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RUBN DARO

EPITALAMIO BARBARO A Lugones Ancora tarda l'alba e il suo trionfo d'oro. Canta il mare con musica delle sue ninfe in coro, e il respiro dei campi si va addensando in bruma, e la naiade tesse il suo pizzo di spuma; il bosco attacca l'inno dei suoi flauti di piuma. il momento che appare selvaggio cavaliere che passa. La trib ulula e il leggero cavallo come un lampo, come veloce idea. Al passaggio atterrita, s'arresta la marea; la naiade interrompe il ricamo cui attende, del bosco il direttore la bacchetta sospende. - Che accade?, dal suo letto chiede Venere bella. E Apollo: - il Sagittario che ha rubato una stella. LE ANFORE DI EPICURO _I La spiga Guarda il segno sottile che le dita del vento fanno nell'agitare il gambo che s'inclina e s'alza in una ritmica virt di movimento. Col dorato pennello del fior della farina tracciano sulla azzurra tela del firmamento il mistero immortale della terra divina e delle cose l'anima che d il suo sacramento in una interminata freschezza mattutina. Sulla pace dei campi, di Dio si sporge il viso. Aroma d'urne in fiore mistico incenso effonde sul vasto altare e soglio dell'azzurro sorriso. Dal suo verdore il tronco e dal fiorir non cessa, bruca l'agnello sotto le sue amorose fronde, e dorme nella spiga d'oro e lume la messa. _II La vecchia Allora la vecchia mi disse: Guarda questa secca rosa un d ammaliata dallo sfarzo della sua stagione; il tempo che sbriciola le altissime mura non defrauder il libro della sua saggezza. In questi petali secchi c' pi filosofia di quella che la tua dotta biblioteca pu darti; essa sulle mie labbra pone la magica armonia con cui sul fuso incarno i sogni della mia rocca. Sei una fata, le dissi. Sono una fata - mi disse -, e della primavera celebro l'esultanza, dando la vita e il volo a queste foglie di rosa.

Si trasform in una principessa profumata, e nell'aria sottile, dalle dita della fata vol la rosa secca come farfalla. _III Ama il tuo ritmo... Ama il tuo ritmo e ritma le tue azioni secondo la sua legge, e insieme i versi; tu sei un universo di universi e, nell'anima, fonte di canzoni. La celeste unit che presupponi far nascere in te mondi diversi, e, risonando, i tuoi numeri spersi pitagorizza in tue costellazioni. Ascolta la retorica divina dell'uccello dell'aria, e la notturna raggera geometrica indovina; schiaccia l'indifferenza taciturna, perla con perla infilza cristallina dove di verit si versa l'urna. _IV Dafne Dafne, Dafne divina! Voglio cercar la lieve canna che si convenga alle tue labbra rare; d'essa far il mio flauto e nasceranno arie, che rapiscan d'amore i cigni come neve. Nel mio cantare il tempo apparir pi breve; come Pane nei campi far i capri danzare; e i leoni potr come Orfeo catturare, e Amor che tutto muove muover non sar greve. E tutto sar, Dafne, per la virt segreta che della canna infonde nella sottile fibra con l'ardore del dio il sogno del poeta; del flauto la mia bocca non fa in tempo a toccare la linguetta sonora, e il mistero ne vibra e l'armonia dal bacio nasce della tua bocca. _V La gitana (A Carolus Durn) Mirabilmente danzava. Delle sue pupille i neri diamanti effondevano il loro fulgore; era bello il suo volto, era un volto s bello come delle gitane di don Miguel de Cervantes. S'adornava di rossi garofani erompenti il periplo oscuro della massa dei capelli, e la salda testa sopra il bronzo del collo la patina aveva delle ore vaganti. Cantavano le chitarre sulle corde sonore le avventure volubili e le vaganti ore; volavano i fandanghi, olezzava il garofano; la gitana, inebriata di lussuria e tenerezza sent come cadeva dentro il suo corpetto

il bel luigi d'oro dell'artista di Francia. TORRI DI DIO! POETI! Torri di Dio! Poeti! Celesti parafulmini, che le dure bufere contrastate, com'erme creste, come selvaggi picchi, dighe ai frangenti delle eternit! La magica speranza annunzia un d in cui sopra lo scoglio d'armonia s'estinguer la perfida sirena. Sperate, speriamo ancora! Sperate ancora. Il bestiale elemento si sollazza nell'odio per la sacra poesia, di nazione in nazione corre ingiuria. La rivolta dal basso gli Eletti assale. Rosse gengive ed affilati denti, il cannibale brama quella carne. Torri, sorriso date al gonfalone. Opponete a quel male e a quel timore un'altera di brezza insinuazione, una serenit di mare e cielo... A PHOCS CONTADINO Contadino Phocs, figlio mio, che ritieni, in questi cos pochi mesi di vita, tanti dolori nei tuoi occhi. che aspettan tanti pianti dalle cure fatali di cui alle tempie peni... Tarda a venire in questo dolore in cui tu vieni in questo mondo orribile di tema e disincanti; dormi sotto i tuoi Angeli, dormi sotto i tuoi Santi, ch presto avrai la Vita, perch tu t'avveleni... Figlio mio, sogna ancora; entrato nella storia, perdonami il fatale dono nel darti vita, che d'azzurro e di rose sognava la mia boria; tu sei la mia crisalide dell'anima intristita e ti vedr nel mezzo di meritata gloria la mia luce innovando della psiche abolita. CANTI DI VITA E DI SPERANZA _XI Mentre intessete, o cuori tenebrosi, conciliaboli d'odio e di miseria, l'organo dell'Amore diffonde le sue note. Cantano. Udite: La vita dolce e seria.

Per te, meditabondo pensatore, pallido di sentirti s divino, pi ostile la parte acre del mondo. Ma la tua carne pane ed vino il tuo sangue. Lasciate che trascorra la notte della cena - oh povero Shakespeare, oh monco Cervantes! e il passionale volgo che condanna. Immane Apocalisse colma l'ore future. Tra poco sorger il vostro Pegaso bianco! FILOSOFIA Ragno, saluta il sole; non essere astioso. Tu ringrazia il Signore, o rospo, perch sei. Vi son spine di rosa sopra il granchio peloso e sui molluschi muliebri reminiscenze. Sappiate esser quel che siete, enigmi, essendo forme; lasciate la responsabilit alle Norme, che la rimanderanno quindi all'Onnipotente... (Suona, grillo, alla luce lunare; e danzi l'orso). CLEOPOMPO ED ELIODEMO A Vargas Vila Cleopompo ed Eliodemo, la cui filosofia uguale, si dilettano dialogar sotto il verde cielo del bananeto. Laggi Cleopompo morde la mela epicurea ed Eliodemo affida al vento la sua fede nell'eterna armonia. Maledetto, inumano chi le Parche ricorda: se una perla sonora dalla clessidra spare, non l'offrir di nuovo la mano che l'ha messa. Una vacca si mostra, crepuscolare. l'ora in cui sulla sua lira il grillo alletta Flora, fiorendo nell'azzurro un diamante supremo: nella pupilla enorme della bestia pacifica guardano come rotea in un ritmo invisibile la musica del mondo, Cleopompo ed Eliodemo. CONCHIGLIA Ad Antonio Machado Sulla spiaggia ho trovato una conchiglia d'oro massiccio e ricamata delle perle pi fine; Europa l'ha toccata con le dita divine quando pass le onde sopra il celeste toro. Ho recato alle mie labbra il guscio sonoro e l'eco ho ridestato delle diane marine; l'ho accostata all'udito e le grotte turchine sottovoce m'han detto dell'arcano tesoro. E in tal guisa mi giunge dei venti amari il sale che violenti provaron la nave Argo nell'ale

quando gli astri protessero di Giasone l'ardore, e suono d'onde ascolto e un incognito accento e un profondo mareggio e un misterioso vento... (La conchiglia ritiene la figura d'un cuore). NOTTURNO A Mariano de Cavia Voi che avete ascoltato il cuore della notte, e voi che avete udito nell'insonnia tenace un chiudersi di porta, il risuonar di ruote lontano, un'eco vaga, un rumore fugace... Negli istanti in cui tace silenzio misterioso, quando sorgon dal carcere uomini abbandonati, nell'ora dei defunti, nell'ora del riposo, leggete questi versi d'amarezza impregnati... Mesco come in un calice in essi i miei dolori di lontani ricordi e disgrazie funeste, rimpianti della mia anima ebra di fiori, e il duolo del mio cuore, tristissimo di feste, e il cruccio di non essere quel ch'ero destinato, elusa la dimora del mio regno smarrito, il pensare che un attimo potei non esser nato, e il sogno ch' mia vita dal mio primo vagito. Questo m'accade in mezzo al silenzio profondo in cui la notte avvolge l'illusione terrena, e sento come un'eco che dal cuore del mondo il mio cuore commuove nell'intima sua vena. IBIS Attento sto sempre innanzi all'Ibis di Ovidio, enigma umano s velenoso e soave che quasi esula dalla sua natura d'uccello poi che s' acquistato terrori di ofidio. FATALIT A Ren Prez L'albero, s, felice, ch' appena sensitivo. Pi felice la pietra dura che pi non sente. Non c' maggior dolore del dolor d'esser vivo, n gravezza maggiore della vita cosciente. Essere e non sapere, essere senza un porto, e il timor del passato e un futuro rovello... Lo spavento sicuro d'esser domani un morto e soffrir per la vita e per l'ombra e per quello che noi non conosciamo e appena sospettiamo, coi suoi grappoli freschi la carne che ci alletta coi suoi funebri rami la tomba che ci aspetta; non saper dove andiamo, n da dove veniamo...!

SUM... Sono in Dio quel che sono; l'esser mio volont che esiste, perseverando oggi, nell'eternit. Quattro orizzonti d'abisso contempla il mio ragionare e l'abisso che pi sento quel che sento in me fisso. Scorgo un punto allucinante nella mia villa di sogno, presso il chiosco del pavone la torre dell'elefante. Anche il poco mi soggioga, se il desio lo colora. Dal guscio di tartaruga la pena d'Orfeo m'affiora. Rose buone, iris belli, pazzo di tanto ignorare, sopra l'orlo dei sepolcri voglio mettermi a gridare: Signore, la fede dilegua! Guarda, guarda il mio dolore! Miserere! Miserere! Dammi la mano, Signore... SU UNA PRIMA PAGINA Penna, lascia che scorra qui la tua nera fonte. Questo il portico in cui l'Idea alza la fronte luminosa e nel tempio penetra del suo rito. Delle lettere il simbolo divino sia graffito in gloria del veggente, la cui anima lira. Benedetto chi intende, benedetto chi ammira. Di sogno, argento o neve, la bianca porta certa. Voi che pensate entrate, voi che sognate. aperta. EHEU! Qui, presso il mare latino, proclamo la verit: sento in roccia e olio e vino la mia antichit. Quanto son vecchio, Dio santo; ahi, quanto son vecchio!... Donde viene il mio canto? Ed io, dove vado? Il conoscere me stesso ormai mi va costando molti momenti d'abisso

e il come e il quando... E questa latina spera a che m'ha servito per entrar nella miniera dell'io e del non io?... Nefelibata contento, credo d'interpretare le confidenze del vento, della terra e del mare... Certe vaghe confidenze dell'essere e del non essere, e frammenti di coscienze di oggi e di ieri. Come in mezzo ad un deserto mi misi a invocare; vidi il sole come morto e scoppiai a singhiozzare. AGENZIA D'INFORMAZIONE... Che c' di nuovo?... Trema la terra. All'Aia cova la guerra. I re han terrore profondo. Odore di marcio in tutto il mondo. Non c' profumo a Galaad. Sbarca il marchese di Sade proveniente da Sebom. Cambia il corso del Gulf-Stream. Si frusta Parigi di gusto. Una cometa si mostra. Si compion le profezie del monaco Malachia. Un diavolo in chiesa nascosto. Ha partorito una suora (In che posto?...). Barcellona ormai non bona se non quando la tromba sona... Cina il codino recide. Henry Rothschild poeta. Madrid esecra la cappa. Eunuchi non ha pi il Papa. S'organizzer con un bill il meretricio infantil. La fede bianca infrollisce e ogni negro indurisce. In qualche parte previsto il palazzo dell'Anticristo. Si tessono relazioni tra lesbiche e pederastoni. S'annunzia che arriva l'Ebreo Errante... C' altro, Dio mio?... SONETTO AL SIGNOR DON RAMN DEL VALLE-INCLN Questo gran don Ramn, come capra barbuto,

di cui il sorriso fiore dell'alta sua figura, sembra un antico iddio, orgoglioso ed irsuto, che s'avviva nel freddo della propria scultura. Il rame dei suoi occhi a momenti s'irraggia e d una fiamma rossa dietro un ramo d'olivo. Provo la sensazione che percepisco e vivo al suo fianco una vita pi intensa e pi selvaggia. Questo gran don Ramn del Valle-Incln m'inquieta; per entro lo zodiaco dei miei versi attuali mi si sfuma in radiose visioni di poeta o mi si rompe in un fragore di vetrata. E ho visto che dal petto la freccia si strappata, che gli scagliano i sette peccati capitali. SANT'ELENA DI MONTENEGRO Ora di Cristo sul Calvario e di millenario terrore; ora di sangue, ora d'ossario. Acre umor la luna stilla della Sibilla nella tomba e solvet saeclum in favilla... Fosca Ecate ululante erra e guerra suscita l'inferno sulle pustole della terra. La fame medievale scorre in solchi di vapor sulfureo, lezzo di morte. Orrore, orrore! Abbaiano con furor fello al cielo i cani del diavolo dalla bocca del Mongibello. Treman popoli in brivido di pazzia, di fame e freddo... Oh mio dio! dio mio! dio mio! Come in dantesca Commedia lo spavento del medioevo ci arriccia i peli e ci assedia. Passan furie facendo gesti; passan mille visi sconvolti; vi son lass segni funesti. Vi son folle di spettri umani (cominciano l'opera i vermi) che van mordendosi le mani. Ode l'anima dei poeta, pur se tace la tromba orribile, l'ossa scricchiolar del pianeta. Al rumor terraqueo un fragore s'aggrega profondo, inaudito... Vien dall'ignoto tenebrore. La moltitudine frattanto, n fede n pane n luce, clama stordita dallo schianto. E sotto l'oscuro destino s'odon stridere sempiterni i rossi denti d'Ugolino. Ed ogni spirito in languore

nel veder tra fuoco e miasma storcersi il fantasma-dolore. Aggrotta le ciglia il Dio Ignoto e Cloto ed tropo e Lchesi fanno dei cenni al terremoto... Voci ululano lamentose; miserabili e milionari sono identici e spaventosi. Vanno greggi dolenti... Vanno, d'Apocalisse giovannea, visioni di pena e d'affanno. E d'una cenere le investe il cuor vivo della tormenta e scoppia un rancore celeste. E sotto i piedi sfugge il suolo, e dalla tristezza del cielo cade sopra le fronti il duolo. Oh assorto stupore delle Muse! Oh rictus d'Empuse notturne! Oh le chiome delle Meduse! Oh maschera gialla di pena, occhi dalla sinistra luce, e d'angoscia crudele scena! Aspre guazze, improvvise e fiere voci; gente che va morendo... Ahi! Miserere!... Miserere! Giardini, oggi cimiteri distrutti dai ferri roventi di quei trepidanti Misteri! Regione amata dalle nere paure, ove Morte pi incalza... Ahi! Miserere!... Miserere! Ma udite celeste allegro! Nel fosco orrore ecco che passa Sant'Elena di Montenegro. OH DIO!... Oh Dio! Come non essere in sospeso nel vivere assassino, fatto di donna e vino, di questo Dio cos immenso? Questo cammino esteso, che neppure indovino; questa vigna qui, questo pino sulla montagna che penso: e questa montagna di cristallo e quella regina del cuore e quella principessa di corallo e quella sposa d'illusione, se sono del bene o del male... E, dopo ogni cosa..., se sono!... HLAS!

Questo povero piccolo poeta, allattato a Parigi, hlas!, allattato a Parigi, con oro, azzurro e violetto hlas!, e latte di fiordaliso. Era sazio di bestemmia, ripieno di Lucifero; hlas!, ripieno di Lucifero; figlio del Re di Bohemia, hlas!, e di Nin Patte-en-l'air... FIORE DI LUCE Apparve la mia anima come dalla corolla d'un iris. Essa sapeva d'essere nuda e sola. Sola, come nell'acqua o nel vento. Leggera, trasparente, sottile, meravigliosa. Era come divino fiore di luce o divino uccello che nell'aria appena nato. Non sapeva n udire n vedere n comprendere, e neppure sapeva dove andava, n quel che era materia quaggi n lass. LA GRANDE COSMOPOLI (Meditazioni dell'alba) Case di cinquanta piani, servit di colore, milioni di circoncisi, macchine, giornali, pubblicit e dolore, dolore, dolore! Questi son gli uomini fontane, che versano auree correnti e moltiplicano semenze con ciclopico fragore, e dietro la Quinta Strada la Miseria ch' vestita... con dolore, dolore, dolore...! So che c' tripudio e gloria l nel Waldorff Astoria dove offrono il trionfo la ricchezza e l'amore; ma sulla riva del fiume so chi muore di freddo e quel che triste, Dio mio, di dolore, dolore, dolore...! Che se pure i milionari dnno talenti e denari, son molti di pi i Calvari dove portare il fiore

di divina Carit che Dio verso il povero piega e d amore, amore, amore. La suprema citt si sciorina come un immenso prodigio dove tutto suona e brilla in un'aura repressa, con le sue conquiste d'acciaio, con le sue lotte di denaro senza saper che c' intero tutto il germe del dolore. Tutti questi milionari vivon tra marmi parii con relitti di Calvari, e ne rosso, rosso il fiore. Non la rosa al sole nascente, non il giglio di neve, ma il garofano innaffiato con il sangue del dolore. Vi passa il cinese, il russo, il calmucco e il borusso; e ogni opera e ogni usanza alla nuova terra fedele; si conforma ed aderisce ogni fede e ogni maniera a quanto acchiappa, lima e pota l'impareggiabile Zio Samuele. Alto egli , fiero lo sguardo, sua bandiera il suo gil, col cappello e con il frac; se non uomo di conquista, tutto il mondo ha sotto gli occhi quelle stelle e quelle strisce che si sa bene son pronte nel riposo o nel bivacco. Qui l'ammucchiamento uccise amore e sentimento; ma Dio esiste in ogni cosa, e io ho visto mille carezze avvicinarsi ai bambini dalla slitta e gli ermellini del vecchio Babbo Natale. Giacch lo yankee ama i suoi ferri, i suoi cavalli, i suoi cani, il suo yacht e il suo foot-ball, ma adora l'allegria, con la forza, l'armonia: un ragazzo che ride e una bimba come un sole. MIGUEL DE UNAMUNO

CREDO POETICO

Pensa il sentimento, sente il pensiero; abbiano i tuoi canti nidi sulla terra, e quando nei cieli s'innalzino a volo oltre le nubi non si perdano. Di peso han bisogno, di peso nell'ali; la colonna di fumo intera svanisce; la poesia qualcosa che non musica, la pesante solo resta. Il pensato , sta' certo, il sentito. Sentimento puro? Chi in questo crede, del fonte del sentire non giunto ancora all'ultima viva vena. Troppo non ti curare del vestimento; non di sarto, di scultore il tuo compito, non scordare che giammai pi bella se non nuda l'idea. Non chi in carne incarna un'anima, tu considera; poeta non chi forma d all'idea, ma chi dietro la carne anima trova, dietro la forma trova idea. Col ciarpame delle formule offusca a noi la verit la scienza greve; la denudi con le tue mani, e i tuoi occhi ne godranno la bellezza. Linee di nudo tu cerca, ch se pur mediti d'avvolgerci nel vago della nebbia, anche la nebbia ha linee e si scolpisce; attento, dunque, non le perdere. Che i tuoi canti siano canti scolpiti, ncora al fondo nel mentre s'impennano; il linguaggio pensiero innanzitutto, pensata la sua bellezza. Concretiamo nelle verit dello spirito le interiora delle forme transeunti, sovrana in ogni cosa regni l'idea; scolpiamo, dunque, la nebbia. CASTIGLIA Tu mi sollevi, terra di Castiglia, nel palmo della tua mano rugosa, al cielo, che ti brucia e ti ristora, al cielo, tuo signore. Terra deserta, asciutta, vigorosa, e di cuori e di braccia genitrice, in te il presente acquista antiche tinte dei tempi illustri. Con i concavi pascoli del cielo confinano i tuoi nudi campi intorno; in te sua culla ha il sole e in te sepolcro e in te sacrario. Vertice ovunque il tuo disteso giro e in te mi sento al cielo sollevato, aria di cime quel che si respira sulle tue lande. Ara gigante, terra castigliana,

dentro quest'aria scioglier i miei canti; se di te degni, caleranno al mondo da luogo eccelso. DI DENTRO Non potere alle tenebre dar luce, voce al silenzio! il mio dolore il salmo del mistero canterebbe. N poter dire quello che in un sacro arcano muore, prima ch'esso sia nato, dentro il sepolcro-cuna dell'eterno! Ove dura d'ambrosia il vostro aroma, o fiori dell'inverno, che innanzi che s'aprissero le vostre corolle al sole - dolce conforto! tornaste ai campi che Morte irriga coi suoi sparsi umori? Cantar quel che non entra in parole o in accenti mia fatica e qui dirti all'orecchio, amore mio, il periplo del cuore con ritmo senza musica n sillabe, con tutto il suo silenzio! La parola terribile ed di malaugurio il suo potere. Appena nasce, in lei muore l'idea, nel suo corpo sepolta, come nel dare il pieno frutto muore l'ansia dell'uomo. La mia febbre toccandoti risvegli la febbre del tuo seno, e si fondano quindi i nostri ardori in un solo desio. Taci, amor mio, chiudi la fresca bocca, cos ti amo; dove lasci sua impronta la parola non bene annida il bacio. Taci, c' un altro mondo dentro quel che vediamo, un mondo dove tessono le tenebre; tutto cielo. VARIAZIONI DOMESTICHE I Io disteso nel letto, come in una tomba, nell'attesa del sonno; e accanto, nella culla,

giaceva il bimbo, e l, nel fondo - una stanza nel mezzo -, sotto una lampada di tenue luce in verde stemperato, tre forme distinguevo, tutt'e tre curve e andavan mormorando avemarie. L mia madre, mia moglie, mia sorella, ed era come lungi da questo mondo e dall'altro che al limite aspettiamo. Attraverso le stanze silenziose, in cui i miei figli - l'anima evasa dalle carni inerti giacean sommersi nel ristoro profondo, passavano i sussurri nella calma filtrati del respiro; senza sogno sognavo: io sono morto? D'eterno una visione figuravano, una tela dipinta, un simbolo di vita. L nel buio sentii, dentro la culla, come un sospiro; ecco che si muoveva, cercando al sogno un nuovo volto, il bimbo. Ed io tesi la destra per toccare il suo corpo e accertarmi cos che nel suo seno custodiva la tenebra il mio bimbo pesante, il mio bimbo concreto. Sentendo nella mano il suo caldo respiro, pensai, quasi sognando: no, non son morto! E le tre forme intanto persistevano immobili e ricurve come una cosa sola; la luce della lampada, anch'essa immobile, e immobile il silenzio, e dal cerchio completo - quasi un sonoro, invisibile incenso salivan lente, come rugiada dalla terra al cielo, avemarie. Sentii l'eternit... e dopo il nulla ..................................................... Nel destarmi, di giorno, negli sfondi sfumati, dove infine si mischiano i ricordi, la visione tranquilla, verde, immobile, perdendosi cantava avemarie.

II notte, nel mio studio. Solitudine fonda; odo il palpito del mio petto agitato - si sente solo, e si sente bersaglio del pensiero e odo il sangue il cui lieve sussurro il silenzio riempie. Si direbbe che coli il filo liquido della clessidra al fondo. Qui di notte son solo nel mio studio; tacciono i libri; la mia lampada ad olio bagna in luce di pace questi fogli, in luce di sacrario; tacciono i libri; di poeti, sapienti e pensatori dormon gli spiriti; ed come se intorno mi girasse insidiosa la morte. Mi volgo a tratti per veder se spia, indago il buio, cerco di discoprire in mezzo all'ombre l'ombra sua vaga, penso all'angina; penso all'et virile; da due anni ho passato i quaranta. Come una tentazione dominante in questa solitudine il silenzio in agguato mi tende; il silenzio e le ombre. E mi dico: Tra breve, forse, quando verranno ad annunziarmi che mi aspetta la cena, un corpo troveranno pallido e freddo - la cosa che gi fui, questi che attende -, come quei libri silenzioso e rigido, il sangue ormai fermato, rappreso nelle vene, il petto silenzioso sotto la dolce luce d'olio lene, lampada funeraria. Trepido a terminare queste righe che non sembrino strano testamento, s invece un misterioso presentire l'al di l tenebroso, che detta l'ansia di vita eterna. Le ho terminate, e vivo. OCCHI SENZA LUCE

Begli occhi senza immagini, topazi di morta luce, cristalline lune, gemelle tristi, andate per gli spazi tenebrosi, cullate come cune di visioni invisibili e d'auguri d'un mondo ch' per perdersi. E di tenebra s'aprono innanzi a voi sentieri oscuri che della luce rompono la nebbia. Begli occhi senza sguardi, si rimira in quel fulgore l'angelo di luce, un alito incorporeo triste spira; vista senz'occhi figge nel superno castel di Dio, e sulla lira induce dolce motivo dell'Amore eterno. COMINCIARE A MORIRE Vedi all'occaso, in mare argenteo e puro, vaghi isolotti galleggiar di cenere celeste, in mezzo ai quali agonizzante il drago che rapisce i nostri giorni. Santa visione che riscatta l'anima dal mondo che al suo affanno c'incatena, e speranza, gemella della fede, in te ridesta. E dentro il mormorante ruscello che del cielo il mar rispecchia, zampillando tra timo e maggiorana, l'anima lasci scorrer lungo l'acque, mentre il secolo marcia disfrenato, e godi, liberato dal travaglio, asilo in cui morire a goccia a goccia. DOLCE SILENZIOSO PENSIERO Sweet silent thought. Shakespeare, Sonetto xxx L, nel fondo, le risa dei mei figli; ed io seduto, lo scaldino ai piedi; Erodoto mi porge messe opima dell'eterno sapere, e tra gli enigmi della Pizia venale, lunghe favole, ricamo dell'eterna meraviglia del nostro fato. Innanzi a me, seduta, ella cuce, e tenendo un tratto gli occhi fissi nel paradiso dei suoi occhi digerisco i segreti della storia, e nella santa pace della casa, d'un respiro tranquillo al quieto ritmo, ara in me, come un mite bue la terra, questo dolce pensiero silenzioso.

IL CRISTO DI VELZQUEZ (Scelta) _I Anfora Anfora bianca del divino licore nei secoli dei secoli decantato, l'eterno Vasaio t'avea tornito col braccio che fece Adamo, e il torno tornisce ancora. Della stessa argilla, vasi novelli di dolore e amore, contro la terra vengonsi a spezzare! _II Colomba Come colomba dalle penne argentee che volata tre volte dall'arca non torn con il ramo dell'ulivo, ma sotto l'iride si perse delle nubi, segnale della promessa; cos Tu, bianca colomba dei cieli, vieni ad annunciarci che c' terra ferma dove al di l attecchisca il nostro spirito e fiorisca nell'eternit! _III Anima e corpo Innamorata del suo corpo la tua anima, e uni e identici in un nuziale amore, nel morire la lasci non come prigione col sospiro di chi libero resta, ma come una casa ove si brama lunga vita per sempre assuefatti alla felicit. Di radice insondabile fu l'estremo singulto, la rottura della carne sconfitta e dello spirito che carne si fece. Venne poi il silenzio. E come tutto tacque con intimo silenzio, tutto rimase in tenebra; luce musica, e misero chi crede vedere e non ode! L'anima tua sopra tenebre fredde giacente, dall'agonia riposando, rimira il suo corpo compagno, che ha lasciato ai bracci della croce, dai chiodi penzolante, e nel guardarlo s'attrista d'amore pi vivo della vita. Come senza lui potr attingere il Sole? La luce dove accendersi potr? Dove la mano dell'eterno Padre appiglio trover per afferrarsi? E nell'oscuro sgomento, non pi ricettacolo, di fondersi nelle tenebre e come vento libero perdersi, ei brama raccogliersi nella sua cavit - carne ed ossa -, rimpiange del suo corpo la bellezza, cercando essa, infinita, limitarsi; i limiti vuole del suo campo; vuole

dentro la sua cinta avere vita. _IV Vento Spir... Luca, XXIII, 46 Le brezze che oggi sopra le messi precipitano, sole infondendo nei nostri pani, le brezze che sciolgon le nevi delle cime e nel fogliame della selva cullano sogni di melanconia, e quelle che cantano canti di cuna sul mare rotondo alla terra che brucian con le loro onde, furono sospiri col tuo petto amoroso e dal grembo le tue parole vive irruppero volando come da un nido. Tu, la Parola, senza vento, muta. Entravano impetuose nei tuoi polmoni come nella loro casa, e raccogliendo del tuo sangue il vapore, lo rendevano ai fiori campestri in rugiada. L'ultima ondata del tuo petto rosa ruppesi in fredda quiete, e i tuoi polmoni rimasero senz'aria; il tuo respiro da quello del tuo Padre sorbito: rivo al mare! CIMITERO CASTIGLIANO Chiusa di morti tra muretti squallidi fatti anch'essi di fango, povero campo senza mietiture, solo una croce segna il tuo destino sulla terra deserta. Sotto i muretti cercano le pecore un riparo dal gelido rovaio, quando passano in gregge transumanti; contro di essi della vana storia, come flutti, s'infrangono i rumori. Come uno scoglio in giugno ti cinge il mar dorato delle spighe che ondeggiano alla brezza e a volo su di te canta l'allodola il canto della messe. Quando scende alla terra il cielo e piove, scende sull'erba santa del tuo asilo, dalla falce non tocca, cortiletto di morti! Essi il richiamo sentono nell'ossa dell'acqua della vita. I semi alati saltano i tuoi muri di sassi e fango, o pietosi li recano gli uccelli, e crescono celati rosolacci, mirice, camomille, eriche, cardi,

tra sparse croci, cibo soltanto per gli alati uccelli. Scavano solo la tua terra incolta, recinto sacro, d'un'anima che dolor nel mondo per seminare il grano; dopo, su questa semina lungo maggese! A te accanto, la strada dei viventi, non come te di muri circondata, per dove vanno e vengono, o ridendo o piangendo, rompendo con le risa o con il pianto il silenzio immortale del tuo asilo! Dopo che lento il sole ha preso terra, sale al cielo la steppa nell'ora del ricordo, al suono delle preci e del riposo, la rozza croce in pietra dei tuoi muri d'argilla resta, guardiano che non dorme mai, della campagna il sonno vigilando. Non croce sulla chiesa dei viventi, a cui intorno il paese addormentato; fido cane, la croce guarda il sonno di quei morti nel cielo accortilati. E su dal cielo della notte, Cristo, il Pastore Sovrano, con infiniti occhi scintillando, enumera le pecore del gregge! Povera corte di defunti, e muri fatti anch'essi di fango, solo una croce segna il tuo destino nell'erma solitudine dei campi! RINASCERE DORMENDO NEI CAMPI Gi cadeva la sera sopra la verde riva dove il fiume smarrisce il brio di giovinezza e stagna a riposarsi un poco; di fronte al cielo immergevo la vista nell'oceano in cui l'ansia mia folle si tortura con vano sforzo, e la verzura intorno rispondeva col suo silenzio al cielo taciturno che scendeva sui campi. Poi nel mare di sopra, immenso d'alta quiete azzurro mare, cominciarono a nascere le stelle, e con esse spuntarono nella mia fantasia astri consimili ai finali splendori di quel giorno. Lento moriva il giorno e con esso moriva il mio intelletto

alla follia del sogno; come dolce giusquiamo m'allettava il pensare senza vincolo, che liberi ci rende; sfrenato si sgranava il mio pensiero e al mio alterno respiro palpitava la terra a me d'intorno, al margine del fiume. I miei nervi mutaronsi in radici ed il plesso sentii della mia vita che, repleta di fame, succhiava pace dalla terra austera. Sopra la verde riva, dove placa il suo moto, il folle fiume s'era fatto notturno a poco a poco, e nero era l'azzurro e nero il verde. E l, nel buio fondersi del cielo con la terra, il tormento si sommosse della mia ansia d'esser uno e identico, e nell'abisso della quieta notte, radicato alla terra, dormii la vita, e in quel dormire con il lento corso mi bagnarono acque magiche di rinascita. TERESA (Scelta) _16 Le conchiglie di perla Le conchiglie di perla che bevevano per te le mie parole, della luce del sole dolci filtri, d'una luce scarlatta. E ascoltandomi, il sole tu ascoltavi; ti cantava la vita; ed il sangue, nell'alveo di conchiglie, speranze ti intonava. Ricordi dentro l'ombra ora ti parlano, Teresa, anima mia, come fiori nell'humus ritornati della terra silente. _77 Nel sognarti dormente Nel sognarti dormente molte volte come non mai t'ho vista, la brama dei miei occhi tanto accresci che mi scordo di te. Ch sognandoti in intimo abbandono non altro, se non donna, nel vederti caduta dal tuo trono, soccombere ti vedo. Dentro il lungo mio sguardo un lungo bacio,

ma un bacio ch' di morte, che ti strugga ed in grazia d'esso sento quel che acquistai perdendoti. _78 Dormire del ricordo nell'oblio Dormire del ricordo nell'oblio, dell'oblio nel ricordo, e come nel materno alvo mi perdo e l perduto snasco! Benedetto avvenire mio passato, domani eterno nel ieri; tu, ogni cosa che fu in eterno assolto, mia madre, e figlia, e sposa! _98 Una vista godei Una vista godei, dolce giusquiamo al mio fido dolor, ier notte in sogno; non angelo, ma un'angela, e filava nella celeste sfera, e il fuso al suon dell'ali risonava. La conocchia d'avorio, ed era il fiocco di gigli, ed era il fuso d'oro fino; stame di gigli destinato alle candide tele del nostro letto delle nozze eterne. Quando dopo la morte entrambi illesi ci uniremo - felicit perenne -, tela di bianchi fiori dar lini con rose di passione, e lenzuola nuziali a noi saranno della resurrezione. IL SOLE DEL MATTINO OR ORA APPARSO Il sole del mattino or ora apparso ti batte in fronte, pallida fanciulla, misteriosa visione, astro fugace, che ti sciogli alla luce. Sei sorella della visione quando la campana sonando l'ave dolente sigilla la fatica d'un giorno ancora, il vacuo che nel tedio mortale immerge l'anima. L'alba e il tramonto incrociano le mani, e le mani intrecciando ai polsi, il giorno e la notte, sovrani soggiogati, trasportano al sepolcro. Triste sorte, se al destarci dai nostri vani sogni d'ombra e luce continui l'aspra lotta. VERR DI NOTTE

Verr di notte quando tutto dorme, verr di notte, quando inferma l'anima s'avvolge nella vita, verr di notte col suo passo calmo, verr di notte e poser il suo dito sulla ferita. Verr di notte e il suo fugace cenno in luce volger il fatale pianto; verr di notte col suo rosario, scioglier le perle del nero sole, che a vederle acceca, tutto uno sfarzo! Verr di notte, notte nostra madre, quando il ricordo latri in lontananza, disperato presagio; verr di notte; smorzer il suo passo mortal latrato e lascer all'occaso un lungo foro... Verr una notte contenuta e vasta? Verr una notte fedele e materna di luna piena? Verr venendo con venire eterno; verr una notte del finale inverno notte serena... Verr, come gi andata, come and - il fatale latrato suona lungi -, puntuale verr; sar di notte ma sar l'aurora, nell'ora sua verr, che l'aria piange, piange ed assorta... Verr di notte, in una notte chiara, notte di luna guardia del dolore. notte ch' nuda, verr... venire ch' avvenir... passato che passa e resta e che s'arresta al fianco e mai pi muta. Verr di notte, quando il tempo veglia, quando la sera indugia nelle tenebre e aspetta il d. Verr di notte, in una notte pura, quando del sole il sangue si depura, del mezzod. Accade notte appena venga e arrivi, e arreso il nostro cuore a lei s'affidi, notte serena, deve venir di notte egli, essa o questo? Di notte chiude il suo nero sigillo, notte senza dolore. Notte verr, colei che d la vita, e in cui l'anima infine oblia la notte, sollievo recher; verr la notte che tutto ricopre, e specchia il cielo nel lucente limo che lo depura. Verr di notte, s, verr di notte, sar fermaglio il suo nero sigillo che chiude l'anima;

verr di notte senza alcun rumore, il latrato si spegner lontano, verr la calma... verr la notte... TRAMONTO DI LUNA Seduta alla finestra del tramonto; il gomito allo stipite imperlato, e la candida guancia nella mano bianca: il respiro mattutino stanco; povera sedia in cui sogn al ricamo - gi l'alba che spunta; tumefatti dal sopore notturno dormono i campi -, seduta ella rimira sopra il poggio il tramonto lunare e una memoria divina d'oltrecuna, dolce arcano, le riempie lo sguardo. Sopra il fiume - d'acque s calme che somiglia a un lago delle sue brame, dorme nell'oblio la brezza dell'amore. Nel tramonto nube la luna nel suo denso disco. Che sogna la fanciulla? Sogna invano; anzi dorme il suo sogno. Il suo respiro con l'alba si confonde; e dentro il concavo bianco mare del cielo l'infinito respira calmo. Ecco, la luna alfine s' sepolta. Rinasce il sole. Al nido riede l'uccello della notte. L'ultime lucciole si son spente. La fanciulla cerca riposo; chiude il passo al sole e si stende a dormire. Il letto nitido amoroso l'avvolge. Sta sognando la Luna sottoterra un sogno mistico. CANZONIERE. Diario poetico _89 La vibrazione della mia mano non solo porta la spada, la porta nell'uscir dalla mia fionda tremando d'ardore la pietra. Scorre nella calda parola anima di sangue di lingua e nello scritto temprato anima di sangue di mano destra. 7-IV-28 _94 Mare salato d'amarezza sotto il sole canta il tuo sale,

canta il tuo sale assolato sotto il sole, tranquillo mare. L'amarezza della terra si fa in te profondit, mare salato d'amarezza, lacrimatorio finale. Senza il tuo sale marcirebbe la nostra povera umanit, mare d'amarezza assolata, abisso di solitudine. 8-IV-28, domenica di Pasqua _102 Fugge a salti il canguro; si dilegua ondulante serpente in mezzo all'erba. Ritmo chiedi? Di salto nel deserto; di maligno guizzare nella selva. 10-IV-28 _142 Viene il frutto da Oriente, da Mezzogiorno il fiore, il seme da Occidente; la Notte per l'amore. 21-IV-28 _268 Mat., X-27 Cristo, quel che mi dici nel buio lo spargo alla luce; quel che nessuno mai vedr n ha visto, segreti della croce! Scampanii senza campana, parole senza bocca, puro suono; la preghiera del mattino nessuno la suona; nata da se stessa nuda la canzone. 9-VII-28 _278 Genesi, I, 2. Matteo, cap. XIII. II Cor., III, 6 Quel costruttore di case rustiche parl dalla barca, essi sul ghiareto della riva, lui galleggiando sull'acque. E la brezza del lago raccoglieva

dalla sua bocca parabole; occhi che vedono, orecchi che ascoltano gioiscono di beatitudine. Nell'aria cristallina germogliavano i semi alati; li rivestiva il Sole dei suoi raggi, la brezza li cullava. Finch all'ultimo caddero in un libro, ahi tragedia dell'anima! essi caduti sul ghiareto secco e lui galleggiando sull'acque. 12-VII-28 _290 Mat., XVIII, 10 Vidi il tallone alla visione mentre se ne andava; tornito, roseo, appeso ai malleoli rotondi, ruota viva che, con ali invisibili, sul nido si librava; configurai dell'angelo della mia infanzia portentosa il volto - ombra di sogno quel che ci divide fiso alla stella dell'oriente, rosa del margine dei cieli e nel confuso pozzo nel velo del fugace sogno lucra d'oro rabbrividendo gaudio della vista infinita del Signore. Vidi il tallone alla visione; il mondo moriva della notte illuminato dalle stelle tra il sogno, e un altro giorno mi fu dischiuso, un giorno abbandonato... 17-VII-28 _415 Nella torre di Babele le lingue si confusero; io innalzer un'altra torre alla lingua del mio popolo. 21-IX-28 _432 Sento il sonno dei secoli e non posso dormire, quanto mi pesa la storia! pi mi pesa l'avvenire! 4-X-28 _492 Il segreto dell'anima rediviva

vivere i sogni sognando la vita. 13-XI-28 _547 Sulla terra, chiuse le palpebre, guardando il sole; cielo di brace; sotto, la Spagna, dietro i monti; nel silenzio riposavano le 4 labbra dei miei occhi; bagno di sangue lo sguardo; mi dormiva il cuore; immote le mani aspettavano; tranquilla intorno la campagna verde; la parola in agguato. Solenni, pausati, sereni passavano sempre, passavano i vecchi ricordi di gloria, passavano e nulla restava. Chiusi gli occhi, le bocche, senza voce n sguardo, fantasmi, passavano a passo di storia, spettri dei campi dell'anima. 11-XII-28 _554 Alla riva del sale, anima di fuoco cristallizzato levantino diamante erotico aristotelico concettista del mare latino Auzias March. 13-XII-28 _616 Traduttori, traditori! padri dell'esperanto, muratori di Babele! la sua cima fu polvere nel cielo, sulle nubi Egli cedette alla mole dell'impossibile brama, e alla base sotto terra, la lingua singolare, intraducibile, eterna, universale. 7-I-29 _999 Nirvana Con l'orbite degli occhi ciechi vede

tutta la verit di costa in costa; spruzzi d'azzurro filtrano nel verde a illudere la sua malinconia. Ma non sa se la vede o non la vede; il dolore le morto; non sogna, volo che ha perduto l'ala, e gi fermo, senz'ala, nel Signore. 4-IV-29

_1178 Il ponente un lago d'oro, ombra del monte nel fiume; il cielo diventa sonoro; stai pregando, Dio mio. 11-VII-29 _1196 Respirazione silenziosa come di lago dormente sulla montagna; un gemito d'aquila posa sull'acqua. 27-VII-29 _1562 Ahi, bisonte d'Altamira, t'ingoi il leon di Spagna; ma per fame, non per rabbia, e il leone, ecco, delira, perch nel sangue ti serra, trogloditico bisonte, preda selvaggia sul monte, sogno magico sotterra! E te sogna il leone, le tue corna e il tuo crine; il tuo incanto senza fine sogna come punizione. Ahi, bisonte d'Altamira! Le interiora gli hai bruciato, e delira sciagurato e con lui Spagna delira. Mistagogico bisonte del cielo della caverna, protoiberica taverna, tenebre per orizzonte, d'intimo fuoco a qual face ti graff sicura mano di sognatore sovrano che ancor ci turba la pace? Povero leone, ahi, piangi che il sole il sogno ti tolga ed il sangue ti gorgoglia

mentre memorie ti mangi. _1563 Su una volta di caverna - le tenebre un orizzonte -, sogn per cielo un bisonte il nostro avo, e ci conferma che cielo che non cibo non cielo per la brama d'un cuore che morte ama quale conforto, ed un nido oltre il sol scende a scoprire la fede nell'ima terra che la carne infine serra e con la carne il sentire. _1564 Cavernoso bisonteo, tenebroso rito magico, introito del culto tragico, che culmina nel toreo. Ahi, caverna d'Altamira, senza sole, sacro circo dell'istinto del divino che a un cielo di carne aspira! Spagna di prima d'Adamo e d'Eva e del paradiso quando Dio volle agli umani dar fame per solo pane. 22-X-30 _1615 La stessa tristezza da se stessa s'inventa molti motivi di dolore. Quevedo, Sentenza 44 Quevedo, che dura battaglia ingaggiasti nella tua triste Spagna con l'anima della sua anima corrosa dall'invidia. Che sudore d'amarezza nel riso della tua grinta; come la culla si svuota nel cozzare con la tomba! La stessa tristezza s'inventa motivi di dolore, dicevi; il tuo intelletto cap oltre ogni misura. Pianto celava il tuo riso, riso celava il tuo pianto; rompesti l'ordine del coro, mostrandocelo in camicia.

