'è solo un leggero sibilo durante la
espirazione. Quando verrà raggiunto il Kechari Mudra, esso (il suono della
espirazione) sarà come quello di un flauto, Shiii Shiii.
Le scuole che non insegnano il Kechari Mudra sono molto precise sulla
natura di questi suoni: dicono di inspirare profondamente facendo un suono di
"Oooo" e di espirare facendo un suono di "Iiiii".
[3] In questo Pranayama di base, il percorso seguito dall’energia si rivela
gradualmente mentre la pratica prosegue. Non serve usare complicate
visualizzazioni. La consapevolezza sale dal Muladhar lungo la colonna
spinale, avvicinandosi al secondo Chakra, poi similmente al terzo, al quarto e
al quinto; poi, seguendo la curva della regione occipitale, raggiunge il
Midollo Allungato e il Bindu. Segue una pausa di due secondi, durante i quali

119
l’irradiazione del Kutastha appare come una lieve, indefinita, sensazione di
luce che permea il cervello. 30 Un’espirazione profonda, non affrettata, della
stessa lunghezza dell’inspirazione permette all’energia di ritornare alla base
della spina dorsale. L'energia è visualizzata fluire verso il basso lungo la
parte posteriore della colonna spinale. La ragione di questo dettaglio è che,
sebbene durante l'intera procedura Kriya il proprio sguardo converge verso il
punto tra le sopracciglia, il centro della consapevolezza è localizzato "dietro"
la testa. In tal modo, durante l'espirazione, quando uno cerca di percepire non
solo il fluire in basso della corrente ma anche la sottile radianza di ciascun
Chakra, si accorgerà che questo avviene molto facilmente divenendo
consapevole della spina dorsale, una sezione alla volta come se la si stesse
guardando da "dietro".
[4] Abbiamo accennato al fatto che il sentiero della inspirazione è fresco,
mentre quello dell'aria in uscita è tiepido: questo è corretto ma non dovrebbe
essere preso troppo tassativamente. Alcuni non sono capaci di sentire queste
sensazioni. Alcuni kriyaban assumono un'espressione rassegnata e scoraggiata
quando confessano che durante il Pranayama "non sentono niente" ovvero
essi sono incapaci di percepire le correnti freddo-calde nella spina dorsale.
Sono ossessionati per questo ma è solo un aspetto minore del Pranayama e
non la sua essenza. Il Pranayama si evolve col puro meccanismo descritto e
funziona anche senza queste sensazioni.
[5] Durante i primi respiri del Pranayama (per non essere distratti da tutti i
dettagli sopra citati) si evita di cantare Om o un altro Mantra in ciascun
Chakra. Avendo già praticato Om Japa, la consapevolezza dei Chakra è già
presente - quel tanto che basta.
[6] Alcuni sostengono che il Pranayama praticato con la bocca aperta (o
semichiusa) sia superiore a quello attraverso il naso poiché porta la corrente
nel Sushumna. Altri affermano che solo con la respirazione attraverso il naso
è possibile attivare la respirazione Sushumna. In realtà, solo lo stato senza
respiro può riuscire a portare e guidare l’energia nel sottile canale della spina
dorsale. Praticare il Pranayama con la bocca aperta è solo per principianti.
Ciononostante, il Pranayama attraverso la bocca può dare un meraviglioso
senso di presenza nella spina dorsale: alcuni cominciano con esso e poi
passano al respiro attraverso il naso. Alcuni kriyaban praticano sempre il
Pranayama col Kechari Mudra e perciò essi non possono farlo attraverso la
bocca in quanto la lingua, essendo oltre l’ugola, blocca il flusso dell'aria nella
bocca
30
In questa fase iniziale del Pranayama l'energia non può raggiungere il Kutastha;
questo avverrà negli stadi più evoluti. Il Kutastha entra indirettamente in gioco non
perché ci sia un atto di visualizzazione ma perché c'è una luce particolare diffusa nella
parte frontale del cervello e uno semplicemente è consapevole di quella luminosità.

120
Seconda parte: Pranayama eccellente

[a] Dopo 12 - 24 respiri iniziali che avvengono nel modo sopra descritto, lo
stesso processo si approfondisce come segue: Om è cantato mentalmente (o
più precisamente "posto mentalmente") in ciascuno dei primi cinque Chakra
durante l'inspirazione. Durante la pausa, Om è cantato nel Midollo allungato,
nel Kutastha e di nuovo nel Midollo. Bindu può essere totalmente dimenticato
perché (anche se è difficile da credersi) la consapevolezza rimane sempre in
esso. Durante l'espirazione, Om è cantato mentalmente in ciascuno dei
Chakra ritornando al Muladhar.
Scendendo, ciascun Chakra è "toccato" dolcemente da dietro. La componente
"orizzontale" di ciascuno è sperimentata almeno per un istante; gli effetti
dell'energia vitale che si irradia verso il corpo fisico è sentita intuitivamente.
Quando il Shambhavi Mudra (lo stato di calma in cui le palpebre sono
immobili e lo sguardo è perfettamente fisso) si stabilisce in modo naturale, la
forza mentale implicata nel Pranayam diminuisce. Il suono del respiro è liscio
e senza interruzioni come l'olio versato da una bottiglia. Il flusso di energia è
percepito internamente come un sottile filo di seta e il sottile meccanismo
della tecnica avviene quasi da solo. Questo non implica che la tecnica sia
meno efficace: accade l'esatto contrario: essa raggiunge il suo massimo potere
e sembra avere una vita tutta sua.
[b] Dopo un minimo di 48 respiri Pranayama 31, il seguente dettaglio tecnico
può essere applicato: le sopracciglia sono gentilmente sollevate, le palpebre
sono chiuse o chiuse a metà, gli occhi sono volti verso l’alto il più possibile
senza però muovere la testa. La leggera tensione che è percepita nei muscoli
legati ai globi oculari gradualmente scompare e la posizione può essere
mantenuta abbastanza facilmente. Tutto il proprio essere sembra contenuto
nella Fontanella (alcuni affermano che questo è il vero Shambhavi Mudra).
Procedendo in tal modo, un kriyaban avrà prima o poi l'impressione di
attraversare un stato mentale che assomiglia all'addormentarsi, poi
riacquistare improvvisamente la piena consapevolezza e scoprire di star
nuotando nella luce spirituale. È come quando un aeroplano emerge dalle nubi
nel chiaro cielo trasparente. Il Kriya Pranayama in queste due fasi è di solito
praticato 24-60 volte. In certe occasioni (una volta alla settimana per
esempio, durante una meditazione più lunga) si possono aggiungere più
ripetizioni. Queste sono sempre contate di dodici in dodici. Coloro che hanno
praticato il Kriya per molti anni possono facilmente praticare 144 ripetizioni
durante ciascuna routine.
31
Questo può avvenire solo dopo almeno due anni di pratica Kriya e sotto la guida di
un esperto maestro di Kriya.

121
Navi Kriya

Con lo stesso metodo descritto nella tecnica Om Japa e senza tentare di


controllare il respiro, la consapevolezza sale lungo la spina dorsale. Il Mantra
Om (ooong) è posto nei primi cinque Chakra, nel Bindu e nel Kutastha. Poi il
mento è abbassato sulla cavità della gola. Le mani sono unite con le dita
intrecciate, palme in basso e i polpastrelli dei pollici che si toccano. Om è
cantato 75 volte (un calcolo approssimato va benissimo) nell'ombelico sia a
voce che mentalmente. I pollici premono leggermente l'ombelico per ciascun
Om. Man mano che si procede con la tecnica, si percepisce che una calma
energia si raccoglie nella parte medio bassa dell’addome (la corrente pranica
che vi risiede è chiamata Samana). Il mento è poi sollevato senza esercitare
troppa forza; tuttavia i muscoli della nuca sono contratti. La concentrazione
va prima nel Bindu e poi nel terzo Chakra (muovendosi giù in linea retta,
fuori dal corpo). Le dita sono intrecciate dietro, questa volta il palmo delle
mani è rivolto verso l’alto, e a ciascun canto del Mantra, i pollici praticano
una pressione leggera sulle vertebre lombari. Om è cantato – o con la voce, o
mentalmente - approssimativamente 25 volte nel terzo Chakra. Il respiro non
è in alcun modo coordinato con il canto di Om. La posizione normale del
mento è poi ripristinata e Om è cantato mentalmente in ordine inverso dal
Kutastha al Muladhar. Questo è un Navi Kriya (dura circa 140-160 secondi).
Un kriyaban ripete il Navi Kriya quattro volte.

Pranayama mentale

Per entrare il più facilmente possibile in una perfetta immobilità fisica e


mentale si fanno tre respiri profondi, ciascuno che termina con un’espirazione
veloce e completa come un sospiro. La spina dorsale è immaginata come un
tubo lungo il quale la consapevolezza sale e scende, fermandosi in ciascun
centro spinale. La sillaba Om (ooong) può essere cantata mentalmente in
ciascun Chakra. Comunque talvolta è preferibile limitarsi a porre tutta la
propria attenzione in ciascun Chakra incominciando col primo, poi dopo circa
10-20 secondi passare al secondo, terso … e così via. I Chakra sono come
dei nodi che possono essere sciolti "toccandoli" con la concentrazione; il
segreto è di mantenere la consapevolezza in ciascuno di essi fino a percepire
una particolare sensazione di dolcezza, come se quel Chakra si stesse
"sciogliendo". Completata la salita al Bindu, incomincia la discesa
soffermandosi in ciascun Chakra. Oltre alla sensazione di qualcosa che si
scioglie, si può anche percepire la sottile irradiazione che si origina da ciascun
Chakra e che è rivolta verso il corpo. Questo è solo un fatto di pura

122
consapevolezza, un naturale sentire che conduce alla realizzazione che i
Chakra sostengono la vitalità di ciascuna parte del corpo. Talvolta, si
percepisce una luce nella parte superiore della testa ed il kriyaban continua a
concentrarsi per molto tempo su di essa senza provare alcuna fatica.
Il processo di salire e scendere attraverso i Chakra è portato avanti fintanto
che è agevole. (Un giro completo dura 2-4 minuti.) Questa è la parte più bella
della routine. Un kriyaban non ha la sensazione di star praticando una
particolare tecnica, ma gioisce di momenti di dolce rilassamento. Questo è il
momento in cui un profondo silenzio mentale si stabilisce nella coscienza e
nel corpo. Tranquillità, "Sthir Tattwa" (Prana calmo, statico) è sperimentato
nel settimo Chakra. Lahiri Mahasaya chiamò questo stato Paravastha or
Kriyar Paravastha – "lo stato che si manifesta dopo la azione del Kriya".
Se, per mezzo del puro potere della volontà, tale stato fosse richiamato alla
consapevolezza il più possibile, in mezzo alle attività della giornata, i risultati
sarebbero straordinari.

Yoni Mudra

La notte, prima di andare a letto, si incomincia la pratica calmando l’intero


sistema psicofisico con una breve routine Kriya (alcuni respiri Pranayama
come pure una breve pratica di Navi Kriya). Dopodiché con una profonda
inspirazione si solleva l’energia nella parte centrale della testa. Se uno ha
raggiunto il Kechari Mudra, preme fermamente la lingua sul punto più alto
all’interno della faringe nasale - altrimenti lascia la lingua nella sua normale
posizione rilassata.
Si chiudono le "aperture" della testa - gli orecchi con i pollici, le palpebre con
gli indici, le narici con i medi, le labbra con l’anulare e il mignolo - in modo
che tutta l'energia "illumini" il Kutastha. Durante tutta la pratica, i gomiti
sono paralleli al suolo e puntano verso l'esterno. Si può usare un sostegno, se
necessario in modo che essi non scendano.
Durante questa speciale azione di osservare la luce, gli indici non devono
premere sugli occhi, nel modo più assoluto - questo è dannoso e, in ogni caso,
di nessuna utilità! Se un kriyaban, per qualsiasi motivo, non si trova a proprio
agio a causa della pressione esercitata dalle dita sulle palpebre, le tira in giù
con gli indici e applica pressione sugli angoli degli occhi – o sulla parte
superiore degli zigomi.
Trattenendo il respiro e ripetendo mentalmente diverse volte Om (Ooong), si
osserva la luce dell’"occhio spirituale" che va raccogliendosi ed aumentando
di intensità. La luce si condensa in un anello dorato. Il respiro è trattenuto
finché ciò è confortevole, finché la necessità di espirare richiama l'attenzione.
La pratica è completata dopo essere scesi con la consapevolezza lungo la

123
spina dorsale. Lo Yoni Mudra si esegue, normalmente, una volta sola.

Osservazione importante
Inspirare profondamente e poi trattenere il respiro causa un senso di disagio
dopo pochi secondi. Ecco un piccolo suggerimento su come diminuire il
disagio e rendere possibile l'approfondimento della pratica.
Alla fine di una moderata inspirazione (non la tipica del Pranayama, ma una
molto breve), si chiudono fermamente tutte le aperture della testa tranne le
narici, si lascia uscire una piccola quantità di aria, poi immediatamente si
chiudono le narici. Si rilassano i muscoli del torace come se si volesse
incominciare una nuova inspirazione: ciò dà la sensazione che il respiro sia
divenuto calmo nella zona che va dalla gola al Kutastha.
In questa situazione, la concentrazione sul Kutastha e la ripetizione di Om per
diverse volte, può essere portata avanti e goduta al meglio.
L'istruzione tradizionale è aumentare il numero delle ripetizioni di Om di una
al giorno, fino ad un massimo di 200. Naturalmente, il forzare deve sempre
essere evitato.

Routine completa

Una routine completa potrebbe essere:


Talabya Kriya ► Om Japa ► Maha Mudra ► Pranayama [12-24] ► Navi
Kriya► mental Pranayama ► Yoni Mudra. Yoni Mudra conclude questa
routine quando tutto è praticato di notte.
Se la seduta è praticata in un'altra occasione, la seduta di meditazione termina
col Pranayama mentale e un'altra breve meditazione è aggiunta di notte,
proprio prima di dormire e dopo aver calmato i pensieri e rilassato il corpo
con alcuni respiri profondi. Si pratica solo lo Yoni Mudra. Poi uno rimane il
più a lungo possibile concentrato nel Kutastha. Molti kriyaban riferiscono che
è proprio in questo momento che la loro esperienza del suono interiore Omkar
è la più bella, chiara, profonda. Ci sono molte varianti a questa routine. Il
Navi Kriya prima del Pranayama è ottimo. Yoni Mudra e Maha Mudra
possono essere praticati tra il Pranayama e il Pranayama mentale.

124
APPENDICE: ULTERIORI INFORMAZIONI

Posizione adatta alla meditazione

Secondo Patanjali, la posizione dello Yogi [Asana] deve essere stabile e


comoda.
La maggior parte dei kriyaban si trova a proprio agio praticando il cosiddetto
Mezzo-loto. Questa posizione è usata per la meditazione da tempo
immemorabile perché fornisce una posizione seduta comoda, molto facile da
ottenersi.
Il segreto è di mantenere una spina dorsale eretta sedendo sul bordo di uno
spesso cuscino in modo tale che le natiche siano leggermente sollevate.
Sedete a gambe incrociate mentre le ginocchia stanno sul pavimento.
Sollevate il piede sinistro e portatelo verso il corpo in modo che la suola del
piede sinistro aderisca comodamente all'interno della coscia destra. Attirate il
tallone del piede sinistro il più possibile verso l'inguine. La gamba destra è
piegata al ginocchio ed il piede destro è posto sopra la piega della gamba
sinistra. Il ginocchio destro è abbassato il più possibile verso il pavimento. La
migliore posizione per le mani è con dita intrecciate come si può osservare
nella famosa foto di Lahiri Mahasaya. Ciò crea un buon equilibrio di energie
dalla mano destra alla sinistra e viceversa. Le spalle sono in posizione
naturale, la testa, il collo, il torace e la spina dorsale si trovano in una linea
diritta come se fossero una sola cosa.
Quando le gambe sono stanche, scambiate i loro ruoli in modo di prolungare
la durata della posizione.
In certe situazioni delicate - mi riferisco a problemi di salute o a particolari
condizioni fisiche - può essere provvidenziale praticare il mezzo loto su una
sedia, purché non abbia braccioli e sia abbastanza grande. In questo modo,
una gamba alla volta può essere abbassata e l'articolazione del ginocchio
rilassata!
Di difficoltà media è Siddhasana (Posa Perfetta): la pianta del piede
sinistro è posta contro la coscia destra mentre il tallone preme sul Perineo. Il
tallone destro è posto contro l'osso pubico. Questa posizione delle gambe,
abbinata al Kechari Mudra, chiude il circuito pranico e rende il Pranayama
facile e proficuo. Si spiega che questa posizione aiuta a divenire consapevoli
dei movimenti del Prana.
Nella difficile posizione Padmasana il piede destro è posto sulla coscia
sinistra ed il piede sinistro sulla coscia destra con le piante dei piedi rivolte
verso l’alto. Si spiega che, accompagnata dal Kechari e dal Shambhavi
Mudra, questa posizione crea una condizione energica nel corpo adatta a
produrre l'esperienza della luce interna che proviene da ciascun Chakra. Essa

125
aiuta a mantenere il torso eretto quando, con il raggiungimento del profondo
Pratyahara, esso tende a piegarsi o a cadere. Sedere in Padmasana (posizione
del loto) è incomodo per un principiante, le ginocchia e le caviglie danno un
dolore intenso.
Personalmente, non consiglio a nessuno di eseguire questa difficile
posizione. Ci sono yogi che hanno dovuto farsi togliere la cartilagine dalle
ginocchia dopo che per anni avevano imposto alle loro membra la posizione
Padmasana.

Maha Mudra

Il Maha Mudra è una delle tecniche base del Kriya Yoga. È una posizione
fisica unita ad un esercizio di respirazione da essere eseguito immediatamente
prima di sedersi per la meditazione Kriya. (Alcuni sostengono l'utilità di
praticare il Maha Mudra un'ulteriore volta dopo il Kriya per distribuire
uniformemente l'energia in tutte le parti del corpo.) Il Prana localizzato nella
colonna spinale è sollevato in testa, allora il corpo e la mente sono riempiti di
euforia e vitalità. Ciò aiuta ad equilibrare le attività degli emisferi sinistro e
destro del cervello e a rendere mente e corpo più stabili nella meditazione.
Di solito si raccomanda che per ogni 12 Pranayama, sia eseguito un Maha
Mudra. Purtroppo, avendo ascoltato vari kriyaban, posso affermare che è un
miracolo trovarne uno che pratica le tre ripetizioni previste. Ci sono persone
che s’illudono di praticare correttamente il Kriya senza mai praticare neanche
un solo Maha Mudra! È chiaro che, privandosi permanentemente di esso e
vivendo una vita sedentaria, la spina dorsale diviene meno elastica. Col
passare degli anni le condizioni peggiorano e diviene quasi impossibile
mantenere per più di alcuni minuti la posizione corretta di meditazione – ecco
perché il Maha Mudra è così importante per un kriyaban.

Om Japa

Alcuni non comprendono la sottile differenza tra Om Japa e il Pranayama


mentale. Praticare Om Japa, prima del Pranayama, serve a stimolare
fortemente ciascun Chakra. Ci si ferma in ciascun Chakra per pochi istanti,
giusto il tempo di farvi vibrare il Mantra. Nel Pranayama mentale uno
assume un atteggiamento più passivo, predisposto più a percepire che a
stimolare e, sopra tutto, si sofferma in ciascun Chakra molto più a lungo.

Osservazioni sul Kechari Mudra

Dopo mesi di pratica regolare del Talabya Kriya, un kriyaban può ritenere

126
che la situazione sia matura per tentare di raggiungere il Kechari Mudra. La
verifica decisiva è controllare se la punta della lingua riesce a toccare l'ugola.
Nel caso positivo, allora per alcuni minuti al giorno, la base della lingua è
spinta verso l'interno usando le dita finché la punta della lingua va oltre
l’ugola e tocca il palato duro sopra essa. Un giorno, rimuovendo le dita, la
punta della lingua rimarrà come "intrappolata" in quella posizione. Ciò è
possibile in quanto il palato molle (la parte da cui pende l'ugola) è elastico e la
punta della lingua riesce ad entrare per un centimetro nella faringe nasale
creando come un uncino il quale impedisce che essa scivoli fuori e ritorni
nell'usuale posizione rilassata.
Questo è il momento di svolta. Da allora in poi, sforzandosi ogni giorno di
praticare almeno 6-12 Pranayama con la lingua in questa posizione - sebbene
con qualche inconveniente come per esempio un aumento della salivazione,
inghiottire e conseguente interruzione per ripristinare la posizione - il vero
Kechari verrà raggiunto. Dopo circa due settimane di pratica in questo modo e
con l'aiuto di un certo sforzo mentale e fisico, la lingua entrerà completamente
nel cavo della faringe nasale nel palato superiore. Nella cavità ci sarà ancora
spazio sufficiente per inspirare ed espirare attraverso il naso. Il senso
d’irritazione e l’aumento della salivazione saranno superati e da allora la
pratica del Pranayama col Kechari Mudra sarà facile e confortevole. Dopo
alcuni mesi di pratica indefessa, uno può perfezionare ulteriormente questo
Mudra. Avviene infatti che, a un certo momento, la lingua arriverà al punto di
confluenza del passaggio nasale entro la cavità del palato. Il tessuto soffice
sopra i fori nasali è descritto nella letteratura Kriya come un' "ugola sopra
l'ugola". Col tempo, la punta della lingua toccherà questa piccola zona e ci
rimarrà attaccata facilmente.

Pranayama col Kechari Mudra

Durante il Pranayama col Kechari Mudra, la espirazione ha un suono molto


bello come di un flauto. È come un lieve fischio che nasce nella faringe
nasale. Alcune scuole lo chiamano il Shakti Mantra.
Lahiri Mahasaya lo descrisse come «simile a quando uno soffia aria attraverso
il buco della serratura.» Dice che è come «un rasoio che taglia tutto ciò che è
collegato con la mente». Esso ha il potere di eliminare ogni fattore esterno che
disturba, pensieri inclusi e appare nel momento massimo del rilassamento.
Uno può farsi una idea di come dovrebbe essere questo suono tenendo tra le
labbra il bordo di un foglio di carta e soffiando gentilmente. Nota: il più
piccolo tratto di ansietà o agitazione ha il risultato di far svanire
immediatamente questo suono.
Praticare il Pranayama in questo modo e gioire degli effetti che ne

127
conseguono, rappresenta una esperienza incantevole, straordinaria di
meditazione. Esso rappresenta uno dei migliori momenti della vita di un
kriyaban. La modestia è sempre la benvenuta, ma quando questo risultato è
realizzato, un'euforia positiva (come se uno avesse trovato la lampada magica
di Aladino) non può essere trattenuta.
Nel letteratura Kriya c'è una frase che descrive che se uno ha realizzato un
Pranayama perfetto, può ottenere tutto attraverso di esso. Bene, se vogliamo
pensare ad un Pranayama ideale, senza difetti, il Pranayama con il Kechari
Mudra e il suono del flauto corrisponde al nostro ideale.

Navi Kriya

La seguente variante del Navi Kriya è molto gradevole.


Mentre tutti gli altri dettagli fino all'azione di piegare la testa in avanti
rimangono immutati, il Mantra Om è cantato alternativamente tra il Kutastha
e l’ombelico. (Om nel Kutastha, Om nell’ombelico, Om nel Kutastha, Om
nell’ombelico…) Poi, Om è cantato alternativamente tra il Bindu e il terzo
Chakra. Come di norma, 4 cicli di Navi Kriya costituiscono la dose ottimale.
Nel capitolo II/3 un'altra, molto importante variante del Navi Kriya è
introdotta. A mio avviso, un autentico Navi Kriya dovrebbe includere sia la
concentrazione sull'ombelico che sul terzo Chakra: concentrarsi solo sul terzo
Chakra non è compatibile con il Kriya di Lahiri Mahasaya. Dirò di più: esso è
il risultato della mania di eliminare ogni concentrazione in zone esterne alla
spina dorsale o alla testa. Molti praticanti non muovono la loro
consapevolezza di un solo centimetro fuori dalla colonna spinale temendo che
con ciò la pratica divenga meno "spirituale"!
In realtà, la concentrazione sull'ombelico è estremamente importante.
L'ombelico è la leva specifica per stimolare la corrente Samana che ha una
funzione equilibratrice la quale aiuta a trasformare la natura del respiro.
Questa concentrazione è la porta del cosiddetti "Kriya del respiro calmo".
Questo chiarimento proviene da Lahiri Mahasaya ed è inutile cercarlo nei libri
classici di Yoga come: Hatha Yoga Pradipika, Gheranda Samhita e Shiva
Samhita.
Ogni tentativo di giustificare il Navi Kriya facendo ricorso a Patanjali è
goffo. Negli Yoga Sutra [in qualche edizione è il Sutra III/29 in altre III/30] è
scritto: nābhicakre kāyavyūhajñānamḥ che è tradotto: «concentrandosi
sull'ombelico, il ricercatore ottiene conoscenza sui diversi organi del corpo e
sulla loro disposizione.» Di certo questo non ha nulla a che fare col Kriya
Yoga!

128
Pranayama mentale

Non si deve mai dimenticare di dare la massima importanza alla fase


distensiva e confortante del Pranayama mentale. Una routine di Kriya che
non termina con il Pranayama mentale è come un complesso musicale che
abbia accordato gli strumenti e poi abbandoni il palcoscenico! È la fase che
porta tutti ad unificarsi in armonia; le increspature nel lago della mente si
placano, la consapevolezza diviene trasparente, e la Realtà Ultima è rivelata.
È una calma diffusa; la mente è placata ed in silenzio e guadagna l'energia
necessaria per essere più acuta e vigile.
È come una spirale, che gradualmente e sistematicamente si prende cura di
tutti i livelli dell'essere: è un processo di guarigione. Il suo valore si manifesta
durante i momenti difficili della vita quando dobbiamo prendere una
importante decisione. Si ha l'impressione che nulla possa interferire e che
anche le più grandi difficoltà si dissolvano. Entro la perfetta trasparenza di un
ordine interiore, tutti i problemi sono risolti.

Yoni Mudra

Lahiri Mahasaya teneva lo Yoni Mudra in grande considerazione. Per


mezzo di esso si sperimenta il raggiante aspetto di luce di Omkar che rivela il
sentiero verso la dimensione spirituale. Il Kutastha - tra le sopracciglia - è il
luogo dove l'anima individuale ebbe la sua origine e dove l'Ego deve essere
dissolto. L'obiettivo fondamentale di questo Mudra è vedere e conoscere la
luce che illumina il mondo creato. Si spiega che unendo la mente a questa
luce, si realizza il Sè. Ci sono tre livelli nello Yoni Mudra. Il primo è
raggiunto quando ci si fonde con la raggiante Jyoti (luce) tra le sopracciglia.
Nel secondo livello, la mente si svuota del mondo esterno. Si sperimenta un
punto straordinariamente scuro. La mente si calma e va sempre di più in
profondità. L'ultimo livello è quando non c'è né luce né oscurità. Quello che
prima sembrava scuro ora si trasforma in Calma Assoluta. Questa è l'ultima
tappa dove un kriyaban sperimenta la quiete prenatale.
Alcuni insegnanti credono che durante il giorno non si dovrebbe praticare lo
Yoni Mudra. In realtà si può benissimo! Comunque, la tecnica è praticata al
meglio nella calma profonda della notte, in un rilassamento perfetto e totale.
Lo Yoni Mudra genera una tale concentrazione di energia nel Kutastha che
cambia in meglio la qualità del sonno che segue. Dopo aver attraversato gli
strati del subconscio, la coscienza potrà toccare il cosiddetto stato
"supercosciente"

129
CAPITOLO II/02 KRIYA SUPERIORI

La fasi del sentiero Kriya che stiamo per trattare sono di importanza
straordinaria: il soggetto non è difficile da comprendere, piuttosto la sua
applicazione pratica richiede una estrema delicatezza.
I Kriya superiori dovrebbero sempre cooperare a stabilire uno stato base di
armonia e calma. Gli effetti positivi di pace, gioia interiore e il fatto di riuscire
a calmare il respiro e ascoltare i suoni interiori (che sono una manifestazione
della realtà Omkar) dovrebbero aumentare sempre. Nel caso opposto significa
che uno non è ancora pronto a procedere a questo stadio della pratica o che
non sta seguendo le istruzioni correttamente! È necessaria una certa maturità
come anche estendere il proprio impegno spirituale all’intera giornata. È
importante sottolineare quanto sia importante liberarsi dai propri
atteggiamenti erronei e fare affidamento anche a semplici ma essenziali
pratiche come il Japa.
Tenere la mente sempre in sintonia con un stato di calma, la quale fiorisce
(durante i momenti liberi dal lavoro) in un stato estatico di silenzio mentale, è
il modo più sicuro per far tesoro di questi insegnamenti.
La pratica dei Kriya superiori avviene sempre dopo il Navi Kriya e il
Pranayama, all’interno di una routine come quella descritta nel capitolo
precedente. L’unica eccezione a questa regola è quando il kriyaban è un
esperto e riesce a creare in pochi istanti una buona condizione
d’interiorizzazione e ad entrare in modo dolce nella dimensione dei Kriya
superiori con un respiro che rimane calmo mentre il senso di beatitudine
continua ad aumentare.
Per quanto riguarda le dosi specifiche previste per i Kriya superiori (come
ci sono state tramandate dalla tradizione), un kriyaban può deviare da esse,
scegliere la quantità di ripetizioni che considera necessaria e ottenere
comunque notevoli risultati. Il sentiero del Kriya è un cammino attraverso il
quale acquistiamo sempre più libertà e quindi sarà sempre un'esperienza
gioiosa: non deve essere vissuto come un’amara costrizione.

Secondo Kriya

Prima tecnica: Omkar Pranayama


In questa tecnica sono potenzialmente contenuti tutti i Kriya superiori.
Effettivamente, ogni ulteriore Kriya può essere considerato un'espansione di
essa.
È un vero gioiello, rappresenta la quintessenza della bellezza: con essa il
tempo vola senza accorgersi e quello che potrebbe sembrare essere un
compito spossante (108 o 144 ripetizioni per esempio) risulta essere facile

130
come un momento di riposo. All'inizio, essa potrebbe sembrare un po'
complicata. Nel processo di perfezionare i diversi dettagli tecnici, la saggezza
e buon senso sono richiesti. Ogni dettaglio dovrebbe essere introdotto
gradualmente, così che esso non disturbi l'armonia del quadro generale.

[1] Inspirazione ed espirazione sono divise in sei + sei parti. Le sillabe del
Mantra Sanscrito "Om Namo Bhagavate Vasudevaya" sono cantate nei
Chakra 32 facendo una breve pausa in ciascuno.
Durante il primo "sorso" della inspirazione, la concentrazione è sul Muladhar,
dove la sillaba Om è posta idealmente; durante il secondo "sorso", la
concentrazione è sul secondo Chakra, dove la sillaba Na è posta idealmente...
e così su, finché Ba è posta nel Bindu e l'inspirazione è completata.
Similmente, l'espirazione è divisa in sei parti ben marcate come pulsazioni:
durante la prima di queste parti, la sillaba Te è posta nel Midollo; durante il
secondo, la sillaba Va è posta nel quinto Chakra.... e così via.... Su... De... Va,
finché Ya è detto mentalmente nel Muladhar.
Alla fine dell'inspirazione, il respiro è mantenuto per 2-3 secondi. La
consapevolezza fa una completa rotazione in senso antiorario lungo la corona
della testa, entro il cervello, cominciando dalla regione occipitale e là
ritornando. La testa accompagna questo movimento interno con un quasi
impercettibile movimento di rotazione (piegandosi leggermente indietro, poi a
destra, davanti, a sinistra e in fine indietro).
Durante una pausa di due secondi alla fine dell'espirazione, la consapevolezza
fa un giro completo, antiorario entro il Muladhar.
Il tempo di un respiro con le pause (o-o-o-o-o-o + iii-iii-iii-iii-iii-iii) dipende
dall'individuo: di solito è circa 15-20 secondi, ma può essere più lungo.
[2] Le mani con le dita intrecciate sono appoggiate sull'addome. Salendo
col canto mentale di Om, Na, Mo... uno ha la sensazione di viaggiare nella
spina dorsale. Alla fine della pausa in alto, si sente che il centro della sua
consapevolezza è posto idealmente "dietro" la testa. Dopo aver pensato Te nel
Midollo, si percepisce che le successive sillabe discendenti Va, Su, De, Va, Ya
sono poste in ciascun Chakra come da "dietro." Detto con parole più semplici:
la consapevolezza sale internamente alla colonna spinale e scende lungo la
parte posteriore.
[3] Durante l'inspirazione i muscoli alla base della colonna spinale sono
contratti leggermente. Questa contrazione è mantenuta fino alla fine
dell'inspirazione e durante la seguente breve pausa, poi è rilassata e
l'espirazione comincia.
32
Di sicuro il lettore conosce la pronuncia corretta del Mantra, perciò non aggiungo
alcun simbolo fonetico. Notiamo che nel Bindu non pensiamo Va ma Ba: questa
convenzione si è stabilita attraverso gli anni.

131
I dettagli sopra menzionati sembrano complicati ma questo è solo un modo
per mettere in moto il processo; poi l'esperienza si approfondisce da sola e
tutte le complicazioni svaniscono. Da un certo momento in poi, tutti i dettagli
fisici sono vissuti in un modo molto sottile:

Il respiro produce solamente un lieve, debole suono nella gola (o nella faringe
nasale se sta praticando con il Kechari Mudra) oppure anche fluisce senza
alcun suono; la contrazione dei muscoli alla base della colonna spinale è
gradualmente sostituita da una "pressione mentale"; il movimento della testa è
solo accennato e poi sparisce quando viene a stabilirsi una perfetta
immobilità; la rotazione antioraria della consapevolezza attorno alla corona
della testa sembra abbassarsi all'interno e toccare anche il Midollo allungato,
avvolgendosi attorno ad esso.

Seconda tecnica: Thokar

Thokar significa aggiungere all’Omkar Pranayama dei particolari


movimenti della testa. Con il mento abbassato sul petto, un kriyaban pone la
sua mente nel Sushumna, inspira sollevando la consapevolezza lungo la
colonna spinale, toccando il nucleo di ciascun Chakra con le sillabe del
Mantra (la sillaba Om è posta nel primo Chakra, Na nel secondo, Mo nel
terzo, Bha nel quarto...) - simultaneamente il mento è sollevato come a
seguire il movimento interiore. Durante l’inspirazione, i muscoli alla base
della colonna spinale sono contratti. Quando il mento è sollevato, parallelo al
suolo, l’inspirazione finisce e la percezione si trova in Bindu. Il respiro è
trattenuto, la contrazione dei muscoli è mantenuta. Descriviamo ora come
viene fatta una completa rotazione antioraria della testa, seguita da un
movimento brusco della testa per mezzo del quale il mento è portato verso il
centro del petto.
La testa comincia la sua rotazione muovendosi verso la spalla sinistra
(l’orecchio sinistro viene avvicinato alla spalla sinistra, la faccia non si gira né
a destra né a sinistra, inoltre il movimento non prevede alcun sobbalzo), Te è
pensato nel Midollo allungato. La testa s’inchina leggermente indietro e,
tracciando un arco, raggiunge la spalla destra (l’orecchio destro si avvicina
alla spalla destra), la sillaba Va è pensata nel Chakra cervicale.

132
Figura 5. Movimenti della testa nella forma base del Thokar

La rotazione prosegue, la testa viene in avanti e si muove verso sinistra


ritornando al punto dove la rotazione era incominciata, quindi l’orecchio
sinistro si avvicina alla spalla sinistra (la faccia è sempre rivolta in avanti). Da
qui il mento va in giù diagonalmente a colpire il centro del torace mentre
simultaneamente Su è pensato nel Chakra del cuore.
Per mezzo di quest'ultimo movimento, si percepisce nel Chakra del cuore una
specie di colpetto ben preciso.
Col tempo, questo aiuterà a vedere il "vero" Bindu che è il punto o la stella
entro il terzo occhio. La consapevolezza rimane ferma in tale zona per un
secondo o più, tanto quanto basta per percepire un'"irradiazione" che parte da
tale Chakra. La mente è quieta nello stato contemplativo. Con questo Kriya
dei livelli profondi di percezione del suono interiore di Om si manifesteranno
e assorbiranno la consapevolezza.
La contrazione alla base della spina dorsale è rilassata; per mezzo di una
espirazione molto sottile le rimanenti sillabe sono "poste" nei primi tre
Chakra: De nel terzo, Va nel secondo, Ya nel primo Muladhar. Durante ciò la
testa è di solito tenuta abbassata.
La durata di questo processo è di circa 24 secondi. Per alcune settimane il
kriyaban è guidato a ripetere questa tecnica 12 volte al giorno. Poi è istruito
ad aumentare gradatamente le ripetizioni. Ciascuna settimana può aggiungere
sei ripetizioni. La tradizione orale tramandata da insegnante a discepolo, è di
aumentare il numero delle ripetizioni fino a 200 (esse possono essere divise in
due o più sedute al giorno). Aumentando il numero delle ripetizioni, i
movimenti della testa descritti precedentemente sono solo accennati: il mento
non si avvicina molto al petto e il colpo sul quarto Chakra è raggiunto
principalmente dal puro potere della concentrazione mentale. Un approccio

133
molto saggio è costituito dallo stabilirsi nella ripetizione quotidiana di 36
ripetizioni senza oltrepassare questo numero.

Coloro che si imbarcano in questa avventura, dovrebbero eseguire i


movimenti della testa in un modo molto delicato.
Un esperto insegnante di Kriya controlla che il colpo fisico non sia forte. Non
si dovrebbe permettere che il peso della propria testa spinga il mento verso il
petto: in questa condizione, il movimento fisico è decisamente troppo potente
e dannoso per la testa e per il collo. Quindi, uno sforzo fisico particolarmente
attento è volto ad abbassare il mento, resistendo contemporaneamente alla
forza di gravità, concludendo con un leggero sussulto che è percepito
intensamente all’interno del quarto Chakra. La presenza di problemi fisici (le
vertebre cervicali sono molto sensibili!) può richiedere che egli si fermi per
alcuni giorni o che pratichi a giorni alterni. È molto meglio incrementare il
numero delle ripetizioni solo dopo molto tempo, piuttosto che fronteggiare la
prospettiva di sperimentare dolore in testa e nel collo durante l’intera
giornata!

Il fiorire dello stato di assenza di respiro dopo il Thokar

Spero che richiamare una teoria che è spesso citata nella letteratura sul
Kriya non disturbi; non sono sicuro che essa provenga da Lahiri Mahasaya
stesso, nondimeno vale la pena almeno di citarla.
Ricordiamo, anzitutto, che per Patanjali, Pratyahara è il ritiro dei sensi che
avviene quando la consapevolezza è scollegata dalla realtà esterna; Dharana è
concentrazione, focalizzare la mente su un oggetto scelto; Dhyana è
contemplazione, la persistenza di un'azione di concentrazione come un
costante, ininterrotto flusso di consapevolezza che esplora pienamente tutti gli
aspetti dell'oggetto scelto; Samadhi è perfetto assorbimento spirituale,
contemplazione più profonda nella quale l'oggetto della meditazione diviene
inseparabile da colui che medita.
Nel Kriya, dove chiacchiere inutili e le parole vuote sono sempre evitate,
Pratyahara è identificato con lo stato dove il respiro è molto calmo e anche
l'interiorizzazione della consapevolezza è molto marcata; Dharana è il suo
esito in cui il respiro è quasi inesistente; Dhyana è associato con lo stato di
assenza di respiro; Samadhi con il rallentamento del ritmo cardiaco mentre il
corpo appare come morto.
Ora, secondo una tradizione, la ripetizione di 12 Pranayama è sufficiente per
arrivare allo stato di Pratyahara; la ripetizione di 144 Pranayama è sufficiente
per arrivare allo stato di Dharana; la ripetizione di 1728 Pranayama (in una
sola seduta!) è sufficiente per arrivare allo stato di Dhyana; la ripetizione di

134
20736 Pranayama (in una sola seduta!) è sufficiente per arrivare allo stato di
Samadhi.
Si spiega (una teoria davvero attraente - se non è del tutto vera, comunque è
ben pensata!) che i Kriya superiori vengono insegnati proprio per evitare di
star seduti per tale lungo tempo e raggiungere in meno tempo gli stati di
Dhyana e Samadhi.
Fermandoci al Secondo Kriya, si spiega che la forte concentrazione ottenuta
con Omkar Pranayama e Thokar favorisce lo stato di Dhyana e quindi lo stato
di assenza di respiro!
Se, dopo aver praticato 12 Pranayama, 12 Omkar Pranayama e 12 Thokar,
tale stato non si manifesta spontaneamente, allora un kriyaban, dopo aver fatto
dei respiri profondi e cercato un rilassamento assoluto 33 usa il Pranayama
mentale per ottenere tale stato.
Pazienza e incessante attenzione sono due regole assolute, da rispettare per
aver successo. Improvvisamente non sentirà affatto bisogno di respirare e tale
stato durerà un tempo molto lungo, più lungo di quanto potrebbe essere
accettato dalla scienza. Chi pratica incontrerà probabilmente quella che è la
sorpresa più grande della sua vita. Da quel momento si dedicherà al Kriya con
più grande intensità e cercherà di vivere con la coscienza sempre vigile e
calma.
Il Terzo Kriya che ora andiamo a trattare andrebbe praticato solo dopo aver
ottenuto questo stato, anzi, dopo averlo goduto per lungo tempo.

Terzo Kriya

Un kriyaban inspira come nel Secondo Kriya. Trattenendo il respiro al


termine dell’inspirazione, ripete diverse volte l’intero insieme dei movimenti
della testa. Le sillabe Te, Va, Su, Te, Va, Su, Te, Va, Su... sono poste nei
luoghi precedentemente descritti.
(Te sempre nel Midollo allungato, Va sempre nel Chakra cervicale e Su
sempre nel Chakra del cuore Anahat.)
La tecnica si conclude esattamente come la precedente: espirando e ponendo
le sillabe De, Va e Ya nei rispettivi Chakra.
Per dare un'idea della velocità dei movimenti, l'intero processo, inspirazione
ed espirazione incluse, con 12 ripetizioni della rotazione della testa (ciascuna
rotazione si conclude con il movimento del mento verso il petto) può durare
circa 70-80 secondi.

33
Talvolta è necessario riprendere alcuni respiri Pranayama per esempio 6 o 12
proprio per riguadagnare una profonda calma. È ovvio che solo in tale condizione uno
può sperare di raggiungere lo stato di assenza di respiro.

135
Per quanto riguarda l'aumento del numero delle rotazioni della testa, ci
sono due schemi che apparentemente sembrano inconciliabili. In realtà, col
tempo, un kriyaban può passare da uno schema all'altro quando la stessa sua
esperienza lo richiede.

Primo schema
La tecnica è ripetuta 12 volte: in ciascun respiro abbiamo 3 ripetizioni del
movimento della testa (dopo l'inspirazione abbiamo i movimenti relativi a Te,
Va, Su, Te, Va, Su, Te, Va, Su poi l'espirazione: questa è una ripetizione della
tecnica). Nel corso del tempo, il numero delle rotazioni della testa entro un
singolo respiro, è aumentato gradualmente fino ad arrivare a dodici rotazioni.

Secondo schema
La tecnica è eseguita una volta sola ma l’intero insieme di movimenti è
gradualmente aumentato di uno al giorno - sempre trattenendo il respiro! La
letteratura sul Kriya riferisce che qualche esperto kriyaban è capace di
praticare 200 rotazioni (200 insiemi di movimenti della testa, ciascuno
collegato col canto mentale di Te, Va, Su). Evidentemente 200 è il limite
massimo, insuperabile!

Punto chiave

Cercare di fare un gran numero di rotazioni, ad alta velocità con l’ossessione


di trattenere il respiro, significa solamente una violenza verso il corpo! Il
modo giusto di praticare questo Terzo Kriya è una questione di realizzazione
interiore - un istinto che viene col tempo.
Aumentando il numero delle rotazioni, i movimenti sono solo accennati e il
mento non arriva molto vicino al petto. Ma il dettaglio decisivo è che,
continuando ad eseguire i movimenti, una minima quantità di aria è lasciata
impercettibilmente uscire attraverso il naso in modo che trattenere il respiro
risulti confortevole. Ne viene la sensazione che il respiro sia dissolto. Questa
esperienza piacevole abbinata alla percezione di un aumento di energia nel
quarto Chakra, portano il kriyaban ad uno stato di lieve euforia. Si ha la
sensazione di poter andare avanti indefinitamente senza la necessità di
respirare.
Coloro che hanno studiato il fenomeno sono dell'idea che il descritto
Kumbhaka non sia perfetto. Avanzano l'ipotesi che un'impercettibile
espirazione avvenga ogniqualvolta il mento si abbassa sul petto ed
un'impercettibile inspirazione si produca quando il mento è sollevato
I kriyaban sottolineano il fatto che l'essenza della tecnica sta nel riempire la
parte superiore del torace e della testa della più grande quantità possibile di

136
Prana - proprio come una brocca può essere riempita d’acqua fino all'orlo.

Nota
Alcune scuole insegnano a fare diverse rotazioni della testa private del colpo
sul petto cercando di sentire l'energia che si raccoglie nel Chakra del cuore.
Solo dopo l’ultima rotazione, avviene il Thokar finale e l’energia è ivi ancor
più intensificata.

