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METODOLOGICHE
GENERALI E SPECIFICHE
IL COMPORTAMENTISMO/ BEHAVIORISMO
( PRIMO NOVECENTO)
• WATSON FU IL PRIMO A RIDISEGNARE LA PSICOLOGIA E I SUOI CAMPI DI STUDIO ,
FOCALIZZANDOSI SULLA STUDIO DEL COMPORTAMENTO MANIFESTO ( INTESO COME INSIEME DI
RISPOSTE FISIOLOGICH DELL’ INDIVIDUO ) E DELL’ APPRENDIMENO
• IL COMPORTAMENTISMO STUDIA IL COMPORTAMENTO E LE RISPOSTE ( VISIBILI ED OSSERVABILI)
• IL COMPORTAMENTO E’ LA RISPOSTA CHE L’ UOMO FA IN PRESENZA DI UNO STIMOLO.
• L’ APPRENDIMENTO AVVIENE MEDIANTE DEGLI STIMOLI S CHE PERVENGONO AL SOGGETTO DALL’
AMBIENTE ESTERNO,
• RAGGIUNTO DAGLI STIMOLI, FORNISCE DELLE RISPOSTE R OSSIA DETERMINATI COMPORTAMENTI.
CIO’ CHE AVVIENE NELLA MENTE, CIOE’ I PROCESSI MENTALI NON SONO OGGETTO DI STUDIO.
• IL COMPORTAMENTISMO IN CHIAVE PEDAGOGICA PRIVILEGIA LO STUDIO DEL COMPORTAMENTO
UMANO INTESO COME ASSOCIAZIONE TRA STIMOLO E RISPOSTA.
• L’ APPRENDIMENTO E’ DATO DALLE REAZIONI INDIVIDUALI A TALI STIMOLI-
• PAVLOV CONDIZIONAMENTO CLASSICO CHE COMINCIA CON UN RIFLESSO
• ESPERIMENTO DEL CANE
STIMOLO CONDIZIONATO ( CARNE AL CANE SALIVAZIONE )
STIMOLO INCONDIZIONATO ( SUONA IL CAMPANELLO E SI DA’ LA CARNE AL CANE , IL CANE OGNI
VOLTA CHE SUONERA’ IL CAMPANELLO PRODURRA’ SALIVAZIONE)
SKINNER
CONDIZIONAMENTO OPERANTE ( CHE INIZIA CON UN COMPORTAMENTO CHE IL
BAMBINO PRODUCE SPONTANEAMENTE )
COMPORTAMENTO RISPONDENTE AD UNO STIMOLO ESTERNO
OPERANTE CHE IL SOGGETTO SI COMPORTA AL FINE DI RICEVERE UN PREMIO
( RINFORZO)
RINFORZO POSITIVO ( PREMIO)
RINFORZO NEGATIVO (PUNIZIONE)
MODELLAMENTO ( GLI ALUNNI IMPARANO DI PIU’ SE LODATI)
L’ APPRENDIMENTO VIENE MIGLIORATO SE LO STUDENTE VIENE CORRETTO
IMMEDIATAMENTE
LA SCOMPOSIZIONE DELLA LEZIONE UDA FACILITA LA RISPOSTA DELLO
STUDENTE IN TERMINI DI APPRENDIMENTO.
GESTALT: PSICOLOGIA DELLA
FORMA .
• L’APPRENDIMENTO SI BASA SU PROCESSI COGNITIVI E PUO’ ESSERE COMPRESO
OLTRE LO STUDIO DEL COMPORTAMENTO( WERTHWIMMER , KOHLER, KOFFKA)
STUDIA LA PERCEZIONE E I MECCANISMI GRAZIE AI QUALI I PROCESSI INTERNI
DANNO FORMA AL MONDO ESTERNO. ‘’ IL TUTTO E’ DIVERSO DALLA SOMMA
DELLE SUE PARTI’’
LA PERCEZIONE NON E’ PRECEDUTA DALLA SENSAZIONE, MA E’ UN PROCESSO
IMMEDIATO INFLUENZATO DALLE PASSATE ESPERIENZE.
TEORIE UTILIZZATE NELLA
DIDATTICA MODERNA
• THORNDIKE
STUDIA APPRENDIMENTO PER PROVE ED ERRORI
LEGGI DELL’ EFFETTO ( SI TENDE A RIPETERE COMPORTAMENTI CHE DANNO
RISULTATO VINCENTE)
• BANDURA
APPRENDIMENO PER PROCESSO ATTIVO
L’APPRENDIMENTO AVVIENE NON SOLO ATTRAVERSO ESPERIENZE DIRETTE, MA
ANCHE OSSERVANDO GLI ALTRI , CONSIDERATI MODELLI
RINFORZO VICARIANTE ( APPRENDIMENTO PER IMITAZIONE)
COGNITIVISMO
SUCCEDE AL COMPORTAMENTISMO
STUDIA I PROCESSI MENTALI
CONSIDERA L’ UOMO NELLA SUA COMPLESSITA’
L’ UOMO E’ CAPACE DI AUTOSTIMOLARSI
ELABORA COMPORTAMENTI ATTRAVERSO PROCESSI COGNITIVI
PARAGONA IL CERVELLO UMANO AL COMPUTER
LE CONOSCENZE SI TRAMUTANO IN INFORMAZIONI
TOLMAN :MAPPE COGNITIVE ,COMPORTAMENTO ORIENTATO VERSO UNO
SCOPO, SCHEMI MENTALI
GARDNER. TEORIA DELLE INTELLIGENZE
MULTIPLE
• LA SUA TEORIA INDIVIDUA NELLE PERSONE CAPACITA’ MENTALI DISTINTE CHE DANNO LUOGO A
DIFFERENTI MODALITA’ DI APPRENDIMENO E SPINGONO VERSO UNA INTENSA RICERCA SUL
POTENZIAMENTO DEGLI STILI COGNITIVI E APPRENDIMENTO.
• I MACRO GRUPPI INTELLETTIVI SONO 8
• 1)INTELLIGENZA LINGUISTICA, 2) INTELLIGENZA LOGICO MATEMATICA, 3)INTELLIGENZA SPAZIALE,
4)INTELLIGENZA CINESTETICA, 5)INTELLIGENZA MUSICALE, 6)INTELLIGENZA INTERPERSONALE,
7)INTELLIGENZA INTRAPERSONALE ,8) INTELLIGENZA NATURALISTICA, 9) INTELLIGENZA ESISTENZIALE
• LA TEORIA RIVELA CHE SEBBENE LE CAPACITA’ DI APPRENDIMENTO SIANO PIU’ O MENO INNATE
NEGLI INDIVIDUI, NON SONO STATICHE E POSSONO ESSERE SVILUPPATE MEDIANTE L’ ESERCIZIO.
• INOLTRE LA TEORIA DI GARDNER CI INDICA CHE
BISOGNA STIMOLARE PIU’ INTELLIGENZE
BISOGNA RAFFORZARE E POTENZIARE LA PROPENSIONE NATURALE DI OGNI BAMBINO/RAGAZZO
PIU’ INTELLIGENZE SI RIESCE AD ATTIVARE IN UNA SINGOLA ESPERIENZA DI INSEGNAMENTO/
APPRENDIMENTO, MAGGIORE SONO LE POSSIBILITA’ CHE I CONTENUTI ARRIVINO A TUTTI I
DESTINATARI.
COSTRUTTIVISMO
L’ UOMO COSTRUISCE LA SUA CONOSCENZA IN MODO ATTIVO
IL SAPERE E’ UN PROCESSO DINAMICO IN CONTINUA EVOLUZIONE
NEL PROCESSO DI FORMAZIONE L’ UOMO ACQUISISCE L’ ABILITA’ E LA
CONOSCENZA ATTRAVERSO GLI ALTRI
PIAGET
• PSICOLOGO DELL’ ETA’ EVOLUTIVA.
• LO SVILUPPO AVVIENE PER 2 PROCESSI : ASSIMILAZIONE (CONOSCENZA DELLA
REALTA’ ) E
• ACCOMODAMENTO ( PROCESSO ATTRAVERSO IL QUALE LA MENTE CREA
NUOVE CONOSCENZE)
• STADI DI SVILUPPO(4):
• 1 ) 0-2 FASE SENSO MOTORIA (6 STADI) EGOCENTRICA
• 2) 2 /7 ANNI STADIO PREOPERATORIO
• 3) 7/12 STADIO DELLE OPERAZIONI CONCRETE
• 4) 12 / 15 STADIO DELLE OPERAZIONI FORMALI
BRUNER
• PSICOPEDAGOGISTA , INDIVIDUA 3 TRAIETTORIE SU CUI DEVE BASARSI L’
INSEGNAMENTO NEI DIVERSI STADI DELLO SVILUPPO INFANTILE
AZIONE; ESECUTIVA
IMMAGINAZIONE, ICONICA
LINGUAGGIO SIMBOLICO, SIMBOLICA
TUTTO PUO’ ESSERE INSEGNATO A TUTTI PURCHE’ IL CONTENUTO DELL’
APPRENDIMENTO SIA ADEGUATO ALL’ ETA’ E AL GRADO DI SVILUPPO
CURRICOLO
L’ ALUNNO VA POSTO NELLA CONDIZIONE DI IMPARARE AD IMPARARE
IMPORTANZA DEL LINGUAGGIO
SCAFFOLDING IMPALCATURA APPRENDIMENTO PER STRUTTURE NON PER
CONCETTI
ASSOCIARE GLI APPRENDIMENTI ALLE CONOSCENZE PREGRESSE
IMPALCATURA COME STRATEGIA DI APPRENDIMENTO
APPRENDIMENTO PER SCOPERTA
CONOSCENZA DELLA REALTA’ ATTRAVERSO I SIMBOLI
PROBLEM SOLVING
LEWIN E LA PSICOLOGIA SOCIALE
• BRONFENBRENNER :
MICROSISTEMA ( CONTESTO SPECIFICO DEFINITO DA
TUTTE LE RELAZIONI, LE ATTIVITA’ I RUOLI
MESOSISTEMA LE INTERELAZIONI TRA DUE SISTEMI
ES. SCUOLA /CASA
ECOSISTEMA SITUAZIONI AMBIENTALI IN CUI LA
PERSONA E’ COINVOLTA INDIRETTAMENTE ( 1
MACROSISTEMA SISTEMI DI CREDENZE, VALORI,
IDEOLOGIE.
VIGOTSKIJ
CENTRALITA’ DELLA CREATIVITA’, GIOCO, IMMAGINAZIONE
4 STADI NEL PROCESSO DI DI INTERIORIZZAZIONI CHE SI RITROVANO NELLO SVILUPPO
DEL PENSIERO, DEL LINGUAGGIO, DELLA MEMORIA
1) IL BAMBINO RISPONDE ALLE STIMOLAZIONI DELL’ AMBIENTE IN MODO IMMEDIATO
2) IL BAMBINO USA SEGNI ESTERNI
3) IL BAMBINO DIVIENE CONSAPEVOLE DEL SIGNIFICATO E DEL RUOLO DEI SEGNI
4) IL BAMBINO GIUNGE AD UNA INTERIORIZZAZIONE
5) IL PROCESSO DI INTERIORIZZAZIONE E’ UN PROCESSO DI PASSAGGIO DELL’
INTERPSICHICO ALL’ INTRAPSICHICO ED E’UN PROCESSO SOCIALE PERCHE’ AVVIENE TRA
BAMBINO E ADULTO E’ MEDIATO DAL LINGUAGGIO
•) METODO PSICOANALITICO
) TEORIA DELLA PERSONALITA’
) METODO DI TRATTAMENTO DEI DISTURBI DELLA PERSONALITA’ INCOSCIO,
LIBERE ASSOCIAZIONI, SOGNI, LAPSUS
) I FATTORI INCONSCI ( ISTINTI, CONFLITTI, PULSIONI, MECCANISMI DI DIFESA )
INFLUENZANO IL COMPORTAMENTO MANIFESTO
•)
KOLB
• KOLB = 4 FASI DI SVILUPPO
1) ESPERIENZA CONCRETA
2) L’OSSERVAZIONE RIFLESSIVA
3) CONCETTUALIZZAZIONE ASTRATTA
4) SPERIMENTAZIONE ATTIVA
•) OGNI PERSONA TIENE UNA CERTA PROPENSIONE VERSO LE 4 MFASI DI CICLO E SVILUPPA
UNO STILE DI APPRENDIMENTO
•) STILI DI APPRENDIMENTO
•) 1) DIVERGENTE : CAPACITA’ DI OSSERVARE UNA SITUAZIONE DA PIU’ PUNTI DI VISTA
•) 2) ASSIMILANTE: ABILITA’ A RECEPIRE MOLTE INFORMAZIONI DI CONCENTRAZIONE
•) 3) CONVERGENTE: ABILITA’ A TROVARE APPLICAZIONI PRATICHE DELLE IDEE E DELLE
TEORIE FORMALI , SOLUZIONI TECNICHE E PRATICHE
•) 4) ACCOMODANTE : ABILITA’ AD APPRENDERE ATTRAVERSO L’ESPERIENZA CONCRETA ,
PREDISPOSIZIONE A PORSI TRAGUARDI, SFIDE ABILITA’ SOCIALI ABILITA’ A CHIEDERE
AIUTO
SCHEMA DI ALTRE TEORIE PEDAGOGICHE E RICADUTE SULL’ INSEGNAMENTO /
APPRENDIMENTO
DI CONSEGUENZA:
• Maggior motivazione
• Aumento graduale dei tempi di attenzione
• Miglioramento del livello qualitativo delle attività scolastiche
• Autocostruzione interattiva delle conoscenze
SOFTWARE E SITI WEB PER LA SCRITTURA MUSICALE
FAVORISCONO LA CAPACITA’ DI COMPORRE:
• Il brano composto viene riprodotto dal computer, il musicista si concentra solo sull’ascolto, non
più sull’esecuzione
• Permette di scrivere incisi o frasi complessi
• Facilita l’arrangiamento di un brano a più voci
• Si possono scegliere i diversi timbri dei suoni
• SIBELIUS (per Windows e Mac): anch’esso tra i migliori programmi per comporre musica, con tutte le
funzionalità necessarie a soddisfare i compositori più esigenti
ALTRI SOFTWARE E SITI WEB GRATUITI
• MUSESCORE (Disponibile per Windows, Mac e Linux) : è un software gratuito, necessita
l’installazione; permette di creare e stampare una partitura, con un numero illimitato di pentagrammi, di salvarla
in numerosi formati. Permette di ascoltare i file, di estrarre le singole voci, di modificare con vari effetti sonori,
ecc…
• NOTEFLIGHT: è una applicazione web, fruibile solo online, previa registrazione; permette di creare,
visualizzare, stampare ed ascoltare qualsiasi composizione musicale. La versione base è gratuita.
• ACCORDION: è un software piccolo e completo, gratuito, per creare musica al computer simulando vari
strumenti; premendo i tasti del PC il programma associa una nota musicale che permette di suonare direttamente
con le lettere della tastiera.
• MUSINK (per Windows): software di semplice utilizzo per comporre musica; nella versione base è gratuito.
• MUSIC MASTERWORKS ( per Windows): per scrivere musica a carattere professionale; nella versione
base è gratuito.
• GARAGE BAND (per Mac): ha una interfaccia semplice per creare musica con vari strumenti, effetti, tracce.
• BLANK SHEET MUSIC : è una applicazione web totalmente gratuita per comporre musica.
LIM ( LAVAGNA INTERATTIVA MULTIMEDIALE
METODOLOGIE OBIETTIVI
Caratteristiche:
Disattenzione
Iperattività
Impulsività
ALTRI DISTURBI EVOLUTIVI SPECIFICI (3)
DISTURBO DELLA CONDOTTA
Il disturbo della condotta si manifesta
attraverso un comportamento ripetitivo e
persistente, violando i diritti fondamentali degli
altri e le regole sociali proprie dell’età.
Caratteristiche: irritabilità, marcata
impulsività, aggressività verbale e/o fisica
verso persone o animali, bugia patologica.
Tale disturbo spesso è associato ad una
disabilità intellettiva lieve.
ALTRI DISTURBI EVOLUTIVI SPECIFICI (4)
BULLISMO
Disturbo della condotta che si trasforma in un vero e proprio disturbo antisociale .
Esistono due forme di bullismo: diretto e indiretto.
DIRETTO: sono evidenti le prepotenze fisiche e/o verbali
INDIRETTO: il bullo e il suo gruppo di seguaci non affrontano
direttamente la vittima ma agiscono diffondendo dicerie sul suo conto,
escludendola dal gruppo dei pari e isolandolo quindi socialmente.
I bulli si differenziano dagli altri per la mancanza di empatia e
l’insensibilità alle necessità e ai sentimenti degli altri, per cui appaiono
incapaci di stabilire relazioni positive e di creare un vero rapporto con i
coetanei, con i genitori e con gli insegnanti, verso i quali assumono
spesso atteggiamenti oppositi e provocatori.
Metodologie e strategie didattiche:
circle time, role playing, tutoring tra pari, cooperative learning,
storytelling, tecniche di alfabetizzazione emozionale.
Area dello svantaggio socio-economico, linguistico e
culturale - Gli alunni stranieri e l’educazione
interculturale (1)
• Normativa scolastica
LE MODALITÀ DI VALUTAZIONE DEI RISULTATI DI APPRENDIMENTO
Innovazioni:
- Il giudizio sul comportamento, espresso con un giudizio nella scuola primaria e con un voto nella scuola
secondaria, diviene elemento determinante ai fini dell’ammissione alla classe successiva;
- In generale, la valutazione degli apprendimenti e delle discipline è espressa in decimi sul documento di
valutazione;
- Il voto di ammissione non può essere inferiore a sei in ciascuna disciplina; in presenza di carenze il Consiglio di
classe può comunque deliberare l’ammissione a maggioranza inserendo tuttavia una specifica nota nel documento
di valutazione.
- È particolarmente significativa la modifica della normativa di ammissione all’esame di Stato conclusivo del primo
ciclo e di valutazione dell’esame stesso. Si è ammessi sulla base di un voto di idoneità, espresso in decimi
considerando anche il percorso degli anni scolastici precedenti. Tra le prove scritte figura la prova nazionale
predisposta dall’INVALSI.
• La procedura per l’assegnazione del voto di uscita è rigorosamente determinata: esso infatti deriva
dalla media dei voti conseguiti nella singole prove scritte e nel colloquio; entra nella media anche il
giudizio di idoneità. È determinato per legge l’arrotondamento che consente il passaggio al decimo
successivo; la commissione, con voto unanime, può assegnare la lode agli studenti che hanno
conseguito al meglio il massimo dei voti.
• Negli scrutini finali della secondaria di secondo grado viene sospeso il giudizio per gli studenti che non
hanno la sufficienza in una o più materie. A conclusione degli interventi didattici programmati per il
recupero delle carenze rilevate, il consiglio di classe, in sede di integrazione dello scrutinio finale,
previo accertamento del recupero delle carenze formative da effettuarsi entro la data di inizio delle
lezioni dell’anno scolastico successivo, procede alla verifica dei risultati conseguiti dall’alunno e alla
formulazione del giudizio finale. L’esito positivo comporta l’ammissione alla classe successiva.
• Il nuovo Regolamento costituisce uno sforzo ambizioso di coordinamento delle esperienze e delle
norme di valutazione dei due cicli di istruzione: è certo che nella scuola primaria e, in misura molto
minore nella secondaria di primo grado, la valutazione è prevalentemente formativa.
• C’è il rischio di una deriva verso soluzioni sommarie, basate sull’aritmetizzazione della valutazione, sul
rifugiarsi nella logica dei numeri per sottrarsi al più difficile compito di recuperare all’impegno e alle
competenze quelle fasce di studenti che risultano più refrattarie alla crescita culturale nella scuola.
C’è, apparentemente all’opposto, la scorciatoia della manipolazione dei voti per far risultare
ammissioni e uscite dagli esami di studenti ritenuti in realtà “inadatti” alla scuola. La maggiore rigidità
del sistema creato dal DPR n. 122 va invece vissuta come stimolo alla crescita professionale degli
insegnanti; sul versante degli studenti va coniugata con il dare sostanza e vita al Patto educativo di
corresponsabilità, perché il percorso nella scuola sia finalizzato a far emergere il progetto di
formazione e di vita che sta in ciascuno dei giovani in età di scuola.
Il ruolo formativo dei processi valutativi
Il carattere formativo della valutazione nella progressione dei vari aspetti del
percorso di apprendimento si realizza quando la valutazione è concepita e
praticata come strumento che il docente utilizza, affinandolo progressivamente,
per cogliere lo stato e il modo del processo di avanzamento degli apprendimenti
nell’alunno.
Ciò permette al docente di tornare sulla propria azione in modo puntuale rispetto
alle condizioni rilevate e gli consente di condurre l’alunno alla pienezza del
processo oggetto di intervento, anche attraverso una acquisizione di
consapevolezza dei propri comportamenti cognitivi nello svolgimento del compito
(la valutazione diviene così anche autovalutazione dell’alunno).
Il momento valutativo è parte essenziale del processo formativo. Il suo primo
scopo, naturalmente, è di fungere per l’insegnante da sensore del processo di
apprendimento -insegnamento, quale sistema che funziona non nel modo e
secondo l’ambizione del controllo unidirezionale dell’apprendimento, ma che è
finalizzato ad apprendere a reagire, flessibilmente e ricorsivamente, al proprio
funzionamento secondo un principio di autoregolazione. L’espressione
“valutazione per l’apprendimento”, in uso in ambiente anglosassone, rende ancor
meglio, per il suo respiro comprensivo, il senso del carattere formativo della
valutazione.
Tipi di approcci alla valutazione
• APPROCCIO TOP-DOWN: si presuppone un sistema gerarchico che si propaga dai livelli centrali a
quelli periferici e procede a cascata dall’alto verso il basso, la valutazione è preconfezionata e
procede su logiche applicative. Di conseguenza sviluppa dipendenza dal vertice e innesta
atteggiamenti difensivi nella base.
• APPROCCIO BOTTOM-UP: Il movimento nasce dal basso e procede a rete verso l’alto. Accoglie le
istanze presenti nel contesto reale e sviluppa una responsabilizzazione dei protagonisti verso i
processi valutativi.
Scopi della valutazione
• Valutazione come controllo: serve a rendicontare i risultati acquisiti e permette di mettere in atto
premialità o sanzioni rispetto a quanto accertato.
• Valutazione come sviluppo: si presenta come un dispositivo di retroazione che orienta l’azione del
soggetto e promuove linee di miglioramento.
I metodi per la misurazione della valutazione
• QUANTITATIVO, centrato sul principio di misurabilità dei fenomeni e sull’affermazione del valore
oggettivo del dato, conseguito grazie alla separazione fra soggetto e oggetto di valutazione, la
garanzia della neutralità del valutatore e la rigorosità delle procedure metodologiche. Gli strumenti
utilizzati offrono dati comparabili statisticamente e dotati di livelli di generalizzazione.
• QUALITATIVO, interpretazione soggettiva del fenomeno attraverso lo sviluppo dell’intersoggettività,
del confronto allargato, della negoziazione e della condivisione dei significati. Si punta ad una
comprensione globale del fenomeno valutato e il valutatore è riconosciuto come componente
ineliminabile del processo valutativo
I tempi e le forme della valutazione
• 1. Valutazione ex ante: si realizza prima di porre in essere un programma o intervento, un servizio o un
progetto e contribuisce a costruire la nuova realtà. Permette di conoscere in anticipo gli effetti di una
decisione, poiché può verificare l’esperienza di realtà analoghe, interpretare dati reperiti nel contesto,
raccogliere documenti, studi e materiali relativi alla questione da valutare. Aiuta a scegliere fra diverse
alternative perché è in grado di sviluppare modelli previsionali (es.: evoluzione della natalità, esigenze
territoriali...) FUNZIONE PREMINENTE: DIAGNOSTICA
2. Valutazione in itinere è un processo valutativo continuo, utile per adattare il lavoro dei soggetti rispetto al
mutamento in atto ai vari livelli (soggetti, ambiente, esiti, dinamiche, prodotti...). Aiuta a comprendere le
influenze ambientali e ad elaborare soluzioni migliorative o nuove. Permette di correggere eventuali
deviazioni dal progetto iniziale. La valutazione intermedia si attua in un momento stabilito per riorientare
l’azione sulla base di una valutazione approfondita dello stato del progetto/servizio. FUNZIONE
PREMINENTE: FORMATIVA Caratterizzata per:
Trasparenza nella comunicazione delle valutazioni e uso motivante
Condivisione dei criteri per la valutazione, triangolazione dei punti di vista al fine di raggiungere la massima
oggettività
Completezza cioè deve avere per oggetto sia i risultati formativi degli alunni, sia gli obiettivi perseguiti, i
metodi e l' organizzazione scolastica.
Orientatività far cioè acquisire una equilibrata autostima e fiducia in se stessi per maturare una propria
identità e un proprio giudizio al fine di saper agire autonomamente nella vita.
• 3. La Valutazione ex post è attuata a conclusione di un intervento o progetto per conoscerne la
realizzazione, i risultati e gli impatti ottenuti. Permette di apprendere sulla base degli errori e dei successi
conseguiti ed è determinante per decidere in merito ad eventuali interventi di riprogettazione. Sostiene
l’accountability, cioè il resoconto pubblico sugli esiti conseguiti in rapporto all’investimento di risorse e
offre materiale di riflessione per progetti o azioni analoghe che altri vogliano intraprendere. FUNZIONE
PREMINENTE: SOMMATIVA.
Approccio docimologico ed ermeneutico
1- Da un lato l'approccio docimologico, basato sul principio della misurabilità di ciascun fenomeno e sul
primato dell’oggettività del dato attraverso la separazione tra soggetto ed oggetto di analisi.
2-Dall’altro l’idealtipo ermeneutico, basato sul principio dell’ interpretazione soggettiva di ciascun
fenomeno e sul primato del confronto e della condivisione dei significati attribuiti
Ogni insegnante per valutare usa metodi e tecniche più o meno consolidati e rigorosi, ma usa anche il
buon senso e l'intuito, che gli deriva dall'esperienza. Confronta i dati quantitativi delle misurazioni, delle
verifiche e quelli qualitativi delle descrizioni con i traguardi prefissati e interpreta i dati in rapporto ai
processi di apprendimento dell'alunno e alla personalizzazione delle competenze. In questo modo la
valutazione appare come una sintesi tra i risultati ottenuti dalle verifiche e le informazioni significative,
provenienti dalle interpretazioni.
In un senso più approfondito, per valutazione si deve intendere un'operazione che accompagna tutto il
processo di apprendimento -insegnamento, perché deve essere un atteggiamento di ricerca: si valuta per
modificare, per innovare una determinata situazione.
Si configura come un sistema aperto, perché deve affrontare situazioni complesse.
Qualcuno usa indifferentemente i termini verifica e valutazione e considera conclusa la valutazione con la
misurazione dei risultati, ben pochi adottano poi tecniche di metavalutazione, per cui sarà bene stabilire
un ordine metodologico: prima si osservano le situazioni di apprendimento e si rilevano gli elementi che si
ritengono importanti. Si potranno anche misurare prestazioni, abilità, ma altri elementi, come
atteggiamenti ,stili, processi, si potranno solo descrivere e raccontare.
Quindi si confrontano i dati emersi con le ipotesi e i traguardi prefissati dal progetto didattico e con i
processi individuali di apprendimento, per avere informazioni significative sui modi personali di acquisire
le conoscenze e sviluppare le competenze.
Uno dei meriti innegabili della docimologia è stato quello di aver
dimostrato i principali
errori in cui può incorrere la valutazione soggettiva.
Me dia Fa s c e Fa s c e Fa s c e
de i voti di di di
c re dito c re dito c re dito
III IV V a nno
a nno a nno
M<6 - - 7-8
M=6 7-8 8-9 9-10
6<M≤7 8-9 9-10 10-11
7<M≤8 9-10 10-11 11-12
8<M≤9 10-11 11-12 13-14
9<M≤10 11-12 12-13 14-15
Metodologie Didattiche
per nuclei fondanti si intendono quei concetti fondamentali che rincorrono in vari punti dello
sviluppo di una disciplina e hanno perciò valore strutturante e generativo di conoscenze. I
nuclei fondanti sono concetti , nodi epistemologici e metodologici che strutturano una
disciplina : i contenuti ne sono l’oggetto, le conoscenze sono il frutto di tutto il processo di
costruzione del sapere. Essi possono definirsi tali ( nuclei fondanti)quando assumono un
esplicito valore formativo rispetto alle competenze di cui sono i supporti e gli apparati
serventi.
Nel processo di insegnamento/apprendimento il “nucleo fondante” configura quanto delle
conoscenze è indispensabile utilizzare e padroneggiare in una prospettiva dinamica e
generativa , quindi la definizione dei nuclei fondanti dell’apprendimento non è un operazione
disciplinare ma multidisciplinare
Quindi possiamo dire che i nuclei fondanti dell’apprendimento, attorno ai quali si costruisce il
curricolo scolastico,costituiscono i concetti più significativi, generativi di conoscenze e
ricorrenti in vari punti dello sviluppo di una disciplina, ricavati analizzandone la struttura
tenendo conto sia degli aspetti storico-epistemiologico che di quelli psicopedagogico e
didattici.
Saperi Essenziali – Competenze Chiave :
Per competenza si intende un insieme di conoscenze , capacità, attitudini che ci portano ad essere capaci
di agire in una certa situazione.
L’Unione Europea (2006/962/CE) ha introdotto per la prima volta il concetto di Competenza Chiave nelle
Raccomandazioni intitolata “Quadro Comune Europeo alle Competenze Chiave per l’Apprendimento
Permanente”. Esse devono essere acquisite in ambienti di educazione formali e informali , in primis la
scuola.
Sono state inizialmente suddivise in 8 macro-categorie:
1. Comunicazione nella madrelingua ( Capacità di esprimere ed interpretare concetti , pensieri ,in
forma sia orale che scritta e di interagire adeguatamente in tutti i contesti sociali e culturali)
2. Comunicazioni nella lingue straniere(Capacità di comunicare , di mediazione e comprensione
interculturale)
3. Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia( è l’abilità di sviluppare ed
applicare il pensiero matematico per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane.Le
competenze in campo scientifico e tecnologico riguardano la padronanza l’uso e l’applicazione di
conoscenze e metodologie che spiegano il mondo naturale, quindi la comprensione dei
cambiamenti determinati dall’attività umana e la consapevolezza delle proprie responsabilità)
4. Competenza digitale(uso delle tecnologie dell’informazione)
5. Imparare ad imparare(competenza metacognitiva) ( è collegata all’apprendimento,
all’abilità di perseverare, di organizzare l’apprendimento sia a livello individuale che in
gruppo , a seconda delle proprie necessità, con la consapevolezza dei metodi.)
6. Competenze sociali e civiche ( sociali: competenze personali,interpersonali, interculturali
e tutte le forme di comportamento che consentino alle persone di partecipare in modo
efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa.Essa è legata al benessere personale e
sociale. Civica : conoscenza di concetti quali democrazia, giustizia, cittadinanza, diritti civili
che permettono di avere gli strumenti per una partecipazione attiva e democratica)
7. Spirito di iniziativa ed imprenditorialità (Saper tradurre le proprie idee in azione:
creatività, innovazione,assunzione dei rischi, capacità di pianificare e gestire progetti per
raggiungere obiettivi.E’ il punto di partenza per acquisire le abilità e conoscenze più
specifiche per coloro che avviano o contribuiscono ad un’attività commerciale o sociale.)
8. Consapevolezza ed espressione culturale (consapevolezza dell’importanza
dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni attraverso una varietà di mezzi di
comunicazioni compresi la musica, le arti dello spettacolo, la letteratura e le arti visive)
Tali competenze sono state poi classificate ulteriormente dal Consiglio dell’Unione Europea il 22
maggio 2018 che, richiamandosi alla propria Raccomandazione del 2006, ha deciso di puntare su
temi particolarmente importanti nella moderna società: Sviluppo sostenibile e le competenze
imprenditoriali, ritenute indispensabili per “assicurare resilienza e capacità di adattarsi ai
cambiamenti”.
Tali competenze vengono certificate al termine del I°Ciclo di istruzione , con la “certificazione delle
competenze con riferimento alle competenze chiave europee” dove viene indicato il livello
conseguito dall’alunno per ognuna di esse.
Vengono definite in inglese “soft Skills” le Competenze trasversali che gli alunni dovranno mettere in
pratica nella vita al di fuori ambito scolastico.
Possono essere di tipo dichiarativo (saper) , procedurale( saper fare) pragmatico(saper come fare).
Le soft skills si possono suddividere in 3 macro-aree:
1. L’ area del conoscere
2. L’ aera del relazionarsi
3. L’ area dell’affrontare
Le competenze trasversali dunque , integrandosi con le conoscenze e le competenze disciplinari,
permettono di acquisire capacità fondamentali per il successo degli alunni ovunque saranno
chiamati ad agire : lavoro, società,vita.
CERTIFICAZIONI DELLE COMPETENZE
• Procedura di formale riconoscimento, da parte di un ente titolato, in base alle norme generali, ai livelli
essenziali delle prestazioni e agli standard minimi fissati dalla legislazione vigente, delle competenze acquisite
dalla persona in contesti formali, anche in caso di interruzione del percorso formativo, o di quelle validate
acquisite in contesti non formali e informali. La procedura di certificazione delle competenze si conclude con il
rilascio di un certificato conforme agli standard minimi fissati dalla legislazione vigente.
TRAGUARDI PER LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE
• Al termine della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, vengono
fissati i traguardi per lo sviluppo delle competenze relativi ai campi di esperienza ed alle discipline. Essi
rappresentano dei riferimenti ineludibili per gli insegnanti, […] costituiscono criteri per la valutazione delle
competenze attese e, nella loro scansione temporale, sono prescrittivi, impegnando così le istituzioni
scolastiche affinché ogni alunno possa conseguirli, a garanzia dell’unità del sistema nazionale e della qualità del
servizio
ABILITA’
• Capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how( abilità) per portare a termine compiti e risolvere
problemi. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche, le abilità sono descritte come cognitive
(comprendenti l’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) o pratiche (comprendenti l’abilità manuale e l’uso
di metodi, materiali, strumenti).
CONOSCENZE
OBIETTIVO DI APPRENDIMENTO
• Gli obiettivi di apprendimento individuano campi del sapere, conoscenze e abilità ritenuti indispensabili al fine
di raggiungere i traguardi per lo sviluppo delle competenze. Essi sono utilizzati dalle scuole e dai docenti nella
loro attività di progettazione didattica, con attenzione alle condizioni di contesto, didattiche e organizzative
mirando ad un insegnamento ricco ed efficace. Gli obiettivi sono organizzati in nuclei tematici e definiti in
relazione a periodi didattici lunghi.
Risultati di apprendimento
• Descrizione di ciò che un discente conosce, capisce ed è in grado di realizzare al
• termine di un processo di apprendimento. I risultati sono definiti in termini di
• conoscenze, abilità e competenze.
Obiettivi specifici d’apprendimento
ll Decreto del Presidente della Repubblica n°275/1999 stabilisce che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca è investito del compito di
definire “gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni”.
Con tale espressione si intendono le conoscenze e le abilità che gli alunni devono apprendere grazie all’attività didattica ed educativa propria del sistema
scolastico.
Questi obiettivi, secondo quanto emerge dalla letteratura pedagogica, sono misurabili e certificabili.
La Riforma Moratti (Legge n°53/2003), grazie alla novità dei Piani di Studio Personalizzati, ha introdotto uno degli elementi chiave per rendere più facilmente
conseguibili e misurabili gli obiettivi specifici di apprendimento.
Infatti, una maggiore personalizzazione del percorso formativo di ogni alunno, calibrando le unità di apprendimento sulle specifiche esigenze didattiche dei
singoli discenti, consente al corpo docenti e quindi alle istituzioni scolastiche di guidare più efficacemente gli studenti nel perseguimento degli obiettivi di
apprendimento di carattere individuale.
Non si tratta, ovviamente, di arrivare ad impartire insegnamenti individualizzati, diversi da un singolo allievo ad un altro, quanto piuttosto di progettare e
pianificare i percorsi formativi considerando le capacità e i bisogni specifici degli alunni inseriti nelle varie classi, previa sintetica analisi della loro situazione
di partenza.
Gli obiettivi specifici di apprendimento si distinguono da quelli che il Miur definisce invece “obiettivi generali del processo formativo”, di respiro più ampio e
inerenti la crescita personale dell’alunno intesa nella sua interezza.
Costituiscono obiettivi di carattere generale quelli di natura metacognitiva (del tipo “imparare ad apprendere” e interiorizzare un valido e standardizzato
metodo di studio), relazionale (ad esempio, lavorare in gruppo) e attitudinale (autonomia e creatività).
Entrambe le categorie di obiettivi variano a seconda dei gradi di istruzione e delle discipline. In particolare, gli obiettivi specifici di apprendimento variano di
anno in anno e da disciplina a disciplina.
Per quanto concerne le scuole secondarie di secondo grado, in particolar modo i licei, nel 2010 il Miur ha redatto un documento denominato “Indicazioni
nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento” in relazione alle attività e agli insegnamenti compresi nei piani di studio previsti per ciascun
liceo.
Il documento è frutto del lavoro condiviso di numerosi esponenti di spicco del mondo accademico e culturale e rappresenta in sostanza l’intelaiatura alla
quale ogni liceo deve conformare il proprio Piano dell’offerta formativa.
L’articolazione degli obiettivi specifici di apprendimento è divisa per materie di studio, aspetto che sottolinea come ogni disciplina costituisca un preciso
tassello, con propri contorni e caratteristiche, di un mosaico più ampio e di senso compiuto.
Ogni materia infatti concorre alla crescita formativa dell’alunno, ma presenta peculiarità in termini di contenuti e linguaggi.
Docimologia
• Scienza che studia i problemi di valutazione
( etimologicamente : scienza dell’esaminare)
• Nata in Francia nel 1922 (H.Pièron), si pone il problema
dell’oggettività della valutazione
Tre momenti:
Nel sistema scolastico la verifica del rispetto degli standard è valutata mediante le attività
predisposte dall’INVALSI.
L’INVALSI è un Ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, che ha
raccolto l’eredità del Centro Europeo dell’Educazione (CEDE), istituito con i decreti delegati
del 1974. Rientra nella categorie delle “Agenzie”, normate dal Titolo II del D. Lgs. n.
300/1999. L’Agenzia comporta una formula organizzativa che scorpora dall’organizzazione
diretta dei Ministeri alcune funzioni che possono essere più efficacemente svolte tramite
strutture fornite di autonomia e sottoposte al controllo della Corte dei conti (legge n.
20/1994). L’istituzione dell’INVALSI è stata operata con legge n. 53/2003 (riforma Moratti).
Nella successiva legislatura è stata emanata la legge n. 176/2007, la quale, in sostanziale
continuità con la norma sopra riportata, prevede che (art. 1, comma 5):
“A decorrere dall’anno scolastico 2007-2008 il Ministro della pubblica istruzione fissa, con
direttiva annuale, gli obiettivi della valutazione esterna condotta dal Servizio nazionale di
valutazione in relazione al sistema scolastico e ai livelli di apprendimento degli studenti, per
effettuare verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti, di
norma, alla classe seconda e quinta della scuola primaria, alla prima e terza classe della
scuola secondaria di I grado e alla seconda e quinta classe del secondo ciclo, nonché altre
rilevazioni necessarie per la valutazione del valore aggiunto realizzato dalle scuole”.
La prova nazionale nell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo
dell’istruzione
Il Regolamento della valutazione, emanato con DPR
n. 122/2009, all’art. 3, comma 4, prevede che alla
valutazione conclusiva dell’esame concorre l’esito
della prova scritta nazionale. I testi della prova sono
scelti dal Ministro tra quelli predisposti annualmente
dall’INVALSI.
Le due aree disciplinari oggetto di valutazione dei
test INVALSI sono l’italiano e la matematica. Gli
aspetti maggiormente indagati sono la capacità di
comprendere e argomentare un testo, la conoscenza
lessicale e grammaticale, la capacità di risolvere
problemi e le abilità logiche e inferenziali. La prova si
svolge in una mattina compresa tra il 15 e il 20
giugno, fissata a livello nazionale.
Le azioni dell’INVALSI nella scuola secondaria di secondo grado
Di fatto, tuttavia, il nuovo Regolamento vuole costituire una significativa svolta nei criteri e nelle procedure di valutazione, o (almeno) ne
pone le premesse perché tale svolta possa avvenire. Le intenzioni proclamate di ridare serietà al percorso degli studi e rinnovato rigore alla
valutazione dei risultati trovano riscontro in una serie di innovazioni, in verità non estranee alla storia della scuola italiana:
il giudizio sul comportamento, espresso con un giudizio nella scuola primaria e con un voto nella scuola secondaria, diviene elemento
determinante ai fini dell’ammissione alla classe successiva;
in generale, la valutazione degli apprendimenti e delle discipline è espressa in decimi sul documento di valutazione;
il voto di ammissione non può essere inferiore a sei in ciascuna disciplina; in presenza di carenze il Consiglio di classe può comunque
deliberare l’ammissione a maggioranza inserendo tuttavia una specifica nota nel documento di valutazione.
È particolarmente significativa la modifica della normativa di ammissione all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo e di valutazione
dell’esame stesso. Si è ammessi sulla base di un voto di idoneità, espresso in decimi considerando anche il percorso degli anni scolastici
precedenti. Tra le prove scritte figura la prova nazionale predisposta dall’INVALSI.
La procedura per l’assegnazione del voto di uscita è rigorosamente determinata: esso infatti deriva dalla media dei voti conseguiti nella
singole prove scritte e nel colloquio; entra nella media anche il giudizio di idoneità. È determinato per legge l’arrotondamento che consente
il passaggio al decimo successivo; la commissione, con voto unanime, può assegnare la lode agli studenti che hanno conseguito al meglio il
massimo dei voti.
Negli scrutini finali della secondaria di secondo grado viene sospeso il giudizio per gli studenti che non hanno la sufficienza in una o più
materie. A conclusione degli interventi didattici programmati per il recupero delle carenze rilevate, il consiglio di classe, in sede di
integrazione dello scrutinio finale, previo accertamento del recupero delle carenze formative da effettuarsi entro la data di inizio delle lezioni
dell’anno scolastico successivo, procede alla verifica dei risultati conseguiti dall’alunno e alla formulazione del giudizio finale. L’esito positivo
comporta l’ammissione alla classe successiva.
Il nuovo Regolamento costituisce uno sforzo ambizioso di coordinamento delle esperienze e delle norme di valutazione dei due cicli di
istruzione: è certo che nella scuola primaria e, in misura molto minore nella secondaria di primo grado, la valutazione è prevalentemente
formativa.
La valutazione dell’IRC
Fa eccezione alla regola del voto numerico la valutazione dell’insegnamento della
religione cattolica, legata all’Intesa con la Chiesa e quindi all’art. 309 del TU (c. 4):
“per l’insegnamento della religione cattolica, in luogo di voti e di esami, viene
redatta a cura del docente e comunicata alla famiglia, per gli alunni che di esso si
sono avvalsi, una speciale nota, da consegnare unitamente alla scheda o alla
pagella scolastica, riguardante l’interesse con il quale l’alunno segue
l’insegnamento e il profitto che ne ritrae”.
Quindi:la valutazione dell’IRC è su una scheda a parte rispetto al documento di
valutazione;
essa è espressa con una “speciale nota” riferita a due parametri: interesse e
profitto. Spetta al collegio dei docenti determinare le modalità di questa specifica
valutazione.
La certificazione delle competenze
Viene rilasciata al termine dell’anno conclusivo: della scuola primaria;della scuola
secondaria di primo grado;
dell’adempimento dell’obbligo di istruzione (fine del primo biennio della scuola
secondaria di secondo grado: art. 1, c. 622, L. n. 296/2006);
del secondo ciclo dell’istruzione.
Nell’ è
scuole il Rapporto di Autovalutazione delle Istituzioni scolastiche
• Le fonti principali per elaborare il RAV:
• ➢Scuola in chiaro
• ➢Dati delle prove Invalsi
• ➢Questionario scuola
• ➢Dati e informazioni strutturate
• ➢Questionari, focus group, interviste.
IL RAV
Il RAV è
➢Definizione di 49 indicatori➢Individuazione dei punti di forza e di debolezza
➢Elaborazione di strategie per rafforzare la propria azione educativa
preferenze personali
•●
Capacità di accedere autonomamente
Linee guida del MIUR
sull'orientamento
• Nota MIUR 4232/2014: Linee guida nazionali per
l'orientamento permanente (ministro Carrozza nel Governo
Letta)
• Dall'Europa: Lifelong learning e Lifewide learning Lifelong
guidance e Career guidance
• Orientamento formativo e consulenza orientativa
• Specifiche figure di sistema nelle scuole Formazione dei
docenti Formazione e sensibilizzazione dei genitori
• Diffusione delle Tecnologie dell'Informazione e della
Comunicazione (TIC) Bandi del concorso a cattedra
INDICE
INTRODUZIONE
1 I BES
1.1 Excursus normativo
1.2 Il disadattamento scolastico : fenomeno di sintesi
2 EDUCAZIONE INCLUSIVA
2.1 Dall’integrazione all’inclusione
2.2 Il diritto all’integrazione scolastica
3 STRUMENTI E STRATEGIE
3.1 Piano didattico personalizzato
3.2 Piano annuale dell’Inclusività (PAI)
3.3 Docenti inclusivi
3.4 Pratiche educative e didattiche inclusive
4 VALUTAZIONE
5 CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
Il diritto allo studio, un diritto di tutti e non un privilegio di pochi.
Il bravo insegnante deve sapere :
SITUARE
GUIDARE
INTEGRARE
IMPEGNARE
ANIMARE
INTRODUZIONE
Nella presente tesi ho voluto ripercorrere le tappe che la Scuola ha vissuto nel percorso verso
l’inclusione . Infatti se oggi, nella Scuola italiana, si pone molta attenzione agli alunni che presentano
“speciali”bisogni è perché, nel tempo, il legislatore ha guardato giustamente con occhio sempre più
attento ai problemi del diverso il cui inserimento nella società è stato , nel corso dei vari secoli,
fortemente condizionato dal livello di emancipazione sociale e culturale della società stessa.
Facciamo un tuffo nel passato e pensiamo a quanto accadeva nell’antichità dove la menomazione
fisica era considerata addirittura un fattore discriminante nell’integrazione sociale e quindi motivo di
emarginazione ; i bambini con malformazioni fisiche la storia ci narra attraverso documentazioni che
venivano eliminati con riti crudeli.
Ripercorrendo le varie tappe del lungo percorso verso l’inclusione ho voluto iniziare a fare nel primo
capitolo , una disamina delle varie norme che, sia a livello italiano che a livello internazionale, hanno
permesso di vedere sotto una luce diversa e quindi una prospettiva diversa il disabile, l’alunno con
handicap, un essere umano bisognoso di attenzioni particolari, quindi speciali.
Possiamo subito notare come nel tempo anche la denominazione usata per questi alunni è cambiata,
come man mano sia stato abbandonato il termine handicap e sia stato introdotto il termine BES ossia
bisogno educativo speciale riferito a tutti gli alunni che per vari e ovvi motivi, necessitano di
interventi educativi particolari.
L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità ha conosciuto fasi importanti nella storia della
scuola Italiana.
Iniziando dalla legge 517/1977, che ha dato avvio al processo d’integrazione scolastica, la
produzione normativa su questo tema ha avuto una vera e propria evoluzione.
Le leggi:
104/1992 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate),
170/2010 (che ha riconosciuto la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia come
Disturbi Specifici di Apprendimento),
il decreto ministeriale n.5669 del 12 luglio 2011 (attuativo della legge 170/2010)
la direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, che amplia il perimetro della riflessione
sull’inclusione introducendo il concetto di Bisogni Educativi Speciali (BES), seguita dalla
relativa circolare ministeriale applicativa n. 8 del 6 marzo 2013,
hanno dato inizio, ad un difficile, ma ormai inevitabile, processo di cambiamento dell’organizzazione
della scuola italiana.
Siamo giunti ad un punto di svolta, in cui il “vecchio” concetto d’integrazione, cioè, consentire al
“diverso” la maggior partecipazione possibile alla vita scolastica, deve lasciare il posto al concetto di
“inclusione” e cioè comporre gli ambienti educativi in modo tale che siano adeguati alla
partecipazione di tutti, ciascuno con le proprie modalità.
In ogni classe ci sono alunni che richiedono un’attenzione speciale per una varietà di ragioni:
svantaggio sociale e culturale, Disturbi Specifici di Apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici,
difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a
culture diverse, quindi i Bisogni Educativi Speciali sono, molti e diversi e una scuola che include
deve essere in grado di leggerli tutti e di dare le risposte necessarie e adeguate.
La scuola “inclusiva” deve essere quella scuola che non si limita a promuovere la partecipazione,
l’inclusione e l’apprendimento di tutti gli allievi, a prescindere dagli specifici bisogni educativi di
ciascuno, ma deve essere anche quella che soprattutto, coglie la presenza di BES come un’occasione
di ripensamento di pratiche educative e didattiche.
1 I BES
1.1 EXCURSUS NORMATIVO
Storicamente la nozione di Bisogni Educativi Speciali compare per la prima volta in Inghilterra nel
Rapporto Warnock del 1978.
In questo documento è suggerita la necessità di integrare, nelle scuole della Gran Bretagna, gli alunni
considerati «diversi» attraverso l’adozione di un approccio inclusivo basato sull’individuazione di
obiettivi educativi comuni a tutti gli alunni, indipendentemente dalle loro abilità o disabilità.
In un secondo momento, con lo Special Educational Needs and Disability Act del 2001, è affermata
la necessità di prevenire ogni forma di discriminazione riguardo all’ammissione a scuola degli
alunni con Bisogni Educativi Speciali e di promuovere la loro piena partecipazione alla vita
scolastica, coinvolgendo le famiglie.
In seguito, l’adozione a livello mondiale del Sistema ICF (International Classification of
Functioning, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità 2002-2007), ha fatto nascere una nuova
visione del concetto di salute umana, di funzionamento e di disabilità, imponendo cambiamenti
anche a livello normativo.
Il modello ICF considera la persona nella sua globalità, come un sistema complesso e interconnesso
in cui interagiscono diversi “fattori” personali e ambientali, in un’ottica di salute e non di malattia,
con l’ICF si parla di limiti alla partecipazione sociale e non più di handicap; di disabilità che può
originare anche da motivazioni contestuali ed ambientali, considerando la globalità e la complessità
dei funzionamenti delle persone.
Il modello ICF è uno strumento di classificazione e di descrizione, della salute e della disabilità che
ha lo scopo di fornire un linguaggio standard e unificato che serva da modello di riferimento.
Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF ci consente di
individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno.
Sulla scia di questo nuovo orientamento culturale, anche in Italia, sono state emanate leggi che
introducono nell’Ordinamento Scolastico Italiano il concetto di Bisogno Educativo Speciale e
riaffidano alla scuola il ruolo di garante del successo formativo, ponendola al centro del processo
d’identificazione precoce delle difficoltà e richiedendole il compito di lavorare in modo
personalizzato e individualizzato e di intervenire in modo funzionale nel potenziamento delle abilità
e nel recupero delle difficoltà.La Legge 170/2010 sui DSA, la Direttiva del 27/12/2012 e le
successive Circolari e Note Ministeriali aprono la strada ad un’attenzione particolare ai Bisogni
Educativi degli allievi e cercano di stabilire norme che tutelino i bisogni dei bambini e dei ragazzi e
forniscano loro tutti gli strumenti necessari ad affrontare il percorso scolastico e formativo nel
miglior modo possibile.
L’analisi dei dati statistici elaborata nell’a.s.2009-2010 ha distinto all’interno della definizione di
“disabilità psico-fisica” le due categorie della “disabilità intellettiva” e della “disabilità motoria”; ha
inserito la categoria “altra disabilità” comprendente problemi psichiatrici , disturbi specifici precoci,
disturbi specifici di apprendimento, sindrome da deficit di attenzione e iperaattività.
Nella Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 i BES sono descritti come una macro-categoria che si
divide in tre grandi aree (sotto-categorie):
1. Disabilità ( ritardo cognitivo, minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali)
2. Disturbi evolutivi specifici (DSA, ADHD, Funzionamento intellettivo limite (FIL), disturbi
dell’area verbale e disturbi dell’area non verbale, disturbi della coordinazione motoria,
disprassia, disturbo dello spettro autistico lieve, disturbo evolutivo specifico misto ecc.)
3. Svantaggio socio-economico, culturale, linguistico.
Tutti gli alunni che appartengono a queste categorie sono BES e hanno il diritto di avere accesso a
una didattica individualizzata e personalizzata, che evidenzia l’unicità di ogni studente, con le sue
peculiari caratteristiche d’apprendimento non standardizzabili e il suo diritto ad essere accompagnato
alla piena realizzazione di se stesso.
Nella Direttiva è precisato che:
“In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di
ragioni” (D.M.27/12/2012, p. 1)
“… ogni alunno con continuità o per determinati periodi può manifestare Bisogni Educativi
Speciali o per motivi psicologici, sociali rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano
adeguata e personalizzata risposta” (D.M. 27/12/2012, p.2)
Il disadattamento scolastico è una condizione che si manifesta, per dirla sinteticamente, con cattivo
rendimento e/o con un malessere psicologico, come SITUAZIONE SCOLASTICA DISARMONICA
fra abilità, competenze, sviluppo mentale, motivazioni e attitudini rispetto a quanto richiesto dalla
scuola stessa.
Lo indichiamo come fenomeno non integrato a quello dell’handicap( che pur tuttavia vi confluisce)
perché non riguarda solo i portatori di handicap, ma anche e soprattutto gli alunni BES.
In più può essere presente senza che agli occhi degli insegnanti ne siano palesi i sintomi.
Infatti già Levi nei suoi studi osservava che in molti casi gli alunni bes , benché in situazione di
disadattamento , mantengono apprendimenti accettabili e comportamenti “ nelle norma”, che
pertanto non sembrano necessitare di alcun tipo di intervento. Tuttavia è fondamentale sorvegliare
ogni tipo di “risposta dubbia” alle attività didattico-educative, analizzare le modalità di
raggiungimento degli obiettivi previsti ed esaminare la qualità degli stessi raggiunta dagli alunni cui ci
riferiamo. Schematizziamo le cause del disadattamento scolastico come segue:
Handicap fisico psico
Svantaggio socio-economico o socio culturale
Disturbo depressivo
Organizzazione pre-psicotica della personalità
Disabilità specifica e Bes ( ossia la parte che io ho trattato in questa relazione) .
Voglio evidenziare come alcune categorie e in particolare mi rivolgo alla categoria/caso alunni bes ,
si presentano con contorni sfumati : questo è un campanello di allarme , questo deve richiamare
l’attenzione di noi docenti verso il rischio frequente di cercare di inquadrare dal punto di vista medico
tutti i casi di difficoltà di apprendimento, che vanno pertanto attentamente valutati.
Zazzo non a caso introduce la nozione di ETEROCRONIA DELLO SVILUPPO, attraverso essa
spiega che l’individuazione dei soggetti definiti “deboli mentali” non è ancorata al parametro del
quoziente intellettivo e il ritardo dello sviluppo cognitivo dipende dalle DIMENSIONI
PSICOMOTORIA AFFETTIVA E SOCIALE. Il debole mentale presenta tratti caratteriali “non
comuni”alla maggior parte degli alunni, tuttavia vi si può riscontrare un profilo della personalità che
presenta un EQUILIBRIO ORIGINALE. Esso rappresenta il riferimento per l’individualizzazione
del percorso formativo, che infatti deve essere calibrato sul profilo personale dell’alunno e mirare al
potenziamento di tutti i tratti positivi e che possono giovare a un vantaggio per l’inserimento sociale:
non solo in previsione dell’iter scolastico, ma soprattutto in visione della futura vita extrascolastica.
L’educazione e l’istruzione concepiti in tal senso producono in gran parte percentuale dei soggetti
interessati un MASCHERAMENTO della debolezza mentale stessa, anche inteso come ottenimento
di una qualità migliore dell’attività e di un buon livello di AUTOSTIMA, dunque INSERIMENTO
SOCIALE.
Naturalmente la condizione indispensabile affinché ciò avvenga è che tali attenzioni restino costanti
lungo tutto il processo formativo e non subiscano modificazioni o interruzioni. Infatti i risultati via via
raggiunti presentano, solitamente un tratto di precarietà che può essere scongiurata solo dalla
persistenza dell’intervento e delle sue caratteristiche: l’aspetto affettivo e quello cognitivo sono
strettamente collegati; il soggetto bes deve “sapere/sentire” di poter continuare a “contare” sul
sostegno, sull’incoraggiamento delle sue potenzialità, in un clima di fiducia nell’insegnante e nel suo
contesto educativo.
2 EDUCAZIONE INCLUSIVA
2.1 Dall’integrazione all’inclusione
Ogni assunto pedagogico è caratterizzato dalla complessità degli apporti disciplinari che lo
riguardano, infatti confluiscono nella pedagogia tutte le discipline che a vario titolo riguardano i
principi di Educazione e Istruzione.
La psicologia, la medicina, la sociologia, le metodologie per l’insegnamento, nell’atto della
progettazione pedagogica hanno tutte un ruolo fondamentale che diventa più complesso quando si
trattano questioni relative a concetti che rientrano nella fenomenologia di Handicap, disadattamento
scolastico, svantaggio culturale.
Tali temi cominciarono a essere assunti a oggetto di studio, già all’inizio del Novecento, da parte di
pedagogisti come Maria Montessori, Ovide Decroly, Anton S. Makarenko, ma solo negli anni
Settanta del Novecento divennero oggetto di interesse legislativo, con lo scopo del riconoscimento
del diritto all’integrazione scolastica di tutti i soggetti, bambini e adolescenti, in difficoltà rispetto ai
“normali”ritmi di apprendimento previsti dalla scuola.
Fu ne DM 9 febbraio 1979 che i Programmi della Scuola Media intervennero con decisione in merito
all’esigenza di elaborare piani individualizzati a un livello tale da soddisfare compiutamente il diritto
allo studio; successivamente il DPR n104/1985 per i Programmi della Scuola Elementare impose alla
scuola elementare il dovere di evitare che le diversità determino l’insorgenza di difficoltà di
apprendimento e di adattamento sociale; il DM 3 giugno 1991 dispose per i medesimi principi negli
Orientamenti della Scuola Materna, confermando che tutti i bambini hanno uguale diritto
all’integrazione e le difficoltà non devono trasformarsi in causa di emarginazione, bensì devono
essere vissute come dimensioni esistenziali.
Così si assistette allo sviluppo del dibattito che generò il graduale passaggio dal dominante stato di
emarginazione, al riconoscimento del diritto scolastico successivamente rielaborato come diritto
all’integrazione scolastica.
La prima tappa esplicita lo stato di esclusione nel quale si trova la persona svantaggiata quando è
assente ogni tipo di attenzione e di sensibilità nei confronti di chi non risponde al modello di
“persona comune” . La seconda tappa rappresenta l’esito dello sviluppo sociale sotto i profili morale
e culturale : infatti corrisponde al riconoscimento del diritto che le persone svantaggiate hanno ad
essere inserite nei contesti cui possono partecipare tutti coloro che vengono definiti “normali”.
La tappa dell’integrazione scolastica rappresenta il riconoscimento del diritto della persona
svantaggiata alla partecipazione attiva e al raggiungimento di obiettivi individuali e comuni.
Affinché si possa pervenire all’integrazione è necessario attenersi ai seguenti criteri:
- rilevazione del del quadro d’insieme (dei soggetti in difficoltà di apprendimento)
- denuncia dei limiti ( di teorie e prassi pedagogiche)
-progettazione ( di un quadro didattico, pedagogico, istituzionale coerente con l’obiettivo di
integrazione).
Tuttavia non è semplice attenersi a tali criteri con chiarezza e scientificità assolute, nei termini in cui
le casistiche che andrebbero prese in considerazione sono numerose e variegate. Soprattutto se ci
riferiamo ad alcune patologie, come ad esempio alcune varietà di disturbo del comportamento , a
tutt’oggi sono in piena fase di studio e di sperimentazione farmacologica e terapeutica, pertanto
ancora non possiedono il riconoscimento che consentirebbe loro sostegno e recupero adeguati.
3 STRUMENTI E STRATEGIE
La redazione del PAI, così come riportato dalla nota del 21agosto 2013 “Bisogni Educativi Speciali”,
si deve prefiggere i seguenti obiettivi:
garantire l’unitarietà dell’approccio educativo e didattico dell’istituzione scolastica;
consentire la continuità educativa e didattica anche in caso di cambiamenti dei docenti
e del dirigente scolastico;
generare una riflessione collegiale sulle modalità educative e sui metodi di
insegnamento adottati nella scuola, arrivando a scelte basate sull’efficacia dei risultati
in termini di comportamento e di apprendimento di tutti gli alunni;individuare le
modalità di personalizzazione risultate più efficaci in modo da assicurarne la
diffusione tra gli insegnanti della scuola e tra scuole diverse;
raccogliere i piani educativi individualizzati e i piani didattici personalizzati in un
unico contenitore digitale che ne conservi la memoria nel tempo come elemento
essenziale della documentazione del lavoro scolastico;
inquadrare ciascun percorso educativo e didattico in un quadro metodologico
condiviso e strutturato, per evitare improvvisazioni, frammentazioni e
contraddittorietà degli interventi dei singoli insegnanti;
evitare che scelte metodologiche non documentate o non scientificamente
supportate, effettuate da singoli insegnanti compromettano lo sviluppo delle
capacità degli allievi;
fornire criteri educativi condivisi con le famiglie;
permettere di fare il punto sull'efficacia degli strumenti messi in atto nell'anno
scolastico trascorso.
Il PAI deve essere redatto dal Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI), un nuovo organismo
d’Istituto, introdotto dalla Circolare, per il coordinamento delle politiche sull’inclusione scolastica.
Il GLI è un punto d’incontro di tutti coloro che nella comunità scolastica si occupano a vario titolo
delle difficoltà di apprendimento, ora riunite nella più vasta definizione di Bisogni Educativi
Speciali.
Il GLI è presieduto dal Preside ed è composto dal gruppo d’insegnanti di sostegno, da una
rappresentanza di genitori e dei docenti curricolari, dagli assistenti all’autonomia e alla
comunicazione (nei casi di disabilità), da rappresentanti del personali ATA e delle ASL, locali
competenti.
Il GLI ha anche il compito di:
rilevare i BES, con monitoraggi e valutazioni
raccogliere e documentare gli interventi educativo-didattici
fornire consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie e metodologie di gestione delle
classi
raccogliere e coordinare le proposte formulate dai GLH Operativi
comunicare con CTS, CTI, Servizi sociali territoriali e ASL, per attività di formazione,
tutoraggio ecc.
I CTS ( Centro Territoriale di Supporto) erano stati istituiti nell’anno 2005/2006 dagli Uffici
Regionali Scolastici e avevano il delicato ruolo di “interfaccia tra l’Amministrazione e lescuole, e tra
le scuole stesse”, la Circolare ministeriale n.8 del 6 marzo 2013 ne ribadisce il ruolo fondamentale di
collegamento fra l’Amministrazione e le scuole rispetto ai temi dell’inclusione.
Il CTS ( Centro Territoriale di Supporto), è un ente formato da docenti specializzati, sia curricolari
sia per il sostegno, che forniscono alle scuole una consulenza specifica sulla didattica dell’inclusione.
Il CTS è una rete di supporto al processo d’integrazione, allo sviluppo professionale dei docenti e
alla diffusione delle “migliori pratiche”, che opera a livello provinciale; i suoi compiti sono di
informare gli insegnanti, collaboratori scolastici, genitori e alunni sulle risorse tecnologiche
disponibili e di fornire consulenza e formazione sugli ausili tecnologici, sul loro utilizzo e sulle
modalità didattiche per il loro impiego con l’alunno in classe.
Il CTI (Centro Territoriale per l’Inclusione) rappresenta una rete di scuole e l’elemento di
collegamento con Enti Locali, Servizi sanitari, associazioni, centri di ricerca e formazione, università,
per supportare le attività finalizzate all’integrazione degli alunni con Bisogni Educativi Speciali nella
gestione delle risorse umane, strumentali ed economiche al fine di operare nel territorio come
supporto d’informazione, scambio, formazione, documentazione, gestione di sussidi e attrezzature e
del personale.
E’ affiancato e collabora con il CTS, operando a livello territoriale.
I compiti del CTI sono di predisporre formazioni sui temi dell’integrazione a insegnanti,
collaboratori scolastici, personale non docente, operatori sociali e sanitari, amministratori pubblici,
genitori, allievi; fornire supporto e consulenza didattico-educativa per insegnanti e genitori;
supportare iniziative per l’individuazione precoce delle difficoltà e per sensibilizzare gli alunni;
acquisire e gestire delle attrezzature e dei sussidi didattici ( in collaborazione con il CTS).
Entrambi gli Enti stanno attuando con competenza, efficacia e passione su tutto il territorio
nazionale, azioni di supporto al personale della scuola, alle famiglie e agli studenti, al fine di favorire
l’inclusione nel percorso scolastico.
4 VALUTAZIONE
In questa nuova ottica inclusiva della scuola, la valutazione gioca un ruolo importate e per questo
occorre dedicarvi un’attenzione particolare; poiché, a volte, le modalità di valutazione possono
arrivare a creare disuguaglianze.
Gli approcci valutativi oggi previsti dal nostro sistema scolastico possono essere di tre tipi:
normativo o comparativo, idiografico e criteriale.
Il valutazione normativa o comparativa mette a confronto la prestazione del singolo e quella del
gruppo e può essere determinata da due parametri:
standardizzato ( usa un campione standard come termine di riferimento per valutare le
risposte di qualsiasi altro soggetto, che è sottoposto a quel test )
relativo ( mette a confronto i risultati di un alunno con quelli ottenuti dal gruppo classe e
definisce la collocazione dell’alunno rispetto alla classe, o sopra o sotto ).
Questo sistema può essere utile per avere il quadro della distribuzione degli alunni in base agli
obiettivi di apprendimento, ma favorisce la competizione, che non è positiva sul piano motivazionale
per gli alunni in difficoltà.
La valutazione ideografica è basata su prove differenziate, strutturate in relazione al PEI o al PDP
degli alunni certificati o con diagnosi.
Tale valutazione compara la situazione iniziale dell’alunno e quella finale, rileva le evoluzioni e i
cambiamenti, ma rischia di staccarsi dagli standard ritenuti accettabili per una parte degli alunni e
considera il bambino “staccato” dal contesto sociale in cui è inserito.
La valutazione criteriale raffronta i risultati di apprendimento dei singoli alunni con dei criteri
predeterminati definiti in base alla programmazione, i criteri predefiniti ( anche sulla base delle
indicazioni nazionali che fissano traguardi periodici e finali ) sono “generali”, ma possono trovare
specificazioni personali e una strutturazione.
Ognuno di questi sistemi di valutazione scolastica presenta degli aspetti positivi e di utilità, ma
quello maggiormente inclusivo, soprattutto nell’ottica dei BES, risulta essere quello criteriale; poiché
un bambino deve essere valutato, più che rispetto ai compagni, soprattutto in rapporto a se stesso, al
prima e dopo, in base alle sue specificità e potenzialità, alle difficoltà che manifesta, ai progressi che
realizza.
Una valutazione, veramente, inclusiva deve essere progettata, cioè correlata, criterialmente, a una
programmazione didattico-educativa orientata allo sviluppo delle competenze; deve essere
personalizzata, in modo che si possa riconoscere a ciascuno il “differenziale” di apprendimento
conseguito anche in presenza di competenze disciplinari diversificate; deve essere orientata, cioè
finalizzata a orientare le scelte personali, fornendo strumenti di autoconsapevolezza e
documentazione educativa; deve essere multifattoriale, cioè che utilizzi modalità valutative
diversificate per riconoscere a tutti, in momenti e a livelli diversi, ciò che è di tutti e a ciascuno ciò
che è di ciascuno.
In sostanza non si può valutare in modo inclusivo ciò che non è stato progettato e attuato in modo
inclusivo.
5 CONCLUSIONI
L’attuazione e il rispetto delle ultime Leggi emanate, rappresentano per la scuola una grande
opportunità di cambiamento, di cui però ancora non è stato colto il significato profondo.
I cambiamenti, si sa, fanno paura, producono ansia, ma talvolta sono necessari per raggiungere
obiettivi più importanti e significativi.
Molto è stato fatto, ma molto dovrà ancora essere fatto in questo settore per permettere
effettivamente a tutti di essere ugualmente partecipi.
La realtà sociale così diversificata e complessa, chiede alla scuola di riformulare la propria
organizzazione, la propria progettualità e la propria metodologia didattica per rispondere a tutti i
bisogni.
La scuola deve adottare “la politica dell’inclusione” come strategia sociale, per rispondere in modo
efficace ed efficiente alla diversità, che va considerata come un valore aggiunto e non come un
fattore di disturbo.
Personalmente penso che, comunque molto dovrà essere fatto anche al di fuori della scuola in quanto
molti alunni con bisogni educativi speciali hanno bisogni educativi speciali proprio perché vivono in
un contesto familiare deprivante e poco o nulla per loro potrà fare la scuola senza un corretto
appoggio della famiglia
La realizzazione di questo, comporta che tutti gli “attori” ( famiglia, scuola, territorio ) che
concorrono alla formazione degli individui collaborino insieme, adottando e condividendo strategie e
buone pratiche educative.
A mio avviso , dalla mia esperienza personale lavorativa di docente di Musica e Strumento Musicale
il complesso delle risposte rientra nel concetto di struttura dell’ecosistema evolutivo (Bronfenbrenner
1979) infatti un ruolo importante giocano per l’individuo in situazione di bes, il macrosistema che è
lo sfondo dell’esperienza dell’individuo, i microsistemi ovvero i contesti abituali del soggetto bes,gli
esosistemi ossia i contesti vissuti da coloro che circondano l’individuo e su di lui esercitano un
influenza indiretta ed infine vanno considerati i mesosistemi, cioè le relazioni tra i contesti: lo
scambio tra la famiglia e quella dei compagni, tra la famiglia e la scuola e così via.
I docenti, soprattutto, devono cercare di superare la loro rigidità metodologica e aprirsi a una
relazione dialogica/affettiva, che garantisca la comprensione del bisogno e l’attuazione di risposte
funzionali.
La didattica inclusiva è equa e responsabile, fa capo a tutti i docenti e non soltanto agli insegnanti di
sostegno, ed è rivolta a tutti gli alunni e non soltanto agli allievi con difficoltà. Tutto il team degli
insegnanti deve essere in grado di programmare e declinare la propria disciplina in modo inclusivo,
adottando una didattica creativa, adattiva, flessibile e il più possibile vicina alla realtà.
Cutrò Carmelinda
Bibliografia.
R. Ciambrone, G. Fusacchia - I BES. Come e cosa fare - ed. Giunti Scuola, 2014.
Bronfenbrenner U. The ecology oh human development.Experiments by nature and
designe, 1979Cambridge,Havard University Press trad.it Ecologia dello sviluppo
moderno, Il Mulino Bologna 1986
Zazzo R. I deboli mentali, SEI, Torino
D. Ianes, S. Cramerotti – Alunni con BES. Bisogni educativi speciali – ed. Erickson,
2013
R. Caldin – Dispense per il Master di 1°livello “Didattica e Psicopedagogia per i
Disturbi Specifici di Apprendimento” –Università di Firenze – Facoltà di Scienze
della Formazione, 2011
I. Nicolini – Dispense corso di specializzazione A.E.D – “La Disgrafia: Educazione e
Rieducazione del gesto grafico”, Firenze 2014/15
INDICE
BIBLIOGRAFIA
1
In quanto mezzo di espressione e di comunicazione, la musica interagisce
costantemente con le altre arti ed è aperta agli scambi e alle interazioni con i
vari ambiti del sapere.
2
MUSICA NELLA SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO
Fino a qualche anno fa, l'insegnamento della Musica (A031) era previsto solo al
Liceo socio-psicopedagogico e agli Istituti professionali Femminili.
Oggi è stata abolit nei Licei (ad eccezione del Liceo Musicale), ma è rimasta per
alcuni indirizzi professionali.
In seguito al D.M. N°259/2017 la sigla della disciplina diventa A29.
Le finalità educativa di questa disciplina si trovano nel documento “Linee guida
per il passaggio al nuovo ordinamento” nel D.P.R. 15 marzo 2010, n°87, art. 8
comma 6.
L'insegnamento dell'educazione musicale risulta presente nel percorso
quinquennale di istruzione professionale del settore 'Servizi', indirizzo “Servizi
socio-sanitari” in cui:
“Lo studente deve essere in grado di:
• Utilizzare metodologie e strumenti operartivi per collaborare a rilevare i
bisogni socio-sanitari del territorio e concorre a predisporre e attuare
progetti individuali, di gruppo e di comunità;
• collaborare nella gestione di progetti e attività dell'impresa sociale e
utilizzare strumenti idonei per promuovere reti territoriali formali e
informali;
• utilizzare le principali tecniche di animazione sociale, ludica e culturale;
• facilitare la comunicazione tra persone e gruppi, anche di culture e
contesti diversi, attraverso linguaggi e sistemi di relazione adeguati.”
Al fine del raggiungimento dei risultati di apprendimento sopra citati, nel primo
biennio il docente persegue l'obiettivo prioritario di far acquisire allo studente
le competenze di base attese a conclusione dell'obbligo di istruzione, di seguito
richiamate:
• utilizzare gli strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del
patrimonio artistico-letterario;
• utilizzare e produrre testi multimediali.
3
L'articolazione dell'insegnamento di “Educazione musicale” in conoscenze e
abilità è di seguito indicata quale orientamento per la progettazione didattica
del docente in relazione alle scelte compiute nell'ambito della programmazione
collegiale del Consiglio di classe.
“Il docente concentra gran parte delle attività su percorsi laboratoriali,
consolida le competenze acquisite dagli studenti al termine del primo ciclo di
istruzione valorizzandone l'esperienza musicale e i momenti di ascolto. A tale
scopo, nel rispetto della peculiare modalità espressiva della disciplina,
l'insegnamento è sviluppato anche con essenziali e opportuni collegamenti sia
con altri codici comunicativi verbali e non verbali (letterari, grafico-pittorici,
mimico-gestuali, multimendiali), sia con gli specifici saperi dell'asse scientifico-
tecnologico.
Lo studente, al termine del percorso di apprendimento, acquisisce tecniche
espressive musicali utili all'animazione. La loro applicazione in situazione
effettuata nelle ore di compresenza con “Metodologie operative” consente allo
studente di capitalizzare una competenza spendibile nella futura attività
professionale.”
CONOSCENZE ABILITA'
Musica e comunicazione Riconoscere le principali
Elementi di storia della musica relazioni tra musica e altri
Principali rapporti tra forme linguaggi
musicali e produzioni artistico- Cogliere le differenze tra generi
letterarie musicali
Le differenti espressioni musicali Riconoscere le principali
anche di diversa provenienza strutture e forme musicali
culturale ed etnica attraverso tecniche di ascolto
I generi musicali e le loro Accompagnare immagini e azioni
caratteristiche con appropriati supporti musicali
La musica elettronica Utilizzare diversi strumenti per
Gli oggetti sonori e la musica nel organizzare semplici attività di
gioco animazione
Tecniche di ascolto Associare le sequenze sonore
Il canto individuale e d'insieme all'espressività corporea
Principali tecniche di Animare attività musicali con
musicoterapia l'utilizzo di generi e di stili
diversi
Animare il canto individuale e
d'insieme
4
STRUMENTO MUSICALE NELLA SCUOLA SECONDARIA DI
I GRADO
5
La sperimentazione strumentale comprendeva quattro ore di insegnamento
musicale alla settimana suddivise in:
• 3 ore di educazione musicale (teoria, solfeggio e dettato musicale),
coincidenti con quelle curricolari
• 1 ora di strumento musicale, ripartita in due mezze ore individuali da
effettuare due volte alla settimana. Ad ogni lezione dovevano partecipare
due alunni impegnati per mezz'ora nella propria lezione individuale e
nell'altra mezz'ora nel'ascolto partecipativo.
Gli alunni potevano accedere ai corsi tramite una prova orientativa fisico-
attitudinale atta ad accertare:
• il senso ritmico
• l'intonazione della voce
• le caratteristiche fisiche in relazione allo strumento prescelto.
6
D.M. 13 FEBBRAIO 1996 • Lo studio dello strumento perde
(Disciplina ex novo la la caratteristica
sperimentazione) professionalizzante e viene
inserito a pieno titolo nel
progetto educativo della scuola
dell'obbligo, aperto anche a chi
non avrebbe proseguito con lo
studio della musica
• Nell'allegato A del decreto
venivano finalmente istituiti i
programmi da seguire per
l'insegnamento strumentale
• A differenza di quanto previsto
nel D.M. Del 1979 le modalità di
svolgimento della lezione
dovevano essere stabilite
all'interno del Consiglio di classe
e veniva riconosciuta
l'importanza della Musica
d'Insieme, la cui quota oraria
non doveva superare il 20% del
monteore generale.
LEGGE N° 124/99, ART.1 COMMA Prevede la riconduzione a
9 ordinamento dei corsi sperimentali a
(Svolta decisiva) indirizzo musicale
DECRETO ATTUATIVO DEL 6 • Art. 1: “l'insegnamento dello
AGOSTO 1999, N° 201 strumento costituisce
arricchimento e integrazione
interdisciplinare dell'educazione
musicale nell'ambito della
programmazione educativo-
didattica dei consigli di classe e
del collegio docenti, in sintonia
con la premessa ai programmi
della scuola media”.
Il decreto lascia molta autonomia e il
docente ha più libertà nell'organizzare
attività tra gruppi strumentali.
7
rappresentano un impianto di
programmazione curricolare,
mentre la settima parte si
riferisce alle singole specialità
strumentali e definisce standard
di livello richiesti alla fine del
triennio.
8
voto che fa media con le altre materie.
Il monteore settimanale del docente è pari a 18h, un'ora di lezione individuale
pomeridiana per ogni alunno. La musica d'insieme, prevista nel decreto
ordinamentale dei corsi a indirizzo musicale, viene svolta in alternanza alle
lezioni individuale e teoriche.
Le prove attitudinali si svolgo per gli alunni di quinta elementare che richiedono
l'iscrizione al corso musicale della secondaria di I grado.
La prova consiste nella verifica delle seguenti caratteristiche basilari per un
musicista:
• l'intonazione: far cantare all'aspitante una semplice melodia a sua scelta
o intonare dei semplici intervalli
• senso ritmico: far ripetere tre semplici figurazioni ritmiche dopo
avergliele fatte ascoltare, avvalendosi del battito delle mani
• riconoscimento delle altezze: far ascoltare un suono alto e uno basso (o
viceversa) e verificare se il ragazzo sia in grado di riconoscere l'altezza
Può accadere che un ragazzo sappia già suonare uno strumento e in questo
caso si puòprevedere un'ulteriore prova per verificare quali conoscenze
strumentali possegga già.
Ascoltati tutti i ragazzi si stilerà una graduatoria di merito in base ai punteggi
assegnati per ogni prova. Si cercherà di accontentare tutte le scelte ma,
qualora non fosse possibile, si chiederà ai ragazzi di esprimere una seconda o
terza preferenza in modo da non rimanere esclusi dal corso ad indirizzo
musicale.
9
proveranno con gli altri strumenti per la Musica d'Insieme.
Questa parte dello studio dello strumento musicale è molto importante perché
stimola gli alunni a migliorarsi, attraverso l'ascolto dei compagni più dotati
musicalmente, e permette loro di affinare l'orecchio e l'intonazione.
LA PROGRAMMAZIONE
Poichè generalmente tutti gli alunni di prima partiranno da zero, ossia che
generalmente nessuno ha già studiato musica precedentemente, non ci si potrà
avvalere dei test d'ingresso per stabilire da dove far partire il nostro lavoro.
La programmazione, per la classe prima, dovrà partire dalle basi
dell'impostazione strumentale e proseguire secondo le indicazioni presenti
nell'allegato A del D.M. N° 201/99.
Di seguito i punti salienti delle finalità e degli obiettivi contenuti in tale
documento.
OBIETTIVI FORMATIVI:
L'insegnamento strumentale conduce all'acquisizione di capacità cognitive in
ordine alle categorie musicali fondamentali ( melodia, ritmo, armonia, timbro,
dinamica, agogica) e alla loro tradizione operativa nella pratica strumentale,
per consentire agli alunni l'interiorizzazione del linguaggio musicale a livello
sintattico, formale e stilistico.
I contenuti dell'educazione musicale (educazione all'orecchio, osservazione e
analisi dei fenomeni acustici, riconoscimento degli attributi fisici del suono,
lettura dell'opera musicale intesa come ascolto guidato e ragionato) si
modellano con il necessario contributo alla pratica strumentale.
L'insegnamento strumentale:
• PROMUOVE la formazione globale, offrendo occasioni di maturazione
logica, espressiva e comunicativa
• INTEGRA il modello curricolare con percorsi disciplinari intesi a
sviluppare, nei processi evolutivi dell'alunno, unitariamente a quella
cognitiva le dimensioni pratico-operativa, estetico-emotiva,
10
improvvisativo-compositiva.
• OFFRE all'alunno, attraverso l'acquisizione di capacità specifiche, ulteriori
occasioni di sviluppo e orientamento delle proprie potenzialità, una più
avvertita coscienza di sé e del modo di rapportarsi al sociale
• FORNISCE ulteriori occasioni di integrazione e di crescita anche per gli
alunni in situazione di svantaggio
L'essenziale aspetto performativo della pratica strumentale fornisce un efficace
contributo al senso di appartenenza sociale.
OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO
L'insegnamento strumentale persegue l'acquisizione di alcuni traguardi
essenziali quali:
• il dominio tecnico del proprio strumento, al fine di proporre eventi
musicali tratti da repertori della tradizione scritta e orale con
consapevolezza interpretativa, sia nella restituzione dei processi formali
sia nelle capacità di attribuzione di senso
• la capacità di produrre autonome elaborazioni di materiali sonori, pur
all'interno di griglie predisposte
• l'acquisizione di abilità in ordine alla lettura ritmica e intonata e di
conoscenze di base della teoria musicale
• un primo livello di consapevolezza del rapporto tra organizzazione
dell'attività senso-motoria legata al proprio strumento e formalizzazione
dei propri stati emotivi
• un primo livello di capacità performative con tutti ciò che ne consegue in
ordine alle possibilità di controllo del proprio stato emotivo in funzione
dell'efficacia della comunicazione.
CONTENUTI FONDAMENTALI
I contenuti delle singole specificirà strumentali che devono essere perseguiti
sono:
• ricerca di un corretto aspetto psico-fisico (postura, percezione corporea,
rilassamento, respirazione, equilibrio in situazioni dinamiche,
11
coordinamento)
• autonoma decodificazione allo strumentom di vari aspetti delle notazioni
musicali (ritmico, metrico, frastico, agogico, dinamico, timbrico,
armonico)
• padronanda dello strumento attraverso lettura, improvvisazione e
imitazione (sempre opportunemente guidata)
• lettura ed esecuzione del testo musicale che dia conto, a livello
interpretativo, edlla comprensione e del riconoscimento dei suoi
parametri costitutivi
• acquisizione di un metodo di studio basato sull'individuazione dell'errore
e della sua correzione
• promozione della dimensione ludico-musicale attraverso la muscia
d'insieme e la conseguente interazione di gruppo.
La capacità di lettura va rinforzata dalla lettura a prima vista e va esercitata
non soltanto sulla notazione tradizionale ma anche su quelle che utilizzano altri
codici, con particolare riferimento a quelli più consoni alle specifità strumentali.
COMPETENZE
Generali:
• riconoscimento e descrizione degli elementi fondamentali della sintassi
musicale
• riconoscimento e descrizione dei generi musicali, forme semplici,
condotte compositive elementari
• capacità di collocare in ambito storico-stilistico eventi musicali
• produzione/riproduzione di melodie per mezzo vocale con supporto della
lettura ritmica e intonata
Strumentali:
• capacità di lettura allo strumento (correlzione segno-gesto-suono)
• uso e controllo dello strumento nella pratica individuale e collettiva, con
particolare riferimento ai riflessi, determinati dal controllo della postura e
dello sviluppo senso-motorio
• esecuzione e ascolto nella pratica individuale e collettiva (capacità
12
organizzative dei materiali sonori e sviluppo dei processi di attribuzione
di senso)
• esecuzione, interpretazione ed eventuale elaborazione autonoma allo
strumento del materiale sonoro.
La programmazione non è altro che l'adattamento degli obiettivi generali
previsti dal legislatore alle singole realtà scolastiche, ognuna con le proprie
caratteristiche socio-culturali, i propri bisogni e le proprie difficoltà. Per questo
motivo la programmazione va annualmente adattata alla classe che ci troviamo
davanti, per evitare di stabilire obiettivi irragiungibili o troppo elementari.
LA VALUTAZIONE
< Fermi restando gli obiettivi e le indicazioni programmatiche definite per le
singole specialità strumentali, la verifica dei risultati del percorso didattico
relativo all'insegnamento strumentale si basa sull'accertamento di una
competenza intesa come dominio, ai livelli stabiliti, del sistema operativo del
proprio strumento in funzione di una corretta produzione dell'evento musicale
rispetto ai suoi parametri costitutivi: struttura frasticae metro-ritmica e
struttura melodico-armonica con le relative connotazioni agogico-dinamiche.
I processi di valutazione dovranno comunque ispirarsi ai criteri generali della
valutazione formativa propria della scuola media [...] 1>.
La valutazione avviene ogni volta che il ragazzo si reca dall'insegnante a fare
lezione. Non occorrerà quindi aspettare la scadenza del quadrimestre per
operare una valutazione degli alunni, ma essi saranno oggetto di valutazione
ogni volta che suoneranno davanti all'insegnante.
La valutazione è un mezzo importantissimo sia l'allievo e sia per il docente. Per
l'alunno è un modo per sapere quanto il suo studio sia proficuo, mentre per il
docente è un campanello d'allarme per capire se le strategie educative messe
in campo stanno sortendo i risultati sperati. Se ciò non sta avvenendo, il
docente si impegnerà a modificare in itinere il proprio metodo di
insegnamento.
13
RELAZIONE FINALE
La relazione finaleè uno degli adempimenti che ogni docente deve rispettare. Si
tratta di un documento, un report sul lavoro svolto nel corso dell'anno
scolastico, in cui si evidenziano gli obiettivi raggiunti nel corso dell'anno e i
livelli di conoscenza maturati dagli alunni delle diverse classi.
14
DISCIPLINE MUSICALI NELLA SCUOLA SECONDARIA DI II
GRADO: IL LICEO COREUTICO MUSICALE
15
Il liceo musicale permette, quindi, agli studenti provenienti dai corsi ad
indirizzo musicale delle scuole secondarie di I grado di poter proseguire gli
studi musicali, inserendosi in un percorso formativo più ampio che si
concluderà con il conseguimento del titolo di livello più alto, avente valore di
laurea, presso il Conservatorio.
L'allegato E (D.P.R. 89/2010) illustra come vengono ripartite le ore di lezione.
Accanto alle materie tradizionali troviamo altre materie specifiche.
L'inserimento di queste nuove materie musicali, insegnate solo al liceo
musicale e coreutico, hanno fatto sì che il Ministero emanasse un apposito
decreto per il riordino delle c.d.c. (D.P.R. n. 19/2016, integrato dal successivo
D.M. n.259/2017).
Con questi interventi normativi vediamo la nascita delle specifiche classi di
concorso con l'indicazione dei titoli di studio per l'insegnamento di tali materie.
In precedenza i docenti venivano scelti fra quelli che ne facevano richiesta, già
in servizio su A031, A032, A077 con precedenza assoluta dei docenti in
esubero.
Di seguito le nuove classi di concorso:
• A53 Storia della musicalmente
• A55 Strumento musicale negli istituti di istruzione secondaria di II grado
• A59 Tecniche di accompagnamento alla danza – sez. coreutica
• A63 Tecnologie musicali
• A64 Teoria, analisi e composizione.
Nell'a.s. 2014/15 è terminato il primo quinquiennio di studi dall'istituzione del
Liceo musicale. Di rilevante importanza e oggetto di tanta curiosità, è stata in
particolare la seconda prova che ha avuto per oggetto la materia 'Teoria,
analisi e composizione' con la risoluzione di un basso di armonia.
16
A55 – STRUMENTO MUSICALE NEGLI ISTITUTI DI ISTRUZIONE
SECONDARIA DI SECONDO GRADO
Analizziamo questa disciplina secondo quanto previsto dal D.M. 7/10/2010
n.211, Allegato E - “Indicazioni nazionali”, emanato in virtù del D.P.R. n.
275/1999 e del D.P.R. n. 89/2010.
I “vecchi programmi d'insegnamento” sono stati aboliti per dar spazio a delle
indicazioni generali sugli argomenti da trattare, lasciando al docente autonomia
di insegnamento e nell'individuazione delle modalità per raggiungere gli
obiettivi prefissati.
17
estemporanea
• alla conoscenza dell'evoluzione storica delle tecniche costruttive degli
strumenti utilizzati.
18
• sa motivare le proprie scelte espressive e sa eseguire (anche
mnemonicamente) opere complesse
• sa applicare strategie per la lettura a prima vista, per il trasporto, per la
memorizzazione e per l'improvvisazione, nonché per l'apprendimento di
brani di un tempo dato.
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alla lettura a prima vista e all'esecuzione estemporanea.
Al termine del primo biennio, lo studente interpreta semplici brani di musica
d'insieme, vocale e strumentale, seguendo in modo appropriato le indicazioni
verbali e gestuali del direttore.
20
LA PRESENZA DELLA MUSICA NELLA SCUOLA ITALIANA
EXCURSUS STORICO-NORMATIVO
- Legge Casati del 1859 �Delinea il primo ordinamento scolastico. I programmi contemplano
«l’insegnamento religioso, la lettura, la scrittura, l’aritmetica elementare, la lingua italiana, nozioni
elementari sul sistema metrico». Nei programmi non compaiono cenni alla cultura o alla pratica
musicale: si confina la formazione musicale al solo settore tecnico-esecutivo, e di conseguenza la
affidano in toto alle accademie, alle istituzioni musicali e ai conservatorii diffusi sul territorio.
- Stesura dei Programmi ginnasiali. Ottobre 1867 �La musica non è presente in quanto
considerata materia superflua.
- Legge Coppino (promulgata il 15 luglio 1877 con Regio Decreto n. 3961) �si muove sulla
stessa lunghezza d’onda e riassume le indicazioni per l’insegnamento elementare nel «leggere, lo
scrivere e il far di conto». La legge non indica alcuna forma di insegnamento della musica, che però
compare sotto forma di “esercizi di canto” con la successiva circolare del 17 settembre 1885:
attraverso questa disposizione, orientata in primo luogo ad introdurre nelle scuole italiane il lavoro
manuale, viene compresa anche la ginnastica e il canto, purché non tolgano spazio alle altre materie.
- Con le proposte avanzate da Aristide Gabelli al ministro Paolo Boselli (1888)�compaiono
cenni all’Educazione musicale (essenzialmente intesa nella forma del Canto corale).
- Programmi del ministro Guido Baccelli (1894) � inseriscono gli esercizi di canto fra le discipline
facoltative dei programmi di insegnamento, con la finalità di alleviare la mente degli allievi e non
solamente come esercitazioni di tecnica vocale.
- 1° Congresso Pedagogico Nazionale di Torino (1898) � rappresenta un decisivo passo in avanti
verso il riconoscimento del valore formativo dell’educazione musicale. I pedagogisti Rosa Agazzi e
Pietro Pasquali evidenziano la forte valenza educativa della musica, riconosciuta come
fondamentale nella formazione dell’uomo-cittadino e nello sviluppo nei bambini del gusto del bello.
Tali riflessioni hanno trovato spazio nei Programmi per gli asili dell’infanzia del 1914 e nei
programmi elaborati da Lombardo-Radice del 1923 per la scuola elementare.
- Riforma Gentile - Programmi per la Scuola Elementare (1923) �Vengono elaborati da
Giuseppe Lombardo-Radice (collaboratore del ministro Gentile) sulla scorta delle idee di Rosa
Agazzi. I programmi di Lombardo-Radice segnano una tappa molto importante nella storia
dell’educazione musicale nel nostro Paese. Per la prima volta, infatti, la musica, con la
denominazione “Canto”, diviene disciplina obbligatoria. Fra le intenzioni di questi programmi vi è
anche quella di valorizzare la cultura e le tradizioni artistiche regionali. Pertanto, nell’ambito del
canto corale, si sottolinea l’importanza di eseguire canti legati alle singole tradizioni regionali per
valorizzare la cultura folklorico-popolare.
Il Canto corale diventa obbligatorio nella scuola elementare, invece, nella scuola secondaria la
musica è confinata solo in alcuni istituti (istituto magistrale e liceo femminile).
- Programmi d’esame per l’Istituto magistrale inferiore, emanati dal ministro De Vecchi con
RD 7 maggio 1936 n. 762� L’educazione musicale assume un ruolo importante: si accentuano
ancora di più gli elementi teorico-nozionistici, presi in gran parte dai programmi di solfeggio svolti
nei conservatori. Si inserisce nei programmi un vago accenno alla Storia della musica.