Ed ancora peggio che nudo; ch, se sulla carne lividure, su stracci infernali lascia Caino sporca colla. 14-I-33 MANUEL MACHADO

CASTIGLIA Si frange il sole cieco nelle dure forcine degli usberghi, chiazza di luce le panziere e i giachi e fiammeggia alle punte delle lance. Cieco il sole, la sete, la fatica. Per la tremenda steppa castigliana, in esilio, con dodici dei suoi il Cid cavalca - ferro, sudore e polvere -. Di pietra e limo la locanda chiusa... Niuno risponde. Al pomo della spada e al calcio delle picche, lo sportello cede... Divampa il sole, l'aria brucia! Ai terribili colpi, d'eco roca, una voce pura - argento e cristallo - risponde... C' una bimba pallidissima e fragile sul limitare. tutta occhi azzurri; e negli occhi delle lacrime. Scialbo oro recinge il suo visino curioso e sgomento. - Buon Cid! andate... Il re ci ammazzer, roviner la casa e sparger di sale il campo stento che mio padre lavora... Andate, e il Ciel vi colmi di fortuna... Dal nostro danno, o Cid, nulla trarreste. Tace la bimba e piange senza gemiti... Un singhiozzo infantile per lo stuolo dei feroci guerrieri, e imperiosa una voce grida: In marcia! Cieco il sole, la sete, la fatica. Per la tremenda steppa castigliana, in esilio, con dodici dei suoi il Cid cavalca - ferro, sudore e polvere -. GIGLIO Quasi soltanto anima, erra Gerineldos per quei giardini del re, lungi, presso i recinti

di mirti... Baci della regina esprimono i cerchi violetti dei suoi occhi vizzi, due morti idilli. Quasi soltanto anima, si perde nel silenzio, nel labirinto di mirti... Baci! Solo, solo, solo; lungi, lungi, lungi... Come una fumea, come un pensiero... Come quella persona strana, che scorgiamo passare per le strade oscure d'un sogno. TERRECOTTE Quanto carina la principessa! Che testolina! Quanto carina! La principessa piccolina dei quadri di Watteau! Io la guardo, io l'ammiro, io l'adoro! Se sospira, io sospiro; s'ella piange, anch'io piango; s'ella ride, rido anch'io. Quando lieto la contemplo come adesso, mi sorride... E altre volte nell'aria il suo sguardo si scioglie, pensoso... Come viva sembra la principessa di Watteau! La vista ferisce quando passa, elegante, non pu non amarla chi la vede. ... Indovino nel suo volto ch'ella gode, gode ed ama, vive ed ama, soffre e muore... Come me! PRIMO AMORE Primo amore... Vago pianto, desio di solitudine, tesoro inestimabile, sola ed unica bont, sole d'oro in realt!

La notte tacita, e Lei! (che non lei ancora). Carmen, Amparo, Maria... Sogno?... Donna?... Stella?... Oh quella malinconia! Oh quel bacio sul guanciale e quel guardare pi in l, con l'anima nello sguardo! (Estasi gi divina). E l'amata, dove sta? Laura, Violante, Gimena, Beatrice, signore di amori; Clara, Giulia, Cinta, fiori; e la bionda Maddalena; e la bruna Dolores. Nomi di menta, gustosi al labbro e al cuore; risvegli misteriosi, tra lussuria e canzone, e vaghi d'allusione. Fiori folli, fugaci, delle prime passioni, delle prime occhiaie e delle prime canzoni. Oh le prime illusioni! Pura, Amalia, Aurora... Coro della pi divina et. Margherita, Soledad. Primo amore... Vago pianto. Sole d'oro in realt! ALLA MIA OMBRA Ombra, triste compagna inutile, docile e muta, che dovunque m'insegui pertinace come il dubbio. Amica non percepita, compagna dimenticata, sicurezza della vita che fa pensare alla morte. Ritratto, caricatura... Di me qualcosa e nulla. Singolarit pura e burla feroce. Ossessione ed evasione del poeta solitario. Insignificante e vario tema di meditazione. Prima rozza sembianza

del corpo, e forse dell'anima... Perch questa terribile calma muta che mi dispera? Vorrei, a volte, cancellarti, pompieristica pittura.... ...Ma in qualche parte ho udito la tua voce sorda e opaca. E conosco la tua bont sorniona e tempestiva, e le tue burle alla luna, e la tua gran fedelt. Dimmi, dunque, nell'estrema ora, nel trapasso mortale, quando non mi coglier la luce, tu, dove andrai, compagna? Compagna dimenticata, amica non percepita..., sicurezza della vita che fa pensare alla morte. ALCOOL Limpido nome, mortale come il peccato, come ferita del cuore. Acqua di perdizione. Nome di demonio. Delizia insana. Maligno piacere... Alcool! Menzogna, chimica, morte. Forza falsa, brutta felicit... Tu sia maledetto! TIZIANO - CARLO V Chi a Milano niell d'argento e d'oro la superba armatura; chi ha forgiato questa barda a Toledo; chi ha domato nero puledro del deserto moro... Chi di porpora ha tinto questa piuma - che in aria a Mhlberg sventola sovrana -, questa terra ch'ei preme e la lontana spiaggia d'oro che fu di Moctezuma... Tutto dell'uomo grigio, barba ferrea, labbro carnoso, scaltro ed occhi duri di lupo audace, che, la lancia in mano, percorre il suo dominio ch' la terra con passi risonanti e ben sicuri. Lo dipinse in quest'attimo il Tiziano. VERONESE - TEMI BIBLICI

Fu nel mattino della vita... Altari sopra i campi che il sole bagna. Rime al Cantico dei Cantici sublime. Cedro ed oro. Imperiali santuari. Folgora una muliebre figura, cuore del paesaggio, sorridente... Rebecca, sotto il sole, alla sorgente... Sulamita, notturna, alla radura... Rapido il vento arruffa la frondosa foresta e scuote vano e serpentino il fumo della mirra silenziosa... Sopra la pietra, bianca d'ermellino, a Geova grato il fresco sangue rosa... Quand'era Iddio fanciullo e belluino. GRECO - IL CAVALIERE DALLA MANO AL PETTO Questa ignota persona egli un cristiano dal serio portamento e veste scura, dove non brilla che l'impugnatura del mirabile stocco toledano. Pallido giglio, il volto suo severo nasce dalla gorgiera arricciolata, dalla luce interiore illuminata di macilento e religioso cero. Pur mosso solo dal timor di Dio, a che non punga vitanda passione del perituro mondano piacere, in un nobile e grave gesto pio, la mano aperta sopra il petto pone, come una disciplina, il cavaliere. LA MATTA DEL GIARDINO Ti piace vedere i fiori? - le chiesero. - S! Questo non so, se ad essi piace vedere me. A un pietoso sorriso le bocche si distesero. Matta pensarono... Ma la matta prosegu: - Questa magnolia appena toccai con le mie dita... Guardate le nere chiazze che vi ho impresso... Queste violette, vizze, son quasi morte, come s' appressato il mio viso per aspirarne l'aroma. E quel fiore - il suo nome ignoro - ecco s' chiuso,

inasprito e crucciato, appena avvicinatami ................................. In cerca di Dio lo amiamo oltre la cupola azzurra; ma questo non sappiamo, se anch'Egli ci ama. IL POETA DI ADELFOS DICE ALLA FINE... Ormai il povero cuore ha scelto il suo cammino. Pi non oscilla ai venti, non cede pi alle onde, a caso non sospira n s'affida al destino... E ora sa volere e vuole quel che pu. Rinunzio all'impossibile e all'abulia divina. TRAMONTO Voce del mare: un languido e sonoro sospiro era in quel vespro... Non volendo morire il giorno, con artigli d'oro, alle scogliere s'afferrava, ardendo. Ma il mare gli protese il suo orizzonte, e il sole, infine, come in ricco letto, ne' flutti immerse la dorata fronte, stemperato in un vortice violetto. Per il misero corpo dolorante, per l'anima mia triste, lacerata, per il rigido cuore sanguinante, per l'amara mia vita affaticata..., il mare amato, il mare dolce amante, il mare, il mare, e sia ogni cosa obliata!... A JOS NOGALES MORTO Nell'aria sibila la palla che ci dovr ammazzare, e intanto gli occhi ci accieca un pianto di commiato. Nella brutta ora della tua partenza, compagno, ci domandiamo l'un l'altro quando a noi toccher... Psicologia del torero. Molto crudele, molto spagnola, ma diverte la marmaglia e ci aspetta la battaglia mentre la tua fossa sola. Valente soldato dell'Arte, addio, presto ci rivedremo!... Anche noi tra breve ce ne andremo togliendo l'incomodo.

STILE Cos rest, nell'anima, d'una lontana sera il ricordo. Parole non ha la stampa. vano chiederle nome, luogo, data, paese... Sa dire solo: Il ricordo d'una lontana sera. Stile... dell'ineffabile la geometria sottile. CANTO ALL'ANDALUSA Cadice, chiarit salina. Occulto pianto d'acque, Granata. Romana e mora, Cordova silente. Malaga, cantatrice. Almera, dorata. Jan inargentato. Huelva, il lido delle tre caravelle. Ecco Siviglia. ESTATE - GIOVENT Febbre dell'anno, pienezza della vita, verde dell'anima e splendore della pianura... Cieca follia accesa. Estate, giovent, tripudio di colori. Vivo carminio del labbro assetato... Violento rosso dei garofani inebrianti .... E mentre qui Amore pronunzia il suo s (bemolle), la verde lacca dell'alloro distilla - come miele la luce del sole. PAESAGGIO ESTIVO Lucertola sul muro... Fonte secca. Cardo bruciato, cenere, vetro affumato, rosolaccio sullo stelo lanoso... Scorre una stella... Il grillo canta occulto. E l'albereta mormora

una frase, una sola. Poi ritorna a restarsi in silenzio. Lucciola o brina? Arrota la cicala il silenzio... Tra i fusti del giardino, percepiamo - verde anch'essa - la vipera. PIETRA PREZIOSA Desista - quanto vizzi i fiori, quanto ammala il ruscello, nell'ora del colmo sole estivo la canzone iniziata all'alba, con la gala primaverile... E sia questo l'istante mio. Istante chiaro e puro, come fino diamante che rifulga, di reste dure, ed ammaliatori gatteggianti e faccette, ove in lume splendente brilli il paese morto e gelati gli amori. Muoia la dolce flora, dell'anima errabonda nata nell'imo. Allora giardino l'anima era, dell'astro mattutino disteso alla carezza. gi l'ora in cui gela, nell'anima profonda - nel terribile abisso della dura miniera -, il cristallo, in sua cruda geometrica bellezza. ANTONIO MACHADO

PER IL SEPPELLIMENTO DI UN AMICO Sole di fuoco ardeva, lo interrarono un vespro tetro di luglio. A un passo dall'aperta sepoltura, c'eran rose dai petali appassiti, miste a gerani d'un acerbo aroma e rosso fiore. Il cielo puro e azzurro. Spirava un vento arido e forte. Sospesa a grosse corde, pesantemente, fecero la bara discendere nel fondo della fossa i due becchini... E giacendo batt con duro colpo, solenne, nel silenzio. Il colpo d'una bara a terra cosa perfettamente seria. Sopra la nera cassa le pesanti si frangevano zolle polverose. Rapiva il vento dalla fossa profonda il cenerino fiato. - E tu. dormi e riposa, ormai senz'ombra, pace alle ossa tue... Definitivamente

dormi un sonno tranquillo, il sonno vero. VERSO UN TRAMONTO RAGGIANTE Verso un tramonto raggiante del sole la luce estiva, ed era tra nubi in fuoco una fanfara gigante dietro le verdi pioppaie dei fiume lungo la riva. Dentro un olmo la cesoia suonava, senza ritegno, della cicala canora: monoritmo di viva gioia tra metallo e legno, che la canzone estiva. In un giardino nell'ombra giravano i bigoncioli della noria sonnacchiosa. S'udiva il suono dell'acqua sotto le fronde in penombra. Era un vespro di luglio, di polvere luminosa. Camminavo con me solo, assorto nel solitario crepuscolo campagnolo. E pensavo: Bella sera, nota della lira immensa, tutta elettezza e armonia; bella sera, che la povera sciogli malinconia di questa mia fatua nicchia, nicchia oscura che pensa! Sotto l'orbite del ponte passava l'acqua increspata. Lungi la citt dormiva, da una magica campana d'oro diafano velata. Sotto le arcate di pietra l'acqua limpida fluiva. Crepuscolari rossori coronavano le alture, macchiate di grigi olivi e di querci nerognole. Camminavo con languore, sentendo l'antica angoscia che fa pesante il cuore. Sotto le arcate del ponte in ombra l'acqua scorrente s melanconicamente; passando quasi ammoniva: Appena, viandante, scorgiamo sciolta la povera barca dall'albero della riva, si canta: nulla noi siamo. L'immenso mare ci attende dove il povero fiume arriva. Sotto l'orbite del ponte passava l'oscura scia. (Io pensavo: anima mia!) E mi trattenni un momento, nella sera, a meditare... Che questa goccia nel vento che grida al mare: son io forse il mare? Vibrava l'aria assordata dalle elitre cantanti che il campo fanno sonoro, come fosse seminato di campanelle d'oro. Nell'azzurro folgorava un astro adamantino. Un vento caldo soffiava inquietando il cammino. Nella sera polverosa verso la citt tornavo. Suonavano i bigoncioli della noria sonnacchiosa. Sotto le fronde in penombra l'acqua cadere ascoltavo.

LA STRADA IN OMBRA La strada in ombra. Gli alti caseggiati nascondono il sole che muore; echi vi sono di luce ai veroni Non vedi, nell'incanto del mirador fiorito, disegnarsi l'ovale roseo d'un volto noto? Dietro i vetri l'immagine d'un riflesso cangiante traluce o spare come dagherrtipo antico. Nella strada soltanto il suono del tuo passo; lentamente si smorzano gli echi del tramonto. Oh angoscia! Mi dolora e pesa il cuore... lei? Prosegui... Non pu essere... Nell'azzurro, la stella. ORIZZONTE In un lucido vespro, esteso come il tedio, quando l'estate torrida brandisce la sua lancia, d'un greve sogno mio lo spettro riflettevano mille ombre drizzate in fila sulla piana. Era purpureo specchio la gloria del tramonto, era un vetro di fiamme, che scagliava al vetusto infinito il pesante sogno sulla pianura... Ed io sentii lo sprone sonoro del mio passo echeggiare lontano nel tramonto sanguigno, e pi oltre l'allegro canto d'un'alba pura. SOPRA LA NUDA TERRA DELLA STRADA Sopra la nuda terra della strada sboccia l'ora fiorita, biancospino solingo, d'umile valle nella svolta ombrosa. Il salmo vero torna oggi con voce tenue al cuore, e sulle labbra la parola interrotta e trepidante. Dormono i vecchi mari miei; si smorza il suono delle schiume sopra la spiaggia sterile. Lontano va la bufera nella nube torva. Torna la pace in cielo; la brezza tutelare ancora aromi sparge sui campi, e nella benedetta solitudine appare la tua ombra. VERGINE ALTERA, MIA COMPAGNA, T'ARDE Vergine altera, mia compagna, t'arde un mistero negli occhi. Non so se odio o amore questa luce

eterna della tua nera faretra. Con me verrai finch proietti un'ombra il corpo e resti ai miei sandali arena. - La sete o l'acqua sei sul mio cammino? Dimmi, vergine altera, mia compagna. LO SCAFO CONSUNTO E VERDICCIO Lo scafo consunto e verdiccio della vecchia feluca riposa sul lido... sembra la vela mozzata che sogni ancora nel sole e nel mare. Il mare ribolle e canta... la mare un sogno sonoro sotto il sole d'aprile. Il mare ribolle e ride con onde turchine e spume di latte e d'argento, il mare ribolle e ride sotto il cielo turchino. Il mare lattescente, il mare rutilante, che risa azzurre ride sulle sue cetre d'argento... Ribolle e ride il mare!... L'aria pare che dorma incantata nella fulgida nebbia del sole bianchiccio. Palpita il gabbiano nell'aria assopita, e al tardo sonnolento volare, si spicca e si perde nella foschia del sole. LE MOSCHE Voi, esseri familiari, ineluttabili, golose, voi m'evocate, volgari mosche, le universe cose. Oh, vecchie mosche voraci come pecchie nell'aprile, vecchie mosche pertinaci sopra il mio cranio infantile! Mosche dei primi sgomenti nel salone familiare, le estive sere lucenti, quando cominciai a sognare! E nell'aborrita scuola, veloci mosche svagate, incalzate dal desio per ci che vola, - tutto volare - sonore, sui vetri battendo l'ali nei lunghi giorni autunnali... Mosche di tutte le ore, d'infanzia e d'adolescenza di mia giovent dorata; di questa seconda innocenza,

in nulla ormai confidata, di sempre... Mosche volgari, a tal punto familiari da non aver degno cantore, so che avete riposato sul giocattolo fatato, sul grande libro serrato, sulla lettera d'amore, sugli occhi assorti dei morti. Ineluttabili, golose, n operose come pecchie n, come farfalle, lussuose; piccoline, rivoltose, voi m'evocate, o vecchie amiche, tutte le cose. RINASCITA Anima infante! Gallerie dell'anima!... La luce sua ridente; e la piccola storia, e la letizia della nuova vita... Ah, ritornare a nascere, ed avviarsi, gi ritrovata la smarrita via! E nella nostra mano risentire quel palpitare della dolce mano di nostra madre... E camminare in sogno condotti dalla mano che ci guida. *** Tutto di noi nell'anima per misteriosa mano si governa. Tacite, incomprensibili, nulla sappiamo delle nostre anime. Le parole dei savi pi profonde c'insegnano l'uguale del sibilo del vento quando spira, o del suono dell'acqua quando scroscia. CONOSCERTI POTRAI RAMMEMORANDO Conoscerti potrai rammemorando del trascorso sognar le oscure tele, in questo triste giorno in cui cammini con gli occhi aperti. Di tutta la memoria, solo vale il dono eccelso di evocare i sogni. UMIDO, SOTTO IL LAURO, STA IL SEDILE

Umido, sotto il lauro, sta il sedile di verdognola pietra; lav la pioggia, sopra il muro bianco, dell'edera le impolverate foglie. Al dolce spiro del vento d'autunno oscillano gli steli, e lo stradale con il vento ragiona... nell'albereta, il vento della sera! Mentre il sole rifulge nel tramonto che ristora i racemi della vite, e il buon borghese, al suo balcone, accende la stoica pipa in cui il tabacco fuma, vo ricordando versi giovanili... Che ne fu di quel cuore mio sonoro? Forse vero che andate, ombre gentili, sparendo in fuga tra le fronde d'oro? TERRE DI SPAGNA L'uomo di questi campi che incendia le pinete e ne attende le spoglie come preda di guerra, radeva un tempo al suolo nereggianti quercete, svelleva le robuste roveri della sierra. Oggi vede i suoi poveri figli lasciare i lari; la tempesta portarsi il limo della terra pei fiumi della patria verso i profondi mari; su lande maledette s'addanna, soffre ed erra. figlio d'una stirpe di rozze genti andanti, pastori che conducono le frotte di merini alla piana estremegna, le greggi transumanti dorate e impolverate al sole dei cammini. Piccolo, duro ed agile, occhi di uomo accorto infossati, irrequieti, malfidati; e raccolte qual arco di balestra, in quel sembiante smorto dai pomelli sporgenti, le ciglia troppo folte. Pullula l'uomo insano nei campi e nel villaggio, incline a vizi immondi e crimini bestiali, che sotto il grigio saio un animo malvagio cela, schiavo dei sette peccati capitali. Sempre torbidi gli occhi d'invidia e di tristezza, stringe il bottino e piange quel che il vicino aduna; n arresta la sciagura n gode la ricchezza; angosciato e ferito da disdetta e sfortuna. Di questi campi il nume sanguinario e fiero; declinando la sera, sopra il colle distante vedrete ingigantire la forma d'un arciero, la forma d'un immenso centauro saettante. Vedrete piane belliche ed eremi di asceta - non fu tra questi campi il biblico giardino -; sono terre per l'aquila, un pezzo di pianeta dove transita l'ombra errante di Caino. TERRE DI SORIA

I la terra di Soria arida e fredda. Nelle colline e nelle sierre calve, nei verdi prati e poggi cenerini, passa la primavera e lascia in mezzo all'erbe profumate le sue minute bianche margherite. La terra non rinasce, i campi sognano. Con l'inizio d'aprile ancor nevosa la schiena del Moncayo; nella sciarpa ripara collo e bocca il viandante, e i pastori passano avvolti nelle lunghe cappe. II Le terre da semente, come ritagli di stamigne grigie, l'orticello, l'apiario, le radure di verde intenso ove il merino pascola, tra plumbei luoghi dirupati seminano un lieto sogno d'infantile Arcadia. Sembra fumare nei lontani pioppi della strada, dai rami irrigiditi, glauco vapore - le novelle foglie -; tra le pieghe dei greti e delle forre biancheggiano i pruneti rifioriti e spuntano violette profumate. III La campagna ondulata, e gi le strade occultano i viandanti che cavalcano grigi asinelli; nel fondo della sera tinta in rosso si stagliano i profili campagnoli che macchiano il lindoro del tramonto. Ma se tu sali un colle e la campagna guardi dai picchi dove regna l'aquila, sono riflessi di carminio e acciaio, Plumbee pianure, poggi inargentati, nella cerchia di monti di violetta con le cime di neve tinta in rosa. IV Le figure dei campi sopra il cielo! Aran due lenti buoi sopra un poggiolo, quando autunno inizia, e tra le nere teste chine a terra sotto il pesante giogo pende un cesto di giunchi e di ginestra: la culla di un bimbo. E dietro il giogo muove

un uomo che si piega verso terra e una donna che getta la semente dentro gli aperti solchi. Sotto una nube di carminio ardente nell'oro fluido e verde del ponente s'ingigantiscon l'ombre. V Neve. Nella locanda sopra i campi vedi il camino dove il ceppo fuma e la pentola bolle gorgogliando. Spazza la tramontana i campi diacci, in bianchi mulinelli tormentando la neve silenziosa. Sulla campagna e sulle vie la neve va discendendo come su una fossa. Un vecchio trema e tosse accoccolato accanto al fuoco; il suo ciuffo di lana fila la vecchia e una bambina cuce un orlo verde nel suo saio rosso. Son genitori i vecchi a un mulattiere che sulla bianca terra camminava; una notte perd sentiero e meta, e lo inghiott la neve della sierra. Intorno al focolare un posto vuoto; ha in fronte il vecchio, dal cipiglio fosco, come uno sfregio oscuro - quale il colpo d'un'ascia sopra un ceppo -. La vecchia scruta i campi, e pare ascolti passi sul bianco. Ma nessuno passa. Resta deserta la vicina strada, deserti i campi intorno al caseggiato. La bimba sogna che nei verdi prati con altre fanciullette correr nei giorni azzurri e d'oro, quando crescon le bianche margherite. VI Soria fredda, Soria pura, cabeza de Extremadura, col suo castello guerriero, rovinato, sopra il Duero; con le sue mura ammuffite, con le sue case annerite! Morta citt di signori, di soldati o cacciatori; di blasonati portali, di cento illustri casati, e di veltri affamati, di veltri magri e annusanti che pullulano in vicoli sporchi e torvi e a mezzanotte ululano quando gracchiano i corvi!

Soria fredda! La campana di Giustizia batte l'una, Soria, citt castigliana, cos bella, con la luna! VII Colline inargentate, grigi poggioli, rupi illividite, per dove traccia il Duero la curva di balestra intorno a Soria; scuri querceti, aspre plaghe petrose, calve sierre, candide strade e pioppi lungo il fiume, vespri di Soria mistica e guerriera, nel profondo del cuore oggi per voi sento tristezza, e la tristezza amore! Campi di Soria, dove sembra che sognino le rocce, con me venite! Colli inargentati, grigi poggioli, rupi illividite!... VIII Son tornato a vedere i pioppi d'oro, i pioppi della strada sulla riva del Duero, tra San Polo e San Saturio, dietro le vecchie mura di Soria - barbacane verso Aragona in terra castigliana. Questi pioppi del fiume, che accompagnano col fruscio delle loro foglie secche l'acqua sonante quando soffia il vento, hanno sulle cortecce iniziali intagliate che son nomi d'innamorati, cifre che son date. O pioppi dell'amore, e ieri aveste i vostri rami pieni d'usignoli; pioppi, domani voi sarete lire del vento profumato a primavera; voi, pioppi dell'amore presso l'acqua che scorre e passa e sogna, pioppi del Duero lungo le sue sponde, con me venite, il cuore mio vi porta! IX Campi di Soria, oh! s, con me venite, vespri tranquilli, monti color viola, alberati del fiume, sogno verde del suolo grigio e della terra oscura, acre malinconia della citt decrepita, forse mi siete giunti dentro l'anima o in essa gi da tempo albergavate?

Genti dell'altipiano numantino, che da pure cristiane Iddio serbate, il sole della Spagna vi ricolmi di letizia, di luce e di ricchezza. UN TRAMONTO D'AUTUNNO un tramonto d'autunno. Nello stradone dorato non pi restano usignuoli; ammutol la cicala. Le ultime rondinelle, che non vollero migrare, moriranno, e le cicogne dai lor nidi di ginestre sopra torri e campanili, son fuggite. Sulla casa di Alvargonzlez, gli olmi delle foglie spazzate dal vento si vanno spogliando. Ancora le tre rotonde acacie, nel cortile della chiesa, conservano verdi i rami, e le castagne d'India di quando in quando si staccano coperte dei loro ricci; di nuovo ha rose scarlatte il rosaio. e nei prati brilla il lieto pascolo autunnale. Su declivi ed alture, su ciglioni e tratturi, il verde novello e l'erba, ancor secca dell'estate, s'alternano; le giogaie brulle, le calve colline si coronano di plumbee nuvole a schiere serrate; e sotto l'immensa pineta, in mezzo ai roveti appassiti e le giallognole felci, scorrono l'acque copiose a ingrossare il padre fiume per burroni e petraie. Abbonda sulla terra un grigio di piombo e un azzurro d'argento, con macchie di rossa ruggine, il tutto in luce viola avvolto. Oh, terre di Alvargonzlez, nel cuore di Spagna, terre povere, terre tristi, s tristi che hanno un'anima! Alture che il lupo scorre di selva in selva alla chiara luna ululando, lande piene di rupi franate,

dove roso da avvoltoi brilla un ossame bianco; poveri campi deserti senza strade n locande; oh, poveri campi maledetti, poveri campi della mia patria! IN QUESTI CAMPI DELLA TERRA MIA In questi campi della terra mia, nei campi della mia terra straniero - ebbi mia patria dove scorre il Duero in mezzo a grigie rupi, e fantasmi di antichi rovereti, lass in Castiglia mistica e guerriera, Castiglia la gentile, umile e fiera, Castiglia dell'orgoglio e del valore -, in questi della mia terra andalusa campi ove nacqui, oh s, vorrei cantare. Serbo ricordi dell'infanzia, immagini di luci e di palmizi, e in un fulgore d'oro, di campanili, lungi, con cicogne, di paesi con strade senza donne sotto un indaco cielo, piazze vuote dove crescono aranci luminosi coi loro frutti rotondi e vermigli; nell'ombra d'un giardino c' il limone dai rami polverosi, gialli limoni pallidi, cui l'acqua chiara della fonte specchio, aroma di garofani e di nardi e un forte odor di menta e di basilico; immagini d'olivi inargentati a un sole ardente che stordisce e accieca, ed azzurre e disperse cime alpestri coi rossi cieli d'una sera immensa; ma il filo manca che il ricordo annoda al cuore, l'ncora alla riva, o anima non son queste memorie. Hanno un segno nei loro variopinti vestimenti, di spoglie del ricordo, la bruta soma greve sul ricordo. Un giorno torneranno, con lume del profondo consacrati, i corpi verginali al vecchio lido. Lora del Ro, 4 aprile 1913 GALLERIE I Nell'azzurro lo stormo

di alcuni uccelli neri che strillano aleggiando e poi si posano sul pioppo irrigidito. ... Sul pioppo spoglio, serie cornacchie quiete e taciturne, gelide, nere note scritte sul pentagramma di febbraio. II Il monte azzurro, il fiume, le diritte verghe di rame degli snelli pioppi, il biancore del mandorlo sul colle, o neve in fiore e in albero farfalla! Con il profumo delle fave il vento corre sui campi lieti e solitari. III Una scintilla bianca serpeggia nella nuvola di piombo. Lo spavento negli occhi del bambino, e la fronte della madre aggrottata - la sala resta al buio!... O balcone serrato alla bufera! La grandine col vento di burrasca tambureggia sul limpido cristallo. IV Balcone e arcobaleno. L'eptacordo della lira del sole vibra in sogno. Su un tamburo infantile sette colpi - acqua e cristallo - . Acacie e cardellini. Cicogne sulle torri. Nella piazza lav la pioggia il mirto polveroso. Dentro il vasto rettangolo, chi pose di vergini quel gruppo sorridente e nello squarcio della nube, osanna!, la palma d'oro ed il sereno azzurro? V Tra monti di sinopia e grigie rupi divora il treno la sua via d'acciaio. La fila dei lucenti finestrini reca un doppio profilo di cammeo, dietro il vetro d'argento ripetuto... Chi di punta ha ferito il cuore al tempo?

VI Chi ha messo tra le rocce cenerognole, per il miele del sogno, quelle ginestre d'oro, quel rosmarino coi suoi fiori azzurri? La sierra tinta in viola e nel ponente il cielo zafferano chi l'ha dipinti? L'eremo, l'apiario, lo strapiombo sul fiume, il sempiterno scroscio dell'acqua tra le cupe rocce, e il biondo verde dei novelli campi e tutto con la terra che bianca e rosea appare sotto i mandorli! VII Nel silenzio continua a vibrare la lira pitagorica, l'iride nella luce, che il mio vano stereoscopio riempie. M'hanno accecato gli occhi, le ceneri del fuoco eracliteo. Il mondo a un istante inane, trasparente, afono, cieco. QUESTO SOGNAI Che il viandante compendio del cammino e nel giardino presso il mar sereno l'accompagna l'aroma montanino, nei lieti campi ardente arido fieno; che di lungo tragitto pellegrino al suo cuore metteva un duro freno per aspettare il verso adamantino dall'anima nel suo profondo seno. Questo sognai. E d'omicidio il reo tempo che a morte mena o scorre invano, ch'era un sogno, non pi, dell'adamita. Vidi un uomo, la brace della vita mostrare al mondo nella nuda mano, senza ceneri il fuoco eracliteo. A EUGENIO D'ORS Amore che conversa e che ragiona, sapiente e antico - dialogo e presenza -, ci port dalla illustre Barcellona; ed un altro, orizzonte lungi: assenza, che a nostro modo l'anima, gli offrimmo. Egli grad l'offerta, ben cosciente che da lungi con noi lo custodimmo e quanto esilio il nostro, lui presente.

Xenius, un vecchio nibbio a te lontano oggi nel vento l'ali vaste ha aperto e un rametto di spigo castigliano reca nel becco al tuo orto diserto - mirto ed allori - fin dall'altipiano, l dove il vento scuote il pioppo erto. vila, 1921 I SOGNI DIALOGATI I Come nell'altipiano la figura di te m'appare!... Il mio verbo risogna il prato verde e l'arida pianura, il rovo in fiore, rupe cenerognola. E al ricordo obbediente, querce scura sorge sul colle, il pioppo scende al rio; il pastore risale sull'altura; brilla un balcone cittadino: il mio, il nostro. Verso Aragona, indovina la sierra del Moncayo bianca e rosa... Guarda l'accesa nube porporina e quella stella nell'azzurro, sposa. Di Santana, oltre il Duero, la collina, violetta nella sera silenziosa. II Perch, mi dite, verso gli altipiani il mio cuore rifugge questa riva e in una terra marinara e attiva sospiro pei deserti castigliani? Non si sceglie l'amore. La mia stella un d mi trasse nelle grigie crete, dove l'ombre dell'aride quercete neve dal cielo gelida cancella. Da quel lembo rupestre ed elevato di Spagna, a te, Guadalquivir in fiore, dell'aspro rosmarino oggi un rametto porto; il mio cuore l dove son nato, sul Duero, non al mondo, ma all'amore... Il muro bianco ed il cipresso eretto! III Le braci d'un crepuscolo, signora, squarciata di tormenta nube tetra, d'erma collina su cinerea pietra la luce hanno dipinto d'un'aurora. Un'aurora rappresa in rupe diaccia, fondo terrore al pavido viandante, pi che leone in pieno giorno a caccia

o per gola montana orsa gigante. Bruciato da un amore ed irretito, in fosco sogno d'ansia e di paura, verso l'oblio cammino, verso il mare - e non come alla notte quel granito nel giro della terra fatta oscura - . Non chiamate, non posso ritornare. IV Solitudine, sola compagnia, musa - e magia - che, non richiesta, hai dato quella parola per la voce mia!, con chi parlo?, rispondi, io t'ho pregato. Lungi da rumorosa mascherata, la mia tristezza senza amici io reco, signora, in tua balia; sempre velata, velato il volto conversando meco. Oggi penso all'essenza mia segreta; non il mio grave enigma quel sembiante che nello specchio intimo s'allieta; altro il mistero: la tua voce amante. Scopri il volto; ch'io scorga la mia meta: in me fissi i tuoi occhi di diamante. ROSA DI FUOCO Di primavera siete orditi, o amanti; di vento e d'acqua e terra e sole orditi. La montagna nei vostri petti ansanti e dentro gli occhi i campi rifioriti, esibite una mutua primavera, di dolce latte impavidi e insaziati, ch'oggi v'offre la lbrica pantera, prima che, torva, sul cammino guati. Muovetevi, se l'asse della terra verso il solstizio dell'estate aberra verde il mandorlo e vizza la violetta, sete vicina, fonte non lontano verso la sera amabile e perfetta con la rosa di fuoco nella mano. VICINO ALL'ACQUA FREDDA Vicino all'acqua fredda, nella luce del sentiero, un d verr che un'ombra getti quell'alberello cui nessuno bada. Un bianco fusto e quattro verdi foglie che in aprile gli appende primavera, e spazza il vento di novembre, rosse. Il frutto, solo un bimbo morderebbe. Il fiore, chi lo vide? Quando spunta?