Quarto Kriya

Il Gayatri Mantra è considerato essere il veicolo supremo per ottenere


l’illuminazione spirituale. La sua forma più pura è Tat Savitur Varenyam Bhargho
Devasya Dhimahi Dhiyo Yonaha Prachodayat.
(Oh grande Luce Spirituale che hai creato l'Universo noi meditiamo sulla Tua
gloria. Sei l'incarnazione della Conoscenza. Sei Colei che elimina l'Ignoranza. Possa
Tu illuminare il nostro Intelletto e risvegliare la nostra Coscienza Intuitiva.)
Questo Mantra è introdotto o da una breve o da una lunga invocazione.
L’invocazione breve è: Om Bhur, Om Bhuvah, Om Swaha.
I termini Bhur, Bhuvah, Swaha sono delle invocazioni per onorare i piani di
esistenza (fisico, astrale e causale) e rivolgersi alle divinità che presiedono ad essi.
La lunga invocazione è: Om Bhur, Om Bhuvah, Om Swaha, Om Mahah, Om Janah,
Om Tapah, Om Satyam. Quest’invocazione è più completa in quanto riconosce che
ci sono più livelli di esistenza: i sette Loka.
Mahah è il mondo mentale, il piano dell’equilibrio spirituale; Janah è il mondo
della pura conoscenza; Tapah è il mondo dell'intuizione; Satyam è il mondo della
Verità Assoluta, Finale.
Possiamo essere soddisfatti dalla spiegazione secondo la quale questi sono i sette
suoni che attivano i nostri Chakra e li mettono in contatto con i sette grandi regni
spirituali dell’esistenza.
Nella tecnica del Quarto Kriya noi usiamo solamente l’invocazione completa,
non tutte le componenti del Gayatri Mantra.
La tradizione Kriya che stiamo qui seguendo associa al Manipur Om Mahah e
all’Anahat Om Swaha. Il motivo di ciò è da ricercarsi nel fatto che il mondo del
pensiero, evocato da Om Mahah s'addice più alla natura del terzo Chakra, mentre il
mondo causale delle idee pure, evocato da Om Swaha è in relazione con Anahat
Chakra. Per concludere noi associamo un Mantra a ciascun Chakra nel modo
seguente: Muladhar - Om Bhur; Swadhistan - Om Bhuvah; Manipur - Om Mahah;
Anahat - Om Swaha; Vishuddhi - Om Janah; Medulla - Om Tapah; Bindu - Om
Satyam.
(Per quanto riguarda la pronuncia dei Mantra sanscriti, ognuno può trovarla in rete.)
Vediamo dunque di apprendere come, dopo aver sollevato il Prana nel Kutastha,
dopo averlo fissato là, sia possibile sentire i «diversi ritmi dei Chakra».

137
Procedura per principianti
Dopo la pratica del Terzo Kriya, la coscienza è totalmente situata nella luce
che è nata in Anahat Chakra e risplende anche nella regione tra le
sopracciglia. Da lì, una parte dell’attenzione scende nel primo Chakra. Per
mezzo di una breve inspirazione questo Chakra è sollevato idealmente nel
Kutastha per essere qui visto come una "luna" brillante. Il sollevamento
avviene in pochi istanti - non è come il lento sollevarsi dell'energia che
abbiamo incontrato nella tecnica base del Pranayama.
Una concentrazione di Prana è percepita nel Kutastha. Una minima quantità
di aria è lasciata impercettibilmente uscire attraverso il naso, senza disturbare
l'accentramento dell'energia. Con l'attenzione sia nel Kutastha che nella sede
del primo Chakra, il Mantra Om Bhur viene vibrato mentalmente tre volte. Si
ha la chiara sensazione che il respiro sia dissolto, perciò durante questo evento
non c'è né inspirazione, né espirazione.
Qualcosa come un gentile tocco - sia nel Kutastha che nella sede del Chakra -
è percepito con ciascuna ripetizione del Mantra.
Cercando di percepire un ritmo interiore, uno può compiere una lieve
oscillazione della testa (non più ampia di due-tre centimetri) da sinistra a
destra e viceversa. Fatto questo, uno porta l'attenzione sul Chakra successivo
dove la stessa procedura è ripetuta. Usando il Mantra Om Bhuvah, qualcosa
avviene sia nel Kutastha che nella sede del secondo Chakra.
La stessa procedura è ripetuta per ciascun Chakra.
Per il terzo Chakra, Om Mahah è utilizzato; Om Swaha per Anahat; Om
Janah per Vishuddhi; Om Tapah per Bindu.
A questo punto si cambia l'ordine ma Om Tapah non è cantato di nuovo nel
sesto Chakra (Bindu o Ajna); avviene questo: l'energia contenuta nel Midollo
allungato è proiettata nella luce dorata dell'occhio spirituale e Om Satyam è
ivi cantato, tre volte. Poi è la volta del Chakra cervicale (con Om Janah) di
essere sollevato nel Kutastha, poi del quarto Chakra .... e infine del Muladhar
con Om Bhur. Questo è un ciclo, se ne fanno 12.
L'oscillazione della testa è eseguita facoltativamente durante uno o due cicli,
poi il corpo si stabilisce nella perfetta immobilità.

138
Quarto Kriya vero e proprio

Questa pratica è per coloro che solo capaci di raggiungere lo stato senza
respiro e viene scoperta spontaneamente dopo mesi di applicazione del
metodo appena descritto. 34 Il miracolo di questa procedura è che in ciascun
Chakra un paradiso viene rivelato al kriyaban!
L'unico problema è trovare una posizione comoda del corpo che permetta di
rimanere per molto tempo immobile e allo stesso tempo con la spina dorsale il
più diritta possibile.
Tramite una breve inspirazione il primo Chakra è sollevato nel Kutastha.
L'elasticità della gabbia toracica è sciolta e ne consegue un'espirazione molto
lieve. Tutta l'energia rimane nel Kutastha.
Il Mantra Om Bhur è cantato mentalmente nel Kutastha e anche
nell'ubicazione fisica del Muladhar Chakra. Lentamente, senza alcuna fretta,
questo canto prosegue. Tutta l'abilità del kriyaban è di far apparire lo stato
senza respiro. Un esperto sa come indurre questo stato, quale è il miglior
atteggiamento mentale da assumere. Quando viene attivato quel particolare
riflesso, una sensazione meravigliosa è sperimentata. È come se il sole della
perfezione illuminasse la nostra consapevolezza. È un senso di immobilità e
leggerezza, come se il corpo fosse fatto di aria. Questo è accompagnato da
un'unica calma dei polmoni e del cuore. La propria consapevolezza è situata
pienamente in quel Chakra che è percepito come una grande sfera luminosa.
Circa trenta sei ripetizioni di quel Mantra sono eseguite.
Ad un certo momento la consapevolezza percepisce che è venuto il tempo per
spostarsi al prossimo Chakra, dove tutta la procedura è ripetuta, con
inspirazione... scomparsa del respiro... e così via.
C'è un unico "giro" (dodici pause molto lunghe nei Chakra: 1, 2, 3, 4, 5,
Bindu, Medulla, 5, 4, 3, 2, 1).

Note
# Questa pratica non dovrebbe essere interrotta finché il giro è completato,
altrimenti un kriyaban sarà disturbato ad un livello pranico e difficilmente
recupererà lo stato senza respiro durante quella sessione.
34
La struttura della tecnica di questo Quarto Kriya è ben nota in India ed è
considerata il più sottile tra i metodi per recitare il Gayatri Mantra. Con leggere varianti
e ulteriori aggiunte rituali è pubblicata in alcuni libretti. Come fare i conti con la famosa
affermazione (paralizzante per alcuni kriyaban, stimolante per altri) secondo cui il
grande Sri Yukteswar avrebbe concesso l'iniziazione a questa tecnica a pochissimi
discepoli, tanti da contarsi sulle dita di una mano? La differenza è che le istruzioni di
Lahiri richiedono lo stato di assenza di respiro e questo, come ognuno può dedurre, è
tutta un'altra cosa.

139
# Per quanto riguarda il Mantra, uno è libero di usarne uno qualsiasi.
Om, om, om... nel primo Chakra; Na, na, na... nel secondo eccetera, è spesso
usato. Alcuni non usano alcun Mantra e preferiscono semplicemente creare
una sensazione di toccare mentalmente ogni Chakra varie volte tramite la
pura e semplice volontà/intuizione.
# Om Satyam può essere ripetuto nel Kutastha più di 36 volte: 108 - 200
volte.
# Non c'è nessun motivo di essere contrariato se, essendosi "perso per strada",
uno scopre di aver passato tutto il tempo in un Chakra, dimenticando di
spostarsi nel prossimo.
# Di solito, procedendo, si manifesta anche lo stato di assenza del polso, ma il
kriyaban non ne è consapevole eccetto che in un modo indiretto: un aumento
di gioia e rigidità in tutto il corpo. Non ci si agita per questo, altrimenti
l'esperienza finisce.
# Dopo un successo straordinario, ci sono periodi in cui l'esperienza non
avviene, e sembra persino impossibile. Uno deve ritornare suoi propri passi e
praticare questo Kriya nel modo sopra illustrato (per principianti).

140
CAPITOLO II/03 DIVERSE SCUOLE DI KRIYA

Coloro che desiderano solo familiarizzarsi con i concetti elementari del Kriya
dovrebbero tralasciare questo capitolo. Esso descrive le varianti delle tecniche
Kriya. Nulla si può dire della loro origine. Il mio criterio è di condividere quelli che
si sono dimostrati essere dei mezzi efficaci per approfondire la concentrazione nella
spina dorsale e nei Chakra o tuffarsi nella realtà Omkar. È possibile che alcuni fra i
discepoli di Lahiri Mahasaya abbiano insegnato le tecniche da lui ricevuti mescolati
con aggiunte di tantrismo. Alcuni Kriya Acharya (insegnanti) ebbero un rapporto
disinvolto con la verità e non chiarirono qual era la parte non alterata del loro
insegnamento. Forse non lo rivelarono perché pensavano che le loro tecniche
sarebbero state praticate con più grande cura se fossero state prese come Kriya
originale. Dividerò le varianti seguenti in tre gruppi; in ciascuno dei quali verrà
delineata una routine Kriya completa. Esse mostrano diversi approcci per
raggiungere la stessa finale immersione nella realtà Omkar; qualunque sia la scuola
Kriya scelta, se uno la segue onestamente, allora Omkar, la vibrazione
dell'Intelligenza che sostiene l'universo, afferrerà la sua consapevolezza e la guiderà
nelle profondità dell'esperienza mistica, senza alcun pericolo di perdersi.

Nel primo gruppo [A] descriviamo a grandi linee l'insegnamento di una


particolare scuola di Kriya che può essere definite moderata e cauta. 35 Il centro del
suo interesse è come intensificare la sintonia con la dimensione Omkar nell’aspetto
di vibrazione di suono, luce e sensazione di movimento. La sensazione oscillatoria
non è il ben definito movimento Trivangamurari che è descritto nella sezione [C],
ma una forma semplificata di esso.

Nel secondo gruppo [B] descriveremo un insieme di tecniche che sono realmente
intense. Esse contengono dettagli chiave che forzano l'energia entro la spina dorsale
e nel Kutastha. Mentre nella scuola [A] il lavoro di concentrazione nella parte
superiore della testa (Sahasrara) è considerato essenziale, in questa scuola, non è
nemmeno menzionato. La teoria è che quando la consapevolezza entra nella stella
dell'occhio spirituale, allora anche il Sahasrara è raggiunto.

Nel terzo gruppo [C] prenderemo in considerazione un insegnamento che si


discosta decisamente da tutte le altre scuole: esso è basato – questo è la loro
affermazione non confermata - su un insegnamento che Lahiri Mahasaya avrebbe
sviluppato nell'ultima parte della Sua vita. L’esperienza di Omkar come suono e
luce interiori non sono ricercati intenzionalmente (e nemmeno menzionati da alcuni
Acharya appartenenti a tale scuola), mentre la percezione del movimento interiore
Trivangamurari prevale su tutti gli altri aspetti.

35
Motivi di prudenza mi sconsigliano di indicare il nome del suo principale fautore –
voglio evitare polemiche.

141
SEZIONE [A]

Piegamenti in avanti ... Mantenendo la posizione del mezzo loto - o sedendo


sui talloni - dopo aver ispirato come nel Pranayama, ci si flette in avanti; la
testa si avvicina alla regione fra i ginocchi (vedi Figura 4).

Figura 4. Piegamento in avanti, partendo da seduto sui talloni oppure partendo dal
mezzo-loto.

Le mani sono usate come più viene naturale; il respiro è trattenuto. La faccia è
girata verso il ginocchio sinistro così che è possibile percepire una pressione
sulla parte destra della testa; poi la faccia è rivolta verso il ginocchio destro:
una pressione è percepita nella parte sinistra della testa. Poi la faccia è rivolta
in basso così che è possibile percepire una pressione sulla fronte.
Dopo aver completato i tre movimenti, si ritorna nella posizione di partenza
con la schiena raddrizzata. Tramite una lunga espirazione, si guida l'energia in
giù dal Kutastha al Muladhar. È bene ripetere quest’esercizio almeno tre
volte.
La tecnica può essere praticata molto più lentamente e senza trattenere il
respiro. Dopo aver inspirato, ci si flette in avanti; la testa è posta nella regione
fra i ginocchi. Il respiro viene lasciato libero ma l’energia è mantenuta in testa
come se il respiro fosse trattenuto – questa abilità si sviluppa con la pratica.
La testa è avvicinata al ginocchio destro, la faccia è girata verso sinistra. Qui
ci si ferma alcuni secondi (10-30) tentando di percepire non solo una
pressione nella parte destra della testa (il che è facile) ma anche un senso di
movimento, di oscillazione al suo interno. Poi la testa è condotta vicina al
ginocchio sinistro, in posizione simmetrica: la stessa percezione avviene nella
parte sinistra della testa. Poi la testa è posta tra i ginocchi: quelle stesse
sensazioni sono percepite nella parte frontale della testa. Dopo aver
completato i tre movimenti detti, si ritorna nella posizione di partenza con la
schiena raddrizzata. Poi, per completare un ciclo di questo esercizio, si guida
l'energia in giù dalla testa al Muladhar tramite una lunga espirazione.
Ripetendo alcune volte questa posizione, le due parti del cervello vengono,
dal punto di vista energetico, equilibrate: ciò crea equilibrio tra le correnti di
Ida e di Pingala, il cui stato di disequilibrio costituisce la ragione principale
del blocco esistente alla base della spina dorsale.

142
Maha Mudra ... Per quanto riguarda il Maha Mudra vero e proprio,
riferiamoci alle istruzioni di base viste nel capitolo precedente. Quando la
gamba destra è distesa, la mano destra afferra le dita del piede destro e la
mano sinistra afferra il lato interno del piede destro mentre la faccia si gira
verso sinistra. Si trattiene il respiro sentendo la "pressione interna" nella parte
destra della testa. Si cerca poi la stessa percezione nella posizione simmetrica.
Quando entrambe le gambe sono distese, si tenta di sentire la pressione nella
parte frontale della testa. Anche questa tecnica può essere praticata molto più
lentamente senza trattenere il respiro.

Navi Kriya ... La consapevolezza del kriyaban sale lungo la spina dorsale
ponendo mentalmente la sillaba Om (ooong) nei sei Chakra. Il mento è
avvicinato alla cavità della gola. Una breve inspirazione è seguita da un lunga
espirazione, durante la quale si sente che l’energia scende, lungo un sentiero
che si trova fuori dal corpo, dalla parte frontale del cervello verso l’ombelico
e, attraversandolo orizzontalmente, si muove verso l’interno della regione
addominale. 36
Durante questa espirazione, Om è cantato mentalmente, rapidamente, da 10 a
15 volte, accompagnando la discesa dell’energia lungo il percorso, come
applicando tante "piccole spinte".
La testa ritorna nella sua posizione normale ed è seguita da una breve
inspirazione (due secondi al massimo senza concentrarsi su alcun Chakra) che
solleva l’energia in testa.
La testa si piega sulla spalla sinistra, senza girare la faccia. Una lunga
espirazione (assieme al canto di Om, Om, Om…) accompagna il movimento
verso il basso dell’energia che parte dalla parte sinistra del cervello e si muove
lungo la parte sinistra del corpo (passando oltre oppure attraversando spalla e
braccio) fino alla cintura dove si piega e si muove orizzontalmente verso
l’interno della regione addominale.
La testa ritorna nella sua posizione normale; ancora c'è una breve inspirazione
(due secondi al massimo senza concentrarsi su alcun Chakra) per sollevare
l’energia in testa.
La testa ora si piega indietro. Una lunga espirazione (assieme al canto di Om,
Om, Om…) accompagna il movimento verso il basso dell’energia che parte

36
È quella parte del corpo dove la Alchimia Interiore colloca il Dan Tien. Per
circoscrivere la sua posizione ci si deve concentrare sull'ombelico, venire
approssimativamente quattro centimetri indietro verso la spina dorsale e poi sotto per la
stessa estensione: può essere visualizzato come una sfera di circa otto centimetri di
diametro.

143
dalla zona occipitale e si muove (esternamente al corpo) giù verso la cintura
dove si piega, passa attraverso il terzo Chakra Manipura e si muove verso
l’interno della regione addominale.
La procedura è ripetuta allo stesso modo a destra, poi avanti, poi a sinistra,
ecc.
La seduta base di questa particolare forma di Navi Kriya è costituita da 36
discese (quindi 36/4 = 9 rotazioni della testa). Essa si chiude con Om Japa
dall'Ajna Chakra al Muladhar. (Il tutto dura da 8 a 10 minuti e sostituisce le 4
ripetizioni della forma base del Navi Kriya.)
È del tutto normale che, procedendo con le rotazioni, i movimenti della testa
siano meno marcati. Si possono anche avere risultati incoraggianti arrivando
gradualmente l'immobilità e completando il numero prescritto da un puro e
semplice processo mentale.

Procedura preliminare al Pranayama ... Con la lingua rivolta indietro, con la


sua punta che tocca il centro del palato, la concentrazione è portata nel centro
del cervello.
Un kriyaban percepisce una linea ideale che collega le due tempie e un’altra
che viene indietro dal Kutastha alla regione occipitale.
Oscillando la testa lateralmente (molto dolcemente di pochi millimetri!) e poi
avanti e indietro riesce a sentire con facilità il punto d’intersezione tra le due
linee. Tale punto è la sede di Ajna Chakra ed è il luogo migliore per
concentrarsi onde percepire il sottile aspetto di movimento (oscillazione) di
Omkar. La spina dorsale è paragonata ad un pozzo. La consapevolezza (come
una secchia si muove in esso) sale e scende attraversando i Chakra.
Restando sempre con il centro dell'attenzione in Ajna, una parte di essa è posta
nel Muladhar. In esso la sillaba Om viene fatta vibrare tre volte, cercando di
sentirvi una sensazione di oscillazione. Questo avviene per tutti gli altri
Chakra fino al cervicale, poi Ajna, poi di nuovo cervicale ... giù fino al
Muladhar. La procedura è ripetuta da tre a sei volte. È importante percepire la
sensazione di oscillazione, almeno per un istante, in ciascun Chakra: quindi la
fretta non ha nessun senso. Per il momento la concentrazione nel Sahasrara
non interviene.

Pranayama ... Con la lingua rivolta indietro o in Kechari Mudra, la spina


dorsale è visualizzata come una colonna luminosa che si estende dal
Muladhar alla Fontanella.
Con l'aiuto di un respiro profondo e lento, senza alcun particolare suono nella
gola, si cerca di percepire una sensazione di oscillazione che sale attraverso
ciascun Chakra. Differentemente da altre scuole, ci si concentra anche su
quanto avviene in ciascun Chakra. Si suggerisce di visualizzare un pendolo

144
che ha il perno in Ajna e si estende al Muladhar - l' oscillazione percepita nel
Muladhar ha la sua origine in Ajna.
Inspirando (il più lentamente possibile) la coscienza si sposta dal primo al
secondo Chakra. Qui, per un istante, si ha la stessa sensazione di oscillazione
come se la lunghezza del pendolo cambiasse di conseguenza, mantenendo il
perno sempre in Ajna. Poi si muove al terzo Chakra, poi al quarto...
Salendo e scendendo in questo modo lungo la spina dorsale, il respiro diviene
sempre più sottile, impercettibile. La pratica converge vero una piena
rivelazione della Realtà Omkar. Si ascolta il suono interiore mentre la zona
della Fontanella è illuminata di una luce crepuscolare.
Se un kriyaban ha tempo di praticare più di 12-24 respiri si accorgerà che
Ajna e Fontanella diventano un'unica realtà. In altre parole, da un certo punto
in poi, il centro della consapevolezza si sposta nel Sahasrara e lì rimane fino
alla fine della routine.
Tale concentrazione, mantenuta anche dopo che il respiro si è calmato del
tutto, quando non esistono più i Chakra, ma vi è solo una soave luce nella
coscienza, viene detta (in questa scuola) Paravastha.

Secondo Kriya ... In questa scuola, la tecnica del Secondo Kriya è quella
dell'Omkar Pranayama arricchito da una semplice forma di Thokar.
Inspirazione ed espirazione sono divise in sei + sei parti. Le sillabe del
Mantra Sanscrito "Om Namo Bhagavate Vasudevaya" sono cantate nei
Chakra facendo una breve pausa in ciascuno.
La sillaba Om è fatta vibrare nel Muladhar, la sillaba Na nel secondo Chakra
... e così su, finché Ba è vibrata in Ajna e l'inspirazione è completata.
Le sensazioni sono le stesse provate durante la precedente forma di
Pranayama: si cerca di percepire una sensazione di oscillazione che sale
attraverso ciascun Chakra.
Poi il respiro è trattenuto, il mento si piega in avanti, abbassandosi verso la
cavità della gola: la luce divina fluisce in giù da sopra la testa (sede della
Eterna Tranquillità); una certa pressione interiore tocca la parte frontale del
Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale e poi si piega
leggermente verso la spalla sinistra, senza volgere la faccia. Avviene di nuovo
la stessa esperienza: è come se il movimento della testa fosse come il
movimento del coperchio di una pentola che spostandosi permette alla pentola
di essere riempita da un flusso di energia. La luce divina fluisce in giù da
sopra la testa, una certa pressione interiore è sentita nella parte sinistra del
Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale e si piega
indietro: riaccade la stessa esperienza e la pressione è sentita nella parte dietro
del Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale e si piega
leggermente verso la spalla destra, senza volgere la faccia: la pressione è

145
percepita nella parte destra del Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua
posizione normale, poi il mento si piega in avanti, abbassandosi verso la
cavità della gola... la pressione è percepita nella parte frontale del Chakra del
cuore. Poi la testa ritorna nella sua posizione normale.
Poi la espirazione (percependo la sensazione di oscillazione in ciascun
Chakra) guida la consapevolezza attraverso i Chakra nel Muladhar. La sillaba
Te è posta nel Midollo, Va nel quinto Chakra.... e così via.... Su... De... Va,
finché Ya è cantato mentalmente nel Muladhar.
Il tempo impiegato dipende dalla persona; di solito è di 20-25 secondi, ma può
essere maggiore. La procedura è ripetuta per lo meno 12 volte.

Terzo Kriya ... Il lettore ricorderà come, nel capitolo precedente, descrivendo
la forma base del Thokar, siamo passati dalla tecnica del Secondo Kriya a
quella del Terzo, introducendo la variante di ripetere i movimenti della testa
durante un unico respiro. La stessa cosa avviene qui. L'incremento del numero
delle rotazioni avviene secondo analoghi schemi. Valgono le stesse
considerazioni sul fatto di trattenere il respiro.
Un kriyaban inspira come nel precedente Secondo Kriya. Poi il respiro è
parzialmente trattenuto: una minima quantità di aria è lasciata
impercettibilmente uscire attraverso il naso in modo che trattenere il respiro
risulti confortevole. Ne viene la sensazione che il respiro sia dissolto.
I movimenti della testa sono quelli descritti nella tecnica precedente, solo che
sono un po' più rapidi e non ci si ferma dopo il primo giro, ma si prosegue.
Durante ciascun piegamento della testa si sente una pressione sul Chakra del
cuore, davanti a questo, proveniente dalla sinistra, da dietro...
Ci sono differenti rotazioni della testa: 3 rotazioni è un buon numero per
incominciare. Poi la espirazione come nel Secondo Kriya guida la
consapevolezza attraverso i Chakra nel Muladhar.
La tecnica è ripetuta 12 volte: in ciascun respiro abbiamo 3 ripetizioni del
movimento della testa (giro completo). Nel corso del tempo, il numero delle
rotazioni della testa entro un singolo respiro, è aumentato di una rotazione, poi
di due ... fino ad arrivare a dodici.
Uno può anche ricevere istruzione di praticare la tecnica una volta sola ma
aumentare gradatamente il numero dei movimenti di rotazione fino a 200 –
sempre trattenendo il respiro! L'istruzione standard è di cominciare con 12
rotazioni e aumentando di una al giorno.
Il respiro sembra scomparire e una persona ha la sensazione di poter
continuare indefinitamente con le rotazioni. 37
37
Siccome le vertebre cervicali sono qualcosa di molto delicato, siccome non si può
stressarle imprudentemente, i movimenti della testa sono solo accennati ma i colpetti
interiori sul quarto Chakra sono sempre distintamente percepiti. È importante rileggere

146
Avviene qualcosa di stupefacente che estasia il kriyaban: una gioia mai
provata prima e un grande senso di libertà. A un certo punto uno si trova in
uno stato di estasi e sente che quello è il momento giusto per cessare i
movimenti e godere quello che avviene nello stato immobile.

Quarto Kriya ... Dopo la pratica del Secondo o del Terzo Kriya, si percepisce
una particolare sensazione di immobilità fisica, così forte che la spina dorsale
sembra una barra d'acciaio. In questa situazione ci si concentra solo sulla luce
interiore e sulla tranquillità. Questo è lo stato di Dhyana. Avendo tempo a
disposizione, questo stato può essere radicalmente approfondito adottato una o
entrambe le procedure seguenti.

[a] Parte dell'attenzione è posta nel Chakra Muladhar. Grazie a una breve
inspirazione, questo Chakra è sollevato idealmente nel centro della testa: Ajna
Chakra. Una concentrazione di Prana è ivi percepita. Una minima quantità di
aria è lasciata impercettibilmente uscire attraverso il naso, senza disturbare
l'accentramento dell'energia. Con l'attenzione sia in Ajna che nella sede del
primo Chakra, i movimenti della tecnica del Secondo Kriya sono eseguiti in
modo più delicato. Essi sono solo accennati: la procedura è quasi totalmente
interiorizzata. C'è solo un lieve movimento della testa in avanti, a sinistra,
dietro... e corrispondentemente si sente un tocco di pressione interiore sulla
parte frontale del Chakra Muladhar... poi sulla parte sinistra... poi dietro ... poi
sulla parte destra e di nuovo sulla parte frontale.
Si ha la chiara sensazione che il respiro sia dissolto, perciò durante questo
evento non c'è né inspirazione, né espirazione.
La stessa procedura è ripetuta per ciascun Chakra! .... secondo, terzo, quarto e
quinto. Poi, grazie ad una breve inspirazione, la concentrazione è aumentata in
Ajna Chakra. Il respiro è trattenuto, gli stessi movimenti sono compiuti con lo
scopo unico di aumentare la concentrazione in questo Chakra. Poi la
procedura è ripetuta per il quinto, quarto, terzo, secondo e primo Chakra.
L'intero processo può essere ripetuto 6-12 volte.

quanto abbiamo scritto nel capitolo precedente relativamente al problema di trattenere il


respiro durante la procedura del Terzo Kriya.

147
[b] Parte dell'attenzione è posta sul Chakra Muladhar. Grazie a una breve
inspirazione, questo Chakra è sollevato idealmente nella corona della testa,
sopra la zona occipitale, a destra (nella parte "1" della figura 6).

Figura 6. Corona della testa vista dall'alto

Le sillabe del Mantra Sanscrito "Om Namo Bhagavate Vasudevaya" sono


utilizzate in questa procedura. Come abbiamo già visto nell'esercizio
precedente si dimentica il respiro e si ripete mentalmente la prima sillaba: Om,
Om, Om, Om ... (tante volte: il numero ideale è 36) concentrandosi in entrambi
i posti – corona della testa e sede fisica del Chakra – contemporaneamente.
Mentre la consapevolezza si intensifica sia in alto che in basso, la sensazione
di immobilità va mantenuta ad ogni costo.
Dopo circa 10-40 secondi, ci si concentra sul secondo Chakra: come il
precedente, questo è sollevato in una parte adiacente della corona della testa.
L'ellisse della corona, visto dall'alto, può essere idealmente diviso in 12 parti.
Incominciando sopra la zona occipitale e muovendosi in senso antiorario
lungo la corona, le prime sei parti sono sul lato destro della corona, le
rimanenti sei parti sono sul lato sinistro fino a ritornare al punto di partenza.
Analogamente a prima, si ripete mentalmente la sillaba relativa Na, Na, Na,
Na ... e si approfondisce la esperienza di immobilità.
È chiaro come la stessa procedura è ripetuta per gli altri Chakra (3, 4, 5, Ajna,
di nuovo Ajna, 5, 4, 3, 2 e 1) ciascuno posto in relazione con una diversa parte
della corona della testa (vedi figura 6). Dopo uno o due o tre cicli (un ciclo è
la concentrazione sulle dodici stazioni) una beatitudine improvvisa si
manifesta e uno non riesce a cantare più nulla. La procedura prosegue nel
regno della pura consapevolezza fino all'assorbimento estatico.

148
SEZIONE B

Maha Mudra & Navi Kriya [vedi capitolo II/1]

Pranayama ... La procedura del Pranayama - senza e poi con il canto di Om


nei Chakra - è intensificata nel modo seguente.
Al termine della inspirazione, trattenendo il respiro, viene fatta una forte
azione di spinta per attrarre l'energia dalla regione addominale e immetterla
nel Kutastha. Vediamo di descrivere come questo avviene.
Mentre si trattiene il respiro, la consapevolezza presente nella zona occipitale
"ruota" a sinistra, scende un po' ed entra nel Midollo allungato, le sopracciglia
sono sollevate, uno è consapevole di una luce interiore entro e sopra tale
Midollo allungato.
A questo punto si pratica un forte Mula Bandha dando una spinta all’energia
presente nel corpo iniettandola nel Kutastha.
Una particolare sensazione, come un brivido estatico segue.
La tensione è poi liberata, la espirazione comincia e l'energia scende al
Muladhar. Respiro dopo respiro, il potere creato nel Kutastha accenderà la
grande luce dorata dell'occhio spirituale.
Il Kechari Mudra – se uno riesce a praticarlo - aiuta il processo: durante la
spinta del Mula Bandha la lingua è spinta in avanti e verso l'alto.

Secondo Kriya ... La procedura è divisa in due parti.

Prima parte col respiro lungo


L'inspirazione avviene come nell'Omkar Pranayama (il respiro è diviso in sei
parti) ma il processo è intensificato dall'aiuto del movimento della testa che
avviene nel modo seguente:
Cominciando col mento sul torace, un kriyaban inspira e simultaneamente
solleva la sua consapevolezza lungo la colonna spinale; il mento si solleva
lentamente come per seguire millimetro dopo millimetro il movimento
interno della consapevolezza.
Il movimento è caricato della massima possibile intensità mentale: come
spremere con una matita un tubetto quasi vuoto di dentifricio per fargli uscire
tutto quello che rimane.
Si toccano i Chakra con le sillabe (Om è posto mentalmente nel primo
Chakra, Na nel secondo, Mo nel terzo, Bha nel quarto, Ga nel quinto e Ba nel
Bindu).
Durante l'inspirazione, i muscoli alla base della colonna spinale rimangono
contratti e le mani (con dita intrecciate) sono poste sopra l'area dell'ombelico
come per spingere la regione addominale verso l'alto, creando così una

149
pressione mentale sui primi tre Chakra. Il respiro produce solamente un lieve,
debole suono nella gola o avviene senza suono.
Quando il mento è su, orizzontale, l'inspirazione finisce e la percezione è ora
al Bindu. Il respiro è trattenuto, la contrazione dei muscoli è mantenuta. Senza
girare la faccia, la testa si muove verso la spalla sinistra, poi ritorna alla
posizione iniziale sollevando in contemporanea il mento tanto quanto
possibile; ne consegue una contrazione dei muscoli dietro il collo.
(È come la normale rotazione della testa in Omkar Pranayama ma solo metà e
con l'aggiunta del movimento verso l'alto del mento. La posizione finale è
quella della seconda parte del Navi Kriya, con la testa indietro.)
Durante questo movimento, l'energia in Bindu discende a sinistra, curvando
ed entrando nel Midollo allungato. Il kriyaban pratica allora intensivamente il
Mula Bandha iniettando la sua coscienza come una freccia nel Kutastha
insieme alla sillaba Teeee.
(È lo stesso processo, intensificato, che abbiamo incontrato nella forma
particolare di Pranayama insegnato da questa scuola, solo che ora avviene col
mento in alto.)
Dalla posizione col mento in su, la faccia si volge a destra e poi a sinistra (in
questo caso l'orecchio non si avvicina alla spalla: semplicemente uno gira la
testa); durante questo movimento il quinto Chakra cervicale è percepito e la
sillaba Va è vibrata mentalmente in esso. Dalla posizione a sinistra, il mento
colpisce poi il centro del torace (la testa si trova ora nella stessa posizione di
tutte le altre forme di Thokar) e la sillaba Su è vibrata nel Chakra del cuore.
I muscoli alla base della colonna spinale sono rilassati ed, espirando, le sillabe
rimanenti De, Va e Ya sono poste rispettivamente nel terzo, secondo e primo
Chakra. Il kriyaban è guidato a ripetere questa tecnica 6-12 volte. (Come
sempre col Thokar, dovrebbe essere sottolineato che in presenza di problemi
fisici, è importante eseguire con attenzione solo movimenti delicati.)

Seconda parte: col respiro calmo.


La pratica si approfondisce dimenticando il respiro e rallentando l'intero
processo: il risultato è di gran lunga, più potente.
Cominciando col mento sul petto, un kriyaban muove la sua consapevolezza
molto, molto lentamente lungo la colonna spinale verso l'alto, sollevando
simultaneamente il mento come se accompagnasse e spingesse allo stesso
tempo l'energia in su. L'energia è visualizzata come una sostanza nel sottile
canale sottile del Sushumna, idealmente spremuta verso l'alto (molto molto
lentamente) per mezzo di questo movimento del mento. Si ha la sensazione di
viaggiare entro la spina dorsale e proprio di toccare direttamente ciascun
Chakra. Il sollevamento dell'energia in testa non deve durare meno di 30
secondi! Il Kechari Mudra dovrebbe essere adottato per ottenere la massima

150
intensità mentale. Come al solito, i Chakra sono toccati dalle sillabe del
Mantra. Quando il mento è orizzontale, la percezione è al Bindu.
I movimenti seguenti sono come quelli descritti prima, solo un poco più lenti,
ma tutto avviene nello stato di Kevala Kumbhaka, vale a dire con il respiro
completamente immobile (respirare ora vorrebbe dire distruggere la bellezza
del processo). Quello che è importante è non avere fretta, essere totalmente
rilassati e lasciare che l'esperienza si intensifichi naturalmente.
A questo aggiungiamo un dettaglio: nel momento in cui Su è vibrata nel
Chakra del cuore, c'è una breve pausa: il respiro non si muove nelle narici e la
mente è rapita nella radiazione di energia sentita nel Chakra del cuore. Il
mento sale un poco e il respiro è di nuovo libero ma ignorato.
Per concludere un giro, abbassando molto, molto lentamente il mento, la
consapevolezza tocca profondamente il terzo, il secondo e il primo Chakra.
Una micro pausa è fatta in ciascuno di questi Chakra nel momento in cui la
sillaba è posta. Sottolineiamo di nuovo quanto è importante non avere fretta,
essere rilassati e lasciare che l'esperienza si intensifichi.
Per alcune settimane, il kriyaban è guidato a ripetere questa tecnica 12 volte,
poi è guidato ad aumentare gradualmente le ripetizioni per un totale (prima
parte+seconda parte) di 200 volte.

Terzo Kriya ... La tecnica è la stessa come l'appena spiegato Secondo Kriya.
Non appena l'energia è in testa, trattenendo il respiro, si ruota la testa in senso
antiorario dodici volte (il tempo è normalmente meno di tre secondi per
rotazione).
Durante questa rotazione la consapevolezza si intensifica nel Kutastha e nella
luce percepita nella parte superiore della testa.
Poi tutto avviene come nel precedente Secondo Kriya.
L'incremento del numero delle rotazioni della testa avviene secondo gli
schemi delineati nelle precedenti descrizioni della procedura del Terzo Kriya.
Secondo il primo, la tecnica è ripetuta 12 volte: in ciascun respiro abbiamo
varie rotazioni della testa. Non è difficile farne dodici.
Col secondo schema, la tecnica è eseguita una volta sola ma si aumentano
gradatamente il numero dei movimenti di rotazione fino a 200 – sempre
trattenendo il respiro! Il respiro sembra scomparire e una persona ha la
sensazione di poter continuare indefinitamente con le rotazioni.
È importante tenere a mente quanto abbiamo scritto nel capitolo precedente
relativamente al problema di trattenere il respiro durante la procedura del
Terzo Kriya.

151
Quarto Kriya ... La procedura è divisa in due parti.

Prima parte: Thokar su tutti i Chakra e salita del Prana


L'inspirazione avviene come nell'Omkar Pranayama (il respiro è diviso in sei
parti): cominciando col mento sul torace, un kriyaban inspira e
simultaneamente solleva la sua consapevolezza lungo la colonna spinale; il
mento si solleva lentamente come per seguire millimetro dopo millimetro il
movimento interno della consapevolezza.

Figura 7. Thokar esteso ai Chakra sottostanti

Si toccano i Chakra con le sillabe (Om è posto mentalmente nel primo


Chakra, Na nel secondo, Mo nel terzo, Bha nel quarto, Ga nel quinto e Ba nel
Bindu).
Durante l'inspirazione, i muscoli alla base della colonna spinale rimangono
contratti e le mani (con dita intrecciate) sono poste sopra l'area dell'ombelico
come per spingere la regione addominale verso l'alto, creando così una
pressione mentale sui primi tre Chakra. Il respiro produce solamente un lieve,
debole suono nella gola o avviene senza suono.
Quando il mento è su, orizzontale, l'inspirazione finisce e la percezione è ora
al Bindu. Il respiro è trattenuto, la contrazione dei muscoli è mantenuta. Senza

152
girare la faccia, la testa si muove verso la spalla sinistra, poi ritorna alla
posizione iniziale sollevando in contemporanea il mento tanto quanto
possibile; ne consegue una contrazione dei muscoli dietro il collo.
Durante questo movimento, l'energia in Bindu discende a sinistra, curvando
ed entrando nel Midollo allungato. Il kriyaban pratica allora intensivamente il
Mula Bandha iniettando la sua coscienza come una freccia nel Kutastha
insieme alla sillaba Teeee.
Dalla posizione col mento in su, la faccia si volge a destra e poi a sinistra (in
questo caso l'orecchio non si avvicina alla spalla: semplicemente uno gira la
testa); durante questo movimento il quinto Chakra cervicale è percepito e la
sillaba Va è vibrata mentalmente in esso. Dalla posizione a sinistra, il mento
colpisce poi il centro del torace e la sillaba Su è vibrata nel Chakra del cuore.
Dopo che la sillaba Su è vibrata nel Chakra del cuore, trattenendo il respiro,
un altro simile movimento diagonale del mento sul petto è ripetuto e l'energia
è diretta mentalmente verso il terzo Chakra, dove la sillaba De è vibrata; un
altro simile movimento dirige l'energia verso il secondo Chakra dove la
sillaba Va è vibrata; finalmente con un ultimo colpo l'energia è diretta verso il
Chakra Muladhar dove la sillaba Ya è vibrata.38
Un'espirazione molto lunga accompagna il movimento dell'energia la quale,
come un liquido luminoso, sale su per la spina dorsale fino al Kutastha
attraverso esso fuori dal corpo. Durante questa azione, il mento si solleva
come a seguire il sollevarsi del Prana.
Questa procedura (Thokar sui primi quattro Chakra e sollevamento
dell'energia) può essere ripetuta da sei a dodici volte. Talvolta una ripetizione
è più che sufficiente. Solo un esperto Acharya può guidare un kriyaban ad
aumentare le ripetizioni di questo Kriya. I suoi effetti sono molto difficili da
essere assimilati!

Seconda parte: concentrazione sui Chakra


Il respiro è lasciato fluire liberamente. Un kriyaban concentra la sua
attenzione a percepire il potere che si diffonde dal Muladhar Chakra nella
spina dorsale e nell'intero corpo. Egli osserva il sollevarsi dell'energia che
continua ad avvenire anche se più lentamente. Talvolta è percepita come onde
di una marea che si muovono sempre più in su, raggiungendo un Chakra, poi
di nuovo tornando indietro e muovendosi dalla base della spina dorsale ad un

38
Alcuni insegnanti di Kriya insegnano a questo punto a sollevare il corpo solo di
alcuni millimetri con l'aiuto delle mani e po far sì che le natiche tocchino con un lieve
sussulto il pavimento. Questa azione è detta Maha Veda Mudra: Veda significa
perforazione, ovviamente del nodo del Muladhar. Se la tecnica è praticata
correttamente, ne consegue un brivido estatico.

153
centro più in alto...
Chi pratica cerca di sentirla in ciascun Chakra (secondo l'ordine usuale:
1,2,3,4,5, Ajna/Midollo Allungato, Kutastha, 5,4,3,2,1) fermandosi in
ciascuno di essi per almeno una dozzina di secondi. Mentre una parte della
sua concentrazione rimane sempre nel Kutastha, ciò è ripetuto 12 volte.

SEZIONE [C]

Ci sono numerosi kriyabans che, con motivazioni diverse, affermano che le seguenti
procedure non provengono da Lahiri Mahasaya. Osservano che l'unica frase che può
essere attribuita ragionevolmente a lui è: «Per rendere questo corpo Trivangamurari
"ovvero affinché esso abbia tre curve", si devono attraversare tre centri, il
Muladhar, l'Anahat e il centro di Vishnu alla radice della lingua.» Evidentemente
questo non basta per giustificare l'esistenza di una serie di tecniche che si basano sul
percepire nel proprio corpo quella forma particolare.
Mi è stato detto che alcuni kriyaban ricevettero l'iniziazione da questa scuola ma
presto trascurarono le tecniche del Trivangamurari prestando attenzione a quelli che
affermavano che quelle tecniche portano la consapevolezza e l'energia fuori dal
Sushumna.
La verità è che queste tecniche possono regalare una esperienza ineffabile. Esse
sono impossibili da essere afferrate intellettualmente, come lo è l'esperienza Omkar.
Per quanto mi riguarda, sono senza parole nel considerare la bellezza ed il potere di
esse. Per questa ragione (ed anche perché erano e sono praticati da grandi anime) le
condivido col lettore.

Nulla di positivo o di utile venne da quegli insegnanti che tentarono di dare al


movimento Trivangamurari una personificazione. Effettivamente, alcuni
affermarono che esso apparve loro nella particolare forma di Krishna o di Shiva.
Cercarono di far credere che solamente avendo questa visione raggiunsero la
padronanza di queste tecniche. Senza disputare con loro, possiamo pensare che sia
corretto dire che la forma del principe Krishna, come dipinta nell'iconografia, ci
ricorda la forma Trivangamurari; collo, gambe e schiena di Krishna sono tenute in
una posizione particolare che chiaramente delinea queste tre curve, forse implica il
taglio dei tre nodi - ma questo è tutto, non c'è altro.

Maha Mudra & Navi Kriya [come quelli di base, vedi capitolo II/1]

Pranayama ... Si pratica un minimo di 36 respiri Pranayama nella forma base.


39
Poi, proseguendo il Pranayama, mentre il percorso della inspirazione
rimane lo stesso, durante la espirazione il flusso dell'energia comincia a
scendere in modo del tutto particolare. La corrente scorre dal Bindu al Midollo
allungato muovendosi leggermente a sinistra, entra nel Midollo allungato, lo
39
Alcune scuole affermano, invece, che il minimo numero di Pranayama di base
dovrebbe essere 200!

154
attraversa e curva verso il basso, in modo di raggiungendo il quarto Chakra,
attraversarlo, curvare verso il basso e arrivare quindi al Muladhar provenendo
da sinistra. All'inizio questa percezione non avviene esattamente come è
mostrato in figura: l'intera percezione non si discosta così tanto dall'asse
centrale.

Figura 8. Movimento Trivangamurari

Ad un certo punto l’intuizione guida il kriyaban a dimenticare completamente


il respiro. Egli solleva la sua consapevolezza lungo la spina dorsale più
lentamente che non col respiro fino a toccare il Bindu: mezzo minuto è il
tempo ideale della salita; lo stesso è richiesto per la discesa. Una pausa di circa
un secondo avviene nel Chakra Muladhar. Un giro richiede dunque un
minuto, ma se ci si accorge che avviene in minore tempo, diciamo 45/50
secondi, ciò non significa che la procedura è stata fatta in modo errato.
Non appena la concentrazione aderisce totalmente a questo movimento, il
sentiero è percepito simile a quello mostrato nella Figura 8. È difficile
aggiungere ulteriori dettagli a questa spiegazione.
Si deve sottolineare che il sentiero energetico non è l'effetto del potere di
immaginazione, è una realtà che esiste per conto proprio.
I quattro nuovi centri (uno a destra, tre a sinistra) lungo il flusso discendente
non devono essere considerati come nuovi Chakra; essi sono soltanto dei
piccoli "vortici" di corrente all’interno della corrente principale.
Sebbene chi pratica non dovrebbe preoccuparsi di percepire con precisione
estrema la loro sede, diciamo, in linea di massima, che quello sul lato destro
va visualizzato nella schiena 2/3 centimetri più in su dell’altezza del capezzolo
destro, mentre il successivo, sul lato sinistro del corpo, è situato nella schiena
2/3 centimetri più in basso del capezzolo sinistro. Aggiungiamo anche che il
flusso Trivangamurari avviene su un piano ideale che contiene la spina

155
dorsale (ovvero non viene in avanti).
Il segreto di questa tecnica sta nell’abilità di concentrazione, nell’immobilità e
nella capacità di reggere al potere originato dalla procedura.
Per due settimane il kriyaban è istruito a ripetere questa tecnica 25 volte. Per
altre due a ripeterla 50 volte e così via fino a 200 volte. Completato questo
numero, potrà passare alla tecnica del Secondo Kriya.
Mentre la tecnica descritta è detta Amantrak (senza Mantra), il Secondo Kriya
seguente è detto Samantrak (con Mantra)

Secondo Kriya ... Il respiro è calmo e non viene preso in considerazione.


