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dell'apprendimento" di Cesare
Cornoldi
Disturbi dell'Apprendimento
Università degli Studi di
Firenze 116 pag.
L’ASSESSMENT
La valutazione dei DSA e degli altri disturbi del neurosviluppo deve sciogliere il dilemma
rappresentato dalla necessità di trovare un equilibrio fra l’esigenza di una valutazione accurata e
quella di un assessment agile e non eccessivamente costoso.
La procedura tipica di assessment prevede:
1. Un colloquio clinico con la famiglia e l’interessato, con raccolta di elementi anamnestici e la
rilevazione delle criticità e dei punti di forza
2. La raccolta di informazione
3. La valutazione delle abilità interessate dal problema (per esempio, gli apprendimenti nel
caso di sospetto di DSA)
4. La valutazione eventuale del profilo intellettivo
5. Approfondimenti utili in base al profilo emerso ai punti 1-4
COLLOQUIO INIZIALE è utile che siano presenti entrambi i genitori, per il fatto non solo che
essi possono offrire informazioni complementari, ma anche perché in questo modo vengono
coinvolti entrambi. La prassi alternativa di far parlare liberamente i genitori sembra più utile e
meglio capace di venire incontro alla loro esigenza di esprimere eventuali disagi. Il clinico dovrà
comunque assicurarsi di aver raccolto informazioni sui seguenti aspetti:
Struttura della famiglia: potrebbe essere una risorsa o al contrario un ulteriore elemento di
difficoltà
Famigliarità: è ormai ampiamente documentato che i disturbi del neurosviluppo hanno una
forte componente ereditaria
Problematiche prenatali o perinatali
Malattie importanti
Sviluppo neuromotorio e linguistico nei primi anni di vita
Reazioni ai primi “no” e alle prime frustrazioni
Elementi emersi durante la frequenza del nido o della scuola per l’infanzia
Impatto con la scuola primaria e con gli apprendimenti iniziali
Socializzazione
Attività pomeridiane strutturate
Uso del tempo libero
RACCOLTA DI INFORMAZIONI include documentazioni pregresse, pagelle, quaderni e
altre eventuali produzioni del bambino, riscontri forniti dalla scuola. Nel 2015, Cornoldi ha
standardizzato la Scala indicatori BES, una scala per insegnanti per la rilevazione generale di
bisogni educativi speciali, che include anche una scala basilare di adattamento, e altre scale, spesso
in versione per genitori e per insegnanti.
RIABILITAZIONE E ABILITAZIONE
RIABILITAZIONE è un termine tipicamente utilizzato per caratterizzare interventi di carattere
specialistico e differenziarli da interventi non-specialistici, talvolta chiamati di “abilitazione”. È un
processo di soluzione dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una persona a
raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale,
con la minor restrizione possibile delle scelte operative.
La riabilitazione è in relazione con il disturbo e si pone come obiettivi:
1. La promozione dello sviluppo di una competenza non comparsa, rallentata o atipica
2. Il recupero di una competenza funzionale che per ragioni patologiche è andata perduta
3. La possibilità di reperire formule facilitanti e/o alternative
ABILITAZIONE avrebbe a che fare con lo sviluppo tipico e con l’insieme degli interventi volti
a favorire l’acquisizione e il normale sviluppo e potenziamento di una funzione.
Ecco alcuni elementi che caratterizzano un intervento specialistico:
1. Ancoraggio alla diagnosi
2. Riferimento a un modello di funzionamento e di struttura deficitaria
3. Riferimento a tecniche di intervento per le quali esistano prove di efficacia
4. Progettualità e sistematicità
5. Predefinizione delle procedure criterio per la valutazione dell’efficacia
6. Inclusione nel progetto di tutte le risorse di sistema utili per ridurre il problema
7. Eventuale attenzioni ai risvolti psicologici
Il programma riabilitativo dunque definisce le aree di intervento specifiche, gli obiettivi, i tempi e le
modalità di erogazione degli interventi, gli operatori coinvolti e la verifica degli interventi. In
particolare:
1. Definisce le modalità della presa in carico da parte della struttura riabilitativa
2. Definisce gli interventi specifici durante il periodo di presa in carico
3. Individua e include gli obiettivi da raggiungere previsti nel programma e li aggiorna nel
tempo
4. Definisce modalità e tempi di erogazione delle singole prestazioni previste negli stessi
interventi
5. Definisce le misure di esito appropriate per la valutazione degli interventi
6. Individua i singoli operatori coinvolti negli interventi e ne definisce il relativo impegno
7. Prevede una puntuale verifica periodica con eventuali aggiornamenti durante il periodo di
presa in carico
8. Va interrotto quando il suo effetto non sposta la prognosi naturale del disturbo
La ricerca sull’efficacia dei programmi di intervento nei DSA incontra intoppi difficilmente
superabili, quali la difficoltà a costituire gruppi omogenei, la sostanziale impossibilità di avere
gruppi di controllo, il tipico “rumore” presente e la difficoltà a monitorare quanto avviene nelle
sessioni abilitative. Nell’ambito educativo esiste una gamma svariatissima di soluzioni didattiche
che ancora non sono state oggetto di interesse da parte dei settori riabilitativi.
Quando specifici deficit cognitivi sono stati identificati, il laboratorio è ideale per documentare che
specifiche tecniche conseguenti sono effettivamente in grado di incidere sull’apprendimento.
L’ambito educativo implica specificità di cui inevitabilmente la sperimentazione di laboratorio non
può tenere conto, quali:
1. Le limitazioni amministrative nella selezione dei casi
2. La manipolazione contemporanea di più variabili quando il trattamento è di gruppo
3. Confusione tra gli effetti della classe e del trattamento
4. Attriti
5. Effettiva fedeltà nell’uso della tecnica quando non è possibile seguire fino in fondo il ruolo
esercitato dagli insegnanti o dal riabilitatore
Le ricerche ben controllate richiedono la manipolazione di una o poche variabili e il rigoroso
controllo degli eventi che si verificano durante il trattamento e il periodo che precede la valutazione
dei risultati. Le ricerche di laboratorio sulle tecniche di intervento dimostrano generalmente che la
variabile manipolata ha presumibilmente un rapporto significativo con il disturbo e la capacità di
modifica dello stato di cose, ma non costituiscono un esempio di intervento esaustivo.
Nel 1990, Worrall suggeriva delle linee guida che potessero essere affidate a ogni educatore e
genitore per evitare che venissero ingannati. Queste sono alcune delle caratteristiche generalmente
associate alle tecniche prive di sostanziale fondamento:
1. Appaiono prive di una chiara e logica connessione con il problema che devono trattare
2. Non sono in relazione con teorie scientifiche accreditate
3. Non offrono prove scientifiche della loro efficacia
4. Si presentano come eccessivamente efficaci
5. Dichiarano di curare un’ampia gamma di malattie le più disparate
6. Si presentano con un’enfasi scarsamente scientifica, usando espressioni come “completo”,
“immediato”, “stupefacente”, “esclusivo”
È tuttora oggetto di acceso didattico quale sia la specifica funzione neuropsicologica alterata e di
conseguenza il preciso substrato neurobiologico alla base dei DSA. La dislessia evolutiva viene
spiegata come un disturbo specifico del modulo linguistico-fonologico, oppure come una
disfunzione evolutiva del sistema di elaborazione dell’informazione uditiva o visiva, o in alternativa
come un più generalizzato disturbo multisensoriale visivo e uditivo. Risulta molto dibattuto anche la
base neuropsicologica della discalculia evolutiva; vi sono infatti sostenitori di una disfunzione
specifica del modulo numerico innato, sostenitori di un disturbo evolutivo visuo-percettivo, della
memoria o dell’attenzione visuospaziale.