Cresce quell'alberello soltanto per l'uccello d'un convegno, anima - canto e piume - d'un istante, un uccellino azzurro e petulante che lo visita all'ora della sera. CHE FUMA APPENA L'AMOROSA BRACE Che fuma appena l'amorosa brace sa il poeta che ingrossa la sua voce, si pavoneggia, facile giullare, col suo dolore o abbruna la sua viola; e che se amor lampeggia, solitaria la pura strofa suona, sorgiva alpestre, anonima e serena. Sotto l'azzurro oblio, non canta nulla l'acqua santa, n il nome tuo n il mio. Ombra non fa della sua torba scoria puro metallo; il verso del poeta reca l'ansia d'amore da cui nato, come reca il diamante smemorato - freddo diamante - il fuoco del pianeta converso in luce, in una gemma chiara... SONETTI _I La Primavera Pi forte della guerra - allarme e orrore quando greve volando come otarda sovrasta l'obbrobrioso trimotore e sopra il tetto fragile s'attarda, oggi il tuo lieto applauso i campi alletta, il pioppo in gemme il verde tuo rinserra. Andr fusa la neve della vetta al rosso gelo della grigia terra. Mentre rintrona il monte, il mare esala, d la sirena l'urlo micidiale e vibra nell'azzurro argentea l'ala, come acuto si filtra nel mio udito, indefessa fanciulla, dea immortale, l'acre suono del tuo liuto fiorito! _II Il poeta ricorda le terre di Soria Il suo trampolo gi nell'acquitrino e nell'azzurro il volo di balestra, o, sopra l'ampio nido di ginestra, su torre, torre e torre, il lungo uncino della cicogna!... Nella mia memoria il tuo ricordo perfido fiorito: oggi il tuo suolo inaugura impietrito il verde sogno della fredda Soria,

terra pura, tra monti tinti in viola. Di' tu, marziale aereo, l'alto Duero se, dove vai, ricorda il suo poeta, rivivendo il suo rosso Romanzero; o di nuovo Caino sul pianeta, tra l'ali tue, moscone battagliero? _III Alba a Valencia (Da una torre) Queste raffiche a marzo, sui ripiani - verso il mare - del tempo; tornasole dei colombi alle piume, i tulipani giganti del giardino, e spunta il sole, palla di fuoco tra violacea bruma, la terra levantina a illuminare... Fervono latte e argento, indaco e spuma, e vele bianche sul latino mare. Valencia di feconde primavere, delle risaie e dei poderi in fiore, di te felice e illesa io sia cantore, che ai tuoi canali un ampio fiume acquieti, il dio marino nelle tue albufere, il centauro d'amore ai tuoi roseti. _IV Da mare a mare tra noi due la guerra, pi profonda del mare. Al mio parterre, guardo il mare che l'orizzonte serra. Tu affacciata, Guiomar, a un finisterre, a un altro mare intenta, mar di Spagna, cantato da Camoens, tenebroso. Forse di me l'assenza t'accompagna; me, dea, il tuo ricordo doloroso. Die' la guerra all'amore il taglio forte. Ed totale angoscia della morte, con l'ombra della fiamma non feconda e dell'amor tardivo il sogno-miele, l'impossibile fiore della fronda che dell'ascia senti filo crudele. MADRID, MADRID! SUONA BENE IL TUO NOME Madrid, Madrid! suona bene il tuo nome, tu di tutte le Spagne frangiflutti! Si sgretola la terra, tuona il cielo, tu sorridi con piombo nelle viscere. Madrid, 7 novembre 1936 JUAN RAMN JIMNEZ

NON COS, NON DI QUESTO MONDO Non cos, non di questo mondo il vostro suono... - E le piangenti nebbie che salgon dalla valle involano la terra e mi cancellano. La verde luna di gennaio a voi propizia, campane. - fredda la notte, e veglia, intimorita -. Se voi suonate, sono i vivi quei che son morti, ed ora, sono i morti quei che vivono; porte che si chiudono, lastre che si aprono... Oh, su voi, la luna di gennaio! Campane sotto la luna di gennaio! - Silenzio... Piangono... Tutto che piange nel tramonto piange a oriente, piange in una citt dormente, di melanconici fanali; piange pi in l, sul mare; piange pi in l, nell'aurora che tristemente inargenta l'orizzonte d'ombra - . Campanili della gelata, di qual paese siete? Che ora batte su voi? Io non mi ricordo ormai delle cose... Suono trasfigurato, suono che erri; campane folli, che tra le fitte stelle errate! No! - E le piangenti nebbie che salgon dalla valle, involano la terra e mi sommergono in una citt dormente, di melanconici fanali. MELOGRANI IN CIELO AZZURRO Melograni in cielo azzurro! Strada dei marinai! Come son verdi i tuoi alberi! che giubilo nel tuo cielo! Vento di mare, ingannevole! Strada dei marinai - occhio grigio, ciocca d'oro, florido volto e bruno! Canta la donna alla porta: Vita dei marinai; l'uomo sempre sul mare,

ed il cuore nel vento! - Vergine del Carmine, i remi siano sempre nelle tue mani; dolce il mare sotto i tuoi occhi ed il cielo azzurro sia! ... Nella sera l'aria brilla; sogna il vespero; oro di nostalgia, di pensieri e di pianto. - Come se il vento rechi l'infinito e, nel tumulto dell'ansia, guardi la pena e oda quei che son lungi -. Vento di mare, ingannevole! Strada dei marinai - blusa azzurra, e il nastro miracoloso sul petto! Melograni in cielo azzurro! Strada dei marinai! L'uomo sempre sul mare ed il cuore nel vento! IN QUESTE ORE ERRANTI In queste ore erranti che alla notte ci avviano, affoga il mio cuore e fino agli occhi mi sale... Suona l'avemaria, si desta Venere, passa la vettura delle sette, fa freddo... E l nel cielo rosso, il mirador, le palme, il campanile, mi recan vecchie storie, quasi ormai senza senso, come se, nella foschia della sera, io stessi passando tra giardini, come bimbo addormentato... E la vettura va verso il, treno, e il treno singhiozza, e porta verso il mondo,... verso il mondo, se pur ancora esiste! Ed io sogno, tornando, una patria nuova, viaggiatore delle mie lacrime, solo, esaltato e triste. IO NON SO CHI L'AVEVA DIMENTICATA Io non so chi l'aveva dimenticata. La trovai tra l'erba. Nel coglierla, sentii come se una donna mi vedesse. Aveva un vago aroma che vol d'improvviso; resta solo il ricordo del sogno del diletto di quella essenza. Palpandola, vidi non so che spose o stelle, un prato di rose pieno, un'alba di primavera; una cosa tenera e pura, - che m'invadeva di pena -, cominciava sorridendo

e terminava in lamenti... Melanconico o allegro, sorrido o singhiozzo su lei, e sento nell'anima come se una donna mi udisse. OH, CHE SOAVE IL FLUIRE Oh, che soave il fluire del ruscello! Va l'acqua, di fiore in fiore, come una farfalla che canta. Un istante, ciascun fiore ella seduce, bacia e arriccia, ed ha per ciascuno una menzogna bagnata. A quelle sete fa specchio, - esse gli offrono aroma -, pare che mai non voglia andarsene;... - giocano e danzano, il madrigale di freschezza s'avviluppa nella grazia d'una rosa dolce di oro del sole al tramonto... Oh, chiara iridescenza d'armonie! Oh, purit! E corre l'acqua, di fiore in fiore, come una farfalla che canta. NAVI, NON SI VEDEVANO Navi, non si vedevano. Soltanto i fanaletti rossi, viola, gialli, dipingevano le invisibili sartie, con soli gialli, viola, rossi duplicati dall'acque. Gi le feste avevan sfogliato i loro fiori, e un gran silenzio terso, rattenuto, s'udiva... - soltanto i dolci fanaletti colorati la nera vegliavano nostalgia della baia... Il lutto rigido e fresco dell'ora parlava all'illusione d'un sito inopinato, che l'amaro trambusto sitibondo dell'aurora fiss poi, a un lato e all'altro, tristemente. STAMPA D'AUTUNNO Verdeoro il gelsomino, oro vecchio, il tramonto, oronere le foglie secche giacenti sull'acqua dorata; colmo

di sole d'oro il cuore senza nome, d'oro il nero merlo, ciechi gli occhi di Diana infranta e la pura tristezza del suo sesso. La sera in fiamme come un tesoro. D'oro regale il cammino indolente della carne e dei sogni l'esilarato errare. AUTUNNO ULTIMO L'albero non pi di foglie secche, l'albero, soltanto di sole. - Alberino che ieri eri d'oro stecchito di dolore! L'albero, ormai si rassegna al suo sereno morire. Due mesi d'afflizione gli han reso il suo oro felice. IDILLIO La verde terra in fiore del nuovo cimitero, stamane t'accolse nel fresco suo cuore. Poi, uscendo, scorsi un'iride di sole, come capelli tuoi, per dove andavi a un cantico di fuoco salendo al chiaro cielo, pienamente svelato... Primavera caduta! Amore reciso e tenero! Nulla vedesti di quel che dicevi ridendo! Il tuo non fu che un viaggio: dal tuo paese al cielo. AD ANTONIO MACHADO Vera amicizia, specchio terso in cui la speranza si mira! ... Sembrano quelle nubi pi belle, pi tranquille. Sento stasera, Antonio, tra la brezza il tuo cuore. La sera di gloria olezza. Fraterne lire infiamma Apollo in un tramonto musicale d'oro, come farfalle accese; lire colme e pure,

di corde di liquida brace, che di rose immortali adorneranno ghirlande, un d. Antonio, senti in questa sera ardente tra la brezza il mio cuore? COME IN UN FIUME QUIETO Come in un fiume quieto, sopra il foglio la fronte riflette, quieta, le parole che nel lor cielo vibrano, come note di stelle d'un labirinto di campane. Note che vanno fingendo, luce con luce, suono con rosa con rosa, lacrima con lacrima, [suono, non so quale architettura accesa e canora, lenita da luna d'anima. Fine senza fine d'una infranta senza nome armonia, non mai, nell'idea, placata; aride foglie, vetri dipinti, fiori irrepetibili, che, nell'ombra, s'intrecciano. Un chieder pi oltre, che giunge fino alla vita per trasfigurati sentieri, come un'aurora errante, che nei cieli del sogno si lasci indietro polline d'argento. MATTINA NEL PAESE La fantasmagoria del sogno quotidiana divenuta. Il bravo giorno ha ordinato ogni stranezza. Solo rimane, di tanta visione, un candido letto, dove il sole riversa l'umile e chiaro raggio. Sia obliata ogni cosa! Non signora l'anima della speranza fiorita che l'invisibile le svela. Dorme il carnefice, e l'anima, libera, sogna. Si desta la carne... e al cielo va l'impossibile! Eran di calce gli arazzi regali della stanza; secco e volgare rumore fu l'esultanza lirica, triste odore giornaliero e arido la divina fragranza; il mandolino dolce, la carrucola del pozzo. A UN POETA PER UN LIBRO NON SCRITTO Creiamo i nomi Poi verranno gli uomini. Poi verranno le cose. E solo rester il mondo dei nomi, alfabeto dell'amore degli uomini, dell'odor delle rose. Dell'amore e delle rose non restino che i nomi Creiamo i nomi!

EMPORIO Per gallerie marmoree tocca il porto, solcando nave pura un fluido oro. Anch'esso, il tramonto, interamente aperto, palpita e ribolle, come un suburbio sonoro. - Penombra malva sono le ombre. Rosate grazie screziano, serene, i monumentali biancori. Le navi, che somigliano ad alveari d'ansia, dondolano soavemente in una scia di fiori -. Gonfia i venti un bramoso desio. Vibra la sera come una cava viva. Sotto lo zenit, il caduceo traspare di Mercurio, adornato di serti d'oliva. DENISE Nel respingermi con le tue mani, m'invitavi. E poi quieta ristavi, con una densa aureola di sangue negli occhi azzurri, sereni, come due turchesi, nella figura. Dove trovavi quel fuoco grande e debole, quel tuo futuro? La tua bocca fine e rosea, eguale a una ferita, divenuta una brace, a stento con la mia bocca le toglievi il suo fuoco. Con serti di fiori ti legavo, e non te ne andavi! Cos falso il tuo sforzo, che quella farfalla che su te si libr, sarebbe uscita vincitrice, pugnando le sue ali con le tue braccia. LA MADRE - Figlio, il mareggio dell'ignoto ti porta e riporta, mare senza fine. Dove, alla fine, ti lascer? L ti implorano, seconda anima mia, con tanta ansia come io qui; dubbiando in lacrime com'io l se tu restassi qui, in ultimo e per sempre? Oh mare; prendi anche me, e lasciami, con lui, qui o l! L'ADOLESCENTE (Il baule attende, gi chiuso, nel patio di marmo) 1

- Mi dimentico, madre, non ricordo... Madre, che cosa quel che dimentico? - La roba c' tutta, figlio. - S, ma qualcosa manca, e non ricordo... Madre, che cosa quel che dimentico? - I libri ci son tutti, figlio? - S, ma qualcosa manca, e non ricordo... Madre, che cosa che dimentico? - Sar... il tuo ritratto, figlio. - No! mi manca qualcosa, e non ricordo... Madre, che cosa che dimentico? - Non pensarci pi, dormi, figlio. 2 - Madre! (L'aurora nuova). La tua viva voce risuoner, senza ch'io l'oda! Solo un'ora nel mezzo, e gi il mondo vuoto! Non vanno in nessun luogo le strade del mattino! Madre, madre, ora so che mi mancava: tutto, te, me! Oscuro il Nord. Sibila il vento, freddo e grande. AMORE Attento quando baci il pane... La mano ti baci! VESPRI DELLE DOMENICHE D'INVERNO Vespri delle domeniche d'inverno, che tutti sono usciti! ... Il sole gialloverde arriva, puro, agli angoli freddi; nelle rose, composte, al mattino, con limpido amore, si ode la luce. Sembra l'ora ideale un libro mio. E vo sorridendo solo per tutta la casa, fiutando con l'anima, raccogliendo e baciando il pane caduto. UNA BELLA PAROLA

Una bella parola tutta la parola. Ogni velo copre un segreto soltanto. Se colgo tutto il cielo, se pur tutti lo colgano, sar io solo Apollo. LUCE ULTIMA Luce nel bosco in ombra, ti smarristi? Non c' pi il sole, luce nel bosco in ombra! Luce, ecco, sei rimasta a giocare con le foglie verdi! E che farai, se il tuo sole sparito? ... Vieni, luce, a questa bianca foglia, e il mio dolore oscuro, fanciulla in rosa, eternamente inaura. SERA ULTIMA E SERENA Sera ultima e serena, breve quanto una vita, fine d'ogni cosa amata; io voglio essere eterno! - Foglie trafiggendo, il sole, gi di rame, arriva a ferirmi il cuore. Io voglio essere eterno! Bellezza che io ho scorto, non cancellarti mai pi! Perch tu sia eterna, voglio essere eterno! LA MIA SOFFERENZA, IN NULLA La mia sofferenza, in nulla terminer, come per nulla; fior del mio sangue prezioso e triste, convolvolo magico di passione, che pende a maggio con la sua bellezza nostalgica. Ahi, sangue che sprizzi scintille di dolore, sangue sgorgato da una fonte oscura e profonda, dove un dio ha gettato la sua corona, una sera di auree disperazioni! DIMORA

Era un vago fiume la musica, tra il ponente delle sete e gli specchi. Ce ne andammo lungo la riva, allacciati d'amore nei nostri sogni. ... Quando tornammo - era notte - stavamo nella nostra casa, troppo dolce, ahi, per essere eterna! TRISTE? Triste? S; un cimitero nuovo io sono, inaugurato, questa sera, da una donna che morta. OBERON A TITANIA Lascio scorrermi il sangue che t'insegua... Non attender che esca l'ultima goccia, per essere mia! OBERON A MARZO Tu accompagni il mio pianto, marzo triste, con la tua acqua. - Giardino, come le tue rose nuove gi nel fondo dell'anima marciscono! Indifferenza e freddo. Le caste immagini che colorai, nel fondo del mio sogno romantico, stempran le tinte, pallide pitture, nella lacrima calda e silenziosa. Oh, tutto quel che stava per esser mio! Pass tutto. E che falsa verit d'un istante, vita! Sembrami che fosti, o amore, statua di neve, che la primavera, come il suo cielo grigio, disfa in lacrime. OBERON A OBERON Nel paesaggio stecchito di maggio, che un sole stremato abbaglia - viola vitreo e inane,

tra nubi di cenere e di calce -, sopra un ramo ancor secco, un uccellino, triste, pigola. - Che collasso, primavera grigia, per l'amore, oggi! Felicit che un attimo brill, cielo azzurro tra sferiche nubi gialle; come l'uccellino v'abbraccia con il suo canto livido di spine! La fronte sul petto, arriva il dolore. Il giorno se ne va al suo termine, tardo e cieco, senza niente tra le mani. E il vento passa nella brezza. PRIMAVERA Aprile, senza la tua fausta spera, sarebbe inverno d'ultimi splendori; ma pur se aprile a te non d i suoi fiori, tu sempre loderai la primavera. - Veramente sei tu la primavera: rosa dei labirinti interiori, brezza d'imperscrutati corridoi, lume della recondita riviera. Che pace nella sera misteriosa, quando, abbracciati, sia la tua gaiezza sorgiva d'una nostra unica fonte! Sar che colga il cuore la tua rosa, sugli occhi mi s'adagi la tua brezza, la tua luce mi dorma sulla fronte... INSOFFERENZA Nel modo in cui l'infermo ormai spacciato volge la tempia al muro, debolmente, per morirsene, a te, che freddamente mi curi, volgo il dorso rassegnato. Grazie a te, donna! Ch tu pi m'hai dato di quel che meritai. Voglia insolente di bimbo che credeva follemente!... ...Ma stanco sono ormai d'esserti grato. Il tuo pio sole, che dirompe a un tratto grigio cielo d'inverno e, dolce, dora l'ansia, n pi mi piace n m'incita. Lasciami! E tutto pur cada disfatto, la tua piet e il mio amore qui nell'ora che gi s'avanza, inane ed infinita! OTTOBRE Sdraiato sulla terra, l presente

l'infinito paesaggio castigliano, avvolto dall'autunno nell'arcano dorato del suo sole ad occidente. Lento, l'aratro, parallelamente schiudeva il buio solco, e aperta mano del campo nelle viscere con piano gesto spargeva il seme, onestamente. Pensai strapparmi il cuore, e l gettarlo, pieno del suo soffrire alto e profondo, della tenera zolla nel calore, per vedere se, infranto, a seminarlo, la primavera disvelasse al mondo l'albero puro dell'eterno amore. ALLA MIA ANIMA Serbi sempre la fronda preparata per la pi giusta rosa; muovi accorta sempre, l'orecchio fervido alla porta del tuo corpo, alla freccia inopinata. Onda dal nulla non transitata senza rapir la bella luce sorta dalla tua ombra. E notte ti trasporta alla tua stella, a vita ridestata. Poni un segno indelebile alle cose. Gloria di cime, poi, ti riconduci a vita in quel che stai per sigillare. La tua rosa sia norma delle rose; dell'armonia, il tuo udito; delle luci, il pensare; degli astri, il tuo vegliare. AUTUNNO Sparge ottobre, col dolce movimento, del sud, le rosse e le dorate foglie, e nel cader delle sue chiare spoglie, porta il pensiero all'infinito attento. Che amena pace in questo stacco lento da tutto; o prato bello, che i tuoi fiori sfogli; oh gi fredda, tu, acqua, che irrori col tuo cristallo abbrividito il vento! Incantamento d'oro, cella pura, ove in anima il corpo tenerezza, gettato sopra un verde di collina! In un crollo continuo di bellezza, la vita si denuda, e si matura la sua luce di verit divina. QUANTO DEBOLE IL PALPITO Quanto debole il palpito del tuo cuore lieve;

quanto forte e profondo il suo segreto! Quanto breve il corpo delicato che lo avvolge di rose, e quanto lungi, da ogni parte di te - e quanto non compiuto il centro della tua vita! LA BIANCA LUNA TOGLIE AL MARE (15 giugno) La bianca luna toglie al mare il mare, e gli d il mare. In sua bellezza con vittoria purissima e tranquilla, la verit fa in guisa che non sia e che sia verit sola ed eterna quel che non era. S. Semplicit divina che annienti il certo e poni una novella anima al vero! Rosa non presagita, che sottrae alla rosa la rosa, che ridona alla rosa la rosa! NOTTURNO (18 giugno) La nave, lenta e veloce a un tempo, vince l'acqua, non il cielo. L'azzurro resta indietro, aperto in vivo argento, e ancora innanzi sta. Saldo, l'albero oscilla e torna sempre - lancetta fissa a un'ora della sfera alle stelle medesime, un'ora dopo l'altra, nera e verde. Il corpo va, sognando, alla terra ch' sua, dall'altra terra che sua non . L'anima resta e insiste, sempre, nel suo dominio dell'eterno. INTELLIGENZA, DAMMI Intelligenza, dammi il nome esatto delle cose! ... La mia parola sia la cosa stessa, dall'anima creata nuovamente. Per mio mezzo vadano tutti quelli che non le conoscono, alle cose; per mio mezzo vadano tutti, quelli che ormai le scordarono, alle cose;

per mio mezzo vadano anche tutti quelli che le amano, alle cose... Intelligenza, dammi il nome esatto, e tuo, e suo, e mio, delle cose. GETTA VIA LA PIETRA DI OGGI Getta via la pietra di oggi, scordati e dormi. Se luce la troverai domani, innanzi all'aurora, fatta sole. NELLA FRONTE MI ENTR IL PENSIERO OSCURO Nella fronte mi entr il pensiero oscuro, come uccello nittalopo, di giorno, in una stanza. - Non so che fare perch se ne vada! Qui resta, quieto e muto, senza veder le acque n le rose. PAROLA MIA ETERNA! Parola mia eterna! Oh vivere supremo - gi nel nulla la lingua della mia bocca -; oh vivere divino di fiore senza stelo n radice, nutrita nella luce con la mia memoria, sola e fresca nell'aria della vita! QUANTO TRISTE Quanto triste la sera della collera! Morire vorremmo senza sparire; morire di pena per espiare con l'angoscia pi grande il sangue vendicativo; che muoia, la parte nostra, ch' maligna e greve; fare ora la separazione di terra e cielo. - ... Sale, grande, la luna sopra l'oscuro singhiozzare. Agosto, 1918

INFERMO Rimettilo ancora in piedi, Signore, sopra la terra, e saldo, e ridente, e sereno! - Che pi non sia questo giacere infermi, giacere ormai per sempre! Sollevalo, Signore; rendi il giusto sangue al suo cuore; chiara vista ai suoi occhi; il bel parlare alla sua bocca; rendigli l'integro corso all'alveo esausto dei suoi pensieri; questo sentirsi bene, questo non sentire la vita - e tutta darla ch' piena vita! Rimettilo, Signore, in piedi, come reggi me, come stai tu! Giugno, 1918 IL MIO LIBRO, VORREI Il mio libro, vorrei che fosse, come il cielo nella notte, tutto una verit presente, senza storia. Come il cielo, con tutte le sue stelle, ogni istante si offrisse; e non infanzia, non giovent o vecchiaia incanto desse o togliesse alla sua bellezza immensa. Tremore, splendore, musica presenti e totali! Tremore, splendore, musica sulla fronte - cielo del cuore - del libro puro! GI BUIO Annotta. Tubano le tortore sopra gli alti olmi. Qua e l, restano appena, alla brezza oscillando, cime d'oro lievi. Un pigolio sperduto, in alto; due occhi, in basso, che l'ombra guardano e le vanno incontro, come fiumi profondi verso un mare profondo. Chiusi, nerissimi contro il fondo folle dell'occaso sottile, i tronchi, come uomini tristi, ciascuno, essendo in tanti!, solo.

INNANZI ALL'OMBRA VERGINE Io sempre che ti esploro, ma tu vergine sempre, ombra, come quel d che per primo andai bussando al tuo segreto, d'ansia libera greve! Vergine oscura e colma, trafitta d'iridi cupe che appena si scorgono; nera tutta, con le sublimi stelle che non arrivano - in alto - a svelarti! DI GIORNO, STRANIERO IL CIELO (William Blake) Di giorno, straniero il cielo; di notte, la terra straniera. Uguali mi cercano, oh corpo, oh anima! Di giorno, lei, la terra, in fiore; di notte, lui in fiore, il cielo. Uguali mi trovano, oh anima, oh corpo! MORTE, SE IL TUO SEPPELLIRCI Morte, se il tuo seppellirci non fosse un abisso duro e arido, ma dolce profondit, profondit immensa! Se fossi, morte, come una nera estate sotterranea; se in te non occorresse che tramontasse il sole, perch la notte brillasse lucente e bella! MORIRE SOLO Morire solo guardare dentro; aprire la vita solamente al di dentro; castello inespugnabile essere per i vivi della vita. IMBRUNIRE (Brezza ed acqua)

Rivi tenui, puri, scorrono nel buio - rete argento nell'azzurro recandomi fiori... - Ahi, l'acqua eterna, sulla terra nera; l'infinita brezza, sull'ombra fredda! ... Recandomi stelle; e resto al buio, come un albero lugubre nutrito di mondi. AURORA D'OLTREMURA D'ogni cosa si vede il volto, bianco - calce, incubo, lastra, gelo, anemia contro oriente! Oh, steccato della vita; crudezza della vita! Somiglianza animale nel corpo - scoria, radice con l'anima malmessa, ancora, e minerale e vegetale! Sole stecchito contro l'uomo, contro il maiale, le verze, il recinto! - Falsa allegria, perch sei solo dentro l'ora - si dice -, non nell'anima! Tutto il cielo occupato dai cumuli bagnati, fumiganti, dei letamai orizzonti. Residui acri, qua e l, della notte. Fette, sbocconcellate, della verde luna, cocci di false stelle, carta lacerata, col gesso ancora fresco di cielo azzurro. Uccelli mal desti ancora, nella luna cruda, fanale quasi spento. Branco d'esseri e di cose! - Tristezza vera, perch sei solo nell'anima - si dice -, non nell'ora! SCENDI NEL NULLA, COL MIO AMORE Scendi nel nulla, col mio amore, come lungo il declivio dolce e verde della riva alla barca della sera; sorridendo svagata da uccelli di luce, con la mano amorosa e abbandonata tra i fiori freschi del sole occiduo. PRIMAVERA TOTALE

Terra, madre mia; un'altra volta pi verde, pi colma, pi bella! Ed io, intanto, figlio tuo, con pi secche foglie nelle vene. Terra, madre mia; sii tu sempre giovane, e ch'io muoia! - E tu, intanto, madre mia, con pi fresche foglie alle gambe -. UN GIORNO VERR UN UOMO Un giorno verr un uomo che, buttato su te, tenter denudarti del tuo lutto d'ignota, parola mia, oggi s nuda, s chiara! Un uomo che creda, ombra fatta acqua di strano mormorio, te, voce mia, acqua di luce semplice! CASTIGO Rimorso, non ti pongo musica; non voglio lucrare la mia gioia con la tua essenza triste! Il tuo dolore resti per me solo; e che mi strazi (giorno dopo giorno, canto non cantato) l'anima! ROSA INTIMA Rosa, la rosa... (Ma quella rosa...) La primavera torna con la rosa scarlatta, rosea, gialla, candida, scarlatta; e tutti si inebrian della rosa, la rosa uguale all'altra rosa. l'uguale una rosa d'altra rosa? Tutte le rose son la stessa rosa? S (ma quella rosa... ) La rosa solitaria in una mano, che odora fino al fondo proprio ed uno, la rosa per il seno dell'amore, per la bocca dell'anima e d'amore. (... E per l'anima era quella rosa che s'occultava dolce tra le rose, ed una sera non si vide pi.

E di che giallo quella fresca rosa?) Tutto, di rosa in rosa, folle vive, la luce, l'ala, l'aria, la donna e l'onda, e l'uomo, e la donna e l'uomo. La rosa pende, bella e tenera per tutti, senza penombra il corpo e senza arcano, colmo e soave a un tempo, intimo ed evidente, ardente e dolce. La rosa, questa rosa, l'altra rosa... S (ma quella rosa... ). L'OASI Verde brillio sopra l'oscuro verde. Nido profondo di foglie e rumore, dove freme l'uccello, l'acqua vive, e uomo e donna tacciono, coperti (aperto intorno della nudit unica l'aureo centro) dall'azzurro rotondo di sola luce dov' l'eternit. Talamo vivo, solida pienezza, al naturale riposo dell'ansia, con tutto quel che , che fu e sar, aperto in somma concentrata; sigla di sud edenico, frutta un poco pi grande (asilo solo della nudit unica) dov' l'eternit. Colore, succo, suono, curva, aroma ricchi con raggio caldo e fresco colmano. totale di trionfo e di destino, l'entrata casuale a immenso modulo (reperito nel giuoco d'ore e secoli, per l'unica nudit) libera miniera di luce eterna e sola dov' l'eternit. CON LA CROCE DEL SUD La croce del sud si distende su una nube e mi osserva con occhi adamantini gli occhi pi profondi dell'amore, d'un amore per lei da sempre amata. stata, stata, stata nell'intero azzurro cielo della mia immanenza; erano i suoi quattr'occhi la coscienza pura, d'una bellezza il conseguente esito che m'attendea nell'aquilone, fin da quando, bambino, l'innalzavo. Ed io son giunto, or ecco sono giunto, nel penultimo atto d'illusione

del dio di me cosciente e mio, a baciare i suoi occhi, le sue stelle, con quattro baci soli d'amor vivo; il primo bacio, agli occhi della fronte; il secondo ed il terzo, agli occhi delle mani; il quarto, all'occhio del suo piede d'alta sirena. Mi sta vegliando la croce del sud nell'ultima mia innocenza, nel mio tornare al bambinoiddio che un giorno io fui nella mia Moguer di Spagna. E sotto, molto sotto di me, in terra elevatissima, che arriva al mio esattissimo affondare, una madre in silenzio mi sostenta, come mi sostent nel vivo grembo, quand'io innalzavo gli aquiloni bianchi; e sente gi con me tutte le stelle della rotonda, piena eternit notturna. IN PAESE DI PAESI In queste prospettive cittadine che alternano la vita, come prismi, col lor sangue di tempo nello spazio raccolto, tu, coscienza di dio, sei stabile presente, essenza tesoriera di dio mio, con tutte le et di colori, di musiche, di voci, in paese di paesi. E in esse, simultanea credenza di fissati paradisi di fondo, t'avvicendi anche tu, coscienza e dio intercalati di verdezze nuove, di fanciulle di solare colore, di rame trattenuto in lungo addio, che compongon la consueta tua stagione totale, la tua intemporalit tanto attuata in me. Armoniosa suprema, citt ricca di graduate architetture ch'io decifro dall'alto con occhi riposanti; musica della cubica visione di bianchi avvicendati dove colloca il corpoanima la sua avversata oasi del tornare, del tornare, tornare, e del tornare, con vita melodiosa in ogni taglio. Le arpe, o iddio, dell'ottica allegria; i coscienti progetti delle gioie possibili a questo piede d'amore stabile. Aprirsi della bocca delle rose, le rose della bocca, in queste foglie accessibili all'occhio innamorato che trova il suo riposo ripetibile dei due infiniti; tanto possibile esistere, mio esistere in sufficiente stare qui la vita intera! Il cuore d'una rosa costruita tra te, dio desiderante la mia vita,

e me, desiderante la tua vita. SONO ANIMALE DI FONDO Nel fondo di aria (dissi) sto, (dissi) sono animale di fondo di aria (su terra), ora su mare; trapassato, come l'aria, da un sole che carbone lass, il mio fuori, e m'illumina col suo carbone il giro secondo destinato. Ma tu, iddio, anche, stai in questo fondo e questa luce vedi, giunta da un altro astro; tu stai e sei il grande e il piccolo ch'io sono, in una proporzione che questa mia, infinita verso un fondo che il sacro pozzo di me stesso. E in questo pozzo stavi prima tu con il fiore, la rondine, il toro e l'acqua; con l'aurora in un rosso affluire di vita rinnovata; con il ponente, in un dileguare d'oro di trionfo. Stavi tu meco in questo pozzo quotidiano, meco bambina, giovane, donna, ed io affogavo senza conoscerti, affogavo senza pensarti. Questo pozzo ch'era, soltanto, n pi n meno, il centro della terra e della sua vita. E tu eri nel magico pozzo il destino di tutti i destini della bella sensualit che sa che il godere plenario di coscienza amante la maggior virt che ci trascende. Lo eri per farmi pensare che eri tu, per farmi sentire che io ero te, per farmi godere che tu eri me, per farmi gridare che io ero io nel fondo di aria dove sto, dove sono animale di fondo di aria con ali che non volano nell'aria, che volano nella luce della coscienza pi grande di tutto il sogno di eternit e infiniti che stanno al di l, esattamente come me ora, dell'aria. LEN FELIPE

NESSUNO AND IERI Nessuno and ieri, n va oggi, n andr domani alla volta di Dio per questo stesso cammino

per dove vo io. A ciascun uomo serba un raggio nuovo di luce il sole... e un cammino vergine Iddio. PELLEGRINO SOLO Essere pellegrino nella vita, pellegrino solitario che passa sempre per nuovi cammini. Essere pellegrino nella vita, senza altra occupazione, senza altro nome e senza paese. Essere nella vita pellegrino, pellegrino... soltanto pellegrino. Che non mettano il callo le cose n nell'anima. n nel corpo, passare dovunque una volta, una volta soltanto e rapido, rapido, sempre alla svelta. Non s'abitui il piede a calpestare lo stesso suolo, n il palcoscenico della farsa, n la lastra dei templi, affinch non dobbiamo mai recitare come il sagrestano le preci, n declamare come il vecchio comico i versi. La mano oziosa quella che ha pi sicuro il tatto nelle dita, diceva il principe Amleto, vedendo come scavava una fossa e nello stesso tempo cantava un becchino. Quando ignoriamo i mestieri, li compiamo con scrupolo. Per seppellire i morti come si deve chiunque buono, chiunque... eccetto un becchino. Un giorno tutti sappiamo fare giustizia. Bene quanto il re ebreo, fece giustizia Sancio lo scudiero e il contadino Pedro Crespo. Che non mettano il callo le cose n nell'anima n nel corpo. Passare dovunqu e una volta, una volta soltanto e rapido, rapido, sempre alla svelta. Sensibili ad ogni vento e sotto tutti i cieli, poeti, non cantiamo mai la vita d'un solo paese n il fiore d'un solo giardino. Nostri siano tutti i paesi e tutti i giardini. NON ANDARE ERRANDO - Non andare errando... e cerca il tuo cammino. - Lasciatemi, ora verr un vento forte che mi porter al luogo che mio.

POETA... N dal tuo cuore, n dal tuo pensiero, n dalla fornace divina di Vulcano sono uscite le tue ali. Tutti gli uomini insieme le hanno lavorate e tutti insieme gli uomini nell'ossa delle tue costole le hanno conficcate. La mano pi umile t'ha inchiodato un sogno..., una penna d'amore nel costato. COMMENTO A EL NIO DE VALLECAS DI VELZQUEZ Bacinella, elmo, nimbo. Questo l'ordine, Sancio... Di qui nessuno va via. Finch questa testa rotta del Nio de Vallecas esiste, di qui nessuno va via. Nessuno. N il mistico n il suicida. C' prima da riparare questo torto, c' prima da risolvere quest'enigma. E c' da risolverlo fra tutti e c' da risolverlo senza vilt, senza fuggir via con ali di percallina o facendo un foro nella pedana. Di qui nessuno va via. Nessuno. N il mistico n il suicida. Ed inutile, inutile ogni fuga (n all'in gi n all'in su). Si torna sempre. Sempre. Finch un giorno (un bel giorno!) l'elmo di Mambrino - nimbo ormai, non elmo n bacinella s'adatter alle tempie di Sancio e alle tue e alle mie come perfettamente aderente, come fatto su misura. Allora ce ne andremo tutti su per le balze del sipario. Tu ed io, e Sancio, e il Nio de Vallecas, e il mistico e il suicida. ELEGIA Alla memoria di Hctor Marqus, capitano della Marina mercantile spagnola, che mor in alto mare e fu sepolto a New York ... terra straniera / cadde sulla sua carne avventurosa. // Jos Del Ro Sainz

Marinai, perch date alla terra quello che non suo e lo sottraete al mare? Perch lo avete sotterrato, marinai, se era un soldato del mare? L'accesa sua fronte, un faro; occhi azzurri, carne di iodio e sale. Mor lass, sul ponte, nella sua trincea, come un soldato del mare; con la rosa dei venti nella mano sfogliando la stella di pilotaggio. Perch lo avete sotterrato, marinai? E in una terra senza conchiglie! Sulla spiaggia nera!!... L, sulla riva infausta dell'altro mare: New York! - pietra, cemento e ferro in tempesta -. Dove l'occhio ciclopico del grande faro che scruta gli affogati non pu arrivare; dove terminano le torri e i ponti; dove pi non si vede dei grattacieli la superba spuma; fra i rifiuti delle sordide strade che irrompono nell'ultimo sobborgo; dove la serpe oscura dei treni aerei torna a immettersi un'altra volta nella citt... L, l'argilla opaca dei cimiteri, marinai, l il capitano avete sotterrato. Perch lo avete sotterrato, marinai, perch lo avete sotterrato, se morto come il migliore dei capitani, e la sua anima - vento, spuma, maricino sta l, tra la notte e il mare... ? A bordo del Cristbal Coln, 1932 DROP A STAR Dove la stella dei Presepi? La terra, impennata, s' fermata nel vento. E non vedono, gli occhi dei marinai. Quel pesce - seguitelo! si port via danzando, la stella polare. Il mondo una slot-machine, con una scanalatura sulla fronte del cielo, sulla testiera del mare. (S' fermato l'ordigno, finita la corda). Il mondo qualcosa che funziona come il piano meccanico di un bar. ( finita la corda, s' fermato l'ordigno...) Marinaio, tu hai una stella nella tasca...

Drop a star! Con la tua mano accendi la nuova musica del mondo, la canzone marinara di domani, l'inno futuro degli uomini... Drop a star! Manda avanti un'altra volta questa nave tirata a secco, marinaio. Tu hai una stella nella tasca... una stella nuova di palladio, di fosforo e di calamita. IL PIANTO... IL MARE E quelli... quelli del nord? L'elegia della volpe la canti la volpe, l'avvoltoio quella dell'avvoltoio e il vile la sua. Ogni razza e ogni paese con la sua lebbra e il suo pianto. Io piango solamente le imprese del rancore e della polvere... e il trionfo dell'ascia. Poi, domani... per tutti il mare! Ci sar pianto a iosa per l'uomo e acqua amara per le dune calcinate... salnitro per tutti! Domani... per tutti il mare! Il mare un'altra volta solo, come al principio, e l'uomo solo, alla fine, con la sua coscienza. Per tutti il mare! e l'uomo solo, solo... senza trib, senza vescovo e senza spada. Ciascun uomo solo, solo, senza Storia e senza grido, con il grido spaccato e le scale e gli scandagli rotti. Ciascun uomo solo. Io solo, solo, s, solo, solo, galleggiando sul mare, sul letto profondo del mio pianto e sotto il baldacchino superbo dei cieli... superbo, taciturno e sidereo. Se c' una luce che mia,

qui deve riflettersi e scintillare nello specchio immenso delle mie lacrime, nel mare... nel mare! Domani, per tutti il mare: quello che dondola le culle e rovescia i cicli, quello che conta i passi della luna e della mula della noria, quello che rompe le dighe e le piccole uova, l'eterno cominciare e l'eterno finire. Domani su tutti il mare... sulla volpe e sull'avvoltoio, il mare; sul vile il mare; sul vescovo e sulla sua ametista, il mare; sulla mia carne, il mare; sul deserto, il mare; e sulla polvere e sulla scure, il mare. Il mare, il mare, il mare solo, un'altra volta, come al principio! Il pianto... il mare! DIALOGO TRA IL POETA E LA MORTE P. O Morte! So gi che sei cost. Abbi un po' di pazienza. M. Son le tre. Ce n'andremo quando se n'andranno le stelle, quando canteranno i galli, quando la prima luce grider con la sua cornetta dalla sierra, quando schiuder il sole una fessura violacea tra il cielo e la terra? P. N quando Tu lo dirai n quando io lo vorr. Son venuto a scrivere il mio testamento. Quando scriver la mia ultima bestemmia, mi cadr la penna, si romper il calamaio senza che nessuno lo muova, si verser l'inchiostro e, senza che tu la spinga, si spalancher la porta. Allora ce n'andremo. Intanto... appendi la tua falce con la mia mazza all'attaccapanni dell'andito, siediti... Siediti e aspetta! INNAFFIATE L'OMBRA Padre, Padre! Perch mi hai abbandonato? Silenzio! Il Padre non dorme mai. Le tombe sono solchi e aprile, il grande mago, mi deve dire un'altra volta: Apri la porta e vattene. Aprile questo pianto, l'acqua che solleva i morti e la spiga. Lasciate che l'uomo pianga e si nasconda nella morte. Non maledite le piogge e la notte...