- “Carta della Scuola” (1939) di Giuseppe Bottai �sancisce la costituzione di un segmento
scolastico medio, che unifica i corsi inferiori degli istituti magistrale e tecnico e dei licei classico e
scientifico. Il corso di studi magistrali viene ridotto da sette a quattro comportando la contrazione
delle materie specifiche, tra cui la musica che, nella scuola media di Bottai, non è obbligatoria.
- Costituzione della scuola media unica – Legge n. 1859/1962 �viene reintrodotta l’educazione
musicale come materia obbligatoria per il primo anno, facoltativa per gli altri due, per un’ora alla
settimana.
- Legge 16 giugno 1977, n. 348 �l’Educazione musicale diviene obbligatoria per i tre anni delle
medie, per due ore alla settimana.
- DM 9 febbraio 1979 �vengono emanati i nuovi programmi per la scuola media statale. Le
indicazioni relative alla musica, si caratterizzano per i contenuti modellati sulle “esigenze” degli
alunni e l’interdisciplinarità come “senso profondo” della musica (il che però aveva come corollario
pernicioso l’idea che la musica non potesse godere di una propria autonomia disciplinare).
A partire da questa data viene riconosciuta all’educazione musicale, almeno per quanto riguarda la
scuola secondaria di primo grado, una presenza più massiccia nel piano di studi con obiettivi e
programmi propri.
- D.M. 3 agosto 1979 �istituisce in via sperimentale l’insegnamento dello strumento musicale nella
scuola media
- DPR 12 febbraio 1985, n. 104 (ministro Franca Falcucci) �rinnovo dei programmi della scuola
primaria. In linea con l’impostazione cognitivista di base, le indicazioni per “Educazione al suono e
alla musica” sono dettagliate e prescrivono molte attività. Sono le prime indicazioni, nella storia
della disciplina, a mostrare attenzione verso entrambi gli ambiti dell’ascolto e della produzione:
«L’educazione al suono e alla musica ha come obiettivi generali la formazione, attraverso l’ascolto
e la produzione, di capacità di percezione e comprensione della realtà acustica e di fruizione dei
diversi linguaggi sonori».
- Legge 21 dicembre 1999 n. 508 �avvia un processo di trasformazione dei Conservatori di musica
(unitamente agli Istituti Musicali Pareggiati, alle Accademie di Belle Arti, alle Accademie Nazionali
di Danza e di Arte Drammatica, agli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche) in strutture di
livello universitario che fanno capo al sistema dell’Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM),
alle quali si accede dopo il conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore. Ciò ha
significato l’abbandono del tradizionale percorso unitario di studi musicali che portava al
conseguimento del diploma di strumento ed ha indotto la necessità di riarticolare il percorso
musicale complessivo spalmandolo sui diversi gradi di istruzione. (seguono: Legge 3 maggio
1999, n.124; D.M. 4 febbraio 2010; D.M. 8/2011)
- Legge 3 maggio 1999, n. 124 �riconduce i corsi sperimentali di strumento musicale nella scuola
media a ordinamento.
- Dlgs 19 febbraio 2004, n. 59 (Riforma Moratti) �sono emanate le Indicazioni Nazionali per le
scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. Nelle due scuole dell’obbligo la
disciplina si chiama ora semplicemente “Musica”, senza il termine ‘educazione’.
Nella formulazione degli obiettivi specifici di apprendimento si nota una netta ripartizione degli
ambiti della “produzione” e della “percezione”. Gli obiettivi legati alla “produzione” sono sempre
elencati per primi e acquistano così una maggiore enfasi.
DM 4 febbraio 2010 – riforma Gelmini �vengono istituiti i Licei Musicali. Tale istituzione è stata
concepita in prospettiva professionalizzante, e di rimando ha quasi azzerato la cultura musicale
diffusa, che è scomparsa da tutti i Licei non musicali, persino dal primo biennio del Liceo delle
Scienze umane, dove ancora sopravviveva.
D.M. 8/2011 �interviene sull’insegnamento della musica come materia curricolare nella scuola
primaria. Al fine di favorire la verticalizzazione dei curricoli musicali si promuovono “specifici
Corsi di pratica musicale destinati a implementare l’approccio alla pratica vocale e strumentale e a
fornire le competenze utili alla prosecuzione dello studio di uno strumento musicale”. Tale decreto
diviene operativo successivamente alla pubblicazione delle linee guida emanate con la Nota Miur 7
gennaio 2014 n. 151.
La presenza dell’insegnamento della musica a scuola è stata influenzata per diversi anni
dall’impostazione gentiliana basata su una distinzione concettuale e filosofica tra il «sapere» e il
«fare». Soltanto i «saperi» considerati manifestazione del pensiero astratto venivano considerati
meritevoli di trovare posto nel concetto di «istruzione». Il «fare», anche se importante, costituendo
espressione di manualità non poteva essere collocato sullo stesso piano del sapere teorico.
L’insegnamento della musica, dunque, è stato relegato per lungo tempo al di fuori delle aule
scolastiche. Le uniche istituzioni formative nelle quali la pratica musicale costituiva fine
istituzionale esclusivo erano i Conservatori di musica.
I Conservatori di musica sono nati con un intento professionalizzante per coloro che sulla musica
aspiravano a costruire il proprio futuro di vita: lo studio di uno strumento musicale finalizzato ad
entrare a far parte di orchestre o studi comunque indirizzati alle professioni di compositore,
direttore di orchestra o cantante lirico.
Il diverso aspetto della musica, intesa come fattore di crescita della persona in senso educativo,
privo di ogni intento professionalizzante, è stato affidato all’educazione musicale presente nel
percorso della scuola elementare (educazione al suono), della scuola media (con la specifica classe
di abilitazione) ed è pressoché totalmente assente nella scuola secondaria superiore, salve limitate
esperienze nei soppressi istituti magistrali, nei quali era presente l’insegnamento di uno strumento
musicale.
L’organizzazione degli studi musicali, così come si è storicamente determinata, si è saldata per
diversi anni, dunque, ad una visione culturale che non ha ritenuto necessario estendere la fruizione
del bene musicale pervasivamente in tutti gli ordini e gradi di istruzione in quanto se ne è colto
l’aspetto ‘professionale’ ma non la valenza educativa generale, come disciplina che con pari dignità
rispetto alle altre, anzi forse più di tante altre, consente di contribuire alla crescita della persona.
Solo dopo la riforma dei conservatori (Legge 21 dicembre 1999 n. 508) si è sentita la necessità di
riarticolare il percorso musicale complessivo spalmandolo sui diversi gradi di istruzione.
Scuola dell’infanzia
1969 � sono ridefiniti gli “Orientamenti della scuola materna statale” � viene inserita l’
“Educazione musicale” che «va dalla ritmica, dalla danza, dall’interpretazione figurativa all’ascolto,
all’esecuzione e all’invenzione di musiche e canti».
1991 �
Vengono rinnovati gli orientamenti , prevedendo i “campi di esperienza”.
La musica è inserita nel campo “messaggi, forme e media”, e le attività sonore e musicali «mirano a
sviluppare la sensibilità musicale, a favorire la fruizione della produzione presente nell’ambiente, a
stimolare e sostenere l’esercizio personale diretto, avviando anche alla musica d’insieme».
Anni 2000 � sono emanati diversi provvedimenti di riforma, fino alla elaborazione
delle Indicazioni nazionali per il curricolo, definitivamente approvate nel 2012, che riguardano le
scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di I grado.
Scuola primaria
D.P.R. 104/85 �Con questo decreto del Presidente della Repubblica vengono emanati i nuovi
programmi e viene inserita nel curricolo anche l’educazione al suono e alla musica. Questi
programmi ponevano l’accento sul raggiungimento di tre obiettivi fondamentali:
la percezione (ed. all’ascolto)
la comprensione
e la produzione (soprattutto attraverso la voce).
2007 �Indicazioni Nazionali per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di
istruzione.
- Non forniscono indicazioni programmatiche lasciando più autonomia al docente;
- si definisce la musica come “componente fondamentale e universale dell’esperienza umana” che
“offre uno spazio simbolico propizio all’attivazione di processi di cooperazione e socializzazione,
all’acquisizione di strumenti di conoscenza, alla valorizzazione della creatività e della
partecipazione, allo sviluppo del senso di appartenenza a una comunità, nonché all’interazione fra
culture diverse”;
- si parla di due livelli di insegnamento:
● livello della produzione (attraverso l’attività corale e di musica di insieme)
● livello della fruizione consapevole (che implica la costruzione e l’elaborazione di significati
personali, sociali e culturali, relativamente a fatti, eventi, opere del presente e del passato.
Le Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione del
2007 rappresentano un punto di svolta �La musica è considerata fondamentale nella creazione di
competenze cognitive di tipo trasversale o di livello superiore. Per cognitivo-culturale, si legge nel
documento, si intende la capacità/possibilità di pensare e comprendere la musica attraverso la logica
delle sue strutture e grammatica, una logica scandita da tempi, ritmi, regole e simboli.
All’Educazione Musicale vengono riconosciute sei funzioni formative fondamentali: cognitivo-
culturale, linguistico-comunicativa, emotivo-affettiva, identitaria e interculturale, relazionale,
critico-estetica.
D.M. 8/2011 �interviene sull’insegnamento della musica come materia curricolare nella scuola
primaria. Al fine di favorire la verticalizzazione dei curricoli musicali si promuovono “specifici
Corsi di pratica musicale destinati a implementare l’approccio alla pratica vocale e strumentale e a
fornire le competenze utili alla prosecuzione dello studio di uno strumento musicale”.
Tale decreto è rimasto inattuato fino alla pubblicazione delle linee guida emanate con Nota Miur 7
gennaio 2014 n. 151
Si completa, così, il percorso formativo musicale offerto dalla scuola italiana:
- si parte da un approccio generale nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria
- si continua con lo studio dello strumento musicale nella scuola secondaria di I grado,
- si arricchisce il percorso con la prosecuzione e l’approfondimento dello studio dello
strumento al liceo musicale, per poi completare gli studi musicali presso il Conservatorio,
dove si conseguono lauree di I e II livello
Bibliografia
Badolato N., Scalfaro A. (2013), “L’educazione musicale nella scuola italiana dall’Unità ad oggi”,
Musica Docta. Rivista digitale di pedagogia e didattica della musica, III.
Scala S. (2008), “Il contesto dell’indagine. La presenza della musica nella scuola italiana”. In
Musica e scuola. Rapporto 2008.
Toto G. (2015), “L’educazione musicale in Italia: un excursus storico”. Educare.it (rivista on line),
Vol. 15, n. 12.
EXCURSUS NORMATIVO SMIM (Scuole Medie ad Indirizzo Musicale)
Assegna l’insegnamento della teoria e lettura della musica al docente di strumento, con
l'indicazione di dover dedicare a tale attività almeno un’ora settimanale per ogni classe,
prevedendo la possibile suddivisione degli alunni durante tale insegnamento in gruppi
strumentali.
Viene eliminato il rapporto orario che portava ad avere un’ora per ogni alunno. In sua vece
viene indicato che «Le ore di insegnamento sono destinate alla pratica strumentale
individuale e/o per piccoli gruppi anche variabili nel corso dell'anno, all'ascolto
partecipativo, alle attività di musica di insieme».
ORIENTAMENTI FORMATIVI
L’insegnamento strumentale conduce, attraverso l’integrazione con l’educazione musicale e
l’apprendimento della notazione e delle strutture metriche e ritmiche, all’acquisizione di capacità
cognitive in ordine alle categorie musicali fondamentali (melodia, armonia, ritmo, timbro, dinamica,
agogica) e alla loro traduzione operativa nella pratica strumentale, onde consentire agli alunni
l’interiorizzazione di tratti significativi del linguaggio musicale a livello formale, sintattico e
stilistico.
• Promuove la formazione globale dell’individuo offrendo, attraverso un’esperienza musicale
resa più completa dallo studio dello strumento, occasioni di maturazione logica, espressiva,
comunicativa;
• Integra il modello curricolare con percorsi disciplinari intesi a sviluppare, nei processi evolutivi
dell’alunno, unitamente alla dimensione cognitiva, la dimensione pratico operativa, estetico-
emotiva, improvvisativo-compositiva;
• offre all’alunno, attraverso l’acquisizione di capacità specifiche, ulteriori occasioni di sviluppo
e orientamento delle proprie potenzialità, una più avvertita coscienza di sé e del modo di
rapportarsi al sociale;
• fornisce ulteriori occasioni di integrazione e di crescita anche per gli alunni in situazione di
svantaggio.
- Regolamento recante Indicazioni Nazionali per il curricolo della Scuola dell’Infanzia del Primo
Ciclo d’Istruzione, Diffuso con nota MIUR n. 7734 del 26.11.2012.
A.A. (2009), “L’insegnamento dello strumento musicale nella scuola media”, Annali della pubblica
Istruzione, 3-4/2009.
Spadolini, A. (2016), “L’insegnamento strumentale nelle scuole ad indirizzo musicale- storia e
prospettive future”. In slides del Convegno “La didattica strumentale nella scuola secondaria studi
musicali e adolescenza”, Conservatorio di Musica “S. Cecilia” Roma, 9 Maggio, 2016.
D.M. 201 del 6 agosto 1999 - ALLEGATO A.
DM 3 agosto 1979
Corsi sperimentali ad orientamento musicale
ART 1
A partire dal 1979/80 corsi sperimentali strumento musicale nella scuola media
STRUMENTI
Min 3 max 5
Scelti tra almeno uno tra
A tastiera
(pianoforte)
A corda
( violino,
violoncello,
chitarra
classica)
A fiato (oboe,
clarinetto,
flauto, corno,
tromba)
ORARIO
4h / sett materie musicali:
3h educazione musicale (compreso solfeggio)
1h strumento (1/2 ora individuale e ½ ora ascolto partecipativo ; 2 volte a
settimana) ; 2 alunni per volta
Finito il ciclo dei 3 anni possono essere introdotti nuovi strumeneti se non si
raggiunge il n 5 di partecipanti
Art 2
Insegnanti di ruolo, incaricati o supplenti con titoli artistici e diploma specifico
Art 3
VALUTAZIONE
A conclusione dell’anno scolastico i docenti esprimeranno un giudizio sulle
attitudini dell’allievo secondo cui possa o meno proseguire l’indirizzo musicale
A termine del triennio giudizio finale orientativo secondo cui possa proseguire
o meno gli studi musicali.
E’ consentita l’ammissione alla 2^ o 3^ classe previo esame di idoneità
Art 4
COMITATO TECNICO CENTRALE (sede Ministero P.I)
Si riunisce 1 volta/ anno
⮚ Direttore generale(presidente)
⮚ 1^ dirigente ministero P.I
⮚ Funzionario ufficio sperimentazione
⮚ Coordinatore tecnico ministero P.I
⮚ Ispettore centrale istruzione artistica
⮚ Pedagogista Didattica della musica
FUNZIONI
✔ coordinamento individuazione strumenti e organizzazione attività
sperimentale
✔ assistenza tecnico-didattica alle scuole sulla strutturazione corsi,
reclutamento personale, programmi d’insegnamento, giudizio
orientativo finale alunno
✔ verifica dei risultati per possibilità di prosecuzione studi musicali
FUNZIONI
● Stabilire programmi e metodologie
● Criteri valutazioni prove attitudinali tenendo conto
preferenze strumento alunni
● Promuovere corsi aggiornamento
● Promuovere attività scolastiche ed extrascolastiche
● Accoglie proposte da commissione coordinamento
scolastico e relaziona al Comitato tecnico centrale
TITOLI
Titoli artistici:
✔ attività concertistica solistica e in formazione da camera
✔ concorsi concertistici nazionali e internazionali
✔ concorsi per posti in orchestra enti lirico-sinfonici e RAI
Titoli didattici:
✔ insegnamento Conservatorio o istituti musicali pareggiati
✔ insegnamento corsi scuola media indirizzo musicale, corsi
orientamento musicale scuola popolare, strumento musicali istituti
magistrali
Titoli professionali.
Attività culturali
Art 1
I corsi sperimentali sono parte integrante del progetto metodologico-didattico della scuola media e
si realizzano nell’ambito della programmazione educativo-didattica
Anche se non fanno finalità espressamente specialistiche possono essere funzionali alla prosecuzione
degli studi musicali
Hanno il fine di promuovere la formazione globale dell’individuo attraverso lo studio specifico di uno
strumento, sviluppo gusto estetico e giudizio critico. Ha valenza di integrazione e crescita anche per i
portatori di situazioni di svantaggio.
Art 2
A tastiera
A corda
A fiato
A percussione
Il 20% del monte ore complessivo dell’insegnamento musicale è dedicato alla musica d’insieme
TEMPO PROLUNGATO
Un corso unitario e non può essere formato da alunni provenienti da classi diverse, eccetto se per
motivi legati alla scelta della lingua straniera.
SCELTA ALUNNI
⮚ Preside;
⮚ Un docente per ciascun strumento
⮚ Un docente educazione musicale
E’ consentita l’iscrizione alla 2^ o 3^classe a indirizzo musicale previo esame integrativo delle
discipline musicali.
⮚ Preside
⮚ Insegnante educazione musicale
⮚ Docenti di strumento
La richiesta va inoltrata alle istiutzioni nei termini previsti dalle disposizioni in materia
sperimentazione. Il progetto deve avere le finalità contemplate nell’art. 1
ORE DI INSEGNAMENTO
I docenti di strumento che non completano orario di cattedra possono insegnare solfeggio.
⮚ Un ispettore scolastico
⮚ Il direttore del Conservatorio di musica
⮚ Due presidi scuola media a indirizzo musicale
⮚ Un docente di educazione musicale
⮚ Un docente di strumento
COMPITO COMITATO
ART 10 VIGILANZA
Il Provveditorato attraverso l’accertamento tecnico ispettivo vigila sull’attuazione del progetto
sperimentale
ART 11
Norme transitorie e finali
D.M. 6 Agosto 1999 n. 201
Il decreto ministeriale in questione è un decreto attuativo seguito alla Legge
n124/1999, la quale ricondusse ad ordinamento la sperimentazione
dell’insegnamento dello strumento nelle scuole medie italiane.
La specificità del D.M 201/1999risiede in alcune innovazioni importanti
riguardanti :
Orientamenti formativi
L’insegnamento strumentale conduce all’acquisizione di capacità cognitive in
ordine alle categorie fondamentali della musica (melodia, armonia, dinamica,
ritmo, agogica, timbro) e e i contenuti dell’educazione musicale si modellano
proprio attraverso la pratica strumentale.
L’insegnamento strumentale:
• Promuove la formazione globale dell’individuo
• Integra il modello curricolarenello sviluppo delle dimensioni pratico-
operative, estetico- emotive, improvvisativo-compositive
• Offre occasioni di sviluppo e integrazione.
La pratica musicale inoltre sviluppa le abilità senso-motorie dell’alunno
promuovendo formalizzazioni della gestualità in rapporto allo strumento,
permettendo all’allievo di aprirsi al linguaggio simbolico e alla soggettività
anche attraverso autonome elaborazioni a carattere improvvisativo-
compositivo. La performance inoltre porta all’interazione sociale.
Obiettivi di apprendimento
• Dominio tecnico dello strumento nella produzione di eventi musicali e
nei processi interpretativi
• Produzione autonoma di materiali sonori
• Abilità di lettura ritmica e intonata
• Primo livello di Organizzazione tra attività senso-motoria e
formalizzazione delle emozioni
• Primo livello di capacità performative con controllo degli stati emotivi in
relazione all’efficacia comunicativa
Contenuti Fondamentali
• Ricerca di un corretto assetto psico-fisico
• Autonoma decodificazione allo strumento (in particolare nella lettura a
prima vista)
• Padronanza allo strumento
• Acquisizione di un metodo di studio
• Promozione della dimensione ludico- musicale
Competenze e criteri di valutazione
La competenza si fonda su:
• Riconoscimento della sintassi musicale
• Descrizione dei generi musicali e collocazione degli eventi musicali in
ambito storico-stilistico
• Produzione vocale di melodie
Riguardo allo studio, esso si fonda su :
• capacità di lettura,
• uso, controllo dello strumento e ascolto nella pratica solistica o di
gruppo,
• esecuzione interpretazione ed elaborazione autonoma allo strumento
La verifica dei risultati si basa sugli obiettivi e sulle indicazioni programmatiche
(vedi Programma) e sull’accrtamento di una competenza intesa come dominio,
entro i livelli stabiliti, del proprio strumento. I processi valutativi si devono
ispirare ai criteri di valutazione formativa della scuola media.
Esemplificazioni metodologiche
Le esemplificazioni hanno valore indicativo, nel rispetto dell’autonomia di
progettazione e programmazione delle scuole. Tuttavia in questa sezione, si fa
esplicito riferimento alla pratica della musica d’insieme come metodo
privilegiato.
Sulla pratica vocale viene data altrettanta attenzione e riguardo al solfeggio si
consiglia di inquadrarlo all’interno della prassi musicale. Si suggerisce di
favorire l’ascolto per sviluppare capacità di controllo e si fa riferimento alla
risorsa costituita dalle tecnologie elettroniche e multimediali, in grado di
sviluppare le capacità dell’allievo senza che queste siano vincolate dal dominio
tecnico.
Tutti queste indicazioni presuppongono Interdisciplinarità e infradisciplinarità:
Strumento ed educazione musicale attivano processi cognitivi trasversali ma si
configurano al tempo stesso come apprendimento unitario.
Programmi Pianoforte
Il perseguimento degli obiettivi sottoindicati si articola in attività individuali e
collettive. Le abilità raggiunte andranno consolidate integrandole con teoria
musicale e lettura ritmica e intonata.
La successione degli obiettivi è stabilita dai docenti tenendo conto delle
capacità dei discenti
Il programma dà indicazioni riguardo alle abilità tecniche da conseguire:
• Mano chiusa (gradi congiunti): scale, ribattuti, 5 note non
consecutive,glissandi
• Mano aperta (gradi disgiunti): arpeggi ecc..
• Bicordi e accordi: terze, seste, ottave, clusters
• Salti: note singole, bicordi....
Alla fine del triennio l’allievo dovrà saper leggere a primavista pezzi tratti dai
primi metodi per pf ed esegiure interpretando una composizione del
repertorio solistico o d’insieme per ciascuna delle seguenti aree:
• Danza (es. Schubert: Valzer e Lander)
• Pezzo di carattere (es. Schumann, Album per la gioventù)
• Forme polifoniche e forme sonata (Es. Bach, Preludi e fughette,
Beethoven: sonatine)
• Variazioni (es Mozart....)
ANNALI
Lo scopo della scuola è di rivalutare le capacità e le varie esperienze dell’alunno in una dimensione
contemporanea di apprendimento di “saper stare col mondo”. La scuola quindi deve essere aperta
alla pluralità delle culture e, secondo la Costituzione, deve garantire libertà e uguaglianza(art 2-3) nel
rispetto delle diversità con particolare attenzione alle disabilità evitando che la diffrenza si traformi in
disuguaglianza. Inoltre a scuola è entrata una molteplicità di culture e di lingue e l’intercultura
permette ad ogni ragazzo l’apertura verso il mondo e la pratica dell’uguaglianza pur riconoscendo le
differenze culturali.
E’ necessaria una intesa tra scuola e famiglia che condividono gli stessi intenti educativi.
1. organizzazione memoria,
L’obiettivo della scuola non è solo lo sviluppo delle singole tecniche e competenze ma formare
l’alunno in generale sul piano cognitivo e culturale seguendo le inclinazioni personali dell’alunno
valorizzando la personalità di ognuno.
La classe è intesa come gruppo per promuovere legami cooperativi e controllare i conflitti
introdotti dalla socializzazione.
verticale: impostazione di una formazione che duri tutto l’arco della vita
OBIETTIVI SCUOLA
- Cogliere aspetti essenziali dei problemi, comprendere sviluppi delle scienze e delle tecnologie,
conoscere i limiti e le possibilità delle conoscenze, capacità di vivere in un mondo in continuo
cambiamento
- consapevolezza dei problemi della condizione umana( degrado ambientale, clima crisi
energetica, ricerca di una nuova qualità della vita…)
Questi obiettivi devono essere realizzati sin dalla prima fase di formazione del bambino (infanzia
e primo ciclo di istruzione) attraverso il gioco, la manipolazione, espressioni artistiche e
musicali…che costituiscono le basi che danno il via alle più elaborate conposcenze teoriche
FINALITA’ GENERALI
Stretta correlazione tra cultura, scuola e persona e sviluppo armonico e integrale della persona
secondo i principi della Costituzione.
Lo studente :
Curricolo
Si esprime attraverso:
1) libertà d’ insegnamento;
2) autonomia scolastica;
3) identità d’ istituto;
4) scelte di comunità.
Le discipline sono state da sempre considerate divise le une dalle altre ostacolando in tal senso il
processo di unitarietà dei processi apprendimento.
Tale sistema è stato bandito ,finalmente , e nell’ ottica di tale circolarità si deve operare .
In questo senso si parla di aree funzionali finalizzate ad un’ ottimale utilizzazione delle risorse
rimesse all’ autonoma scelta e valutazione di ogni scuola.
Fissati i traguardi per lo sviluppo delle competenze nelle varie discipline si finalizza l’ azione
educativa rivolta allo sviluppo integrale dell’ allievo.
I traguardi rappresentano i criteri per la valutazione delle competenze attese nel tempo a garanzia
dell’ unità del sistema nazionale e della qualità del servizio , scegliendo l’itinerario più opportuno
che consente agli studenti un ottimale raggiungimento dei risultati.
Obiettivi di apprendimento
Cosa sono?
Sono campi del sapere : conoscenze e abilità ritenute indispensabili per raggiungere i traguardi
necessari allo sviluppo di competenze.
Sono utilizzati nella progettazione didattica considerando il contesto, la didattica,
l’organizzazione.
Gli obiettivi sono organizzati in nuclei tematici e definiti secondo una scansione temporale.
Al docente spetta di : valutare, curare la documentazione, scegliere gli strumenti così come scelto
dal CDD.
La Valutazione:
Il curricolo è finalizzato alla maturazione delle competenze previste nel profilo dello studente al
termine del primo ciclo queste sono fondamentali per la crescita e sono oggetto di certificazione.
Inizialmente si fissano i traguardi a livello nazionale accompagnati da altri secondo l’ autonomia
didattica . Gli Indicatori sono rappresentati da conoscenza, abilità, atteggiamenti ,emozioni fattori
necessari ad affrontare la realtà in relazione a potenzialità ed attitudini. Dopo la valutazione delle
competenze interviene la certificazione a termine dei vari cicli che utilizza modelli adottati a
livello nazionale e certifica la padronanza delle competenze progressivamente acquisite.
Cittadinanza e Costituzione
Il Primo ciclo di istruzione promuove l’ esercizio della cittadinanza attiva potenziando e
ampliando gli apprendimenti avviati nella Scuola dell’ infanzia.
Educazione alla cittadinanza attraverso:
1)prendersi cura di se stessi ,degli altri, dell’ ambiente;
2) la cooperazione e la solidarietà.
Obiettivi:
1) costruzione del senso di legalità;
2) sviluppo di un’ etica della responsabilità;
3) agire in modo consapevole;
4) impegnarsi ad elaborare idee;
5) curare il proprio habitat di vita.Tutto ciò ponendo come punto di partenza la scuola e lo studio
della Costituzione Italiana nonché i diritti inviolabili di ogni essere umano ( pari dignità sociale,
libertà di religione, miglioramento della qualità della vita, favorire varie forme di libertà).
Si garantisce tale esercizio attraverso l’ uso della lingua italiana dove i docenti ne garantiscono la
padronanza … la conoscenza e l’ uso.In questa ottica la scuola diventa luogo privilegiato di
apprendimento e di confronto libero e pluralistico.
L’ Ambiente di Apprendimento
La scuola del primo ciclo garantisce un contesto idoneo a promuovere gli apprendimenti
significativi e a garantire il successo formativo per tutti gli alunni.
Per un’ efficace azione formativa è necessario:
1) l'uso flessibile degli spazi;
2) avere disponibilità di luoghi attrezzati che facilitino approcci operativi alla conoscenza delle
scienze, tecnologia ,etc;
3) disporre di una biblioteca scolastica in una prospettiva multimediale;
4) valorizzare l’ esperienze e le conoscenze degli alunni per ancorarvi nuovi contenuti.
5) attuare interventi adeguati nel pieno rispetto della diversità;
6) Integrare e includere alunni con disabilità;
7) favorire l’ esplorazione e la scoperta al fine di promuovere il gusto per la ricerca di nuove
conoscenze ( problematizzazione).
8) incoraggiare l’ apprendimento collaborativo( aiuto reciproco, apprendimento cooperativo e tra
pari);
9) promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere per imparare ad imparare;
10) realizzare attività didattiche in forma di laboratorio per favorire l’ operatività, il dialogo la
riflessione
MUSICA
All’interno delle indicazioni nazionali del 2012 non c’è una declinazione dettagliata ma
se ne fa riferimento nella premessa. Sono i curricoli che dovrebbero prevedere precisi
riferimenti ad esse in termini di risultati di apprendimento, percorsi didattici e criteri di
valutazione.
2. COMPETENZA DIGITALE
Le abilità tecniche non bastano. La maggior parte della competenza è costituita dal
sapere cercare, scegliere e valutare le informazioni in rete nella responsabilità dell’uso
dei mezzi, per non nuocere a se stessi o agli altri.
3. IMPARARE AD IMPARARE
Tutti questi punti richiedono l’adozione di un curriculo di istituto verticale che assuma
la responsabilità dell’educazione organizzato per competenze chiave e conoscenze,
riferito ai traguardi delle indicazioni. Pertanto le proposte didattiche e le modalità di
verifica e valutazione dovrebbero essere coerenti con la progettazione curriculare,
evitando di frammentare la proposta didattica in miriadi di progetti. Deve crearsi quindi
un ambiente di apprendimento funzionale allo sviluppo delle competenze. A facilitare
tutto ciò ci sono il confronto delle esperienze e il dialogo professionale che potrebbero
facilitare il processo di integrazione all’interno degli istituti.
L’ insegnamento dello strumento musicale
8/09/1975 : emanato un D.M. della Pubblica Istruzione che rappresenta il primo passo verso l’istituzione
dell’insegnamento dello strumento musicale nella scuola dell’ obbligo attraverso l’ avvio di “corsi
sperimentali triennali ad orientamento musicale”
I corsi sono attivati nella provincia di Milano poi nelle province di Bari, Catania prevedendo una
sperimentazione per tre ore settimanali per classe aggiungendo lo studio di uno strumento per classe.
15/04/1977: il Consiglio dei Ministri approva un disegno di legge che prevede in ogni
provincia l’istituzione di una scuola a orientamento musicale con relativi adattamenti del piano di studi
nonché vara i criteri di reclutamento dei docenti delle discipline musicali e le modalità di soppressione delle
scuole medie annesse ai Conservatori.
Il 3 agosto 1979/80, sono istituiti, sperimentalmente, corsi triennali di scuola media ad indirizzo musicale
La sperimentazione musicale prevede quattro ore di insegnamento di materie musicali alla
settimana, così suddivise: tre ore di educazione musicale (teoria-solfeggio e det-
tato musicale comprensive delle ore di educazione musicale curriculari); un’ora
di strumento musicale, impartita in due mezze ore individuali da effettuare, a
distanza di giorni, due volte alla settimana.
Il D.M. del 1979 non prevedeva il gruppo di strumenti a percussione e li-
mitava la sperimentazione a tre settori, tastiera, corda e fiato.
Questi sono i passi normativi che hanno regolamentato le SMIM fino al 1985.
Complessivamente nel 1985 le SMIM erano 92 con 282 cattedre di strumento
e un totale di circa 8000 alunni.
La Legge 3 maggio 1999. n. 124. art. 11. comma 9, non solo indica i cri-
teri organizzativi e di organico per i corsi musicali ma afferma anche importanti
principi di autonomia delle singole istituzioni scolastiche: «La scelta delle spe-
cialità strumentali da insegnare è effettuata dal collegio dei docenti .
Le scuole che hanno attivato corsi musicali nell’anno 2008 sono 942.I
lIl rapporto tra le cattedre ordinarie e quelle di strumento che, nel quadro na-
zionale, risulta essere 37,57, evidenzia come la distribuzione delle cattedre di
strumento musicale non sia omogenea tra le diverse aree geografiche: il Nord-
Ovest ha il rapporto di 52,23 e il Sud ha il rapporto di 26,67, un valore pres-
soché doppio.
Dalla riconduzione a ordinamento del 1999, ogni anno 20/25.000 alunni hanno affrontato lo studio dello
strumento musicale nella scuola dell’obbligo.
Il numero complessivo degli studenti di strumento musicale, dall’avvio della
sperimentazione del 1975, può quindi verosimilmente superare la soglia delle
300.000 unità.
Tale analisi, che trova le sue origini all’inizio del secolo scorso, conduce fino al-
l’ultimo provvedimento di riforma dei Conservatori, la Legge 21 dicembre 1999
n. 508, ai vari disegni di legge che l’hanno preceduta e ai Decreti del 2009 che
definiscono e regolano i settori artistico-disciplinari dei Conservatori di Musica.
Preziosa la documentazione sui primi decreti del Novecento presente nel citato
lavoro di O. Maione: «Il primo provvedimento che riguardò gli ordinamenti di-
dattici all’interno degli istituti musicali a livello nazionale fu il Regio Decreto
del 2 marzo 1899,
I nuovi programmi furono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 62 del 16
marzo 1931, 11 come parte del Regio Decreto dicembre 1930, n. 1945: Norme
per l’ordinamento dell’istruzione musicale ed approvazione dei nuovi programmi
di esame.
LA RIFORMA DEI CONSERVATORI
La definizione del testo della riforma, approvata il 2 dicembre 1999 e divenuta
Legge il 21 dicembre dello stesso anno con il numero 508, è stata oggetto di
un lungo percorso parlamentare durato ben sette anni.
Numerosi i disegni di legge e le relazioni nei due rami del Parlamento che
hanno condotto all’approvazione della Legge 508:
TESTO DEFINITIVO DELLA RIFORMA, approvato il 2 dicembre 1999
e pubblicato il 4 gennaio 2000 sulla Gazzetta Ufficiale:
Riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale di danza, dell’Ac-
cademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie arti-
stiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati.
La musica al plurale (Annali, Lorenzo Bianconi, pag 13-18)
La riflessione di L.Bianconi parte dalla constatazione che la musica manifesta
L’autore riscontra nella nostra epoca una crisi della funzione estetica poiché
oggi si è passati da una esteticità concentrata,caratterizzata da un ascolto
attivo e partecipe, ad una esteticità diffusa, basata da ascolto passivo e
distratto del paesaggio sonoro che fa da sfondo allanostra vita.
È su questi presupposti che l’autore utilizza le definizioni (utili ma insufficienti,
secondo lui) di musica d’arte e musica di consumo. Secondo Bianconi, la
musica d’arte, depositaria di saperi e professionalità, è oggi un simulacro
ideologico: l’apparato di regole, di professionalità e di spessore culturale che
essa manifesta è infatti minato alla base dal meccanismo consumistico
quotidiano e dall’abitudine ad un ascolto passivo. È quindi fondamentale
salvaguardare la musica d’arte poiché essa rappresenta una chiave
interpretativa del mondo, del nostro passato e delle discipline artistiche,
letterarie e storico filosifiche che ad essa si legano anche in campo scolastico.
Mentre sessant’anni fa il giovane musicista sentiva la necessità di allargare gli
orizzonti della tradizione musicale ufficiale attraverso la sperimentazione di
nuovi linguaggi e spazi sonori lontani superando i canoni fino ad allora vigenti,
oggi secondo Bianconi sarebbe opportuno seguire un procedimento opposto:
orientare il giovane nella caotica molteplicità della musica.
1 L.Bianconi- “La musica al plurale” Annali , pg. 14. “…al fine di pilotare i sentimenti e i comportamenti dell’individuo”.
“ciò di cui ha bisogno la scuola….è una cultura plurale della musica, una cultura che
insegni di nuovo a distinguere (senza separare), a esaminare (senza bocciare), a giudicare
(senza condannare). Che dia orientamenti.2
4 Gli Annali della pubblica istruzione qui riassunti sono del 2009. A quell’epoca ancora il Liceo musicale non era ancora
stato definito. Secondo Edises, Avvertenze generali (pg 621-623 e pg 626) e secondo Edises Discipline musicali pg. 21, il
documento che regolò l’ordinamento dei Licei Musicali è il D.P.R 89/ 2010 del 15 marzo 2010,”Regolamento recante
revisione dell’assetto ordinamentale ,organizzativo e didattico dei licei”.
5 A.Ficarella “Per un curricolo verticale delle discipline musicali: storia di utopie e dicotomie” pg. 20, Annali.
6 A.Ficarella “Per un curricolo verticale delle discipline musicali: storia di utopie e dicotomie” pg.20.
7 A.Ficarella “Per un curricolo verticale delle discipline musicali: storia di utopie e dicotomie” pg.20.
8 Anche in Edises, Discipline musicali, pg.3, si fa riferimento alle Raccomandazioni del Parlamento e del Consiglio
europeo 2006 che introducono le Competenze Chiave fra cui la “consapevolezza ed espressione culturale” includendo
la musica.
l’autrice, scaturirebbe l’esigenza di sistematizzare l’approccio
all’insegnamento della musica in base a tre assi:
L'autrice propone poi un quadro della situazione della musica nei curricoli delle
scuole secondo l’ordinamento allora vigente (ricordo che gli Annali sono del 2009)
9 In edises, Discipline musicali, pg.4, si fa riferimento al D.P.R. 104/85 che emana nuovi programmi contenenti 3
obiettivi principali : percezione (ascolto), comprensione e produzione sonora.
10 Vedi edises, Discipline musicali, pg.7/8 nelle quali è detto che il D.M. 9 febbraio 1979 revisionò i programmi e portò
Anche qui, come per l’infanzia, vengono definiti alcuni traguardi 11 contenuti nelle
Indicazioni :
11Il testo non riporta un elenco esaustivo, visibile invece su Edises, Discipline musicali, pag.6
12secondo edises, discipline musicali, pg.7, una nota Miur del 2014 ha discipinato gli aspetti legati alla formazione
degli insegnanti della primaria in ambito musicale, stabilendo le Linee guida anche per il conferimento degli incarichi
ad esterni.
• Elaborazione di messaggi musicali attraverso forme di notazione e sistemi
informatici
• Acquisizione di un senso critico-estetico consapevole
• Costruzione della propria identità musicale
L’autrice, che scrisse l’articolo nel 2009, informa il lettore sulla situazione vigente
all’epoca del suo saggio; in tale periodo, l’insegnamento facoltativo della musica e
quello dello strumento erano previsti all’interno dei licei socio-psico-pedagogici e
pedagogici sulla base del R.D. 7 maggio 1936-XV, della Circolare 5 ottobre 1936- XV,
n.5883, dalla successiva Circolare ministeriale 17 settembre 1938 prot. 12957 e
della più recente nota prot.5035 diramata dalla Direzione generale per gli
ordinamenti scolastici del 13 marzo 2003.14
L'autrice ci informa del fatto che nel 2009, in tutti gli altri ordini della scuola
secondaria, la musica era presente in forma di “progetto” in orario extracurricolare
con scelta facoltativa dello studente.
13 questo paragrafo necessita di integrazioni e aggiornamenti: lo scritto dell’autrice Anna Ficarella contenuto negli
Annali è infatti del 2009 e non include gli sviluppi recenti che sono stati definiti dal DPR. 89/2010 sul roirdino degli
ordinamenti dei Licei. Pertanto si rimanda alla lettura di Edises , discipline musicali pag.8-10 e 21-32.
14 Annali, Anna Ficarella, Per un curricolo verticale delle discipline musicali: storia di utopie e dicotomie pg.25
Alcune precisazioni sulla situazione odierna nelle scuole
secondarie di II grado tratte dal volume Edises “Discipline
Musicali”
L’insegnamento della musica (A29) nelle Scuole Secondarie di II grado ha subito
notevoli modifiche a seguito del DPR. 89/2010, che, oltre a definire i Licei musicali,
ha revisionato l’assetto dei Licei ;
oggi, stando a quanto scritto sul manuale Edises (Discipline Musicali, pg.8)
l’insegnamento della musica (A29) avverrebbe, oltre che nei licei musicali, anche
all’interno del percorso quinquennale di istruzione professionale del settore
“servizi”, indirizzo “socio-sanitari”.
È superfluo che le discipline legate alla musica e allo strumento trovano oggi la loro
collocazione curricolare nell’ambito dei Licei musicali e coreutici.
15Le finalità dell’insegnamento menzionato sono indicate nelle Linee guida contenute nel DPR.87/2010 citate in
Edises, Discipline musicali, pg 8.
LICEO MUSICALE E COREUTICO SEZIONE MUSICALE
Le Indicazioni Nazionali aiutano i docenti a costruire i propri percorsi didattici e permettono agli studenti di
raggiungere gli obiettivi di apprendimento. La bozza delle indicazioni nazionali è stata prima stipulata da un
gruppo tecnico e successivamente è stata esposta per un mese a un libero dibattito; tutti i pareri sono stati
valutati ed infine è stato demandato il compito di procedere alla redazione definitiva. Per ogni disciplina
sono state evidenziate delle linee generali, contenenti obiettivi specifici di apprendimento. Questi ultimi alla
fine del biennio di ciascun liceo assumono quanto richiesto ai fini dell’assolvimento dell’obbligo d’
istruzione. I contenuti degli Assi culturali sono finalizzati al raggiungimento dei saperi e delle competenze
comuni ai percorsi liceali, tecnici e professionali. Nel contempo è stato compiuto un passo decisivo che ha
portato all’individuazione nelle linee guida delle istruzioni tecnica e professionale di alcune discipline
cardine relative soprattutto al primo biennio. Le indicazioni nazionali sono state calibrate elencando i nuclei
fondamentali di ciascuna disciplina e cercando di intervenire sulle lacune dalle rivelazioni sugli
apprendimenti e sui livelli attesi in ingresso dalle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e
coreutica (AFAM). Proprio negli studi superiori vi è il raggiungimento di una solida base di conoscenze e
competenze, requisito indispensabile per proseguire il percorso di istruzione; questa scelta era stata
compiuta già nel profilo educativo culturale e professionale dello studente.
Queste indicazioni sull’obbligo d’istruzione sono presenti nelle raccomandazioni di Lisbona. Il profilo
richiede anche la piena valorizzazione degli aspetti del lavoro scolastico e indica inoltre i risultati di
apprendimento comune all’istruzione liceale. Le indicazioni sono divise in cinque aree: metodologiche (aver
acquisito un metodo di studio autonomo e flessibile), logico - argomentativa(saper sostenere una propria
tesi e ascoltare quelle altrui), linguistica e comunicativa ( padroneggiare pienamente la lingua italiana),
storico umanistica (conoscere i presupposti culturali e la natura delle istituzioni politiche, giuridiche, sociali
ed economiche), scientifica, matematica e tecnologica (saper utilizzare il linguaggio formale della
matematica). Infine bisogna descrivere i risultati di ciascun percorso liceale che costituiscono dunque gli
obiettivi fondamentali che la scuola è chiamata non solo a raggiungere ma ad arricchire. Ai fini del successo
formativo sono decisive le metodologie adeguate che applica l’insegnante con le classi di studenti.
L’articolazione delle indicazioni per materie di studio evidenzia come ogni disciplina integra un percorso di
conoscenze e competenze molteplici. Inoltre recentemente nel decreto ministeriale n°9 del 27 gennaio
2010 si chiede di esprimere una valutazione del livello raggiunto in 16 competenze in base ai 4 assi culturali,
ma non sulle competenze di cittadinanza. Le competenze digitali sono un tema sviluppato nel primo biennio
all’interno del percorso inerente alla matematica, le competenze relative alla cittadinanza e costituzione
investono il percorso scolastico su almeno tre livelli: nell’ambito della storia e filosofia, la vita stessa
nell’ambito scolastico e l’autonomia scolastica.
Le indicazioni non dettano alcun modello didattico pedagogico per questo valorizzano il ruolo dei docenti e
delle autonomie scolastiche. La libertà del docente non consiste nell’arricchimento di quanto previsto nelle
indicazioni ma anche nell’ utilizzo delle strategie e delle metodologie più adeguate da applicare.
IL PROFILO EDUCATIVO, CULTURALE E PROFESSIONALE DELLO STUDENTE LICEALE
I percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione più
approfondita della realtà. Per raggiungere questo risultato bisogna: studiare le discipline in una prospettiva
sistematica, storica e critica; praticare metodi d’ indagine a seconda delle discipline, esercitare letture,
analisi, traduzioni di testi letterari, filosofici, storici, scientifici, saggistici e di interpretazione di opere d’ arte;
l’ uso dei laboratori per le discipline scientifiche; praticare argomentazione e confronto; curare una modalità
espositiva scritta ed orale corretta; usare degli strumenti multimediali per lo studio. A conclusione dei
percorsi di ogni liceo gli studenti dovranno:
1. Area Metodologica
● Aver acquisito un metodo di studio autonomo e flessibile.
● Consapevolezza dei diversi metodi utilizzati per lo studio e valutazione dei risultati raggiunti
con essi.
● Saper creare collegamenti tra le varie discipline.
2. Area logico-argomentativa
● Sostenere la propria tesi e ascoltare le argomentazioni altrui.
● Ragionare logicamente, identificare i problemi e trovare possibili soluzioni.
● Interpretare criticamente i contenuti delle diverse forme di comunicazione.
3. Area linguistica e comunicativa
● Padroneggiare la lingua italiana, dominare la scrittura in tutti i suoi aspetti, saper leggere e
comprendere i testi e curare l’esposizione orale.
● Aver acquisito almeno al livello B2 una lingua straniera moderna del Quadro Comune
Europeo di Riferimento.
● Confronti tra lingua italiana e altre lingue moderne e antiche.
● Saper utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
4. Area storico umanistica
● Conoscere i presupposti culturali e la natura di qualsiasi istituzione con riferimento all’ Italia
e all’ Europa.
● Conoscere avvenimenti storici importanti per a storia d’ Italia, europea e internazionale.
● Utilizzare metodi, concetti e strumenti della geografia per la lettura dei processi storici e per
l’analisi della società contemporanea.
● Conoscere varie culture e tradizioni e saperle confrontare.
● Essere consapevoli del significato culturale del patrimonio italiano.
● Saper fruire delle arti e dei mezzi espressivi.
● Conoscere gli elementi essenziali della cultura e della civiltà dei paesi di cui si studiano le
lingue.
5. Area scientifica matematica e tecnologica
● Comprendere il linguaggio specifico della matematica.
● Possedere i contenuti fondamentali delle scienze fisiche e naturali.
● Essere in grado di utilizzare strumenti informatici nelle attività di studio e di
approfondimento.
RISULTATI DI APPRENDIMENTO DEL LICEO MUSICALE E COREUTICO
Il percorso del liceo musicale coreutico guida lo strumento ad approfondire e a sviluppare le abilità
necessarie per acquisire la padronanza dei linguaggi musicali e coreutici. Gli studenti a conclusione del
percorso di studio dovranno raggiungere dei risultati di apprendimento comuni:
• eseguire ed interpretare opere di epoche, generi e stili diversi, con autonomia nello studio e capacità di
autovalutazione;
• partecipare ad insiemi vocali e strumentali, con adeguata capacità di interazione con il gruppo;
• utilizzare, a integrazione dello strumento principale e monodico ovvero polifonico, un secondo strumento,
polifonico ovvero monodico;
• conoscere lo sviluppo storico della musica d’arte nelle sue linee essenziali, nonché le principali categorie
sistematiche applicate alla descrizione delle musiche di tradizione sia scritta sia orale;
• individuare le tradizioni e i contesti relativi ad opere, generi, autori, artisti, movimenti, riferiti alla musica e
alla danza, anche in relazione agli sviluppi storici, culturali e sociali;
Le Indicazioni nazionali degli obiettivi specifici di apprendimento per i Licei indicano il Profilo educativo,
culturale e professionale dello studente al termine dei percorsi liceali.
ESECUZIONE E INTERPRETAZIONE
LINEE GENERALI E COMPETENZE
Il profilo d’entrata, tramite l’accertamento previsto, individua nello studente il possesso di un
basilare repertorio di brani d’autore, per quanto attiene all'esecuzione e all'interpretazione con lo
strumento scelto, nonché competenze in materia di formazione del suono e di tecniche di base.
Nel corso del quinquennio lo studente deve sviluppare le capacità tecnico-esecutive ed
interpretative mediante lo studio di un primo strumento integrato da un secondo strumento avente
caratteristiche funzionali complementari al primo strumento (polifoniche, ovvero monodiche).
Al termine del percorso liceale, lo studente avrà sviluppato capacità esecutive e interpretative
unitamente alle seguenti competenze:
- un adeguato metodo di studio ed un’autonoma capacità di autovalutazione;
- una ricca e specifica letteratura strumentale (autori, metodi e composizioni), solistica e
d’insieme, rappresentativa dei diversi momenti e contesti della storia della musica fino
all’età contemporanea;
- specifiche capacità analitiche a fondamento delle proprie scelte interpretative consapevoli e
storicamente contestualizzabili;
- tecniche improvvisative (solistiche e d’insieme) e di lettura/esecuzione estemporanea;
- conoscenza dell'evoluzione storica delle tecniche costruttive degli strumenti utilizzati e delle
principali prassi esecutive a loro connesse.
1
polifonia, armonia, fraseggio ecc.). Apprende, inoltre, i metodi di studio e memorizzazione, la
conoscenza della storia degli strumenti, nonché la tecnologia applicata a questi ultimi.
Al termine del primo biennio lo studente deve aver sviluppato:
- per il primo strumento: adeguate capacità esecutive di composizioni di epoche, generi, stili e
tradizioni diverse, supportate da semplici procedimenti analitici pertinenti ai repertori studiati;
- per il secondo strumento: gli essenziali elementi di tecnica strumentale.
SECONDO BIENNIO
Lo studente sviluppa le capacità di mantenere un adeguato equilibrio psicofisico (respirazione,
percezione corporea, rilassamento, postura, coordinazione) in diverse situazioni di performance,
utilizzando anche tecniche funzionali alla lettura a prima vista, alla memorizzazione e
all’esecuzione estemporanea. Lo studente è in grado di saper adattare diverse metodologie di studio
alla soluzione di problemi esecutivi, ha raggiunto l’autonomia nello studio e sa ascoltare e valutare
se stesso e gli altri nelle esecuzioni solistiche e di gruppo.
Al termine del secondo biennio lo studente avrà acquisito:
- per il primo strumento: la capacità di eseguire anche in pubblico, brani di un livello adeguato di
difficoltà tratti dai repertori studiati.
- per il secondo strumento: la capacità di eseguire semplici brani, nonché competenze adeguate e
funzionali alla specifica pratica strumentale.
QUINTO ANNO
È richiesto il consolidamento delle seguenti competenze:
- quelle già acquisite in precedenza, in particolare, l'autonomia di studio in un dato tempo;
- per il primo strumento: lo studente deve conoscere ed interpretare i capisaldi (autori, metodi
e composizioni) della letteratura solistica e d’insieme, relativi ai diversi momenti e contesti
della storia della musica (fino all’età contemporanea).
- saper mantenere un adeguato equilibrio psicofisico nell’esecuzione anche mnemonica di
opere complesse;
- essere in grado di motivare le proprie scelte espressive;
- essere capace di adottare e applicare in adeguati contesti esecutivi, strategie finalizzate alla
lettura a prima vista, al trasporto, alla memorizzazione e all’improvvisazione, nonché
all’apprendimento di un brano in un tempo dato;
- saper utilizzare tecniche specifiche per l’esecuzione di composizioni di epoche, generi, stili
e tradizioni musicali diverse, dando prova di possedere le necessarie conoscenze storiche e
stilistiche, nonché di aver compreso le poetiche dei diversi autori presentati.
2
TEORIA, ANALISI E COMPOSIZIONE LINEE GENERALI E COMPETENZE
Nel corso del quinquennio lo studente acquisisce familiarità con le strutture, i codici e le modalità
organizzative ed espressive del linguaggio musicale, sia impadronendosi delle regole grammaticali
e sintattiche maggiormente in uso (modalità, tonalità, sistemi popolari e contemporanei), sia
maturando la capacità di produrre semplici composizioni che utilizzino tali sistemi di regole.
Al termine del percorso liceale lo studente padroneggia:
- i codici di notazione dimostrando di saperli utilizzare autonomamente e consapevolmente sia sul
piano della lettura sia su quello della scrittura;
- è capace di leggere con la voce e con lo strumento brani monodici e polifonici, anche in
contrappunto imitato e in differenti chiavi, di rappresentarne aspetti morfologici e sintattico-formali
attraverso il corretto movimento e utilizzo del corpo e di trascrivere, sotto dettatura, semplici brani
nella loro interezza individuandone l’ambito ritmico-metrico, armonico e intervallare, nonché le
dinamiche e l’agogica;
- è in grado di analizzare, all’ascolto e in partitura, opere di vario genere, stile e epoca, cogliendone
caratteristiche morfologiche (dal punto di vista ritmico, melodico, dinamico e timbrico) e relazioni
sintattico-formali, rappresentandole anche attraverso schemi di sintesi pertinenti, utilizzando una
terminologia appropriata e individuando i tratti che ne determinano l’appartenenza a un particolare
stile e genere musicale;
- sul piano compositivo: lo studente padroneggia i diversi procedimenti armonici, anche
contemporanei, rintracciandoli in brani significativi attraverso appropriate tecniche di analisi e
servendosene per improvvisare, armonizzare melodie e produrre arrangiamenti e composizioni
autonome o coordinate ad altri linguaggi (visivo, teatrale, coreutico), senza escludere il ricorso agli
strumenti offerti dalla tecnologia attuale. La capacità di scrivere e arrangiare per singoli strumenti
ed insiemi strumentali/vocali presuppone la conoscenza degli strumenti e delle tecniche di
strumentazione, delle forme musicali e degli elementi della retorica musicale.
3
metri, timbri, forme, ecc.) e su temi multidisciplinari (musica/parola, musica/immagini), che offrano
lo spunto per attività di lettura, ascolto, analisi, improvvisazione e composizione;
- è guidato dal docente negli esercizi di lettura con la voce e con lo strumento e nella trascrizione di
brani monodici di media difficoltà nel rispetto delle indicazioni agogiche e dinamiche, nella
trascrizione dei bicordi, triadi e semplici frammenti polifonici a due parti ascoltati;
- è guidato dal docente: a cogliere durante l’ascolto e la lettura della partitura gli elementi
fondamentali e le principali relazioni sintattico-formali presenti in un semplice brano; a
padroneggiare i fondamenti dell’armonia funzionale producendo semplici arrangiamenti e brani
originali; a improvvisare e comporre individualmente, o in piccolo gruppo, partendo da spunti
musicali o extra-musicali anche sulla base di linguaggi contemporanei;
- dovrà essere in grado di riprodurre e improvvisare sequenze ritmiche e frasi musicali, nonché
semplici poliritmi e canoni, con l’uso della voce, del corpo e del movimento, curandone anche il
fraseggio.
SECONDO BIENNIO
Nel corso del secondo biennio lo studente approfondisce i concetti e i temi affrontati in precedenza
mediante percorsi organizzati intorno a temi con implicazioni storiche (modalità, contrappunto,
canone, evoluzione dell’armonia funzionale, storia delle forme musicali, ecc.) che consentano di
affinare le abilità di: lettura e di trascrizione polifonica e armonica, applicata a partiture di crescente
complessità; di analisi all’ascolto e in partitura di brani appartenenti a differenti repertori, stili,
generi, epoche; di improvvisazione e composizione che impieghino tecniche contrappuntistiche e
armoniche storicamente e stilisticamente caratterizzate.
All’interno dei seguenti percorsi sarà approfondita la conoscenza delle caratteristiche e delle
possibilità dei diversi strumenti musicali e le più importanti tecniche informatiche; conoscenze
verificate nel corso delle attività di composizione e arrangiamento, con o senza un testo dato, anche
a supporto di altri linguaggi espressivi.
Lo studente deve essere in grado di:
- riprodurre sequenze ritmiche complesse, poliritmi e polimetrie con uso del corpo e del movimento
e brevi brani musicali, sia individualmente sia in gruppo, evidenziando l’aspetto ritmico, il
fraseggio e la forma anche attraverso l’uso del corpo e del movimento.
- saper armonizzare e comporre melodie mediamente complesse e articolate, con modulazione a
toni vicini e lontani, progressioni, appoggiature e ritardi, utilizzando anche settime e none.
QUINTO ANNO
Lo studente:
4
- approfondisce la capacità di lettura e trascrizione all’ascolto di brani con diversi organici
strumentali e vocali, sia gli strumenti analitici, che saranno prevalentemente esercitati su brani del
XX secolo appartenenti a differenti generi e stili, ivi comprese le tradizioni musicali extraeuropee;
- esamina l’armonia tardo-ottocentesca e novecentesca che gli consentirà di elaborare/rielaborare
dei brani all’interno di improvvisazioni, arrangiamenti e composizioni;
- consolida le tecniche compositive funzionali alla realizzazione di prodotti multimediali e di brani
elettroacustici ed elettronici;
- sviluppa la capacità di armonizzare e comporre melodie mediamente complesse e articolate con
modulazione ai toni vicini e lontani, progressioni, appoggiature e ritardi e utilizzando anche settime
e none;
- apprende le modalità per elaborare e realizzare un progetto compositivo, con una forte vocazione
multidisciplinare, eseguito come prova finale, presentandone per iscritto le istanze di partenza e gli
scopi perseguiti.
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SECONDO BIENNIO
Lo studente apprende il profilo storico della musica europea di tradizione scritta dal canto
gregoriano e dalle origini della polifonia fino al secolo XIX e incontra alcuni grandi autori, quali
Machaut, Dufay, Josquin, Palestrina, Monteverdi, Vivaldi, Rameau, Bach, Händel, Haydn, Mozart,
Beethoven, Rossini, Schubert, Berlioz, Schumann, Chopin ecc. L’insegnante valuterà di volta in
volta il percorso didattico più adeguato alla sezione di liceo e alla singola classe, stabilendo quale
tratto dell’Ottocento includere nel biennio, se cioè arrestarsi a Beethoven e Rossini o se procedere
oltre.
L’attenzione dello studente si concentrerà sull’ascolto, la lettura e la comprensione di opere
musicali significative, schivando peraltro l’ambizione dell’enciclopedismo (del tipo ‘tutto Bach’ o
‘tutto Beethoven’) o, viceversa, del monografismo (del tipo ‘storia del concerto dal Sei
all’Ottocento’). Si potrà effettuare l’ascolto di opere selezionate anche da altri periodi storici.
Nel secondo biennio lo studente inizia ad approcciare: le diverse tipologie di fonti e documenti della
storia della musica; la storia della scrittura musicale; la storia e tecnologia degli strumenti musicali;
la storia della vocalità, nonché gli elementi basilari dell’etnomusicologia (modalità della
trasmissione dei saperi musicali nelle culture di tradizione orale; problematiche della ricerca sul
campo).
QUINTO ANNO
Lo studente:
- conosce il profilo storico dal secolo XIX ai giorni nostri e analizza autori come Liszt, Verdi,
Wagner, Brahms, Puccini, Debussy, Mahler, Stravinskij, Schönberg, Bartók, Webern, Šostakovic,
Britten, Berio, Stockhausen ecc., nonché fenomeni come il jazz, la ‘musica leggera’ e la cosiddetta
popuiar music;
- apprende i principii della storiografia musicale (finalità e metodi della musicologia storica),
differenziandoli dagli approcci che contraddistinguono la musicologia sistematica da un lato,
l’etnomusicologia dall’altro;
- amplia le proprie conoscenze abbracciando le musiche di tradizione orale, europee ed
extraeuropee (come ad es. le musiche popolari dell’Italia settentrionale, centrale, meridionale e
insulare, ecc.).
Gli Obiettivi Specifici di Apprendimento del laboratorio di Musica d’insieme sono ulteriormente
specificati e definiti nelle seguenti quattro sottosezioni contenute nel Piano dell’offerta formativa:
Gli obiettivi specifici di apprendimento sono perseguiti anche mediante la collaborazione con le
Istituzioni di Alta formazione musicale, tenendo conto della composizione delle classi e della
maturazione delle competenze strumentali degli studenti.
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Lo studente sviluppa:
- le conoscenze e abilità, in particolare nelle esecuzioni e interpretazioni di gruppo, con
un’appropriata padronanza tecnica, con l’adeguatezza stilistica e con l'applicazione di procedimenti
analitici pertinenti ai repertori studiati;
- le capacità di ascolto e valutazione (di sé e degli altri) anche in rapporto ad abilità esecutive
estemporanee ed improvvisative.
QUINTO ANNO
Lo studente:
- sviluppa strategie atte alla conduzione di ensemb/e alla preparazione di un brano;
- affina le proprie capacità di ascolto e di autovalutazione;
- comprende gli elementi che connotano generi e stili diversi;
- opera la contestualizzazione storico-stilistica dei repertori studiati;
- acquisisce un elevato grado di autonomia nello studio (individuale e in gruppo) e nella
concertazione di composizioni cameristiche o comunque scritte per organici ridotti.
TECNOLOGIE MUSICALI
SECONDO BIENNIO
Lo studente apprende i fondamenti dei sistemi di sintesi sonora e delle tecniche di campionamento,
estendendo la conoscenza dei software a quelli funzionali alla multimedialità, allo studio e alla
sperimentazione performativa del rapporto tra suono, gesto, testo e immagine, e pone altresì le basi
progettuali anche per quanto attiene alla produzione, diffusione e condivisione della musica in rete.
Acquisisce, inoltre, i principali strumenti critici (analitici, storico-sociali ed estetici) della musica
elettroacustica, elettronica e informatico-digitale.
QUINTO ANNO
Lo studente sperimenta e acquisisce le tecniche di produzione audio e video e quelle compositive
nell’ambito della musica elettroacustica, elettronica e informatico-digitale unitamente alla
programmazione informatica. Tali aspetti saranno affiancati da un costante aggiornamento nell’uso
di nuove tecnologie per l’audio e la musica, nei media, nella comunicazione e nella rete e da un
approfondimento delle tecniche di programmazione.
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INDIRE
SCUOLA PRIMARIA
Traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola
MUSICA
● L’alunno esplora, discrimina ed elabora eventi sonori dal punto di vista qualitativo, spaziale e in
riferimento alla loro fonte.
● Esplora diverse possibilità espressive della voce, di oggetti sonori e strumenti musicali, imparando ad
ascoltare se stesso e gli altri; fa uso di forme di notazione analogiche o codificate.
● Articola combinazioni timbriche, ritmiche e melodiche, applicando schemi elementari; le esegue con la
voce, il corpo e gli strumenti, ivi compresi quelli della tecnologia informatica.
● Improvvisa liberamente e in modo creativo, imparando gradualmente a dominare tecniche e materiali.
● Esegue, da solo e in gruppo, semplici brani vocali o strumentali, appartenenti a generi e culture differenti,
utilizzando anche strumenti didattici e auto-costruiti.
● Riconosce gli elementi costitutivi di un semplice brano musicale.
● Ascolta, interpreta e descrive brani musicali di diverso genere.
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Riporto di seguito la linkografia citata dall’Indire per eventuali approfondimenti.
BIBLIOGRAFIA E LINKOGRAFIA
DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 60 Norme sulla promozione della cultura umanistica,
sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività, a norma
dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera g), della legge 13 luglio 2015, n. 107.
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/05/16/17G00068/sg
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 30 dicembre 2017 Adozione del
Piano delle arti, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 60. (18A01381) (GU Serie
Generale n.50 del 01-03-2018)
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/03/01/18A01381/sg
INDICAZIONI NAZIONALI PER IL CURRICOLO della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di
istruzione, emanate con DM 16-11-2012
http://www.indicazioninazionali.it/J/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=8&
Itemid=102
RACCOMANDAZIONE DEL CONSIGLIO del 22 maggio 2017 sul quadro europeo delle qualifiche
per l’apprendimento permanente, che abroga la raccomandazione del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 23 aprile 2008, sulla costituzione del quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento
permanente
https://ec.europa.eu/ploteus/sites/eac-eqf/files/it.pdf
DIGCOMP 2.1. The Digital Competence Framework for Citizens with eight proficiency levels and
examples of use
12
https://ec.europa.eu/jrc/en/publication/eur-scientific-and-technical-research-reports/digcomp21-digital-
competence-framework-citizens-eight-proficiency-levels-and-examples-use
DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 62. Norme in materia di valutazione e certificazione delle
competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della
legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00070)
http://www.usrvenetodocumentazione.it/wpcontent/uploads/2017/05/02_PALUMBO_D.LVO_62_2017_
VALUTAZIONE_ESAMI.pdf
NOTA MIUR 10.10.2017, PROT. N. 1865. Indicazioni in merito a valutazione, certificazione delle
competenze ed Esame di Stato nelle scuole del primo ciclo di istruzione.
http://www.miur.gov.it/documents/20182/191877/prot1865_17.pdf/4d34c5c1-e567-4674-98e9-
9f38721a9005?version=1.0
D.M. 741 del 3/10/2017. Esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione
http://www.miur.gov.it/documents/20182/0/DM+741_2017.pdf/f7768e43-fb00-447d-8f27-8f4f584
f2f8f?version=1.0
LINEE GUIDA CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE. Trasmissione delle “Linee guida per la
certificazione delle competenze” al fine di orientare le scuole nella redazione dei modelli di certificazione
delle competenze per il primo ciclo – D.M. 742/2017.
http://www.miur.gov.it/-/linee-guida-certificazione-delle-competenze
THE AEC/POLIFONIA LEARNING OUTCOMEs for the 1st, 2nd and 3rd cycle studies in music
http://www.anvur.org/attachments/article/472/AEC%20Quality%20Assurance%20and~.pdf
Primo Rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al quadro europeo EQF giugno 2012
http://istruzioneer.it/wp-content/uploads/2012/08/Rapporto-EQF.pdf
13
AEC - Associazione Europea dei Conservatori, i report sulla formazione musicale accademica e
preaccademica nei paesi europei.
https://www.aec-music.eu/services/national-overviews
FONTI
- Musica a scuola. Il quadro didattico. Linee guida a cura di Franca Ferrari e Federica Pilotti (p. 10-
13).
14
Discipline musicali nella scuola secondaria di secondo grado:
il Liceo Musicale e coreutico
L’istituzione del Liceo musicale e coreutico è definita dal DPR n°89 del 15 marzo
2010 , il quale interviene sull’assetto ordinamentale dei licei; secondo tale decreto:
con l’istituzione dei Licei musicali viene garantita “la continuità dei percorsi
formativi per gli studenti provenienti dai corsi ad indirizzo musicale” , questi
ultimi già ricondotti ad ordinamento con la legge n°124 del 3 maggio 19993.
Sempre nel DPR 89/2010 è scritto che l’ingresso nel Liceo musicale è
subordinato al superamento di una prova che verifichi il possesso di specifiche
competenze musicali.
viene stabilito l’orario annuale delle materie obbligatorie (594 ore=18 ore
medie settimanali) a cui si aggiunge quello delle materie relative all’indirizzo
specifico del liceo (462 ore= 14 ore medie settimanali); il percorso dei 5 anni
è organizzato in due bienni più un quinto anno.
1
Art.7 comma 1 DPR 89/2010
2
Art.7 comma 1 DPR 89/2010
3
La legge 124/1999 portò ad ordinamento l’indirizzo musicale nelle medie, che fino ad allora era stato sperimentale
(l’avvio della sperimentazione musicale si ebbe a partire dal 1975 a livello regionale e dal 1979 a livello nazionale).
Importante fu anche il dm 6 agosto 1999, n° 201, che istituì la classe di concorso a077 (strumento musicale nelle
scuole medie)
Come appare evidente, l’inserimento delle materie specificamente musicali nel piano di studi del
liceo musicale ha richiesto un successivo intervento normativo (attraverso il DPR 19/2016 e il DM
259/2017) al fine di definire il riordino delle classi di concorso per ognuna delle materie e la
ridefinizione dei criteri d’accesso alle classi di concorso stesse.
Esecuzione e interpretazione
Dopo la prova d’ingresso (nella quale lo studente viene valutato sulla base delle
competenze riguardanti la formazione del suono, le tecniche di base per affrontare brani di
media difficoltà nello strumento scelto dall’alunno e la conoscenza di un repertorio di
base), il discente ha di fronte a sé un quinquennio nel quale studierà un primo strumento
(polifonico o monodico) e un secondo strumento (con caratteristiche opposte al primo: se
il primo è polifonico, il secondo sarà monodico e viceversa). Lo studente acquisirà, al
termine del percorso,capacità tecnico-esecutive grazie allo sviluppo di un metodo di
studio,all’acquisizione di un repertorio solistico e d’insieme, alla capacità di
contestualizzare la letteratura musicale, all’acquisizione di capacità analitiche, alla
maturazione di tecniche improvvisative e di lettura estemporanea, alla conoscenza
dell’evoluzione storica delle tecniche costruttive degli strumenti.
Primo biennio
Al termine di questo periodo lo studente avrà acquisito un rapporto tra gesto e produzione
sonora, dimestichezza con i sistemi di notazione e con le categorie morfologico-musicali
(dinamica,timbrica,ritmica ecc..). per il primo strumento l’alunno avrà sviluppato
consapevoli capacità esecutive e analitiche, mentre nel secondo strumento dovrà essere in
possesso degli elementi della tecnica di base.
Secondo biennio
Quinto anno :
Classe di concorso: A 64
Primo biennio
Secondo biennio
Quinto anno
Lo studente affina la capacità di lettura e trascrizione all’ascolto di brani con organici strumentali e
vocali; conosce l’armonia tardo ottocentesca e novecentasca; consolida tecniche compositive
finalizzate alla produzione di eventi multimediali.
Questa disciplina è presente, oltre che nelle sezioni musicali, anche nel II biennio delle sezioni
coreutiche.
Al termine del percorso di studi l’alunno avrà conoscenza dell’arco storico musicale occidentale e
di un’ampia varietà di opere musicali di epoche,stili, forme, generi diversi anche attraverso il
supporto dell’ascolto e dell’analisi. Lo studente saprà classificare le fonti storiche, conoscere
l’evoluzione della notazione, conoscere le caratteristiche degli strumenti orchestrali e sarà in
grado di verbalizzare le esperienze di ascolto utilizzando le categorie stilistiche specifiche dello
stile delle opere ascoltate.
Primo biennio
Secondo biennio
Conoscenza del profilo storico della musica europea scritta dal canto gregoriano al
XIX secolo. L’insegnante sceglierà un tratto dell’Ottocento da approfondire.
Quinto anno
Lo studente conosce la storia della musica dal XIX secolo agli autori contemporanei, nonché il jazz,
la musica leggera e la pop music. Apprendendo i principi della storiografia musicale, lo studente
imparerà a distinguerne il metodo da quelli della musicologia comparata e dall’ etnomusicalogia. Si
approfondirà lo studio della tradizione musicale extraeuropeaed eurorea, con particolare riguardo
alla musica popolare italiana.
Musica da camera
Primo biennio
Secondo biennio
Quinto anno
Lo studente, acquisita autonomia nello studio e nella concertazione di brani cameristici, impara a
gestire l’ensemble strumentale nella preparazione dei pezzi contestualizzando le scelte stilistiche a
seconda del brano affrontato.
Tecnologie musicali
Classe di concorso: A 63
Primo biennio
Conoscenza dell’acustica e della psicoacustica musicale, degli strumenti per l’elaborazione del
suono, dei software per l’editing musicale (dalla notazione all’hard disk recording e al sequencing)
Secondo biennio
Lo studente acquisirà le basi della campionatura e della sintesi sonora per produrre e condividere
in rete elaborazioni musicali
Quinto anno
Disciplina oggetto di studio nel primo biennio del Liceo musicale e coreutico sezione coreutica
attraverso la quale il discente matura la conoscenza degli elementi del linguaggio musicale in
relazione alla danza; lo studente dovrà saper riconoscere andamento, metro e tempo ascoltando
un brano musicale, dovrà saper leggere e intonare melodie, utilizzare piccoli strumenti a
percussione.
Oggetti di studio della disciplina sono gli elementi del linguaggio musicale, la loro simbologia
grafica, la notazione, il ritmo, l’uso della voce; tali elementi saranno contestualizzati attraverso
l’analisi ritmica dei brani di balletti del repertorio.
Laboratorio coreutico
Classe di concorso: A 59
L’insegnamento di questa disciplina avviene nel primo biennio della sezione coreutica; il
laboratorio coreutico è considerato come articolazione della materia “tecniche della danza
classica”.
Obiettivi specifici di apprendimento
Laboratorio coreografico
Anche questa disciplina è intesa come articolazone dell materia “Tecniche della danza classica” è si
svolge nel secondo biennio e nel quinto anno della sezione coreutica. Attraverso questa disciplina
lo studente approfondisce i registri tecnico-linguistici del repertorio ottocentesco e del primo
Novecento, imparando ad interagire nelle esecuzioni collettive.
Il laboratorio coreografico è disciplina praticata negli ultimi tre anni del coreutico ed è pensata
come articolazione di Tecniche della danza contemporanea; tale disciplina offre approfondimenti
sul piano espressivo.
Lo studente affronterà l’analisi del balletto ottocentesco. Il lavoro interpretativo si baserà sugli
elementi basilari del linguaggio gestuale; l’insegnante sceglierà le parti del corpo di ballo e dei
solisti adattandole alle possibilità della classe. Si opterà per brani di scuola russa, francese e
danese in relazione al programma di Tecnica della danza classica
Sperimentando ruoli solistici lo studente dovrà dimostrare padronanza dello spazio scenico e
maturità tecnica e artistica
Lo studente dovrà conoscere le linee principali del linguaggio coreutico contemporaneo e saper
analizzare la struttura ritmico-musicale, affrontando improvvisazioni a tema complesse sullo
schema “tema e variazione”.
1) Perché fare musica tutti?
● Tutti quando nascono hanno capacità artistiche. La scuola deve sostenere ed educare il
bambino nell’esperienza musicale, tanto da sostenerla e renderla patrimonio umano e culturale
condiviso da tutti. La musica promuove l’integrazione di diverse componenti : quella logica,
quella percettivo-motoria e quella affettivo sociale. Inoltre essa mette in moto una prolifera
interazione tra i due emisferi del cervello umano, migliora la capacità di apprendimento, facilita
lo svolgimento di operazioni complesse della mente e del corpo. In questo cammino è
importantissima la presenza nel curricolo scolastico di un maestro esperto che guidi ed erudisca
i ragazzi nell’universo dei suoni e che tale curricolo venga istituito in tutti i gradi di scuola,
proseguendo in itinere la pratica già esercitata nei gradi precedenti (raccomandazione del
Consiglio dell’Unione Europea 18/12/2006).
il curricolo è il luogo privilegiato di svolgimento della pratica musicale come già previsto nelle indicazioni
curricolari; si converrà quindi che 10 anni di pratica musicale non potranno non lasciare traccia
di detta competenza.
Il comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica ritiene che per la realizzazione di questi
valori e di queste prospettive sia necessario introdurre un’assoluta novità nella scuola italiana,
un piano che prevedi che la musica divenga parte integrante della cultura di base di ciascuno. La
scuola ha quindi il compito di insegnare a leggere, a scrivere, a far di conto e dunque a far di
canto.
L’apprendimento pratico della musica necessita di insegnanti musicisti esperti e deve prevedere spazi in cui
istaurare una relazione diretta allievo –docente. Il progetto formativo deve prevedere necessariamente
momenti di apprendimento personalizzato, per singoli allievi o piccoli gruppi, e altri relativi ad attività
collettive. Per cui si dovrà tener presente:
● L’esigenza della scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, di praticare didattiche musicali integrative e
collettive che utilizzino il corpo, la voce, gli strumenti didattici.
● La necessità di sviluppo della pratica corale, pratica in piccoli gruppi strumentali, di teatro musicale e della
pratica coreutica.
● La possibilità dell’insegnamento individuale e per piccoli gruppi di uno strumento musicale.
● La necessità di elevare la cultura musicale complessiva.
▪ Definire l’insieme di titoli/competenze che occorrono ai docenti per l’insegnamento della musica;
▪ Rilevare quali e quanti docenti hanno i titoli/competenze e vogliono svolgere l’insegnamento pratico della
musica.
Per la scuola secondaria di primo grado
Incentivare la pratica corale e strumentale, garantendo una e più omogenea diffusione sul territorio dei
corsi ad indirizzo musicale
✔ Provvedere a un aggiornamento del D.M. 201/1999 e all’ampliamento della gamma degli strumenti
effettivamente insegnati, anche in vista dell’attivazione dei licei musicali
In tutto ciò è necessario un sistema di formazione continua che accompagni il lavoro quotidiano, assecondi
le iniziative e sostenga il percorso operativo di tutte le figure professionali interessate, referenti regionali e
provinciali, docenti ,dirigenti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario.
✔ I referenti regionali e provinciali rappresentano gli interlocutori tra scuole e Ministero a livello nazionale la
loro formazione è importante per motivarli affinché possano dare un valido contributo al coordinamento
del PIANO;
✔ I docenti coinvolti nelle attività musicali necessitano di un reticolo di percorsi formativi didattici diversi tra
loro, anche sotto forma di master presso le istituzioni AFAM e le Università in vari ambiti: ( la coralità, il
teatro musicale, l’uso di strumenti in attività individuali o d’ensemble, la danza, percorsi di ascolto musicale,
l’informatica musicale, uso di programmi di wave editing, sound recording, composizioni musicali di base,
ecc….);
✔ È necessario un momento di formazione specifico che accompagni il dirigente nel suo ruolo di
coordinamento e di leadership, lo sostenga con specifici strumenti informativi e di consulenza e lo metta in
grado di interagire con reti di scuole banche dati per il confronto con la lettura educativa sull’argomento e le
migliori pratiche;
✔ Anche il personale amministrativo, tecnico e ausiliario necessita di una formazione che li metta in
condizione di offrire il proprio impegno lavorativo per favorire i processi qui disegnati.
A livello scolastico la pratica musicale deve interfacciarsi con le iniziative previste dal piano dell’offerta
formativa delle singole istituzioni scolastiche. Le scuole singolarmente o in rete possono formare una
specifica Commissione musica con un docente referente e/o funzione strumentale per la musica. È
essenziale che nella progettazione e/o nella ristrutturazione o adeguamento degli edifici scolastici si
prevedano spazi acusticamente adeguati alla diffusione e alla produzione musicale.
A livello regionale il sistema di rete deve tener conto:
✔ Della complessità del territorio, che richiede la presenza di un referente o piu referenti, che facciano capo
allo stesso, presso gli uffici scolastici regionali.
✔ Dei processi amministrativi e dell’organizzazione territoriale delle risorse umane ed economiche. Della cura
dei rapporti interistituzionali con Enti e Associazioni pubbliche e private.
✔ Dei contenuti progettuali tanto da garantire la massima coerenza tra le indicazioni per il curricolo nazionale
e i bisogni e le esigenze locali
✔ Della necessità di avvalersi di piattaforme di lavoro condivise con le varie scuole.
A livello nazionale, per sostenere la realizzazione del Piano è necessario che venga istituito dal
Dipartimento per l'Istruzione un Gruppo Nazionale di Progetto il quale avrà il compito di curare la
collaborazione con i referenti regionali e con le eventuali strutture di coordinamento dei laboratori musicali
di rete e avrà il compito di coordinare le attività di monitoraggio quantitativo e qualitativo per rilevare i
processi e la valutazione dei risultati.
Risorse finanziarie
Finora si è fatto riferimento alle risorse umane già presenti negli organici di istituto o a risorse esterne da retribuire
con fondi già a disposizione del sistema e delle scuole e con fondi provenienti da altre fonti pubbliche o
private.
Il Piano pluriennale costituisce il punto di riferimento per il progressivo raggiungimento di obiettivi
sicuramente praticabili ma è evidente che la gradualità della realizzazione e la qualità dei risultati dovranno
trarre giovamento da nuove risorse le quali potranno derivare sia da finanziamenti Generali e specifici
nazionali, sia da contributi erogati da soggetti pubblici e privati del territorio.
Esse saranno destinate allo sviluppo professionale dei docenti e di tutto e personale e all' adeguamento
dell'organico alle nuove esigenze didattica, in particolare al potenziamento:
- dell'insegnante personalizzato;
- delle attività di musica d'insieme;
- delle risorse strumentali e ambientali.
Particolare attenzione dovrà essere dedicata alle opportunità offerte dai finanziamenti europei sia Generali
che nell'ambito dei fondi strutturali. Appare evidente che la partenza del Piano pluriennale non è vincolata
da un immediato costo di attuazione in termini strutturali di organici; esso è Infatti realizzabile anche senza
aggiunta di nuove risorse. Ciò che si rende indispensabile è che si proceda verso una strada nuova, concreta
è operativa: fare musica tutti.
LE TECNICHE DI CONSAPEVOLEZZA NELL’EDUCAZIONE MUSICALE DI BASE E NEL TRIENNIO DELLA SCUOLA
SECONDARIA DI I° GRADO
Interventi di
L’argomento della ricerca si basa su un percorso tripartito, partendo dalla spiegazione di quali sono le
principali tecniche di consapevolezza (sezione 1), di quali siano i presupposti su cui edi- ficare
l’apprendimento (sezione 2), ma soprattutto di come effettivamente possano trovare ap- plicazione nella
realtà scolastica in generale e in particolare nell’educazione musicale, arrivan- do a descrivere tipi di attività
in seno all’educazione musicale nei quali l’uso delle tecniche di consapevolezza può dare un contributo
importante per il raggiungimento degli obiettivi (sezio- ne 3). In un certo senso questa schematizzazione
risulta necessaria proprio perché passa da un possibilismo comunque pragmatico all’attuazione dello stesso,
muovendosi contro lo sche- ma che vede l’insegnamento della musica e dello strumento all’interno della
scuola media in modo squisitamente nozionistico.
Per educare e istruire spesso ancora oggi si fa affidamento sulle discipline stesse senza tener conto delle
carenze strutturali e dei limiti d’apprendimento dell’alunno. Un’adeguata riflessione sulle motivazioni che
impediscono al bambino di apprendere porterebbe a ribaltare completa- mente la visione
dell’insegnamento sia dal punto di vista concettuale che da quello pratico. Ogni disciplina per poter essere
compresa ha bisogno di un adeguato terreno, di una mente sviluppata al giusto livello, di un desiderio di
apprendere, di un’idonea condizione fisica. Per esempio, ad un bambino mal coordinato che scrive
lentamente non si può chiedere di scrivere in fretta o soltanto più velocemente poiché il risultato potrà
essere disastroso con la conse- guente demotivazione al lavoro. E’ chiaro che se si vorrà aiutare il bambino
si dovrà compiere un lavoro sulla coordinazione e/o sulle cause dei reali impedimenti a svolgere ciò che
viene ri- chiesto. L’esercizio puro e semplice non solo non sarà sufficiente ma porterà ad un ulteriore
sviluppo della cattiva coordinazione.
La disciplina in se stessa, sia intesa come materia di studio che come attitudine, può: danneg- giare; non
essere sufficiente all’acquisizione; essere in alcuni casi quasi sufficiente all’acquisizione; essere in rarissimi
casi la strada giusta (qualora il soggetto sia dotato di auto- controllo, coordinazione ecc.).
Nello studio dello strumento è esattamente lo stesso: l’esercizio nudo e crudo premierà il ta- lento e
scoraggerà colui che proprio attraverso lo studio è alla ricerca di una maggiore crescita armonica.
Il procedere per tentativi senza andare alla radice dei modelli posturali difettosi, degli schemi mentali rigidi
e degli stati emotivi non idonei all’apprendimento è una pratica che già dai primi del 1900 ha cominciato a
vacillare.
In poche parole è necessario imparare ad imparare, avere, sviluppare e raffinare i mezzi per apprendere, il
primo di cui è senz’altro la capacità d’attenzione. Questo ovviamente in merito alla ricerca svolta trova la
sua collocazione nelle prime due sezioni. La seconda sezione è un ponte concettuale tra la prima e la terza,
e risente già della necessità di affiancare alla teoria un discorso pratico che nel progetto finale dovrebbe
raggiungere il suo scopo. È altresì impor- tante sottolineare che la seconda sezione analizza le basi
dell’apprendimento non solo in rife- rimento al discente, ma anche all’insegnante, ed al ruolo che questi
dovrebbe ricoprire all’interno della struttura nella quale opera. Una simile direzione diviene anche pretesto
per un’analisi critica della figura del docente, e soprattutto dei programmi scolastici attuali, che ad esempio
non tengono conto dell’educazione propriocettiva, basata sulla posizione e il movi- mento delle parti del
corpo relativamente l’una all’altra. Questa scarsa considerazione significa escludere la possibilità di un
apprendimento tattile, basato cioè sulla sensazione o più in gene- rale sui sensi. Normalmente l’unico dei
cinque sensi che viene utilizzato è la vista. Ma concepi- re l’idea che in ambito musicale non si sviluppi la
sensazione tattile o del corpo è un vero pa- radosso, poiché l’intelligenza che si sviluppa attraverso un lavoro
di questo tipo è sicuramente di tipo pratico, incentrata sulla capacità di orientare il movimento e di collegare
rappresenta- zioni mentali allo stesso.
di Claudio Gevi
“Il suono ha bisogno di un corpo?” Questa domanda stimolante e provocatoria mi è ri- suonata spesso nella
mente, facendomi interrogare sui rapporti tra il suono e l’uomo. Come musicista, come insegnante e come
essere umano avvolto in un mondo di vi- brazioni d’ogni genere, sono portato a vivere quotidianamente
questa relazione.
Cos’è un corpo? Come potrebbe manifestarsi un suono senza partecipare alla vita del suo mezzo di
trasmissione? Come può il corpo essere più ricettivo e permeabile alle vibrazioni sonore, con il loro
potenziale terapeutico, riequilibrante e creativo?
Queste domande hanno la capacità d’indicare alcune direzioni di ricerca, sia sul feno- meno vibratorio, sia
sugli strumenti atti a produrlo e a trasmetterlo, e sono inestrica- bilmente collegate a tematiche filosofiche,
cosmologiche, scientifiche.
Ma pur tenendo vivi tutti questi interrogativi li lascerò sullo sfondo, come un terreno sul quale la nostra
struttura umana si è costruita, vive ed è spinta a comprendere; cercherò, invece, di indirizzare l’attenzione
sul modo in cui è possibile approfondire e rendere più sensibile la relazione col corpo quale strumento di
produzione e ricezione del suono e della musica.
Sarebbe materia di un intero volume trattare le corrispondenze tra il corpo umano e gli strumenti musicali,
ma può forse bastare un accenno alle forme degli strumenti, a volte simili all’intero corpo (il violoncello), a
volte solo a parti di esso (i primi flauti fat- ti con le tibie e così chiamati, il corno e l’orecchio), alle materie
con diversa densità di vibrazioni (membrane, ossa e legni, corde e tendini, polmoni e sacche, pelli, liquidi, fi-
no ai collegamenti nervosi e gli strumenti elettronici, ecc.).
Tutto ciò ci mette nella prospettiva di considerare noi stessi ancora di più come corpi sensibili e risonanti in
ogni parte, e gli strumenti musicali quasi come un’emanazione ed un ricordo della nostra struttura, animati
dalle stesse sonorità che ci costituiscono. E, come è importante che lo strumento musicale sia costruito con
materiali vibranti e risonanti, che sia ben accordato, che le sue proporzioni siano armoniche e funzionali per
produrre un suono ricco di qualità e sfumature, allo stesso modo il corpo di chi produce o riceve il suono ha
bisogno di essere libero e fluido per essere attraversato dalle vibrazioni musicali e non deve frapporre inutili
ostacoli all’emissione ed al pas- saggio del suono.
Per ascoltare è necessario il silenzio. Ma quale tipo di silenzio è necessario per ascolta- re il corpo e perché il
corpo stesso diventi capace di ascoltare?
Sto parlando di silenzio in termini relativi e si tratta comunque di due soggetti che non possono esistere
separati: infatti come potrebbe esserci il silenzio senza l’ascolto? Per ascoltare il corpo è necessario
innanzitutto abbassare il volume della sua attività, e di- ventare quindi sensibili alle minime sfumature.
Nel metodo Feldenkrais, per rendere il corpo più sensibile in questa direzione, si diminuisce il volume
dell’attività muscolare riducendo i movimenti al minimo, talvolta eseguendoli solo nell’immaginazione e
percependo l’impulso al movimento senza che questo si manifesti. Lo stesso principio vale anche per la
velocità, per cui, soprattutto all’inizio, i movimenti sono eseguiti lentamente, per sentirli in ogni loro fase e
per ri- produrli anche in modo reversibile, così da assaporarne ogni istante. Così è possibile diventare più
consapevoli del modo in cui ci muoviamo, che ad un’osservazione atten- ta ed imparziale rappresenta ciò
che siamo: in altre parole, secondo Feldenkrais, poi- ché in ogni azione umana sono presenti pensiero,
sentimento, sensazione e movimen- to, l’ascolto profondo di una di queste componenti (nel nostro caso il
movimento) può
rappresentare una via d’accesso all’essere intero. Continuando, invece, a muoverci con la stessa velocità ed
intensità, riproduciamo i nostri schemi abituali che riteniamo, anche questo in modo abitudinario, giusti e
naturali; perciò risulta più difficile valutar- ne la funzionalità e la convenienza, a meno di trovarsi in
situazioni che ci costringono a sentirne l’inadeguatezza e ci fanno toccare con mano la necessità di un
cambiamen- to. Cominciando a studiare il movimento ad un altro ritmo e riducendo lo sforzo, ini- ziamo ad
uscire da un’abitudine che non è solo corporea, ma soprattutto mentale, abi- tudine che spesso ci costringe
a fare tutto come veloci macchinette senza consapevo- lezza. Abbassando il volume della nostra attività
abituale, invece, cerchiamo di aprirci ad un ascolto più ampio e profondo di noi stessi.
Un'altra forma di ricerca di silenzio nel corpo è l’eliminazione delle contrazioni, chia- mate parassite, che
impediscono il fluire del movimento così come il passaggio delle vibrazioni.
Per contrazioni parassite s’intendono tutte le tensioni muscolari, anche in zone lonta- ne, che non sono
funzionali al movimento e che possono ostacolarlo, togliergli ener- gia, diminuirne la velocità o l’efficacia e
tutto ciò senza che la persona ne sia consape- vole.
Riuscire a rendersi conto di queste inutili contrazioni, che spesso non sono soltanto frutto di abitudini fisiche
ma derivano anche da complesse interazioni di fattori, è il primo passo per scioglierle e permettere al corpo
di ritrovare una libertà ed un’elasticità che influenzano la globalità della persona.
Un corpo elastico vibra diversamente da un corpo rigido; questo è facilmente verifica- bile esercitando una
lieve pressione sul tallone di una persona sdraiata, prima e dopo una lezione d’integrazione funzionale; ma
la differente fluidità dell’onda di movimento che passa nel corpo, che è perfettamente visibile, è solo il
riflesso esterno di una si- tuazione che è sperimentata dal soggetto anche internamente a livello
psicologico. Una struttura elastica e fluida è più permeabile alle vibrazioni sonore e la qualità del suono si
modifica notevolmente se questo è prodotto a partire da una simile condizio- ne.
Nelle lezioni di integrazione funzionale le mani dell’insegnante guidano l’allievo a spe- rimentare modi di
muoversi meglio organizzati. È un processo di comunicazione non verbale, di volta in volta adattato alle
necessità personali e nel pieno rispetto delle possibilità dell’individuo. Nelle lezioni di consapevolezza
attraverso il movimento inve- ce, si è guidati dalla voce dell’insegnante, e gli allievi eseguono movimenti che
coin- volgono non solo ogni parte del corpo, ma anche il proprio atteggiamento, l’immaginazione,
l’attenzione, la percezione e la conoscenza di sé. Ognuno lavora in base alle proprie possibilità e necessità.
Questo atteggiamento attento e sensibile por- ta a ritrovare movimenti dimenticati e a scoprirne di nuovi.
Feldenkrais, provocatoriamente, dice che la consapevolezza non è necessaria alla vita, ma potremmo
domandarci di quale vita stiamo parlando. L’affermazione precedente è sottoscrivibile esaminando
l’esistenza degli organismi unicellulari così come quella de- gli animali più evoluti; anche noi esseri umani,
infatti, possiamo passare lunghi periodi della nostra vita in uno stato di quasi totale assenza della parte più
consapevole di noi stessi (assenza che è stata definita da diversi ricercatori una specie di sonno ipnotico).
Ma, una volta superate le tappe della crescita fisica e di quella che la società richiede a quasi tutte le
persone in termini di soddisfazione di alcuni bisogni primari, sia sul pia- no del sostentamento che della
relazione, la nostra crescita, più o meno automatica, può arrestarsi e non essere più stimolata dalle
condizioni esterne.
Qui entra in gioco lo sviluppo di una vita più consapevole, e si ripresenta l’interrogativo su che cosa
chiamiamo vita.