La percezione del movimento Trivangamurari è intensificata dal Mantra di
dodici sillabe. Mentre la corrente sale, le sillabe Om, Na, Mo, Bha e Ga sono
fatte vibrare nei primi cinque Chakra, e la sillaba Ba in Bindu.

Figura 9. Forma particolare del Secondo Kriya

Poi la corrente scende a sinistra curvando finché raggiunge il Midollo


allungato: qui la settima sillaba Teeee è fatta vibrare.
A questo punto il flusso interno si muove verso il lato destro del corpo
raggiungendo il centro dove è fatta vibrare l’ottava sillaba Va. Poi il flusso
interno curva e taglia trasversalmente la regione del Chakra del cuore e
raggiunge il punto dove è fatta vibrare la nona sillaba Su. Poi è la volta delle
sillaba De, Va e Ya che intensificano la percezione degli ultimi due vortici del
flusso interiore della corrente e del Muladhar.
Ogni sillaba è un moderato Thokar (colpetto) diretto verso la sede di ciascun
centro.
Siccome la tecnica è eseguita lentamente (mezzo minuto per sollevare la
consapevolezza, lo stesso per scendere) c'è tutto il tempo che serve per far sì
che questa percezione sia molto accurata.

156
Per due settimane il kriyaban è istruito a ripetere questa tecnica 25 volte.
Per altre due a ripeterla 50 volte e così via fino a 200 volte. Dopo di che potrà
utilizzare regolarmente questa tecnica nella sua routine, al posto del
Pranayama mentale, (con dosi moderate: 24 – 36) oppure passare alla pratica
del Terzo Kriya.

Terzo Kriya ... Col mento sul petto, il kriyaban solleva molto lentamente la
consapevolezza lungo la spina dorsale; il mento si solleva lentamente
seguendo il movimento interiore; come sempre i Chakra vengono toccati con
le sillabe del Mantra. Anche qui il respiro è libero.
Quando il mento è parallelo al suolo, la percezione ha raggiunto il Bindu.
I movimenti della testa sono simili a quelli cui ci siamo abituati con la pratica
del Thokar discusso nella sezione [B], ma sono molto più lenti.
Senza volgere la faccia, la testa si muove molto lentamente verso sinistra,
poi ritorna nella posizione di partenza, sollevando il mento il più possibile con
leggera contrazione del muscoli della nuca.
Durante questo movimento, il flusso Trivangamurari scende dal centro Bindu
verso sinistra, curva ed entra nel Midollo allungato dove la settima sillaba
Teeee è fatta vibrare.
Dalla posizione col mento in su, la faccia si volge lentamente a destra, il
mento si abbassa naturalmente finché raggiunge la posizione parallela alla
spalla destra, sopra di essa.
Durante questo movimento della testa, il flusso interiore Trivangamurari
procede lentamente come un ruscello e raggiunge l’ottavo centro. 40
A questo punto il mento, parallelo al terreno e sopra la spalla destra, la tocca
per un istante (questo è il primo di cinque colpi) ed è allora che la sillaba Va è
fatta vibrare mentalmente nell’ottavo centro. (La spalla pure fa un piccolo
movimento verso il mento per rendere il contatto più facile).
Subito dopo, la faccia, con un movimento molto lento si volge verso sinistra,
accompagnando millimetro dopo millimetro la percezione del flusso interno
che attraversa il quarto Chakra. Il secondo colpo avviene in modo simile sul
lato sinistro, allorché la sillaba Su è cantata nel nono centro. Rimanendo poi a
contatto o quasi con la spalla sinistra, il mento, molto lentamente, sfiorando la
parte sinistra della clavicola, si muove verso la posizione iniziale ciò verso il
centro del petto. Ma durante tale movimento - proprio quando le sillabe De e
Va sono pensate nel decimo e undicesimo centro - due colpetti sono assestati
40
Quindi non c’è alcun dubbio sulla velocità del movimento della testa: il flusso
Trivangamurari procede come nel precedente Secondo Kriya e la testa non fa altro che
andargli dietro accompagnandolo.

157
sulla clavicola in posizioni intermedie. Quando infine la sillaba Ya è posta nel
Muladhar l’ultimo colpo del mento sul petto, in posizione centrale, è
assestato. Qui c’è una pausa di circa un secondo. Gli insegnanti di Kriya
affermano che un giro dovrebbe durare idealmente un minuto, ma in pratica si
vede che dura un po’ di meno: circa 40/50 secondi. Questa procedura è
ripetuta 12-36 volte.

Figura 10. Thokar [scuola C]

La supervisione di un esperto aiuta ad evitare problemi - intendo problemi


fisici di sforzo eccessivo e di dolore nelle vertebre cervicali e nei muscoli del
collo. Movimenti bruschi dovrebbero essere evitati; è possibile usare al loro
posto una grande intensità mentale di concentrazione nel momento in cui
ciascuna delle ultime cinque sillabe è pensata. Durante le prime settimane
conviene praticare non ogni giorno ma ogni due o tre giorni. Nella terza parte
del libro tratteremo di come (diversamente dalle forme di Terzo Kriya finora
visto) sia possibile aumentare le ripetizioni di questa tecnica.

158
Quarto Kriya ... Il kriyaban diviene consapevole del Muladhar Chakra - che
è visualizzato come un piccolo disco orizzontale delle dimensioni di una
piccola moneta, due o tre centimetri di diametro.41
Il respiro è molto calmo e lasciato fluire liberamente. Con l'aiuto del sopra
citato Mantra di 12 sillabe, che è pensato nella sua totalità entro il Chakra
stesso, il movimento Trivangamurari in dimensioni ridotte (micro) – la forma
è la stessa già sperimentata in più grandi dimensioni - è percepito sulla
superficie di questa moneta ideale. (Figura 11)

Figura 11. Trivangamurari micro-movimento entro un Chakra

L'intero Mantra col suo associato micro movimento è ripetuto tre volte. La
stessa procedura avviene in ciascuno dei dodici centri (i Chakra + il Midollo
allungato + i quattro centri esternamente alla spina dorsale + il Muladhar).
Questo è un Quarto Kriya. Di solito se ne praticano dodici.42
La durata è determinata dalla velocità con cui si canta il Mantra. Per molte
persone ciascun canto del Mantra e di conseguenza ciascun micro-movimento
dura circa 10-12 secondi. Lahiri Mahasaya raccomandava: «Non abbiate
fretta!».
Il Micro-movimento è la rivelazione della realtà Omkar entro ciascun Chakra.
La tecnica che abbiamo appena descritto incarna nel modo più sano il
processo di Muladhara Granti Veda; gli insegnanti che portano avanti questa
versione del Quarto Kriya sostengono che altre azioni che gli yogi compiono
con lo scopo di sciogliere il nodo del Muladhar, producono soltanto una sua
chiusura ancora più ermetica che viene avvertita come uno stato molto
fastidioso di nervosismo.
41
Tutti i centri sono visualizzati come dei dischi orizzontali: di solito viene spontaneo
visualizzarli come se li si stesse guardando dall’alto. Col tempo e con l’esperienza,
questa visualizzazione diventa un fatto personale, anche perché allora la nozione di
dimensione, di alto e basso viene perduta.

42
Anche una piccola quantità come 3- 4 rotazioni (fatte con grande rilassamento e
abbandono) producono una grande gioia e una quasi irresistibile beatitudine.

159
In tutte le scuole di Kriya, il Quarto Kriya è considerato praticabile solo se il
Terzo Kriya è stato padroneggiato, almeno fino ad un certo livello.
In queste condizioni, in qualsivoglia Chakra un kriyaban si concentri (o in uno
dei centri sopra introdotti fuori della spina dorsale) se con calma egli
pronuncia mentalmente le sillabe "Om-Na-Mo-Bha-Ga-Ba-Te-Va-Su-De-Va-
Ya", percepirà qualcosa che si muove, oscillando entro il Chakra.

Nota
È bene allenarsi a percepire il micro-movimento senza l'aiuto del Mantra.
La seguente procedura è adatta allo scopo:
Un kriyaban solleva il Muladhar Chakra nel Kutastha per mezzo di una breve
inspirazione. Quando la presenza dell'energia è chiaramente sentita nel punto
tra le sopracciglia, un kriyaban "guarda in basso" il disco del Chakra e vi
disegna (come con una penna laser) la forma del micro-movimento per mezzo
di una debole oscillazione della colonna vertebrale (non più grande del
risultante micro-movimento) avanti, lateralmente, indietro.
Ciò è ripetuto tre volte in ciascuno dei 12 centri. Dopo uno o due giri
completi, sono introdotte le sillabe, quali "piccole spinte o pulsazioni", la qual
cosa fornisce un notevole stimolo e una più dettagliata percezione di tale
fenomeno, mentre il corpo ritrova la sua immobilità.

160
TERZA PARTE: PIANO DIDATTICO IN SEI FASI

CAPITOLO III/01 INIZIO

Questa terza parte consiste in un riassunto di sei possibili fasi di istruzione


attraverso cui guidare una persona lungo il sentiero del Kriya. Si possono
concepire diversi piani, quello che segue è, a mio avviso, il più efficace.
Diamo per scontato che coloro che praticano tengano il sentiero "pulito"
(senza deviazioni), lavorano seriamente mettendo cuore e intuizione in questa
disciplina.
Ci sono sei periodi della vita che dovranno essere accuratamente definiti.
Cercando il più possibile di lasciar perdere ogni frase altisonante, e cercando
di dare tutta la dovuta attenzione al lato prettamente pratico della questione,
descriverò cosa dovrebbe avvenire in ciascuna fase. Mi soffermerò non solo
sulle acquisizioni spirituali ma anche sui fattori che indicano che una persona
si sta muovendo verso il raggiungimento della maturità emotiva; l'abilità di
tenere a bada le emozioni superficiali, di essere capaci di vivere momenti
appassionati restando sempre calmi e prendendo decisioni importanti, di
seguire sempre la tua strada anche quando i tuoi amici più stretti tentano di
convincerti a seguire la loro. Maturità emotiva significa domare il proprio
orgoglio, la qual cosa per un kriyaban (convinto come è di possedere la
"suprema fra tutte le tecniche spirituali, la strada aerea verso la realizzazione
del divino") non è un compito facile.
Sebbene alcuni mi suggerirono che questi temi che andrebbero posti nelle
prime pagine di questo libro, il fatto è che pochi leggono la prefazione. Alcuni
lettori si comportano come animali timorosi in un territorio che non gli è
familiare, domandandosi se dare un briciolo di fiducia all'autore. Preferiscono
farsi un’idea generale sulle motivazioni (…e manie) dell'autore,
soffermandosi su alcune tecniche, tanto per vedere a quale livello di
profondità esse sono state trattate. Se si convincono,
allora pongono più attenzione a quello che l'autore vuole veramente
comunicare.

161
PRIMA FASE PIANO DIDATTICO -- Familiarizzarsi gradualmente con
le tecniche base del Kriya

Per coloro che ritengo non reggeranno alla disciplina del Kriya, ho
concepito una routine alternativa basata sul Pranayama dello Yoga classico -
quella esposta nel capitolo I/01. Va da sé che se un principiante non riesce a
praticare regolarmente per almeno 3 a 6 settimane, non si pone neanche il
problema di spiegare loro il Kriya.
La routine consiste in: Nadi Sodhana (con i tre Bandha dopo la inspirazione
durante il trattenimento); Ujjayi con o senza Aswini Mudra43 e un profonda
concentrazione nel Kutastha. È un routine molto bella e coloro che ci mettono
la dovuta attenzione cominciano a percepire il flusso d’energia che sale e
scende lungo la spina dorsale.
Il Kriya Pranayama può divenire una tale piacevole scoperta entro una
dimensione di semplicità che può diventare infine una "dipendenza". Questa
semplice routine regala un senso di benessere così che uno non ha difficoltà a
trovare ogni giorno il tempo da dedicare ad essa. Anche se abbandonerà tutte
le altre tecniche Kriya, un po' di Pranayama farà sempre parte della sua vita.
In tutti gli altri casi – compresi coloro che hanno già appreso e praticato
una forma semplificata di Kriya – evito quella particolare frenesia che
accompagna una iniziazione tradizionale al Kriya, ove tutta l'istruzione pratica
è data in fretta, in una sola lezione! 44 Ho visto che è più naturale e logico
insegnare le tecniche Kriya un po' alla volta e far sì che uno sperimenti
ciascuna senza alcuna tensione.
Anche quando è necessario mostrare ad una persona tutto l'insieme delle

43
Contrarre ripetutamente i muscoli alla base della spina dorsale col ritmo di
approssimativamente due contrazioni per secondo. Anche il Kriya Pranayama può
essere praticato con l’Aswini Mudra, specialmente nei primi 12-24 respiri Pranayama –
durante l'inspirazione, l'espirazione e le pause. Dopo 10-15 minuti, il movimento fisico
diminuisce in intensità e la procedura si interiorizza. È allora che la consapevolezza è
portata fortemente nella spina dorsale, in un modo più intenso che con qualsiasi altro
trucco tecnico. Questo potrebbe tornare utile a coloro che non sono capaci di praticare il
Kechari Mudra.

44
Alcuni giorni dopo quasi tutto è dimenticato e la persona entra in crisi. Naturalmente
ci sono anche eccezioni: persone particolari e atipiche per cui le cose vanno
diversamente. Alcuni ricorderanno sempre le poche parole pronunciate dal loro
insegnante, esattamente come sono state pronunciate e con la stessa inflessione di voce
con cui il loro insegnante le ricevette dal suo maestro – e dopo intenso lavoro, il loro
pieno significato verrà realizzato.

162
tecniche del Primo Kriya per ragioni contingenti, raccomando di non
intraprendere subito la pratica completa.
(Naturalmente, non consiglio nemmeno di attendere la situazione "perfetta"
per cominciare la pratica, altrimenti la decisione rischia di essere spostata
indefinitamente!)

È mio dovere chiarire i seguenti punti:

[a] Alcuni studenti sono interessati a tecniche che favoriscano il rilassamento


e la concentrazione e possano essere praticate prima della routine Kriya.
Si deve sottolineare che non c'è necessità di praticare tecniche preliminari
diverse dal Talabya Kriya e dal cantare Om nei Chakra.
Uno dovrebbe essere incoraggiato a sperimentare come sia bello praticare il
Talabya Kriya e notare come esso riesca a calmare subito la mente. Un fatto
strano è che esso non richiede la concentrazione su nulla, solo una pura azione
fisica. Dopo il Talabya, il cantare il Mantra Om a voce alta in ciascun Chakra
(come descritto nel capitolo II/01), finché l'addome, il torace e la colonna
spinale vibrino, porta un kriyaban ad ottenere un stato che è una vera
"benedizione."

[b] A coloro che amano provare alcune varianti del Kriya si può consigliare di
provare il primo passo della scuola [A] (vedi capitolo II/03) che è una vera
delizia, anche se non così forte come la forma base del Primo Kriya.

[c] Se dovessi insistere su qualcosa, esso sarebbe il Pranayama mentale.


Si nasce al Kriya proprio per mezzo di tale dolce pratica: essa ti proietta in un
vero paradiso e la sua bellezza trabocca e inonda la vita.
«.... è difficile restare arrabbiati, quando c'è tanta bellezza nel mondo.
Talvolta mi sembra di vederla tutta in una volta, ed è troppo, il mio cuore si
riempie come un pallone che sta per scoppiare... e poi mi ricordo di rilassarmi,
e cesso di tentare di trattenerla, e allora fluisce attraverso di me come pioggia.
E non posso che sentire gratitudine per ogni solo momento della mia piccola
stupida vita. (American Beauty, film; 1999) »

[d] Molti considerano le tecniche talmente "sacre" da guardarle con


diffidenza, con un timore reverenziale. Non c'è da meravigliarsi che queste
tecniche possano sembrare, a un primo sguardo, complicate o strane. Se uno
sente una data procedura come innaturale e quindi difficile, non dovrebbe
sforzarsi di applicarla integralmente in quanto potrebbe perdere la magia del
processo e potrebbe non ottenere altro che mal di testa. Senza sentire la
necessità di chiedere a permesso ad un insegnante, o ascoltare l'opinione di

163
chicchessia, uno capisce la necessità di avvicinarsi all'essenza di una tecnica
con intelligenza, pazienza e attenta sperimentazione.
Molti kriyaban chiedono con troppa insistenza, a volte ossessione, che
tutti i possibili e immaginabili dettagli del Kriya Pranayama siano loro
chiariti. Si stancheranno ben presto. Dopo aver riempito di note e diagrammi
il proprio blocco di appunti, abbandoneranno tutto. È come se matita e fogli di
carta fossero uno scudo per impedire che la genuinità e la bellezza del Kriya
Pranayama possano entrare nella loro vita. Non capiscono quanto sia
importante rilassarsi e gioire, poi perfezionare. Se non sono capaci di usare il
buon senso per adattare le istruzioni ai fatti contingenti della loro vita e
necessità, o si sentono obbligati a discutere di dettagli non importanti, o se
telefonano un giorno sì e un giorno no con domande che sono principalmente
intellettuali, la probabilità di arrivare al fallimento è alta.

[e] Molti sono convinti che uno dei prerequisiti per praticare il Kriya sia
l'abilità di raggiungere facilmente uno stato di perfetta concentrazione: ma
questo è uno dei risultati finali, non il primo passo! È normale che la mente
vaghi continuamente in mille opposte direzioni. Se questo avviene, ebbene
lasciamolo avvenire! Il successo nel Kriya è di coloro che si affidano alla pura
"naturalezza" della procedura e la abbinano alla pazienza e anche alla cura
comunque necessaria per fare un lavoro noioso quale spellare patate.
Uno non dovrebbe essere troppo esigente con se stesso; ciò porterebbe a
sviluppare una tensione eccessiva, di cui sarebbe poi difficile sbarazzarsi.

[f] È bello considerare il Pranayama come un'arte raffinata, che si può


perfezionare fino a livelli che sfuggono alla nostra comprensione e
immaginazione. Uno ama il Pranayama per la perfezione intrinseca che esso
racchiude. Comunque, le promesse religiose, esoteriche, occulte che lo
accompagnano dovrebbero essere evitate come la peste.
Sebbene il proprio temperamento può talvolta essere "inquinato" da pure
illusioni prese a prestito dai libri, tuttavia, inseguendo tenacemente la
perfezione del Pranayama e raffinando altri dettagli (che discuteremo in
seguito), tutti gli ostacoli interni saranno rimossi e l'ultimo guscio di illusione
sarà infranto.

[g] Comprendiamo che alcune illusioni possono essere il risultato di seri


problemi psicologici. Sfortunatamente, coloro che praticano il Pranayama in
un stato di depressione, con la negatività di una persona ammalata che si
aggrappa ad esso come se fosse un'altra improbabile medicina, sapendo già in
cuor suo che ne resteranno delusi, non avranno altro risultato dal Kriya che
mal di testa e nausea. Forse le cose andrebbero in modo diverso se uno avesse

164
la mente di un artista, amasse l'esperienza del profondo respiro e fosse capace
di dissolvere la presa dell'ego nel suo suono.

Nota. Quando tutte le tecniche sono state presentate, non insisto su quanto
sia importante realizzare il Kechari o sul valore dello Yoni Mudra - che, per
molto tempo, non viene compreso.

Effetti iniziali del Primo Kriya

Diamo per acquisito che descriviamo quello che avviene a coloro che
affrontano il Kriya con un giusto atteggiamento, senza manie e con onestà.
Di solito si comincia la pratica del Kriya prestando molta cura a diversi
dettagli come le condizioni del fisico, il praticare a stomaco vuoto, l'aggiunta
di esercizi di allungamento come semplici Asana... e con quell'acuta
concentrazione che solitamente sopravviene quando uno affronta con
entusiasmo qualcosa di nuovo in cui crede seriamente.
In tal modo, la prima impressione del Kriya è di una disciplina che ci fa
sentire bene - fisicamente e psicologicamente. Scopriamo quanto possa
divenire bella e godibile la pratica del Pranayama, specialmente se
intensificata non solo dalla pratica del Maha Mudra, ma anche da pratiche
non insegnate ufficialmente quali il Nadi Sodhana, l'uso di varie ripetizioni
del Mula Bandha prima del Pranayama, l'uso dell'Aswini Mudra durante il
Pranayama...

Ci sono degli effetti di poca importanza per cui uno potrebbe entusiasmarsi:
successo nel parlare ad un pubblico, essere serenamente indifferente a perdite
finanziarie...
Non è facile scorgere in noi i primi timidi segnali di ben più importanti effetti.
Il Kriya agisce come un amplificatore del meglio che c'è in un uomo: uno
riscopre una quasi dimenticata potenzialità di godimento estetico per tutto ciò
che lo circonda, specialmente la natura; un altro sembra scoprire la meraviglia
del proprio lavoro e/o sente che il suo cuore è afferrato dalla commozione per
quel miracolo che la sua famiglia rappresenta per lui ed è inondato da una
sensazione di amore di cui non si riteneva capace. La percezione delle cose
muta ed uno scopre tanti begli aspetti della vita, come se avesse occhi per la
prima volta.

La personalità di un kriyaban è destinata ad essere idealmente raccolta


attorno ad un punto centrale e ogni conflitto interno ad essere risanato. Il
Kriya aiuta uno a divenire più stabile, capace di tenere a bada le emozioni
superficiali, avere un certo controllo sugli stati d'animo e sulla forza

165
dell'istinto.
All'inizio del sentiero Yoga, c'è sempre un marcato scollamento tra questo
nuovo interesse spirituale e altre ben radicate consuetudini che possono essere
sociali, intellettuali o artistiche. Talvolta sembra di avere molte personalità.
È un fatto che gli insegnanti di Yoga, per non assumere atteggiamenti censori,
fanno finta di non essere consapevoli di ciò. Sanno bene che i principi dello
Yoga, come le regole di Patanjali, non trovano facilmente il modo di essere
tradotte in pratica.
Paradossalmente, è più facile per la maggior parte delle persone liberarsi di
dannose abitudini a cause di una nuova moda ecologista piuttosto che
spezzare in un attimo una dipendenza. Ulteriore progresso sul sentiero implica
non essere influenzato da mode, non importa quanto benefiche possano
essere, ma essere capaci di afferrare ed analizzare in profondità il meccanismo
per cui alcune abitudini ci rendono schiavi.
Comunque, sebbene un kriyaban comincia il suo lungo viaggio per far sì che
tutti i suoi conflitti interiori siano equilibrati serenamente, all'inizio i segnali
di questo processo sono molto sottili ed instabili. Ci vuole una buona capacità
di distacco, per esserne consapevoli. Tutto sarà più percettibile durante i
prossimi passi quando ci sarà un lavoro armonioso con ciascun Chakra e i più
profondi strati della psiche saranno toccati armoniosamente. La scoperta della
realtà Omkar giocherà un ruolo importante: la vita e l'esperienza spirituale
diverranno una sola cosa. Gli ostacoli al raggiungimento della maturità
emotiva saranno radicalmente spazzati via dall'azione del Thokar. In
conclusione, questo primo passo del Kriya non è caratterizzato da una
trasformazione interiore completa e stabile, ma da molti segnali incoraggianti
e concreti.

Una nota
La teoria del Kriya spiega come viene sciolto il "nodo dell'ombelico". Per
capire cos'è questo nodo, si spiega che il taglio del cordone ombelicale alla
nascita crea una divisione di un'unica realtà in due parti: il lato spirituale di
una persona, che si manifesta come gioia e calma nei Chakra più elevati e
nella testa e il lato materiale nei Chakra più bassi. Questa frattura tra materia
e spirito entro ciascun essere umano è la fonte permanente di laceranti
conflitti.
Grazie al respiro addominale del Pranayama, al Navi Kriya e ad uno sforzo
cosciente, il risanamento di questa frattura avviene gradualmente.
Sebbene l'azione risanante sia un evento armonioso, ciò che traspare
all'esterno può essere interpretato negativamente da altri; ciò è spesso dovuto
alla sicurezza che un kriyaban ha appena conquistato e alle sue convinzioni.
Molti kriyaban si trovano a pronunciare delle affermazioni che in quel

166
momento sentono essere sincere ma che altri trovano offensive e taglienti. Il
risultato è duplice; amici e conoscenti pongono in dubbio la validità delle
pratiche Yoga se queste ci fanno perdere quella qualità che si chiama empatia,
mentre noi, con grande imbarazzo, ci rendiamo conto che le nostre
osservazioni erano totalmente fuori luogo.

SECONDA FASE PIANO DIDATTICO -- Routine ad incremento


progressivo

[I] Quando ritengo che la prima parte della fase preliminare sia stata
completata, senza tanto indugiare e indagare ma fidandomi solo della serietà
dello studente, consiglio che questi si concentri sulle tecniche fondamentali
Navi Kriya, Pranayama e Thokar e le pratichi in modo intensivo aumentando
progressivamente il numero delle loro ripetizioni. Una routine ad incremento
progressivo serve ad aver ragione di molti ostacoli interiori; essa pone le
migliori fondamenta per gioire del Kriya per tutta la vita.
Ecco qui, con le mie stesse parole come spiego come applicarla al Navi
Kriya.

«Di Sabato, o in qualsiasi giorno libero, lascia perdere la routine


tradizionale e, dopo una breve pratica di Talabya Kriya, Maha Mudra e
Pranayama, pratica il doppio delle ripetizioni del Navi Kriya, ovvero 8 unità.
Completa la seduta col Pranayama mentale, come è tua abitudine. La
Domenica, concediti un giorno di riposo dalle pratiche Kriya e concediti
invece un tranquillo Japa e, se il tempo atmosferico lo permette, goditi una
lunga passeggiata per calmare le regioni profonde della tua psiche. Nei giorni
seguenti riprendi la primitiva routine completa. Il prossimo Sabato pratica tre
volte la quantità standard del Navi Kriya: 12 unità. Naturalmente questo deve
sempre avvenire entro la cornice di una preparazione come Talabya, Maha
Mudra... e concludere con qualcosa come il Pranayama mentale. La
Domenica riposati col Japa e fai una passeggiata...
Dopo una settimana, o due se preferisci, pratica 16 unità di Navi Kriya... e
così via ... 20, 24... fino a 80 unità, ovvero venti volte la dose standard.
L'aumento di questa delicata tecnica Kriya dovrebbe essere graduale. Se pensi
di fare il furbo e fare subito tantissime ripetizioni tutte in un colpo, sappi che è
come fare niente, perché i canali interiori si chiudono. I nostri ostacoli
interiori non possono essere eliminati in un giorno, non solo perché la nostra
costituzione non è abbastanza forte ma perché la nostra forza interiore per
dissolverli è inizialmente debole e deve essere aumentata settimana dopo
settimana.

167
Inoltre, questo processo dovrebbe integrarsi con una regolare vita attiva.
Sta a te rendere il più piacevole possibile la giornata dedicata alla pratica; è
consigliabile dividere le lunghe sedute in due o tre parti -- da completarsi
prima di andare a dormire. Ciascuna di queste parti può terminare
distendendosi su un tappetino in Savasana (la posizione del cadavere) per
alcuni minuti.
Puoi completare la prima parte della pratica presto al mattino, stando attento a
rispettare ogni dettaglio -- e praticare la seconda parte nel pomeriggio. Dopo
un pasto leggero ed un piccolo sonnellino, esci se puoi, raggiungi un luogo
bello dove ti puoi sedere, prendere un po’ di tempo per contemplare la natura.
Poi, perfettamente a tuo agio, puoi completare il numero che ti eri prefisso.
Tutto procederà armoniosamente e l'effetto aumenterà quando il giorno cederà
al crepuscolo. Se pratichi nella tua stanza, fai in modo di riuscire a fare un
tranquilla passeggiata nella sera, quando viene la benedizione di un silenzio
carico di beatitudine.»

Il primi effetti appariscenti di questo processo sono molti: il primo che


colpisce è un aumento della chiarezza mentale – probabilmente dovuto ad una
forte azione sul terzo Chakra che governa il processo pensante; il secondo è
più profondo, più permanente, e può essere chiamato: "unificazione della
personalità".
Gli effetti sono percepiti internamente ed osservati chiaramente nella propria
vita pratica. Si percepisce un ordine interiore che si stabilisce; ciascuna azione
sembra come se fosse circondata da un alone di calma e sembra andare diritta
verso lo scopo. Mi ricorda l'atteggiamento di Achab nel Moby Dick di
Herman Melville: "Deviarmi? Voi non potete deviarmi,... Il percorso verso il
mio scopo fisso è posato con sbarre di ferro, su cui la mia anima è scanalata
per correre. Nulla è da ostacolo, nulla forma un angolo alla mia strada di
ferro!"
Alla fine del processo, uno avrà l’impressione che epoche siano passate ma di
avere ottenuto un risultato concreto e permanente.

Allo studente spiego che si può scegliere qualsiasi variante del Navi
Kriya: la migliore è sicuramente la variante illustrata nel Capitolo II/3 (scuola
[A]): essa afferra l'attenzione in una maniera che è impossibile ottenere con la
forma base del Navi Kriya. Il suo tranquillo spostare l'energia lungo la
circonferenza della testa ha un effetto che non ha paragoni. 45
Per quando riguarda questa variante, siccome una unità consiste di 36 discese
45
Coloro che si preoccupano di scoprire quale sia il miglior modo di concentrarsi nel
Sahasrara Chakra rimangono senza parole quando sperimentano la forza di questa
tecnica.

168
di energia, precedute e seguite dal cantare Om nei Chakra, il processo
comincia con 36 x 2 discese. I prossimi passi sono 36 x 3, 36 x 4 … 36 x 19,
36 x 20. È stato provato sperimentalmente che non serve andare oltre le 36 x
20 ripetizioni. Durante lunghe sedute, dopo la prima mezz'ora, i movimenti
della testa si notano appena. In altre parole, il movimento del mento in avanti,
indietro, e lateralmente che è inizialmente di circa cinque centimetri si riduce
a tre millimetri!
Dopo molte ripetizioni di questa variante del Navi Kriya, un fenomeno molto
interessante può essere osservato: ad un certo punto la espirazione sembra
divenire interna. Nello stesso momento in cui viene formulata la volontà di
espirare, si sente come se i polmoni non riuscissero a muoversi. Alcuni istanti
dopo la consapevolezza di un qualche cosa di sottile che comincia a scendere
nel corpo accompagna una espirazione molto piacevole. La espirazione è un
atto mentale, come una pressione interiore che si estende ovunque e che
produce un particolare senso di benessere, armonia e libertà. Si ha la
sensazione di poter restare così per sempre. L’aria esce ancora dal naso ma
colui che pratica giurerebbe che questo non avvenga. Questa può essere
considerata la prima timida apparizione del Pranayama col respiro interno.

[II] Dopo alcuni mesi (quando il Navi Kriya è completato o, almeno,


completato a metà) invito a incominciare un processo analogo per il
Pranayama. 36 x 2, 36 x 3….36 x 20 Pranayama è un progetto molto buono;
24 x 2, 24 x 3,…..24 x 24 è più leggero ma comunque valido.

Punti da sottolineare.
#Quando si praticano più di cento respiri è bene introdurre il Mantra di 12
sillabe, il che significa, più o meno, passare ad un quasi-Omkar Pranayama –
intendo una semplice forma di Omkar Pranayama, senza i sottili dettagli
descritti nel capitolo II/02.
#Durante ciascuna fase del processo, è importante mantenere sempre un filo
di respiro, fino al completamento del numero che si è deciso di praticare. In
altre parole, il processo non dovrebbe mai diventare puramente mentale.
#Dopo un minimo di 48 respiri, lo sguardo interiore del kriyaban è diretto
verso la parte superiore della testa. Come abbiamo già spiegato (vedi
"Pranayama eccellente" capitolo II/01) con le sopracciglia sollevate, le
palpebre chiuse o chiuse a metà, gli occhi sono volti verso l’alto senza però
muovere la testa. Si avrà l’impressione che tutto l’essere sia sollevato nella
Fontanella.
#È importante aver dimestichezza con la nostra inconscia resistenza a
cambiare e interpretare le ragioni profonde degli stati d'animo alternanti che
appaiono quando pratichiamo intensamente una tecnica Kriya. Uno dovrebbe

169
intuire se è necessario interrompere la pratica per qualche settimana o se una
tecnica dovrebbe essere praticata in maniera meno intensa. Dopo una salutare
pausa di due-tre settimane.... il "guerriero" è di nuovo sul campo pronto a
portare a compimento il lavoro.

[III] Poi consiglio una routine ad incremento progressivo basata sulla forma
base del Thokar (Secondo Kriya). Questo è possibile poiché alla fine del
precedente processo lo studente avrà fatto esperienza dell'Omkar Pranayama.
Possiamo aumentare gradualmente le ripetizioni della tecnica cominciando
dalla dose di 12 respiri fino ad un massimo il limite che è stato fissato a 200.
Uno aumenta di sei alla settimana.
A differenza dai processi prima descritti, una volta che una dose è stata
raggiunta, essa può essere ripetuta il giorno seguente o a giorni alterni. Tanto
per essere chiari: se un giorno un kriyaban raggiunge la tappa delle 42
ripetizioni, allora nei giorni seguenti può praticare di nuovo 42 Thokar --
durante la routine standard ad incremento progressivo, il giorno dopo la
pratica intensa, non si pensa nemmeno di ripetere tale prodezza; solo dopo un
minimo di sei giorni uno la ripete, aggiungendo un ulteriore incremento.

Si spiega che la tecnica del Thokar ha una benefica azione diretta sul nodo del
cuore - Hridaya Granti. Questo nodo ostacola i nostri sforzi nel Kriya in un
modo insidioso ma non chiaramente rilevabile.
La definizione tradizionale dei Granti identifica tre nodi: il Brahma Granti
presso il Muladhara Chakra; il Vishnu Granti nel Chakra del cuore e il Rudra
Granti nel Kutastha. Il Dio Vishnu presiede alla conservazione. Il nodo del
cuore crea il desiderio di preservare la conoscenza antica, le tradizioni e
istituzioni religiose; esso rafforza la tendenza a prestare fede nel campo
spirituale nelle pseudo autorità, specialmente quando i loro insegnamenti sono
presentati con ostentazione e nella cornice suggestiva di una cerimonia
solenne. Siamo governati da emozioni ed istinti che includono i nostri
condizionamenti religiosi, i nostri punti deboli, le nostre paure, dubbi e
pessimismo. Restare fedeli al sentiero che abbiamo scelto sembra talvolta una
operazione delicata che può improvvisamente guastarsi annientando ogni
entusiasmo.
Una applicazione intensiva del Thokar rappresenta una gigantesca iniezione di
coraggio e di entusiasmo. Essa placa le nostre emozioni e paure e blocca la
nostra tendenza ad avere delle reazioni eccessive. Inoltre, favorisce la qualità
dell'amore universale -- un sottile desiderio di aiutare l'umanità sofferente -- il
che non dovrebbe essere confuso con una sensibilità esangue. Quest'ultima
routine ad incremento progressivo, abbinata a quella del Navi Kriya, ci aiuta a
scoprire l'ego in attività che appaiono filantropiche. L'ego è una strutture

170
mentale molto complicata: non è possibile distruggerla, ma può essere resa
trasparente.

Considerazioni generali sulla routine ad incremento progressivo

Usualmente i kriyaban praticano ogni giorno lo stesso insieme di tecniche,


nello stesso ordine e con lo stesso numero di ripetizioni. Questa routine
invariante che richiede sempre lo stesso ammontare di tempo è l’unico
schema di pratica raccomandato da molte organizzazioni.
Non neghiamo il ruolo fondamentale di una routine fissa: per un principiante
questa è la miglior cosa da raccomandarsi. Purtroppo se uno pratica sempre e
solo in tal modo, il rischio è perdita di entusiasmo e noia. Questa è un "legge"
cui nessuno sfugge.
Non c'è alcun dubbio che uno può continuare a praticare anche durante delle
fasi apparentemente non produttive e tuttavia ottenere delle esperienze molto
belle a coronamento del suo sforzo (ogni kriyaban dovrebbe tenere presente
questo).
Ciò avviene in particolare durante lo stadio di familiarizzazione con le
tecniche, si sperimenta con esse finché si ottiene un risultato. Forse è la
classica fortuna del principiante o forse la grande curiosità ed entusiasmo che
aiutano l'impresa.
Ci sono raggiungimenti che sembrano impossibili come l'ascoltare i suoni
interiori, vedere l'occhio spirituale ... eppure avvengono senza alcun dubbio
praticando una routine invariante, fissa. MA praticare una routine costante,
che non muta mai solo per un periodo di tempo è una cosa mentre praticarla
per tutto il resto della propria vita è tutt'altra cosa! Uno yogi scrisse che
sperare di ottenere una profonda trasformazione con tale prassi è lo stesso che
sperare sia sufficiente colpire un pezzo di metallo una volta il giorno con un
martello per far sì che questo emetta, dopo anni, l'energia atomica in esso
contenuta.
Dopo aver attraversato la fase iniziale i kriyaban raggiungono infine un punto
morto ove ogni ulteriore progresso pare impossibile -- questo comporta una
profonda crisi. Soffrono sensi di colpa e sviluppano tutte le specie di paranoie.
Pochi sanno come venir fuori da questa situazione inaspettata in modo
positivo.
Istintivamente molti riescono a riaccendere il loro entusiasmo, ma solo
parzialmente e per un breve periodo di tempo, con letture, ascoltare
registrazioni di discorsi spirituali, prender parte a kirtans ...
Rivolgendosi a persone esperte (in qualsiasi organizzazione ci sono persone
che esercitano il ruolo del "meditation counselor") per chiedere consiglio, se
palesano dei dubbi sulla validità di qualche insegnamento o della routine che

171
stanno seguendo, allora vengono coinvolti profondamente sul discorso della
lealtà e della devozione. Talvolta devono ascoltare un discorso ben strano:
l'esempio di alcuni kriyaban leali che ebbero il risultato sperato solo al
momento della morte! Una alternativa è di avvicinarsi ad un'altra scuola di
Kriya ma non è possibile impedire che il problema si ripresenti. Questo è il
momento pericoloso dove interesse e passione per il Kriya sono molto
prossime a svanire completamente.

Ho visto dei risultati incredibili in coloro che hanno completato le routine


ad incremento progressivo, risultati che sono inconcepibili a quelli che
seguono la pratica tradizionale. I risultati ottenuti comprovano che le routine
ad incremento progressivo sono una delle più vantaggiose attività in cui un
kriyaban si può imbarcare.
Per queste ragioni incoraggio sempre ciascun kriyaban a intraprendere almeno
una routine ad incremento progressivo. Capisco ovviamente che incominciare
questo processo è un atto di coraggio, un maturo atto di fiducia nel Kriya e in
se stessi, una decisione che dovrebbe essere ispirata dalla propria intuizione.
Quello che avviene nell'atletica ci fornisce molte spunti di riflessione.
Atleti che desiderano raggiungere dei traguardi degni di nota devono in
qualche modo aumentare l'intensità e la qualità della loro pratica. Solo
alternando allenamento e riposo secondo schemi ben precisi onde spingere al
massimo, oltre i livelli consueti, il loro grado di resistenza fisica e mentale,
riescono a fornire prestazioni altrimenti irraggiungibili.
Non ci si deve offendere dal paragone tra il Kriya e gli sport.
Il Kriya non è uno sport ma negli stadi iniziali del Kriya, applicando le sue
diverse tecniche psico fisiche, esso possiede tanti punti a comune con
l'essenza dell'atletica.
Entrambi rifuggono l'impiego della forza bruta, entrambi richiedono di porsi
degli obiettivi e di canalizzare diligentemente la propria forza verso il
raggiungerli. Entrambi richiedono autoanalisi: analizzare e valutare la propria
modo di esecuzione e imparare dall'esperienza ed entrambi richiedono un
istruttore.

Valore euristico delle routine ad incremento progressivo

Mi riferisco al potere che tali routine hanno di rivelare eventuali errori


nella nostra comprensione di una tecnica e di fornire uno o più metodi per
correggerli.
Prendiamo un esempio concreto: supponiamo tu rimanga colpito dalla
descrizione della tecnica del Piccolo Circolo (una tecnica simile al
Pranayama) trovata in un libro di taoismo. La tua attenzione è attratta da uno

172
o più dettagli che giudichi intrinsecamente e significativamente diversi dalla
pratica del tuo Pranayama. Può trattarsi di qualsiasi cosa: per esempio fare un
particolare movimento della testa quando l'energia è in alto, come sollevare il
mento per guidare l'energia nel Kutastha, deglutire prima di iniziare
l'espirazione....
Improvvisamente, mentre leggi la descrizione ti si accende un luce: «Forse
questo mi aiuterebbe a risolvere il problema di non essere capace di sentire
l'energia quando si suppone che essa raggiunga il Kutastha!» Una parte di te
frena l'entusiasmo e suggerisce che certi dettagli possano fungere nient'altro
che di ornamento o, peggio ancora, siano una invenzione creata a tavolino:
una fetecchia insomma.
Dalla perplessità non ne esci con le acrobazie mentali, ma nemmeno col
praticare tale dettaglio per alcuni giorni entro una routine orizzontale. Potresti
avere degli indizi certo, ma di essi non puoi fidarti e potresti trarre delle
informazioni errate. Potrebbe darsi che la tecnica che oggi scarti fidandoti di
uno stato d'animo passeggero avrebbe potuto segnare un momento di svolta
nella tua vita. È importante potersi basare su una prova più affidabile.
Una routine ad incremento progressivo ti darà una risposta molto più
articolata e seria. Mentre pratichi, riceverai degli indizi molto importanti,
specie quando avrai sperimentato varie tappe del percorso: certi dettagli della
tecnica ti diventeranno insopportabili, altri spariranno senza che tu sul
momento te ne accorga; altri dettagli che sembravano insignificanti verranno
amplificati e valorizzati grandemente. Nei giorni che seguono le lunghe
sedute di pratica avrai una comprensione più profonda di tale tecnica
percependo intuitivamente la sua essenza. Altri aspetti ti verranno rivelato a
distanza di tempo. Forse mesi o anni dopo tale routine ad incremento
progressivo potrai fare degli interessanti collegamenti e deduzioni e quindi
correggere ulteriormente il tuo punto di vista.
Smettiamola di affidarci all'autorità di un Guru itinerante: la nostra vita è
troppo preziosa per porla nelle mani di un'altra persona. All'inizio del nostro
sentiero, è giusto dare una certa fiducia ad una scuola o ad un Maestro ma in
seguito è bene basarci su di una sperimentazione accurata. Non abbiamo altri
mezzi per verificare il valore di una tecnica.
Quando diverse routine ad incremento progressivo sono state completate, uno
ha sviluppato la qualità di autodidatta. Un kriyaban avrà creato una semplice
ma perfettamente sostenibile visione del Kriya tanto che non sentirà la
necessità di discutere quella routine con altri esperti Kriya. Questo è sempre
valido, purché uno sappia porsi le giuste domane.
Prima di chiudere lasciatemi dire che un risultato sicuro è quello di
imparare a meditare profondamente e ovunque, non essendo mai più
disturbato da nulla. Mentre i principianti nel Kriya sono maniacali nel

173
preparare un buon ambiente per la loro meditazione e basta un niente per
innervosirli e preoccuparli, chi ha completato le routine ad incremento
progressivo è capace di meditare nei luoghi più strani e in situazioni
impossibili - come viaggiare in treno o guardando uno spettacolo teatrale o un
film che non li interessa. Strano a dirsi, quelle occasioni possono creare per
contrasto, una particolare attenzione - diciamo di "soglia" - eliminando
radicalmente il pericolo di addormentarsi e portano a risultati insperati.

174
CAPITOLO III/02 VISIONE TEORICA DEL KRIYA YOGA

Dopo il completamento delle Routine ad incremento progressivo


descritte nel capitolo precedente, anche uno sforzo moderato ma serio nel
Kriya regalerà ad una persona delle fondamentali esperienze spirituali che
caratterizzeranno il periodo più bello e profondamente soddisfacente della sua
vita.
Sebbene la potenzialità del percorso spirituale sia interamente contenuta nelle
tecniche del Primo Kriya, la saggezza e il buon senso suggeriscono di usare
anche le tecniche dei Kriya Superiori che sono straordinariamente efficaci.
Esse furono, infatti, concepite per spianare il cammino verso la meta mistica.
Un kriyaban deve solo concepire una routine appropriata dove la loro pratica
potrà trovare una idonea collocazione. Nei prossimi capitoli riporteremo
alcuni esempi di come concepire una simile routine razionale, mentre in
questo capitolo proveremo a discutere un utile schema teorico. Creare un
routine che funzioni -- che funzioni per noi ovviamente, non stiamo nemmeno
tentando di concepire una routine universale -- è più difficile di quanto si
possa immaginare. Anche quei kriyaban che sanno arrangiarsi, che sono
abituati a sperimentare liberamente, scoprono che un gran numero di scelte
non funzionano e sembrano, più che altro, disperdere in nostri sforzi invece di
ricompensarli.
Eccezion fatta per l'Omkar Pranayama che è sempre una vera delizia e la cui
aggiunta non crea alcun problema, riempire la propria routine con troppe
tecniche può condurre ad un plateale fallimento. A causa di una lunga serie di
meditazioni infruttuose, si rischia di perdere lo spirito iniziale di stupefatto
incanto di fronte ad un meraviglioso sentiero come il Kriya che, fino a quel
momento, non aveva mai cessato di accordare le più profonde emozioni.
Una visione teorica è necessaria per decidere cosa deve essere prudentemente
omesso -- per poi essere aggiunto in seguito. È anche importante sviluppare
la necessaria sensibilità per "leggere" le nostre esperienze e per riuscire a
trovare la traccia di una tecnica nel nostro comportamento, nel nostro stato
d'animo durante il giorno -- ma questo viene con anni di pratica.