Il dibattito nasce dall’intrinseca difficoltà di distinguere i disturbi neurocognitivi semplicemente
associati da quelli realmente causali. Diviene quindi fondamentale utilizzare disegni sperimentali
adeguati, per esempio studi longitudinali eseguiti su bambini prescolari che non sono stati esposti
alla letto-scrittura o del calcolo e della matematica, oppure studi su bambini con DSA.
La difficoltà nel distinguere il ruolo causale di un deficit è in relazione con i limiti sia teorici che
metodologici di una rigida applicazione dell’approccio neuropsicologico tradizionale alla
neuropsicologia evolutiva dei DSA.
L’approccio multifattoriale suggerito da Pennington prevede che ogni disturbo possa essere
prodotto da un concorso di cause e che le stesse cause possano essere presenti in più disturbi.
Questo approccio, oltre a spiegare l’esistenza di diverse forme di dislessia evolutiva (DE) in cui si
possono riscontrare difficoltà nelle competenze linguistiche, mnestiche, percettive e attenzionali,
permette di spiegare le frequenti associazioni tra molteplici disturbi del neurosviluppo e DE.
L’approccio, secondo cui ci sia una comorbilità tra ADHD e DE, e tra il disturbo del linguaggio e
DE, permette di capire non solo la logica multifattoriale alla base di un DSA, ma anche la natura
probabilistica dell’insorgenza di esso, in cui la presenza di più fattori di rischio aumenterà la
possibilità di sviluppare un disturbo specifico.
L’APPROCCIO NEUROCOSTRUTTIVISTA
L’approccio neurocostruttivista riconosce il ruolo dei vincoli biologici innati (fattori genetici), ma
considera questi vincoli meno forti e meno dominio-specifici. Si ritiene che sia il processo di
sviluppo stesso a giocare un ruolo cruciale nel determinare il risultato finale.
Secondo questo approccio, l’evoluzione ha progressivamente selezionato una forte capacità
dominio- generale di apprendere, piuttosto che rigide e poco adattive conoscenze dominio-
specifiche a priori. Per poter studiare lo sviluppo di una funzione, le tecniche di neuroimmagine (sia
funzionali che strutturali) dovrebbero essere applicate molto precocemente, oltre che essere ripetute
frequentemente nel tempo per poter mappare puntualmente ogni singola fase dello sviluppo e del
potenziale compenso del disturbo.
L’approccio neurocostruttivista riconosce il forte ruolo giocato dai fattori ambientali sulla plasticità
neurale del sistema cognitivo, e quindi anche dalle strategie di possibile compenso al disturbo del
neurosviluppo. Attribuisce un’elevata rilevanza alle associazioni fra le diverse disfunzioni,
ipotizzando un possibile denominatore comune che agisca a livello precoce nello sviluppo di tutte
queste funzioni neuropsicologiche. La questione della compresenza di più disturbi (comorbilità),
molto rilevante nella pratica clinica, viene liquidata da alcuni approcci innatisti, come semplice
manifestazione di disturbi associati, non causalmente legati al DSA, secondo la logica di una rigida
applicazione di un modello in cui un’unica causa sarebbe alla base di un DSA.
L’approccio neurocostruttivista legge la comorbilità fra i diversi disturbi evolutivi come importante
informazione per comprendere la complessità delle relazioni causali alla base di essi.
ENDOFENOTIPI alterazioni neuropsicologiche o neurofisiologiche intermedie tra il fenotipo
clinico finale (manifestazione del DSA) e le sue originarie cause genetiche.
Durante lo sviluppo, una funzione neuropsicologica complessa difficilmente può essere ridotta a un
insieme di moduli che compongono un circuito precostituito.
Riassumendo, l’approccio neurocostruttivista interpreta il DSA come il risultato distale e indiretto di
disfunzioni nei processi di elaborazione precoci, piuttosto che come risultato di uno specifico
modulo cognitivo danneggiato. Inoltre, i costruttivisti riconoscono il ruolo di specifici fattori innati
(fattori genetici), ma, diversamente dagli innatisti, assumono che questi abbiano inizialmente un
effetto ampio e diffuso, diventando dominio specifici con i processi di sviluppo e con le specifiche
interazioni ambientali.
A) ASSUNZIONI TEORICHE B) METODOLOGIA DELLA
RICERCA
Un complesso difetto Identificare i periodi
genetico dell’espressione
genetica e la
La causa Difetto speciale o La causa studiata possibilità di
generale? Dipende da interazione con altri
quanto precocemente eventi genetici e
avviene l’alterazione ambientali
dello sviluppo
Alterazione del Identificare il livello
normale sviluppo pre neuropsicologico più
e post natale del elementare del
cervello disturbo e studiarne
Il livello La scelta del gli effetti evolutivi sui
neurobiologic Neuroplasticità: dominio di processi
o caratteristica di base ricerca neurocognitivi di
sia per lo sviluppo livello superiore nei
tipico che patologico bambini sia con
sviluppo normale che
patologico
I moduli e i circuiti Pianificare strumenti
di moduli si che siano in grado di
sviluppano attraverso isolare i diversi
processi di graduale processi
“modularizzazione” neuropsicologici
elementari
Il livello Le rappresentazioni La scelta
cognitivo- innate si sviluppano della Utilizzare studi
neuropsicologico dai meccanismi di metodologia longitudinali per
elaborazione di basso indagare i possibili
livello durante cambiamenti
specifici periodi strutturali e funzionali
evolutivi dovuti allo sviluppo o
al trattamento
riabilitativo
La stimolazione Studiare i segni del
ambientale è possibile DSA il più
decisamente dinamica, precocemente
cambiando in base possibile nell’infanzia
all’elaborazione e alla
selezione La scelta della Utilizzare gruppi di
Il ruolo dell’ambiente dell’informazione del popolazione controllo comparabili
bambino bersaglio anche per abilità
cognitiva indagata
LA DISCALCULIA EVOLUTIVA
Anche la discalculia evolutiva (DCE) sembra avere una forte base genetica. Inoltre, diversi disturbi
genetici, come la sindrome di Williams e la sindrome di Turner, sono caratterizzati da specifici
profili neuropsicologici che includono sia difficoltà specifiche nell’elaborazione del numero che
dell’aritmetica. Un’altra capacità di base della cognizione numerica è il subitizing, ovvero la
precisa e rapida percezione simultanea di piccole quantità senza contare. Queste elementari capacità
numeriche sono i precursori del successivo sviluppo dei più sofisticati concetti numerici e
matematici che sarebbero acquisiti in modo gerarchico e dinamico.
Vediamo le ipotesi di deficit che caratterizzano la DCE.
IPOTESI DEL DEFICIT NEUROPSICOLOGICO NON-NUMERICO numerose evidenze
comportamentali suggeriscono che altri fattori non-numerici, come la memoria, il linguaggio, le
abilità spaziali e i meccanismi attenzionali, possono influenzare fortemente lo sviluppo della
cognizione numerica. La memoria di lavoro assume un ruolo cruciale nello sviluppo delle
competenze numeriche, come anche le funzioni esecutive e le abilità visuospaziali. Nel
compromettere le competenze numeriche giocano un ruolo importante anche i disturbi della lettura e
l’agnosia digitale. Alcuni ricercatori hanno rilevato che i bambini con disturbo combinato (cioè,
DCE + DE) hanno soprattutto disturbi linguistici, legati probabilmente a una disfunzione delle aree
corticali dell’emisfero sinistro che controllano l’elaborazione fonologica. I bambini con DCE puro
manifestano invece problemi in numerosi compiti non-verbali che richiedono una organizzazione
visuopercettiva, una fine coordinazione oculomotoria e una precisa percezione tattile. Tali bambini
presentano un caratteristico disturbo nella rappresentazione e nell’elaborazione dei numeri,
maggiormente legato alla semantica della grandezza numerica.