Se rallentiamo il movimento, quindi, e diminuiamo la sua ampiezza e la quantità di sforzo necessaria per
produrlo, abbassiamo in un certo senso il volume dell’attività corporea e possiamo diventare più sensibili
alle minime variazioni che possono verifi-
Si potrebbe obiettare che ad una diminuzione dell’attività fisica sembri corrispondere un aumento
corrispondente dell’attività mentale (e quindi un aumento di volume!) che cerca di diventare consapevole
del movimento. Ma il problema non è quello di dividere ulteriormente l’essere umano, bensì di integrarlo;
in questo senso l’attività mentale in questione non è separata ma strettamente ed organicamente collegata
anche nel mo- dus operandi: l’attenzione è calma, flessibile ed aperta e passa alternativamente dal
particolare ad una vista d’assieme, osserva, accompagna, produce il movimento e scaturisce da esso, in un
dialogo che manifesta la presenza di un livello superiore di ascolto che ingloba ed integra tutte le parti
presenti.
Questo abbassamento del volume dell’attività fisica e mentale permette di aprirsi, all’interno della vita di
tutti i giorni, ad un ascolto di una vita più sensibile, che ci col- lega a parti sconosciute o dimenticate del
nostro essere.
È facile intuire quanto sia conveniente per l’organismo lavorare in ambiti che non lo impegnino al massimo
delle sue possibilità o persino lo danneggino, e che al tempo stesso ne sviluppino la sensibilità mantenendo
inalterato il flusso di informazioni. Diminuire lo sforzo, dunque, permette di cogliere differenze sempre più
sottili e que- sto atteggiamento, sviluppato sul piano del corpo, si può diffondere anche a livello psichico,
contribuendo al formarsi di una relazione più intima e diretta con la globalità della vita.
Lo sviluppo della consapevolezza avviene attraverso un ascolto attento del modo in cui i movimenti sono
eseguiti e dello stato interno complessivo da cui sono prodotti; l’effetto che lasciano nell’intero essere della
persona è parte integrante del movimento stesso. La descrizione di questo atteggiamento può essere
ingannevole e spostare completamente l’asse di riferimento su un piano puramente mentale dove non
esiste più il gusto vivente del processo; in molti casi le parole consapevolezza, attenzione, ascolto, sembrano
evocare solo una componente faticosa dove non esiste più la pie- nezza anche gioiosa della vita. Spesso,
anzi, queste parole ci trascinano nella noia e in una dimensione dove l’intuizione e la spontaneità sono
assenti.
In realtà, molto frequentemente, l’osservazione di se stessi è accompagnata da una rigidità che sembra
bloccare il fluire delle forze in cui siamo avvolti e che attribuisce troppa importanza a noi stessi come
soggetti osservanti; così si verifica una forma di separazione tra osservatore e osservato che tende a fissarsi
in un atteggiamento giu- dicante e distruttivo, e non lascia che le nostre potenzialità si sviluppino e si
integrino armoniosamente.
Tutto questo è quanto di più lontano dall’energia che può animare una qualsiasi forma d’arte, sia essa la
musica, la pittura, la danza, ecc. Ma, forse, questa è una fase quasi inevitabile in un processo di
avvicinamento a se stessi dove ogni aspetto della vita è possibile e va conosciuto.
L’ascolto e l’osservazione che sono praticate nel metodo Feldenkrais partono da una totale accettazione
della situazione presente, da un accoglienza della propria e altrui totalità; la relazione tra osservatore ed
osservato va, quindi, nella direzione dell’integrazione e dell’unità.
Questo atteggiamento, dove il giudizio distruttivo non è presente, non ha nulla di ac- canito od ossessivo: è
leggero, giocoso ed intenso, silenzioso e inaspettato, e si avvi- cina molto all’atteggiamento di esplorazione
che tutti abbiamo avuto nella nostra pri- ma infanzia, e dunque all’infanzia può e dovrebbe essere riferito.
In questo senso mi sembra appropriato, collegandolo a una visione artistica, citare una definizione di R. Alon
che parla di “consapevolezza piena di spontaneità”.
La qualità del movimento testimonia la qualità del sentimento, proprio come movi- mento e sentimento
testimoniano l’appartenenza ad un’unità. La qualità di questi due elementi può manifestare un miglior
suono e una migliore fluidità del discorso musica-
le.
Il metodo Feldenkrais lavora sul livello dell’unità, sicché, quando si parla di silenzio del corpo, di ascolto del
corpo nell’ambito di questo metodo, in realtà sono coinvolti molti livelli differenti; si tratta, quindi, anche di
un’attività mentale direzionata, funzione di un atteggiamento più consapevole e della sua conseguente
influenza sulla condizione emotiva: potrei sintetizzare attribuendo a questo stato d’ascolto un grado di
coscienza più ampia e profonda di quella abituale, che raccoglie e contiene l’essere intero, unifi- candolo.
L’attenzione e il rispetto per i propri limiti favoriscono un atteggiamento che cambia completamente il
sentimento verso se stessi, perché richiede un livello d’accettazione di sé e una mancanza di senso di
competizione esteriore, a vantaggio di un accresciu- to interesse per il proprio essere, che porta nella
direzione di una trasformazione del clima psichico della persona.
Altro aspetto fondamentale è l’effetto che la postura e la qualità del modo di muoversi hanno sul clima
emotivo della persona; questo diventa di enorme importanza per esempio per il musicista che vuole essere
veicolo disponibile alla manifestazione di contenuti emotivi assai diversi, soggetti dunque ad una
modificazione.
Ciò avviene in quanto la relazione con la postura non è solamente meccanica, nel sen- so che ad una
determinata posizione o ad una sequenza di movimenti corrisponda uno stato psichico definito; questa è
una relazione possibile, vera e relativamente oggetti- va (si pensi al patrimonio di ricerche in tal senso che si
ritrova in tutti i teatri tradizio- nali, ed anche nel tirocinio di studi che deve compiere un attore
contemporaneo), ma deve tener conto, comunque, del punto di partenza della persona e quindi del modo
in cui le è possibile prendere quella determinata posizione o fare quei movimenti; in altre parole, se io
assumo per esempio una posizione o mi muovo in un modo che possa, in linea di massima, suscitare in me
e negli altri un’impressione di nobiltà, di calma e re- galità, ma lo sforzo fisico (dei muscoli, delle
articolazioni e di tutto il mio sistema ner- voso) che compio per sostenerli, fa provare, a tutto il mio
organismo, un senso di co- strizione, d’oppressione e di patimento, l’effetto sul mio clima psichico e
l’impressione suscitata non saranno certamente quelli suggeriti dalla postura e dai movimenti sud- detti.
Voglio quindi sottolineare l’importanza decisiva del modo in cui vengono assunti i mo- vimenti e le posizioni:
la loro presunta oggettività va corroborata da un’altrettanto po- tente, soggettiva attenzione verso se stessi
e verso il come sono sostenuti.
In ultima analisi ciò a cui tende la ricerca attraverso questo metodo è la possibilità di vivere pienamente la
propria vita di esseri umani, in tutte le sue dimensioni, qualun- que sia il proprio stato. La curiosità, la
vicinanza al proprio essere, l’accettazione della propria condizione, il piacere derivante dal movimento, la
sensazione di fluidità inte- riore, l’atteggiamento aperto verso l’apprendere, sono alcune delle componenti
che stimolano verso una vita più creativa, basata su un contatto profondo con le nostre qualità individuali. È
questo, per Feldenkrais, il criterio di sanità.
Questo, naturalmente, non vuol dire che tutti debbano essere necessariamente artisti (secondo la nozione
corrente del termine), ma vi può essere “arte”, in quanto sinoni- mo di sensibilità e diletto in alcune
manifestazioni della vita quotidiana che corrispon- dono alla nostra naturale inclinazione e alle quali tutto il
nostro essere partecipa pie- namente.
Risulta, quindi, ancora più evidente il fondamento di questo atteggiamento per un mu- sicista discente che
cerca di mettere tutte le sue funzioni e le sue qualità al servizio di un’efficace manifestazione sonora.
di Daniele Salvini
Per Alfred Tomatis l’ascolto ricopre un ruolo fondamentale nella costruzione dell’individuo e delle sue
relazioni col mondo circostante. Nato nel 1920 a Nizza da genitori italiani entrambi cantanti,
otorinolaringoiatra, ricercatore, teorico, terapeuta, ha scoperto caratteristiche e funzioni dell’orecchio
umano in parte sconosciute e/o tra- scurate dalla medicina ufficiale.
Decenni di ricerche e sperimentazioni lo hanno portato a considerare la funzione dell’ascolto come aspetto
centrale nell’equilibrio psicofisico della persona. L’orecchio– campo privilegiato dei suoi studi – non
presiede soltanto alla facoltà di udire, ma an- che alla capacità di ascoltare: essere aperti ad ascoltare il
mondo significa sviluppare maggiore consapevolezza in relazione a memoria, concentrazione, condizioni
psicolo- giche, comunicazione interpersonale. Nei suoi studi Tomatis si è occupato del rapporto tra
audizione e fonazione. In particolare, esaminando la condizione di numerosi operai degli arsenali
aeronautici francesi colpiti da sordità per cause professionali, in quanto esposti per lungo tempo al rumore
delle macchine su cui lavoravano, egli ha rilevato come al trauma uditivo se ne accompagnasse sempre uno
di tipo vocale: le frequenze non recepite dall’orecchio erano assenti anche dallo spettro vocale. Egli scoprì
dunque quello che verrà definito effetto Tomatis: la voce contiene solo i suoni che l’orecchio è in grado di
sentire. Allo stesso modo, quando all’orecchio sono restituite le frequen- ze perdute, queste vengono
immediatamente restituite all’emissione vocale. A scopo terapeutico, Tomatis elaborò una tecnica
finalizzata al miglioramento delle possibilità di ascolto, in modo da migliorare conseguentemente le qualità
vocali dei cantanti in cura presso di lui. A lui si deve la scoperta di caratteristiche dell’orecchio mai eviden-
ziate prima, come la funzione di carico, nota agli zoologi ma poco considerata in fisio- logia umana:
l’orecchio fornisce al cervello e in generale al sistema nervoso l’energia neuronale necessaria a sviluppare al
meglio le sue funzioni. In particolare, all’interno del nostro campo di udibilità, sono le frequenze acute le più
ricche di energia per il si- stema nervoso, mentre i suoni gravi hanno un effetto di rilassamento poiché
scaricano l’energia nervosa in eccesso. Le frequenze acute sono poi quelle che il feto è in grado di ascoltare
nei mesi di vita intrauterina: la voce materna arriva per conduzione ossea e, filtrata dal liquido amniotico,
verrebbe ascoltata su frequenze non inferiori a 5000- 6000 Hz. Queste osservazioni sono fondamentali,
perché Tomatis ritiene l’esperienza sonora intrauterina determinante per la formazione della personalità
futura dell’individuo, del suo modo di ascoltare e di relazionarsi con gli altri e col mondo cir- costante.
Altra importante scoperta è l’esistenza del circuito nervoso orecchio destro-emisfero cerebrale sinistro per
lo sviluppo di un corretto ascolto e di un adeguato linguaggio verbale; la lateralità uditiva destra ha inoltre il
vantaggio di permettere un migliore controllo della sfera emotiva individuale.
Allo scopo di ottenere suoni analoghi a quelli che vengono percepiti nel grembo ma- terno, Tomatis costruì
un sistema di microfoni ed altoparlanti immersi nell’acqua tra- mite i quali era possibile ottenere suoni e
voci filtrati. Questi suoni furono utilizzati a scopo terapeutico per aiutare i pazienti a superare depressioni,
problemi psicologici, conflitti relazionali a livello familiare e in particolare con la madre. “Una delle prime
persone ad ascoltare l’universo appena scoperto fu il padre di una paziente di Tomatis. Ora questi fece
passare al magnetofono la voce della madre della piccola paziente trattata dall’apparecchiatura e simulante,
quindi, la voce così come era stata ascoltata in utero dalla ragazzina. Poi con un sistema di defiltraggio
progressivo il suono passa- va da 8000 Hz a 50 Hz, il che secondo le sue teorie doveva mimare il vissuto
sonoro dell’atto della nascita. La piccola di 9 anni che assisteva dietro di loro, seduta su una sedia, parve
improvvisamente entrare in una specie di sogno verbalizzato preceduto da una tensione indicibile. Le prime
parole furono: “Sono in un tunnel e alla fine vedo due angeli”. Alla domanda di Tomatis come questi fossero
vestiti, lei rispose: “Di bian-
co” completando così la descrizione dell’ostetrico e del suo assistente. Dopo una breve pausa proseguì:
“Esco dal tunnel e vedo la mamma”. Il padre, non potendo fare a meno di intervenire, chiese come vedeva
la mamma e la piccola, assumendo la posi- zione ginecologica, a gambe sollevate, finì dicendo: “Così”
mentre nello stesso mo- mento si fermava la registrazione. Era fuori discussione che la ragazza aveva
rievoca- to un vissuto lontano e difficile da inventare per una bambina di nove anni”.
In un altro caso Tomatis effettuò una sorta di parto sonoro, facendo ascoltare la voce materna filtrata ad un
ragazzo schizofrenico: “Iniziato l’esperimento, il ragazzo, che normalmente sembrava non interessarsi a
niente, evitava il contatto con la madre e le uniche attività cui era dedito erano di tipo compulsivo, scattò
dall’angolo in cui si era rifugiato verso l’interruttore della luce, nascosto da un armadio e difficile da trovare
anche per un adulto in condizioni normali. Fatto piombare il laboratorio nel buio, que- sti, grazie alla debole
luce delle apparecchiature elettroniche, camminando per la stanza con una precisione sconcertante, andò a
sedersi sulle ginocchia della madre, si mise il braccio di lei sul grembo e per un quarto d’ora circa assunse la
posizione fetale succhiandosi il pollice. Finita la registrazione si alzò di scatto, accese la luce e se ne andò
seguito dalla madre a cui si era avvicinato per la prima volta dopo dieci anni. Sconcertati, ma entusiasti di
quello che era successo, Tomatis e i suoi colleghi si pro- posero di continuare l’esperimento la settimana
successiva. Al nuovo incontro la ma- dre segnalò un cambiamento nel comportamento del figlio verso di lei
dopo la prima esperienza, mostrando un desiderio di riavvicinamento mai manifestato prima. Stesso
procedimento della volta precedente, all’inizio della somministrazione della voce ma- terna filtrata il
giovane si accovacciò sulle gambe della madre. Tomatis passò allora a quello che poi sarà chiamato “parto
sonoro”, defiltrando progressivamente la voce fino a farla ascoltare senza alcun filtro, cioè passò dalle
frequenze ascoltate per via liquida alle frequenze ascoltate per via aerea. Al prodursi di ciò il ragazzo, che se
ne stava in silenzio succhiandosi il pollice, iniziò a emettere una serie di suoni che assomigliavano a un
balbettio. Alla fine della registrazione egli si alzò, riaccese la luce e tornò verso la madre riabbottonandole il
cappotto.(...) con quel gesto il ragazzo segnalava di essere stato partorito”.
Gli studi in questo campo hanno portato Tomatis a considerare che il desiderio di co- municare e le strutture
profonde del linguaggio umano prendono forma, ancor prima della nascita, durante i nove mesi di
gestazione, proprio grazie alla relazione con la madre che si stabilisce innanzitutto con l’ascolto della sua
voce. Questo è permesso dallo sviluppo dell’apparato uditivo che è relativamente veloce, e, a partire dai
primi giorni di vita, permette una funzionalità completa attorno al quarto mese e mezzo, quando anche la
struttura dell’orecchio interno è completa. In questi mesi di vita nel grembo materno sembra che funzionino
le cellule uditive alla base della coclea, depu- tate alla codifica dei suoni acuti; quelli gravi verranno percepiti
molto tempo dopo la nascita: l’orecchio elabora in questo modo una sorta di difesa acustica da suoni gravi
ed in certa misura nocivi, come i rumori digestivi e intestinali, il battito cardiaco, ecc.
L’orecchio funziona quindi come un filtro sonoro, facendo passare i suoni che sono ne- cessari alla vita
dell’individuo ed eliminando quelli nocivi. Nel caso del bambino duran- te il suo sviluppo prenatale,
abbiamo visto come reagisca attivamente all’ambiente sonoro selezionando bande di frequenze ben
precise, quelle alte, apportatrici di una maggiore carica energetica. Questo dimostra che ognuno di noi ha la
capacità di rap- portarsi attivamente all’ambiente sonoro che ci circonda: un conto è sentire, un altro è
ascoltare. Esiste una profonda differenza fra questi due termini: nel primo caso i suoni vengono recepiti
passivamente, senza una partecipazione attiva all’analisi del mes- saggio sonoro da parte della persona.
Ascoltare invece significa essere pienamente consapevoli dei significati di cui è portatore un determinato
evento sonoro. Coscienza e vigilanza nell’ascolto richiedono una mobilitazione di energia da parte del
sistema
nervoso, senza la quale esso non è in grado di svolgere al meglio le proprie funzioni. Il nostro cervello infatti
ha bisogno di nutrimento biologico e ossigeno, ma soprattutto di stimolazione sensoriale che è il vero
nutrimento energetico perché l’impulso che deri- va dalla stimolazione è energia neuronale. Tra tutti gli
organi di senso Tomatis asse- gna all’orecchio il ruolo principale di ricarica di energia nervosa; in particolare,
tra tut- te le frequenze comprese nella gamma di udibilità sono quelle acute che forniscono la massima
stimolazione sensoriale e dunque la maggior quantità di energia, perché all’interno della coclea le cellule
ciliate deputate alla trasformazione del suono in im- pulso nervoso sono più di cinque volte più numerose
nella zona di ricezione delle fre- quenze acute rispetto a quelle delle frequenze basse.
Nel corso dei suoi studi su migliaia di soggetti, Tomatis ha potuto constatare che per- sone con forte
tendenza alla depressione, con scarsi livelli di energia psicofisica, ten- denza all’affaticamento, difficoltoso
controllo delle proprie emozioni, presentavano una cattiva percezione delle frequenze acute. Anche nel
caso di bambini con difficoltà di apprendimento e problemi scolastici sono state trovate correlazioni con un
cattivo ascolto, con chiusura sulle frequenze acute, e anche col prevalente utilizzo dell’orecchio sinistro per
ascoltare e della parte sinistra dell’apparato fonatorio per esprimersi verbalmente (lateralità sinistrosa), con
insufficiente analisi delle frequenze caratteristiche della banda della lingua materna. Ogni lingua infatti
possiede una ban- da frequenziale caratteristica: ciò significa che all’interno di una precisa gamma di fre-
quenze si trovano i suoni maggiormente utilizzati. Se un bambino ha una cattiva per- cezione di alcune
frequenze, si troverà in difficoltà a codificare i suoni a lui trasmessi, non riconoscendo una parola, perdendo
tempo nella decodifica, rimanendo tagliato fuori dalla recezione dei messaggi che gli vengono inviati. Da un
deficit di energia ne consegue uno scarso controllo dell’emotività e insorgere dell’ansia. In questo senso un
ruolo importante è svolto dal nervo vago, che allaccia tutto il campo in cui si possono manifestare delle
somatizzazioni, poiché le sue innervazioni vanno dal timpano all’orecchio medio, alla laringe, bronchi,
cuore, visceri, condizionando respirazione, fo- nazione, salivazione, battito cardiaco, funzionalità
gastrointestinale, ecc. Tomatis ri- tiene che il timpano giochi un ruolo fondamentale a livello psicosomatico,
perché esso rappresenta l’unica innervazione esterna del nervo vago. Quando il timpano vibra in risposta ai
suoni acuti (suoni di ricarica) si tende attenuando le risposte neurovegeta- tive del nervo vago; l’ascolto di
suoni gravi (suoni di discarica) determina una minore tensione del timpano con manifestazioni
neurovegetative determinate da una notevole stimolazione vagale. I suoni gravi infatti non solo investono
solo una piccola parte del- le cellule ciliate contenute nella coclea, ma vanno ad eccitare il vestibolo (sotto il
cui controllo si trovano tutti i muscoli del nostro corpo) che a sua volta sollecita i muscoli determinando in
essi micromovimenti che consumano energia nervosa.
Esiste poi un altro fenomeno che potremmo definire di chiusura nei confronti di alcuni suoni. Questo
avviene perché l’orecchio non è semplicemente un recettore di suoni, ma presenta un equilibrio
determinato anche dalla sfera psichica. Il timpano è una membrana che a seconda dell’intensità dei suoni si
tende o si allenta, grazie all’azione del muscolo del martello; si tratta di un meccanismo di difesa: quando un
suono è de- bole il timpano si tende per vibrare meglio, quando è forte esso si allenta per proteg- gere
l’orecchio dall’eccessiva intensità. Un secondo sistema di “ammortizzazione” so- nora è dato dal muscolo
della staffa che aumenta o diminuisce i movimenti dei liquidi interni al labirinto, permettendo una ottimale
analisi dei suoni. Spesso però accade che questi due meccanismi di adattamento ai suoni per favorire un
migliore ascolto e difesa da intensità tali da risultare dannose, entrino in gioco inconsciamente per pro-
teggere da voci o messaggi che l’ascoltatore percepisce come disturbo o aggressione: l’orecchio, secondo
un sottile e inconscio processo psicologico, può imparare a chiu- dersi abitualmente a una realtà con cui si
rifiuta il contatto, producendo isolamento.
Lateralità uditiva. Un’altra importante scoperta fatta da Tomatis riguarda la lateralità uditiva: i due orecchi
non svolgono la stessa funzione, ma è solo l’orecchio destro ad avere il maggiore controllo dell’ascolto. Il
percorso di un suono all’interno dei mecca- nismi dell’audizione è molto più corto per l’orecchio destro che
per il sinistro, dove il tempo necessario per essere percorso dall’impulso è da 100 a 200 volte superiore ri-
spetto a destra. Il motivo di ciò risiede nel fatto che l’area cerebrale predisposta alla funzione uditiva si trova
nell’emisfero sinistro del nostro cervello, e dato che i colle- gamenti nervosi sono incrociati, dall’orecchio
destro l’impulso arriva direttamente all’emisfero sinistro, mentre dall’orecchio sinistro giunge all’emisfero
destro che deve rispedire l’informazione all’emisfero sinistro. Dunque fin da piccolo il bambino impara
progressivamente a coordinare le due parti del proprio corpo e a indirizzare l’ascolto verso l’orecchio
destro. Talvolta può succedere che per problemi di natura psicologica l’ascolto venga indirizzato a sinistra, e
questo dà l’impressione al soggetto di trovarsi a una certa distanza dal proprio interlocutore, in un certo
senso di essere protetto, avere la possibilità di difendersi nel caso vi siano contrasti verbali. Il rischio è
abituarsi ad un costante ascolto da sinistra, perdendo in parte il controllo della propria facoltà uditiva.
Ascolto e postura. L’ascolto investe globalmente il nostro essere, interessando in mo- do particolare anche
la postura. Questo spiega il legame che esiste tra posizione eret- ta, equilibrio, orecchio. L’orecchio interno
infatti è anche l’organo dell’equilibrio e per- mette di controllare tutti i movimenti del corpo, grazie ai nervi
che partono dai nuclei vestibolari raggiungendo tutti i muscoli del corpo: ogni movimento muscolare è con-
trollato dal labirinto, ogni informazione sonora avrà la sua traduzione corporea. Per ottenere il maggior
numero possibile di stimolazioni a livello delle cellule ciliate è ne- cessario che vestibolo e coclea siano
orientati nello spazio in modo che l’utricolo (ve- scica che controlla l’orizzontalità) sia in posizione
orizzontale e il sacculo (che induce la verticalità) in posizione verticale. Questo orientamento ottimale è
dato proprio dalla postura eretta che tra l’altro pone tutto il corpo in posizione di ascolto, favorendo un
aumento della stimolazione; la parte anteriore del nostro corpo, infatti, è più ricca di fibre sensoriali che
reagiscono alle sensazioni dovute alla pressione sonora. Dunque esiste un preciso legame tra orecchio
interno e corpo.
Linguaggio: Tomatis lo definisce come la traduzione biologica dell’atto di ascoltare. L’uomo infatti non
sembra neurologicamente dotato di placche corticali elaborate in modo da poter effettuare l’atto vocale:
“Le correlazioni esistenti a livello del cervello non sono concepite in modo tale che la fonazione sia
inizialmente inscritta nelle aree messe a disposizione per la parola. A dire il vero non vi è un apparato
deputato in ori- gine alla fonazione.(...) Nel corso della sua evoluzione, l’uomo è stato impegnato in una
dinamica che lo ha portato a divenire il ricettacolo della parola. Abbiamo già pre- cisato più volte che, con
ogni probabilità, è all'orecchio che dobbiamo questa trasfor- mazione, quando questo orecchio è sotto
l’egida della facoltà di ascoltare. In altre pa- role, l’ascolto si instaura come fattore scatenante”.
Mediante l’Orecchio Elettronico, macchina creata per la riabilitazione all’ascolto, Toma- tis ha potuto
verificare cambiamenti nella postura in corrispondenza di variazioni udi- tive: ad esempio, proponendo
ascolti ricchi di frequenze acute, si verificavano nei soggetti miglioramenti nella postura verticale, con
raddrizzamento della colonna verti- cale e apertura della gabbia toracica, distensione dei tratti del volto e
miglioramento della qualità vocale. Il suono modella il corpo, sollecitandolo in ogni sua parte, e la po-
sizione verticale è la migliore per l’ascolto perché offre la maggiore superficie possibile alle stimolazioni
sonore. Il suono si rivolge alle potenzialità dell’orecchio interno – a li- vello vestibolare e cocleare –
influenzando con i suoi effetti le funzioni posturale e so- nora (“Infatti è impossibile emettere un suono di
qualità se la posizione del corpo non è adeguata”); suoni e verticalità sono condizioni fondamentali per
quella ricarica indi-
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spensabile alla vita fisica, psichica ed emotiva di ognuno di noi. All’interno della rela- zione ascolto-postura-
linguaggio assume particolare rilievo la postura etno- linguistica. Con questo termine si intende
l’atteggiamento corporeo caratteristico di vari popoli in relazione alla propria lingua. L’immagine corporea è
influenzata dall’impedenza acustica, cioè dall’insieme delle resistenze offerte alla propagazione del suono
che il suo mezzo di trasmissione – l’aria – offre in diverse situazioni geografiche o climatiche: così uno stesso
suono – registrato in luoghi differenti – può risultare più o meno ricco di armonici o di frequenze gravi o
acute: si è costruita una geografia acustica che rivela concordanze tra luoghi diversi a prescindere dalle
frontiere politi- che. Di conseguenza, l’orecchio tende a privilegiare le frequenze meglio percepite in una
specifica zona, influenzando sia la fonazione, sia il corpo – dalla tensione del tim- pano, al sistema nervoso,
a quello muscolare, ai tratti del volto – adattandosi alle par- ticolarità acustiche del luogo. Da qui, secondo
Tomatis, le differenze tra le varie lin- gue: dall’inglese che, molto sensibile alle frequenze acute, possiede
una banda che va dai 2000 Hz ai 12000 Hz, al francese le cui frequenze di maggiore utilizzo si collocano in
due bande, tra 100 e 300 Hz e tra 1000 e 2000 Hz, al tedesco che possiede una banda molto ampia che
parte dai gravi per raggiungere 3000 Hz, all’italiano che pur non possedendo una banda molto estesa
utilizza frequenze tra 2000 e 4000 Hz, mol- to favorevoli al canto in quanto è all’interno di quest’intervallo
che si ottiene la miglio- re risonanza data dalla vibrazione della struttura scheletrica, sensibile alle frequenze
acute. “Ogni essere è immerso in una struttura sonora che lo ‘scolpisce’. Il suono (cioè il silenzio e le sue
diverse modulazioni, così come i rumori che ne spezzano la trama) non si rivolge solo all’orecchio; impregna
il corpo intero. Lo schema corporeo o – per utilizzare un’espressione cara agli psicologi – l’immagine del
corpo, prende così forma. Possiamo considerare l’immagine del corpo come conseguenza del linguaggio. Il
no- stro corpo è sottoposto a un insieme di pressioni sonore che lo eccitano su tutta la su- perficie. Il fatto di
vivere nel suono, e specificamente nel suono prodotto dal linguag- gio, imprime per sempre una quantità di
piccoli segni sul sistema nervoso periferico. A seconda delle parole impiegate, del timbro generato, sarà più
o meno sollecitata que- sta o quella parte del corpo. Il ‘vero’ suono scaturisce da tutto il corpo e non solo
dalla bocca. Platone diceva che cantare o parlare, era mettere all’unisono l’aria che è all’interno e quella che
è all’esterno”.
Il metodo di rieducazione all’ascolto elaborato da Alfred Tomatis riguarda numerosi campi di applicazione,
dal miglioramento nell’ascolto musicale e nel canto, alla cura di disturbi del linguaggio quali ritardo della
parola o balbuzie, a migliore postura, motrici- tà, coordinamento corporeo, alla individuazione della
predisposizione per una lingua; sono numerosi cantanti, attori, musicisti, intere orchestre che grazie ad un
affinamen- to delle capacità di ascolto sono riusciti a migliorare sensibilmente le proprie qualità
professionali. Ma la rieducazione all’ascolto, che avviene o con l’Orecchio elettronico – mediante il quale è
possibile selezionare o filtrare i suoni – o con l’ascolto in particola- re della musica di Mozart (la sola che
determina le stesse risposte neuro-fisiologiche e psicologiche su individui appartenenti a diversi contesti
socio culturali: ciò dipende, spiega Tomatis, dal fatto che Mozart ha cominciato a comporre prima ancora di
usare il linguaggio, riproducendo musicalmente i propri ritmi neuro-fisiologici di bambino a livello
immediato) – influenza anche il comportamento emotivo e la comunicazione: un migliore ascolto porta ad
una maggiore padronanza del linguaggio, una maggiore chiarezza a livello relazionale, maggiore coscienza di
sé, abbassamento del livello di emotività e di ansia; si possono così migliorare attenzione, vigilanza,
concentrazione, memorizzazione. I suoi studi sull’orecchio hanno portato Tomatis a formulare un pen- siero
che trova applicazione scientifica, ma che è anche di natura filosofica, un modo di concepire il cosmo come
una manifestazione sonora originata dal suono primordia- le: il suono anima tutto ciò che è, ogni fenomeno
acustico è l’eco di quell’impulso so-
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noro iniziale da cui tutto è stato originato, di cui l’uomo – nella sua natura essenzial- mente sonora – è parte
armonica.
C-Aspetti fondamentali della Tecnica Alexander
di Riccardo Parrucci
La Tecnica Alexander è il frutto di una serie di osservazioni riguardanti le percezioni sensoriali e il controllo
motorio fatte sul finire del secolo scorso da Frederick Matthias Alexander (1869-1955), un australiano che
lavorò principalmente a Londra nella prima metà di questo secolo. Nella sua carriera di attore, Alexander
sviluppò presto seri pro- blemi alla voce dovuti all’uso scorretto del collo e del torace. Studiando il proprio
comportamento con degli specchi si accorse che ciò che faceva realmente non corri- spondeva a quello che
sentiva di fare. Egli si preparava a parlare producendo un’eccessiva tensione muscolare attraverso tutto il
corpo, irrigidendo il collo, il torace e le gambe. Imparando ad inibire gli schemi posturali che aveva
sviluppato e permet- tendo a più appropriati riflessi antigravitari di operare, Alexander trovò il modo di ri-
solvere i suoi problemi di voce e migliorare al tempo stesso la libertà di movimento, la respirazione, la
circolazione del sangue e la salute in generale.
Il suo metodo riscosse fin dal principio il favore di molti medici e scienziati, come il prof. Nikolaas
Timbergen, che, in occasione del conferimento del premio Nobel per la medicina nel 1973, dedicò parte del
suo discorso alla Tecnica Alexander, raccoman- dandone l’adozione come “forma estremamente sofisticata
di riabilitazione in grado di alleviare molti disturbi sia fisici che mentali”.
Più recentemente il dott. T.D.M. Roberts, autore del più importante testo inglese sulla neurofisiologia della
postura e del movimento, ha dichiarato che la Tecnica Alexander è in pieno accordo con le sue ricerche ed
acquisizioni scientifiche.
Dagli anni quaranta ad oggi numerosi esperti, hanno confermato la scoperta di Ale- xander
sull’inaccuratezza delle informazioni propriocettive e ci ricordano che non pos- siamo apportare
miglioramenti alla nostra postura o ai movimenti semplicemente pro- vando, specie quando la nostra
propriocettività non è affidabile.
Negli Stati Uniti, presso l’istituto di psicologia sperimentale della Tufts University di Boston, Frank Pierce
Jones condusse per vari anni ricerche sul movimento utilizzando come strumenti la fotografia stroboscopica,
l’elettromiografia, una piattaforma di for- za, ed esami radiografici. Egli osservò che il movimento di alzarsi
da una sedia, preso come modello di studio, risulta essere più facile, più veloce e richiede meno forza se
viene preventivamente inibito l’irrigidimento del collo tramite la guida di un insegnan- te.
In Australia, presso il Dipartimento di fisiologia dell’Università del New South Wales, Sidney, il prof. David
Garlick, fisiologo, ha condotto in questi anni alcune ricerche con- fermando precedenti osservazioni sullo
spostamento dei baricentri del capo e del cor- po, indotti da un maggiore allineamento dei segmenti
corporei, e procurato dalle le- zioni di Tecnica Alexander.
Dal 1980 ad oggi, presso il Dipartimento di anatomia dell’Università di Copenaghen e la Divisione di scienze
mediche del Kings College di Londra, e con il Gruppo di bioin- gegneria dell’Università del Surrey, Inghilterra,
Chris Stevens, coadiuvato da vari esperti, ha condotto un programma di studi ed esperimenti sulla postura,
sul movi- mento e sulla risposta allo stress. In una recente pubblicazione riassume così le sue conclusioni:
“La Tecnica Alexander ha come prima azione un riorientamento dell’attenzione per riconoscere le
preparazioni posturali inappropriate e per inibirle. Poi, selezionando e attivando uno schema di preparazioni
posturali più appropriato in- duce il corpo a rilasciarsi progressivamente dagli atteggiamenti abituali,
facilitando i
12
riflessi di raddrizza…
[19:19, 16/7/2020] +39 339 186 8224: giusto. Nel momento in cui si chiede di interrompere una pulsazione
continua per quattro o più movimenti e rico- minciare a battere sul quinto sorge un attimo di
disorientamento e si manifesta la questione di come contare il silenzio. Continuando però a praticarlo ed
intervenendo su vari parametri, cioè il rilassamento corporeo, la ripetizione quasi ossessiva ma con-
sapevole, cioè attenta all’ascolto del suono e del fluire della pulsazione, si nota che la qualità cambia,
sembra migliorare fino a coinvolgere la persona sul piano psico- emotivo in un fatto che si percepisce essere
giusto. Lo stesso esercizio praticato col- lettivamente dà un risultato medesimo per tutti. Questa sensazione
e la percezione del
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miglioramento della propria azione individuale, da soli e nel contesto collettivo, colpi- sce in modo
particolare. Va di conseguenza cercare di comprendere quali siano i fatto- ri cui il “senso ritmico” è legato, di
comprendere che non è possibile tenere una pulsa- zione costante pensando di “calcolare” il tempo tra un
battito e l’altro. Riflettendo su tale esperienza si arriva a sintetizzare il seguente pensiero: il controllo della
pulsazio- ne non è competenza della sfera razionale, non risiede nella “testa”, anche se la parte che
riconosce e analizza la struttura matematica del ritmo è l’intelletto, l’emisfero sini- stro del cervello; tutte
queste competenze appartengono al sistema parasimpatico, quello che presiede al controllo delle funzioni
vitali “autonome” dalla volontà dell’individuo. Si può quindi dire che “il senso ritmico” sia una funzione
vitale connatu- rata all’uomo. La pulsazione è in parte ripetizione meccanica che senza osservazione, senza
sensazione, senza luce intellettuale rimane istinto animale; in parte calcolo mentale che se rimane da solo
esprime una successione di suoni senza vita, fredda e rigida. La ripetizione consapevole è un’azione
combinata che coinvolge diverse com- ponenti organiche e psichiche. Lo stesso dicasi per l’acquisizione di
nozioni teoriche. Si può ripetere all’infinito, ma fino a che non si combina il concetto da assimilare con il
sapore emozionale non si potrà realizzare un solco indelebile nel disco della memoria. Tale attitudine e
metodologia di lavoro esigono attenzione e sviluppano attenzione, in un processo di reciproca influenza.
Riassumendo:
3. L’intuizione e l’ispirazione
4. L’alfabetizzazione emozionale
Qualsiasi argomento proposto ad un discente può essere visto da qualsiasi di questi sei osservatori; inoltre
la combinazione delle informazioni ricevute da tali osservatori permette un’assimilazione profonda delle
competenze disciplinari e allo stesso tempo una sicura crescita di consapevolezza critica, individuale e
collettiva.
Abbiamo visto quanto possa essere importante la consapevolezza di sé stessi in gene- rale in ambito
scolastico; adesso andiamo ad indagare in quale tipo di attività specifi- catamente in seno all’educazione
musicale le tecniche di consapevolezza corporea si possono rivelare utili.
Da qualche anno a questa parte si tendono a valorizzare le materie relative ai lin- guaggi non verbali, perché
il nostro sistema scolastico evidenzia importanti lacune inerenti all'educazione emotiva.
Il contributo che l’educazione musicale apporta alla formazione di uno studente si svi- luppa lungo quattro
direttrici principali:
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Motivazionale – è il livello in cui il rapporto con la disciplina è essenzialmente pratico. Si stabilisce una
connessione stretta tra ciò che si fa ed il livello emo- zionale ad esso associato. Lavorare su questo livello
significa sviluppare abilità, affezione ed interesse.
Disciplinare – è il livello in cui l’attenzione è rivolta agli aspetti intrinseci ed ai parametri della musica ed
all’affinamento delle tecniche; si compie una sintesi ed una razionalizzazione delle esperienze compiute. La
musica assume i conno- tati di un linguaggio.
Interdisciplinare – è il livello culturale vero e proprio: la musica si integra con gli altri saperi contribuendo ad
arricchire e ad articolare ulteriormente la cono- scenza del patrimonio umano artistico, storico, filosofico...
Transdisciplinare – è il livello in cui si sono sviluppati ponti concettuali, con- nessioni euristiche ed estetiche,
in cui si padroneggia quell’area di confine tra le discipline che acquista carattere di nuova disciplina dove si
colloca la più alta in- tegrazione.
Una corretta proposta educativa non può prescindere da queste distinzioni e dovrebbe armonizzare i vari
livelli rivolgendo la propria attenzione all’uno o all’altro sulla base delle esigenze contingenti.
Resta comunque valido il criterio secondo il quale il punto di partenza non può non es- sere quello
motivazionale.
Il massimo risultato ottenibile è quello per cui i quattro livelli dispiegano pienamente ed insieme le proprie
caratteristiche.
Esiste un urgente bisogno di chiarezza, poiché nel nostro sistema scolastico l'istruzio- ne musicale sconta la
mancata unitarietà di significato intorno a ciò che si intende per musica.
L'equivoco nasce dal fatto che il termine musica assume contorni e caratteristiche di- verse a seconda del
contesto in cui è preso in esame.
In ambito didattico occorre far chiarezza tra: istruzione di base, istruzione superiore, istruzione
professionalizzante. Diciamo questo perché le differenze tra i vari punti comportano una trattazione ed un
approccio molto diversi pur essendo i materiali di lavoro più o meno gli stessi, ma sviluppati e interconnessi
a livelli diversi di complessi- tà.
Se difatti l'istruzione musicale professionale rappresenta un polo a parte con pochi o nessun rapporto con il
sistema d'istruzione generale, l'istruzione musicale di base ma- terna ed elementare ne risulta praticamente
assente, mentre nella scuola media infe- riore e superiore – laddove ancora resiste – a volte ci si comporta
come se gli alunni avessero già sviluppato capacità e cognizioni che sarebbero appannaggio dell'istruzio- ne
elementare.
Il punto di partenza invece, in musica come in tutte le materie, è quello di imparare ad imparare. Uno dei
perni fondamentali su cui costruire una buona ed efficace di- dattica è il principio secondo cui si deve
presentare un problema da risolvere e non in- formazioni da assimilare; il discente ha bisogno di essere
guidato verso la soluzione che troverà da solo, se verranno adeguatamente stimolati il suo spirito di
iniziativa e la sua capacità di partecipazione, se verrà coinvolto dal punto di vista emotivo. Ogni questione
che verrà presentata dovrà essere in sintonia con il livello evolutivo del
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bambino e dovrà seguire uno sviluppo per gradi secondo il ritmo soggettivo, individua- le, adeguato alle
capacità cognitive e al tipo di apprendimento del bambino.
Venendo all’argomento che ci riguarda penso alla materia “musica” sia come educa- zione con la musica, sia
come educazione alla musica, ad un’educazione musicale come propedeutica della musica, che sviluppi
adeguatamente le strutture della mente e che sviluppi un’adeguata coordinazione motoria data dalla
consapevolezza posturale e psicofisica.
Entrando poi nello specifico, ritengo sensato svolgere un lavoro di base, in tutti i casi ma in special modo
quando l’educazione musicale è rivolta ad allievi che frequentano il corso ad indirizzo musicale, che ruoti
intorno ai seguenti ambiti di lavoro, e dove le tecniche di consapevolezza rivestono un ruolo fondamentale:
- Intonazione- canto
Il lavoro del primo ambito si baserà su una prima parte di rilassamento e su una se- conda parte di
movimento accompagnato da percussioni suonate sempre da allievi, che eseguiranno partiture costruite su
cellule ritmiche elementari di divisione binaria e ternaria con relativi accenti e figurazioni derivate. È
evidente il collegamento tra eser- cizi di rilassamento e l’acquisizione di uno stato di calma regolata e di
attenzione e re- lazione con se stessi, lo è un po’ meno, ma solo a prima vista, quello fra attenzione calma e
regolata e movimento ritmico. Senza attenzione non è possibile indurre un appropriato tono muscolare e un
adeguato equilibrio fra tensione e distensione. Senza tale bilanciamento non è possibile mettere il corpo in
condizione di respirare in manie- ra adeguata. Con un respiro profondo, una frequenza delle pulsazioni
cardiache nor- male, lo stato emotivo si tranquillizza e il pensiero diventa chiaro, forte ma leggero. Tale
pensiero permette di ampliare il processo poc’anzi descritto.In questa condizione psicofisica la pulsazione
ritmica entra, o scende, nel corpo attraverso la sensazione fi- sica. Non si può progettare un laboratorio sul
ritmo, che non veda le tecniche di con- sapevolezza come parte integrante del percorso. Questi esercizi
quindi, oltre a far in- teriorizzare il senso della pulsazione e le cellule ritmiche fondamentali, porteranno in-
direttamente ad un controllo emotivo rudimentale. Essendo nelle prime fasi del lavoro la comunicazione
degli esercizi esclusivamente orale, si getteranno i semi di una con- sapevole memoria fisica, che risulterà
fondamentale per l’acquisizione degli automati- smi necessari alla tecnica strumentale. La memoria fisica
permette al corpo di ricorda- re come eseguire movimenti, anche complessi, senza l’intervento
dell’intelletto, cioè in modo completamente automatico e meccanico. È una combinazione di sets, ovvero
modi di disporsi, che rendono veloce la risposta allo stimolo, quindi di configurazioni muscolari e atti riflessi,
sia innati sia acquisiti. Per intervenire sulla costruzione di au- tomatismi o sets è necessario combinare
l’interazione fra centri di coordinazione, sen- sazioni, attivazione dei cinque sensi attraverso la
consapevolezza della ragione.
In seguito l’acquisizione della teoria sarà estratta da ciò che è stato effettivamente praticato e acquisito.
E parlando di ritmo è inevitabile parlare di Dalcroze, che per primo ideò un metodo di pedagogia musicale
moderna e che ha esercitato ed esercita ancora un’influenza de- terminante in questo campo, basato sui
rapporti fra motilità e istinto uditivo. Con stu- pefacente impegno sociale egli anticipò ed auspicò una forma
di educazione che si ri- volgesse alla collettività e indicò la strada da seguire elaborando un metodo per rag-
giungere tale obiettivo. Secondo Dalcroze la formazione del singolo individuo è impor- tante non solo per il
suo sviluppo personale ma anche per il contributo che egli sarà in
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grado di dare alla società del domani. Se da un lato Dalcroze esige la massima com- petenza dai musicisti di
professione, dall’altro cerca la strada per rendere possibile una partecipazione collettiva.
A scuola non sono pochi i ragazzi che presentano problemi psico-motori e comporta- mentali, per cui, pur
mantenendo come obiettivo l’educazione musicale, occorre anzi- tutto prender cura della formazione della
personalità. La ritmica può costituire un mezzo valido per sviluppare una struttura spaziale e temporale più
equilibrata, miglio- rare la coordinazione dei movimenti, aiutare la socializzazione, incanalare in maniera
costruttiva la creatività, sviluppando al tempo stesso la memoria e la concentrazione. Dando modo al
ragazzo di conoscersi, controllarsi ed esprimersi egli imparerà a pren- dere iniziative, ad assumersene la
responsabilità, ad effettuare collegamenti, a fare delle scelte, ad osservare e rispettare il prossimo
formulando critiche costruttive e a vivere con sicurezza la propria personalità anche all’interno del gruppo.
Una delle caratteristiche del metodo Dalcroze quella di abituare gli allievi ad una rapi- da reazione a
sollecitazioni sonore. Questa reazione può essere motoria, vocale o strumentale e viene stimolata da
elementi musicali che possono essere contrastanti (alternarsi di suoni e silenzi, di durate di diverso valore, di
cambiamenti improvvisi di intensità, timbro ed altezza, di diversi tipi di scale, intervalli ed accordi, ecc.)
oppure gradualmente diversi, come cambiamenti progressivi di velocità, dinamica, ecc. In questa maniera si
allena il corpo e la mente ad agire in sincronismo, con prontezza di riflessi e si abitua l’individuo a prestare
la massima attenzione per essere pronto a reagire.
Del resto tutti gli elementi che compongono la musica, quali pause, accenti, durate, misure, battere e levare,
fraseggio, forma, ecc. vengono studiati nella ritmica attra- verso l’attività motoria ed analizzati solo dopo
averne acquisito un’esperienza diretta per mezzo del “senso muscolare”. Si ottiene, insomma, un solfeggio
vissuto che si ri- vela estremamente utile anche ai fini di un ascolto cosciente. Il sogno di Dalcroze è quindi
quello di un’educazione musicale in cui il corpo svolga il ruolo di intermediario tra i suoni e il pensiero,
diventando lo strumento diretto dei sentimenti. “Si rafforze- rebbero così le sensazioni dell’udito, stimolate
dai molteplici elementi capaci di vibrare e risuonare in noi; la respirazione scandirebbe i ritmi delle frasi, i
dinamismi muscolari esprimerebbero quelli dettati dall’emozione musicale. A scuola, dunque, il bambino
imparerebbe non soltanto a cantare ed ascoltare, ma a muoversi e a pensare corret- tamente e
ritmicamente. Si inizierebbe coordinando il meccanismo della marcia, ac- compagnandola con la voce e con
i gesti di tutto il corpo. Si tratterebbe di un’educazione al ritmo mediante il ritmo...” (Dalcroze: Gli studi
musicali e l’educazione dell’orecchio).
Per eseguire corporalmente con esattezza un ritmo, non basta averlo afferrato intellet- tualmente ed avere
un apparato muscolare capace di assicurarne una buona interpre- tazione; bisogna stabilire comunicazioni
rapide tra la mente che concepisce ed analiz- za ed il corpo che esegue. Tali comunicazioni dipendono dal
buon funzionamento del sistema nervoso, ma è raro che le facoltà siano ben equilibrate e che le funzioni
cere- brali e corporee siano in totale armonia. I rapporti fra facoltà immaginative e quelle realizzatrici sono
molto spesso compromessi da una mancanza di orientamento delle correnti nervose dovuta
all’antagonismo di certi muscoli. Questo antagonismo è cau- sato dal ritardo con il quale gli ordini di
contrazione o di rilassamento, provenienti dal cervello, pervengono a tali muscoli. La coscienza di una
resistenza continua nel siste- ma muscolare, di un disordine nel sistema nervoso, produce il disordine
cerebrale, la mancanza di fiducia nelle proprie forze, la sfiducia in sé stessi. Questa inquietudine generale a
sua volta causa la mancanza di concentrazione. Il cervello si trova in preda a sollecitazioni incessanti che gli
impediscono di funzionare nella calma e di dedicare il
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Lo scopo di tutti gli esercizi di ritmica è quello di rafforzare le capacità di concentra- zione, di abituare il
corpo a tenersi, per così dire, “pronto” ad eseguire gli ordini pro- venienti dal cervello, di collegare il conscio
all’inconscio e di arricchire le facoltà dell’inconscio attraverso un’educazione speciale che si prefigge di
rispettarle. Inoltre, tali esercizi tendono a creare ulteriori esperienze motorie e riflessi nuovi, ad ottenere il
massimo risultato con il minimo sforzo, a calmare lo stato d’animo, a rafforzare la volontà e a stabilire
ordine e chiarezza nell’organismo.
Risulta evidente il fatto che non si può prescindere dall’ applicare le tecniche di consa- pevolezza corporea
ad un’attività di questo tipo.
Ovviamente non è possibile pensare di cantare controllando volontariamente tutti questi aspetti: quando si
vuol controllare troppo la situazione sfugge di mano, e non si è più in grado di sentire. Il coordinamento
motorio necessario all’atto vocale deve es- sere lasciato almeno in parte all’autoregolazione del sistema
nervoso. Il lavoro di edu- cazione della voce, in generale ma tanto più occupandosi di allievi in fase di
crescita, consiste fondamentalmente nel creare i presupposti per cui questa autoregolazione si possa
verificare ed essere consapevole, eliminando quegli atteggiamenti sia corporei che mentali che la possono
ostacolare.
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Il terzo ambito di lavoro, ovvero la ginnastica, esclusivamente per gli studenti della scuola media ad indirizzo
musicale, porterà ad un livello sempre più sofisticato l’attenzione verso se stessi e la coordinazione
psicofisica, e produrrà il terreno fertile per lo sviluppo della tecnica strumentale. Questo tipo di memoria
fisica risulterà pre- zioso per i molteplici aspetti quali i passaggi di posizione e i cambi d’arco degli stru-
menti ad arco, la postura e l’uso delle mani sulla chitarra, l’uso del pedale e la relazio- ne mani – braccia –
schiena dei pianisti, la coordinazione e la postura richieste dagli strumenti ad assetto asimmetrico (flauto,
violino). Il fatto di poter affrontare in modo specifico la propriocezione è la chiave di volta per poter
superare il metodo di lavoro per tentativi; ciò potrà sviluppare una procedura di lavoro riflessiva, coordinata
e inte- grata.
Il quarto ambito di lavoro, cioè la musica d’insieme, può essere affrontato, a livelli di- versi, sia in una classe
comune, sia in una classe ad indirizzo musicale. Forse la musi- ca d’insieme offre le migliori opportunità, a
causa della sua complessità di variabili, per lo sviluppo dell’intelligenza. Forme espressive multimediali
come il teatro musicale sono il centro di gravità dell’insegnamento della musica nella scuola media.
Potremmo definire la musica d’insieme e il teatro musicale come la perfetta fusione tra coordina- zione
psicofisica, educazione emotiva, intelligenza e capacità sociali; la rappresenta- zione dell’essenza, della
forma e della comprensione dell’interdisciplinarietà. La musica d’insieme, se coltivata in maniera adeguata,
permette lo sviluppo dell’empatia, cioè la capacità di mettersi nei panni degli altri e immedesimarsi nella
loro situazione.
Le discipline complesse come la musica permettono sia l’educazione che la crescita emotiva, oltre allo
sviluppo dell’intelligenza in quanto permettono di stabilire collega- menti, relazioni ed analogie, di osservare
particolari in relazione all’insieme, di fornire una visione globale di diverse funzioni legate fra loro in un
processo di relazioni dina- miche.
È insito in tutto ciò lo sviluppo delle qualità che caratterizzano un individuo dotato di senso civico, ovvero il
rispetto e la comprensione per coloro con cui interagisca; in se- condo luogo la capacità di condividere valori
e di perseguire degli ideali. Se vogliamo sviluppare il senso civico va di conseguenza la necessità di far
crescere tali capacità di interesse sociale attraverso discipline che contengano in sé tali obiettivi.
Per preparare il terreno si parte sempre da un’attenzione calma e regolata al fine di poter affinare la
relazione con se stessi e creare le vere condizioni per lo sviluppo della relazione con l’oggetto del nostro
interesse, con gli altri e con il mondo.
Mi si obietterà forse che è un po’ un’utopia pensare di poter fare un lavoro con le tec- niche di
consapevolezza nell’ambito di un corso di educazione musicale del triennio della scuola secondaria di primo
grado, prima di tutto per un problema di tempi e di programmi da rispettare, secondariamente per la
difficoltà di gestire una classe soli- tamente abbastanza numerosa, con allievi alle prese con le ansie e le
inibizioni tipiche dell’età. Indubbiamente sarebbero importanti più tempo, possibilità economiche e lar- ghe
vedute del dirigente scolastico e del consiglio di classe, per poter organizzare qualcosa di serio e ben
strutturato. Nel frattempo sta all’iniziativa personale e alla buona volontà del singolo riuscire comunque ad
applicarle nell’insegnamento della propria materia. Sono fermamente convinta che affrontare alcuni
argomenti basilari come quello del ritmo lavorando con queste tecniche permetta di arrivare ad una reale
acquisizione del tema trattato, oltre ad essere importante soprattutto dal punto di vi- sta generale di
crescita della persona, obiettivo principale della scuola media, e che valga quindi la pena di provarci a tutti i
costi.
Immagino un corso che deve poter coniugare l'acquisizione di varie abilità da cui suc- cessivamente ricavare
una conoscenza di tipo teorico. Non si tratta, in altri termini, di
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tenere una serie di lezioni in cui trattare gli argomenti che si ritengono utili, bensì di accompagnare gli allievi
attraverso un percorso di appropriazione di tutte le abilità che afferiscono al medesimo obiettivo:
l'educazione musicale.
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Sezione 3: In pratica...
Nella musica il ritmo ha un ruolo ugualmente importante di quello della sonorità; so per esperienza che,
grazie soltanto al ritmo sperimentato su se stessi, grazie ad un’educazione che sviluppa i ritmi naturali del
corpo, si può far amare la musica anche a coloro che non ne apprezzano le sonorità. L’ameranno per il
movimento che racchiude in sé, quando tale movimento sarà diventato per loro naturale e familiare.
Jaques Dalcroze
di Sandra Bacci
Il movimento è un linguaggio autonomo dotato di un proprio vocabolario e di una pro- pria capacità di
comunicare, ma abbiamo visto come nel settore dell’educazione musi- cale sia fondamentale per
l’acquisizione sia di concetti sia di competenze tecniche, specialmente in riferimento all’esecuzione
musicale. Quindi possiamo pensare un per- corso che attraverso la motricità, dapprima ci aiuti
nell’acquisizione e l’interiorizzazione di concetti fondamentali quali quello della pulsazione (obiettivi: sa- per
riconoscere una pulsazione, sincronizzarsi su una pulsazione, saper mantenere una pulsazione, saper
individuare ed eseguire l’accentuazione metrica), e che poi pon- ga l’accento sull’espressività motoria,
abbinando quindi l’apprendimento di un concet- to musicale (la pulsazione) e ricerca delle qualità
espressiva del movimento e del ge- sto. Ambedue gli aspetti proposti trarranno giovamento dall'uso di
tecniche di rilassa- mento e di consapevolezza.
Altri aspetti relativi al ritmo e ai parametri musicali potranno essere indagati e interio- rizzati tramite il
movimento, per esempio la durata. La durata è intimamente legata allo spazio. Una durata non è un
concetto intellettuale o matematico. Diventa viva quando si concretizza con il movimento. Possiamo per
esempio scegliere delle durate diseguali: l’insegnante le scandisce con la voce e l’allievo si muove
camminando e cambiando direzione ad ogni inizio di durata. Ci si può anche confrontare con lo spa- zio: su
durate uguali facciamo spostare solo di qualche passo oppure percorrere tutta la stanza. Entreranno in gioco
la velocità e l’energia. E parlando di energia il passo è breve per arrivare a trattare di intensità, dinamica e
agogica, e del ruolo de- terminante che ricoprono sul piano dell’espressione. Anche la melodia, la struttura
della frase musicale, il fraseggio e la forma possono essere esplorati tramite il mo- vimento. Sottolineo
ancora una volta come le tecniche di consapevolezza siano neces- sariamente parte integrante di questo
percorso, dalla quale non si può prescindere se vogliamo che il lavoro abbia una reale valenza educativa e
che porti veramente all’acquisizione di competenze.
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Percorso 1.
L’idea è quella di usare la scansione verbale ritmata di conte e filastrocche combinata con il movimento per
affrontare la pratica ritmica in forma diretta ed empirica, così da ricavare dall’esperienza anche i necessari e
progressivi elementi di razionalizzazione.
Il percorso risponde all’idea guida di sviluppare le esperienze ritmiche spontanee degli alunni
valorizzandone innanzitutto la dimensione socializzante e dando loro un senso di ricerca fonica, espressiva,
costruttiva e di affinamento percettivo.
Attraverso l’esperienza ritmica spontanea e diretta, arrivare ad una graduale e grade- vole acquisizione in
forma elementare del sistema ritmico. La prima esperienza della scansione verbale ritmata passa attraverso
le filastrocche binarie. Quelle ternarie ven- gono invece presentate subito in unione alla notazione ritmica
elementare, acquisita attraverso l’uso del confronto tra filastrocche binarie. La discontinuità è solo apparen-
te, poiché l’acquisizione di una competenza in un determinato ambito consente di ad- dentrarsi in ambito
affine partendo da un livello più alto, senza bisogno di ripetere ogni volta tutti i passi iniziali.
Confrontare i ritmi delle filastrocche con alcuni stili ritmici attinti tra le musiche che capita di ascoltare
quotidianamente.
Perché le filastrocche? Ecco alcune ragioni didattiche e metodologiche che ne motiva- no l’uso:
La scansione verbale è il mezzo di produzione e di articolazione sonora di cui l'alunno ha fatto più
approfondita esperienza sia funzionale – come veicolo di abituale comuni- cazione – sia esplorativa e
creativa, come mezzo di gioco e di invenzione sonora. Di esso possiede perciò un miglior controllo tecnico
ed espressivo rispetto a qualsiasi al- tro mezzo strumentale.
La filastrocca, in luogo di parole o nomi isolati o assemblati, oppure di sistemi di silla- bazione ritmica,
fornisce una ricchezza fonica ampia e continuamente rinnovabile con l’uso di materiali diversi, soprattutto
se si ricorre – com’è consigliabile – a testi con ca- rattere prevalentemente fonico-timbrico, privi di significati
(filastrocche nonsense) chiari e conseguenti.
La scansione verbale ritmata stimola il gioco senso-motorio proprio per la sua fisicità (in quanto stimolo
interno e non esterno) e porta con naturalezza alla sottolineatura con gesti, passi, ecc., facilmente
strutturabili in piccole forme coreografiche.
La scansione verbale, per i forti legami psicomotori col gesto, ne favorisce la coordina- zione in tutte le
performances ritmiche, sia motorie che strumentali, anche nel caso di difficoltà come la dislessìa o la
disgrafa.
Questo percorso prevede quindi di passare dall’esperienza ritmica all’alfabetizzazione, partendo dalle
filastrocche e arrivando in un secondo momento alla musica.
Percorso 2.
L’ idea è quella di risvegliare il senso corporeo e il senso uditivo del ritmo, per mezzo dell’uso consapevole
del sistema muscolare e nervoso. Obiettivi intermedi quelli di svi- luppare le qualità ricettive e di attenzione
e concentrazione, sviluppare l’espressività legata al gesto e alle sue gradazioni di forza e di elasticità nel
tempo e nello spazio, sviluppare spontaneità nell’esecuzione dei movimenti ritmati.Per prima cosa si impara
a ridurre al minimo l’attività muscolare di tutto il corpo, e poi a graduarne la dinamica,
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Percorso 3.
L’idea è quella di porre attenzione alla struttura del brano, prendendo in considerazio- ne melodia, ritmo,
forma, facendone esperienza motoria, favorendone così l’apprendimento.
È importante cercare una relazione motivata fra musica e gesto che la accompagna. Possiamo prendere una
danza, far camminare sulla musica, e chiedere agli allievi di cambiare movimenti quando la musica cambia.
Una volta individuata la struttura del brano attraverso il movimento, possiamo pensare ad utilizzare una
gestualità che ben si accordi con il carattere della musica, pensando a movimenti diversi quando la frase ha
carattere contrastante con la precedente. Attiviamo in questo modo una condotta senso-motoria che ci
permette poi di giungere alle regole musicali, ricercando gli ele- menti della musica che ci hanno suggerito
quella determinata gestualità. Possiamo poi memorizzare questa piccola coreografia e realizzare una
performance.
Questi percorsi individuati fanno parte di un grande contenitore che è il laboratorio sull’ascolto, che si
snoda nell’arco dei tre anni della scuola media, e del quale fornisco per completezza una descrizione, che
risponde alla mia idea di quel che dovrebbe es- sere l’esperienza di ascolto nella scuola.
Laboratorio sull’ascolto
Dall’indicazione dei programmi di educazione al suono ed alla musica nella scuola me- dia emerge l’esigenza
di considerare l’ascolto come primo ed insostituibile contatto con la realtà sonora che ci circonda: non si
parla semplicemente di ‘educazione musi- cale’ ma di ‘educazione al suono e alla musica’: scegliere il
mondo dei suoni – di cui la musica è una componente fondamentale – come insostituibile ambito formativo
per il bambino significa riappropriarsi della esperienza sonora intesa come percezione ed esplorazione, ed
anche come memoria ed analisi cognitiva di ciò che si ascolta. Prima
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che impari a riconoscere le note musicali e i loro valori è necessario insegnare al bam- bino ad ascoltare:
suoni di voci, animali, strumenti: ascoltare non significa solo udire ciò che sta fuori, ma soprattutto udire se
stessi, la propria voce interiore, perché se non ascoltiamo noi stessi, non esiste la possibilità di comunicare
con gli altri.
Quindi, in sintesi, considereremo tre aspetti specifici come l’ascolto analitico, quello emotivo e quello
attraverso il movimento.
Il laboratorio permette inoltre di avvicinarsi all’ascolto e alla conoscenza di un vasto patrimonio musicale.
Obiettivo fondamentale del laboratorio di ascolto consisterà nello sviluppare la capaci- tà di ascoltare e
codificare espressioni musicali di culture, epoche, generi differenti. La condizione attuale vede purtroppo un
approccio all’ascolto di bambini ed adolescenti fortemente condizionato dai mass-media e dunque dai
prodotti e dalle tendenze che caratterizzano il mercato discografico.
Particolare importanza sarà data all’esperienza dell’ascolto dal vivo, centrale nell’incontro con la musica e
insostituibile nonostante la qualità degli strumenti di ri- produzione di cui disponiamo: sarà utile cogliere le
opportunità rappresentate dalla stagione lirica e dalla stagione musicale del teatro del luogo in cui ci si
trova, magari per effettuare un percorso di incontri con gli artisti, prove aperte, concerti; in partico- lare la
stagione musicale potrà offrire la possibilità di seguire un percorso organico at- traverso alcuni momenti
significativi della storia della musica.
Appendice:
Laboratorio di musicoterapia
Fin dall’antichità la musica è stata usata nella medicina come un fluido magico per guarire. Attualmente, in
Italia, l’interesse per la musicoterapia si è diffuso largamente, specie come supporto per l’educazione dei
bambini handicappati, per gli alcuni dei quali la musica costituisce l’unico mezzo di comprensione e di
comunicazione. E’ dun- que possibile effettuare un tipo di ascolto “terapeutico”, utile a qualunque persona
all’interno delle classi, avendo finalità di tipo generale (ottenere un buon rilassamento psicofisico, calmare
l’ansia, ecc.). L’uso della musica, pur sviluppandosi e differenzian- dosi come utile strumento terapeutico
per curare malattie psichiche, si è ovviamente dimostrato una esperienza vivificante ed arricchente per
persone mentalmente sane. L’obiettivo che si persegue è quello di raggiungere una comprensione dei livelli
di co- scienza “non ordinari”, mediante un’esperienza di “espansione della coscienza”.
Alla base del metodo di musicoterapia immaginativa vi è l’associazione musi- ca/immagini; quest’ultime,
prima guidate dal terapeuta (livello base) e poi progressi- vamente auto-prodotte dall’ascoltatore (livello
superiore) consentono tra l’altro di rag- giungere i seguenti obiettivi: esplorare il proprio sé; sviluppare
autoconsapevolezza; liberare fonti di energia bloccate; mobilitare affetti; e consentire un buon rilassamento
psicofisico.
Si verifica una complessa e piacevole stratificazione tra memoria e sogno, percezioni e sensazioni,
sentimenti ed emozioni, fino alla liberazione di processi di pensiero intuiti- vo. L’esperienza è comunque
essenzialmente d’ascolto, in cui l’individuo è al centro dell’attenzione, per cui l’ascolto della musica in uno
stato alterato di coscienza non implica l’abbandono della sua coscienza ordinaria.
La totale consapevolezza determina una piena partecipazione dell’individuo ad esplo- rare se stesso, a
riconoscersi, a rafforzare l’immagine di sé.
Chang si pone come obiettivo quello di selezionare i metodi migliori per studiare pianoforte e per
impostare correttamente le mani e tutto il corpo (mente compresa). Non è quindi un metodo ex-novo,
ma una integrazione di metodi: vengono dati agli studenti degli strumenti per scegliere il procedimento
giusto al fine di ottenere un obiettivo definito.
Egli parte dal presupposto che per conquistare una buona impostazione tecnica (e con questo si riferisce
alla conquista di una corretta postura e impostazione della mano, della agilità delle dita, ecc.) occorra
partire dall’uso di strategie efficaci (es. studio a mani separate, memorizzazione, ecc.) e accompagna il
tutto con spiegazioni di carattere fisiologico, psicologico, meccanico, ecc. Inoltre pone l’accento su
quanto sia importante non solo scegliere il metodo giusto, ma anche evitare procedimenti e metodi
sbagliati poiché creano l’acquisizione di brutte abitudini e causano stress eccessivo che demotiva,
inficia la qualità dello studio e peggiora l’attitudine all’impegno.
La tecnica pianistica non è solo una questione di “destrezza”, ma è una competenza che deriva da una
summa di diverse capacità che si riferiscono soprattutto all’utilizzo di procedure di apprendimento
corrette a partire dalla comprensione e dalla consapevolezza di come funzioniamo.
A partire da queste conoscenze si possono considerare una serie di stratagemmi utili e generalizzati da
applicare a praticamente ogni passaggio, ma accanto ad essi è anche importante sperimentare e avviare
la propria personale ricerca e scoperta, perché se è vero che alcuni “problemi” sono comuni è anche
vero che i bisogni sono diversi.
Un modo per valutare quale metodo sia valido è verificarne innanzitutto la comprensione da parte dello
studente. Scrive Chang che un buon metodo di studio è quello che non solo accelererà
l’apprendimento, ma aiuterà anche a sviluppare il cervello musicale. Un’idea non è accettabile finché
lo studente non capisce il perché funziona.
Avere un insegnante e seguire delle regole metodiche per facilitare lo studio non significa però che si
smetterà di sperimentare, ma solo che la sperimentazione sarà più efficiente. Fare esperimenti dovrebbe
essere una parte fissa di ogni seduta di studio.
LA SEDUTA DI STUDIO
Un principio fondamentale da seguire è che la musica non deve mai essere separata dalla tecnica e per
questo studiare dovrebbe essere sempre un esercitarsi non solo tecnico, ma anche e soprattutto
musicale.
Chang scrive che è sbagliato iniziare la seduta di studio con mezz’ora di esercizi tecnici finché le dita
non si sono riscaldate. Che è sbagliato leggere un pezzo nuovo con le due mani insieme, ripeterlo da
capo a fine più volte aumentando gradualmente la velocità, perché questo procedimento non dice nulla,
ad esempio, su cosa fare quando si incontra un passaggio impossibile, a parte continuare a ripeterlo. E’
un procedimento “intuitivo”, che in realtà lascia poco spazio alla efficacia poiché, secondo Chang, i
procedimenti corretti per imparare sono controintuitivi. Il problema del metodo contro-intuitivo è la
sua difficoltà ad essere adottato: il cervello dice continuamente che è sbagliato e di tornare al metodo
intuitivo.
Passiamo in rassegna alcune indicazioni fondamentali dell’impostazione e del metodo di Chang.
Non ci sono regole fisse per la posizione delle dita, ma in generale tutti i metodi hanno in comune due
obiettivi: potenza e rilassamento.
E’ importante studiare all’inizio seguendo una posizione di partenza che assicuri il rilassamento delle
dita e di tutto il braccio (oltre che delle spalle); ciò significa impostare la mano a cupola, con le dita
ricurve aderenti alla tastiera e l’avambraccio parallelo alla linea orizzontale della tastiera; una volta
iniziato a suonare, queste regole vanno gradualmente gettate via. Potrebbe essere necessario, in base a
ciò che si sta suonando, distendere le dita quasi del tutto o incurvarle di più.
Abbiamo imparato che la forma iniziale delle dita per imparare a suonare il pianoforte è
leggermente ricurva. Molti insegnanti la insegnano come posizione “convenzionale”. Ciò
nondimeno V. Horowitz ha dimostrato che anche la posizione distesa, o dritta, è molto utile.
Il vantaggio più importante della posizione a dita distese è che questa ne semplifica il movimento e
permette un completo rilassamento, ovvero i muscoli necessari a controllare il movimento del
dito sono di meno rispetto a quelli della posizione ricurva. Esercitarsi con le dita distese può far
migliorare la tecnica perché si esercitano solo i muscoli ed i nervi più rilevanti.
Contrariamente all’opinione di molti pianisti, si può suonare più velocemente con le dita distese,
piuttosto che ricurve, perché qualsiasi quantità di curvatura inviterà una certa “paralisi”. Sebbene la
posizione distesa sia più semplice, tutti i principianti dovrebbero prima imparare la posizione
ricurva finché quella distesa non sarà necessaria. Se i principianti iniziassero con la posizione
distesa non imparerebbero mai veramente bene quella ricurva.
Un ulteriore vantaggio è che le dita premono i tasti con una parte più carnosa rispetto alla punta. I
polpastrelli sono anche più sensibili al tocco specialmente perché c’è meno interferenza delle
unghie. Quando le persone toccano qualcosa usano sempre i polpastrelli, non la punta delle dita.
Questo cuscinetto e la sensibilità aggiuntiva possono fornire miglior controllo e tocco ed una
maggior protezione dagli infortuni. La cosa più importante è che con le dita distese si possono
suonare i tasti neri usando la maggior parte della superficie sotto alle dita ed usarla permette di
evitare di mancarli.
COME RILASSARSI
La cosa più importante da fare quando si aumenta la velocità è rilassarsi. Rilassarsi significa usare
solo i muscoli necessari a suonare. Anche qui il lavoro migliora a mani separate poiché l’obiettivo è
sempre l’indipendenza delle dita. Rilassamento e tecnica sono interdipendenti, perché il rilassamento
permette di migliorare tecnicamente e il miglioramento tecnico facilita il rilassamento.
Allora, quindi, come ci si rilassa?
Occorre innanzitutto “coinvolgere l’intero corpo” compreso il cervello che spesso se non controllato
usa la maggior parte dei muscoli del corpo anche per i compiti più semplici. Quando il compito è
difficile il cervello tende a bloccare il corpo in una massa di muscoli tesi. Per potersi rilassare bisogna
fare un tentativo consapevole (che coinvolge l’intero corpo) di spegnere i muscoli non necessari. Per
raggiungere questa capacità è necessaria molta pratica.
Una funzione importante in tal senso è la respirazione. Alcuni studenti interrompono il respiro quando
suonano passaggi impegnativi perché i muscoli per suonare sono ancorati al petto. Inoltre bisogna
accertarsi di deglutire periodicamente: se la gola è secca dopo una dura seduta di studio, significa che ci
si è dimenticati di deglutire. Tutti sintomi di stress.
Il metodo delle cadute è un eccellente modo di esercitarsi al rilassamento. Si studino le cadute con un
solo dito, scegliendo dita diverse ogni volta. Il polso dovrà seguire con movimenti adeguati: usando il
pollice, il polso deve essere basso (ma non troppo); usando il mignolo il polso dovrebbe essere
leggermente più alto; una via di mezzo usando le altre dita. Il polso leggermente più alto dà al mignolo
più potenza, meno stress e diminuisce il bisogno di alzare il quarto dito.
Le cadute sono un metodo per esercitare il rilassamento. Una volta raggiunto, questo stato di
rilassamento deve diventare permanente: una parte integrante del suonare il pianoforte.
Rilassarsi non consiste soltanto nel conservare l’energia non attivando i muscoli non necessari, ma
anche nel trovare il giusto equilibrio ed i giusti movimenti e posizioni di braccio/mano/dita che
permettono di eseguire con il corretto dispendio di energia. In altre parole, non si possono rilassare i
muscoli non necessari se le posizioni ed i movimenti sono sbagliati. Rilassarsi richiede perciò un sacco
di esperimenti per trovare queste condizioni ottimali.
Un altro modo per rilassarsi è suonare in modo musicale. La tecnica ha origine nel cervello. Suonare in
modo non musicale vìola apparentemente così tanti principi naturali che effettivamente interferisce con
i processi cerebrali naturali di controllo del meccanismo che suona.
L’ASCOLTO E L’ANALISI
Il modo migliore per prendere confidenza con un nuovo pezzo è ascoltarne un’esecuzione. Si ascoltino,
se possibile, numerose registrazioni diverse, perché possono fornire nuovi punti di vista e nuove
possibilità: si attiva così una competenza importante, quella della discriminazione, del pensiero critico,
dell’affinamento di un gusto personale e oltre questo si ha la possibilità di imparare diverse modalità di
esecuzione. Il passo successivo è analizzare la struttura della composizione. Chang usa come esempio
Per Elisa di Beethoven per far capire come l’analisi del pezzo può essere di notevole aiuto per
memorizzare il brano e superare le difficoltà legate ad accordi o passaggi difficili, “fissando” e
stabilendo delle sezioni di studio. Ottimizzando i tempi e offrendo maggiore autonomia allo studente
per quanto riguarda le parti tecniche e strutturali, l’insegnante può lavorare meglio sul contenuto
musicale del brano, quanto ci vorrà dipenderà dal livello musicale dello studente. In termini di
musicalità non si finisce mai veramente nessun pezzo, scrive Chang.
Il segreto di acquisire velocemente la tecnica sta nel conoscere alcuni trucchi per ridurre i passaggi da
difficili ed impossibili non solo a suonabili, ma anche a banalmente semplici
LO STUDIO SEGMENTATO
Uno dei trucchi più importanti per imparare è scegliere un pezzetto breve da studiare. Studiare solo
parti piccole permette di esercitarsi sulle stesse per dozzine di volte, anche centinaia, in una questione
di minuti. L’uso di queste rapide ripetizioni successive è il modo più veloce di insegnare alla mano i
nuovi movimenti. Se le note difficili venissero suonate come parte di un segmento più ampio, il lungo
intervallo tra esercitazioni successive ed il suonare altre note in mezzo potrebbero confondere la mano e
farle imparare molto più lentamente.
Tutti noi sappiamo quanto sia dannoso suonare un passaggio più velocemente di quanto la propria
tecnica permetta. Tuttavia, più è piccolo il segmento che si sceglie, più velocemente lo si può suonare
senza effetti deleteri. Scegliendo segmenti brevi, anche solo di due note, si può portare a velocità in soli
pochi minuti praticamente qualsiasi combinazione difficile di note. Si può studiare perciò per la
maggior parte del tempo alla o oltre la velocità finale, cioè nella situazione ideale perché fa risparmiare
così tanto tempo.
LA REGOLA DI CONTINUITA’
La regola di continuità si applica a qualsiasi segmento venga isolato per essere studiato: una misura, un
intero movimento o anche segmenti più piccoli di una misura: quando si studia un segmento, si includa
sempre l’inizio del segmento successivo. Questo assicura che una volta imparati due segmenti adiacenti
li si possano suonare anche insieme, senza interruzioni dovute alla ripetizione di sezioni staccate.
Una generalizzazione della regola di continuità è che qualsiasi passaggio, per essere studiato, può
essere spezzato in segmenti brevi, ma questi segmenti devono sovrapporsi. La nota, o gruppo di note,
che si sovrappone è detto congiunzione.
IL METRONOMO
Il metronomo va usato solo per controllare il tempo (velocità e ritmo), abusandone si può incorrere in
ogni tipo di problemi (un altro fatto contro-intuitivo) come la perdita del proprio ritmo interno, la
perdita della musicalità ed anche la totale confusione, per non parlare delle difficoltà biofisiche dovute
alla sovraesposizione a rigide ripetizioni. È quindi importante sapere come usare il metronomo in modo
corretto e perché.
Specialmente con i principianti ed i più giovani il docente deve rivolgere massima attenzione e cura
alla verifica del senso ritmico e del mantenimento del tempo: per questo è importante che gli studenti
esprimano anche ad alta voce il loro modo di “contare” il valore di ogni nota. Si usi il metronomo per
controllare la precisione di velocità e tempo. Lo si dovrebbe usare però solo per poco: una volta che lo
studente va a tempo bisogna spegnerlo. Il metronomo è uno degli insegnanti più affidabili – una volta
che si inizia ad usarlo si sarà contenti di averlo fatto. Però il metronomo serve a dare il tempo ed a
controllare la precisione, non è un sostituto del proprio senso interiore del tempo.
LA DITEGGIATURA
E’ importante per uno studio ottimale seguire sin dall’inizio la stessa diteggiatura che si utilizzerà poi a
velocità. Non avere una diteggiatura fissa rallenterà di gran lunga il processo di apprendimento e darà
problemi dopo, anche quando si è imparato il pezzo. Se si dovesse cambiare diteggiatura ci si assicuri di
usare sempre quella nuova. È una buona idea segnare la modifica sullo spartito, può essere molto
frustrante tornarci mesi dopo e non ricordare quella bella diteggiatura che si era trovata.
Comunque non tutte le diteggiature suggerite sugli spartiti sono adeguate per tutti: si potrebbero avere
mani grandi o piccole, si potrebbe essere abituati a diteggiature diverse per il modo in cui si è imparato,
si potrebbe avere un diverso insieme di abilità tecniche, si potrebbe essere uno di quelli che eseguono i
trilli meglio usando 1,3 piuttosto che 2,3. La musica dei diversi editori può avere diteggiature diverse.
La diteggiatura inoltre può avere, per gli esecutori di livello avanzato, una profonda influenza
sull’effetto musicale che si vuole proiettare ed è quindi un elemento da valutare bene anche ai fini della
interpretazione.
E’ importante apportare eventuali modifiche prima di iniziare a studiare a mani unite perché una volta
incorporate diventano molto difficili da cambiare. Di converso, alcune diteggiature sono facili a mani
separate, ma diventano difficili a mani unite. Si faccia quindi attenzione a controllarle a mani unite
prima di accettare definitivamente qualsiasi cambiamento.
A MO’ DI INTRODUZIONE
Nell’introduzione l’autore sottolinea alcuni concetti che ritiene dovrebbero essere alla base
di ogni metodologia didattica.
1- prima di cominciare un percorso di strumento, l’allievo deve possedere l’abilità di sentire
la musica dentro la testa (quella che oggi viene definita “audiation”).
2- l’esecuzione musicale è composta da tre elementi: la musica eseguita, l’interprete, lo
strumento. È necessario sviluppare la piena padronanza di tutt’e tre le componenti.
3- bisogna porre obiettivi chiari, in modo che siano altrettanto chiari i mezzi per
raggiungerli.
CAP. 2 IL RITMO
L’autore sottolinea come sia fondamentale insegnare l’importanza del giusto ritmo, metro e
pulsazione, che paragona non al ticchettìo dell’orologio, ma al battito del cuore, che è
regolare anche nell’accelerare e rallentare.
Riassunto elaborato da Agnese Santilli del libro:
L’arte del pianoforte di Heinrich Neuhaus
L’autore evidenzia alcuni punti o problematiche principali nello studio del ritmo.
Innanzitutto consiglia all’insegnante di dirigere per guidare l’allievo nella gestione del
tempo e di far dirigere all’allievo stesso la sua partitura, suonandola nella mente.
1 e 2. L’autore evidenzia alcune specifiche cellule ritmiche che spesso non vengono
eseguite correttamente.
3. è importante esercitare l’indipendenza di velocità e volume, dato che spesso gli allievi
principianti associano crescendo ad accelerando e diminuendo a rallentando.
4. Le variazioni di tempo seguono regole determinate. Ad esempio, i cambiamenti
graduali di tempo o di dinamica solitamente non possono iniziare proprio dall’attacco della
frase o della battuta, bensì un po’ più tardi e preferibilmente nel tempo debole della
battuta.
5. la durata delle corone dipende dal contesto in cui sono inserite.
Per una corona dopo un ritenuto bisogna continuare mentalmente il rallentando dei suoni,
in modo che la corona sia conclusione logica del ritenuto.
Le corone non precedute da rallentando o accelerando vanno contate nel tempo di base e,
se necessario, raddoppiarne, triplicarne o quadruplicarne la durata, in base anche al punto
strutturale in cui si colloca il simbolo.
Anche l’intervallo tra movimenti dev’essere sensato a livello temporale in modo che la
macro-struttura sia coerente e che la musica non si spezzi nei silenzi. Anche i silenzi e le
pause vanno ascoltate.
6. nell’esecuzione bisogna restare coerenti alla partitura, anche nella gestione dei tempi
nel rispetto della struttura.
7. bisogna esercitarsi a prendere il tempo giusto fin dall’inizio del brano. Un buon
esercizio è, prima di cominciare, mentalmente cantare un punto saliente dell’opera per
avere un riferimento del tempo giusto.
8. l’autore esemplifica alcuni casi di poliritmia e relativi esercizi.
9. bisogna fare attenzione a non alterare il ritmo in funzione di particolari difficoltà
tecniche.
10. l’autore pone l’attenzione sulla tendenza, nelle melodie, a suonare più veloci le figure
ritmiche brevi rispetto al resto. In tal caso è consigliato suonare tali note particolarmente
trattenute.
11. a volte gli errori ritmici sorgono perché non è chiara la raffigurazione artistica del brano,
lo stile dello specifico compositore.
12. bisogna fare attenzione nell’esecuzione di opere cicliche a pensarle nella loro
integralità, per non incorrere in errori di tempo o ritmo.
13. bisogna avere un buon senso dell’insieme per eseguire in modo soddisfacente opere
di dimensioni notevoli.
Riassunto elaborato da Agnese Santilli del libro:
L’arte del pianoforte di Heinrich Neuhaus
14. l’utilizzo di varianti ritmiche nello studio dei brani dev’essere valutato caso per caso;
per gli esercizi tecnici è senza dubbio efficace, ma nello studio del repertorio non sempre è
la metodologia più efficace, dipende dal tipo di scrittura e dal risultato che si vuole
ottenere.
È importante inventare da sé gli esercizi necessari a superare degli scogli tecnici o
determinati passaggi difficili.
Dopo lo studio frammentato dei passaggi, è importante reinserirli all’interno della struttura
musicale.
15. suono e ritmo devono essere interdipendenti. Il suono dev’essere calibrato in base
all’elemento ritmico che dev’essere eseguito.
16- suono e ritmo devono essere particolarmente connessi soprattutto nel rubato.
3. l’apparato motorio
Quando ci riferiamo alla “forza delle dita” stiamo parlando della resistenza delle dita a
sopportare un carico.
Tra i compiti delle dita, dove sono unità autonome, ricadono i casi di jeu perlé, piano, non
legato, dove servono chiarezza e precisione, e le melodie dove serve un suono molto
grande e legato (e molto altro…).
Ma le dita hanno anche altre funzioni. Quando è necessario uno sforzo massimo per
ottenere un grande suono, le dita diventano sostegni sicuri per sopportare tutto il peso.
La mano è costruita in modo assolutamente conforme all’uso al pianoforte, parlando di
uniformità del suono, in quanto ogni dito ha una sua individualità, ma in caso di necessità
può sostituire le altre dita.
Riassunto elaborato da Agnese Santilli del libro:
L’arte del pianoforte di Heinrich Neuhaus
4. la libertà
Uno dei principali difetti motori è la rigidità.
Un esercizio consigliato dall’autore è: in piedi, lasciar cadere un braccio lungo il corpo; poi
l’altro braccio, attivo, lo prende dalle punte delle dita alzandolo gradualmente il più in alto
possibile e, arrivato all’altezza massima, lo lascia cadere all’improvviso.
Un pianista deve dominare completamente il proprio corpo, conoscere lo zero di tensione
e il massimo di tensione, saperlo controllare ed utilizzare.
Non esiste una posizione ideale al pianoforte, bensì tante posizioni che mutano in base
alla musica che si sta suonando. L’attenzione di chi suona deve essere rivolta al fatto che
le dita si trovino sempre nella posizione più vantaggiosa e naturale.
Un importante elemento da allenare è la lungimiranza, il guardare avanti per essere pronti,
prepararsi per i passaggi successivi, e non incorrere in errori. Si può studiare lento per
seguire attentamente ogni movimento, prevedere gli spostamenti, controllare che ogni dito
arrivi al posto giusto e mantenere la flessibilità nel movimento (utili per imparare il legato
nei passaggi).
Riguardo invece l’aspetto delle lunghe distanze e dei salti, importante è tracciare una
curva nello spostamento.
Per chi ha mani piccole è problematica l’esecuzione di accordi in posizione lata. Anche se
c’è tensione nella mano, bisogna cercare di tenere avambraccio e spalla sciolti.
Aggiunte al capitolo IV
1. la diteggiatura
La migliore diteggiatura è quella che permette di eseguire una musica nel modo più giusto.
Il principio della comodità fisica della mano è secondario al primo, cioè adattare la
diteggiatura al contenuto musicale. Inoltre la diteggiatura dev’essere pertinente allo stile di
un determinato autore.
Il terzo (in ordine gerarchico di importanza) principio è la comodità della diteggiatura
rispetto a una mano concreta in base alle sue caratteristiche individuali.
Bisogna saper sostituire una diteggiatura con un’altra, ma bisogna impararne una sola e
consolidarla, in modo da usare la memoria muscolare.
2. il pedale
Uno dei compiti principale del pedale è eliminare la secchezza e breve durata del suono
del pianoforte.
Lo studio del pedale è lo studio del suono, quindi è impossibile segnarlo in maniera
precisa e va adattato guidati dall’orecchio.
Esistono diversi livelli del pedale (completo, mezzo pedale…), che vanno usati
sapientemente in base al suono che si vuole creare.
Riassunto elaborato da Agnese Santilli del libro:
L’arte del pianoforte di Heinrich Neuhaus
Il pedale giusto non esiste, bisogna adattarlo in base allo stile del compositore.
Un difetto frequente è la lentezza nel cambio del pedale e la mancanza della capacità di
un uso rapido.
Il pedale di sinistra va usato non ogni volta che è indicato piano o pianissimo, ma quando
è necessario un cambio di timbro.
L’avvento del nuovo strumento a tastiera, la cui peculiarità era quella di poter variare d’intensità
sonora con la semplice variazione della quantità di energia cinetica con cui venivano messi in
azione i suoi tasti, fu accolto con una certa difficoltà dalla maggior parte dei virtuosi degli strumenti
che l’avevano preceduto.
Il nuovo strumento richiedeva dunque capacità e abilità adeguate a sfruttarne le precipue virtualità
dinamiche, e il primo problema che si presentò ai suoi esecutori fu quello di trovare le modalità di
attacco ai tasti che meglio rispondessero a tali nuove esigenze.
Anche noi orienteremo pertanto la nostra indagine affrontando per primo quel problema, ossia il
problema della dinamica.
Che cosa si intende con quel termine? Attilio Brugnoli, autore del trattato La dinamica pianistica,
scrive: Dinamica è la relazione che sussiste tra la forza, il moto e la materia del mobile. Quindi
dinamica è un scienza, non si può dire che tutti i pianisti ne abbiano ancor oggi una conoscenza
scientificamente precisa.
È questo un difetto della nostra categoria: il pianoforte racchiude nel suo interno, già bell’e pronta,
la sua brava Meccanica Renner (o d’altra marca similare) a immediata disposizione, Questa e` la
probabile causa del poco ponderato e a volte addirittura amatoriale modo di affrontare i problemi
dinamici della sua esecuzione
La data di nascita della ‘‘tecnologia pianistica’’, viene fissata dai medesimi storici e musicologi nel
1885; L’anno è quello della pubblicazione di un articolo dal titolo piuttosto significativo e
rivelatore: ‘‘Armleiden des Klavier-Spielers’’, ossia ‘‘I dolori al braccio dei pianisti’’. L’avvento di
tale nuovo modo di concepire la tecnica pianistica che, appunto, si fonda sull’utilizzazione
dell’intero braccio, su un sistema di movimenti ‘‘fisiologici’’ e sull’impiego della forza di inerzia e
di gravità (il getto e il peso), portò sicuramente importanti benefici alla nostra categoria.
La querelle tra i seguaci della tradizione e coloro che abbracciavano i precetti della nuova
tecnologia arrivó poco più tardi anche in Italia. Leggiamo insieme la testimonianza di Vitale, su due
grandi suoi predecessori, Alessandro Longo e Florestano Rossomandi: Rossomandi, una tendenza
a scoprire nuovi indirizzi tecnici e interpretativi ... Alessandro Longo, invece, il convincimento
della bontà di una tradizione. L’equazione: Rossomandi eguale a ‘peso’ e ‘rotazione’; Longo
uguale a ‘articolazione’, è solo un tentativo di definire un divario di linee didattiche.
In verita` i principi ai quali si ispiravano le scuole prescientifiche erano, in se, altrettanto validi di
quelli poi affermati dai più moderni tecnologi: il corpo umano non può compiere movimento
alcuno se privo della forza motoria sviluppata dall’azione muscolare sulle sue articolazioni, così
come non può sottrarsi, in ogni sua parte, alle leggi della forza gravitazionale e della forza
inerziale.
La prima parte di questo breve saggio si incardinerà pertanto su due punti fondamentali:
Primo – L’analisi delle relazioni ‘‘tra la forza, il moto e la materia del mobile’’,
Secondo – la descrizione delle modalità e degli esiti di sperimentazioni di- rette e immediate delle
diverse attitudini e azioni richieste da ogni diverso tipo d’attacco.
‘‘Conosci te stesso’’ è il socratico motto che andrebbe preposto a qualsiasi tentativo di perfezionare
un’azione motoria. Ma, per ‘‘conoscere i propri movimenti’’, è necessario saper raccogliere quella
somma di sensazioni interiori che ci consentono di aver piena contezza, sia dei comandi motori, sia
delle masse muscolari.
Non mancano pubblicazioni che corredano la trattazione dei problemi dinamici e tecnici del
pianoforte con la descrizione di appositi esercizi di ginnastica. Fra questi, Jozsef Gat presenta ben
58 esercizi ‘‘a corpo libero’’, ossia da compiersi lontano dalla tastiera, ed anche Seymour Fink
propone una serie di semplici ma efficacissimi esercizi che cominciano proprio con movi- menti
della nuca, delle spalle e delle braccia.
I. La forza muscolare
Le fonti di energia utilizzabile per suonare il pianoforte debbono essere distinte in tre diverse
specie: la forza muscolare, la forza gravitazionale e la forza inerziale.
Esaminiamo per prima l’utilizzazione dell’energia muscolare. La massa potrà essere aumentata,
aumentando il numero di segmenti articolari messi in gioco, mentre la velocità del moto di ciascuna
articolazione potrà essere aumentata, aumentando la rapidità delle contrazioni muscolari che la
producono. Tale rapidità potrà essere ulteriormente incrementata, sia selezionando gli impulsi
neuromuscolari più appropriati al fabbisogno, sia aumentando l’ampiezza dei movimenti delle
articolazioni sollecitate.
III. Ciò che accade dopo l’attacco prodotto dalla forza muscolare
Indaghiamo ora anche su ciò accade dopo che sia stato eseguito l’attacco al tasto prodotto dalla
forza muscolare. L’azione del dito tuttavia non si conclude a quel livello, in quanto la leva dello
scappamento non ne assorbe tutta l’energia cinetica, la cui quantità residua si scarica invece
sull’ostacolo fisso costituito dal fondo del tasto. ogni azione, quando incontra un ostacolo, produce
una reazione eguale e contraria. La forza della reazione ha dunque un rilievo dinamico eguale e
contrario a quello dell’azione che la produce, un rilievo che pone immediatamente il problema di
come essa possa essere assorbita e neutralizzata fino a quando l’azione del dito sul tasto non sia
completamente cessata. se la direzione degli attacchi sara` stata ortogonale rispetto al piano della
tastiera, le contro-spinte della reazione assumeranno una direzione ortogonale in senso opposto; se
invece la direzione rispetto al piano della tastiera avrà formato un angolo diverso, la direzione delle
contro-spinte si apporrà seguendo in senso contrario la medesima angolazione.