Ora, ci sono diversi modi di porre le basi di una teoria: tutto dipende da
come concepiamo la meta del Kriya e da come immaginiamo che questo
obiettivo possa essere frazionato in diversi passi.
Penso che lo scopo del Kriya sia quello di creare nel nostro corpo e mente la
stabile condizione di Prana "statico", la Tranquillità eterna. Lahiri
Mahasaya affermò infatti che l'intero percorso del Kriya consiste in una
poderosa avventura che comincia con un Prana dinamico e termina con un
Prana statico. Tranquillità, Sthir Tattwa, Stabilità, Prana statico sono

175
sinonimi. Il Kriya è naturalmente anche uno sforzo continuo di sintonia con
Omkar ma si scopre che questo avviene naturalmente col calmarsi del Prana.
Calmare il Prana e sintonia con la realtà Omkar vanno di pari passo.
Per concepire i diversi passi useremo la teoria dei nodi (Grantis).
Quanto sto per esporre si basa su varie fonti (scritte od orali) non solo nel
campo del Kriya ma anche di sentieri mistici come Esicasmo, Taoismo e
Sufismo.
Tra i libri che trattano specificatamente del Kriya Yoga, sottolineo Kriya
Yoga Vigyan, di Swami Nityananda Giri (traduzione Inglese di Dr. Brijesh
Kumar. Yoganiketan 1999).
Questa è un'opera che apparve in rete anni fa e poi fu tolta. Ho notato che il
filo delle stesse idee si trova anche in: Kriya Yoga: Its mystery and
performing art, di Swami Sadhananda Giri ( West Bengal: Jujersa
Yogashram, 1998). Eccezion fatta per gli Yoga Sutra di Patanjali (una teoria
sufficiente a garantire l'ordine corretto di esecuzione delle tecniche del Primo
Kriya), non ho mai trovato un'analoga visione teorica così chiara, concisa e
che prede dentro tutti gli aspetti del Kriya Yoga. È ineguagliata per ciò che
concerne la loro implementazione pratica. Ogni livello del Kriya è visto entro
un unico armonioso processo che conduce ad espandere quello Stato di
Tranquillità che durante la pratica del Primo Kriya comincia a stabilirsi nella
parte superiore della testa. La maggior parte dei libri sul Kriya contiene una
retorica tediosa, ripetizioni innumerevoli, il tutto immerso in inutili riferimenti
ad astruse teorie filosofiche - ci sono uno o due righe interessanti, mentre il
resto è da buttare. Ma nel libro citato ci sono alcune pagine che sono un vero
tesoro.

DEFINIZIONE DEI QUATTRO PASSI

I quattro livelli del Kriya che mi accingo a discutere sono legati a diverse
procedure che hanno come scopo quello di sciogliere dei nodi interiori:
[I] Lingua; [II] Cuore; [III] Ombelico; [IV] Muladhar-Kutastha

Nell'insieme delle tecniche del Primo Kriya ci sono i mezzi per sciogliere tutti
i nodi. Gli effetti delle altre tecniche (Kriya superiori) sono di amplificare il
processo di sciogliere il nodo del cuore, dell'ombelico e del Muladhar. Ma
dobbiamo sottolineare che ciascuna tecnica implica un movimento
dell'energia attraverso tutti i Chakra e i nodi. Nel Kriya non avviene che un
nodo sia sciolto perfettamente prima di incominciare a lavorare sul nodo
successivo. I nodi interiori non sono come i nodi di una corda. Possiedono
una dipendenza reciproca. Sono coinvolti l'uno nell'altro. Uno non è esterno

176
all'altro, né avviene una piena apertura di uno prima che si osservi l'apertura
dell'altro. Non possono essere sciolti in pochi mesi. Un nodo è come un
calcolo biliare, conficcato in un organo, che un dottore deve rimuovere con la
dovuta cura per non distruggere l'organo e uccidere il paziente. Esistono per
aiutare l'istinto di auto conservazione, per tenerci radicati alla terra e sono
continuamente rafforzati dalla struttura dell'Ego.

PRIMO LIVELLO DEL KRIYA: TECNICHE BASE PER


SCIOGLIERE TUTTI I NODI

Consideriamo la complessità del primo livello del Kriya.

[1] Nodo della lingua


Abbiamo visto che il Talabya Kriya crea un tangibile effetto rilassante sul
processo del pensiero. Non si sa come mai questa azione di allungamento del
frenulo riduca la produzione di pensieri. Attraverso l'effetto di stiramento del
Talabya Kriya il nodo della lingua comincia ad essere sciolto. Quando il
Kechari Mudra appare, l'effetto è enormemente amplificato.
Anche quando la punta della lingua è semplicemente volta indietro a toccare
la parte media del palato superiore (nel punto dove il palato duro diventa
molle) durante il Pranayama, la corrente passa attraverso la lingua, scende giù
nel corpo e nella spina dorsale. Questo fatto, ripetuto giorno dopo giorno,
rappresenta il reale taglio del nodo.

[2] Nodo del cuore


Un modo facile, sano e affidabile per sciogliere questo nodo è Om Japa in
qualunque modo esso venga utilizzato durante la routine -- a voce,
mentalmente o sottilmente quando il canto è magicamente trasformato in reale
ascolto. Quando il suono interiore della campana appare e la concentrazione
su di esso è approfondita, il tasso del cuore rallenta e il nodo comincia ad
allentare la sua presa.
Ma l'evento più straordinario è quando il Pranayama è praticato col Kechari e
il respiro che esce produce un bel suono simile a quello del flauto (un debole
fischio) Shiii Shiii. Lahiri Mahasaya lo descrisse come «simile a far passare
l'aria forzatamente attraverso un buco della serratura». Il suo potere di pulire
la mente è come un «rasoio che taglia tutto ciò che ha a che fare con la
mente». Alcune scuole definiscono questo suono simile al flauto il Shakti
Mantra e affermano che esso possiede tutto il potere di un Bija Mantra.
Lavorando incessantemente a spremere tutta la beatitudine e il potere
contenuto nel suono del flauto del Pranayama, apparirà una vibrazione tanto
forte da sopraffare tutti i suoni fisici: questo è il cosmico suono di Om -- più

177
forte del suono della campana. Esso proietta il kriyaban nella più profonda
esperienza della meditazione.

[3] Nodo dell'ombelico


La tecnica base è il Navi Kriya. Cosa avviene quando una scuola non lo
insegna? Altri fatti dovrebbero compensare la sua assenza.
Sappiamo che durante l'espirazione del Pranayama, l'addome è tirato in
dentro e alla fine della espirazione c'è una chiara percezione dell'ombelico che
si muove verso la spina dorsale. Essere consapevoli di questo movimento
può bastare in effetti a sostituire il Navi Kriya -- purché pratichiamo il
Pranayama per un numero consistente di volte. Altrimenti sarà molto
difficile padroneggiare l'Omkar Pranayama e tutte le altre tecniche evolute
che costituiscono il suo sviluppo.

[4] Nodo del Muladhar/Kutastha


Questo nodo crea un disequilibrio tra le due correnti laterali di Ida e Pingala
la qualcosa ostacola lo sforzo del kriyaban di vedere e mantenere stabile la
visione dell'occhio spirituale. Si presuppone che chiunque pratichi una certa
disciplina yogica abbia questo nodo parzialmente aperto, altrimenti la stessa
meditazione sarebbe impossibile.
Trattenere il respiro nel Maha Mudra e nello Yoni Mudra è considerato il
mezzo tipico per sciogliere tale nodo e invitare Kundalini a salire entro la
spina dorsale. Di grande valore è aumentare gradualmente il numero delle
ripetizioni di Om nello Yoni Mudra di una al giorno fino ad un massimo di
200. Si raccomanda anche che venga eseguito un Maha Mudra per ogni 12
Pranayama.
Inoltre un kriyaban impara ad aggiungere Mula Bandha o Aswini Mudra
durante il Pranayama. Una pressione verrà creata alla base della spina
dorsale, mentre l'attrazione verso il Kutastha sarà favorita da un leggero
corrugamento della fronte e dal sollevare le sopracciglia.
Più forti e marcate sono inspirazione ed espirazione, più gioia si prova quando
questi due "venti" cessano di soffiare -- mi riferisco alle pause alla fine della
inspirazione e della espirazione. Una calma divina è sperimentata durante
esse e uno intravvede lo Stato di Tranquillità.
Il citato Kriya Vigyan dà una bella spiegazione.
Spiega infatti che durante l'inspirazione, mente e Prana salgono verso Ajna
attraverso la colonna spinale. Poi, quando, come è naturale, l'aria tenderebbe
ad uscire attraverso il naso, un atto di volontà la dirige in giù entro la spina
dorsale. Prana è sacrificata in Apana. Quando il respiro e la consapevolezza
raggiungono il Muladhara, è naturale che l'aria cerchi di entrare attraverso il
naso: un atto di volontà la fa salire entro la spina dorsale. Questo è chiamato il

178
sacrificio di Apana in Prana.
Si spiega che quando Apana arriva in basso e si espande di
approssimativamente 10-12 dita sotto il corpo, essa sente l'attrazione del
Prana ed entra nello spazio interno e divora il Prana: a questo punto il respiro
è annientato e segue un attimo di estasi. Questo stato è chiamato un Eclissi
Solare: l'Apana negativo ha oscurato il positivo brillante Prana. L'opposto
avviene in Ajna ed è chiamato l'Eclissi Lunare.

SECONDO LIVELLO DEL KRIYA: INCOMINCIARE UN LAVORO


SERIO SUL NODO DEL CUORE

Molti discutono se sia il Thokar o l'Omkar Pranayama a caratterizzare


questo secondo stadio: lo sono entrambi, anche se adesso la loro potenzialità
non viene compiutamente esplorata. Cionondimeno con questo livello si
possono raggiungere dei risultati molto precisi che conducono alla piena
maturità nel sentiero Kriya -- la porta è aperta al raggiungimento della assenza
di respiro.

Abbiamo visto che Omkar Pranayama comincia con l'introdurre il canto


mentale delle sillabe del Mantra: Om Namo Bhagavate Vasudevaya. Più
uno si concentra sulla corrente che sale e scende attraversando ciascun
Chakra, più il respiro tende a divenire sottile e il suono nella gola a
scomparire. Si dice che il Pranayama ha scelto la "strada interiore" --lo stato
di assorbimento nei suoni interiori diventa preponderante. Si percepisce il
suono interiore di una campana: questo è meraviglioso, confortante. Con
pazienza molti ostacoli interiori si dissolvono.
Percepiamo in ciascun Chakra, attraverso una particolare micro pausa, lo
stesso stato di calma (Prana statico) che abbiamo imparato a sottolineare alla
fine della inspirazione e della espirazione durante il Kriya Pranayama.
La concentrazione in ciascun Chakra può essere compiuta per mezzo di una
lieve contrazione dei muscoli vicino alla sede fisica di ciascun Chakra. Si può
gentilmente "bussare" alla sede di ciascun Chakra, con l'aiuto di un Mantra.
Si può cercare di percepirvi una specie di oscillazione, o un movimento
circolare (solitamente antiorario se visto dall'alto).

La ricchezza dell'Omkar Pranayama è intensificata dall'aggiungere i


movimenti del Thokar. L'effetto sui gangli della regione cardiaca, che
porterà alla assenza di respiro, non è immediatamente riconosciuto. Il
Pranayama mentale dopo il Thokar è molto assorbente: il sistema psicofisico
è completamente pacificato.
Per poter ottenere la vera assenza di respiro, è necessario un estremo

179
impegno. Qui la necessità delle presenza di un esperto è veramente sentita.
Dovrebbe essere compito di un insegnante quello di aiutare uno studente a
vincere le resistenze interiori (più che non veri e propri ostacoli) e accettare
l'idea che lo stato di assenza di respiro è possibile.
Diamo per scontato che ci vogliono le migliori condizioni fisiche -- corretta
assunzione di cibo, un modo superiore di vivere senza mai perdere il centro
interiore. Il motto di Lahiri Mahasaya «Banat, Banat, ban jay!» (facendo,
facendo un giorno fatto) deve essere compreso nel modo giusto. Non si può
andare avanti testardamente senza usare l'intelligenza. Uno deve scoprire (o
essere aiutato a scoprire) il proprio punto di forza, ed elaborare una routine
che sia basata sull'espanderlo al massimo -- al parossismo, se necessario.
Alcuni ottengono lo stato di assenza di respiro quando un insegnante è capace
di convincerli a praticare il Japa durante l'intera giornata, in un modo
talmente determinato che sembra che il loro corpo divenga un'unica solida
vibrazione. Per altri questo non basta: il segreto è aggiungere, durante ciascun
respiro del Pranayama di base (quello del Primo Kriya che continua sempre
ad essere praticato) un continuo Aswini Mudra. Anche se lo studente,
incontrando una resistenza che diventa sempre più lacerante, protesta e urla
che la cosa non funziona, l'insegnante deve essere irremovibile e trovare le
giuste parole per incoraggiare lo studente.
Un giorno concentrandosi intensamente su ciascun Chakra, si percepisce che
esiste una radiazione di fresca energia che sostiene dall'interno ciascuna
cellula del corpo -- allora il vento del respiro si placa totalmente. La mente
raggiunge un perfetto silenzio e rimane rapita dall'ebrezza di una
incomparabile libertà interiore. Lo stato di assenza di respiro si manifesta ed
è un'esperienza dolcissima.

TERZO LIVELLO DEL KRIYA: LAVORARE SERIAMENTE SUL


NODO DELL'OMBELICO COMPLETANDO IL LAVORO SUL
NODO DEL CUORE

A tutti gli effetti, questa fase può essere vissuta praticando più
intensamente che mai il Navi Kriya e sforzandosi di perfezionare Omkar e
Thokar.
Nel Navi Kriya ci sono due fasi che si alternano: concentrazione nell'ombelico
e nel Manipur e viaggiare in su e in giù lungo la spina dorsale, facendo
vibrare Om in ciascun Chakra.
Quando una nuova procedura più potente del Navi Kriya viene introdotta in
questa fase, essa è di solito composta di due tecniche:
[I] Nella prima, il respiro segue un percorso "inverso" -- inverso rispetto a

180
quello che è sperimentato nel Kriya Pranayama vero e proprio -- e vengono
aggiunti i tre principali Bandha (Mula, Uddiyana e Jalandhara). Il Prana è
attratto in giù ed Apana in su. Le due correnti si uniscono nell'ombelico e
destano la corrente Samana.
[II] Nella seconda, Samana è guidata pazientemente Chakra dopo Chakra.
Questo avviene tramite una nuova procedura che è una profonda forma
mentale di Omkar Pranayama. La prima fase attiva la corrente Samana, la
seconda la guida lungo la spina dorsale, permeando ciascun Chakra con la sua
qualità equilibratrice.46

L'attivazione della corrente Samana è un evento straordinario perché


infonde la nostra coscienza con lo stato di Equilibrio, creando quella
condizione indefinibile cui alcuni insegnanti di Kriya alludono come lo "stato
di assorbimento del Kriya". La natura del respiro è mutata: esso non è più
tamasico, legato a Ida e Pingala. Ne viene una profondità di pratica che è
inimmaginabile per un principiante. Per questa ragione Samana è definito
come una "freccia" che, partendo dal centro della "arco" del corpo, finalmente
può arrivare al suo "obiettivo", il Kutastha e rivelare la luce spirituale.
Ho udito una suggestiva spiegazione: la corrente Samana ci aiuterebbe a
percepire un eco di quella pace di cui godemmo prima della nostra nascita

Il terzo livello del Kriya è caratterizzato dal progressivo miglioramento che


questo fatto induce nelle tecniche finora praticate.

[1] Cosa avviene nell'Omkar Pranayama

Durante l'Omkar Pranayama il kriyaban comincia a familiarizzarsi con i


due movimenti tipici di Kundalini. In alcune scuole tali movimenti sono
insegnati/attivati in due iniziazioni separate.
Il primo movimento è paragonato al procedere di una formica.
La consapevolezza e l'energia si muovono con grande intensità lungo la corda
spinale millimetro dopo millimetro. Il Kechari Mudra aiuta ad esercitare la
necessaria "pressione mentale" -- come spremere con una matita un tubo quasi
vuoto di pasta dentifricia per farla uscire del tutto. Questo puro flusso di
energia attraverso i Chakra viene sperimentato un grande numero di volte,
con un preciso piano di incremento, prima di tentare di sperimentare il
secondo movimento. Dovrebbe essere superfluo dire che in questo processo
46
Nella tipica letteratura Yoga, la combinazione delle due procedure [I] e [II] viene
descritta come processo di "risveglio di Kundalini"; mentre nella Alchimia Interiore il
processo è descritto come "unione del cielo e della terra".

181
il kriyaban non usa la forza del respiro per muovere tale corrente.
Il secondo movimento è paragonato al saltare di una rana o di una scimmia.
Esso deve essere sovrapposto al primo (per poter ottenere l'effetto giusto, i
due movimenti dovrebbero avvenire simultaneamente, il che richiede una
certa abilità) ed è caratterizzato dal fatto che le sillabe del Mantra (Om, Na,
Mo...) sono fatte vibrare nella sede di ciascun Chakra.
È grazie all'attivazione di Samana e all'uso del Kechari Mudra che uno
diventa capace di percepire lo stato vibrazionale, il ritmo e l'ubicazione astrale
di ciascun Chakra. Possiamo capire la ragione dell'insistenza di quasi tutti gli
insegnanti di Kriya sulla necessità di raggiungere il Kechari Mudra. Grazie
ad esso, nella regione dove il respiro entra nella faringe nasale, sotto il
Kutastha, si comincia a creare uno spazio. Questo spazio è percepito come
un "vuoto", sebbene non sia un vuoto in senso fisico. Si spiega che il "Ke-
chari" (tradotto letteralmente come "lo stato di coloro che volano nel cielo,
nell’etere") insegna come volare nello "spazio interiore". Con questa
procedura il kriyaban impartisce un colpo psicofisico nella sede di ciascun
Chakra e, concentrandosi sulle diverse luci che appaiono nell'occhio spirituale
come conseguenza di ciascun colpo, fa esperienza del sentiero lungo il tunnel
spinale.

[2] Cosa avviene durante la pratica del Thokar

Facciamo una piccola digressione. Quando un kriyaban impara la tecnica


del Thokar, viene anche a sapere dei dettagli della forma evoluta: ripetere
indefinitamente l'azione di colpire e così stimolare il Chakra del cuore.
Quasi nessuno riesce a resistere alla tentazione di provare quella procedura.
Uno inspira, trattiene il respiro, ruota la testa per approssimativamente 15 - 20
volte rapidamente (non sentendo nulla di ciò che si dovrebbe sentire)... Con
un senso di disagio che aumenta, invece di lasciar perdere, ripete il tentativo
inutile per circa una dozzina di volte.
Esausto contempla un risultato ben misero: niente Samadhi, niente
meditazione... niente di niente.

La trasformazione operata per mezzo di questa terza fase del Kriya apre una
via sana e fattibile verso la padronanza di questa forma evoluta di Thokar.
Un kriyaban inspira, solleva il Prana nella parte superiore dei polmoni.
L'atto di sigillare i polmoni (trachea) come si fa quando ci si tuffa deve essere
evitato. I polmoni sono tenuti come quando si sta per cominciare una nuova
inspirazione. In questo stato d'animo rilassato, i cicli dei movimenti della
testa (Te Va Su) sono portati avanti senza alcuna fretta, semplificando la
dinamica e diminuendo la loro intensità dal punto di vista fisico. Tenendo il

182
torace espanso ed i muscoli addominali e diaframma immobili, si può lasciare
che un minimo (quasi impercettibile) di aria esca fuori ogni qualvolta il mento
è abbassato verso il torace ed un altrettanto minimo di aria entri ogni
qualvolta il mento è portato su. Non si fa dunque l'atto specifico di inspirare
ed espirare, si lascia solo che il fenomeno sopra descritto avvenga -- se
avviene spontaneamente. La sensazione è quella di non respirare affatto. Si
procede fin tanto che l'intuizione suggerisce che ciò è utile. Questa pratica è
fatta rigorosamente solamente una volta al giorno -- anzi si pratica a giorni
alternativi, se ci sono problemi con le vertebre cervicali.
Comunque, il fatto è che un giorno ci si rende conto di star ruotando la testa
mentre il respiro è veramente dissolto! Si prova uno stato di ebbrezza.
Nessuno può dire a che punto del processo accadrà questo. Il respiro è
congelato e dissolto. Dopo questa pratica, si rimane nell'immobilità mentre
la spina dorsale diviene come una barra di acciaio.

Talvolta durante o dopo l'esecuzione della forma evoluta del Thokar, un


particolare stato estatico si manifesta. Una bellezza senza fine che appaga
come un'eternità, che fa nascere una devozione finora sconosciuta, si
intensifica attorno al quarto Chakra, come se una mano possente spremesse
quella regione. Uno si sente come essere inchiodato da una immensa forza.
Nasce la sensazione di essere come diviso in mille parti - ciascuna che pare
stia per scoppiare di beatitudine. È a causa dell'intensità di questa esperienza,
che appare talvolta difficile da sostenere, che l'effetto del Thokar è descritto
come "ubriacante". Tu senti di appartenere per l'Eternità a quella dimensione
paradisiaca. Ispirato da questa nuova condizione, comparandola con quella dei
mistici, comprendi quanto sia difficile vivere, svolgendo le proprie mansioni,
senza essere paralizzato da tale beatitudine! Ti chiedi dove possa trovare la
forza di praticare il Kriya per anni, uno che non ha mai avuto un assaggio di
codesta beatitudine. Allora puoi ringraziare certe diffuse illusioni sul Kriya,
certe credenze senza fondamento ma che ti tengono legato a tale pratica
finché la reale esperienza avviene. È solo adesso, avendo nel cuore il
riverbero di tale evento, che uno impara a meditare senza inquinamenti
mentali, senza nutrire l'immaginazione.

[3] Cosa avviene entro uno stato di profondo rilassamento

L'esperienza di "perdersi" (intendo appisolarsi) durante una intensa pratica


di meditazione può riservare una sorpresa stupefacente, specie quando il
naturale struggimento devozionale del cuore è forte.
Sappiamo che durante certe profonde meditazioni, le proprie condizioni
psico-fisiche sono pronte ad entrare naturalmente nello stato estasi in cui

183
cuore e polmoni rallentano le loro funzioni. Ebbene, ogni volta qualcosa
frena questo processo: la condizione normale del riflesso nervoso del cuore ci
fa percepire la paralizzante beatitudine estatica come una forma di morte e la
dissolve.
Ebbene, lo stato di quasi sonno ha il potere di calmare i gangli nervosi che
regolano cuore e polmoni. Quando il corpo è molto stanco e riposa come
anestetizzato ai confini dello stato di sonno, la genuina aspirazione spirituale
può vincere la potente ostruzione alla base della spina dorsale ed accade un
evento molto particolare:
preceduto talvolta da un vento elettrico sulla superficie del corpo,
propagantesi dai piedi alla testa, un potere luminoso e gioioso scorre
attraverso la spina dorsale ed entra nel cervello.
È come avere un vulcano che esplode interiormente, un "razzo" sparato
attraverso la spina dorsale! Di solito il punto (Bindu) nel centro del Kutastha
emerge gradualmente e si espande in un tunnel. La consapevolezza è attirata
attraverso di esso.

Viaggiare nel tunnel spinale, è come una esperienza di quasi morte -- NDE,
dall'inglese: "near death experience". Anche se molti libri sul Kriya preferiscono
evitare di trattare della esperienza di quasi morte, studiarla da un punto di vista
medito è molto importante per il kriyaban. La realizzazione del Sè non è un atto
acrobatico che avviene nel regno dei propri pensieri: avviene prima nel corpo.
Questa esperienza non si può ottenere con i sofismi! Negli ultimi quarant'anni,
questo fenomeno affascinante è divenuto alquanto noto, specialmente con lo
sviluppo delle tecniche di rianimazione cardiaca. Il libro: La vita oltre la Vita
(1975) di Raimond Moody merita letto. Alcune ricerche che hanno seguito la
pubblicazione di esso hanno rivelato che migliaia di persone negli U.S.A. hanno
affermato di avere avuto esperienze simili. Le descrizioni -- non solo di quell'autore
ma anche di altri ricercatori -- confermano la sensazione di essere morti, di
galleggiare sopra il proprio corpo e di vedere l'area circostante. L'intera esperienza è
vissuta con un senso di infinito amore e di pace. Molti hanno anche avuto la
sensazione di muoversi verso l'alto, attraverso un tunnel o un corridoio stretto,
mentre la sintesi della loro vita stava trascorrendo di fronte allo specchio della loro
coscienza. Seguono alcuni resoconti sull'incontro con parenti deceduti, e con figure
spirituali (esseri di luce). Ciascuno interpreta tale incontro a seconda della propria
cultura e delle sue aspettative. Poi la sensazione di essere arrivati ad una soglia e di
essere rispediti indietro nel proprio corpo -- spesso con profonda riluttanza a
ritornarvi -- sembra concludere l'esperienza.
È di grande ispirazione incontrare e ascoltare i racconti di coloro che, come risultato
di un serio incidente, ebbero una NDE. Questo evento li portò sull'orlo dell'Eternità,
offrendogli l'opportunità unica di gettarci uno sguardo. Per loro essa rimase
l'esperienza più reale di tutte, paradossalmente la più "viva" della loro esistenza.

184
QUARTO LIVELLO DEL KRIYA: LAVORARE SULL'ULTIMO
NODO DEL MULADHAR/KUTASTHA

Se la natura dell'esperienza sopra descritta sia semplicemente il visitare i


regni astrali o consista in una reale unificazione con Dio, è un tema filosofico.
Due fatti a mio avviso sono indiscutibili:
[a] È un'esperienza che va oltre la coscienza ordinaria.
[b] Dopo molte di queste esperienze, uno scopre che il suo Ego non si è
trasformato in un "Ego divino".
A tutti gli effetti, dopo aver provato tale esperienza i kriyaban riprendono i
loro panni puramente umani come uno che, morto in apparenza, abbia visitato
l'aldilà e poi sia ritornato tra gli esseri umani. Questo viaggiare nel tunnel
spinale rappresenta uno sguardo breve ma indimenticabile alla nostra eterna
natura. È una lezione impareggiabile -- ma non è l'esperienza finale. Il
lavoro definitivo comincia adesso.

Lavorare in modo specifico sul nodo del Muladhar concentrandosi per


lungo tempo sulla sua sede nella regione del Coccige è proibito nel Kriya di
Lahiri Mahasaya, il quale ha messo in guardia sul soffermarsi troppo nel
Muladhar, creando così un effetto tamasico-negativo. La chiave che apre in
modo sano quel nodo è un'altra. Essa consiste nel ricreare in ciascun Chakra
(o, per meglio dire: estendere a ciascuno di essi) lo stesso stato elevato, anche
se con implicazioni diverse, ottenuto nel Chakra del cuore per mezzo della
pratica evoluta del Thokar.
Il principale effetto dello sciogliere il nodo del cuore consiste col percepire e
divenire uno con l'elemento "aria" -- il quarto dei cinque Tattwas.
Tattwa è una parola Sanscrita per indicare i cinque elementi: terra, acqua,
fuoco, aria ed etere (spazio). Questa è una teoria filosofica che afferma che
tutto nell'universo può essere suddiviso in cinque energie principali. Per un
kriyaban i Tattwas non sono un tema di inutile speculazione, ma un insieme
di stati di coscienza ciascuno legato ad un Chakra diverso. Dei Bija Mantra
sono associati a ciascun Tattwa, ma noi non li usiamo nel Kriya (per lo meno
in base alle mie informazioni). 47
47
Un Bija Mantra è un "suono seme" che quando è cantato a voce o mentalmente
manifesta il suo potenziale. Il primo elemento è Terra che rappresenta un solido
fondamento per ogni inizio; il suo Bija Mantra è: "LAM." Il secondo elemento è
Acqua, che è la sfera dell'Inconscio, delle emozioni e dell'intuizione; il suo Bija
Mantra è: "VAM." Il terzo elemento è Fuoco che governa il dominio della passione,
creatività ed entusiasmo; il suo Bija Mantra è: "RAM." Il quarto elemento è Aria che
influenza la stabilità emotiva come pure l'immaginazione creativa; il suo Bija Mantra è:
"YAM." L'ultimo elemento è Etere, che controlla i mutamenti e la crescita; il suo Bija

185
Fare esperienza del Tattwa dell'aria è uno stato così grande che molti vi
rimangono legati per l'intera vita. La letteratura Sufi, dove una celebrazione di
Dio e della natura risplende con una forza ed una ampiezza che non hanno
paragone, dà un'idea di questo stato.
Nell'ultimo stadio del Kriya, dopo aver avuto piena esperienza dei cinque
Tattwa, uno alla volta, su e giù per dodici giri completi, uno svela il mistero
del Kutastha e spezza così l'ultimo guscio dell'illusione.
L'essenza di diverse varianti dell'ultima tecnica Kriya consiste nel focalizzare
la mente e il Prana su un unico centro alla volta finché la sua intima essenza è
rivelata. Le luci che uno percepisce nel Kutastha sono prodotte dai diversi
Tattwa. Questo può avvenire solo entro uno stato calmo dei polmoni e del
cuore. La padronanza dello stato di assenza di respiro gioca un ruolo
importante nell'ottenere il giusto effetto. Per questa ragione ci sono delle
leggende che questo Kriya non fu dato se non a pochi discepoli.
Durante l'epoca della propria vita quando uno è occupato con questa
procedura, molte esperienze splendide accadranno e gli ultimi ostacoli interni
saranno eliminati uno dopo l'altro. Il risultato finale avverrà dopo anni di
lavoro serio.

Molti ricercatori spirituali indulgono nel pensiero che è proprio la nostra


idea di non avere ricevuto l'Illuminazione, che ci impedisce di ottenerla.
Questa è una sciocchezza. Ci furono mistici che trovarono l'Illuminazione
spontaneamente - noi accettiamo questo fatto senza discutere: esempi come
Ramana Maharshi ci lasciano ammutoliti. Ma noi non siamo Ramana
Maharshi e non possiamo rimanere l'intera vita bloccati nella fascinazione
della sua biografia scritta magistralmente dal suo discepolo A. Osborne.

Il Kriya è per coloro che non nutrono il minimo dubbio sul valore del proprio
sforzo. L'essenza di questo quarto passo implica una tenace disciplina: il
corpo deve entrare in uno stato di profondo rilassamento, il Prana deve
manifestare una tale qualità di calma che la nostra aspirazione spirituale riesce
a convincere l'anima ad abbandonare il corpo per alcuni istanti, ritirandosi da
muscoli e gangli nervosi nella spina dorsale. La liberazione finale è possibile
solo quando uno ha molta dimestichezza con tale evento.

Mantra è: "HAM."

186
Nota sul mio piano didattico

Attraverso le prime due fasi del mio piano didattico (descritte nel capitolo
precedente: familiarizzarsi gradualmente con le tecniche base del Kriya e poi
completare le routine ad incremento progressivo) viene una ben precisa
trasformazione psico-fisica.
Le prossime fasi che descriveremo nel prossimo capitolo sono le seguenti:
[III] Aumentare la sensibilità al canale di Sushumna. Ascoltare i suoni
interiori.
[IV] Raggiungere lo stato di assenza di respiro
[V] Imparare l'arte di viaggiare nel tunnel spinale e incominciare il lavoro
finale.

Il "Kriya delle cellule" che condivido di solito con alcuni kriyaban ben
motivati, è un modo interessante di rendere completo il sentiero spirituale.
Questa sesta fase sarà discussa nel capitolo III/04.

187
CAPITOLO III/03 VERSO LA PIENA ESPERIENZA DEL KRIYA

Riprendo qui la descrizione del mio piano didattico in sei fasi.


Dopo una iniziale familiarizzazione con le tecniche base del Kriya -- un
periodo tranquillo che produce dei risultati tangibili -- sono state introdotte le
Routine ad incremento progressivo.
Il potere di tali routine di trasformare un insicuro principiante in un maturo
kriyaban è inuguagliabile. Dopo aver completato queste due fasi iniziali, non
ci saranno mai più ostacoli insormontabili; basta l'abitudine di praticare una
volta al giorno per circa 40/60 minuti per avere risultati formidabili.
Nel capitolo precedente, abbiamo presentato una base teorica che può essere
molto utile nel disegnare una routine. Dobbiamo solo ricordare che l'ordine
teorico degli eventi interiori ovvero dei risultati che ci si può attendere, non
sarà lo stesso per ciascuna persona. Quindi le fasi che discuterò in questo
capitolo potrebbero verificarsi in ordine diverso.

TERZA FASE PIANO DIDATTICO -- aumentare la sensibilità al canale


di Sushumna e ascoltare i suoni interiori durante il Pranayama

Nel capitolo II/01, abbiamo condiviso uno dei modi (obiettivamente


molto dettagliato) attraverso cui il Primo Kriya di Lahiri Mahasaya è
presentato ad un discepolo che non ha mai avuto esperienza del Kriya.
Possiamo ragionevolmente affermare che coloro che cercano il Kriya
autentico non possono aspettarsi un descrizione più ampia di quella da noi
presentata.
Ma coloro che veramente desiderano padroneggiare il Kriya devono far sì che
il Pranayama venga loro dimostrato da un insegnante che possa anche
comunicare la sua esperienza. Anche una parola e un gesto da parte di un
esperto sono sufficienti a trasferire profonda conoscenza. I kriyaban
dovrebbero vedere con i loro occhi cosa riesce ad ottenere un Maestro che ha
pazientemente perfezionato il Pranayama. Usando solo tale pratica, un
Maestro può dimostrare lo stato senza respiro e, in certe particolari situazioni,
quello di Samadhi. Beato chi può incontrare un simile Maestro e, con una
costante applicazione, divenire lui stesso un Maestro!
Quello che, a questo punto del percorso, io posso fare per uno studente di
Kriya, è separare nella sua mente i due tipi di Pranayama, descritti nel
Capitolo II/01 (quello senza la coscienza dei Chakra e quello in cui si è
coscienti di essi) e guidarlo a perfezionarli separatamente.
Cerco di aiutare uno studente a raggiungere una intensa sensibilità al canale di
Sushumna. Lo incoraggio a praticare costantemente l'Aswini Mudra (contrarre
ripetutamente i muscoli alla base della spina dorsale col ritmo di

188
approssimativamente due contrazioni al secondo) o il Mula Bandha - durante
il Pranayama.
Inoltre gli insegno a intensificare la coerenza e l'integrazione dei diversi
elementi della tecnica, esercitando una forte concentrazione nel punto tra le
sopracciglia. Insisto finché impara a percepire un brivido piacevole nella
spina dorsale durante ciascuna pratica del Pranayama. Questo dovrebbe
essere percepito non solo una volta ma sempre. È consigliabile praticare il
Maha Mudra sia prima del Pranayama che dopo di esso. 48
Per quanto concerne lo Yoni Mudra, molti kriyabans non lo amano e molte
volte lo trascurano completamente. La ragione è che essa sembra solo un
mezzo per "spremere" gli occhi onde estrarre una parvenza di esperienza di
luce interiore. Quando fai una tecnica solo perché ti dicono di farla e non
riesci a capirne il valore, essa ha una vita corta.
Ora, in questa fase del sentiero, consiglio di ripetere lo Yoni Mudra diverse
volte, intensificando la sua fase centrale di Kumbhaka per mezzo dell'Aswini
Mudra aggiungendo una debole forma di Uddiyana -- sollevare dolcemente il
diaframma un po' e tirare in dentro la pancia.
Raccomando di concentrarsi sull'intera spina dorsale e non solo sulla regione
fra le sopracciglia. Penso che uno deve avere l'impressione non tanto di
spremere gli occhi (anzi se non gradisce il Mudra previsto gli insegno
semplicemente a coprire gli occhi con i palmi delle mani) ma di esercitare una
pressione fisica e mentale sulla spina dorsale da tutte le possibili direzioni.
I risultati sono molto buoni: di giorno in giorno si sente aumentare la
consapevolezza del Sushumna.

A questo punto non è difficile approfondire la pratica del "Pranayama


eccellente" descritto nel Capitolo II/01 e dell'Omkar Pranayama descritto nel
Capitolo II/02. Il segreto è creare una "pressione mentale" su ciascun Chakra.
Consiglio di praticare almeno 48 di questi Pranayama/Omkar Pranayama nel
modo più gradevole -- con micro pause in ciascun Chakra o con un più
continuo flusso di consapevolezza.
La meta di un kriyaban è di percepire internamente la realtà di ciascun
Chakra e ascoltare i suoni interiori durante la pratica stessa senza chiudere le
orecchie. Il segreto del successo è esercitare una continua volontà di ascoltare
48
Per quel che concerne il Maha Mudra, alcuni insegnanti di Kriya considerano
questa la pratica più utile di tutto il Kriya Yoga. Affermano che la meta ideale (da
realizzarsi molto molto gradualmente!) è di praticare 144 Maha Mudra ogni giorno in
due sessioni di 72 ognuno. Ci sono resoconti di Yogi che hanno realizzato delle
esperienze fantastiche attraverso questa sola tecnica. Secondo quanto riferiscono, la
percezione del percorso di Sushumna è aumentata enormemente. Se ci sono degli
ostacoli fisici e il Maha Mudra non è possibile, consiglio i piegamenti in avanti della
scuola [A].

189
internamente.
La routine, qualunque essa sia, è concepita come un unico processo
progressivo di sintonia con la realtà Omkar. Il Maha Mudra non dovrebbe
essere considerato come separato dal Pranayama il quale a sua volta non è
separato dall'Omkar Pranayama. Il suono interiore Omkar abita in noi da
sempre: è la base della nostra stessa vita. Ciascun canto mentale della sillaba
Om o delle sillabe del Mantra Om Namo Bhagavate Vasudevaya, deve essere
impregnato dalla volontà di rintracciare l'eco di tale suono.

Il risultato cercato non avviene improvvisamente per l'acutezza di un


particolare momento di concentrazione, ma per l'accumularsi degli sforzi
espressi nelle sedute precedenti di Kriya. Quindi se oggi non riesco ad
ascoltare alcun suono interno, non dovrei pensare che qualcosa è sbagliato.
Può succedere che oggi ho fatto un enorme lavoro i cui frutti saranno raccolti
nella meditazione di domani.
Un segno che uno sta procedendo nella giusta direzione è un senso di lieve
pressione, come una pace liquida, sopra o attorno alla testa. Si potrebbe
percepire anche un certo ronzio: non serve chiedersi se questo è l'Omkar o no.
Probabilmente è solo un segnale che la vera esperienza si sta avvicinando.
Pazienza e costanza sono invece richieste.
Il suono dell'Om emerge in modo del tutto naturale ed affascina la mente.
Di solito, la prima volta che ciò è percepito è durante il Pranayama mentale,
poi durante il Pranayama vero e proprio, poi durante la vita normale, quando
uno è quieto.
A un certo punto, un suono interiore come di una campana, delicata e distante,
serra l'anima nella sua stretta di beatitudine. Uno sperimenta un appagamento
totale e un senso di sollievo come se il percorso fosse giunto al suo
adempimento.
La bellezza del suono della campana è inesplicabile; è un dolce suono, lieve
come una pioggia di petali, che bussa dolcemente alle porte dell'intuizione.
Con esso, nasce la rivelazione che questo suono è la Realtà che sta alla base di
ogni Bellezza sperimentata nella vita e che tutte le esperienze d'amore sono
come splendidi cristalli che fioriscono attorno a quel filo dorato.
Così la "luce" di Omkar attraversa il muro della sfera psicologica e rende vita
ed esperienza spirituale indistinguibili. Di giorno, tutto sembra circondato da
un manto morbido che riduce tutte le dissonanze. Tutto è come trasfigurato.
Questo fa sorgere una fino ad ora mai sperimentata Bhakti (devozione).
Questa vibrazione confortante prende il nostro più profondo desiderio nelle
sue mani dorate concedendogli pieno soddisfacimento nell'azzurra immobilità
senza limiti che si irradia dal centro del nostro cuore.
Il suono Omkar non è solo la base di ogni successivo raggiungimento, ma

190
è ciò che ci salva da tutte le angosce della vita. Quando gli eventi della vita
sembrano cospirare a farci dimenticare il senso stesso del sentiero spirituale,
la splendida realtà a cui un giorno approdammo con un cuore pieno di
entusiasmo, chi avrà il potere di riportarci a quei momenti (così belli che non
temono confronto con nessun altro periodo della vita) se non l'abbraccio di
Omkar?
Ci sono molte insidie dove un kriyaban si può bloccare. Chi si da da fare
sinceramente per mantenere questa sintonia, saprà sempre uscire fuori da
situazioni terribili. Questo suono estatico incarna quel profondo sentimento di
speranza che ha riscaldato innumerevoli volte il nostro cuore ed è il vasto
sorriso che ci arrecava conforto durante i momenti difficili.
Quando il suono Omkar si manifesta, uno non dovrebbe abbandonarlo
volontariamente. C'è infatti la tendenza ad interromperlo mentre ci si rilassa e
si gode la vita -- come se il continuo riverbero di questa esperienza fosse un
impedimento ad essere pienamente socievoli.
Quello di cui non ci rendiamo conto è questa apparentemente innocuo e
istintivo riflesso potrebbe farci perdere la sintonia con la Realtà Omkar per un
tempo molto, molto lungo. Non per alcuni giorni, ma per anni,come se
fossimo trasportati in un altro continente e dovessimo non solo ricominciare
daccapo ma ritrovare in mezzo ai nostri confusi pensieri le motivazioni e
l'entusiasmo per ripartire.
L'esperienza di Omkar è persa quando non è compresa. Uno ha bisogno di
leggere letteratura ispiratrice, di confrontarsi con le biografie dei santi, sentire
la necessità di praticare il Japa durante il giorno. Uno dovrebbe sentire la
meta come la più vicina delle cose vicine, seducente come nessun'altra cosa
al mondo, deve ardere di entusiasmo per essa.

Nota sul Kechari Mudra

Durante il completamento delle Routine ad incremento progressivo o


durante questa terza fase, alcuni studenti pongono spesso il tema del Kechari
Mudra: chi non ci riesce si sente depresso, chi ci riesce non sa come usarlo al
meglio. Cerchiamo di ricapitolare le idee
Sappiamo tutti che dopo alcuni mesi di Talabya Kriya si può raggiungere il
Kechari Mudra con l'aiuto di una o due dita che spingono la lingua vicino alla
sua base in modo che la punta tocchi l'ugola e poi vada ulteriormente indietro
oltre il palato molle finché la punta possa infilarsi nella faringe nasale.
Spieghiamo che, durante i primi giorni del suo impiego, immediatamente
dopo aver appreso ad inserire la lingua nella faringe nasale, si prova un senso
di "intontimento": le facoltà mentali sembrano ottuse. La persona deve essere
avvisata di ciò, anche se dopo due settimane, tutto ritorna alla normalità.