Piazza e altri, nel 2011, hanno rilevato un severo disturbo nelle capacità di stima approssimativa
delle quantità nei bambini con DCE.
Nei bambini, lo sviluppo della cognizione numerica e del calcolo è fortemente condizionato
dall’efficienza dei processi neuropsicologici dominio-generali come attenzione e percezione visiva
spaziale, memoria di lavoro e funzioni esecutive che assumono un ruolo importante per un buon
sviluppo di rappresentazioni numeriche dominio-specifiche.
IPOTESI DEL DEFICIT NEUROPSICOLOGICO DELL’ELABORAZIONE DELLA
NUMEROSITA’ tale ipotesi è stata definita da Butterworth nel 2005 ipotesi del deficit del
modulo numerico e assume che la DCE risulti da una disfunzione nella cognizione numerica di
base. Secondo tale teoria, l’uomo nasce con una capacità innata di comprendere e manipolare la
numerosità, abilità resa disponibile da circuiti neurali specializzati, localizzati nel lobo parietale. La
DCE sarebbe causata da uno sviluppo anomalo delle abilità di base della numerosità, e si
manifesterebbe quindi con estrema difficoltà nel comprendere la semantica del numero e
nell’apprendere le informazioni numeriche. Anche l’elementare capacità di denominare
velocemente e accuratamente fino a 3 elementi (subitizing) appare disturbata nei bambini con DCE.
Numerose ricerche su adulti hanno suggerito che il solco intra-parietale potrebbe costituire la base
neurobiologica dell’elaborazione semantica del numero poiché quest’area è sistematicamente
attivata in tutti i compiti che richiedono una manipolazione di quantità numeriche. Inoltre, il giro
angolare sinistro sembra implicato anche in processi aritmetici.
Si è dimostrato che la quantità di materia grigia del solco intra-parietale sinistro fosse minore nei
soggetti prematuri con DCE rispetto ai soggetti prematuri senza DCE.
In conclusione, tutti questi risultati sembrano supportare l’ipotesi che una disfunzione evolutiva delle
aree parietali sia implicata nello sviluppo del modulo numerico.
La dicitura dislessia evolutiva viene abbreviata in DE per ricordare, con la specificazione evolutiva,
che si tratta di casi di bambini che non hanno mai imparato a leggere bene e che quindi si
distinguono da quelle in cui il problema è emerso in seguito, con la perdita di una capacità
precedentemente posseduta. Il bambino è intelligente, ha buone condizioni socioculturali, non ha
problemi emotivi rilevanti, riceve una scolarizzazione regolare, eppure presenta una sorprendente
difficoltà in lettura che permane nonostante gli sforzi per aiutarlo. Si tratta di un disturbo con elevata
famigliarità: è infatti frequente che un bambino con dislessia abbia un genitore, un parente o un
fratello con lo stesso disturbo. Questo testimonia un profilo di rischio a base genetica.
I numeri, e la matematica più in generale, hanno un ruolo importante nelle nostre vite. Nel corso del
proprio percorso scolastico, molti bambini incontrano momenti di particolare difficoltà
nell’apprendimento dei numeri, delle strategie e delle procedure di calcolo e della matematica più in
generale. Queste difficoltà sono persistenti e pervasive, andando a incidere pesantemente non solo
sul rendimento scolastico generale, ma provocando a volte anche notevoli problemi emotivi e di
autostima.
Ma perché è possibile riscontrare con una certa frequenza forme di disagio legate alla matematica?
Le ragioni alla base sembrano essere numerose e coinvolgere diversi domini: alcune sembrano
risiedere in atteggiamenti emotivo-motivazionali degli studenti, caratterizzati da ansia, resistenza al
ragionamento-matematico, oppure timore di sbagliare; altre ragioni possono essere dovute al fatto
che i diversi aspetti dell’apprendimento matematico si intersecano tra loro; nella complessità dei
concetti matematici.
Complessa è anche la nomenclatura associata a tali profili clinici. Si usano principalmente due
termini per definire una compromissione rilevante delle abilità matematiche: Mathematical
Learning Disability (MLD) e/o discalculia evolutiva (Developmental Dyscalculia). Alcune ricerche
considerano le due etichette verbali come il riflesso di due profili distinti, mentre altre le
considerano come sinonimi di una stessa condizione clinica.
MODELLI NEUROPSICOLOGICI
Secondo alcuni modelli neuropsicologici, le abilità numeriche sono indipendenti dalle funzioni
intellettive, dalla memoria e dal linguaggio. Si sono delineati due modelli di questo tipo:
1. MODELLO DI COMPRENSIONE NUMERICA E CALCOLO ARITMETICO = di
McCloskey, Caramazza e Basili, 1985; il sistema distingue chiaramente il sistema di
calcolo da quello di input (comprensione) e output (produzione) dei numeri. Il primo
sistema comprende tutto l’insieme di conoscenze necessarie per eseguire i calcoli aritmetici.
Il sistema dei numeri racchiude invece i processi di comprensione e di produzione numerica,
il riconoscimento, quindi, e la riproduzione, dei simboli numerici o delle parole che indicano
i numeri. Il modello consente di spiegare difficoltà nell’elaborazione e nel riconoscimento di
simboli e di procedure aritmetiche così come nel recupero di fatti aritmetici
2. MODELLO DEL TRIPLO CODICE = di Dehaene, 1992; con questo modello, la
neuropsicologia della cognizione numerica si è spostata verso un approccio più legato ad un
substrato neurale, con l’intento di individuare una relazione più ampia tra numero e altri
domini cognitivi. Ciascun codice corrisponde a dei correlati neurali distinti e ben definiti nel
cervello:
Codice visivo-arabico: è coinvolto nei processi di lettura e scrittura del numero. I
compiti che lo attivano sono il calcolo scritto e il giudizio di parità
Codice analogico di quantità: si occupa di rappresentare la numerosità in modo
analogico e non-verbale e, essendo alla base della comprensione della grandezza
numerica, risulta coinvolto nei confronti di grandezza o nei giudizi sull’ordine, cioè
sia nella dimensione cardinale che in quella ordinale. I compiti che lo attivano sono
compiti di stima, calcoli approssimativi e subitizing, sottolineando così la stretta
relazione al concetto di number sense
Codice verbale: permette di rappresentare i numeri in modo lessicale, fonologico e
sintattico, così come avviene per qualsiasi tipo di parola, facendo uso di meccanismi
linguistici generali
Per quanto riguarda i fatti aritmetici, il modello del triplo codice assume quindi una
rappresentazione a base linguistica, opposta alla rappresentazione indipendente dal linguaggio del
modello modulare di McCloskey. Anche il modello del triplo codice assume comunicazioni
additive e non interattive tra i sistemi di rappresentazione. I numeri sono associati a diverse funzioni
o compiti e di conseguenza l’attivazione di codici numerici per un determinato compito innesta una
complessa rete di associazioni e di processi che includono informazioni più o meno rilevanti. Gli
errori sono solitamente di tipo semantico sulla stessa (2x7 = 21) o relativa operazione (2x7 = 9), e
spesso possono essere intrusioni di operandi o di risposte date precedentemente.
LeFevre e altri, nel 2010, hanno proposto un modello evolutivo dello sviluppo delle competenze
matematiche, il MODELLO DELLE RELAZIONI (the Pathways Model), che si basa
sull’interazione tra competenze dominio-specifiche e dominio-generali. Comprende tre precursori:
1. Le abilità linguistiche
2. L’attenzione spaziale
3. Le competenze quantitative
Secondo questo modello, i processi cognitivi sono coinvolti in tre diverse vie di apprendimento della
matematica:
1. Le abilità linguistiche permettono e supportano l’apprendimento del sistema simbolico (per
esempio, la scrittura dei numeri arabici)
2. L’attenzione spaziale e la componente visuo-spaziale della memoria di lavoro sono coinvolte
in modo indipendente in entrambi i sistemi
3. I precursori della rappresentazione di quantità sono responsabili delle operazioni sulle
quantità (per esempio, di più, di meno)
L’importante relativa di ciascuna relazione dipende dalla misura in cui il sistema numerico e la
conoscenza della quantità numerica vengono utilizzati nel compito matematico.