Innaffiate l'ombra! (O debbo tornare domani a contare un'altra volta i gradini delle cantine?) Tre secondi nell'angoscia sono tre giorni, tre giorni nella storia sono tre secoli e tre secoli, un passo di danza soltanto. Al terzo giorno si romper il guscio dell'uovo, aprir la sua finestra il seme e cadranno le pietre delle tombe. Mi rubaste il grano e il pane del forno, ma ho ancora le piogge e la mia carne. Chi mise sentinelle nei solchi? Cristo la Vita e la Vita, la Croce. Il sudario di un dio furono i pannolini degli uomini. M'avvolgeste in pianto quando venni, ho continuato a vestirmi di pianto e il pianto ora la mia uniforme... La mia uniforme e la tua e quella di tutti gli uomini della trib. Camminiamo sulle sue stesse lacrime. In queste antiche acque navigher nella mia barca fino a giungere a Dio. Terribile e nero il tragitto! (E c' chi traffica con la bufera, con l'ombra e con la paura!) NASCITA Ora affina bene la tua memoria: bisognava fare bene il calcolo delle ombre. Ricordati! Il giorno aveva ventiquattro notti e le notti non si misuravano con il sole n con il gallo n con la campana delle chiesette. Bisognava contare le maree e le lune.... bisognava fare il conto delle ombre in qualche modo... Ricordati! E cominciasti a contare le ombre col tuo pianto. Il tuo pianto rim con la corrente del sangue dove andavi galleggiando e navigando... Piangesti fino a perforare la roccia della grotta colpita dal mare, fino ad aprire una porta nella carne dura del mondo... Ricordati! E cominciasti a contare le ombre del tuo pianto. Il tuo pianto rim con la corrente del sangue dove andavi galleggiando e navigando... Piangesti fino a perforare la roccia della grotta colpita dal mare, fino ad aprire una porta nella carne dura del mondo... Ricordati! Quel giorno entr il sole a cercarti con una rosa di fuoco nella mano per sposarti con la luce. Fu il giorno trionfale delle tue prime nozze... Ricordati! - Non mi ricordo. E quando accaduto questo? - Oh natura dell'uomo, senza memoria, senza occhi e senza sogni! Fu, sar... Continua ad essere! la nascita eterna. IL VENTO E IO

_I Venga il poeta Venga il poeta. E mi portaste qui per contare le stelle, per bagnarmi nel fiume e per fare disegni sulla sabbia. Questo era il patto. E ora mi avete messo a costruire ceppi e catenacci, a caricare un fucile e a scrivere nell'ufficio di una pretura. Mi portaste qui per cantare in una festa di nozze e mi avete messo a piangere vicino a una fossa. _II E per che cosa sono venuto? Ah, s! Sono venuto a vedere l'uccello nella gabbia e il giudice che sollecita con la sua mazza quelli che costruiscono inferriate, quelli che costruiscono catenacci, quelli che costruiscono reticolati e quelli che fissano cocci verdi in cima ai grossi muri di cinta. Ma sono venuto anche a vedere quelli che intrecciano cavi e canapi lunghi, quelli che rompono i rosari e li congiungono poi l'uno con l'altro affinch la preghiera non si morda la coda... e quelli che costruiscono canali e quelli che costruiscono scale e quelli che lanciano nell'ombra scandagli come i ragni, scandagli profondi e delicati fatti con una secrezione carnale metafisica e amara, che, per intendersi in qualche maniera..., gli uomini, per ora, chiamano lacrime. _III E ora me ne vado E me ne vado senza aver ricevuto la mia eredit, senza aver abitato la mia casa, senza aver coltivato il mio orto, senza aver sentito il bacio della semina e della luce. Me ne vado senza aver dato la mia messe, senza avere acceso la mia lampada, senza avere spartito il mio pane... Me ne vado senza che mi abbiate consegnato i miei beni... Me ne vado senza avere appreso altro che a gridare e maledire, pestare bacche e fiori... me ne vado senza aver visto l'Amore, con le labbra amare piene di bava e di bestemmie, e con le braccia stecchite ed erette, e i pugni chiusi, chiedendo giustizia fuori della bara. _IV Me ne vado perch la terra non pi mia Perch i miei piedi sono stanchi, ciechi i miei occhi, arida la mia bocca e il mio corpo docile e leggero, per entrare nell'aria.

Me ne vado perch non ci sono pi strade per me sulla terra. Uscii dall'acqua, ho vissuto nel sangue e ora mi aspetta il Vento per portarmi al sole... Uscii dal mare... e finir nel fuoco. _V Me ne vado perch la spiga e l'aurora non sono mie Ho camminato smarrito nel mondo chiedendo pane e luce. E il sole pane e luce! Guardatelo come esce dal forno e sale nell'alba per tutti, con la sua doppia corona di farina e di cristallo!... Oh, Iddio antico e generoso, proscritto dall'uomo! Tu sempre l, puntuale nella spiga e nell'aurora e io qui affamato e cieco, col mio grido mendicante smarrito tante volte nella storia... Lasciatemi oggi il pane perch mi guadagni domani il mio seggio presso il sole. _VI Me ne vado perch neppure la luce mia Oggi ho aperto la finestra che guarda sul mare e sul vento e mi parso di avere aperto la botola che era qui nel pavimento per i giorni delle cospirazioni e della paura. Se continuo a stare qui, fin d'ora e sempre. dovr dire: Qui sotto, qui dentro... nel sotterraneo, invece di dire: L fuori, lass... nel vento. Me ne vado. Le finestre sono botole. Non vedo pi la luce... non la vedo pi. _VII Me ne vado perch la terra e il pane e la luce non sono pi miei Torner domani sul cavallo del Vento. Torner. E quando torner, voi ve ne starete andando: voi, i dazieri della morte, i centurioni in agguato sotto la grande ogiva della porta, i fabbricatori di bare che nel misurare il corpo giallo di quelli che se ne vanno, col nastro di un metro e mezzo dei sarti - dite sempre: Come crescono i morti! Oh, s! I morti crescono... L'ultimo vestito che si fecero, nel punto di preparare la salma, gi piccolo per essi... Crescono. E appena li seppelliscono, rompono le assi di pino e i catafalchi d'acciaio crescono poi nella tomba, fuori della bara, aprono la terra come i semi della segala e, sotto il sole e la pioggia, nel vento, ormai liberi, e senza radici, continuano e continuano a crescere. Io me ne vado a crescere con i morti. Torner domani sul cavallo del Vento. Torner. E torner cresciuto! Allora voi che ve ne starete andando non mi riconoscerete. Ma quando ci incontreremo sul ponte, io vi dir con la mano: Addio dazieri, centurioni, becchini!... A crescere, a crescere, alla terra di nuovo... all'acqua, al sole,

al Vento... al Vento... Di nuovo al Vento! QUI Con che mi vestir per morire? Con che sudario scender nell'ombra? C' un mantello verdenero, d'un untuoso velluto tempestato di gialli rugginosi medaglioni, di cui si vestono i pantani nella selva, come il dio mascherato della lebbra. Sort di qui la mosca della febbre e l'ippopotamo qui si nasconde... Qui pot nascere anche l'uomo... E qui pu morire. QUESTA CASA Questa casa fatta di sangue denso e di lance affilate con torre e prigione, con lucernario e fogna... questa casa, questo battello portato via dal Vento su un mare di schiume e di cenere, fu creata per sfracellarsi su una roccia dura, in un'ombra nera e muta e accrescere la massa di schiume e di cenere. TUTTO ROTONDO E BIANCO Nello spazio rotondo non c' nulla grande n piccolo, come nel Tempo rotondo non c' ieri n domani. Tutto rotondo e gira mosso rapidamente dal Vento. Rotondi sono la forma e il colore, rotondi sono i pensieri... e rotondi come lieve bollicina i sogni. E tutto altres sincronico, come i colori nel rotondo zero bianco come risulta dalla rotatoria vertigine dello spettro... Ma, il Vento... il Vento che tutto muove? che colore e che forma ha il vento? L E perch ora, al termine del cammino, ci si domanda: Vale pi dell'anfele, ad esempio, questa carne dell'Uomo, putrefatta e orgogliosa? Chi ti port alla Luce, che non sapesti vedere? Per quali oscuri sentieri sei giunto dalla pozza nera della tua origine a sederti orgoglioso sotto il pallio del Sole? Parlo con te, Uomo, che ora stai per morire e non sai come vestirti per il trapasso... Torna alla tua casa, mosca verde, un'altra volta. L! Resta l!... vestita di giallo sotto la lebbra oscura dello stagno marcio.

L'INFERNO Non ho pi documenti di me stesso se non questo fango mai fatto e mal cotto nel quale nessuno mai riporr il suo orgoglio... n gli uomini n Dio... neppure io. Non rinnego. Ma cos, in questa struttura scrostata e distorta, io non accorro n mi presento alla Luce. Lascia che torni all'amalgama, al tornio, al bulino, al forno un'altra volta, invisibile Vasaio. Perch parlare di fatale castigo per le terribili fiamme dell'inferno, se tutto si risolve in una brama eroica e profonda del soffio e della forma che non si sono ancora incontrati... e il loro amoroso letto nuziale sta nel fuoco? TESTAMENTO Tutto per il fuoco. Nulla per il verme della terra... Tutti i miei possessi dati al fuoco: questi specchi, questi specchi curvi e rotti col loro sformato e sporco stagno spettrale di veleno... Esistono solo specchi: il mare e questa lacrima... questa gocciolina amara d'acqua. Non voglio pi vedermi. Nulla spetta al verme della terra che mangiato da un pesce e il pesce da un re e il re torna a guardarsi nello specchio. Tutti i miei possessi dati al fuoco: il mio sangue gelato, anche la mia carne paralitica... e il mio scheletro, questa gabbia grottesca delle mie ossa dove cantava ieri il merlo cieco. Tutto al fuoco... Anche il merlo cieco! CENERI Sono figlio dell'acqua e della Terra, ma la mia sepoltura sta nel Vento. Questo raccolga il lascito di polvere e di cenere, il minerale residuo, la leggera reliquia che il fuoco non divori. SIGNORE DELLA GENESI E DEL VENTO Se quel che stato quello che sar

e ci che stato fatto quello che si far... Signore della Genesi e del Vento, tutto ti restituisco: l'argilla e il soffio che mi hai dato... Rimandami alla tenebra e al silenzio, al sonno senza ritorno, al Nulla infinito... Non mi destare pi. PEDRO SALINAS

POSSESSO DEL TUO NOME Possesso del tuo nome, il solo che tu concedi, felicit, anima senza corpo. Dentro di me ti porto perch dico il tuo nome, felicit, dentro il petto. Vieni: e tu piano giungi; va via: e tu rapida fuggi. Di te presenza e assenza ombra l'una dell'altra, ombre mi danno e mi tolgono. (E le mie braccia aperte!) Ma la tua carne negata, negate le tue labbra, felicit, anima senza corpo, ombra pura. QUANTO A LUNGO T'HO GUARDATA Quanto a lungo t'ho guardata senza guardare te, nell'immagine esatta e inaccessibile che ti tradisce lo specchio! Baciami, dici. Ti bacio, e, mentre ti bacio, penso quanto fredde saranno nello specchio le tue labbra. Tutta l'anima a te, mormori, ma nel petto sento un vuoto che solo l'anima colmer che tu non mi doni. L'anima che si occulta con maschera di splendori nella tua forma allo specchio. L'ANIMA AVEVI L'anima avevi

s luminosa e aperta, ch'io mai potei nell'anima tua penetrare. Tentai le scorciatoie anguste, i transiti alti e ardui... Strade ampie alla tua anima conducevano. Disposi l'alta scala - alti muri sognavo vigilandoti l'anima -, ma era l'anima tua senza difesa di cinta o steccato. In te cercai la porta stretta dell'anima, ma non aveva, tanto era libera, entrate la tua anima. Dove principiava? Terminava, dove? Rimasi per sempre seduto alle vaghe soglie della tua anima. IO NON T'AVEVO VISTO Io non t'avevo visto, giallo limone celato tra il fogliame lustro dell'agrumeto, io non t'avevo visto. Ma al bambino un fuoco strano gli scatur di brama negli occhi e tese le due mani. Dov'esse non giungevano giunse il suo grido. notte, ora, e, quale frutto maturo del giorno, ti tengo tra le mani, puro limone celato, puro limone svelato. (Il bambino gi dorme). NON TI VEDO Non ti vedo. So bene che sei qui, dietro una parete fragile di mattoni e di calce, alla portata della mia voce, se solo chiamassi. Ma non chiamer. Domani ti chiamer, quando, non pi scorgendoti, finger che tu insisti qui presso al mio fianco, e che basta oggi la voce che ieri tenni muta.

Domani... quando sarai l dietro una fragile parete di venti, di cieli e di anni. RIVA Se per la rosa non fosse, fragile, di spuma, candidissima, ch'egli, all'orizzonte, si finge, chi m'avrebbe detto che il petto gli s'agitava a respirare, ch' vivo, che dentro ha un impeto, che brama la terra intera, azzurro, tranquillo mare di luglio? FAR WEST Che vento a ottomila chilometri! Non vedi come tutto vola? Non vedi i capelli sciolti di Mabel la cavallerizza che gli occhi socchiude chiari contro il vento, vento ella stessa? Non vedi la tenda sbattuta, quel giornale che svolazza e la solitudine elusa tra lei e te dal vento? S, vedo. Null'altro se non che vedo. Quel vento dall'altra parte, in una sera remota di terre che non passai. Rami va scrollando senza dove, labbra sta baciando senza chi. Non pi il vento, il ritratto d'un vento che si spense senza ch'io lo conoscessi, ed sepolto nel vasto cimitero dei venti antichi, dei venti morti. S, lo vedo, senza sentirlo. l, nel mondo ch' suo, vento di cinema, quel vento. FEDE MIA

Non mi fido della rosa di carta, tante volte io con le mie mani la feci. N mi fido dell'altra vera rosa, figlia del sole e dell'ora giusta, la fidanzata del vento. Di te, che non feci mai; di te, che non ti fecero mai; di te mi fido, flagrante sicuro azzardo. L'ALTRA Mor perch volle lei; non la uccise Iddio n il Destino. Torn alla sua casa una sera e disse con voce elettrica, per telefono, alla sua ombra: Voglio morire, ma non sia nel letto, n venga il medico n nulla. Tu taci! Che sibili di veleni candidati s'udivano! Le pistole a stormi passavano su ali nere dinanzi al balcone. Facevan paura i collari tanto si stringevano. Ma no. Ella morire voleva. Mor alle quattro e mezzo del grande orologio della sala, alle quattro e venticinque del suo orologio da polso. Nessuno se n'accorse. La sua veste continuava di lei colma, n piedi, sulle scarpe, sino ai freschi sorrisi in alto sulle labbra. Tutti la videro andare e venire, come sempre. Inalterata la voce, viveva la stessa vita di sempre. Diciannove anni comp nel marzo successivo: Si fa pi bella ogni giorno, dissero in edizioni speciali i periodici. L'erede ombra complice, segnale rosa, azzurro o nero, su lidi, nevi e tappeti, prolungava gl'inganni.

LE MORTI Dapprima ti dimenticai nella voce. Se ora tu parlassi qui, al mio fianco, io domanderei: Chi ? Poi di te dimenticai il passo. Se un'ombra si scansa tra il vento. di carne, se sei tu pi non so. Tu ti sfogliasti tutta lentamente, dinanzi ad un inverno: quel sorriso, lo sguardo, la tinta della veste, il numero delle scarpe. Ancor pi ti sfogliasti: la tua carne ti cadde, il tuo corpo. E mi rest il tuo nome, sette lettere, di te. E tu vivendo, agonizzando disperatamente, in esse, con anima e corpo. Il tuo scheletro, i suoi tratti, la tua voce, il tuo riso, sette lettere, esse. E a dirle solo il tuo corpo ormai. Mi scordai del tuo nome. Disgiunte le sette lettere; non si riconoscono. Passano cartelli su tranvai; s'accendono lettere colorate nella notte, vanno su buste dicendo altri nomi. Per di l andrai tu, dissolta ormai, disfatta ed improbabile. Tu andrai, il tuo nome che eri tu, salito a cieli opachi, in una luce astratta d'alfabeto. LUCE DELLA NOTTE Sto pensando - notte al giorno che far l dove questa notte giorno. Sui parasoli festosi dischiusi tutti i fiori, contro quel sole, ch' la tenue luna che illumina me. Sebbene sia tutto s calmo, s taciturno nel buio, qui all'ingiro, scorgo le genti rapide - ressa, chiare vesti, risa che senza posa consumano, a pieno gaudio, quella luce

ch' loro, quella che mia sar non appena qualcuno l dir gi notte. La notte dove sto io ora, dove tu stai qui con me cos dormente e senza sole, quella notte e luna del dormire, che immagino all'altro lato del tuo sonno, dove c' luce che io non vedo. Dove giorno e passeggi - ecco, sorridi dormendo con quel sorriso aperto, cos felice, cos fiorente, che la notte ed io sentiamo che non sorriso di qui. DOMANDA PI OLTRE Perch chiedo dove sei, se cieco non sono, se assente tu non sei? Se ti vedo andare e venire, te, il tuo corpo alto che termina in voce, come in fumo la fiamma, nell'aria, impalpabile. E ti chiedo se, e ti chiedo di che sei, di chi; ed apri le braccia e mi mostri l'alta immagine di te, e mi dici ch' mia. E t'interrogo sempre. SE TU SAPESSI Se tu sapessi che quel grande singhiozzo che stringi tra le braccia, che quella lacrima che tu asciughi baciandola, vengon da te, sono te, pena di te fatta lacrime mie, singhiozzi miei. Allora non chiederesti pi - al passato, ai cieli, alla fronte, alle lettere che cosa ho, perch soffro.

E in intimo silenzio, con quel denso silenzio della luce e del capire, mi baceresti ancora, e desolatamente. Con la desolazione di chi al fianco non ha altro essere, una pena estranea; di chi solo ormai col suo dolore. Volendo consolare in altro chimerico il gran dolore ch' tuo. CHE IMMENSIT DI PESI Che immensit di pesi. orbite celesti, si posano - meraviglia, miracolo -, su arie, assenze, su fogli, su niente! Roccia su roccia dorme, corpi giacciono in culle, in tombe; n l'isole c'ingannano, finzioni di falsi paradisi, galleggianti sull'acqua. Ma te, ma te - memoria d'un ieri che carne tenera fu, materia viva, e che ora nient'altro che peso infinito, gravitazione, angoscia dimmi, chi ti sorregge se non la fiduciosa solitudine della notte? Te - ansia di ritorno, sospiro che tornino invariabilmente, identici a se stessi, gli atti pi nuovi che si chiamano futuro chi ti sorregger? Segnali e simulacri tracciati su fogli bianchi, verdi, azzurri, vorrebbero essere il tuo sostegno eterno, essere il tuo suolo, la tua terra promessa. Ma poi, pi tardi, si spezzano - quelle mani -, si disfano, in tempo, in polvere, lasciando solo vaghe tracce fugaci, ricordi, nelle anime.

S, le anime, finali! Le ultime, le sempre elette, s fragili, ad eterno sostegno dei pesi pi grandi! Le anime, ali che sole si librano con virt di remeggio disperato, a furia di non fermarsi mai, di volare, portatrici per l'aria, nell'aria, di quel che si salva. CHE CORPI LIEVI, AFFILATI! Che corpi lievi, affilati, vi sono, senza colore, s rari come l'ombre, che baciare non puoi se non ponendo le labbra sull'aria, su qualcosa che passa e che appare! E che ombre brune vi sono, s dure che il loro freddo marmo oscuro a noi non s'abbandoner mai per passione tra le braccia! E che traffico, andare, venire, con l'amore velocemente, dai corpi alle ombre, dall'impossibile alle labbra, senza posa, senza saper mai se anima di carne oppure ombra corporea quel che baciamo, se qualcosa! Col tremore di porgere carezze al nulla! LE SENTI COME CHIEDONO REALT Le senti come chiedono realt, arruffate, selvagge, esse, le ombre che noi due fingiamo in quest'immenso letto di distanze? Ormai stanche d'infinit, di tempo smisurato, d'anonimo, ferite da viva nostalgia della materia, chiedon limiti, giorni, nomi Non possono viver cos, pi oltre; sono all'orlo del morire dell'ombre ch' l'assenza. Accorri, vieni meco. Tendi le mani, tendi loro il corpo. Per esse entrambi cercheremo

un colore, una data, un petto, un sole. Che riposino in te, sii loro carne. Si placher l'enorme affanno errante, mentre le stringeremo tra i nostri corpi con avidit, dove trovin la pace e il loro cibo. Infine dormiran nel nostro sonno abbracciato, abbracciate. E cos poi, nel separarci, nel nutrirci solo d'ombre, tra lontananze esse avranno ormai ricordi, ed un passato di carne e d'ossa, il tempo della loro vita in noi. E il loro sogno ansioso d'ombre sar il ritorno in questa corporeit mortale e rosea dove l'amore inventa il suo infinito. TUTTO SI CHIARISCE Al confine ti nasce dei tuoi venti un vago pensiero. Nube sembra dall'esser vaporosa; pi nube dal candore. Non s'intende; difeso da distanze in mistero velato. Il mattino, che ascende alla sua vetta, - splendore - a passo a passo, in contorni si gode ed in profili, ricusa gli enigmi. Ordina che lo spieghino, seguenti interpreti, gli spazi. Impetuosi s'innalzano, veloci flutti per decifrarlo. Li acceca il molto affanno: lamentoso rintuona il fallimento. Quali luci si scopron nella ressa? Quella breve del lampo. Tarda notti la notte ad esser alba, lenta la luce accade. Gia fronti pi serene, - onde -, onda per onda, lo vanno immaginando. Soave curva a soave curva l'affida, strada di ci che diafano. Dolcemente lo portano alla spiaggia dove attendono gli ampi fogli dorati il loro fato eletto: che giunga il testo magico. Gloria, rivelazione! L'onda ultima prorompe in bianchi segni. A un bagliore di spiaggia a mezzod non resistono arcani. E sopra terse lamine, la spuma adagio, a tratto a tratto, intero pone in chiaro quel ch' nato

pensiero oscuro. La luce volge incognite lontane a giubili immediati. TEMPO D'ISOLA I Chi con la voce mi chiama d'un uccello che pigola? Quale amore mi ama, quale amore m'inventa carezze, tra due arie celato, fingendosi brezza? La palma, chi l'ha posta - la palma che mi ventila con soffi d'ombra e sole dov'io volevo? La sabbia, chi ha levigato, s liscia, s liscia, perch a tratti lievissimi la mano mi scriva, d'amante che mai ho visto, d'amante nascosta, tra pudori di spuma, messaggi di ondina? Perch tanto azzurro mi danno senza che io lo chieda, il cielo che se lo inventa, il mare, che l'imita? Quale il dio che in un ottavo giorno mi tracci quest'isola, trocadero di bellezze, mercato senza brama? Qui terra, cielo e mare, in mercanzie di spuma, sabbia, sole, nube, felici trafficano; senza dolo s'arricchiscono, - purissimi lucri -, stelle danno per aurore, barattano meraviglie. Tempo d'isola: si calcola per magiche cifre; l'ora non ha minuti: sessanta delizie; passa aprile in trenta soli, ed un giorno un giorno. Chi, portandosi via le angosce, dette forma alla felicit? II Nessuno ti ama, o ti cerca. Carezze? Menzogna.

Nell'aria non c' amore; merli ci sono che fischiano. L'azzurro nessuno te lo d, grazia indivisa, bellezza a nessuno negata, a nessuno offerta. La luce per padrona non vuole nessuna pupilla; il sole nasce per tutti, ed in nessuno ha fine. E quell'amante misteriosa, fugace, intravvista, dai venti la silfide, dal mare la ninfa, giammai amante, l'amata totale. la vita. ANGELO SMARRITO Combatte tra la mia essenza e la mia essenza, in me: tutto mio. La mia anima, contro se stessa genera il nemico mortale dell'anima mia, mostro oscuro. Appena nata, e ode la voce sua di fiele, gialla, e si sente dai suoi occhi macchiata dove il male ordisce con sguardi penetranti come denti la mia intima devastazione giubilante, lo odia, lo odia, lo odia. Quanto son solo, quanto son solo col mio male! Ecco, lo vedo crescere, ingigantire, per le mani afferrarmi, penetrarmi per le labbra. So che dar dolore, che far danno, se tocco, se parlo; so che sono strumento del male ch'io non voglio compiere eppure lo consumo, ora, nella carne innocente che come mia quasi, tanto l'ho amata. Sono all'orlo d'essere ci da cui pi aborro: Caino di quel che amo. E allora t'alzi tu: angelo smarrito dentro di me. Che lotta! Tu solo, luce alata, sorgi come l'aurora,

certo della tua luce, in piedi. Luce, la tua spada; luce, il tuo scudo; acciaio il tuo respiro; la tua possanza ali; assenza, il tuo corpo. E tu, a lottare, con la tua luce celeste per la povera sua sorella derelitta, questa luce terrestre che ancora mi splende nell'anima. Io, povero corpo triste, di carne, tra le lacrime che mi bagnano il letto. Nulla posso, nulla. Non posso aiutarti, angelo, se non con quest'ansia del tuo trionfo in me, trepidante speranza. Povero campo cosciente della sua propria battaglia che altri combattono in lui, per lui, disperata! Ascolto rantoli rochi - son miei, non son miei? -. Convulsioni di male ferito mi lacerano. Di quando in quando gira dentro il mio essere il rumore impercettibile di una penna spezzata. Soffi d'angelo sento: lotta con luce, con soffi d'aurora. Davanti al suo respiro cantano pigolii d'alba. tregua, pace, vittoria? Chi ha vinto in me, chi si porta via la mia anima? Ed ora un grande silenzio, araldo del mio destino! E il destarsi, confuso. Son mie le mie mani, di nuovo. S'annunzia sulle mie labbra la voce che io voglio, di me. Un alito s'alza puro, antico, novello, come si desta un bimbo, pigramente e adagio e si stupisce a vedersi lindo come prima, ancor nella sua culla. Ecco mi arriva; un soffio, un vento che cresce, un vento che canta, che il petto mi gonfia. E grido: Salvo, salvo! Giubili e miracoli imbandierano il circuito

del mondo ch'io sono. Vittoria! Non la mia, io povero, io senz'armi. In me il trionfo, fausto, delle ali del mondo. Ora sono buono. Ora potrei vestire con le sue dita intatte lo stesso sogno, il sogno che mi vest nell'infanzia. L'angelo m'ha riscattato quel ch'io mi giocavo. E parliamo. Ma tu, dimmi, tu, perch mi servi, angelo? Io non so; mi comandano. Tu non mi piaci, tu sei goffo e opaco; il tuo corpo mio esilio. Io sono un servo, un angelo missionario. No, non mi devi nulla: questo il mio triste ufficio: lottare, salvar la tua anima, quando tu la condanni. Ma il mio diletto vagare nei miei cieli, senza zuffa n spada. Allora, chi ti manda? Tu pensa a chi t'ama e saprai chi m'invia. Io servo quelli che amano un amato incompleto che non sa vivere senza un aiuto fraterno. Io sono soltanto le mani che tende colui che ama all'altro, in sua debolezza. Le mani di chi ama con ansia vitale terminano in angeli. Finch un essere t'amer non ti abbandoner. Altro non dice. Si spegne sul suo trionfo. Guardo lo spazio inane e nella scia dell'angelo un volto mi sorride. E sento che mi salvo di nuovo, e nel salvarmi, tu ti salvi, con me. REGALO L'ozio il nostro mestiere. Chi lo dice? La mattina

tremula di voci che lo dicono, lo cantano: le voci dei felici che non fanno nulla. I due amanti novellini sdraiati sulla ripa apprendono la loro arte, amarsi, pian piano. Azzurro nell'azzurro si specchia, si scambiano gli occhi la loro scienza, e amore impara senza pena, guardandosi, soltanto. E d'accordo il sito erboso; innumerevoli i suoi steli, tenere verdi vocine, all'amoroso duetto fan coro in sussurri ondulando. Il vento spira cos immoto che sfugge alla schiavit e non giova al mulino laborioso. Accarezzare, s accarezza; muovere, s muove: dell'innamorata i capelli. Un'acqua chiara, che si sente e non si sente pi, librata tra suono e silenzio, dietro la scura albereta, brilla, e, appena brillio, si spegne. Scorre o non scorre? Se ne renda conto lo sguardo come gli piace meglio: se guarda in gi, acqua che scorre si muove; ma se guarda pi in su, quest'acqua scorrente non si muove, arriva. Ad ogni passo che compia la mattina al suo zenit, verit e ancora verit si diffondono nell'aria. Tutto si comprende meglio in riva all'ora meridiana. Alle domande del silenzio si dnno risposte molto chiare. Lavora il sole? Non lavora, esce, s'innalza, splende, rallegra. La farfalla, s'affanna? No, libera vola, gioiosa autrice della sua giornata. Il bosco non l'ufficio dei suoi giovani alberelli; pioppi felici, soltanto d loro un cmpito, per aprile, la primavera.

Questo ordina che facciano: metter le foglie nuove. Tanto commosso e felice, si sente il mondo, tutto attivo, e senz'ansia! Qualcosa c' che viene e che va, amore che guarda nello sguardo d'amore. E senza posa a tal punto, che non c' pericolo che trascorra, perch cos, andando e venendo, sta. Qualcosa c' che scorre e non fugge, l'acqua tra rami verdi, passaggi che ristagnano. Come? Non c' nulla che non si muova, e tutto vive in riposo? Come? Nulla immoto e tutto in calma? Come? Nessuno fa nulla, e ognuno, dall'alto sole alla zanzara, cammina o vibra o gode o canta? Come accade che cos, senza cercarlo, tanto bene si trovi, senza cercare? E premio d'uno sforzo? No, regalo della grazia. JORGE GUILLN

I TRE TEMPI Rapida la sera vibr come quelle d'allora - ricordi? intime ed immense. Era quell'aroma di maggio e di giugno con i benefici congiunti di fiori e di fronde. Fisso nel ricordo vidi come preservi, cuore pur assente dal sole, un tempo eterno. Le rose godute il tuo stupore accrescono, incessante in alto estasi al futuro. Di nuovo impazienti, le gioie trascorse su labbra con sete vanno da un Oggi a un Sempre.

SLANCI Sull'acqua Entrano i piedi nel mare che ondula e sfavilla: sull'acqua, luce pi bionda. A precipizio corre con tumulto d'oblique un'allegria che cade bocconi sulla spuma. L'infante alla sua voce s'arrampica; moltiplicata, balza acuta onda. Increspandosi lievita, totale ondulazione, un caos di salute che si crea la sua curva. Travolgente grido, assoluta vita senz'ombra n fine: creatura. Sull'erba Si getta il bimbo sull'erba un mare -, sulla freschezza morbida nuota gi. (Verso dove tante onde sotto il sole?) - Dammi i campi con il cielo, dammeli. Quanto mare su quest'erba, ah, ah, ah! Qui per tutti, ora, voglio di pi. - Dammi i campi con il cielo, dammeli. (Verso dove tante onde sotto il sole?) l'erba un mareggio di verit. Tra le mani del bimbo passa il mare. IL CIGNO Il cigno puro in mezzo all'aria e all'onda che esegue il suo candore, il difficile becco immerge e sonda l'indecisa armonia.

Acque stridule! Inutile ricerca d'un musico risalto: becchi illusi di prede coglie il vento che insegue levit. L'Agile vuole poi con la sua voce svolgere la sua curva. Ahi, stonato apprendista, solitudine in turba s' disciolta. Ma... Silenziosi i bianchi! Il loro accordo si esalta: il loro globo. Tutte le piume tracciano un sistema di silenzio fatale. Ed il cigno, continuo in una calma di corso trasparente, muta e assente contempla la sua anima, divinit del fiume. IL PIANETA VENERE Un treno: fischio, raffica. Lacerato il ponente! Lontananze fumeggiano. E in mucchio d'orizzonte calcinate s'ammassano le nubi di quel bosco. Pendono sulle fronde violenti, superbi imperii di carminii. Ardore insofferente, si semina oro in brace, gi tintinna il metallo. E il giorno? Luci corrono con giubilo aggressivo. D'esse la terra in ombra? C' sempre luce. Prossimo il cielo dona rive. Esce Venere. l! E il corpo dell'amore - femminile, celeste consoler la notte. LA LUCE SUL MONTE O luce sul monte, densa dello spazio solo spazio, deserto liscio: resto mondo alla soave difesa dell'ombra! La luce pensa colori con un affanno fine e crudele. L concorrono le sue unit felici, ostia di tinte immolata da un paradiso amoroso.

VERDE VERSO UN FIUME Passa vicino. Lo congetturo. Con esso cantano, e tra fogliami ancor pi sonori - non scendere in fretta! - ma senza trillo, gli uccelli. Pi fine il loro gorgheggio infuso in massa vegetale. Chi ritma la felicit? Discendi il monte molto adagio. Vieni. Preparati al pi bello. Vicina la corrente. VERDE AMORE Il fiume disegna un arco. Anzi, ci protegge nel suo asilo. Due orizzonti divide il nostro lento accostarci. Il battello si ferma. Terra! Celeste cielo esige un folto d'intimit. Sicura la promessa del verde fluviale! Verde amore. Il fiume si dona e perdura. BICCHIERE DI VINO Tieni, e coscienziosamente cerca d'indugiare nella fragranza di quanto qui ti versato a poco a poco: se salute, qualit. Giammai l'oscuro languore ostile al giorno di Dio! Il cielo s'allea con chi pu esser suo amico. Tale grazia reca con s tanta pia quintessenza. PRESENZA DELLA LUCE Uccelli intorno alle fughe dei loro voli in circoli! Uno splendore regge bene questi cieli plenari dell'estate, ma lievi per il brio di questa luce... Magia! E gli uccelli sprofondano velandosi nel volume

fulgido d'un blocco. LA TESTA Tenera pietra della fronte, battuta da tante onde! La mano indovina liscio il teschio imminente. Se dalla carnagione confutato il tatto nella sua congettura, perch la pelle felice segnala eccelsa bellezza matura - vertice del suo color vivo -, palpa il tatto l'osso gi morto. CIELO DEL PONENTE C' uno sfarzo furioso di finale. Per morire in trionfo la quantit propizia. Irrompe tra carminii un impeto animale. La meraviglia invade violenta e ci rapisce. CAMPOSANTO Giacente solo, non afflitto, non prigioniero, pacificato alla fine tra terra e ancora terra, lo scheletro senz'angoscia, soltanto osso con osso. Riposi in pace, senza di noi, sotto la nostra guerra. AFFERMAZIONE Affermazione, che fame: il mio istinto sempre infallibile. La terra mi strappa senza intermittenze questo s del polso, che verso l'essere mi piega, sagace. Non c' solitudine. C' luce tra tutti. Sono vostro. ARDENTE Quanti fumi di citt e di cielo, quanto ardore di crepuscolo! Nei sobborghi si perdono i pi fragili azzurri solitari. Si stremano deliri gialli su rive d'angoscia. I carminii lanciano verso torri nubi irresistibili. Splendore fino allo scandalo, garofano, celeste addio!

PROFONDO ANNOTTARE Giubilo. Palpita con un battito crescente la magnolia. I tetti vanno cedendo al verde, nobile!, sera e uccelli. Tra foglie, ombra implorano mormorii d'invisibile inquietudine. Con palpito di cuore velato palpita l'albero, ormai tranquillo. Che accade, dunque? Un al di l si crea con tenerezza e notte. SOLE CON FREDDO Si sparge dentro un'aria giovanile una brezza di freddo. Pi giovanile ancora, gioviale, scorre il freddo sul sole mentre corro. Attraverso tersissima freschezza m'inebrio in limpidezza di creazione. L'intelligenza gi felicit. Boccata di grazia come un freddo di luce - respirato. TERRA E TEMPO Gran presente: meseta di secoli ove nasce la luce dei balconi in aroma e paesaggio. Qui sento il mio tesoro. Con il fiume spartisce la sua gioia di andare. Alveo, alveo, il mio alveo. (Chi sono questi vaghi incogniti sembianti? Tra loro si capiscono la valle e il mio silenzio). Io conosco bellezze s vive, s reali, che solo qui ne ottengo la parola, la chiave. Ti aspiro fatalmente come il tuo pioppo all'aria, patria fatale. Io sia veramente. Proteggimi. GUERRA NELLA PACE

I Piazza, le sue colombe; vecchi sulle panchine. E le gotiche pietre, grigie ormai, nerastre: tempio d'ora. Passa vicino il traffico rotante. Stride la gran citt, s'affretta, e rombando non cessa di donarsi, promettere creato un nuovo mondo. Collabora perfino il gatto ozioso, vaga nella sua zona soleggiata, ad arricchir le luci e la promessa della splendida citt che aspira ad essere perenne. Guardate l'aria. Non vedete nulla? Attraverso la luce, vertiginosa nell'immota calma, non sentite un tremore incoerente? Vaga minaccia spunta senza limiti. Temer se stessa? E trema nello spazio mattutino, ignaro forse sopra questa piazza con vecchi e qualche bimbo, e forse l'indovina nelle strade di rumore e d'affari. Ecco, vedete? Trema. Non s'azzarda? S'attenta, si denuda, tutti minaccia la Minaccia. Galleggia, scende, vaga, si fissa nei vocaboli, pazza in fuga o esile svapora nel vento verso il sole. Minacciante sparita. Guerra, guerra. La guerra con massima cautela sussurrata presso parecchie cattedre. La guerra, sillabata con la solennit ben vigilata. Ahi, la guerra... Ronzante, mostruosa zanzara, con asprezza di erre, erre, erre Guerra, guerra sull'ali, e ritorna, persiste. Incubo d'ogni spirito ch' desto, intermittente, perfida, galleggia. Guerra, guerra, in un forse, guerra, guerra. II Ma, chi minaccia? Chi il nemico universale? Del protettor benefico si vede solamente la maschera pacifica.