191
Il Kechari Mudra può essere paragonato ad un ponte in un circuito elettrico
che scavalca il sistema energetico della mente. Esso devia sia il sentiero che la
direzione del Prana facendo sì che la forza vitale venga sottratta dal processo
del pensiero. La qualità del silenzio e della trasparenza comincia a divenire la
caratteristica della propria coscienza. La mente lavora in modo più sobrio:
ciascun pensiero sembra essere più preciso e concreto. Il Kechari ferma il
colloquio interiore, donando un riposo essenziale alla nostra mente.
Effettivamente, non è poca cosa! A volte, durante la vita quotidiana, dei
momenti di pura calma e di silenzio mentale riempiono l’essere! Talvolta,
senza fare alcuna pratica yogica aggiuntiva, un'esplosione di gioia interiore,
che non ha causa concreta, può apparire nei modi più imprevedibili.
Secondo Lahiri Mahasaya: «Ogni sentiero religioso consiste di quattro
tappe caratterizzate dallo sciogliere quattro "nodi": lingua, ombelico, cuore e
coccige». Questo cosiddetto "nodo della lingua" consiste nel fatto fisiologico
che la nostra lingua non riesce normalmente a toccare l'ugola e certi centri
nella faringe nasale. Dal punto di vista energetico, siamo tenuti scollegati
dalla riserva di energia della regione del Sahasrara. Il Kechari Mudra elimina
tale frattura tra il cervello e il corpo e fa sì che l'energia circoli (in un modo
chiaramente percettibile) entro il corpo.
Altri concetti vengono introdotti: mi sento in dovere di rispettarli anche se mi
lasciano perplesso:
[a] La letteratura sul Kriya afferma che la lingua può anche essere spinta più
in alto in modo che la sua punta tocchi un centro più elevato nella parte
superiore della faringe nasale. Estendendo la lingua al massimo limite, è
possibile sperimentare una grande forza di attrazione verso il Kutastha
assieme alla sensazione di aver raggiunto una posizione fisicamente più in
alto. Come qualsiasi atlante d’anatomia può mostrare, la lingua,
completamente contenuta nella faringe nasale, non può andare oltre.
L’affermazione di Lahiri Mahasaya può essere letta in senso simbolico e
riguarda il sollevamento dell’energia.
[b] La stessa letteratura afferma anche che uno è capace di percepire,
attraverso il Kechari, l'elisir della vita, "Amrita", il "Nettare". È un fluido dal
gusto dolce che scende dal cervello nel corpo attraverso la lingua. Per quanto
riguarda l'importanza di sorseggiare il nettare, non sono in grado di
aggiungere nulla in quanto non ho ancora avuto questa esperienza né, devo
ammettere, ho mai cercato di averla.
Si spiega che per ottenere questa esperienza, la punta della lingua dovrebbe
toccare tre punti specifici: l'ugola, una piccola asperità sul tetto del palato
sotto la ghiandola pituitaria e il tessuto molle sopra il setto nasale. La punta
della lingua dovrebbe ruotare su questi punti almeno per 20-30 secondi; poi
facendo un movimento con labbra e bocca come per centellinare un liquore, si

192
percepirà un certo particolare sapore sulla superficie della lingua. Si può
ripetere l’esercizio diverse volte durante il giorno. Si spiega che quando la
vera sensazione di nettare si manifesta, uno deve concentrarsi su di essa,
tenendo la lingua in contatto con uno dei centri descritti sopra.
Secondo me un kriyaban di solito si esalta un po' con queste cose e poi le
dimentica bellamente, alla faccia di tutta la letteratura!
[c] Sappiamo che in India, il modo in cui uno studente pratica il Kechari
Mudra è cruciale per la sua iniziazione ai Kriya superiori. Ciò che è vero in
maniera incontrovertibile è che il Kechari Mudra aiuta a creare la giusta
pressione su ciascun Chakra durante l'Omkar Pranayama. Abbiamo già
spiegato come questo Mudra sia prezioso nel percepire lo stato vibratorio, il
ritmo e la sede astrale di ciascun Chakra.
Gli Acharya chiedono di vedere l’effettiva esecuzione del Kechari;
domandano che si apra la bocca di fronte a loro e controllano che la lingua
scompaia nella cavità nasale.
A mio avviso, l'iniziazione ai Kriya superiori non dovrebbe essere negata a
coloro che sono incapaci di praticare il Kechari Mudra.
Non sto dicendo che il Kechari non sia importante. Semplicemente preferisco
credere che Lahiri Mahasaya abbia concesso delle Iniziazioni superiori anche
a coloro che non riuscivano ad assumere la posizione corretta del Kechari
Mudra. La sua attitudine, il suo prendere parte alle sofferenze umane mi
indussero a credere in questo. Non riesco a concepire che l'ottenimento del
Kechari divida le persone in due categorie nette.
Da un lato abbiamo delle persone molto orgogliose illuse nel credersi più
evolute di altri, dall'altro lato coloro che si deprimono inutilmente per non
aver ottenuto qualcosa che non dipende dal loro sforzo ma dalla loro
costituzione fisica.
A chi giova dividere i kriyaban in tal modo?
Una frase come «Finché uno non è stabilito nel Kechari Mudra, non può
raggiungere lo stato di Eterna Tranquillità» è una pura falsità. Se fosse vera,
allora molti mistici, la maggior parte dei quali non sentirono mai parlare di
Kechari Mudra, non avrebbero mai potuto avere una piena esperienza del
Divino. Diciamo quindi, senza alcun timore di essere smentiti, che ci sono
tante persone che praticano il Kriya con entusiasmo, con ammirevole
dedizione, che gioiscono dei suoi notevoli effetti, senza aver realizzato questo
Mudra.
[d] Chi riesce a praticare il Kechari Mudra lo trova molto utile nel creare una
particolare pressione in ciascun Chakra durante l'Omkar Pranayama.

La quarta fase che stiamo per discutere adesso è il vero punto di svolta

193
QUARTA FASE PIANO DIDATTICO -- raggiungere l'assenza di respiro

Dal punto di vista tecnico, la condizione basilare per far apparire lo stato
di assenza di respiro è creare una particolare calma nella regione del Chakra
del cuore. Ciò può essere raggiunto dopo il Navi Kriya con una lunga
concentrazione sul Chakra del cuore, ma di solito lo si ottiene per mezzo di
un'intensa pratica del Thokar.
In effetti, Lahiri Mahasaya spiegò che quando il plesso cardiaco è colpito
dalla forte azione del Thokar, il Prana che è collegato alla respirazione è
diretto internamente e questo comporta uno stato spontaneo di profondo e
lungo assorbimento.
Disse anche che: «Il Thokar apre le porte del tempio interiore». Si riferiva
all'ottenere la rivelazione di Omkar, uno stato di profonda meditazione, tipico
del Kriya. Ma, plausibilmente, si riferisce anche al fatto che uno diviene
consapevole del Prana contenuto nel corpo ed è capace di calmarlo
ulteriormente. Per comprendere quanto sia decisivo questo ultimo
raggiungimento, ricordiamo i due fatti che sono essenziali a raggiungere lo
stato di assenza di respiro: il primo è sentire realmente una fresca luce
interiore che sostiene la vita dei muscoli e degli organi interni, il secondo è
calmare i gangli nervosi connessi alla zona del cuore che regolano il suo
pulsare come pure il ritmo del respiro.
Per far sì che la calma del respiro diventi assenza di respiro, la procedura del
Kriya deve essere raffinata per mezzo di esperimenti che possono durare
mesi.
In tale momento critico della propria evoluzione, quando la volontà è tutta
diretta verso questo raggiungimento, l'intuizione può suggerire l'importanza di
praticare il Pranayama più intensamente, rafforzandolo per esempio con
l'Aswini Mudra o intensificando la sua coerenza (integrazione dei suoi diversi
elementi) attraverso una più acuta concentrazione nel Kutastha.
Tutto questo richiede tempo perché il potere scaturito da questa prassi
intensiva dovrebbe essere gradualmente assimilato e integrato nella propria
personalità.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che qualsiasi routine, non importa quanto
sia buona, non sarà mai una garanzia per raggiungere l'assenza di respiro
automaticamente. Eliminare ogni atteggiamento improprio è anche qualcosa
di essenziale.49
49
La descrizione degli atteggiamenti sbagliati nella prima parte del libro era inteso
come materia di riflessione. Devo confessare che quello che ho descritto è un'escursione
nella mia vita intima, un viaggio nel mio passato. Molte delle fissazioni riportate, come
buchi neri minacciano ancora di prendermi in trappola: ci sono molte occasioni in cui

194
Oltre ad eliminarle, un kriyaban deve anche fare ogni possibile sforzo nel
pensare in un modo chiaro e logico quanto è necessario, altrimenti restare
nella vibrazione del silenzio mentale. Ogni cosa deve essere messa in ordine,
faccende personali incluse e questo ordine deve essere esteso a tutti gli aspetti
della propria vita.
Un kriyaban deve essere in grado di esprimere uno sforzo al cento per cento e
questo non può avvenire se ci sono dei conflitti interiori che minacciano
costantemente l'unità della personalità. Il cuore deve essere volto solo in
un'unica direzione. Per questo ci vuole tempo, intelligenza, abbinata ad una
costante auto osservazione.
Un pieno possesso dello stato di assenza di respiro richiede, a mio avviso, due
- tre anni di regolare pratica Kriya. Quando il tempo è maturo, questo stato
sboccia naturalmente e spontaneamente come un fiore durante il Pranayama
mentale.

Stabilire l'abitudine del Japa

Come ho spiegato diffusamente nel capitolo I/04, prima di iniziare una routine
Kriya, onde spremere tutto il suo potere, è essenziale aver raggiunto lo stato di
profondo Silenzio Mentale. Questo si può ottenere praticando il Japa. Una
nota aggiuntiva sul Japa e sulla corretta scelta di un Mantra si rende
necessaria.
Un kriyaban non dovrebbe sentirsi costretto a usare il Mantra favorito da
Lahiri Mahasaya "Om Namo Bhagavate Vasudevaya". Può scegliere, tra le
formule preferite di Preghiera, una (aggiungendo, se necessario, Om o Amen
all'inizio o alla fine) che abbia dodici sillabe. Dodici è un numero perfetto in
quanto si potrà usarlo anche durante il Kriya, ponendo ciascuna sillaba in un
Chakra diverso. Dei bei Mantra di dodici sillabe possono essere ottenuti dai
Bhajans o da poesie. Tanto per fare un esempio da un canto del famoso Adi
Shankara possiamo gioire di questo bel verso: Chi-da-nan-da-ru-pah-shi-vo-
ham-shi-vo-ham (Quella Forma che è pura consapevolezza e beatitudine, io
sono quell'Essere supremo, io sono quell'Essere supremo!)
Un Mantra dovrebbe esprimere precisamente quello che uno vuole
raggiungere. Per esempio l'atteggiamento di resa è espresso da quei Mantra
che cominciano con Om Namo... altri Mantra esprimono la realizzazione
assoluta non-duale.
Ci sono persone che fanno una scelta veramente infelice del Mantra attraverso
la quale danno l'impressione di auto punirsi: la loro formula è un'affermazione
dei propri limiti, un senso di indegnità o la condanna del proprio

devo resistere al loro oscuro potere.

195
comportamento. Dopo breve tempo, la loro pratica si disintegra; talvolta si
trovano a ripeterla una o due volte al giorno come un sospiro di avvilimento.
Ciò non ha nulla a che fare con quello che stiamo descrivendo qui. Il Mantra
scelto dovrebbe avere un tono forte e dolce allo stesso tempo. È importante
gioirne. "Tono forte" significa che è incompatibile con un atteggiamento di
supplica o di lamento.
La preghiera scelta dovrebbe implicare il presentimento di una felicità che,
con la stessa ripetizione delle sue sillabe, attireremo a noi. 50
Dopo aver scelto da soli il proprio Mantra, usatelo per alcune settimane
onde rendervi conto se il corpo lo accetta o meno. Sperimentare per conto
proprio è l'unica cosa che conta.
Avviene talvolta che una persona decide di recitare un Mantra, comincia a
farlo con entusiasmo e poi, dopo pochi minuti, si trova a recitarne un altro. Da
ciò e da altri segni, ci si rende conto che non si è trovato il giusto Mantra e
che la ricerca deve proseguire.
In certi casi l'uso di due Mantra può essere accettabile. In effetti, ci sono
persone le quali, dopo anni di esperimenti, hanno deciso di adottare un
Mantra come Sri Ram Jay Ram Jay Jay Ram Om (8 sillabe) che non può
essere allungato, salvo mutarlo irrimediabilmente, e lo usano durante il giorno
ed un altro con 12 sillabe durante la pratica del Kriya.

Il primo passo è prendere la determinazione di completare ogni giorno a


voce almeno un Mala (un rosario di 108 grani) del Mantra scelto, poi
lasciarlo risuonare automaticamente nella propria mente. Dovrebbe essere
ripreso, ogniqualvolta è possibile, a voce alta o mentalmente, durante il
giorno. É chiaro che questo richiede tempo ulteriore. È per questo motivo che
uno deve essere saggio e scegliere la vita più semplice, adatta al suo
temperamento. In questa dimensione, quando ci troviamo a sperimentare
qualcosa che ci turba e sconvolge, è fondamentale recuperare l'autocontrollo
con il Japa mentale o vocale.
In questo modo, pur soffrendo inevitabili tracolli, saremo capaci di
attraversare la vita con un sorriso. Durante il Japa, il nostro unico compito è
far riecheggiare il suono del Mantra nella nostra testa e, se possibile,
50
Coloro che hanno familiarità ed esperienza con lo Hatha Yoga e con il concetto di
Bija Mantra possono crearsi dei bei Mantra. Ad un Mantra preesistente, dopo l'Om
iniziale, si può aggiungere qualche "Bija" (seme) Mantra: Aim, Dúm, Gam, Glamu,
Glom, Haum, Hoom, Hreem, Hrom, Kleem, Kreem, Shreem, Streem, Vang, …
Questi suoni vennero scelti da antichi yogi che sentirono il loro potere e li usarono. Non
vennero dati da alcuna divinità, furono una scoperta umana. La letteratura o un esperto
possono aiutare a fare una buona scelta. Purtroppo la letteratura tende a esaltare
eccessivamente la virtù di tutti i Mantra tradizionali, mentre un esperto tende a
consigliare a tutti il suo Mantra preferito.

196
percepire la sua vibrazione che si estende in tutte le parti del corpo. Quello
che è richiesto è la volontà adamantina di tagliare in due la mente, di ripulirla
dai pensieri inutili in modo di toccare la dimensione del Silenzio Mentale.
Quando ciò accade, ci si sente circondati da un guscio protettivo fatto di pace
tangibile - questa non è una visualizzazione ma una vera esperienza. Non ci
saranno più problemi di aridità, mancanza di motivazione e difficoltà di
concentrazione. Il ricordo del Divino rimarrà, anche quando le vicissitudini
della vita cercheranno di distruggere la stessa idea della dimensione mistica.
Rimarrà quando il nostro Sadhana (sentiero) sembrerà frantumarsi in mille
maldestri tentativi, ciascuno fragile e vulnerabile.

Routine Kriya

L'importanza di abbinare il Japa ad una routine intelligente non sarà mai


sottolineata abbastanza. Consideriamo la seguente routine e descriviamo una
procedura effettiva:
[a] Maha Mudra, Omkar Pranayama col respiro continuo, Omkar
Pranayama col respiro frammentato, Thokar, Omkar Pranayama col respiro
continuo.
[b] Pranayama mentale.

Fase [a]: usare il respiro


Un kriyaban che ha avuto l'opportunità di usare assiduamente il Mantra
scelto, finché c'è la netta percezione di una potente immobilità fisica e
pranica, dopo aver praticato il Maha Mudra, si siede con la schiena diritta,
pronto a toccare la pienezza e la pace del silenzio. Gli occhi sono chiusi,
implicando un'intenzione di distaccarsi dal mondo circostante. Lo stato
d'animo è profondamente sereno. È a quel punto che scopre che la routine
Kriya si sviluppa in un modo semplice e naturale, come la prosecuzione
dell'atto di preghiera. In effetti, lo stesso Mantra utilizzato durante il giorno
procede automaticamente. Viene naturale l'idea di fare un lungo respiro e
cantare il Mantra durante l'inspirazione e ripeterlo (o completarlo) durante
l'espirazione! Con molta calma uno porta l'attenzione su un solo fatto: fondere
il canto interno del Mantra con un respiro dal ritmo lento e regolare. Questa
pratica elementare è simile al nostro ben noto Omkar Pranayama e può essere
portato avanti per 24-36 respiri. 51

51
Uno può prolungare la bellezza di ciò, per un tempo lungo. Si verrà a creare uno
stato particolare in cui tutto il proprio essere sembrerà star per scivolare nello stato di
sonno, ma la pratica del Japa, aiuterà a stabilirsi nella zona intermedia tra le percezioni
della realtà esterna e l'attrazione di godere di qualche fantasia.

197
A questo punto uno introduce l' Omkar Pranayama col respiro frammentato.
Questa tecnica è praticata 12 volte come spiegato (vedi capitolo II/02), poi il
respiro sembra trasformarsi, divenire sempre più sottile finché sembra
sparire...
A questo punto uno introduce il Thokar. (Ci sono diverse procedure di Thokar
e le abbiamo compiutamente descritte.)
È importante, dopo aver completato un numero minimo come 12, riprendere
la pratica di Omkar Pranayama col respiro continuo finché tutto il sistema sia
profondamente calmato.

Fase [b]: dimenticare il respiro

Ora entriamo nella fase più impegnativa: durante essa uno dovrebbe
essere completamente isolato in modo di non poter essere disturbato. Se,
purtroppo, questo dovesse avvenire, ci vorranno non minuti ma ore per
ricreare lo stato d'animo pacifico e rilassato che è stato interrotto.
Ripetiamo l'intera Preghiera in ciascun Chakra, salendo e scendendo nella
spina dorsale, lasciando che il respiro si calmi completamente. Ci
concentriamo su un Chakra alla volta. L'ordine è sempre: Chakra 1, 2, 3, 4, 5
e regione occipitale; Midollo allungato, Chakra 5, 4, 3, 2, 1.
La meditazione ha molti aspetti, "la nostra meditazione" ora è la semplice
azione di incidere nella totalità del nostro essere la pratica devota della
Preghiera.
Possiamo rimanere in ciascun Chakra il tempo necessario per ripetere una
volta, mentalmente, lentamente la Preghiera (si può ripeterla due, tre volte). È
come seminare con la massima cura ciascuna delle sue lettere nel terreno di
ciascun Chakra.
Continuiamo sempre più sottilmente, mentre la coscienza si stabilisce in un
vasto spazio che si estende oltre e sopra il Bindu. La nostra intenzione non è
di stimolare i Chakra ma semplicemente di abbandonarsi a un irresistibile
processo di interiorizzazione.

[1] Un senso di conforto e di essere avvolti in un dolce assorbimento è la


prima esperienza. Gli occhi, se fossero aperti o chiusi a metà, si chiuderebbero
da soli. Se fossero tenuti aperti - per esempio per evitare la sonnolenza - uno
non vedrebbe più niente. La vita attorno è momentaneamente estranea. La
Preghiera dà il potere di "vedere", "toccare" ciascun pensiero e perciò
"fermarlo."
[2] Aspetto Omkar di luce e di suono. Questo di solito segue l'esperienza della
luce interiore che può apparire nel punto tra le sopracciglia e nella parte
superiore del cervello. Essa varia da una diffusa intensità fino alla luce

198
brillante del cosiddetto occhio spirituale. Essa dà l'idea che il proprio essere è
costituito da un'intensità di luce dorata. Il proprio stato d'animo diventa
gioioso. La realtà dei Chakra è sperimentata intensivamente ma l'esperienza è
soggettiva. Si ascolterà, molto probabilmente, il suono di una campana
lontana o di acque che scorrono.
[3] Totale immobilità del corpo e della mente. Abbiamo la percezione di aver
calmato i movimenti interiori del corpo, persino ad un livello molecolare.
Certo questa è solo una sensazione – comunque quando uno la prova, lo stato
di assenza di respiro aspetta il momento propizio per riversare
un'ineguagliabile esperienza di beatitudine divina nel nostro essere. Mentre
uno sale e scende entro la spina dorsale, spostando la coscienza da un Chakra
all'altro, ci rendiamo conto che una fresca energia sta sostenendo il corpo
dall'interno.
[4] Assenza di respiro. Una perfetta, totale immobilità viene a stabilirsi e, ad
un certo momento, i polmoni non si muovono. Questa condizione dura vari
minuti, senza alcun senso di disagio: non c'è il minimo palpito di sorpresa.
Il cuore palpita nel dare il benvenuto a tale stato; centelliniamo il miele
celestiale di una radiazione di dolcezza che annichilisce ogni desiderio e
riempie l'anima di Bellezza ineffabile. Questo evento è godibile al di là delle
parole: contiene molto più di quello che uno ha sognato. È uno stato
incredibile – paragonato ad esso, il modo comune di vivere è soffocamento.
[5] Vera meditazione. A questo punto la pratica della Preghiera (Mantra),
come ripetizione mentale di parole comincia a perdersi per strada. Il viaggio
spirituale si avvicina alla sua fine. Abbiamo un anticipo della dolce armonia
che oltre il nostro essere. Nasce l'esperienza di essere in contatto con una
Bontà Senza fine (non conosco un altro modo per descriverla, prendo in
prestito un'espressione di S. Teresa di Avila): siamo permeati da un sapore di
Eterno. La coscienza è trasportata più lontano di qualunque territorio
conosciuto. Questo è un stato che ci regala indifferenza nei confronti della
morte e da cui nasce un Bene incommensurabile. L'esperienza è la
quintessenza dell'amore, conforto e compimento. Certamente la reazione è:
«Non lo perderò, qualunque cosa avvenga!». Dopo questa meditazione, ogni
oggetto apparirà come trasfigurato, la realtà fisica rivelerà l'immanente
presenza dello Spirito.

Pratica evoluta del Japa

Per mezzo della Preghiera, i mistici sono stati capaci di raggiungere quella
dimensione del vivere che è chiamata Preghiera Continua -- una stupefacente
ed ubriacante coabitazione con un celestiale stato di beatitudine.

199
(Abbiamo già citato due libri ispiranti, In cerca di Dio di Swami Ramdas e I
racconti di un pellegrino russo (Anonimo), dove questo stato è ampiamente
descritto.)
La Preghiera va avanti senza sforzo, prende possesso di coloro che la
sussurrano. È la Preghiera che "pronuncia" il devoto, non il devoto a
pronunciare la Preghiera.
Forse pensiamo che sia troppo difficile, tuttavia possiamo raggiungerla
specialmente in certe stagioni della nostra vita. In essa troviamo la spinta
decisiva per creare le condizioni per realizzare lo stato di assenza di respiro.
Una volta che questo è sperimentato, noi non lo dimenticheremo più e noi
saremo anche capaci di trovarlo con un più piccolo sforzo.
Quello che conta è l'atteggiamento di perdersi completamente nella Preghiera
(Mantra), centrando totalmente il suo segreto e attingendo a quel potere che
quasi tutti i mistici hanno sottolineato al di là di ogni disquisizione.
Se la buona letteratura non riesce a darci questa spinta, allora il giusto
atteggiamento si impone gradatamente quando riceveremo un buon calcio
negli stinchi da parte della vita stessa.
Ci sono momenti in cui tocchiamo con mano quanto la vita sia dura, terribile e
crudele. Una genuina dedizione al sentiero mistico nasce dal desiderio intimo
di "qualcosa di più" del modo comune di vivere.
Apriamo una parentesi. Secondo me, coloro che si sono abituati a come le
cose vanno avanti nella vita e in cuor loro lo accettano e si concentrano solo
sulla loro fetta di piacere che la vita offre loro, che hanno tanti progetti per il
futuro, come andare di qua e di là, visitare questo e quello, faranno bene a
dimenticare il Kriya e le illusioni descritte nella relativa letteratura e nei siti
web. Che vivano la vita: non c'è bisogno di renderla più complicata con il
Kriya.
Il desiderio nei confronti dell'esperienza mistica non nasce dai ragionamenti,
né può essere artificialmente creato con Satsanga (discorsi su temi spirituali),
convocazioni e simili azioni di persuasione. O c'è o non c'è.
Se il nostro Mantra rappresenta la massima aspirazione del nostro cuore,
allora è pronunciato in modo appassionato. Ripulendo la mente fino a farla
divenire uno specchio immacolato, noi creiamo una forza morale che ha il
potere di influenzare ciò che ci circonda.
Una mente mistica riesce a mantenere il silenzio mentale anche mentre parla
ad altre persone: invece di essere coinvolto nelle immagini che sorgono dalle
parole, può restare in allerta per restare centrato e non perdere il senso di
immutabile calma.
Per quanto riguarda la meditazione, se tale spinta è presente, allora uno
riversa nella procedura la giusta dose di creatività e sensibilità. Ascolta i
suggerimenti dell'intuizione per mezzo della cooperazione della mente

200
subconscia. Non c'è pericolo che la ricerca della perfezione divenga una
volontà cieca di colpire il bersaglio. Aver provato la sofferenza è la garanzia
che uno sentirà spontaneamente rispetto per la bellezza e l’importanza di
ciascun dettaglio.
Il Thokar del Kriya è la "Preghiera del cuore" di cui parlano alcune tradizioni
mistiche. La radiosità generata da questa procedura diverrà l'oro della propria
prima esperienza del Divino. Essa comincia col sentire simultaneamente una
forma mite di dolore mescolata alla percezione di una dolce bontà, che non
può essere paragonata con alcun piacere della vita. In certe occasioni, coloro
che hanno il tempo di rilassarsi dopo la pratica e lasciare che essa lavori nel
proprio intimo, saranno trasportati in un paradiso di immagini simboliche. Lo
sguardo interiore indugia teneramente su di esse, resti di memorie, trasfigurate
dalla gioia nata dalla meditazione. Persino eventi banali delle propria vita
appaiono nella distanza del ricordo come momenti di estasi e rivissuti,
posseduti pienamente come mai prima, con tale intensità che lacrime di gioia
scendono sulle guance.

La nostra mente è divorata dalla illusione di adottare dei mezzi più


costruttivi, concreti, di "evoluzione". Essa cercherà di diminuire in ogni modo
il valore del Japa. Dà l'idea che esso è uno strumento scarsamente produttivo
- ma questa è una falsa impressione. Trascurare il Japa significa abbandonare
uno strumento formidabile – un errore imperdonabile!
Simile a colui che, vicino al focolare, si gode la bellezza dell’inverno ventoso,
freddo, che circonda il nido della sua casa, colui che pratica il Japa (Preghiera
continua) contempla sia il triste sia il gioioso spettacolo della vita, avendo
trovato nel centro del suo cuore l'infinità dei cieli! La Preghiera è una gemma
meravigliosa il cui splendore riscalda la propria vita. La sua magia si diffonde
in ogni sfaccettatura della vita, sarà come camminare fuori da una stanza
scura nell'aria fresca, nella luce del sole.

QUINTA FASE PIANO DIDATTICO -- raggiungere lo stato estatico

L'esperienza del Samadhi non è così rara come qualcuno può pensare.
Molti che l'hanno provata l'hanno descritta con nomi appropriati come:
"Risveglio di Kundalini", "Supercoscienza". Un termine inappropriato è
"Coscienza cosmica"...
L'esperienza consiste in un aumento di beatitudine che si manifesta in una o in
una serie di ondate che salgono lungo la spina dorsale ed entrano nel cervello
(o, se nei giorni precedenti uno ha praticato intensivamente la tecnica del
Thokar, creano una intensa beatitudine nel Chakra Anahat). Talvolta, la

201
beatitudine diviene così grande che uno sente la necessità di cambiare
posizione e rimaner disteso su un fianco per fermarne la ripetizione e riuscire
a dormire in pace.
Di solito, ma solo dopo anni di Kriya, l'esperienza avviene nella posizione
base di meditazione ed anche in quei casi uno scopre che la sua testa si è
inchinata.
Questo evento è come un tuffo nell'Eternità, bruciare per alcuni secondi di
una gioia infinita, riempire il proprio essere dell'euforia che viene
dall'intravvedere la propria destinazione finale. Coloro che ebbero, anche per
solo alcuni istanti, tale esperienza ricevettero una lezione inestimabile. Anche
se essa non rappresenta la liberazione finale, ovvero il raggiungimento della
meta definitiva della propria avventura spirituale, il Samadhi è un evento che,
se non rifiutato e rimosso, cambia la propria vita e le dona una dimensione
spirituale dalla certezza incrollabile.
Altrove ho parlato della esperienza di quasi morte (NDE) che è qualcosa di
analogo -- anche se uno non ha necessariamente l'esperienza di galleggiare
sopra il proprio corpo, di vedere l'area circostante, o di contemplare nello
specchio della propria coscienza la sintesi della propria vita. Il Samadhi crea
la stessa trasformazione ed infiamma il desiderio di concepire la migliore
routine di Kriya che faciliti quella esperienza il cui verificarsi rimane sempre
imprevedibile.

Alcuni furono così eccitati dall'esperienza che la descrissero in libri o


riviste specializzate, come un evento straordinario.
Come atto di umiltà e di non supponenza che può venire solamente a quei
devoti in cui l'eccitazione giovanile ha ceduto alla saggezza della persona
matura, loro attribuirono l'evento ad un individuo immaginario che, a lor dire,
rivelò loro ogni intimo dettaglio.
Ma l'ego li incoraggiò ad aggiungere così tanti dettagli sia sull'evento che
sulle intime reazioni dell'individuo che il lettore non poté non vedere che in
realtà essi avevano descritto una esperienza che era accaduta proprio a loro
stessi.
Tranne il caso in cui la supposta obiettività ottenuta con questo questo trucco
offrì l'opportunità di elaborare audaci speculazioni -- ricordo che uno
fantasticò che il protagonista del suo racconto fosse il "precursore di una corsa
era" -- essi ricevettero dai lettori un'ammirazione non esplicita ma
ciononostante incontrastata.
Comunque, il punto fondamentale è che, leggendo, si ha l'impressione che
essi non abbiano capito l'insegnamento contenuto nell'evento. Lo stato
estatico dove uno è totalmente tagliato fuori da questo mondo e rimane come
un "cadavere" per dei secondi (o minuti) è alla portata di ogni kriyaban.

202
L'esperienza viene, mentre si è distesi in Savasana. È un fenomeno fisiologico
che accade quando si pratica intensamente, con l'atteggiamento corretto.
Nelle descrizioni di questo evento, notiamo che di esso è stata esagerata
l'importanza quasi che esso fosse un intervento divino: un privilegio che loro
affermavano, senza crederci ovviamente, di esserne indegni. Sembrano
convinti dell'impossibilità di renderlo parte della loro vita presente
ripristinando la stessa routine che lo aveva indotto e, soprattutto, richiamando
la stessa ardente aspirazione della loro anima e quel modo di vivere.
Come tutti i conseguimenti sostanziali del Kriya, il Samadhi è legato non solo
ad una pratica intensa delle tecniche di meditazione ma anche ad uno sforzo
costante di mantenere sempre viva e ardente l'aspirazione spirituale.
Un'interpretazione formale e senz'anima delle tecniche fa sì che lo stato di
Samadhi sia virtualmente impossibile. La fiamma della nostra aspirazione
verso una realtà superiore dovrebbe essere continuamente alimentata. Spesso,
delle difficoltà come far molta fatica a trovare il tempo per la meditazione e
l'essere vittima di una tendenza quasi invincibile alla sonnolenza quando
siamo finalmente seduti per la meditazione, può diventare una benedizione
mascherata. Se, quando pratichiamo, noi c'addormentiamo, è essenziale
riconquistare la calma come se nulla fosse accaduto. Più facciamo questo, più
lo stato estatico è vicino. Lo stesso avviene quando siamo spinti oltre ai nostri
limiti da problemi seri e dobbiamo fare appello alle nostre risorse per restare
coerenti con i nostri ideali. Il significato di principi religiosi come: "Ma
cercate anzitutto il regno di Dio, e la sua giustizia; e tutte queste cose vi
saranno date in sovrappiù. (Matteo 6:33) ...." è improvvisamente sperimentato
con un impatto lacerante. Siamo portati faccia a faccia con le nostre debolezze
e finalmente vediamo qual è la giusta scelta, capovolgiamo la scala dei nostri
valori e poniamo al primo posto nella nostra vita quello che è veramente
prezioso. Questo fatto libera un'onda crescente di fresca energia, disponibile
per scopi spirituali e dalla terra desolata della disperazione siamo proiettati
nello stato estatico.
Ogni persona dovrebbe progettare la loro propria routine; idealmente, due
al giorno: la principale da praticarsi a qualsiasi orario conveniente dove uno
perfeziona ogni fase del sentiero Kriya ed una speciale, molto semplice ma
tuttavia impegnativa, da essere praticata prima di distendersi.
Nella routine principale, ogni fase è importante ma due cose devono essere
caratterizzate da particolare forza: la concentrazione nel Kutastha e l'aumento
di calore nel Chakra del cuore dopo la pratica del Thokar -- non
necessariamente lunga ma intensa.
Per quel che concerne l'altra routine, è necessario essere molto semplici,
ridurre al minimo il Pranayama ed espandere solo una tecnica. Di solito, il
Kriya Pranayama di base ha bisogno di un lungo tempo di assimilazione (da

203
tre a sei ore) prima che il corpo possa trovare il perfetto stato di rilassamento
che è la condizione necessaria all'evento del Samadhi.
Prima di distendersi, tecniche che non comportano un respiro profondo sono
da preferirsi. L'ideale è immergersi in qualsivoglia variante di Pranayama
mentale dove ti concentri su ciascun Chakra cercando di percepire suono e
luce interiore, ovvero entrare in sintonia con la loro vibrazione, la loro
essenza. Un passo ulteriore verso il sollevarsi dell'energia nella spina dorsale
è "collegare" idealmente ciascun Chakra con il Kutastha. Questo avviene nella
tecnica base del Quarto Kriya descritta in Capitolo II/02, e anche in altre
procedure più semplici.

Ricordo con nostalgia che la mia prima organizzazione dava una tecnica
meravigliosa che era un'espansione della tecnica Om. Per ragioni sconosciute
loro la chiamarono impropriamente "Secondo Kriya." Nel Gheranda Samhita
possiamo trovare un cenno a quella procedura: "... chiudi gli orecchi, occhi ....
medita sui sei Chakra uno alla volta."
Dubito che si possa trovare un'altra tecnica che così semplicemente ma
direttamente ti conduce nello stato di Samadhi. Un piccolo problema è che
essa richiede un sostegno per i gomiti, una posizione delle mani che induce
intorpidimento in avambracci e dita. 52

Comunque, per quel che riguarda le tecniche Kriya originali, ci inchiniamo


alla bellezza del Quarto Kriya. In questa pratica possiamo applicare qualsiasi
Mantra o possiamo semplicemente creare la sensazione di sollevare
mentalmente ciascun Chakra senza l'aiuto di alcun Mantra, attraverso il puro
potere rivelato dalla meditazione. Il cuore della procedura consiste nel
ricreare in ogni Chakra (meglio ancora: estendere a ciascuno di essi) lo stesso
stato elevato, con la stessa natura estatica anche se con diverse implicazioni,
ottenuto nel Chakra del cuore per mezzo del Terzo Kriya. Così uno concentra
mente e Prana su un centro alla volta finché la sua intima essenza verrà
rivelata. Si ha la chiara sensazione che il respiro sia dissolto. Soffermandosi a
lungo, senza fretta, in un Chakra, un senso della vastità pervade la nostra
coscienza. È come se un piccolo Samadhi venisse sperimentato in ciascun
Chakra.
52
Spesso quando uno scopre che quello non è il Secondo Kriya originale, si sente
ingannato e non lo pratica più, anche se riconosce che essa si è dimostrata molto più
potente di qualsiasi altra tecnica. Ci sono anche persone coinvolte intimamente con P.Y.
e la sua organizzazione che la abbandona preferendo ad essa altre tecniche. Sono
convinti che la sua funzione sia limitata a "localizzare" i centri; dimenticano che
localizzare i centri vuole dire localizzarli astralmente e questo vuole dire essere capace
di viaggiare attraverso di loro, ovvero di ottenere l'esperienza del risveglio di Kundalini.

204
Questa procedura, se ripetuta e resa sempre più sottile, conduce
inevitabilmente allo stato di assenza di respiro. Di questa tecnica ci possono
essere diverse interpretazioni, ma uno deve essere un artista e capire come
non ostruire il processo. Come disse Garcia Lorca: "no me pidáis que lo
explique. Tengo el fuego en las manos". ["non chiedermi spiegazioni. Tengo
il fuoco nelle mie mani."]

Commenti

Concentrazione sul Sahasrara

Ci si può chiedere: perché evitiamo di concentrarsi intensamente sul


Sahasrara?
Supponiamo che uno riesca a sperimentare diverse volte lo stato estatico.
Coloro cui piace sperimentare, noteranno che se durante la pratica del Kriya,
prima di distendersi, la concentrazione si sofferma sul Sahasrara (alcune
volte, specialmente in un modo dinamico cercando di sollevarvi l'energia)
l'esperienza estatica (se si manifesta) sarà più profonda sia come intensità di
gioia che come durata. Darà anche l'impressione che uno deve fare più sforzo
per ritornare alla coscienza comune. Si può dedurre che è vantaggioso
insistere di più con la concentrazione sul Sahasrara.
Il problema non è così semplice, la concentrazione sul Sahasrara non è mai
quel grande segreto che uno spera. Ci potrebbero essere delle ripercussioni
sgradevoli come i cosiddetti "sintomi di eccessiva Kundalini", che possono
includere un seguito di difficoltà emotive.
Ho in progetto di discutere questo argomento in una futura appendice a questo
libro. Per il momento presente basterà dire che nella prassi del Kriya è molto
più sicuro lavorare principalmente con il Kutastha. Questo è un modo saggio
per preparare mente e corpo per lo stato di Samadhi. Di certo, dopo anni di
pratica Kriya è possibile porre la propria attenzione al Sahasrara per alcuni
minuti senza cadere in difficoltà emotive durante la propria vita quotidiana.

Utilizzare delle procedure ricavate dallo Hatha yoga

Non sono una di quelle persone che pensano che aggiungere qualche cosa
al Kriya significhi impoverirlo.
Riflettiamo: nel Kriya non siamo mai stati iniziati al Nadi Sodhana,
ciononostante esso si è rivelato essere una tecnica fondamentale. Aswini
Mudra è un'altra benedizione. Japa è un mondo intero di benedizioni.

205
Nella mia esperienza i tesori autentici sono:

[I] Praticare il Kriya Pranayama con diversi Mudra e Bandha come ho già
spiegato.

[II] Sostituire al Navi Kriya classico la coppia delle seguenti procedure.

[a] Kapalabhati
Esegui inspirazione ed espirazione rapidamente: l'espirazione dovrebbe
avvenire forzatamente e rapidamente contraendo i muscoli addominali la qual
cosa crea una spinta indietro. Espirazione ed inspirazione si alternano con
uguale lunghezza ed avvengono circa due volte al secondo. L'ombelico si
comporta come una pompa, come se l'addome venisse usato a mo' di mantice.
L'espirazione è attiva, l'inspirazione passiva. Un'improvvisa contrazione dei
muscoli addominali solleva il diaframma ed una quantità di aria esce dai
polmoni. Il suono assomiglia un po' al soffiarsi il naso. Non appena l'aria è
fatta uscire, i muscoli addominali sono rilassati, il che fa sì che lo stesso
volume di aria entri dentro: l'inspirazione avviene automaticamente.
Kapalabhati è qui usato in modo mirato: durante ciascuna espulsione si guida
il Prana verso l'ombelico. Durante ciascuna espirazione si canta mentalmente
Om nell'ombelico. Dopo 15-20 simili brevi espirazioni, c'è una pausa e il
respiro riprende il suo ritmo normale per alcuni secondi. Poi ancora 15-20
respiri brevi e così via per circa 100 conteggi di Om.

[b] Respiro inverso


Concentrati sul Manipura Chakra nella spina dorsale, inspira attraverso il naso
e senti che il respiro entra in quel Chakra, riscaldandolo. Poi, trattenendo il
respiro, esegui i tre Bandhas: (Mula Bandha, Uddiyana Bandha e Jalandhara
Bandha) e mantieni la concentrazione sul Manipur. Canta mentalmente Om
12 volte nel Manipur esercitando su tale centro una forma mentale di
pressione. Poi rilassa i Bandha ed espira gentilmente e lentamente sentendo
distintamente la calda energia dal Manipur, sollevarsi attraverso la spina
dorsale fino in testa e nel Kutastha.

[III] Intensificare all'estremo il calore nel Chakra del cuore dopo il Thokar,
per mezzo di una particolare forma di Bhastrika.
"Bhastrika" è respirazione rapida, fatto solamente col diaframma. Esso
termina con una profonda inspirazione, con un lungo trattenimento del
respiro, che non causi sconforto, e con una lenta espirazione.
Uso una variante particolare di Bhastrika respirando attraverso il naso ma non
troppo velocemente in modo di essere ben consapevole di quello che avviene

206
nella spina dorsale.
Si respira rapidamente (circa un respiro completo per secondo) attraverso il
naso sei volte, concentrandosi dietro il Chakra del cuore sentendo l'energia
che oscilla tre centimetri sotto ed altrettanti sopra esso. È come pulire con
forza l'area dietro questo Chakra. Si sente un caldo che comincia a scottare nel
Chakra Anahat. Dopo aver inspirato profondamente, si trattiene il respiro
aumentando il calore, si espira. Col tempo si potrà aumentare la lunghezza e
le ripetizioni di questa tecnica.

207
CAPITOLO III/04 KRIYA DELLE CELLULE

SESTA FASE PIANO DIDATTICO -- Pranayama col respiro interno

Nel capitolo I/06 accennai ad una particolare esperienza del Pranayama


che indicai come "Kriya delle cellule". Allora vivevo della bellezza che
emanava dall'Agenda di Mére. Mirra Alfassa, discepola e successore
spirituale di Sri Aurobindo, vi raccontava la sua scoperta della "Coscienza
Cellulare". Immaginai che la mia esperienza, che assomigliava effettivamente
ad un respirare col corpo senza servirsi dei polmoni, avesse qualcosa a che
fare con la sua. Non avevo la possibilità di verificare se ciò fosse vero, ma
l'idea mi inspirava a ripetere l'esperimento, affinando destrezza e intuizione.
L'esperienza cominciò durante la pratica del Pranayama quando scelsi di non
usare il Kechari Mudra e di praticare con gli occhi aperti. Durante
l'espirazione, forse per poter mantenere una piena consapevolezza del corpo,
mi venne naturale percepire il flusso dell'energia e della consapevolezza che
si muoveva verso il basso permeando tutte le parti del corpo, non già
solamente la spina dorsale.
L'ispirazione venne anche da una particolare variante del Kriya (il Kriya Yoga
di Babaji come insegnatomi da M. Govindan) che avevo appreso mesi prima.
Il suono Shii Shii della espirazione mi aiutò a guidare l'energia nelle cellule
del corpo come con un microscopico ago ipodermico. Quello che cominciai
a sperimentare non poteva essere chiamato semplicemente uno stato gioioso:
era un senso di sicurezza e di completo affidamento. L'esperienza cominciò
ad assorbirmi e introdurmi in una profondità colorata di azzurro dove
percepivo la luminosità dei cieli della mia infanzia. Mi sentivo euforico e
decisi, dopo aver completato il numero previsto di respiri Pranayama, di non
interrompere tale processo. L'esito fu una illimitata pressione della mia
consapevolezza sull'intero corpo. Siccome durante il processo c'era anche una
debole ma chiara componente di energia che saliva lungo la spina dorsale, lo
descrissi successivamente (nel mio diario) come una "rotazione di energia
indipendente dall'atto di respirare." Sentivo che potevo prolungare questo
processo all'eternità, senza mai esaurire la sua meraviglia.
L'effetto principale fu psicologico: molti problemi legati al vivere e al lavoro
sembravano dissolti all'istante. Una parte della mia mente continuava con
insistenza ad avvertirmi di non dimenticare un solo particolare di quella
esperienza; di prender nota di ogni dettaglio, di cercala di nuovo, ogni giorno
della mia vita, essendo questa l'esperienza più reale che avevo mai avuto!
Il suono chiaro, confortevole di Om, che cominciai ad ascoltare, fu una valida
conferma che stavo seguendo la direzione giusta!

208
Nel corso degli anni elaborai questa esperienza arrivando alla conclusione
che ogni sentiero spirituale ha una componente di "ascesa" ed una
componente di "discesa".
Il nostro Kriya Pranayama può essere utilizzate per fuggire dal corpo nella
spina dorsale, verso le rarefatte dimensioni dello spirito astrali o causali
(questo è l'aspetto di "ascesa"); può essere anche usato per sondare i misteri
del corpo e raggiungere la vibrazione del Divino immanente alla materia
(questo è l'aspetto di "discesa"). Sri Aurobindo aveva parlato degli: "abissi di
verità e gli oceani di sorriso che stanno dietro le auguste cime di verità". Era
forse questa nuova forma di Pranayama un mezzo per esplorare tale
dimensione?

Sento che la definizione di Pranayama (quella data nel capitolo II/01)


potrebbe essere completata includendo il decisivo dettaglio di sentire una
calma energia che si diffonde in tutto il corpo, durante l'espirazione.
Ciò non sembra illogico: scendendo verso il basso, l'energia tocca un Chakra
dopo l'altro e ciascuno irradia energia, immettendo nel corpo più vitalità. Un
fresco rifornimento di energia raggiungerà gli organi interni, i muscoli e la
pelle. Perché non dare la massima enfasi a questo dettaglio?
Lahiri Mahasaya scrisse: «Dopo un Pranayama eccellente, il respiro si è
completamente orientato verso l'interno. Dopo un lungo periodo, oggi lo
scopo della mia discesa sulla terra si è compiuto»!
Cos'è un respiro "completamente orientato verso l'interno"? Sicuramente non
è quello provato da un kriyaban principiante.
Questa frase mi ricorda una di P.Y.. Descrivendo quello che avviene dopo un
certo numero (108) di respiri Kriya fatti correttamente, egli disse: "la corrente
si muoverà automaticamente per conto proprio e la gioia provata sarà
indescrivibile." Non credo di andar molto lontano dal vero se dico che questa
è sicuramente la stessa esperienza universale che nella Alchimia Interiore è
detta Orbita Macrocosmica ovvero la "ruota che gira da sola".
Una meta alettante, non c'è dubbio. Siamo pronti per essa?
Una cosa è certa: se eliminiamo dai nostri sogni e dalle nostre mete ogni
raggiungimento difficile o improbabile, la nostra avventura spirituale rischia
di cadere a pezzi, soffocata dalla assuefazione alla ben consolidata routine di
base. L'ossessione di concepire il Kriya solo come un mezzo per ottenere la
trance estatica e di uscire fuori dal corpo, rischia di rendere il cuore duro e
resistente e bloccare la sua naturale aspirazione.
Non abbiamo né la saggezza di Lahiri Mahasaya, né il Sole interiore di Mére
ma possiamo almeno volgere il cuore verso questa nuova dimensione.

209
PRATICA

Siccome l'esercizio è relativamente difficile, chiediamoci se si può


escogitare qualche utile preparazione. Tra poco parleremo del Japa nel corpo,
ma, a mio avviso, meditare all'aperto con gli occhi aperti e la volontà
adamantina, irremovibile di divenire uno con una montagna, un lago, un
albero che stanno davanti a noi, con la ferma intenzione di toccare la loro
bellezza, è molto più efficace di qualunque preparazione. È essenziale che la
sensibilità sia posta in sintonia ciò che sta attorno.
Per quel che riguarda il giusto atteggiamento, è necessario ascoltare
l'inconscio e la voce dell'intuizione che nasce dalle stesse pratiche meditative.
La cosa più strana è che le migliori esperienze avvengono talvolta in
condizioni sfavorevoli alla propria concentrazione, per esempio: praticarla in
una sala d'attesa fingendo di leggere una rivista; viaggiare in treno seduti con
la spina dorsale diritta, dando l'impressione di esser assorbiti nei propri
pensieri...
In tali occasioni, la gioia diventa talmente grande che è difficile trattenere le
lacrime.
È meglio evitare qualsiasi forma di Kechari Mudra: talvolta sembra persino
che esso ostacoli i nostri sforzi -- dopo aver padroneggiato la procedura, si
possono fare esperimenti, con o senza Kechari.