Infine un altro importante modello è quello di Butterworth del 2011, che prende il nome di
MODELLO CAUSALE, che riassume le possibili interrelazioni che avvengono durante
l’apprendimento e l’esecuzione di compiti matematici tra il sistema biologico, il sistema cognitivo e
quello comportamentale. Le basi neurali delle abilità aritmetiche sembrano risiedere nei lobi
parietali, separate dal linguaggio e dalle capacità dominio-generali. L’organizzazione neurale delle
conoscenze aritmetiche è dinamica e passa dal coinvolgimento di un circuito a un altro durante il
processo di apprendimento.
PROFILI FUNZIONALI
Gli studi più recenti suggeriscono due ipotesi in cui il deficit coinvolge competenze dominio-
specifiche di base:
1. DEFECTIVE NUMBER MODULE = la quale assume che il disturbo sia legato ad un deficit
nella rappresentazione di numerosità non-simboliche, spesso definita anche con il termine
number sense, competenza che secondo gli autori consentirebbe la comprensione immediata
della grandezza numerica
2. ACCESS DEFICIT HYPOTHESIS = sostiene che il problema non si localizzi a livello di
accesso al modulo numerico di per sé, ma nel passaggio dalla rappresentazione di grandezza
non-simbolica al sistema simbolico dei numeri arabi
La ricerca più strettamente psicologica ha individuato diverse funzioni cognitive che svolgono un
ruolo chiave nello sviluppo matematico proponendo diverse spiegazioni alternative del disturbo. I
deficit cognitivi riscontrati in bambini con DCE riguardano un carente funzionamento della
memoria di lavoro verbale e/o visuospaziale che è di fondamentale importanza per il mantenimento
temporaneo e l’elaborazione di informazioni numeriche necessarie per lo svolgimento di numerosi
compiti quali il risolvere un calcolo complesso o trovare la soluzione di un problema.
Altri studi hanno individuato, in questi bambini, anche carenti abilità di inibizione e carenti capacità
attentive.
In uno studio di Szucs del 2013, si è visto come le teorie basate sull’ipotesi di un deficit del modulo
numerico o di accesso alla rappresentazione simbolica non siano sufficienti a spiegare la
complessità del profilo funzionale della DCE. I dati sembrano anche suggerire che le difficoltà in
matematica
riscontrate dai bambini siano legate a deficit specifici a livello di memoria a breve termine e
memoria di lavoro visuo-spaziale, con annessa una compromissione della funzione inibitoria.
Sempre Szucs, nel 2016, ha condotto un’altra ricerca i cui risultati hanno messo in luce l’esistenza di
due profili distinti dello stesso disturbo:
1. Un sottotipo di DCE sembra essere associato a problemi di lettura e a debolezze a livello
della componente verbale della memoria di lavoro e della memoria a breve termine
2. Il secondo profilo non risulta avere associati problemi di lettura e le basse prestazioni in
matematica sembrano essere legate a cadute selettive nella memoria di lavoro e a breve
termine visuo-spaziale
ASPETTI EMOTIVI
Gli aspetti emotivi-motivazionali degli studenti sono caratterizzati da ansia, resistenza al
ragionamento matematico, timore di sbagliare, fino ad arrivare all’impotenza attesa.
L’atteggiamento degli studenti nei confronti della matematica è strettamente influenzato dai risultati
scolastici: il conseguimento di buoni risultati in matematica innesca una spirale positiva favorendo
atteggiamenti costruttivi che a loro volta danno origine a buone prestazioni. Al contrario, risultati
scadenti influenzano atteggiamenti negativi, portando talvolta a un vero e proprio rifiuto della
matematica.
Gli aspetti emotivo-motivazionali giocano dunque una parte importante nell’ambito della
cognizione e dell’apprendimento matematico.
ANSIA PER LA MATEMATICA stati d’ansia e sensazioni di impotenza e di preoccupazione
avvertiti durante le lezioni di matematica, o attività correlate, che influenzano negativamente
l’achievement matematico in adulti e/o bambini.
Gli studenti con livelli più alti di MA, generalmente percepita come un sensazione di tensione,
accompagnata da emozioni quali timore e paura della matematica, tendono ad avere prestazioni più
scadenti in compiti matematici rispetto ai compagni che mostrano livelli più bassi. La MA sembra
quindi avere conseguenze gravi, non solo a breve termine (sulla prestazione scolastica), ma anche a
lungo termine, influenzando negativamente la scelta della carriera, il tipo di occupazione e la
crescita professionale nell’età adulta.
Secondo il programma PISA (Programme for International Student Assessment), il 24,4% delle
ragazze riporta livelli elevati di MA contro il 15% dei ragazzi: in Italia il divario rilevato è del
48,5% per le ragazze contro il 37,8% dei ragazzi. Quindi le ragazze riportano livelli di MA superiori
rispetto ai ragazzi.
La memoria di lavoro è stata ampiamente studiata in relazione alla MA: si è ipotizzato che i pensieri
intrusivi generati da stati di ansia per la matematica andassero a interferire con la capacità dei
soggetti di eseguire compiti matematici, consumando ed erodendo le loro risorse di memoria di
lavoro. In alcune ricerche si è visto che i bambini con DE mostravano prestazioni maggiormente
compromesse nelle prove di memoria visuo-spaziale rispetto a quelle verbali; mentre i bambini con
più alti livelli di MA presentavano un profilo più debole nelle prove di memoria di lavoro verbale.
La scrittura si configura come un processo complesso che comprende tre componenti molto diverse
tra loro:
1. La competenza grafo-motoria
2. La competenza ortografica
3. La capacità di espressione scritta
La competenza grafo-motoria e quella ortografica costituiscono gli aspetti strumentali della scrittura
implicati nella fase di trascrizione, ossia nel momento in cui le parole vengono messe per iscritto.
La prima racchiude tutte le abilità che consentono al bambino di riprodurre i singoli segni grafici dal
recupero dei pattern motori necessari per realizzare ciascun grafema fino alla loro effettiva
esecuzione. La seconda comprende i processi di conversione dei fonemi nei corrispondenti grafemi
e quelli di recupero della forma ortografica dell’intera parola, necessari per scrivere correttamente.
L’espressione scritta rappresenta un’abilità più complessa che implica processi cognitivi con un
maggior grado di controllo.
LA COMPETENZA GRAFOMOTORIA
COMPETENZA GRAFOMOTORIA comprende tutte quelle abilità che consentono al
soggetto di riprodurre i singoli segni grafici. Riguarda i processi periferici e tali processi sono
caratterizzati da tre componenti distinte:
1. La prima specifica la forma e l’esecuzione dell’allografo
2. La seconda consente di programmare la dimensione del grafema unitamente alla velocità e
alla forza di esecuzione
3. La terza attiva le unità motorie necessarie per eseguire effettivamente quanto programmato
Lo sviluppo della componente esecutivo-motoria è composto da:
1. ABILITA’ VISUO-SPAZIALE = si declinano in abilità specifiche quali la discriminazione
visiva, il completamento visivo e la percezione dei rapporti spaziali
2. SCHEMA MOTORIO = i principali movimenti coinvolti nella realizzazione dei grafemi sono
quelli di incisione, iscrizione e progressione. Il bambino deve conoscere e rispettare le
regole che riguardano la disposizione spaziale delle lettere e delle parole all’interno della
pagina, secondo le convenzioni del proprio sistema di scrittura
Secondo McCloskey e Rapp (2017), l’acquisizione della scrittura a mano comporta una serie di
modifiche durante lo sviluppo: la scrittura, inizialmente lenta e variabile, intorno ai 10 anni di età e
come risultato di un’ampia pratica, diventa automatizzata, veloce e meno variabile. Tali
cambiamenti si pensa corrispondano all’integrazione progressiva nella memoria motoria a lungo
termine dei vari programmi motori necessari per realizzare le parole in modo fluente.