IV. Ciò che accade dopo gli attacchi prodotti dalla forza gravitazionale e dalla forza inerziale
La forza gravitazionale, che agisce sui segmenti articolari quando essi vengono lasciati liberamente
cadere sui tasti, nel momento del contatto trasferisce interamente la propria energia cinetica sui tasti
stessi che, a loro volta, attraverso il sistema meccanico del pianoforte la trasferiscono al martello.
L’urto del martello sulle corde produce un effetto-rimbalzo che viene neutralizzato dall’effetto
frenante del paramartello, ossia da un congegno che rappresenta una delle più geniali invenzioni di
Bartolomeo Cristofori. Sugli effetti dell’opposizione del fondo del tasto al dito che ha portato
l’attacco, le opinioni dei tecnologi sono invece affatto discordi. Alcuni di loro, forti del risultato di
appositi esperimenti scientifici, sostengono che tale opposizione non produce alcun rimbalzo. Altri,
non meno sicuri delle loro affermazioni, sostengono tesi opposte e non si limitano a descriverne
solamente gli effetti, ma propongono addirittura la loro utilizzazione quale componente dinamica di
particolari procedimenti esecutivi.
I. Il tocco naturale
Se vogliamo riesaminare in modo più approfondito i vari tentativi di applicazione dei principi
dinamici alla tecnica pianistica e vogliamo seguirne la storia fino ai giorni nostri, dovremo
cominciare proprio dalle origini; simile indagine sarà tanto più facile se chi la compie, prima di
diventare pianista adulto, si ricordi di essere stato un pianista bambino e sappia rievocare i primi
momenti in cui si trovó per la prima volta davanti a una tastiera.
Noi crediamo che ancor oggi molti siano coloro che, come un bimbetto, abbiano costruito gran
parte del loro pianismo su tale base ‘‘preistorica’’, ossia sulla base di quella che fu la prima, felice
esperienza tattile-sonora dello strumento, senza sentire il bisogno di correggerla poi ricorrendo a
speciali gestualità od ottemperando a particolari precetti tecnologici. Dobbiamo invero riconoscere
che quel genere di approccio chiama in gioco il senso del tatto, che possiede una grandiosa
ricchezza di virtualità applicative e di capacità espressive.
Da un punto di vista cinesiologico, il tocco naturale si avvale di un gesto tanto spontaneo quanto
complesso.La sua naturalezza ci rassicura sulla sua funzionalità . E l’esperienza di ogni giorno
insegna che il nostro corpo, ripetendo una stessa azione, ‘‘impara’’ autonomamente a perfezionarne
via via l’esecuzione, riducendo il dispendio energetico, l’impegno muscolare e i tempi di
realizzazione.
l’attacco diretto può essere perfettamente assimilato a quello che noi abbiamo definito come
approccio spontaneo, cosı` come si può tranquillamente condividere l’opinione che le peculiarità
dinamiche di questo tipo di tocco siano quelle che permettono di ottenere il miglior rendimento
timbrico nel suono del pianoforte.
I MOVIMENTI DI FLESSO-ESTENSIONE
DELLE QUATTRO ULTIME DITA E I MOVIMENTI DI ABDUZIONE-ADDUZIONE DEL
POLLICE
I. Il tocco a martello
Gli esecutori che si trovarono davanti al nuovo strumento ‘‘con il piano e il forte’’, e che per certo
non potevano contentarsi delle sole possibilità dinamiche consentite dal ‘‘tocco naturale’’, sentirono
ben presto il bisogno di inventare qualche nuovo modo di articolare le dita al fine di renderle più
robuste ed efficaci. Per suonare il piano si pensò, al contrario, di ampliare i movimenti di flesso-
estensione delle dita per aumentarne la forza e di flettere maggiormente ciascun dito fra la prima e
la seconda falange, in modo che la terza ed ultima falange percuotesse il tasto verticalmente.
Il nuovo modo di articolare le dita raggiunse in breve una così vasta diffusione e un così ampio
credito da diventare tout-court il movimento ‘‘tipo’’ dell’esecuzione pianistica. Quel movimento
prese il nome di ‘‘movimento a martello’’ o di ‘‘tocco a martello’’ e, con questo nome, raggiunse
finanche gli onori di trattazioni scientifiche.
Oltre all’idea dell’attacco verticale dell’ultima falange del dito, prese corpo l’idea che la mano,
durante l’azione delle dita, dovesse restare perfettamente immobile e parallela al piano della
tastiera. Nella posizione di partenza del movimento a martello noi vediamo che la preventiva
flessione della seconda e della terza falange funge da preparazione alla ‘‘verticalizzazione’’ del
successivo movimento d’attacco, mentre l’ampio sollevamento della prima falange ha, come
abbiamo già spiegato, il solo intento di rinforzare l’energia del suo moto.
Le dita più corte dovranno sapersi allungare quanto basta, estendendo falangina e falangetta in
modo che, nel momento dell’affondo, quest’ultima si trovi a formare il voluto angolo di 90 gradi
con il tasto stesso, e possa così effettuare correttamente l’attacco. Se l’attacco vien portato
verticalmente, anche la reazione all’attacco si indirizza in senso contrario sulla verticale del tasto.
Ciò costringe a immobilizzare le articolazioni intermedie che devono reggerne la contro-spinta per
‘‘trasferirla’’ sul tronco, dal quale potrà finalmente essere neutralizzata.
II. La correzione ‘‘per allungamento’’ del tocco a martello, ovvero il tocco sgranato
Ma qualora noi integrassimo il movimento a martello di tutte e quattro le nostre ultime dita, e non
solo di quelle più corte, con una estensione leggermente più ampia delle loro due ultime falangi,
ampliando progressivamente e sistematicamente l’angolo formato dalla prima e dalla seconda
falange durante il moto verso i tasti, ‘‘sentiremmo’’ subito di aver risolto qualsiasi problema di
riassorbimento della reazione. Il moto dell’attacco, in ragione di quella leggera maggior estensione
delle falangi, si attuerebbe allora in una direzione non più verticale, ma obliqua.
Si deve notare che, a favore di questa ‘‘correzione in avanti’’ del tocco a martello, gioca anche la
considerazione che il movimento a cerniera delle falangi conferisce, come sappiamo , un ‘‘valore
aggiunto’’ di accelerazione alla velocità delle articolazioni e quindi agisce nel modo più appropriato
sul tasto a livello dello scappamento, accompagnando in accelerazione la corsa del martello verso le
corde.
Il tocco per allungamento offre poi un ulteriore grosso vantaggio: il valore aggiunto di velocità`, che
esso sa produrre attraverso il moto combinato delle falangi, permette di attaccare il tasto con un
movimento articolare molto ridotto; esso presenta un altro inaspettato vantaggio: l’azione sinergica
di muscoli agonisti e antagonisti, produce un notevole effetto di ‘‘disimpegno’’ dall’articolazione
delle dita viciniori, le quali automaticamente reagiscono a quell’azione mosse da un impulso di
moto contrario.
In conclusione, un uso accorto della versione così rivalutata e corretta del tocco ‘‘a martello’’
permette un attacco del tasto preciso, veloce, ben controllato, e un successivo ‘‘automatico’’,
altrettanto rapido disimpegno.
II. Le ottave ‘‘di polso’’ secondo importanti testimonianze e secondo una più sommessa
testimonianza personale
Secondo Butini Boissier, la quale annota come Liszt dividesse tutte le difficolta` pianistiche in
quattro classi, una delle quali era quella delle ottave, specificando che al fine di conseguire la
velocità e la forza necessarie consigliava di esercitare il polso almeno un paio d’ore al giorno.
Di seguito anche la testimonianza di Casella: il gioco delle ottave, e in generale dello staccato del
polso, può essere acquistato da chiunque voglia dedicare a questo ramo della tecnica il tempo
necessario. Non si può, d’altra parte, sottacere l’opinione nettamente contraria di numerosi
tecnologi, fra i quali due Maestri ungheresi che avrebbero dovuto considerarsi eredi del grande
Liszt, ma che invece non si sono peritati di contestarne le asserzioni riportate nel diario della Butini
Boissier. Tra questi citiamo Jozsef Gat, il movimento del polso non è quasi mai usato come
articolazione attiva indipendente, esso si applica solamente come complemento (attivo o passivo)
dell’azione d’attacco di braccio o avambraccio); e di Gyorgy Sandor, il quale, a conclusione di una
serie di argomentazioni simili a quelle del Gat, lancia addirittura un’invocazione: per piacere, mai
lo ‘staccato di polso’; mai usare esclusivamente il polso!.
III. La ‘‘fissazione’’ delle dita nell’esecuzione delle ottave e degli accordi staccati
Nel suo eccellente trattato Seymour Fink non dimentica di dedicare all’articolazione del polso
alcuni importanti esercizi propedeutici ‘‘a corpo libero ’’ destinati proprio a svilupparne la forza, ma
si preoccupa al contempo del ruolo che le dita debbono assumere per reggere quella forza stessa e
trasmetterla ai tasti. Jozsef Gat, pur contrario, come s’é detto, all’uso esclusivo dell’articolazione
del polso, usa quasi le stesse parole di Fink per descrivere il ruolo delle dita e della mano: la tecnica
di accordi e ottave comprende forme in cui l’attacco attivo delle dita non ha alcun ruolo e la mano
lavora sempre come un’unità. Heinrich Neuhaus ribadisce L’essenziale e` formare una specie di
semicerchio che andrebbe dalla punta del quinto dito all’estremità del pol- lice passando per il
palmo. Bisogna obbligatoriamente che il carpo presenti una volta più bassa che il metacarpo, ciò
che non e` facile per mani piccole.
La fissazione delle dita e della mano in un’unica unita` non e` dunque priva di riscontri passivi
riguardo al moto alternato e ripetuto che, nella ‘‘tecnicadello staccato’’ viene richiesto al polso.
È chiaro che l’azione muscolare necessaria a ‘‘fissare’’ la posizione delle dita sulle ottave e sugli
accordi deve giovarsi, per quanto possibile, dell’aiuto che possono fornire le strutture scheletriche
chiamate in gioco, le quali, assumendo posture appropriate, sono in grado di ridurne
considerevolmente lo sforzo. Questa è la principale ragione per cui tutti i tecnologi in questi casi
raccomandano di mantenere posizioni ‘‘ad arco’’.
Ricordiamoci allora che la flessione del polso favorisce l’apertura della mano in quanto produce un
meccanico allungamento dei muscoli estensori i quali, in ragione delle loro proprietà elastiche,
tendono ad estendere e a divaricare le dita: la mano pertanto può assumere più agevolmente la
posizione di ottava flettendo leggermente il polso.
Alla fine del diciottesimo secolo, sia stata proprio la constatazione dell’inadeguatezza
dell’articolazione del polso a fronteggiare una scrittura pianistica che via via si arricchiva di accordi
più ‘‘densi’’ e di intervalli più estesi, a far scendere finalmente in campo i primi paladini della
tecnologia scientifica e a far riconoscere all’azione del braccio il ruolo che da sempre le spettava nel
gioco pianistico.
LA LIBERA CADUTA
Alcuni teorici, che avevano preso in considerazione la diversa possibilità di usare il braccio nella
tecnica pianistica, si accorsero che la forza muscolare poteva essere sostituita dal peso del braccio,
che con la forza di gravità avrebbe permesso di abbassare il tasto senza un’azione muscolare.
Questo argomento è ancora molto discusso e l’uso del peso è raccomandato da numerosi pianisti.
Neuhaus affronta questo tema della “libera caduta” affermando che durante l’esecuzione il braccio
deve trovare il tempo di sollevarsi per poter sfruttare a dovere la forza di gravità. Però in fase di
esecuzione la quantità di tempo per attuare questo movimento è veramente poca. Sàndor afferma
che ‘‘La forza di gravità agisce secondo le proprie leggi, e se non le si dà il tempo e lo spazio
necessario per produrre una data accelerazione, la caduta potrà anche non fornire la velocità che ci
occorre [...] Pertanto la caduta libera può essere usata soltanto in passaggi non troppo veloci”,
afferma inoltre che per ottenere un suono cantabile è necessario che ‘‘... articolazioni delle dita, del
polso, della mano devono essere sciolte, rispondenti, elastiche. Devono fungere da ammortizzatori
durante la discesa delle dita sulla tastiera onde eliminarne la bruschezza dell’impatto. Se tutte le
articolazioni[...] sono elastiche, la qualità del suono avrà quella cantabilità che desideriamo’’ per
quanto lo stesso Sàndor è cosciente del fatto che in un primo impatto col tasto il dito si irrigidisce.
Chang afferma invece che la qualità del suono è prodotta dal movimento in accelerazione impresso
al tasto, il quale accompagnerebbe il martelletto nella sua spinta.
Il consiglio migliore è quello di sperimentare la caduta libera al pianoforte al fine di “conoscere
anche se stessi” raggiungendo il dominio del proprio corpo.
La caduta libera è utile anche per capire se il braccio e le giunture articolari sono rilassate, infatti se
queste sono in tensione non è possibile effettuare una caduta.
Sono moltissimi gli esercizi da fare con la caduta libera: uno di questi è quello di lasciare penzolare
un dito agganciato al tasto. Con quello stesso dito si possono conoscere le varie zone muscolari
impegnate sollevandolo e abbassandolo.
LA FORZA D’INERZIA
Utilizzando sia la forza muscolare che quella gravitazionale si ottiene una terza forza: la forza
d’inerzia.
Anche per usare questa forza bisogna essere sempre rilassati, quindi bisogna avere pieno dominio di
se stessi per utilizzare in modo adeguato solo i muscoli che serviranno allo scopo finale.
Il movimento è simile a quello dei martelletti che colpiscono la corda, per cui una volta effettuato
questo movimento non potrà più essere modificato, per questo motivo bisogna avere una piena
padronanza dello strumento.
I nostri arti superiori, possono compiere azioni “di getto”, quindi di breve durata. L’arto dopo aver
toccato la tastiera, ritornerà da solo alla sua naturale posizione di riposo dopo un breve rimbalzo.
Per capire al meglio questo movimento, si può sperimentare il getto anche su un tavolo, flettendo a
90° gli avambracci sui gomiti, mantenendo rilassate tutte le articolazioni del braccio (nocche, polsi,
gomiti e spalle), quindi, si gettano gli avambracci in direzione del tavolo: si noterà che quando le
dita colpiscono il tavolo, i polpastrelli ammortizzano l’impatto facendo flettere le nocche e i polsi.
Il rimbalzo che avvertiamo colpendo il tasto, secondo Sàndor, non è dovuto soltanto al rimbalzo del
dito, quanto al contraccolpo del tasto, poiché esso ha un suo grado di elasticità, infatti, una volta
colpita la corda torna indietro, agevolando così il rimbalzo del dito. E’ così che si riescono ad
eseguire i passaggi più difficili di ottave e accordi veloci.
L’inclinazione rotatoria
La rotazione è un movimento che sfrutta le nocche delle dita o i polsi in posizione flessa, i quali
svolgono la funzione di “perni” su cui si bilanciano segmenti articolari rotanti. Molti pianisti
limitano il movimento rotatorio all’esecuzione di trilli, tremoli o intervalli spezzati. Nella rotazione,
se il braccio mantiene l’avambraccio nella posizione atta al movimento rotatorio, significa che ne
sostiene il peso, per cui la rotazione si può eseguire senza appesantire l’avambraccio.
L’ampiezza dei movimenti rotatori
Secondo Sàndor, il limite massimo per la rotazione dell’avambraccio è l’intervallo di settima. Per
cui, l’intervallo di ottava, secondo lui, non può essere eseguito “legato” tramite la semplice prono-
supinazione poiché il dito è costretto a lasciare il tasto, slegando il suono. Sàndor sconsiglia infatti
di allargare la mano per legare i due suoni “Se il dito si protende invece verso la nota da suonare,
tenderà ad abbassarsi e gli mancherà la necessaria distanza dal tasto; vi sarà una certa tensione dei
muscoli e il movimento verrà eseguito soltanto con il dito;”.
Ma, le ottave spezzate, vanno quasi sempre eseguite legate, tranne in quale rara occasione. Una
soluzione potrebbe essere quella di eseguire le ottave spezzate sollevando il polso in modo che si
possa formare un arco ampio che permetta di suonare legato.
Un’altra soluzione suggerita dallo stesso Sàndor: ‘‘…dovendo eseguire un passaggio che implichi la
rotazione, alquanto lungo e faticoso, possiamo sempre alternare la posizione del braccio e del
gomito, movendoli leggermente in alto e in basso [vale a dire, allineando l’avambraccio all’omero e
poi riportandolo alla posizione flessa], evitando così la fissità della posizione e prevenendo
l’insorgere della fatica’’.
La mezza rotazione
Il movimento di mezza rotazione, si può eseguire solo sulle parti staccate estreme, interne o esterne,
dei passi polifonici. Naturalmente, il primo e il quinto sono le dita più coinvolte nella rotazione.
Spesso, proprio queste due dita, che dovrebbero essere i perni del movimento, collassano. Molti
studenti hanno mancanza di energia del pollice che cercano di compensare con i movimenti della
mezza rotazione, i quali però non aiutano alla correzione di questo problema. Ancora più comune è
il collasso del mignolo, dito più debole. Spesso il malfunzionamento di questo dito, provoca
addirittura dolori nella zona dell’avambraccio. L’errore in cui incombe spesso il quinto dito è quello
di attaccare il tasto come se formasse la mano e l’avambraccio in un’unica articolazione. Questo
porta sicuramente a cattive abitudini che provocano il collasso del dito.
Il tocco legato
Quando si parla di legato, si accosta a questa parola l’aggettivo “perfetto”. Il legato infatti è un
“effetto” che solo pochi pianisti riescono ad ottenere. Il dito che tiene premuto il tasto tramite
l’azione prensile, deve poi scaricare il peso sul dito successivo. Casella afferma: ‘‘Il legato perfetto
costituisce per il pianista una qualità fondamentale... Non si deve mai abbandonare un tasto senza
aver suonato la nota seguente. E anzi, dovendo ottenere... quel superlegato che intensifica in modo
straordinario l’espressione, bisogna senz’altro prolungare parecchio la nota precedente, assieme a
ogni suono nuovo, in modo da creare l’illusione di un leggero portamento fra le varie note’’, quindi
per un brevissimo istante le due note sono “accavallate” tra di loro. Sàndor, contrariamente afferma
che il rischio è quello di ottenere una serie di brevi dissonanze: ‘‘Il legato è uno dei misteri del
pianoforte. Si può dire che tutti conoscano gli obbiettivi di questa tecnica, ma sul modo di ottenere
un vero legato esistono le più varie teorie... Ad esempio, se una nota sovrasta un poco la nota
successiva, permanendo quando la seconda già si è fatta sentire, si verificherà una serie di brevi
dissonanze.”. Lo stesso concetto è affermato da Jòzsef Gàt. A proposito di ciò, Caroline Butini
Boissier, afferma che Liszt ‘‘... ci ha spiegato il suo metodo per il legato… Quando una batteria
forma un accordo consonante si possono legare le note, perché questo suona più dolce, ma non
appena diventa dissonante lo si stacca o si tolgono solo le note che creano la dissonanza, legando le
altre’’.
Il legato con il tocco a martello
I due possibili coinvolgimenti del braccio per tenere le dite abbassate sulla tastiera sono: la
pressione e il peso.
Quando si parla di pressione ci si riferisce a quella esercitata dall’avambraccio e dalla mano. La
pressione causa un leggero irrigidimento del polso e del gomito, per cui ne frena qualsiasi
movimento.
Il peso, invece, ha il vantaggio di non provocare irrigidimenti al polso e al gomito e ha il vantaggio
di poter bilanciare il peso tramite gli spostamenti dell’omero, in modo tale che la mano e
l’avambraccio scarichino sempre il loro peso sulla punta delle dita.
Dunque, se si dovesse scegliere tra peso e pressione, la scelta ricadrebbe sul peso perché non prova
rigidità muscolari e articolari.
Il tocco a martello ha un attacco sul tasto di tipo verticale, infatti prevede il palmo della mano
allineato alla tastiera, e le dita allineate ai propri tendini.
Il legato col tocco sgranato
Il tocco sgranato è una modifica del tocco a martello, che anziché avere le dita arcuate con una
presa verticale, le ha più distese, con una presa obliqua.
I due modi di legare con il tocco prensile
Il tocco prensile, a differenza del tocco a martello usa un attacco obliquo del dito e usa il peso
dell’intero braccio (anche se in piccola parte). Secondo Brugnoli, l’esecuzione dei suoni legati
richiede l’azione dei tendini estensori e poi dei flessori. Dice anche però che ‘‘Quando un dito deve
cessare la sua azione prensile, se il funzionamento della mano è reso perfetto, diventa assolutamente
inutile eccitare il tendine estensore per riportarlo in alto e permettere con ciò al tasto di ritornare
allo stato di riposo’’.
Il tocco prensile è in grado di produrre suoni intensi anche senza la forza gravitazionale.
Questo tipo di tocco è stato teorizzato da Vitale, alunno di Brugnoli, che ha parlato dello “scatto”,
cioè la velocità del moto prensile delle dita. Questo tipo di attacco prensile, è diverso da quello del
peso, infatti, il peso accompagna il tasto in accelerazione verso il fondo, lo scatto invece inizia la
sua funzione già al primo contatto col tasto che scende così per inerzia fino a decelerare durante la
sua discesa.
Il legato con il tocco a trazione
Bertrand Ott parla di questo tipo di tocco. Egli esamina i movimenti di ogni parte dell’arto
superiore.
L’omero ha 4 ruoli: sospensivo, laterale, traente, di estensione in avanti del braccio.
L’avambraccio ha anch’esso 4 ruoli: aderenza, rotazione, flessione prensile (che si usa per ottenere
grandi intensità sonore), ed estensione.
I ruoli del polso sono: flessione ed estensione (in cui Ott si riferisce alla funzione dinamica
“percussiva” dell’articolazione del polso), rinforzo e aggancio della mano, trasmissione nella
concatenazione continua delle dita.
Il legato di braccio
Vi è infine un tipo di attacco legato prodotto dall’articolazione dell’omero e dell’avambraccio.
Moltissimi pianisti fanno uso di questo tipo di legato per sostenere vari attacchi inefficaci; essi
l’ottengono utilizzando la leva dell’avambraccio articolata sul gomito, usando polso e gomito come
snodi i quali sollevati e abbassati possono lasciare che le dita impegnate sui tasti mantengano il loro
affondo per legarne i suoni alle note successive.
Gli esercizi
La tecnica pianistica è stata molto studiata e argomentata, come abbiamo già detto. Moltissimi sono
infatti i Metodi per lo studio della tecnica pianistica, i quali consistono in raccolte di Esercizi e/o
Studi di difficoltà progressiva per sviluppare la tecnica dei giovani pianisti.
Si comincia dagli esercizi, che diversamente dagli studi, presentano uno schema più o meno vario
che si ripete: scale, arpeggi, note ribattute, trilli, doppie note ecc. A volte gli esercizi hanno anche
delle brevi didascalie che indicano il modo in cui andrebbero eseguiti.
Gli studi
Gli studi, come gli esercizi, furono concepiti con l’intento di sviluppare formule tecniche ben
precise. Il principio degli studi è quello di far ripetere più volte alcuni passaggi costruiti su tipici
tratti di scrittura. I programmi pianistici includono questo genere di composizioni che vengono
considerate una componente indispensabile per un pianista.
Ma, gli studi non consistono solo nella ripetizione meccanica di formule tecniche, ma, al contrario
degli esercizi hanno un fine artistico e musicale ben preciso. Basti pensare alle magnifiche opere
musicali quali sono gli Studi di Chopin o di Liszt. Secondo Sàndor infatti, è del tutto inutile “perder
tempo” studiando studi ed esercizi meccanici, quando invece esistono Studi come quelli di Chopin
che meritano uno studio più attento.
Ovviamente, il fatto che negli studi di questo calibro ci siano delle formule tecniche che assumono
un carattere musicale di livello superiore, non ci autorizza ad eseguirli in maniera meccanica come
semplici esercizi. Questi sono studi che meritano un’attenta dedizione e un fine ben più grande
rispetto agli esercizi come quelli di Hanon o Czerny. Come dice Gardi, infatti “Chi sa ben suonare
Studi siffatti, deve averli saputi ben studiare. E una loro buona esecuzione dev’essere considerata
pertanto il miglior biglietto da visita di un buon professionista”.
L’anticipo mentale
Grande capacità di un buon pianista è il saper anticipare ciò che andrà a suonare dopo. Questa dote
infatti permette anche ad un pianista autodidatta di riuscire a leggere in maniera abbastanza corretta
un pezzo del tutto nuovo. Nello studio, per esempio, può essere molto utile il frazionamento del
pezzo, in modo che ciascuna frazione non superi l’anticipazione mentale dell’esecutore. Il metodo
della frammentazione può essere utile anche alla memorizzazione.
Utile in fase di studio è anche lo studio a mani separate, poiché, il pianista deve leggere non solo
orizzontalmente, ma anche verticalmente un pezzo, per cui lo studio a mani separate è una via
sicura. Chang ne fa uno dei capisaldi del metodo di studio raccomandato nel suo trattato.
Per cui, lo studio frammentato è sicuramente un ottimo metodo di studio, riesce infatti a concentrare
il lavoro del pianista solo su una piccola parte per volta, minimizzando così il margine di errore che
invece sarebbe maggiore se egli affrontasse il pezzo interamente.
Studiare lentamente
Molti didatti danno per scontato che davanti ad un passaggio difficile i movimenti iniziali debbano
comunque muoversi molto lentamente.
Di questa opinione lo sono anche il Brugnoli e il Sàndor.
Per quest’ultimo studiare lentamente è addirittura il solo modo corretto di studiare.
Ma la maggior nostra perplessità deriva dalla impossibilità di eseguire lentamente l’esatto
movimento in tutti i suoi dettagli ,la cui dinamica richieda un’esecuzione veloce.
Jòzsef Gàt ne è ben consapevole e prospetta una particolare procedura per risolvere i problemi che
simili rallentamenti producono all’articolazione digitale.
Non è tuttavia l’unico dubbio sulla conclamata efficacia dello studio rallentato.
Crediamo insomma che studiare sistematicamente lentamente un passaggio difficile fin dall’inizio
possa alterare le scelte dinamiche e indebolire la capacità di giudizio sulle proporzioni ritmiche.
Potrà invece essere proficuo ripetere lentamente un passo già studiato a dovere.
LE “VARIANTI”
Le varianti ritmiche
Le varianti ritmiche sono l’esecuzione di un frammento o limitato gruppo di battute di un pezzo
mediante l’utilizzo di ritmi differenti, sia per pulsazione ,sia per valori delle note. La struttura
ritmica testuale del passaggio sul quale si vuole compiere tali varianti viene azzerata e sostituita da
uno schema ritmico che prevede l’esecuzione veloce delle stesse note nello stesso ordine di
successione testuale ,ma riunite in veloci sequenze di due,o di tre, o di quattro note per volta,o
anche in sequenze diversamente ritmate,ciascuna delle quali separate da una fermata,ossia da un
arresto sull’ultima nota di ciascuna sequenza.
Ciascuna sequenza dovrà raggruppare ogni volta in modo diverso le note del passaggio.
Le note raggruppate nelle sequenze dovranno essere eseguite alla massima velocità possibile,mentre
la fermata che le suddivide potrà prolungarsi quanto basta a consentire sia il tempo di riposo ,sia
l’anticipo mentale necessario per assumere il controllo del raggruppamento successivo.
L’esercitazione a mani unite delle varianti ritmiche si rivela utilissima anche per ricomporre i passi
studiati a mani separate, mette a dura prova la coordinazione e ne sviluppa fra loro le interrelazioni.
Il Chang per poter raggiungere a mani unite la velocità richiesta consiglia di esercitarsi sui passaggi
a mani separate ad una velocità ancor maggiore di quella richiesta.
Altre varianti ed esercitazioni
Quando ci imbattiamo in un passaggio difficile bisogna studiarlo variandolo,inventando o
scegliendo quelle varianti che siano più mirate a risolvere il passaggio. Sarebbe impossibile
elencarle e descriverle tutte,ma possiamo elencarle alcune.
Uno dei più consigliati e praticati generi di variazione è quello di “ribattere” due o tre volte
velocissimo e utilizzando opportune dinamiche di attacco, ciascuna nota delle parti del passaggio
che si vuol studiare(passi polifonici,successioni legate di bicordi,sequenze di accordi).
Un altro tipo di variante è quello definito come allèe-retour,ossia andata e ritorno.
Si tratta dell’esecuzione alternata per moto anterogrado e retrogrado del passo da studiare .Le note
più difficili saranno poste al centro di questa variante e saranno ripetutamente eseguite nel doppio
senso di marcia(studio del passaggio del pollice,passi con spostamenti laterali,”treccia”).
Oltre a questi esempi molte sono le varianti ma lasciamo alla fantasia degli esecutori il piacevole
gioco di escogitarle durante lo studio.
Un’altra variante è il procedimento di studio “all’indietro”,studiando dall’ultima nota del passaggio
all’incontrario fino alla prima ,che se pur non è una e propria variante si dimostra efficace.
Questo studio conferirà un pronto anticipo all’azione esecutiva e uno straordinario esercizio per la
memoria.
LO STUDIO DI PERFEZIONAMENTO
Suonare studiando
Ad un certo punto,nello studio del nostro strumento,quando avremo risolto tutti i problemi dinamici
e tecnici,anche il pianoforte potrà esser felicemente studiato suonando e suonato studiando.
Quanto più elevato è il valore artistico di un’esecuzione e quanto più profondo il coinvolgimento
mentale dell’esecutore,tanto più difficile sarà mantener sempre allo stesso livello le eventuali
ripetizioni di quella performance,in quanto le ripetizioni potrebbero dar luogo ad automatismi
dell’attività intellettuale,i quali soffocherebbero la spontaneità e le capacità comunicative
dell’espressione musicale. Secondo Gàt “l’unico metodo per preservare il contenuto emozionale da
danneggiamenti è quello di tentare durante ogni ripetizione di penetrare sempre più profondamente
nell’essenza di una composizione. Le ripetizioni devono continuare solamente fino a quando noi
percepiamo un simile sviluppo delle nostre emozioni”.
Tale approfondimento si realizza in primo luogo approfondendo la qualità del fraseggio.
Così come afferma Gàt anche noi siamo convinti che un buon fraseggio non sia frutto di decisioni
prese a mente fredda ma che debba formarsi riflettendo anche le emozioni che quelle note hanno
saputo suscitare in noi. Emozioni che debbano sapere rigenerarsi ogni nuova volta che ci si ponga al
pianoforte per eseguirle.
Secondo Leonard B.Mayer all’interprete è concessa una certa quantità di libertà esecutiva,a
seconda delle diverse culture musicali e dei diversi periodi storici e stilistici nei quali esso si
realizza. E’ proprio questa libertà che gli consente di rinnovare ogni volta le sue esecuzioni.
Per Neuhaus l’emozione di una nota suonata non può non coinvolgere la successiva nota che sta per
essere eseguita. E nel sottile legame tra nota suonata e pensata egli trova nuove suggestioni per
rinnovare l’espressione del suo fraseggio.
Mayer dice che se dunque è vero che l’interprete esecutore viene mosso dalla sua stessa esecuzione
ogni volta che la realizza,sarà anche vero che il suo schema prefissato ogni volta ne verrà rimosso,e
che trascinerà nella rimozione anche tutti che a titolo attivo e passivo vi partecipano.
“Vie nuove”
In un periodo storico in cui si parla e si scrive più di quanto si suoni,nessun musicologo ha finora
tentato di esplicitare sistematicamente,nè di catagolare quei comuni principi di stile interpretativo-
esecutivo che tutti quei gloriosi concertisti hanno mostrato di riconoscere,di condividere e che sono
tutt’oggi alla comoda portata delle orecchie di qualunque collezionista di dischi,video..
Ricerche e studi non sono stati ancora tentati. La speranza (intitolazione del paragrafo che si rifà al
titolo della celeberrima recensione di Schumann sulle prime composizioni di Brahms)è che questo
nostro invito trovi,in un prossimo futuro,buona accoglienza tra filosofi e musicologi.
Riassunto del libro di Nino Gardi, ”IL BIANCO E IL NERO”,Considerazioni storico-critiche sulla
tecnologia pianistica
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IL TOCCO PIANISTICO: PREMESSE E SVILUPPI SCIENTIFICI di Chiara Macrì
L’iniziatore della rivoluzione scientifica applicata al pianoforte è Deppe. Egli elabora un metodo
allora considerato rivoluzionario poiché è il primo a richiamare l’attenzione sui movimenti
muscolari. Sosteneva la necessità di distribuire lo sforzo dalla spalla alla punta delle dita quindi si
oppone alla vecchia scuola che vedeva protagonista solo le dita mentre il resto rimaneva rigido.
Deppe raccomanda di suonare con la punta delle dita e con movimenti lenti, predica il
coordinamento muscolare tra le dita e la mano, l’avambraccio e il braccio e la partecipazione del
sistema muscolare di tutto il corpo per ogni movimento realizzato dalle dita. La sua idea di studio
non riguarda il rafforzamento delle dita ma il controllo e la qualità del suono infatti non credeva
nella separazione della tecnica dalla musicalità. La nuova didattica si ergerà su queste basi e pare
che lo stesso Liszt avesse sposato questa concezione. Deppe non ha scritto trattati: il suo modo di
pensare la didattica è giunto a noi tramite testimonianze dei suoi allievi tra cui Steiniger.
1
A morte la ginnastica di dito: Theodor Leschetizky
Le teorie di Deppe vengono immediatamente applicate dal suo contemporaneo Leschetizky. Egli è
contrario a scrivere un metodo quindi i suoi insegnamenti furono riassunti dalla sua allieva Brée
nel Metodo di Leschetizky pubblicato nel 1902. Nel primo paragrafo, Posizione al pianoforte, il
maestro consiglia di sedersi comodamente ed erettamente allo strumento ad una distanza che
consenta di tenere le braccia naturalmente ricurve, i piedi vicino ai pedali e di posizionare le dita
sulla tastiera senza fare sforzi. I gomiti in linea con la tastiera non devono essere premuti sui
fianchi o troppo distanti da essi. Egli è contrario agli atteggiamenti inutili al pianoforte sostenendo
che l’arte dell’esecuzione si mostra attraverso le dita e non il volto. Il paragrafo successivo è
dedicato alla Posizione della mano che deve essere larga, flessibile, con dita le cui estremità siano
ampie e muscolose. Egli sostiene che l’unghia doveva essere ben tagliata per non rendere troppo
duro il suono e le dita dovevano mantenere una forma arcuata. La rotondità della posizione con dita
curve avrebbe permesso di attaccare i tasti con forza e da questo punto di vista il maestro mostra
ancora affinità con la generazione pianistica del primo Ottocento. Seguono una serie di esercizi di
note tenute dove alcune dita mantengono i tasti abbassati mentre le rimanenti ne percuotono altri
allo scopo di ottenere rafforzamento e indipendenza delle dita mantenendo la mano ferma in una
certa posizione. Fondamentali restano il tocco e la pressione richiesta nelle ripetizioni poiché la
tecnica doveva essere finalizzata all’ottenimento di un certo suono. Il terzo paragrafo riguarda gli
Esercizi per il polso che devono essere eseguiti con le dita ben salde sui tasti per evitare
scivolamenti. Nel paragrafo intitolato Alcune regole generali da osservare durante lo studio fra cui
quella di eseguire gli esercizi ricercando lo stesso suono per ogni dito nella dinamica piano si
osserva che per ottenere tale uguaglianza bisogna esercitare pressioni diverse sulle varie dita.
Consiglia inoltre di interrompere immediatamente l’esercizio se si avverte fatica. Nel quinto
paragrafo intitolato Esercizi per le dita il maestro propone di insistere sulle ripetizioni di alcune
dita mentre le altre mantengono i tasti abbassati. In questo caso le note tenute consentono di
rivolgere l’attenzione alla posizione del polso e all’azione e posizione delle dita. Gli esercizi
andranno eseguiti prima con il legato e poi con lo staccato per aumentare l’elasticità delle dita. Nel
primo esercizio la percussione avviene da parte di un solo dito mentre le altre mantengono i tasti
abbassati, nel secondo le dita che percuotono diventano due e così via fino a far suonare tutte le
dita. Egli raccomanda di non irrigidire le dita che non percuotono per evitare sprechi energetici e di
non preoccuparsi se il quarto dito reagisce quando si suona il terzo. Con questi assunti dimostra di
possedere consapevolezza dei fattori fisiologici che contribuiscono ai movimenti delle dita. Nel
settimo paragrafo invece gli esercizi sono senza note tenute e volti a sviluppare il legato. Dal sesto
al nono paragrafo si occupa delle scale presentando prima degli Esercizi per le scale diatoniche
incentrati sul passaggio del pollice per il cui movimento raccomanda di accompagnare con il
braccio e poi le Scale diatoniche e cromatiche vere e proprie. Suggerisce di non scuotere il braccio
durante il passaggio del pollice e di mantenere il polso sciolto ma stabile, suggerisce inoltre di
tenere le dita curve e di passare il pollice sotto la mano subito dopo aver suonato la sua nota. Le
scale vanno suonate dapprima lentamente, a mani separate e poi a mani unite, dapprima a moto
contrario e poi per moto parallelo. Nel movimento rapido la scala dovrà essere eseguita staccata e
con le dita molto alzate producendo un effetto jeu-perlé. I paragrafi decimo e undicesimo sono
dedicati agli Arpeggi con i relativi esercizi preparatori che consistono nel tenere alcune note mentre
le altre suonano. Questi esercizi, che servono per allargare la mano, devono essere eseguiti senza
fatica. L’assenza di diteggiature elaborate per le scale e gli arpeggi dimostra il superamento
completo dell’approccio dei metodi che prevedevano la ginnastica del dito. Continua nel paragrafo
dodicesimo con esercizi sull’Accordo di settima mentre nel tredicesimo si occupa delle Note
ribattute con cambio di dito. La nota ribattuta deve essere eseguita soltanto dall’articolazione del
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dito, con polso e mano fermi. Dal paragrafo quattordicesimo si concentra sulla varietà di tocco
mettendola in relazione con la variazione di timbro: anche se il suono del pianoforte non presenta la
varietà della voce e del violino, il pianista deve comunque riuscire a creare suoni differenti con
diversi tocchi come il legato, lo staccato, il non-legato, il suono di spinta, lo staccato di polso, il
portamento. Nel paragrafo quindicesimo presenta anche una serie di esercizi preparatori per le
esecuzione delle ottave per le quali è necessario mantenere la mano sempre in posizione con il
polso fermo ma non rigido. La sezione successiva è dedicata agli Accordi che devono essere
eseguiti con la mano che affonda, evitando di percuotere dall’alto altrimenti il suono risulterebbe
alquanto sgradevole. E’ previsto un notevole uso del polso nell’esecuzione di accordi e ottave.
Consiglia di suonare l’accordo da vicino, attraverso la contrazione delle dita e di rilassare il polso
subito dopo per evitare di avvertire la fatica. Nel paragrafo dedicato agli Arpeggiati il maestro
consiglia di mantenere le dita pronte sui tasti e di produrre il suono tramite una leggera rotazione.
Le doppie note vanno preparate con esercizi che prevedono tre note tenute e due ribattute eseguite
con il polso sciolto. A questi seguono esercizi dove si alternano coppie di doppie note. La linea
melodica nella parte superiore degli accordi va eseguita con il dito steso mentre le rimanenti dita
tengono una posizione arrotondata. Il dito steso produrrà un suono più profondo e potente mentre le
dita ricurve produrranno un suono più leggero creando così due livelli sonori. Il glissando eseguito
correttamente deve produrre l’effetto jeu-perle mentre gli abbellimenti devono essere eseguiti in
maniera chiara, elegante e vivace. Suggerisce anche le diteggiature adatte per i diversi tipi di
abbellimento. Per ciò che riguarda la dinamica egli afferma che per avere il forte e il fortissimo
occorrono il polso e il braccio e sostiene che per realizzare un suo no morbido il polso deve essere
rilassato tenendo però la punta ben fissata sul taso. L’unica eccezione per la quale Leschetizky
ammette sia possibile stendere le dita è un passaggio sui tasti neri da suonare in pianissimo. Per il
crescendo consiglia di tenere il polso all’inizio rilassato per poi irrigidire gradualmente e di fare il
contrario con il diminuendo. Per il pedale, al quale attribuisce grande valore, egli indica delle regole
generiche: il basso deve risuonare per tutta la durata dell’accordo mentre in un passaggio che si
concentra sul registro più acuto è necessario cambiare il pedale più spesso perché la risonanza è
minore. E’ necessario accentare la nota grave su cui si abbassa il pedale ed eseguire le altre più
leggere. E’ possibile coprire una dissonanza con il pedale se si esegue il passaggio in crescendo e si
rilascia il pedale sulla nota più forte. Descrive inoltre quello che egli stesso ha definito “pedale
sincopato” che consiste nel suonare una nota e abbassare il pedale mentre il dito sta salendo. Nella
seconda parte dell’opera intitolata Accenni per l’esecuzione il maestro affronta quattro punti: la
melodia rispetto alla quale dice che se ci sono due note di valore differente, quella più lunga sarà
suonata con più forza. Inoltre un passaggio ascendente deve essere eseguito in crescendo mentre
uno discendente in diminuendo. Riferendosi al tempo è un sostenitore del metronomo che crea
regolarità e controllo e afferma che i cambiamenti di velocità devono essere graduali e delicati per
non far avvertire il loro inizio e la loro fine. Il ritmo non indica assoluta fissità del tempo, poiché
ogni battuta permette di disporre liberamente degli accenti e infine gli arpeggiati sono da applicarsi
non solo ad un accordo di grande estensione ma anche con finalità espressive. La terza ed ultima
sezione dell’opera si apre con la diteggiatura che non deve essere standardizzata ma intesa al
servizio della musica. Incoraggia la ricerca di una diteggiatura comoda che contempli anche la
possibilità di usare il pollice sui tasti neri. Il pedale può essere un valido aiuto in quanto prolunga le
note senza necessità di tenere i tasti abbassati. Per quanto riguarda la pratica e lo studio egli
consiglia di affrontare un brano lentamente, con grande attenzione e di impararlo a memoria. Il
pezzo va letto dapprima con gli occhi, senza suonarlo, successivamente vanno analizzate le armonie
e stabiliti diteggiature e pedale. Ciascuna battuta va letta nominando le note e successivamente
suonata soltanto quando la si è appresa. Quando il processo di memorizzazione si è compiuto su una
sezione, si può passare alla successiva. E’ un processo lento che consente agli alunni di imparare
diversi pezzi in un anno il cui numero raddoppierà l’anno dopo e si triplicherà il successivo. Il
penultimo paragrafo è dedicato ai principali movimenti della mano e del braccio di cui ne
distingue cinque: ascesa, discesa, rotazione del polso, spostamento laterale e salti. Il metodo si
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conclude con osservazioni su chi dovrebbe suonare il pianoforte sostenendo che soltanto i
pianisti di talento diventano artisti famosi ma il pianoforte non è destinato soltanto a tali interpreti;
esiste una middle class di cui fanno parte quei pianisti dotati di buon orecchio, una mano adeguata,
temperamento artistico, sensibilità, cervello e di quella che egli stesso definisce “capacità di
industriarsi”. Tutto può migliorare con lo studio, gli unici fattori immodificabili sono il
temperamento e le emozioni che non possono essere costruiti ma soltanto affinati. Egli vuole sfatare
l’idea secondo cui la parte più importante della musica sia il sentimento; esso non può esistere senza
intelligenza e cervello. Il Metodo Leschetizky pur essendo ottocentesco, si proietta nel XX secolo
grazie all’abolizione dell’idea della ginnastica di dito mettendo in rilievo la predominanza della
volontà sull’emozione e la grande attenzione sulla varietà sonora. Anche se non dimostrato
scientificamente nel metodo, emerge con forza l’idea che la varietà di tocco produce una
modificazione del timbro.
Il periodi che va tra il 1900 al 1914 è uno dei più turbolenti della storia dell’arte che è
profondamente influenzata da movimenti come l’impressionismo, l’espressionismo, il serialismo e
il neoclassicismo. Anche il mondo pianistico è permeato da questi processi e la ricerca di nuove
sonorità sembra essere l’obiettivo primario di molti compositori dell’epoca. Debussy e Ravel
esplorano le sfumature timbriche, valorizzano il pedale e mescolano i registri; Bartòk e Stravinskij
si avvicinano allo strumento con energia primitiva che ne esalta il carattere percussivo. Dagli anni
50 si richiederà agli esecutori una tecnica non convenzionale, pensiamo a Cowell che chiede ai
pianisti di produrre il suono fermando le corde con le mani oppure a Cage che richiede la
preparazione del pianoforte collocando oggetti vari tra le corde per modificarne il suono. In questa
epoca non sarà più possibile parlare di Metodo per pianoforte bensì di trattati. Il metodo contempla
una teoria ed una applicazione; i nuovi didatti sono più ricercatori e studiosi che maestri quindi
interessati più all’aspetto speculativo che a quello pratico. I concetti cardine della didattica
novecentesca sono quelli del rilassamento e del peso. Tali concetti nascono in concomitanza con le
moderne esigenze della meccanica pianistica: alla fine dell’Ottocento il pianoforte si arricchisce del
telaio in ghisa e di conseguenza presenta una meccanica che deve sostenere una maggiore tensione
delle corde; la tastiera diventa così più pesante e il movimento delle sole dita non è più sufficiente.
Il rinnovamento parte dalla Germania grazie alle ricerche pionieristiche di Steiniger, allievo di
Deppe che troveranno un compimento negli studi di Breithaupt e Steinhausen. In Francia il
movimento riformatore inizia con la Jaell che presenta un nuovo sistema di studio basato sulle
possibilità dell’apprendimento del cervello e del sistema nervoso. L’autrice sostiene che le differenti
percezioni del contatto tra il dito e il tasto, modificano in larga parte la sonorità: essa diminuisce
quando si attacca il tasto con la falangetta rivolta verso l’interno della mano in modo da affondarlo
con la punta del polpastrello; al contrario, la sonorità aumenta quando l’attacco si realizza tramite
l’appoggio di tutta la falangetta. Quindi riconosce due tipi di azioni motrici del dito: il primo
consiste nell’appoggiare, al momento dell’attacco, quasi tutta la falangetta sul tasto e via via
diminuirne gradualmente l’ampiezza del contatto tramite uno scivolamento. Nel secondo tipo,
l’attacco inizia sull’estremità del polpastrello e termina con l’aiuto di uno scivolamento del dito,
con il contatto dell’intera falangetta. Nel primo caso si ottiene una sonorità vellutata, ampia e
rotonda; nel secondo caso si ha un tocco più preciso e più rapido nella chiusura. La capacità di
mescolare i due tocchi consente la diversificazione delle sonorità. L’autrice ingegna un sistema che
le permette di prelevare le impronte digitali mentre suona, allo scopo di visualizzare il movimento e
stabilisce così delle connessioni tra il gesto ed il suono prodotto. Secondo la Jaell le impronte
servono a creare delle rappresentazioni del movimento a livello cerebrale che consentono di
compiere il gesto desiderato. La didatta ha delle intuizioni straordinarie riguardo al rapporto tra il
tocco e il timbro ma il mezzo a sua disposizione, la fotografia, ritrae soltanto una frazione
dell’immagine in movimento selezionata dalla persona che aziona la macchina e non consente di
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comprendere in maniera completa l’azione motoria. Alla Jaell, in area francese, seguirà il famoso
pianista, insegnante ed editore musicale Philipp. Le idee principali del suo insegnamento sono
raccolte nella Complete school of technique for the Pianoforte che è essenzialmente un volume di
esercizi con poche spiegazioni accompagnato da abbondanti indicazioni sulla diteggiature. Per
aumentare la flessibilità e l’indipendenza delle dita, suggerisce una serie di esercizi che richiedono
di tenere abbassati alcuni tasti e di ripetere gli altri con le rimanenti dita. In questo senso egli si
inserisce nella tradizione ottocentesca del “metodo”: L’originalità del suo approccio risiede invece
nell’approccio scientifico degli esercizi preparatori all’esecuzione delle scale. In. Area inglese
emerge Matthay autore de L’arte del tocco nel suonare il pianoforte nel quale propone un sistema
razionale d’educazione che consiste nell’analisi dell’oggetto da insegnare, nella seguente deduzione
delle regole e leggi che presiedono alla riuscita dell’esercizio e finalmente nella comunicazione
diretta e immediata di tali leggi all’alunno. Egli osserva che la strada anatomica sia impraticabile e
che soltanto attraverso le sensazioni avvertite durante l’atto esecutivo si possa risalire al gesto che le
ha provocate e quindi creare delle abitudini. Gli studi di Matthay non trovano una vera e propria
prosecuzione anche se alcune idee vengono portate avanti dal russo Lhevinne il quale afferma che
il pianista deve possedere buone conoscenze armoniche e allenare l’orecchio al riconoscimento dei
suoni.
Le nuove sistemazione della tecnica pianistica sono diffuse in Italia grazie a Bruno Mugellini il
quale annovera tra i principali difetti della scuola italiana la monotonia del tocco, la pochezza del
suono, l’affaticamento e la mancanza di un repertorio di pezzi pronti ad essere suonati ad ogni
richiesta. Mugellini analizza quindi tutte le teorie degli scientisti europei e le applica nella sua
scuola, che si fonda essenzialmente sul concetto di “libera caduta” e sull’atto di rotazione
dell’avambraccio. Sull’esempio di Matthay mette in relazione un’azione motoria con una formula
tecnica individuando otto tipi di tocco: martellato (si percuote con le dita completamente inerti sulle
quali gravita il peso del braccio); martellato lieve (il tasto si percuote con le dita inerti su cui gravita
il peso della mano); non legato (questo tocco è prodotto dall’articolazione delle dita cui si aggiunge
il peso del braccio); staccato per mezzo delle vibrazioni del braccio a dita inerti (il riposo avviene
sulla superficie della tastiera); staccato tramite una lieve articolazione delle dita (su di esse gravita il
peso della mano); staccato per mezzo della sola articolazione delle dita senza alcun aiuto di peso
(consiglia questo tocco per produrre si suoni leggerissimi); legato assoluto (dita aderenti ai tasti su
cui agisce il peso del braccio): cantabile (legato ottenuto tramite il pedale di risonanza).
La scuola tedesca ha un ruolo propulsivo e tutte le idee sul trasferimento di peso e sulla rotazione
dell’avambraccio provengono dalle opere di Breithaupt e Steinhausen.
Steinhausen pubblica nel 1899 Studien uber Schultergelenkbewegungen e sei anni dopo Uber die
physiologischen Fehler und die Umgestaltung der Klaviertechnik dove analizza acutamente le
funzioni psicologiche necessarie all’esecuzione. Quest’ultimo trattato si articola in due parti: nella
prima, dopo aver presentato alcune osservazioni generali sulla didattica pianistica e dissertando sui
vari errori in cui spesso si incorre, illustra la sua concezione; nella seconda commenta i risultati
altrui. Nel primo capitolo Osservazioni generali si interroga sul perché gli artisti che dispongono di
una buona tecnica non sappiano insegnarla. A suo avviso infatti esiste un profondo divario tra la
teoria e la prassi e ciò avviene perché l’insegnamento si basa ancora sull’imitazione. La soluzione,
secondo l’autore consiste nel far diventare il pianista oggetto di studio quindi osservarlo nelle sue
migliori esecuzioni per dedurne le leggi dal momento che questi ricerca inconsapevolmente i
movimenti più ragionevoli per eseguire un dato passaggio nella maniera più naturale possibile. E’
quindi impossibile insegnare al corpo ma solo imparare da esso. Egli inoltre afferma che è la
scienza fisiologica la sola a poter scoprire le leggi della tecnica strumentale. Quindi sostiene che il
movimento del tocco pianistico è uguale a tutti gli altri movimenti ed è sottoposto alle stesse leggi
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quindi è la scienza fisiologica la sola a poter scoprire le leggi della tecnica strumentale. Secondo
Steinhausen il primo ad aver affrontato il problema dal punto di vista scientifico è Steiniger e pare
che ad offrirgli lo stimolo sia stato Deppe il quale aveva spronato molti dei suoi allievi ad
approfondire lo studio della fisiologia mettendo sempre in correlazione la corretta tecnica e il suono
armonioso. Secondo Steinhausen il problema degli altri autori è l’incapacità di liberarsi dalla
tecnica di dito e questo è, a suo avviso, il più grande difetto dell’esecuzione pianistica. La sola
tecnica del dito non è in grado di produrre la forza necessaria e rende più difficile il legamento
reciproco dei toni; se un riverbero più lungo su cui si basa un legato pieno è possibile solo in
presenza di una maggiore sonorità, allora il livello sonoro e il legato sono connessi
indissolubilmente, sia musicalmente sia fisicamente. Egli osserva che per comprendere la tecnica
bisogna conoscere la sostanza dell’esercizio fisiologico che non è altro che un processo psicofisico
in cui il movimento avviene intellettualmente. Secondo Steinhausen i difetti della tecnica pianistica
derivano proprio dalla mancata comprensione di questo concetto: troppo spesso si ha la tendenza a
sostituire una ginnastica dei muscoli e delle articolazioni ad un movimento controllato
intellettualmente, a ridurre l’esercizio ad un processo puramente meccanico e a sganciare così la
tecnica dall’arte per renderla fine a se stessa. Sostiene inoltre che chi non conosce il proprio
strumento di lavoro non può farne un uso corretto né a maggior ragione insegnarlo. Ciò che secondo
lui manca nei trattati precedenti è la comprensione della natura psichica della tecnica dei due
fenomeni fisiologici fondamentali per il pianismo: la rotazione dell’avambraccio e il movimento di
slancio. Nel secondo capitolo espone le false opinioni sul tocco pianistico. A suo avviso il
principale errore consiste nel credere che. Sia possibile ottenere vari timbri usando vari tipi di tocco.
A tal proposito osserva che nel Pianoforte l’oscillazione della corda viene provocata dallo stesso
martelletto azionato dalla meccanica, il quale colpisce sempre nello stesso punto e con lo stesso
peso. Per Steinhausen il timbro dipende sostanzialmente dal rivestimento – in pelle o in feltro- del
martelletto; se quest’ultimo è troppo spesso e morbido, il suono diventa scuro e sordo; se è invece
troppo duro, il timbro sarà acuto e squillante. Critica quindi una serie di studiosi che sostengono la
varietà del timbro del pianoforte, primo fra tutti Germer che nel suo Manuale del tocco per il
pianoforte afferma che la creazione degli armonici possa essere condizionata da un particolare
modo di attacco dell’esecutore e che quindi il timbro della nota fondamentale dipenda dalla
pressione permanente del dito sul tasto. Ritiene inoltre che utilizzando un tocco di pressione il
martelletto si poggi sulla corda in maniera diversa rispetto ad un tocco di attacco. Steinhausen
sostiene al contrario che il pianista non può cambiare nulla su un tono emesso e gli unici mezzi
espressivi a sua disposizione sono gli accenti, l’andamento ritmico e le differenze dinamiche e
ricorda che il difetto fondamentale del pianoforte sta proprio nell’impossibilità di modificare il
timbro dopo l’attacco oppure di produrre un crescendo con un solo suono. Nel capitolo intitolato
Riconoscimento dell’esercizio fisiologico come base della tecnica l’autore osserva che i movimenti
utilizzati durante l’esecuzione pianistica appartengono alla vita di ogni uomo, seppure usati con
finalità diverse e ciò che li differenzia dagli latri è appunto soltanto la finalità. Descrive quindi il
meccanismo dell’azione muscolare come molteplice adattamento alle esperienze e osserva che nella
creazione del processo motorio intervengono contemporaneamente tre fattori: volontà, movimento e
percezione. Analizza dettagliatamente i diversi tipi di percezione suddividendole in percezioni
sensoriali della pelle, della tensione dei tessuti, di pressione, posizione delle articolazioni e delle
contrazioni muscolari. Le percezioni necessarie per il controllo motorio avvengono
inconsapevolmente e quindi risulta inutile rendere consapevole ciò che è inconscio. Critica quindi
gli autori che insistono sull’aumento della sensibilità tattile che potrebbe essere utile soltanto se
volessimo avere informazioni più precise sulla struttura della superficie di un oggetto (ciò si verifica
per esempio nel caso dei non vedenti). La superficie del tasto è però assolutamente indifferente e
dunque non si può parlare del tatto così spesso invocato dai teorici del pianoforte. Il movimento
pianistico è un atto complesso poiché coinvolge diversi gruppi muscolari e l’organizzazione delle
singole azioni è un processo psichico. Quindi è inutile descrivere il movimento indicando i muscoli
che lo compiono perché la scelta dei muscoli opportuni e delle loro parti avviene in totale
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inconsapevolezza. In quest’ottica appare necessario lasciare gli arti liberi evitando di fissare nulla
poiché il corpo, se lasciato libero, trova la sua strada da sé. Con ciò l’autore non intende un libero
arbitrio bensì sostiene che il corpo segue le proprie leggi e di conseguenza l’esercizio non serve per
allenare i musicali, bensì la mente. Nel capitolo intitolato L’uso erroneo della ginnastica muscolare
e articolare nella tecnica pianistica Steinhausen rileva dei difetti ricorrenti nelle varie scuole
pianistiche relativi all’idea dell’esercizio inteso come ginnastica muscolare. Tali difetti si
manifestano nel rendere l’apparato motorio muscoloso, flessuoso, nell’isolare le singole membra e
conferendo indipendenza e uguaglianza alle cinque dita. Tali idee hanno creato danni
inimmaginabili poiché l’obiettivo della ginnastica sportiva e correttiva è lo sviluppo dei muscoli per
ottenere una maggiore forza e volume e non la graduazione dei movimenti e il coordinamento
muscolare. La ginnastica rafforza i muscoli la fallisce nel rendere i movimenti composti e fluidi.
L’altro errore si manifesta nel rendere le dita e le articolazioni più “flessuose”. Per ottenere ciò si
aumenta l’escursione dell’articolazione piegandola in eccesso. Steinhausen crede che gli esercizi di
estensione e allungamento delle articolazioni rendono alla fine la mano più rigida e sono quindi
inutili oltre che dannosi. Per ottenere flessuosità bisogna eliminare l’azione musicare eccessiva e
questo è un processo squisitamente psichico . Per aumentare la velocità bisogna ridurre l’iniziale
spreco rappresentato dagli inutili movimenti secondari. Egli individua un ultimo errore
nell’immobilità che deriva essenzialmente dalla falsa idea di sviluppo dell’indipendenza digitale
sostenendo che il nostro corpo dà forma ad un meccanismo perfetto in cui ogni movimento, sia pure
di una singola falange, viene coadiuvato anche dai muscoli della spalla e del braccio. Anzi, la
partecipazione dei muscoli della spalla è necessaria proprio per sfruttare la potenza di questa grande
massa quindi è insensato voler ottenere, con il massimo sforzo dei muscoli digitali deboli la stessa
prestazione che potrebbe essere prodotta quasi senza sforzo dalla coazione dei grandi muscoli del
braccio e della spalla. Il quinto capitolo è dedicato alla Valutazione errata delle basilari forze
fisiologiche e delle forme di movimento nella tecnic . Qui prende in esame un’altra serie di errori
della tecnica pianistica, in primo luogo l’elasticità: secondo l’autore l’attacco del dito non influisce
assolutamente sul tasto. I musicisti comunemente credono che l’attacco del tasto dovrebbe essere
elastico evitando la rigidezza e l’uso dei muscoli impropri al movimento ma secondo l’autore la
forza elastica del braccio non può essere modificata volontariamente o attraverso un movimento
ricercato. Per ciò che riguarda il peso egli afferma che se il pianista lascia al corpo la libertà di agire
secondo le leggi naturali e se obbedisce alla natura interiore dello strumento limitando i suoi sforzi
solo al momento della produzione dei suoni, giunge al movimento di slancio. Per quel che riguarda
L’accorciamento muscolare a seconda della durata o dell’intensità e la rotazione dell’avambraccio
l’errore risiede nella mancata comprensione del meccanismo della contrazione muscolare. Il
muscolo è capace di ogni grado di accorciamento e per la tecnica sono d’importanza fondamentale
proprio i movimenti brevi, rapidi e fini. Infine affronta il problema della rotazione, importante nel
disattivare le articolazione della mano e delle dita sostituendosi ad esse e creando un collegamento
tre i polpastrelli, il gomito e la spalla. Per Steinhauser la rotazione è l’unico movimento che libera
dalla tecnica di dito perché grazie alla struttura muscolare della spalla e del braccio, ad ogni
movimento accelerato della spalla si associa immediatamente e facilmente un movimento rotatorio.
In questo modo la rotazione funge da mediatrice tra l’impulso proveniente dalla spalla e il
movimento della mano. Tale azione rotatoria è inoltre utile al movimento di slancio, che sarà quindi
costituito dall’impulso che parte dalla spalla, dalla flessione, distensione e rotazione
dell’avambraccio fino a giungere ai polpastrelli. Questo è dunque per Steinhauser il movimento
complesso dove l’impulso discendente dalla spalla interessa tutti i muscoli, fino a giungere alle dita
considerate come i raggio di una ruota che si muove intorno ad un asse. Nell’ultimo capitolo Forma
base fisiologica del movimento d’attacco sostiene che il movimento rotatorio, per essere perfetto,
deve trasformarsi nel movimento d’attacco costituito dallo slancio dell’intero braccio, dalla spalla in
giù, unito alla rotazione dell’avambraccio con la partecipazione della mano e delle dita. In
conclusione egli sostiene che non debba esserci nessuna fissazione o fermezza ma soltanto
movimenti continui e fluidi. Non è ammissibile che il movimento si fermi nell’aria o che si
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interrompa: ogni trattenimento è già un ostacolo. Sostiene inoltre l’inutilità di ingannare gli allievi
utilizzando immagini statiche che raffigurano la posizione da assumere e d auspica l’inserimento
della materi “fisiologia” all’interno del percorso di studio del Conservatorio.
L’opera pedagogica di Rudolf Maria Breithaupt si articola in tre volumi teorici. Il più interessante
dal punto di vista dell’indagine sul tocco è Die Grundlagen des Gewichtsp pubblicato nel 1909 e
articolato nelle sezioni Le forme elementari del suono di peso o di gravità e Applicazioni. Nella
prefazione l’autore fornisce una guida per lo sviluppo della tecnica pianistica rivolta a chi suona il
pianoforte ad un livello medio. Secondo l’autore la cultura può molto ma non può rimpiazzare il
talento quindi l’insegnamento necessita della predisposizione naturale dell’allievo; il maestro
dunque ha la missione di dirigere tale predisposizione sviluppando lo spirito e il corpo e favorendo
lo sviluppo della personalità: anima, sentimento, intelligenza, abitudini di vita, qualità e difetti. Il
primo capitolo si apre con l’esposizione delle Condizioni esteriori partendo dall’altezza dello
sgabello che dipende dalle proporzioni fisiche di ciascun individuo. Consiglia uno sgabello basso
che consenta al polso e al gomito di trovarsi un po’ più in basso rispetto alla tastiera. Riguardo la
posizione della mano, egli sostiene che non ne esista una valida per tutte. Secondo Breithaupt gli
elementi fondamentali della tecnica pianistica consistono nell’utilizzo totale del peso della massa
brachiale, unito alla tensione muscolare elastica di tutto l’apparato fisico messo in azione (spalla,
braccio, mani, dita). Il movimento del braccio, diviso nelle sue tre articolazioni principali (spalla,
gomito, polso), assomiglia , secondo l’autore, a quello di una corda in vibrazione, il cui movimento
si propaga per ondulazione. Egli distingue la nullità del carico, ottenuta attraverso il ritiro della base
d’appoggio del braccio, dall’appesantimento del suono, quando il peso del braccio libero,
passivamente sospeso, carica sulle dita. Tutte le variazioni dinamiche dell’attacco trovano posto tra
la nullità del carico e l’appesantimento del suono. Gli altri gradi d’attacco sono determinati dalla
velocità, dall’elasticità, dallo slancio del braccio e da tensioni particolari dei muscoli della spalla e
del dorso. Nel secondo capitolo La trasmissione del peso, punto cardine della sua concezione
didattica, descrive nel dettaglio attraverso quali procedure il maestro potrà insegnare all’allievo.
Egli prenderà il braccio destro dell’allievo e posandolo sulla sua mano sinistra tesa, lo alzerà su
quest’ultima come su un piatto, per poi lasciarlo cadere bruscamente sulle ginocchia. In questa fase
il braccio, completamente rilassato e libero dalla spalla, dovrà oscillare liberamente.
Successivamente il maestro porterà il braccio dell’allievo sulla tastiera e gli indicherà di trasferirne
il peso sulle dita: questo peso passivo (ottenuto con il rilassamento) si trasforma così in peso attivo.
Nel capitolo Lo spostamento laterale del peso: martellato-non legato l’autore analizza il
trasferimento di peso da un suono all’altro attraverso lo spostamento laterale. Per ottenere questo,
saranno necessarie alcune condizioni: la muscolatura brachiale dovrà restare il più possibile distesa
contraendosi soltanto per il sollevamento del braccio; la caduta deve essere eseguita senza
esitazioni, con tutto il peso del braccio che si abbatterà come un martello, creando appunto il suono
martellato; alla caduta deve succedere immediatamente la sospensione del peso. Nel capitolo
successivo intitolato La rotazione laterale del peso, Breithaupt descrive la seconda grande categoria
dei movimenti che sono quelli di rotazione o bilanciamento derivanti dall’articolazione rotatoria del
gomito e che trovano le applicazioni pianistiche nel tremolo, nelle terze, nelle seste, nelle ottave e
generalmente in tuti gli accordi spezzati e i rivolti degli accordi di tre e quattro suono spezzati. Nel
capitolo L’incatenamento del peso. Il legato l’autore parla del trasferimento naturale del peso da
tasto a tasto, attraverso un contatto costante e cosciente delle estremità delle dita. Si realizza così un
legato naturale, differente dal legato rapido. Questo movimento si realizza con il braccio che
pende liberamente dalla spalla senza tensioni muscolari attive dei flessori ed estensori
dell’avambraccio. Il legato tra suoni vicini necessita infatti di un legato assoluto che si realizza
attraverso la rotazione interna o esterna del braccio. L’arrotolamento e srotolamento della mano
attraverso la rotazione dell’avambraccio e del braccio costituisce per Breithaupt la base del
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collegamento tra suoni. La fluidità e l’uguaglianza di questo movimento produce il vero legato che
non è prodotto dalle dita o dalla mano, bensì dalla rotazione bilanciata del braccio sulla tastiera. Nel
sesto capitolo Il rifiuto naturale del peso (braccio e mano) Lo staccato, il maestro afferma che
quando un corpo elastico cade a terra, rimbalza, cioè viene rigettato in senso inverso fino ad
esaurire la forza d’impulso, fino ala momento in cui ritorna ad uno stato di riposo. Ne deduce quindi
che se la massa compatta del braccio cade liberamente sulla tastiera, e poi la si lascia rimbalzare, si
ottiene un effetto corrispondente al suono definito martellato, dove più la caduta sarà precisa e
rapida, maggiore sarà il rimbalzo. Dal punto di vista dell’attacco e della durata del suono, lo
staccato di caduta è un non legato accorciato. Lo staccato, tanto in un tempo rapido quanto in uno
lento, non è frutto di un’azione del polso, bensì il risultato di un rimbalzo naturale della massa
brachiale. Nel capitolo L’articolazione libera delle dita si concentra sull’azione delle dita
considerate fino a questo momento solo come sostegno del peso. Tale azione deve essere sempre
finalizzata a trasferire il peso del braccio quindi appare fondamentale la libertà del movimento e la
sua discesa naturale evitando di intralciare la mobilità del polso e del gomito, da tenere sempre
rilassati. Il trasferimento del peso tramite l’azione del dito produce un suono non legato; di
conseguenza, per ottenere il legato non bisogna alzare il dito dalla superficie del tasto. L’autore
sostiene che il suono di articolazione prodotto con le dita non appartiene alla tecnica pura, ma
costituisce piuttosto un mezzo speciale, una nuance tecnica. La seconda parte del trattato si apre con
il capitolo intitolato Suono simultaneo delle due mani, suono a più parti (polifonia )e suono
figurato ed è dedicata all’applicazione delle teorie precedentemente esposte. Secondo Breithaupt
per mettere in atto i principi esposti nella prima parte è necessario che entrambe le mani siano
esercitate, che funzionino alla stessa maniera e che siano capaci di eseguire simultaneamente tocchi
e movimenti diversi. A suo avviso, la capacità di mantenere il peso nei diversi gradi, costituisce il
fondamento del suonare a mani unite o per meglio dire, a braccia unite. Ciascuna mano deve essere
in grado di produrre variazioni dinamiche e soprattutto il non legato realizzato attraverso la caduta
libera del peso; il legato prodotto dallo spostamento laterale del braccio e dalla rotazione
dell’avambraccio; lo staccato causato dal rimbalzo naturale della massa della mano e del braccio.
Nel capitolo Dinamica-Estetica-Ritmica l’autore considera il pianoforte come uno strumento
monotimbrico dove la diversità del suono è resa solo dalla variazione dinamica. Il crescendo
dipende dall’aumento graduato del peso, dalla rapidità, dalla partecipazione del braccio e della
spalla. La stessa cosa ala contrario vale per il diminuendo e per il ritardando. Un principio
fondamentale nell’educazione alle sfumature dinamiche è che le dita siano sempre a contatto con il
tasto. Si può usare il pedale per aumentare o diminuire gli effetti dinamici. Secondo Breithaupt
l’Estetica si riduce a una questione di peso: il bel suono si ottiene quindi con il trasferimento e
l’appoggio del peso in ogni sua sfumatura. Per l’autore infine, il Ritmo è considerato un fattore
innato quindi la sua educazione presuppone doti personali. Nel decimo capitolo viene affrontato il
concetto di Studio inteso non come “esercizio meccanico” che necessita la ripetizione della stessa
formula centinaia di volte, bensì come “esercizio intellettuale” che deve procedere da uno stato di
coscienza ad uno di incoscienza. Conformemente ai principi di una tecnica naturale l’autore afferma
che sarà necessario abbandonare tutti gli esercizi meccanici che hanno come scopo la precisione e
l’uguaglianza delle dita, così come quegli esercizi che immobilizzano le dita e s’incentrano sul
passaggio del pollice; le scale e gli esercizi che si propongono di sviluppare la velocità e
l’indipendenza tra le dita; tutti gli studi puramente acrobatici che perseguono il rinforzo di un
muscolo o la flessibilità di un’articolazione; la ripetizione monotona e interminabile di una stessa
formula tecnica. A suo avviso ogni metodo deve riportare esercizi polifonici per sviluppare
l’indipendenza dei movimenti del braccio e della mano; a tal proposito consiglia di utilizzare i primi
studi di Haendel, i piccoli Preludi e Fughe e invenzioni a due e tre voci di Bach. Nella Conclusione,
riassumendo quanto esposto nella sua opera, afferma che la condizione essenziale della tecnica
pianista risiede nel braccio pesante ma libero e che lo sviluppo dei movimenti si basa
sull’oscillazione longitudinale del braccio, sulla rotazione dell’avambraccio, sulla partecipazione
naturale delle dita, rigettando i concetti di “immobilità” e “fissazione”.
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Il terzo decennio del secolo
A partire dal terzo decennio del Novecento inizia ad essere pubblicata una nuova generazione di
trattati. Nel 1924, Thomas Fielden pubblica la Science of Pianoforte Technique che indaga la
relazione tra i fattori mentali, nervosi e muscolari presenti durante l’esecuzione. Per Fielden la
mente è fautrice di tutto. La sua analisi dettagliata include numerose illustrazioni di ogni singola
parte dell’apparato impiegato nell’atto di suonare: ossa, tendini, legamenti e muscoli. Alla naturale
coordinazione dell’intero meccanismo del braccio e della mano, suggerisce di aggiungere una
ginnastica non legata agli esercizi di dito introdotti dai maestri dell’Ottocento, ma basata su esercizi
separati per l’avambraccio, braccio e dita in grado di sviluppare una consapevolezza del controllo
mentale dei movimenti. Un altro personaggio interessante di questa nuova generazione è Attilio
Brugnoli che nel suo trattato Dinamica Pianistica pubblicata nel 1926 parla di “insegnamento
razionale” basato sull’indagine ragionata dei mezzi atti a raggiungere con il minimo sforzo lo scopo
che ci si prefigge. Egli definisce “tocco pianistico” la gradevolezza o la sgradevolezza,
l’espressività o l’inespressività del suono. Sostiene che la bellezza di un suono dipenda dalla qualità
e dalla quantità di armonici mentre sgradevolezza del suono deriva dalla maniera di far funzionare
il martelletto. L’autore dichiara che l’espressività, come l’intensità è regolabile dalla volontà
dell’artista purché questi ne sia capace. Il pianista dovrebbe sentire il tasto come il prolungamento
delle sue dita tanto da avere l’illusione di produrre il suono con esse e non per esse. L’abilità di
graduare l’energia necessaria al lavoro da compiere con le dita, dipende secondo Brugnoli dalle
papille quindi afferma che coloro i quali possiedono dei polpastrelli grassi presentano un maggior
numero di papille e di conseguenza una maggiore sensibilità. Alla scuola francese appartiene Alfred
Cortot, uno dei più famosi pianisti della prima metà del Novecento, nonché celebre revisore,
particolarmente delle opere di Chopin e maestro di famosi pianisti. Nel 1928 pubblica Principes
rationnels del la technique pianistique in cui organizza il materiale in maniera pedagogica
assicurando l’ottenimento della tecnica fondamentale in uno specifico tempo di applicazione. Per
una prima conoscenza del metodo egli ritiene siano necessari sei mesi di studio con un’applicazione
giornaliera di tre quarti d’ora. Indica di completare i tre quarti d’ora con altri quindici minuti
dedicati esclusivamente alla ginnastica digitale. In seguito a questi sei mesi, l’autore ritiene sia
possibile concatenare gli esercizi in modo da effettuare quotidianamente in un’ora il giro di tutte le
difficoltà pianistiche. Pur essendo riconosciuto come uno dei maggiori interpreti delle composizioni
chopiniane, egli nel metodo n on parla affatto di tocco o di varietà timbro ma descrive solo gli
esercizi utili ad acquisire una tecnica pianistica che consenta di affrontare tutte le difficoltà del
repertorio.
Otto Rudolf Ortmann nel 1929 pubblica Trhe Physicale Basis of Piano Touch and Tone, una seria e
articolata ricerca scientifica sui vari aspetti della produzione del suono pianistico. Riguardo
all’insegnamento del pianoforte egli era ossessionato dall’idea di trovare la maniera corretta di
suonare. Diventa uno scienziato del pianoforte tanto da creare all’interno del Peabody
Conservatory un laboratorio per studiare e misurare i vari aspetti dell’esecuzione. L’opera da lui
scritta è un libro rivoluzionario, radicalmente divergente dalle vecchie teorie sul modo di suonare il
pianoforte; uno studio sperimentale sulla natura dell’azione muscolare, dell’esecuzione pianistica e
sugli effetti acustici prodotti dall’esecuzione. Per l’autore il musicista ancora crede che il singolo
tasto può essere influenzato solo dinamicamente, e che la conoscenza dell’azione muscolare e le
leggi delle leve non hanno nessun valore nel suo lavoro. Anche se nella storia della didattica ci sono
stati alcuni musicisti e insegnanti illuminati, egli afferma che i loro libri troppo spesso non vengono
neanche aperti. Intraprende una ricerca sui meccanismi fisiologici per stabilire una base fisiologica
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del suono e osserva che coordinamento, memoria muscolare, metodi pratici di apprendimento non
possono essere analizzati intelligentemente senza una chiara conoscenza delle loro strutture
meccaniche e psicologiche; al tempo stesso nessun aspetto fisiologico può essere adeguatamente
investigato senza la conoscenza della meccanica del pianoforte e della modalità di produzione
sonora. Nel capitolo Princìpi meccanici afferma che il complesso problema dei meccanismi
fisiologici applicato alla tecnica pianistica si basa sulle variazioni di forza prodotte dall’esecutore
sulla superficie del taso. Il suo studio riguarda perciò il modo in cui queste variazioni di forza sono
prodotte da una tecnica pianistica che obbedisce alle leggi della meccanica. Azione e reazione,
equilibrio delle forze, dipendenza di una forza rispetto alla massa e all’accelerazione, leggi delle
leve, tutto ciò è applicato al movimento fisiologico come al movimento meccanico in genere. Nel
secondo capitolo osserva che molti principi pedagogici della tecnica pianistica trovano la loro
spiegazione nell’anatomia e nella fisiologia delle articolazioni. In primo luogo, il raggio di azione e
la direzione del movimento delle varie articolazioni fornisce una concreta base anatomica per la
selezione di varie posizioni scheletriche del braccio e della mano mentre si suona il piano.
L’articolazione, più semplice e scorrevole vicino al centro del raggio, fa maggiore fatica quando si
avvicina all’estremità. Di conseguenza è necessario che la posizione delle dita, mano e braccio
permetta alle articolazioni di operare vicino al centro del loro raggio. Passa quindi ad analizzare i
movimenti di ogni singola articolazione dell’arto superiore in relazione alla tecnica pianistica.
Ortmann ritiene che la parte migliore per suonare sia il polpastrello, che i movimenti necessari alla
tecnica pianistica avvengono in più articolazioni e che la principale sorgente dell’atto motorio non
risiede mai nell’articolazione in movimento: per ciascuna articolazione che agisce ce ne sono delle
altre situate vicino al tronco che servono da fulcro. Il terzo capitolo lo dedica ai muscoli, la cui
natura attiva si contrappone a quella passiva della struttura scheletrica. Nel capitolo Stati e
proprietà dei muscoli si occupa dei gradi di contrazione, temperatura, fatica, rigidità, tono
muscolare e rilassamento di ciascun muscolo. Successivamente in Sistemi neuronali e circolatori
ritenuti indispensabili al processo di apprendimento, afferma che la ripetizione dell’esercizio serve a
creare una rappresentazione neuronale del movimento dai centri più alti del cervello ai più bassi dei
riflessi spinali e quindi la ripetizione è psicologicamente necessaria all’esercizio pianistico; la
tecnica pianistica richiede una coordinazione tra tutti i sistemi, uditorio, visivo e cinestetico;
l’efficienza dei movimenti del corpo, inclusi quelli della tecnica pianistica dipendono, in parte, dalle
condizioni della circolazione.
La seconda parte dell’opera è incentrata sugli Aspetti generali del movimento fisiologico. Qui
l’autore individua quattro principi pedagogici relativi alla posizione da assumere al pianoforte: ogni
tasto può essere raggiunto in una moltitudine di modi; la posizione in cui ciascun tasto è suonato è
determinata dalla posizione e dal modo di suonare il tasto precedente e seguente; il modo migliore
di eseguire un movimento verso un certo punto della tastiera varia da individuo a individuo ed è
determinato dalla struttura scheletrica; il miglior movimento fisiologico è quello che permette il
movimento vicino alla metà dell’escursione articolare della giuntura coinvolta. Nel capitolo La
geometria del movimento fisiologico l’autore presenta uno studio delle traiettorie dei movimenti
pianistici e afferma che tutto il movimento generato dal moto di un’articolazione singola è
curvilineo, che ciascun moto di una parte del braccio in una certa misura risulta da movimenti
simultanei in più di una articolazione e moti simultanei in due o più articolazioni possono generare
movimenti sia rettilinei che curvilinei. Ortmann ritiene che la “fissazione (rigidezza)” sia il
fallimento della prima pedagogia pianistica: più cerchiamo di limitare il movimento ad una
articolazione più il movimento diventa curvilineo e la costruzione della tastiera è opposta a tale
movimento. Da un punto di vista geometrico, ogni movimento della tecnica pianistica, eccetto la
forma più semplice della percussione del dito e l’estensione del gomito con il braccio assolutamente
verticale, coinvolge il movimento di più articolazioni. Nel capitolo Attività e passività l’autore
osserva che il movimento può essere causato in due modi: tramite contrazioni volontarie e
involontarie di muscoli che avvengono in seguito a stimoli neuronali o tramite l’azione di forze
esterne sulla parte da muovere. Secondo Ortmann non bisogna insegnare ad un allievo un
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movimento prendendo la parte che deve essere mossa e muoverla al suo posto; in tale maniera
l’insegnante sostituisce la forza e produce il movimento attivamente, mentre l’allievo lo compie
passivamente. Se la corretta contrazione muscolare è lo scopo pedagogico, è consigliabile il metodo
opposto. Per la stessa ragione la pratica del suonare senza tastiera o con sostituti non è corretta
perché è proprio la resistenza del tasto a causare la contrazione. Nel capitolo successivo intitolato
Coordinamento e incoordinamento l’autore osserva che tutti gli effetti pianistici sono il prodotto
delle variazioni della velocità e della forza, che si modificano l’una in relazione dell’altra. A suo
avviso è possibile compiere lo stesso movimento con vari muscoli, ma perché esso sia coordinato
bisogna che obbedisca ad alcuni principi: movimenti rapidi e di piccolo raggio sono da compiersi
con muscoli ed articolazioni piccole mentre i movimenti potenti e di ampio raggio con muscoli e
articolazioni grandi; per sprecare minore energia possibile la contrazione di un muscolo dovrebbe
cessare subito dopo essere stata prodotta; per avere un movimento coordinato, la contrazione di un
muscolo dovrebbe avvenire un momento prima di raggiungere la resistenza che il muscolo deve
vincere.
Nel capitolo decimo si occupa in maniera approfondita del rilassamento grazie all’ausilio di un
braccio meccanico. Sulla base dei dati ottenuti con l’ausilio del braccio meccanico deduce i
seguenti principi riguardo il movimento controllato: per mantenere un’articolazione in una
posizione data nello spazio, senza resistenza esterna in quel punto, tutte le altre articolazioni tra
questo punto e il tronco devono essere fissate a un estensore capace di sopportare il peso delle parti
che intervengono (la spalla supporta l’intero braccio, il gomito sostiene la mano e così via); per
mantenere la punta del dito in una posizione fissa su un tasto, si dovrebbe rilassare solo una delle
articolazioni situate tra questo punto e la spalla, mentre tutte le altre devono essere fissate per
vincere il peso delle parti che intervengono; se si esercita sulla punta del dito una forza superiore
rispetto al peso della parte in movimento, si deve aggiungere la contrazione muscolare che necessita
maggiore fissazione in tutte le articolazioni agenti come fulcro. Nel capitolo undicesimo Ortmann
dice che il Trasferimento di peso è l’atto di trasferire il peso dato da un supporto, il dito, ad un
altro. Spiega che l’applicazione del peso sul tasto comporti un certo grado di contrazione
muscolare; quando questo peso viene trasferito ad un altro dito, i muscoli che controllano quel dito
si contraggono per supportare il carico. Se il rilassamento del primo dito è maggiore rispetto alla
contrazione del secondo, il peso si disperde poiché esso è rimosso prima che il dito successivo sia
pronto a fare da sostegno. Ma se il rilasciamento è più lento della contrazione che segue, non ci sarà
perdita di peso. Per registrare variazioni nel trasferimento di peso, usa diversi tipi di dinamometri.
Nel capitolo dodicesimo analizza i Movimenti verticali del braccio tra cui quello della caduta di
braccio. Secondo Ortmann tale movimento, realizzato in una condizione di totale rilassamento, non
appartiene alla tecnica pianistica ma serve solo ad intensificare il grado di rilassamento durante la
fase di apprendimento. Durante l’esecuzione si usa invece una discesa controllata del tasto, in cui si
realizza una contrazione parziale dei gruppi muscolari che sollevano il braccio, in opposizione alla
gravità, rallentando così la sua discesa. Descrive un terzo tipo di discesa del braccio in cui i muscoli
che controllano tale discesa si contraggono violentemente rinforzando l’azione della gravità,
abbassando il braccio in maniera più rapida. Questa tecnica è usata per suonare accordi in
fortissimo, di solito in un tempo rapido. Nel capitolo tredicesimo parla dei movimenti laterali del
braccio i quali non sono dei semplici movimenti orizzontali poiché combinano lo spostamento
orizzontale con sollevamenti del braccio e spostamenti laterali. L’analisi abbraccia quindi una
dimensione verticale e orizzontale, mettendole in rapporto con i parametri dell’intensità,
dell’agogica, del raggio d’azione. Una particolare attenzione pone il movimento del Salto di scatto
per il quale è necessaria la presenza di una forza che agisce in direzione opposta rispetto a quella in
cui si muove la mano. Per registrare tali movimenti utilizza uno strumento che si chiama
“Pantografo”. La terza parte dell’opera è dedicata alle forme di tocco nella tecnica pianistica. Il
legato di braccio è da utilizzare in diversi passaggi cantabili lenti che richiedono un moderato grado
di intensità: il braccio è alternativamente alzato e abbassato mentre la punta del dito rimane a
contatto con la pastiera. Nel capitolo successivo Ortmann si occupa dello Staccato che si
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contraddistingue per la brevità del suono e per la sua separazione dalla nota precedente e da quella
seguente. Egli spiega che il suono staccato differisce dal legato non per ilo suo inizio ma per la sua
fine: il rilascio del tasto, non la depressione, diventa quindi il fattore fisico determinante. Egli
distingue lo staccato di mano, di braccio e di dita analizzando per ciascuno il rapporto con la
dinamica e l’agogica. L’elemento determinante dell’azione di dito, analizzato nel capitolo
successivo, è la sua punta poiché essa viene a contatto con la tastiera. L’autore il funzionamento del
dito in base a fattori fisiologici e meccanici e analizza l’articolazione col dito steso, osservando che
una leva di questo tipo guadagna in velocità ma perde in forza ed è quindi più adatta alla produzione
di un suono soft. Se però si vogliono fortificare i muscoli del dito, la posizione stesa è migliore
rispetto a quella curva perché le dita lavorano a svantaggio meccanico richiedendo ad ogni
articolazione più energia. Descrive poi l’azione del dito curvo in cui l’attenzione deve essere rivolta
principalmente alla falangetta da tenersi in posizione verticale. Ortmann affronta anche la questione
del suono e afferma che soltanto la percussione e l’intensità sono i fattori determinanti nel tocco e
che la posizione del polso influenzi l’intensità del colpo. Egli è a favore della posizione con la mano
arcuata mettendosi così in linea con i precetti della moderna pedagogia. Nel capitolo dedicato alle
scale descrive in dettaglio i movimenti delle dita, gli spostamenti laterali del braccio e la rotazione
d’avambraccio necessari per l’esecuzione della scala sia nel moto ascendente che in quello
discendente. Nella scala ascendente eseguita dalla mano destra, il pollice suona spesso sotto la
mano. Contrariamente a quanto si crede, la difficoltà non è costituita dal passaggio del pollice ma
dal suonare il tasto con il pollice mentre esso si trova sotto la mano. In nessun altro campo della
tecnica pianistica la preparazione di un movimento o di un suono successivo è così importante come
nelle scale. Per tale ragione il passaggio del pollice e lo scavalcamento della mano devono essere
iniziati già da principianti. L’autore tratta anche gli effetti agogici affermando che la velocità
d’esecuzione influisce sul modo in cui una scala viene suonata. Nelle scala veloce il movimento è
curvilineo e continuo mentre nella scala lenta esso è rettilineo e discontinuo. In seguito alle analisi
condotte deduce che una scala rapida deve essere suonata con un continuo spostamento del braccio
accompagnato da un parziale passaggio del pollice. L’arpeggio viene considerato da Ortmann come
una scala allargata in cui il passaggio del pollice sotto le altre dita deve essere accompagnato da uno
spostamento del braccio, che consenta di mantenere la giusta posizione. Dalle registrazioni deduce
che la velocità cambia la coordinazione del movimento; nell’arpeggio lento interviene la
preparazione che non si verifica invece in quello rapido. Osserva inoltre che, sebbene il movimento
del braccio giochi un ruolo importante nell’arpeggio più che nelle scale, non si può eliminare
interamente il movimento delle dita. Sono quindi necessarie alcune azioni verticali delle dita per
abbassare i tasti. Nel capitolo riguardante i Movimenti misti si esprime principalmente sul problema
della diteggiatura sostenendo che la migliore prevede un movimento minimo. L’autore esamina
anche le differenze individuali che ritiene possano distinguere un talento musicale. Esse possono
essere rintracciate nella grandezza della mano, nella lunghezza delle dita e del braccio, nel peso del
braccio e nell’ampiezza del movimento. Ritiene il peso del braccio un fattore di grande importanza
poiché esso è il vero responsabile della produzione del suono. La forza che un corpo in caduta
esercita varia con il peso del corpo e la distanza dalla quale cade. Altre differenze risiedono nella
forza della muscolatura. In generale è convinto che molti limiti dei pianisti derivino dalla loro forza
muscolare. Il fatto che le mani di alcuni pianisti siano morbide al tatto e quelle di altri rigide, non è
un indice di forza muscolare: la mano morbida può essere il risultato di un buon rilassamento che è
un prerequisito della capacità di coordinamento. Ortmann è convinto che la forza meccanica delle
dita e dei muscoli della mano si può raggiungere attraverso esercizi che non sono propriamente
pianistici. La tastiera del pianoforte e la natura essenzialmente percussiva del pianoforte non sono
adatte per sviluppare la rapidità muscolare. Con un allenamento sistematico dei muscoli delle dita e
del pollice, con resistenze appropriatamente controllatem, i muscoli della mano possono essere
fortificati in poco tempo. Riguardo all’aspetto neuronale mostra come la funzione metabolica
influisca sull’educazione pianistica. Nella chimica dell’azione muscolare abbiamo ancora altre fonti
di diversità individuale; l’inibizione muscolare cui sono spesso sottoposti allievi durante esami o
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concerti è causata da mutamenti chimici dell’organismo. Successivamente indaga le differenze
individuali relative solo alla mano sostenendo che le dimensioni della tastiera e il modo in cui i
compositori hanno scritto per essa richiedono mani con una grande estensione che consiste prima di
tutto nella capacità di abdurre le dita: la mano ideale per suonare il pianoforte secondo Ortmann è
quella che presenta una struttura ossea robusta e con le dita non molto lunghe. Il capitolo
ventiquattresimo è dedicato alla qualità del suono in finzione della quale esamina varie forme di
tocco. Per registrare il suono usa il Dinamografo. A suo avviso la qualità del suono dipende dal
rapporto tra i suoni e non sta nel singolo suono, quindi dipende dalla dinamica e dall’agogica. Pur
considerando la meccanica del pianoforte che è simile da strumento a strumento, e i principi
meccanici-fisiologici che regolano l’esecuzione pianistica, Ortmann ritiene che ogni modo di
suonare è diverso da un altro, tanto da parlare di “stile” individuale. Trova un modo per investigare i
rudimenti dello stile attraverso la registrazione di una stessa frase eseguita da diversi pianisti che
utilizzano la medesima diteggiatura. A suo avviso, se la durata e l’intensità dei suoni risultano
uniformi, il risultato sonoro dovrebbe essere il medesimo ma ciò non accade poiché sono sempre
presenti delle variazione di intensità e di durata influenzati dall’aspetto emotivo. Gli altri fattori che
determinano lo stile sono la dinamica e l’agogica. Nella conclusione del suo imponente lavoro
l’autore invoca la necessità di una revisione nell’insegnamento del pianoforte. Sostiene che il
rilassamento e il trasferimento di peso sono il risultato di un tentativo di allontanare la posizione
della mano immobile della vecchia scuola; afferma che nell’opera c’è una certa necessità di
ritornare ad alcuni principi della vecchia scuola, per esempio la pratica di esercizi per le dita con il
braccio sui tasti, senza cioè peso del braccio. E’ quindi convinto che la azione del dito non ha avuto
grande considerazione nella tecnica pianistica, che l’ha solo finalizzata alla produzione della
velocità e brillantezza. In generale le acquisizioni pianistiche dei movimenti sono, a suo modo di
vedere, primariamente un processo psicologico. Le registrazioni mostrano che un coordinamento
muscolare varia in seguito ad ogni cambiamento di tempo, intensità o altezza del suono. Quando
cambia uno dei fattori tempo, intensità o altezza, la reazione muscolare si modifica ma il
movimento deve essere sempre in relazione con il suono che si vuole produrre. La stimolazione
elettrica ha mostrato che muscolarmente e meccanicamente un bambino normale è pronto a suonare
una sequenza rapida di 5 dita come un adulto allenato: la differenza sta nell’abilità di comandare
alle dita in anticipo il movimento da compiere; ciò dimostra che la differenza consiste
nell’esperienza. Lo studio vuole mostrare come una conoscenza dei principi fondamentali della
meccanica e dell’azione muscolare può essere utile per un insegnante: conoscere la localizzazione
dei muscoli e i loro angoli di tiro, previene l’assegno di condizioni meccaniche impossibili, farà si
che si diano esercizi corretti muscolarmente e renderà capaci di distinguere la normale fatica
muscolare dalla fatica dello scoordinamento ed economizzerà tempo.
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Riassunto elaborato dal libro : Pianosophia, Tecnica e Arte, di Spagnolo e Stelli
Entrambi questi aspetti si possono ritrovare negli autori che hanno contribuito agli inizi del secolo
scorso alla trasformazione della tecnica pianistica.
Per quanto riguarda il limite tecnico si può osservare che in tutti quegli autori si manifesta una
grossa difficoltà nella valutazione e collocazione del gioco digitale all’interno della tecnica del
peso.
Prendiamo in esame 3 autori significativi.