Qui gli apostolici. Qui i fedeli al futuro, senza tregua. E se si fucinasse un cataclisma dentro i rulli dei tuoni sopra le nostre teste d'innocenti... Fatale cataclisma da un tempestoso Iddio tramato? Geova, Geova ci arruffa la Storia, lontana dalle nubi? Uomini esperti, uomini sagaci nei loro uffici, nei laboratori, intorno a tavoli e mappe preziosamente limpidi, uomini sottomessi a un ingranaggio, ligi al dovere d'ogni giorno, ordiscono - non c' tragedia - con sottigliezza grigia. Oh candore, candore! Il tecnico nient'altro fa: obbedisce. Chi gli consegna gli ordini terribili? Una studiosa fronte sopra numeri medita. gi tardi. Illumina la luna quell'insonne e dalla carta ascendono i problemi - problemi! - e le impassibili lor formule, n lacrime n pozze, non un solo dolore, elegantissimi. C' dramma? Quel profano, in una via qualunque, figurina qualunque in qualsiasi ora, tu ed io, tutti gli altri s, sanno, s, sappiamo. Assoluto l'orrore. Cadaveri, cadaveri, cadaveri. III All'atomico Satana siam tutti sospesi, al suo squallore idrogenato. L'assurdo che deflagra con impeto di bomba. E s'arrendono gli esseri a una luce invisibile, che mutandosi in fumi senza vivi tritura la materia a questa riva possibile del nulla. Riva con spettri, e poi difficilmente terra triste, terra tra moncherini, e sue notturne briciole, sua polvere: duna d'un prosciugato mare sotto

un grigio di teschi aboliti, calvario d'un'assenza inventata dall'uomo. Perch, per chi? Per il nulla medesimo, imminente, molto accosto allo strepito e ai lamenti naufragati in notte, in gas, in nulla? Sommo dolore illimite, un dolore superfluo, senza luce. Rottura d'universo. La Terra sar un astro della stoltezza tragica? Si fa voce un clamore nei silenzi congiunti. Mutevole, s'oscura la Minaccia sotto il sole: un'aggiunta di nube governata. Impersonale, anonima? Oppure da un balcone scatenata contro il coro dei vivi, contro te, contro me, contro i molti clamanti in tacito clamore! Sono i pi. E non parlano. Sono i pi, son gli onesti, ai pochi sottomessi, agli invisibili, ai molto pochi. I maghi? IV Sta a guardare un viandante verso i cieli belli che un ordine proclamano e intravvede l'errante nuvolone che aumenta, che decresce. Decresce? non s'estingue. Ecco, s'inarca la sua minaccia. Cos bisogna vivere? S, vivere bisogna, giornalmente, come dimenticando e ricordando, distratti, attenti, senz'alcun profeta. Marcia in fretta il rumore in queste strade, presso la piazza nobile di gotica bellezza, e panchine nell'ombra, e un poco di mattina soleggiata per i giochi dei bimbi sopra vetta d'istante. Feroce, feroce, la vita, dietro la sua speranza sempre. IL SANGUE AL FIUME I

Lotta , lotta civile, una lotta ancorata ad un qualcosa di pi profondo e pi nobile della pace, sotto pace difficile giaceva, sotto tanto gravame che una sera, una sera di sabato... Sappiamo l'accaduto. Non varrebbe la pena raccontarne la storia a chi giammai la oblia. Il lugubre ricordo recalcitra ad uscire dall'indolente ormai - s dolente il midollo - sonnolenza. Nondimeno, il dolore cerca l'aria. Silenzio. La memoria non dorme bene. Insonne, con assillo notturno, esige chiarit, parla forse alla luna. II Il sangue giunse al fiume. Erano tutti i fiumi un solo sangue e per le strade di soleggiata polvere - o di luna olivacea scorreva in fiume sangue limaccioso, e dentro le invisibili cloache la piena sanguinosa era umiliata dalle feci di tutti. In mezzo ai sangui tutti sempre uniti, uniti in una rete di paura. Anche chi uccide macro di paura e l'atterrito volto impallidisce alla calce dell'ultima parete come il sembiante di chi s puro che uccide. Increspandosi in vento soffia il crimine. Lo sentono le spighe dei frumenti, lo avvertono gli uccelli, non lascia respirare il transitante n chi ancora nascosto; non petto che non soffochi: possibile bersaglio di possibile pallottola. I morti, innumerevoli. Odii trionfanti scricchiolano degli ancora superstiti. Attraverso le fiamme si vedono rifulgere chimere, verso un vuoto mortale clamano dolori dietro dolori. Persuasi, solenni se son giudici di terrore con volto di giustizia, in baraonda di missione e crimine molti si scaraventano al fal,

avvivato con rabbia da un sol vento, ed arde infine il vento sotto un fumo che forse non ha senso per le nubi. Senza senso? Giammai. Orrore cos grave non assurdo. Nelle vicissitudini di fatti - generosi, sublimi, tenebrosi, feroci vocifera la crisi il suo discorso d'inganno o verit, la Storia si va aprendo la sua rotta, l pi ampia, a un futuro sconosciuto, atteso da speranza, da coscienza di tante, tante vite. III Sulle utilit, sulle passioni, per entro i conciliaboli ed i calcoli brilla un'idea in fronte al combattente. Il pi gran criminale si giustifica, davanti a s, tra s, con le ragioni espresse nel silenzio pi profondo del farfugliare emesso da voci e altoparlanti. Chi giusto non si giudica, chi non si sente giusto fino a morte, la propria morte o quella del nemico, incalzato altres dalla giustizia, una giustizia immensa tra cadaveri? Tremenda Buona Fede discordante, errabonda con farse e con rancori, i rancori pi opachi. E al di sopra, raggiante, la Causa. Doppia Causa in conflitto irriducibile, doppia faccia d'un Giano che agonizza ansante, ansante. Ansima ancora? E in mezzo ai morti colui che ancora vivo va orientandosi. Le rotte si rischiarano. Mute perorazioni e le retoriche, il vero vivere conduce alla ragione per il suo cammino. La verit procede giorno per giorno, tra l'acqua e la sete, tra pane e fame, per entro il vento libero e assolato o sopra grate, muri e chiavistelli. Malgrado tanti inganni, cosa c' di visibile? Complice di nessuno, sotto un sole non ufficiale, oscure macchie, oscure, distende la miseria sopra molti di vecchia e nuova floridezza.

Libert, per che cosa? Estinta, ormai lontana tanta lotta, nel quotidiano vivere continuo sta la pace: il delitto della pace. IV La quotidiana vita vera non mente, si denunzia. Il tempo implacabile scorre, con ferocia, tempo grave di Storia: gli anni da un popolo perduti senza un'Orsa. Anni perduti? No. L'orizzonte: caligini del Nulla. Si arriva al Nulla? Frontiera inaccessibile. La vita con la sua voracit, infaticabile, duttile aspetta, torna ai suoi costumi, tra resti di rovine ruchetta d'oro spunta, che senza enfasi dice... Storia. La Storia resta aperta. Uomini, e ancora uomini, pi uomini. Come minuti i secoli. E i millenni. IN MARGINE A RADNTI Ultima resistenza: poesia Soltanto alcuni uomini possono, minuziosi, tanto umiliare l'uomo, ridotto ad esser pasta d'una massa soltanto con diritto alla propria agonia. Ebrei sono d'un lager, una tina dove fermenta inferno. Battaglia? Si distruggono gl'inermi. Ed ecco ancora, dopo diversi anni d'abominio quei che non pu neppure camminare: lo vince estenuazione. Conserva nelle tasche alcuni fogli dove annota vocaboli. Ordine - vero - del poema! Ivi si sta salvando la creatura d'amore che scrive ancora davanti alla morte. Ormai la morte un fiore di pazienza. Sopporta l'anima. Il corpo svigorito non pu continuare. Gli s'impone di scavar la sua fossa. Bene! Uno sparo alla nuca. Nessuno bada. Cadavere coi suoi versi, vivi.

Mikls Radnti, Ungheria 1909-1944 MARINA DI PINTO (Napoli) Era dolce, ridente, deliziosa. La vita traboccava dalla vita. Viveva giovinezza e la spartiva. Bellezza forza. Pungola amorosa. Le ore, di volubile fortuna, all'aria danno luce, chiaroscuro. Il turgido presente va a un futuro che pu essere tutto oppure nulla. E d'improvviso accadde assurda sorte, dell'universo imperio casuale. Dopo azzurro mareggio il maestrale e, come rima, sempre pronta morte. E quella giovinezza - in armonia col sole, con il bene ed il concerto dell'Ordine - a un giardino and deserto. Fiore in fossa. La sorte che delira. E noi... La nostra pena infine cinge i suoi ritiri, ove chi fu perdura consolando il vivente con dolcezza. Continua amore a dir la sua parola. GERARDO DIEGO

SALUTO ALLA CASTIGLIA Nell'acqua fredda della catinella ti saluto, Castiglia, nell'acqua e al taglio vitreo del mattino. Ti riconosco, madre, senza uscire di casa. Ti riconosco dalla lastra di rosa e dal muro levigato. Cantano con vigore i galli petulanti, cantano con vigore come quelli del Cid in Cardea l'antica. Nell'aria un grato aroma secolare, un aroma disteso su spazio e tempo come il ritmo del mare. Senza uscire di casa, Castiglia, ti riconosco. T'ho indovinata, o madre, dalle frittelle d'oro e dal tuo spioncino. Ed aprendo il balcone, oh meraviglia! quasi grido esultante di Colombo: Castiglia! Castiglia!

LAMPADA Mattonelle nel grembo dei tempi La lampada fiorisce tutti gli inverni Dalla sua carne rosata esala l'aroma dei sogni silvestri Un uccello indefesso schiude il volo in cerchi concentrici Qualche idolo infranto dorme in un angolo E il pendolo impiccato tocca coi piedi il pavimento CHITARRA Vi sar un silenzio verde tutto fatto di chitarre strecciate La chitarra un pozzo con vento invece di acqua VENTAGLIO Il valzer piange al mio occhiello Silenzio Sulla mia spalla s' posato il sogno con l'uguale tremor delle sue trecce VASSOIO Nient'altro Lasciare la testa sul comodino e dormire col sonno di Oloferne SEMPRE APERTI I TUOI OCCHI Sempre aperti i tuoi occhi (molte volte fu detto) come un faro. Ma la luce che esalano non riversa il suo fiotto sui naufragi. Asciutto, pur ignudo, vo derivando lidi dal tuo raggio. Son io che giro come satellite calamitato. Dimmi. La luce mia - tua - che rendo, di che ti sa, defunta nel tuo grembo? Pu la tua luce accrescere

questo lume selenico distante? MA TU NON TEMERE Ma tu non temere. Ciascun anno del futuro mi recher - minuscolo trofeo una ciocca di capelli nel pugno. E nient'altro? S. Le piccole stelle spegnere si dovranno ad una ad una. E vogando in un mare breve d'olio la pi fedele vegli il mio sepolcro. AUTUNNO Donna folta di ore e dorata di frutti come il sole del passato L'orologio dei venti ti vide fiorire quando nell'antica sua gabbia si strappava le penne l'occaso caparbio L'orologio dei venti sveglia d'uccelli natalizi che ha fatto il giro del mondo e tesse giochi d'acqua negli avventi Dai tuoi occhi la sabbia cola in un fiume sterile E tante le farfalle svagate nel tuo sguardo perite che pi nulla rischiarano le stelle Donna coltivatrice di semenze e d'aurore Donna in cui nascono le api che fabbricano le ore Donna puntuale come la luna piena origine dei venti Apri la tua chioma ch vuoto e senza mobili t'attende il mio alveare BCQUER IN SORIA Dal cantabrico mare che cinge la mia infanzia in elastici cerchi boreali, non all'alpestre Soria, eroica ed eremita, ma alla Soria dei lirici, erranti, aperti sogni salii di Bcquer, il celeste paria burlato da una chiara fantasima bizzarra. Povero Gustavo Adolfo, eroe delle tue leggende, innamorato d'un raggio di verde luna - donna, essenza, sogno? - che ti schiva e si perde in mezzo ai tronchi creduli, pei candidi sentieri. La tua Soria pura, Bcquer, con te sul cammino

musicale del cavallo che a Veruela ti porta. Se volgi la testa, scorgi il giallo molare del castello - s lungi - vespertino. Il tuo fantasma, gi figura - donna di pietra -, veglia nell'augusta navata del tempio bizantino. Gi il monte del Purgatorio ti sommerge la cima. Or neppure il castello emerge al suo orizzonte. Perch chiudi gli occhi? Cos, scorgi meglio il Duero? Taci. Lo senti? Avanza dai poderi dei Templari, salta agile la chiusa, piega il suo alveo fuggitivo; con volont sonora limita, caccia, lustra, e ride e piange. Poeti andalusi che in Soria sognaste un sogno sconfinato; tu, Bcquer, e tu, Antonio, buon Antonio Machado, che qui nascesti all'amore e inaugurasti la croce del dolore, di morte... Dal cantabrico mare, come voi, anch'io salii a Soria per sognare. CONDIZIONALE Se schiacci come un uovo un orologio abbandonato dalle ore cadr sulle tue ginocchia il ritratto di tua madre morta Se strappi quel bottone ombelicale del tuo gil quando nessuno l'osserva tra le foglie vedrai chiudersi ad uno ad uno gli occhi delle spugne Se appuri a furia di contemplarla lungamente il mareggio senza spuma d'un'orecchia amata ti si illuminer la met pi intima della vita Se netti questa sera un arancio con le dita inguantate a notte la luna cauta passegger sulla riva del fiume raccogliendo anelli di vedove e disegni di molli crisantemi Se ami per caso godere dell'ultimo privilegio dei rei di morte e degli agnellini non dimenticare di spuntarti le tue aurore pi pure e le tue unghie pi fedeli Non dimenticarlo E LA TUA INFANZIA, DIMMI E la tua infanzia, dimmi, dove sta la tua infanzia? perch io la voglio. Le acque che bevesti, i fiori che calpestasti, le trecce che annodasti, le risa che perdesti. Com' possibile che non fossero mie? Dimmelo, sono triste. Quindici anni, soltanto tuoi, e mai miei. Non mi celare la tua infanzia.

Chiedi a Dio che ci rifaccia il tempo. Torner la tua infanzia e giocheremo. INSONNIA Col nudo sonno tu. Senza sapere. No, non lo sai. Tu dormi. Ed io che veglio e tu, innocente, dormi sotto il cielo. Tu nel tuo sonno, navi per il mare. In prigioni di spazio, chiavi aeree ti serrano reclusa, altrove. Gelo, cristallo d'aria in foglie. Non c' volo per le mie ali che ti possa prendere. Sapere che tu dormi, ormai sicura - alveo fedele d'ozio, linea pura tanto vicina alle mie braccia avvinte. Sgomenta schiavit dell'isolano! Io, insonne, folle, su per i dirupi, le navi per il mare, tu nel sonno. RIVELAZIONE A Blas Taracena Era in Numanzia, al tempo che declina la sera del solenne agosto e lento, Numanzia di silenzio e di rovina, anima in libert, trono del vento. La luce si fletteva a una vetrina trasparenza, a un perenne svanimento, diafanit d'assenza vespertina, apprestando l'attesa del portento. Subito - dove? - uccello senza lira, n ramo, n leggio, canta, delira, si libra in cima alla sua febbrile doglia. Un palpito di Dio vivo stillava su noi, riso e loquela franca e spoglia. E l'uccello, sapendolo, cantava. STANZA DA BAGNO A Eusebio Oliver Quale luce di sabbia al mezzod, che salmastro, che tonfi, presso, lungi, se, tra spume, metalli ed ambrogette, Venere torna alla mitologia. Conchiglia in porcellana, il bagno affida il suo parto all'amor lungo di specchi, che, abbagliati, accecati di riflessi, si velan d'un rossor di nebbia fredda. Ed ignuda la dea, ecco, fragrante. Traspira la sua pelle dolce nimbo e nell'aria si libera e dimora.

Venere, schiva nel suo velo, fugge. L'anima sua svapora negli spazi, e solo - oblio - un rubinetto piange. SUCCESSIVA Lascia che t'accarezzi lentamente, ch'io possa lentamente esaminarti, che davvero tu sei, quell'adeguarti di te stessa a te stessa estesamente. S'irraggian dalla fronte l'onde lente, e docilmente, pur senza incresparti, rompon le dieci spume nel baciarti dei tuoi piedi alla spiaggia adolescente. Cos ti amo, fluida e successiva, sorgiva tu di te, acqua furtiva, musica per il tatto neghittosa. Cos ti amo, in piccolo volume, or qui or l, frammenti, giglio, rosa, poi conclusa unit, dei sogni il lume. LA MORTA A Jos Hierro Visse anni quaranta Stamattina l'hanno trovata morta Dimenticati a terra un compasso una squadra carte da gioco intatte e penne color fuoco Fra le due punte l'orizzonte teso sconfinato orizzonte pare stanco di mordersi la coda invadendo l'intera vita giace stecchito e naviga una luce beccheggiando sempre per la sua rotta chiedendo lumi al vento Come cresce la morta come stira come si stira fino ad esser lei stessa la propria tubatura la propria fognatura conduttrice La morte l'estensione l la morta la morta l'estesa da oriente ad occidente Leghe e leghe di morta camminiamo camminiamo e giammai arriviamo alla porta alla porta d'uscita Il traguardo degli anni d'altra parte s'abbrevia e si contrae Venti dodici quattro gi i quaranta Come si contraggono i panni del contrattempo come si contraggono i ricci degli anni subito mesi appena ormai neppure giorni Trasalimento di candela che ritorn a dormire al soffio del teatro

E la morta in silenzio di catene salpa e prende a navigare GREGGE L'abolizione del petto tra due lamine di mica il decreto pi importante del nostro pallido secolo C' una pace sotto le foglie che autorizza il ristabilimento delle pi temerarie costellazioni Segnali di materia tersa scambiano le loro norme creatrici e il calore delle ascelle emigra verso climi pi decisamente propizi Quale angelicit la nostra tutta ali Fievole il battente rintuona sul costume ed ecco la nuova luce la nuova iniziativa Tutte le macchie macchiano da destra a sinistra e la scrittura d'amore erompe da sotto in su Venite qui a chiudere le vostre pecore qui dove ai suoi tempi s'innalzava un tumulo marcato con la sinopia trapassato dal respiro d'una bocca senza lingua Venite qui a studiare le lane del desiderio e il belato illimite che regno senza Orfeo e ad ascoltar le rane che chiedono poetessa le rocce che smarriscono il loro cuore d'eco ed il vuoto che vola di gil in gil Datemi un candore di vello e tenero mantello e io vi dir quanto vale una pena bianca la pi penosa pena di questa vita IL FRANCOBOLLO Ha l'universo i suoi orli dentati tutto d'un color nuovo stranissimo d'un ignorato nome filatelico L'universo volle baciare Iddio e mentre un volo d'angeli passava rimase incollato alla guancia del pi lento dall'ali crestate di fuoco L'ARIA NON PROPIZIA L'aria non propizia per imprimervi guance Sbiadirono le frecce che indicavan la strada pi copiosa di uccelli per quelli che agonizzano Si trascinano al suolo nuvole senza cuore e alla gola s'arrampica l'impostura del mondo Non l'aria propizia per cantar le tue labbra la nuca in disaccordo con le leggi di fisica n il tuo seno d'interna geografia affettuosa Le forbici gorgheggiano meglio delle calandre

e non tornano mai se risalgono a volo e qui presso di me tre libri s'avvicinano aperti al foglio dove si spegne una regina Quale dolce risveglio dell'amore che esiste e che chiara esistenza dell'occhio che s'addorme velato dalle ali remote, delle palpebre Petali di defunti sguardi piovono piovono una pioggia perpetua. I piedi seppellendomi e le ginocchia e il ventre la cintola le spalle Ecco vivo m'interrano ecco vivo m'interrano L'aria non propizia per sognare di te IRIDE A Jos Filgueira Valverde Iride apocalittica s'incorpora nella pietra dell'estasi totale; succhia in piedi-radici linfe d'onda e in nimbo e luce si propaga e arriccia. Ascoltate, ascoltate: un'arpa ammalia. Asse di carro e diafonia profonda che da giga a salterio salta e sonda e in ruota di pianino si perpetua? Gaud di pellegrini e d'evangelo fan nido l'archivolto, ed ogni aurora volan come corone in perielio. Oh musica radiale, acrona cifra, aspra e dolce, di panno piega azzurra, giallo stridore che fa d'oro l'aria. ALLEGRIA L'allegria nel mondo, la celeste allegria nell'aria, l'allegria. Nulla v' che non aneli e non sorrida, nulla che non s'azzardi e non scommetta. La banderuola freccia. In bilico. Agreste. Guardala come aguzza caparbia. Quanto sta fissa sul ferro che stride, come s'appunta, schiava, sul suo nord-est. Rondini mattiniere, le zampine a vicenda s'incalzano, si sfiorano con guizzi, strisci, planate per veroni, campanule, scivoli. Le labbra, staccate, non si riprendono, ormai si dimenticano, non baciano neppure. Questo lasciano agli occhi, pi felici. LA TUA ESSENZA L'alba una spugna e cancella la lavagna dei sogni senza meta.

Quanto arduo raccontare i sogni fuggitivi con parole sveglie. Restarono solo filacce di nebbie che al nuovo sole s'affilano, dileguano. Ed erano nondimeno; esistettero reali, coerenti i sogni. Erano fiori stanotte. Eri anche tu tra essi, facevi parte. Confidenze silvestri della montagna ritrosa, gialle, azzurre. Io masticavo calici, sui miei polpastrelli brillava un polline verdeoro. E una freschezza sulla lingua mi rivel d'improvviso la tua essenza pi profonda. LE MIE LABBRA Talvolta, quando parlo, tu al mio fianco guardi la forma pura delle mie labbra, segui le ali della loro curvatura, me le vai modellando, a grado a grado. Io ti avverto e il mio volo appassionato si regge sulla tua brezza e sull'alto per rampe a spirale ascende, e attesta - senza guardarti - il tuo spiro innamorato. Le mie labbra serie d'innocenza appuri e in una delle loro pieghe - neppure si nota ti occulti - leggerissima -, ti stendi, cos senza peso, senza gravame. Su, su, labbra di cuore: il gabbiano e la sua ombra nel mare alla deriva. NOTTE DI SAN LORENZO Fiamme erranti: questa la vostra notte, la vostra epifania, il vostro trionfo. Anime visibili siete nel tragitto dal purgatorio al cielo? O siete potatura d'angeli rossi che l'inferno allaccia nei suoi forni incandescenti di memoria? Stelle vi chiamarono, oh illusoria fantasia, oh scialo di anime grandi. Non siete stelle, no, incrollabili rigate con le vostre unghie le chiuse dimore di questo duro firmamento. Carboni, braci, scintille di graticola? Scintille del mio amore siete ad erpice,

crini erranti del mio pensiero. MANO NEL SOLE Mano nel sole, la tua mano trasparente. Ricordi? Oh prodigio. Da rosea eternit trapassata, trasfigurata, era incandescente lampada o gabbia. Tu la guardavi. L'intera immanenza ti diventava reale di alto trionfo. Angelo eri, angelo senza spada? No, se questa aurora carne. Il sole non mente. Futuro paradiso di falangi, d'alabastri, vetrate, losanghe, la tua mano, senza morire, la tua cifra. Scheletro di dogma, il sole cristiano. Diafano l'essere, stai guardando la tua mano. (L'altra nell'ombra.) Cantale, poeta. LA LUCCIOLA La lucciola accende la sua luce verde ed subito un racconto di fate la verdura, palazzo della verza che sprofonda ed arriccia saloni, echi morsi dal riflesso. Un momento appena, ch'io possa ricordare: dove vidi io questa luce che cos ammalia, questo verde di stella che s'accuccia, acquistata dalla terra e perduta dal cielo? Fu in un viaggio d'acquario in fondo al mare, fu in un pozzo di miniera d'Aladino in cerca dell'oro verde, dello smeraldo? Lascia che ricordi, limbo o cielo. Fu al ritorno dal faro e sui miei capelli di bambino ardeva. Conservala nel tuo grembo. LA VENERE DELLO SPECCHIO Pensiamo alla morte innamorata la morte che la schiena della vita o il suo petto forse, andata o ritorno, ch nulla sapremo finch non l'abbracceremo. Noi crediamo che la vita la nostra amata, che la baciamo sulla fronte intrepida e che dietro c' una nuca scavata che la mano distratta accarezza. E viviamo forse di fronte a un nudo, a una spalla bellissima o a uno scudo, la Venere dello specchio della morte. Pi in l, nel fondo, i suoi due occhi brillano di malizia o d'amore, ci crivellano. Oh Venere, vieni, voglio possederti.

DAVVERO? Ti servono davvero le mie rime? Ti dan cibo, coraggio, nelle terse tue oscure solitudini squisite - tu, vortice, epicentro, climi in frane -? Quando t'alieni e senza te t'insinui e l'intimo tuo vuoto hai smascherato e non odi la pietra che hai scagliato gi per l'anima all'imo dei tuoi abissi, i miei versi potranno rivolare nelle concave spiagge tue interiori? potranno accarezzarti, alzarti un cielo, accenderti un tremore di rossori, sussurrarti dolcissimo un assillo di sillabe fiorite, e tu ne pianga? AUTORITRATTO Tutto quel che porto dentro sta l fuori. diventato - fedele a se stesso la mia evidenza. I miei pensieri son monti, mari, selve, blocchi di sale accecante, fiori lenti. Il sole attua i miei sogni, me li crea, e il vento pittore, errante, - luce, tempesta lustra, vernicia i miei oli, i miei poemi, e il crepuscolo e la luna li ventilano. Potete toccare con le mani la mia coscienza. Potete godere con gli occhi - nero e seppia i colori ed i toni delle mie pene. E quel che il labbro vi sfiora, nebbia o seta, il mio amore - fiori o uccelli che svolano i miei amori, creature libere, sciolte. Tutto quel che fuori dorme, resta o passa, tutto quel che odora o sapido suona o canta, meco nell'intimo diventa vivo viscere

oscuro e distinto, sogno e anima. Se poteste trafiggermi rimarreste stupiti. Tutto sta qui, sta qui addormentato. Disegnato ho nel mio sangue e nel mio corpo corpo e sangue della mia patria. Luci e luci di cielo, cose sante. Tutto quel che sta qui dentro stava fuori. Tutto quel che sta l fuori dentro inciso. L'universo infinito m'avviluppa; auscultatemi, sono il suo carcere senza finestre. Ascoltatemi, dentro, fuori, dove vi piace. I miei pi intimi segreti li proclamano nell'aria e li cantano. FEDERICO GARCA LORCA

ALBA Aprile 1919 (Granada) Il mio cuore angustiato avverte alle prime luci la pena del suo amore e il sogno di lontananza. La luce d'aurora reca una vena di rimpianti e la tristezza senz'occhi del midollo dell'anima. Il sepolcro della notte innalza il suo nero velo a occultare nella luce l'immensa cima stellata. Che far su questi campi raccogliendo nidi e rami, circondato dall'aurora e piena di notte l'anima! Che far se gli occhi tuoi hai morti alle chiare luci e mai sentir la mia carne il calore dei tuoi sguardi! Perch ti perdei per sempre in quella limpida sera? Oggi il mio petto arido come una stella spenta.

CONSULTAZIONE Agosto 1920 Passiflora azzurra! Incudine di farfalle. Vivi bene nel limo delle ore? (Oh poeta infantile, rompi il tuo orologio!) Chiara stella azzurra, ombelico dell'aurora. Vivi bene nella spuma dell'ombra? (Oh poeta infantile, rompi il tuo orologio!) Cuore azzurrognolo, lampada del mio letto. Palpiti bene senza il mio sangue cpido d'armonia? (Oh poeta infantile, rompi il tuo orologio!) Vi comprendo e ho cacciato in un angolo del mio canterano l'insetto del tempo. Le sue gocce metalliche non s'udranno nella quiete della mia cameretta. Dormir tranquillo come dormite voi, passifiore e stelle; la farfalla alla fine voler nel flusso delle ore mentre nasce sul mio tronco la rosa. PAESAGGIO Il campo di ulivi s'apre e si chiude come un ventaglio. Sopra l'uliveto v' un cielo sommerso e una pioggia oscura d'astri gelati. Tremano giunco e penombra sulla riva del fiume. L'aria grigia s'increspa. Gli ulivi son carichi di gridi. Uno stormo d'uccelli prigionieri,

che muovon le lunghissime code nel buio. PAESE Sul monte pelato un calvario. Acqua chiara e ulivi secolari. Nelle stradine uomini intabarrati e sulle torri banderuole che girano, che girano eternamente. Oh, paese smarrito nell'Andalusa del pianto. ALBA Ma come amore i cantori son ciechi. Sulla notte verde, le saetas lasciano tracce d'iride calda. La chiglia della luna solca nubi violette e le faretre s'empiono di rugiada. Ahi, ma come amore i cantori son ciechi! LE SEI CORDE La chitarra fa piangere i sogni. Il singhiozzo delle anime sperdute sfugge dalla sua bocca rotonda. E come la tarantola, tesse una grande stella per irretire sospiri, che fluttuano nella sua nera cisterna di legno. RITRATTO DI SILVERIO FRANCONETTI

Mezzo italiano e mezzo flamenco, quale il segreto del canto del grande Silverio? Il denso miele d'Italia, col nostro limone, fluiva nel pianto profondo del siguiriiero. Terribile fu il suo grido. Dicono i vecchi che si rizzavano i capelli e si rompeva lo stagno degli specchi. Passava per i toni senza spezzarli. E fu un creatore e un giardiniere. Un creatore di pergole per il silenzio. Ora la sua melodia dorme con gli echi. Definitiva e pura, con gli ultimi echi! MEMENTO Quando io morir, seppellitemi con la mia chitarra sotto la sabbia. Quando io morir tra gli aranci e la menta. Quando io morir, seppellitemi, vi prego, in una banderuola. Quando io morir! QUATTRO BALLATE IN GIALLO I Sull'alto di quel monte c' un alberino verde. Pastore che vai, pastore che vieni. Uliveti sonnolenti calano al piano ardente. Pastore che vai, pastore che vieni. Bianche pecore non hai, n cane n vincastro n amore. Pastore che vai.

Come un'ombra dorata ti dissolvi nel grano. Pastore che vieni. II Era la terra gialla. Linello, linello, pastorello. N luna bianca n stella lucevano. Linello, linello, pastorello. Bruna vendemmiatrice taglia il pianto della vigna. Linello, linello, pastorello. III Due buoi rossi sul campo d'oro. I buoi han ritmo d'antiche campane e occhi d'uccello. Nati per le mattine di nebbia, eppure forano l'arancia dell'aria, nell'estate. Vecchi dalla nascita non hanno padrone e ricordano l'ali dei loro fianchi. I buoi sempre vanno sospirando sopra i campi di Ruth in cerca del guado, dell'eterno guado, ubbriachi di stelle a ruminarsi le lacrime. Due buoi rossi sul campo d'oro. IV Sul cielo delle margherite cammino. Immagino questa sera d'essere un santo. Mi misero la luna nelle mani. Io la riposi di nuovo negli spazi e il Signore mi premi

con la rosa ed il nimbo. Sul cielo delle margherite cammino. Ed ora me ne vado per questi campi a difender le ragazze dai giovanotti cattivi e a dare monete d'oro a tutti i fanciulli. Sul cielo delle margherite cammino. PRIGIONIERA Sui rami indecisi andava una fanciulla che era la vita. Sui rami indecisi. Con uno specchietto rifletteva il giorno che era un fulgore della sua fronte pura. Sui rami indecisi. Sulle tenebre andava sperduta, piangendo rugiada, prigioniera del tempo. Sui rami indecisi. LA PIETRA VUOLE ESSERE LUCE La pietra vuole essere luce. La pietra ha nel buio fili di fosforo e luna. La luce non sa che cosa vuole. Nei suoi limiti di opale, trova se stessa, e torna. BILANCIA La notte quieta, sempre. Il giorno va e viene. La notte morta e alta. Il giorno con un'ala. La notte sopra specchi e il giorno sotto il vento.

CACCIATORE Pineta alta! Quattro colombe nell'aria. Quattro colombe volano e tornano. Sono ferite le quattro ombre. Pineta bassa! Quattro colombe sulla terra. FAVOLA Unicorni e ciclopi. Corni d'oro e occhi verdi. Sulla scogliera, in ressa gigantesca, illustrano lo stagno senza vetro del mare. Unicorni e ciclopi. Una pupilla e una virile potenza. Chi dubita dell'efficacia tremenda di questi corni? Nascondi i tuoi bersagli, Natura! AGOSTO Agosto. Controluce a un tramonto di pesca e zucchero. E il sole all'interno del vespro, come il nocciolo in un frutto. La pannocchia serba intatto il suo riso giallo e duro. Agosto. I bambini mangiano pane scuro e saporita luna. ADELINA A PASSEGGIO Il mare non ha arance, Siviglia non ha amore. Bruna, che luce di fuoco! Prestami il tuo ombrellino. Mi far la faccia verde - succo di luma e limone -; le tue parole - pesciolini -

le nuoteranno intorno. Il mare non ha arance. Ahi, amore. Siviglia non ha amore! VERO Ahi, che fatica mi costa amarti come ti amo! Per il tuo amore mi duole l'aria, il cuore e il cappello. Chi mi compra questo nastrino e questa tristezza di filo bianco, per tessere fazzoletti? Ahi, che fatica mi costa amarti come ti amo! ALL'ORECCHIO D'UNA RAGAZZA Non volli. Non volli dirti nulla. Vidi nei tuoi occhi due alberelli folli. Di brezza, di riso e d'oro. Oscillavano. Non volli. Non volli dirti nulla. MOR ALL'ALBA Notte di quattro lune e un albero solo. Con un'ombra sola e un solo uccello. Cerco nella mia carne l'impronte delle tue labbra. Bacia il vento la fonte senza sfiorarlo. Porto il No che mi desti sulla palma della mano, come un limone di cera quasi bianco. Notte di quattro lune e un albero solo. Sulla punta d'un ago sta il mio cuore, girando! CONGEDO

Se muoio, lasciate il balcone aperto. Il bimbo mangia arance. (Dal mio balcone lo vedo.) Falcia il grano il mietitore. (Dal mio balcone lo sento.) Se muoio, lasciate il balcone aperto! LO SPECCHIO INGANNEVOLE Verde ramo esente da ritmo ed uccello. Eco di singhiozzo senza dolore n labbro. Uomo e Bosco. Piango di fronte al mare amaro. Nelle mie pupille due mari che cantano! FRUTTETO DI MARZO Il mio melo ha gi ombra e uccelli. Che balzo d il mio sogno dalla luna al vento! Il mio melo porge le braccia alla verzura. Qui da marzo, come mi appare la fronte bianca di gennaio! Il mio melo... (vento basso). Il mio melo... (cielo alto). BALLATA DELLA LUNA, LUNA A Conchita Garca Lorca Giunse la luna alla fucina con la sua faldiglia di nardi. Il bimbo la guarda guarda. E bimbo la sta guardando. Nell'aria commossa muove la luna le sue braccia e mostra, lasciva e pura, le sue poppe di duro stagno. Fuggi, luna, luna, luna. Se venissero i gitani farebbero del tuo cuore collane ed anelli bianchi.

Bimbo, lasciami ballare. Quando verranno i gitani ti troveranno sull'incudine con gli occhiettini chiusi. Fuggi, luna, luna, luna, sento i loro cavalli. Bimbo, lasciami, non pestare il mio candore inamidato. L'uomo a cavallo s'avvicinava suonando il tamburo della pianura. Dentro la fucina il bimbo ha gli occhi chiusi. Per l'uliveto venivano, bronzo e sogno, i gitani. Erette le teste e gli occhi socchiusi. Come canta l'assiolo, ahi, come canta sull'albero! Scorre nel cielo la luna con un bimbo per mano. Piangono dentro la fucina, c on alte grida, i gitani. L'aria la vela vela, l'aria la sta velando. BALLATA SONNAMBULA A Gloria Giner e a Fernando de los Ros Verde que te quiero verde. Verde vento. Verdi rami. La nave sul mare e il cavallo sulla montagna. Con l'ombra alla vita ella sogna alla sua balaustra, verde carne, chioma verde, con occhi d'argento gelato. Verde que te quiero verde. Sotto la luna gitana, le cose la stanno guardando ed ella non pu guardarle. Verde que te quiero verde. Grandi stelle di brina vengono col pesce d'ombra che apre la strada dell'alba. Il fico sfrega il suo vento con lo smeriglio dei suoi rami, e il monte, gatto sornione, arriccia le sue agavi acri. Ma, chi verr? e da dove?... Ella sempre alla sua balaustra, verde carne, chioma verde, sognando l'amaro mare. - Compare, vorrei scambiare il mio cavallo con la tua casa, la mia sella col tuo specchio,

il mio coltello con la tua coperta. Compare, arrivo insanguinato dai valichi di Cabra. - Se potessi, caro amico, il cambio sarebbe gi fatto. Ma io non sono pi io, n la mia casa pi la mia casa. - Compare, voglio morire decorosamente nel mio letto. Molle d'acciaio, se possibile, con le lenzuola d'Olanda. Non vedi questa ferita dal petto alla gola? - Trecento rose brune sulla tua camicia bianca. Il tuo sangue gocciola e odora alla fascia della tua cintura. Ma io non sono pi io, n la mia casa pi la mia casa. - Lascia almeno che salga fino alle alte balaustre; lascia che salga, lascia, alle verdi balaustre. Colonnine della luna per dove rimbomba l'acqua. * Salgono i due compari alle alte balaustre. Lasciando una traccia di sangue. Lasciando una traccia di lacrime. Tremavano sui tetti lanternine di latta. Mille tamburelli di vetro ferivano le luci dell'alba. * Verde que te quiero verde, verde vento, verdi rami. I due compari salirono. Il lungo vento lasciava in bocca uno strano sapore di fiele, di menta e basilico. - Dove sta, dimmi, compare! Dove, la tua ragazza amara? - Quante volte t'ha aspettato! Quante volte t'aspett, viso fresco, nera chioma, a questo verde balcone! * Sulla faccia della cisterna la gitana si dondolava. Verde carne, chioma verde con occhi d'argento gelato.