Come evidenziato da Kandel e Perrett (2015), un’altra conseguenza della maggiore automaticità
include l’aumento dell’interazione tra i livelli di elaborazione ortografica centrale e i processi
motori più periferici.
I DSA E LA SCRITTURA
La configurazione della capacità di scrittura come l’insieme di tre componenti fondamentali (grafo-
motoria, ortografica e di espressione scritta) si declina anche nelle condizioni di difficoltà o
disturbo. L’ICD-10 riconosce il disturbo specifico della compitazione. La disgrafia in molti paesi
del mondo viene tipicamente inclusa nel disturbo della coordinazione motoria ma può essere
codificata all’interno della categoria Altri disturbi evolutivi delle abilità scolastiche.
Il DSM-5 inserisce le difficoltà di spelling (disortografia) e di espressione scritta all’interno della
categoria unica dei Disturbi specifici dell’apprendimento. In più, sono stati identificati criteri
specifici che è necessario soddisfare per porre diagnosi di disgrafia, disortografia e/o difficoltà
nell’espressione scritta.
LA DISORTOGRAFIA
DISORTOGRAFIA EVOLUTIVA è un deficit che riguarda la componente linguistica della
scrittura e può essere definita come un “disordine nella codifica del testo scritto, che viene fatto
risalire a un deficit di funzionamento delle componenti centrali del processo di scrittura,
responsabili della transcodifica del linguaggio orale nel linguaggio scritto”. Si manifesta attraverso
la presenza di una quantità elevata di errori ortografici, a cui si associa talora una lentezza nella
scrittura conseguente proprio alla ridotta efficienza dei meccanismi che regolano il passaggio dal
codice orale al codice scritto. Può essere ricondotta a un deficit a carico di una o di entrambe le vie:
la via fonologica che porterà alla presenza di errori nel rapporto fonema-grafema; la via semantico-
lessicale che comporta errori nella rappresentazione ortografica della parola.
La disortografia si accompagna molto spesso a difficoltà di lettura o a vera e propria dislessia.
Alcuni studi con bambini italiani con dislessia e disortografia hanno evidenziato che essi presentano
frequentemente una fragilità nelle procedure sublessicali ma con un deficit maggiore
nell’elaborazione della parola intera (Angelelli e altri, 2010). È emerso che bambini con
disortografia isolata presentano deficit a carico del loop fonologico, e in particolare nel magazzino
fonologico a breve termine. A tale deficit si aggiunge una disfunzione a carico del sistema esecutivo
centrale. In conclusione, questo studio rileva una compromissione a carico della memoria di lavoro
visuo- spaziale.
Un altro studio condotto da Torppa nel 2017 ha evidenziato che il gruppo di bambini con disturbo
di lettura isolato aveva presentato debolezze soprattutto nella denominazione rapida automatizzata e
nella conoscenza di lettere, mentre i bambini con disturbo a carico dell’ortografia isolata avevano
mostrato difficoltà nella consapevolezza fonologica e nella conoscenza delle lettere.
Per la diagnosi di DSA, il parametro quantitativo su cui si fonda la valutazione è costituito dal
numero di errori commessi, che deve essere tale da collocare la prestazione al di sotto del 5°
percentile. In associazione a un’analisi qualitativa degli errori, vi sono diverse proposte teoriche di
classificazione degli errori ortografici. Tressoldi e Cornoldi (2000) propongono tre tipologie di
errori:
1. ERRORI FONOLOGICI = riguardano tutti i casi in cui non viene rispettato il rapporto
fonema-grafema
2. ERRORI NON FOLOGICI = si intendono gli errori nella rappresentazione ortografica visiva
della parola
3. ERRORI FONETICI = fanno riferimento all’uso errato di doppie e accenti
Angelelli, nel 2008, ha suddiviso gli errori ortografici in quattro gruppi:
1. Parole regolari con corrispondenza 1 fonema-1 grafema
2. Parole regolari contenenti suoni a conversione sillabica
3. Parole a trascrizione ambigua
4. Non-parole con corrispondenza 1 fonema-1grafema
Infine, lo studio di Bozzo (2000) prevede ben 16 categorie di errori.
L’iter valutativo deve prevedere la somministrazione di una batteria di prove di diversa tipologia. Le
prove più importanti sono quelle di dettato a diversi livelli: brano, parole isolate, non-parole. A ciò
si aggiungono compiti particolari di ortografia e prove di espressione scritta. È stato possibile
osservare che in fasi scolastiche più avanzate prove più semplici come il dettato di parole isolate o
non-parole sono spesso meno discriminative rispetto a quanto di osserva in fasi scolastiche
precedenti. È dunque possibile porre diagnosi di disortografia in presenza di punteggi critici, che si
collocano sotto il cut- off del 5° percentile (o delle 2 ds), in almeno il 50% delle prove in una
batteria sufficientemente rappresentativa delle abilità di scrittura, rispetto alla classe frequentata e al
programma didattico svolto.
LA DISGRAFIA
DISGRAFIA è un deficit che riguarda la componente motoria della scrittura e può essere
definito come un “disturbo che coinvolge il controllo degli aspetti grafici, formali della scrittura
manuale ed è collegato al momento motorio-esecutivo della prestazione”. Si configura come una
difficoltà nella riproduzione dei segni grafici (numeri e lettere), riguardante la gestione di forma,
dimensione e collegamenti tra i segni, che produce una scrittura eccessivamente lenta, faticosa e
poco leggibile per il lettore esterno ma spesso anche per il bambino stesso. Vi sono altre
problematiche presenti frequentemente nei bambini con disgrafia: impugnatura scorretta della
penna, pressione sul foglio troppo forte o troppo leggera, scarso rispetto dei margini della pagina,
oscillazioni al di sopra e al di sotto del rigo e irregolarità nello spazio tra le lettere e tra le parole. È
riconducibile a un’alterazione nei processi implicati nella fase di trascrizione. Risultano
compromessi tutti e tre i processi motori implicati nella scrittura: selezione dell’allografo,
programmazione di dimensione, velocità e spaziatura degli allografi e regolazione muscolare.
Sono state rilevate tra i bambini con disgrafia meno organizzazione e maggiore quantità di lettere
cancellate o sovrascritte e di lettere irriconoscibili. Tra i deficit, troviamo: abilità visuopercettive o
visuo-spaziali, motorie e di coordinazione visuo-motoria.
Vengono identificati due parametri generali su cui deve basarsi la valutazione:
1. FLUENZA = ossia la velocità media di scrittura che deve collocarsi al di sotto delle 2 ds
dalla media
2. QUALITA’ DEL SEGNO GRAFICO
La fluenza è maggiormente legata agli aspetti motori dell’atto di scrittura e riguarda la velocità con
cui il soggetto scrive, misurata in termini di quantità di grafemi riprodotti per unità di tempo.