1. Fr. Adolf Steinhausen: il fisiologo conseguente
Nel suo libro Gli errori fisiologici e la trasformazione della tecnica pianistica pubblicato nel 1905
a Lipsia Steinhausen ,medico militare, osserva che la nuova tecnica del peso è nuova solo nel
senso della consapevolezza teorica ma in realtà essa è semplicemente la tecnica naturale o
meglio fisiologica del pianoforte e che consegue spontaneamente dai presupposti fisiologici dei
movimenti necessari alla percussione o al tocco pianistico. Nel suo libro egli vuole illustrare i
presupposti fisiologici della nuova tecnica perciò non vengono discussi problemi tecnici specifici
né illustrate formule tecniche, esercizi o esempi musicali. Sottolinea l’autore che l’elaborazione
di un nuovo metodo spetta ai musicisti.
La vecchia tecnica si fonda su 3 misconoscimenti:
✔ Misconoscimento delle caratteristiche specifiche del pianoforte
✔ Misconoscimento della natura psico-fisiologica dell’esercizio inteso come ginnastica
meccanica e ripetitiva;
✔ Misconoscimento delle forze fisiologiche che stanno alla base dei movimenti pianistici,
peso del braccio e movimento dell’avambraccio, forze che vengono identificate con il
solo movimento di articolazione delle dita.
La tecnica del peso, continua l’autore si fonda invece:
✔ Distensione e passività della muscolatura;
✔ Il sistema spalla-braccio-mano-dita viene messo in movimento sfruttando la gravità
ossia il peso inerziale;
✔ La contrazione muscolare è di breve durata e si limita a dare l’impulso ovvero un
movimento di slancio;
✔ Il peso o carico che viene utilizzato nel suonare si situa tra 2 confini teorici: carico
massimo con muscoli che lavorano attivamente e carico zero in cui il lavoro muscolare è
uguale e contrario al peso del braccio per mantenere l’arto sospeso senza appoggio e
muoverlo verso l’alto;
✔ Il carico usato per suonare detto carico passivo dove il peso si scarica sulle dita in uno
stato sempre di distensione. Si possono usare infiniti gradi di carico o di peso per
ottenere ampio ventaglio di sonorità;
✔ La funzione delle dita è di sostegno;
✔ Per spostare il peso in velocità si utilizza la rotazione dell’avambraccio;
✔ Le dita non sono martelletti sono dita di rotazione o dita-asse e si comportano come i
raggi di una ruota che gira intorno all’asse di rotazione costituito dalla linea gomito-
polso;
✔ Mano e dita partecipano al movimento come la parte terminale di una catena i cui
diversi anelli non possono mai essere separati ed isolati ma possono e debbono
muoversi nel loro spazio fisiologico senza bloccare la catena stessa. Nell’ambito
complessivo della catena le dita non svolgono alcuna funziona autonoma. Perciò
l’autore, che era uno scienziato e non un pianista, non considera il movimento digitale
come un problema tecnico, anzi sembrerebbe che lo sviluppo coerente delle premesse
fisiologiche della tecnica del peso debba portare di necessità ad escludere qualsiasi
ruolo autonomo delle dita. E’ questa forse una lacuna della tecnica del peso che l’autore
tedesco non ha detto, l’incomprensione di un aspetto essenziale presente in tutti i
movimenti pianistici.
Allo sfruttamento dell’energia autonoma delle dita e al movimento della prensilità si ricollega
infine la nozione della sensibilità tattile che sarebbe localizzata nei polpastrelli che stanno a
contatto con la tastiera e il cui sviluppo affinamento costituirebbe un compito fondamentale per il
pianista. Le dita, sulla base della loro autonoma potenzialità dinamica accolgono il peso in modo
attivo e critico, sentono i tasti, acquisiscono una sensibilità tattile o ancor più precisamente il
senso della tastiera. In questo modo all’esecutore in grado di sfruttare in pieno l’energia autonoma
delle dita viene a configurarsi una sequenza che va dal basso verso l’alto, tasto -polpastrello-
braccio -spalla- cervello permettendo perciò di sentire tutte le variazioni più sottili di carico, le
posizioni e i movimenti.
Dopo questo esercizio 2 l’allievo sarà pronto per eseguire l’esercizio 1 nella versione originaria.
Si osservi come l’ordine in base al quale vengono aggiunte le dita (4 3 2) porti la mano a
raccogliersi o chiudersi in modo naturale nella posizione a goccia. È questa la posizione che deriva
dalla visione corretta della tastiera in cui estremi tendono continuamente ad avvicinarsi
all’esecutore, mano che si chiude a ventaglio. Un ordine inverso (2 3 4) porterebbe la mano ad una
divaricazione verso l’esterno ovvero la mano si aprirebbe a ventaglio creando irrigidimento.
IMPARARE A MOLLARE IL TASTO OVVERO LA PREARTICOLAZIONE
Dopo avere imparato a trasmettere il peso l’allievo dovrà acquisire la capacità di dissociare ovvero
di articolare le dita gruppi. La premessa necessaria per un’articolazione corretta è la pre
articolazione cioè con idonei esercizi l’allievo deve imparare l’azione dell’abbandono del tasto da
parte del dito su cui fino all’ultimo precedente gravava tutto il peso. È proprio questo abbandono
del dito, questo mollare il tasto a tempo opportuno costituisce la premessa indispensabile della
prearticolazione. Questo movimento quindi prevede:
● Che il dito abbandoni la sua funzione di sostegno attivo e passi ad una posizione di inerzia;
● La parte di peso sostenuta dal dito in precedenza si scarica rapidamente ridistribuendosi in
modo uguale sulle restanti dita;
● Questa ridistribuzione produce un leggero movimento di assestamento della mano, dell’
avambraccio e del braccio i quali spontaneamente assumono l’atteggiamento più idoneo
per riversare il loro naturale peso sulle dita, senza sforzo e dispendio di energia continuano
così a tenere i tasti abbassati.
L’allievo quindi:
● Nella prima battuta: dovrà percuotere in simultanea 2 tasti bianchi contigui con 2 gruppi di
dita; più precisamente dovrà suonare il bicordo MI -FA ( un ‘ottava al di sopra del DO
centrale ), il MI con il gruppo 1- 2 è il FA con il gruppo 3-4-5. Al terzo movimento della
prima battuta il 5 °abbandona il tasto mentre le restanti dita rimangono sul bicordo MI FA
per tutta la durata della battuta.
● Nella seconda battuta: il quinto dito viene escluso e 1 2 3 4 ricadono con la medesima
impostazione sugli stessi tasti MI FA per la durata di una minima.
● Nella terza battuta tutte e 5 le dita suonano di nuovo il bicordo e al terzo movimento è un
altro dito il 4° a mollare il tasto.
● Nella quarta battuta è ovviamente il 4° ad essere escluso e 1 2 3 5 ricadono sui tasti MI FA.
● l’esercizio continua con l’esclusione via via del 3 °2 ° 1°.
Questo esercizio può essere eseguito subito a mani unite poiché le 2 mani in una prima fase,
procedendo per moto contrario, mollano simultaneamente lo stesso dito.
Nell’evoluzione dell’esercizio si nota che c’è un equilibrato spostamento del peso da 5 a 4 dita ,
da 4 a 3, da 3 a 2, da 2 a un solo dito con tutti gli assestamenti richiesti volta per volta
facilmente controllabili dall’insegnante.
La dissociazione delle dita si realizza in pieno allorché nello sviluppo dell’esercizio le 2 mani
mollano contemporaneamente dita diverse, come nell’esercizio seguente, dove la sinistra molla
sempre il 5° mentre la destra molla alternativamente altre dita.
Con questi esercizi di pre articolazione l’allievo si abituerà subito a dissociare le dita e gli
riuscirà molto più facile, in una fase più avanzata, ottenere 2 o più suoni simultanei anche
d’intensità differenziata. Solo un consapevole, controllato abbandono del dito permette di
ottenere il legato perfetto evitando sia il gravissimo errore della sovrapposizione dei suoni in
una successione di toni e semitoni sia quello del loro scollamento.
SPOSTAMNENTI LATERALI: PRECISIONE E RAPIDITA’
La preoccupazione per le distanze tra i tasti, specie in velocità, ha in genere un effetto di blocco
psicofisico: l’allievo, cercando di accorciare le distanze, discosta il gomito dal fianco verso
l’esterno, sposta il braccio lateralmente e apre a ventaglio le dita della mano nell’illusione di
avvicinarsi più rapidamente e meglio al tasto lontano.
L’allievo adotta così involontariamente una visione errata della tastiera e della man:o le mani si
muovono come se volessero allontanare da sè la tastiera e le dita si tendono in avanti. Bisogna
partire viceversa dalla visione corretta della tastiera e della mano: le mani sempre raccolte
nella posizione naturale a goccia si muovono come se dovessero prendere o avvicinare a sè gli
estremi della tastiera ed è il sistema braccio avambraccio mano che spostandosi, e sfruttando
la rotazione dell’avambraccio, trasporta in avanti le dita. Perciò negli esercizi sugli spostamenti
laterali bisognerà insegnare ad Eseguirli con la massima precisione seguendo questi
accorgimenti:
● Il gomito resterà il più possibile accostato al fianco funzionando come una sorta di
timone che dà alla mano direzione e posizione corrette sulla tastiera;
● La mano ruota in posizione esterna oppure interna in base allo zona di spostamento
della tastiera; Questo consentirà alle dita, che si troveranno nella posizione obliqua
rispetto alla tastiera, di raggiungere con sicurezza il tasto desiderato.
Negli spostamenti laterali è possibile ottenere l’effetto del legato grazie alla rapidità negli
spostamenti e il perdurare, sia pur brevissimo, del suono dopo l’abbandono del tasto. L’esercizio
che segue può essere eseguito a doppie terze, seste ottave e accordi di 5 4 e 3 suoni con tutte le
combinazioni possibili di dita.
Per quanto riguarda gli accordi di 3 4 e 5 suoni lo spostamento laterale comporta una maggiore
difficoltà. Riesce molto utile, in questo caso ,crearsi un punto di riferimento per lo spostamento
punto di riferimento che sarà costituito, quando è possibile, dal tasto che viene percorso sia nel
primo accordo che in quello successivo. Su questo tasto, che resterà abbassato un attimo in più
rispetto agli altri, verrà operato un rapidissimo cambiamento muto di diteggiatura: per cui la mano
si troverà sempre in modo naturale,spostata lateralmente quanto basta per la corretta percussione
del secondo accordo.
Sei gli accordi da eseguire in successione non hanno alcun tasto in comune, un punto di
riferimento sarà costituito, nel movimento ascendente, dal tasto più acuto del primo accordo che
in ogni caso è quello più vicino al tasto più grave del secondo accordo. Il dito che percuote il tasto
più acuto del primo accordo fungerà da perno per lo spostamento del pollice verso il primo tasto
grave del secondo accordo. Il movimento discendente verrà realizzato analogamente ma i punti di
riferimento saranno costituiti dal tasto più grave del primo accordo e da quello più acuto del
secondo accordo.
IL PASSAGGIO DEL POLLICE: SCALE E ARPEGGI
La scala non consiste affatto come si potrebbe pensare a prima vista in un movimento di arti
colazione delle 5 dita. Il quinto dito nelle 5 scale che cominciano con i tasti neri, nonché in quella di
FA per quanto riguarda la destra e SI per quanto riguarda la sinistra, non viene mai usato e quando
è impegnato lo è una sola volta come perno per iniziare il movimento di ritorno. Il quinto pertanto
dovrà trovarsi in una posizione di completo rilassamento e, nel momento della percussione, cadere
sul tasto sfruttando in misura maggiore delle altre dita il peso dell’avambraccio.
Il quarto poi in una scala di 4 ottave in movimento ascendente e discendete è impegnato otto volte
mentre il 1° 2° 3° sono impegnati ben sedici volte. Come si vede le dita impegnate nella vera
articolazione sono 2° 3° ,in misura minore il 4°, dal momento che il pollice non costituisce
propriamente un’articolazione.
Resta Il problema del passaggio del pollice che non è un problema In quanto, nei suoi movimenti
naturali e a causa della sua struttura anatomica, si trova sempre al di sotto delle altre dita. Perciò
per realizzare il passaggio del pollice non bisogna far altro che agevolare e controllare il suo
movimento naturale ossia il suo passare e stare al di sotto delle altre dita. Il pollice non sviluppa
nessun movimento autonomo di articolazione esso si comporta come un prolungamento
immediato dell’avambraccio: è la caduta dell’ avambraccio, adeguatamente dosata , a governare la
percussione dei tasti da parte del pollice che quasi sempre ,senza autonoma energia, si mantiene
sciolto e ubbidiente alle sollecitazioni.
Risulta molto più agevole in una fase iniziale l’apprendimento:
1. delle scale maggiori di SI, DO DIESIS E FA DIESIS per moto parallelo. Queste scale infatti hanno
come costante i 5 tasti neri inoltre eseguite permuto parallelo presentano un sincronismo tra le
2 mani nel passaggio del pollice. Nel primo esercizio l’allievo dovrà abituarsi a evidenziare i 2
gruppi di tasti neri escludendo inizialmente il pollice e suonando ogni gruppo in simultanea dal
grave all’acuto e viceversa. L’esercizio potrà essere seguito anche a mani unite permuto
parallelo e contrario:
2. In un secondo momento si inserisce tra i gruppi di tasti neri, suonati simultaneamente, il pollice
sul tasto bianco successivo. Questo esercizio deve essere seguito in movimento ascendente e
discendente solo per moto parallelo onde mantenere il sincronismo tra le 2 mani. Questi
esercizi vanno eseguiti come una successione di semiminima a 72 bpm.
3. In un terzo momento, introdurremo le scale maggiori di DO SOL RE LA MI , dove ritroviamo il
sincronismo, eseguite però per moto contrario.
Come si nota dallo schema al pollice e al dito che lo precedono corrispondono suoni di maggiore
Durata poiché in tal modo si ha la possibilità di controllare il passaggio del pollice con la massima
distensione. Nel movimento dal grave verso l’acuto per la destra, e viceversa per la sinistra,
nell’attimo in cui il pollice, passando sotto il terzo o il quarto, deve percuotere il tasto successivo :
● il polso dovrà trovarsi sempre il più possibile a livello dei tasti bianchi;
● il pollice dovrà scattare rapidamente e all’ultimo momento verso il tasto da percuotere
utilizzando accortamente l’apporto dello spostamento laterale dell’avambraccio
Assecondato ovviamente dall’abbraccio che si troverà preferibilmente con il gomito più
basso rispetto alla tastiera e accostato al fianco;
● le altre dita si troveranno per inerzia, nell’attimo della caduta del pollice, già nella Posizione
ottimale per la percussione dei tasti successivo ovvero posizione esterna;
● Questo modo di realizzazione del passaggio del pollice vale anche per gli arpeggi.
Un altro momento critico è costituito dall’ultimo tasto acuto per la destra e dall’ultimo tasto grave
per la sinistra prima di iniziare il movimento di ritorno. Perciò l’insegnante farà attenzione:
● Il dito che percuote questo tasto fungerà da perno per la rotazione della mano e
dell’avambraccio: qui il gomito si discosterà un poco dal fianco, il polso si solleverà
portandosi più o meno livello dei tasti neri e la mano assumerà nel movimento di ritorno
una posizione interna inclinata verso il pollice
● Il braccio e il gomito dovranno assecondare le dita quanto basta per anticiparne le richieste.
Naturalmente potrà essere utile studiare anche esercizi più specifici per il passaggio del pollice
Esempio la scala di do maggiore amanite per moto contrario con tutte le possibilità del passaggio
del pollice nel movimento di andata e di ritorno (scavalcamento del pollice): 121-131-141-151-
1231-12341-12341.
È possibile proporre le medesime possibilità di passaggio e scavalcamento del pollice che con i tasti
neri ossia per semitoni.
LE DOPPIE NOTE
Il problema delle doppie note non riguarda solo nitidezza e precisione ma soprattutto la
realizzazione di più suoni simultanei diversificati tra loro per colore e intensità.
Comunemente si pensa al problema delle doppie note come un problema Tecnico a sè stante. In
realtà, come quello del passaggio del pollice, anche il problema delle doppie note è insito in tutti
gli esercizi già proposti fondati sull’associazione dissociazione a gruppi delle dita e sulla
percussione di più suoni in simultanea senza che l’allievo venga mai posto difronte adesso in modo
esplicito e specifico. È chiaro che dopo aver assimilato questi esercizi Egli sarà già predisposto in
modo naturale ad affrontare altri più specifici, favorendo lo sviluppo continuo e armonioso delle
sue capacità tecniche.
E’ evidente che l’esecuzione delle doppie nude soprattutto delle ottave in velocità esclude in modo
assoluto la tecnica del polso. È indispensabile invece la mobilità dell’avambraccio e la massima
disponibilità del peso che favoriscono la motilità delle dita; in particolare lo spostamento laterale
dell’avambraccio, modificando il baricentro dell’arto, permette alle dita di avere maggiore potenza
e maggiore prensilità. Proprio questa estrema mobilità dell’avambraccio che scarica in modo
costante ma non vistoso il peso sulle dita può ingenerare una falsa impressione di sospensione del
braccio. Il Principio fondamentale della percussione ossia lo sfruttamento del peso è sempre
valido indipendentemente dal grado di velocità con cui tasti vengono percorsi, pertanto anche una
successione di doppie terza o seste in velocità deve essere realizzata sfruttando idoneamente il
peso della mano e dell’avambraccio onde evitare affaticamenti dannosi.
PER CONCLUDERE: LA TASTIERA NON E’ UN PIANO ORIZZONTALE
Tutti gli esercizi proposti partono dalla sintesi dei movimenti per arrivare all’analisi.
Quando si suona è la mano che suona, non le singole dita , come struttura globale al cui interno si
differenziano e agiscono le singole dita in base a criteri Ritmici, armonici e melodici soprattutto in
base alla loro struttura e disposizione sulla tastiera.
Si tratta qui della semplice applicazione allo studio del pianoforte di un principio ormai da tempo
acquisito in particolare dalla psicologia della forma o struttura (Gestalt): il tutto è Superiore alla
somma delle singole parti. E non è privo di interesse ricordare che il precursore di tale
impostazione, o psicologo austriaco Ehrenfels, ricorse alla musica per addurre alcuni esempi
concreti di struttura: una melodia è una unità individuale che non risulta dalla somma dei suoi
elementi; tanto è vero che trasposta in un’altra tonalità rimane identica a se stessa, perché identici
rimangono i rapporti tra gli elementi che la costituiscono.
Ovviamente lo studio settoriale di movimenti isolati presta necessario è validissimo, a patto però
che venga realizzato sulla base della comprensione del movimento globale, della struttura
complessiva.
Perciò tornando alla visione della tastiera e partendo dalla sua visione semicircolare o semi ellittica
è possibile aggiungere un’altra percezione visiva:in ogni movimento ascendente e discendente la
mano e l’avambraccio devono per così dire immaginarsi la tastiera sempre leggermente in discesa.
Nel movimento di andata il tasto più acuto verrà immaginato più in basso e viceversa nel momento
della rotazione dell’avambraccio, per il movimento di ritorno ,il tasto più acuto diverrà subito
nell’immaginazione il tasto più alto rispetto a quello più grave. Nel movimento di ritorno verso il
centro la visione in discesa dipende dalla forte attrazione di gravità esercitata dal baricentro del
corpo ,che è situato in corrispondenza del centro della tastiera ,e anche dal movimento della mano
che si chiude ruotando costantemente verso l’interno, cioè verso il centro.
Questa visione della tastiera in discesa è in grado di liberare dalla fatica l’esecutore e di predisporlo
psicologicamente e fisicamente alla massima adesione allo strumento, poichè gli consente di
sfruttare in ogni momento in modo ottimale l’apporto del peso e il suo giusto dosaggio. È meno
faticoso infatti controllare e dominare un movimento in discesa piuttosto che vincere la forza di
gravità in un movimento in salita.
SINTESI DELLA TESI
“INDAGINE SU ALCUNI IMPORTANTI METODI PER LO STUDIO DEL PIANOFORTE”
Bartok compose diversi cicli pianistici con i quali introdurre l’allievo nelle singolarità
melodiche, armoniche e ritmiche del linguaggio popolare dell’Ungheria.
Primo ciclo: “Dieci pezzi facili” (1908) cui seguirono “diciotto brevi pezzi per un metodo per
pianoforte” (1913) a cura di Sàndor Reschofsky (poi estrapolati ed autonomamente editi
come “Il primo contatto con il pianoforte” nel 1929); di più ampio respiro sono i pezzi del ciclo
“For children” (1908-1909) brani divisi in 2 volumi basati su melodie popolari ungheresi e
slovacche.
In età matura compose cicli costituiti da brani per repertori concertistici: “44 duetti” per due
violini (1931), i “27 cori” (1935) e il “Mikrokosmos”, (concluso nel 1939) nel quale il
linguaggio popolare è componente grammaticale del tessuto compositivo.
Quest’ultimo è composto da 153 pezzi divisi in 6 volumi di difficoltà progressiva. Non è solo
un’imponente raccolta di pezzi progressivi per piano (questo è il sottotitolo), ma anche un
compendio che rimane unico nella sua forma, creando un’introduzione completa alla musica
della prima metà del 20º secolo, sia in termini di tecnica che di stile di composizione – dalla
primissima lezione di piano fino al repertorio concertistico. In esso Bartok, infatti, introduce
gradualmente a tutti gli aspetti della teoria e presenta tutti i problemi della musica
contemporanea utilizzando modi e melodie popolari.
Al contrario della raccolta “For children” in esso i temi sono dell’autore ma fortemente
influenzati da elementi grammaticali dell’est europeo.
Metodo per lo studio del pianoforte di Bastien (pubblicato nel 1963): tra i metodi più usati
oggi. Il metodo è preceduto da due livelli preparatori specifici per bambini dai cinque ai sette
anni; dopodiché vi è un livello cosiddetto preparatorio, o intermedio, adatto ai bambini di
circa sette anni, suddiviso in quattro volumi: il metodo di piano vero e proprio, la teoria, la
tecnica e il repertorio; a seguire la serie preparatoria inizia la collana didattica principale,
costituita da quattro livelli, suddivisi in: “Piano”; “Teoria”; “Repertorio”; “Tecnica”; “A line a day
sight reading” (volume nella sola lingua inglese dedicato alla lettura a prima vista).
Metodo valido ma con punti di debolezza: mano sinistra trascurata e spesso relegata a
semplice accompagnamento accordale, composizioni sovente troppo semplici e assenza di
pezzi veramente impegnativi.
“La Scuola preparatoria per pianoforte op.101” di Beyer: metodo storico, risale alla metà
dell’800. 106 esercizi, di graduale complessità. Ad una parte introduttiva teorica, dove sono
riassunti i principali elementi della musica: notazione, divisione, intervalli, tempi, alterazioni,
scale e accordi. Poi vi sono degli esercizi preliminari dedicati alle mani separate e quindi
unite segue la serie di melodie, numerate dalla uno alla centosei. In diversi numeri è previsto
l’accompagnamento per il maestro. Nell’appendice vi sono molti esercizi per le due mani,
prima separate e poi unite, che affrontano varie figure ritmiche e melodiche e diverse
diteggiature, arrivando anche alle doppie terze. Alla fine ci sono due pagine dedicate a tutte
le scale maggiori e relative minori armoniche. Oggi appare un pò datato e insufficiente,
soprattutto per la conoscenza della chiave di basso e la lettura per la mano sinistra.
La “Dinamica pianistica” di Brugnoli: è uno dei migliori trattati realizzati nella storia del pf.
Stampato dalla Ricordi per la prima volta nel 1927, il metodo analizza tutti gli aspetti del fare
musica e della pratica pianistica. È diviso in venti capitoli, ognuno dei quali affronta un
preciso argomento.
“Metodo per lo studio del pianoforte” di B. Cesi: del 1929, diviso in 12 fascicoli raccolti in 2
volumi. Metodo monumentale, che parte da nozioni basilari fino ad arrivare alle più grandi
difficoltà che ogni pianista deve affrontare. Il metodo si apre con un capitolo denominato
“Elementi”, dove l’autore spiega gli elementi fondamentali della musica: le note, le chiavi, gli
accidenti, la durata dei suoni, i tempi. Si conclude con un lunghissimo studio dove si trovano
1
quasi tutte le difficoltà possibili.
Il “metodo completo del Piano-Forte” di Clementi: grande metodo storico del 1801.
Fin dal primo brano si inizia a suonare con tutte e due le mani e con le due chiavi. Presenta
molte piccole melodie con accompagnamento, alcune scritte da se stesso, altre di diversi
autori tra cui Mozart, Haendel, Haydn, Mayer, Paisiello, Dussek, Martini, Steibelt,
Beethoven, Cramer. Egli trascrive anche molti motivi popolari di varie nazionalità. I brani
sono abbastanza impegnativi per un principiante.
I “princìpi razionali della tecnica pianistica” di Cortot: Opera completa, dall'alto valore
artistico e scientifico. Individua due fattori alla base di tutto lo studio strumentale: un fattore
psichico, lo stile; un fattore fisiologico, cioè l’abilità manuale e digitale, che deriva dalla
sottomissione assoluta di muscoli e nervi alle esigenze materiali dell’esecuzione.
Uno dei progressi più significativi dell’insegnamento strumentale è consistito nel sostituire
all’esercizio meccanico, lungamente ripetuto, di un passaggio difficile, lo ‘studio ragionato
della difficoltà’, riportata al suo principio elementare, che il passaggio stesso contiene.
Cortot ha ridotto le difficoltà pianistiche di ogni specie, a cinque categorie essenziali, i
principi razionali della Tecnica pianistica:
1. uguaglianza, Indipendenza e mobilità delle dita
2. passaggio del pollice (scale e arpeggi)
3. doppie note e tecnica polifonica
4. estensioni
5. tecnica del polso, accordi
Il libro è fornito di una ‘tavola mobile’ che serve da guida per lo studio sistematico di ogni
capitolo. In essa sono segnati:
1 – elenco delle 12 scale maggiori e minori per le trasposizioni tonali quotidiane
2 – modello della formula cromatica che deve essere usata per alcuni esercizi
3 – quadro delle combinazioni armoniche
4 – quadro dei differenti ritmi
5 – quadro delle diteggiature
2
2- il Solfeggio che educa l’orecchio e la voce;
3- l’Improvvisazione che riunisce tutti gli elementi finora menzionati e libera le potenzialità
creative individuali.
Il “metodo europeo per pianoforte” di F. Emonts: È piuttosto recente, degli anni ‘90. Metodo
in tre volumi, con brani provenienti da ogni parte d'Europa. Molto utile, interessante e
stimolante è l’Appendice, dedicata a suggerimenti per l’improvvisazione.
E’ veramente un metodo completo, articolato, interessante e stimolante, dove lo sviluppo
della fantasia e della creatività dell’allievo viene curato particolarmente e con un certo
‘ordine’.
Piano Time di Hall (1983). Si tratta, come spesso accade nei moderni metodi, di una serie di
volumi separati che costituiscono un completo percorso per imparare a suonare il pianoforte.
Il metodo è in inglese. Il percorso è diviso in tre livelli, con l’aggiunta di raccolte di brani
dedicati al repertorio e alla tecnica.
Il livello uno è diviso in due libri: “Tutor” e “Repertoire”. Con “Tutor” si intende il vero e
proprio metodo, con le spiegazioni, gli esempi, gli esercizi, i pezzi relativi. Con “Repertoire”,
brani di vario carattere e di diversi autori.
Il livello due è diviso in tre libri: “Tutor”, “Repertoire” e “Duets”, cioè brani da fare a quattro
mani.
Il livello tre è diviso in modo simile al due.
Questi tre livelli sono preceduti da libretti introduttivi, con semplici brani per le dieci dita.
La tendenza dei nuovi metodi per pianoforte è quella di far iniziare la mano sinistra in modo
speculare alla destra e quindi non partendo dalle cinque note di seguito, ma scendendo dal
Do centrale.
Il “metodo per pianoforte” di Lebert e Stark: metodo del 1858, rivisto nel 1919. Il metodo di
Lebert & Stark è molto interessante, originale e ben organizzato, apprezzabile soprattutto
per i molti brani da suonare a quattro mani, cosa sempre valida e, per l’allievo, stimolante.
Il “Metodo di esercizi Tecnici per pianoforte” di Bruno Mugellini: risale al 1911, basato su
esercizi di tecnica pianistica e diviso in otto volumi:
1 – elementi della teoria e primi esercizi tecnici, 2 – le scale e altri esercizi d’agilità; 3 – gli
arpeggi; 4 – le note doppie legate e staccate; 5 – le seste, le ottave e gli accordi; 6 – esercizi
per lo stile polifonico; 7 – esercizi per il legato-cantabile e l’uso del pedale, 8 – esercizi di
perfezionamento.
Si tratta di un metodo prettamente tecnico, che lascia poco spazio al repertorio e ai problemi
dell’interpretazione comunque di grande utilità per l’attenzione che pome a tutti i principali
problemi di natura tecnica e di meccanica delle dita.
La “Antologia didattica per lo studio tecnico del pianoforte” di Rossomandi: metodo del
1960, articolato e complesso. L’antologia è divisa in tre categorie: A, B, C. La serie A
comprende dieci fascicoli contenenti un repertorio di studi d’ogni stile, scelti, riveduti e
ordinati dal facile al difficile progressivamente. La serie B, di otto fascicoli, si basa su pezzi e
sonate a due mani, di vario stile, classico, romantico, brillante, coordinati progressivamente.
La serie C, di otto fascicoli, contiene composizioni da suonare a quattro mani di diverso tipo:
trascrizioni, sonate, danze, marce, pezzi romantici, temi e variazioni, ouvertures, rapsodie. I
volumi costituenti le tre serie vanno studiati parallelamente, completandosi a vicenda.
L’antologia, unitamente alla guida (vedi sotto), svolge lo studio pianistico per un percorso di
cinque/sei anni, ossia conduce l’alunno a un grado d’esecuzione sufficiente per
intraprendere il “Gradus ad Parnassum” di Muzio Clementi.
“Guida per lo studio tecnico del pianoforte” di Rossomandi: (scritta negli anni 50) da
studiare contemporaneamente all’antologia didattica. L’ Antologia mira all'educazione
artistica, questa allo sviluppo della tecnica. La guida, suddivisa in otto volumi, definisce
3
quanto occorre per rendere sicura e artistica l’esecuzione: impianto della mano alla tastiera,
sviluppo della tecnica, mezzi per rendere l’espressività musicale, l’uso dei pedali. Gli esercizi
sono sviluppati con tutte le varietà ritmiche e tonali, avvalendosi di ogni procedimento
armonico, compreso l’esacordale.
“Metodo per pianoforte” di Ruocco e Ghezzi: metodo pubblicato nel ‘90. Il libro si articola in
undici capitoli e traccia un itinerario didattico che va dall’impostazione agli arpeggi, fornendo
uno strumento di base per i primi quattro/cinque anni di studio. I primi otto capitoli si
suddividono in tre parti ciascuno, di cui la parte A concerne problematiche più propriamente
tecniche; la parte B riguarda aspetti musicali connessi a quelli tecnici; la parte C applica in
uno o più brani espressamente composti quanto trattato nelle due parti precedenti. I capitoli
nove e dieci sono incentrati sulle scale e gli arpeggi; il capitolo undici è di carattere
principalmente teorico. È un metodo molto articolato e dettagliato, con un approccio di tipo
scientifico alle problematiche inerenti lo studio del pianoforte: ogni problema tecnico viene
smontato in tutte le minime frazioni; nulla è lasciato al caso, tutto è previsto, calcolato e
analizzato.
Metodo Suzuki: Suzuki aveva compreso che proprio "l'imitazione" è alla base del processo
d'apprendimento umano nei primi stadi della vita e, attraverso il metodo che egli chiamò
"della lingua madre", dimostrò che si poteva insegnare ad un bambino così come gli si
insegna a parlare. Come, infatti, un bambino impara a parlare ascoltando e ripetendo
continuamente le parole dette infinite volte dai genitori, così impara a suonare ascoltando e
ripetendo continuamente un frammento musicale, un ritmo, una melodia che gli stessi
genitori, "addestrati" dall'insegnante, gli proporranno nel corso della giornata affinché gli
risultino familiari. massimo impegno di tutti (allievi, genitori, insegnanti) per perseguire i livelli
di studio e preparazione e l'ingresso nell'orchestra, che è la grande ambizione di tutti i
bambini.
“Easiest Piano Course” di Thompson: degli anni ‘90, dedicato principalmente a giovani
allievi, suddiviso in volumi di crescente difficoltà. È abbellito da simpatici disegni e adotta
una grafica chiara, facilmente leggibile. È pubblicato in lingua inglese. Buon metodo, anche
se non approfondisce particolarmente alcuni aspetti (scale minori, arpeggi, esercizi, ecc.) e i
brani proposti hanno spesso la mano sinistra usata a sostegno della destra, problema
generale dei metodi moderni, che cercano di portare nel più breve tempo possibile lo
studente a poter suonare.
“Il primo libro per lo studio del pianoforte” di Trombone: del 1950. Metodo succinto, ma
abbastanza completo. L’autore sottolinea che, per iniziarne lo studio, è necessario che
l’allievo conosca i primi elementi di teoria e solfeggio. Il libro è diviso in tre parti.
E’ basato più su esercizi che su brani veri e propri ma tutti composti dall’autore. E’ simile al
Beyer, ma la mano sinistra entra in scena prima acquisendo, così, autonomia ed
indipendenza.
Il “Metodo Yamaha” è progettato per educare i bambini alla musica, dai 5-6 anni fino agli 8-9
anni, nel massimo divertimento. Il bambino apprende in modo naturale, cominciando dallo
sviluppo dell’orecchio musicale e imparando man mano vari brani. Questi ultimi sono stati
concepiti non soltanto per la loro validità, ma anche per l’attrattiva che esercitano sui
bambini. Le lezioni sono collettive, allo scopo di facilitare l’apprendimento. Partecipando alla
lezione con i loro coetanei, infatti, gli allievi condividono la gioia di imparare a suonare. Già
dalla prima lezione, gli allievi imparano a suonare il primo brano musicale, accompagnati
dall’insegnante e dalla base registrata. Man mano che gli allievi progrediscono, i brani
diventano sempre più complessi e divertenti da suonare. L’allievo dapprima ascolta la frase
musicale proposta dall’insegnante, poi la memorizza cantando. Quando il brano è
perfettamente memorizzato, si passa a suonare, mediante una tecnica particolare “ad
imitazione”. L’ultima fase è quella della lettura, sul pentagramma, delle note che l’allievo ha
4
memorizzato e che sa già suonare.
In sintesi, lo schema è il seguente:
ASCOLTARE >> CANTARE >> SUONARE >> LEGGERE
Il metodo tradizionale fa esattamente il contrario: si comincia dalla lettura delle note e poi si
passa a suonare, con la conseguenza di scoraggiare la maggior parte degli allievi.
Il corso è articolato in sei volumi, ciascuno corrispondente ad un livello progressivo. Ogni
volume è suddiviso in unità e le materie di ciascuna di esse sono le seguenti:
1. Brani di repertorio di difficoltà progressiva
2. Esercizi tecnici per l’agilità delle dita.
3. Esercizi per imparare ad armonizzare ed arrangiare melodie di vario tipo.
4. Esercizi per la musica d’insieme.
Ogni libro di testo è accompagnato da un CD che contiene le registrazioni orchestrali di tutti i
brani e che aiuta l’allievo a suonare in modo più musicale ed espressivo.
Oltre a imparare un notevole numero di brani di repertorio, l’allievo impara anche ad
armonizzare le melodie in svariate tonalità e ad arrangiarle con stili diversi di
accompagnamento.
Il corso ha una durata media di quattro anni, dal primo passaggio al completamento di ogni
volume, con il rilascio di certificati di studio con validità internazionale. E’ stato progettato per
rendere l’apprendimento non solo facile ed immediato, ma anche divertente. Si impara in
modo naturale, soprattutto sviluppando prima l’orecchio musicale e affrontando man mano
vari brani di difficoltà progressiva.
Successione cronologica
Clementi 1801
Czerny e Beyer prima metà dell’800
Lebert & Stark 1858
Mugellini 1911
Brugnoli 1927
Cortot 1939
Bartok 1926-39
Cesi 1929
Trombone e Rossomandi anni ‘50/’60 del ‘900
Bastien 1963
Hall 1983
Ruocco e Ghezzi, Thompson,
Emonts, Suzuki, Yamaha intorno al 1990
5
Semiografia della Musica
Nel corso della storia la notazione musicale si presenta secondo quattro modalità generali:
1 - Alfabetica
2 – Intavolatura (indicazioni per l'uso degli strumenti)
3 – Neumi (se in campo aperto indicano la direzione della melodia, non l'altezza delle note)
4 – Sillabica (ecfonetica)
Primi esempi
Vecchio Regno egiziano (ca 2700 A.C.)
Rappresentazione pittorica di un suonatore e di un altro uomo che, con gesti, lo “dirige” o lo istruisce sull'uso
dello strumento.
Tavolette cuneiformi del IX sec. che contengono (ipotesi) una notazione musicale. Galpin ha tentato una
trascrizione, interpretando i caratteri come rappresentazione delle 22 corde di un'arpa (tentativo non
riconosciuto unanimemente). Sachs tenta un'altra interpretazione, senza ottenere consenso da altri studiosi.
Papiri dei sec. VI – V A. C. in cui sono raffigurati cerchi di diverso colore e diametro, che
rappresenterebbero rispettivamente l'altezza dei suoni e la durata (Gulezian).
Notazione greca
I primi esempi storici di una notazione musicale compiuta si ritrovano nei frammenti greci conservati fino ad
oggi, e nella trattazione (anche se posteriore) di alcuni autori tra i quali: Alipio, Aristide Quintilliano,
Gaudenzio, ed altri.
La notazione più antica è quella strumentale basata su un alfabeto arcaico (fenicio). Le lettere dell'alfabeto
indicano le corde della Kithara; il carattere è impiegato in tre posizioni diverse per rappresentare la nota
naturale o le sue alterazioni (tranne il MI e il Sib).
Più recente è la notazione vocale che impiega l'alfabeto ionico classico. Per ogni nota vengono impiegate tre
lettere per il suono naturale, innalzato o abbassato.
Es. Per la nota FA si usavano le lettere A B Γ, per le tre intonazioni della nota.
Le due notazioni comprendevano altri segni per indicare gli accenti, le pause e la dinamica (derivati dai segni
grammaticali).
L'epitaffio di Sicilo
L'epitaffio di Sicilo (II sec. a.C. - I sec. d. C.) contiene alcuni epigrammi su un certo Seikilos (Sicilo) e una
serie di massime, quali: "Finché vivi, sii gioioso, non rattristarti mai oltre misura: la vita è breve e il
Tempo pretende il suo tributo”
Epoca Romana
I romani adottarono la notazione alfabetica greca traslitterando l'alfabeto nella grafia latina.
Bisanzio
La gran parte la musica bizantina è rappresentata da canti liturgici su poesia libera (Inni). Il canto è omofono,
diatonico con ritmo libero. La notazione prende spunto dai segni di punteggiatura degli scritti della Grecia
del tardo periodo.
Primi esempi nel IX sec. notazione ecfonetica, ovvero l'uso di un piccolo numero di simboli che rappresentano
brevi formule melodiche stereotipate
Nel XII sec. compaiono codici in notazione Media (o Tonda). Sono introdotti nuovi simboli che indicano il
movimento in unisono, un grado verso l'alto o un grado verso il basso:
Ison ےunisono
Oligon ▬ seconda ascendente
Apotrophos رseconda discendente
Notazione Kukuzeliana (dal 1400), da Kukuzelis , musicista attivo nel sec. XIV, che introdusse nuovi segni).
All'inizio del XVIII sec. furono immessi elementi turchi e arabi che compromisero la tradizione della
notazione antica.
Infine nel XIX sec. La notazione fu riportata alle origini. Ancora oggi è la scrittura impiegata nella Liturgia
della Chiesa greca ortodossa.
Notazione del Canto Gregoriano
La sistemazione del canto liturgico della Chiesa romana, compiuta da San Gregorio Magno (590-604) è da
considerarsi, per molti aspetti, il fondamento per i successivi sviluppi delle forme musicali dell'Occidente.
L'Antifonario contiene tutti i canti della Liturgia gregoriana. I manoscritti più antichi sono a San Gallo in
Svizzera, altri si trovano in vari monasteri d'Europa: manoscritti di Metz (canto messino), di Milano (liturgia
ambrosiana), notazione Cassino Beneventana (grande perizia grafica), Nonantola, e molti altri.
Gli studiosi della materia individuano fino a 15 famiglie della notazione gregoriana in base allo stile grafico,
alla tipologia dei neumi, e ad altre caratteristiche che ne testimoniano la peculiarità.
Come la notazione bizantina anche la notazione gregoriana si riferisce agli accenti grammaticali della
letteratura greca e latina. Gli accenti combinati tra loro danno origine a neumi (segni) di 2 o 3 note. Esistono
neumi di più di 3 note, altri che indicano vari modi di esecuzione: tremolo, staccato, vibrato, ecc.
La scrittura neumatica Aquitana (XI-XII sec.) introduce i neumi quadrati. Questa grafia verrà poi ripresa
nello stile gotico e avrà successivi sviluppi verso la notazione mensurale.
Aspetto ritmico
L'interpretazione del ritmo nella scrittura neumatica è divisa su due posizioni:
gli accentualisti sostengono che esista un valore base di tempo e suggeriscono di organizzare le melodie
intorno all'accento del testo.
I mensuralisti sostengono l'esistenza di due valori di tempo: lungo e breve (riferimento alla metrica classica).
Tra questi ultimi i monaci di Solesmes che sono a tutt'oggi considerati gli interpreti ufficiali della Chiesa
Cattolica romana.
Nella notazione adiastematica i neumi sono scritti in campo aperto sopra il testo, non specifica quindi
l'altezza assoluta della nota, ma soltanto la formulazione melodica (viene anche definita chironomica, dal
gesto del direttore del coro). Nel XI sec. si trovano manoscritti particolarmente accurati nell'indicare con
posizioni più o meno alte dei neumi l'ampiezza degli intervalli.
Si trovano anche alcuni esempi di “Litterae Signifcativae”, segni che, poste all'inizio del brano, indicano la
nota di intonazione.
Alcuni manoscritti recano linee tracciate a secco o colorate (Fa - rosso, Do - giallo), dalle quali si poteva
desumere l'ampiezza dell'intervallo da intonare.
L'introduzione sistematica del rigo musicale avviene per opera di Guido d'Arezzo (995-1050), che impiega 3
o 4 linee: FA2 – LA2 – DO2 oppure RE2 – FA2 – LA2 – DO2. La scrittura su rigo viene definita diastematica.
Modi del canto gregoriano
Suddivisi in 4 autentici e 4 plagali
L’autentico e il plagale hanno la stessa finalis (tonica)
La repercussio (funzione di dominante) varia nei modi plagali: nel II FA, nel IV LA, nel VI LA,
nell'VIII DO
Notazione polifonica
I primi riferimenti di polifonia vocale sono di Scoto Eriugena (IX sec.), filosofo inglese, che parla della
polifonia nel Nord europeo (forse in Scandinavia). Gerardo Cambrense (XII sec.) descrive canti polifonici
familiari nel paese di Wales (Nord Inghilterra).
La prima polifonia è realizzata con la sovrapposizione, nota contro nota, di una o più voci su un Cantus
firmus desunto dal canto gregoriano. Nell'Organum parallelo ogni nota del Cantus Firmus procede per quinte
o quarte parallele (in questo caso il cantus firmus è all'acuto), in seguito in moto contrario per quinte e ottave
(discanto), quindi si giunge agli organa melismatici in cui le voci aggiunte presentano molte note di fioritura
contro note lunghe del cantus firmus, che vengono eseguite in qualche caso da strumenti, l'organo
verosimilmente.
Nel IX sec. Entra in uso la scrittura Dasiana. Le sillabe del testo vengono scritte su altezze diverse.
Nel trattato “Musica Enchiriadis” si trovano esempi di organa paralleli in scrittura dasiana.
Nel X e XI sec. si ritrovano trattati (Ad Organum Faciendum) che impiegano la notazione alfabetica da
Boezio (che riprende la notazione alfabetica greca traslitterata nell'alfabeto latino da A a P), o da Ubaldo di
Saint Aimand che fa corrispondere le lettere latine da A e P iniziando dal Do anziché dal LA.
Altro esempio di Guido d'Arezzo nel “Micrologus” in cui impiega le lettere da A a G (+gamma al sol basso)
per l'ottava grave, a – g (minuscole) per l'ottava media e a – g (doppie sovrapposte) per il resto delle note
verso l'acuto, con diversa scrittura per il SI duro e il SI molle.
La Semibreves (Semibreve) viene aggiunta con forma romboidale, in teoria è la metà della Breve, i gruppi di
2 o 3 note valgono la Breve, in altri casi corrispondono al valore della Breve imperfetta (vedi regola
d'alterazione).
Vengono poi inseriti segni per indicare le pause che, fino ad ora erano dedotte dalla forma e dalla struttura
ritmica modale.
L'unità di misura diventa la Breve, non più la Longa.
Le Ligature pre-franconiane subiscono una netta chiarificazione.
Si stabiliscono interpretazioni ritmiche non più s deducibili dal contesto, ma con regole precise.
Es.:
una Ligatura di 2 note opp. Breve + Lunga fu detta “cum proprietate” e “cun perfetione” fissando
così la proporzione tra i due valori.
Philippe de Vitry (XIV sec.) e L'Ars Nova
E' da considerarsi uno dei padri della notazione moderna.
Accettò le tradizionali scritture introducendo però ulteriori chiarificazioni nei rapporti fra i valori proposto da
Francone di Colonia. Il suo trattato più significativo dà il nome al periodo: “ARS NOVA”, evolvendo l'ARS
ANTIQUA” del periodo precedente.
Secondo questi principi Philippe de Vitry stabilisce quattro combinazioni (quattro Prolationes):
L'opera di Philippe de Vitry mette sullo stesso piano il ritmo ternario e quello binario che, seppure impiegato
ampiamente dagli autori del XIII, non era chiaramente differenziabile.
Gli sviluppi successivi della teoria di Philippe de Vitry portarono a complicazioni e speculazioni teoriche tali
da richiedere, intorno al XIV sec., una sostanziale semplificazione.
Le 4 Prolationes furono impiegate fino a tutto il XVI sec., come pure la simbologia che le rappresenta. Viene
confermato l'uso del punto dopo una nota, ma con due funzioni diverse: Punctus additionis, aggiunge alla
nota metà del suo valore; Puctus divisionis, contraddistingue un valore ternario (perfetto) nei casi di
ambiguità di interpretazione.
Nell'Ars Nova si trovano note scritte in rosso e in nero; 3 note rosse hanno il valore di 2 note nere (proporzione
sesquialtera); in questo caso era introdotta una mensurazione perfetta su una base di tempo imperfetto
Notazione italiana del '300
La notazione italiana di questo periodo mostra chiari segni di derivazione dall'opera di Petrus de Cruce,
insieme ad una contaminazione della scrittura francese.
Il teorico più significativo del '300 è Marchetto da Padova.
L'unità di base del sistema mensurale italiano è rappresentato dalla Breves (Breve); le combinazioni di note
più corte sono sempre riferite alla Breve. Secondo questo principio si evidenziano 3 DIVISIONES a seconda
del numero delle parti in cui è suddivisa ogni Breve.
Ogni Divisione fa riferimento al valore della Breve. I valori sono sempre rappresentati da Minime (O
Semibresis Minimae), mentre i valori più lunghi si segnano il Semibrevi.
Anche nelle divisiones italiane si applica la regola d'alterazione, cioè: se le Semibrevi vengono adoperate in
numero minore di quello individuato dai raggruppamenti regolari, occorre allungare l'ultima delle Semibrevi:
Nei sec. XV e XVI i compositori applicano le proporzioni in modo sempre più complesso e di difficile
interpretazione.
Si trovano poi numerosi segni speciali impiegati per modificare i valori: Minime con virgolette ,
Minime conecc.
diagonale, virgolette. e occhielli , Semibrevi con taglio diagonale , Minime con taglio
La notazione bianca (1450-1600)
La durata e la suddivisione dei valori è quella di Philippe de Vitry, la differenza sta nell'uso di note bianche
invece che nere.
E' la notazione dei musicisti fiamminghi e borgognoni (Dufy, Ockeghem, Josquin).
Nei sec. XV e XVI i compositori applicano le proporzioni in modo sempre più complesso e di difficile
interpretazione.
SCRITTURA ANTICA DALLA GRECIA A FRANCONE DA COLONIA
Scrittura Alfabetica
Con la diaspora (Tito 70 d.C.) si ha la formazione di diverse comunità cristiane in tutto il bacino del
mediterraneo (Efeso, Antiochia, Alessandria d'Egitto, Costantinopoli, Roma, Spagna).
313 d.C. l'editto di Milano poneva fine alle persecuzioni nei confronti dei cristiani. Da quel
momento in poi i cristiani furono liberi di professare la loro fede e cominciarono a organizzare il
rito Eucaristico e l'ufficio delle ore.
Canto dei salmi o salmodia: canto declamato dei salmi e dei cantici della Bibbia. Constava
di una semplice formula melodica iniziale (intonatio) volta al raggiungimento della corda di
recita (nota ribattuta sulla quale gravavano la maggior parte delle parole del versetto. Delle
20 tipologie di salmodia i Cristiani ne presero 3: Salmodia Alleluiatica (dopo ogni versetto
intonato dal solista l'assemblea risponde con “alleluia”; Salmodia Responsoriale
(alternanza del solista che recita dei versetti e dell'assemblea che risponde con il
responsorio); Salmodia Direttaneo-solista (eseguito dal solista senza ritornelli)
Con la nascita dei monasteri (tra i più importanti ricordiamo quelli di Montecassino e Bobbio)
abbiamo l'evoluzione e lo studio del canto sacro. Nascono così le scholae cantorum (dove i
fanciulli venivano educati al canto) e gli scriptoria (le antiche copisterie). Fra i più antichi
manoscritti ricordiamo i Book of Kells custoditi a Dublino e risalenti al VII-VIII secolo.
I libri più importanti contenenti i canti sono: Antiphonarium (conteneva i testi delle antifone) e
Cantatorium (che conteneva il graduale e il tractus).
In seguito i testi redatti furono: Liber Sacramentorum (preghiere del celebrante), Legionario (letture
divise in Epistolario ed Evangelario), Antiphonarium Missarum (canti della messa) Antiphonarium
Officii ( testi per l'Ufficio delle ore).
In Oriente la principale figura per quanto concerne l'innodia è Sant'Efrem. Gli inni avevano una
struttura ben definita (strofa e ritornello) e il testo era desunto dalla Bibbia. Tramite Ilario di
Poitiers (IV sec) la tradizione orientale giunse a Milano.
Si tratta di un tipo di componimento in latino in più strofe formato da dimetri giambici (ogni verso
formato da 4 giambi). Grazie alla figura di Sant'Agostino si diffuse presto il corpus ambrosiano e la
prima raccolta fu le Odi di Salomone (canto di tipo salmodico eseguito a cori alternati. Dopo il IV
secolo diventerà un breve canto sillabico che si alterna ai versetti del salmo).
A Sant'Ambrogio venne data la paternità di molti Inni ma fonti attendibili ne appurano la paternità
solo per quattro: Deus creator omnium, Iam surgit ora tertia, Aeterne rerum conditor, Intende
qui regis Israel.
Con il passare del tempo a causa della presenza di innumerevoli eresie trinitarie e di differenze
linguistiche (greci per l'Oriente, latino per l'Occidente) si venne a creare un differenziazione fra
civiltà cristiana Occidentale e Orientale. La scissione avvenne nel 395 alla morte di Teodosio e
questo scisma durerà fino al 1054.
La chiesa d'Oriente al suo interno svilupperà poi riti “regionali” come quello Copto (Egitto),
Siriano, Armeno e Bizantino.
La chiesa Occidentale grazie all'elezione di alcuni papi provenienti da Bisanzio risentì degli influssi
orientali. Come fu per la Chiesa orientale, anche la Chiesa occidentale sviluppò vari tipi di repertori
tra cui ricordiamo quello Romano, Ambrosiano, Aquileiese.
Fuori dall'Italia nacquero degli stabili repertori tra cui il rito Celtico, Gallicano, Ispano-mozarabico.
Nel 753 ci fu un'alleanza tra Pipino il breve e Papa Stefano II: al monarca fu riconosciuto il merito
di aver salvato la cristianità e il Papa potè imporre il trapianto del rito romano in Francia.
Tale evento mise in serie difficoltà i cantori in quanto dovevano imparare a memoria un repertorio
diverso da quello in uso.
Si presuppone che questa esigenza sia stata la “molla” che ha costretto i cantori ad appuntare nei
loro libretti alcune sillabe divenuti segni ecfonetici e poi accenti grammaticali sopra le parole del
testo.
Quando la scrittura musicale neumatica venne ufficializzata dalla Chiesa di Roma questo repertorio
fu etichettato come opera di Gregorio Magno e diffuso in tutta Europa.
Per volere di Carlo Magno tra VIII e IX secolo tutto il repertorio venne codificato sulla base del
sistema dei modi ecclesiastici. Questo sistema venne importato da Flacco Alcuino che nel suo
trattato “De Musica” riportò la trascrizione degli antichi oktoechoi bizantini (sistemi di scale
diatoniche ascendenti formate da otto suoni). Ogni melodia-tipo ha una posizione diversa di toni e
semitoni, ognuna di essi gravita intorno a un suono fondamentale chiamato finalis (sul quale
termina il canto) e un altro chiamato repercussio (corda di recita).
I modi ecclesiastici erano quattro (ognuno aveva un modo autentico e uno plagale): Protus,
Deuterius, Tritus e Tetrardus e successivamente nel tardo Medioevo verranno introdotti i modi
eolio, ipoeolio, ionico e ipoionico (elencati nel trattato di Henrich Loris detto il Glareano
“Dodecakordon” del 1547)
Venne organizzato l'anno liturgico e in base al periodo (temporale o santorale) vennero organizzati
anche i canti. I testi dell'ufficio delle ore contiene: 150 salmi, cantici, inni, litanie, orazioni, letture,
responsori.
Distinzione tra Liturgia eucaristica (rievocazione dell'ultima cena) e Liturgia delle ore (preghiera
cantata durante le maggiori ore del giorno).
I testi dell'ufficio delle ore sono: breviario, antifonarium officii, graduale, messale.
Il repertorio può essere distinto in base a quattro categorie : a seconda della destinazione (ufficio o
liturgia), in base allo stile (sillabico, melismatico o neumatico e questi tre stili derivano dagli stili
hirmologico, sticheriano e asmatico bizzantini), in base al modo di esecuzione (antifonale,
responsoriale o diretto), in base al tipo di testo (biblico o non).
Autore del trattato De Institutione musica (traslitterazione del sistema greco utilizzando le lettere
latine). Differenza incolmabile tra Musicus e Cantores. Tre categorie di musica (mundana, humana
e instrumentalis)
GUIDO D'AREZZO
Fu il primo trattatista a occuparsi della problematica esecutiva. Micrologus de Musica (1026 d.C.):
trattazione in 20 capitoli delle nuove concezioni e illustrazione di un notazione alfabetica per
l'insegnamento in seno ai musicus.
Epistola ad Michaelem monacum de ignoto cantu: spiegazione pedagogico del nuovo sistema della
solmisazione.
IX sec.
A partire da questo secolo i codici includeranno una prima notazione che variava da monastero a
monastero.
In questo periodo vengono associate le lettere romaniche (dal nome Romanus) che avevano la
funzione di indicare il vario modo di emettere la voce o l'interpretazione dei neumi.
L'applicazione delle lettere alla scrittura diastematica (quindi con il rigo musicale) ha conferito ad
esse la funzione di chiave: la C indicava il DO, la F il FA e la G il SOL.
Notazione dasiana: INTAVOLATURE a 4 – 18 linee dove veniva sistemato il testo e ogni linea
era contraddistinta da una lettera.
Scrittura adiastematica:
Scrittura ecfonetica (basata su accenti grammaticali) vennero posti dei segni grafici sulle
parole a campo aperto (dagli accenti acuto e grave si pensa che derivino le virga e il
puncum)
Sfruttare gli accenti grammaticali per indicare l’andamento della melodia → 15 tipi di scrittura
(Laon, San Gallo, Metz, Benevento e Aquitania) definiti dal monaco benedettino Sunol.
X sec.
Notazione alfabetica (Oddone da Cluny autore di Dialogus de musica). Utilizza le lettere da A fino
a G per indicare le note.
XI sec.
Scrittura diastematica: compaiono progressivamente le linee ( una linea, poi un'altra, per
arrivare infine a 4. Rossa per il FA gialla per il DO) le chiavi, il neuma acquisisce un
significato, pratica della solmisazione (prima diastemazia nella scrittura di Benevento).
Compaiono 2 alterazioni davanti la nota SI (bemolle e bequadro) e si utilizzava il Si dai
contorni rotondi se bemolle, mentre il Si dai contorni quadrati se naturale.
I neumi si dividono in principali (semplici, di 2 e 3 note) e derivati ( flexi, subpunctati, resupini) ai quali si
aggiungono elementi neumatici complementari e i segni di liquiescenza.
un quarto di stanghetta indica la fine di un inciso musicale e si può prendere un piccolo respiro
mezza stanghetta indica la fine di un membro musicale e si può prendere sufficiente respiro
stanghetta intera indica la fine di una frase musicale e si fa una pausa di un tempo
doppia stanghetta indica o la fine di un brano oppure se usata in mezzo al brano indica l'alternarsi
degli esecutori
Tra IX e XII secolo nascono le prime sperimentazioni polifoniche e i primi processi che porteranno
alla nascita delle sequenze e dei tropi.
La loro nascita è dovuta al fatto che i melismi dell'Alleluia erano diventati troppo complicati. Per
facilitare la memorizzazione è stato aggiunto un testo in modo tale da farlo diventare sillabico.
Nokter Balbulus, un monaco di San Gallo, ha redatto la prima testimonianza di questo evento.
La sequenza trovò grandissima diffusione e ne furono composte tantissime e negli anni si sviluppò
in maniera smisurata, tant'è che nel concilio di Trento si decise di abolirle tutte eccezion fatta per:
Victimae Pascali laudes, Lauda Sion Salvatorem, Dies Irae, Veni sancte Spiritus. A queste fu
aggiunta poi nel 1700 Stabat Mater dolorosa.
Accanto alle sequenze vi erano i tropi: interpolazioni o di testo o di musica applicabile a tutti i canti
della messa ( tranne l'Alleluia) che serviva ad allungare alcuni canti (di solito l'Introito). Venne
attribuita la paternità a un monaco di San Gallo (Tutilione). Il testo a differenza delle sequenze era
in prosa.
I monaci benedettini di Solesmes compirono degli studi e pubblicarono fonti antiche di gregoriano,
il liber usualis e il graduale.
Scuola di Notre Dame
Con l'avvento della tropatura nacquero le prime forme di polifonia.
Nel Musica Enchiriadis compaiono i primi componimenti polifonici: gli Organa.
La melodia gregoriana veniva accompagnata nota contro nota da una seconda melodia che
procedeva tramite intervalli di quarta (organum parallelo).
Sorge il problema dell'intonare l'intervallo di quarta eccedente FA SI ->sviluppo degli organa
liberi.
In Inghilterra si sviluppano organum che procedono per terze (gymel).
Tutte queste testimonianze sono pervenute a noi grazie al tropario di Winchester nel quale troviamo
150 tropi (metà XI secolo).
A partire dal 1100 a S. Marziale di Limoges nacque l'organum melismatico dove il cantus firmus
era al basso (tenor) e alla voce superiore la vox organalis aveva una linea melodica ricca di
fioriture.
LEONIN
Compose Magnus Liberi Graduali et Antifonario (raccolta di Graduali, Responsorii, Alleluia a due
voci per l'intero anno liturgico. Questa raccolta fu ampliata da Perotin che aggiuse inoltre le
clausolae.
2. stile melismatico: tenor con valori lunghissimi e linea melodica fiorita sopra;
3. Stile discantus: utilizzato nelle clausolae duplum che procede nota contro nota con il tenor.
4. Stile risultante dalla fusione dei modi sillabico e melismatico: utilizzato nelle forme arcaiche
di mottetto
Nascita della scrittura modale 2 figure BREVIS e LONGA organizzate in LIGATURE ( cum
proprie proprietate cum perfectione)-> Johannes de Garlandia nel trattato De Mensurabilis Musica
espose le varie combinazioni organizzate in ligaturae.
Notazione Prefranconiana
1240 – 1260
Maggiore diversificazione tra longa e brevis e aggiunta della duplex longa e della
semibrevis (che non compare come nota singola).
Valore delle figure non legato alle ligature ma variabile [ LL perfecta, LB longa imperfecta
BLB longa perfecta una brevis recta e una altera, BB una brevis recta e una altera]
Introduzione delle ligaturae Sine proprietate, Sine perfectione e Cum opposita proprietate.
TACTUS =brevis
Modi ritmici
Stabilisce nel suo trattato un sistema definitivo riguardo la mensurazione delle note sia organizzate
in ligaturae sia singole
6t 3t 2t 1t 2t 2/3 t 1/3 t
2 tempi 3 tempi
la semibrevis non è presente come nota singola e non può rendere imperfetta la brevis.
1200 Breve
1600 Minima
1700 Semiminima.
BIBLIOGRAFIA
La scrittura musicale strumentale fiorisce nel XVI secolo in seguito all‟incremento della
produzione di composizioni musicali strumentali (nascono nuove forme compositive come il
ricercare, la toccata, la canzona strumentale) e alle tecniche di stampa a caratteri mobili.
Cominciano a delinearsi in campo musicale le singole scuole nazionali e i vari tipi di scrittura si
consolidano e si individuano con le loro particolarità di scrittura. Le prime composizioni strumentali
derivano da quelle vocali ma se ne distinguono per le stanghette tra una battuta e l‟altra. I valori
delle note usate sono: breve, semibreve, minima, semiminima, fusa e semifusa.
La notazione musicale dunque raggiunge una forma quasi definitiva con l‟affermazione della
stampa musicale. L‟antico sistema di notazione per strumenti a tastiera (organo, clavicembalo,
clavicordo) è detta intavolatura. Le intavolature si differenziano a seconda dello strumento di
destinazione e del paese di origine.
L'intavolatura è un sistema di notazione che indica all'esecutore la posizione che le dita devono
assumere sui tasti o sulle corde dello strumento, senza specificare la nota vera e propria che
dev‟essere suonata; nasce infatti per permettere anche a chi non conosce la musica di suonare uno
strumento. Nella storia della musica le intavolature più importanti sono quelle scritte per il liuto, a
partire dal sec. XVI. Il termine «intavolatura», inoltre, è anche adoperato, con minore precisione,
per indicare una notazione che si avvale di lettere, numeri e altri simboli. Le intavolature più
importanti, nel senso di quest'ultima definizione, sono quelle per strumento a tastiera.
Incontriamo questo termine per la prima volta nell‟Intabulatura de lauto stampata a Venezia nel
1501 da Ottaviano Petrucci.
Le note continuano ad essere fatte a losanga e cominceranno ad arrotondarsi nella stampa solo alla
fine del „600 (J. Rosenmüller 1682).
Intavolatura tedesca
L‟intavolatura per strumenti da tasto più antica e più diffusa è quella tedesca; caratteristica
principale dell'intavolatura tedesca per Organo è la scrittura di almeno una voce in notazione
alfabetica. Il metodo di indicare l'altezza dei suoni attraverso le lettere dell'alfabeto, a, b, c, ecc. si
può riscontrare fin dal sec. IX.
In questo periodo sono in uso diversi sistemi alfabetici. Alcuni teorici usano l'alfabeto dalla A alla
P per la doppia ottava, mentre altri limitano alle indicazioni dalla A alla G ripetendole per le ottave
superiori; la lettera b, viene scritta in due diverse forme: in forma angolosa, b quadrata, (b
quadratum; b durum) per si, ed in forma tonda, b rotonda, (b rotundum; b molle) per sib. E‟
importante notare anche che i segni (bequadro) e # non sono altro che varianti della b angolosa.
Perciò tutti i simboli che oggi servono per l'indicazione degli accidenti derivano da un unico segno
originale, cioè la lettera b.
Di consueto, le intavolature tedesche per Organo si distinguono in due tipi. II primo, in uso dai
primi anni del sec. XV fino a circa la metà del XVI, viene generalmente chiamato “antica
intavolatura tedesca per Organo”.
In questo sistema la voce superiore della composizione è scritta su un rigo ordinario con notazione
mensurale mentre per le parti inferiori si utilizza una notazione alfabetica.
Nella seconda metà del Cinquecento si afferma la “nuova intavolatura tedesca per Organo” in cui la
notazione tedesca abbandona l‟unico rigo superstite per esprimersi solo in notazione alfabetica.
Essa è documentata per la prima volta da Nikolaus Ammerbach che usa le lettere per tutte le voci.
Le lettere a, b, c, ecc., della intavolatura tedesca hanno lo stesso significato odierno. Due ottave
sono così differenziate: quella inferiore per mezzo di lettere semplici, quella superiore per mezzo di
un trattino orizzontale sopra le lettere stesse. Dove finisca un'ottava e inizi l'altra, nelle fonti più
antiche, deve essere stabilito di caso in caso, dato che su questo aspetto la prassi varia. Di
particolare interesse e di grande importanza per lo studio del problema degli accidenti è il modo di
indicare le alterazioni nella notazione alfabetica. Mentre si e il sib vengono rappresentate da lettere
speciali, nei rimanenti casi il cambiamento dell'altezza del suono viene indicato da un piccolo
occhiello unito alla lettera. Sopra ogni lettera si trova un segno che ne indica la durata.
Il volume Tabulaturen etlicher Lobgesang und Lidlein uff die Orgeln und Lauten (1512) di
Andras Schlick è la più antica stampa di musica da tasto; da notare un unico rigo di sei linee per la
voce più acuta scritta in notazione bianca (mano destra), le altre tre voci sono rappresentate da
lettere (mano sinistra), l‟alterazione è un ricciolo sopra la nota, non compaiono barre di misura,
sono indicate le pause.
Nella seconda metà del sec. XVI nell‟intavolatura per Organo si afferma una notazione
esclusivamente alfabetica.
Stampare musica sopra le linee era senza dubbio un procedimento costoso e questa ragione può
essere stata di importanza determinante per l'accettazione del nuovo sistema, visto che in ogni
tipografia si trovavano a portata di mano caratteri alfabetici, mentre quelli per le note dovevano
essere fabbricati al momento. Oltre a ciò, l'uso delle lettere fa anche risparmiare spazio.
Le prime fonti di intavolatura tedesca sono rappresentate dal manoscritto di Ileborgh (1448), una
raccolta di preludi, e il Fundamentum Organisandi (1452) di C. Paumann. Ad essa seguono oltre
alle Tabulaturen di cui sopra,le stampe di Nikolaus Ammerbach (1571, 1583), Bernhard Schmid
(1576, 1577), Jacob Paix (1583), Bernhard Schmid jr. (1607), detti con Schlick “coloristi” per la
scrittura molto fiorita. Importante anche il Syntagma Musicum (1619) di M. Praetorius.
Intavolatura spagnola
Esiste una certa probabilità che i compositori spagnoli per Organo prima del 1550, usassero una
notazione simile a quella degli italiani, cioè su due sistemi. Una notazione spagnola originale per
strumenti a tastiera nasce solo verso la metà del Cinquecento: l‟argomento viene trattato
abbondantemente dal teorico spagnolo Juan Bermudo (1510-1565) nella sua Declaraciòn de
instrumentos musicales (Ossuna 1555) in cui propone un tipo di notazione esclusivamente
numerico. Bermudo infatti proponr per gli strumenti a tastiera, un nuovo metodo di notazione nel
quale i tasti bianchi e neri siano numerati da Do a La con i numeri da 1 a 42 (3 ottave più una sesta)
La sua ottava più bassa è un'ottava corta che invece di dodici suoni ne contiene soltanto otto
nell'ordine seguente:
Per un uso pratico di questo materiale, Bermudo usa un sistema di linee che, malgrado un'apparente
somiglianza, non ha nessun rapporto con il familiare sistema di cinque linee. Le linee non servono
per indicare l'altezza del suono, ma rappresentano le diverse voci della composizione e si
presentano di conseguenza in numero incostante, da due fino a quattro, cinque ed anche sei. I
numeri scritti su una linea danno, perciò, i suoni della rispettiva voce.
Dal 1571 Bermudo introduce un altro, e senza dubbio più pratico, modo di notazione numerica,
dall‟1 al 27 nel quale vengono numerati soltanto i tasti bianchi, mentre quelli neri vengono indicati
da segni di alterazione (indicate da X e b) ottenendo la distinzione di ogni semitono.
Con ciò si diminuisce di molto il numero delle cifre usate, rendendo questo sistema notevolmente
più facile di quello menzionato prima.
Le voci da suonare con la mano destra e sinistra sono contrassegnate con D. (destra) e M.(manca) e
separate l'una dall‟altra da una lunga linea orizzontale.
Esiste ancora un terzo tipo di intavolatura spagnola per tastiera, utilizzato da Antonio de Cabezon,
nel suo libro Obras de musica (Madrid, 1578), in cui la quantità delle cifre usate viene
ulteriormente ridotta e che si differenzia per la maggior chiarezza e facilità dai due sistemi sopra
descritti. In questa notazione i tasti bianchi di un'ottava, vale a dire da fa a mi‟, vengono indicati con
i numeri da 1 a 7, mentre ottave più gravi o più acute vengono differenziate aggiungendo sopra alle
stesse cifre piccoli trattini o punti; all'inizio di ciascuna composizione viene dato il tactus e, in un
certo senso, anche la tonalità attraverso i segni di (b durum, h) oppure B (b molle, b), i quali
indicano se per il brano relativo il suono indicato dal numero 4 sia da leggere come si o sib. I
rapporti metrici vengono chiariti da stanghette di battuta poste regolarmente, ed ulteriori
particolarità ritmiche, da note di diversa durata, le quali sono aggiunte sopra al sistema di linee delle
voci con parsimonia, secondo principi simili a quelli di Valente. Due ulteriori segni che spesso
vengono usati nell'intavolatura spagnola sono una virgola (,) ed un tratto obliquo (/). La prima
indica che la nota precedente è da legare; il secondo significa una pausa.
Intavolatura italiana
La prima stampa italiana di musica per per strumenti da tasto è rappresentata delle Frottole
intabulate di Andrea Antico (Roma 1517) ed è di tale chiarezza e così vicina alle nostre attuali
convenzioni da non aver bisogno di trascrizione. Il sistema è composto di un pentagramma e di un
rigo inferiore di sei linee; se necessario vengono aggiunti sulle note altri frammenti di rigo;
peculiare di questa stampa è che le alterazioni della parte melodica sono segnate con un puntino
sopra la nota.
Intavolatura francese
Nel 1531 Pierre Attaignant pubblica sette libri di brani di musica “Dixneuf chansons musicales
reduictes en la tablature des Orgues, Espinettes, Manicordions et tel sembables instrumentez”
(Parigi, 1530). Le intavolature francesi utilizzano una notazione molto vicina alla prima stampa
italiana molto limpida e facilmente leggibile. Essa presenta due pentagrammi, la chiave di DO, nella
parte del soprano l‟alterazione è data da un punto sopra la nota mentre nelle altre voci compaiono
anche i segni di diesis e di bemolle, la notazione è in parte bianca e in parte nera, sono presenti i
segni di pausa.
Al 1593 risale il Transilvano importante trattato di Girolamo Diruta.
Bibliografia
L’intavolatura o tabulatura, dal latino tabula, o ancora tablatura, è un sistema di notazione nella
quale viene rappresentata graficamente la posizione nella quale posizionare le dita per ottenere un
suono su uno stumento musicale. E’ un approccio completamente diverso, e non è, come si potrebbe
pensare, una semplificazione della notazione moderna così come la conosciamo oggi, ma è invece
un metodo alternativo per fissare un testo musicale. Le origini dell’intavoltaura risalgono al 1300
circa, i primi manoscritti conosciuti sono in intavolatura tedesca per organo; abbiamo esempi a
stampa dal 1500 circa, come testimonia l’“Intavolatura de Lauto” di Francesco Spinacino (Venezia
1507) stampata a Venezia da Ottaviano Petrucci mediante la tecnica a caratteri mobili metallici. Esistono
moltissime testimonianze di composizioni per vari strumenti a tastiera e a corda in
intavolatura, non soltanto per chitarra, liuto o strumenti simili, ma anche per il violino. Le intavolature erano
utilizzate per gli strumenti a corda, tipo liuto chiatarra vihuela e simili, e per
strumenti a tastiera, organo e clavicembalo, soprattutto per quanto riguarda l’intavoltura tedesca, e
I vari simboli spesso vengono poi dimezzati durante la trascrizione in notazione moderna.
Le intavolature per liuto variavano nella grafia e nei sistemi a seconda dell’area geografica. Le più
importanti sono quella Italiana e Spagnola, quella Francese e quella Tedesca.
L’intavolatura italiana e spagnola utilizzavano un numero di linee pari a quella delle corde (dette
chori) presenti sullo strumento, e utilizzavano numeri per indicare quali tasti premere; l’unica
differenza era per l’ordine di rappresentazione delle corde: quella italiana aveva la corda più acuta
sulla linea inferiore, mentra quella spagnola aveva la corda più acuta sulla linea superiore. I tasti
sono numerati in ordine di semitono partendo dalla corda vuota, o capotasto, che è segnato con lo
“0” (zero).
Ecco un esempio tratto da A. Rotta, “Intabolatura de Lauto, libro primo” (Venezia1546)
L’intavolatura
francese sostituisce le lettere dell’alfabeto ai numeri, per cui il capotasto è segnato con la lettera “a”,
il primo tasto con la lettera “b” e così via. Come nell’intavolatura spagnola, la corda più acuta è
sulla linea superiore. Ecco un esempio di intavolatura francese:
L’intavolatura tedesca differisce completamente dalle altre, sia per la totale assenza delle linee per
le corde, sia per l’utilizzo sia di numeri che di lettere dell’alfabeto. I numeri indicano le corde vuote,
mentre le 23 lettere dell’alfabeto gotico indicano i tasti, con un sistema che associava ad ogni tasto
di ogni choro un unico simbolo. Nell’intavolatura tedesca per liuto, formato in principio da 5 chori,
le prime 5 lettere si riferivano al primo tasto dei cinque chori presenti, dal grave all’acuto, le
seguenti cinque lettere si riferivano al secondo tasto di ogni choro e così via. Per completare i tasti
dello strumento, finite
le 23 lettere, si
utilizzavano le cifre 7 e
9. Per finire tutta la
serie di suoni
disponibili si
riprendevano le prime
lettere sormontate da
un trattino orizzontale.
In un secondo tempo
fu introdotto negli
strumenti un sesto
choro, e per mantenere
il sistema già adottato
nell’intavolatura
furono escogitate varie
soluzioni, tra le quali
quella più utilizzata
adottava il numero 1 barrato per
indicare la corda vuota, e le lettere
maiuscole per indicare i tasti
successivi. In tutti questi tipi di
intavolatura il lavoro del trascrittore
(o del musicista che si appresta a
studiare il
Nel sistema interpretativo invece il trascrittore interpreta i valori che nell’intavoltaura sono appena
adombrati, restituendoci una partitura che chiarifica e completa il contenuto polifonico.
Un altro tipo di intavolatura per strumenti a tastiera, denominata “cifra”, utilizzata in spagna nel
‘500, prevede l’uso di righe non per rappresentare le corde bensì le voci di una composizione,
quindi se la composizione aveva 2 voci, per esempio soprano e tenore, venivano utilizzate 2 righe,
se ne aveva 3 venivano utilizzate 3 righe e così via. Le note erano rappresentate con numeri da 1 a 7
per indicare le note da do a si, differenziate per le varie altezze: nella prima ottava si aggiunge ai
numeri delle linee o estensioni verso il basso, nella seconda ottava si utilizzano i numeri normali,
nella terza ottava i numeri sono seguiti da un puntino in alto, nella quarta ottava da una virgola in
alto, nella quinta ottava infine si
Nella Germania del nord l’uso dell’intavolatura per strumenti a tastiera fu prevalente alla musica
scritta su pentagramma fino al 1600, e gran parte della letteratura barocca di questa zona ci è
pervenuta attraverso intavolature o trascrizioni posteriori, con tutti i problemi legati alla
trascrizione, agli errori di lettura e di interpretazione (soprattutto per la difficile interpretazione di
alcune lettere simili fra loro, o per le varie ottave), nonché alle difficoltà di rendere autorevolmente
il ritmo e la metrica. Ecco un esempio di intavolatura tedesca per strumenti a tastiera:
Nella Germania del nord l’uso dell’intavolatura per strumenti a tastiera fu prevalente alla musica
scritta su pentagramma fino al 1600, e gran parte della letteratura barocca di questa zona ci è
pervenuta attraverso intavolature o trascrizioni posteriori, con tutti i problemi legati alla
trascrizione, agli errori di lettura e di interpretazione (soprattutto per la difficile interpretazione di
alcune lettere simili fra loro, o per le varie ottave), nonché alle difficoltà di rendere autorevolmente
il ritmo e la metrica. Ecco un esempio di intavolatura tedesca per strumenti a tastiera:
Oggigiorno le intavolature sono ancora utilizzate
come sistema alternativo alla notazione tradizionale,
soprattutto per la musica popolare e per la chitarra
elettrica e il basso. Nelle moderne edizioni al posto
della chiave viene posizionata l’abbreviazione TAB,
con lo scopo di identificare l’utilizzo del rigo
musicale (non l’altezza delle note). Ogni nota è
indicata dal posizionamento del numero del tasto sulla corda appropriata, e rispecchia l’antica
intavolatura spagnola.
Questo tipo di intavolatura moderna, a differenza di quelle antiche, non permette l’identificazione
dei valori ritmici; generalmente viene utilizzato a tale scopo un pentagramma con la notazione
tradizionale posizionato sopra a quello della intavolatura, e i due pentagrammi sono uniti fra loro
soltanto con la systemic barline, interrompendo le barre di battuta normali.
Per quanto riguarda i software che permettono di realizzare partiture in intavolatura, troviamo Sibelius e
Finale, ecc. Esempio di intavolatura italiana.
ALTERAZIONI MOMENTANEE
Il problema di annotare i 12 suoni (ma in realtà come vedremo sono molti di più) della scala in una
partitura musicale con solo 7 note (do-re-mi-fa-sol-la-si) viene risolto con l'utilizzo di speciali segni
chiamati alterazioni. Come dicevamo, i suoni in realtà sono molto più di 12, poiché fisicamente ad
esempio un mi bemolle e un re diesis benchè in un moderno pianoforte siano suonati da un solo
tasto nero sono in realtà due suoni distinti, il primo più calante e il secondo più crescente.
Riprenderemo questo discorso quando parleremo dei “temperamenti”.
I moderni segni per le alterazioni musicali, il bemolle, il diesis e il bequadro, derivano tutti da un
antico modo medioevale di scrivere le note musicali attraverso le lettere dell'alfabeto. All'epoca
l'unica nota che poteva essere alterata era i SI, che veniva notato con la lettera “b” in 2 forme
diverse: la b tonda (o molle) e la b quadra (o dura) di forma angolosa. La b tonda indicava il si
bemolle, mentre la b quadra indicava il si naturale. Tutti gli altri gradi della scala, o meglio dei
“modi”, non potevano avere alterazioni. La b quadra, di forma angolosa, si trasformò poi nella
lettera “h”, ancora oggi in uso nei paesi di lingua tedesca per indicare il si naturale (la lettera “B”
indica il si bemolle, a differenza della notazione dei paesi anglosassoni in cui indica il si naturale).
Da questi 2 simboli, la b molle e la b dura, si svilupparono le moderne alterazioni, che nel tempo
ebbero significati leggermente diversi: la b molle diventò il bemolle, e si applicò poi a tutte le note
per alterarne l'altezza di un semitono verso il grave, e la b dura (o quadra) si trasformo nel bequadro
e nel diesis. Più recentemente, con l'avvento e l'adozione in maniera definitiva del temperamento
equabile, che divide l'ottava in 12 semitoni equidistanti fra di loro, si sono sviluppati anche il
doppio diesis e il doppio bemolle, per permettere di scrivere musica in tutte e 12 le tonalità
maggiori e minori, utilizzando le opportune alterazioni rispetto alle note della scala. Nella scala di
do diesis maggiore ad esempio, che ha in chiave 7 diesis, per poter alterare una nota verso l'acuto è
necessario utilizzare un simbolo diverso dal diesis, che è già utilizzato nel nome della nota, per cui
venne adottato il doppio diesis.
Di seguito sono riportate le convenzioni pratiche più importanti riguardanti le alterazioni musicali.
Di seguito sono riportate le convenzioni pratiche più importanti riguardanti le alterazioni musicali.
Le alterazioni di cortesia possono essere poste fra parentesi oppure utilizzate senza parentesi, a
discrezione dell’editore. Le parentesi aiutano a riconoscere le alterazioni di cortesia rispetto a quelle
temporanee, ma in molti casi occupano troppo spazio e rendono la lettura più complicata.
Per accordi di più di 4 note molto complessi, le regole vanno considerate più come linee guida o
suggerimento. Mantenere il posizionamento delle varie alterazioni il più compatto possibile, e
soprattutto il più facile possibile da leggere per ogni situazione. Cercare di mantenere allineate
l’alterazione superiore e inferiore quando possibile. Cercare di mantenere allineate le alterazioni a
distanza di una ottava quando possibile.
Nel caso di due o più esecutori che leggono dalla stessa parte,
Passaggi cromatici
Quando si sceglie l’alterazione, bisogna considerare in ogni caso il contesto della musica, come ad
esempio la tonalità, l’armonia e l’andamento delle voci.
Temperamenti ed accordature
L'accordatura di uno strumento musicale è molto più complessa di quello che si pensa, per un
problema fisico che da sempre viene affrontato da musicisti e teorici musicali. Per spiegarlo in
modo semplice dobbiamo comprendere innanzitutto il fenomeno del “battimento” e cioè quella
oscillazione del suono che si percepisce quando vengono suonate due note molto vicine fra di loro
ma non perfettamente accordate: più la scordatura aumenta e più aumenta la velocità di questa
oscillazione, man mano che i due suoni si avvicinano rallenta e diminuisce fino a scomparire del
tutto quando i due suoni sono perfettamente allineati e quindi accordati. Un orecchio allenato è in
grado di percepire molto bene questa oscillazione, che viene normalmente usata per accordare ad
esempio il violino, la viola, o la chitarra, oppure altri strumenti come il clavicembalo, l'organo e il
pianoforte. I battimenti si sentono molto bene con l'intervallo di unisono, cioè 2 suoni della stessa
altezza, e con l'ottava, ma anche con intervalli di quinta (usati per esempio dai violinisti) e anche
con intervalli di terza.
Se proviamo ad accordare uno strumento con tutte le quinte perfettamente accordate, senza nessun
battimento, notiamo 2 problemi insormontabili: il primo è che il circolo delle quinte (do-sol-re-la-
mi-si-fa#-do#-sol#-re#-la#-mi#-si#=do) non si chiude, poiché il si# non corrisponde al do ma è più
“largo” e quindi eccede; il secondo è che le terze risultano stonate, e cioè presentano dei battimenti.
Ne consegue che questo tipo di accordatura non è
praticabile e quindi bisogna in qualche modo
distribuire la parte eccedente che si crea tra si# e do
fra tutti gli altri intervalli per ottenere una
accordatura utilizzabile. L'intervallo che
assolutamente non può essere scordato è l'ottava,
mentre le quinte e le terze possono in qualche
modo essere ritoccate scordandole leggermente
(temperandole, da qui il termine temperamento)
per equilibrare la divisione dei suoni nell'ambito
dell'ottava. Per misurare la distanza fra i suoni
vengono utilizzati il comma (sintonico o
pitagorico) che corrisponde alla eccedenza che si
ottiene accordando perfettamente tutte le quinte, e
che divide il tono più o meno in 5 parti, oppure i
“cent”. Un comma pitagorico equivale più o meno
a 24 cent.
Nel XX secolo, con l'avvento di nuovi linguaggi musicali e la sperimentazione musicale, che
attingono anche da tradizioni musicali orientali o basate su scale diverse da quelle utilizzate
generalmente in occidente, vengono introdotti nuovi simboli per la microtonalità, come ad esempio
alterazioni che riguardano i quarti di tono o gli ottavi di tono. A volte vengono utilizzate per
indicare con più precisione il tipo di temperamento da utilizzare durante l'esecuzione.
I simboli vengono per lo più desunti da quelli già
conosciuti con opportune modifiche per far capire se
devono eccedere o diminuire il loro valore di
alterazione (1/4 di tono, o 3/4 di tono, o aumentazione
e diminuzione di 1/8 di tono), attraverso l'uso di frecce
posizionate sul simbolo oppure aggiunta o
eliminazione di alcune linee.
delle nota, ma a volte anche sotto di essa o sotto l’accordo (in questo caso l’alterazione interessa la
nota più bassa). Fra le alterazioni, alcune sono indispensabili, mentre altre hanno soltanto un valore
accessorio di richiamo (in maniera molto simile alle moderne alterazioni di cortesia). Alcune di esse
servivano a togliere eventuali dubbi agli esecutori del tempo, dovute magari alla pratica della
musica ficta e dei vari modi tonali.
ALTERAZIONI IN CHIAVE
Cancellazioni di alterazioni non sono più considerate necessarie, a meno che la nuova tonalità sia do
maggiore o la minore (senza cioè alcuna alterazione in chiave). In questo caso cancellare le
precedenti alterazioni attraverso l’uso di bequadri, nello stesso ordine di apparizione
dell’apparizione dopo la chiave (vedremo di seguito l’ordine da seguire per
ogni chiave.).
STANGHETTE
Le stanghette devono essere più sottili delle linee del pentagramma e delle
battute. La lunghezza normale della stanghetta è di 3 e 1\2 spazi (pari a una
ottava)
Quando la testa della nota viene posizionata sui tagli addizionali, la stanghetta deve toccare la linea
centrale del pentagramma.
La direzione delle stanghette sarà verso il basso per le note posizionate sulla terza linea o superiori,
e verso il basso per quelle posizionate inferiormente alla terza linea
La stessa regola viene applicata quando più di due note condividono la stessa stanghetta. La
distanza delle note estreme dalla linea centrale determina la direzione della stanghetta.
Quando le note estreme sono alla stessa distanza dalla linea centrale e la maggior
parte delle note sono superiori o sulla terza linea, le stanghette vanno verso il
basso.
Quando le note estreme sono alla stessa distanza dalla linea centrale e la maggior
parte delle note sono inferiori alla terza linea, le stanghette vanno verso l’alto.
STANGONI o TRATTI D’UNIONE
Gli stangoni o tratti d’unione (ingl. Beam) sono quelle linee usate per unire due o più note di valore
inferiore al quarto. Sono usati per semplificare la lettura, sostituendosi alle codette (ingl. Flag) delle
note individuali.
Per via della maggior facilità di lettura degli stangoni, l’uso delle note singole con codette è
diventata obsoleta anche nella musica vocale (usata in relazione alle liriche).
Lo stangone più lontano dalla testa delle note è detto stangone primario, Questo stangone deve
rimanere ininterrotto per tutto il gruppo di note alle quali è applicato (in relazione al tempo in
chiave).
Stangoni doppi
Normalmente la lunghezza delle stanghette basta per accogliere uno stangone doppio (in pratica la
lunghezza della stanghetta è la stessa per gruppi con unico stangone – ottavi – e stangone doppio –
sedicesimi – non occorre modificarla).
Viene inserito con le stesse modalità degli stangoni secondari completi per quanto
concerne la lunghezza delle stanghette. Questo tipo di stangone è sempre rivolto
all’interno del gruppo e solitamente segue o precede una nota puntata.
Stangoni e metrica
La motivazione di base degli stangoni è di connettere due o più note all’interno della stessa
pulsazione o movimento. Va sempre considerato il tempo in chiave quando si raggruppano note per
mezzo degli stangoni.
In ogni tempo semplice, ogni movimento è divisibile per due, lo stangone può connettere le due
note. Tempi semplici doppi, tripli e quadrupli hanno ognuno lievi differenti considerazioni.
Per via di questa regola, non potremmo avere mai tutte le note della battuta raggruppate con un
unico stangone, come invece è possibile nelle metriche precedentemente analizzate.
Un esempio di tre differenti situazioni per lo stesso ritmo: ognuna può essere la migliore in una
particolare situazione.
Per tutte le metriche semplici, quando un movimento non è regolare, ovvero non contiene valori
uguali, oppure quando contiene più di due note, i movimenti adiacenti non dovrebbero essere
raggruppati.
Tempi composti
Le semplici regole per la direzione delle stanghette delle singole note possono essere applicate ai
raggruppamenti quando possibile (per esempio, se tutte le note del raggruppamento sono al di sopra
o sulla terza linea del pentagramma, le stanghette vanno verso il basso), ma alcune linee guida
addizionali si rendono necessarie.
Direzione dell’inclinazione
Stangoni orizzontali
Quando le due note estreme sono alla stessa altezza lo stangone è dritto
Quando le due note estreme non sono alla stessa altezza:
- lo stangone è diritto se, prendendo come riferimento la nota estrema più vicina allo
stangone, vi sono note intermedie poste alla stessa altezza o poste fra essa e lo stangone
- in tutti gli altri casi, lo
stangone scende se l’ultima
nota è più in basso della
prima e sale se l’ultima nota
più in alto della prima.
Determinare esattamente l’angolazione della direzione degli stangoni è complicato. Le seguenti
linee guida sono approssimative, modificate rispetto alle più severe regole tradizionali (questo
perché con l’introduzione dei software di notazione si è cercaro di standardizzare le regole ed
automatizzare l’aggiustamento, risparmiando così moltissimo tempo)
Note con tagli addizionali: 1\2 spazio (ricordare che le stanghette devono
essere allungate fino alla linea centrale)
Raggruppamenti alternativi
LEGATURE DI FRASE
E’ importante innanzitutto ricordare che le legature di frase (slurs in ingl.) differiscono per
specifiche funzioni. Nella musica per strumenti ad arco, le legature di frase indicano le arcate, non
le frasi musicali. Nella musica per strumenti a fiato, le legature di frase indicano le note che devono
essere suonate in un solo fiato. Nella musica vocale, le legature di frase indicano le note che devono
essere cantate con un’unica sillaba. Solo nella musica per strumenti a tastiera o per percussioni
intonate che possono ottenere suoni con sustain le legature di frase indicano i fraseggi.
Se si desidera indicare fraseggi musicali per fiati, archi o voci, un set addizionale di legature devono
essere poste sopra a quelle normali per soddisfare altre funzioni. Queste possono generare qualche
ambiguità. Per eliminare queste ambiguità, solitamente si usano a questo scopo legature di frase
tratteggiate. Le legature di frase tratteggiate possono essere usate inoltre per alcune situazioni in cui
è necessario indicare senza ambiguità una frase musicale in caso di musica “non legata”.
Tutte queste legature tratteggiate dovrebbero essere posizionate al di sopra di tutti gli altri simboli
musicali per prevenire interferenze con dinamiche o testi vocali.. Solo in caso di differenti voci che
condividono lo stesso pentagramma e che non hanno lo stesso fraseggio è possibile posizionare le
legature tratteggiate sopra e sotto il rigo musicale. Se entrambi le parti hanno lo stesso fraseggio, un
legatura tratteggiata posizionata sopra è sufficiente.
La pratica spesso impiegata da Wagner, Mahler, Webern, e altri, di indicare solo il fraseggio (con
legature normali) lasciando i dettagli delle arcate e dei fiati all’esecutore, non è più considerato
adeguato.
Anche se le legature di frase assomigliano a quelle di valore (ingl. tie), il posizionamento e l’uso
sono differenti. Legature di frase e di valore non devono essere confuse.
Le legature di frase hanno un inizio e una fine definito, per cui deve essere molto chiaro dove
iniziano e dove finiscono senza ambiguità, senza che debba essere indovinato.
Se la legatura si trova dalla parte della testa della nota, l’inizio e la fine della legatura deve essere
centrato sulla testa della nota. non deve però toccarla.
In alcuni casi è opportuno che la legatura cominci alla fine della stanghetta.
Se si parte da una nota compresa in un gruppo di note con lo
stangone, posizionare la legatura appena sopra la fine della
stanghetta, mai attraversare lo stangone con la legatura.
Una sola legatura è necessaria quando ci sono accordi con una sola stanghetta
Per due differenti voci o parti, posizionare la legatura sopra il pentagramma per la voce superiore e
sotto il pentagramma per la voce inferiore. Lo stesso dicasi per accordi divisi in due differenti voci
Dal momento che la maggior parte delle appoggiature e delle acciaccature hanno le stanghette
rivolte verso l’alto (a meno che vi siano due voci differenti), le legature sono solitamente
posizionate sotto.
Queste legature possono essere posizionate più verso l’estremità interna della testa della nota
LEGATURE DI FRASE E ARTICOLAZIONI
CONSIDERAZIONI STRUMENTALI
Come dicevamo all’inizio, le legature di frase nella musica vocale sono raramente utilizzate per
indicare il fraseggio musicale. Dal momento che il fiato è il fattore più importante nel fraseggio,
pause e segni di respiro possono essere utilizzati come parziali indicatori di fraseggio.