Un ghiacciolo di luna la sorregge sull'acqua. La notte si fece intima come una piccola piazza. Guardie civili ubbriache alla porta bussarono. Verde que te quiero verde. Verde vento. Verdi rami. La nave sul mare. E il cavallo sulla montagna. LA SUORA GITANA A Jos Moreno Villa Silenzio di calce e di mirto. Malve sull'erbe fini. La suora ricama violacciocche su una tela paglierina. Sulla grigia lumiera sette uccelli dei prisma volano. La chiesa grugnisce lontano come un orso a pancia all'aria. Come ricama! Con che grazia! Sulla tela paglierina, ricamare le piacerebbe fiori di sua fantasia. Che girasole! E che magnolia di lustrini e di nastri! Che zafferani e che lune sulla tovaglia della messa! Cinque cedri si caramellano nella cucina l accanto. Le cinque piaghe di Cristo spiccate ad Almeria. Negli occhi della suora galoppano due cavalieri. Un rumore ultimo e sordo la camicia le strappa e, guardando nubi e monti nelle fisse lontananze, si spezza il suo cuore di zucchero e erba cedrina. Oh!, che pianura impennata con venti soli in cima. Che fiumi rizzati in piedi travede la sua fantasia! Ma continua coi suoi fiori, mentre in piedi, nella brezza, la luce muove la scacchiera alta della persiana. SAN MICHELE (Granada) A Diego Buigas de Dalmau

Dalle balaustre si vedono, sopra il monte, monte, monte, muli ed ombre di muli carichi di girasoli. I loro occhi d'immensa notte si fasciano nelle tenebre. L'aurora salmastra scricchiola nei recessi dell'aria. Un cielo di muli bianchi chiude gli occhi di mercurio, mettendo alla quieta penombra un finale di cuori. E l'acqua si fa fredda perch nessuno la tocchi. Acqua folle e allo scoperto sopra il monte, monte, monte. * San Michele coperto di pizzi nella camera della sua torre mostra le sue belle cosce circondate dai lampioni. Arcangelo, bene ammaestrato nel gesto dell'ore dodici, finge una collera dolce di piume e d'usignuoli. E canta nella sua vetrata; efebo di tremila notti, profumato d'acqua di colonia e distante dai fiori. * Balla il mare sulla spiaggia un poema di balconi. Le rive della luna giunchi perdono, acquistano voci. Vengono manole masticando semi di girasole, i culi grandi e segreti come pianeti di rame. Vengono alti cavalieri e dame dall'aria triste, brune di nostalgia d'un passato d'usignuoli. Ed il vescovo di Manila, cieco di zafferano e povero, dice messa con due fili per donne e per uomini * San Michele se ne stava tranquillo nella camera della sua torre con la gonna tempestata di perline e di merletti. San Michele, re dei globi

e dei numeri dispari, in leggiadria barberesca di gridi e di miradores. MORTE DI ANTOITO EL CAMBORIO A Jos Antonio Rubio Sacristn Risonarono voci di morte presso il Guadalquivir. Voci antiche avvolgenti una voce di garofano virile. Morsi di cinghiale dette nei loro stivali. Nella zuffa dava salti di delfino insaponati. Bagn di sangue nemico la sua cravatta vermiglia. Ma erano quattro i pugnali e soccombere dovette. Quando le stelle infiggono rejones nell'acqua grigia, quando i torelli sognano vernicas di violacciocche, risonarono voci di morte presso il Guadalquivir. - Antonio Torres Heredia, Camborio di duro crine, bruno di verde luna, voce di garofano virile: chi t'ha tolto la vita presso il Guadalquivir? - I miei quattro cugini Heredia, figli di Benamej. Quel che in altri non invidiavano, lo invidiavano in me. Scarpe color uva di Corinto, medaglioni d'avorio e questa pelle impastata d'uliva e gelsomino. - Ahi, Antoito el Camborio, degno d'una imperatrice! Ricordati della Vergine, perch stai per morire. - Ahi, Federico Garca, chiama la guardia civile! Il corpo mi s' spezzato come fusto di granturco. Tre sbocchi di sangue ebbe e mor di profilo. Moneta viva che mai sar riconiata. Un angelo gitano adagia la sua testa su un cuscino. Altri di rosso stanco accesero una lucerna. E quando i quattro cugini

giunsero a Benamej, voci di morte tacquero presso il Guadalquivir. BALLATA DELLA GUARDIA CIVILE SPAGNOLA A Juan Guerrero Console generale della Poesia Coperti di nero i cavalli. Nere le ferrature. Sui mantelli rilucono macchie d'inchiostro e cera. Hanno di piombo i crani per questo non piangono. Con l'anima di lacca camminano nella rotabile. Gobbi e notturni, per dove spronano impongono silenzi di gomma oscura, paure di fine sabbia. Se voglion passare, passano, e occultano nelle teste d'astratte pistole una vaga astronomia. * Oh citt dei gitani! Agli angoli bandiere. La luna e la zucca con le amarene in conserva. Oh citt dei gitani! Chi t'ha vista e non ti ricorda? Citt di dolore e di muschio. con le torri di cannella. * Quando cadeva la notte. notte di notte, notturna, i gitani nelle fucine forgiavano soli e frecce. Un cavallo a morte ferito bussava a tutte le porte. Galli di vetro cantavano per Jerez de la Frontera. Ignudo il vento volta la cantonata dell'agguato, nella notte argentonotte notte di notte, notturna. * La Vergine e San Giuseppe perdettero le loro nacchere e vanno cercando i gitani

per veder se le ritrovano. La Vergine viene vestita d'un abito di sindachessa di stagnola per cioccolato, con i vezzi di mandorle. San Giuseppe muove le braccia sotto il mantello di seta. Dietro va Pedro Domecq con tre sultani di Persia. La mezzaluna sognava un'estasi di cicogna. Lampioncini e stendardi invadono le terrazze. Negli specchi singhiozzano ballerine senza fianchi. Acqua e ombra, ombra e acqua per Jerez de la Frontera. * Oh citt dei gitani! Agli angoli bandiere. Spegni le verdi tue luci, arriva la benemerita. Oh citt dei gitani! Chi t'ha vista e non ti ricorda? Lasciatela lungi dal mare, senza pettini per la riga. * Marciano due per due sulla citt della festa. Un rumore di semprevivi invade le loro giberne. Marciano due per due. Notturno rintocco di tela. Il cielo se lo immaginano una vetrina di sproni. * La citt libera da paura moltiplicava le porte. Quaranta guardie civili vi passano per saccheggiarla. Gli orologi si fermarono e il cognac nelle bottiglie si mascher da novembre per non destare sospetti. Un volo di lunghi gridi ascese alle banderuole. Le sciabole tagliano brezze dagli zoccoli travolte. Nelle strade di penombra le vecchie gitane in fuga coi cavalli addormentati e gli orcioli di monete.

Nelle strade inerpicate le cappe sinistre salgono, lasciandosi dietro fugaci mulinelli di forbici. * Nel Portico di Betlemme i gitani si radunano. San Giuseppe crivellato acconcia una fanciulla morta. Aspri fucili implacabili echeggiano tutta la notte. La Vergine sana i bambini con dolce saliva di stella. Ma la Guardia Civile avanza seminando fal, dove l'immaginazione giovane e nuda avvampa. Rosa de los Camborios geme seduta sulla sua porta con le due poppe recise sopra un vassoio posate. Ed altre ragazze correvano, dalle loro trecce inseguite, in un'aria dove deflagrano rose di polvere nera. Quando solchi nella terra divennero tutti i tetti, dondol l'alba le spalle in lungo profilo di pietra. * Oh citt dei gitani! La Guardia Civile dilegua sotto un tunnel di silenzio mentre le fiamme t'accerchiano. Oh citt dei gitani! Chi t'ha vista e non ti ricorda? Cercatela sulla mia fronte. Gioco di luna e di sabbia. RITORNO A PASSEGGIO Assassinato dal cielo, tra le forme che vanno verso la serpe e le forme che cercano il cristallo, mi lascer crescere i capelli. Di fronte all'albero di moncherini che non canta e il bambino col bianco volto d'uovo. Di fronte agli animaletti dalla testa rotta e l'acqua stracciona dai piedi secchi. Di fronte a tutto che ha stanchezza sordomuta e farfalla affogata nel calamaio. A tu per tu col mio volto singolare d'ogni giorno.

Assassinato dal cielo! MODELLO E PARADISO DEI NEGRI Odiano l'ombra dell'uccello sull'alta marea della guancia bianca e la lotta di luce e vento nella sala della neve gelata. Odiano la freccia senza corpo, il fazzoletto esatto degli addii, l'ago costante di pressione e rosa nell'erbaceo rossore del sorriso. Amano l'azzurro deserto, i vacillanti gesti bovini, la luna mendace dei poli, la danza ricurva dell'acqua sulla riva. Con la scienza del tronco e del rastrello riempiono di nervi luminosi l'argilla e lascivi pattinano sull'acqua e sulla sabbia assaporando l'amara freschezza della loro millenaria saliva per l'azzurro crepitante, azzurro senza un verme n una traccia assopita dove le uova di struzzo rimangono eterne e passeggiano intatte le piogge ballerine. per l'azzurro senza storia, azzurro d'una notte senza timore del giorno, azzurro dove il nudo del vento va rompendo i cammelli sonnambuli delle nuvole vuote. l dove sognano i torsi sotto la gola dell'erba. L i coralli assorbono la disperazione dell'inchiostro, i dormienti cancellano i loro profili sotto la matassa delle chiocciole e resta il vuoto della danza sopra le ultime ceneri. CITT INSONNE (Notturno del Brooklyn Bridge) Non dorme nessuno nel cielo. Nessuno, nessuno. Non dorme nessuno. I bambini della luna fiutano e aggirano le loro capanne. Verranno le iguane vive a mordere gli uomini che non sognano e colui che fugge col cuore spezzato trover alle cantonate l'incredibile coccodrillo tranquillo sotto la tenera protesta degli astri. Non dorme nessuno nel mondo. Nessuno, nessuno. Non dorme nessuno. C' un morto nel cimitero pi lontano che si lamenta da tre anni perch ha un paesaggio secco nel ginocchio; e il fanciullo che hanno seppellito stamane piangeva tanto che fu necessario chiamare i cani per farlo tacere Non sogno la vita. All'erta! All'erta! All'erta! Precipitiamo dalle scale per mangiare la terra bagnata o saliamo al margine della neve con il coro delle dalie morte. Ma non c' oblio n sonno: carne viva. I baci legano le bocche in un groviglio di vene recenti

e, a chi gli duole, il suo dolore gli dorr senza tregua e, chi teme la morte, se la porter sulle spalle. Un giorno i cavalli vivranno nelle taverne e le formiche infuriate aggrediranno i cieli gialli che si rifugiano negli occhi delle vacche. Un altro giorno vedremo la resurrezione delle farfalle dissecate e andando in un paesaggio di spugne grigie e di navi mute vedremo brillare il nostro anello e scaturire farfalle dalla nostra lingua. All'erta! All'erta! All'erta! Quelli macchiati ancora di fanghiglia e acquazzone, quel ragazzo che piange perch non sa l'invenzione del ponte o quel morto cui rimane soltanto la testa e una scarpa, bisogna portarli al muro dove stanno in attesa iguane e serpenti, dove aspetta la dentatura dell'orso, dove aspetta la mano mummificata del bambino e la pelle del cammello s'arriccia con un violento brivido azzurro. Non dorme nessuno nel cielo. Nessuno, nessuno. Non dorme nessuno. Ma se qualcuno chiude gli occhi, frustatelo, figli miei, frustatelo! Permanga un panorama di occhi aperti e amare piaghe accese. Non dorme nessuno nel mondo. Nessuno, nessuno. Ve l'ho detto. Non dorme nessuno. Ma se qualcuno nella notte ha troppo musco alle tempie, aprite le botole affinch veda sotto la luna i bicchieri falsi, il veleno e il teschio dei teatri. CIELO VIVO Non posso lamentarmi se non ho trovato quel che cercavo. Presso le pietre senza umore e gl'insetti vuoti non vedr il duello del sole con le creature in carne viva. Ma andr a vedere il primo paesaggio di scontri, liquidi e rumori che si filtra in neonato e dove ogni superficie elusa, per capire che quel che cerco avr il suo bersaglio di allegria quando voler mescolato con l'amore e le sabbie. L non arriva la brina degli occhi spenti n il muggito dell'albero assassinato dal bruco. L tutte le forme conservano intrecciate una sola espressione frenetica di slancio. Non puoi slanciarti negli sciami di corolle perch l'aria dissolve i tuoi denti di zucchero, n puoi accarezzare la fugace foglia della felce senza sentire lo stupore definitivo dell'avorio. L sotto le radici e nel midollo dell'aria si comprende la verit delle cose sbagliate; il nuotatore di nichel che scruta l'onda pi fina e la mandria di vacche notturne con rosse zampine di donna. Non posso lamentarmi

se non ho trovato quel che cercavo; ma andr a vedere il primo paesaggio di umidit e di palpiti per capire che quel che cerco avr il suo bersaglio di allegria quando voler mescolato con l'amore e le sabbie. Volo fresco di sempre sopra letti vuoti, sopra gruppi di brezze e navi incagliate. Inciampo vacillante nella dura eternit fissa e amore infine senz'alba. Amore. Amore visibile! Edem Mills, Vermont, 24 agosto 1929 COMPIANTO PER IGNAZIO SNCHEZ MEJAS _I La cornata e la morte Alle cinque della sera. Eran le cinque in punto della sera Un ragazzo port il lenzuolo bianco alle cinque della sera. Una cesta di calce era gi pronta alle cinque della sera. Tutto il resto era morte e solo morte alle cinque della sera. Le ovatte rotolarono nel vento alle cinque della sera. D'ossido seminati il vetro e il nichel alle cinque della sera. La colomba e il leopardo ecco che lottano alle cinque della sera. E una coscia col corno distruttore alle cinque della sera. Il ritmo cominci di gravi note alle cinque della sera. Le campane d'arsenico e di fumo alle cinque della sera. Negli angoli dei gruppi silenziosi alle cinque della sera. E il toro solo, con il cuore in alto! alle cinque della sera. Quando il sudore gelido arriv alle cinque della sera, quando l'arena si copr di iodio alle cinque della sera, la morte mise uova nello squarcio alle cinque della sera. Alle cinque della sera. Alle cinque in punto della sera. Il suo letto una bara con le ruote alle cinque della sera. Ossa e flauti risuonano al suo udito alle cinque della sera. Il toro gli muggiva sulla fronte alle cinque della sera. La stanza s'iridava d'agonia alle cinque della sera. Ecco, viene da lungi la cancrena

alle cinque della sera. Tromba d'un iris nei suoi verdi inguini alle cinque della sera. Ardevan le ferite come soli alle cinque della sera, e la folla rompeva le finestre alle cinque della sera. Alle cinque della sera. Ahi, terribili cinque della sera! Eran le cinque a tutti gli orologi! Eran le cinque all'ombra della sera! _2 Il sangue sparso Non voglio vederlo! D alla luna che si mostri; non voglio vedere il sangue d'Ignazio sopra l'arena. Non voglio vederlo! spalancata la luna. Cavallo di calme nubi e circo grigio del sogno con salici in prima fila. Non voglio vederlo! Il mio ricordo si brucia. Avvisate i gelsomini di minuscolo candore! Non voglio vederlo! La vacca del vecchio mondo passava la triste sua lingua sopra un muso di grumi di sangue in terra versato. Ed i tori di Guisando, quasi morte e quasi pietra, mugghiaron come due secoli sazi di premere il suolo. No. Non voglio vederlo! Sale Ignazio sui gradini, tutta la sua morte a spalla. Andava in cerca dell'alba e l'alba non esisteva. Cerca il suo fermo profilo e il sogno lo disorienta. Il suo bel corpo cercava e trov il suo sangue aperto. Non ditemi di vederlo! Non voglio sentire il getto che sempre pi s'affioca; il getto che le tribune illumina e si riversa sopra il fustagno ed il cuoio, della folla sitibonda. Chi mi grida di mostrarmi! Non ditemi di vederlo. Non si chiusero i suoi occhi nel vedersi l le corna;

ma le terribili madri rizzarono allora il capo. Ed attraverso gli allevamenti corse un vento di voci segrete, a tori celesti gridate da mandriani di pallida nebbia. Non principe di Siviglia potrebbe essergli pari, n spada come la sua n cuore del suo pi vero. Come un fiume di leoni il suo stupendo vigore, e come un torso di marmo la sua lineata saggezza. Aria di Roma andalusa gli dorava la testa dove il suo riso era un nardo di sale e d'intelligenza. Che gran torero in arena! Che buon montanaro ai monti! Quanto mite con le spighe! Quanto duro con gli sproni! Tenero con la rugiada! Che bagliore nella fiera! Quanto tremendo con l'ultime banderillas della tenebra! Ma ora dorme in eterno. Ora i muschi e l'erba dischiudono con loro dita sicure il fiore del suo teschio. E il suo sangue ora viene cantando: cantando per maremme e praterie, sdrucciolando su corna intirizzite; senz'anima vacilla nella nebbia. in migliaia di zoccoli inciampando come una lunga, oscura, triste lingua, per formare una pozza d'agonia presso il Guadalquivir del firmamento. Oh bianco muro di Spagna! Oh nero toro di pena! Oh sangue duro d'Ignazio! Oh usignolo delle sue vene! No. Non voglio vederlo! Un calice non v' che lo contenga, non vi son rondinelle che lo bevano, non v' brina di luce che lo geli, non di gigli v' canto n diluvio, non cristallo che lo copra d'argento. No. Io non voglio vederlo!! _3 Corpo presente la pietra una fronte su cui gemono i sogni, senz'acqua che si curvi n cipressi gelati. Una spalla la pietra per trasportare il tempo

con alberi di lacrime e con nastri e pianeti. Ho visto piogge grigie correre incontro ai flutti, sollevando le tenere lor braccia crivellate, per non esser braccate dalla pietra distesa che le membra disintegra senza assorbire il sangue. Giacch la pietra coglie le semenze e le nubi, gli scheletri di allodole e i lupi di penombra; ma non offre dei suoni n cristalli n fuoco, ma solo arene e arene, e arene senza muri Giace ormai sulla pietra Ignazio uomo eletto. ormai finito; ed ora? Guardate la figura: la morte l'ha velato di dilavati zolfi e gli ha messo una testa d'oscuro minotauro. Tutto finito. Penetra la pioggia nella bocca. Folle il vento abbandona il suo petto consunto, e l'Amore, impregnato di lacrime gelate, si scalda sulla cima delle stalle taurine. Che dicono? Un silenzio putrescente ristagna. Eccoci con un corpo presente che si esala, con una forma tersa, nido gi d'usignoli, che vediamo infittirsi di buchi senza fondo. Chi sgualcisce il sudario? , falso quel che dice! Qui nessuno che canti o pianga nel cantuccio o conficchi gli sproni o cacci via il serpente: altro qui non desidero che gli occhi spalancati per veder questo corpo senza requie possibile. Qui uomini di dura voce io voglio vedere, che domano cavalli e dominano i fiumi: uomini cui risuona lo scheletro e cantando vanno con una bocca piena di sole e selci. Io qui voglio vederli. Davanti a questa pietra, davanti a questo corpo con le redini rotte. Io voglio che mi mostrino dov' lo sbocco estremo per questo capitano ancorato alla morte. Io voglio che mi mostrino un pianto come un fiume ricco di dolci nebbie e profonde riviere, per trasportare il corpo d'Ignazio, e che si perda senza ascoltare il doppio ansimare dei tori. Si perda nell'arena rotonda della luna che sembra, quando cresce, dolente bestia immobile; si perda nella notte senza canto dei pesci e nel pruneto bianco del fumo congelato. Non voglio che gli coprano con fazzoletti il viso, in modo che s'abitui alla morte che reca. Vattene, Ignazio. Il caldo bramito non ti dolga. Dormi, vola, riposa. Anche il mare perisce! _4 Anima assente Non ti conosce il toro, non il fico, n cavalli o formiche della casa. Non ti conosce il bimbo n la sera perch per sempre tu sei morto. Non ti conosce il dorso della pietra, n il raso nero dove ti distruggi. Non ti conosce il tuo muto ricordo perch per sempre tu sei morto.

E l'autunno verr con le sue chiocciole, l'uva di nebbia e i monti asserragliati, ma nessuno vorr guardarti gli occhi perch, per sempre, tu sei morto. Perch, per sempre tu sei morto, come tutti i defunti della terra, come tutti i defunti abbandonati in un mucchio di cani senza vita. Nessuno ti conosce. Eppure io ti canto. Canto per il futuro la tua grazia e il profilo, la tua maturit insigne del sapere, la tua brama di morte e il gusto del suo labbro, la tristezza che aveva la tua gioia gagliarda. Tarder molto a nascere, se pure nascer, un pi schietto andaluso, s ricco d'avventura. Canto la sua eleganza con parole che gemono e ricordo una brezza triste nell'uliveto.

GAZZELLA DELL'AMORE INATTESO Nessuno penetrava nell'aroma dell'oscura magnolia del tuo ventre. E nessuno sapeva che fra i denti martirizzavi un colibr d'amore. Dormivan mille cavalli persiani nella piazza con luna alla tua fronte, mentr'io per quattro notti la cintura t'allacciavo, nemica della neve. Tra gesso e gelsomini era il tuo sguardo una ghirlanda pallida di semi. Io cercai a offrirtele nel petto le lettere d'avorio del mio sempre, sempre, sempre, giardino d'agonia, il fuggitivo corpo tuo per sempre, nella mia bocca il sangue delle vene, bocca tua senza luce alla mia morte. GAZZELLA DELLA MORTE OSCURA Voglio dormire il sonno delle mele, allontanarmi dal tumulto dei cimiteri. Voglio dormire il sonno di quel bimbo che voleva tagliarsi il cuore in alto mare. Non voglio che mi ripetano che i morti non perdono che la bocca marcita continua a chiedere acqua. [sangue; Non voglio saperne dei martirii che l'erba produce n della luna con bocca di serpente che lavora prima dell'alba. Voglio dormire un momento, un momento, un minuto, un secolo; ma tutti sappiano che non sono morto; che c' una stalla d'oro sulle mie labbra; che sono il piccolo amico del vento occidentale;

che sono l'ombra immensa delle mie lacrime. Coprimi nell'aurora con un velo, perch essa mi getter manciate di formiche, e bagna con acqua dura le mie scarpe affinch sia elusa la pinza del suo scorpione. Perch voglio dormire il sonno delle mele per apprendere un pianto che mi purifichi dalla terra; perch voglio vivere con quel bimbo oscuro che voleva tagliarsi il cuore in alto mare. CASSIDA DEL PIANTO Ho chiuso la mia finestra perch non voglio udire il pianto, ma dietro i grigi muri altro non s'ode che il pianto. Vi sono pochissimi angeli che cantano, pochissimi cani che abbaiano; mille violini entrano nella palma della mia mano. Ma il pianto un cane immenso, il pianto un angelo immenso, il pianto un violino immenso, le lacrime imbavagliano il vento. e altro non s'ode che il pianto. CASSIDA DEL SONNO ALL'ARIA APERTA Fiore di gelsomino e toro sgozzato. Pavimento infinito. Carta geografica. Sala. Arpa. Alba. La bambina simula un toro di gelsomini e il toro un sanguinoso crepuscolo che bramisce. Se il cielo fosse un bimbo piccolino, i gelsomini avrebbero met di notte oscura, e il toro circo azzurro senza combattenti, e un cuore ai piedi d'una colonna. Ma il cielo un elefante, e il gelsomino un'acqua senza sangue e la bambina un mazzolino notturno sopra l'immenso pavimento oscuro. Fra il gelsomino e il toro o uncini d'avorio o gente addormentata. Nel gelsomino un elefante e nubi e nel toro lo scheletro della bambina. CASSIDA DELLE COLOMBE OSCURE A Claudio Guilln Sui rami dell'alloro camminano due colombe oscure. L'una era il sole, l'altra la luna. Casigliane mie, chiesi,

dove sta la mia sepoltura? Nella mia coda, disse il sole. Nella mia gola, disse la luna. Ed io che andavo camminando con la terra alla cintola vidi due aquile di neve e una ragazza nuda. L'una era l'altra e la ragazza era nessuna. Care aquile, chiesi, dove sta la mia sepoltura? Nella mia coda, disse il sole. Nella mia gola, disse la luna. Sui rami dell'alloro vidi due colombe nude. L'una era l'altra ed entrambe nessuna. VICENTE ALEIXANDRE

POEMA D'AMORE Ti amo sogno del vento obliato il polo confluisci con le mie dita nelle dolci mattine del mondo a testa in gi quando agevole sorridere perch la pioggia benigna Nell'alveo di un fiume viaggiare cosa deliziosa o pesci amici ditemi il segreto degli occhi aperti dei miei sguardi che sboccano nel mare a reggere le chiglie delle navi lontane Io vi amo - viaggiatori del mondo - voi che sull'acqua dormite uomini che in America vanno in cerca dei loro vestiti quei che lascian sul lido la loro patita nudit e sulle tolde della nave attraggono il raggio della luna Camminare in attesa bello e dilettevole l'argento e l'oro non hanno mutato di fondo rimbalzano sui flutti sul dorso squamoso e generano musica o sogno alle chiome pi bionde Nel fondo di un fiume la mia brama va via dai paesi innumerevoli che ho tenuto sui polpastrelli quell'ombre che vestito di nero ho lasciato ormai lungi disegnate in spalla La speranza la terra la guancia un'immensa palpebra dov'io so che esisto Rammenti? Per il mondo son nato una notte in cui addizione e sottrazione era la chiave dei sogni Pesci alberi pietre cuori medaglie sulle vostre onde concentriche - s - immote io mi muovo e se giro mi cerco oh centro oh centro strada - viaggiatori del mondo - del futuro esistente pi in l dei mari nei miei polsi che battono UNIT IN LEI

Corpo felice che mi fluisce tra le mani, volto amato dove contemplo il mondo, dove graziosi uccelli si specchiano fuggitivi, in volo alla regione dove nulla si oblia. La tua forma esteriore, diamante o duro rubino, lucentezza d'un sole che abbaglia tra le mie mani, cratere che m'alletta con l'intima sua musica, con quell'indecifrabile appello dei tuoi denti. Muoio perch m'avvento, perch voglio morire, perch voglio vivere nel fuoco, perch quest'aria di fuori non mia, ma il caldo respiro che se m'accosto brucia e dora le mie labbra dal profondo. Lascia, lascia che guardi, macchiato dall'amore, arrossato il volto dalla tua vita purpurea, lascia che guardi l'ultimo clamore delle tue viscere dove muoio e rinunzio a vivere per sempre. Voglio amore o la morte, voglio intero morire, voglio essere te, il tuo sangue, questa lava ruggente che irrigando racchiusa le belle membra estreme sente cos i leggiadri limiti della vita. Questo bacio sulle tue labbra come indugio di spina, come un mare che vol divenuto uno specchio, come luccichio d'un'ala, ancora mani, un ritornare dei tuoi fruscianti capelli, un crepitare della luce vendicatrice, luce o spada mortale che sul mio collo minaccia, ma che giammai distrugger questa unit del mondo. SENZA LUCE Il pesce spada, la cui stanchezza s'attribuisce soprattutto all'impossibilit di perforare l'ombra, di sentir nella carne la freddezza del fondo dei mari dove il nero non ama, dove mancano le fresche alghe gialle che dora il sole sulle prime acque. La gemebonda tristezza del pesce spada l immobile il cui occhio non gira, la cui calma fissit offende la sua pupilla, la cui lacrima cola dentro le acque medesime senza che in esse si sveli il suo giallo tristissimo. Il fondo, l, del mare dove l'immobile pesce respira limo con le sue branchie, quell'acqua come brezza, quella polvere fina che turbina fingendo la fantasia d'un sogno, che rifluisce monotona coprendo il letto tranquillo su cui pesa altissimo il monte, di cui le creste s'agitano come pennacchio - s - di un sogno oscuro. In alto le spume, chiome sparse, ignorano i profondi piedi di melma, quell'impossibile sradicarsi dall'abisso, e sollevarsi con ali verdi sul secco abissale e lieve sfuggire senza paura al sole cocente. Le bianche chiome, le giovanili felicit pugnano ardenti, popolate dai pesci - dalla crescente vita che ora incomincia per alzare la loro voce alla giovane aria,

dove un sole folgorante fa dell'amore argento, ed oro degli abbracci, le pelli coniugate, quell'unirsi dei petti come fortezze che si pacificano fondendosi. Ma il fondo palpita come un pesce solo abbandonato. A nulla serve che una fronte gioiosa s'incrosti nell'azzurro come un sole che si dona, come amore che visita umane creature. A nulla serve che un mare immenso intero senta i suoi pesci fra spume come fossero uccelli. Il suo calore rapito dal quieto fondo opaco, la base inalterabile della millenaria colonna che schiaccia un'ala d'usignuolo affogato, una gola che cantava l'evasione dell'amore, gioiosa tra penne temprate al sole nuovo. Tale oscurit profonda dove non esiste il pianto, dove un occhio non gira nel suo arido cesto, pesce spada che non sa perforare l'ombra, dove acquietato il limo non imita un sogno esaurito. CANZONE A UNA FANCIULLA MORTA Dimmi, dimmi il segreto del tuo vergine cuore, dimmi il segreto del tuo corpo sotterra, ch'io sappia perch un'acqua tu sei, quelle fresche rive ove piedi nudi si bagnano con spuma. Dimmi perch sui tuoi capelli sciolti, sulla dolce tua erba carezzata, cade, guizza, sfiora, s'allontana, un sole ardente o tranquillo, che ti tocca come un vento che reca solo ali o dita. Dimmi perch il tuo cuore, come selva minuscola, attende sotterra gl'improbabili uccelli, la canzone totale che al di sopra degli occhi fanno i sogni quando passano senza rumore. Oh tu, canzone che un corpo morto o vivo, che una bella creatura che sotto il suolo dorme. canti color di pietra, color di bacio o labbro, canti, quasi la madreperla stia dormendo o respiri. Quella cintura, quel tenue volume d'un petto triste, quel ricciolo volubile, ignorato dal vento, quegli occhi solo remigati dal silenzio, quei denti che sono d'un avorio remoto, quel vento che non muove foglie che verdi non siano... Oh tu, cielo ridente che passi come nube; o uccello felice che sopra una spalla ridi; fonte che, fresca sorgiva, t'intrichi con la luna; molle erba su cui posano piedi adorati! NON ESISTE L'UOMO Solo la luna sospetta la verit. Ed che l'uomo non esiste. La luna esplora le pianure, attraversa i fiumi,

penetra nei boschi. Chiaroscura le ancora tepide montagne. Trova il calore delle citt erette. Forgia un'ombra, smorza un angolo oscuro, inonda di folgoranti rose, il mistero delle grotte inodori. La luna transita, sa, canta, avanza ed avanza senza posa. Un mare non un letto dove il corpo d'un uomo possa distendersi da solo. Un mare non un sudario per una morte luminosa. La luna prosegue, s'abbassa, s'immerge, irraggia le profonde spiagge. Smuove fantastica i verdi rumori placati. Un cadavere in piedi un istante dondola, esita, ecco avanza, verde rimane immobile. La luna falsifica le sue braccia rotte, il suo sguardo dominante in cui annidano pesci. Accende le citt sommerse in cui ancora si possono udire (dolcissime!) le campane vissute; in cui le onde ultime ancora s'infrangono sui petti neutri, sui seni morbidi, da qualche polpo adorati. Ma la luna pura e sempre inaridisce. Esce da un mare che sempre una bara, che un blocco con limiti che nessuno, nessuno stringe, che non una pietra che irradia su un monte. Esce ed insegue quel che fu le ossa, quel che fu le vene d'un uomo, quel che fu il suo sangue famoso, la sua prigione melodiosa, la sua cintura visibile che divide la vita. o la sua testa lieve su un vento verso oriente. Ma l'uomo non esiste. Non mai esistito, mai. Ma l'uomo non vive, come non vive il giorno. Ma la luna inventa i suoi metalli furiosi. CREATURE NELL'AURORA Voi conosceste la generosa luce dell'innocenza. Raccoglieste tra i fiori silvestri ogni mattina l'estrema, la pallida eco dell'ultima stella. Beveste il fulgore cristallino, che come mano purissima manda il saluto agli uomini dietro la chimerica presenza alpestre. Sotto l'azzurro nascente, tra le nuove luci, tra i puri zefiri iniziali, che a furia di bianco vincevano la notte, vi destaste ogni giorno, perch ogni giorno la tunica quasi umida si lacerava verginalmente per amarvi, nuda, pura, inviolata. Appariste nella soavit dei declivi, dove la molle erba riceve in eterno il bacio istantaneo della luna. Dolce occhio, sguardo improvviso per un mondo in sussulto che si protende ineffabile al di l della propria apparenza. La musica dei fiumi, la tregua dell'ali, quelle penne che col ricordo del giorno piegarono ancora e verso l'amore e verso il sogno, estasi immota intonavano sotto il magico soffio della luce, veemente luna che nel cielo apparsa

sembra ignorare il fragile suo destino trasparente. L'inclinazione melanconica dei monti non esprimeva la contrizione mortale innanzi al destinato mutamento delle ore: era piuttosto la tersit, la pelle morbida del mondo che offriva la sua curva come un seno stregato. L viveste. L ogni giorno assisteste alla terra, alla luce, al calore, allo scandaglio lentissimo dei raggi celesti che presentivano le forme, che tentavano teneramente i pendii, le valli, i fiumi con la loro gi quasi lucida spada solare, vivido acciaio che serba ancora, senza stilla, l'intimo giallore, l'argenteo volto della luna trattenuta nelle loro onde. L nascevano ogni mattina gli uccelli peregrini, nuovissimi, vivaci, celesti. Le lingue dell'innocenza non dicevano parole: tra i rami degli alti pioppi bianchi risonano quasi anch'esse vegetali, come il soffio nelle fronde. Uccelli della felicit originale, che esultavano inaugurando le ali, senza perdere la goccia verginale della rugiada! I fiori variopinti, gli appena brillanti fiorellini delle prode, eran teneri, senza grido, ai vostri piedi nudi. Io vi scorsi, v'indovinai, quando il profumo invisibile baciava le vostre piante, insensibili al bacio. Non crudeli: felici! Sulle teste nude vagamente brillavano le foglie illuminate dall'alba. La vostra fronte si feriva, da se stessa, contro i raggi dorati, recenti della vita, del sole, dell'amore, del silenzio mirabile. Non pioggia v'era, ma dolci braccia sembravano reggere i venti, e le vostre gole sentivano la loro ammaliante presenza, mentre dicevate parole, cui dava il sole nascente magia di penne. No, non ancora la notte scender, sia pure con la stessa dolcezza ma con un lievissimo vapore di cenere, quand'io correr dietro le vostre ombre amate. Lungi stanno le incorrotte ore mattutine, immagine felice dell'aurora impaziente, tenero nascimento della felicit sulle labbra, negli esseri vivissimi che ai vostri margini amai. Il piacere non assumeva il pauroso nome del piacere, n lo spessore torbido delle selve violate, ma l'inebriante nitore dei tratturi aperti dove la luce guizza con semplicit d'ala. Per questo v'amo, innocenti, amorosi esseri mortali d'un mondo verginale che giornalmente si ripeteva quando risuonava la vita nelle gole felici degli uccelli, dei fiumi, degli uomini e dei venti. DESTINO TRAGICO Confondi questo mare silenzioso che adoro con la spuma istantanea del vento tra gli alberi. Ma il mare diverso. Non vento, non la sua immagine. Non il bagliore di un bacio fugace,

neppure il gemito di ali luminose. Non confondete le sue penne, le sue lustre penne, con il petto di una colomba. Non pensate al vigoroso acciaio dell'aquila. Nel cielo gli artigli potenti trattengono il sole. Le aquile serrano la notte che nasce, la spremono - un fiume intero di estremo splendore s'affretta ai mari e la scagliano remota. diffusa, estinta, l dove il sole del futuro dorme creatura senza vita. Ma il mare, no. Non pietra quello smeraldo che tutti amaste nelle sere aride. Non pietra scintillante tutta in labbra protesa, sebbene il calore tropicale faccia palpitare la spiaggia, che sente il rumoroso cuore che la invade. Pensaste molte volte al bosco. Duri alberi maestri, arboree chiome infinite sotto i flutti percepiste popolate d'uccelli di spumoso candore. Vedeste i venti verdi scuoterle ispirati, e gorgheggi udiste di dolci gole: usignuolo dei mari, notte tenue senza luna, fulgore sotto l'onde dove petti feriti cantano tepidi sui rami di corallo profumati. So, so bene quel che adoraste. Voi pensosi sulla riva, la guancia nella mano umida ancora, guardaste queste onde, mentre forse pensavate a un corpo: un solo dolce corpo d'un tranquillo animale. Tendeste la vostra mano e ne applicaste il calore alla tersit tepida d'una pelle mansueta. Oh, tigre soave ai vostri piedi assopita! I suoi bianchi denti visibili nelle fauci dorate, ora brillavano in pace. I suoi occhi gialli, ciottoli minuti di quasi madreperla al ponente, chiusi, eran tutto silenzio gi marino. E il corpo diffuso, sapientemente venato da un'onda poderosa, era una statua arresa, calda, soltanto dolce. Ma d'improvviso v'alzaste. Avevate sentito le ali scure, magico allarme dal fondo che desta i cuori. Guardaste con fissit l'inaugurato rumore degli abissi. Quali forme contemplaste? Quali segni inviolati, quali esatte parole che la spuma diceva, dolce saliva di labbra segrete che si schiudono, invocano, soggiogano, rapiscono? Il messaggio diceva... Io vi vidi agitare le braccia. Un vento di tempesta scosse i vostri vestiti illuminati dal ponente tragico. Vidi alzarsi la vostra chioma trafitta di luci, e dall'alto di una roccia istantanea scorsi il vostro corpo solcare l'aria e cadere spumeggiante in seno all'acqua; vidi due lunghe braccia emergere dalla nera presenza e vidi la vostra bianchezza, udii l'ultimo grido, coperto subitamente dai lieti gorgheggi degli usignuoli del fondo.

GLI IMMORTALI _I La pioggia La cintura non rosa. Non uccello. Non sono penne. La cintura la pioggia, fragilit, gemito che a te s'affida. Cingi, mortale, tu col tuo braccio un'acqua dolce, lamento d'amore. Stringi, stringila. Tutta la pioggia un giunco sembra. Come ondula, se c' vento, se c' il tuo braccio, mortale che, oggi s, la adori! _II Il sole Lieve, senza peso, appena, il sandalo. Orme senza carne. Dea sola, reclama da un mondo base per il suo corpo, in alto solare. Non dite chioma; capelli ardenti. Dite sandalo; passo lieve; dite soltanto, non terra, dolce gramigna che scricchiola a quel bagliore, cos soave che la adora quando la calpesta. Oh, senti la tua luce, il tuo grave tatto solare! Qui, sentendoti, la terra cielo. E brilla. _III La parola La parola fu un giorno calore: un labbro umano. Era la luce come mattina giovane; ancor pi: lampo in questa nuda eternit. Qualcuno amava. Senza prima n dopo. Ed il verbo nacque. Parola sola e pura per sempre - Amore - nello spazio bello! _IV La terra La terra commossa esala vegetale la sua gioia. Eccola: nata! Verde rossore, oggi remeggia in uno spazio ancor nuovo. Che cosa racchiude? Sola, pura

di s, nessuno la abita. Solo la grazia silenziosa, primigenia, del mondo muove su astri, lieve, vergine, tra la luce dorata. _V Il fuoco Tutto il fuoco frena la passione. Luce sola! Guardate quanto puro s'innalza fino a lambire i cieli, mentre gli uccelli tutti in esso volano. Non brucia! E l'uomo? Mai. Libero ancora da te, umano, sta questo fuoco. Luce , luce innocente. Umano: non nascere mai! _VI L'aria Ancor pi del mare, l'aria, pi immensa del mare, tranquilla. Alta veglia di lucentezza senza nessuno. Forse la corteccia pot un giorno, dalla terra, sentirti, o uomo. Invitta, l'aria ignora che dimor nel tuo petto. Senza memoria, immortale, l'aria splende. _VII Il mare Chi mai pu dire che il mare sospira, labbro d'amore verso le spiagge, triste? Lasciate che avvolto nella luce emerga. Fulgore in alto, e nel mare, oro! Ah, luce sovrana che avvolgi, canta l'immarcescibile et del mare gaudioso! L, riverberando senza tempo, il mare esiste. Un cuore di dio senza morte, palpita! CITT DEL PARADISO Alla mia citt di Malaga I miei occhi ti vedono sempre, citt dei miei giorni marini. Sospesa alla montagna maestosa, appena frenata nella tua verticale caduta sulle onde azzurre, sembri regnare sotto il cielo, sopra le acque, librata nell'aria, come se una mano felice t'avesse trattenuta, in un istante di gloria, prima di sommergerti per sempre nelle onde amanti. Ma tu perduri, giammai discendi, e il mare sospira o mugghia, per te, citt dei miei lieti giorni,

citt madre e candidissima dove vissi, e rammento, angelica citt, che, pi alta del mare, domini le sue spume. Strade appena, lievi, musicali. Giardini dove fiori tropicali innalzano le loro giovanili palme carnose. Palme di luce che, alate, sopra le teste dondolano il lustro della brezza e sospendono per un istante labbra celestiali che transitano destinate a isole remotissime, magiche, che l nell'indaco azzurro, liberate, navigano. L anche vissi, l, citt di grazia, citt profonda. L, dove i giovani slittano sulla pietra amabile e dove le pareti scintillanti baciano sempre coloro che sempre passano fervidi in luce. L fui condotto da una mano materna. Forse da un balcone fiorito una chitarra triste cantava l'improvvisa canzone librata nel tempo; tranquilla la notte, pi tranquillo l'amante, sotto la luna eterna che istantanea trascorre. Un soffio d'eternit pot distruggerti, prodigiosa citt, attimo che nella mente d'un Dio emergesti. Gli uomini per un sogno vissero, non vissero, eternamente fulgidi come un soffio divino. Giardini, fiori. Mare vigoroso come un braccio che aspira alla citt che vola tra montagna ed abisso, bianca nei venti, con qualit d'uccello sospeso che non giunge mai. O citt non sulla terra! Da quella mano materna fui condotto leggero per le tue strade senza peso. Piede nudo nel giorno. Piede nudo nella notte. Luna grande. Sole puro. L il cielo eri tu, citt che in lui dimoravi. Citt che in lui volavi con le tue ali aperte. A FRAY LUIS DE LEN Che linfa lieve, dei sublimi geli figlia e sepolcro, sopra il pian silente frange i suoi freddi, versasi fluente, luci recando, diffondendo cieli? Che orchestra d'acqua sotto i miti veli dell'aria, muta, fonde la stridente spuma in ampia dovizia, e vi consente terso il dialogo, luce e ciel fedeli? L'alta notte, la chioma sostantiva - albero illustre - innalza alla bonaccia, totale accrescimento e rame belle. Brezza di cielo, giovane, suasiva, la sua gloria distesa, aperta, abbraccia lungamente, e risuonano le stelle. 1928 COME IL FIORE DEL CARDO Bello il regno dell'amore, ma triste pure. Perch il cuore dell'amante triste nell'ore della solitudine,

quando al suo fianco guarda gli occhi amati che inaccessibili si posano sulle nubi leggere. Nacque l'amante per la felicit, per l'eterna propagazione dell'amore, che dal suo cuore si diffonde per versarsi senza limite nel puro cuore dell'amata avvinta. Ma la realt della vita, il richiamo dell'ore quotidiane, la stessa nube remota, i sogni, il breve volo ispirato dal giovanile cuore ch'egli ama, tutto cospira contro la durata senza tregua della fiamma impossibile. Ora l'amante contempla il volto giovane, l'adorato profilo biondo, il bel corpo che arreso un istante nelle sue braccia riposa. Viene da lungi e passa, e passa sempre. E mentre quel corpo dorme o geme d'amore nelle braccia amate, l'amante sa che passa, che passa lo stesso amore, e che il fuoco generoso che in lui non passa vigila puro il transito dolcissimo di quel che eternamente passa. Quindi l'amante sa che l'amata lo l'ama un'ora, mentre in altra ora i suoi occhi scorrono lievi sulla nube ingannevole che passa e s'allontana. E sa che tutto il fuoco che in due s' destato soltanto in lui perdura. Perch leggera e transeunte la fanciulla che s'abbandona e si rifiuta, che geme e sorride. E l'amante la guarda, con l'infinito amore di cosa che si sa momentanea. Dolce , forse pi dolce, pi tristemente dolce, vederla nelle braccia nell'abbandono effimero. Tuo sono - dice il corpo armonioso -, ma per solo un istante. Domani, ora stesso, rinvengo da questo bacio e contemplo il paesaggio, questo fiume, quel ramo, quell'uccello. E l'amante la guarda infinitamente afflitto - esultante e prostrato. Mentr'ella lieve si esime, adorata e dorata, e leggera discorre. E passa, e rimane. E s'alza e ritorna. Lieve sempre, qui sempre, l sempre; sempre. Come il fiore del cardo. IL POETA CANTA PER TUTTI I L sono tutti, e tu li stai guardando passare.