Tra le prove maggiormente utilizzate per la valutazione diagnostica troviamo:
1. BATTERIA PER LA VALUTAZIONE DELLA COMPETENZA ORTOGRAFICA = la qualità
del segno grafica dovrà essere valutata in termini di leggibilità del prodotto scritto
2. SCALA BHK
3. TEST DGM-POST = il grado di leggibilità della scrittura è dato dalla qualità dei movimenti
scrittori, delle forme e delle dimensioni della scrittura, nonché dalla disposizione della
scrittura sul foglio
Russo e Cornoldi (2011) suggeriscono di dare priorità al parametro della leggibilità per porre
diagnosi di disgrafia, pur sottolineando l’importanza di riconoscere le ricadute negative di
un’eccessiva lentezza sulla gestione dei compiti di scrittura. È importante rilevare la presenza di un
profilo neuropsicologico caratterizzato da prestazioni basse in almeno una prova prassica, visuo-
motoria o visuo-spaziale.
Altri strumenti sono: i test VMI, TPV, figura complessa di Rey, test sulle funzioni senso-motorie
della Nepsy-II.
ASPETTI FONDAMENTALI
La comprensione del testo è un processo attivo di costruzione del significato del testo, dipendente
quindi non esclusivamente dalle informazioni presenti nel testo, ma anche dalle informazioni
possedute dal lettore. In mancanza di questa interazione tra informazioni presenti nel testo e
conoscenze precedenti, il lettore, pur essendo in grado di comprendere il significato del testo a un
livello superficiale non riesce a cogliere il suo significato globale e quindi non riesce a costruire una
coerente rappresentazione complessiva.
Anticipiamo due dei modelli cognitivi classici più popolari per comprendere questo tipo di disturbo:
1. SIMPLE VIEW OF READING = di Gough e Tunmer (1986), che ha come punto centrale la
distinzione all’interno della lettura fra decodifica e comprensione del testo
2. STRUCTURE BUILDING FRAMEWORK = di Gernsbacher (1991), che analizza quali
meccanismi legati alla creazione di una rappresentazione mentale del significato del testo
possono spiegare le differenze fra buoni e cattivi lettori
SIMPLE VIEW OF READING il livello di comprensione del testo può essere predetto
dall’interazione fra due componenti: la decodifica (d) e la comprensione linguistica (orale) (l), quindi:
(c) = d x l
Ne deriva che se la capacità di decodificare è uguale a zero, non ci sarà comprensione del testo, così
come se la comprensione del linguaggio è pari a zero. Nelle fasi iniziali dell’apprendimento, il
livello di comprensione sarà completamente spiegato dall’efficienza nella lettura ad alta voce,
mentre la correlazione fra comprensione del linguaggio e comprensione del testo sarà poco
significativa. Al contrario, al crescere del livello di scolarità, la prestazione in compiti di
comprensione del linguaggio e comprensione del testo sarà meglio predetta dal linguaggio di
comprensione del linguaggio.
Nelle lingue con ortografia trasparente, anche nei primi anni di scolarizzazione, la comprensione di
ascolto risulta essere un predittore più forte del livello di comprensione di ascolto risulta essere un
predittore più forte del livello di comprensione del testo rispetto all’abilità di decodifica.
Al modello iniziale sono stati proposti vari cambiamenti: ad esempio, alcuni studiosi hanno messo
in discussione l’idea di un modello moltiplicativo, suggerendo che un modello additivo (c = d + l)
catturi meglio il contributo di decodifica e comprensione da ascolto nell’illustrare la comprensione
del testo. In realtà, altri studiosi hanno affermato che il modello moltiplicativo ( c = d x l) sia da
preferire per la sua capacità di prevedere casi come ad esempio i dislessici piccoli o gravi; il
modello additivo, al contrario, prevedrebbe una certa capacità di comprensione, dovuta alle
competenze di comprensione linguistica.
STRUCTURE BUILDING FRAMEWORK un contributo importante allo studio sulla
comprensione del testo viene dagli studi che hanno inteso la comprensione come un processo attivo
di costruzione di un modello mentale. Secondo il modello, lo scopo della comprensione è quello di
creare una rappresentazione del testo coerente. La costruzione della rappresentazione del resto
avviene partendo dai primi elementi contenuti nell’elaborato, le quali gettano le “fondamenta”
dell’edificio; sulla base del loro significato alcune informazioni in memoria saranno attivate, altre
saranno inibite. Proseguendo a lettura, se le informazioni attivate saranno ancora coerenti, la
costruzione sarà mantenuta, in caso contrario avverrà un “aggiornamento” per cui saranno attivate
altre informazioni in memoria e ricomincerà il processo di costruzione. In questo processo di
costruzione due meccanismi rivestono un ruolo fondamentale:
1. ATTIVAZIONE = consente di mantenere attive le informazioni rilevanti
2. SOPPRESSIONE = diminuisce l’attivazione di quelle non rilevanti
Questi due meccanismi svolgono un ruolo chiave per la comprensione del testo consentendo al
lettori di seguire le azioni del protagonista di un racconto senza subire l’interferenza di quello che
accade ad altri personaggi. I cattivi lettori mantengono attive anche informazioni non più rilevanti
con la struttura costruita tendono quindi a creare per lo stesso testo più sub-strutture. Questi nel
seguire le azioni del protagonista risentono dell’interferenza di informazioni che riguardano altri
personaggi della storia.
L’apprendimento delle lingue sta diventando fondamentale per i bambini in gran parte del mondo ed
è quindi naturale che ci si debba occupare di difficoltà o veri e propri disturbi in quest’area.
Il modello di Rourke è stato per lungo tempo il principale riferimento per il NDL. Tuttavia nel corso
degli anni, è stato soggetto a diverse critiche:
1. Lo studioso sosteneva che le risorse e i deficit primari fossero la causa di quelli secondari.
Tuttavia, poche sono state le ricerche volte a dimostrare tale rapporto causale
2. Un’altra critica è stata la mancanza di un’analisi dei processi considerati deficitari in bambini
con disturbo non-verbale
3. Una delle maggiori critiche ha riguardato l’utilizzo molto ampio del termine “sindrome non-
verbale”, per riferirsi a qualunque condizione clinica dove fosse presente una discrepanza tra
abilità verbali, preservate, e visuo-spaziali, deficitarie
Disabilità intellettive (DI) e funzionamento intellettivo limite (FIL) sono accomunate dalle stesse
difficoltà: carenze cognitive generalizzate che condizionano negativamente lo sviluppo
dell’intelligenza, del pensiero e del ragionamento e problemi di adattamento. Nel caso del FIL, le
carenze sono minori ed escludono una diagnosi di disabilità, ma sono comunque tali da poter
comportare difficoltà a livello adattivo e/o scolastico.
Il DSM-5 invita a specificare la gravità della disabilità intellettiva con una modifica notevole
rispetto al DSM-IV: è abbandonato il riferimento ai punteggi dei test di intelligenza. Lo stesso
manuale prevede anche una diagnosi di ritardo globale dello sviluppo. La diagnosi di disabilità
intellettiva è consigliata solo in casi eccezionali.
Vediamo i gradi di gravità della disabilità intellettiva secondo il DSM-IV:
Vediamo anche i gradi di gravità della disabilità intellettiva secondo il DSM-5:
Inoltre, sono considerati quattro diversi gradi di gravità, secondo la misurazione del quoziente
intellettivo (QI) che sono più flessibili rispetto a quelle del passato: per esempio per quanto riguarda
il ritardo moderato non si considera più un range compreso tra 40 e 55, ma uno che va da 35-50 a
50-55.
LE SINDROMI PRINCIPALI
SINDROME DI DOWN è la causa cromosomica di disabilità intellettiva più diffusa. Essa
interessa tutte le etnie, sia maschi che femmine, e si manifesta in un caso ogni 700-1.000 nati vivi.