In caso di presenza di versi multipli, oppure di traduzione del testo in presenza del testo originale,
con conseguente differenziazione dell’applicazione della sillabazione alle note, possono essere
utilizzate le legature tratteggiate
LEGATURE DI VALORE
Una legatura di valore connette due note consecutive della stessa altezza e intonazione, aggiungendo la
durata della seconda nota alla durata della prima nota. ( la seconda nota no ha il suo attacco).
La legatura di valore è simile nella forma alla legatura di frase, ma il posizionamento è differente; le
due legature non devono essere confuse.
INIZIO E FINE
METRICA
Capire la metrica del tempo è essenziale per un uso appropriato di legature di valore, di frase, di
pause e di ritmi sincopati.
Il tempo in chiave determina la metrica.
Ci sono due categorie principali per la classificazione della metrica: regolare e irregolare.
METRICA REGOLARE
Nelle metriche regolari la battuta può essere suddivisa in due o tre parti uguali.
Ci sono due classificazioni di metrica regolare: la metrica semplice e quella composta.
Nella metrica semplice ogni movimento può essere suddiviso in due, in quella composta ogni
movimento può essere suddiviso in tre.
La suddivisione della metrica non deve essere confusa con i gruppi irregolari.
Metrica semplice
La classificazione di binario ternario o quaternario riflette il numero di movimenti all’interno della
battuta.
Nei tempi di battuta semplici binari, si trova il numero 2 come numero superiore.
Possono essere utilizzate pause con valore uguale al valore del movimento, o inferiori ad esso
(eccetto in casi di battuta completamente vuota, indicata dalla pausa di intero)
Pause di valore uguale al valore della suddivisione possono essere usate solo nella suddivisione.
I seguenti esempi sono tutti accettati in questo tipo di metrica. Notare che è possibile utilizzare la
nota da un quarto indicata dalla freccia, ma non sarebbe possibile utilizzare una pausa da un quarto.
Nei tempi di battuta semplici ternari, si trova il numero 3 come numero superiore.
Possono essere utilizzate pause con valore uguale al valore del movimento, o inferiori ad esso
(eccetto in casi di battuta completamente vuota, indicata dalla pausa di intero).
Gli stangoni devono riflettere la metrica ternaria semplice, NON la metrica binaria composta.
NON
Nei tempi di battuta semplici quaternari, si trova il numero 4 come numero superiore.
Ogni battuta contiene quattro movimenti e ogni movimento può essere suddiviso in due parti.
Per una notazione efficace della metrica semplice quaternaria, è meglio considerare la metrica come
una combinazione di due unità di metrica binaria semplice.
In questo tipo di metrica, queste due unità devono essere sempre chiaramente distinguibili. La sola
eccezione a questa regola si ha in caso di sincopi (come nel caso di quarto, metà, quarto).
Gli esempi che seguono illustrano la suddivisione di due unità. La notazione di ogni unità,
separatamente, è uguale a quella della metrica semplice binaria.
Pause di valore doppio rispetto a quello di ogni singolo movimento sono usate solo per i movimenti
1 e 3 (il primo di ogni metà battuta).
Pause di valore uguale al movimento possono apparire solo all’interno del movimento.
Pause di valore inferiore a quello del movimento sono usate liberamente tenendo sempre distinte e
chiare le due metà della battuta.
TEMPI COMPOSTI
Nei tempi di battuta composti binari, si trova il numero 6 come numero superiore.
Possono essere utilizzate solo pause con valore uguale al valore del movimento, o inferiori ad
esso (eccetto in casi di battuta completamente vuota, indicata dalla pausa di intero).Pause di
valore uguale al movimento possono essere usate solo se corrispondono al movimento.
Pause di valore di 2/3 del valore del movimento possono essere usate solo all’interno di una
movimento.
Pause di valore uguale a quello delle suddivisioni che non appartengono allo stesso movimento non
possono essere unite.
Gli stangoni dovranno riflettere la metrica composta binaria, NON quella semplice ternaria.
NON
Nei tempi di battuta composti ternari, si trova il numero 9 come numero superiore. Un esempio è il
9/8.
Le regole per le pause e per gli stangoni sono identici a quelle per la metrica ternaria binaria.
Nei tempi di battuta composti quaternari, si trova il numero 12 come numero superiore. Un esempio
è il 12/8.
Ogni battuta contiene quattro movimenti e ogni movimento può essere suddiviso in tre parti.
Per una notazione efficace della metrica composta quaternaria, è meglio considerare la metrica
come una combinazione di due unità di metrica binaria composta.
Le regole per le pause e per gli stangoni sono identici a quelle per la metrica ternaria binaria.
METRICA IRREGOLARE
Nelle metriche irregolari la battuta non può essere suddivisa in due o tre parti uguali.
Possono essere considerate metriche irregolari qualsiasi combinazione di metrica binaria o teernaria
e metrica ternaria.
Il tempo di 7/8 è considerato una combinazione di 2/4 + 3/8 o 3/8 + 2/4.
Notare che 7 non è divisibile per 2 o per 3.
Una barra di battuta tratteggiata viene qualche volta aggiunta per chiarificare la metrica imperfetta.
Un altro metodo utilizzato per chiarificare la suddivisione della metrica imperfetta è il tempo di
battuta combinato.
Quando due o più battute alternano metriche in maniera sistematica, può essere utilizzato un tempo
di battuta che riflette l’alternanza delle due metriche.
Metriche antiche
Esistono diverse problematiche per la giusta interpretazione e la trascrizione delle fonti antiche con
metriche completamente differenti da quelle moderne. A titolo esemplificativo vedremo ora alcuni
casi principali.
Innanzitutto bisogna considerare che si poteva avere, a fianco della normale suddivisione binaria di
un valore, una suddivisione ternaria senza che il simbolo grafico di tale valore venisse modificato,
dando dunque allo stesso simbolo significati diversi a seconda del contesto in cui si trovavano. Tale
suddivisione era determinata dal simbolo metrico mensurale posto all’inizio del brano o della
sezione a cui si riferiva.
Si poteva dunque avere il TEMPUS (a livello della Breve) suddiviso in 2 parti, in questo caso
veniva chiamato Imperfecto, oppure suddiviso in tre parti, e in questo caso era chiamato Perfecto. Il
simbolo di un semicerchio determinava il Tempus Imperfecto e un cerchio intero il Tempus
Perfecto.
Si aveva poi un’ulteriore doppia suddivisione a livello della Semibreve: la PROLATIO. Si aveva
Prolatio Perfecta (suddivisione in tre) in presenza di un puntino al centro del cerchio o del
semicerchio, oppure Prolatio Imperfecta (suddivisione in due) in assenza di tali puntini nel simbolo
mensurale.
Si potevano dunque avere differenti combinazioni delle suddivisioni come mostra il seguente
specchietto (nell’ordine Tempus perfecto con prolatio perfecta, Tempus imperfecto con prolatio
perfecta, Tempus perfecto con prolatio imperfecta e Tempus imperfecto con prolatio imperfecta):
La durata effettiva dei valori dipendenti da una misura ternaria poteva poi essere modificata dalle
leggi della IMPERFECTIO e della ALTERATIO.
IMPERFECTIO: un valore ternario (perfetto) poteva essere reso binario (imperfetto) nei seguenti
casi (le cifre poste sopra le note danno la durata relativa effettiva):
ALTERATIO: un valore poteva essere alterato, ossia raddoppiato nella durata, quando la situazione
rendeva necessaria il completamento di una metrica ternaria:
Parallelamente alla scala dei valori bianchi esisteva una scala di valori neri, detti di colorazione, che
valevano i 2/3 delle note bianche corrispondenti; binari in misure ternarie essi annullavano le leggi
della imperfectio e della alteratio, e in misure binarie costituivano gruppi ritmici corrispondenti alle
attuali terzine.
Le problematiche diventano ancora più complesse nel periodo di trasformazione dei segni verso la
notazione moderna, per cui bisogna affrontare sempre uno studio specifico sulle fonti per
determinare l’esatto significato dei valori e delle varie proporzioni fra le diverse sezioni dei brani.
GRUPPI IRREGOLARI
Gruppi ritmici di note che non fanno parte della metrica sono chiamati gruppi irregolari.
Duine, terzine, quartine, quintine, sestine e settimine sono tutti esempi di gruppi irregolari.
DETERMINARE IL VALORE DELLE NOTE
Nell’esempio sotto, se ciascun movimento venisse suddiviso ulteriormente, avrebbe più note del
gruppo irregolare; per cui il valore delle note sarà di un sedicesimo.
Usare lo stesso principio per determinare il valore delle note di un gruppo irregolare che occupa
un’intera battuta.
Il numero è più grande dei numeri utilizzati per le diteggiature e deve essere in stile italico,
preferibilmente in grassetto.
Per gruppi irregolari con note unite da stangoni, il numero viene posizionato preferibilmente dal
lato dello stangone, centrato su di esso.
Non utilizzare la legatura con il numero per i gruppi irregolari. Questa è una pratica obsoleta e causa
confusione fra legature per i gruppi irregolari e le legature di frase.
Posizionare il numero per il gruppo irregolare fuori dal pentagramma quando possibile.
Se posizionato all’interno del pentagramma, il numero deve essere posizionato nella maniera più
chiara possibile, cercando di evitare collisioni con le linee del pentagramma per quanto possibile.
Il numero rimane posizionato dalla parte dello stangone, qualunque sia la sua direzione.
Quando più parti condividono un solo pentagramma, il numero viene posizionato regolarmente dalla
parte dello stangone/stanghetta.
Se lo stesso gruppo irregolare si ripete molte volte, il numero può essere omesso dopo i primi due o
tre gruppi, in questo caso è preferibile utilizzare la parola simile per chiarificare la situazione
PARENTESI GRAFFE PER GRUPPI IRREGOLARI
Se le note che fanno parte del gruppo irregolare non sono unite da stangone, viene aggiunta una
parentesi graffa al di sopra di esso e il numero viene centrato nella graffa.
La graffa inizia sempre allineata con il margine sinistro della prima testa delle note e finisce
allineata con il margine destro della testa dell’ultima nota, qualunque sia la direzione della
stanghetta.
La graffa viene interrotta per il posizionamento del numero; l’inizio e la fine sono sempre verticali.
In caso di gruppi irregolari con note unite da stangone, ma che necessitano di posizionare il numero
del gruppo irregolare dalla parte della testa delle note (ad esempio per evitare le diteggiature),
aggiungere la parentesi graffa per chiarezza.
La graffa segue la stessa inclinazione dello stangone.
Quando viene posizionata la graffa su un gruppo irregolare non unite da stangone, l’inclinazione
della graffa può variare
GRAFFE E VALORI DIVERSI
Per gruppi irregolari che comprendono note di valori diversi, la graffa deve includere tuut le note
del gruppo; il numero rimarrà centrato nella graffa.
notare che la graffa non deve essere estesa ad includere il baffo dell’ottavo del secondo gruppo
irregolare.
IN PRESENZA DI PAUSE
La graffa viene estesa per includere la pausa; viene allineata al margine destro della pausa stessa.
Un altro tipo di scrittura possibile (ma non troppo consigliato) è quello di estendere lo stangone
sopra le pause incluse nel gruppo irregolare.
IN PRESENZA DI DITEGGIATURE
E’ consigliato di spostare la numerazione del gruppo irregolare per evitare confusione con le
diteggiature.
IN PRESENZA DI ARTICOLAZIONI
Se la parentesi graffa è posizionata dalla stessa parte delle articolazioni, viene posizionata in modo
da includere le articolazioni.
PARTITURA E PARTI
La creazione di partiture orchestrali e delle relative parti per gli strumentisti ha bisogno di alcune
attenzioni particolari. Bisogna innanzitutto tenere presente l’uso pratico di questo materiale, e cioè
l’utilizzo durante le prove e durante i concerti da parte di musicisti che spesso leggono quasi a prima
vista e hanno quindi bisogno di una parte chiara e con alcuni accorgimenti che non ne
compromettano l’utilizzo, come avverrebbe ad esempio in caso di mancanza di voltata di pagina
corretta, di una dimensione delle note troppo piccola o in caso di mancanza di elementi che rendano
possibile l’identificazione esatta e univoca di qualsiasi punto della partitura durante le prove in
maniera veloce e chiara.
Numerazione battuta
I numeri di battuta sono il più pratico aiuto per le prove orchestrali.
Vengono conteggiate cominciando dalla prima battuta intera (non si tiene conto dell’eventuale
battuta in levare). Uno dei maggiori metodi utilizzati è quello di conteggiare le battute a gruppi di 5
(o di 10) e di posizionare il numero sopra la barra iniziale della relativa battuta:
Nelle parti, in caso di battute con pause multiple, tali raggruppamenti non devono essere più lunghi
di 5 battute (o 10 in caso di numerazione ogni 10 battute)
E’ possibile (e consigliato poiché sono meglio identificabili) utilizzare numeri contenuti in
quadrati/rettangoli (o cerchi anche se meno consigliati perché occupano più spazio); questi vanno
posizionati sopra le barre di battuta o leggermente sulla destra.
Non esiste una convenzione per la numerazione delle battute in caso di presenza di prima e seconda
ripetizione. La più comune (anche se la meno logica) è quella di ignorare completamente tali finali e
semplicemente conteggiare le battute:
Se le ripetizioni sono scritte per esteso nella partitura e non lo sono in alcune delle parti (o
viceversa) questo sistema può generare parecchia confusione nelle prove. In ogni caso partitura e
parti devono sempre seguire la stessa numerazione delle battute, dei passaggi ripetuti o scritti per
esteso e delle lettere per le prove (inglese: Rehearsal Marks - Letters).
Se il numero di battuta coincide con una indicazione di tempo o con altre indicazioni che appaiono
sopra i pentagrammi, il numero viene posizionato sopra tali indicazioni.
In caso di presenza di percussioni, queste devono avere un sub-ordine interno e cioè (dall’alto verso
il basso): metallo (triangolo, piatti, gong, cowbell etc.), legni (maracas etc.), intonate (celesta,
xilophono, vibrafono, marimba, campane tubolari, etc.), a membrana (bonghi, rollante, tomtom,
etc.), effetti (fischietti, sirene, macchina del vento e del tuono, etc.), timpani.
Uno dei punti più importanti da tenere in considerazione durante la fase di realizzazione del layout
delle parti orchestrali è quella di ottenere una grandezza adeguata dei pentagrammi e
conseguentemente di tutti i simboli musicali presenti. Bisogna tenere presente infatti che alcuni
strumentisti (come ad esempio i contrabbassisti, i violoncellisti e i percussionisti) leggono da
lontano per cui una dimensione dei simboli musicali non adeguata potrebbe vanificare
completamente l’utilizzo di una parte, dal momento che risulterebbe illeggibile.
Sulla prima pagina è importante che appaia chiaramente il nome dello strumento a cui la parte è
destinata, unitamente al titolo del brano e al nome del compositore. Tali indicazioni sono
fondamentali per l’archivista che deve distribuire il materiale prima di ogni prova e di ogni concerto
ai vari strumentisti, e ha quindi bisogno di indicazioni chiare, precise e molto pratiche.
Voltate di pagina
Grandissima importanza nell’impaginazione deve essere data alla possibilità di voltare la pagina da
parte dell’esecutore, posizionando una battuta con pause alla fine della pagina da voltare.
In caso di più esecutori divisi che leggono la stessa parte, è sufficiente che uno dei due abbia il
tempo a disposizione per voltare la pagina.
In presenza di due o più battute complete con pause è necessario, per ragioni di spazio e di
chiarezza, condensarle in un’unica battuta contenente una speciale pausa e il numero delle battute
complessive d’aspetto posizionato centralmente sopra la battuta. Tale pausa sarà formata da una
linea orizzontale spessa quanto uno stangone, posizionata sulla linea centrale del pentagramma, con
due lineette verticali più sottili alle due estremità, estese dalla seconda alla quarta linea del
pentagramma. La lunghezza della pausa varierà a seconda della dimensione della battuta,
lasciandosolamente un po’ di spazio prima e dopo la pausa. Tale spazio sarà però sempre uguale
nelle varie battute.
In alcuni casi è necessario dividere le battute d’aspetto in più gruppi, ad esempio in presenza di
numerazione di battuta a gruppi di 5 o di 10 (come abbiamo visto precedentemente), in presenza di
lettere per le varie sezioni, di indicazioni di tempo, di cambio di tonalità etc. in modo che lo
strumentista sia sempre in grado di capire esattamente cosa avviene durante i punti nei quali non
suona, e possa seguire in caso di interruzioni durante le prove una eventuale ripresa dell’esecuzione
in un punto in cui non sta suonando.
Se le battute d’aspetto sono molte è necessario indicando un passaggio musicale che permetta allo
strumentista di capire esattamente quando ricominciare a suonare.
Quando si sceglie quali note utilizzare per chiarificare l’ingresso di uno strumento, bisogna tenere
bene in mente che la cosa più importante è che l’esecutore deve essere in grado di sentire
chiaramente tale passaggio più dell’importanza musicale di tale passaggio. Per esempio, in una
grande orchestra per un cornista è più semplice sentire un rollante delle percussioni che un
trombone, specialmente in passaggi molto forti con molti strumenti.
Queste entrate devono essere nella stessa tonalità (eventualmente trasportandola) della parte nella
quale vengono posti.
A volte è conveniente avere notate le parti di strumenti che potrebbero mancare nell’organico
all’interno di parti per altri strumenti simili. Altre volte si trovano parti di rinforzo che potrebbero
suonare a discrezione del direttore. Tutte queste parti vengono scritte in notazione ridotta come
avviene per le entrate: le stanghette andranno nella direzione opposta alle pause di dimensioni
normali. Aggiungere l’adeguata istruzione (es. “Da suonare in assenza di ….” O “Suonare a
discrezione del direttore”).
Se i due strumenti in questione hanno differenti tonalità, le note devono venire trasposte
adeguatamente. Ad esempio se un clarinetto i si bemolle deve suonare un passaggio in assenza di
oboe, tale passaggio verrà trasposto una seconda sopra:
Nella partitura , tali passaggi in note piccole non sono da scrivere per esteso. E’ sufficiente dirigere
l’attenzione del direttore sul fatto che la parte dello strumento sostituito viene assegnata ad una altro
strumento
Condivisione della stessa parte
Se due differenti parti, che devono essere suonate simultaneamente, sono scritte su un solo
pentagramma, devono essere per strumenti identici, come Flauto I e II, non Flauto e Oboe, e
neppure ovviamente per strumenti aventi differenti trasposizioni.
Se entrambi gli strumenti hanno lo stesso ritmo, è accettabile la scrittura con una sola stanghetta, ma
sarebbe preferibile dividere le note con due differenti stanghette.
Gli incroci tra due parti scritte sullo stesso pentagramma sono permessi occasionalmente. In
intervalli di terza o più grandi, la testa delle note della II parte devono essere posizionate a sinistrati
quelle relative alla I parte, in modo che ogni stanghetta tocchi una sola testa di nota:
Con intervalli di seconda, le teste delle note devono essere un po’ più distanti del solito, n modo da
evitare conflitti:
In caso di presenza di punti di valore, questi devono essere posizionati dopo la stanghetta delle note:
Con intervalli di seconda in cui una sola delle due parti ha una nota puntata, può non essere sempre
chiaro a quale parte si riferisce il punto a meno che alcune regole vengano non rispettate:
1. Il punto sul RE sopra, anche se appartiene alla parte inferiore.
2. La nota superiore prima di quella inferiore per indicare chiaramente che il punto appartiene
alla nota più bassa; nella seconda delle due soluzioni non corrette le note sono troppo
lontane.
3. In questo caso non è necessario nessun compromesso
4. Anche se le note sono separate dal punto di valore, questa soluzione è preferita perché
mostra chiaramente che il punto si riferisce al RE.
Se su uno stesso pentagramma devono essere scritte tre differenti parti, devono essere ritmicamente
semplici dal momento che potremo avere soltanto due direzioni per le stanghette, per cui almeno
due delle tre parti devono condividere la stessa stanghetta. Inoltre, queste due voci devono essere le
due più alte o le due più basse (non le due estreme).
Alterazioni e Cancellazioni
Quando l’esecutore è singolo, alterazioni e cancellazione di alterazioni vengono applicate alle note
identiche (stessa ottava stessa chiave) nella stessa battuta, seguendo le regole standard.
Quando invece gli esecutori sono diversi, divisi quindi, e leggono dallo stesso pentagramma, ogni
linea contrappuntistica avrà le proprie alterazioni e cancellazioni, anche se può sembrare in alcuni
casi ridondante.
Per assicurare una lettura corretta è necessario, in presenza di parti divise, usare alterazioni e
cancellazioni anche in punti che non avrebbero bisogno di tali segni se scritti su due pentagrammi
separati, come nel seguente caso (vedi le note segnate dagli asterischi
Legature
In caso di pentagrammi con esecutori divisi, le cui note condividono la stessa stanghetta, le legature
di frase valgono per tutte le parti, mentre le legature di valore devono essere scritte per tutte le voci:
In caso di passaggi divisi con direzione opposta delle stanghette, le legature di frase devono venire
poste sia sopra che sotto il pentagramma:
In caso di presenza di unisoni con doppia stanghetta, vengono utilizzate due legature di valore:
Quando, in passaggi divisi, una sola parte ha una nota legata, o quando in presenza di tre differenti parti
una sola o due parti hanno note legate, devono venire divise le note legate da quelle non legate:
E’ preferibile iniziare e finire la divisione delle voci con stanghette opposte per tutta la frase in cui
sono posizionate. Nell’esempio che segue è scorretto tornare all’uso della stanghetta singola prima
della fine della legatura di frase:
Indicazioni SOLO/TUTTI
Il termine “solo” ha tre differenti significati:
Tutte queste indicazioni non devono essere scritte in italico (corsivo), in quanto viene riservato ai
segni di espressione e alle dinamiche. è fortemente raccomandato mantenere distinte questi due tipi
di indicazioni, in quanto sono ormai entrate nell’uso comune fra i musicisti che reagiranno di
conseguenza più velocemente.
La notazione delle parti per arpa è strettamente collegata all’uso di ognuno di questi pedali.
L’accordatura dell’arpa è basata su tre tacche di posizioni dei pedali. Quando un pedale è in
posizione di riposo, al centro, la corda è accordata all’altezza del nome della nota. Quando un
pedale viene posizionato nella tacca superiore, la corda viene leggermente rilasciata, in modo da
abbassarsi di un semitono. Quando il pedale viene posizionato nella tacca inferiore, la corda viene
tesa maggiormente, in modo da alzarsi di un semitono.
Ci sono due diversi possibili modi di segnalare i settaggi per i pedali dell’arpa nella partitura: con
lettere o tramite diagramma (chiamato diagramma di Salzedo).
Il sistema preferito è quello di utilizzare una combinazione di entrambi: diagrammi all’inizio del
brano e delle varie sezioni, lettere con alterazioni per indicare i cambi di uno o più pedali tra le varie
sezioni.
E’ possibile anche utilizzare solamente diagrammi, segnalando con circoli i pedali che cambiano
posizione:
La posizione dei pedali determina quali alterazioni devono essere usate nella notazione. Qualche
volta la scelta delle alterazioni non segue la logica teorica delle tonalità, ma quella della miglior
soluzione per il settaggio dei pedali durante l’esecuzione da parte dell’esecutore.
Sia in caso di spartito che di parti per coro, il carattere (font) utilizzato per le liriche deve avere una
dimensione tale da essere leggibile senza sforzo dall’esecutore tenendolo in mano anche a distanza.
Evitare quindi caratteri troppo piccoli o poco chiari.
STRUMENTI TRASPOSITORI
Uno strumento traspositore è uno strumento che produce delle note "reali" diverse da quelle scritte
sulla sua parte.
Osservando una partitura per orchestra o banda, si osseverà che in un passaggio all'unisono gli
strumenti traspositori hanno una notazione diversa dagli altri: la stessa nota d'effetto (do, ad
esempio) può essere scritta re, la, sol o in altre posizioni. Inoltre l'armatura di chiave (i diesis e i
bemolli presenti in chiave) sono diversi. Ciò avviene perché questi strumenti seguono una
convenzione di lettura diversa.Questa apparente complicazione ha una motivazione storica, che va
ricercata nei ritorti applicati anticamente agli ottoni (ai corni in particolare) per abbassarne il
diapason. Quando vedeva scritto un do, lo strumentista produceva la "nota fondamentale" del suo
strumento (che era uguale al "do" del clavicembalo): dovendo eseguire una composizione in un'altra
tonalità e non avendo in mano uno strumento cromatico, il cornista doveva "allungare" lo strumento
applicando un ritorto più lungo: producendo lo stesso armonico che abbiamo chiamato "nota
fondamentale", usciva un suono più grave (e adatto alla nuova composizione). Visto che l'azione
fisica del musicista era sempre uguale a se stessa (cioè produrre la "nota fondamentale") sembrò
logico adottare anche una uniformità di scrittura, scrivendo sempre lo stesso do con significato
convenzionale di "nota fondamentale" indifferentemente dal ritorto applicato. Il ritorto necessario
veniva prescritto a chiare lettere all'inizio della parte.
Anche i legni antichi, privi di chiavi e quindi essenzialmente diatonici, erano poco adatti a suonare
in tonalità con molti diesis o molti bemolli. Per eseguire una sinfonia in La, ad esempio, sarebbe
stato necessario eseguire tre note alterate, con mezzi fori o posizioni a forchetta scomode e dal
timbro opaco. Far costruire e suonare uno strumento più lungo, tagliato sulla nota "La", richiedeva
di scrivere nuovamente la parte una terza sopra, ma permetteva di suonare senza note alterate in
chiave ottenendo una sonorità omogenea su tutte le note e facilitando molto la tecnica.L'uso di
ritorti, come la costruzione di strumenti tagliati in determinate tonalità, determinava una leggera
modificazione nel timbro dello strumento stesso: ad esempio, il clarinetto in Si bemolle ha un
timbro più scuro e caldo del clarinetto in Do (più corto e più leggero, oggi preferito nella musica
klezmer proprio per il timbro più squillante). Con l'evoluzione storica dello strumento, alcuni tagli
presero il sopravvento sia per praticità di uso (proporzioni ergonomiche) sia per le caratteristiche
timbriche.Questo tipo di convenzione si applica oggi ad innumerevoli strumenti a fiato e permette
all'esecutore di cambiare strumento (all'interno della stessa famiglia) facendo sempre corrispondere
ad una nota scritta la stessa posizione delle dita, indipendentemente dal risultato reale. Ad esempio,
tutti i sassofoni si scrivono nella stessa maniera anche se il "do centrale" di un sassofono soprano è
di fatto due ottave e mezza più acuto di un "do centrale" del tubax. Lo strumentista in tutti e due i
casi ha di fronte a sé un "do", usa la stessa posizone delle dita ed usa lo stesso approcio nei confronti
della nota (che in tutti e due i casi richiede una quantità di aria proporzionalmente piccola, è di
facile emissione ed è tendenzialmente calante ma molto sensibile alla correzione di labbro). Tutti
questi parallelismi tra due note che sul pianoforte risultano così lontane hanno fatto la fortuna di
questo sistema di notazione apparentemente "difficile".Lo studioso, messo davanti ad una partitura
trasposta, farà fatica a capire se un passaggio è all'unisono o armonizzato (ad esempio) o a fare
un'analisi armonica "verticale". In compenso (grazie all'omogeneità di scrittura e di diteggiatura tra
strumenti della stessa famiglia) può individuare molto più rapidamente tutte le caratteristiche
melodiche ("orizzontali") dei suoni scritti, conoscere a prima vista la loro posizione nell'estensione
dello strumento (grave-medio-acuto), individuarne quindi il timbro (soffocato-forzato-brillante), le
possibilità dinamiche (le note estremedell'estensione sono meno flessibili), le tendenze di
intonazione, la facilità di emissione, le possibilità di articolazione, le difficoltà tecniche, la
possibilità di eseguire trilli, tremoli e glissati, eccetera.
I timpani venivano anticamente trattati come strumenti traspositori, indicando convenzionalmente
con Do la tonica del brano e con Sol la dominante. Questa scrittura è stata superata dall'evoluzione
stilistica della musica (per cui i termini di tonica e dominante hanno perso di significato),
dall'evoluzione nell'uso dello strumento (non più solo sui due gradi fondamentali) e dall'adozione
del meccanismo a pedale che permette un rapido cambio di intonazione dello strumento durante il
brano e quindi richiede una notazione adeguata: quella a note reali in chiave di basso.
I corni sono stati scritti come strumenti traspositori impiantati nella tonalità del brano fino ad
Ottocento inoltrato, quando l'adozione dei pistoni aveva già mandato in pensione le vecchie ritorte
per lasciare il posto al corno in Fa o doppio in Sib/Fa. Il cornista deve quindi essere pronto tutt'oggi
ad eseguire col corno in Fa parti scritte per strumenti in Re, in La eccetera. Siccome le
caratteristiche timbriche con questa pratica variano di molto (una parte originale per corno "in Do
acuto" è estremamente alta e forzata per un corno in Fa), si usano talvolta ricostruzioni di corni
naturali (con ritorte) per l'esecuzione di musica precedente all'Ottocento.Alcuni strumenti sono
traspositori di ottava: questo significa che le loro note vengono scritte un'ottava più in alto o più in
basso rispetto al suono reale, per evitare parti scritte con troppi tagli addizionali e quindi scomode
da leggere (e da scrivere). Si tratta della chitarra, del contrabbasso, del controfagotto e dell'ottavino.
Gli accidenti in chiave non subiscono nessuna modificazione. Le "chiavi antiche"
Compito del compositore è quello di segnare le note con la giusta trasposizione per ogni strumento,
modificando opportunamente l'armatura in chiave. Leggendo la partitura al pianoforte bisognerà
compiere il percorso inverso, riportando la notazione convenzionale a quella "standard" in do. Per
fare questo un utile mezzo è quello delle cosiddette chiavi antiche. Si sostituisce mentalmente la
chiave presente all'inizio del rigo con quella più opportuna all'interno del setticlavio: la nota scritta
in una determinata posizione assume così il nome della nota "reale". Per leggere, ad esempio, la
parte di uno strumento tagliato in si bemolle si può immaginare la chiave di tenore, per uno tagliato
in mi bemolle la chiave di basso e così via. Con un ulteriore passaggio mentale si trasporta la nota di
ottava fino ad arrivare alla nota d'effetto.
Il clarinetto piccolo in Mib, ad esempio, si scrive in chiave di violino una terza minore sopra con tre
diesis in più. La "chiave antica" per leggere gli strumenti in Mib è quella di basso, ma è sbagliato
dire che il clarinetto piccolo (uno degli strumenti più acuti dell'orchestra) si scrive in chiave di
basso! Per eseguire al pianoforte i suoni reali bisogna sostituire mentalmente la chiave di violino
con quella di basso, aggiungere tre bemolli e trasportare il tutto due ottave sopra. Alcuni esecutori
suonano i loro strumenti traspositori effettuando direttamente questa sostituzione e chiamando così
ogni nota col suo nome "reale". Anche chi adotta la convenzione degli strumenti traspositori è
generalmente in grado di dire in ogni momento quale nota reale sta suonando.
Esempio pratico : i sassofoni sono degli strumenti "traspositori". Questo significa che il nome della
nota scritta non è lo stesso di quella che si ascolta, e cioè:
Quando il sassofono contralto suona un DO, si ascolta un MI bemolle (da qui il suo nome:
sassofono contralto in MI bemolle).
Quando il sassofono tenore suona un DO, si ascolta un SI bemolle (da qui il suo nome:
sassofono tenore in SI bemolle).
Quando il sassofono soprano suona un DO, si ascolta un SI bemolle (da qui il suo nome:
sassofono soprano in SI bemolle).
Quando il sassofono baritono suona un DO, si ascolta un MI bemolle (da qui il suo nome:
sassofono baritono in MI bemolle).
LIRICHE
Generalmente i trattati di editing musicale indicano che gli stangoni delle note associate alle liriche
seguono attualmente le regole standard per la pratica notazionale strumentale, e che nella pratica più
tradizionale sorpassata era in uso separare le note da un ottavo in poi attraverso l’uso delle codette,
utilizzando gli stangoni solo in caso di melisma. Ciò non è del tutto vero, in quanto per la musica
classica generalmente la maggior parte degli editori preferisce ancora mantenere, per le note
inferiori a un quarto, la notazione sciolta, unite da stangone solo in caso di melisma. Per melisma si
intende un gruppo di note che viene cantato con un’unica sillaba. Per la musica leggera invece
effettivamente le regole standard risultano più chiare ed efficaci.
In ogni caso, le liriche rendono talvolta la notazione di parti vocali differente da quella delle altre
parti. Esaminiamo dunque le varie situazioni.
Dinamiche e indicazioni di tempo vengono posizionate sopra il pentagramma per evitare conflitti
con le liriche.
Le legature di frase vengono utilizzate per le parti vocali per indicare nient’altro che i melismi
(termine utilizzato semplicemente per indicare una sillaba o parola che viene cantata con più di una
nota)
Un altro aiuto per al lettura dei melismi è dato dall’allineamento corretto delle liriche. La parola o la
sillaba, invece che essere centrata sotto la nota, sarà allineata con il lato sinistro della testa della
prima nota.
Oltre alle legature, linee di estensione alla base delle liriche aiutano a indicare la lunghezza del
melisma. In ogni caso queste linee di estensione sono utilizzate solo per parole di una sola sillaba, o
per l’ultima sillaba di una parola formata da due sillabe. Nel mezzo della parola viene invece usato
un trattino.
Lo spessore delle linee di estensione deve essere minore di quello delle linee dei pentagrammi.
La fine di queste linee deve essere allineata con il margine destro della testa dell’ultima nota del
melisma. L’errore più comune nell’uso delle linee di estensione per le liriche è quello di estendere
tali linee per l’intero spazio del valore della nota.
Quando è richiesta una linea di estensione, questa ci deve essere, anche se le parole sono numerose
e molto vicine e viene la lunghezza della linea diventa molto corta. In questi casi la linea di
estensione si prolungherà leggermente oltre il margine destro della testa della nota.
Quando una linea di estensione è necessaria fra due pentagrammi differenti, l’inizio della linea nel
secondo pentagramma comincerà subito dopo i simboli posti in chiave.
Le legature di valore sono trattate esattamente come i melismi, incluso l’uso delle linee di
estensione e l’allineamento delle liriche.
NORMALE POSIZIONAMENTO DELLE PAROLE
Per tutte le note che non fanno parte di melismi o che non sono legate, le parole o le sillabe
vengono centrare rispetto alla testa della nota. Se la mancanza di spazio non permette di centrare
esattamente la parola o la sillaba sotto la nota, almeno parte della parola o sillaba deve essere sotto
la nota.
Sillabare le parole secondo l’uso del dizionario, e non soltanto in base al suono. Per qualsiasi
indecisione al riguardo, consultare sempre il dizionario.
PUNTEGGIATURA
Utilizzare normalmente punteggiature e lettere maiuscole. Un errore comune è quello di usare poco
o per niente la punteggiatura.
Considerare le liriche per ogni strofa separatamente. Notare nell’esempio sopra l’allineamento
diversificato per le liriche che fanno parte di una melisma e quelle centrate normalmente.
LINEE DI OMISSIONE
Qualche volta vengono usate delle linee di omissione per chiarificare che non ci sono parole o
sillabe da cantare.
In molti casi comunque è preferibile valutare la situazione, nell’esempio seguente infatti tale linea
potrebbe essere scambiata per una linea di estensione, per cui è preferibile non utilizzarla, lasciando
la pausa rimpicciolita a chiarificare la situazione
NOTE E PAUSE DI DIMENSIONE RIDOTTA
Utilizzare note e pause di dimensione ridotta quando si trovano ritmi differenti dalla prima strofa
(vedi esempio precedente). Stanghette e stangoni devono essere adeguati alla nuova dimensione.
In caso di più di due strofe con ritmi differenti, la situazione potrebbe diventare troppo complicata,
in questi casi è preferibile scrivere per esteso la musica.
NUMERAZIONE
Non ci sono regole standardizzate per l’uso delle strofe multiple in caso di ripetizioni, finali diversi,
battute in levare etc.
Valutare la situazione ed essere il più chiari e consistenti possibile.
UTILIZZO DI PARENTESI
Quando strofe multiple convergono in una sola linea, come nel caso di chorus o ritornello, è
possibile utilizzare una parentesi graffa:
E’ molto utile conoscere i termini musicali in quello che si è affermato essere il linguaggio
universale nel campo dell’editing musicale, e cioè l’Inglese. Anche se per moltissimi termini di
agogica e dinamica viene utilizzato universalmente l’Italiano, per i termini tecnici l’Inglese risulta
essere più preciso e univoco. Inoltre il proliferare di software musicali, spesso presenti solo in
lingua inglese, ha ulteriormente imposto la conoscenza di tali termini.
accidentals – alterazioni
augmentation dot – punto di valore
bar – battuta, misura
barlines – barra di battuta
beam – stangone, tratto d’unione
bowing – arcate
brace – parentesi per unire i pentagrammi (piano) bracket –
parentesi graffa per unire i pentagrammi (archi) chord –
accordo
staff – pentagramma
stave – rigo musicale all’interno di un sistema
stem – stanghetta della nota
system – sistema
tie – legatura di valore
time signature – tempo in chiave
Nel Medioevo, nel Rinascimento e nel Barocco, la notazione musicale rappresentava una sorta di stenografia
evolutasi nel tempo; non fu mai considerata una scrittura esaustiva per l'esecuzione musicale. Un ruolo centrale per
l'interpretazione era quello dello strumentista o del cantore che per prassi esecutiva, nel periodo barocco, può
aggiungere abbellimenti, passaggi, note per completare l'armonizzazione. La scrittura musicale lascia ampio spazio
all’esecutore, il fraseggio non è mai indicato salvo rarissime eccezioni, l’andamento ritmico spesso è sottointeso,
come ad esempio per il ritmo “alla francese” o “alla lombarda”.
Molte forme musicali si basavano su melodie già esistenti, come ad esempio i corali Luterani, e le trascrizioni di
concerti adattati al clavicembalo e all’organo, che assumevano spesso i connotati di vere e proprie nuove
composizioni. In moltissimi brani per strumento solista e accompagnamento o nei lavori orchestrali era presente la
prassi del “basso continuo”, che consisteva nel realizzare in maniera estemporanea un accompagnamento basandosi
sulla linea del basso; questo basso era affidato a strumenti a corde pizzicate o sfregate (arciliuto, tiorba, viola da
gamba, violoncello) e le implicazioni armoniche disposte dal compositore erano in genere annotate in forma di
numeri e descrivevano la natura degli accordi da eseguire estemporaneamente con uno strumento a tastiera
(cembalo, organo...).
A fianco della produzione musicale scritta esisteva anche una tradizione legata all’improvvisazione, che
probabilmente costituiva la maggior parte del corpo delle esecuzioni del tempo.
I trattati di esecuzione musicale del 600 non fecero altro che confermare le regole dell’inuguaglianza ritmica esposte
nel 500; bisognerà aspettare l’800 per trovare dei Metodi che insegnino un’esecuzione strettamente conforme alla
scrittura.
Le diteggiature della musica a tastiera di questo periodo si adeguavano al ritmo “ineguale e non legato”
Già nel 600, in Italia, l’unità ritmica per eccellenza diventò l’ottavo, con una scrittura in cui predominavano i sedicesimi.
In Francia invece regnava il quarto. Le altre notazioni si sono allineate con l’una o l’altra, imitando o adottando quanto
loro meglio conveniva.
Come già accennato, nella musica italiana, alcune opere lasciate volontariamente abbozzate o incompiute,
richiedevano la collaborazione creativa dell’esecutore che dove rimediare queste lacune con l’utilizzo dell’Adagio
ornato, delle cadenze improvvisate, con l’aggiunta di abbellimenti, con l’interpretazione dei “segni di ripetizione” o
l’interpretazione della parola “simile”. Ecco alcuni esempi:
Malgrado l’evoluzione generale delle forme musicali nel corso del 700, con le inevitabili ripercussioni sulla grafia,
malgrado le nuove scuole d’interpretazione vocali e strumentali, le “note ineguali” non scomparvero che a poco a
poco, sotto l’incalzare progressivo delle nuove precisazioni della notazione musicale e a misura che venivano
abbandonate le antiche forme ancora in uso.
Nel XVIII secolo nacquero nuove forme compositive (la sinfonia, il quartetto d’archi...) ed altre conobbero
un’evoluzione di grande significato (la sonata, il concerto, le cantate...); alcuni strumenti musicali raggiunsero la
propria maturità tecnica ed espressiva, che assecondava il virtuosismo crescente degli esecutori. Tutto ciò ebbe
abbondanti ricadute sulla notazione musicale, che guadagnò in flessibilità e fu essa stessa protagonista di
un’evoluzione semiografica continua. L’uso delle chiavi, delle indicazioni speciali per gli strumenti traspositori, delle
indicazioni tecniche ed espressive, dei segni d’articolazione, di dinamica, di agogica era ricchissimo e spesso diversi
compositori ne diedero, almeno in parte, versioni personalizzate e piegate alle loro personali esigenze creative, non
ultimo l'indicazione della velocità esecuzione (Beethoven fu il primo compositore che adottò con una certa regolarità
il Metronomo), fino a giungere a Igor Stravinskij che desiderava le sue note venissero eseguite così come lui le aveva
scritte.
Nel passaggio dai manoscritti degli autori alle versioni a stampa prodotte dagli editori, tuttavia, in molti casi tali
indicazioni subirono drastiche riduzioni e modifiche anche per ragioni di economicità nel lavoro tipografico e di
semplificazione nei confronti dei potenziali esecutori, i quali non sempre erano musicisti professionisti; in parecchi
casi, anzi, si trattava di dilettanti non provvisti di grande preparazione tecnica.
La stampa musicale con caratteri mobili cominciò verso il 1500. All’inizio, lo spartito stampato era una copia del
manoscritto. Stanghette di battuta, legature di valore, legature di frase e altri segni furono introdotti gradualmente
nei secoli XVI e XVII. In caso di edizioni critiche, gli stangoni nelle fonti antiche potrebbero seguire completamente
altri criteri, per cui nella maggior parte dei casi verranno mantenuti fedelmente i raggruppamenti originali. Un
classico esempio è dato dalla presentazione in edizione moderna di intavolature italiane del ‘600, dove il
raggruppamento o lo scioglimento dei gruppi di note suggerisce visivamente se eseguire le note in maniera legata o
staccata con notevole precisione. Un altro esempio è rappresentato in Bach, dove i raggruppamenti degli stangoni
delle note, unitamente alla direzione delle gambette, suggerisce la divisione dei passaggi fra le due mani e influenza
indirettamente il fraseggio.
Nel XVIII secolo, la musica polifonica divenne troppo complessa per essere stampata con i caratteri mobili. Al loro
posto, per la musica furono introdotte le tecniche di incisione, che cominciarono a essere applicate a lastre di rame.
Verso il 1730, l’editore musicale inglese John Walsh inventò una nuova tecnica d’incisione: i pentagrammi erano
disegnati con uno strumento a cinque punte su una lastra di peltro (una lega costituita principalmente di stagno), i
simboli musicali a grandezza fissa vi erano incisi con dei punzoni e ogni altra cosa era realizzata a mano. Nel 1799,
Johann André di Offenbach am Main, in Germania, applicò alla musica la tecnica della litografia, di nuova invenzione
– le immagini sulle lastre di zinco venivano trasferite meccanicamente. Verso il 1860, l’estetica dell’incisione della
musica classica come si usa oggi era completata.
GLI ABBELLIMENTI
In tutta la musica del 600 molto spesso i segni di abbellimento venivano omessi, tale musica però non era eseguita e
non era nemmeno concepita senza abbellimenti; ogni musicista durante gli studi musicali imparava a mettere da sé i
diversi abbellimenti là dove occorrevano. Dalla fine del 600, almeno nella musica strumentale, gli abbellimenti
cominciarono a figurare sempre nelle composizioni.
1. Le Appoggiature.
Le appoggiature sono generalmente poste sul grado superiore o inferiore della nota ornata. Possono essere: lunghe,
corte o di passaggio; queste ultime appartengono alla categoria degli abbellimenti che precedono l’attacco della nota
reale.
Nella scrittura non c’era niente che permettesse di distinguere questi tre tipi di appoggiatura, infatti il simbolo era
identico, solo l’ultimo beneficiava in qualche caso di un segno particolare.
L’appoggiatura lunga ordinariamente si fa su una nota consonante, di valore relativamente lungo, e posta su un tempo
forte. Quando l’appoggiatura non è scritta sarà l’andamento della frase stessa, oppure la posizione della nota che la
precede a determinare la posizione (inferiore o superiore) rispetto alla nota reale. La durata dipende dalla nota reale:
se quest’ultima è divisibile per 2, la regola generale ne attribuisce la prima metà all’appoggiatura; se è divisibile per 3,
ne attribuisce i due terzi. Quando la nota reale è seguita da una pausa, il più delle volte si dà all’appoggiatura tutto lo
spazio della nota reale, che prende allora il posto della pausa.
L’appoggiatura breve ha luogo, generalmente, nei seguenti casi:
Il flattè, nel 700, quando non è scritto in note reali è spesso rappresentato con i seguenti segni:
Il tierce coulèe differisce dal flattè solo per la nota inziale tenuta e le sue rappresentazioni solite sono le seguenti:
3. La doppia appoggiatura
Questo abbellimento, in uso nel 700, non ha segno grafico e di solito si figura a caratteri piccoli. Di solito lo si fa in
senso ascendente e le note di questo abbellimento si eseguono più leggermente rispetto alla nota reale. Esempio:
4. IL GRUPPETTO primo tipo: è un’appoggiatura che nella risoluzione supera il suo punto d’arrivo e torna subito
indietro.
5. IL TRILLO: fu per molto tempo chiamato “cadence” (cadenza) a causa del suo costante impiego nelle conclusioni
melodiche. Il trillo è la ripetizione alternata, rapida e più o meno prolungata dell’appoggiatura superiore e della sua
risoluzione e si esegue partendo dall’appoggiatura. Molto importante è il “punto d’arresto” in quanto deve far sentire
chiaramente la risoluzione dell’appoggiatura.
1. IL VIBRATO O IL TREMOLO: per quanto riguarda la voce si distingueva in due tipi, il primo che consisteva
nell’esecuzione sempre più rapida della stessa nota “legata”; il secondo in cui si staccava leggermente la nota iniziale.
Per ottenere lo stesso effetto sugli strumenti a tastiera (tranne il clavicordo), le ripetizioni si facevano con una nota
vicina alla nota ornata (si preferiva la nota superiore).
2. IL MORDENTE: è un trillo che inizia e termina con la nota reale, deve essere eseguito con rapidità. E’ di 5 tipi: a)
semplice, b) doppio, c) continuo, d) smorzato, e) rovesciato.
d) Mordente smorzato o “acciaccatura” è un mordente semplice in cui due note vengono eseguite
contemporaneamente, il che vuol dire che può essere eseguito solo da strumenti a tastiera.
3. IL GRUPPETTO di secondo tipo (chiamato in Italia “circolomezzo”): inizia con la nota reale e termina o sulla nota
reale o sulla terza superiore o sulla terza inferiore
4.IL GRUPPETTO di terzo tipo, è posto tra due note. Esempi:
5. L’ACCENTO, L’ASPIRAZIONE, LA PLAINTE: L’”accento” si pone tra due note. Sottrae valore alla prima nota e si esegue
o un tono sotto o un tono sopra. La sua esecuzione è rapida:
L’”aspirazione” per Leopold Mozart è una nota che viene aggiunta tra una nota principale e un’appoggiatura superiore.
La nota aggiunta può essere una seconda o una terza, più alta o più bassa della nota che la precede (escludendo la
settima e gli altri intervalli maggiori). La si usa per trasformare l’appoggiatura inferiore in appoggiatura superiore.
Generalmente sono in battere, ma alcuni autori li volevano anticipati rispetto alla nota ornata. Esempio:
BIBLIOGRAFIA
Il Novecento
La notazione musicale
I sistemi di notazione musicale del XX secolo hanno destato grande interesse sia dal punto di vista
espressivo che artistico e plastico. I continui mutamenti del mondo sonoro e di ciò che è stato
ereditato dal passato hanno comportato una profonda riflessione sul rapporto tra segno e idea
compositiva.
L’interesse artistico della grafia è stato inteso come un mezzo utile per suggerire proposte creative
che partano dall’espressività plastica dei disegni ideati dal compositore. I nuovi strumenti, nati dalla
tecnologia attuale, stanno modificando il ruolo della partitura nella sua funzione di memoria
dell’opera. La plasticità come proposta sonora o il suono rappresentato graficamente hanno in
comune lo stesso interesse artistico. La differenza sta negli obiettivi che si perseguono:
- la plasticità grafica come proposta sonora è una scrittura artistica, nata da una concezione
non ordinaria che si propone di essere interpretata e realizzata come una partitura
convenzionale;
- il suono rappresentato graficamente si allontana dalla concezione della partitura, non
pretende di servire da base per l’interpretazione ma vuole solo essere il risultato scritto, nato
prima o dopo l’interpretazione-esecuzione.
Per tale motivo, in questo ultimo caso non si dovrebbe parlare di partitura ma di rappresentazione
grafica del suono. Il suono e la sua rappresentazione in partitura, in qualsiasi sistema di notazione,
ha bisogno di supporti teorici e di fondamenti pedagogici che stabiliscano le convenzioni suono-
grafia più adatte.
La molteplicità delle idee ha coinciso con una simbologia varia e a volte contrastante: la
provenienza e la cronologia di alcuni segni possono dare destare dei dubbi, essendo molti i
compositori che hanno sviluppato idee simili in periodi di tempo ravvicinati. Inoltre, è possibile che
una stessa idea sonora abbia diverse rappresentazioni grafiche, così come segni uguali possono
indicare idee diverse.
Per tale ragione, le date della prima esecuzione o della pubblicazione delle opere potrebbero
costituire un principio di catalogazione ma va considerato anche lo scarto di tempo tra la scrittura e
la messa in scena dell’opera; permane, così, una certa imprecisione nella classificazione e
nell’attribuzione della loro paternità.
Nella rappresentazione simbolica del suono ricorrono spesso alcuni segni.
1. Forme
I piccoli cerchi, triangoli, rombi, quadrati e rettangoli sono utilizzati moltissimo e compiono
numerose funzioni:
in relazione all’altezza:
- suoni alterati, non alterati;
- suoni acuti, medi, gravi;
- registri, zone, corde...;
in relazione alla qualità (suoni armonici, suoni reali, naturali, gutturali, nasali, aria,
risultanti, rotti...);
in relazione alla simultaneità dei suoni: accordi, clusters (diatonici, cromatici ...);
in relazione alla posizione delle dita sullo strumento (aperto, chiuso, mezzo chiuso ...);
in relazione alla posizione dell’imboccatura negli strumenti a fiato (forte, media, debole;
diretta verso l’acuto, il grave ...).
2. Linee
a) Rette
b) Curve
c) Rette e curve
3. Frecce
Indicano:
suoni o elementi letti o interpretati da sinistra a destra e viceversa;
passaggi o successioni ascendenti o discendenti.
cambi di metronomo o di velocità dei passaggi;
intervalli o successioni irregolari in quanto a velocità e dinamica, ascendenti o discendenti;
glissandi;
glissandi o passaggi, ascendenti o discendenti, con tasti bianchi o neri e con suoni alterati;
glissandi e passaggi, ascendenti o discendenti con tasti bianchi e neri o suoni cromatici;
arpeggi o successioni ascendenti o discendenti;
clusters o accordi con suoni non alterati, alterati o cromatici;
inizio di parti o sezioni.
4. Micro-intervalli
Tra gli esempi più importanti (che si distinguono dalla maggioranza, proveniente da Haba) citiamo:
a. Xenakis
b. Ysaye
c. Scelsi
5. Alterazioni
6. Glissandi
Dipendono dalla natura dello strumento e dalla tecnica dello strumentista. Al pianoforte
distinguiamo:
i) Diatonici (sui soli tasti bianchi o sui soli tasti neri);
ii) Cromatici (sui tasti bianchi e neri);
iii) Sulla cordiera;
iv) Sui tasti senza percuotere i martelletti.
Inoltre, possiamo trovare:
7. Suoni simultanei
Sono accordi, clusters, multifonici, suoni rotti... cioè gruppi di più suoni emessi
contemporaneamente con una precisione relativa riguardo alle altezze e nati da concezioni aleatorie.
Sebbene possano richiedere sfumature o qualità molto determinate, sono rappresentati con segni
diversi:
a) diatonici, suoni non alterati (o tasti bianchi), senza determinare le altezze;
c) cromatici, suoni alterati o non alterati (tasti bianchi e neri), senza determinare le altezze;
d) diatonici, suoni alterati (o tasti bianchi), determinando più o meno precisamente le altezze;
e) diatonici, suoni alterati (o tasti neri), determinando più o meno precisamente le altezze;
f) cromatici, suoni alterati e non alterati (o tasti bianchi e neri), determinando più o meno
precisamente le altezze
8. Tremoli
9. Pentagramma
Continua a mantenere la sua funzione storica di mezzo per la determinazione delle altezze, seppur
mutato aggiungendo o diminuendo il numero delle linee:
È possibile trovare:
a) Rappresentazione aleatoria delle altezze
b) Rappresentazione delle dinamiche
c) Rappresentazione metronomica
Le origini
Nel corso dei secoli si sono sedimentate annotazioni, simbologie e diversi tipi di scrittura musicale;
sono giunte a noi raccolte di originali o riproduzioni che non ci consentono una conoscenza
dettagliata di quanto è avvenuto nel corso della storia, in particolare di determinate culture delle cui
realtà sonore si conosce poco. Gli strumenti e il materiale raccolto ci permettono di immaginare
l’effetto che con quei mezzi poteva essere prodotto, in considerazione dei limiti degli strumenti
stessi che, probabilmente, inducevano ad una musica poco elaborata. L’enorme numero di
documenti storici pervenuti dimostrano come in ogni epoca sia stato alto il livello artistico e
l’attenzione alla musica come espressione culturale. La musica era infatti presente tanto negli atti
religiosi quanto in quelli profani con l’uso di modalità differenti. Tali testimonianze sono giunte a
noi in forma di rappresentazioni simboliche e sistemi grafici mentre sono pochi i reperti strumentali.
Tale documentazione è il punto di partenza dell’indagine scientifica.
Aleatorietà di base
L’uso di nuove tecniche strumentali da parte del compositore rende più complesso il trasferimento
delle idee all’interprete. L’accrescere delle tecniche strumentali ha determinato l’ampliamento della
simbologia rappresentativa dei nuovi effetti sonori: molti di essi possiedono delle caratteristiche
completamente diverse da quelle tradizionali, da qui la necessità di fissarli, nei limiti del possibile,
con una scrittura coerente e appropriata. L’evoluzione degli strumenti ha indotto sia i compositori
che gli interpreti ad una sorta di ripensamento delle possibilità espressive degli strumenti stessi. I
motivi che hanno influito su questo processo sono numerosi:
o l’informazione sui mezzi strumentali di altre culture (il rapporto interculturale);
o le fonti produttrici di suono sorte dalle nuove tecnologie;
o la progressiva e ininterrotta ricerca strumentale di costruttori e interpreti;
o il desiderio di innovazione sonora dei compositori;
o la rilettura e ricerca di culture del passato, che ha permesso il recupero di strumenti e
tecniche dimenticate.
Composizione ed interpretazione sono legate tra loro. Infatti, per il compositore è sempre stato di
fondamentale importanza lo studio delle possibilità tecniche ed espressive sia degli strumenti
musicali che dell’interprete.
Nel corso del secolo XX, la già citata trasformazione dell’estetica della musica occidentale, ottenuta
attraverso determinati procedimenti compositivi, è stata potenziata anche grazie alle nuove
tecnologie, in modo particolare con l’ausilio dell’elettronica. In meno di una decina di anni (tra il
1945 e il 1950) nascono la musica concreta e quella elettronica (presto si unirà anche il computer
come mezzo di produzione del suono):
o la musica concreta ambiva a comporre opere con suoni di qualunque provenienza
(specialmente con i rumori) scelti con cura e assemblati successivamente attraverso le
tecniche di montaggio delle registrazioni;
o la musica elettronica, al contrario, operava la sintesi di un suono senza passare per la fase
acustica, combinando le sue componenti analitiche in frequenze pure, dosate in intensità.
In questa maniera si affermava con forza l’idea che ogni suono fosse riducibile a tre parametri fisici
(altezza in hertz, intensità in decibel e tempo, misurato in secondi e millisecondi).
La loro sintesi, possibile per mezzo del computer, poteva rendere superfluo il ricorso ad uno
strumento musicale.
Questi due generi musicali presentavano alcune anomalie: la concreta non si poteva scrivere e
l’elettronica era cifrata.
La concreta rinunciava ad ogni sforzo di trascrizione, a causa di un materiale sonoro complesso e
vario. L’elettronica, precisa e assolutamente rigorosa, secondo Umberto Eco “ha obbedito a criteri
personali nella notazione: il musicista stesso deve inventare un sistema di notazione diverso per
ogni composizione, dal momento che ogni opera si basa sulla produzione di diverse possibilità
sonore e su una loro organizzazione che segue diversi criteri di montaggio” 2.
La grafia tradizionale diventa sempre meno adatta a rappresentare la nuova realtà artistica, sociale,
psicologica e tecnologica. Nella prima metà del '900 la posizione di alcuni compositori mostra
l'inizio di una difficoltà nel rapporto autore-esecutore:
- Ferruccio Busoni esprime il disagio del compositore che, partendo dall'idea, deve operare
scelte ed esclusioni nel trascrivere l'idea musicale (posizione idealistica). Sottolinea poi
come l'attuale scrittura musicale sia poco funzionale rispetto alle nuove esigenze espressive.
- Stravinskij, Schoemberg e Webern definiscono sempre meglio l'esecuzione della propria
musica aggiungendo segni di specificazione che man mano arricchiscono la partitura (e, in
certi casi la rendono di difficile interpretazione).
A metà del '900, con la neoavanguardia, vengono avanzate nuove proposte, per le quali la notazione
non è più intesa soltanto come un'annotazione dei suoni (così come è stata intesa fino ad ora), ma
che si apre ad altri linguaggi e ad altri aspetti comunicativi (anche psicologici).
Il rapporto tra autore-esecutore diventa più diretto e radicale; all'esecutore è richiesta la
compartecipazione alla creazione del brano, non solo la sua interpretazione tecnica e strumentale.
L'uso del segno travalica la pura indicazione musicale, diventando stimolo e provocazione o un
elemento puramente visivo.
Un altro aspetto riguarda la musica elettronica: i segni, in questo ambito, non ricordano più le
notazioni storiche ma diventano indicazioni di frequenze, di volumi misurati su scale fisiche, di
colori timbrici creati ex novo, talvolta mescolati con strumenti acustici usati secondo nuove
tecniche e con nuovi intendimenti espressivi.
MANCINI FABIO, Metodologie e tecniche per l’editoria musicale, dissertazione,
Università degli Studi di Milano, revisione del 2017
1.1. Fissazione
Questa fase è caratterizzata dalla fissazione del testo musicale da parte del compositore. Ci sono
moltissimi fattori che determinano in che modo si giunge alle varie versioni di una stessa opera e se
si giunge o meno ad una versione definitiva, ovvero alla versione “d’ultima mano”. In questa fase è
importante tenere presente che possono intervenire vari fattori:
le varie trasformazioni del testo musicale e la sua evoluzione;
i vari comportamenti dei compositori rispetto alla stesura dell’opera.
Per es. si vedano i differenti approcci e comportamenti di 3 differenti compositori: Schumann (la prima versione di
un’opera viene considerata la migliore in quanto dettata dall’istinto musicale); Beethoven (ogni opera è frutto di
ispirazione ma anche di miglioramenti costanti e rifiniture, per cui l’ultima versione viene definita la migliore); Bach
(non concepisce una versione definitiva, ma rielabora continuamente i suoi lavori, spesso affiancando più versioni di
una stessa composizione senza necessariamente avere una versione migliore).
il concetto di ultima volontà d’autore: il compositore aspira ad una forma definitiva
oppure ritiene che ogni opera può essere sempre trasformata e rimodellata praticamente
all’infinito?
problematiche esterne che possono influenzare il compositore e portare a varianti
d’opera e successive versioni non necessariamente migliorative, quali organici variabili
dell’orchestra, condizioni di spazio dei teatri, esigenze dei cantanti, esigenze di durata...
Per es. possiamo citare due casi emblematici. Il primo è quello del rapporto tra il compositore Castelnuovo-Tedesco e il
chitarrista Segovia: la maggior parte delle composizioni edite mentre il compositore era ancora in vita sono state riviste
da Segovia che apportava tagli e modifiche a suo piacimento grazie alla sua fama e alla sua importanza come esecutore.
Il secondo caso è quello del celeberrimo concerto per pianoforte e orchestra in Si bemolle minore di Ciaikovski: nelle
varie versioni della composizione (se ne contano almeno tre, che vanno dal 1875 al 1889) i vari pianisti che si sono
succeduti nelle esecuzioni pubbliche hanno chiesto e ottenuto il permesso di operare una serie di modifiche per rendere
il brano più adatto ad essere suonato al pianoforte. Nonostante Ciaikovski non fosse sempre d’accordo con tali
modifiche, alla fine cambiò il testo musicale tenendo gran parte di queste, senza mai citare chi aveva davvero operato
questi cambiamenti (soprattutto nella terza edizione).
i differenti comportamenti da parte dei compositori nel conservare i loro manoscritti e la
loro preparazione per i posteri.
Per es. Brahms gettò via moltissimi manoscritti e alcune di queste opere sono arrivate a noi perché la sua governante le
recuperava; Beethoven, nel suo periodo giovanile, fa lo stesso e si deve al caso se alcuni amici del compositore hanno
fortunatamente recuperato e salvato moltissimo materiale compositivo. Alcuni autori invece, soprattutto in tarda età,
copiavano e catalogavano accuratamente le proprie composizioni, seppur con diverse metodologie.
1.2. Trasmissione
Per trasmissione si intende il viaggio del testo musicale attraverso la storia, dalla sua nascita fino ai
giorni nostri, dalla fissazione da parte dell’autore e dal viaggio dei vari testimoni nel tempo.
Per testimone si intende qualsiasi fonte che trasmetta il testo musicale: un manoscritto autografo
(cioè scritto dal compositore stesso), una copia, una stampa (se si tratta di una prima versione a
stampa curata dal compositore stesso siamo in presenza di una stampa originale) o qualsiasi altra
fonte mista che trasmetta il contenuto musicale.
La tradizione può essere:
Diretta: complesso di manoscritti e codici, stampe curate dall’autore, stampe postillate
dall’autore;
Indiretta: versioni alternative utili per ricostruire un testo lacunoso.
In questa fase assistiamo generalmente alla deformazione e alla modifica del testo musicale durante
la fase di copiatura. Ogni passaggio del testo musicale che si presenta in modi differenti nei vari
testimoni viene chiamato lezione: ciascuna di esse viene esaminata, confrontata e studiata dal
revisore.
Per “lezione” si intende ciò che si legge nel determinato passo di un testimone, in genere quando si
differenzia da altri testimoni. Può essere classificata in diversi modi, le più importanti delle quali
sono:
Lectio facilior o difficilior (la prima sostituisce la seconda nei casi in cui chi copia non
comprende ciò che sta copiando, spesso involontariamente e lo “banalizza”, cioè riporta
nella copia ciò che lui pensa di aver capito e non il testo originale. In questi casi è da
preferire sempre la lectio difficilior);
lezione sostanziale (che riguarda il contenuto del testo);
lezione accidentale (che riguarda solo l'aspetto o l'assetto grafico);
lectio singularis (lezione presente in un solo testimone).
In principio molte copie venivano tralasciate e svalutate nel lavoro di ricostruzione del testo,
considerate non importanti perché appartenenti a tempi ormai lontani; in un secondo tempo, tutti i
testimoni vengono rivalutati e considerati maggiormente, fondamentali per capire le prassi esecutive
di un dato periodo storico, le diteggiature o le arcate, ecc.
Durante il percorso del testo musicale possiamo avere varianti d’autore, cioè modifiche del testo
operate dall'autore in tempi diversi sulla sua opera, che possono essere: sostanziali, formali,
istitutive, sostitutive, alternative, destitutive o varianti di tradizione (innovazioni entrate nel testo
nel corso della tradizione o per consapevoli interventi interpretativi).
Il compito di chi si appresta a presentare un’edizione musicale è dunque quello di rintracciare tutti i
testimoni disponibili e analizzarli accuratamente.
La trasmissione di determinati repertori (come il canto gregoriano o le canzoni dei trovatori e dei
trovieri) si basavano sulla tradizione orale. È dunque necessario applicare vari modelli metodologici
a seconda dei vari generi o repertori: spesso è utile attingere da altri ambiti, come ad esempio le
metodologie letterarie, e adattarle alle varie situazione.
In alcuni casi abbiamo testimoni che sono vere e proprie trascrizioni, per esempio quando
incontriamo testimoni redatti in intavolatura oppure in forme di notazione differenti.
Importanti anche le tecniche di stampa utilizzate, soprattutto per la musica antica, poiché in molti
casi molte informazioni musicali vengono determinate proprio dal tipo di tecnica utilizzata o meno.
Le tecniche di stampa principalmente utilizzate sono la Xilografia, la Calcografia, la Litografia, la
stampa a caratteri mobili o tipografica.
In questa fase si ricostruisce l’ultima volontà dell’autore per arrivare al ripristino del testo nella
forma idealmente più vicina possibile alla stesura originaria d’autore. Non bisogna affidarsi
semplicemente ai testimoni migliori ma analizzarli uno per uno, traendone le varie lezioni, cercando
di stabilire le relazioni che esistono fra di essi.
I criteri utilizzati possono essere:
- esterni (desunti dall'analisi dei vari testimoni);
- interni (per esempio in presenza di lectio difficilior, dell'usus scribendi);
- degli errori comuni (analisi in base alla presenza o assenza di errori sostanziali nei vari
testimoni);
- dell'analogia (confronto delle lezioni con altre analoghe all'interno dello stesso testo come
ad esempio passi che si ripetono);
- della maggioranza;
- delle aree periferiche (la coincidenza in lezioni fra testimoni provenienti da aree periferiche
che siano indipendenti fra loro e che quindi testimoniano una genuinità delle lezioni stesse).
Per arrivare ad una edizione scientificamente valida è necessario passare attraverso 4 fasi distinte:
1.3.1. Recensio
È la recensione di tutti i testimoni esistenti. Si fa ricorrendo a repertori sia che i testimoni siano
integrali (diretta) sia che siano parziali (indiretta).
Una tradizione può essere rappresentata da più testimoni o da un testimone solo. Se c’è un solo
testimone il procedimento è relativamente più facile.
In presenza di una tradizione a più testimoni, si procede con la collatio.
1.3.2. Collatio
Mentre le parti uguali possono essersi mantenute indipendentemente nei diversi rami, è improbabile
che certi tipi di errori si siano prodotti indipendentemente. Bisogna perciò basarsi sugli errori
significativi, che possono essere separativi o congiuntivi. Secondo Paul Maas:
1) Errore congiuntivo: è quello che non può essere compiuto da due copisti indipendentemente, è
un errore monogenetico che ne decreta la dipendenza diretta di due testimoni;
2) Errore separativo: è quello che può essere stato corretto per congettura da un altro copista, così
il testimone che ne è privo è di fatto indipendente da quello in cui compare l’errore.
Tale operazione conduce alla compilazione di uno stemma codicum (albero genealogico della
tradizione manoscritta), secondo la corrente di Lachmann, detta anche “stemmatica”. Grazie ad
essa, il testo musicale viene ricostruito traendo le varie lezioni dai vari testimoni. Si individuano:
un archetipo, cioè il capostipite della tradizione posseduta, indicato con la lettera Ω, la cui
esistenza è dimostrata da almeno un errore congiuntivo comune a tutta la tradizione;
uno o più codices interpositi, cioè testimoni interposti tra l'archetipo e i manoscritti,
solitamente indicati l’alfabeto greco;
uno o più codici posseduti, indicati con l’alfabeto latino.
Si giunge così all’individuazione di più classi della tradizione: laddove una lezione sarà attestata
nella maggioranza delle classi, questa, secondo Lachmann, sarà la lezione corretta.
Non sempre la ricostruzione dello stemma codicum permette un’adeguata selezione delle lezioni: se
ci si trova di fronte ad una recensione aperta o orizzontale (se l'intera tradizione non deriva da uno e
unico archetipo), è necessario ricorrere a strumenti correttivi, cioè valutando quale tra le diverse
lezioni aderisca maggiormente all'abitudine stilistica dell'autore o quale sia la lectio difficilior.
La soluzione di Bédier consistea invece nello scegliere il più attendibile tra i testimoni realmente
posseduti e studiati, secondo il proprio gusto e dopo aver corretto solo gli errori più evidenti.
1.3.5. Emendatio
L’ultima fase è quella comunicativa, quella in cui si sceglie come presentare ai lettori il lavoro
effettuato. Una volta ricostruito il testo musicale attraverso i procedimenti visti in precedenza, si
pone il problema dell’elaborazione dei criteri editoriali, in cui il curatore dovrà trovare la maniera
migliore per far comprendere il senso dell’opera ai destinatari dell’opera stessa. Le difficoltà che
sorgono a questo punto possono essere di due tipi:
- la distanza della notazione antica da quella moderna;
- le aspettative di diverse tipologie di utenti, che va dallo specialista di un determinato
repertorio a chi invece non ha conoscenze così approfondite riguardo un repertorio in
particolare.
L'ideale sarebbe quello di poter avere differenti presentazioni di uno stesso testo musicale, per
andare incontro alle esigenze di differenti fruitori di una stessa pubblicazione. Ovviamente per
motivi economici e logistici questa soluzione è completamente inattuabile attraverso l'editoria
tradizionale ma potrebbe avere sviluppi futuri attraverso l'utilizzo del mezzo informatico,
presentando, insieme alla pubblicazione cartacea, un supporto con le versioni alternative di
pubblicazione. Con tale procedimento potrebbe essere utile fornire anche i vari testimoni utilizzati
in forma digitale.
Un primo passo verso questa direzione è stato fatto recentemente dalle edizioni Breitkopf con la
pubblicazione della nuova Orgelwerke di J.S. Bach: tutti i volumi sono accompagnati da un CD rom
contenente versioni alternative sia in formato pdf che in un formato proprietario che, con un
interessante software, evidenzia le differenze fra le varie lezioni dei testimoni presenti.
2. Versione d’ultima mano (o ultima volontà d’autore)
Nella filologia musicale ricopre fondamentale importanza il concetto di versione d’ultima mano (o
ultima volontà dell’autore) ed è su questo importante concetto che si basano le edizioni critiche e
tutte le edizioni con un fondamento scientifico, come ad esempio le edizioni Urtext. Quello che può
sembrare un concetto del tutto scontato, in realtà non lo è affatto e il musicista si trova spesso
davanti a molteplici versioni di una stessa opera musicale, affrontando non poche difficoltà nello
stabilire se un’edizione musicale sia migliore o meno rispetto ad un’altra.
Una composizione può pervenirci in più versioni per vari motivi: per migliorare in qualche modo la
versione precedente, come adattamento dovuto a realtà extramusicali (per es. l’organico variabile di
un'orchestra), i desideri particolari di un solista o di un cantante, andare incontro al favore del
pubblico, ecc.
Bach fa parte di quella schiera di musicisti che continuano a rimaneggiare il proprio lavoro, senza in
realtà pensare o considerare che una composizione musicale possa essere in qualche modo
“terminata”, anche perché l’esecutore, in quel periodo, poteva aggiungere abbellimenti, passaggi,
note per completare l'armonizzazione.
La scrittura musicale lascia ampio spazio all’esecutore: il fraseggio non è mai indicato salvo
rarissime eccezioni, l’andamento ritmico spesso è sottointeso, il punto di valore che non si metteva
mai alle pause, ecc. Ciò che viene scritto non sempre è ciò che bisogna eseguire.
Molte forme musicali si basavano su melodie già esistenti (come i corali Luterani e le trascrizioni di
concerti adattati al clavicembalo e all’organo). In moltissimi brani per strumento solista e
accompagnamento o nei lavori orchestrali è presente la prassi del “basso continuo”, che consiste nel
realizzare in maniera estemporanea un accompagnamento basandosi sulla linea del basso, aiutati
talvolta da alcuni numeri posti dal compositore che suggeriscono le armonie da utilizzare (ma che
spesso sono assenti, come nel caso di Vivaldi).
A fianco della produzione musicale scritta esisteva anche una tradizione legata all’improvvisazione,
che probabilmente costituiva la maggior parte delle esecuzioni del tempo.
In questo contesto pensare ad una versione definitiva e non più modificabile è del tutto estraneo al
pensiero dei musicisti e continuare a lavorare su un’opera già finita è la regola. Spesso Bach apporta
modifiche ad un suo manoscritto senza riportare le stesse modifiche sulle altre copie già esistenti,
apportando nuove modifiche ad una versione precedente in un secondo tempo, rendendo il lavoro
dei musicologi davvero difficile.
Inoltre le stampe erano rare all’epoca e solo una parte delle composizioni bachiane sono state
stampate mentre il compositore era ancora in vita: infatti dare alla stampa una composizione mette
la stessa secondo una diversa luce per l’autore, considerando che sarà molto più diffusa. Solo in
tarda età Bach cerca di raccogliere dei gruppi di composizioni che riteneva migliori, apportando
anche alcune modifiche per cercare di darle alle stampe, come per esempio la raccolta dei corali
dell'autografo di Lipsia (che Bach non riuscì a vedere stampata). In questi casi è semplice affermare
che si tratta di versioni definitive.
2.2. Mozart
Per quanto riguarda Mozart, lui considerava la prima versione delle sue opere. Egli, notoriamente,
aveva una scrittura chiara e senza correzioni fin dalla prima stesura in quanto in realtà, nel momento
in cui scriveva, aveva già chiara in mente la versione definitiva. Inoltre, una delle sue peculiarità più
grandi era quella di scrivere le parti solistiche pensandole e costruendole musicalmente direttamente
per i cantanti o gli strumentisti che le avrebbero eseguite per la prima volta.
2.3. Beethoven e il periodo classico
Beethoven lavorava su una composizione, intervenendovi ripetutamente per affinare il suo lavoro,
fino a quando non si riteneva completamente soddisfatto del risultato raggiunto. L'ultima forma è
dunque la versione definitiva anche se in realtà a volte è accaduto il contrario, come nel caso della
Quinta Sinfonia, la cui edizione definitiva presenta delle notevoli differenze rispetto alle prime
copie stampate. Quando, alla fine del processo creativo, una composizione era terminata, la
preoccupazione principale di Beethoven diventava quella di trovare un editore per farla pubblicare
in quanto la sua sopravvivenza dipendeva anche dal riuscire a vendere la propria musica.
Beethoven visse in un periodo durante il quale vi fu un radicale cambiamento nei modi di diffusione
e di pubblicazione della musica. Se ai tempi di Bach, poco più di cinquanta anni prima, era molto
difficile avere una propria composizione stampata, la pubblicazione degli spartiti musicali si fece
sempre più frequente e diffusa proprio durante il primo ventennio del 1800. Gli stampatori e gli
editori crebbero di numero mentre i costi di stampa si andavano riducendo. Nel 1800 non esisteva
ancora la legislazione sui diritti d’autore e di solito le cose andavano così: una nuova opera veniva
spesso ceduta a un ricco mecenate (che poteva esser stato il committente) per una certa somma e per
un certo periodo di tempo durante il quale il mecenate poteva farla eseguire quanto voleva nei suoi
palazzi, dalla sua orchestra o dai musicanti al suo servizio. Trascorso il tempo pattuito il
compositore ne tornava in possesso e poteva cederla ad un editore. L’editore che la acquistava (e
questo valeva anche per opere non commissionate) pagava al compositore una certa cifra, una sola
volta: da quel momento in poi l’opera diventava di sua proprietà e l’editore ne faceva la prima
edizione. Questo implicava il fatto che un musicista non potesse vendere una stessa opera a più
editori contemporaneamente e per contro avrebbe anche dovuto significare che era proibito, ad altri
editori, impossessarsi dell’opera e stamparla per proprio conto. Questa regola veniva in genere
rispettata entro i confini di una nazione, ma editori di altri paesi potevano tranquillamente
ristampare l’opera e non avendo dovuto sostenere spese pagando l’autore, rivenderne le copie a
prezzo inferiore rispetto all’editore che ne era diventato proprietario. Ma le edizioni abusive nella
stessa nazione, che venivano anche allora definite “pirata”, erano all’ordine del giorno.
Un esempio emblematico fu quello dell’op.29, il Quintetto per archi. Beethoven lo aveva dato in uso per sei mesi
(dietro pagamento di un onorario) al Conte Fries e alla scadenza dei termini lo aveva ceduto all’editore Breitkopf e
Härtel. Ma, nel frattempo, Artaria ne aveva fatto un’edizione pirata, sostenendo di averlo acquistato dal Conte che,
avendolo pagato a Beethoven ne era divenuto il proprietario e quindi aveva il diritto di rivenderlo. Secondo Artaria,
dunque, la loro edizione era del tutto legale.
Schumann affermava che “la prima concezione di un’opera è sempre la più naturale e la migliore.
La ragione sbaglia, il sentimento no.” Lo “stato d'animo straordinario” del musicista riusciva a
trovare, attraverso l'ispirazione del momento, l'idea geniale dello spunto musicale; ogni tentativo di
raffinare o dare una forma più aderente ad una struttura musicale avrebbe compromesso la
freschezza delle idee dettate dall'istinto musicale.
Schumann stesso però, nelle sue Sinfonie, si è completamente dissociato dalla sua stessa idea, tanto
che la sua Seconda Sinfonia è stata rimaneggiata e ripensata talmente tante volte da divenire poi la
Quarta, cedendo il posto di Seconda Sinfonia ad una composizione scritta cronologicamente più
tardi (anche per questo motivo, spesso, le incisioni discografiche delle 4 Sinfonie di Schumann si
trovano nell'ordine 1-4-2-3). Inoltre alcune abilità e miglioramenti compaiono inevitabilmente con
la pratica e l'esperienza, come ad esempio l'arte dell'orchestrazione, che migliora con le prove e i
suggerimenti dei musicisti che eseguono le composizioni, ascoltando nella pratica il risultato di ciò
che si è scritto.
2.5. Autografo e prima edizione a stampa
Un altro concetto molto importante nella filologia è il ruolo dell'autografo in relazione alla prima
edizione a stampa. Spesso si è optato per una sovravalutazione dell'autografo mentre può accadere
che la vera versione d'ultima mano si debba cercare nella prima edizione a stampa. Per capire
questo concetto bisogna pensare al rapporto fra compositore e bozze di stampa e alla loro revisione.
In genere, i compositori difficilmente consegnavano il proprio autografo direttamente agli editori e
quasi sempre ne facevano una copia apposita da consegnare per i lavori di stampa. Durante il lavoro
di copiatura, anche in vista dell'approssimarsi della pubblicazione, il compositore era tentato di
apportare qualche piccola modifica alla propria composizione e, spesso queste modifiche non
venivano riportate nell'autografo principale. A volte il compositore apportava le ultime modifiche
proprio mentre venivano realizzate le bozze di stampa e inseriva le ultimissime modifiche
direttamente su quest'ultime, senza riportarle poi nelle copie effettuate o nell'autografo. Purtroppo,
generalmente le bozze di stampa venivano distrutte una volta stampata la composizione per cui si è
perso un patrimonio di inestimabile valore ai fini della ricostruzione del testo definitivo di
moltissime composizioni. In alcuni casi tali modifiche, così come la correzione di errori di stampa,
venivano scambiate fra compositore ed editore per posta: sono pervenute a noi molte di queste
lettere, poiché la corrispondenza veniva archiviata con più cura.
La diffidenza verso la prima edizione a stampa e la sovravalutazione dell'autografo si deve, in parte,
anche alla figura del teorico musicale viennese Heinrich Schenker, che può essere considerato il
padre delle edizioni Urtext. Analizzando gli autografi di Beethoven, aveva notato delle finezze di
grafia che venivano riprodotte in maniera parziale o equivoca nelle stampe originali anche se
realizzate sotto il controllo di Beethoven, spesso anche a causa degli strumenti e delle tecniche di
stampa allora utilizzate. La sua scelta ricadde spesso sull'autografo a scapito della prima edizione a
stampa e, così facendo anche in virtù della sua autorità, influenzò numerosi editori, che seguirono la
corrente da lui generata. Inoltre, il pensiero di Schenker ha generato la convinzione del “concetto di
compiutezza”, partendo dal presupposto che i capolavori trovino sempre una forma definitiva anche
nel più piccolo dettaglio, per cui ogni nota e ogni sfumatura espressiva riceverebbe una propria ed
immutabile collocazione da parte dell'autore. Questo, come abbiamo visto, è probabilmente vero nel
caso di Beethoven ma applicarlo a quello di Bach sarebbe disastroso.
E' interessante capire come un’edizione critica ben curata basata su testi che tramandano l'ultima
volontà d'autore dia all'interprete una chiave di lettura e un approccio diverso e più vicino al gusto
dell'epoca e dello stile nel quale è stato composto, generalmente dando al brano una
caratterizzazione e una resa migliore.
Esiste una classificazione per i diversi tipi di testi musicali in edizione, questi sono detti:
1. edizione pratica;
2. edizione diplomatica;
3. edizione interpretativa o diplomatica/interpretativa;
4. edizione anastatica;
5. edizione urtext;
6. edizione critica.
Con il termine “edizione pratica” ci si riferisce ad un tipo di pubblicazione rivolta generalmente agli
studenti o ad esecutori amatoriali, basate generalmente su una vulgata corredata da una serie di
indicazioni per l'esecuzione, come ad esempio arcate, fraseggi, segni di dinamica, esecuzione per
esteso di abbellimenti quali mordenti, etc.
Così la volontà dell'autore viene completamente ignorata e scavalcata dall'interpretazione voluta dal
curatore, che generalmente è un musicista o un didatta molto conosciuto.
I problemi principali di questo tipo di edizione sono due:
- l'impossibilità di stabilire cosa effettivamente sia stato scritto dall'autore;
- lo stile con cui sono state effettuate tutte le aggiunte: spesso queste rispecchiano il gusto di
un’epoca e stravolgono l'intenzione originale, soprattutto per le revisioni curate dall'inizio
del 1900 fino agli anni ‘70/’80, in cui la filologia musicale era ancora ben lontana dal gusto
e dalle abitudini dei musicisti.
Gli autori che più vengono snaturati da questo tipo di edizione sono quelli più lontani nel tempo,
come ad esempio Bach, sia per la differenza e le problematiche di esecuzione legate alla filologia
musicale, sia per la scarsa o totale assenza di segni di dinamica e agogica presente negli originali.
Non sempre un’edizione pratica equivale ad un’edizione scarsa, in alcuni casi potrebbero fornire
indicazioni preziose, per es. se sono state redatte da allievi diretti del compositore (soprattutto se
dell'epoca romantica o tardo romantica), ma generalmente ci si trova di fronte ad un testo non
consono alle esigenze di un musicista professionista, condotto arbitrariamente senza nessun
confronto con i testimoni.
Con questo termine ci si riferisce ad un’edizione a stampa che ripropone fedelmente un singolo
testimone nella sua interezza e senza nessun altro tipo di intervento. La sua utilità è quella di
riproporre un testo unico particolarmente importante o prezioso. Consiste sempre in una trascrizione
a stampa di un testimone, sia esso un manoscritto o una precedente stampa.
L’edizione viene detta “diplomatica-interpretativa” quando, per motivi di scarsa leggibilità, di
correzione di errori evidenti, di lacune nella fonte (buchi nella carta, macchie, parti illeggibili) è
necessario un intervento di interpretazione da parte del curatore.
L'edizione anastatica, anche detta facsimile, è basata sulla riproduzione con tecniche fotografiche di
un singolo testimone: in questo modo vengono trasmessi non solo i contenuti ma anche la forma e
tutti i particolari della notazione musicale dell'originale. Sostituiscono con vantaggio le vecchie
edizioni diplomatiche, ma per loro natura mantengono inalterate anche eventuali lacune del testo
originale, rendendo a volte problematica la corretta interpretazione dell'opera per problemi di lettura
di eventuali passi di difficile comprensione. Generalmente non sono corredate da altre indicazioni,
per questo motivo sono spesso fonte di discussione da parte dei musicologi e dei musicisti più
esigenti che vorrebbero almeno una giustificazione riguardo la scelta del testimone pubblicato;
questo infatti potrebbe essere stato scelto perché il più autorevole, il più leggibile oppure il solo
accessibile. L'ideale sarebbe quello di avere un minimo apparato critico per essere inquadrato
all'interno della storia della tradizione del testo a cui appartengono.
Le edizioni urtext (letteralmente “testo originale”) nascono dall’esigenza di riportare in primo piano
il pensiero dell’autore che, con le edizioni pratiche, era andato perduto a favore dei vari stili
musicali dei revisori. Spesso le edizioni pratiche contengono errori che si tramandano da edizione in
edizione e la stratificazione dei vari segni di agogica, espressione e fraseggio rende impossibile
stabilire cosa realmente avesse scritto il compositore e cosa invece fosse stato aggiunto dal revisore.
Con questa premessa nascono le edizioni urtext che si prefiggono lo scopo di mettere in primo
piano la fonte autentica, utilizzando di norma un testimone autorevole e corredandolo poi di
indicazioni eventuali per la diteggiatura. Tutti i simboli eventualmente aggiunti per aiutare
l’esecutore (generalmente molto rari) vengono evidenziati in maniera inequivocabile con parentesi
quadre o da un diverso carattere. È ovvio dunque che, in mancanza di un testimone autorevole, non
si potrà avere una vera edizione urtext. Per essere efficace, la pubblicazione del testo musicale
dovrà essere preceduta da uno studio attento dei testimoni disponibili. La principale differenza tra
l'edizione urtext e l’edizione critica è che quest’ultima nasce per riuscire ad ottenere un risultato che
si avvicini il più possibile all’ultima volontà dell’autore, studiando ed esaminando tutti i testimoni
che ci sono pervenuti. Ultimamente le edizioni urtext si sono evolute e sempre di più vengono
spiegati e argomentati i criteri editoriali utilizzati, comprendendo anche un apparato critico di
ridotte dimensioni.
Per edizione critica di un testo si intende una pubblicazione del testo stesso mirante a ristabilirne la
forma originale, il più possibile rispondente alla volontà dell'autore, sulla base dello studio
comparato (collazione) di ciascun passo dei diversi testimoni diretti e indiretti esistenti, siano essi
manoscritti o testi a stampa. L'edizione si presenta perciò con un apparato critico che riporta le
lezioni varianti.
La notazione musicale si può equiparare alla grammatica, ci indica come scrivere la musica ma non
ci indica dove e come mettere esattamente i simboli; questi dettagli fondamentali sono regolati dalla
tipografia musicale. Un occhio allenato è in grado di individuare facilmente l’editore di una
pubblicazione dando un semplice sguardo alla partitura. Per la maggior parte dei musicisti, invece,
l’aspetto puramente tipografico della partitura può sembrare sempre lo stesso, anche perché un buon
lavoro di tipografia non deve essere visibile ad un occhio non allenato e risalta solo quando non è
ben curato. Esistono ben pochi testi che hanno per argomento la tipografia musicale in quanto la
tradizione è stata tramandata per secoli principalmente in forma non scritta. La maggior parte di
queste regole sono state definite nel XIX secolo, quando le pubblicazioni musicali avevano
raggiunto un livello qualitativo molto alto.
La tipografia musicale è un’arte molto raffinata, che racchiude moltissime regole. I programmi di
notazione musicale professionali generalmente fanno un buon lavoro, ma non sono perfetti tipografi
musicali. Infatti, alcune regole sono troppo vaghe per poter essere gestite da un computer e non
sempre valide, richiedendo dei piccoli aggiustamenti manuali da parte dell’uomo.
La notazione musicale, altrettanto, segue regole comuni e linee guida, cosicché la musica sia
eseguita con successo. Le regole non potranno necessariamente fornire la risposta più opportuna ad
un problema. Le scelte che dovranno essere fatte dipenderanno unicamente dalle varie situazioni.
Elencare tutti gli esempi musicali che sono eccezioni alle regole potrebbe essere un compito senza
fine. I problemi sono solitamente risolti decidendo di volta in volta quale regola è più flessibile,
tenendo sempre come punto più importante la chiarezza.
Molte di queste regole potrebbero non essere valide in maniera assoluta nel caso di testi antichi: in
tali edizioni, molti degli elementi della scrittura originale devono essere preservati, come ad
esempio il mantenimento dei raggruppamenti dei valori inferiori al quarto, l’uso delle alterazioni,
un’indicazione metrica non più in uso o che non rispecchia esattamente il significato moderno...
Nonostante alcuni meticolosi aggiustamenti possono chiarificare e rendere più elegante la
notazione, alcune volte queste attenzioni al dettaglio non sono pratiche.
Come abbiamo detto la musica deve sempre apparire con la massima chiarezza: nessun’altra regola
può superare questa per importanza, infatti se qualcosa appare poco chiaro, appare non corretto.
E’ per questo motivo che spesso si ricorre ad aggiustamenti finali “ad occhio” a cura dell’uomo e in
tutte le situazioni in cui nessuna specifica regola sia stata definita, il consiglio è sempre di
correggere manualmente.
La seconda regola per importanza è evitare sovrapposizioni, così come la maggior parte delle regole
di tipografia musicale: quando i simboli musicali vengono sovrapposti diventa sempre di difficile
comprensione e poco chiari.
L’obiettivo della tipografia musicale è quello di permettere di leggere una partitura senza troppe
difficoltà, senza dovervi ogni volta sforzare di capire che tipo di ritmo o di accordo ci sia raffigurato
o di capire quale nota viene usata in una linea melodica particolare. Al contrario, una partitura poco
curata dal punto di vista tipografico e quindi poco chiara, potrebbe generare errori gravi di lettura e
quindi di esecuzione.
Tra i moderni segni musicali per le alterazioni vi sono il diesis, il bemolle e il bequadro.
Durante il medioevo, per indicare le note musicali si utilizzavano le lettere dell’alfabeto e l’unica
alterazione concessa era il si, che veniva contrassegnato con la lettera b; attraverso la distinzione di
quest’ultima in tonda(o molle) e in quadra(o dura). Con la b tonda si soleva indicare il si bemolle,
con la b quadra il si naturale.
Le moderne alterazioni derivano, proprio, dalla trasformazione ed evoluzione di questi due simboli
medioevali: la b molle divenne il bemolle, la b dura si trasformò sia in bequadro che in diesis.
Attraverso queste moderne alterazioni si poterono abbassare o innalzare di un semitono tutte le note
di una scala. Solo quando si affermò il temperamento equabile, che vide la scala musicale divisa in
12 semitoni tutti uguali tra di loro, si diffusero il doppio diesis e il doppio bemolle. Tutto questo per
poter comporre musica in tutte le 12 tonalità maggiori e minori. Volendo, ad esempio, comporre un
brano in do diesis maggiore, che ha 7 diesis in chiave, è possibile alterare una nota facendo uso del
doppio diesis o del doppio bemolle.
Di seguito sono elencate le convenzioni pratiche più importanti:
Le alterazioni di cortesia possono essere poste fra parentesi oppure utilizzate senza parentesi, a
discrezione dell’editore. Le parentesi aiutano a riconoscere le alterazioni di cortesia rispetto a quelle
temporanee, ma in molti casi occupano troppo spazio e rendono la lettura più complicata.
Per intervalli di sesta (se non collidono fra loro) e per intervalli più grandi le alterazioni vengono
allineate fra loro:
Per accordi di più di 4 note molto complessi, le regole vanno considerate più come linee guida o
suggerimento. Mantenere il posizionamento delle varie alterazioni il più compatto possibile, e
soprattutto il più facile possibile da leggere per ogni situazione. Cercare di mantenere allineate
l’alterazione superiore e inferiore quando possibile. Cercare di mantenere allineate le alterazioni a
distanza di una ottava quando possibile.
Passaggi cromatici
Temperamenti ed accordature
Nel XX secolo si cominciano ad utilizzare nuovi segni come le alterazioni riguardanti i quarti di
tono o gli ottavi di tono, che provengono da simboli conosciuti con l’aggiunta di piccole frecce o
linee. Vengono chiamati Monesis, Triesis, Mobemolle, Tribemolle, Sori, Koron.
Alterazioni antiche pag. 72
Tra il 1400 e il 1600, le uniche alterazioni utilizzate, che di solito venivano poste alla sinistra delle
note, erano il diesis e il bemolle. L’alterazione non si riferiva a tutte le note ma soltanto alla nota
sulla quale era posta; solo in caso di trilli veniva ripetuta. Per annullare un’alterazione si utilizzava
l’alterazione opposta che fungeva da bequadro.