[1] Il suono Shii della espirazione guida l'energia nel corpo

Durante i primi respiri, uno dovrebbe continuare ad osservare come


l'energia è attirata verso l'alto, guidata nel Chakra del cuore, e poi nella testa
dove si fonde con una sostanza luminosa. Poi, durante l'espirazione, questa
luminescenza discende, diffondendosi negli gli organi interni e sulla pelle.
Mantenendo un ritmo lento, profondo di respirare, si comincia ad aumentare
l'intensità del suono nella gola prodotto dall'aria che esce. Facendo vibrare il
suono di Shii nella mente durante l'espirazione, si trasforma il respiro in un
puro flusso di energia. Dopo ciascuna inspirazione, negli istanti in cui non si
respira, si rafforza l'intenzione di trovare (o di aprire) una via interna per
raggiungere le cellule del corpo. Neanche la più piccola parte di vitalità si
troverà nell'aria che esce dal naso, tutta rimarrà nel corpo.
Il suono Shii dovrebbe essere come " il grido che spezza la roccia più dura" --
così Sri Aurobindo si riferiva al potere del Bija Mantra, il "sacro suono dei
Rishi".

210
Proseguendo con il laser della volontà a inietterete consapevolezza nelle
cellule del corpo, si scoprirà, e quindi si renderà finalmente libero:

il tesoro del cielo


nascosto nella caverna segreta
come il piccolo dell'uccello,
dentro la roccia infinita
Rig-Veda, I.130.3

[2] Concentrazione sull'ombelico, allungando la espirazione

All'inizio dell'inspirazione, noi espandiamo l'addome spingendo in fuori


l'ombelico la qual cosa spinge in giù il diaframma. L'incontrario avviene
durante l'espirazione. Ci concentriamo sull'ombelico che si muove verso la
spina dorsale. Focalizziamo la nostra attenzione sui muscoli usati nel processo
della respirazione. La consapevolezza di essi e, in particolare, dell'ombelico
(che è in permanente movimento), produce un effetto molto importante. Più
si pone la consapevolezza sui muscoli, più si trascende la coscienza del corpo
fisico e si percepisce quello che sta al di là di esso.
Dopo un sostanziale numero di respiri (più di 24), mantenendo la
consapevolezza costantemente sull'ombelico e sull'accumularsi interiore di
energia, una particolare sensazione estatica comincia a diffondersi nella
regione addominale e nel petto.
Il tempo della inspirazione è limitato a sei secondi; quello della espirazione
comincia ad allungarsi indefinitamente.
Con il mento leggermente abbassato -- si è attratti dall'ombelico come se
questo fosse un magnete e non si è consapevoli di perdere la posizione diritta
-- chi pratica impazzirà di gioia. La sensazione piacevole diventa orgasmica e
solo un lieve segnale che riguarda il bisogno di ossigeno placa la sua crescita
progressiva. Per mezzo di una breve ispirazione, il Prana sale dall'ombelico
e si accumula nel cervello. Poi di nuovo una espirazione molto lunga
aumenta la pressione interiore su tutta la pelle. L'esperienza è simile ad un
Navi Kriya diffuso in tutto il corpo.

[3] Espirazione frammentata

Ora solo un fragile guscio separa dalla attesa condizione dove ogni sforzo
cessa: è possibile attraversarlo per mezzo di una espirazione sottilmente
frammentata. La frammentazione del respiro è in se stessa un'esperienza
piacevole, specialmente quando le frazioni del respiro tendono a divenire

211
microscopiche.

N.B.
Solo se ciò è veramente necessario si può... "ingannare" un po' - ma con molta
delicatezza. Ingannare vuole dire interrompere, quando necessario,
l'espirazione per un istante, concedersi una breve inspirazione onde ottenere
un piccolo apporto di ossigeno, poi riprendere l'espirazione e il movimento
verso il basso dell'energia. Essere capaci di fare questo senza disturbare la
delicatezza del processo è un'arte.

[4] Respiro interno

Mentre l'espirazione sembra allungarsi senza fine, si scopre che i


frammenti del respiro sono praticamente dissolti! Il processo del Pranayama
ci sta portando verso qualcosa di incredibilmente nuovo; la percezione è
quella di avere attraversato una barriera e quindi raggiunto lo stato di assenza
di respiro dove l'aria non entra ed esce più fuori dal naso -- anche se uno non
può affermare questo con scientifica certezza.
Col respiro totalmente calmo, praticamente non esistente, l'energia sgorga dal
Muladhar, sale rapidamente in testa; poi si diffonde lentamente in tutto il
corpo. La sensazione fisica ci ricorda una veloce passeggiata nel vento. Uno
ha la piacevole sensazione di un'energia fresca che ci rende più leggeri e ci
empie di forza. Di solito, dopo alcuni minuti, questa esperienza è arricchita
dall'ascoltare un suono forte e continuo di Om.

Un'intera vita non è sufficiente ad esplorare tutte le meraviglie contenute in


questo Kriya delle cellule. Questo modo tranquillo di mutare il modo di
respirare ci fa sentire l'incontenibile bellezza del vivere. È come se noi
avessimo lavorato per attrarre il Divino in ciascun angolo della nostra vita e
improvvisamente scoprissimo che Esso era sempre là. È come se un pittore
impressionista fosse finalmente riuscito a rendere attuale la sua concezione
visionaria, trasmettendo l'idea che la sostanza inerte della materia da lui
ritratta è fatta di multicolori particelle di luce, come innumerevoli soli che
irradiano in una luminosa trasparenza.

Il fuoco del cielo è acceso nel petto della terra


e i soli immortali ardono.
(Sri Aurobindo, Una fatica di Dio.)

Il cuore di un kriyaban è posto oltre lo spesso muro della opacità collettiva.


La luce divina rivela i cieli di un'altra, più vera, dimensione dell'esistenza.

212
Cosa avviene adesso?

Il mistero più difficile con cui fare i conti, è se il respiro interno del
Pranayama abbia in qualche modo il potere di influenzare gli eventi della
nostra vita pratica. Asserire che il Pranayama ci porta a percepire la realtà in
modo diverso è ovvio, ma presumere che faccia accadere quello che non
sarebbe altrimenti accaduto (oppure che sarebbe accaduto comunque, ma in
modo diverso) è tutta un'altra cosa. Questa idea ha tutto l'aspetto di essere il
frutto della nostra immaginazione. Il principio di causa-effetto implica che il
mondo ignori quello che stiamo facendo nel nostro ritiro segreto. Come è
possibile ritenere plausibile l'ipotesi che qualcosa che è avvenuta in me, possa
avere un effetto sul mondo circostante?
Cionondimeno quando pratichi questa forma di Pranayama hai l'impressione
di fare sempre di più i conti con problemi spinosi -- come se tutto (specie nel
campo delle relazioni umane) cospirasse affinché i nodi vengono al pettine.
In modo calmo ma con un po' di meraviglia osserverai come molte tra le
persone che conosci riemergono nella tua vita dopo lunga assenza e ti
pongono delle sfide audaci che richiedono tuoi radicali mutamenti di
atteggiamento. Senti il dovere, cui non puoi sfuggire, di fronteggiare delle
faccende complicate, irrisolte, che nel passato eri riuscito argutamente ad
evitare. Ti senti costretto ad essere completamente sincero, anzitutto con te
stesso. Talvolta hai l'impressione che, facendo circolare energia nel corpo ed
entrando in ciascuna cellula, tu abbia toccato e disturbato l'ambiente che ti
circonda. È una cosa veramente strana.
Viene in mente l'immagine di un formicaio: quando una persona lo urta, folle
di formiche escono subito per iniziare le operazioni di riparo. Similmente
l'ambiente che ti circonda ti appare agitato, talvolta attivo in modo frenetico e
in parte aggressivo nei tuoi confronti. Non puoi goderti pacificamente la
magia di questo processo perché problemi sorgono continuamente e la tua
aumentata sensibilità li prende talvolta come vere e proprie ferite.
Anche dopo mesi non riesci a capire se si tratta semplicemente di
un'impressione o di un evento reale. Si tratta di eventi normali che
avvengono nella vita di ognuno o sono attratti da te a causa della tua pratica?
Parlando in generale, si spiega che questo è quello che avviene nell'ultima
fase del sentiero mistico, quando pratichi delle tecniche disegnate per
sciogliere l'ultimo nodo: quello del Muladhar.
Se vuoi concepire una spiegazione razionale di ciò, puoi evocare teorie
secondo le quali il nodo del Muladhar esiste in ciascuna cellula del corpo ed è
strettamente legato -- forse è una e una sola realtà -- con la dimensione
psicologica dell'Inconscio Collettivo.

213
La nostra psiche è fatta di vari livelli o strati. Una parte di essa è condivisa
dalle persone, da tutta l'umanità ed è chiamata Inconscio Collettivo. Guidare
la luce spirituale nel corpo significa toccarlo direttamente.
I contenuti dell'Inconscio Collettivo non hanno mai fatto parte della
coscienza, e quando irrompono nella nostra psiche -- in parte infinitesimale,
altrimenti sarebbe pazzia -- siamo momentaneamente sgomenti.
Durante questa espansione di consapevolezza, i mistici mantengono un eco
nella loro memoria dell'estasi provata ma percepiscono simultaneamente la
rassegnazione dell'impotenza umana verso le innumerevoli sofferenze della
vita.
Abbiamo sempre udito che il sentiero spirituale non è un continuo banchetto
di gioia: la sua ultima fase è molto critica.
Negli scritti di San Giovanni della Croce ci sono delle allusioni alla "notte
oscura dell'anima". Le biografie dei santi danno molti esempi di sofferenze
che vengono dalla totale identificazione con il dolore e le miserie altrui.
Sappiamo che tali santi usano il corpo per assorbire e così aiutare a disperdere
le sofferenze mentali e fisiche di altre persone.
Si dice usualmente che i santi «bruciano una parte del Karma dei loro
discepoli». Purtroppo, al giorno d'oggi questa espressione è stata banalizzata,
specialmente dalla letteratura New Age, come se fosse una impresa indolore,
un fatto quasi automatico. Le sofferenze di un mistico autentico sono sempre
reali e, come qualsivoglia comune essere umano, non cercano scioccamente di
attirarle.

Una convinzione abbastanza diffusa tra i kriyaban è che noi non siamo diversi
dai mistici di qualsiasi religione ma che sia l'equilibrio del sentiero Kriya
(lavorare per aprire i nodi dall'alto in basso: lingua, cuore, ombelico,
Muladhar) ad evitarci molte sofferenze anche se non riusciremo ad evitare
uno duro impatto con l'oscurità della mente umana, sentendo una parte di
responsabilità per tutta la crudeltà che essa è stata capace di manifestare.

Il nostro corpo rimane tuttavia un mistero. Guidare l'energia e quindi la


consapevolezza in esso, ha degli effetti che non riusciamo nemmeno a
immaginare.
Alcuni kriyaban potrebbero pensare che bisogna essere pazzi per andare a
cercarsi i problemi sopra accennati. Discendere nelle cellule può essere
affascinante ma ci bastano le gioie che troviamo nel sentiero della ascesa.
Questo non funziona. Se noi evitiamo quest'ultima fase del processo,
qualcosa costringerà la nostra attenzione verso il corpo. Coloro che non
prendono l'impegno di riempirlo di consapevolezza ed energia come parte
integrante del sentiero Kriya, potrebbero ricevere diversi strattoni verso il

214
basso -- malattie mentali e fisiche incluse.
Quasi tutti i mistici considerano le malattie come una prova o l'espiazione di
alcune colpe. Incapaci di capire il suo messaggio, accettano la sofferenza
come un fastidio inevitabile. Spesso una malattia è un segnale che il corpo
invia per implorare la nostra attenzione e per obbligarci, prestando le
necessarie cure, a risvegliare e utilizzare i suoi poteri di auto guarigione,
quelli che sono sempre stati presenti ma necessitano della nostra piena
consapevolezza per funzionare.

JAPA NEL CORPO: UN PREZIOSO AIUTO DURANTE QUESTA


ULTIMA FASE

Altrove abbiamo detto del valore di un Mantra. Un Mantra


appropriato, ripetuto a voce e poi mentalmente, con totale concentrazione nel
corpo (sia concentrandosi sul corpo nella sua interezza o seguendo un piano
ordinato di "conquistare" ciascuna parte di esso) è il miglior mezzo per far sì
che la nostra esperienza del Kriya delle cellule non evapori in speculazioni
mentali.
L'Agenda di Mére è uno splendido "giornale di bordo" del tentativo di
Mirra di discendere nel corpo cercando di contattare la "coscienza delle
cellule", attraversando vari strati di coscienza: pensieri, emozioni, sensazioni.
È interessante notare come lei avesse individuato nel Mantra un aiuto
inestimabile. Lei amava il Mantra: "Om Namo Bhagavate" che ripeteva
camminando avanti e indietro nella sua stanza, ininterrottamente concentrata
sul corpo. Lei ricaricava ciascuna sillaba del Mantra con la sua volontà ed
aspirazione, potenti come un laser. Quella vibrazione luminosa si aprì
facilmente la strada attraverso il corpo finché fece emergere uno strato
negativo che è la base di tutte le malattie e degli incidenti apparentemente
casuali, l'origine d’ogni senso di disperazione depositato là nel corso di
millenni. Per mezzo della sua volontà indomita riuscì ad attraversarlo e
raggiungere un territorio inesplorato: « ... perfetto, eterno, oltre il tempo, oltre
lo spazio, oltre il movimento ... oltre tutto nel ... non so, in un'estasi, una
beatitudine, un qualcosa di ineffabile.»
Quel sublime stato era la coscienza stessa del corpo, intendendo che le cellule
avevano la loro propria consapevolezza. Mére descrive questa mente
cellulare come una mente ostinata -- implacabile nel costruire e nutrire un
cancro come pure nel ripetere incessantemente la nuova vibrazione luminosa
del Mantra.
Molte esperienze che lei raccontò a Satprem ci riportano ai temi trattati qui.
La sua Agenda merita letta, non c'è dubbio.

215
Un fatto meno noto è che ci sono mistici che "pensano" la Preghiera nel
corpo. Queste Preghiere sono molto brevi, essendo ridotte talvolta da una sola
vocale o sillaba.
I pochi scritti di tali mistici sono pubblicati quasi esclusivamente da case
specializzate nel campo esoterico. Questi libri possono essere trovati
rovistando fra testi d’occultismo e di magia. Kerning, Kolb, Lasario,
Weinfurter, Peryt Shou, Spiesberger... sono solo alcuni nomi. Questi mistici,
sebbene siano nati nell’ambito della cristianità e si siano sentiti in completa
sintonia con tale insegnamento, sono stati rilegati in un angolo come
esponenti del pensiero esoterico, come se fossero dei maghi che aspiravano a
sviluppare dei poteri nascosti.
Il lettore che ha la pazienza di fare una ricerca in quel campo e passare oltre
varie pagine riempite di teorie e pratiche di poco conto, messe là quasi per
confonderlo, troverà infine alcuni paragrafi d’inimitabile fascino. L'essenza
del loro insegnamento è che una vibrazione di qualsivoglia suono, se ripetuta
con immutabile concentrazione nel corpo, può raggiungerne le sue cellule --
«il corpo intero sarà attivato con nuova vita e così sarà fatto rinascere».
La tecnica principale consiste nel scegliere una vocale e cominciare a ripeterla
e farla vibrare nei piedi e gradualmente sollevarla nelle diverse parti del
corpo. Poi ripetere lo stesso processo con un'altra vocale e così via.
Possiamo usare in modo simile il nostro Mantra preferito, riempiendo il corpo
di consapevolezza. Cominciamo con un preciso sforzo mentale e poi passiamo
ad uno stato senza sforzo, senza perderci nelle paludi della tecnicità.

216
APPENDICE 1 ALCUNE NOTE SULLE ROUTINE AD
INCREMENTO PROGRESSIVO

La pratica delle routine ad incremento progressivo contrassegnò un


periodo stupendo della mia vita: qui sono riportate alcune osservazioni
relative alla mia esperienza.

Navi Kriya
Per quel che riguarda la routine ad incremento progressivo del Navi Kriya
raggiungere gradualmente le 720 ripetizioni non fu un lavoro estenuante.
Varie volte ebbi la possibilità di praticare in campagna e l'esperienza fu
eccezionale.
L'unico problema incontrato fu che, talvolta, sullo schermo interiore della
consapevolezza apparivano molte immagini – ovviamente, esse erano sogni
ad occhi aperti. Questo è il motivo per cui fui spinto a praticare talvolta con
gli occhi semichiusi. Questo disturbo – in realtà è un processo fisiologico –
non poteva essere evitato in alcun modo. Non mi fu d’aiuto il praticare
diverse volte il Maha Mudra; mutare la posizione delle gambe, come pure
interrompere, per una pausa, la pratica, tutto era inutile. Nel già citato libro I
racconti di un pellegrino russo il protagonista descrive come la nube dei suoi
pensieri lo circondava ogniqualvolta praticava il suo metodo di preghiera. Egli
sperimentava «una gran pesantezza, letargia, noia e un’invincibile
sonnolenza».
Cercai di restare pienamente consapevole, pur trovandomi in quello stato di
diffusa ed irresistibile quiete che precede il sonno. Alcune immagini interiori,
invece di dare origine ad una catena incessante di pensieri, si trasfigurarono in
una bellezza senza fine, scomparvero come se la loro vera essenza fosse solo
beatitudine.
Quelle immagini mi permisero a gettare uno sguardo alle indistinte sorgenti
da cui si originava il mio presente corso di vita. Il mio cuore era afferrato
dalla percezione di qualche cosa di puro, incantevolmente puro. Vidi che un
filo interno collegava tutte le mie azioni passate; era chiaro che, ricerca dopo
ricerca, una intenzione inflessibile mi guidava sempre verso la meta mistica.
Questa pratica rappresentò l'esperienza del mistero della Realtà Spirituale che
si mescola con la vita. Di sera, dopo la fine di quelle lunghe sedute di
meditazione, lo stato estatico non pareva svanire. Continuava ad esistere
senza la necessità della paralizzante, immobile trance del corpo. Camminavo
gioendo del calore della sera con la più vera, totale felicità nel mio cuore. Fu
forse perché li vissi più in estate che in altre stagioni che li associo con

217
un'estate che non finisce mai e con i suoi lunghi tramonti ove sperimentai il
più incontenibile senso di libertà.

Pranayama
Per quanto riguarda la routine ad incremento progressivo Pranayama, a metà
del percorso ebbi, di notte nella prima fase del sonno, delle esperienza molto
intense di salita di energia nella spina dorsale accompagnata dalla visione di
tre montagne bellissime. Quella centrale, la più alta, era nera e ricordava nella
forma la punta di una freccia fatta di ossidiana: fu nella visione di questa che
mi trovai rapito. Il mio cuore esultava, ero pazzamente innamorato di quella
immagine; quando l'esperienza finì stavo piangendo di gioia. Non più supino,
appoggiai la schiena ad un sostegno. Rimasi il più calmo possibile a sentire
quella particolare forza e pressione che aumentava e aumentava e mi serrava
l’intera zona del torace e mi schiacciava con la sua stretta di beatitudine.
Quell’immagine era forte, tremendamente forte davanti a me. Non c’era nulla
di più bello, che mi facesse maggiormente vibrare d’amore.
Quando praticavo in campagna, verso sera, prossimo al completamento
del numero previsto di ripetizioni, improvvise esperienze di silenzio mentale
mi ricordava le parole di Krishnamurti. Cominciai ad essere consapevole
dell'aria fresca attorno a me, la sentivo avvolgermi come una gradevole
carezza sulla pelle. Gli uccelli cantavano tra gli alberi vicini. Praticavo con gli
occhi aperti; dal posto che avevo scelto potevo ammirare una bella montagna
che occupava quasi tutta la parte sinistra dell’orizzonte.
Una sera nubi bianche a cumuli riempivano al cielo ... e venne il silenzio, un
silenzio perfetto che il canto degli uccelli non turbava e questo silenzio era
dentro di me, era la mia mente... e il Pranayama non era un lavoro, una fatica,
un esercizio... avrebbe potuto continuare per l'eternità…. ed era bello,
gradevole, naturale. Non capivo come, un tempo, anche un decimo di questo
Pranayama mi avrebbe dato nervosismo, non capivo il miracolo di questo
Kriya... perché io ero questo Kriya e questo Kriya era la carezza dell'aria
attorno a me... ed era il canto degli uccelli, ed era la montagna!
Belle giornate davvero! Se ripenso a questi giorni di pratica all'aperto – che
nel mio ricordo si fondono nella consistenza dei cieli d’estate - mi viene in
mente la frase di Aurobindo: «Abbastanza, abbastanza della mente e delle sue
false stelle, accendiamo i soli che mai si spengono!»

Forma base del Thokar


Per quel che riguarda l'esperienza di aumentare le ripetizioni del Thokar
(Secondo Kriya), il periodo in cui mi tuffai in questa pratica fu realmente
meraviglioso: che giornate di grazia, di ebbrezza! Mentirei se dicessi che non
ne ho una nostalgia infinita. Credo di aver realmente esagerato nell'usare

218
anche troppo questo formidabile strumento. Le diverse varianti di questa
procedura furono più o meno uguali nel dare la stessa forte esperienza: mi
muovevo intorno sentendo nel cuore un braciere ardente. Percepivo che il
centro della mia personalità non era nel cervello ma nel cuore. Questo
aumento interno di energia nel Chakra del cuore produsse degli effetti
straordinari su tutti i piani.
Il Thokar, unito all'autoanalisi e al potere della volontà, porta anche alla
superficie vecchie ferite profondamente radicate.
Lahiri Mahasaya scrisse che un kriyaban è trasformato profondamente da esso
ed impara a vedere «quello che altri non possono o non vogliono davvero
vedere».
Nel mio caso, rivelò, come fossi profondamente colpito dalla tendenza umana
alla superstizione. Notando quante illusioni sono propagate dalle religioni e
dalle sette, mi sentii triste per quelle persone che - nell'abisso della loro
tragedia – non erano capaci di dar voce al loro profondo grido di dolore
rivolgendosi a Dio in un atto di protesta ma continuavano ad implorarLo non
in uno spirito di devozione e resa ma con un atteggiamento talmente prostrato
di supplica, come se temessero ancor peggiori calamità.
Il sentimento di questa devastante realtà fu sperimentato come una stretta
dolorosa che mi lacerava il petto. Col passare dei mesi qualcosa si sciolse e ne
venne una tale intensità di amore che la stessa esperienza si trasformò in un
dolore "pieno di beatitudine".

Amantrak [ Scuola C]
Nel capitolo II/3, sezione [C] abbiamo introdotto alcune tecniche basate sul
movimento Trivangamurari. Ne abbiamo parlato poiché esse hanno un valore
inestimabile.
Abbiamo fatto notare come prima di intensificare la nostra percezione di
questo movimento a tre curve attraverso la procedura del Thokar, sia
necessario percepirlo molte volte restando perfettamente immobili.
La tradizione vuole che questa percezione venga aumentata gradualmente fino
a raggiungere 200 giri, sia senza l'uso del Mantra (Amantrak) che con esso
(Samantrak).
Ricordo chiaramente che durante i mesi di pratica di Amantrak, stati d’animo
opposti si alternavano. Uno dei miei insegnanti, presentando questa tecnica,
affermò che il flusso interiore Trivangamurari passa attraverso il Chakra del
cuore e pulisce via tanta sporcizia; da qui la causa del suo particolare effetto
di estraniamento. L’azione di questa tecnica diminuisce l'agitazione, la
frenesia causata dalle emozioni superficiali, nutrite da certe energie che
nascono dai Chakra inferiori. Questo conduce ad una totale modifica delle
prospettive dalle quali si guarda alla vita.

219
Dopo le prime settimane di Amantrak, quando praticavo circa una cinquantina
di giri, sentii che stavo per esplodere! Questo avveniva ogni volta che
l'energia, scendendo sul lato sinistro della spina dorsale, raggiungeva il
Muladhar. Quando mi svegliavo la mattina, restavo per alcuni minuti nell'aura
di sogni molto coinvolgenti, come se avessi vissuto un'avventura
profondamente intrigante ed affascinante.
In seguito mi ritrovai in uno stato d’animo molto strano: durante il giorno mi
sentivo senza entusiasmo, non c'era luogo dove potessi sentirmi a mio agio e
non c’era alcuna attività che mi desse soddisfazione. Nel passato, quando
camminavo in campagna, ero abituato a percepire una bellezza che sembrava
uscir fuori da ogni cosa che mi circondava; ora non sentivo più nulla, ero
estraneo a tutto. Per un intero mese passai la maggior parte del tempo a casa,
come convalescente. Alla fine, facendo leva sulla forza di volontà, riuscii a
completare le dosi previste per questa tecnica.

Samantrak [ Scuola C]
Intrapresi la pratica di Samantrak all'inizio di Marzo in un giorno che pareva
perfetto, quando il cielo libero da nubi e l'aria pungente ma pura m’invitavano
a praticare all'aperto, immerso in quella bellezza; proprio quando un marzo
straordinario, con un cielo azzurro, e l'aria fresca; l'abitudine ormai ben
stabilita di metabolizzare grandi dosi di Trivangamurari mi avevano reso
capace di vivere questo processo come un piacevole impegno, senza
confrontarmi affatto con alcun problema.
Le sillabe del Mantra che ponevo con cura come dei semi in ciascun centro,
avevano una radiazione simile al sole che stava riscaldando la natura. Quando
cominciarono ad apparire i primi effetti, rilessi le migliori pagine di letteratura
riguardante la Preghiera in diversi contesti religiosi. Queste letture furono un
nutrimento per la mia anima.
Un particolare ricordo è rimasto nel mio cuore. Partecipai ad un
pellegrinaggio con un gruppo di persone camminando tutta la notte poiché
l'arrivo ad un bel santuario era previsto per la mattina seguente. Camminando,
sussurravo a bassa voce le sillabe visualizzando, quanto possibile, i dodici
centri. Sapevo perfettamente che questo non era il modo canonico di praticare
ma non potevo resistere a ciò. Qualche cosa nel mio cuore, come una tensione
di tenerezza, cominciò quasi immediatamente ad essere percepita, poi venne
la realizzazione che l'esistenza dei miei compagni di viaggio era immersa
nell’amore. Vidi che la realtà dell’amore era la forza più intensa della vita,
corrotta solo dall'inquinamento della mente.
Pensando all’umanità come ad un tutt’uno, sentii che l’uomo non può, a causa
dell’istinto, evitare la condizione d’amare qualcuno - i suoi figli per esempio -
e di prendersi cura di qualcuno e, di conseguenza, di essere costretto a vivere

220
anche esperienze dolorose. Sentii intensamente, come mai prima, che anche la
persona più egoistica è capace di donare la sua vita per i propri figli e può
trovare in se stesso la forza per grandi, incredibili azioni. Il calore dei
sentimenti sperimentati quella notte rimane ancora nel mio cuore!

Thokar [ Scuola C]
Solo dopo lo sforzo impegnativo con Amantrak e Samantrak, che può durare
un anno o più, uno comincia la routine ad incremento progressivo del Thokar
praticando (rigorosamente non più di un giorno alla settimana) le dosi
seguenti: 36x1, 36x2, 36x3,….. 36x35, 36x36. Questa è veramente una
avventura enorme. Un minimo di nove mesi sono richiesti per completarlo;
ma di solito il tempo richiesto è maggiore.
Cominciai e completai questa routine nell’estate che seguì, lavorando
all'inizio due giorni per settimana e poi uno solo. Di mattina non ponevo
troppo stress sui colpi ma continuavo a concentrarmi solo sul flusso
Trivangamurari finché questo sembrava incidersi nella mia carne. Nel
pomeriggio, verso la conclusione della pratica, mi veniva spontaneo dire le
sillabe del Mantra a voce, sussurrandole.
Dopo ciascuna sillaba facevo in modo che ci fosse una breve pausa, isolata e
protetta dalla fretta; un istante era sufficiente a percepire una dolce
irradiazione che proveniva da ciascun centro. Questo amplificava l’esperienza
della gioia – illimitatamente.
Un nuovo modo di vivere il percorso spirituale cominciò a stabilirsi nel mio
essere. Imparai come risvegliare un intenso rapimento estetico per la bellezza
della natura e ad avvalermi di questa tecnica per amplificare tale estasi. L'idea
classica di usare il Kriya per andare oltre la mente fu sostituita dall'idea più
avvincente di usarlo per bruciare la mente nella fiamma della Bellezza stessa!
Una sera, tutto un tratto da un distante villaggio venne il suono di campane e
fu come una cascata di luce! La sorpresa fu così inaspettata che il mio cuore
sobbalzò di gioia; aprii gli occhi ma lo sguardo non si fissò su nulla in
particolare. Fu un miracolo di delizia: l'intensità della beatitudine era quasi
impossibile da sostenere! Una parte remota della mia mente continuava a
ripetere: «Non so se ad un essere umano sia mai stata accordata tanta gioia!».
Il pensiero andò ad alcuni ricercatori, con cui avevo condiviso il Kriya; in
quei giorni mi avevano fornito la prova che stavano procedendo in un modo
degno di ammirazione.
Alcuni anni prima avrei giurato che fosse impossibile praticare il Kriya senza
averlo elemosinato e ottenuto da un’organizzazione o da un Guru vivente. Ora
avevo la prova del contrario. Avevo dei buoni motivi per sentirmi soddisfatto.

221
Percepii per la prima volta la bontà di tutte le mie scelte. Questa era la mia
gioia suprema! Mi sentivo libero, incommensurabilmente libero.

Micromovimento [Scuola C]
Questo processo è di gran lunga il più impegnativo ed è riservato a coloro che
sono in pensione o comunque non lavorano.
Durante la prima tappa, il micro-movimento è percepito 36 volte in ciascuno
dei dodici centri. Si fa un solo giro completo: 36x12 percezioni del micro-
movimento in totale.
Dopo alcuni giorni si percepiscono 36x2=72 volte (72 volte nel primo
Chakra, 72 volte nel secondo…). Dopo alcuni giorni la quantità è 36x3 in
ciascun Chakra….
A un certo punto, un’intera giornata non è sufficiente a completare il giro.
Ecco perché il lavoro deve essere diviso in due giorni. La mattina del secondo
giorno si riprende la tecnica dove, la notte precedente, essa fu interrotta. Dopo
questi due giorni di pratica e la tappa successiva, possono trascorrere non solo
alcuni giorni ma anche settimane.
A un certo punto, una singola tappa può richiedere tre giorni, poi quattro e
così via. La finale (36x36) richiederà una settimana o più per essere
completata! Completare questo processo è veramente una impresa gigantesca,
comunque un kriyaban dovrebbe concedersi la gioia, il privilegio di procedere
lentamente. Lasciarsi trascinare dalla fretta non porta a nulla.
Uno dovrebbe intenzionalmente aspettare il verificarsi di una peculiare
sensazione piacevole dopo il canto di ciascun Mantra. Questa gioia nasce dal
Chakra in cui uno ha posto la propria consapevolezza. Durante ciascuna tappa
è saggio rispettare il silenzio, evitando occasioni di conversazione. Comunque
l’uso del buon senso dovrebbe sempre essere predominante; se qualcuno ci
rivolge la parola si può e si deve, ovviamente, rispondere con cortesia. 53

53
Questa routine ad incremento progressivo è un'ottima preparazione per la cosciente
uscita dal corpo al momento della morte (Mahasamadhi). Si spiega che esso esaurisce
la necessità di reincarnarsi. Come lo Yoni Mudra caratterizza l'ultimo momento del
giorno quando, avendo concluso tutte le attività, un kriyaban sottrae la sua
consapevolezza dal corpo e dal mondo fisico - una "piccola morte", per così dire - la
procedura intensiva prima descritta è come un Yoni Mudra in più grandi dimensioni, un
addio alla vita, un ritorno all'origine. In questo modo uno «muore per sempre»: muore
ai propri desideri, alla propria ignoranza. Secondo questa tradizione, il meccanismo
della morte viene invitato (al momento opportuno) calmando respiro e cuore ed
immergendosi profondamente nella realtà Omkar.
Nei mesi che precedono tale momento – l'intuizione guida il kriyaban progredito a
intuire quando tale momento si avvicina - uno dovrebbe praticare estensivamente questa
tecnica. È raccomandato di percepire il micro movimento nel Kutastha 36x48 per ogni
centro. Questo vuole dire percepire un totale di 20736 micro-movimenti. Siccome è
possibile completare ciò con ragionevole facilità in un periodo di 24 giorni, si può

222
Coloro che non hanno altra scelta che lasciar perdere il progetto di godere di
questa routine ad incremento progressivo possono, ciononostante, godersi la
seguente che è più breve.
Nel primo giorno, il micro-movimento è percepito 12 volte in ognuno dei 12
centri; c'è sempre solamente uno giro completo. L'aumento è di 12 in 12, fino
all'ultimo numero 12x12x12, che è fattibile in un giorno. Questo vuole dire
che il secondo giorno della routine ad incremento progressivo il micro-
movimento è percepito 12x2 volte nel Muladhar, lo stesso numero nel
secondo Chakra e così su, finché il giro è stato completato. Poi 12x3, e così
via.
Il periodo in cui fui assorbito in questo processo appare alla mia memoria
circondato da un’aura di sogno; trovo difficile riferire dettagli specifici
ascrivibili ad esso.
Fui fortunato che l’età della pensione venne presto nella mia vita. Ricevetti la
proposta per un altro lavoro ancora più vincolante del precedente. Avevo
aspettato molti anni e desiderato all’apice delle mie forze di affrontare le dosi
impossibili della routine ad incremento progressivo del micro movimento;
non c'era altra occupazione per me!
Ho sempre amato questa tecnica: anche una piccola pratica fu sempre un
miracolo di dolcezza.
Per affrontare la routine ad incremento progressivo passai molto tempo
all’aperto. Portavo con me un sedile fatto da uno strato di plastica ed uno di
lana, qualche cosa da bere ed un piccolo rosario di trentasei grani. Mi sedevo,
respiravo profondamente e poi procedevo col Mantra e col conseguente
micromovimento. Alla fine d’ogni ciclo, spostavo un oggetto, un sassolino da
un lato del corpo all'altro per contare il numero complessivo dei cicli di
trentasei.
Tante volte sperimentai una grande, irresistibile, sonnolenza. Alcune volte
proprio non riuscii a resistere alla tentazione di interrompere la pratica e
riposarmi per un po’.
Naturalmente quest’azione non risolvette il problema poiché la sonnolenza
riappariva immediatamente non appena riprendevo la pratica. Non ci fu modo
(caffè, molto sonno...) di salvarmi da tale situazione; imparai ad accettare la
situazione e il più delle volte mi trovai a praticare con la schiena leggermente

presumere che esso sia ripetuto più di una volta. Non è sicure che, nel momento della
morte, un kriyaban esegua la tecnica del Thokar. Possiamo presumere ragionevolmente
che non sia sempre possibile compiere il movimento fisico del Thokar. Essere
consapevoli del Kutastha può essere l'unica cosa possibile: è possibile che uno vi faccia
vibrare il suo Mantra preferito e si immerga nell'Infinito. Sperimentare ciò, è la nostra
ardente speranza e determinazione.

223
piegata in avanti; anzi dovetti imparare a non raddrizzarla di scatto perché
questo interrompeva la condizione di assorbimento e di quiete.
Dopo molte ore di pratica, vicino alla fine del giorno, talvolta fui afferrato da
tale euforia che sentii l'istinto irresistibile di oscillare il corpo. Fu come una
danza da seduto accompagnata da una forma sottile di Thokar. Quando
pronunciavo la settima sillaba, il tronco si muoveva leggermente a sinistra,
poi pensando la seguente, si muoveva a destra, poi di nuovo a sinistra.
Quando pensavo l’ultima sillaba, c'era un piccolo sussulto del tronco
accompagnato da una tale profusione di beatitudine!
Per quel che riguarda gli effetti, qualcosa avvenne. Molti ceppi psicologici –
condizionamenti che sembravano inalterabili – cominciarono a frantumarsi.
C'era la tendenza di andare in profondità, inesorabilmente, fino a toccare la
verità non inquinata. Il mio pensare divenne compatto, di una solidità che le
suggestioni da parte di altre persone non riuscivano a intaccare. Non riuscivo
a tollerare la più lieve deformazione della verità. Cercavo di entrare
inesorabilmente, di andare in profondità in qualunque problema, fino a trovare
la verità. Ma la verità è verità totale: toccai la realtà della vita e annullai la
mia maschera diplomatica.
Purtroppo la difficoltà di sostenere il comportamento superficiale altrui fu la
causa di alcune rotture. La natura odia il vuoto, così altre persone entrarono
nella mia vita a tenere viva la fiamma dell'amicizia.
Imparai a praticare senza essere disturbato da nulla: in questo modo la tecnica
sbarcò nella mia vita e si mescolò con essa. Un giorno mi trovavo in un luogo
roccioso vicino ad una spiaggia frequentata da un numero modesto di persone
che ci passavano per una passeggiata e, qualche volta, si fermavano nei pressi.
Nascosto dietro degli alberi, durante il giorno mi protessi dal sole; al tramonto
mi avvicinai alla spiaggia, appoggiai la schiena ad un sasso e rimasi lì
fingendo di guardare un oggetto distante. Praticai con gli occhi aperti: il cielo
era un cristallo indistruttibile d’infinita trasparenza; le onde cambiavano
continuamente il loro colore dal fascino quasi insostenibile. Cercavo di
nascondere le mie lacrime dietro le scure lenti dei miei occhiali da sole. Non
riesco a descrivere quello che sentivo se non in forma poetica.
C’è un canto indiano (nella parte finale del film Mahabharata) le cui parole
sono prese dalla Svetasvatara Upanishad: «Conosco questo Grande Spirito,
raggiante come il sole, trascendente ogni concezione materiale di oscurità.
Solo chi Lo conosce può trascendere i limiti della nascita e della morte. Non
c’è altra strada per raggiungere la liberazione che conoscere questo Grande
Spirito». Quando ascoltai la bella voce della cantante Indiana ripetere «Non
c’è altra strada», il mio cuore si infiammò. Nulla avrà il potere di tenermi
lontano da questo stato e da questa pratica fantasticamente bella che mi
accompagnerà fino alla fine dei miei giorni.

224
So che alcuni ricercatori negano che questo Kriya sia originale, dicono che fu
inventato. Tutti coloro che lo hanno praticato, pensano con il cuore in estasi:
«Beato colui che lo ha inventato!»

20736 Omkar Pranayama


Un'impresa molto piacevole fu quella di completare 20736 Omkar
Pranayama (circa 144 Omkar Pranayama al giorno per 144 giorni). Questa
non è una routine ad incremento progressivo ma richiede comunque un
impegno notevole.
Iniziai ciascuna sessione di pratica con qualche tecnica preliminare -
Talabya Kriya, Maha Mudra ed Om Japa, trascurando ogni altra tecnica di
base.
Mi segnai ogni giorno il numero di Pranayama che avevo praticato, poiché in
certi giorni non riuscivo a praticare il numero che mi ero previsto.
Gli effetti sull'umore furono notevoli e, a mio avviso, completarono in modo
splendido l'azione della tecnica Thokar.
Ogni difficoltà sembrava risolversi facilmente ed un'armonia paradisiaca
regnava incontrastata. L'esperienza Omkar fu arricchita, fondendosi con uno
straordinario viaggio nella mia memoria. Accadde infatti che concentrandomi
sui Chakra ottenni un effetto particolare: sullo schermo interno della
consapevolezza cominciai a percepire molte immagini. L'esperienza mi guidò
ad accettare questo come un fatto fisiologico -- credo che chi afferma di
essere esente da tale fenomeno è perché non ha abbastanza lucidità di notarlo.
I Chakra sono come scrigni contenenti la memoria della propria vita: essi
fanno sorgere il pieno splendore di reminiscenze perdute. Varie esperienze
passate riemergono.
Il canto mentale di Om in ciascun Chakra, riuscì a mantenere la mia
consapevolezza sullo stretto confine tra sonno e veglia. L'essenza di
avvenimenti passati (il loro intrinseco valore, le lezioni contenute in essi e mai
apprezzate appieno o assimilate) fu rivissuto nel quieto piacere della
contemplazione mentre il cuore, talvolta, era pervaso da un pianto trattenuto.
Fu una rivelazione: la luce dello Spirito pareva brillare in quelli che
sembravano banali attimi della mia vita.
Per quanto concerne la mia pratica, ho solo un commento da aggiungere.
Sviluppai un modo di pratica, diciamo a "elica." Percepii che la circolazione
dell'energia attorno alla corona della testa cominciava gradualmente ad
avvolgere il Midollo allungato. Quando ciascuna espirazione incominciava e
cantavo mentalmente Teeee, ero già nel Midollo allungato ed usavo gli istanti
iniziali della mia espirazione per serrare l'"elica." Così intensificavo la
concentrazione in tale centro. Questa percezione fu estesa in modo naturale
agli altri Chakra e particolarmente al Muladhar. In altre parole, il percorso

225
di discesa non era più lineare ma simile ad un'elica che circondava e
accarezzava ciascun Chakra. Devo aver letto da qualche parte che, nel
Pranayama, il respiro (o l'energia) attraversa i Chakra come un filo attraversa
le perle. Tale immagine è diversa da quello che sperimentai: il filo non
perforava le perle, le avvolgeva.
Si spiega che questo movimento a "elica" è uno dei tipici movimenti della
energia Kundalini e che è la pratica del Thokar, dandogli una spinta, ad
aiutarci a percepirlo.

Essendo riuscito a convincere alcuni ricercatori a fare un simile sforzo,


notai che loro sembravano come "invecchiati", in saggezza e modo di fare, di
molti lustri. Inutile dire che tale processo non rimuove il vigore del fisico, ma
quello delle emozioni superficiali, con tutti i guai che derivano da queste -- la
tendenza ad avere i propri desideri soddisfatti immediatamente e l'eccitazione
che porta a decidere subito per quanto riguarda i propri progetti.
Questi kriyaban, mentre erano assorti nel praticare Omkar Pranayama
intensivamente, sebbene percepissero enormemente i suoi buoni effetti, mi
dissero che si sentivano così impreparati nei confronti di esso che
progettavano di rifarlo di nuovo, in futuro, con più serietà e precisione.

Nota finale sul Kriya delle cellule


Colgo l'occasione per aggiungere una osservazione relativa alla mia
sperimentazione col Kriya della discesa. Questo è una esperienza sulla quale
ci sarà sempre qualcosa di inusuale da osservare, anche se è difficile
esprimerla a parole.
Cercando un modo per migliorare l'esperienza, scoprii il ruolo del Thokar
su tutti i Chakra (vedi capitolo II/3 scuola [B]). Il miglior modo per introdurlo
nella routine fu di praticarlo dopo 12-24 respiri Pranayama. Sperimentai
diversi ordini per colpire i primi quattro Chakra e diverse quantità di colpi.
L'importante era sentire che tutta la zona inferiore della spina dorsale, dal
Muladhar al Anahat era stata stimolata fortemente. Dopo questa forte azione
era necessario riprendere la forma più semplice possibile di Pranayama e
creare uno stato profondamente rilassato.
L'azione di tale tecnica fu quella di rendere il tutto più facile e intenso ma ci
furono anche degli effetti difficili da assimilare. Il risultato positivo fu che un
potere che nasceva dal Muladhar era chiaramente percepito e l'esperienza del
libero movimento di energia si originava più facilmente. Il risultato era più
intenso. Durante gli ultimi istanti di ciascuna espirazione una "impossibile"
sensazione orgasmica era percepita. Era come se il respiro fosse paralizzato
all'interno dei polmoni, non poteva uscire e questo creava una sensazione
come quella di un debole soffocamento. Ma, strano a dirsi, era così carica di

226
felicità che piangevo di gioia. Era come premere contro il muro di una
prigione, la qual cosa sarebbe in se stessa intollerabile, ma l'anticipazione
della libertà fuori dal guscio del corpo, creava beatitudine. La discesa
dell'energia sembrava finire nell'ombelico, non nel Muladhar.
Come avvenne nel passato, fu più facile praticarlo in posti impossibili dove
tutta l'attenzione è naturalmente volta all'esterno e si deve fare fatica per
portarla all'interno. Ancora, nessun aiuto provenne dal Kechari Mudra -
probabilmente esso distacca troppo l'attenzione dal mondo esterno e dal corpo
fisico.

Parliamo ora di un effetto problematico.


Esso fu principalmente lo stato d'animo grigiastro che appariva nei giorni
successivi alla pratica. Fu difficile sostenere quello stato - era come se la mia
stessa anima fosse graffiata.
Un pensiero ossessivo prendeva possesso della mia visione della vita: vedevo
gli uomini erano come animali recintati in uno spazio ristretto, costretti dai
loro istinti a mangiare e a riprodursi; un uomo appariva improvvisamente,
afferrava uno di loro a caso e lo decapitava davanti a tutti. Immaginavo che la
compagnia, stupefatta da questo triste spettacolo, mormorasse qualche
espressione di circostanza: «ora nulla sarà più come prima»...
Poi, con l'occhio vitreo, si volgevano di nuovo alle attività solite.
Probabilmente tutto nasceva dalla forte pressione mentale che la tecnica
esercitava sul Muladhar Chakra.
In un commento di Lahiri Mahasaya alle sacre scritture, troviamo: «Dopo
aver sperimentato una certa tranquillità nel centro coccige, non fermatevi a
lungo. Se lo farete allora avverrà un Samadhi negativo. Così dopo aver
sollevato di nuovo la coscienza, cominciate a praticare il Kriya.»
Il problema fu leggermente superato rimanendo molto tempo concentrato nel
punto tra le sopracciglia. Ora posso capire come mai molti insegnanti
raccomandano che il Thokar su tutti i Chakra sia sempre seguito dal processo
di sollevare i Chakra nel Kutastha (il processo che è generalmente chiamato
Quarto Kriya).