La causa genetica di questa sindrome è la presenza di un cromosa 21 in più, cioè tre invece dei due
soliti. A livello cromosomico, si distinguono sottotipi diversi di sindromi:
1. TRISOMINA PIENA = il cromosoma in più è in tutte le cellule del corpo
2. FORMA A MOSAICO = solo alcune cellule hanno il cromosoma 21 in più
3. FORMA CON TRASLOCAZIONE NON BILANCIATA = un cromosoma o parte di esso è
attaccato ad un altro cromosoma con carenza o eccesso di materiale genetico
4. ULTERIORI FORME RARE = è sempre coinvolto il cromosoma 21, ma in forme diverse
(cromosoma 21 a forma di anello o la presenza di una parte in più di un terzo cromosoma
21, ecc.)
Il tono muscolare è caratterizzato da “rilassatezza”. Le tappe fondamentali dello sviluppo motorio
vengono raggiunte in ritardo. Troviamo poi difetti cardiaci, problemi alla vista, all’udito, al
funzionamento tiroideo, ai denti. Tipici della sindrome di Down sono un precoce invecchiamento e
un rischio di demenza più alto (di solito, morbo di Alzheimer).
La quasi totalità delle persone con sindrome di Down viene valutata nei test di intelligenza con un
QI inferiore a 70. La produzione è inferiore alla comprensione e alla pragmatica e il lessico tende ad
essere migliore della fonologia, della morfologia e della sintassi. Mostra una certa disomogeneità
nel profilo delle abilità visuospaziali.
Lo sviluppo sociale e adattivo è superiore al livello intellettivo e che le prestazioni scolastiche sono
fra loro disomogenee, con una prestazione in lettura e scrittura superiore a quanto prevedibile
dall’età equivalente relativa all’intelligenza.
Per quanto riguarda i dati relativi ai QI a varie età, si può notare che ben scarse sono le differenze
nei primi tre anni di vita, ma che poi essere aumentano in maniera difforme, presumibilmente a
seconda dell’ambiente in cui il bambino è inserito.
In generale vengono segnalati comportamenti psicopatologici nel 15% circa dei minori e nel 25%
circa degli adulti con sindrome di Down. I disturbi più frequenti in età minore sono: disturbo da
deficit di attenzione con o senza iperattività e comportamenti oppositivi e provocatori. Con l’età
adulta, si manifestano disturbi depressivi, associati a passività, apatia e mutismo.
SINDROME DI X FRAGILE è la più comune causa ereditaria, tra quelle conosciute, di
disabilità intellettiva. La causa di questa sindrome è un singolo gene presente nel cromosoma x. A
livello genetico, è dovuta all’ereditarietà materna e non a quella paterna, elemento di cui si deve
tenere bene conto nel counseling alla famiglia. Da un punto di vista psicologico, è necessario aiutare
la madre a gestire eventuali sensi di colpa e purtroppo, a volte, come ci insegna anche l’esperienza
diretta di counseling, anche i sentimenti del coniuge che in modo diretto o indiretto potrebbe
ritenerla responsabile dei problemi del figlio/a.
A livello fisico, abbiamo viso lungo, orecchie prominenti, ecc. La variabilità è notevole non solo nel
confronto tra i maschi e le femmine che ne risultano meno danneggiate, ma anche tra i maschi
stessi. Il profilo cognitivo è caratterizzato da prestazioni migliori in prove che implicano
elaborazione simultanea piuttosto che elaborazione sequenziale nei compiti di memoria a lungo
termine piuttosto che in quelli a breve termine, negli apprendimenti di abitudini piuttosto che in
quelli richiedenti adattamenti nuovi. Inoltre, risultano deficitari numerosi aspetti dell’attenzione e di
altre funzioni esecutive. Tale deficit è stato rilevato a qualsiasi età nei maschi e nelle femmine.
La traiettoria del cui è discendente. Il dato, comunque, non indica deterioramento, in quanto le
prestazioni comunque migliorano, anche se molto più lentamente. Il bambino è inoltre caratterizzato
da buon interesse sociale, ma anche da timidezza e ritrosia nei rapporti sociali.
SINDROME DI WILLIAMS la causa genetica di questa sindrome è una micro-delezione nel
braccio lungo di uno dei due cromosomi 7. Ne è coinvolto anche il gene che produce l’elastina, cioè
una proteina che dà elasticità e forza ai tessuti della pelle, alle arterie, ai vasi sanguigni, alle pareti
degli organi.
I livelli di intelligenza generale sono in media lievemente superiori rispetto a quelli tipici della
sindrome di Down. Infatti, i dati a disposizione non confermano una discesa del QI dai primi anni di
vita al periodo adolescenziale e giovanile. Il linguaggio è particolare: caratterizzato dall’uso di
parole non comuni e dalla tendenza ad esprimersi con narrazioni colorite. La socialità è
caratterizzata da estroversione e in particolare da disinibizione negli approcci con l’estraneo. Questi
individui hanno una notevole capacità nel riconoscere i volti, tanto più singolare se associata con le
tipiche difficoltà a livello visuospaziale.
SINDROME DI ANGELMAN E DI PRADER-WILLI vengono presentate insieme perché dal
punto di vista fenotipico sono profondamente diverse, ma hanno in comune una caratteristica
genetica: condividono spesso la stessa delezione (15q11-13), che in un caso è nel cromosoma di
derivazione materna (sindrome di Angelman) e nell’altro nel cromosoma di origine paterna
(sindrome di Prader-Willi).
1. La sindrome di Angelman comprende sempre o quasi sempre disabilità intellettiva grave-
estrema. I linguaggio verbale è quasi assente e l’individuo è caratterizzato da attacchi
epilettici. Tipico è un camminare rigido e saltellante che ai primi studiosi ha fatto pensare al
movimento di un burattino; si mettono a ridere anche quando non è il momento
2. Per quanto riguarda la sindrome di Prader-Willi, la delezione di una parte del cromosoma 15
di origine paterna comporta una disabilità intellettiva lieve o moderata, iperfagia, bravura
nella soluzione dei puzzle, ma anche irritabilità, ostinatezza, impulsività e compulsività
Ovviamente, esistono anche altre sindromi e sono numerose le sindromi genetiche in cui la
disabilità intellettiva riguarda solo una minoranza (sindrome di Klinefelter, di Turner e di
Noonan); in altre invece il ritardo tende ad essere grave, come nella sindrome 5p, di Rett e di
Patau. In alcuni casi il fenotipo comportamentale prevede anche aggressività verso gli altri e verso
sé stessi (sindrome di Smith-Magenis e di Lesch-Nyhan); in altri è elevato il rischio di tratti
autistici o di altri disturbi di tipo psichiatrico, come nella sindrome velocardiofacciale o 22q.
ompiti che non forniscono un alto livello di stimolazione o ricompense frequenti, distraibilità e problemi con l’organizzazione. L’ip
La percentuale media di prevalenza in Europa sarebbe del 4,5% e in Nord America del 6,5%.
È un’opinione comune quella che porta a credere che siamo motivati verso i compiti e le attività che
sappiamo svolgere con successo. Uno studente che presenta difficoltà d’apprendimento dovrebbe
risultare assolutamente demotivato verso ogni attività che abbia a che vedere con l’apprendimento,
lo studio, la scuola e molto più motivato verso attività e compiti extra-scolastici in cui riesce bene.
Questa visione alternativa, secondo la quale le persone possono essere motivate a fare ciò che
ancora non sanno fare, rischiando l’insuccesso e non avendo risultati immediati né rinforzi, trova
una spiegazione in alcune spinte motivazionali di base fra cui le più importanti riguardo la curiosità,
il bisogno di sentirsi competenti, di scegliere e dare una direzione alla propria vita, di vivere
esperienze in cui ci si sente appagati per il fatto stesso di svolgere quella data attività, anziché per il
risultato e di dare valore a ciò che si fa.