ALTERAZIONI IN CHIAVE
Alcune regole:
1- il cambio di alterazioni è generalmente preceduto da una doppia barra semplice
2- se il cambio avviene all’inizio di un pentagramma o sistema, posizionare le alterazioni di
cortesia alla fine del pentagramma precedente
3- lasciare il pentagramma aperto dopo le alterazioni di cortesia
4- indicare le nuove alterazioni nel pentagramma seguente
Casi particolari
Nelle fonti antiche, in caso di edizioni critiche, gli stangoni seguono dei criteri diversi; solitamente
vengono mantenuti i raggruppamenti originali. Un classico esempio è dato dalla presentazione in
edizione moderna di intavolature italiane del ‘600, dove il raggruppamento o lo scioglimento dei
gruppi di note suggerisce visivamente se eseguire le note in maniera legata o staccata con notevole
precisione.
La trascrizione che ricalca fedelmente i raggruppamenti originali:
Un altro esempio è rappresentato in Bach, dove i raggruppamenti degli stangoni delle note,
unitamente alla direzione delle gambette, suggerisce la divisione dei passaggi fra le due mani e
influenza indirettamente il fraseggio:
Nella musica vocale, le legature di frase indicano un melisma(due o più note cantate con la stessa
sillaba). Le sillabe sono posizionate verso sinistra sulla prima nota. Le legature vengono utilizzate
raramente perché dipende tutto dal fattore più importante e cioè il fiato. A tal proposito possono
essere utilizzate le legature tratteggiate per indicare il diverso posizionamento di liriche in caso di
versi multipli.
Metriche antiche
Anticamente esisteva una suddivisione binaria e una ternaria di un valore. Per indicare l’uno o
l’altro non esisteva un simbolo grafico preciso o comunque poteva avere diversi significati.
La suddivisione veniva indicata dal simbolo metrico mensurale che, solitamente, veniva posto
all’inizio del brano o della sezione alla quale si riferiva.
Vi era il TEMPUS, che se suddiviso in due parti era IMPERFECTO(simbolo di un semicerchio), in
tre parti era PERFECTO(simbolo di un cerchio).
La PROLATIO(ulteriore suddivisione della semibreve) poteva essere PERFECTA(suddivisione in
tre) e si indicava con un puntino al centro del cerchio o semicerchio, e IMPERFECTA(suddivisione
in due) indicata da un semicerchio o un cerchio.
Si potevano dunque avere differenti combinazioni delle suddivisioni come mostra il seguente
specchietto (nell’ordine Tempus perfecto con prolatio perfecta, Tempus imperfecto con prolatio
perfecta, Tempus perfecto con prolatio imperfecta e Tempus imperfecto con prolatio imperfecta):
La durata effettiva dei valori dipendenti da una misura ternaria poteva poi essere modificata dalle
leggi della IMPERFECTIO e della ALTERATIO.
IMPERFECTIO: un valore ternario (perfetto) poteva essere reso binario (imperfetto) nei seguenti
casi (le cifre poste sopra le note danno la durata relativa effettiva):
ALTERATIO: un valore poteva essere alterato, ossia raddoppiato nella durata, quando la situazione
rendeva necessaria il completamento di una metrica ternaria:
Accanto ad una scala di valori bianchi esisteva una scala di valori neri che valevano i 2/3 delle note
bianche corrispondenti. Se erano binari, nelle misure ternarie, annullavano le leggi della
IMPERFECTIO o della ALTERATIO, mentre in quelle binarie costituivano gruppi ritmici come le
attuali terzine.
Strumenti traspositori
Per strumento traspositore si intende una strumento che produce note diverse da quelle scritte in
partitura. Vi è una motivazione storica: anticamente, agli ottoni(ai corni in particolare) si
applicavano dei ritorti per abbassare il diapason. Il cornista doveva “allungare” lo strumento
applicando un ritorto più lungo. Anche i legni antichi, privi di chiavi e, quindi, essenzialmente
diatonici, erano poco adatti a suonare in tonalità con molti diesis o bemolli. L’uso di ritorti, come la
costruzione di strumenti tagliati in determinate tonalità modificava lo strumento timbricamente. Con
l’evoluzione storica dello strumento, alcuni tagli presero il sopravvento, sia per una questione di
praticità, sia per caratteristiche timbriche. Tutto ciò si applica ancora oggi e permette all’esecutore
di cambiare strumento facendo corrispondere ad una nota scritta la stessa posizione delle dita.
Le "chiavi antiche"
Compito del compositore è quello di segnare le note con la giusta trasposizione per ogni strumento,
modificando opportunamente l'armatura in chiave. Leggendo la partitura al pianoforte bisognerà
compiere il percorso inverso, riportando la notazione convenzionale a quella "standard" in do. Per
fare questo un utile mezzo è quello delle cosiddette chiavi antiche. Si sostituisce mentalmente la
chiave presente all'inizio del rigo con quella più opportuna all'interno del setticlavio: la nota scritta
in una determinata posizione assume cosi il nome della nota "reale".
Portiamo come esempio i sassofoni che sono degli strumenti "traspositori". Questo significa che il
nome della nota scritta non è lo stesso di quella che si ascolta, e cioè:
Quando il sassofono contralto suona un DO, si ascolta un MI bemolle (da qui il suo nome:
sassofono contralto in MI bemolle).
Quando il sassofono tenore suona un DO, si ascolta un SI bemolle (da qui il suo nome:
sassofono tenore in SI bemolle).
Quando il sassofono soprano suona un DO, si ascolta un SI bemolle (da qui il suo nome:
sassofono soprano in SI bemolle).
Quando il sassofono baritono suona un DO, si ascolta un MI bemolle (da qui il suo nome:
sassofono baritono in MI bemolle).
Dinamiche e indicazioni di tempo si trovano sopra il pentagramma per evitare conflitti con le
liriche. Le legature di frase vengono utilizzate per indicare i melismi. Per le note, che non fanno
parte di un melisma o che non sono legate, le parole vengono centrate rispetto alla testa della nota.
Se il melisma o la legatura di valore sono estremamente lunghe si possono usare più trattini.
La notazione (senza l’aggiunta del termine “musicale”) indica una modalità operativa che riconosce
principalmente due istanze:
- Economica: di accumulo per un fine conservativo;
- Temporale: in quanto è sempre necessario conservare qualcosa del periodo precedente.
La notazione implica una processualità importante della semiosi in quanto produzione del segno.
La nota è il segno di qualcosa, con un’istanza funzionale/relazionale (la loro compresenza è
indispensabile nella definizione di segno); il segno si costituisce come nota a proposito di qualcosa,
con una qualità ermeneutica (continua interpretazione non solo dei testi ma anche dell’intera
esistenza umana).
Dalle considerazioni sulla notazione emergono alcuni elementi:
- la sua secondità: come differenza situata nello spazio e nel tempo (la costituzione di ciò che
nota rispetto a ciò che viene notato);
- la sua terzità: la mezza via tra due istanze, cioè chi nota e ciò su cui si effettua la notazione.
Se si mantiene il termine “notazione”, è per una duplice finalità:
- stabilire un legame con qualcosa di più empirico, nel quale non si può prescindere dal
termine “notazione musicale”;
- definire esattamente il termine “segno”, che trova risposta nella semiotica (studio del
funzionamento dei segni).
La notazione del Novecento rappresenta sicuramente un problema, sia osservandone le partiture che
considerando il dibattito svoltosi intorno ad esse.
Ne derivano due conseguenze:
- escludere l’ultimo ventennio dalla considerazione delle opere del Novecento;
- l’aspetto archeologico della ricerca che comincia dal reperimento delle fonti.
L’affievolirsi del dibattito sopracitato e di una produzione che mettesse la scrittura al centro,
coincide con l’avvento della teorizzazione lyotardiana sul post-moderno (es. considera Cage post-
moderno); Nyman, invece, assimilerebbe Cage ai colleghi europei dell’avantgarde.
3 P. 6: da Ambrosini, 1979, p. 30
Trattare la notazione non è semplice ed in questo particolare periodo vanno tenuti in considerazione
alcuni aspetti: si passa dalla musica elettronica alla poesia, all’Augenmusik, dai multi-media alla
pedagogia, ecc.
E’ forse possibile, però, una prospettiva unitaria che tiene conto di:
- rapporto tra musica e scrittura (latu sensu);
- rapporto storiografico, fondamentale nella considerazione di compositori e pensatori al
riguardo.
La storia della notazione non coincide con la storia dell’organizzazione del materiale sonoro. Infatti,
nella storia della musica occidentale si sono verificati solo tre cambiamenti se miografici:
- dalla monodia alla polifonia (con l’adozione della mensura e della diastemazia);
- dalla polifonia orizzontale al predominio armonico (con venuta della partitura);
- negli anni ’50 con aumento della precisione ed estetica dell’ambiguità.
La notazione moderna degli anni ’60 si è dimostrata uno strumento perfetto e preciso che si presta
anche all’improvvisazione. Basti pensare al manuale di Risatti (1975) che nelle sue prime pagine
indica tredici metodi diversi per individuare le durate.
Nei primi Klavierstucken di Stockhausen vengono sfruttate tutte le possibilità del temperamento
equabile, nella stessa maniera di un mottetto di Palestrina, pensato per la giusta intonazione: è un
dato importante non per il sistema composizionale ma per quello del suono.
Considerato il rapporto tra scrittura e notazione, si pensa alla seconda in quanto evoluzione della
prima. Parlare di scrittura implica una scrittura alfabetica attraverso una catena lineare divisa in
fonemi: relativamente alla notazione, si pone come trascrizione del suono.
La notazione musicale, nello specifico, fa corpo con ciò che s’intende per musica. La costruzione di
una notazione implica la formalizzazione di un sapere, così come un sapere si organizza in una
forma. Inoltre, la notazione contemporanea è particolarmente legata alla formulazione teorica ed
estetica, come si è manifestata diversamente in Cage, Boulez, ecc. Una notazione, come ogni segno,
è una cristallizzazione di conoscenza non riducibile al solo segno ma con un intero background di
tecnica compositiva che è impossibile escludere.
È necessario precisare che:
- la notazione, una volta appuntata, può risultare disponibile anche per successive funzioni: si
pensi a come essa è stata utilizzata nel tempo ed in contesti diversi;
- non esiste un rapporto di necessità (eccetto per i riferimenti alla storia) tra una modalità
compositiva e una notazione ma questo non implica che una possa essere costruttiva verso
l’altra e viceversa.
Il meccanismo cambia se si predispone una determinata notazione per ogni opera: in questo caso si
parla di approccio “transduttivo” alla semiotica: l’indicazione di Jakobson, per la quale quasi
sempre è possibile la traduzione da una lingua ad un’altra, viene assunta come possibilità
conoscitiva generale, per cui è possibile assegnare una certa notazione ad una precisa composizione.
Quindi, quando parliamo di concezione linguistica della notazione, intendiamo una trascrizione
analitica di elementi sonori pertinenti, sulla base di modelli alfabetici e di una teoria di riferimento.
Invece, per concezione non linguistica della notazione, intendiamo tutte le trascrizioni che non
facciano riferimento allo sviluppo sonoro nel tempo.
Sempre in relazione alla scrittura, Hjelmslev ha potuto constatare una priorità dello scritto sul
parlato, sottolineando in tal modo:
- la possibilità di cogliere la materia attraverso una forma (nella sua linguistica, il segno
risulta una combinazione funzionale tra forme, o meglio, tra i due piani di espressione e
contenuto);
- assume un valore generale dovuto all’esperienza.
La notazione musicale opera allo stesso modo: effettua la funzionalizzazione tra i due piani di
espressione e contenuto, che determina la solidità del segno.
Ma in che senso la notazione è il piano dell’espressione di un contenuto? Qual è il contenuto di una
notazione?
Es. Radicalità di Cage: la notazione consiste nei fogli trasparenti che recano linee e punti tali da
sovrapporsi casualmente. Il piano dell’espressione consiste nell’aspetto segnaletico, non formale.
Si identifica una notazione (o un segno) come una correlazione di forme che proiettano su una
materia.
Prieto, invece, ha potuto rimarcare come un criterio d’identità non dipenda dall’oggetto ma dal
punto di vista (dalla “pertinenza”): in questo senso, i modi di concepire e conoscere la realtà
materiale non diventano significativi ma fanno già parte della stessa costruzione.
Una notazione musicale si identifica come chiara (“un’ineludibile pertinentizzazione”), in modo che
al suo interno nulla sia superfluo.
Come afferma Eco si viene a creare un processo testuale all’interno del quale vi è una sorta di
manipolazione tecnologica della scrittura stessa.
Una pratica legata alla testualità la si può trovare nella notazione per la musica elettronica, dove non
esiste una definizione grammaticale di molte pratiche notazionali strumentali(musica acusmatica).
Quello che caratterizza e definisce la musica elettronica è la mancanza di un criterio omogeneo
socialmente condiviso. In riferimento alla tape music, ciò significa che la notazione è variabile e
manca un sistema teorico condiviso che in una prospettiva grammaticale, ha definito la notazione
tradizionale.
La difficoltà si può ravvisare anche da un punto di vista merceologico. King(1985) ricorda che
l’opera di Stockhausen “Kontacte”non si sarebbe potuta stampare da alcun originale( il metodo più
facile fu la fotolitografia).
“Se l’ipercodifica procede da codici esistenti a sottocodici più analitici, l’ipocodifica procede da
codici inesistenti(o ignoti) a codici potenziali e generici”(Eco, 1975). Si tratta di un “duplice
movimento, che sostanzia l’attività della produzione segnica”. Considerando la coppia testo-
grammatica è possibile attribuire una stretta relazione senza che ci sia ipercodifica e grammaticalità,
da una parte, e ipocodifica e testualità, dall’altra.
La crisi della Tonalità e l’impiego sempre più diffuso di Modulazioni temporanee ha portato ad una
situazione di disagio. A tal proposito, possiamo considerare la notazione tradizionale come modello
scrittorio sostanzialmente alfabetico, e come tale, è possibile constatare una situazione simile a
quella che avviene nelle varie fasi di storicizzazione dell’ortografia. Ci si avvicina, ad una minore
corrispondenza lettera-fonema e si tende ad avvicinarsi ad una situazione sempre più geroglifica.
Dal 900 al 1600, il vero problema della notazione era stabilire graficamente i valori di tempo e i
rapporti tra loro; il problema di stabilire l’altezza dei suoni era stato superato prima che la musica
polifonica cominciasse a svilupparsi. Tutto ciò, ci indica che il rapporto tra musica e notazione non
è risolutivo e, quindi, vi è una sorta di sostituzione tra sistemi.
Tesi diffusa è pensare che fu la seconda scuola di Vienna ad abbandonare la Tonalità fino
all’adozione della dodecafonia schonberghiana, che scatenò il lungo travaglio verso la notazione
contemporanea. L’obiettivo è quello di dare una posizione equivalente ai dodici semitoni, da questo
la denominazione “notazioni temperate”. Una situazione di extracodifica, nel senso che, da una
situazione semiotica storica(ipercodifica: sistema semiografico tradizionale) si cerca di trovare delle
alternative che possano approdare ad una ipocodifica del sistema. Da tale situazione deriva l’aspetto
visivo tipico di tutte le partiture novecentesche, almeno fino a metà secolo.
Nell’opera di Ferruccio Busoni, considerato un autore di transizione, Versuch Einer Organischen
Klaviernotenschrift, 1910, si possono rilevare operazioni di extracodifica, come il mantenimento del
rigo e il riposizionamento cromatico delle note, l’opposizione tra nota bianca vs. nota nera, la forma
quadrata della testa per indicare l’impiego delle lettere gotiche per sostituire le chiavi.
Per quanto riguarda la riorganizzazione in senso temperato del rigo, è necessario menzionare il
Klavarskribo di Cornelius Pot, dove è possibile notare la visualizzazione verticale del tempo,
inconsueto nella prassi occidentale, ed infine il sistema delle altezze posto sulle ascisse.
Vi è un filo conduttore che porta dall’opera Notation Musicale Autonome di Hautstont, dove i dodici
semitoni sono posti su un rigo di tre linee, all’opera di Godjevatz che in funzione dei dodici
semitoni alterna rigo-spazio, fino ad arrivare alla “Notation Musicale”Continue” di Pierre Hans che
contiene un sistema unico di 20 linee.
Nel 1966 Karkoschka, attraverso la pubblicazione del suo libro, ci fa comprendere le complicazioni
del serialismo integrale, il passaggio da una scrittura diatonica a quella cromatica attraverso
modificazioni delle teste che consentono di utilizzare e limitare a due linee il rigo musicale, ci ha
portato ad un senso di urgenza al cambiamento. A questo proposito, l’Equitone, 1958, di
Karkoschka, dove il sistema delle linee è ulteriormente semplificato, è indicato come il metodo
ideale per scrivere la musica attuale. Tuttavia, Read ha dimostrato che l’Equitone ha dei limiti
dovuti al fatto di non poter determinare la differenza tra un 3/2, un ¾, un 3/8, un 3/16.
La crisi della tonalità, e quindi della notazione porta, inequivocabilmente, a dei problemi di non
poco conto, discussi durante il dibattito degli anni Sessanta. Uno degli aspetti più problematici della
notazione contemporanea riguarda il frazionamento ulteriore del tono. Lo stesso Busoni auspicava
l’impiego dei terzi di tono e della loro combinazione con i semitoni.
La notazione micro tonale si ottiene attraverso un’operazione di ipercodifica rispetto alla notazione
tradizionale, lo stesso Goodman vi riscontra un alto livello di “notazionalità”. Utilizzare le frazioni
di tono significa costruire strumenti appositi o ampliare le possibilità tecniche dello strumento
tradizionale.
4.3 New Musical Resources
Ciò che caratterizza le partiture di Webern è una precisione costruttiva, architettonica che sfocia in
una sempre maggiore importanza dei particolari. A tal proposito, Stefani ha potuto osservare come
“solo con Webern e i Modes D’intensitès di Messiaen le dinamiche sono in primo piano attraverso
codici elaborati”.
D’altro canto Schomberg e Berg introducono tre nuovi segni, ma il primo è a favore di un principio
di globalità del sonoro. Difatti, nel n° 1 dei Funf Stucke op. 10, l’autore dimostra un’attenzione
particolare ai livelli dinamici che oscillano tra p. pp, ppp. In una tale prospettiva, emerge, da un lato
l’enfasi che si manifesta nell’atto del notare(come lavoro di scrittura), e, dall’altro la prassi
suscettibile di interpretazione tecnicistica. In quest’ultimo caso, la concezione bouleziana della
scittura rimane la stessa anche quando sono presenti elementi aleatori che non ne alterano la
precisione. Lo stesso Ferneyhough sostiene che, a proposito della partitura come eccesso
informatico, l’esecutore deve assolutamente eseguire un lavoro di selezione.
Come afferma Donatoni “è impossibile pensare la musica al di fuori dell’atto tecnico della scrittura.
4.5 La notazione e il suo ruolo
Si attribuisce, alla notazione un ruolo oracolare, prima esiste il segno nella sua oscura concretezza,
poi la sua malcerta interpretazione.
La notazione musicale nei suoi sviluppi novecenteschi
A partire dalla seconda metà degli anni sessanta, i compositori hanno sempre più sviluppato per le
loro composizioni (e rispettive realizzazioni) notazioni affatto personali, che soltanto in parte si
ricollegano alla notazione tradizionale per poi adottare tutta una lunga serie di segni assolutamente
inediti, una sorta di cifrario capace di mutare ad ogni nuova opera.
Lo sviluppo di notazioni di volta in volta adeguato all’opera è così diventato, specie sotto l’influsso
di J. Cage, esso stesso una fonte di ispirazione per i metodi compositivi.
Ogni strumento musicale è orientato alla sperimentazione di nuove e originali notazioni.
Semiografia per strumenti diversi
Antologia di esempi musicali
Come si è potuto osservare dai numerosi esempi che riguardano ogni genere di strumento musicale,
la notazione o meglio le notazioni si orientano con enfasi verso un recupero dell’iconico e del non
fonico come modalità di predisposizione del segno.
Si assume perciò la definizione di geroglifico a rimarcare proprio il carattere composito, auletico,
non lineare di molta produzione contemporanea e si identificano alcune componenti particolarmente
significative: una spaziatura interna, una vocazione all’eteroclito, un principio gestuale.
Sono i cambiamenti sociali e tecnologici del novecento a rendere la grafia tradizionale sempre meno
adatta a rappresentare la nuova realtà artistica, sociale, psicologica e tecnologica.
Ferruccio Busoni esprime il disagio del compositore che, partendo dall’idea, deve operare scelte ed
esclusioni nel trascrivere l’idea musicale.
Stravinskij e Schonberg definiscono sempre meglio l’esecuzione della propria musica aggiungendo
segni e specificazioni che man mano arricchiscono la partitura.
Anche in Webern quasi ogni nota viene arricchita di nuovi segni.
Fu solo a metà del novecento con la neo avanguardia che furono avanzate quelle nuove proposte per
le quali la notazione non è più intesa soltanto come una annotazione di suoni ma si apre ad altri
linguaggi e ad altri aspetti comunicativi (anche psicologici).
Il rapporto tra autore-esecutore diventa più diretto e radicale; all’esecutore è richiesta la
compartecipazione alla creazione del brano, non solo l’apporto tecnico strumentale
L' uso del segno travalica la pura indicazione musicale, in certi casi diventa stimolo e provocazione,
in casi estremi la partitura diventa un elemento puramente visivo, non prevede cioe alcuna
esecuzione preordinata, ma si propone come mezzo per un contatto immediato con il fruitore.
Un altro aspetto riguarda la musica elettronica. I segni in questo ambito non ricordano più le
notazioni storiche, diventano indicazioni di frequenze, di volumi misurati su scale fisiche, di colori
timbrici creati ex novo, talvolta mescolati con strumenti acustici usati secondo nuove tecniche e con
nuovi intendimenti espressivi.
In Italia si deve al Futurismo l’inclusione dei rumori della civiltà moderna in una composizione
musicale.
La ricerca sperimentale continua nel secondo dopo guerra, complici le nuove tecnologie (strumenti
elettronici, sintetizzatori ecc.) che permettono di creare nuovi suoni rivoluzionando il mestiere del
compositore.
PUNTO 4 - FORMULE IDIOMATICHE SPECIFICHE DELLO STRUMENTO CON
RIFERIMENTO AGLI ASPETTI MORFOLOGICI DELLA MUSICA
(DINAMICA, TIMBRICA, METRICA, AGOGICA, FRASEGGIO)
AGOGICA
accarezzevole , espressivo
affannato , affannoso , angoscioso, angosciato
agile , leggiadro , leggero
agitato
arioso , come un’aria , come una melodia , al modo di aria , melodioso
armonioso
barbaro
bellicoso , aggressivo
brillante
bruscamente
cantabile , cantando , cantato , come una canzone
capriccioso
colossale , tremendo , immenso
comodo , tempo comodo , moderato
con bravura
con estro
con furia , furioso
con larghezza
deciso
drammatico
energico , forte
espansivo , effusivo
eroico
feroce
flebile
fugato
funebre , funerario
gentile
giocoso , gaio
grandioso
irato , arrabbiato
lacrimoso , triste
lamentoso
lugubre
maestoso
magico
magnifico
mesto , triste
misterioso
moderato
morendo
narrante
parlante , parlando
patetico
pesante
piangevole
piacevole
pietoso
precipitato
rapido
repente
risoluto
ruvido
scatenato
secco
semplice
serioso , serio
soave
sognando
sonoro
sospirato
sostenuto
spianato
spinto
spiritoso
tempo di valse
tosto , rapido
trionfante
veloce , velocissimo
vittorioso
virtuoso
vivace
vivo , vivamente
volante
Per tutti gli strumenti ed in particolare per il Canto e per la Direzione (sia
orchestrale che di coro) l’agogica è molto legata alla passione ed al temperamento
dell’esecutore, alla sua postura ed alla sensibilità artistica con la quale vuole
tracciare la sua interpretazione espressiva del brano musicale.
DINAMICA
La dinamica di una composizione è la gestione delle intensità sonore e della loro
gradazione da adottare nella sua esecuzione e anche degli aspetti stilistici e
funzionali della stessa.
Gli strumenti musicali fino al XVIII secolo, avevano diverse possibilità di emettere
suoni con intensità maggiore o minore (con limitazioni degli strumenti a tastiera,
con la sola eccezione del fortepiano, che emettevano suoni di intensità fissa); le
sfumature espressive e di fraseggio erano in larga misura affidate alla variazione
nell’attacco delle singole note, oltre che all’intensità complessiva della nota
emessa.
Gli effetti dinamici erano quindi in connessione al fraseggio, e come tali non erano
indicati nella scrittura musicale ed erano a discrezione dell’esecutore. Alcuni
effetti dinamici sistematici derivavano dalla tecnica strumentale (tecnica del peso,
caduta libera, pressione, trazione, spinta, postura, movimenti del polso, delle dita,
della mano, attività muscolare in generale).
In una prima fase della riscoperta della musica antica e barocca nel XX secolo, la
scarsità di segni dinamici fu erroneamente interpretata come l’evidenza di una
dinamica a terrazze, cioè la contrapposizione fra sezioni di sonorità molto
differente, con bruschi cambiamenti di intensità, dal forte al piano e viceversa,
senza l’utilizzo di effetti dinamici progressivi come il crescendo o il diminuendo. In
realtà quest’interpretazione della dinamica nella musica barocca deriva da un
moderno fraintendimento della notazione musicale dell’epoca che non prevedeva
segni per indicare sfumature dinamiche, ma solo le indicazioni piano e forte. E’ vero
che i principali strumenti a tastiera dell’epoca, l’organo e il clavicembalo, tramite i
propri registri consentivano solo variazioni dinamiche a gradini, non effetti di
crescendo o sfumature intermedie. Le indicazioni di forte e piano cominciarono ad
apparire sugli spartiti alla fine del 500. All’epoca di Gabrieli questo utilizzo delle
dinamiche veniva interpretato con un differenziamento dell’organico, portando alla
nascita del tutti e dei soli nelle sezioni di forte e di piano rispettivamente. La
notazione evolverà progressivamente verso l’uso di indicazioni di intensità sempre
più raffinate; nel corso del XVIII secolo gli effetti dinamici diventeranno la risorsa
espressiva dominante rispetto alle altre sfumature del fraseggio e si affermerà
anche il pianoforte che assumerà la preminenza fra gli altri strumenti a tastiera
grazie alle sue possibilità dinamiche. L’attenzione alla dinamica diventa massima
durante il romanticismo e l’espressionismo.
L’interpretazione delle indicazioni dinamiche dipende dall’epoca e dal genere della
composizione: un forte in una composizione di Mozart non ha lo stesso significato
di un forte delle opere di Bruckner.
Un buon fraseggio musicale rende più chiara la composizione, fa sì che il brano sia
comprensibile, limpido e naturale. Fraseggiare, quindi, vuol dire rispettare tutte
quelle indicazioni dinamiche, ritmiche e grafiche che il compositore segna e che il
brano stesso suggerisce. Per prima cosa si deve analizzare con attenzione il brano e
fissare l’inizio e la fine delle frasi. Occorre riconoscere i periodi musicali e le frasi
che li compongono. Non sempre una legatura delimita l’inizio e la fine di una frase,
spesso indica semplicemente il raggruppamento di determinate note, le quali
devono essere eseguite senza soluzione di continuità. La frase si individua dalla
natura delle melodie e dei temi che formano il tessuto musicale del brano. In
secondo luogo si dovrà prestare attenzione alle indicazioni supplementari segnate
dall’autore: staccati, accenti, sforzati, segni dinamici. La corretta interpretazione di
tutti questi elementi contribuirà alla realizzazione di un fraseggio efficace e chiaro,
privo di qualunque tipo di forzatura. Spesso la grafia musicale può non essere
sufficiente a tradurre tutte le intenzioni dell’autore. Considerando il periodo storico
in cui sono state create le varie composizioni, la stessa grafia può assumere
connotati differenti a seconda dello stile. Il segno di staccato, per esempio, deve
essere eseguito in modo diverso a seconda che si tratti di Mozart o di Liszt. Ogni
segno della notazione deve essere sempre considerato in relazione al carattere del
brano. Altri elementi che regolano la correlazione del fraseggio sono: un’attenta
interpretazione dell’andamento metrico-ritmico; il rispetto delle sospensioni, delle
pause, delle relazioni tra le varie parti del contesto musicale. Molto importante è
studiare in modo cosciente e non meccanico e possedere una certa sensibilità e
sentire la musica ascoltandosi e percependo il bello ed essere agitati dalle passioni
più varie e contrastanti. Il godimento derivante dalla musica non è riservato solo a
coloro che conoscono la teoria e si deve ammettere che solo la sensibilità rende
l’individuo suscettibile di commuoversi alle vibrazioni sonore coordinate a formare
melodie o a dare sensazioni di colore fonico.
La musica è il risultato dei movimenti che i musicisti eseguono, dei gesti che essi
compiono. La tecnica non può essere separata dalla musica. Soltanto quando si è
in possesso di tecnica corretta e ben coordinata si può produrre un bel suono. Il
compito dell’esecutore è quello di ricercare la musica in modo che analoghe
emozioni si generino nell’ascoltatore. Le emozioni dell’ascoltatore sono provocate
dalla musica prodotta dall’esecutore, il cui umore e le cui emozioni riflettono quelli
del compositore.
Nel canto purtroppo frase musicale e frase del testo non sempre coincidono e
proprio in questo risiede molto spesso la difficoltà dell’eloquio canoro.
Esistono poi due categorie principali di eloquio canoro ossia il “recitativo” (quello
definito “secco” e quello “accompagnato”) e il cosiddetto “cantabile”.
METRICA
Nella teoria musicale il metro è una struttura basata sulla ricorrenza periodica di
elementi accentuativi.
Nella notazione occidentale la misura della battuta musicale costituisce un
elemento metrico, benché gli studiosi di etnomusicologia abbiano dimostrato
come il concetto di metro vada molto al di là di quello di battuta.
La musica classica ha utilizzato, soprattutto nei primi secoli della polifonia (1300-
1500) una enorme varietà di metri.
Nel XX secolo i compositori iniziarono ad usare metri meno regolari come i 5/4 e i
7/8 ed è diventato abbastanza comune cambiare il metro frequentemente
durante il brano.
Ci sono metri simili usati in svariate musiche etniche. Alcuni tipi di musica non
hanno un proprio metro, come la musica basata sul bordone, oppure nel
serialismo, o in musiche basate su ritmi additivi (Philip Glass).
Metri composti sono impiegati regolarmente anche nel jazz. Gran parte della
musica pop è scritta in 4/4.
Il metro è spesso associato ad un pattern ritmico per produrre un certo stile.
Questo è vero per la musica da ballo come nel valzer o nel tango, che hanno
pattern particolari di accenti sulle battute che le rendono riconoscibili. L’uso
simultaneo o sincronico di due o più metri è chiamato poliritmia (Bela Bartok).
TIMBRICA
Agli inizi del XX secolo Debussy, separando gli accordi dalla loro funzione
armonico-tonale, condusse una profonda trasformazione anche nell’impiego della
timbrica anche a prescindere dall’organico strumentale.
Grazie alla sua ricchezza espressiva il pianoforte può essere impiegato in diversi
modi, ad esempio, come strumento estremamente cantabile, come hanno fatto
molti artisti dell’Ottocento, fra i quali Chopin ed anche in qualità di vero e proprio
strumento percussivo, così come proposto da musicisti del 900come Bartok e
Prokofiev fino alle sperimentazioni di compositori, come Satie e Cage, creatori di
brani per il cosiddetto pianoforte preparato, un pianoforte in grado di offrire
particolari effetti timbrici per via di materiali (chiodi, puntine, pezzi di legno, di
gomma o di carta) inseriti tra le corde.
Il timbro cambia notevolmente quando si varia il rapporto dinamico tra le varie
note e quindi per timbro pianistico si intende in questo caso la sovrapposizione o
la successione di diversi suoni che danno luogo ad un accordo o ad una linea
melodica. Ogni grande pianista ha il suo proprio modo di dosare e combinare le
dinamiche dei suoni per ottenere un determinato timbro, così come i pittori fanno
con i colori.
Il timbro varia anche in base alla sincronizzazione dei suoni sovrapposti: spesso,
anticipando o posticipando il basso rispetto alla melodia è possibile arricchire il
suono del cantabile, poiché con l’abbassamento dei tasti non perfettamente
sincrono si sviluppa un maggior numero di armonici.
L’efficacia del pedale 1c è molto più evidente nel registro acuto dello strumento
ma risulta di grande utilità anche negli altri registri. Non va usato solo per suonare
piano o pianissimo. E’ anche possibile suonare fortissimo con il pedale 1c
completamente abbassato: in tal modo si otterrà un suono molto definito ed
incisivo ed allo stesso tempo indiretto e lontano.
Il pedale tonale consente di mantenere alzati gli smorzatori dei soli tasti che sono
premuti al momento del suo azionamento, così da lasciare in vibrazione alcune
corde e contemporaneamente ottenere suoni corti o staccati con altre corde. Una
potenzialità interessante di questo pedale riguarda lo sviluppo dei suoni armonici. Il
pedale di destra, detto di risonanza, può essere usato in alcuni modi non
convenzionali come: il pedale vibrato, il mezzo pedale, il cambiamento parziale del
pedale. Grazie al pedale è anche possibile ottenere effetti di forte piano e di
diminuendo su una stessa nota tenuta. nonché particolari tipi di staccato e di
superlegato. Un espediente di frequente utilità consiste nell’abbassare il pedale
prima di iniziare un brano: ciò determinerà una maggiore ricchezza timbrica ,
poiché molte corde non percosse vibreranno per simpatia. Anche la realizzazione di
passaggi veloci o in pianissimo risulta molto più agevole quando il pedale è
abbassato, poiché in tal caso la meccanica si alleggerisce e la corsa del martello è
molto più controllabile e fluida. E’ da sfatare il dogma che prescrive di cambiare il
pedale quando cambia l’armonia, anzi, mescolando diverse armonie si ottengono
effetti timbrici di particolare bellezza. Per prolungare ed amplificare la vibrazione
delle corde dopo che sono state percosse, si può utilizzare un procedimento
chiamato vibrato pianistico. Questo si ottiene facendo risalire e riscendere
parzialmente il tasto dopo che il martello ha percosso la corda. In tal modo il
martello si riavvicinerà alle corde già percosse, aumentando l’ampiezza delle
vibrazioni in virtù dello spostamento d’aria e del movimento della meccanica. Ne
risulterà un suono più ricco di armonici e di durata superiore. La frequenza e
l’ampiezza del vibrato possono essere più o meno grandi, determinando una varia
gradazione timbrica. L’uso del vibrato è possibile solo con i pianoforti a coda.
Invece, per ottenere un suono più incisivo e percussivo, basta attutire le vibrazioni
delle corde, facendo risalire i tasti parzialmente. Un diverso approccio fisico con la
tastiera determina un diverso risultato sonoro, a prescindere dall’intensità
dinamica.
Il suono del pianoforte si ottiene con la percussione del martello nelle corde, che
così vengono fatte vibrare; la sostanza, la qualità, la durezza, la morbidezza,
l’elasticità e il grado di umidità della superficie del martelletto influenzano la
qualità timbrica. Se queste condizioni sono soddisfacenti, saremmo in grado di
modificare il livello e la qualità timbrica del suono, variando la velocità con la quale
il martello colpisce le corde. Tutte le questioni relative al peso, alla massa,
all’energia, alla forza, alla tensione, al rilassamento, alle posizioni fisse, alle ossa,
alle spalle, alle braccia, alle mani, alle dita hanno valore unicamente ai fini della
tecnica richiesta per azionare i martelletti con la velocità necessaria a produrre il
tipo di suono desiderato. Mentre tutti sono d’accordo sulla capacità del pianoforte
di variare il volume del suono da un pp a un ff, molto controversa è invece la
questione se esso possa variare nel timbro. E’ stato dimostrato da alcuni esperti
che solo il volume del suono può essere variato e che la variazione di timbro è pura
e semplice suggestione. Questo può essere vero quando si suona una sola nota, ma
tutt’altra cosa è una serie di suoni in sequenza: il tocco e le qualità timbriche sono
elementi del tutto personali e riconoscibili. Esiste una indubbia differenza timbrica
nel suono di certi artisti. Può darsi che si tratti del fattore di accelerazione dei
martelletti o del modo in cui gli smorzatori arrestano il suono quando scendono
sulle corde o dell’articolazione delle note o delle qualità agogiche del suono o della
flessibilità dell’unità di misura. Non è possibile dubitare del fatto che il pianoforte
ha un suono diverso quando a suonarlo sono Horowitz, Michelangeli o la Argerich.
Di grande importanza è anche il modo in cui il particolare strumento che stiamo
suonando risponde al tocco. Sarebbe molto soddisfacente per ogni pianista poter
sempre studiare su strumenti abbastanza sensibili da rispondere adeguatamente
alle sfumature coloristiche così come alle variazioni dinamiche.
TIMBRO VOCALE
Salterio
Origine ebraica molto antica (a.C.). 10-12 corde di differente lunghezza, un solo suono ciascuna,
tese su una tavola armonica trapezoidale e pizzicate con ditali uncinati.
Timpanon
Origine ebraica, successivo al Salterio. Corde percosse con bacchette di legno a punta ricurva.
Chiamato Dulcimer in area britannica e Cimbalom in Ungheria (in uso presso i musicisti zingari).
Monocordo
Invenzione attribuita a Pitagora (VI secolo a.C.), detto all’epoca canone, fu usato a scopo fisico-
sperimentale per stabilire rapporti numerici fra i suoni. Una corda tesa su una cassetta rettangolare
con un ponticello mobile che divide la corda in due porzioni variabili, ciascuna delle quali si fa
vibrare indipendentemente con un plettro.
Clavicordo
Dal XIV sec. diffuso in Inghilterra col nome di scacchiere: una cassetta rettangolare, linguette
metalliche fissate all’estremità interna dei tasti, dette tangenti, avevano sia il compito di dividere la
corda che quello di metterla in vibrazione. Le corde erano poche e per ciascuna vi erano più
tasti/tangenti. In Italia, dove ebbe origine, si chiamava clavicordo. La tastiera applicata era simile a
quella dei coevi organi. Fra i più antichi clavicordi conservati: del 1537 al Metropolitan Museum di
New York, costruito da Alessandro Trasontini. Sul clavicordo, rispetto al clavicembalo, era possibile
un’esecuzione più espressiva e l’uso del vibrato. Tra il sei e il settecento l’estensione fu portata a
quattro, anche cinque ottave.
Strumenti a becco di penna
Si diffusero partire dal XV sec. Hanno i saltarelli, posti all’estremità interna del tasto, cioè pezzetti
di legno muniti di una piccola punta di penna: premendo il tasto, il saltarello viene spinto verso
l’alto, verticalmente, la punta di penna passando fa vibrare la corda e la rotella di panno sovrastante
la penna, ricadendo col saltarello, si poggia sulla corda fermandone la vibrazione.
I primi tipi furono la Spinetta e il Virginale, il secondo leggermente più piccolo e posteriore al
primo. Spinette possono avere forma triangolare, pentagonale o quadrangolare irregolare; la
differenza fra suoni era ottenuta da corde di diversa lunghezza. Nel Virginale date le ridotte
dimensioni, la differenza dei suoni era data dal calibro delle corde. In entrambi le corde erano poste
trasversalmente.
Una versione più grande della spinetta, detta spinettone, fu anche chiamata cembalo, che in Italia
passò ad indicare tutti gli antichi strumenti a becco di penna.
Il Clavicembalo fu fra gli strumenti a becco di penna, il rappresentante maggiore, ingrandito nella
forma e perfezionato nella meccanica. Nel 1600 divenne lo strumento prediletto per
l’accompagnamento del canto (stile monodico) dal che l’esigenza di ampliarne l’estensione,
soprattutto nel registro grave, da cui il nome gravicembalo; la tastiera arrivò a quattro ottave e
mezza/cinque; la cassa fu ingrandita con una forma di un’arpa coricata e le corde poste
perpendicolarmente alla tastiera, due o tre per ogni martelletto; fu anche munito di due tastiere. Fra i
più celebri fabbricanti si ricorda Ruskers di Anversa. In Italia tra gli altri Gianni Antonio Baffo,
Domenico da Pesaro.
Il clavicembalo più sonoro fu lo strumento più usato nei concerti, l’organo destinato alla musica
sacra, il clavicordo ad ambienti più piccoli adoperato soprattutto per composizioni più intime. In
Italia e Francia si diffusero soprattutto cembalo e spinetta, in Inghilterra si predilesse il virginale e
in Germania il clavicordo.
Membranofoni
Cordofoni
Aerofoni
2) Idiofoni percossi: uno o più pezzi di una materia sonora sono percossi con un
utensile afono (mazzuolo o mani) e con un movimento rotatorio del braccio. Si
bambù, pietra, vetro, metallo),
per le loro forme (lastre, tubi, piastre, vasi, bastoni) e il numero delle parti percosse.
Il triangolo per esempio è idiofono a percussione a bastone di metallo. Le
lastre (o tavolette) “in serie” percosse sono lo xilofono e la marimba (in legno), i
litofoni (in pietra), i metallofoni, i cristallofoni (in vetro). I tubi cavi o cassette sono il
temple block (legno) e le campane tubolari (di metallo, in serie). Strumenti vascolari
(a forma di calotta o di recipiente cavo) sono il gong, la cui superficie piatta percossa
differisce dal vaso percosso (la campana) perché il centro risuona e i bordi sono
muti.
Aerofoni
Il suono viene prodotto mettendo in vibrazione l’aria.
Le canne ad ancia sono di tre generi: con un'ancia battente singola (clarinetti), con
un'ancia doppia (oboi). Il tubo è cilindrico, conico, o restringentesi verso l'estremità
inferiore. Il materiale è solitamente il legno, a volte il metallo, o la canna.
I flauti, solitamente tubolari, sono diritti se l'orifizio superiore viene usato come
imboccatura; sono traversi quando l'imboccatura è ricavata nella parete laterale
della canna. All'estremità aperti, oppure chiusi, o
tappati è il solo
strumento costruito senza apertura all'estremità inferiore.
Le siringhe sono serie di flauti, ognuno dei quali produce un'unica nota, e che sono
uniti tra loro a forma di zattera o di fascio.
Trombe e corni, riferiti agli strumenti moderni, sono invece termini insufficienti per
una sezione degli aerofoni, chiamati poco scientificamente ottoni e, ancor meno
propriamente, a bocchino: tromba, trombone, corno, tuba etc. Il termine più
è labiofoni, perché il bocchino è solo il luogo dove si formano le vibrazioni da parte
delle labbra che più o meno tese, come delle ance, determinano l’altezza dei suoni.
2. Forma: tamburi tubolari cilindrici, a barile, conici, a clessidra, con piedi, con
manici. Un timpano ha un paiolo o caldaia come cassa. Un tamburo a cornice ha una
cornice, o telaio, al posto della cassa.
3. Pelli o facce. Vi sono una o due pelli. Invece di dire "tamburo con una (o due
pelli)", si può parlare di "tamburi a una faccia, o a due facce". Corde tese
diametralmente a una delle pelli costituiscono la cordiera o bordoniera del tamburo.
4. Fissaggio delle pelli. Le pelli sono incollate, o inchiodate, o fissate con pioli o
bottoni, o fissate con un cerchio (a legatura orizzontale), o fissate con lacci.
5. Posizione del tamburo. Il tamburo, quando vien sonato, può stare: appoggiato (sul
terreno, su un supporto); sospeso (al soffitto, a un telaio, al corpo del sonatore); le
pelli possono essere orientate lateralmente, oppure orizzontalmente sopra e sotto.
Cordofoni
Il suono è ’eccitazione delle
quali avviene può
Strumenti a corde percosse con bacchette, pizzicate con le dita o con plettro,
sfregate con l'arco oppure (arpa eolia) fatte risonare dal vento. La miriade
sconcertante di cordofoni si riduce a quattro tipi fondamentali: cetre, liuti, lire, arpe.
3) Lire, o cordofoni a giogo, hanno una cassa con un giogo al posto di un manico,
estremità superiori sono unite da una traversa. Le
corde sono tese sopra la tavola e avvolte intorno alla traversa in alto. Esse sono
pizzicate o sfregate con l'arco.
4) Arpe. è
rispetto alla tavola armonica; le corde sono fissate alla tavola armonica, ma corrono
verticalmente normali ad essa, e non lungo ad essa. Le corde sono numerose e
vuote. Tutte le arpe sono pizzicate.
Storia del pianoforte – Piero Rattalino
Sintesi parte 1 (Premessa, Parte prima “Lunga marcia”, Parte seconda “La classicità”,
Intermezzo “Il Biedermeier”)
- Beethoven nel primo periodo viennese suonò pianoforti viennesi come lo Stein e il
Walter;
- A inizio ‘800 ricevette in dono un Érard (meccanica inglese, sonorità più possente di
quella dei pianoforti viennesi), che fece però modificare a suo piacimento, tramite
l’inserimento di 4 pedali (una corda, risonanza, piano, liuto).
- La Sonata op. 106 fu scritta su un Broadwood, scelto per la sonorità possente e la
meccanica efficientissima, che gli permetteva di annotare e seguire indicazioni
metronomiche difficilmente rispettabili sul pianoforte moderno.
Germania
Nei primi anni del ‘800 si diffuse una scuola di pensiero che si discostava dalle idee classiche ed
appoggiava lo stile più tardo di C. Ph. E. Bach a cui aderirono i critici musicali e compositori
Hoffmann, Reichardt e Rust. Si parlava di un trasferimento sul pianoforte dello stile sentimentale
del clavicordo identificandosi come un “preromanticismo tedesco”.
Il concetto di musica come linguaggio dei sentimenti più profondi nasce comunque ai fini del ‘700
ma viene identificato nei compositori dell’area culturale viennese.
Il pianista Carl Maria Von Weber può essere inserito in quel epoca nel movimento del
“Biedermeier”. Weber per le sue composizioni si basò sulla sua mano che riusciva a coprire
comodamente un undicesima (Da Fa). Nelle sue composizioni, infatti, si serviva di diverse
innovazioni tecniche per il suo tempo tipo: ottave più incisive con attacco squillante, accordi
rapidissimi, scale in terze, ottave alla sinistra e seste ed ottave alla destra o nel Concerto op. 11 un
glissato in doppie ottave per conquistare il nuovo pubblico nelle sale. Pare che Weber fosse anche
abilissimo nel controllo della dinamica ricercando sempre più nuovi colori timbrici attraverso il
piano. Weber dimostra di elaborare una sua concezione della sonorità pianistica con l’accostamento
di due tipi di suono uno di incisiva e netta articolazione d’attacco e uno di limitato volume e di
dinamica vellutata ma continua.
Tra il 1816 e il 1822 la sua poetica si fa più personale e si distacca dal Biedermeier con l’intento di
far rappresentare le sue opere come se fossero un viaggio dell’uomo nella natura e nel mondo nella
propria solitudine. Il cambio di rotta viene identificato dall’abbondanza di didascalie di carattere
(con anima, morendo, passionato, espressivo, dolce…), dal lungo girovagare melismatico delle frasi
che non si chiudono che danno un carattere improvvisatorio che rappresenta una novità nella storia
della sonata. Con questa nuova sonorità nascevano problemi stilistici di forma e sonorità che furono
risolti in seguito da Liszt e suoi allievi.
Il Biedermeier. Espressione del rapporto positivo del musicista con la società della Restaurazione,
muore con i moti rivoluzionari del 1830 che vede un assetto sociale differente con l’affermarsi della
borghesia.
Il Romanticismo rappresenta il nuovo corso storico comprendendo compositori come
Mendelssohn, Chopin, Schumann, Liszt. In tutti questi compositori ritroviamo un momento
Biedermeier, che appartiene alla loro adolescenza.
Mendelssohn abbiamo una melodia alla destra nel registro medio-acuto, con peso del braccio
appoggiato sul fondo del tasto, basso e parti in mezzo alla sinistra tenute unite dal pedale di
risonanza. Altrettanto tipiche sono le ottave alternate tra le due mani (soluzione intermedia tra
quella classica delle ottave spezzate e quella romantica della doppie ottave).
Mendelssohn
Il pianoforte era divenuto un nuovo strumento e Mendelssohn fu un suo scopritore sperimentando le
sue nuove potenzialità. Pur mantenendo una derivazione dal Classicismo ed un suo primo periodo
appartenente al Biedermeier si scostò per alcuni aspetti dalle forme antecedenti come nel Concerto
in sol minore dove eliminò i ritornelli che scandivano le suddivisioni strutturali dando più fluidità,
oppure modificò la cadenza che non spezza più il discorso ma giunge nel punto culminante su cui
poi si reinserisce l’orchestra. Anche se da testimonianze si ricava una figura eccellente del pianista
Mendelsshon, la sua formazione di musicista e le sue aspirazioni artistiche lo escludevano dal
novero dei virtuosi romantici trascinatori di folle. Due pianisti che furono identificati tali nell’area
tedesca furono Sigismund Thalberg e Adolf Henselt.
Thalberg
Thalberg fu educato a Vienna dove studiò anche con Hummel e fu uno fra i più celebrati virtuosi del
secolo. Il concerto di Thalberg era un pezzo in cui il virtuosismo raggiungeva limiti parossistici.
L’arma vincente per il pubblico di Thalberg fu affidata alle sue fantasie su temi di opere teatrali.
Mentre il tema in Mendelssohn lo troviamo nel registro centrale del piano suonato dalla mano
destra in Thalberg lo troviamo ridistribuito tra le due mani in modo da sfruttare un’estensione
maggiore sfruttando ulteriormente la forza dei pollici.
Per accumunare la tecnica delle note ribattute del violino e della tromba inventò un escamotage
suddividendo in uno studio note ribattute alternate tra le due mani tanto da creare il dubbio nel
pubblico su come potesse un pianista resistere così a lungo a mantenere per tanto tempo e tanta
fluidità una tecnica così faticosa.
Nell’”Arte del canto applicata al pianoforte” Thalberg si pose l’obiettivo di tradurre su piano l’arte
del canto dovendo superare i limiti del pianoforte come quello di dover prolungare i suoni. Una
delle soluzioni che diede fu quella dell’atteggiamento muscolare per approcciarsi al pianoforte che
per avere una bella sonorità e una grande varietà nella produzione del suono bisognava spogliarsi
d’ogni durezza. Secondo Thalberg, quindi, il pianista doveva avere la massima pieghevolezza e le
differenti inflessioni nell’avambraccio, il polso e nelle dita per essere avvicinato il più possibile alla
sonorità della voce. Thalberg distingueva due tipi di cantabilità:
1. Canti larghi, nobili e drammatici – bisogna cantare di petto esigendo molto dallo strumento,
trarre la maggior intensità possibile di suono senza mai pestare i tasti, sarà quindi necessario
attaccarli da vicino, profondandoli e premendoli con robustezza, energia e calore;
2. Canti semplici, tranquilli e graziosi – bisogna in certo modo ammollire la tastiera, premerla
con mano disossata e con dita di velluto, i tasti devono essere più sentiti che battuti.
Thalberg lasciò delle raccomandazioni ai giovani esecutori dicendo che bisognava “…conservare
nell’esecuzione una sobrietà dei movimenti del corpo una gran tranquillità nelle braccia e nelle mai
e di non attaccar la tastiera da troppo alto, ascoltarsi suonando, d’interrogarsi, di essere severi con
se stessi e d’imparare a giudicarsi.” Oppure: “In generale si lavora troppo con le dita e non
abbastanza con l’intelligenza”. Sposò la figlia di un cantante italiano dell’epoca e si trasferì a
Posillipo ed insieme al suo allievo Beniamino Cesi ebbe un ruolo decisivo nella formazione della
scuola pianistica napoletana.
Henselt
Henselt sebbene bavarese e allievo di Hummel si trasferì a San Pietroburgo nominato maestro di
musica dei principi e pianista di corte dell’imperatrice trascorrendo la maggior parte della sua vita
in Russia. Henselt sentì il problema da puro virtuoso di bravura che per dar spettacolo di tecnica
emozionante doveva lavorare per dieci o dodici ore al giorno su un tipo di preparazione atletica.
Anche se in quel tempo il concerto per bravura era destinato a spegnersi Henselt era il suo ultimo
vero rappresentante cercando spesso arricchimento della sua musica con passaggi tecnici
virtuosistici. Henselt a differenza di Weber non aveva da natura una mano grande ma lavorò come
un forsennato per sviluppare il movimento laterale delle dita acquisendo una capacità di estensione
che gli permetteva di raggiungere accordi come do-mi-sol-do-fa.
Schumann
Se i virtuosi del romanticismo ebbero un grande seguito di pubblico vedono contrapporsi la figura
di Schumann che non si pose mai il problema di comporre per piacere al grande pubblico. Il piacere
del successo e le reazioni negative dei filistei non influivano però sulle concezioni di Schumann. Il
suo rapporto con il pubblico era ristretto ad un piccolo gruppo di intellettuali suoi amici. Il critico
italiano Filippo Filippo disse che Schumann ebbe la debolezza di fare il critico ma “debolezza” che
stabilì gli orientamenti del gusto per tutto il secolo tanto che fu lui che segnalò il genio di Chopin,
che distinse Liszt dagli altri virtuosi alla moda e ne seguì il cammino con acutezza critica, fu lui a
scoprire Brahms e fu lui a vendere Schubert con una preveggenza profetica che solo negli ultimi
anni è stata veramente compresa. Lo sperimentalismo portò Schumann a superare continuamente i
confini culturali del suo tempo portandolo come musicista a scoperte che matureranno solo dopo
due generazioni come nei suoi Studi Sinfonici. Riprendendo la cantabilità dei classici tedeschi
Schumann ha una scrittura pianistica equilibrata e in genere di agevole realizzazione senza
virtuosismi esasperati. La scrittura di Schumann quindi nasce dall’intuizione sulle potenzialità della
cordiera del pianoforte più che dall’invenzione di movimenti della mano.
Neppure le ricerche sul pedale di risonanza e sul timbro rappresentano un momento veramente
rilevante sul pianoforte di Schumann. Le melodie di Schumann sono concepite come movimenti di
linee entro blocchi accordali dove l’armonia viene mossa ritmicamente e di norma non ci sono
movimenti di parti interne che tendano a porsi come polifonia alla principale, come ad esempio
succede in Chopin. La disposizione pianistica è spesso simile a quella di Mendelssohn con la
melodia collocata nel registro medio con una scrittura molto densa, ma mentre in Mendelssohn
l’armonia da fluidità alla melodia con l’articolazione ritmica in Schumann c’è l’impressione di
staticità, di un clima di angoscia, di minaccia o di dolcezza malinconica.
L’animazione dell’armonia in Schumann è ottenuta non con movimenti omoritmici, ma poliritmici
che paradossalmente neutralizza il ritmo ed accresce invece la staticità.
Lo stile di Schumann anche se molto conservatore si distacca dal Classicismo nel significato
espressivo e nella mancanza di senso discorsivo.
Carl Czerny
Czerny divide la storia del pianoforte in sei scuole: 1) di Clementi, 2) di Cramer e Dussek, 3) di
Mozart, 4) di Beethoven, 5) di Hummel, Kalkbrenner e Moscheles, 6) di Thalberg, Liszt e Chopin.
Schumann e Schubert non sono presi in considerazione da Czerny perché a suo modo storico e
teorico del pianoforte prese in considerazione il filone che portava all’affermazione del concerto
pubblico. Czerny si stabilì nell’ambiente aristocratico di Vienna dove divenne un grande didatta
cercando di condurre ad una dimensione razionale, apprendibile e comunicabile tutto quello che si
era scoperto e si andava scoprendo del pianoforte. La sua produzione didattica è sterminata e copre
ogni lembo dei problemi pianistici dai più semplici fino ai più complessi per ogni livello di
difficoltà servendosi non di esercizi come mezzo di addestramento ma di studi non abbandonando il
concetto del valore della musica, della discorsività e dell’interesse artistico. Il limite più grande di
questi studi rimarrà quello del solo fine didattico, basate su letteratura esistente senza ricerche
sperimentali tese verso la creazione di una nuova letteratura.
Per Czerny l’esecutore doveva comunque proseguire con l’esercizio giornaliero delle sole scale
almeno per un’oretta e per eseguire un brano in concerto l’esecutore doveva saperlo eseguire per se
almeno una decina di volte senza il minimo errore.
Gli studi di Czerny eseguiti al modo della sua scuola duravano dai 25 minuti fino a superare l’ora
quindi non c’è da stupirsi sentendo che Liszt quando studiava pianoforte riteneva necessarie otto o
dieci ore di lavoro giornaliero con non meno di tre ore dedicate solo alla tecnica pura.
L’improvvisazione
Il pianista del Settecento era stato tutt’assieme compositore ed esecutore; essendo avvezzo a
scrivere continuamente e rapidamente ed essendo abituato a leggere quasi sempre a prima vista ed
ad integrare estemporaneamente una parte incompleta il pianista del Settecento era stato anche
improvvisatore. Quindi l’improvvisazione diveniva un estensione degli altri due aspetti di esecutore
e compositore spesso lavorando su temi che stavano affrontando in quel periodo sviluppando temi
legati tra loro con modulazioni, movimenti ritmici neutri o passi di bravura.
Con il diffondersi dell’esecuzione scritta l’improvvisazione sarebbe dovuta cadere in disuso invece
divenne una prova di particolare bravura con la progressiva affermazione del concerto come
spettacolo dove il concertista avrebbe dovuto improvvisare su temi scelti dal pubblico quindi le
scuole dell’epoca si ingegnarono di trovare il modo di superare la prova dell’improvvisazione
sempre al meglio. Si trattava quindi di avere pronte tutte batterie di formule tecniche sulle quali si
adattavano i vati temi come se fossero stati scritti condotte a fine a regola d’arte.
Questa usanza andò man mano in disuso fino ad essere abbandonata a metà del secolo quando si
affermò il recital di impostazione storicistica e fu conservata solamente dai più abili compositori
strumentisti.
Parigi
Verso il 1760-70 Parigi era stata un polo di aggregazione per alcuni compositori ma con la
Rivoluzione e la conseguente emigrazione molti musicisti si spostarono a Londra (in senso
quantitativo di aggregazione perché nulla e nessuno potevano dare ombra alla civiltà viennese della
Classicità).
Verso il 1830, morti Beethoven e Schubert, trasferitosi altrove Hummel e Moscheles e rimasto a
Vienna il solo Czerny, Parigi divenne la vera capitale del pianoforte.
Sébastien Erard
Erard nato nel 1752 a Strasburgo, si era stabilito a Parigi nel 1768. Entrò a lavorare nel laboratorio
di un cembalaro e costruì un clavicembalo meccanico; dopo qualche anno impiantò un suo nuovo
laboratorio in casa della duchessa di Villeroy costruendo nel 1777 il suo primo pianoforte a tavolo,
aprendo poi insieme al fratello una bottega dove produceva solamente pianoforti a tavolo. Dopo la
Rivoluzione si trasferì a Londra dove aprì un nuovo laboratorio studiando i sistemi di fabbricazione
di Broadwood. Nel 1796 cominciò a costruire pianoforti a coda sui sistemi studiati (un esemplare di
questi pianoforti fu posseduto da Beethoven).
Erard studiò inoltre il meccanismo dell’arpa cercando di superare vecchi limiti e dando una svolta
evolutiva allo strumento.
Erard si discostò dal modello inglese nel 1809 brevettando l’agraffe, una graffa che consisteva in
una piccola spina metallica forata in cui fece passare la corda del pianoforte tenendola ben ancorata
al pancone. Negli stessi anni Erard montò con gran successo un meccanismo a pedale, il celeste o
voce angelica, che consisteva in una sottilissima striscia di feltro interposta tra martelliera e
cordiera (non sappiamo effettivamente se corrispondesse al sordino di Beethoven e di Schubert ma
di per certo non è la sordina che oggi è presente nei pianoforti verticali).
Il celeste si diceva che unito al pedale di risonanza permetteva di riprodurre perfettamente
l’armonica a cristalli. La terza invenzione di Erard nel 1821 fu quella del doppio scappamento che
provocò un decisivo salto di qualità nella meccanica. Il doppio scappamento permette con un
sistema di leve di far maggior resistenza al tocco rendendo i tasti più graduati al movimento
permettendo di gestire meglio la velocità da imprimere al martelletto dando la possibilità
ulteriormente di dare una nuova percussione senza lasciare interamente il tasto.
Questa innovazione agevolava molto aspetti tecnici come: note ribattute; tratti di agilità in spazi
ristretti, trilli, tremoli, figurazioni su frammenti di scale, terze sciolte. Questo perché il dito
nell’attimo di posizione di riposo viene rispinto in alto dal ritorno meccanico del tasto e può
risuonare senza che lo stesso tasto finisca la sua corsa. Un ultimo effetto possibile ma dal risultato
incerto e quindi poco utilizzato è la percussione ottenuta col solo secondo scappamento che da un
suono tenue e soffocato.
Anche se fu una grande evoluzione semplificando l’esecuzione, gli esecutori che avevano già
sviluppato un alto dominio del singolo scappamento non preferirono il modello di pianoforte di
Erard come ad esempio Chopin che predilesse i pianoforti di Pleyel.
Ignaz Pleyel
Ignaz Pleyel come Erard nato in Austria contribuì come Erard a far trionfare per una ventina d’anni
l’industria francese del pianoforte. Fu un musicista allievo di Haydn, compositore fecondissimo,
aprì prima una casa editrice alla fine del secolo e nel 1807 una fabbrica di pianoforti.
Pleyel non fu un tecnico dello strumento ma si valse dell’opera di Henry Pape dal 1811 al 1818 e
di Kalkbrenner dal 1824.
Henry Pape
Pape era un artigiano di origini tedesche innamorato del pianoforte brevettando un centinaio di
innovazioni tecniche. Lui per esempio tentò di accoppiare due martelletti per poter estendere ad otto
le ottave del pianoforte. Tra le innovazioni che arricchirono lo strumento e rimasero nel corso del
tempo ne ricordiamo due: la copertura in feltro del martelletto che aumentava le possibilità
timbriche, e l’incrocio delle corde dei registri medio acuti sopra le corde del registro grave, che
permetteva di allungare le corde (e quindi di aumentarne il calibro e il volume di suono e
diminuendo l’ingombro del mobile).
Né Pape ne Jean-Louis Boisselot che aveva una bottega a Marsiglia contribuirono a sviluppare
l’industria del pianoforte ma svolsero un’opera di ricerca preziosa per lo sviluppo dello strumento.
Pleyel dal 1830 usò anche placcare con fogli di acacia la tavola armonica di abete ottenendo una
sonorità inconfondibile.
L’invenzione del doppio scappamento mise in crisi l’industria del pianoforte in Germania che dopo
lo Stein non ebbe più un fabbricante d’importanza internazionale.
Chopin
Il giovane pianista-compositore polacco Fryderyk Chopin partito nel 1830 da Varsavia alla
conquista del mondo, dopo un breve soggiorno a Vienna e con un passaporto diretto a Londra fece
scalo a Parigi e decise di rimanervi. Come tutti i virtuosi della sua generazione aveva guardato non
a Beethoven ma al Biedermeier, visto già a 18 anni come giovane promettente che usava con
originalità melodie anche del canto popolare polacco. Il giovane Chopin conobbe la cultura del
Biedermeier non direttamente ma di seconda mano crescendo la realtà del tempo da provinciale
conoscendo le musiche di Hummel, Moscheles, Field e di Kalkbrenner in negozi di musica.
Nel 1829 ascoltò anche Paganini a Varsavia anche se pare che il violinista non influì come a
differenza fece su Liszt. Partì da una prima concezione già tramontante nella sua epoca in cui si
affermava una potente sonorità pianistica fino a maturarne una sua personale in cui cercava una
maggiore varietà timbrica. Tra il 1820 e il 1826 Josef Kessler organizzò degli incontri detti “venerdì
musicali” che vennero frequentati da Chopin. In quel periodo Chopin scrisse i suoi studi ma non si
può sapere quanto delle ricerche di Kessler influirono nella stesura dei suoi studi.
Nello Studio op.10 n.1 l’attacco del dito al tasto avviene in posizione longitudinale ma
trasversale, mentre l’ondulazione laterale della mano segue e non anticipa il movimento del
tasto del dito; col variare dell’impatto dito-tasto varia il timbro;
Nello Studio op.10 n.2 il medio e l’anulare che eseguono la scala cromatica devono
necessariamente attaccare il tasto in posizione trasversale perché il pollice e indice eseguono
i bicordi.
La tecnica di Chopin non fu veramente analizzata durante la sua vita. Liszt si entusiasmò degli
Studi op.10 quando vennero pubblicati e li imparò in una settimana. Gli appunti per un metodo che
Chopin scrisse in data sconosciuta ci dicono molto poco sulla sua tecnica. Certo è che Chopin non
fu un pianista funambolico, alla moda quindi doveva essere la sua capacità di invenzione del suono
a stupire chi aveva occasione di ascoltarlo. Si può solo ipotizzare pensando che superasse l’attacco
classico del tasto (polso leggermente basso, dito ricurvo, estensione incentrata sul metacarpo,
percussione in direzione verticale) e sviluppasse un altro tipo d’attacco (polso alto, dito allungato,
flessione incentrata sulla prima falange, percussione in senso circolare).
Insieme a questo tipo di attacco sviluppò probabilmente il tocco cantabile con trasferimento del
peso del braccio da un tasto all’altro.
Poco sappiamo sull’uso dei pedali: le indicazioni per il pedale di risonanza sono frequentissime, del
tutto assenti sono quelle per il pedale “una corda”. Sappiamo tuttavia che Chopin usava anche il
pedale una corda e sappiamo che con i pedali otteneva effetti che stupirono un didatta e storico
come il Marmotel, ma non sappiamo nulla di preciso sulla sua tecnica del pedale, aspetto in realtà
fondamentale della ricerca timbrica e del suono cantabile.
Le melodie Biedermeier di Chopin sono molto fiorite al modo dei cantanti italiani.
Il termine “ballata” per esempio non era mai stato usato per una composizione strumentale ma solo
per composizioni per canto e pianoforte. Nello studio op,25 n.1 amplia la distanza tra melodia e
basso e aggiunge una seconda linea armonico-ritmica in cui distingue i due livelli timbrici tra
melodia e basso indicati più grandi graficamente e le parti armoniche centrali con una scrittura più
sottile che fino ad allora si era usata solo per cadenze ornamentali.
Ben presto però le caratteristiche di strumentista di Chopin lo stagliarono fuori dallo sviluppo del
concertismo che trovò in Thalberg e in Liszt le sue figure di riferimento. Chopin quindi partecipò
alla vita concertistica fino al 1835 e non tentò neppure di rinnovare il suo repertorio.
Per questo i suoi introiti maggiori rimasero dalla vendita delle sue composizioni a editori francesi,
tedeschi, inglesi ed italiani e dalle lezioni private di pianoforte con la sua tariffa di 20 franchi d’oro
(circa il doppio dello stipendio di Karlkbrenner al conservatorio).
Anche se non possiamo avere dire molto sul metodo di Chopin, un esempio di esercizio che faceva
fare Chopin era l’esercizio delle cinque dita su un’inedita posizione: mi - fa# - sol# - la# - si. Questa
posizione per gli esercizi viene scelta per sviluppare il tipo di tocco che il didatta considerava
fondamentale e che secondo lui serviva a sviluppare il tocco con flessione del dito scivolante lungo
il pasto, tocco che permette il più sicuro dominio del tasto perché l’azione di svolge partendo da un
punto vicino al fulcro della leva e allontanandosi dal fulcro stesso.
Da testimonianze di alcuni allievi possiamo dire il repertorio didattico che faceva studiare Chopin
ma non possiamo sapere per quali fini lo avesse scelto: il Clavicembalo ben temperato di Bach, i
Preludi ed Esercizi e il Gradus ad Parnassum di Clementi, gli Studi di Cramer, gli Studi op.95 di
Moscheles, niente di Mozart, poche Sonate di Beethoven (op. 14 n.2, op.26, op. 27 n.2, op, 31 n. 2,
op. 57), i Concerti e i Notturni di Field, molte composizioni di Hummel, le Sonate op. 24 e op. 39 e
il Concertstück di Weber, qualcosa di Schubert (soprattutto a 4 mani), le Romanze senza parole e il
Concerto in sol minore di Mendelssohn, pochissime trascrizioni di Liszt, qualcosa dei compositori
parigini del tempo e niente di Schumann.
Nonostante questo nessuno degli allievi di Liszt divenne un concertista militante o caposcuola
quindi la diffusione delle opere di Chopin fu dovuta soprattutto da Liszt.
Il punto focale delle ricerche compositive di Chopin è l’armonia ovvero la tendenza a superare la
tonalità per creare aggregazioni di suoni simili a macchie cercando la disgregazione del linguaggio
tradizionale attraverso lo studio del contrappunto pianistico (non a caso riprese un approfondito
studio del Clavicembalo Ben Temperato di Bach).
Alkan
Ci furono diversi altri pianisti-compositori nell’ambiente parigini ma l’unico di statura storica è
Charles-Henri-Valentin Morhange detto Alkan. Negli anni la figura di Alkan ha avuto alti e
bassi. Non è facile classificarlo, non è Chopin, né Liszt né Heller o Wolff. Può essere accostato
per la delirante grandiosità a Berlioz ma mentre quest'ultimo si rivolgeva ad un pubblico e tentava
di organizzare la vita musicale secondo le sue concezioni, Alkan scriveva musiche che non
eseguiva, né eseguivano concertisti ed erano troppo difficili per i dilettanti. Come per Liszt anche
per Alkan era il suo cosmo musicale ("il pianoforte è per me ciò che la nave è per i marinai.."
Liszt).
Per dare un'idea della concezione di Alkann citiamo la Sonata op.33 intitolata Les quatres Âges
fatta da 50 pagine, 1921 battute, 43 minuti di musica dove il suo dominio sulla tastiera e la sua
audacia tecnica sono senza limiti. La scrittura pianistica di Alakan è quella di un virtuoso anni
trenta, che sviluppa il virtuosismo in parallelo con Thalberg e Liszt, assorbendone le scoperte e
facendo esperimenti per proprio conto. Si dice che Franz Liszt stesso fosse sempre un pò nervoso
quando gli capitava di suonare in presenza di Alkan forse per il mito che aleggiava sulla figura di
quest'ultimo anche perché nessun pianista del suo tempo dominava la tastiera meglio di Liszt.
Liszt Concertista
Liszt anche nasce nel Biedermeier. Esordì come pianista a nove anni eseguendo un Concerto di
Ferdinand Ries; quando si stabilì a Vienna nel 1821 divenne allievo di Czerny e quando iniziò a
comporre nel 1822 si allineò ai pianisti-compositori Biedermeier. Le sue prima composizioni si
allinearono come stile agli studi del suo maestro Czerny, mentre sono più interessanti le sue
variazioni su temi d'opera allineandosi ad un usanza in voga nei compositori dell'epoca. Nel 1830
Liszt si scoprì improvvisamente romantico quando superò totalmente il corrente gusto verso un
virtuosismo di bravura sovrumano sperimentando con composizioni rivoluzionarie. Il nuovo
virtuosismo appare per la prima volta nella Fantasia sulla "Campanella" e si afferma nella
stupefacente trascrizione della Sinfonia fantastica di Berlioz.
Nell'introduzione al suo Album d'un voyageur scrisse due punti focali sul suo giovanile
romanticismo: il rifiuto delle forme tradizionali; lo sviluppo della musica strumentale come
linguaggio dell'ineffabile (non più una semplice combinazione di suoni ma un linguaggio
poetico). Ma Liszt più avanti sentirà il rapporto con la tradizione con il problema di farle
riconfluire nella sua poetica. In parallelo Liszt cerca un nuovo virtuosismo specie dopo aver
ascoltato Niccoló Paganini nel 1832. Il fascino assorbito da Liszt da Paganini riguardava quello di
un compositore che suonava uno strumento impiegato da secoli che assumeva l'immagine di un
oggetto sconosciuto produttore di una materia sonora mai udita. Liszt quindi si pose l'obiettivo di
dominare con incantesimi il pubblico che nel suo tempo si stava trasformando da assiduo
ascoltatore di melodrammi ad ascoltatore di musica strumentale. La ricerca virtuosistica di
esplorare lo strumento si unisce alla volontà di cercare il limite estremo delle possibilità della
mano: lunghi salti delle mani; note ribattute; successione di note inferiori al dodicesimo di
secondo. Il problema che dovette affrontare fu quello non tanto di far muovere velocemente le
dita ma quello di inserire dentro accenti ritmici. Liszt riesce nell'impresa usando il peso della
mano: il suo "gittando mollemente la mano" inaugura una tecnica di movimento elastico del polso
e di coordinamento tre polso e dita che rappresenta una novità e scoperta importantissime. Liszt
quindi oltre ad una ricerca virtuosistica volle fare anche una ricerca timbrica facendo uso della
gestualità. Liszt doveva essersi accorto infatti che ad attaccare il tasto con le leve del sistema dito-
mano-braccio disposte e mosse in modi diversi si poteva ottenere dal pianoforte
un'inimmaginabile varietà di timbri. L'unione di tutto questo con l'aggiunta di una gestualità
leggermente esasperata fu l'arma perfetta per sbalordire il pubblico dell'epoca. Una volta abituato
il pubblico alle sue diavolerie virtuosistiche Liszt indirizzò il gusto del suo pubblico verso la
comprensione dei classici e dei suoi compositori contemporanei d'avanguardia. Le composizioni
successive però non ottennero lo stesso successo di quelle che lo portarono al successo fino a
raggiungere una posizione nettamente negativa sulle sue ultime pagine. Quindi in Liszt si può
parlare come di un cammino dalla popolarità all'impopolarità.
Manierismo
Liszt a Weimar
Il Romanticismo fu un periodo ricchissimo di fermenti culturali dal periodo dal 1830 fino a fine
secolo. Questo stesso periodo però possiamo dividerlo in due parti il primo detto solo
Romanticismo e il secondo Neoromanticismo o Manierismo per mettere in evidenza la lotta
ideologica della Rivoluzione del 1848 e del rapporto dei musicisti con la classe dirigente da cui
dipendeva direttamente con la loro attività economica. Il primo a separarsi dalla lotta fu Liszt che
fuggì molto prima che la lotta fosse finita sotto l'ala protettrice del duca di Weimar, passato poi
sotto il benevolo Pio IX, per diventare il nuovo Palestrina, Liszt trascorse di delusione in
delusione il cammino verso la solitudine e l'angoscia degli ultimi anni che rispecchio nel suo
dissolvimento del suo ultimo linguaggio musicale.
Nel 1848 Liszt scelse di abbandonare la vita del concertiamo avendo trovato la nomina di maestro
di cappella del duca di Weimar ed in questo periodo per Liszt il pianoforte passò in seconda linea
non riconoscendosi più unitariamente nella composizione di piano pur mantenendo il corpo delle
musica pianistiche ancora vasto. La dipendenza del potere costituito portò inevitabilmente Liszt
all’ottimismo di maniera e al trionfalismo.
Per prima cosa in questo periodo fece un lavoro di "ripulitura" delle opere degli Studi
trascendentali, Studi da Paganini, l'Album d'un voyageur, le raccolte dei canti popolari ungheresi
e il pezzo intitolato Harmonies poétiques et religieuses. Nel lavoro di revisione principalmente
levigò quegli aspetti superflui musicalmente che erano atti solo a dimostrare la
spettacolarizzazione del suo virtuosismo rendendo accessibili le sue scoperte a tutti quelli che si
dedicheranno dopo di lui al concertismo. Levigò anche molte didascalie precedenti riassorbendole
in altre più sobrie senza però cambiare l’intensità del brano precedentemente composto. Nella
revisione delle raccolte dei canti popolari ungheresi invece fece un opera di recupero delle origini
cercando un legame più stretto con la tradizione raggruppando questi temi sotto forma di
Rapsodie sintetizzando questa nuova forma come se fosse la sintesi di aspetti della Sonata e di
forme cantate come recitativo-aria-cabaletta. Anche la sua Sonata in si minore fu una sintesi e
ripresa di forme classiche a lui precedenti come: la sonata in quattro tempi-l’allegro di sonata-la
canzone. Nel 1853 il riaggancio alla tradizione è compiuto e nel periodo di Weimar la Sonata,
sintesi di venti anni di ricerca, rappresenta il culmine della creatività di Liszt per quanto concerne
il pianoforte.
Dopo il periodo di Weimar sotto la protezione di papa Pio IX invece vediamo un Liszt riformatore
della musica sacra. Il tardo Liszt è un compositore che con l’antico sembra non aver più legami
artistici e le figure del giovane virtuoso e del compositore di Weimar sempre più evanescenti.
L’ultimo Liszt diviene quasi indifferente alla forma, all’armonia, alla comunicazione (non
scriveva più per piacere ad un vasto pubblico ma per lo più per se stesso), volto più all’accostare
suoni tra loro servendosi solo della sua sensazione.
Germania
Nella seconda metà dell'800' si contrapposero due mondi inconciliabili di Brahms e Liszt che
furono visti come antitesi viventi ed esponenti massimi di due concezioni opposte della musica. Si
dice che Brahms addirittura si addormentò in una delle prime esecuzioni di Liszt della sua Sonata
in si minore. Nonostante questa visione i due partirono da una posizione ideologica comune: della
coscienza del fallimento del Romanticismo come progetto di totale rinnovamento. Liszt infatti
sentì il passato come patrimonio che andava recuperato in sintesi totalizzanti mentre Brahms sentì
il rapporto con il passato come problema soprattutto dei generi come la sonata risentendo
soprattutto l'influsso di Beethoven. In Brahms si. può parlare di neoclassicismo perché c'è una
ripresa di schemi classici non modificati o per così dire "inquinati" dal Romanticismo a cui
dobbiamo aggiungere però un forte originalità nell'invenzione tematica e novità nella scrittura
pianistica. Brahms per di più fece una scelta di sonorità e non di pura tecnica dai suoi
predecessori su uno strumento meccanicamente sicuramente perfezionato. Il punto più
interessante è senz'altro l'accostamento sistematico di sonorità arcaica e di sonorità moderna. Una
critica che si volse però a Brahms fu quella per quanto riguarda la resa sonora all'ascoltatore
associata allo studio. Brahms non fece utilizzo di vecchie strutture virtuosistiche del passato e
dovette quindi lavorare per svilupparne delle sue personali ricevendo spesso critiche da parte di
Wagner. Ma mentre in Liszt lo sforzo dell'esecutore è proporzionato alla resa e la destrezza appare
all'ascoltatore in tutta evidenza; mentre in Brahms a parità di sforzo il volume sonoro di suono è
inferiore e molto minore la brillantezza timbrica, così che molti passi, difficili per l'esecutore, non
paiono tali all'ascoltatore.
Dopo Brahms a parte alcuni compositori tedeschi minori solo Max Reger dimostrò interesse per
lo sviluppo del virtuosismo pianistico. Reger infatti fu l'unico ad essere considerato il tedesco
postbrahmsiano per antonomasia che scrisse ad esempio 5 studi speciali di Chopin in cui
trascrisse versioni difficoltate e non facilitate di musiche di Chopin.
Parigi
Rossini
Fuori dal tempo ma soprattutto fuori dalla mischia a Parigi collochiamo l’opera pianistica di un
musicista residente nella stessa città che non era stato romantico ma ne aveva assorbito qualche
segno di vita: Gioacchino Rossini. Caratteristica di queste musiche sono la lunghezza spropositata,
le ripetizioni meccaniche, la problematicità tecnica. Come se fossero la stilizzazione estrema del
melodramma serio rossiniano. Rossini affida le sue musiche, perché le eseguano nel suo salotto, a
Saint-Saëns, a Planté, a Diémer ovvero i maggiori rappresentati del virtuosismo pianistico francese
anche se in segrete confessioni si definì ”pianista di quarta classe”. Sentì particolarmente l’influsso
della musica barocca portando a concepire lo strumento con la sua concezione settecentesca
suonando sempre in maniera chiara e trasparente.
Saint-Saëns
Il maggior manierista francese è certamente Camille Saint-Saëns. Saint-Saëns scrive per di più brevi
pezzi ricreativi per dilettanti e brevi pezzi virtuosistici per i suoi colleghi concertisti perché questi
sono i campi nei quali il pubblico era ancora disposto a prendere in considerazione i compositori
contemporanei. L’opera per pianoforte solo di Saint-Saëns non è molto significativa e tranne
qualche raro caso non fa parte integrante del repertorio didattico e del repertorio concertistico. Un
po’ più nota è la sua produzione per due pianoforti che all’epoca era ancora poco diffusa ed il
repertorio era ancora molto ristretto. Invece per quanto concerne i suoi Concerti per pianoforte ed
orchestra eseguiti da lui stesso scelse una mistura di tradizione e di novità che sappia interessare e
sedurre il pubblico senza annoiarlo o costringerlo ad uno sforzo mentale non gradito. Si testimonia
che Saint-Saëns usasse poco il pedale di risonanza per prediligere un suono più secco e freddo. Per
lui si diceva che fossero sospetti i miraggi fallaci del pedale, i sortilegi delle armonie che si
confondevano.
César Franck
L’esatto opposto di Saint-Saëns fu César Franck che infatti Saint-Saëns detestava cordialmente.
Dopo le composizioni giovanili di stile thalberghiano-lisztiano, Franck tornò al pianoforte nel 1884
con un linguaggio che certamente risentì degli influssi dei compositori di fine Ottocento ma i
problemi pianistici e formali che affrontò rimasero legati al fascino del virtuosismo romantico. La
duttilità del cromatismo, lo slittamento della tonalità, le ridondanze della costruzione fraseologica
sciolgono qualsiasi rigidezza nelle sue composizioni.
Saint-Saëns e Franck rappresentano due opposti indirizzi rispettivamente manieristico e
neoromantico.
Russia
C’è una data che può essere emblematicamente indicata come punto di partenza le la diffusione del
pianoforte in Russia ovvero il 1802 quando Hummel e Muzio Clementi, insieme al suo al suo
giovane allievo John Field, tennero a San Pietroburgo alcuni concerti.
Field si stabilì in Russia e per venti anni fu un pedagogo ricercatissimo, compositore preferito e
maestro del gusto influenzando i suoi allievi e gli allievi dei suoi allievi, facendo la fortuna anche
dei pianoforti Tischner che dichiarò di preferire su tutti. Si affermò definitivamente il
Romanticismo quando Liszt nel 1842 diede sei concerti a San Pietroburgo. Il primo compositore
russo le cui opere per pianoforte toccarono una vasta e duratura diffusione fu Anton Rubinstein.
Diffusione che avvenne principalmente perché l’autore le eseguì costantemente nei suoi concerti sia
perché furono inserite nei concerti dei suoi allievi. Fino alla meta dell’Ottocento la musica per
pianoforte non ebbe capolavori fino a quando nel 1869 Balakirev non scrisse la “fantasia orientale”
Islamey. In quest’opera convergono i profumi esotici della musica popolare cucasica e la tecnica di
Liszt. Islamey è una pagina felice, di grande successo internazionale che diede il via ad una fioritura
musicale con i quale i russi in breve tempo arrivarono a rivaleggiare con i tedeschi e con i francesi:
1873 I Sei pezzi op.21 di Tchaikovsky
1874 Quadri di una esposizione Mussorgskij
1875 Concerto op.23 di Tchaikovsky
1876 Le stagioni di Tchaikovsky
1878 Sonata op.37 di Tchaikovsky e l’Album per fanciulli op. 39
1880 Tempesta sul Mar Nero di Mussorgskij andata perduta
ACCADEMIA => spettacolo per pubblico a pagamento in voga alla fine del 700 e nei primi 30
anni dell'800. Era organizzato da un cantante o strumentista e durava 3 o 4 ore.
Nel Romanticismo divenne CONCERTO SINFONICO con eventuale partecipazione di un solista
che finì per costituire un RECITAL.
Il RECITAL proposto da Ignaz Moscheles , allora quarantatreenne boemo, includeva nel
programma qualche pezzo vocale, da qui era chiara la sua prospettiva rivoluzionaria.
Per Moscheles il concertista non si presenta più come pianista-compositore, ma prima di tutto come
pianista-interprete al servizio dei compositori.
La manifestazione assume una connotazione culturale e non spettacolare semplicemente (a tal
proposito Liszt riteneva che il recital dovesse coniugare le tipologie culturali a quelle spettacolari).
Il recital spettacolo di Liszt presentato a Roma nel 1839, basato sul melodramma in esecuzioni
variate del Guglielmo Tell e dei Puritani. Liszt si propone come uomo-orchestra, rivoluzionando il
concertismo ed eseguendo pezzi di opera e di musica ostica al contempo, attirando e costringendo
all'ascolto il pubblico dei teatri, sfidandolo col suo pianoforte.
Liszt si pone alla guida di una rivoluzione del gusto, interprete eclettico che attraverso il recital
diffonde la cultura musicale, coniando per primo l'espressione PIANO RECITAL.
I programmi dei recital variano in relazione con la città, nazione, concertista e nel 1850 fino al 1870
vengono molto limitate per poi sparire le trascrizioni dall'orchestra (restano quelle da Wagner) e
l'aspetto spettacolare del recital diventa meno clamoroso.
La diffusione del recital procede col procedere dello sviluppo del pianoforte, adattando il volume
del suono a grandi sale, reso possibile col montare corde di maggiore calibro e più tese colpite da
martelletti più grossi.
Si raggiunse poi l'omogeneità timbrica su tutta la gamma, attraverso il telaio interamente metallico,
reso possibile dagli enormi progressi della siderurgia.
Grazie alla Boston nel 1825 e poi in Germania e negli Stati Uniti nacquero fabbriche che hanno
portato il pianoforte ad essere quello attuale.
Ricordiamo nel 1856 Carl Bechstein costruì un pianoforte a coda presentato a Berlino in occasione
della prima esecuzione pubblica della Sonata in si minore di Liszt. Entrambi ottennero uno scarso
successo, ma in seguito si imposero sul panorama storico.
Dal 1836 la ditta di Heinrich Engelhard Steinweg era attiva in Germania ; nel 1849 il secondogenito
Christian Carl Gottlob, coinvolto nei moti rivoluzionari, scappa a New York, seguito dal padre. In
America gli Steinweg mutano il cognome in Steinway e producono nuovi tipi di pianoforti che
ottennero un successo sbalorditivo. Dal 1859 applicano al Grancoda l'incrocio delle corde,
ottenendo un aumento del volume di suono. Con una succursale a Londra nel 1877 e un'altra ad
Amburgo nel 1880, la Steinway & sons si avvia a conquistare il predominio mondiale che solo dopo
più di mezzo secolo, e solo in senso quantitativo, verrà superata dall'industria giapponese.
Il pianoforte da concerto diventa una macchina pesante che esige dall'esecutore una non indifferente
forza fisica. Costruttori ossessionati dalla concorrenza ingaggiano concertisti che come collaudatori
ne rivelino le virtù segrete.
Il repertorio si arricchisce dopo il 1870 con le trascrizioni da opere organistiche e violinistiche di
Bach ecc...
Accanto al consolidato RECITAL e CONCERTO SOLISTICO ottiene fortuna il RECITAL
MISTO: pianoforte e orchestra.
La durata dei concerti diventa considerevole, quasi spropositata, richiedendo al pubblico grande
concentrazione mentale. Ciò che oggi distruggerebbe le facoltà ricettive dello spettatore, era allora
favorito dalla preparazione che il pubblico non mancava di fare.
Con l'avvento, nella metà dell'800, del telegrafo e della rete ferroviaria, l'organizzazione artigianale
dell'Accademia e del Recital affidata al concertista attraverso contatti personali, sparisce lasciando
il posto alla SOCIETÀ DEI CONCERTI o SOCIETÁ DEL QUARTETTO o SOCIETÁ
DEGLI AMICI DELLA MUSICA, gestita gratuitamente dai soci a livello locale, e una
internazionale, l'AGENZIA, gestita da professionisti.
Il concertista internazionale percepisce alti onorari per cui deve soddisfare il pubblico che ne
verifica la capacità, conoscendo il programma proposto. Così la manifestazione culturale rischia di
cedere il posto allo spettacolo e all'Accademia neovirtuosistica.
La triade dei dominatori del secolo fu composta da Liszt, Rubinstein e Busoni.
I pianisti venivano selezionati secondo il sistema del PROTEGÈ. Clementi procurava ai suoi
allievi la prima importante apparizione in pubblico, facendosi patrocinatore e garante del nuovo
talento, così il primo passo verso la carriera era compiuto.
Una variante di questa modalità di selezione, per così dire, era prospettata dal Conservatorio di
Parigi in cui al termine di ogni anno scolastico si teneva un concorso pubblico a cui potevano
partecipare gli allievi che avevano superato una serie di prove preliminari. Spesso venivano
selezionati talenti giovanissimi, come Joseph Hofmann, il quale diede inizio allo sfruttamento della
precocità: Hofmann infatti faceva concerti ogni 2 giorni. Allievo anche di Rubinstein che indisse un
concorso che segnava la fine del sistema di selezione del Protegè con quello che vige tutt'ora,
ovvero quello dei concorsi.
Verso la fine dell'800 vi è una riscoperta della musica antica nel suono originale come quella per
clavicembalo, concludendo il concetto di trascrizione.
Agli inizi del '900 si definì la differenza sostanziale tra pianoforte moderno e quello con telaio non
metallico che sembrava, quest'ultimo, evocare il clavicembalo antico, che ben si prestava
all'esecuzione del “Clavicembalo ben temperato” di Bach, denominato FORTEPIANO per
distinguerlo dal pianoforte moderno.
DECADENTISMO=> IL SIMBOLISMO
Il periodo che va circa dall'inizio del '900 alla Grande guerra è il più ricco di avvenimenti che
afferiscono alla storia del pianoforte.Gli anni della maturità di Debussy, Ravel, Busoni, Scriabin,
Schonberg e Satie, in cui esordiscono Bartòk, Prokofiev e De Falla, in cui operano ancora
Rachmaninov, Faurè, Albeniz e Granados.
Si afferma la tecnica di Hofmann, Busoni, Rosenthal per il pianoforte con telaio metallico. Si
incidono i primi dischi.
Con Eric Satie vi è la negazione del suono pianistico ottocentesco. Le sue composizioni non
richiedono il pianoforte da concerto, il grancoda da 2 metri e 80, ma il pianino verticale. Non più
quella cantabilità metavocalistica ma una contrapposizione dinamica senza sfumature.
Si incarnano nel pianino con Satie la melodia più fischiettata che cantata, che meglio si prestava alla
meccanica rozza, alla meccanica del pianino.
Una rivoluzione culturale che ribalta l'uso sociale sia della musica sia dello strumento presso le
classi colte.
Debussy ammirò Satie, ma con lui rientriamo nel professionalismo. Il pianoforte di Debussy è
quello di Chopin e Liszt, si identifica bene nei grancoda dalle enormi possibilità ancora in parte
inesplorate. Con il primo brano delle “Estampes”, intitolato “Pagodes” abbiamo già una matura
intuizione di tutta una nuova gamma di timbri. Chiara è l'influenza della musica giavanese con le
orchestre gamelan: non più il legato cantabile ma un suono percussivo e ondeggiante e con l'alone
creato dal pedale di risonanza. Una costruzione sonora che mette in evidenza il gioco dei timbri. I
timbri non si fondono ma coesistono. Non vi è preminenza gerarchica della melodia
sull'accompagnamento. Tra i temi non c'è dialettica ma un susseguirsi spazio-temporale.
La seconda serie di “Images” si apre ad una nuova poetica basata sul tocco.
Viene poi ispirato dal simbolismo romantico, costruisce una pittura sonora in cui non c'è
coinvolgimento psicologico, ma di movimento, quindi fisico.
Produce il rumore nell'ultimo Preludio col glissando a 2 mani.
Nei 12 Studi troviamo i luoghi deputati della tecnica pianistica (5 note, le terze, le seste, le note
ribattute...). Racchiudono il cammino stilistico percorso in 30 anni chiudendo, così, un ciclo storico
relativo al pianoforte.
Per trovare nuove possibilità timbriche nel pianoforte si dovrà inventare l'esecuzione sulla cordiera
o introdurre il rapporto con le macchine di riproduzione del suono.
Il pianoforte come continente da scoprire finisce con Debussy.
La produzione di Ravel affianca quella di Debussy con ricerche sul timbro, caratterizzata da un
accumulo di tensione seguito da una rapida distensione.
La poetica simbolista con colorazioni mistiche è quella di Scriabin. Quest'ultimo risente molto
dell'influenza di Chopin, creando però una concezione sua di suono sfuggente, con le dita che
toccano tangenzialmente il tasto e non vi si soffermano, sembra che si muovano nell'aria. Un ampio
uso di insolite didascalie attraverso cui l'autore lascia trasparire la manifestazione della vita interiore
di cui la musica è “simbolo” rivelatore.
Busoni invece va oltre il simbolismo per riaffermare i valori di una “giovane classicità” umanistica.
É un artista italiano che ripercorre la storia della tecnica pianistica catalogandola in un lavoro in cui
tutte le ricerche sullo strumento trovano una collocazione.
Aderisce anch'egli ad un simbolismo mistico: nell'ultimo Concerto fa intonare ad un coro di uomini
versi in cui si canta il passaggio dal tempo all'eternità. Il ritorno alla classicità avviene con la
“Fantasia da Bach” e la “Fantasia contrappuntistica”.