Nessun effetto negativo fu mai percepito invece colpendo il Chakra


Muladhar usando il Thokar nella forma insegnata dalla scuola [C]. Per questo
motivo, lo preferisco.

227
APPENDICE 2 LE QUATTRO FASI DELLA ALCHIMIA
INTERIORE

[I] La prima tappa è la base di tutto il processo alchemico, essa consiste


nell'attivare l'Orbita Microcosmica. Durante l'inspirazione, la consapevolezza
e l'energia (Qi) sono sollevate lungo il canale di Controllo dietro la spina
dorsale e lasciate fluire in basso lungo il canale di Funzione durante
l'espirazione. Lo scopo di questa azione è "portare Tre a Due, Due ad Uno".
Vediamo cosa significa. I tre sono Jing (energia sessuale), Qi (energia
dell'amore) e Shen (energia spirituale). Si impara a tramutare Jing in Qi e Qi
in Shen. Queste energie sono fuse, mescolate insieme. Esse si originarono da
una frattura, una divisione al momento della nascita.
Il primo scopo del Pranayama è di creare armonia tra di loro e così esercitare
una azione di risanamento permanente sulla personalità.

[II] Nella seconda tappa (definita come la "coltivazione dell'embrione


spirituale" o dell'"elisir dell'immortalità") l'energia immagazzinata nella testa
(quale risultato dell'Orbita Microcosmica), è portato nel Dan Tien, dietro
l'ombelico, nel basso addome. Il Dan Tien ha le dimensioni di una palla il cui
diametro è approssimativamente otto centimetri. Per individuare la sua
posizione uno deve concentrarsi sull'ombelico, venire approssimativamente
quattro centimetri indietro e sotto per la stessa estensione. Si spiega che
stabilirsi in questa zona, vuole dire nascere alla vita spirituale. Questo evento
è designato con espressioni come: "Ritornare al centro"; "L'unione di cielo e
terra"; "La nascita del fiore d'oro"; "La creazione della perla lucente."
Approfondendo la pratica, la vibrazione che è creata nel Dan Tien ascende
spontaneamente nella regione del cuore. Essa illumina lo spazio del cuore (il
Dan Tien mediano) e rivela la propria natura fondamentale. Là si manifesta
la "vera serenità". La contemplazione della luce che splende nel cuore
completa questa seconda fase. (Nel Kriya si aumenta il "calore" nella
regione dell'ombelico prima con lo stesso Pranayama stesso; poi si porta
questo calore all'interno col Navi Kriya e infine nel cuore col Thokar.)

[III] Nella terza tappa, il Prana è aumentato nel canale di spinta. Questo
canale si distende come un tubo dal perineo alla Fontanella attraverso il centro
del corpo. Lo scopo di aumentare l'energia entro esso, è di preparare la spinta
necessaria a mettere in moto l'Orbita Macrocosmica. È difficile capire quali
procedure sono prescritte dall'Alchimia Interiore perché nella letteratura
relativa, alcuni suggerimenti su questo tema sono abbelliti in modo abnorme
per mezzo di molti termini evocativi, metafore che rendono quasi impossibile

228
avere una chiara di quello che significa in pratica. 54

[IV] La quarta tappa, è un grande evento che non può essere indotto da
metodi basati sulla visualizzazione. È qualche cosa che avviene quando il
tempo è maturo attraverso la piena padronanza della terza tappa.
Dopo avere guidato l'energia dal basso al medio Dan Tien (regione del cuore),
quando il corpo è caricato con Prana statico, l'energia arriva al Dan Tien
superiore (Kutastha: la regione tra le sopracciglia). Aumentando la
concentrazione in quel punto l'ostruzione alla base della spina dorsale può
essere perfettamente rimossa. Accade un fenomeno spontaneo di circolazione
di energia nel corpo (l'Orbita Macrocosmica) che ha enormi implicazioni
psicologiche. Una persona entra spontaneamente in uno stato di benessere e
percepisce una grande infusione di energia che scende come un liquido dorato
fuori e dentro il corpo, in tutte le sue cellule, particolarmente nella pelle. Allo
stesso tempo, uno sente che qualcosa sta salendo dietro, più attorno che entro
la spina dorsale. Ma da un certo momento in avanti, il movimento ascendente
non attira l'attenzione come fa quello discendente. Quest'ultimo si trasforma
in una pressione indefinita su tutte le cellule del corpo. Sperimentare come
questo evento allarga - in un modo impensato - i confini della coscienza vuole
dire essere pienamente entrati nella fase finale del sentiero spirituale.

54
A dire il vero, nel Kriya la situazione è peggiore in quanto quella che dovrebbe
essere la quarta fase ovvero il Pranayama col respiro interno (un Pranayama che
avviene come movimento di energia all'interno del corpo, senza essere accompagnato
da un qualsivoglia controllo del respiro fisico – in altre parole l'Orbita Macrocosmica) è
raramente accennata. Di conseguenza non c'è nemmeno traccia di questa azione di
spinta. L'unica procedura che ho appreso, per così dire a cavallo tra Alchimia Interiore e
Kriya, che riesce a mettere in moto tale fenomeno è l'uso del respiro frammentato. Tale
tecnica si basa su una successione di piccolissime spinte create da una lunga espirazione
frammentata.

229
GLOSSARIO

Questo glossario è stato aggiunto per quelli che già conoscono il significato dei
termini più comuni usati nel Kriya, ma preferiscono non avere incertezze sul modo in
cui essi sono utilizzati nel presente libro.

Alchimia interiore [Nei Dan] L’Alchimia Interiore è la tradizione mistica dell’antica


Cina. Essa richiama con tale accuratezza le tecniche del Primo Kriya da offrirci tutte le
ragioni per credere che essa consista nello stesso processo.
Le ipotesi, campate in aria, che le tecniche della Alchimia Interiore siano state, nei
tempi antichi, portata dall'India alla Cina, rivela la tendenza a considerare l’India
l’unico possibile luogo dove l'uomo intuì - o gli furono rivelati - i segreti del percorso
mistico.
La considerazione di uno sviluppo indipendente dei due sentieri conduce al concetto
molto fecondo dell’universalità degli strumenti mistici. Lahiri Mahasaya espresse la
convinzione che se le tecniche del Kriya fossero, per qualche motivo, scomparse dalla
tradizione, verrebbero in ogni caso ritrovate dai mistici dal cuore, e quindi dalla visione,
pura.
Studiare il Kriya alla luce di altre tradizioni mistiche può produrre un insperato
approfondimento della loro essenza e incoraggiare il rispetto per ciascuna delle sue
tecniche originali – anche se esse non sembrano propriamente indiane o yogiche.
La tendenza a ripulire la pratica Kriya da ciò che può richiamare concetti non yogici è
pericolosa. Tanto per fare un esempio ci sono degli insegnanti che hanno stravolto il
Navi Kriya - o eliminandolo del tutto o cancellando la concentrazione sull’ombelico e
riducendo la tecnica ad una pura concentrazione sul terzo Chakra.
Lahiri Mahasaya scrisse senza ambiguità sull’azione profonda, insostituibile del
sciogliere in nodo dell’ombelico – non del Manipur!
D’altra parte, con una analoga attitudine a distruggere la ricchezza di una procedura
mistica che non si riesce a comprendere, ci sono insegnanti di Alchimia Interiore che
hanno privato la loro disciplina di tutto ciò che riguardava il respiro; essi hanno così
sottratto al tesoro della loro arte forse proprio il fattore che dà a questa disciplina il
diritto di essere considerata una vera e propria alchimia – ovvero una trasformazione
chimica del respiro in una sostanza più raffinata.
Per quanto riguarda l’Alchimia Interiore osserviamo che:
a…La tecnica dell'orbita micro cosmica assomiglia al Kriya Pranayama. La differenza è
che, in essa, l'energia scende nel corpo toccando non i Chakra ma i punti sulla
superficie del corpo che sono collegati con i Chakra: pomo d'Adamo, la regione centrale
dello sterno, l'ombelico, la regione pubica ed il perineo. Questa differenza svanisce
proseguendo con la pratica, poiché il risultato prodotto sull’energia presente nel corpo è
esattamente lo stesso.
b…La fase successiva della discesa nel Dan Tien assomiglia talmente al nostro Navi
Kriya che non servono commenti.
c…La procedura di sollevare il Dan Tien inferiore nella regione del cuore (Dan Tien
mediano) concentrandosi sulla vibrazione che si è prodotta nel primo, richiama le
istruzioni di Lahiri Mahasaya di raggiungere il nodo del cuore entrando prima in
sintonia con lo stato di Equilibrio nella regione Samana nell’addome.
d…Il sollevamento finale del Dan Tien mediano nel Dan Tien superiore richiama lo
Yoni Mudra.
e… Il concetto di orbita macro cosmica (che è diversa dall'orbita micro cosmica)

230
ricorda quello del Pranayama col respiro interiorizzato.

Apana Apana è una delle cinque forme di energia nel corpo. Associata alla regione
dell’addome inferiore, è responsabile di tutte le attività (processo di eliminazione per
esempio) che ivi hanno luogo.
Il Kriya Pranayama, nella sua fase iniziale, è essenzialmente il movimento del Prana (la
particolare energia presente nella parte superiore del tronco – polmoni e cuore) in
Apana e dell’Apana nel Prana. Quando inspiriamo, l'energia dall’esterno del corpo è
portato all’interno ed incontra Apana nel basso addome; durante l'espirazione l'Apana si
muove dalla sua sede su verso l’alto e si mescola col Prana.
La continua ripetizione di questo evento genera un aumento di calore nella regione
dell'ombelico: ciò calma il respiro e accende la luce dell'Occhio Spirituale.

Asana Posizione del corpo adatta alla meditazione. Come disse Patanjali, la
posizione assunta dallo Yogi deve essere stabile e comoda. La maggior parte dei
kriyaban si trova bene con il cosiddetto Mezzo-loto [vedi]: esso, infatti, evita alcuni
problemi fisici. Per il kriyaban medio, Siddhasana [vedi] è considerata superiore a tutte
le altre Asana.
Se infine prendiamo in considerazione i kriyaban esperti di Hatha-Yoga, che hanno
delle articolazioni molto flessibili, la posizione perfetta è indubbiamente Padmasana
[vedi].

Assenza di respiro C'è un alone di mistero sulla descrizione di questo stato; le


persone pensano che sia impossibile e che ogni affermazione relativa al suo verificarsi è
falsa. Ciononostante è possibile, anche se può essere ottenuto soltanto dopo anni di
pratica Kriya. Esso non ha nulla a che vedere con il trattenere forzatamente il respiro.
Essa non consiste nel banale fatto che il respiro divenga sempre più calmo. È lo stato in
cui il respiro è del tutto assente - con la conseguente dissoluzione della mente. Quando
si manifesta, un kriyaban non sente il bisogno di inspirare; oppure fa una breve
inspirazione e non sente il bisogno di espirare per un tempo molto lungo. (Più a lungo
di quanto la medicina giudichi possibile.)
Il respiro diviene così calmo che colui che pratica ha la decisa percezione di non star
respirando affatto; egli percepisce un'energia fresca nel corpo, che sostiene la sua vita
dall’interno, senza bisogno di ossigeno. È uno stato fantastico! Senza alcun sentimento
di disagio, questa condizione dura vari minuti. Non c’è il minimo fremito di sorpresa
oppure il pensiero: «Finalmente ci sono riuscito!». Ciò non significa che la persona sia
inconsapevole: è perfettamente consapevole, ma in un modo calmo, molto distaccato.
Uno è trasportato lontano, più lontano di qualsiasi territorio conosciuto ed è
consapevole tanto quanto basta per capire che questa è la esperienza chiave della sua
vita; un'esaltazione, che nulla nella vita può dare, è sperimentata.
Secondo la teoria del Kriya, questo stato è il risultato dell’aver completato il lavoro di
tagliare il nodo del cuore. Esso incarna le caratteristiche dell’autentica vita "religiosa".
Per ottenerlo è necessario vivere in un modo attivo ma anche introverso. Conservando,
durante le attività del giorno, gli effetti che conseguono alla pratica del Kriya, il Prana
presente nel corpo perde ogni irrequietezza; una profonda calma pervade ogni parte
della costituzione psicofisica; la cessazione del respiro, durante le sessioni di Kriya,
comincia ad avvenire.

231
Aswini Mudra "Ashwa" significa "cavalla"; "Aswini Mudra" significa "Mudra
della cavalla" perché la contrazione anale assomiglia al movimento che questa fa col
suo sfintere immediatamente dopo l'evacuazione degli intestini. Ci possono essere
definizioni lievemente diverse di tale Mudra e, qualche volta, è confuso col Mula
Bandha [vedi].
La definizione di base è di contrarre ripetutamente i muscoli alla base della spina
dorsale [sfintere] col ritmo di approssimativamente due contrazioni il secondo.
Questo Mudra è un modo diretto per entrare in contatto con l’energia bloccata e
stagnante alla base della spina dorsale e spingerla verso l’alto.
Quando si apprende la tecnica, lo yogi contrae e rilassa anche i glutei, il perineo o
persino l’intera regione pelvica; col tempo, si riesce a contrarre solo i muscoli dello
sfintere che stimolano l’energia nella sua precisa sede.
Lo scopo di questo Mudra è realizzato non appena lo yogi sente ondate di energia nella
parte inferiore della spina dorsale o una forte presenza di energia sulla superficie
dell’intero corpo.
Questa tecnica non è una parte standard del Kriya, ciononostante alcuni insegnanti la
consigliano specificatamente a coloro che non sono capaci di praticare il Kechari
Mudra; consigliano di praticarla durante i primi 12-24 respiri del Pranayama, sia
durante l'inspirazione che durante la espirazione. In seguito, il movimento fisico
diminuisce naturalmente in intensità, mentre la consapevolezza è portata fortemente
nella spina dorsale. Se questa tecnica è praticata isolatamente essa produrrà dei buoni
risultati ma nulla da paragonarsi a quelli ottenuti quando è praticata insieme al Kriya
Pranayama.

Bandha Nello Yoga nessuna pratica del Pranayama può dirsi completa senza i
Bandha. Esse sono valvole di energia, serrature, non semplici contrazioni dei muscoli
che impediscono all'energia di essere dissipata e la dirigono all’interno della spina
dorsale. Nel Jalandhara Bandha il collo e la gola sono leggermente contratti, mentre il
mento è premuto contro il petto. Nell’Uddiyana Bandha i muscoli addominali sono
leggermente contratti per intensificare la percezione dell’energia nella colonna spinale.
Nel Mula Bandha i muscoli del perineo - tra l'ano e gli organi genitali – sono
leggermente contratti mentre è esercitata una pressione mentale sulla parte bassa della
spina dorsale.
(Differentemente dall’Aswini Mudra, uno non si limita semplicemente a contrarre i
muscoli dello sfintere; nel Mula Bandha il perineo sembra chiudersi verso l'alto mentre
il diaframma pelvico è tirato verso l'alto per mezzo del movimento dell'osso pubico.)
I tre Bandha, applicati simultaneamente, creano la sensazione di un brivido interno
quasi estatico, una corrente energetica che si muove in su lungo la spina dorsale.
Nella parte iniziale del percorso Kriya, lo yogi ha solo una comprensione approssimata
dei Bandha, in seguito addiverrà ad una loro completa padronanza e potrà utilizzarli,
con leggeri adattamenti, in moltissime tecniche Kriya.

Bindu Centro spirituale localizzato nella regione della nuca dove l’attaccatura dei
capelli forma come un vortice. Fin tanto che l’energia, diffusa in tutto il corpo, non
raggiunge il Bindu, una specie di schermo impedisce allo yogi di contemplare l’Occhio
Spirituale. Portare tutta la propria forza, là, in quel piccolo spazio, non è un compito
facile perché le radici dell'Ego hanno la loro sede in tale centro; esse devono essere
affrontate e sradicate.

232
Chakra Nel corso dei secoli gli uomini svilupparono degli strumenti che mirano a
viaggiare, rimanendo nella perfetta immobilità, con la propria consapevolezza nelle
profondità della nostra anima: ad un certo punto scoprirono la realtà dei Chakra.
Entrando in sintonia con loro, raggiunsero il livello più sottile che si può toccare
risiedendo in un corpo umano, la piena attivazione del Sahasrara Chakra. Durante
questo viaggio, accaddero varie esperienze spirituali, descritte nella letteratura
specializzata.
Oggi, quasi tutti gli studenti di Yoga sono rimasti incantati nell’incontrare la bella
immagine della Madre Divina Kali, ovvero Kundalini, che realizza l’unione col suo
sposo adorato, il supremo Shiva risiedente nella beatitudine eterna in cima alla testa.
Essa è un simbolo dell'avventura suprema che un’anima può sperimentare.
La parola Chakra viene dal Sanscrito cakra che significa "ruota" o "cerchio." I
Chakra sono le "ruote" della nostra vita spirituale; sono descritti nei testi tantrici come
emanazioni dello Spirito, la cui essenza si espanse gradualmente in livelli sempre più
grossolani di manifestazione, raggiungendo in fine la dimensione del Chakra di base, il
Muladhara, che rappresenta il mondo fisico. L'energia-coscienza, discesa, giace
arrotolata e addormentata alla base della spina dorsale ed è chiamata, Kundalini - colei
che è arrotolata. L'anima viene dal grembo dell'eterno: Kundalini la risveglia alla piena
memoria della sua origine.
Nessun autore ha mai "provato" l’esistenza dei Chakra - come nessun uomo ha mai
provato l'esistenza dell'anima. Siccome non possiamo portarli sul tavolo di un
laboratorio è difficile descriverli. In qualsivoglia libro di Yoga troviamo descrizioni che
si appoggiano su una traduzione di due testi indiani, il Sat-Cakra-Nirupana, ed il
Padaka-Pancaka, scritti da Sir John Woodroffe, alias Arturo Avalon in un libro
intitolato Il potere del Serpente. L’argomento che ivi è descritto sembra essere
innaturalmente complicato, quasi impossibile da essere utilizzato.
Questi concetti sono stati ulteriormente inquinati dalla teosofia e simile letteratura
esoterica. Il libro i Chakra scritto dall’autore controverso C. W. Leadbeater, è in grande
parte il risultato dell'elaborazione mentale delle sue proprie esperienze.
Per mezzo della pratica del Kriya, possiamo avere esperienza dei Chakra.
Localizzato sopra l’ano, proprio alla base della colonna spinale, nella parte più bassa
del coccige, incontriamo il Chakra radice Muladhara, un centro che distribuisce energia
alle gambe, alla parte più basso del bacino, irradiando in modo particolare le Gonadi
(testicoli negli uomini, ovaie nelle donne).
Un compito difficile è quello di attribuire degli effetti psicologici alla stimolazione di
questo o di quel Chakra. Non voglio ripetere pari pari le solite cose New Age ma solo
dare un'idea di quello che un kriyaban potrà provare.
Le tecniche Kriya producono precisi effetti (percepiti specialmente nel giorno che segue
la pratica) in molti modi: stati d’animo, fantasie, ricordi e desideri che sorgono
improvvisamente. Tutto questo è benefico. Vivere in modo molto vivo parti della nostra
vita, da molto dimenticate, per mezzo della memoria così stimolata è un processo di
pulizia. Questo processo ha in se stesso un meccanismo equilibrante che aiuterà ad
evitare di essere sommersi da tempeste di improvvisi umori grigiastri.
Ora, con questo in mente, leggiamo che il Muladhar simboleggia la coscienza obiettiva,
la consapevolezza dell'universo fisico. È posto in relazione all’istinto, alla sicurezza,
alla nostra abilità di radicarci nel mondo fisico, al desiderio di beni materiali ed anche a
costruire una buon immagine di Sé. Se questo Chakra è in uno stato armonioso, siamo
ben centrati ed abbiamo una forte volontà di vivere.
Il secondo Chakra sacrale Swadhisthana è localizzato nella spina dorsale tra le ultime
vertebre lombari e l'inizio del sacro. Si dice che la sua area di proiezione energetica è

233
l'area degli organi sessuali - in parte interseca la regione dell'influenza del Muladhara.
Poiché è posto in relazione con le emozioni di base, con la vitalità sessuale, creatività, e
con la parte più profonda dei regni del subcosciente, uno stimolo profondo a tale centro
produrrà dei sogni profondi molto coinvolgenti; la sua azione può essere percepita come
un sentimento di star vivendo una favola, la cui natura è dolce, allettante.
Il Manipura, Ombelico o Plesso Solare, è posto nella spina dorsale allo stesso livello
dell'Ombelico, vicino alla fine delle vertebre dorsali e all'inizio di quelle lombari. Si
afferma che influenzi il pancreas e le ghiandole surrenali sopra i reni. Questo legame ha
suggerito l'idea che questo Chakra abbia lo stesso ruolo esercitato da tali ghiandole:
forti emozioni ed l’energia - proprio come gli effetti dell’adrenalina.
Si dice che contribuisca a creare un senso di potere personale, un sicuro sentire del "Io
sono". Radicati e a proprio agio nel nostro posto nell'universo, siamo capaci di
affermare con determinazione lo scopo della nostra vita.
Si afferma che Anahat, il Chakra del cuore, localizzato nella spina dorsale all'altezza
della parte media delle vertebre dorsali, influenzi il timo che è parte del sistema
immunitario.
Tutti sono d’accordo sul fatto che Anahata è collegato con le più alte emozioni,
compassione, amore, ed intuizione. Quando una persona si concentra su di esso,
sentimenti di tenerezza profonda e di compassione cominceranno a svilupparsi.
Un Chakra del cuore sano e completamente aperto significa riuscire a vedere la bellezza
interna negli altri nonostante i loro apparenti difetti, amare ognuno, anche gli estranei
che incontriamo per strada. C'è un procedere graduale dalle "buone emozioni" dei
Chakra più bassi alle emozioni più alte ed ai sentimenti del Chakra del cuore. Quello
che riveste un grande interesse, è che l'apertura di questo centro comporta il vedere la
vita in una maniera più neutrale e vedere quello che altri non possono vedere. Cessa la
predisposizione ad essere influenzati dalle altre persone, dalle chiese e dalle
organizzazioni in generale.
Si assicura che Vishuddha, Chakra della Gola, precisamente tra le ultime vertebre
cervicali e le prime vertebre dorsali, influenzi la Tiroide e la Paratiroide; siccome
controlla anche l'attività delle corde vocali, si afferma che esso ha qualche cosa a che
vedere con la nostra capacità di esprimere le nostre idee nel mondo.
Sembra che possa essere posto in relazione con la capacità di comunicazione e col
prendere su di sé la responsabilità personale per le nostre azioni. La persona non
biasima più gli altri per i suoi problemi e può portare avanti la sua vita con piena
responsabilità. Molti autori affermano che esso risveglia l'inspirazione artistica, l’abilità
di sviluppare una superiore percezione estetica.
Ajna, Chakra del terzo occhio, localizzato nella parte centrale del cervello, influenza la
ghiandola pituitaria [l'ipofisi] ed il cervelletto. L’ipofisi ha un ruolo vitale
nell’organismo, nel senso che insieme all’ipotalamo agisce come un sistema di
comando di tutte le altre ghiandole endocrine. In Sanscrito, "Ajna" vuol dire
"comandare," che significa che esso ha il comando ovvero controlla le nostre vite: per
mezzo di una azione controllata, porta alla realtà il frutto dei nostri desideri. Di
conseguenza, si afferma che l’Ajna Chakra abbia un ruolo vitale nel risveglio spirituale
di una persona. Esso è la sede dell’intuizione.
Il Chakra supremo è il Sahasrara, Chakra della Corona, proprio sopra la cima della
testa. Si afferma che esso influenzi, o sia legato, con la ghiandola pineale. Esso
permette il distacco dall’illusione ed è in relazione alla propria capacità di espansione di
coscienza e al grado di sintonia con la Realtà Divina. È una realtà superiore e noi
possiamo sperimentarlo solamente nello stato di assenza di respiro. È possibile "entrare
in sintonia" con esso utilizzando il Bindu come una via d'accesso.

234
Un kriyaban non ha bisogno di usare il potere della visualizzazione per percepire la
realtà dei Chakra. In alcune scuole di Yoga si consiglia di visualizzare il loro colore
specifico (rosso, arancio, giallo… come la sequenza dei colori dell’arcobaleno).
Possono anche essere visualizzati come dei loti, ciascuno con un particolare numero di
petali con una lettera dell'alfabeto Sanscrito su ogni petalo.
Nel Kriya, calmando la tempesta del respiro, mentre si lascia che l'energia fluisca
attraverso di essi, si canta Om o altri Mantra armoniosi presso la loro ubicazione.
Quando la consapevolezza, salendo dal Muladhar al Sahasrara e viceversa, si ferma per
almeno mezzo minuto su ciascuno di essi, la percezione di una sensazione dolce e
piacevole è quasi immediata. Dei suoni interiori così come dei colori che provengono
dalle loro sedi approfondisce il contatto con la dimensione Omkar. Col tempo un
kriyaban ottiene l’abilità di distinguere le diverse percentuali di vibrazione di ogni
Chakra, la qualcosa ha un valore decisivo per raggiungere la liberazione finale da tutte
le sofferenze e limitazioni implicate nel vivere.
Poniamoci una domanda: possiamo ricevere risultati negativi dal Kriya per il fatto
che uno o più Chakra sono bloccati?
La risposta non può essere che negativa. Certo possiamo sperimentare particolari
emozioni. Si dice che ogni sentimento d'insicurezza, di essere fuori dal contatto con la
realtà quotidiana sia dovuto a blocchi nel Muladhara. Lo stesso è quando desideriamo
evitare ogni attività fisica.
In simile maniera tutte le oscillazioni di umore originate da blocchi nel Chakra
Swadhisthana andranno a scomparire, anche grazie al grande aiuto della chiarezza
mentale che viene dal Manipura.
Si afferma che i blocchi del Manipura possono dare luogo ad irritazione e
manifestazioni di rabbia. Lavorando col Navi Kriya essi andranno a scomparire.
Lavorando col Thokar, alcuni problemi presenti in Anahata possono divenire visibili.
Può trattarsi di un sentimento di essere indegni, autocommiserazione, temere il rifiuto,
aver paura di lasciare che nuove cose si manifestino. I blocchi in Anahata sono il
risultato di possibili traumi nell'infanzia e nell'adolescenza. Per quanto riguarda
Vishuddha, si afferma che qualsiasi disarmonia presente in tale Chakra sia legata a
problemi di comunicazione e all’incapacità di trovare il nostro posto nella società dove
far sì che le nostre potenzialità si trasformino in azione concreta.
Infine diamo un cenno all'esistenza dei "Chakra Frontali".
Insegnamenti riguardanti questi si trovano presso alcuni kriyaban provenienti dalla
scuola di Sri Yukteswar. Il perineo è il primo, la regione dei genitali è il secondo,
l'ombelico è il terzo, la parte centrale della regione dello sterno è il quarto, il pomo di
Adamo è il quinto e il Kutastha può essere considerato come il sesto.
Il punto chiave è capire che quando questi punti sono toccati con la concentrazione,
l'energia attorno al corrispondente Chakra nella spina dorsale è stimolata.

Dan Tien Sebbene pertinente al contesto teorico dell’Alchimia Interiore dell’antica


Cina, tenendo ben chiara in mente la sua localizzazione, un kriyaban può approfondire
il meccanismo del Pranayama e del Navi Kriya.
Secondo la filosofia del taoismo, noi abbiamo tre Dan Tien, uno nel basso addome (Dan
Tien inferiore), uno nel cuore (Dan Tien mediano) ed uno nel terzo occhio (Dan Tien
superiore). Ebbene, pacificare il Prana in questi precisi luoghi è proprio il nucleo
dell’azione del Kriya – da qui il nostro interesse in questo argomento.
Il Dan Tien inferiore o "Campo di cinabro" è il luogo dove colui che pratica "raccoglie,
fonde insieme e cucina" le sue energia sessuali, dell’amore e quelle spirituali. Per
circoscrivere la sua posizione ci si deve concentrare sull'ombelico, venire

235
approssimativamente quattro centimetri indietro verso la spina dorsale e poi sotto per la
stessa estensione: può essere visualizzato come una palla di gomma di circa otto
centimetri di diametro.
Esso contiene la nostra peculiare vibrazione, la "nota" che incarna la nostra volontà di
vivere nel corpo fisico. È la forza che ci spiana la strada verso l’esperienza dello stato di
assenza di respiro.

Dharana Secondo Patanjali, Dharana è la concentrazione su un oggetto fisico o


astratto. Nel Kriya, Dharana consiste nel far convergere la nostra attenzione verso la
rivelazione dello Spirito: il suono interiore di Omkar, luce o sensazione di movimento.
Questo avviene subito dopo aver calmato il respiro.

Dhyana Secondo Patanjali, Dhyana scaturisce dal contemplare la natura essenziale


dell’oggetto scelto, come un costante, ininterrotto flusso di coscienza. Nel Kriya la
consapevolezza, soffermandosi sulla realtà Omkar, è presto persa nello stato di
Samadhi.

Esicasmo Molti ricercatori occidentali guardano all’oriente per imparare tecniche di


meditazione che portino verso delle reali esperienze. Spesso non sanno che una
tradizione Cristiana, sistematica e precisa, esiste presso la tradizione Esicasta.
Per quanto riguarda il Kriya, nel mondo affascinante dell’Esicasmo possiamo avere
l’opportunità di avvicinare anime che ne sanno più di noi sul Pranayama e sul Thokar –
anche se non hanno mai sentito parlare di Kriya!

Il termine Esicasmo deriva dalla parola greca "hesychia" che significa quiete
interna, tranquillità e calma: senza questa condizione, la meditazione non è possibile. È
una disciplina che integra la ripetizione continua della Preghiera di Gesù ("Signore
Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore". Essa fu già usata dai primi
Padri della Chiesa nel quarto e nel quinto secolo) con la pratica dell'ascetismo.
C’erano eremiti che dimoravano nel deserto, cercando la pace interiore e l’introspezione
spirituale praticando la contemplazione e l'autodisciplina: non avevano dubbi sul fatto
che la conoscenza di Dio poteva essere ottenuta solo attraverso la purezza dell’anima e
la preghiera, non tramite il semplice studio o i puri piaceri mentali nel campo della
filosofia.
Più tardi, il loro metodo ascetico cominciò a rivelarsi come un insieme concreto di
tecniche psicofisiche: questo è, effettivamente, il nucleo dell’Esicasmo.
Fu Simeone, "il nuovo teologo" (1025-1092), che sviluppò la teoria quietistica con tale
precisione tanto da poter essere considerato il padre di tale movimento.
La pratica, che implicava specifiche posizioni del corpo e precisi schemi di
respirazione, era intesa a percepire la Luce Increata di Dio.
I monaci di Athos avrebbero potuto continuare tranquillamente a contemplare questa
Luce Increata (che loro consideravano essere la meta più alta meta da ottenersi nella
vita) se i loro metodi non fossero stati denunciati come superstiziosi e assurdi.
L’obiezione era basata principalmente su un energico rifiuto della possibilità che la loro
Luce Increata costituisse l’essenza Divina.
Verso l'anno 1337, l’Esicasmo attirò l'attenzione di un dotto membro della Chiesa
Ortodossa, Barlaam di Seminara, un monaco Calabrese (più tardi divenne l'insegnante
greco del Petrarca) che era abate in un monastero di Costantinopoli e che visitò Monte
Athos. Là egli incontrò gli esicasti e ascoltò le descrizioni delle loro pratiche. Barlaam,
addestrato nella teologia Scolastica Occidentale, fu scandalizzato e cominciò a

236
combatterlo sia a voce che nei suoi scritti. Chiamava gli esicasti "omphalopsychoi" -
persone che hanno le loro anime nei loro ombelichi (a ragione del molto tempo che
passavano indirizzando la loro concentrazione sulla regione ombelicale).
Barlaam proponeva un approccio alla conoscenza di Dio più intellettuale di quello che
gli esicasti insegnavano: egli asseriva che questa conoscenza poteva essere ottenuta
solamente attraverso un lavoro d’indagine portato avanti dalla mente e tradotto in
discriminazione tra il vero e il falso. Egli sosteneva che nessuna parte di Dio poteva mai
essere vista dagli esseri umani.
La pratica degli esicasti fu difesa da San Gregorio Palamas. Egli era ben istruito nella
filosofia greca e difese l’Esicasmo nel 1340, in tre sinodi diversi a Costantinopoli, e
scrisse anche un numero di lavori in sua difesa.
Lui usò una distinzione, già formulata nel quarto secolo nei lavori dei Padri della
Cappadocia, tra le energie o opere di Dio e l'essenza di Dio: mentre l'essenza di Dio non
può mai essere conosciuta dalle sue creature, le Sue energie od operazioni possono
essere conosciute sia in questa che nella prossima vita; esse trasmettono all’esicasta la
vera conoscenza spirituale di Dio.
Nella teologia Palamita, sono le energie non create di Dio che illuminano l’esicasta a
cui è stata concessa un'esperienza della Luce Increata.
Nel 1341 la disputa fu stabilita: Barlaam fu condannato e ritornò in Calabria, in seguito
divenne vescovo nella Chiesa Cattolica Romana.
In seguito, la dottrina esicasta fu stabilita come la dottrina della Chiesa Ortodossa.
Fino ad oggi, la Chiesa Cattolica Romana non ha mai accettato pienamente l'Esicasmo:
l'essenza di Dio può essere conosciuta, ma solamente nella prossima vita; non ci può
essere distinzione tra le energie e l'essenza di Dio.
Oggi Monte Athos è il noto centro della pratica dell’Esicasmo. I libri usati dagli esicasti
includono la Philokalia, una raccolta di testi sulla preghiera e sull’ascetismo scritti dal
quarto al quindicesimo secolo.
(Questo è un testo noioso che rappresenta la tendenza della mente, ossessionata dal
peccato e dalle tentazioni, di complicare le cose più semplici. Molto più affascinante è
"I racconti di un pellegrino russo" [anonimo, Bompiani] che è uno degli esempi della
letteratura spirituale russa più diffusamente letti. L'autore che è devoto della Preghiera
di Gesù, è stato identificato sulla base di testimoni come il monaco russo Archimandrita
Ortodosso Mikhail Kozlov. La ragione principale dell'attrazione che quest’opera suscita
è la presentazione della vita di un eremita vagabondo come il modello di condurre la
vita a beneficio di coloro che si propongono di condurre una vita spirituale.
«Per grazia di Dio sono un cristiano, in azioni un grande peccatore e, per scelta, un
vagabondo, di umile nascita, senza casa, che erra da luogo il luogo. I miei beni sono una
bisaccia con un po' di pane secco e, nel taschino, una Bibbia. Questo è tutto.»
È un libro semplice, edificante, di universale appello spirituale. Nel suo consiglio
pratico di non esitare ad incominciare la pratica della Preghiera di Gesù, è veramente
incalzante.)
Ora consideriamo l’aspetto tecnico della pratica esicasta: l’insegnamento per trovare
la quiete interiore e percepire la Luce Increata.
La prima caratteristica è limitare le attività esterne e sforzarsi, al meglio, di ignorare i
sensi fisici. Essi interpretano l’ingiunzione di Cristo nel Vangelo di Matteo: «quando
vuoi pregare, entra in camera tua e chiudi la porta» come il dovere di ritirarsi
internamente. Essi affermano che il primo passo è mantenere il corpo immobile per
lungo tempo. Poi si occupano di un ascetismo mentale ovvero del rifiuto delle
tentazioni. Molta della letteratura dell’Esicasmo si occupa dell'analisi psicologica di tali
insidie. Essi osservano i pensieri negativi e li combattono con coraggio. Essi insegnano

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che il praticante deve essere estremamente cosciente del suo mondo interno e delle
parole della Preghiera di Gesù, non lasciando che la mente si distragga in alcun modo.
La Preghiera viene detta con il "cuore" - percependo intensamente il significato delle
sue parole. Tale pratica prende dentro l’intero essere umano – anima, mente e corpo.
(Alcuni turisti a Monte Athos ricevettero un rifiuto quando chiesero informazioni sulla
Preghiera di Gesù; questo fu probabilmente causato dal loro atteggiamento superficiale
e affrettato.)
Ancora più sacro è considerato il metodo che implica il controllo del respiro. Il
pronunciare la Preghiera è sincronizzato con il proprio respiro. Nella tradizione esicasta
troviamo scritto: «Fate che il ricordo di Gesù sia presente in ciascun respiro, e poi
capirete il valore della Hesychia. »
San Simeone scrive: «Siediti in un luogo tranquillo e fai quello che ti dico: chiudi la
porta, distogli la mente da ogni cosa temporale e caduca. Appoggia la barba sul petto e
focalizza lo sguardo assieme al tuo intelletto l’attenzione sul centro della pancia ovvero
sull’ombelico. Fai sì che il respiro passi attraverso le narici con una certa resistenza e
cerca con l’intelletto il posto del cuore, dove risiedono tutti i poteri dell'anima.
Dapprima troverai laggiù un’oscurità ed una densità impenetrabile. In seguito, se
perseveri nella concentrazione senza posa, giorno e notte, vi troverai una gioia
incessante. La mente, così avvinta, illuminerà il luogo del cuore e là vedrà subito cose
tali, quali non aveva mai viste né conosciute. Vedrai lo spazio aperto all'interno del tuo
cuore e scoprirai di essere tu stesso luminoso e pieno di discriminazione. »
Pseudo-Simeone, "I Tre Metodi di Preghiera," in: La Filocalia (5 vol.; tr. G.E.H.
Palmiere, P. Sherrard, e K. Ware; Londra: Faber e Faber, 1995) 4.72-3.
Il paragone con la tecnica del Navi Kriya è impressionante.
Naturalmente c'è, per quanto riguarda queste pratiche, una grande enfasi sull’umiltà,
molta cautela viene suggerita accennando ai disastri che possono capitare a colui che
procede con orgoglio, arroganza o presunzione.
La parte più segreta è la descrizione di quanto avviene nello spazio entro il cuore. La
persona è guidata attraverso l'oscurità e attraverso "una densità impenetrabile" verso le
profondità del cuore. Questa discesa è da prendersi alla lettera, non è affatto
un’espressione metaforica.
Questo è uno stadio evoluto della pratica spirituale e tentare di raggiungerlo
prematuramente può causare delle ferite emotive molto serie.
L’istruzione è quella di sentire la propria testa che si muove nel torace e lì risiede, poi di
"aprire" gli occhi in tale luogo e guardare il mondo dal proprio petto. Il mondo è
percepito in un modo totalmente diverso: non come aspro e ostile, ma come delicato,
caldo e che risponde alle emozioni dell’amore!
Il cuore è riempito della beatitudine più sottile, carica d’amore! In questo stato, il
devoto diventa lui stesso "permeato" di luce. L’illuminazione proviene dall’interno, si
irradia dallo spazio aperto contenuto entro il cuore.
L’esicasta, quando ha ottenuta tale esperienza, ritorna alla vita di tutti i giorni
completamente trasformato. Il "dialogo interno" che ostacolava la meditazione è sotto
controllo: egli può vivere permanentemente in uno stato che è detto "la sentinella della
mente". È lo stato più sano e naturale della mente. La coscienza non è più oppressa
dalla produzione spontanea di immagini - questo è l’attributo principale della vera vita
religiosa.
Tutte queste istruzioni possono aiutare un kriyaban a riconsiderare la tecnica del Japa e
del Thokar da una nuova prospettiva. Per trarre alcune conclusioni, comprendiamo che
per stabilirci nello stato di continua sintonia con la realtà Omkar, il modo più sicuro è
stabilirci nella pratica vigorosa di un Japa fervente.

238
Il Mantra che usiamo nel Kriya dovrebbe essere vissuto come una Preghiera luminosa:
in questo modo è possibile innamorarsene. La sua Magia Divina si diffonderà in ogni
sfaccettatura della nostra vita, sarà come uscire da una stanza scura nell’aria fresca e
nella luce del sole. Non ci saranno più problemi di aridità, mancanza di motivazione e
difficoltà di concentrazione.
Come quando ci troviamo all’aria fresca noi non ci concentriamo su di essa ma la
respiriamo, nello stesso modo il nostro sentiero sarà un’esperienza di pura gioia.

Flauto, suono del [durante il Pranayama] Durante il Pranayama, si produce nella


gola un leggero sibilo; quando un kriyaban riesce ad assumere la posizione del Kechari
Mudra, allora la frequenza del suono della espirazione aumenta. Questo suono è stato
paragonato al "flauto di Krishna."
Lahiri Mahasaya lo descrive: "come quando qualcuno soffia attraverso il buco della
serratura". Questo suono, estremamente godibile, fa sì che la mente cresca in calma e
trasparenza e aiuta a prolungare senza sforzo la pratica del Pranayama.
Un giorno il suono del flauto si trasforma nel suono di Om. In altre parole, fa sorgere il
suono di Om, la cui vibrazione è così forte da coprire il suono stesso del flauto. Durante
questo evento, un forte movimento di energia sale lungo la spina dorsale.

Granti [vedi Nodo]

Guru L'importanza di trovare un Guru (insegnante) che faccia da supervisore


all'addestramento spirituale del discepolo è una delle credenze fondamentali di molti
sentieri spirituali. Uno dei principali testi indù, la Bhagavad Gita è un dialogo tra Dio
nella forma di Krishna ed il principe guerriero Arjuna. Non solo il loro dialogo è un
compendio degli ideali dell'Induismo, ma la discussione e il rapporto tra i due è
considerato un'espressione dell’ideale rapporto Guru-discepolo.
Un Guru è un insegnante, una guida e molto di più. Le sacre scritture dichiarano che il
Guru è Dio e Dio è il Guru. C'è un detto che se il devoto fosse presentato al Guru e a
Dio, prima dovrebbe inchinarsi al Guru, poiché il Guru è stato lo strumento che lo ha
condotto a Dio. Siamo abituati a spiegare il termine "Guru" come un'interazione
metaforica tra l'oscurità e la luce: il Guru è visto come colui che disperde l'oscurità:
"Gu" vuole dire oscurità e "Ru" colui che la rimuove. Alcuni studiosi non accettano
questa etimologia; secondo loro "Gu" sta per "oltre le qualità" e "Ru" per "privo di
forma".
Per ricevere tutti i benefici dal contatto col Guru uno deve essere umile, sincero, puro in
corpo e mente e pronto ad arrendersi alla volontà e alle istruzioni del Guru.
I criteri per scegliere un Guru sono complessi: se egli non è sposato dovrebbe
mantenersi casto, dovrebbe esibire mancanza di interesse per i soldi, abilità di sedere in
meditazione per ore senza alcun movimento o disturbo. Il lignaggio del Guru riceve
talvolta una grande importanza. E’ stato iniziato e da chi? C'è una prova che ricevette
l’iniziazione dalla persona da cui lui dice di essere stato iniziato? Il potere spirituale di
un Guru, trasmesso dai suoi migliori discepoli che continuano il suo lascito è noto come
il Guru - Parampara.
Si crede comunemente che tale catena di Guru trasmetta l’ingrediente essenziale
affinché la Diksha funzioni - dare la conoscenza esoterica al discepolo in modo che
questi possa avanzare lungo il percorso verso la auto realizzazione.
Talvolta essa è accompagnata dallo Shaktipat, la procedura di risvegliare la conoscenza
spirituale che giace sopita all'interno del discepolo.
Un riconoscimento formale di questa relazione, che di solito assume la forma di una

239
cerimonia di iniziazione ben strutturata, include il Gurudakshina: il discepolo offre un
qualcosa di valore al suo Guru come segno di gratitudine.

Questo è quello che dice la letteratura. Ora cerchiamo di fare i conti con i fatti.
Durante gli anni 60’ e 70’, come alternativa alle religioni stabilite, alcune persone in
Europa e negli Stati Uniti si volsero verso le guide spirituali dell'India, ansiosi di
ricevere da loro risposte sul significato della vita. Molte persone si rivolsero a dei Guru
perché volevano provare lo sballo senza le droghe che avevano aperto loro l'esistenza di
quella dimensione che si trova al di là della realtà percettibile.
Molti Guru (provenienti non solo dall'India) viaggiarono principalmente verso gli Stati
Uniti dove acquisirono gruppi di giovani seguaci. La parola "Guru" fu accettata in senso
più ampio non solo per indicare un insegnante spirituale ma anche qualcuno che
conosca molto bene un particolare soggetto. Purtroppo acquistò anche connotazioni
molto negative per indicare un ciarlatano - affarista che finge di essere un santo. Le
rivelazioni da parte di ex-seguaci giocò un ruolo importante nel riconoscere che alcuni
Guru avevano davvero abusato del loro status. All'interno di alcune organizzazioni, il
termine Guru assunse un significato molto strano perché fu attribuito ad una persona
che i discepoli non avevano conosciuto direttamente. A tali devoti si chiedeva di giurare
la loro eterna devozione non solo ad una persona ma anche ad una catena di Maestri,
anche se solamente uno di loro doveva essere considerato il Guru-precettore. Essendo
stati iniziati in una disciplina spirituale dai canali legittimi (discepoli autorizzati), si
affermava che il Guru, anche se non più su questa terra, sarebbe stato una presenza
reale nella loro vita. Gli si spiegava che il Guru avrebbe bruciato in qualche modo parte
del loro Karma e li avrebbe sempre protetti; egli era uno speciale aiuto scelto da Dio
Stesso già prima che loro avessero iniziato a cercare il percorso spirituale. Cercare un
diverso percorso spirituale equivaleva ad «un odioso rifiuto della mano Divina, protesa
in benedizione».
Un ricercatore spirituale che abbia un approccio ben equilibrato tra il razionale e il
devoto, ha buone ragioni per rimanere perplesso da tutto questo.
Lahiri Mahasaya aveva detto: «Io non sono il Guru, io non mantengo una barriera tra il
vero Guru (il Divino) ed il discepolo». Aggiunse che voleva essere considerato come
uno "specchio". In altre parole, ciascun kriyaban avrebbe dovuto guardare a Lui non
come ad un ideale irraggiungibile, ma come alla personificazione di tutta la saggezza e
realizzazione spirituale che, a suo tempo, la pratica del Kriya sarebbe riuscita a far
emergere.
Ora si pone la domanda: le tecniche Kriya funzionano al di fuori del rapporto Guru-
discepolo? Di sicuro non v’è risposta provata scientificamente. In questo campo
possiamo usare sia la fede che la ragione. Molti kriyaban hanno la fiducia di riuscire a
trasformare le tecniche, non importa come ricevute, in "oro". Pensano: «Al di là di tutte
le aspettative, ragionevoli o improbabili, di trovare un esperto di Kriya a mia
disposizione, mi rimbocco le maniche e vado avanti!»