Può capitare che queste naturali tendenze vengano bloccate o rallentate a causa di paure o di un
ambiente non adeguatamente supportivo. Si possono instaurare dei circoli disfunzionali del tipo:
non capisco, penso di non essere capace, vado in confusione su come fare, non mi applico a
sufficienza, ottengo un risultato mediocre, confermo l’impressione di non essere bravo.
I confini fra difficoltà di apprendimento, disturbi specifici dello sviluppo e disabilità intellettiva
sono maggiormente delineati, ma anche i diversi operatori interessati a tali problematiche possono
disporre di criteri diagnostici meglio definiti, di nuovi strumenti di indagine, e modalità di
valutazione caratterizzata dalla ricerca dei sintomi di inclusione e, di conseguenza, della possibilità
di fornire indicazioni per l’intervento a seconda dei profili clinici. Nel lavoro quotidiano con i DSA,
presso i Servizi territoriali per l’infanzia e l’adolescenza o nelle scuole, restano comunque aperti
diversi problemi. In particolare ci si domanda:
1. Come sono organizzati i servizi pubblici e privati di consulenza per l’età evolutiva, le Unità
operative di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza?
2. Come è opportuno procedere nella diagnosi e nella successiva elaborazione del profilo di
funzionamento?
3. Quante sono, in particolare, le richieste di consulenza per i DSA che arrivano ai Servizi e a
che età generalmente avviene la prima consulenza per DSA?
4. Cosa si attende la scuola nei casi in cui invita i genitori a portare il proprio figlio a una
consulenza specialistica perché presenta problematiche nell’apprendimento scolastico?
5. Quale percezione hanno gli insegnanti dell’alunno in difficoltà di apprendimento?
6. A quale normativa fa riferimento la scuola di fronte alle disabilità e alle difficoltà
scolastiche? Quali risorse può mettere in campo?
7. Quale ruolo potrebbe svolgere la scuola rispetto alla prevenzione primaria, secondaria,
terziaria?
LA VALUTAZIONE COSTI-BENEFICI
L’impegno temporale e i costi previsti per seguire un caso di bambini in difficoltà sono
estremamente variabili. In linea di principio, si dovrebbe infatti applicare ai Servizi sui DSA una
logica economica che si ponga in termini di costi-efficacia e costi-benefici.
Una valutazione per il contesto italiano potrebbe riservare delle sorprese, con eccessive spese nei
momenti diagnostici e insufficienti sforzi per il monitoraggio e l’appoggio del DSA lungo tutto il
percorso scolastico. Infatti, il numero di visite/ore necessarie per approdare a una diagnosi cambia
da struttura in struttura: in alcuni casi sono richiesti solo due incontri, in altri contesti possono essere
richieste da 5 a 13 visite; i servizi ambulatoriali prevedono un tempo per la diagnosi che va da un
mese a due-tre mesi; in altre strutture sanitarie, il bambino è valutato in regime di day-hospital,
oppure in altri casi sono previsti 3 giorni di valutazione con un impegno di tre-quattro ore al giorno
e un totale di 12-16 ore di indagini settimanali.
Alcuni servizi prevedono una figura (il neuropsichiatra infantile) che accoglie tutte le richieste di
diagnosi e coordina le varie sedute di approfondimento; in altri invece la valutazione può essere
affidata direttamente a un professionista esperto delle problematiche, in genere lo psicologo; in altre
ancora vi può essere la scelta del clinico direttamente da parte del genitore.
Il percorso diagnostico e l’impostazione del progetto riabilitativo dovrebbero essere il frutto di una
valutazione globale e multiprofessionale.
Vediamo, però, alcune lacune sia di tipo metodologico che di tipo teorico che caratterizzano le
modalità di lavoro dei Servizi:
1. La prima che è importante segnalare riguarda proprio il processo diagnostico. Il DSA
viene affrontato come un generale “problema di sviluppo”, alla pari di altre psicopatologie,
centrando quindi l’attenzione non solo sull’alterazione di una funzione ma anche sulle sue
implicazioni emotivo-motivazionali, famigliari e sociali. Tuttavia la peculiarità delle diverse
psicopatologie dell’età evolutiva impone una diversificazione delle procedure diagnostiche
così come, ovviamente, degli interventi riabilitativi. Pensiamo sia fondamentale prevedere
un lavoro clinico orientato per i DSA, coordinato da un professionista specificatamente
preparato per queste problematiche. Si riportano due esempi:
Il primo riguarda la consulenza per difficoltà scolastiche di un ragazzo di seconda
secondaria di primo grado effettuato presso un Servizio distrettuale per l’età
evolutiva. Il professionista ha compiuto una serie di operazioni corrette che lo hanno
messo sulla buona strada, ma non ha concluso il suo percorso effettuando un esame
sullo “stato degli apprendimenti”. Il secondo errore è quello di considerare causa del
problema ciò che invece sembra essere una conseguenza. Lo sforzo di tenere
presente le diverse aree di sviluppo del ragazzo (quella cognitiva, linguistica,
affettiva) porta a parlare di tratti di personalità, di inibizione ad apprendere
Il secondo riguarda un bambino di terza primaria seguito in logopedia all’interno di
un servizio di neuropsichiatria infantile. Qui, l’errore sta nel dare un’interpretazione
al problema di natura diversa da quella attraverso la quale il DSA si manifesta
2. La seconda riguarda alcuni problemi tipici che si incontrano nel lavoro clinico con i DSA.
Troviamo:
La valutazione delle problematiche emotivo-relazionali come aspetti principali
dell’evoluzione del disturbo
Il debole coinvolgimento dei genitori nella consulenza, se non addirittura, l’induzione
di un sentimento di colpa per le difficoltà scolastiche del figlio
La mancata acquisizione di sufficienti informazioni utili per la sciola al fine di
mettere in relazione le difficoltà di apprendimento con e cause funzionali del
disturbo e scegliere di conseguenza quali misure compensative e/o dispensative
proporre
Lo scollamento fra diagnosi e linee seguite per l’intervento
L’assenza di elementi per stabilire quali cambiamenti sia dovuta alla maturazione del
bambino, e quali all’intervento, alle particolari tecniche utilizzate per la riabilitazione
oppure all’intervento sugli aspetti emotivo-relazionali
SEGNALAZIONE E PREVENZIONE
Si è già detto che la scuola gioca un ruolo fondamentale nella segnalazione delle difficoltà di
apprendimento, poiché è proprio l’insegnante che può rendersi conto per primo del fatto che un
alunno si discosta dal gruppo nell’acquisire le competenze previste dal percorso didattico. Appare
possibile che nelle situazioni di rischio prevedere una serie di attività che potrebbero favorire una
riduzione delle problematiche. Un primo screening può essere svolto durante l’ultimo anno di
scuola dell’infanzia per valutare i precursori dell’apprendimento; un altro momento importante
potrebbe essere quando l’alunno frequenta la terza primaria.
Non è rara, tuttavia, la richiesta di consulenza per problemi di natura scolastica anche quando il
ragazzo frequenta la scuola secondaria di primo o di secondo grado e particolarmente delicato
appare il passaggio da un ordine di scuola all’altro.
Ma chi dovrebbe coordinare e dare significato a questa attività di formazione e sensibilizzazione
allo screening per gli insegnanti? Se ne occupano i Servizi specialistici interni ed esterni alla scuola
e talvolta anche l’università.
La valutazione dovrà costituire il primo passo di un percorso volto alla facilitazione degli
apprendimenti, alla promozione di abilità trasversali, al rafforzamento delle strategie degli studenti e
delle loro capacità di affrontare situazioni di difficoltà scolastica.
In conclusione, il cammino verso l’integrazione delle conoscenze e metodiche psicologiche e verso
la loro traduzione in progetti educativi individualizzati che considerino lo sviluppo come principale
dimensione di riferimento è ancora lungo.