Ah, s, l, come vorresti mescolarti e riconoscerti! Il furioso turbine dentro il cuore ti rende pazzo. Massa frenetica di dolore, schizzata contro quelle mute pareti interiori di carne. E allora in un ultimo sforzo ti decidi. S, passano. Tutti stanno passando. Vi sono bambini, donne. Uomini Seri. Lutto certo, sguardi. E una massa sola, un unico essere, in s concentrato, marcia in fila. E tu, con il cuore angustiato, fatto convulso dal tuo solitario dolore in un ultimo sforzo t'immergi. S, finalmente, come t'incontri e ti trovi! L serenamente all'onda t'affidi. Tranquillamente vai alla deriva. E vai come in una culla sospinto, dondolato, soavemente. E odi un rumore denso, come un cantico in sordina. Sono migliaia di cuori che fanno un unico cuore che ti porta. II Un unico cuore che ti porta. Abdica al tuo proprio dolore. Distendi il tuo povero cuore contratto. Un unico cuore ti percorre, un unico palpito sale ai tuoi occhi, potentemente invade il tuo corpo, solleva il tuo petto, ti fa agitare le mani mentre ora avanzi. E se ti ergi un istante, se alzi un istante la voce, io so bene quello che canti. Quello che da tutti gli oscuri corpi quasi infiniti s' unito e ha lampeggiato, che attraverso corpi e anime si libera improvvisamente nel tuo grido, la voce di coloro che ti portano, la voce vera e librata dove tu puoi ascoltarti, dove tu, con stupore, ti riconosci. La voce che per la tua gola, da tutti i cuori disseminati, si alza limpidamente nell'aria. III E per tutti gli orecchi. S. Guardali come ti ascoltano. Stanno ascoltando se stessi. Stanno ascoltando un'unica voce che li canta. Massa medesima del canto, si muovono come un'onda. E tu immerso, quasi dissolto, come un nodo del loro essere ti riconosci. Suona la voce che li porta. Si sdraia come una strada. Tutti i piedi la stanno premendo. La stanno premendo leggiadramente, la stanno segnando con la loro carne. Ed essa si dispiega e si offre, e tutta la massa procede in fila gravemente. Sale come una montagna. il sentiero di quelli che camminano. E ascende fino al chiaro picco. E il sole si apre sulle fronti. E sulla vetta, con la sua grandezza, stanno gi tutti cantando. Ed la tua voce che li esprime. La tua voce corale e E un cielo d'imperio, completamente esistente, [librata. rende ora con maest l'eco intera dell'uomo. IL VECCHIO E IL SOLE Aveva vissuto molto. Si appoggiava l, vecchio, a un tronco, a un grossissimo tronco, molte sere quando il sole calava. Io passavo di l in quell'ore e mi fermavo a osservarlo. Era vecchio e aveva la faccia rugosa, spenti - pi che tristi - gli occhi. Si appoggiava al tronco, e il sole gli si avvicinava, dapprima gli mordeva soavemente i piedi e l si fermava alcuni momenti come raggomitolato.

Poi saliva e andava sommergendolo, annegandolo, attraendolo soavemente a s, unificandolo nella sua dolce luce. Oh, il vecchio vivere, il vecchio durare, come si stemperava! Tutta l'aridit, la storia della tristezza, in pi le rughe, la miseria della pelle risecchita, come si andava lentamente limando, struggendo! Come una roccia che nel torrente devastatore si va dolcemente sgretolando, arrendendosi a un sonorissimo amore, cos, in quel silenzio, il vecchio si andava lentamente annullando, lentamente abbandonando. Ed io vedevo il possente sole lentamente morderlo con molto amore e addormentarlo per afferrarlo cos a poco a poco, per dissolverlo cos a poco a poco nella sua luce, come una madre che soavissimamente riprende il suo bambino nel suo seno. Io passavo e lo vedevo. Ma a volte non vedevo se non un sottilissimo relitto. Appena un sottilissimo intarsio dell'essere. Quel che restava dopo che il vecchio amoroso, il vecchio dolce, era ormai passato ad essere la luce e adagio, adagio, era travolto nei raggi ultimi del sole, come tante altre invisibili cose dei mondo. NON TI CONOSCO Chi amo chi bacio, chi non conosco? A volte credo di baciare soltanto la tua ombra sulla terra, la tua ombra per le mie braccia umane. E non ch'io neghi la tua natura di donna, o in nessun tempo dea che nel mio letto gemi. Ma io non gemo d'allegria quando ti stringo. Sull'ebbrezza dell'amore, quando sotto il mio petto splendi con lo splendore segreto intimo che solo la pelle del mio petto conosce, io soffro di rimpianto, o tale sempre ultimamente ignota. Giammai: quando la unit di amore grida la sua vittoria nella gi unica vita, qualcosa in me non ti conosce nell'oscura ombra abbrividita che sotto il dolce peso dell'amore mi sorregge e mi porta nelle sue acque luminosamente travolto. Io luccicando trascinato sulle tue acque vive, talora oscure, miste a onde d'argento, talora abbaglianti, con vaste strisce d'ombra. Ma io, sul denso mistero, perduro a ignorarle. Il nuoto dell'amore sopra l'acque mortali, su cui si geme, s, galleggiando sopra l'abisso, acque profonde dense che nessuno indovina e che il mio corpo recano sopra assenze od ombre. Allora, chiuso il tuo corpo sotto l'artiglio rude, sotto la delicata mano che tutta la musica rapisce alla tua carne lieve, io t'ascolto e vibro della segreta armonia, del suono irreale che dalla tua vita m'assale. Oh non ti conosco: chi canta o chi geme? Quale musica mi penetra per l'udito assorto? Oh quanto dolorosamente non ti conosco, corpo amato che non parli per me che non t'ascolto. DMASO ALONSO

COME ERA?

Come era, Dio mio, come era? Juan Ramn Jimnez La porta, aperta. Tacita e soave entr. N spirto n materia. Incline quasi a un moto lievissimo di nave, giorno limpido in luci mattutine. D'essa non ritmo n armonia l'essenza, n colore. Ed il cuore non la ignora, ma dirne non saprebbe l'apparenza, ch non forma e in forma non dimora. Lingua, vano cesel. fango mortale, il fiore del concetto lascia indenne nella mia notte lucida, nuziale, e canta con dolcezza, flebilmente, la sensazione, l'ombra, l'accidente, Ella colmando l'anima perenne. SOGNO DELLE DUE CERVE O terso chiaroscuro del dormente! Demoliti i confini, irruppe il sogno. Spazio soltanto. Luce ed ombra, due cerve velocissime, s'allungano alla fonte d'acque fresche, centro di tutto. Vivere la carezza di quel vento? Fuga del vento, angoscia, luce ed ombra: forma del tutto. E le cerve, le cerve infaticabili, frecce accoppiate al tiro della meta, fuggono e fuggono. L'albero dello spazio. (Dorme l'uomo). In punta a ciascun ramo c' una stella. Notte: i secoli. LA MORTE Ombra fu la marea di tenerezza. che ti recinse come l'acque alte quando a un riparo oscillano le spighe. Non la temere. I venti hanno ceduto. Volare, un sogno inospite sentire! Senza sfiorarle, ripassar sull'acque dove, sogno anche noi, si remeggiava! Ah guardare quel cielo... quei giardini... quella luce affilata... si era bambini: verso il pioppo correvano i puledri - oh fresche arie! - mattutini... e l'erba e l'acqua occulta all'amorosa sete. Volar controcorrente alle sorgive pi calde: la sua mano e quel suo bacio! Volare, il tutto irraggiante sentire

e il centro esatto e giusto della vita! ...Quando l'enorme forza ci trascina, quando la fredda macchina languente verso un pi forte sole ci sacrifica. CUORE PRECIPITOSO A Eusebio Oliver Cuore veloce, ahi quanto mi ferisci coi tuoi magli di folle battitore! Che frenesia, che odio distruttore premono s che il tuo sfacelo ordisci? forse un'illusione? E t'offerisci d'affoltir la mia vita, accrescer l'ore? Non mi darai pi stelle ed altre aurore, ne gaudii, se pur rapido t'ardisci! Fuggi, bada, dal tempo, mentre fuggi. Plenitudine hai chiesto: morte chiedi. Non il tempo, il mio tempo hai condensato. Ahi, cieco cuore, tu che ti distruggi nel misurare, e misurando ledi! Veloce, anzi m'annienti, te annientato. SOGNO DELLE DUE CERVE (Continuazione) ... L'albero dello spazio. Dorme l'uomo. In punta a ciascun ramo v' una stella. Notte: i secoli. Dorme, sgomento s'agita: comprende. Ora ha compreso, e abbrividisce l'anima. Gelido sogno! Fiorito d'astri fugge il grande albero, le cerve dai veloci piedi fuggono, fugge la fonte. Perch ci sfuggi, Iddio, perch ci sfuggi? La veste a coda, le prolisse trecce, dove s'annegano? C' una fossa, uno stretto dello spazio, un oscuro crepaccio verso il nulla, dove versi il tuo fiato? Ahim, non giunger forma all'essenza, mai cerve alla sorgente fuggitiva. Giammai, giammai! DONNE O bianchezza! chi infuse nelle vite nostre di bestie folli ed abissali, questo raggio di luci siderali, queste nevi, nel sogno invigorite? O dolci bestioline perseguite!

O tatto terso! O segni zenitali! O musiche! O faville! O corpi frali! O dal mare alte vele scaturite! Ahi, timidi fulgori, oriente puro, chi v'indusse al mio cuore d'uomo duro, a questo d'odio e oblio cupo fragore? Nuvole, dolci ombre, fiori vani Teneri spettri, vagamente umani, misere donne, d'aria o di tremore! SCHERZO A J. B. Per le praterie profonde, allarmate e turbate - o cerve in fuga! fuggono le idee con piedi s lievi, che se il fulmine s'abbatte, predace dell'alto cielo, non trova altro che spazio: parentesi d'alveo, ombre di collina, albero aguzzo, traccia di piede veloce: sorriso. CAMMINO NOTTURNO Alberi sitibondi, chiome ploranti, che ascendon la collina dietro la bellezza ultima, pelati dall'uragano nel correr gi il declivio fino alle crepe profonde - oh vita! - del vallone. Alberi sono, che cercano nel deserto e nel vento quel che tu cerchi. Fuggi, ahi, fosco viandante! PORTOCIECO DEL MARE Il mare si son portati via. L'ultima casa ancora serba l'insegna marinara. E le vacche (gabarre nel prato della maremma) verso il tramonto fendono la terra grassa, dove vi sono ancora conchiglie dorate, sonore buccine e una canzone marina. Il vento non sa. Nelle notti senza luna,

va a baciare la schiena dell'onda assopita, non infranta. E a fendersi nell'albero aguzzo della nave. E a gonfiare il gran ventre della vela. Ma... Si lacera nei picchi polverosi e palpa come un cieco il molo infranto. Poi stende la sua lunga lingua e lambe l'arenile assetato, palmo a palmo. Finch ritorna (vela della pianura, sfilacciata) a soffregarsi contro le dolenti dimore del villaggio, in lunghi sibili, contro l'aurora attonita. A UNA STANZA Prigione di calce e pietra, bara tra pavimento e tetto, ormeggiata alla croce esatta degli spazi e del tempo, in mare di campi, marina di ore mansuete dentro terra. Sei piani lindi vegliavano un cuore aereo (porta spalancata alla vita, balcone dischiuso al sogno) e una lampada sognava, assopita nella notte, porto. Sradicato da te, per mare, per terra, mi muovo. Per la forma e la luce: strapiombo d'oblio, superato dal tempo, ponte, rotto al capo della mia vita, dalle sponde del tuo ricordo. Giacch, acque azzurre, i giorni ti lambiranno i muri e un vento freddo - lo spazio ti sospinge, nave morta, man mano che la tua carne lacero, terra mia, e m'allontano. MORTE DIFFERITA Vespro senza un fiore. Pigra strada. La pianura accendeva le sue ginestre. Ululavano al fondo le mute inferocite dell'estate. Ahi, perch quando crepitano i sarmenti della febbre, a volte s'aprono recondite, diafane sale di dolce aroma o brezza? Tersa visione di pace! La febbre

ti trasse fino ai miei occhi? Fosti un sogno del vento del meriggio, plasmatore? Dietro una curva del sentiero, sorge il cancello d'un giardino. Aperta, la porta. un fervore d'uccelli, un singhiozzar di fonti, dentro, la verde strana luce. Alte fiamme di sogno in ombra occulto, gli aguzzi cipressi vibrano lievemente la freccia esatta contro il folto azzurro. Fiori mostruosi, fiori d'altri declivi, esalano denso aroma, quasi carnale. E voci inerti fluttuano, dolci lamenti e musiche in sordina. Ampio viale svanisce nel profondo senza tempo. Io guardavo in silenzio la fresca ombra del giardino (oh pace, oh profumo letale, oh luce strana!) Avevo sonno e sete. Un vento inesistente, torpido istinto, mi sospingeva... stavo gi per entrare... Dura torva bellezza, occhi d'acciaio e bronzo il crine mi grid: No, tu, prosegu il tuo cammino. Ed indic la sera. Gi era un lago d'ombra la pianura, e ululavano lungi le mute inferocite dell'estate. A UN POETA MORTO [F. Garca Lorca] morire, aspirare un nuovo fiore, un profumo ch' sogno e ci pervade come un'acqua densissima. La Notte accoglie i vinti nella sua dolcezza. Notte assoluta! Tremiamo noi mortali alle sue luci. In quelle terse ore dell'insonnia ho guardato i suoi occhi fronte a fronte: ed un amore, un furore di gelo, un vortice tranquillo, sopra un mondo senza spazio n forma n rumori. Come un'idea di vento d'uragano, la raffica d'un dio futuro, sorge dall'imminente vuoto impenetrabile. Che nere chiome sparse! che spigoli infecondi! che presagi! nevi solcate, voci soffocate! Tristi uccelli senz'ombra si smarriscono per cieli senza spazio. Distaccati sogni dal sognatore inesistenti lasciano scie. Vanno con rotte sartie fantastici navigli intempestivi,

per mare senza tempo, bordeggiando a golfi senza nome. E nell'interno laboratorio gelido e spettrale, nel sublime alambicco, gorgogliando tempo ed eternit. Oh no! la Notte accoglie i vinti nella sua dolcezza. Nutre affetti di madre, ed la madre ove ritorna tutto quel che vive. Questo grande delirio di futuro, quest'ansia inappagata del domani, per profondi burroni e ignoti valichi d'ombra e di luce, sgomento e prodigio, la nostra vita o questa angoscia d'essere, rompe un giorno la diga, traboccando nell'oscuro ristagno del riposo, nel lago senza tempo e senza riva. Pause, fragore, sussurri! E la Notte accoglie i vinti nella sua dolcezza. Quale felicit, chiuder le palpebre e a quel bacio affidarsi, della nostra vita il bacio pi bello! Oh quieta Notte, muta presenza della gran dolcezza ove annidano i nostri chiari giorni! O grande pace, porta scura al fondo, quando le stelle pallide rimiran benigne quei che oltrepass la soglia! O morte, amata da quel fido amante ch' quei che vive e te cercando avanza per saziarsi di te! Tu, dolce morte, leale innamorata e senza inganno: accogli il nostro amico nel tuo asilo! Sempre ti am, giacch la vita amava. Coronalo di fiori funerari, mentre di qua viole noi spargiamo e lacrime su quella pietra muta! Te cercava l'ignoto sentimento dei suoi giochi di bimbo e i sogni torbidi della sua sbigottita adolescenza. Vide il mare, le selve, i monti impervi su indolenti, vastissime pianure; vide nel cieli i lumi trepidanti delle notti profonde dell'estate, e gli montava all'anima di brame oscure una marea: non avvertiva che tu con mute voci lo chiamavi. E l'amore conobbe. Corpi vinti crollavano sui loro allettamenti. L'effimero acquist la permanenza? Laggi nella miniera pi profonda esplorava il tuo volto imperscrutabile. Tu, morte, tu, l'amore; tu, all'amico; tu, la melanconia, le aspettative, le tremanti, le timide profferte; tu, i carboni roventi e le vampate; tu, il dolcissimo spasimo, tu occulta amante, unico amore, eterna amante! Am. Gridava: Vita! Pi, pi vita!

Amore, amore, inizio della morte! Tremenda dea dagli occhi dolci, sazialo! solo ormai con te: per sempre tuo. Per sempre. Ed immortale, dio, assenza. INSONNIA Madrid una citt di pi di un milione di cadaveri (secondo le ultime statistiche). Talora nella notte m'avvoltolo e mi levo a sedere in questo loculo in cui da 45 anni marcisco, e trascorro lunghe ore ad ascoltare l'uragano che geme o i cani che abbaiano o la luce della luna che fluisce dolcemente. E trascorro lunghe ore gemendo come l'uragano, abbaiando come un cane infuriato, fluendo come il latte dalla poppa calda d'una grande vacca gialla. E trascorro lunghe ore domandando a Dio, domandandogli perch la mia anima marcisce lentamente, perch marciscono pi di un milione di cadaveri in questa citt di Madrid, perch un miliardo di cadaveri marciscono lentamente nel mondo. Dimmi, che orto vuoi concimare con la nostra putredine? Temi che ti si inaridiscano i grandi rosai del giorno, i tristi gigli letali delle tue notti? COSA Tu rompi... l'ondeggiamento dell'aria J.R. Jimnez Ahi, ostinata fanciulla! Dici di no al vento, alla nebbia e all'acqua: tagli il vento, dividi la nebbia, fendi l'acqua. Ti sottrai alla luce profondamente: la respingi nel momento in cui si colora di te: verde, gialla, - nel momento in cui vinta da te - grigia, rossa, argento. E ti occulti alla notte, l'ardua notte d'orrore delle tue viscere sorde. Quando la mano cerca di possederti, la pelle sente i tuoi limiti: la muraglia, il fossato della tua nemica fede, sempre all'erta. Ti detti nome, il marchio del mio ferro: calice, briglia, garofano, gala, piuma... (Catturavo soltanto la tua ombra). Al senso interiore m'appellai contro di te. E allora, oh schernitrice.

ti dissolvesti in forma e in colore, in peso e in aroma. Giammai tu: tu, tesoro, tu, inafferrabile! Ahi, ostinata fanciulla, ahi, volont dell'essere, presenza ostile, limite freddo al nostro amore! Ahi, torbida bestiolina d'ombra, che palpiti ora tra le mie dita, che ripeti ora tra le mie dita il tuo duro rifiuto di bestia ostile! DOLORE Verso l'alba mi dest da un dolce sonno un improvviso dolore, una stilettata nel terzo spazio intercostale destro. Sottile, sottile, andava crescendo e in ampi cerchi s'irraggiava. Proiettava radici che, invadenti, si conficcavano nella carne, separavano, scricchiolando, i tendini, perforavano, senza scheggiarle, le ostinate ossa durissime, e da esso sorgeva un intero cielo di rami oscillanti e aerei, come un salcio giovane s'otto il vento, ora illuminato, ora torvo. come i levrieri-nubi galoppano sui campi nel mattino primaverile. S, s, tutto il mio corpo era come un salcio d'aprile, come un fine disegno, come un salcio tremulo, tutto delicato arabesco, lunghi rami elettrici, che si scontravano in corte scariche, intrecciandosi, disgregandosi, per fondersi in noduli o aprirsi a ventaglio Ahi! Io, rannicchiato presso il mio dolore, ero come un bambinello di sei anni che contemplasse assorto il fratello minore, neonato, e lo scorgesse di colpo crescere, crescere, crescere, farsi adulto, crescere e diventare un gigante, crescere, premere, ed essere gi come i monti, premere, premere, ed essere come la via lattea, ma di fuoco, crescere ancora, ancora, ahi, crescere sempre. Ed io ero un bambino di sei anni rannicchiato nell'ombra presso un gigante cosmico. E fu come un incendio,

come se le mie ossa ardessero, come se il midollo delle mie ossa gocciasse fuso, come se la mia coscienza stesse bruciando, e bruciando, annichilendosi, di nuovo incessantemente si riproducesse la sua materia combustibile. Fuori, c'erano forme non ardenti, lente e segrete, fredde: minuti, secoli, ere: il tempo. Nient'altro: il tempo freddo, e presso di esso un incendio universale, inestinguibile. E precipitava, precipitava il freddo tempo, il tempo Spietato senza tregua, mentre ardeva con trucioli di fiamme, con lunghi serpenti di zolfo, con terribili fischi e crepitii, sempre, il mio grande fal. Ah, la mia coscienza ardeva frenetica, ardeva nella notte, sciogliendo un fiume liquido e metallico di fuoco, come gli alti forni che non si spengono mai, nati per ardere, per ardere sempre.

QUATTRO SONETTI SULLA LIBERT UMANA _I Creazione delegata Che meraviglia, libert. Signore del voler mio: mi forgio (e forgio), agendo. Libero uomo, mi scolpisco. Attendo, vo, parlo, taccio, rido, ardo in furore. Io, Damaso, qual Damaso. Minuto agente, io del Dio enorme - se, pensando, ridendo, agendo, creo creazione - quando fertile sogno a prolungar l'aiuto. Iddio mi spira il soffio nella pelle creatore. Padre, madre, sorridente, s'allegra dei miei passi (Ors!) spauriti. Creazione io plasmo, bimbo suo, dal niente, libero punto, volont ribelle, stando tra mondi attoniti, infiniti. _II Incontrastabile, divina Sei bella, libert. Non c' in natura chi ti contrasti. E datemi tormento! Pi brilla e in un pi terso firmamento libert nel tormento fatta pura. Ch'io non gridi? Bavaglio gi s'appresta? Venite: il mio pensiero imbavagliate! Grido non nel vento onde agitate,

grido coscienza d'uomo che si desta. Sei bella. Dio in persona te lucente vide, dinanzi al primitivo abisso, sopra il suo petto solitaria stella. Una favilla del vulcano ardente tolse in mano. E alla mia fronte t'ha affisso, libera fiamma in Dio, libert bella. _III Pentimento Che hai fatto, tu? Damaso, bruto, bruto! Con libert, del mondo un centro avevi. Tempo di Dio, per libert crescevi. Fiore su ramo libero e adempiuto. Che hai fatto, adolescente capro irsuto, poi iena, lonza, alla tua valentia, or vecchio micco, tu, disarmonia, del mondo in Dio, Damaso bruto, bruto? Ali di libert, aere sereno, l'ordine intorno a me. Gridavo or io: Damaso-Dio in libert! Oh, l'empio: aria di Dio squarciavo senza freno, che osai la libert, divino esempio, alzare sferza contro Dio, Dio mio! _IV Vita-libert Libert, che sei tu? Gaiezza? Ebbrezza? Primavera? Ma forse primavera un nuoto d'ori fluidi? Riviera ha la gaiezza? S? e non gaiezza. Allodole nell'anima, fendenti un breve azzurro, libert? O montana neve era in sogno o in questa linfa umana era aprile di mondi adolescenti? Ahi dimmi chi sei tu, volont mia... Gaudio di Dio, che verso me affluisci? Aroma della vita, che m'ubbriachi? So solo, libert, che in tenebria sento il polso di Dio, e in me fluisci, ansia libera, e in tempo ti propaghi. SOLITUDINE IN DIO Io resto solo col mio Dio; che schianto! stanze del mio intelletto! Compagnia non v' d'umani o d'angeli che stia in tomba-solitudine, aspra tanto. Qui mi stride nell'ossa. L'amaranto del mio sangue rovescia. Qui mi stria i vivi nervi l'urlo. Pena mia, di lui mi sanno i sali del mio pianto. Solitudine in Dio: n amico o amore,

n padre o madre. Io ferro ed egli, il polo. Confitto in lui, di tempo e nome ignudo. Ahi, meco, in solitudine terrore, mio duro Dio, mio forte Dio, mio solo Dio, tu, dell'uomo immensa solitudine. SCOPERTA DELLA MERAVIGLIA I Un quid s'ergeva tenero, succoso, innanzi a me. Io ero (io, coscienza). Ma il qualcosa s'ergeva davanti. Ed era tutto quel che non ero: cose. E le cose emanavano dei fili sottili: luce cangiante, luce, con certe variazioni inspiegabili, offriva tenerissimi indizi di variazione esterna a me. Ah, sorprendente: unico ero, io Damaso: il non-Damaso, vario. Ma, come ero io? Lucida unicit si diffondeva in me. Quando dico si diffondeva, forse ammetto... chiaro: un movimento, un cambio temporale. Io vivevo, variavo in ogni istante; essendo solo un unico Damaso, - mistero - in fila c'erano dei Damasi infiniti: tanti quanti d'un cuore i battiti. Le cose emanavano fili sottili, dardi o steli (io non so): s'aggruppavano verso di me, si fondevano in me (meglio: con me). Mai un arazzo pi bello fu tessuto per nozze del diverso e dell'uno. Arazzo, fili; o dardi che crivellavano. Infranto il mio palazzo (immagino, costruito di nero, la vigilia di tutto: un nero sul profondo) sprofondavano muri: fiamme. Che rogo questo multicolore?... O fusti, in crescita tenaci, e in spazio-groviglio di liane, di sarmenti, di fitta selva vergine. Che gioie, che portenti! ardevo sempre, in fuoco no, in luce. Io, torre, mirabile vedetta, torre di luce; io, faro, vetrina di diamanti, loggia di tropicale meriggio. Dolce specchio, retina, mia inventrice! T'aizza un quid esterno: attiri frecce, fili, steli, d'amore antenna, centro di fluido amore. E il Damaso pi pozzo, pi larva in cupo lutto problematico, cambi in Damaso-vetrata, torre di luce, faro, creandosi, creandoti, luce, in che nervo intimo?, inventore dei Damasi, d'universi inventore, che grida: Luce, io vivo. Un infinito sta nella luce d'un attimo: di morte non parlatemi. II

Ho guardato i miei occhi. Ho guardato i miei occhi in uno specchio: oscuri erano e piccolini. Qualche volta piangevano. Per ci non eran occhi di gambero o di bruco, ma d'uomo: sono due piccoli fori neri e tristi. Ma la luce, che creano, succhiata, li inonda, una marea infrenabile, immensa, d'immenso, occhi d'un essere totale, senza limite. E questo nei miei occhi, che in essi si ricrea, s'unisce in quadro unico. I due piccoli fori (non di bruco o di tigre, sebbene tristi e orribili) che ho visto nello specchio, sono una gran vetrata di mia grandezza d'uomo. Miei piedi, ventre, mani, li guardo quasi esterni a me, non-io, (ci, cose). Ma dal mio petto in su mi monta una dolcezza: come se il mio corpo mi si squarciasse tutto, come un cristallo: come se la mia testa, guscio di luce gi vetrina, tutta si aprisse al mondo, assorbendo, bevendolo. Bevendo luce, cose, le cose con la luce, ed io con esse, Damaso amalgamato in luce, assorbendo, bevendo il mondo in luce ed io con esso. Ovale ardente della mia vista, torre, faro-Damaso al mondo! RAFAEL ALBERTI

IL FERITO A Ita - Dammi il tuo fazzoletto, sorella, ho una brutta ferita. - Dimmi che fazzoletto vuoi, quello rosa o di color oliva. - Voglio un fazzoletto ricamato, che abbia alle quattro punte disegnato il tuo cuore. NINNANANNA DEL BAMBINO CATTIVO Al mare, se non dormi, ecco che viene il vento! E nelle grotte marine abbaiano i suoi cani. Se non dormi, alla montagna: vengono il gufo e lo sparviero del bosco! Se dormi invece, al mandorlo, bambino mio, e alla stella di menta!

NINNANANNA DELLA CAPRA La capra ti sta portando un caprettino di neve perch giochi con esso. Se ti succi il ditino, non ti porter la capra il suo caprettino. CROCE DI VENTO Nevicata, di neve chiara, fiore dei timpani, tu, su un capriolo marino. Nord. Sud. Dorata, d'oro chiara, flora dei fuochi, tu su un coccodrillo verde. Est. Ovest. ELEGIA DEL RAGAZZO MARINAIO A Manuel Ruiz Castillo Bel marinaio esile, Luigi Gonzaga del mare, quanto fresca la tua psca, appena pescata! Te n'andasti, bel marinaio, una notte lunata, cos giulivo, cos grazioso, cantando, al mare salato! Quanto umile il mare! E come sapeva domarlo! Tanto dolce il suo canto che il vento perdeva la testa. Cinque delfini remiganti la barca gli scortavano. Due angeli marinai, invisibili, la guidavano. Tese le reti, che fatica!, sopra il mare gelato. E pesc la luna piena, sola, nella rete argentata. Quanto nero rest il mare! Quanto desolata la notte! Inabissato il suo canto, s'inabiss la barca. Fluttua ora nel vento il sorriso abbrunato del suo volto. Che lamento della notte tenebrosa! Ahi! ragazzo mio marinaio,

brunettino e leggiadro, s vezzoso e gentile, pi puro e buono del pane! Che farai, pescatore d'oro, laggi nelle valli salate del mare? Hai trovato il tesoro della pesca segreto? Lascia, ragazzo, le saline del fondo, e in su portami il cielo dei pesci, e, al tuo amo, la mia ortolana del mare. RAGAZZA RINCHIUSA 1 Tuo padre dicono, che ti rinchiude. Tua madre, che tiene la chiave. Nessuno vuole ch'io ti veda, che ti parli, che ti dica che muoio dalla voglia di sposarti. 5 Perch possiedi oliveti e tori feroci da corrida, gli allevatori mormorano che non mi faccio avanti per te, ma per i tuoi denari. 6 Tutte le pietre del paese le porto infitte nei piedi. Vengo di lass, dal tuo quartiere, dopo aver girato per la tua strada, dopo aver vegliato la tua casa. E nessuno! (Dove ti nascondi tu?) E niente! 8 Lo sa gi tutto il paese. Lo va cantando il seggiolaio, lo racconta in giro il barbiere, ne parla il sellaio,

e il cavallaro lo commenta ai cantoni col mulattiere. Lo racconta al becchino il carpentiere. Lo sanno perfino i morti! E tu sola senza saperlo! 9 Sonnambulo stanotte sono entrato nel tuo giardino. Nessuno c'era; nessuno? - S. Sul lunare limoneto, la luna. Sotto, tu. Sola? - S. - Che fai tu? - Sto sognando un vestito per le mie nozze. - Con me? - No. 10 (Notturno) Lascialo quel sogno. Avvolgiti, nuda e bianca, nel tuo lenzuolo. Nel giardino t'aspettano dietro il muro di cinta. Muoiono i tuoi genitori, addormentati. Lascialo quel sogno. Coraggio. Dietro il muro di cinta, t'aspettano con un coltello Torna in fretta alla tua casa. Lascialo quel sogno. Suvvia. Nella camera dei tuoi genitori entra, nuda, in silenzio. Corri in fretta al muro di cinta. Lascialo quel sogno Salta il muro. Vieni via. Che rubino tra le dita t'arde e brucia, nero, il lenzuolo? Lascialo quel sogno. Suvvia. ...Dormi GLI ANGELI GUERRIERI (Nord. Sud)

Vento contro vento. Io, torre senza comando, in mezzo. Mulinelli di citt scendono dalle gole montane. Citt del vento del sud, che mi videro. Nelle tormente, rotolando, paesi. Paesi che io non conosco, citt del vento del nord, che non mi videro. Folla di mare e di terra, nomi, domande, ricordi, fronte a fronte. Coacervi di freddo livore, corpo a corpo. Io, torre senza comando, in mezzo, livida torre sospesa ad anime morte che mi videro, che non mi videro. Vento contro vento. L'ANGELO BUONO Venne quello che amavo, quello che invocavo. Non quello che spazza cieli senza difese, astri senza capanne, lune senza patria, nevi. Nevi di quelle cadute da una mano, un nome, un sogno, una fronte. Non quello che alla sua chioma leg la morte. Quello che io amavo. Senza graffiare i venti, senza foglia ferire n smuovere cristalli. Quello che alla sua chioma leg il silenzio. Senza farmi del male, per scavarmi un argine di dolce luce nel petto e rendermi l'anima navigabile. L'ANGELO AVARO Gente delle cantonate di paesi e nazioni che non stanno nell'atlante commentava. - Quell'uomo morto e non lo sa. Vuole rapinare la banca, rubare nuvole, stelle, comete d'oro,

comprare la cosa pi difficile: il cielo. E quell'uomo morto. Tremiti sotterranei gli scuotono la fronte. Crolli di frane, echi deliranti, ritmi confusi di picconi e zappe, gli orecchi. Gli occhi, lumi di acetilene, umide, auree gallerie. Il cuore, esplosioni di pietre, giubili, dinamite. Sogna le miniere. TRE RICORDI DEL CIELO Omaggio a Gustavo Adolfo Bcquer _Prologo Nessun anno avevano ancora compiuto n la rosa n l'arcangelo. Tutto, anteriore al belato e al pianto. Quando ancora la luce non sapeva se il mare nascerebbe maschio o femmina. Quando il vento sognava capelli da pettinare e garofani il fuoco da accendere e guance. e l'acqua sognava labbra ferme, dove bere. Tutto, anteriore al corpo, al nome e al tempo. Allora, io ricordo che, una volta, nel cielo... _Primo ricordo ... un giglio reciso... G.A. Bcquer Passeggiava con sentore di giglio che pensa, quasi d'uccello che sa di dover nascere. Mirandosi senza vedersi in una luna che il sogno le convertiva in specchio e in un silenzio niveo che i piedi le sollevava. A un silenzio affacciata. Era anteriore all'arpa, alla pioggia e alle parole. Non sapeva. Bianca alunna dell'aria, tremava con le stelle, con il fiore, con gli alberi. Il suo stelo, la sua verde persona. Con le stelle mie che, di tutto ignare, per scavare due laghi nei suoi occhi l'annegarono in due mari E ricordo... Nulla pi: morta, allontanarsi. _Secondo ricordo

...rumor di baci e battere di ali... G.A. Bcquer Anche prima, molto prima della rivolta delle ombre, prima che al mondo cadessero piume accese e un uccello potesse essere ucciso da un giaggiolo. Prima, prima che tu mi chiedessi del numero e del sito del mio corpo. Molto prima del corpo. Nell'epoca dell'anima. Quando tu inaugurasti sulla fronte senza corona del cielo la prima dinastia del sogno. Quando tu, mirandomi nel nulla, inventasti la prima parola. Allora, il nostro incontro. _Terzo ricordo ... dietro il ventaglio di piume e d'oro... G.A. Bcquer Ancora i valzer del cielo non avevano sposato il gelsomino e la neve n i venti pensato alla probabile musica dei tuoi capelli, n decretato il re che la violetta fosse seppellita in un libro. No. Era l'et in cui la rondine viaggiava senza le nostre iniziali sul becco. In cui le campanule e i convolvoli morivano senza balconi da scalare e stelle. L'et in cui all'omero d'un uccello non v'era fiore che appoggiasse la testa. Allora, dietro il tuo ventaglio, la nostra prima luna. L'ANGELO DELLE CANTINE I Fu quando il fiore del vino moriva in penombra e dissero che il mare l'avrebbe salvato dal sogno. Quel giorno scesi a tentoni nella tua anima bianca di calce ed umida. Ed accertai che un'anima nasconde freddo e scale e che pi di una finestra pu aprire con la sua eco un'altra voce, se buona. Ti ho visto, fior d'agonia, galleggiare, s, sul tuo stesso spirito. (Qualcuno aveva giurato che il mare t'avrebbe salvato dal sogno.) Fu quando accertai che muraglie si fendono con sospiri e che vi son porte al mare che s'aprono con parole. II Il fiore dei vino, morto nelle botti, senza avere mai visto il mare, la neve. Il fiore del vino, senza aver gustato il t,

senza aver visto mai un pianoforte a coda. Quattro cantinieri imbiancano i barili. I vini dolci, piangendo, s'imbarcano intempestivamente. Il fiore del vino bianco, senza aver visto il mare, morto. Le penombre si bevono l'olio e un angelo la cera. Ecco tratto tratto tutta la mia lunga storia. Serbatemi il segreto, olive, api. L'ANGELO SUPERSTITE Ricordatevi. La neve recava gocce di ceralacca, di piombo fuso e dissimulazioni di fanciulla che ha dato la morte a un cigno. Una mano inguantata, la dispersione della luce e il lento assassinio. La sconfitta del cielo, un amico. Ricordatevi di quel giorno, ricordatevi e non dimenticate che l'insidia paralizz il polso e il colore degli astri. Nel freddo morirono due fantasmi. Da un uccello, tre anelli d'oro furono trovati e sepolti nella brina. L'estrema voce d'un uomo insanguin il vento. Tutti gli angeli perdettero la vita. Meno uno, ferito, con le ali recise. IL MURO Ora che pensavamo di far scorrere le pareti, aprire le porte dove il mare si stende agiatamente, udire come dall'altra parte di un pozzo l'ultimo passo d'un figlio di famiglia. Quelli che non sanno sono lontani. Sei tu chi si muove? Liberi andare, andare, avendo noi bruciato la polvere maligna che scorreva nel sangue, chiudere gli occhi, chiuderli alle lettere che ci giungono dopo aver dormito, ormai tardi, cadendo in questo cerchio di caratteri scomposti scavati dai secondi, ora, ora che pensavamo a tutto questo, che credevamo nell'altro... Chi si muove, respira, non si muove, non respira, s'allontana dalla presa d'una mano in delirio, giacch c' bisogno, molto necessario, c' molto bisogno che s'avvicini, urge. che io mi muova, respiri, non mi muova, non respiri,

s'allontani, m'allontani. Escono fuori oscure, proseguono cieche, lottando con la notte e con i campi, disorientate dai treni, escono in cerca di me da un villaggio spopolato, da un paese oggi squallido, da una citt che spegne a fucilate i suoi lampioni. Gi si perdono. Un bambino si smarrisce per il freddo e trova il mare invece d'una lepre, un ragazzo fugge di casa e sempre si trova contro le pareti, un uomo scende per comprar da fumare e alla seconda strada la morte gli gela il sigaro. Tre strade lunghe escono a cercarmi. Non ci sono. TORO NEL MARE (Elegia su una carta geografica perduta) 23 (21 giugno) Ch'io t'avvolga in sudario di violette in questa triste notte planetaria, suggello a tante cose, tra macerie un sanguinoso numero per sempre; che in sudario t'avvolga, mentre il fumo di questo autunno al sud, dandomi anima di foglia consumata, mi cancella nebbia in nebbia od il sogno d'altro sogno; vieni e il fresco sudario che ti do trapassi con violaceo odore ed umida luce i vividi rami misteriosi, verde, occulta pastura alle tue ossa. Ch'io t'avvolga in sudario di violette. (1940) QUANDO UNO CI LASCIA Allora, si presentano, ormai trascorsa l'ultima tirata della vita in cui i vestiti s'accorciano, inservibili al disastro dell'abbandono al tratto della morte; si mostrano chiss quali giardini, che giacigli segreti, che vestigi di voci innamorate, che apparenze d'acqua dolce stagnante crudelmente. Come per trasparenza ecco sale, si schiude d'improvviso, pi rapida d'un curvo gelsomino, evanescente, pura, delicata, tranquillit di fonte neonata, di bambina antenata, pur se fievole la voce le sussulta.