Ida [vedi Nadi]

Incremento progressivo [routine] Quando pensiamo alla pratica del Kriya,


immaginiamo il classico schema costante, immutato che consiste in una pratica
giornaliera dello stesso insieme di tecniche, senza cambiare né il loro ordine di pratica,
né il numero delle loro ripetizioni.
Una routine ad incremento progressivo è una caratteristica particolare del Kriya di
Lahiri Mahasaya. Essa consiste, una volta alla settimana, per un certo numero di

240
settimane (20 - 24 - 36 …), nel mettere da parte la routine solita e nell’utilizzare una
sola tecnica, il cui numero di ripetizioni è gradualmente aumentato fino a raggiungere
un determinato numero che la tradizione ha tramandato come ottimale.
Questa è la pratica più remunerativa del Kriya perché conduce a una grande padronanza
(impensabile da ottenere con altri schemi) delle tecniche oggetto di tale procedura ed ha
un positivo effetto sulla personalità, liberandola da molti ostacoli interiori.
Analogo a questa procedura è il progetto di completare un certo numero (solitamente un
multiplo di 12, come 1728 o 20736) di ripetizioni di una tecnica particolare,
impiegando naturalmente un numero specifico di giorni.

Japa [Vedi Preghiera]

Kechari Mudra Il Kechari Mudra si ottiene in uno dei due modi seguenti:
[a] Mettendo la lingua in contatto con l'ugola nella parte dietro del palato molle.
[b] Infilando la lingua nella faringe nasale, toccando, se possibile, il setto nasale.
Secondo Lahiri Mahasaya, un kriyaban dovrebbe realizzarlo non tagliando il frenulo
della lingua ma per mezzo del Talabya Kriya [vedi].
Kechari si traduce letteralmente come: "lo stato di coloro che volano nel cielo,
nell'etere", nello "spazio interiore". Kechari è paragonato al bypassare il sistema
energetico della mente. Esso muta il percorso del flusso del Prana facendo sì che la
forza vitale sia sottratta dal processo pensante. Invece di permettere ai pensieri di saltare
come rane qui e là, fa sì che la mente sia quieta e fa sì che essa si concentri sulla meta
della meditazione. Noi non ci rendiamo conto della quantità di energia che dissipiamo
quando noi siamo persi nei nostri pensieri, nei nostri piani. Kechari trasforma questo
modo pernicioso di consumare tutta la nostra vitalità nel suo opposto. La mente
comincia a perdere il suo ruolo dispotico: la "attività interiore" non avviene più per
mezzo del processo pensante ma per mezzo dello sviluppo, privo sforzo, dell'intuizione.
Abbinato al Kriya è un aiuto sostanziale nel chiarificare le proprie complesse strutture
psicologiche.
Un tema di dibattito è l'esperienza dell'elisir della vita, "Amrita", il "Nettare." Esso è un
fluido dal gusto dolce percepito dal kriyaban con la punta della lingua quando tocca
l'ugola oppure la prominenza ossea, nel tetto del palato, sotto l'ipofisi.
La tradizione dello Yoga spiega che c'è una Nadi che scorre attraverso il centro della
lingua; dell’energia s’irradia attraverso la sua punta e quando tocca quella prominenza
ossea, la sua radiazione arriva e stimola l'Ajna Chakra nel centro del cervello.

Kevala Kumbhaka [vedi Assenza di respiro]

Kriya Yoga Se vogliamo comprendere l'essenza del Kriya Yoga, è necessario


mettere da parte alcune definizioni che si trovano nei siti web.
"Il Kriya Yoga è la scienza del controllo dell’energia vitale [Prana]."
"… una tecnica che stimola i centri astrali cerebrospinali."
".. accelera lo sviluppo spirituale di colui che pratica e aiuta a generare uno stato
profondo di tranquillità e di comunione con Dio."
"…crea la calma degli stimoli trasmessi dai sensi."
Non voglio contestarle, mi limito a sostenere che il Kriya è più ampio di quanto loro
lascino presupporre. Ci sono definizioni che non dicono nulla: esse fanno una sintesi
fallace dei suoi metodi ed elencano i suoi effetti nello stesso modo in cui uno
descriverebbe la pratica dello Hatha o del Raja Yoga.

241
Patanjali usò una volta sola il termine Kriya Yoga: "Il Kriya Yoga è formato da
disciplina fisica, controllo della mente, e meditazione su Iswara." [Yoga Sutras II:1]
Ciò è indubbiamente corretto, ma seguendo l’evoluzione del suo pensiero siamo
condotti fuori strada. Sebbene gli affermi che, ricordando quel Suono, possiamo
raggiungere la rimozione di tutti gli ostacoli che bloccano normalmente la nostra
evoluzione spirituale, egli non sviluppa questo metodo. È ben lungi dal descrivere la
medesima disciplina spirituale insegnata da Lahiri Mahasaya.
Il Kriya è un "sentiero mistico" che utilizza i migliori strumenti usati dai mistici di
tutte le religioni. Esso consiste nel controllo del respiro [Pranayama], Preghiera [Japa,
Mantra] e nel puro sforzo di entrare in sintonia con la Realtà Omkar.
Il processo calmante del respiro Pranayama, seguito dalla procedura del Thokar, guida
l’energia del corpo nel Chakra del cuore, fermando così, come in una stretta di calma,
l’incessante riflesso che da origine al respiro. Quando una calma perfetta è stabilita,
quando tutti i movimenti interni ed esterni cessano, il kriyaban percepisce una
irradiazione di fresca energia che sostiene ogni cellula dall’interno; allora lo stato di
assenza di respiro diventa stabile.
Quando il respiro fisico è totalmente trasceso e nel corpo avviene la circolazione di una
forma sottile d’energia - si dice che il respiro è "Interiorizzato" - nasce un senso
d’infinita sicurezza, solidità e fiducia. La sensazione è quella di avere attraversato una
barriera e di essere penetrati in uno spazio smisurato: il Kriya Yoga è un miracolo di
bellezza.

Kumbhaka Kumbhaka significa trattenere il respiro. È una fase del Pranayama,


talmente importante che alcuni insegnanti di Yoga dubitano se un esercizio di
respirazione che non includa alcun Kumbhaka possa essere correttamente considerato
Pranayama.
Si osserva che quando stiamo per fare qualche cosa che richieda la nostra totale
attenzione, o per lo meno ne richieda molta, il nostro respiro è automaticamente
trattenuto. Questo dimostra come tale fatto sia naturale.
L'inspirazione nel Pranayama viene detta Puraka ovvero "l'atto di riempire";
l'espirazione viene detta Rechaka, ovvero "l'atto di vuotare." Il trattenimento del respiro
è detto Kumbhaka, ovvero "trattenere." Kumbha è una brocca: proprio come una brocca
trattiene l’acqua, così nel Kumbhaka il respiro ed il Prana è trattenuto nel corpo. Nella
letteratura di Yoga classico sono quattro tipi di Kumbhaka descritti.
I…Si espira, profondamente e si trattiene il respiro per alcuni secondi. Questo è noto
come "Bahya Kumbhaka" (Kumbhaka Esterno).
II… Il secondo, "Abhyantar Kumbhaka" (Kumbhaka Interiore), è trattenere il respiro
dopo un'inspirazione profonda. Di solito questa specie di Kumbhaka è accompagnata
dall’esecuzione dei tre Bandha.
III…Il terzo tipo è quello praticato durante la respirazione alternata - inspirare
profondamente attraverso la narice sinistra, poi trattenere il respiro ed espirare
attraverso la destra…. È considerato la forma più facile di Kumbhaka.
IV…. Il quarto è il più importante di tutti, la vetta del Pranayama. È detto Kevala
Kumbhaka o sospensione automatica del respiro: è lo stato di Assenza di respiro dove
non c’è inspirazione o espirazione, il minimo desiderio di respirare.
Nel Kriya il principio fondamentale di [I] è presente in alcune varianti del Navi
Kriya e in tutti quei processi fatti di una serie di espirazioni molto lunghe e calme che
sembrano terminare in un nulla dolcissimo dove il respiro trova la sua quiete.
Il Kumbhaka interno [II] lo troviamo in diverse tecniche del Kriya; in particolare nello
Yoni Mudra. Il Maha Mudra, con la sua azione di bilanciamento sul lato destro e sul

242
lato sinistro della spina dorsale, incarna - in senso lato – i principi del [III] respiro
alternato.

Kundalini Il concetto di Kundalini e, in particolare, del suo risveglio, offre una


comoda cornice per esprimere quello che avviene nel sentiero spirituale. La maggior
parte delle tradizioni spirituali hanno una certa consapevolezza di Kundalini; non tutte
sono ugualmente aperte nell’esporre i dettagli pratici di questo processo.
Kundalini è un termine Sanscrito per "arrotolata": è concepita come una particolare
energia avvolta come un serpente nel Chakra Muladhar. L’immagine di essere
arrotolata come una molla rende l'idea di energia potenziale, ancora intatta. Essa dorme
nel nostro corpo e sotto gli strati della nostra coscienza, aspettando di essere destata sia
attraverso la disciplina spirituale sia attraverso altri mezzi – come particolari esperienze
di vita. Si dice che essa salga dal Muladhar attraverso il canale spinale Sushumna,
attivando ogni Chakra nel suo procedere; quando arriva al Chakra Sahasrara in cima
alla testa, essa concede beatitudine infinita, illuminazione mistica ecc.
È solo attraverso ripetuti sollevamenti di Kundalini che lo yogi riesce ad ottenere la
realizzazione del Sé.
Il suo risveglio non consiste in sensazioni piacevoli come un mite senso dello scorrere
di energia nella spina dorsale. Il movimento di Kundalini è come avere una "eruzione
vulcanica" interna, un "razzo" sparato attraverso la nostra spina dorsale!
La sua natura è benefica; ci sono ragioni evidenti di perplessità nel considerare come
autentici i rapporti di risveglio di Kundalini accompagnati da problemi come schemi di
respirazione palesemente disturbati, distorsione dei processi di pensiero, insoliti o
estremi rafforzamenti delle emozioni…
Siamo piuttosto inclini a pensare che una qualche malattia latente, fatta emergere
apertamente dalla pratica sconsiderata di violenti esercizi o di droghe sia la causa di
quei fenomeni.
Fenomeni come l'insonnia, l'ipersensibilità all’ambiente possono in realtà seguire
l'esperienza autentica. In un "vero risveglio" la forza di Kundalini eclissa
completamente l'ego e la persona si sente, per un certo tempo, disorientata.
Ma tutto è assorbito senza problemi. Purtroppo la ricerca della ripetizione dell'episodio
può condurre alla pratica disordinata e imprudente di tecniche strampalate, senza mai
stabilire un minimo fondamento di silenzio mentale.
Ogni libro avverte contro il rischio di un prematuro risveglio di Kundalini e afferma che
il corpo deve essere preparato per quell’evento. Quasi tutti gli yogi pensano di essere
capaci di sostenere questo risveglio prematuro, e la segnalazione del pericolo li eccita
più che mai: il problema è che molti non hanno (o l'hanno perso) un genuino approccio
spirituale e ne nutrono uno piuttosto egotistico.
Nella cornice teorica del Kriya consideriamo che Kundalini è la stessa energia che
esiste dappertutto nel corpo e non in particolare nel Muladhar Chakra. Nel Kriya
usiamo raramente il termine "risveglio di Kundalini" e cerchiamo di evitare quanto
potrebbe dare l’impressione che tale esperienza abbia una natura aliena: Kundalini è la
nostra energia, è lo strato più puro della nostra coscienza.
Consideriamo l’armoniosa fusione delle due correnti di Prana ed Apana. Quando c’è
una calma ed una immobilità assoluta nel corpo, queste due correnti, divenute una sola,
possono aprire la porta del Sushumna. Questo avviene dopo il Pranayama e il Navi
Kriya, per mezzo di una ulteriore forte concentrazione nel Kutastha.
Concludiamo con un accenno ad una teoria molto affascinante. Essa afferma che
Kundalini risiede in ciascuna cellula. Questo particolare punto di vista va di pari passo
con la convinzione che il nostro corpo non è semplicemente l'involucro dell'anima - una

243
macchina disegnata per andare qui e là in questo mondo fisico. Entrando in sintonia con
la pura energia presente nelle sue cellule, si scopre lo strumento per entrare in contatto
con la coscienza dell’umanità intera.

Kutastha Kutastha, il "terzo occhio" o "occhio spirituale" è l'organo della visione


interiore (la componente astrale unificata dei due occhi fisici), il luogo nel corpo dove si
manifesta la Luce spirituale. Concentrandosi tra le sopracciglia, percepiamo anzitutto
un buio informe, poi una piccola luce crepuscolare, poi altre luci; infine abbiamo
l'esperienza di un anello dorato che circonda una macchia scura con un punto luminoso
al suo interno.
C’è un collegamento tra il Kutastha ed il Muladhar: quello che scorgiamo nello spazio
tra le sopracciglia non è altro che l’apertura della porta spinale, che ha la sua sede nel
primo Chakra.
Alcuni insegnanti di Kriya affermano che la condizione per entrare nell’ultimo e
supremo stadio del Kriya è che la visione dell’occhio spirituale sia costante; altri
identificano questo stato con la condizione in cui l’energia è perfettamente calma alla
base della spina dorsale. Le due affermazioni sono quindi equivalenti.

Maha Mudra Maha Mudra è una particolare posizione di allungamento (stretching)


del corpo. L’importanza di questa tecnica diviene chiara non appena si pensi che essa
incorpora i tre Bandha principali dello Hatha Yoga.
Ci sono davvero mille ed una ragioni per praticare con fermezza il Maha Mudra.
C'è un rapporto tra il numero delle sue ripetizioni ed il numero dei respiri: si
raccomanda che per ciascuno gruppo di 12 Pranayama, si esegua un Maha Mudra.

Mahasamadhi [vedi Secondo Kriya]

Mantra [vedi Preghiera]

Mezzo-loto Questa asana è stata usata per la meditazione da tempo immemorabile


perché fornisce una confortevole posizione a sedere, molto facile da ottenersi.
La gamba sinistra è piegata e portata verso il corpo e la pianta del piede sinistro si
appoggia sulla parte interna della coscia destra. Il tallone del piede sinistro è tirato il più
possibile vicino al corpo. La gamba destra è piegata ed il piede destro è posto sopra la
zona della piega della gamba sinistra. Il ginocchio destro è avvicinato il più possibile al
pavimento. Le mani riposano sui ginocchi.
Il segreto è di mantenere la spina dorsale eretta: questo può essere ottenuto solamente
sedendo su un cuscino, abbastanza spesso, con i glutei appoggiati verso la metà
anteriore del cuscino.
In questo modo le natiche sono leggermente sollevate, mentre i ginocchi sono a livello
del pavimento.
Quando le gambe si stancano, la posizione è prolungata invertendo le gambe.
In certe situazioni, può essere provvidenziale assumere questo Mezzo-loto su una sedia,
purché questa non abbia braccioli e sia abbastanza larga. In tal modo si può abbassare
una gamba alla vota e rilassare la articolazione del ginocchio!
Nota. La pressione di una palla di tennis (o di un asciugamano ripiegato) sul Perineo
può dare i vantaggi della posizione Siddhasana.

Nada Yoga Secondo l’insegnamento esoterico, l'essenza Divina sostiene questo


universo per mezzo della vibrazione Om. Dio non è l'universo ma l'universo è parte di

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Lui. Qualsiasi cosa esista nel mondo fisico, astrale o causale, animata o inanimata, è
fatta e sostenuta dalla vibrazione Divina.
Si fa riferimento a questa vibrazione come "Om", "Omkar", "Pranava", "Shabda",
"Nada Brahman." Un grande Maestro Sufi disse: "La creazione è la musica di Dio." Il
suono gioca un ruolo vitale in tutte le tradizioni mistiche, essendo il ponte tra il mondo
fisico e quello astrale, l'inconscio e il conscio, la forma e ciò che è senza forma. Il suono
di Om è il suono "non prodotto da colpo" (Anahat) - non prodotto dall’azione di due o
più oggetti che si urtano. È, infatti, un suono che non arriva all'orecchio umano
dall’esterno ma dall’interno.
"Cerca il Suono che mai non cessa, cerca il sole che mai non tramonta." (Rumi).
"L'universo emerse per mezzo del Suono Divino; da esso emerse la Luce." (Shamas-i-
Tabriz). "Chi sta suonando un flauto in mezzo al cielo? Il flauto risuona in trikuti
(centro tra le sopracciglia) la confluenza di Gange e Jamuna. Il suono emana dal Nord!
Le mandriane, sentono il suono del flauto ed eccole, cadute in trance dal Nada."
"È una musica senza note che suona nel corpo. Penetra le cose interiori e quelle
esteriori e ci guida fuori dall’illusione." (Kabir). "Il Suono è in noi. È invisibile.
Dovunque guardo lo trovo." (Guru Nanak).
"In principio era il Verbo. E il Verbo era con Dio e il Verbo era Dio." (Vangelo di San
Giovanni). "Ed i suoi piedi erano come splendido ottone, incandescente; e la sua voce
era come il suono di molte acque" (Rivelazione 1:15).
San Giovanni della croce diede una splendida descrizione del suo incontro con i "fiumi
risonanti", la "musica silenziosa", la "solitudine sonora". Non c’è dubbio che ascoltò il
tipico suono di molte acque tipico della vibrazione di Om.
Teresa di Avila nel suo libro "Il castello interiore" scrisse: "Esso ruggisce come molti
grandi fiumi e cascate; ci sono flauti ed uno stormo di piccoli uccelli che cinguettano,
non negli orecchi ma nella parte superiore della testa, dove si dice che l'anima abbia il
suo posto speciale".
Il Nada Yoga è il sentiero che porta all’unione col Divino attraverso l’ascolto dei suoni
interiori. Surat-Shabda-Yoga è un altro nome per designare questa pratica. È una forma
di meditazione estremamente godibile; chiunque può esserne coinvolto anche senza
averla pienamente compresa. Le proprie capacità di ascolto miglioreranno e la
sensibilità ai suoni aumenterà. Nada Yoga non è semplicemente una ricerca intellettuale
ma esperienziale. Essa ha la sua base nel fatto che, una volta acquietata la mente,
possiamo sentire i suoni astrali che stanno al di sotto dei suoni esteriori.
Il suo primo passo è sedere quietamente e focalizzare l'attenzione sui suoni sottili che
provengono dall’interno e non sui suoni udibili che provengono dall’esterno. Si può
usare una particolare posizione del corpo - accucciati con i gomiti che appoggiano sulle
ginocchia, tanto fare un esempio - per tappare con le dita entrambi gli orecchi. Si
raccomanda di ripetere mentalmente, incessantemente, il Mantra favorito. La
consapevolezza dei suoni interiori apparirà prima o poi. Ci sono diversi livelli di
progresso nell'esperienza dei suoni interiori: si potrà ascoltare un calabrone, un
tamburo, il liuto, il flauto, l'arpa, il mormorio del tuono o il ronzio di un trasformatore
elettrico. Alcuni di questi suoni non son altro che i suoni del proprio corpo,
specialmente il pompare del sangue. Altri suoni sono realmente i "suoni oltre i suoni
udibili." È in questo regno più profondo che, continuando a calmare la mente e a
volgerla in una concentrazione rilassata, verrà attratta la propria consapevolezza.
Dopo alcune settimane di pratica zelante si entrerà in sintonia con un suono più
profondo di tutti i citati suoni astrali. Questo è il suono cosmico di Om. La tradizione
Yogica collega questo suono interiore con Kundalini stessa. Quando raggiunge il
massimo della sua elevazione e frequenza, diviene quieto. Esso rivela la sua natura

245
come un movimento all'interno della perfetta quiete - cosa impossibile da afferrarsi
intellettualmente. Questa esperienza è la via più sicura verso la realizzazione del Sè.
Sfortunatamente molti cercano freneticamente impossibili surrogati di essa.

Nadi Canali sottili attraverso i quali fluisce l'energia in tutto il corpo.


I più importanti sono Ida che fluisce verticalmente lungo il lato sinistro della colonna
spinale (si dice che sia di natura femminile), e Pingala (di natura maschile) che fluisce
parallelamente al canale precedente sul lato destro; Sushumna fluisce nel mezzo e
rappresenta l'esperienza situata oltre la dualità.

Nadi Sodhana Esercizio di respirazione a narici alternate, non fa parte propriamente


del Kriya Yoga. Poiché il suo effetto di calmare e rasserenare la mente (specialmente se
l’esercizio è praticato di mattina) non ha paragoni, alcuni kriyaban lo hanno fatto
divenire parte della loro routine.

Navi Kriya L’essenza di questa tecnica è di dissolvere inspirazione ed espirazione


nello stato di equilibrio nell'ombelico, sede della corrente Samana.
È abbinata in modi diversi alla pratica del Pranayama.
Alcune scuole che non l'insegnano specificamente, offrono dei sostituti di essa –
particolarmente notevole è l’istruzione, portata avanti da una istituzione di Kriya, di
attirare molto intensamente l’ombelico all’interno (creando un cavo nell’addome come
nell’Uddiyana Bandha) durante l’espirazione del Pranayama.

Nirvikalpa Samadhi [vedi Paravastha]

Nodo La definizione tradizionale dei Granthi individua tre nodi: il Brahma Granthi
presso il Muladhara Chakra; il Vishnu Granthi nel Chakra del cuore e il Rudra Granthi
nel Kutastha. Questi sono i luoghi dove le Nadi Ida, Pingala e Sushumna si riuniscono. I
nodi sono la causa radice di tutti i nostri problemi perché nutrono il mondo sfibrante
delle emozioni superficiali e dei pensieri.
La definizione di Lahiri Mahasaya dei nodi è diversa da quella tradizionale. Egli scrive:
«Ogni percorso religioso, consiste di quattro tappe caratterizzate dallo sciogliere quattro
nodi interiori: lingua, ombelico, cuore e Muladhar».
Brahma Granthi (localizzato nel Muladhara) è il primo nodo. Esso è in relazione al
nostro corpo fisico: mantiene l'ignoranza della nostra infinita natura ed è il primo
ostacolo nella ricerca spirituale, poiché ostruisce il percorso di Kundalini quando
comincia a muoversi verso i centri più elevati. Il mondo dei nomi e delle forme crea
irrequietezza e impedisce alla mente di divenire concentrata in un solo punto.
Ambizioni e desideri intrappolano la mente. Finché uno non scioglie questo nodo non
può meditare efficacemente.
Vishnu Granthi è localizzato nell'area del Chakra del cuore Anahata ed è posto in
relazione al corpo astrale ed al mondo delle emozioni. La Divinità Vishnu è il Signore
della conservazione. Questo nodo crea il desiderio di preservare l’antica conoscenza, le
tradizioni, le istituzioni e gli ordini religiosi. Esso produce "compassione", un acuto
desiderio di aiutare l’umanità che soffre. La conoscenza discriminante combinata con lo
sforzo nello Yoga può sciogliere il Nodo di Vishnu e può ottenere la liberazione da quei
legami tradizionali che sono profondamente radicati nel nostro codice genetico.
Rudra Granthi è posto in relazione al corpo causale ed al mondo delle idee, visioni ed
intuizioni. Nella zona tra le sopracciglia, le Nadi Ida e Pingala s’incrociano e poi
scendono nella narice sinistra e destra, rispettivamente. Ida e Pingala, sono legate al

246
tempo; dopo avere attraversato il nodo di Rudra, la coscienza limitata del tempo si
dissolve – lo yogi si stabilisce nel Kutastha, oltre i Tattwa (gli elementi: terra, acqua,
fuoco, aria ed etere). Con uno sforzo ulteriore, Kundalini si unisce con l'Atman
supremo nel Chakra Sahasrara e lo yogi realizza l'emancipazione perfetta.

Secondo la definizione di Lahiri Mahasaya dei Granthi, il primo nodo è quello della
lingua. Esso ci separa dal serbatoio di energia che si trova nella regione del Sahasrara. È
perforato per mezzo del Kechari Mudra [vedi]. La mente perde il suo ruolo dispotico!
La consapevolezza è colmata da incredibili momenti di pura calma e silenzio mentale. Il
secondo nodo è quello dell'ombelico. Esso si origina dal trauma del taglio del cordone
ombelicale.
Il terzo nodo è quello del cuore. La sua definizione si collega perfettamente alla
classica.
La definizione del quarto nodo è quella dei nodi Muladhar e Kutastha considerati come
un’unica realtà. Il motivo è che l'azione delle due correnti laterali non equilibrate di Ida
e Pingala crea una potente ostruzione alla base della spina dorsale la quale ostacola
grandemente i nostri sforzi di entrare nel canale sottile di Sushumna; ma se
l'attraversiamo, percepiamo l'occhio Spirituale nel Kutastha e abbiamo l'esperienza di
entrarci dentro.

Omkar Omkar è Om, la Realtà Divina che sostiene l’universo, la cui natura è
vibrazione con aspetti specifici di suono, luce e movimento interiore.
Colui che segue il sentiero mistico incontra infallibilmente questa manifestazione dello
Spirito - qualsivoglia possa essere la sua preparazione e le sue convinzioni.
Il suono è percepito con diverse varianti: Lahiri Mahasaya lo descrive come «prodotto
da molte persone che continuano a colpire il disco di una campana». Esso è continuo
«come l’olio che fluisce da un contenitore».
Sin dall’inizio del sentiero Kriya, non appena la mente è sufficientemente calma, il
dolce suono interiore di Om afferra la consapevolezza del kriyaban e la conduce nelle
profondità senza alcun pericolo che si perda.
Per quanto riguarda la sensazione di movimento, solo poche scuole rivelano la sua
importanza e mistero. Una particolare oscillazione è facilmente percettibile nel Chakra
del cuore durante i movimenti della tecnica del Thokar. All’inizio essa sembra essere
una conseguenza del movimento della testa, quasi vi fosse proiettata dall’esterno.
Concentrarsi su di essa per lunghi periodi di tempo, ha un enorme impatto sulla capacità
del kriyaban di sciogliere la sua piccola individualità nel più grande Sé. Realizzare che
questo movimento non è originato da alcuna causa, è autonomo, emana dall’Eternità
stessa, è un evento dal valore incommensurabile. Questo contrassegna l’ultima parte
del sentiero Kriya.

Padmasana In questo Asana il piede destro è posto sulla coscia sinistra ed il piede
sinistro sulla coscia destra con la pianta rivolta verso l’alto.
Il nome vuole dire "posizione nella quale si possono vedere i loti (Chakra)"; si spiega
che, accompagnata da Kechari e Shambhavi Mudra, questa posizione crea una
condizione energica nel corpo adatta a produrre l'esperienza della luce interna che
proviene da ciascun Chakra.
Personalmente, non consiglio a nessuno di eseguire questa difficile posizione. Ci sono
yogi che hanno dovuto farsi togliere la cartilagine dalle ginocchia dopo che per anni si
erano imposti di assumerla. Nel Kriya Yoga, almeno per quelli che vivono in occidente
e non vi sono abituati sin l'infanzia, è molto saggio e comodo praticare o il mezzo loto

247
o la posizione Siddhasana.

Paravastha Questo concetto è collegato a quello di "Sthir Tattwa (Tranquillità)."


Coniato da Lahiri Mahasaya, designa lo stato che si ottiene prolungando l’effetto
successivo alla pratica del Kriya. Non è solo gioia e pace ma qualcosa di più profondo,
vitale per noi come un processo di risanamento.
Sin dai nostri sforzi iniziali volti a padroneggiare le sue tecniche, percepiamo momenti
di profonda pace e armonia col resto del mondo che si estendono durante la giornata. Il
Paravastha viene dopo anni di disciplina, quando lo stato di assenza di respiro è
divenuto familiare: lo stato di tranquillità dura sempre, non va più ricercato con cura.
Lampi dello stato di finale di libertà confortano la mente mentre affronta le battaglie
della vita.

Pingala [vedi Nadi]

Prana L'energia presente nel nostro sistema psico fisico.


Il Prana è diviso in Prana, Apana, Samana, Udana e Vijana che hanno la loro sede
rispettivamente nel torace, nell'addome basso, nella regione della cintura, nella testa e
nella parte rimanente del corpo - braccia e gambe. Che il termine che Prana abbia due
significati non può creare confusione, se uno considera il contesto nel quale è usato.
Nelle fasi iniziali del Pranayama siamo interessati principalmente in Prana, Apana e
Samana. Quando usiamo il Shambhavi Mudra e durante il Pranayama mentale
contattiamo Udana. Tramite varie tecniche (come il Maha Mudra) e con l'esperienza del
Pranayama col Respiro Interiorizzato conosciamo la fresca natura rivitalizzante di
Vijana.

Pranayama [Kriya Pranayama] Questo termine contiene due radici: la prima è


Prana; la seconda può essere sia Ayama (espansione) che Yama (controllo). Così il
termine Pranayama può essere inteso sia come "Espansione del Prana" che "Controllo
del Prana". Preferirei la prima accezione del termine ma penso che la seconda sia
corretta. In altri termini, il Pranayama è il controllo dell'energia nell’intero sistema
psicofisico, per mezzo del processo della respirazione, con lo scopo di riceverne un
effetto benefico oppure di preparare l'esperienza della meditazione.
I comuni esercizi di Pranayama - sebbene non implichino la percezione di una qualche
corrente energetica nella spina dorsale - possono produrre straordinarie esperienze di
sorgere di energia lungo la spina dorsale.
Il che non è poco poiché una simile esperienza può regalare al praticante, finora
scettico, il contatto con la realtà spirituale e spingerlo a cercare qualcosa di più
profondo. Nel Kriya Pranayama il processo di respirazione è coordinato con la
attenzione che si muove in su e in giù nella spina dorsale.
Mentre il respiro è lento e profondo, con la lingua o piatta o volta all’indietro, la
coscienza accompagna il movimento dell’energia attorno ai sei Chakra.
Approfondendo il processo, la corrente fluisce nel canale più profondo nella spina
dorsale: Sushumna. Quando attraverso una lunga pratica una sottile forma di energia
circola (in modo chiaramente percettibile) entro il corpo mentre il respiro fisico è
totalmente placato, il kriyaban ha un’esperienza di impensabile bellezza.

Pranayama mentale Nel Pranayama mentale il kriyaban controlla l’energia nel


corpo dimenticando il processo di respirazione e focalizzandosi solo sul Prana nei
Chakra e nel corpo. La sua consapevolezza si sofferma su entrambe le componenti di

248
ciascun Chakra, interna ed esterna, fin tanto che sente una irradiazione di fresca energia
che rivitalizza ciascuna parte del corpo e lo sostiene dall’interno. Questa azione è
contrassegnata dalla fine di tutti i movimenti fisici, da una perfetta quiete fisica e
mentale.
A volte il respiro diviene così calmo che colui che pratica ha la assoluta percezione di
non star respirando affatto.

Preghiera [Japa, Mantra] La Preghiera è un atto di comunione con la Realtà suprema


attraverso il quale il devoto porge la sua riverente supplica, o cerca una guida, o offre le
sue lodi o semplicemente esprime i propri pensieri ed emozioni. La sequenza di parole
usate nella Preghiera può essere una formula fissa o un'espressione spontanea.
Qualunque sia l’appello a Dio, questo atto presuppone fede nella Volontà Divina di
interferire nella nostra vita: " Chiedete e vi sarà dato " (Matt. 7:7, 8; 21:22)
La Preghiera è un soggetto molto vasto; qui mi limiterò alla Preghiera ripetitiva. In
India, la ripetizione del Nome del Divino è detta Japa. Questa parola deriva dalla radice
Jap – che significa "pronunciare sottovoce, ripetere interiormente". Japa è una
disciplina spirituale che comporta sia la ripetizione caratterizzata da attenzione sia
quella automatica. Japa significa anche ripetere qualsivoglia Mantra: questo è un
termine più ampio di Preghiera. Un Mantra può essere un nome del Divino ma anche un
puro suono senza un preciso significato. Nei tempi antichi gli yogi sentirono il potere
inerente a certi suoni e li usarono ampiamente. (Alcuni credono che la ripetizione di un
Mantra abbia il misterioso potere di produrre la manifestazione della Divinità, "proprio
come il rompere un atomo manifesta le tremende forze latenti in esso".)
Il termine Mantra deriva dalle parole "Manas" (mente) e "Tra" (protezione): noi
proteggiamo la nostra mente ripetendo continuamente la stessa salutare vibrazione.
Di solito un Mantra è ripetuto a voce per un certo numero di volte, poi è sussurrato e
poi, per un po’, è ripetuto mentalmente. Quasi sempre, il Japa si fa contando i Mantra
per mezzo di una collana di grani nota come Japa Mala. Il numero di tali grani è
normalmente 108 o 100. Il Mala è usato in modo che il devoto sia libero di godersi la
pratica e non si preoccupi di contare le ripetizioni. Può essere praticato da seduti in
posizione di meditazione o compiendo altre attività, preferibilmente camminando.

Preliminari al Kriya Yoga Alcune organizzazioni, nel loro sforzo didattico di


portare il Kriya Yoga alle persone, scelsero alcune semplici tecniche come
preparazione. La prima - detta Hong-So - calma il respiro ed il sistema psico fisico. La
seconda riguarda l'ascolto dei suoni interiori (astrali), ed il suono di Om.
Nel Kriya di Lahiri Mahasaya le tecniche preliminari sono Talabya Kriya [vedi] e
cantare Om nei Chakra.

Sahasrara Il settimo Chakra si estende dalla corona della testa su fino alla
Fontanella e sopra questa. Non può essere considerato della stessa natura degli altri ma
una realtà superiore che può essere sperimentata solamente nello stato senza respiro.
Non è perciò facile concentrarsi su di esso così come facciamo con gli altri.
Solo dopo una pratica profonda del Pranayama, quando il respiro è molto calmo, la
"sintonia" con esso è possibile; una particolare pressione viene percepita sopra la testa.

Samadhi Secondo l’Ashtanga (otto passi) Yoga di Patanjali, Samadhi è lo stato di


profonda contemplazione nel quale l'oggetto di meditazione diviene inseparabile da
colui che medita: esso deriva naturalmente da Dharana e Dhyana.

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Nella letteratura Kriya non c'è un accordo definitivo sulla sua definizione.
Il nostro linguaggio è fortemente impedito: alcune parole magniloquenti rischiano di
non volere dire nulla. Cosa significa per esempio unione con Dio? Divenire una sola
cosa o risvegliarsi alla realizzazione che noi siamo solamente una parte di Quell’Uno?
Le parole ingannano la nostra comprensione e accendono in noi aspettative egoiste.
Uno si esalta incontrando parole come: assoluto, eterno, infinito, supremo, celestiale,
divino..
Io sarei dell’idea di proporre una definizione sobria di Samadhi, che favorisca una
azione di pulizia mentale e inviti ad una riflessione sul significato di sentiero spirituale
in generale. Definisco quindi il Samadhi come una esperienza di quasi morte
(NDE=near death experience), indipendente da incidenti e beatifica.
Le descrizioni del Samadhi e della NDE seguono lo stesso schema: in pratica la natura
del fenomeno che avviene nel corpo è quasi la stessa.
Questa opinione può deludere coloro che vi fiutano una sfumatura di significato
restrittivo e limitante; nondimeno preferisco pensare in questo modo e… scoprire molto
più nella reale esperienza del Samadhi che prosperare in retorica.
Anche se il Samadhi fosse nulla più che una esperienza di quasi morte, esso avrebbe
comunque un valore sommo.
In entrambe le esperienze, alla coscienza è concesso di gettare uno sguardo all'Eternità
oltre la mente; in seguito (questo avviene allo yogi allenato) quella consapevolezza
elevata si mescola, s’integra con la vita quotidiana che ne risulta totalmente trasformata
in meglio.
A chi si domanda se sia corretto sminuire il valore dello stato estatico del Kriya
riducendolo ad un processo di contattare per un certo tempo la dimensione oltre la vita,
rispondiamo che questa genuina esperienza non ha paragoni nel promuovere in modo
pulito gli ideali di una equilibrata vita spirituale.

Shambhavi Mudra Un Mudra nel quale i bulbi oculari e le sopracciglia sono rivolti
verso l’alto il più possibile; normalmente le palpebre si rilassano e un osservatore
esterno nota il bianco della cornea sotto l’iride. Tutta la forza visiva dei nervi oculari è
raccolta in cima alla testa. Lahiri Mahasaya nel suo noto ritratto mostra questo Mudra.

Secondo Kriya Sembra che usando la tecnica del Secondo Kriya, Swami
Pranabananda, un eminente discepolo di Lahiri Mahasaya abbandonò il suo corpo
consapevolmente (questo atto è detto Mahasamadhi - l'uscita consapevole dal corpo, al
momento della morte). Non ci fu violenza al corpo; l’impresa riuscì solamente nel
momento preciso determinato dal suo Karma.
Ora ci si chiede: di quale procedura egli si servì?
a… Molti affermano che si trattava del Thokar. È possibile che egli arrestasse il
movimento del cuore e perciò poté abbandonare il corpo. Può aver praticato un singolo
Thokar e fermato il cuore; questo vuole che pose tanta forza mentale in questo atto da
bloccare l'energia che manteneva il suo cuore in movimento. La stessa tecnica del
Thokar che lui applicò per anni, fu utilizzata durante questo momento finale della sua
vita.
b… Alcuni credono che questa suprema azione di calmare il cuore fosse realizzata
solamente da un atto mentale di immersione in Kutastha. Dicono che quelli che erano
attorno a lui, non notarono movimenti della testa. Similmente quando altri grandi
personaggi abbandonarono il loro corpo, non si osservò alcun movimento.
c… A mio avviso, non essendo il Mahasamadhi un "accorto trucco esoterico" per
padroneggiare il meccanismo di un suicidio indolore, certamente ciascun grande

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maestro conta su un'abilità già costruita di entrare in Samadhi. Creando una pace totale
nel suo essere, il naturale desiderio di riottenere l’unione con la Sorgente Infinita mette
in moto un naturale meccanismo di calmare il plesso cardiaco.

Siddhasana Il nome Sanscrito significa "Posa Perfetta". In questo Asana, la pianta


del piede sinistro è posta contro la coscia destra così che il tallone preme sul Perineo. Il
tallone destro è posto contro l'osso pubico. Questa posizione delle gambe, abbinata al
Kechari Mudra, chiude il circuito pranico e rende il Pranayama facile e proficuo.

Sushumna [vedi Nadi]

Talabya Kriya È un esercizio di allungamento dei muscoli della lingua, in


particolare del frenulo, volto ad ottenere il Kechari Mudra [vedi]. Questa pratica crea un
deciso effetto calmante sui pensieri ed è per questa ragione che non è mai messa da
parte, neanche quando si realizza il Kechari Mudra.

Thokar Una tecnica Kriya basata sul dirigere il Prana calmo – raccolto in testa per
mezzo del Pranayama - verso l'ubicazione di uno (solitamente il 4°) o più Chakra, da un
particolare movimento della testa (sobbalzo).
Guidando il Prana nel Chakra Anahat, una luce cresce nel Kutastha. Questo favorisce lo
stato di assenza di respiro. Aumentando la concentrazione sulla luce spirituale, vengono
rivelate le luci di tutti gli altri Chakra.
La pratica di Thokar va approfondita negli anni per ottenere l'abilità di entrare nello
stato di Samadhi con solo uno colpo.
Studiando le pratiche dei Sufi, (vedi gli studi condotti da Gardet e M. M. Anawati,
specialmente Gardet in Revue Thomiste (1952-3)), scopriamo che il Thokar è una
variante del Dhikr dei Sufi.
Dhikr è la pratica della "memoria" del Divino, che è ottenuta ripetendo una particolare
breve preghiera durante il giorno e guidandola, durante momenti di isolamento o di
pratica devozionale di gruppo, in particolari centri nel corpo attraverso specifici
movimenti della testa.
È probabile che Lahiri conoscesse questa tecnica fin dalla gioventù; fu il Suo genio che
la sviluppò al massimo della perfezione.

Trivangamurari [Tribhangamurari] È la più elevata manifestazione della realtà


Omkar. Nell'ultima parte della Sua vita, Lahiri Mahasaya disegnò con estrema
precisione la forma a tre-curve [Tri-vanga-murari = tre-curva-forma] quale è percepita
approfondendo la meditazione dopo del Pranayama. Il movimento Trivangamurari può
essere sperimentato sia in grandi che in piccole dimensioni nel proprio corpo fisico.

Yama – Niyama Yama è Autocontrollo: non violenza, evitare bugie, evitare di


rubare, evitare bramosie e libidini e non attaccamento. Niyama sono le osservanze
religiose: pulizia, appagamento, disciplina, studio del Sé e resa al Dio Supremo.
Mentre nella maggior parte delle scuole di Kriya, queste regole sono poste quali
premesse da essere rispettare onde ricevere l’iniziazione, un ricercatore assennato
capisce che vanno invece considerate come le conseguenze di una pratica corretta dello
Yoga. Un principiante non può comprendere cosa significa "Studio del Sé". Qualche
insegnante ripete, come un pappagallo, la necessità di osservare quelle regole e, dopo
avere dato spiegazioni assurde su alcuni dei punti precedenti (in particolare che trucco
mentale utilizzare onde … evitare le bramosie della carne..) passa a spiegare le

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tecniche. Perché pronunciare parole vuote. Ma chi vuol prendere in giro? Il sentiero
mistico, quando è seguito onestamente, non può accettare il compromesso della
retorica. Quando si fa una affermazione, essa è quella e basta. Yama e Niyama sono un
buon tema da studiare, un ideale da tenere in mente ma non una promessa solenne. È
solo con la pratica che è possibile capire il loro vero significato e, di conseguenza,
vederle fiorire nella propria vita.

Yoga Sutra (opera di Patanjali) Gli Yoga Sutra sono un testo che ha molto influito
sulla filosofia e pratica dello Yoga: più di cinquanta diverse traduzioni in inglese sono
la testimonianza della sua importanza. Anche se non si può esser sicuri del tempo esatto
in cui visse il loro autore Patanjali, possiamo collocarlo tra il 200 A.C. e il 200 D.C. Gli
Yoga Sutra sono costituiti da una raccolta di 195 aforismi che trattano gli aspetti
filosofici della mente e della consapevolezza costituendo una solida base teoretica del
Raja Yoga - lo Yoga della auto disciplina e della meditazione.
Lo Yoga è descritto come un percorso fatto di otto passi (Ashtanga) che sono Yama,
Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana e Samadhi. I primi cinque
passi costituiscono il fondamento psico fisico per avere una vera esperienza spirituale;
gli ultimi tre riguardano il modo di disciplinare la mente fino alla sua dissoluzione
nell'esperienza estatica. Essi definiscono anche alcuni concetti esoterici, comuni a tutte
le tradizioni del pensiero indiano, come il Karma.
Anche se, a volte, Patanjali è chiamato "il padre dello Yoga", il suo lavoro è in realtà un
sommario di tradizioni orali di Yoga pre esistenti, un disomogeneo insieme di pratiche
che rivelano un indistinto e contraddittorio sfondo teorico. Comunque la sua importanza
è fuori discussione: egli chiarì ciò che gli altri avevano insegnato; quanto era troppo
astratto, lui lo rese pratico! Era un pensatore geniale, non solo un compilatore di
precetti. Si apprezza molto il suo equilibrio tra il teismo e l'ateismo. Non troviamo i
minimo suggerimento di adorare idoli, divinità, guru, o libri sacri - allo stesso tempo
non troviamo alcuna dottrina atea.
Sappiamo che lo "Yoga" oltre ad essere un rigido sistema di pratica della meditazione
implica la devozione alla Intelligenza Eterna ovvero il Sé. Patanjali afferma
l’importanza di dirigere l’aspirazione del cuore verso Om.

Yoni Mudra Il potenziale di questa tecnica include, a tutti gli effetti, la


realizzazione finale del sentiero Kriya. Il Kutastha - tra le sopracciglia - è il luogo dove
l'anima individuale ebbe la sua origine: l'Ego ingannevole ha bisogno di essere dissolto
proprio là. Il nucleo della tecnica consiste nel portare tutta l'energia nel centro del
Kutastha ed impedire la sua dispersione chiudendo le aperture della testa – il respiro è
acquietato nella regione che va dalla gola al Kutastha. Se uno stato di profondo
rilassamento è stabilito nel corpo, tale pratica riesce ad originare uno stato estatico
molto intenso che si diffonde in tutto l’essere.
Per quanto riguarda la realizzazione pratica, ci sono lievi differenze fra le scuole: alcune
danno una più grande importanza alla visione della Luce e meno al dissolvimento del
respiro e della mente. Tra le prime, ci sono quelle che insegnano, mantenendo più o
meno la stessa posizione delle dita, a concentrarsi su ciascun Chakra e a percepire i loro
diversi colori.
Una soddisfacente osservazione, trovata nella letteratura tradizionale sullo Yoga, è che
questa tecnica deriva il suo nome "Yoni", che significa "utero", dal fatto che come il
bambino nell'utero, colui che pratica non ha contatto col mondo esterno, e perciò, la
coscienza non è esteriorizzata.

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