Un palissandro c' era, marinaio, usc al mare. Di terra e giardiniere, molle appena il suo azzurro di quel blu, sal, cant, grid, pi cilestrino. Nonna. Tu moristi a gennaio. Stella. Scia di quella, pi che barca, rondinella. ... Emergono chiss che bui recessi, chiss mai che rovine di rovina seduta ansiosamente, sussurrando penombre d'umilt, di sfinimento, nel frattempo ai socchiusi lucernari sale un pianto perduto di cantine tra un affogarsi oscuro di cavalli. Mi piangeranno i lecci, le cui fibre di fuoco, profumate dalle matrimoniali riserve, fanno prosciugare i pini; i pelargoni e le amarilli doppie che fermentano il fior degli annuali vini infrascati, pallidini, asciutti. Tovaglie. A me ripenseranno lunghi vetri, panciute botti, lenti o improvvisi moscatell di sangue, pi che zucchero. ... Emergono chiss quali relitti, frammenti di colloqui indefiniti tra le spiccate mele lazzeruole o nel brolo di nespoli innalzato dal timore ad un verde di verdoni. Sorella. Sei l, dimmi, sei l, sopra i balconi intrecciati di rose o nella stalla, angiola alla balaustra della loggia, brezza esaurita per salpar leggera? ...Ma subito, chiss che acqua dolce crudelmente stagnante, che tendine d'amor stecchito, lieti, familiari propositi, nel lor centro custodi di quelle lisce mandorle, il lor cuore recidendo un amaro latte stilla. ...Si mostrano e non so che cosa dire. Te ne partisti. Sei morto, e il tuo vestito finale s'accorci violentemente. Lasciami qui con quel che m'hai portato: un resto di paesaggio e il tuo corpo presente. RITORNO DI UN MATTINO DI PRIMAVERA Forse con pari numero, con la stessa inesausta numerazione d'onde che fino dalla nascita del tuo divino dorso azzurro esagitasti,

mi chiami risuonando, infrangendo la fronte di spuma sulla riva, dove il mio luminoso cuore sempre vedeva, mare mio, su di te soffiar la primavera. Da tante, tante angosce, senz'eco, dopo tanti giorni identici, notti d'uno stesso sembiante, dalle simili grotte di ciascun'ora, dolce non fare resistenza al tuo verde richiamo. Che mi apri? che infranti puri ed antichi archi bianchissimi? Che snelli colonnati tranquilli, fini travi recise, che castelli costieri senza gente m'innalzi? Assenti da rumori taccion le brezze, muta sta la sabbia degli agili piedi e silenziose le pinete del nudo meriggio dell'amore. Lascia che li riempia il mio cuore di gioia. Discendi, bimba mia, dalle torri. Tu sei mia sorella, sorella. La pi piccola. Scalzi andiamo sulle rocce, nei prigionieri oblii dell'acqua, sulle ossa dorsali, senza tema contro gl'insopportabili ostinati molluschi. Sopra gli aperti spazi inseguimi dell'onde. l'et quando il vento vuole doppiare il vento. Portami, ciecamente vittoriosa, la tua testa recinta d'alghe, alle dune ondulate di confine che aureolano le candide ginestre. E come non potrei, celato, dagli allarmi diafani sulle dune, sorella mia, guardare le cose che non videro altri occhi offuscati? Chi mi vieta ch'io popoli per te, dopo tanti anni, le spiagge di quel giorno, di quel lungo ponente, col puledro dal mare balzato or ora, e in groppa la primavera eretta sul suo arcione di spume? Molto hai pianto, sorella, hai pianto ch'io non possa riempirti le rive di tragitti felici, di dondolanti fiori la rotta architettura e d'un amore i calici esultanti dell'aria. Accogli quel che il mare m'ha portato stamane e supplicalo sempre per me dei suoi ritorni. RITORNI DI UN GIORNO DI RITORNI Forse, sicuramente, un bel giorno qualcuno (qualcuno cui almeno possa dar questo nome) mi avr nella memoria pensandomi s lungi e, fossi ritornato, dir le mie parole. Sei qui, sei gi arrivato, con pi notte nel capo. Alla tua patria vieni viandante, pellegrino. I luoghi che inventasti, le ore che creasti, ancora palpeggiati dalla tua luce ed ombra, escono per accoglierti. Che cos'hai?, ti domanda per prima la terrazza dalla quale vedesti tante volte morire con la notte le pietre dell'Escorial, le cime

da altri nomi percorse, da altre nevi ed occulti rami che t'abitarono. Nel vederti volevi dirti qualcosa, ma sai bene che il ruscello che scorre nella presente immagine la trascorsa non altera. Entra, sii il visitante delle tue proprie camere, viaggiatore lontano, dei tuoi stessi saloni, l'ospite melanconico, nella tua casa errante. Sono questi i tuoi amici accanto al caminetto. Tu fra loro non manchi, un libro nella mano. T'ascoltano. Negli occhi d'alcuni la lor morte quella che sta aspettandoti. Guarda il tuo letto. quello. Sei l steso che dormi, se pur non c' nessuno, anche se dal guanciale s' dileguato il sonno. Senza speranza aspetta un vestito i tuoi polsi, di cui possa riempirsi per camminare ancora. Affcciati un istante. Le tue allegre cucine conservano la brace di quell'ultimo fuoco. I piatti ti contemplano dalle loro scansie, nelle credenze i fini cristalli colorati. Nitida, contro il muro, flauto azzurro, si sgola la minuscola ombra del raro canarino. Nel lasciare il vestibolo, altro spazio non hai, quello se non scalini che ad uno ad uno scendono ai vecchi marciapiedi, n pi dolce conforto del perderti invisibile, in patria pellegrino, nei suoi vivi ritorni. RITORNI DELL'AMORE IN UNA NOTTE D'ESTATE A tentoni l'amore, alla cieca nel buio, forse incerto tra i rami - matura, qualche stella -, torno a sentirlo ancora, bagnato dalla brina tepida della notte, contro il fosso di timi e di mente recise. lui, unico, solo, eguale alla mia mano; la pelle che si sparge sul mio corpo, con l'ombra dei mio ora sortito cuore, i pi sotterranei centri ombrosi del mio essere lo volevano. Torna unico, torna come forma sfiorata, niente pi, come piena palpitazione tesa, coperta di capelli, come sangue intrecciato nel mio sangue, soltanto un palpito raccolto in altro palpito. Ma le parole, dove? Le parole non giungono. Non ebbero uno spazio in quell'inaridito notturno, non disposero d'una minima aria tra due bocche intermedia prima che si riduca a un tacito garofano. Ma un aroma nascosto s'insinua, si diffonde, mi brucia un allarmato odor d'oscura riva. Qualcuno sta afferrando un mormorio sull'erba. Nella notte d'amore trascorre sempre un fiume.

RITORNI DELL'AMORE CON LA LUNA Eri la luna con la luna. Risalivi dal letto affaticato, s grande e rilucente che l'assopite, oscure, lenzuola si credevano d'esser le fanaliste d'un sole sconosciuto. Profondo, era il giaciglio come cisterna immobile che incantata saliva da un'acqua illuminata. Nuotavano sommerse in dolce luce l'onde spinte dalle tue braccia a morir contro i muri. Quando infine ascendevi alle alte vetrate, che la luna remota contemplava nel sogno, tu, luna con la luna, traboccando, cadevi estinta nuovamente nel tuo letto tranquillo. Altre cose la luna m'ha portato stanotte, nel montar solitaria sopra gli alberi muti RITORNI D'UN'OMBRA MALEDETTA difficile, madre, tornare a te? Feroci siamo tuoi figli. Sai che non ti meritiamo forse, che oggi un'ombra maledetta ci stacca, ci separa dal tuo cuore spossato, mentre cade dura, atroce, mortale, sulle tele, come un'oscura asciata. No, non abbiamo mani, vero?, non le abbiamo; ahi, ahi, non lo sono, e perch esse sono artigli, unghioni sempre pronti a rompere le fonti coagulate per te sola nel pianto. E nemmeno son denti; sono punte, fiere creste affilate e insofferenti a risparmiar le tue labbra, le tue guance. Passarono sventure, sono accadute, madre, vere notti senz'occhi, albe non apparse se non per rinserrarsi in cieca morte. Cose che non succedono, che immagin qualcuno pi lontano, pi in l delle frontiere livide del terrore, madre, sono accadute. Ed anche se, se tu abbia potuto sognare in un momento che pu il mare placare nell'oblio le sue onde, una caccia implacabile, un rodeo invincibile senza uscita ti stringono finch fuori si versa il tuo sangue soltanto. Madre nostra, congiungici, avvicina codesto tuo prezioso ramo, cos celato, che aneliamo tutti afferrare, stringere, accendendoci in esso come un unico

dolce frutto perenne. Che in quel giorno, spogli da questa amara corteccia, liberati da questo calcolo di fiele che ci rode, allegri, ci arricchisca il tuo cuore tranquillo senza un'ombra. RITORNI D'UN'ANTICA TRISTEZZA Sere, o pi spesso notti, in cui a volte sento intorno, d'improvviso, alte figure pallide, fantasmi esangui, luci livide che di giallo mi forano le tempie. E tra lunghi scaloni, nei quali un persistente presentimento oscuro di morte labbra lascia raggelanti contatti, sento che mi conducono verso fonde navate dove le voci fievoli diventano un sussurro di voci, arresa eco solo di voci, sotterranee gole che muoiono per abbattere un muro, risalire un abisso, scuotersi da un ristagno che le affoga. Chi siete voi sommersi, s remoti d'occhiaie nelle quali si struggono come fiamma violetta intorbiditi sogni che mai vi popolarono? Chi siete tanto offesi , o morenti di vita, alte candele estatiche in scioglimento eterno? Vi ascolto con paura, scruto in ansia la vostra invasione, il vapore freddo che sordamente vi avviluppa, e mi sforzo d'evadere in silenzio, di staccarmi dall'antica tristezza, da questa dolce e lenta agonia che si leva, che da voi s'avvicina fino a me certe sere, o spesso alcune notti solitarie, d'incanto. BALLATA RECATA DA UNA NAVE Le driadi cavalline e i fauni sono i cavalli. (Una barca greca ha mosso gli alberi dal bagnato.) Colomba del Paran, vola e partiamo. Sono i pini del vallone quelli del Mediterraneo. Un vecchio gaucio nel vento, Sagittario. Ape del Paran, vola e partiamo. Ride in cirip Sileno,

ubbriaco tra gli aranci. Venere australe balla oggi sopra un verde sbagliato. Stella del Paran, vola e partiamo. BALLATA DELLA SINCERIT AL DE PROFUNDIS Signore, al De Profundis, oggi t'invoco, anche se non credo che m'ascolti, ma sei ancora una parola appresa da bambino e a volte, come questa sera, non male ripeterla. Signore, essere vento, Signore. Vento, essere campo, Signore. Campo, essere erba, Signore. Erba, essere nido, Signore., Nido, essere piuma, Signore. Piuma, essere nube, Signore. Nube, essere cielo, Signore. Cielo, essere pioggia, Signore. Pioggia, essere fiume, Signore. Fiume, essere nave, Signore. Nave, essere fumo, Signore. Fumo, essere mari, Signore. Mari, essere luna, Signore. Luna, essere lampo, Signore. Lampo, essere tuono, Signore. Tuono, essere calma, Signore. Calma, essere ira, Signore. Ira, essere verde, Signore. Verde, essere azzurro, Signore. Azzurro, essere nero, Signore. Nero, essere nebbia, Signore. Nebbia, essere chiaro, Signore. Chiaro, essere alba, Signore. Alba, essere giorno, Signore. Giorno, essere giorno, Signore. Qualunque cosa si veda, galleggi, voli o sprofondi, che sappia che sta nell'aria, che sta nella terra o nell'acqua. Esser qualcosa, qualcosa, eccetto quel che son ora: un poeta, le radici recise, al vento, divise, secca voce, non innaffiata, uomo lontano, solo, forzatamente lontano, che vede calare la sera col timor della notte. Qualunque cosa, ma viva, per quanto piccola sia. S, qualunque cosa, Signore

ma viva, qualunque cosa... BALLATA DELLA NOSTALGIA INSEPARABILE Sempre questa nostalgia, questa inseparabile nostalgia che tutto allontana e muta. Dimmelo tu, albero. Ti guardo. Mi guardi. E non sei pi lo stesso. N lo stesso vento che ti sta frustando. Dimmelo tu, acqua. Ti bevo. Mi bevi. E non sei la stessa. N la stessa terra quella della tua gola. Dimmelo tu, terra. Ti posseggo. Mi possiedi. E non sei la stessa. N lo stesso sogno d'amore che ti riempie. Dimmelo tu, sogno. Ti prendo. Mi prendi. E non sei pi lo stesso. Non la stessa stella che ti fa addormentare. Dimmelo tu, stella. Ti chiamo. Mi chiami. E non sei la stessa. Non la stessa notte chiara che ti brucia. Dimmelo tu, notte. ALLA SOLITUDINE GIUNSI Alla solitudine giunsi per veder se trovavo il fiume dell'oblio. E nella solitudine non c'era altro che solitudine, senza fiume. Quando s' visto il sangue, nella solitudine non c' fiume dell'oblio. Se ci fosse, giammai sarebbe il fiume dell'oblio. LA SOLITUDINE NEL MERIGGIO La solitudine nel meriggio, voglio dirti, sembra una ragazza accesa, un alto fal. I seni, grandi, bruciati, e i capelli, intrepidi, al cielo, alti. il meriggio. La solitudine nel meriggio. Ventre inarcato al sole, braccia distese e gambe. Voglio dirti: ragazza addormentata, piena. Fuoco nell'aria, e sotto,

la terra. Pi che bruciata la terra. il meriggio. La solitudine nel meriggio. S'APR IL FIORE DEL CARDO S'apr il fiore del cardo e il campo s'illumin. I cavalli s'accesero. Tutto s'incendi. Le vacche di luce pascevano ricche erbe di fulgore. Dal fiume spuntarono barche di sole. Dal mio cuore, che ardeva, un altro cuore. AMERICA STA MOLTO SOLA America sta molto sola ancora. Che corpo disabitato, pelle di vita desertica! Vuota da questo balcone la vedo. Sotto, terra senza nessuno, con in alto le stelle. Sola e lontana nella sua notte, molto sola, ma accesa. LE VELE SPARSERO Le vele sparsero tutte le lacrime che avevano. Non resta loro che piangere. Comincio a vedere. M'accompagna soltanto l'oscurit. La pi viva oscurit. QUEL FIUME, UN MEZZOD Quel fiume, un mezzod, divent duro, d'acciaio. Navi che vi passavano non ritornarono. Il vento, s, soltanto il vento. Il vento furioso, a raffiche, contro il fiume, per romperlo. Con la testa e col petto.

Giorno e notte, con la testa e col petto. Ma quel fiume era un fiume d'acciaio. Ormai per sempre, d'acciaio. TU RISUSCITERAI DAI MORTI Tu risusciterai dai morti, perch son vivi e tu viva tra i morti. Non sei morta, perch essi non sono mai morti. Il tuo bel volto di secoli in mezzo a loro. Il tuo bel volto son essi. Con lui respirano e parlano, sebbene son morti. Con lui s'alzeranno un giorno, sebbene son morti. Sei viva. S, ma un giorno tu risusciterai dai morti. I CAVALLI PASCOLANO ACQUA I cavalli pascolano acqua del sole. Oggi tutto il sole d'acqua. Tutto il sole! Bevono sole i salci, bevono l'acqua gelata del sole. Il mio cuore beve acqua del sole. Del fiume gelato del sole. QUANTI FOCOLARI SENZA FUOCO! Quanti focolari senza fuoco! Quanti non posson vedere, sentir quanto intimo e tenero il fuoco! Dolce stare nella notte, in silenzio, guardando il fuoco. Fuoco dei miei rimpianti istantanei, in te apprendo quel ch' la vita senza pane, senza calore, senza questo sonno che trema, fisso, nella tua fiamma, fuoco. Quante cose tu m'insegni, che a volte dimentico, fuoco. Dal mio rimpianto di oggi

torner dentro con te. SOLE DI QUESTA TERRA, D'UN'ALTRA Sole di questa terra, d'un'altra porto un sole dentro. Qui sta il tuo, qui il mio, fronte a fronte, ma identici. Il tuo mi fa ardere, il mio continua ad ardermi sempre. Due soli mi stanno bruciando. Sono, ecco, un toro di fuoco. LUIS CERNUDA

IL DIVORZIO INDOLENTE Il divorzio indolente. Gi la quiete si dona. Ammorbidisce l'ombra la bianchezza inaudita. Se i sensi novelli si schiudono al presente, presto per la gioia, ch nessuno si desta. E le musiche vanno addolcendo il passato. Qual mano arresterebbe il suono intonato? Il guanciale non apre gli spazi ridenti, ma d la certezza che esistono pi lontano. Il tempo nelle stelle. Esiliata la storia. I sensi s'assopiscono attendendo le nozze. I MURI, NIENT'ALTRO I muri, nient'altro. Giace la vita inerte, senza vita n suono, senza accenti crudeli. La luce, livida, sfugge, e il vetro s'assicura contro la notte incerta di piogge impetuose. Eretta, risuscita come di nuovo la casa:

i tempi sono identici, diversi gli sguardi. Ho chiuso la porta? L'oblio mi schiude le sue nude dimore grigie, bianche, senz'aria. Ma nessuno sospira. Un pianto tra le mani soltanto. Silenzio, nulla: l'oscurit che trema. VORREI STARMENE SOLO NEL SUD Forse i miei lenti occhi non vedranno pi il Sud dai lievi paesaggi assopiti nell'aria, coi corpi all'ombra di rami come fiori o fuggenti a un galoppo di cavalli furiosi. Il Sud un deserto che piange mentre canta, e non si spegne la voce come uccello che morto; al mare avvia le sue brame amare schiudendo un'eco flebile che dura in lenta vita. Nel Sud cos remoto voglio stare confuso. Laggi la pioggia solo una rosa dischiusa; anche la nebbia ride, riso bianco nel vento. La sua luce, il suo buio, sono bellezze uguali. NEVADA Nello Stato del Nevada le strade ferrate hanno nomi d'uccello. Sono di neve i campi e di neve le ore. Le notti trasparenti apron luci sognate sopra le acque o gli embrici puri costellati di festa. Le lacrime sorridono. d'ali la tristezza, e le ali sappiamo danno amore incostante. Alberi abbracciano alberi. Una canzone bacia altra canzone. Sulle strade ferrate passa la gioia e il dolore. Sempre c' neve assopita su altra neve, l nel Nevada. COME IL VENTO Come il vento lungo la notte, amore in pena o corpo solitario, tocca invano i vetri,

singhiozzando gli angoli abbandona. O come talvolta cammina nella tempesta, gridando follemente con angoscia d'insonnia, mentre gira la pioggia delicata. S, come il vento cui un'alba svela la sua tristezza errante per la terra, tristezza senza pianto, fuga senza un oggetto. Parimenti, straniero, come il vento fuggo lungi, eppure, venni come luce. SONO STANCO L'essere stanco ha piume, ha piume graziose come un pappagallo; piume, di certo, che non volano mai, ma balbettano come pappagallo. Sono stanco delle case che crollano subito senza un cenno d'avviso; sono stanco delle cose, con un frusciare di seta subito volte di spalle. Sono stanco d'esser vivo, sebbene pi stanchezza sarebbe l'esser morti; sono stanco d'essere stanco, tra piume leggere sagacemente; piume del pappagallo s familiare o triste, il pappagallo della perpetua stanchezza. LASCIAMI QUESTA VOCE Lasciami questa voce ch' mia cos come alla pampa lasciano le sue sterpaie di desiderio, i suoi fiumi aridi sospesi alle pietre. Lasciami vivere come lama arrugginita senza elsa, abbandonata sulle nubi; non voglio saperne della gloria invidiosa con coda e corna di cenere. Avevo un anello di luna tesa nella notte all'inizio d'autunno; lo detti a un mendico cos giovane che i suoi occhi sembravano due laghi. Affogai infine, o amici; ora dormo dove mai mi desto. Non saper pi di se stessi triste; dammi la chitarra per custodire le lacrime. IL MERLO, IL GABBIANO Il merlo, il gabbiano,

il tulipano, le tuberose, la pampa assopita in Argentina, il Mar Nero come dopo una morte, le bambine, i teneri bambini, le giovani, l'adolescente, la donna adulta, l'uomo, i vecchi, le pompe funebri, girano lentamente con il mondo; come una prugna verde, bezzicata dal tempo, inalterabile sul ramo. Teneri bambini, io v'amo; v'amo tanto che vostra madre potrebbe credere che voglia farvi del male. Dammi i glicini azzurri sul muro innocente, le magnolie inebbrianti nel grembo bianco e vuoto, le gambe dischiuse, i riccioli biondi dell'adolescente; con tutto questo preparer il filtro sempiterno: bevine poche gocce e vedrai la vita come attraverso un Lasciami, l'ora ch'io dorma, [vetro colorato. di dormire questo sogno interminabile. Voglio destarmi un giorno, sapere che i tuoi capelli, ragazzo, il tuo ventre soave e le tue spalle non sono nulla, nulla, nulla. Raccogliere conchiglie delicate: guarda che gamma violetta. Le scaglie dei pesci repentini, i muscoli dorati del marinaio, le sue labbra salate e fresche, mi catturano in un mondo di miraggio. Credo nella vita, credo in te che non conosco ancora, credo in me stesso; perch un giorno io sar tutte le cose che amo: l'aria, l'acqua, le piante, l'adolescente. VEDEVO SEDUTO Vedevo seduto presso l'acqua con vago gesto d'oblio, vedevo le foglie, i giorni, le apparenze, il fondo sempre pallido del cielo, tra loro conversando indifferenti. Vedevo la luce agitarsi risolutamente, una piccola lucertola in visita, le gaie pietre vanitose che contendevano lo spazio alle tristi erbe. Vedevo regni perduti o forse conquistati, vedevo la mia giovinezza n conquistata n perduta, vedevo il mio corpo distante, cos strano come me stesso, l nell'ora strana. Vedevo i canuti muri irritati mormoranti tra i denti le loro vaghe bestemmie, oltre i muri vedevo

il mondo come cane contento, vedevo nel piegarmi sulla verit un corpo che non era il corpo mio. Salendo fino a me stesso vive qui da allora, mentre attendo che la tua propria presenza renda inutile questa triste fatica d'esser io solo l'amore e la sua immagine. VOGLIO, CON ANSIA SONNOLENTA Voglio, con ansia sonnolenta, godere della morte pi lieve tra boschi e mari di brina, fatto brezza che passa e non sa. Voglio la morte tra le mie mani, frutto cinereo e fugace, simile al corno fragile della luce quando nasce d'inverno. Voglio infine bere la sua remota amarezza; voglio ascoltarne il sogno che ha suono d'arpa, mentre sento le vene che si raggelano, perch soltanto il gelo mi conforta. Muoio per un desio, se un sottile desio produce la morte; vivo senza me stesso d'un desio, senza destarmi, senza rammentare, l nella luna, perso nel suo gelo. ADOLESCENTE FUI IN GIORNI IDENTICI A NUBI Adolescente fui in giorni identici a nubi, cosa gracile, visibile in penombra e riflesso, e strano , se questo ricordo cerco, che tanto, tanto dolga sopra il corpo presente Perdere piacere triste come la dolce lampada sulla notte indugiante; quello fui, quello fui, quello sono stato; era l'ignoranza la mia ombra. N gioia n pena; fui fanciullo prigioniero tra muri cambianti; storie come corpi, cristalli come cieli, sogno poi, un sogno pi alto della vita. Quando vorr la morte togliermi una verit di tra le mani, le trover vuote, come nell'adolescenza ardenti di brama, tese verso l'aria. NO, NON MUORE L'AMORE No, non muore l'amore ma noi stessi moriamo.

Innocenza primitiva abolita in desio. Oblio di se stessi in altro oblio, rami intrecciati, a che vivere se sparirete un giorno? Vive solo chi guarda sempre innanzi a s gli occhi della sua aurora; vive solo chi bacia quel corpo d'angelo levitato dall'amore. Fantasmi della pena, lungi, gli altri, che quell'amore smarrirono, come un ricordo in sogno, frugando le tombe stringono un altro vuoto. Di l vanno e gemono, morti in piedi, vite dietro la pietra picchiando impotenza, graffiando l'ombra con tenerezza vana. No, non muore l'amore. VIOLETTE Leggere, roride, melodiose, oscura luce viola che s'insinua, in verdi valve perla vegetale, sono un grido di marzo, un sortilegio d'ali nascenti nella tepida aria. Calme sorridon, fragili, fedeli, con muto incitamento, come affiora il sorriso da fresco labbro umano. Ma la forma di grazia non illude: non promessa cui segua tradimento. Nel muovere alla morte vittoriose reggono un tratto, esse pur s fragili, nella corolla il tempo; il loro istante, esempio dell'effimera bellezza, si fa viva malia nella memoria. OFFERTA Affinch gli dei ti fossero propizi, pi d'una ghirlanda, rosmarino, mirto, maggiorana, hai tessuto per essi in primavera. Quando verr l'inverno, dove trover la tua mano le foglie, i tuoi occhi una luce senz'ombre, il tuo amore la sua forma in un giovane corpo? Questa povert gradita al cielo: lascia agli dei in offerta, granello vivo che si semina, la nudit del tuo desiderio.

GIARDINO Da un cantuccio, seduto, guarda l'erba, la luce, i tronchi, la muscosa pietra che al sole il tempo misura nella piazzuola, e le ninfee, di sogno fiocchi sull'acqua immota della fonte. Lass la trama traslucida di foglie, il cielo col suo pallido azzurro, e bianche nubi. Un merlo dolcemente canta; la voce stessa del giardino, ti parla. In quest'ora tranquilla osserva coi tuoi occhi, come se accarezzassi tutto. Grato devi essere di tanto pura quiete, da gaudio e pena immune, alla luce, ch presto, come te, partir. Lungi tu ascolti il passo illusorio del tempo che si muove verso l'inverno. Allora il tuo pensiero e questo giardino che contempli dalla luce ferito, giaceranno con lungo sonno, silenti, oscuri. IL PRIGIONIERO Restano indietro i muri e le grate; tu, respira ora la libert, da solo con la tua vita. Come nube nell'aria, come luce nell'alba, guarda la terra tutta, aperta ai tuoi piedi. Ma libert acquistasti senza amico, e ti sembra vittoria squallida, figura della morte. LA DATA

Anche in cielo straniero e in straniero paese, quando un uccello l'alba segnala al primo autunno. Davanti all'uscio ortensie con cielo terso, il mare pi in l, senza memoria il tutto, un sogno aprendosi. L intravedo i cammini, a questa luce ancora vuoti, e tra essi uno la tua partenza aspetta. Non chiedere se importa essere qui venuti, ma abbandnati, pensa: oggi tuo amico un dio. IL VENTO E L'ANIMA Con tal veemenza il vento viene dal mare, che i suoi ritmi elementari contagiano il silenzio della notte. Solo nel letto, lo senti battere ai vetri con insistenza, piangendo e bussando come essere smarrito senza nessuno. Ma non lui che in veglia ti costringe, ma altra forza di cui il tuo corpo oggi carcere, fu libero vento, e ricorda. IL DESTINO L'anima in armonia, da sola vuol vivere presso l'oggetto d'amore, col silenzio d'una rosa che si schiude sul ramo. L'anima in disarmonia, da sola deve morire in estraneo contatto, col silenzio d'una rosa che si sfoglia sul ramo. IL PROFUMO aroma che ha incanto amoroso, pensi, viandante nella sera per questa strana campagna, nel trovar su una siepe i fiori stellati

che schiuse la madreselva. Ma evoca insidioso, pur se novello e fresco, altro uguale, diverso, crudele, in cui rivive qualcosa di tuo smarrito: sere che andavi cos in una campagna e un'estate colmi del penetrante aroma, che qui suscita pi delicatamente, come un giovane corpo oggi t'evoca un altro giovane anch'esso un d. E torna quella brama di cogliere un profumo, di stringere un'ombra, mentre porti alle labbra i fiori vivi confusamente, baciando realt e memoria, il desiderio ribelle al tempo, ancora turbata l'anima, per che cosa o per chi?, con un sospiro. VISO GIOVANE Vorrei ora ricordarti, parlare come solevi un tempo, s lieve e conciso, per questo volto bambino. Ma ormai diversa l'et e tu da chi ti credevi allora. La tua gioia soltanto quella di sempre se lo guardi. Come pioggia chiara, conforta; come sogno d'aurora, rianima; suggerisce possibili e impossibili, come la vita. L'ELETTO Un anno prima, egli era designato, l'immacolato giovane, il cui corpo, in misura perfetto come in anima, vegliavano negli agi; a suonar flauti apprendeva, e a tagliar canne da fumo, coglier fiori aspirandone l'aroma, a esprimersi ed a muoversi con grazia cortigiana. Viveva poi la sua giornata esente da ogni altra cura, in ozio e libert, la chioma oscura sulla spalla, ornato di ghirlande e metalli

il corpo, come quello d'un dio unto; ed al passaggio gli altri l'onoravano fino a baciar la terra che premeva. E venti giorni prima, nuda allora la pelle dai profumi, ciprie e balsami, corti i capelli come d'un guerriero, smesso lo sfarzo in semplice vestire, puro nel corpo come nella mente, sotto nomi di dee quattro fanciulle gli erano destinate per la carnale copula. E cinque giorni prima, le finali feste gli preparavano, in giardini della citt, campagna, colle e lago, su cui scorreva barca pavesata per lui e le sue donne, a consolarlo prima dell'abbandono, e sulla riva opposta restava solo infine, senza affetti n beni. Salendo la piramide, sopra ciascun gradino, ciascuno di quei flauti, suonati a deliziarlo, rotti fra le sue dita, andavano cadendo, finch giungeva al tempio della cima, alla cui soglia stava il sacerdote. Com'una delle canne, rotta l la sua vita, fermo per sempre nella sua bellezza. MANUEL ALTOLAGUIRRE

STRADA La tua casa di fronte alla mia casa. Il balcone di fronte al mio balcone. Tra la tua e la mia casa una pagina del freddo. Il mio sguardo cuce il vento ristagnato della strada. Il tuo respiro appanna il vetro quadrato della tua finestra. Tra il tuo respiro e i miei occhi rileghiamo la pagina gialla e fredda del vento. GIARDINO Tutto il giardino come un corpo con febbre. Ben composte verdi membra vegetali! L'acqua sommersa che crea malata di confusioni, da se stessa divisa - fango. Giardino di api ed aromi, senza sentiero al transito. Ivi entrare restare,

come quando restiamo dentro un libro, tra due piante o pi, schiacciati ANIMA Si lev senza destarmi. Andava lenta, appiattita tanto da passare sotto impossibili spazi vuoti, o spiegandosi fine come un'ala che passa per usci socchiusi. Non aveva vista, ma superava gli ostacoli con previdente maestria. N tatto, ma gli angoli eludeva senza colpo ricevere. N udito, ma da quell'uscio sbattuto, spaventata, venne correndo a me, nascondendosi in me e destandosi in me, il suo corpo. L'ASSENTE Pur se tu non sia qui, continui ad essere nel ricordo di quelli che t'han visto, in quelli che so io, ai quali chiedo un'entrata attraverso i loro occhi, per potermi acquistar la tua presenza. Pur se tu non sia qui, continui ad essere con il corpo diviso in altri corpi nei quali riconosco in questo il tuo sguardo, in quello la tua voce, in quell'altro il tuo profilo. Continui a stare qui integro quasi, eri tutto per me, tutto parte di te: la terra, l'aria, gli uccelli, i fiori.... come se il mondo fosse un tuo vestito. Ed or solo mi manca parte di quel vestito, giacch continui ad essere il totale paesaggio che contemplo con l'aria, con la terra, e fiori e uccelli, nulla di carne umana: quella parte di te che resta assente.

DENTRO Gli occhi miei grandi, incollati all'aria, son gli occhi del cielo. Guardano profondi, mi guardano, mi stanno guardando dentro. Io, assorto, senz'occhi, con le palpebre aperte, tanto dolore dissimulo quanta sventura rivelo. L'aria mi sta guardando e piange nel mio corpo oscuro; il suo pianto sepolto in carne, mi va nel sangue e nell'ossa, si fa limo, e radici cerca con cui spuntare dal suolo. Gli occhi miei grandi, incollati all'aria, son gli occhi del cielo. Nella memoria dell'aria staranno le mie sofferenze. LE TUE PAROLE Appoggiata alla mia spalla sei la mia ala destra. Come se tu spiegassi le tue tenere nere penne, m'innalzan le tue parole a un candidissimo cielo. Esultanza. Silenzio. Seduto ora al mio tavolo, mi sanguina la spalla, la tua assenza mi duole. FAVOLA A Jorge Guilln Eco, l'inseguitrice di Narciso, ora quieta, appiattita, senza voce n sangue, minerale, impedisce il diffondersi dei suoni Un'alta roccia di specchi vestita, dietro i cristali del loro brillio, neri muri alla sua anima vietano sentieri conduttori dell'esterno. Meditando, isolata, senza udito, della sua pelle sul silenzio i vertici delle luci e le voci che rimbalzano. Ha la sua pena per favella un fiume. Che cosa non diranno l'acque terse, parlando dell'amore che divora? Che quadro di bellezza non faranno di quei che contemplandosi nel murmure

immoto denudava il suo pensiero? Candido fiore senza carne a riva! Come potesti obliare la tua forma? Come potesti abbattere le mura vigilanti la tua anima impervia? Ed ora ormai puro pensiero o fiore, il tuo profumo, anima esterna, amante, assorbita nell'aria, si diffonde. Questo di te rest, della tua grazia, che adombr la corrente, e tu scorgendola sapesti trasformarla in poesia. Questo di te restava. E il tuo ricordo, disegnato nel cuore d'una roccia, alveo continuo, origine d'un fiume. BREZZA Sembra che s'inseguano le foglie alte del grano. Costretto impulso verde di regno limitato mai potr come l'acqua prorompere in un fiume, sempre tra quattro muri costretto il suo tumulto. Vanno e vengono domandando senza trovare quel che hanno smarrito. Si dan di gomito, si pigiano, vanno e vengono senza ragione. Contro il muro dell'aria i loro verdi corpi feriti. IL TUO NUDO Il cielo del tuo tatto dorato copriva l'occulto giardino di passione e di musica. Alte edere di sangue abbracciavano le tue ossa. La carezza dell' anima - trepida brezza - moveva tutto quel che tu eri. Vaghissimo crepuscolo di rossore e indolenza era la tua pelle! Restavi come astro senza scintillio che dal sole riceva la luce del tuo alone. Soltanto sotto i tuoi piedi era notte. Eri prigione di musica, della musica catturata che tentava fuggire in ogni tuo gesto,

ma che uscir non poteva e s'affacciava come un bimbo ai vetri dei tuoi occhi limpidi. CREPUSCOLO (Canzone dell'anima) Vieni, voglio spogliarmi! La luce se n' andata e sono stanca di questi indumenti. Toglimi la veste! Mi credano morta, perch, nuda mentre mi vegliano il sonno, riposo la notte intera; perch domani di buon'ora, spogliata della mia nudit, andr a bagnarmi in un fiume, mentre la mia veste con altra veste sar custodita per sempre. Accorri, morte; sono un bambino, e voglio che mi spoglino; la luce se n' andata e sono stanca di questi indumenti. BRINDISI Lascia il vino sul desco. Guarda come un nuovo inverno d'orizzonti oscuri - legna e nuvole, freddo e aridit fantastico e insondabile si mostra. Beviamo ancora. Sian le nostre anime di cenere e di tulle, e che districhino l'infinita matassa della morte. Entrino nell'inverno della spina, e le tele di ragno lacerate e si divida il fumo quieto e bianco. Obliata la nostra arida carne e rigida marcisca, e noi si stia per sempre nella grigia penitenza. Bevi, se l'aria cieca. Bevi e guarda il profondo e crudele inverno ampliarsi ricurvo alle sue luci nuvolose. Condannato sprofondo. Il mio futuro un magro inverno, gelido, insondabile. ANTERIORMENTE A mia madre Avrei preferito essere orfano nella morte; che tu mi mancassi l, nel luogo del mistero,

non qui nell'esperienza. Essere morto anteriormente per sentire la tua assenza nei cieli difficili. Tu, tra grigi ferri, nei verdi giardini, presso il sangue ardente, continueresti a vivere, personaggio continuo dei mio sogno di morto. L'ALBA La pioggia sguardi d'angeli in gloria, accordi di cristalli. E su tutto questo: l'allegria di stare non accanto, n sopra, e neppure dentro, ma in lei. Confusi entrambi, pi che fusi. Diventati ormai un solo corpo, un'anima sola che bacia se stessa negli spazi bianchi, dimentica del mondo. VOGLIO SALIRE Voglio salire alla spiaggia bianca, dove il mareggio verde d'un mare ignoto spruzza il mantello di Dio; a quel paesaggio infinito, altissimo, illuminato. Non starmene sotto questo tetto angoscioso della vita, della morte e stanchezza, per non morire n nascere alle promesse di gioia. Voglio nascer da questa madre ch' la terra, il mondo alto dove i morti son nati. MALVAGIT Il silenzio sei tu. Pieno come il buio, incalcolabile come grande pianura, deserta, desolata, senza palme di musica,

senza fiori, senza parole. Al mio udito attento sei notte profonda senz'aurore possibili. Non udr la luce del giorno, perch il tuo orgoglio caparbio, biondo e alto, lo vieta. E silenzio sei tu: corpo di pietra. LA POESIA Non c' passaggio e nessuno attraversa gli architravi di luce e