L'ultimo dei grandi compositori dell'epoca dopo Debussy e Scriabin è Charles Ives. Questi parte da
una cultura periferica come una stratificazione indipendente dalla cultura dominante. Fa riferimento
alla musica di Bartòk che definisce colto-popolaresca, alla musica delle bande, a quella delle chiese
protestanti e alla musica di danza delle feste paesane.La sua musica nasce da uno spaccato di vita di
tutti i giorni. Egli non nega però le tradizioni europee della forma pluritematica e della tecnica
wagneriana del motivo conduttore, tuttavia il lessico e il suono sono di sconcertante originalità.
Supera tutti i simbolisti europei con un agglomerato di suoni timbricamente caratterizzato.
Costruisce timbri particolari facendo toccare lievissimamente i suoni ottenuti con il palmo della
mano e mediante un regolo di legno (cluster), costruisce effetti sonori con la gestualità, attraverso
movimenti dell'avambraccio e del busto. Ives come Satie rompe alcuni miti come quello del recital
e dell'onnipotenza del pianoforte portata da Liszt più di mezzo secolo prima.
In America Ives è isolato, oscurato da pianisti di matrice impressionista.
Gli anni che precedono la Grande Guerra sono quelli in cui si impone il pianoforte verticale,
strumento del jazz nei locali pubblici, non si cercano suoni profondi e legati ma se occorre un
accento più energico si batte col piede sinistro sul pavimento di legno. Esordiscono poi,
estremamente influenzati da Debussy e Ravel, Manuel De Falla, Alfredo Casella, Bela Bartòk e poi
Prokofiev che esprime il virtuosismo di Liszt e Rachmaninov ma non crede più al suono cantabile
ma piuttosto ad un suono percussivo in cui essenziale è l'inizio e non la durata. Egli preannuncia il
neoclassicismo.
NEOCLASSICISMO
Il simbolismo si esaurisce con la Grande Guerra, sopravvive l'Impressionismo che morirà con
“Gaspard de la nuit”. Nella letteratura pianistica vengono impiegate forme riprese dalla tradizione
del '700 e del primo '800. Più che di neoclassicismo si dovrebbe parlare di Neobarocco perchè tra le
due guerra vi è assoluta fiducia nel contrappunto in quanto principio di costruzione polifonica
testimoniata dalla “Fuga” del Concerto per due pianoforti di Stravinsky (1935) e dalla “Fuga” della
Sonata n.3 di Hindemith (1936). Tra i pochi lavori neoclassici che per la mostruosità delle
dimensioni (248 pagine) e per le inaudite difficoltà mettono in imbarazzo un pianista di carriera è
l'”Opus Clavicembalisticum” dell'inglese di origine persiana Kaikhosru Sorabij, ma anche il
“Tombeau de Couperin” rappresenta un manifesto del Neoclassicismo in cui non si rinnega nulla di
quanto creato dal Simbolismo, ma la tecnica impressionistica dei timbri è al servizio di un
pianoforte che ridiventa clavicembalo.
Di Busoni ricordiamo “Sonatina ad usum infantis Madeline Americanae pro clavicembalo
composita”, di Satie la “Sonatina burocratica”.
Il neoclassicismo ritorna poi al virtuosismo tradizionale limitandolo cioeè ingentilendolo. Il
virtuosismo riceve un singolare impulso dalla musica per la sola mano sinistra nata per fattori
casuali ma storicamente significativi, commissionata da esecutori mutilati della mano destra in
guerra. Ne troviamo di Richard Strauss, Prokofiev, Ravel, Britten.
LE AVANGUARDIE
Sono opere di avanguardia quelle composte su 12 suoni come la Suite op.25 di Schonberg.
Importante è rilevare l'uso del pianoforte moderno, cioè col telaio metallico, e il terzo pedale,
brevettato dalla Steinway & sons, impiegato eccezionalmente fino a tempi recenti.
Nasce la modalità dell'esecuzione sulla cordiera il cui pioniere fu Henry Cowell, anche se nel
passato si annoverano già esperimenti simili .
Tra le due guerra fu anche utilizzato il pianoforte a quarti di tono, un “piano acromatico” per cui
furono composti diversi pezzi ma per problemi riscontrati di scarsa intonazione ed esecuzione non
raggiunse mai un'apprezzabile diffusione.
Altri espedienti sonori furono:
- il CLUSTER o TONE-CLUSTER, capace di emettere suoni di altezza non determinata, concetto
mutuato dalle percussioni. L'uso divenne frequente dopo la seconda guerra mondiale. Un esempio è
il quarto tempo della “Suite all'aria aperta” di Bartok (col palmo)
- intorno agli anni '20 destò interesse il PIANOFORTE AUTOMATICO. L'”autopiano da concerto”
sembrava potesse sostituire l'orchestra
- lo strumento che avrebbe potuto accrescere a dismisura le possibilità timbriche del pianoforte fu il
PIANOFORTE ELETTRICO, realizzato nel 1928 dalla Bechstein: fu denominato “NeoBechstien”.
Le vibrazioni delle corde non venivano amplificate dalla cassa armonica ma raccolte da
elettromagneti e trasmesse da altoparlanti. Questo strumento non rappresentava una evoluzione del
vecchio pianoforte
- PIANOFORTE PREPARATO: per ottenere nuovi timbri, Cowell e Cage inserirono tra le corde
degli oggetti (pezzi di gomma, di feltro, sughero, plastica, metallo). Il pianoforte veniva preparato
di volta, con non meno di tre ore di lavoro. Questo espediente sollevò non poche critiche.
- il PEL è il pianoforte elettronico ancora in via di sperimentazione per i compositori
TROVARE LA STORIA
La storia del concertismo fu dominata per 70 anni da Liszt che trasformò l'Accademia in Recital e
svolse un ruolo decisivo nello sviluppo della cultura come maestro di più generazioni di pianisti, e
da Rubinstein che dopo il ritiro di Liszt dal concertismo fu il maggior incantatore di folle e quindi
il maggiore propagatore di cultura. Entrambi avevano dettato indirizzi di gusto interpretativo a cui
si uniformavano i concertisti dell'epoca. Liszt ebbe il merito, tra l'altro, di rendere attuali
compositori non viventi, valorizzando miti fuori dall'epoca che li aveva prodotti. Nasceva
l'interrogativo sulla fedeltà dell'interpretazione che poteva giovarsi di numerose registrazioni con
l'incisione in disco, all'inizio del '900. Si potè conoscere lo stile dei pianisti nati dal 1860 in poi. Da
uno studio critico di questi documenti si può affermare che Backhaus fosse il primo esponente
della nuova generazione a staccarsi dalla tradizione di Liszt-Rubinstein.
Tra le grandi figure dell'interpretazione di questa generazione in Germania ricordiamo oltre a
Backhaus anche Schnabel e Edwin Fischer: il primo privilegiò le ragioni del linguaggio, il secondo
quelle della storia e il terzo ritrovò i miti.
Ancora in Francia si ebbe Cortot, in Russia Hofmann e Rachmaninov, in cui i miti rivivono nella
sua lezione di interprete nella drammaticità di un disperato furore.
Tra il 1920 e 1940 Gieseking interpretò tra i pre-pianisti Bach e Scarlatti, limitando la sua indagine
sulla letteratura barocca per tastiera.
Dalla cultura russa annoveriamo Richter e Horowitz, coevi come interpreti della storia.
Il manierismo di Backhaus fu sviluppato da Claudio Arrau che leggeva il segno meticolosamente,
ricercando nei segni di espressione un equivalente sonoro.
Arturo Benedetti Michelangeli possiede una tavolozza timbrica notevole, paragonabile a Gieseking,
Horowitz e Richter. Da qui le cure leggendarie di Michelangeli sullo strumento.
LIBERARE LA MUSICA
Un interprete acuto di Chopin e Liszt fu Alfred Brendel , austriaco stabilitosi in Inghilterra.
Riteneva la missione dell'interprete come un adempimento di tre funzioni:
1. “Conservatore di museo”, di natura storica, per cui si verifica il testo dell'opera attraverso i
documenti originali.
2. “Esecutore testamentario”, proiettando nel presente la musica del passato, facendo risorgere
l'aspetto di novità che l'opera aveva in origine
3. “Missione dell'ostetrico”, così da far nascere l'opera sotto le dita dell'interprete, da cui nasce
un sentimento spontaneo da un lavoro minuzioso.
Si risolveva così il rinnovamento dell'interpretazione. Un consolidamento dell'indirizzo storico fu
dato dalla diffusione del fortepiano antico largamente impiegato in disco. Il pubblico seguiva con
passione la ripubblicazione sia dei vecchi dischi che documentano la storia dell'intepretazione, sia
delle registrazioni di esecuzioni pubbliche, fissate su acetati rimasti per lungo tempo di proprietà
privata.
Quindi la conoscenza della storia diventava occasione di confronto utile al campo della creazione.
Sintesi dalla dispensa di P. Secondi “Storia e tecnologia del pianoforte” Conservatorio di Pescara
Introduzione
1) Salterio egiziani/ebrei citato nella bibbia si pizzicavano corde tese sopra una cassa
2) Monocordo Pitagora VI sec. A.C; corda di budello con ponticello mobile in vibrazione con
un plettro
3) Hydraulis Ctesibio di Alessandria III sec. A.C. organo idraulico su principio di vasi
comunicanti, prima costruzione di tastiera e somiere, parte intermedia, con 8/10 canne
Le prime tastiere erano solo diatoniche, ad Erone di Alessandria I sec. D.C. si deve il
riposizionamento originale attraverso le molle, solo nel XIII vennero introdotti i semitoni cromatici.
Fino al XII secolo le tastiere non erano proprio nell’accezione moderna, ma erano costituiti da
tiranti. Un primitivo sistema di tasti fu applicato al monocordo tra l’VIII e il XIII sec. D.C.
4) Ghironda (o organistrum) XII sec. D.C. inizialmente cassetta a forma di parallelepipedo con
corda sfregata da una ruota di legno azionata da una manovella
6) Clavicordo slegato (1725 Daniel Faber) con un tasto per ciascuna corda
7) Clavicembalo (Hermann Poll 1370-1401) con maggiore sviluppo all’epoca di Bach. Aveva
corde più lunghe e maggiore tavola armonica che permetteva un volume maggiore; le corde
erano pizzicate da un plettro. Il pianoforte deve la forma “di ala” della cassa armonica, l’uso
di più corde per nota, smorzatori, etc.
L’invenzione del pianoforte fu propiziata dall’impossibilità della dinamica del clavicembalo e dal
modesto volume del clavicordo. Il pianoforte deve molto al clavicordo (corde metalliche,
smorzamento, tavola armonica indipendente). Un rimedio a questi difetti fu escogitato da
BARTOLOMEO CRISTOFORI che nel 1698 iniziò la realizzazione del pianoforte chiamandolo
“GRAVECEMBALO COL PIANO ET FORTE)
Oggi i pianoforti sono ben diversi dai primi prototipi di Cristofori. (Bradwood nel 1783 brevettò il
primo pedale, Babcock nel 1825 il primo telaio in ghisa, Erard il doppio scappamento del 1821,
Steinway nel 1858 incordatura incrociata).
Con l’invenzione del “pianoforte penumatico” nel 1895 (Votey) si è aperta una nuova prospettiva
d’analisi: la possibilità di registrare i movimenti della meccanica. Oggi con i rulli per “Welte-
mignon” possiamo riascoltare il modo di suonare di grandi artisti e compositori. Possiamo
considerare l’interfaccia Midi come l’evoluzione di questi sistemi. Tra le sperimentazioni
ricordiamo anche il “Pianoforte a quarti di tono” (con 2 tastiere, quella superiore era usata per
intonare i quarti della scala temperata; il compositore Haba se ne servì in diverse composizioni, la
sua prima composizione in questo senso fu “Suite” op 26.
Bartolomeo Cristofori padovano, al servizio dei Medici inventò l’auspicato strumento. La nuova
invenzione si basava sulla sostituzione dei saltarelli con i martelletti con una contro-leva a 2
movimenti: uno anteriore per spingere i martelletti sulla corda e un altro posteriore che faceva
calare lo smorzo. Per evitare che il martelletto ostacolasse le vibrazioni della corda, Cristofori
applicò una corda ai martelletti che li faceva ricadere (scappamento). Cristofori inventò anche il
meccanismo dello spostamento della tastiera per percuotere una sola corda (azionato inizialmente
dal ginocchio). Il nuovo moderno di Pianoforte fu preceduto da Forte-piano.
Il forte-piano non ebbe successo in Italia, ma l’idea finì al costruttore di organi Gottfried
Silbermann che costruì una copia esatta del pianoforte di Cristofori nel 1726. L’idea piacque molto
a Federico II di Prussia che ne acquistò 7. Dal 1732 iniziò ad essere scritta musica per questo
strumento.
- Per mezzo del paramartello impedisce che al martello di rimbalzare indietro verso le corde
Sopravvivono ancora 3 pianoforti del Cristofori tutti con struttura in legno e di 4 ottave:
Questi strumenti non riuscivano ad ottenere ancora grandi sonorità come i clavicembali dell’epoca.
2) Frenatura della discesa del martello dopo la percussione (precorritrice del paramartello)
3) Smorzatore che inibiva la vibrazione della corda quando non più in uso
4) Isolamento della tavola armonica per far vibrare più liberamente le corde, con una
tensione superiore e di maggior calibro
Nel 1808 Broadwood adottò rinforzi metallici, Allen nel 1820 iniziò ad usare tubi metallici per
tenere le corde in tensione, Babcock nel 1825 brevettò il primo pancone metallico , Chickering nel
1843 ideò i primi perimetri interamente in metallo, Pape nel 1828 sovracordatura (sovrapposizione
delle corde) poi brevettato dalla Steinway nel 1858.
La “English tape action” (o meccanica a baionetta” ) fu inventata nel 1826 da Wornum come
perfezionamento della “English sticker action” con lo scappamento e il paramartello sul piano-
cottage (pianoforte verticale)
Il pianoforte verticale
I primi tentatavi intorno al 1735/1745. (Domenico Del Mela)
Friederici creò nel 1745 il pianoforte piramide (come i moderni pianoforti a coda ma sviluppato
in altezza). Dal 1780 pianoforti verticali con “meccanica a bacchetta” o “a baionetta” (la
meccanica seguiva l’allineamento delle corde e della tavola armonica ed era costituita da lunghe
stecchette di legno che connettevano il retro della tastiera al meccanismo del martelletto).
Inzio ‘800 impiego della cordatura diagonale per avere corde più lunghe, Lichtenthal progettò la
frenata da un nastro dei martelletti, poi raffinata da Wornum con il “blocco a nastro”.
2) Movimento rotatorio
LA MECCANICA
1) Pianoforti a coda (quarto, mezza, tre quarti, coda, tutto coda o gran concerto; da 140 cm a
280 cm tranne il Fazioli F308 che misura appunto 308 cm)
3) Pianoforte arabo (utilizzati nella musica araba ma non avevano i quarti di tono)
4) Pianoforte cabinet (pianoforte armadio) metà XX secolo Hawkins e Muller con meccanica a
baionetta e English sticker action
5) Pianoforte da viaggio (metà del XVIII sec.) senza scappamento. E’ il “buon piccolo
cembalo” che Leopold Mozart comprò ai suoi figli Wolfgang e Nannerl. (Steiner)
7) Pianoforte elettrico. Elettromeccanico molto in voga negli anni 60-70 nella categoria degli
elletrofoni; il pimo modello fu construito dalla Bechstein
8) Pianoforte necessaire (anche per fanciulli) con cassetti e scompratimenti (XIX secolo)
14) Tasteria
15) Fortepiano (epoca d’oro dal 1780 al 1835) di 4 ottave poi passate a 6, a coda o a tavolo
interamente in legno. Le varie zone della tastiera hanno una individualità sonora
pronunciata. Il volume è ridotto. Attraverso le ginocchiere è possibile ottenere diversi effetti
sonori come Liuto, Corda, Fagotto, Turcherie, etc. Le forme sono le più disparate, la sua
sorte fu segnata dai pianisti romantici che volevano più sonorità (si narra che Liszt ne
rompesse 2 a concerto; i pianoforti incominciarono ad utilizzare la ghisa al posto del legno)
16) Pianoforte pedale (Pedalfluü gel)è un pianoforte al quale viene aggiunta una pedaliera
simile a quella dell’organo. (pedaliera come strumento unico o come pianoforte
aggiuntivo). Le origini del pianoforte-pedale si ravvisano nel “clavicordo-pedale” e nel
“clavicembalo-pedale” conservati presso il Museo di Lipsia e il conservatorio di
Amsterdam. Mozart (nel 466 si ipotizza che al alcuni accordi fossero destinati alla
pedaliera), Beethoven (sonata op 28) utilizzavano la pedaliera. Schumann convinse
Mendelsshon a creare una classe dedicata nel Conservatorio di Lipsia. Anche Alkan
possedeva un pianoforte pedale. Attualmente è realizzato da BORGATO (doppio borgato,
pianoforte-pedialiera 402) con estensione di 3 ottave gravi e un con un pedale di risonanze
per entrambe le tastiere
COMPOSIZIONI per Pianoforte-Pedale
Alexandre Pierre Francç ois Boeë ly (1785–1858)
Twelve pieces Op.18
Robert Schumann (1810-1856)
Studien op.56
Skizzen Op.58
Six Fugues on B-A-C-H- Op.60
Franz Liszt (1811–1886)
Fantasie und Fuge uü ber den Choral “Ad nos, ad salutarem undam” from Meyerbeer’s
“Prophet”
Charles Valentin Alkan (1813-1888)
12 Études pour les pieds seulement
Benedictus in D minor Op.54
13 Prières Op.64
11 Grands Préludes et une transcription du “Messiah” de Hää ndel Op.66 Impromptu sur
le choral de Luther “Ein feste Burg ist unser Gott” Op.69 Bombardo-Carillon for pedal-
piano, four feet (or piano four hands)
L’anima dei pezzi è molto spesso di legno compensato a più starti o anche in legno truciolare,
materiale acusticamente è molto inerte. Il rivestimento è eseguito con una impiallacciatura; i legni
usati possono essere i più disparati: noce, mogano, palissandro, teak, rovere. La qualità dello
strumento non è comunque legata al tipo di legni usati per il rivestimento; in gran parte il pregio
deriva dalla bontà degli altri materiali che compongono la meccanica, la struttura e dalla loro
lavorazione. La finitura, cioè la verniciatura del mobile, viene quasi sempre fatta con vernici
poliesteri di tipo mezzo lucido, lucido o satinato. La bontà di questa verniciatura pur non
incidendo, se non in parte trascurabile, sul suono incide sulla durata estetica dello strumento; la
riverniciatura di un pianoforte non è spesa di poco conto.
Bordo, lo scopo di un bordo resistente è che «l’energia vibrazionale starà il più possibile
all’interno della cassa di risonanza invece che disperdersi inutilmente nelle parti che non
trasmettono efficientemente il suono». Normalmente di acero o faggio in strisce laminate e flessibili
deve reggere dai 136 kg di verticale ai quasi 500 di un coda.
Cassa di risonanza. E’ la parte del pianoforte per la quale l’importanza dei materiali è maggiore.
Nei pianoforti di qualità è realizzata con tavole di abete rosso incollate assieme; a volte possono
usarsi inserti in pioppo. L’abete rosso è scelto per l’alto rapporto forza/peso. I migliori costruttori di
pianoforti utilizzano abete rosso a struttura compatta, privo di difetti, asciugato per un lungo
periodo di tempo prima di essere usato. Nei pianoforti economici, la cassa è spesso in plywood
(compensato).
Tastiera E’ quella parte del pianoforte dove sono posizionati i tasti. La base su cui questa regge è in
abete. Normalmente è di 88 tasti ma ci sono pianoforti che si estendono oltre (Bosendorfer e
ultimamente anche Steinway) e pianoforti più piccoli (pianoforti gig) di 65 tasti.
Tasti Generalmente in tiglio per la leggerezza, l’abete rosso è usato normalmente in pianoforti di
qualità. Fondamentale che non si abbiano spostamenti o rigonfiamenti. Il rivestimento è fatto di
avorio ed ebano, mentre per quelli più economici viene usata la galalite (sostanza di derivazione
della caseina). La Yamaha ha utilizzato l’ivorite per simulare aspetto e tatto del’avorio. La Kaway
ha introdotto il Neotex. I tasti in genere vengono infilati su delle punte dette “guida tasti”.
La meccanica
E’ la parte di gran lunga più importante ed è anche, nel caso del pianoforte, quella più nascosta.
Tavola armonica, è formata da listelli di legno che deve essere perfetto. E’ usato un particolare tipo
di abete detto “acustico” (il migliore proviene dalla Romania, Germania e Italia del nord; da alcuni
anni vengono usati anche legni canadesi). E’ bombata anche se non si vede verso i ponticelli (carica
dello strumento). Sulla tavola armonica grava il carico delle corde e ogni tirata ha centinaia di chili
di trazione. (l’umidità o l’eccessiva secchezza potrebbe danneggiarla)
Su di essa sono incollati i ponticelli (lungo e breve) che hanno il compito di trasmettere il suono
dalle corde alla tavola e sono ricavati da legni duri come il faggio e l’acero. I ponticelli in numero di
2 si devono all’invenzione di Broadwood nel 1788
Catene. Listelli di abete a sezione rettangolare tondeggiante che servono a sostegno della tavola
armonica e a interrompere le forti differenze di velocità del suono sulla tavola armonica rendendo
più omogenea la distrubuzione delle onde acustiche.
Altre parti importanti sono le AGRAFFE (vite metalliche), HITCH PINS (spine metalliche),
BARRE DI TORSIONE (per irrigidire la struttura, SOMIERE (pinblock in cui hanno sede le
caviglie. Il SOMIERE può essere scoperto/coperto. Inizialmente era una tavola unica in faggio, con
l’incremento della tensione delle corde (440hz) la Steinway ha brevettato uno più resistente formato
da 5 o 6 strati di legno. In seguito la piastra è stata estesa a tutta la superficie e ha compreso anche il
somiere.
STORIA DEL PIANOFORTE ed. EDT
Di Giovanni Paolo Di Stefano
Diffusione in Europa
Portogallo
Prime composizioni scritte espressamente per pianoforte dal pistoiese Lodovico Giustini pubblicate
nel 1732: 12 Sonate da cimbalo di piano e forte, per Antonio Infante di Portogallo
Dal 1730 documentata la presenza di pianoforti di Cristofori e Ferrini in Portogallo e in Spagna,
stimolo per i costruttori locali a riproduzioni fedeli.
Francia
Diffusione del piano dal 1715. Il costruttore Jean Marius rivendicò alcuni modelli di cembali a
martelletti come propria invenzione. La meccanica molto più semplice dei pianoforti fiorentini.
Compare per la prima volta la presenza del registro una corda, ottenuto muovendo lateralmente la
martelliera di modo da percuotere solo 1-2 corde.
Germania
Dagli anni trenta diffusione di esperimenti costruttivi basati sul modello della meccanica fiorentina.
Silbermann, organaro e cembalaro, i suoi primi strumenti furono suonati da J.S.Bach che evidenziò
acuti troppo flebili e durezza al tocco. Silbermann lavorò per anni per migliorare questi aspetti
ottenendo successivamente il plauso di Bach.
Rispetto ai pianoforti fiorentini:
- meccanica del tutto simile;
- -cassa più robusta;
- estensione maggiore, 58 o 60 note (fa0-Re5 o Mi5);
- tasti diatonici in ebano;
- tastiera traslabile, per traporre al grave di un semitono o per il registro di una corda.
- altri due dispositivi di mutazione timbrica fra cui il primo esempio di disattivazione degli
smorzator, con leve manuali generando l’effetto Pantalon (grosso salterio inventato dal tedesco
Pantaleon ai primi del 700 a corde percosse con bacchette di legno con due estremità diverse, una
rivestita e una nuda, le cui corde risuonando liberamente creano sovrapposizioni armoniche).
Elementi caratterizzanti l’area tedesca in tutto il settecento:
martelletti in legno nudo (timbro più metallico);
numerosi dispositivi di mutazione timbrica (pianoforti “espressivi”) azionabili con leve manuali,
ginocchiere o pedali: moderatore (che frappone materiale morbido fra martelli e corde),
disattivatore degli smorzi; traspositori; registri per l’imitazione timbrica di numerosi altri strumenti
(arpa, liuto, clavicembalo…).
Milchmeyer, 1789, primo metodo didattico per pianoforte, sull’uso dei dispositivi di mutazione
timbrica e tecniche esecutive che rendessero verosimile l’imitazione di questo e quell’altro
strumento.
Nella seconda metà del 700 strumenti di questo tipo furono costruiti da cembalari anche in Italia
(Riela, Morellati). In Germania meridionale molto diffuso il pianoforte con cassa a tavolino.
Inghilterra
La diffusione del pianoforte tardiva in Inghilterra
Avviene dagli anni 60 soprattutto grazie allo sviluppo di pianoforti a tavolino del cembalaro
tedesco emigrato a Londra, Johannes Zumpe.
Caratteristiche: tastiera di 59 tasti, meccanica a spinta (semplificata: mancano la leva intermedia, lo
scappamento e il paramartello), martelletti in legno rivestiti di pelle e leva manuale per disattivare
gli smorzatori.
Costruzione più rapida ed economica, dimensioni ridotte notevole diffusione in tutta
Europa e in America settentrionale.
Aggiunta di pedali per l’azionamento di registri, in uso anche per i clavicembali in Inghilterra:
sfumature col progressivo inserimento dei registri; una persiana che apriva e chiudeva la tavola
armonica per generare crescendo e diminuendo.
Backers (anni 70): pianoforti a coda con meccanica del tipo Cristofori-Silbermann con l’aggiunta
di pedali per una corda e per la risonanza.
Broadwood (principale costruttore inglese) altre due importanti innovazioni:
l’equalizzazione delle corde (corde unisone della stessa lunghezza e perciò più intonate)
ponticello sulla tavola diviso in due parti (maggiore equilibrio timbrico tra le corde di ottone del
grave e quelle di ferro medio-acute).
Prima nei clavicembali e poi nei pianoforti: uso di metalli diversi per le corde dei bassi (di ottone o
di ferro rivestito di ottone), quindi diversa elasticità e densità, consente di interrompere i rapporti
pitagorici delle lunghezze (altrimenti sarebbero troppo lunghe).
Mettew e Williams Stodart, 1795, brevettano un pianoforte con la coda verticale ad armadio, con
ante e scaffali per i libri.
Tra 700 e 800 importante la ditta londinese, di editoria e costruzione di clavicembali e pianoforti,
Longman e Broderip poi rilevata da Muzio Clementi in Clementi & Co, che sviluppò molto la
costruzione e il commercio internazionale, in particolare a applicando ai pianoforti inglesi
l’estensione viennese (Do0-Do6).
Primi ‘800 nei pianoforti con le corde verticali si cominciarono a posizionare i martelletti
frontalmente alla cordiera.
Wornum negli anni quaranta brevetta la meccanica a scappamento con bretellina (che fa ritornare
il martelletto) e paramartello, alla base delle moderne meccaniche verticali.
Classicismo viennese
Tra 700 e 800 Vienna centro nevralgico del panorama musicale europeo; grande impulso industria
del pianoforte (richiamando costruttori da varie provincie), sul modello dell’innovazioni tedesche.
Franz Jacob Späth, costruttore tedesco, tra 1750-70 del 700 pianoforti a coda, a corde percosse da
asticciole in legno nudo, che scorrevano in guide, similmente ai saltarelli del clavicembalo, diffusi e
apprezzati, anche da Mozart.
Johann Andreas Stein, importante costruttore tedesco, aveva lavorato presso il laboratorio
Silbermann e stabilendo successivamente la sua fabbrica ad Augusta.
Sono del 1777 e 87 i Vis a Vis (conservati nell’accademia Filarmonica di Verona e Conservatorio
San Pietro a Majella di Napoli) il pianoforte-clavicembalo a due esecutori uno di fronte all’altro, il
cui piano ha martelli nudi, il moderatore e il registro d’arpa a leve manuali.
Successivamente Stein abbandona il sistema di mutazione e combinazioni di meccaniche.
Nuova estetica del suono pianistico che ricercava l’espressività non più in espedienti imitativi e nei
contrasti di colore ma nella purezza del tocco, nell’omogeneità timbrica, nella cantabilità, più adatte
allo schema forma-sonata del classicismo viennese. È noto che prima Mozart, poi Beethoven,
preferirono i pianoforti di Stein a quelli di Späth.
Stein inventa la meccanica detta Prellzungenmechanik: meccanica a rimbalzo con lo scappamento
(quando il tasto è premuto la coda del martelletto urta contro la linguetta dello scappamento che ne
determina il rimbalzo contro la corda e l’immediata ricaduta); ogni martelletto è montato in una
forcola di legno direttamente montato sulla leva del tasto. Questa soluzione rende la meccanica
particolarmente sensibile al tocco dell’esecutore. I martelletti, nei primi pianoforti erano di carta
come tradizione Cristofori-Sibermann, poi Stein li costruisce di legno rivestiti di pelle; non c’è il
paramartello; la tastiera con diatonici d’ebano e cromatici d’osso è di 5 ottave Fa0-Fa5.
Inventò inoltre la costruzione interna della cassa con telaio ad A, più solido.
Gabriel Anton Walter. Costruttore tedesco trasferitosi a Vienna negli anni 70 dal sud della
Germania. Il suo obiettivo era di rendere il suono più potente (all’inizio dell’800 l’esigenza di un
maggior volume sonoro riguardò tutti gli strumenti ed era legata all’ampliarsi degli da concerto in
funzione di un pubblico, la borghesia, più vasto). Le sue innovazioni sono note come meccanica
viennese.
Sostituì la forcola di ottone a quella di legno, che faceva più attrito togliendo potenza.
Ingrandì i martelletti
Riprese l’uso dei paramartelli.
Usò corde più spesse
Rinforzò la struttura interna della cassa.
Due filoni principali di scuole pianistiche viennesi legate alle caratteristiche costruttive di Stein-
Striecher e Walter: gli uni con un tocco delicato e morbido, una cantabilità intima, gli altri con un
pianismo virtuoso e potente.
Dopo la morte del padre, trasferita la fabbrica a Vienna, anche la figlia di Stein, Nannette, insieme
al marito e pianista Streicher, si dedicò a potenziare il suono: casse più robuste, corde più spesse,
martelli più grossi e paramartelli; aumentò l’estensione a 6 ottave e mezza (Fa0-Do6).
Francia
Fino circa agli anni settanta del 700 l’interesse verso il pianoforte era stato modesto.
Sébastian Èrard, intorno a quegli anni compare sulla scena parigina, proveniente da Strasburgo,
fonda col fratello a Parigi la Èrard Frères.
Inizialmente pianoforti da tavolo meccanica Zumpe però con pedali per liuto, fagotto, risonanza e
chiusura/apertura coperchio.
Pianoforti a coda, inizialmente meccanica inglese (Stodart, Broadwood) e 4 pedali (liuto,
moderatore, una corda e risonanza), posseduti di Hyadn e Beethoven (del 1808 esemplare
acquistato da Luigi Buonaparte conservato nel Rijksmuseum di Amsterdam). Tastiere più pesanti e
corsa più lunga rispetto ai leggeri viennesi. Martelli, come quelli Stodart, rivestiti di vari strati di
pelle più morbida all’esterno.
Innovazione introdotta dal 1808:
- Mécanique à etrier, avvicina il martello alla corda con una staffa che facilita il ribattuto
- Agraffe, da lui brevettate, elementi metallici dentro cui passano le corde che evitando il
sollevamento delle stesse garantendone una miglior tenuta
- Meccanica a doppio scappamento, brevettato nel 1822: aggiunta allo scappamento semplice di
un’ulteriore leva intermedia dotata di molla che raccoglie il martelletto a una distanza di circa
10mm sotto le corde, a tasto abbassato, velocizzando il ribattuto; 1822 anno della costruzione del
primo pianoforte con questa meccanica, su cui debutta il dodicenne Liszt cui fu affidata la
promozione dei nuovi pianoforti.
Fabbrica Pleyel, fondata nel 1807 dal compositore austriaco Ignaz Pleyel. Il figlio Camille
eccellente pianista e amico di Chopin, attua continue sperimentazione alla ricerca del suono
cantabile e avvolgente, espressione del nuovo sentire romantico
- meccanica semplificata, priva di doppio scappamento (derivata dai modelli inglesi con lo
spingitore montato sul tasto) che favorisce la sensibilità al tocco;
- martelletti piuttosto grandi;
- sperimentazione di vari tipi di rivestimenti in feltro, più compatti al centro e più soffici all’esterno,
per un suono più rotondo e soffice, da ricercarsi attraverso il tocco.
Pianoforti decisamente preferiti da Chopin. Viceversa nei pianoforti Èrard i martelletti più compatti
e piccoli, hanno suono più brillante, una maggior potenza sonora e prontezza meccanica, che
necessita di una tecnica più semplice e immediata, accessibile a tutti. Anche qui due concezioni
espressive e pianistiche distinte e legate alle caratteristiche costruttive degli strumenti.
Nel 1831 la Pleyel costruisce anche il Pianino, pianoforte verticale, con meccanica sul tipo
Wornum: martello frontale alle corde verticali che ruota sul suo fulcro ed è riportato indietro da una
bretellina di cuoio. In breve soppiantò i pianoforti da tavolo.
Nuovo Mondo
Tra i costruttori americani:
Hawkins a Philadelphia costruì e brevettò nel 1800 uno dei primi pianoforti verticali, dotato anche
di un telaio interno di metallo
Babcock di Boston sviluppò e brevettò l’idea di Hawkins del telaio metallico in un unico pezzo per
irrobustire la struttura e evitare l’imbarcamento dovuta alla trazione delle corde.
Chickering lo migliorò e brevettò, in ghisa, prima sui verticali poi a coda.
(Già dal Settecento si era cercato di ovviare al problema irrobustendo la struttura con rinforzi di
legno e nell’800 di metallo. Con l’incremento del diametro e del numero delle corde e quindi della
forza cui era sottoposta la struttura, vennero introdotte prima in Inghilterra con Broadwood e poi in
tutta Europa lunghe barre di compensazione metalliche, fino a che nel 1825 Babcock brevettò il suo
telaio metallico in un unico pezzo)
A metà dell’800 la famiglia Steinweg che aveva cominciato a costruire pianoforti in Germania, si
trasferisce a New York dove fonda la fabbrica e anglicizza il nome in Steinway.
Esposizioni Universali di Londra e Parigi 1862-67 resero nota al mondo la rivoluzione del “sistema
americano”.
Trasformazione: dei processi produttivi (produzione industriale in serie di pezzi poi assemblati da
operai specializzati); delle operazioni promozionali con testimonial famosi pianisti.
Innovazione tecnologica, numerosi brevetti:
- Cross stringing o over stringing per piano a coda (1859): cordiera in unico blocco di ghisa con
corde incrociate su due piani, al di sopra e diagonalmente quelle più lunghe dei bassi, al di sotto
quelle dei medio-acuti (sistema già sperimentato da Pape in Francia e Babcock nei piano forti
verticali e da tavolo per motivi di spazio della cassa); consentiva un suono più pastoso ed uniforme
fra i registri. Una nuova estetica del suono, caratterizzata da aloni sonori tipici della letteratura
pianistica degli anni successivi e diversa dal suono asciutto e nitido dei pianoforti a corde parallele.
- Maggiore potenza di suono con ampiezza della cassa e corde più tese (dal 1860 in acciaio a grande
resistenza).
- La meccanica resta sostanzialmente quella a doppio scappamento di Èdgar
- Duplex scale (1872): consente alle parti mute della corda di vibrare per simpatia, ciò che rese gli
acuti più brillanti e risonanti. Mentre Blüthner brevettò l’anno successivo l’aliquot, corda
aggiuntiva che vibra per simpatia priva di smorzatori e accordabile.
- Pedale tonale, centrale, solleva solo gli smorzatori dei tasti premuti quando lo si aziona.
- Cupola iron frame, telaio leggermente arcuato e sollevato dalla tavola armonica ancora più
resistente alla trazione.
Molte delle invenzioni furono adattate da Stenway ai pianoforti verticali che si diffusero sostituendo
definitivamente quelli da tavolo. Vi introdusse al posto dell’una corda con lo spostamento laterale
della tastiera, il suo avvicinamento per ottenere un suono meno intenso.
La fabbrica Peyel acquisì il sistema a corde incrociate e brevettò un proprio sistema di duplex scale.
Altrettanto ricettiva fu la fabbrica di Carl Bechestein a Berlino. Del tutto contrario alle innovazioni
americane fu Bösendorfer
Altra invenzione americana di Scott Votey (1895) fu il Piano player, autopianista, piano
meccanico: un dispositivo per le leve dei tasti sono azionate automaticamente grazie a un lettore per
rulli a carta perforata azionato da un sistema pneumatico a pedali, nel 900 sostituito da motore
elettrico. La Aeolian ne divenne l’azienda leader dando il nome di Pianola.
J.S.Bach (1685-1750)
Concerto italiano in Fa magg. per clavicembalo a due tastiere BWV 971 (1735) in 3 mov.; contenuto
nel ClavierÜbung con 6 partite per clavicembalo, l’Ouverture francese, Preludio e Fuga per organo,
21 fantasie su corali, 4 duetti e Variazioni Goldberg;
BWV 1052-1065 (13 composizioni per clavicembalo solista+orchestra d’archi+b.c.);
G. F. Händel (1685-1759)
L. Beethoven (1770-1827)
C. Czerny (1791-1857)
R. Schumann (1810-1856)
F. Chopin (1810-1849)
F. Liszt (1811-1886)
Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in Mib magg. S124 (impiegò 26 anni, dal 1849 al 1856)
Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in La magg. S125 (1839-ultima revisione 1861) Wagner
“apoteosi di macabrezza”
J. Brahms (1833-1897)
C. Franck (1822-1890)
S. Rachmaninov (1873-1943)
A.Scrjabin (1872-1915)
P. I. Tchaikovsky (1840-1893)
A.Dvorak (1841-1904)
E. Grieg (1843-1907)
M. De Falla (1876-1946)
Concerto per clavicembalo e 5 strumenti (flauto, oboe, clarinetto, violino e violoncello)
A.Schönberg (1874-1951)
M. Ravel (1875-1937)
B. Bartók (1881-1945)
I.Stravinsky (1882-1971)
S. Prokofiev (1891-1953)
O. Respighi (1879-1936)
F. Poulenc (1899-1963)
Concert champêtre per clavicembalo e orchestra
Concerto per DUE pianoforti e orchestra in Re min.
Concerto per organo, orchestra e timpani
G. Gershwin (1898-1937)
J. Cage (1912-1992)
Concerto per pianoforte e orchestra (1957-8; basato sull’I-Ching; 13 parti indipendenti + pf solista)
D. Shostakovich (1906-1975)
M. Gould (1913-1996)
W. Fortner (1907-1987)
RIASSUNTO
di Francesca Carola
Altro esempio in Schumann: come si collocano le Variazioni ABEGG op.1 rispetto agli Studi Sinfonici op.13? Secondo Arrau e
Richter appartengono alla stessa poetica, ma nella loro interpretazione delle ABEGG manca il carattere Biedermeier (grazia,
leggerezza, senso ludico). Solo con la storiografia della musica si rivalutano la poetica e gli autori Biedermeier, non più
considerati “minori” => ciò porta ad una rivisitazione di opere come le ABEGG, ma anche il Rondò, le Variazioni op.12 e il
Bolero op.19 di Chopin.
L'invenzione del fonografo nel 1877 ci consente oggi di conoscere concretamente le interpretazioni dei grandi artisti del
passato. I vecchi 78 giri (con registrazioni di pianisti nati intorno al 1860) vennero riversati su LP e diffusi, facendo nascere
così la storia dell'interpretazione e obbligando l'interprete a conoscere e a misurarsi con il passato (Berlioz nel 1860 nelle
Memorie dice che nel Conservatorio di Parigi mancava la conoscenza delle opere del passato da parte degli studenti).
Questa conoscenza serve per:
– evitare la sterile applicazione delle tradizioni
– verificare la reale portata di regole e norme
– ritrovare principi di retorica espositiva dimenticati
Esempi:
1) Arrau dice che nell'esecuzione del cantabile ogni nota deve avere una diversa dinamica. Un precettista secolare
afferma che i tratti ascendenti vanno eseguiti in crescendo e viceversa
2) Nell'esposizione della Ballata n.4 di Chopin ci sono diverse interpretazioni:
- i pianisti della seconda metà del '900 mantengono lo stesso tempo, fanno un uso moderato del rubato, hanno un unico
colore timbrico
- Rachmaninov espone 4 temi in accelerando, fa un uso notevole del rubato, usa un colore morbido ma anche aggressivo
- il polacco Koczalski, allievo di un allievo di Chopin (il polacco Mikuli), è lo specchio più fedele dell'autentica tradizione
chopiniana, usa il rubato ma entro un tempo unico di base ed è quindi più vicino agli interpreti del '900.
Bisogna quindi seguire un criterio di fedeltà o comunicazione?
Secondo Czerny bisogna affrontare ogni esecuzione pensando a quale effetto si vuole ottenere dal pubblico a cui ci si
rivolge.
Solo Hofmann e Gilels rendono come Rachmaninov due distinte fonti sonore nel Preludio op.3 n.2 (Campane di Mosca):
campane a lutto e gemiti della folla. Solo Rachmaninov riesce ad intonare il tema in ottava dell'inizio del terzo Concerto
come un unico suono. Rachmaninov è l'ultimo artista nel quale il compositore e il pianista hanno pari valore.
Chopin lascia molti segni sugli spartiti degli allievi (era un insegnante a tempo pieno, prima che compositore e pianista):
acciaccature in battere, segni di respiro, dinamiche, fraseggi... però le differenze tra le varie fonti (autografo, prima edizione
francese, seconda tedesca) indicano anche che Chopin la pensasse liberamente sui segni di espressione.
Schumann lascia solo le Regole di vita musicale, ma non aveva una grande esperienza come didatta.
Clementi riscrive quelle sue composizioni in cui l'estensione del fortepiano aveva limitato la scrittura, adattandole ai nuovi
strumenti con una quinta in più (Ouvres Complètes).
Beethoven trova soluzioni alternative quando gli strumenti non gli permettevano l'estensione che avrebbe voluto (Rondò
della Sonata op.53)
Fino alle soglie dell'800 il compositore concedeva e prevedeva esplicitamente gli interventi dell'interprete che introduceva
per esempio varianti ornamentali nelle note (le versioni ornate pubblicate dell'Adagio della Sonata K332 e la Variazione XI
del Finale della Sonata K284 servono da modello anche per le altre opere di Mozart).
Nel primo tempo della Sonata 49 Haydn scrive “a suo piacere”.
La scrittura della musica pianistica tende a diventare sempre più complessa, ricca di particolari: da quella scheletrica di
Mozart a quella corposissima di Rachmaninov, fino al “Mode de valeurs et d'intensités” di Messiaen del 1949 in cui
serializza note, durate, dinamiche e modi di attacco del tasto.
CAPITOLO 7: L'INTERPRETAZIONE COLLETTIVA
Interpretazione collettiva = tradizione.
“La tradizione è la somma degli errori” (Schnabel), spesso la somma degli accorgimenti pratici per aggirare certe difficoltà di
concertazione senza perdere troppo tempo durante le prove e rendere più sicura l'esecuzione. Esempi:
1. primo tempo Concerto n.1 di Liszt si passa direttamente al doppio del tempo senza il “poco a poco stringendo”
2. suddividere le volatine in modo misurato
3. togliere alcune note del Rach 3 (scuola russa)
Spesso la tradizione riguarda anche l'espressione (rallentandi, accelerandi, crescendi, diminuendi, pause, episodi più lenti) e
i tempi di esecuzione, a cui i pianisti si adeguano perchè “SI FA COSÌ”.
Caso del RUBATO di Chopin => Chopin usa il termine “rubato” solo in 13 composizioni. In senso classico era inteso come
DÉCALAGE, lo sfasamento ritmico tra melodia e accompagnamento (ne parla già Mozart nel 1777). Rosenblum lo chiama
CONTRAMETRIC RUBATO.
Nell'800 il termine “rubato” indicava l'ordinaria declamazione e si identificò con il “jouer à la Chopin” (Schumann), cioè il
rubato agogico che fa oscillare costantemente la misura. Berlioz dice che Chopin suona con troppa indipendenza ritmica e
non suona in modo regolare (Berlioz parla da direttore d'orchestra e non da pianista). Questa affermazione è sicuramente
esagerata, ma trova la sua motivazione nelle caratteristiche della musica di Chopin, nella sua declamazione e sonorità. Il
suono di Chopin è di limitato volume e delicato (quando suonò a due pf con Hiller nel 1835 non si sentiva): per ottenere i
contrasti dinamici ricorreva ai contrasti di tempo, otteneva la fluttuazione dinamica con la fluttuazione di tempo
(sensazione di improvvisazione all'ascolto).
Però le descrizioni del tempo RUBATO di Chopin sono diverse:
1) Liszt => faceva ondulare la melodia, il tempo è spezzato, ritmo duttile, aspro e languente nello stesso tempo,
morbidezza
2) Lenz => la sinistra va a tempo, mentre la destra è libera
3) Mikuli => Chopin era inflessibile nella tenuta del tempo: la sinistra strettamente in tempo, la melodia libera da ogni
costrizione metrica
4) Saint-Saens => l'accompagnamento è imperturbabile, la melodia oscilla, anticipa o ritarda fino a trovare il suo
sostegno. Completa indipendenza delle due mani.
Tuttavia quel che affermano Lenz, Mikuli e Saint-Saens (poiché sono Classicisti) va contro sia alle loro interpretazioni della
musica di Chopin, sia alla fattibilità esecutiva di suonare certi passaggi mantenendo la sinistra a tempo: anzi, proprio come
una bravo direttore d'orchestra, la sinistra deve seguire la melodia e assecondare le sue oscillazioni ritmiche.
Eigeldinger distingue 3 specie di rubato di Chopin:
1. il décalage barocco-classico
2. l'oscillazione romantica del tempo
3. la ritmica popolare polacca
Tema della MUSICA A PROGRAMMA (legare la musica strumentale ad idee e immagini: fortissimo stimolo psicologico sia
per interprete sia per l'ascoltatore ed è quindi un elemento della tecnica di comunicazione di massa), poetica lisztiana.
Nel saggio su Schumann Liszt dice che Schumann riconobbe la necessità di un legame tra musica e letteratura e poesia
(come quando Beethoven scrive l'Egmont o quando dà titoli a opere strumentali): Schumann ha avvicinato la letteratura
alla musica in quanto ha dimostrato che si poteva essere contemporaneamente musicista significativo e scrittore esperto.
Ha afferrato nel modo più completo il significato del programma dando titoli per richiamare musicalmente in noi l'effetto
che la realtà di un oggetto avrebbe fatto (Scene infantili o Album per la gioventù non avrebbero lo stesso effetto se chiamati
Bagatelle o altro).
Liszt dunque si presenta come quarto protagonista della musica a programma, dopo Beethoven, Berlioz e Schumann.
Per Schumann la musica è espressiva nel senso che è un linguaggio vero e proprio: ad ogni espressione musicale
corrisponde la stessa espressione letteraria (Fubini).
Così grazie a Liszt e Schumann nella seconda metà dell'800 abbondano i titoli apocrifi:
– Beethoven: Chiaro di luna, la Tempesta, la Caccia, l'Aurora, l'Appassionata
– Chopin: Tristezza, Butterfly, La Goccia, Valzer dell'addio, Valzer del cagnolino, le api....
ma anche i programmi di vari brani:
– Ballata op.38: fiore di campo, soffio del vento, chiacchiericcio del vento col fiore, suppliche del fiore, agonia (Anton
Rubinstein, che però ritiene che il programma sia soggettivo, cioè riguarda l'interprete e non il compositore)
– Walter Niemann cita 17 programmi diversi per l'op.27 n.2, dal 1839 al 1903, da Czerny a Nagel
– La “Goccia d'acqua” fu un'invenzione romanzesca della Sand, che però non specifica di quale Preludio si tratta (alla
fine quello in re bemolle maggiore)
– 5 teorie sul programma della Sonata in si min.di Liszt (si adatta perfettamente al Balletto “Margherita e Armando”
di Ashton, che coreografò anche il Mephisto Valse n.1 e la Dante Sonata)
– Pembaur mette in relazione la Tempesta di Shakespeare non solo con l'op.31 n.2, ma anche con l'op.57 (lo fece
anche Beethoven stesso)
Nella seconda metà dell'800 si inizia a creare la distinzione tra antico/moderno, classico/romantico.
Già nelle didascalie degli Studi op.70 di Moscheles (1827) c'è distinzione tra “stile severo dell'antica scuola” (Preludio e Fuga
Studio n.2) e Studio n.5 dove è permesso e consigliato modificare il tempo secondo il gusto e sentimento, ma senza
indicazioni agogiche.
Czerny nel 1839 indica invece i passi dove c'è accelerando o rallentando.
Per Hofmann erano romantici Mozart, Beethoven e Bach: romanticismo è una categoria UNIVERSALE e non cronologica
del'arte. Tutta la musica è romantica in quanto espressiva. Nella revisione delle Sonate di Mozart (Moscheles) e del
Clavicembalo ben Temperato di Bach (Czerny) troviamo un'abbondanza di segni di espressione, articolazione del suono,
didascalie e immagini (impetuoso, drammatico, racconto, flutti del mare, tempesta, grido d'aiuto...) che fanno pensare a
questi autori in modo “romanticizzato”.
I problemi sui quali dibattono i concetti di classico e romantico riguardano le note, ma soprattutto la dinamica, timbrica e il
tempo.
Timbrica => esempi di osservazioni: Moscheles dice che il perfezionamento degli strumenti ammette un maggior uso del
pedale rispetto a quello indicato da Beethoven; Lenz osserva che Tausig suona il finale della 101 come un oboe e il 1° tempo
come due chitarre
Tempo => - uso del metronomo: Moscheles dice che l'indicazione metronomica deve essere solo una lieve guida per gli
esecutori, mostra il tempo generale all'inizio ma poi non bisogna seguirlo strettamente dappertutto perchè il brano non
avrebbe vita ed espressione
- testimonianza Schindler su Dorothea von Ertmann, allieva di Beethoven che suona la 101: dava ad ogni frase il grado di
velocità opportuno, secondo il carattere del pezzo e la propria poesia. Anche Mendelssohn ne parla (1831) dicendo però
che esagera un po' nei rallentandi e accelerandi
Revisione Sonate e Variazioni di Beethoven di Hans von Bulow: aggiunge commenti ispirati all'estetica e alla poetica.
Esempi: nel Finale della 101: si trovano passi liricamente cantanti, la cui interpretazione richiede uno slancio caloroso e
passionale; nella terza Variazione Diabelli op.120: “dolce”=profondamente e teneramente appassionato. Con la scrittura
non si riesce a rendere il profondo sentimento intimo che richiede.
Però dà anche indicazioni rigide e pedanti (categorico nella unitarietà di tempo):
– la corona deve avere la durata di una battuta e mezza
– la pulsazione ritmica deve essere uniforme e regolare per tutto il pezzo
– nell'Adagio della 101 suddivide le cinquine in 2+ 3, così la divisione ritmica della cadenza sarà perfettamente a
posto
– primo tempo della 111: 12 note al 3° quarto e 6 note al 4° quarto con la stessa pulsazione (il che è brutto da
sentire)
– primo tempo della 101: range metronomico da 69 a 76 a seconda della qualità dello strumento, della sua attitudine
al canto, delle dimensioni dell'ambiente.
Nell'800 la distinzione tra classico e romantico inclinava verso dogmatismo/libertà. Bulow annovera tra i classici anche
Chopin (poiché mantiene imperturbabilmente il tempo).
A. Rubinstein (1891) critica chi interpreta “liberamente” (Wagner e Liszt), con cambi di tempo, rallentamenti e altre
aggiunte non indicate, ma anche chi:
1. aggiunge effetti pianistici: Tausig nell'Invito alla Danza di Weber, Henselt nelle Sonate di Weber
2. aggiunge l'orchestra in pezzi pianistici: Liszt nella Wanderer di Schubert trascritta per pf.e orchestra
3. riunisce due opere in una: Liszt trascrive la Polacca in mi magg.di Weber per pf.e orchestra e aggiunge la Polacca in
mi bem.min.di Weber come Introduzione
4. fa nuove strumentazioni dei Concerti di Chopin: Tausig e Balakirev del 1° Concerto, Klinworth del 2°
5. aggiunge strumenti nella Nona Sinfonia: Wagner
Altri particolari dell'interpretazione: numerosissime indicazioni di dinamica, poche di agogica (ritenendo, a tempo, calando),
parecchie di carattere (dolce, espressivo, con forza, appassionato, leggierissimo, con anima, dolcissimo).
Il punto culminante dell'intera composizione dovrebbe essere a batt.60, dove c'è la nota più acuta mi bem.6, con sforzato e
crescendo e con anima-con forza-appassionato che la precedono. Tuttavia in un esemplare del Notturno in possesso della
sorella di Chopin, alla batt.46 c'è un fff, non c'è più il con forza e viene aggiunto un pp => dunque lì ci sarebbe il climax
formale: viene raggiunta l'APOTEOSI del tema principale nella sua terza apparizione. Le apoteosi create da Chopin
comportano il potenziamento della dinamica, arricchimento della scrittura, collocazione tema in un registro diverso.
Questa variante si trova nell'edizione Oxford del 1923.
– Alcuni lasciano dunque il climax a batt.60 (Leschetizki, Diémer, Pachmann, Godowsky, La Forge) e non enfatizzano
l'apoteosi
– alcuni seguono le edizioni originali (Hofmann, Koczalski, Barer, Askenase, Magaloff, Rosenthal, Ashkenazy)
– alcuni seguono l'edizione Oxford e fanno fff a batt.46 (solo Ciani e Petri)
Molto spesso i compositori calcolano inconsciamente la struttura delle loro composizioni secondo la proporzione della
sezione aurea (la porzione minore del segmento sta alla porzione maggiore come la porzione maggiore sta al tutto): nella
batt.46 cade la divisione del pezzo secondo la sezione aurea.
La teoria dell'interpretazione di Liszt e dei suoi successori per 60 anni porta in 1° piano l'interprete, la modernità il
compositore. Liszt costruisce l'interpretazione sulla prima reazione che l'interprete prova leggendo il testo, gli interpreti
della modernità invece cercano la verità attraverso la lettura del testo e la fedeltà ad esso, la prima reazione emotiva è solo
l'inizio di una ricerca: il pensiero del compositore non dev'essere in nessun modo tradito, l'estetica viene subordinata
all'etica.
Gli interpreti di discendenza lisztiana non si sentono vincolati alle dinamiche scritte e spesso intervengono anche sulle note:
– Leschetizki, La Forge, Pachmann cambiano le note nelle batt.28-32
– Rosenthal fa una versione virtuosistica e trascendentale alla batt.57
– Magaloff fa una variante di Julian Fontana batt.21
– molti aggiungono ottave di raddoppio al basso (Lipatti)
– l'unico che segue esattamente tutte le indicazioni di Chopin è Pollini (ritenendo, con forza, calando, indicazioni di
pedale)
Il tempo metronomico di Chopin è 150 all'ottavo=> se si mantiene il tempo indicato da Chopin le 48 note della batt.52
(mano dx) sono ineseguibili. Esse però sono scritte come “notine”, abbellimento e Czerny ci dice nel 1839 che si deve
applicare il ritardando negli abbellimenti formati da moltissime note veloci.
Il 150 di Chopin si spiega se messo in relazione con il Notturno precedente op.27 n.1, indicato a 120 all'ottavo. Il n.1 è in
do# MINORE, il 2 è in re bemolle MAGGIORE=> il passaggio da 120 a 150 è un segno esteriore - come l'enarmonia do#-re
bem. - del rapporto esistente tra i due Notturni tra l'espressione angosciata che, sublimandosi, sfocia nella serenità.
Nell'800 ci fu una rilettura dell'op.27 n.2 in chiave più patetica, drammatica e teatrale di quanto non appaia se lo si pensa
eseguito dopo il n.1 e alla velocità indicata da Chopin, che lo rende più dolcemente romantico e meno decadentistico e
espressionistico. La modernità non si identifica con la filologia, che ha aperto nella seconda metà del '900 nuovi orizzonti.
Più volte negli ultimi anni, con una frequenza e una convinzione sempre maggiori, insegnanti,
studiosi e gli stessi studenti di musica hanno segnalato (soprattutto all’interno di scuole
professionali come i conservatori) l’opportunità di incentivare l’apprendimento della lettura a prima
vista, nel tentativo di restituirle così il giusto peso nel tradizionale percorso di studi.
Ancora troppo pochi sono stati tuttavia gli sforzi diretti ad approfondire adeguatamente i molteplici
aspetti di questa importante abilità e attività musicale, sia da un punto di vista tecnico, fisiologico,
sensomotorio, psicologico, sia con l’intento di analizzare e sintetizzare i contributi didattici, le
pubblicazioni, i metodi proposti nel corso degli anni da vari autori.
L’indagine, incentrata sulla prima vista pianistica, è stata condotta su più fronti, tracciando un
preciso “identikit” della lettura estemporanea, recuperando (grazie ai contributi e aneddoti relativi
ad importanti musicisti del passato, quali c. P. E. Bach, Mozart, Czerny) le radici storiche della
questione; sintetizzando in un’unica visione chiara e compatta i risultati prodotti, in ambito
scientifico, dalle più recenti ricerche italiane e straniere; analizzando in particolare alcuni tra i
metodi didattici più adottati (la maggior parte di essi di provenienza anglosassone, quali Bastien,
last, Bradley e Tobin, ecc.), confrontandone premesse, obiettivi, contenuti e modalità di
insegnamento; realizzando infine un’esperienza di tirocinio con bambini dai 6 agli 11 anni.
La prima vista costituiva una pratica ampiamente e quotidianamente sfruttata in una ricca varietà di
contesti musicali già molto prima di Haydn e Mozart, rappresentando anche nei secoli precedenti,
una prassi esecutiva assai frequente.
La complessità e le difficoltà – di tipo sia prettamente fisico e motorio che intellettuale – relative
alla prima vista erano dunque già ben note ai musicisti delle epoche passate, come ci rivelano
numerose testimonianze.
In breve, appare chiaro che presso qualsiasi società musicale basata su un sistema di notazione
piuttosto sviluppato (come quello presente nella nostra cultura occidentale), l’esecuzione
estemporanea di un brano su uno strumento o con la voce sia associata ad un momento di grande
virtuosismo, di straordinaria competenza, alle volte, apparentemente, al limite delle possibilità
umane: senza dubbio, un bell’effetto speciale, un’acrobazia, un gioco da equilibristi.
Alla luce di quanto detto finora, il percorso evolutivo della pratica di lettura a vista sembra essere
caratterizzato, in sostanza, da una sostanziale “staticità” didattica e pedagogica. Se è vero, infatti,
che nel corso del tempo la ricerca ha condotto indagini specifiche, chiarito nel dettaglio (soprattutto
negli ultimi decenni) i principali meccanismi in atto e offerto suggerimenti sempre più precisi e
mirati per uno sviluppo adeguato delle abilità in gioco, è altresì indubbio che le problematiche più
rilevanti concretamente connesse a questa pratica musicale siano rimaste, nei secoli, in larga parte
invariate.
Dall’ottocento in poi, tuttavia, la nascita del diritto d’autore contribuisce al graduale declino della
pratica di lettura all’impronta, alimentato inoltre dalla diffusione di un repertorio basato su brani
ben preparati o addirittura studiati interamente a memoria. La prima vista dunque perde la sua
funzione, per così dire, vitale: da quel momento – pur non figurando più come un’abilità da esibire
con orgoglio durante le esecuzioni pubbliche – continuerà tuttavia a rappresentare un irrinunciabile
“ferro del mestiere” per molti musicisti, specialmente i pianisti accompagnatori, divenendo una
prova in certi casi indispensabile per il superamento di esami e audizioni, ma faticando comunque a
ritagliarsi uno spazio idoneo, ad esempio, nei programmi di studio conservatoriali.
Se, in conclusione, concordiamo con E. Della Siega nell’affermare che «la lettura non è una dote
soprannaturale, ma un’abilità umana che si può migliorare o perfezionare 1», possiamo allora
3 Ibid., p. 121.
4 Annibale Rebaudengo, Il pianoforte: uno strumento per la scuola, in Teresa Camellini a cura di, Prove e saggi sui saperi musicali, Ets, Pisa 2003, p. 157.
5 Carmen Virginia Sampaolo, La lettura a prima vista, Rugginenti, Milano 2000, p. 27.
I metodi analizzati
Parlando di tipologie di pubblicazione, è importante distinguere tra il metodo vero e proprio
(eventualmente suddiviso in diversi volumi, ognuno dedicato ad un livello di difficoltà progressivo)
e il “manuale”, il cui approccio è generalmente più teorico che pratico, non offrendo una vera e
propria proposta di esercizi su cui allenarsi in modo sistematico, ma descrivendo in maniera
discorsiva i problemi connessi all’attività di lettura. In questo lavoro, ci si è accostati
fondamentalmente al primo tipo, ritenendo importante valutare nel dettaglio la presenza e la natura
dei seguenti parametri, rappresentativi di ognuno dei metodi di studio esaminati:
1. Premessa dell’autore relativa all’utilizzo del metodo;
2. Indicazioni generali sull’attività di lettura;
3. Assistenza in itinere (funzione “guida” attraverso suggerimenti e consigli vari);
4. Monitoraggio dei progressi;
5. Livello di difficoltà;
6. Accompagnamento musicale dell’insegnante;
7. Pentagramma singolo o doppio;
8. Chiave di basso;
9. Alterazioni;
10. Tonalità;
11. Indicazioni di tempo;
12. Esercizi di riconoscimento a colpo d’occhio;
13. Esercizi ritmici;
14. Segni di espressione;
15. Diteggiatura e sensibilità tattile e cinestetica;
16. Suggerimenti ed esercizi vari;
17. Cura dell’impostazione grafica;
Le regole e i suggerimenti finalizzati alla realizzazione di una buona lettura pianistica a prima vista,
continuino a rimanere, da sempre, gli stessi: osservare il brano prima di suonare, leggere
lentamente, guardare in avanti, contare, non fermarsi mai e non tornare indietro, non correggere gli
errori – Czerny: «ella deve continuare a suonare il pezzo lentamente sì in principio ma
rigorosamente a tempo. Se potesse abituarsi, mentre suona a contare ad alta voce da sé, sarebbe
certamente utile7»; c. E. P. Bach, relativamente agli studi proposti nel suo metodo: «se qualcuno,
avendo molta facilità, desidera leggerli a prima vista, gli consiglio vivamente di esaminarli prima
con la dovuta attenzione nei minimi particolari 8». Anche per ciò che concerne lo sviluppo della
sensibilità tattile non sembrano esserci nuovi accorgimenti, se non quello onnipresente di non
guardarsi le mani ma concentrarsi invece sulla partitura (alcuni esercizi più mirati, da citare,
potrebbero essere quelli proposti da Paul Harris nel suo metodo – ad occhi chiusi indovinare i salti
sulla tastiera partendo dal do centrale come punto di riferimento – o nel manuale della Sampaolo –
suonare lentamente un brano conosciuto senza però premere i tasti, in modo da “sentire” la loro
7 Carl Czerny, Lettere sull’insegnamento del pianoforte, Casa Editrice Artistica, Roma 1909, p. 26.
8 Carl Emanuel Philipp Bach, Saggio di metodo per la tastiera –L’interpretazione della musica barocca, Curci, Milano 1973 p. 29
posizione sotto le dita, abituarsi a prendere come riferimenti i gruppi di due o tre tasti neri, suonare
ad occhi chiusi o al buio – già Mozart, del resto, si divertiva a coprire la tastiera con un panno e a
suonarla «come se avesse davanti agli occhi la tastiera nuda»).
Oltre alle indicazioni sul procedimento di lettura, è interessante notare ugualmente una certa
linearità e omogeneità nella modalità dell’apprendimento. Sembra cioè esistere una sequenza
temporale ben precisa – rispettata grosso modo dalla totalità degli autori esaminati – in base alla
quale proporre i contenuti all’allievo. Per ciò che riguarda le indicazioni di tempo, ad esempio, tutti
i metodi privilegiano inizialmente esercizi basati su tempi binari (2/4, 3/4 o 4/4), posticipando quelli
ternari (3/8, 6/8) – il metodo Bastien si snoda in quattro volumi ma solamente a partire dal terzo
viene inserito il 6/8; Busching addirittura propone quasi esclusivamente il 4/4 e raramente il 3/4,
non considerando per nulla i tempi in ottavi; altri tuttavia (Harris) arrivano a presentare anche tempi
misti in 5/8, 5/4 o in tempo tagliato.
Anche le alterazioni sono oggetto di una sequenzialità comune: come è facile comprendere infatti, i
primissimi esercizi saranno il più delle volte in do maggiore, privi di alterazioni al loro interno;
poco alla volta si tenderà poi a spostarsi con gradualità nelle tonalità vicine. Esistono naturalmente
esempi estremi, come il metodo di Hall e Marcadle, nel quale in tre volumi si arriva al massimo a
brani con una alterazione in chiave o, dall’altra parte, quello di last (in otto volumi), dove già
l’esercizio numero due è scritto in sol.
Una perfetta coincidenza poi è quella stabilita, nei vari metodi, relativamente al sistema del doppio
pentagramma e all’utilizzo della chiave di basso: quasi tutti i metodi cominciano fin da subito,
infatti, ad abituare l’allievo alla scrittura pianistica e dunque ai movimenti oculari orizzontali,
verticali e incrociati ed alla difficoltà di lettura in chiave di basso (che dunque costituisce un
prerequisito necessario) – solo il metodo di Bradley e Tobin, pur presentando già dall’inizio la
chiave di basso, propone brani con il doppio pentagramma soltanto dal numero 127 del primo
volume. La totalità degli autori considerati infine, sembra essere assolutamente concorde
nell’impostare i primi esempi su melodie alternate tra le mani, ed invitare solo successivamente ad
eseguire a mani unite – Busching addirittura sembra voler evitare questa seconda fase, proponendo
quasi esclusivamente esercizi a mani separate o, in ogni caso, con brevissimi momenti di polifonia.
Le analogie fin qui illustrate ad un livello generale, hanno comunque portato alla luce l’esistenza di
alcune differenze nelle particolari modalità di approccio o di presentazione dei contenuti stessi: una
certa varietà nella tipologia di esercizi proposti, nell’importanza di alcuni aspetti piuttosto che altri
circa l’attività stessa di lettura o, semplicemente, nella cura grafica del metodo, è infatti pur sempre
rilevabile. Alcuni autori, ad esempio, forniscono non solo un’ampia premessa relativa all’utilizzo
del metodo e agli obiettivi fondamentali che si pongono, ma descrivono brevemente vantaggi e
svantaggi della lettura a prima vista e indicazioni di vario genere. In questa prospettiva, Norris offre
senza dubbio la descrizione più precisa e puntuale sul corretto apprendimento e svolgimento
dell’abilità di lettura estemporanea, arrivando anche a formulare interessanti osservazioni di natura
didattica. A proposito del suggerimento di localizzare, prima di suonare, le note ribattute, ad
esempio, egli nota come «curiosa sia la tendenza generale, anche in passaggi semplicissimi, a
leggere male una nota ripetuta. Anziché la nota giusta, viene spesso suonata la nota superiore o la
nota inferiore, a seconda della direzione della progressione»; o ancora, relativamente al ritmo,
«forse l’errore più comune e a tutti i livelli di difficoltà è quello di accorciare le note di durata
maggiore (semibrevi, minime, se minime) e di rallentare nell’eseguire note di durata minore
(semicrome e crome, ad esempio)».
La funzione di assistenza e di guida fornita all’allievo nel corso di tutto il metodo, viene assunta e
realizzata in modi diversi dai vari autori esaminati. Se alcuni, infatti, si limitano ad offrire un
semplice elenco di esercizi di lettura – senza intervenire in alcun modo per aiutare o accompagnare
il lettore nel percorso di apprendimento e relegando ogni responsabilità allo studente stesso o
all’insegnante (è questo il caso di Busching, che in effetti a ben vedere non fornisce alcun “metodo”
vero e proprio) – altri stimolano continuamente lo studente attraverso consegne, domande, esercizi e
spiegazioni in modo sia verbale che squisitamente grafico (Hall e Marcadle). Gli esercizi possono
essere di diverso tipo: ritmici (Harris), finalizzati al riconoscimento a colpo d’occhio di elementi e
figure musicali (Norris) o allo sviluppo dell’orecchio interno e di altre abilità (Hall e Marcadle).
Una funzione di assistenza è fornita inoltre da quei metodi (Bastien, Harris) basati su un rigoroso
controllo dei progressi, attraverso la calendarizzazione delle letture o l’assegnazione di un
punteggio specifico, in modo tale da verificare la frequenza e la qualità dell’allenamento (fattori
essenziali, come sottolineato più volte, per lo sviluppo della capacità di lettura).
Ancora, alcuni autori stabiliscono un itinerario didattico nel quale si possono affrontare diverse
tipologie di lettura (melodica, polifonica, accordale), offrendo materiale adatto a tal fine, mentre
altri sembrano ignorare quasi del tutto queste differenze di scrittura e, di conseguenza,
l’apprendimento delle abilità specifiche che esse richiedono (Hall e Marcadle, e Busching, ad
esempio, non propongono all’allievo alcuna esecuzione accordale sulla tastiera).
Altre differenze degne di nota sono riscontrabili nella presenza o meno, all’interno degli esercizi,
dei segni di espressione e di dinamica. Bastien, ad esempio, presenta fin da subito il fraseggio
attraverso le legature, i segni di dinamica (f, mf, p, ecc.) E l’articolazione, ma non tratta in nessun
momento il crescendo/diminuendo e le indicazioni di agogica; Bradley e Tobin inseriscono
dall’inizio legature e articolazione e solo successivamente tutto il resto; al contrario Harris comincia
con i segni di dinamica, i crescendo/diminuendo per arrivare solo in un secondo momento alle
legature ed ai segni di articolazione; Hall e Marcadle non affrontano il problema fino al livello
cinque del primo volume, espressamente dedicato; last inserisce tutti gli elementi di espressione
praticamente da subito; Busching infine non tratta in alcun modo la questione, adducendo come
motivazione la volontà di non tediare l’allievo con esercizi specifici su questi aspetti musicali,
offrendogli invece la possibilità di divertirsi fin da subito suonando insieme all’insegnante e
sviluppando con lui il senso e l’espressività musicale (personalmente, non la ritengo una valida
motivazione, dal momento che il lettore prima o poi si troverà di fronte a questi segni e soprattutto,
essi rappresentano un grandissimo aiuto nel realizzare uno degli obiettivi principali nella lettura a
prima vista, ovvero il riconoscimento istantaneo di strutture e configurazioni).
Anche l’aspetto cinestetico, relativo allo sviluppo della capacità tattile è affrontato in modo diverso,
prospettando, in definitiva, due differenti impostazioni didattiche: la prima (quella di Bastien e di
Busching) basata su poche posizioni fisse della mano, limita così al minimo il problema dei salti o
della diteggiatura (Bastien presenta comunque diverse posizioni – più di quelle proposte da
Busching – e verso la fine si occupa anche di difficoltà più specifiche come il passaggio del pollice
necessario alla realizzazione delle scale); la seconda (quella più frequente) è invece slegata da
impostazioni rigide delle mani e suggerisce di volta in volta, in maniera più o meno accurata, le dita
da utilizzare.
Tutti i metodi esaminati si fondano naturalmente su un avanzamento progressivo della difficoltà,
tuttavia se in alcuni tale progresso si rivela piuttosto lento (Busching, Hall e Marcadle), altri
permettono di raggiungere un’abilità di lettura a prima vista in riferimento a brani davvero
complessi (solitamente, è questo il caso di quei metodi distribuiti su molti volumi, come Bradley e
Tobin, Last o Harris). In più casi, inoltre, gli autori sottolineano l’importanza di offrire al lettore
brani appena più difficili rispetto al livello raggiunto in un dato momento, con l’obiettivo di
«mantenere stimolante l’apprendimento». Anche per ciò che concerne i prerequisiti vi sono
differenze: Bradley e Tobin o Norris, ad esempio, introducono alla lettura dei brani che propongono,
attraverso esercizi specifici mirati al riconoscimento delle altezze sul pentagramma e degli
intervalli, altri invece (Last) considerano come già acquisiti una quantità più ampia di segni e
nozioni musicali.
Dalle analisi che si sono condotte, infine, è stato possibile comprendere come anche l’impostazione
grafica sia un indice importante del livello di difficoltà complessivo di un determinato metodo:
quello di Hall e Marcadle sembrerebbe il più idoneo, ad esempio, ad allievi piuttosto giovani (grazie
ai simboli grafici accattivanti e al paragone tra la lettura a prima vista e l’avventura di un
esploratore), mentre quello di last incontrerebbe senza dubbio maggiori consensi in un pubblico in
parte già esperto.
Nessun metodo, tra quelli considerati, prende in considerazione la totalità dei parametri qui
proposti: alcuni sembrano infatti concentrarsi su pochissimi aspetti della lettura e di conseguenza
sviluppano soltanto determinate abilità; altri invece appaiono molto più completi e distinguono fra
diverse tipologie di esercizi, mirate al potenziamento specifico delle sotto-abilità corrispondenti. Da
questo punto di vista, credo si possano collocare ai due estremi il metodo di Busching, da una parte,
e quelli di hall e Marcadle o Harris dall’altra (pur con le loro mancanze). Se infatti, il primo cerca,
giustamente, di «simulare situazioni rappresentative basate sulla lettura a prima vista 21» attraverso
l’esecuzione a quattro mani con l’insegnante (unico esempio fra quelli esaminati), tuttavia esso si
dimostra decisamente insufficiente nel fornire una guida idonea e veramente “metodologica” al
lettore principiante. Molto più interessante è invece il lavoro di harris (forse uno dei più completi e
ben fatti), fra le altre cose, anche per la proposta originale (riscontrata qui soltanto) di esercizi mirati
allo sviluppo del senso ritmico e delle capacità di coordinazione sensomotoria; o quello di hall e
Marcadle, il solo che sembri considerare, da un punto di vista pratico, l’aspetto forse più
affascinante dell’attività di lettura, ovvero il problem solving e l’abilità di “ricostruzione attiva” del
materiale codificato, attraverso diversi test finalizzati allo sviluppo del feedback uditivo (ill.), delle
capacità di previsione, di minime abilità compositive o di analisi, ed esercizi di completamento dei
segni mancanti in partitura o di riconoscimento degli errori di scrittura (“correttore di bozze”).
Al termine di questo percorso storico e metodologico sulle modalità riguardanti la lettura a prima
vista, di seguito vengono presentati i vari passi per l’applicazione di questa pratica:
Siediti davanti al pianoforte e apri lo spartito alla prima pagina. Prova a guardare le note,
pronunciale ad alta voce e cerca di comprendere il pezzo senza suonarlo.
Fin dall'inizio, è utile mettere in pratica il ritmo prima di dedicarsi alla melodia. Batti il piede o
utilizza un metronomo per segnare il ritmo. Continua ad esercitarti con la lettura a prima vista e non
fermarti se commetti un errore.
Dovresti essere in grado di interiorizzare la lettura ritmica abbastanza rapidamente. Una volta che
avrai superato le fasi basilari, farai meglio a integrare ritmo e melodia.
Annota i dettagli. Guarda la tonalità, eventuali cambiamenti di chiavi e la dinamica del pezzo. Se
puoi, cerca gli accordi e stabilisci quali sono.
Cerca la parte più delicata del pezzo, per esempio i sedicesimi (semicrome) o un punto con un sacco
di alterazioni che sono difficili da imparare, e cerca una velocità alla quale pensi di poter suonare
anche le parti più complesse. È molto importante 'non fermarsi e ripartire quando si commette un
errore ': continua solo a suonare.
Cerca degli schemi mentre stai suonando e tenta sempre di leggere almeno una misura in avanti.
Suona il pezzo. Dopo la lettura dell'esercizio, è il momento di suonare. Conta il tempo ad alta voce
e assicurati di stare contando abbastanza lentamente da poter riprodurre tutte le note realisticamente.
Potresti perdere un paio note, ma è più importante mantenere il ritmo preciso.
Continua a fare pratica in questo modo tutte le volte che puoi. Sentiti libero di tornare indietro a
studiare i pezzi che hai già suonato, ma in modo più approfondito. Più ti eserciterai, più diventerai
abile nella lettura a prima vista.
Per leggere a prima vista, devi imparare a recuperare velocemente quando commetti un errore. È
inevitabile fare qualche sbaglio, ma il segreto è non agitarsi e continuare a suonare. Inoltre, se gli
ascoltatori non conoscono bene il pezzo, è probabile che non si accorgano dell'errore; se non ti
tradisci, non lo sapranno mai.
Utilizza il metodo stars per aiutarti a ricordare che cosa cercare prima di iniziare a suonare un pezzo
nuovo:
S = (signature) armatura di chiave
T = tempo
A = alterazioni (diesis e bemolle)
R = ritmi
S = stile
Non giudicare la tua abilità di pianista in base al modo in cui leggi a prima vista. Ricorda che stai
cercando soltanto di migliorare le tue capacità di lettura. La lettura a prima vista ti obbliga a suonare
senza fermarti (perché non è un'esercitazione per migliorare il pezzo), perciò devi concentrarti al
massimo. La rabbia e la frustrazione non faranno altro che intralciarti, distraendoti dall'obiettivo
principale. Sorridi, rilassati e suona mantenendo la concentrazione.
La difficoltà maggiore nella lettura a prima vista è l'esecuzione del ritmo giusto. Può essere di
grande aiuto contare ad alta voce "uno e due e tre e quattro". Ovviamente, i numeri da contare
cambieranno in base al tempo del pezzo.
Allena gli occhi a leggere prima delle dita. Lo scopo è guardare almeno una misura in avanti,
partendo da una sola per poi continuare ad aumentare la distanza.
Verifica la presenza di diesis e bemolle, di cambi di chiave o di tempo. Se devi eseguire dei salti
impegnativi (ad esempio, dei salti di ottava) fai attenzione. Controlla più volte le note al di fuori del
pentagramma.
Impara gli intervalli. Un intervallo musicale è la distanza tra due note. Ad esempio, l'intervallo tra
do e re è di seconda, tra do e mi di terza e tra do e sol di quinta. È semplice, guardando il
pentagramma:
Quando due note sono entrambe sulle linee, gli intervalli sono di terza, quinta, settima, ecc. Conta le
linee e gli spazi se non sei sicuro: due note sulle linee separate da uno spazio = terza; due note sulle
linee separate da due spazi e una linea = quinta; ecc.
Lo stesso vale quando due note sono entrambe negli spazi. Danno luogo agli stessi intervalli —
dispari. La differenza è che conti le linee che separano le due note negli spazi: una linea dà un
intervallo di terza, due linee e uno spazio danno un intervallo di quinta e così via.
Quando una nota è nello spazio e l'altra su una linea, gli intervalli sono pari. Se le due note non
presentano linee o spazi in mezzo, si tratta di un intervallo di seconda; se sono separate da una linea
e uno spazio, è un intervallo di quarta, ecc.
Gli intervalli sono un po' più complessi di così, ma, per acquisire familiarità con la lettura a vista,
queste basi ti permetteranno di iniziare.
Un altro metodo ottimo (e decisamente più piacevole) per esercitarti nella lettura a prima vista è
suonare insieme ad un amico: in tal modo, sarete entrambi costretti a suonare mantenendo il tempo
e senza fermarvi, concentrandovi sulle note giuste per non rovinare l'esecuzione.
Se non hai un pianoforte a portata di mano, puoi esercitarti a leggere gli spartiti anche senza
suonarli. Guarda la posizione delle note, cerca di riconoscerle e ricordare il loro aspetto. Sfrutta la
memoria!
La prima vista non è un dono concesso ad una cerchia élitaria di pochi musicisti. L’acquisizione di
tale competenza è invece alla portata di tutti e rappresenta il risultato dell’esercizio regolare, della
pratica costante, della qualità del background teorico alle spalle, dell’esperienza musicale in
continuo, quotidiano ampliamento ed infine – ai livelli più alti – della capacità cognitiva di
“costruire” attivamente e anticipatamente il processo stesso di decodifica della partitura.
Per leggere bene a prima vista bisogna conoscere altrettanto bene la musica, la sua sintassi, la sua
grammatica. Studiando la “prima vista” insomma si potrebbero affrontare una quantità di argomenti
musicali potenzialmente molto vasta e sviluppare la maggior parte delle capacità richieste ad un
musicista, dal basilare riconoscimento di altezze e valori, a difficoltà ritmiche di vario tipo, a
problemi di ordine pratico e motorio – quali la diteggiatura –, al potenziamento dell’orecchio
interno, all’abilità di comunicare nell’immediato un senso musicale a ciò che si sta suonando.
Certo non si vuole proporre forzatamente l’insegnamento della lettura estemporanea come la prima
tappa da affrontare nella fase iniziale di ogni iter didattico (forse non è nemmeno la più importante
in senso generale e comunque l’incapacità di leggere musica non equivale automaticamente ad una
mancanza di “musicalità”): come al solito, tutto dipende dagli obiettivi che si vogliono raggiungere.
Quello che qui preme sottolineare, in ogni caso, è l’indubbio valore educativo che l’insegnamento
di tale pratica porta con sé.
Leggere correttamente a prima vista, non corrisponde ad un’attività basata esclusivamente su un
“semplice” gioco fra percezione e capacità motorie. Occorre ugualmente fare appello a tutte le
conoscenze teoriche e all’esperienza musicale posseduti dal singolo soggetto. Di conseguenza,
investire almeno una parte del percorso didattico in questa direzione, potrebbe offrire notevoli
vantaggi anche sul piano della formazione musicale globale dell’individuo, consentendo di
assumere l’apprendimento della “prima vista” come punto di partenza dal quale, eventualmente,
potersi anche muoversi in altre direzioni, in un’ottica “reticolare”.
• senza leggio si ottiene un controllo molto migliore sul suono. Non con il leggio abbassato ma
proprio senza, così il pianista ascolta meglio il suono dello strumento, che arriva più ricco di
armonici, potendo avere così un controllo diretto sull’esecuzione molto più efficace.
I pianisti di livello avanzato devono suonare a memoria per l'alto livello di abilità tecnica che viene
atteso. Praticamente per tutti gli studenti (inclusi quelli che pensano di non imparare a memoria) i
passaggi più difficili
Vengono suonati quasi completamente a memoria. Coloro che non imparano a memoria potrebbero
aver bisogno dello spartito musicale di fronte ad essi per supporto psicologico e per piccoli spunti
qui e là, ma in effetti, stanno suonando i passaggi difficili quasi completamente partendo dalla
"memoria delle mani". A causa di questo bisogno si suonare a memoria, la memorizzazione si è
evoluta in un procedimento scientifico che è inseparabilmente intessuto col processo di studio del
pianoforte. La memorizzazione non è solo il ripetere qualcosa fino a quando non si riesce a suonarlo
senza guardare lo spartito musicale, è un complicato processo di creazione di associazioni,
all'interno del cervello, con cose che si conoscono già.
La memorizzazione è un modo per imparare rapidamente nuovi pezzi. A lungo termine, si imparano
i pezzi tecnicamente significativi molto più velocemente memorizzandoli che utilizzando lo
spartito. Imparare a memoria permette al pianista di iniziare a suonare da un qualunque punto nel
mezzo del pezzo, è un metodo per riprendersi dai blackouts o per eliminare le imprecisioni, ed aiuta
a sviluppare una migliore comprensione della composizione. Permette di "suonare frammenti"
(suonare piccoli estratti da una composizione), un'abilità molto utile per le esibizioni casuali,
l'insegnamento, e per imparare come eseguire i pezzi. Quando averte memorizzato 10 ore di
repertorio, che è facilmente ottenibile, realizzerete il vantaggio di non dovervi portare in giro tutta
quella musica e cercare attraverso di essa il pezzo o il frammento. Se vorrete saltare da un
frammento ad un altro frammento, cercarli all’interno di una catasta di spartiti musicali sarebbe
poco pratico.
Per i pianoforti a coda, il leggio interferirà col suono, in modo tale che non sarete in grado di
ascoltarvi mentre suonate se il leggio è alzato. Questo effetto è in special modo drammatico in una
sala da concerto o in auditorium con una buona acustica -- il pianoforte può diventare praticamente
non udibile. Ma soprattutto, imparare a memoria ci permette di concentrarci al 100% sulla musica.
Il pianoforte è un'arte esecutiva, e una esecuzione memorizzata è più gratificante per il pubblico
perchè questo riconosce nella capacità di imparare a memoria un talento aggiuntivo. Sì, se
memorizzate, non sarà così difficile sembrare come quegli artisti geniali che siete soliti invidiare!
Una volta che un nuovo pezzo viene "imparato", ma non ancora perfezionato, questi stupendi
tipicamente abbandonano il pezzo e passano a quello seguente, in parte perchè ci si mette così tanto
ad imparare nuovi pezzi e in parte perchè leggere lo spartito non porta ad eseguire pezzi difficili.
Gli studenti che non imparano a memoria non impareranno realmente mai bene un pezzo. Se
fossero capaci di imparare velocemente e di memorizzare allo stesso tempo, essi potrebbero fare
musica con tutti i lori pezzi finiti per tutta la loro vita! Non stiamo solo parlando del fatto di
memorizzare o non memorizzare un pezzo -- stiamo parlando di un'intera vita di differenza e del
fatto di diventare un artista e fare davvero musica. È la differenza fra un artista che si esibisce e uno
studente che non avrà mai un pezzo eseguibile in pubblico. È solo dopo che si finisce un pezzo che
si può iniziare a pensare di suonarlo veramente in modo musicale. È un peccato che gli studenti, che
non siano stati informati opportunamente, perdano la migliore parte di quello che significa essere un
pianista e perdano l'opportunità di diventare un artista.
Infine, memorizzare è un esercizio per la mente che giova per certo allo sviluppo del cervello in
gioventù e rallenta il suo deterioramento con l'età. Personalmente credo che memorizzare la musica
per pianoforte non solo svilupperà la vostra memoria nella vita quotidiana al di fuori del suonare il
pianoforte, ma rallenterà anche la perdita di memoria che viene con l'età e addirittura migliorerà la
capacità del cervello di memorizzare. Come minimo, imparerete alcuni dei metodi utilizzati per
migliorare la memoria e svilupperete la conoscenza delle funzioni della memoria umana..
Assomiglierete di più ad un "esperto della memoria", cosa che vi darà maggiore fiducia nella vostra
abilità di ricordare le cose.
Chiunque può imparare a memorizzare se gli vengono insegnati i metodi giusti. Mostreremo che
combinando la memorizzazione con la parte iniziale dell'apprendimento di un pezzo di musica è
possibile ridurre lo sforzo necessario per imparare a memoria a un livello trascurabile. Di fatto, una
adeguata integrazione dei requisiti per memorizzare e per imparare può realmente ridurre il tempo
richiesto per imparare, ottenendo come risultante un tempo negativo dedicato alla memorizzazione.
Risulta che quasi tutti gli elementi richiesti alla memorizzazione sono elementi richiesti anche per
imparare i pezzi. Se si separano questi processi, si arriverà a dover utilizzare gli stessi elementi due
volte. Quindi, il miglior momento per imparare a memoria è quando si impara il pezzo all'inizio.
Un repertorio memorizzato richiede due investimenti di tempo: il primo è per imparare a memoria il
pezzo all'inizio e una seconda componente di "manutenzione" per impiantarlo nella memoria più
permanentemente e per riparare eventuali sezioni dimenticate. Durante la vita di un pianista, la
seconda componente dovrebbe essere di gran lunga la più grande. Quindi, qualunque discorso sulla
memorizzazione sarebbe incompleto senza una discussione relativa alla sua manutenzione. Per
esempio, la manutenzione limita le dimensioni di un repertorio perchè dopo avere imparato a
memoria, diciamo, da cinque a dieci ore di musica, le esigenze relative al loro mantenimento, a
seconda della persona, potrebbero precludere la possibilità alla memorizzazione di altri pezzi. Ci
sono molte strade per uscire da questo imbarazzo. Una ovvia è di abbandonare i pezzi memorizzati
e ri-memorizzarli più avanti a seconda delle necessità. Risulta che i pezzi che sono stati
memorizzati sufficientemente bene possono essere ripresi e risistemati molto velocemente, anche se
non li avete suonati per anni. È quasi come andare in bicicletta; una volta che abbiate imparato
come andare in bicicletta ragionevolmente bene, non sarà più necessario re-impararlo un'altra volta
memorizzate il numero maggiore di pezzi possibile prima dei vent'anni. I pezzi appresi in questi
anni di gioventù non vengono praticamente mai dimenticati e, anche se dimenticati, possono essere
ripresi molto facilmente. Questo è il motivo per cui i più giovani dovrebbero essere incoraggiati a
memorizzare tutti i pezzi del loro repertorio. I pezzi appresi dopo i 40 richiedono più sforzo di
memorizzazione e
manutenzione, anche se molte persone non hanno difficoltà a memorizzare pezzi passati i 60
(sebbene più lentamente che prima).
Notate la parola "appresi" nella frase precedente; non hanno bisogno di essere stati memorizzati, ma
si possono comunque memorizzare più avanti, con migliori proprietà di persistenza, rispetto a pezzi
appresi e memorizzati ad un'età più avanzata.
Ci sono casi in cui certamente non c'è bisogno di imparare a memoria, come quando cogliate
imparare un grande numero di pezzi facili, specialmente accompagnamenti, che impieghereste
troppo tempo per memorizzare e mantenere. Se avete 5 ore di repertorio e vi esercitate solo un'ora
al giorno, impiegherete 5 giorni per suonarlo una volta sola! Inoltre non è possibile fare
manutenzione suonandolo solo una volta. I pezzi che potete suonare bene a prima vista senza studio
sono candidati a non essere memorizzati. Chiaramente, i pezzi che sono difficili, che devono essere
studiati molto tempo, possono essere imparati più velocemente memorizzandoli; comunque, i pezzi
facili richiederebbero un significativo investimento di tempo per essere memorizzati. Non
spendendo tempo per memorizzare questi, è possibile allargare il vostro repertorio, specialmente
perchè si abbassa il tempo di manutenzione.
Se avete imparato a suonare bene un pezzo ma non l'avete memorizzato, più diventare frustrante
tentare di memorizzarlo in un secondo momento. Troppi studenti si sono convinti di avere scarsa
memoria per questo tipo di difficoltà. Questo accade perchè una volta che si riesca a suonare alla
giusta velocità, quella parte della motivazione a memorizzare, che deriva dal risparmio che si ha
durante l'apprendimento iniziale del pezzo, se n'è andata. L'unica motivazione rimasta è la
convenienza di suonare il pezzo a memoria.
Potreste essere piacevolmente sopresi di come bene state riuscendo ad imparare a memoria. Molti
casi di "scarsa memoria" derivano dal metodo di apprendimento, non dalle capacità di
memorizzazione del cervello.
La tenuta o la continuità esecutiva è la capacità di continuità meccanica, di presenza motoria
costante lungo l’intero arco temporale dell’esecuzione.
Solo quelli che hanno più tenuta proseguono con successo nella carriera. Senza memoria tale
capacità non esisterebbe.
Se la tenuta è fondamentale per la riuscita di una buona esecuzione, ne consegue che la perdita di
questa capacità rappresenti un pericolo gravissimo. Da qui nasce la paura di suonare a memoria.
Quanto più conosceremo la partitura (forma, linguaggio e stile) e conosceremo i mezzi per attuarla
(esecuzione), tanto meno potremo sbagliare, e quindi i vuoti di memoria causati da distrazione o
stanchezza saranno minori; la tenuta e di conseguenza l’esecuzione e l’interpretazione potranno
migliorare enormemente.
Quanto meglio conosceremo il brano da suonare tanto meno ci distrarremo. Le distrazioni sono
causate in grande maggioranza da una conoscenza incompleta.
Leggere e memorizzare
Alla prima lettura possiamo già renderci conto di ciò che sta succedendo nell’opera ossia del
processo creativo che l’ha generata.
Un minuto o due sono un tempo più che sufficiente per memorizzare una battuta di musica.
Non ci sono dubbi che l'unico modo realmente efficace di imparare a memoria è conoscere la teoria
musicale e memorizzare utilizzando una dettagliata analisi musicale e una profonda conoscenza
della musica. Con questo tipo di memoria, sarete in grado di riscrivere l'intera partitura a memoria.
Iniziate a memorizzare separando il pezzo in sezioni facili e difficili. "difficili" qui significa che
sono difficili tecnicamente, o difficili da memorizzare per voi. Iniziate a memorizzare prima i
passaggi più difficili. Imparate a memoria le sezioni facili "come divertimento" più tardi, a vostro
piacimento. In generale, iniziate a memorizzare dalla fine della musica (solo le sezioni difficili), a
meno che non ci sia una sezione particolarmente difficile altrove.
Potreste dover memorizzare battuta per battuta. Seguite la regola della continuità, specialmente
quando memorizzate delle frasi. È molto importante anche seguire la regola che riguarda il suonare
lentamente dopo ogni "seduta" di studio, quindi assicuratevi di familiarizzare con i dettagli di quella
procedura. Sia le sezioni difficili che quelle facili vengono più rapidamente e permanentemente
memorizzate eseguendole prima a mani separate. Analizzate la struttura di ogni sezione, ogni frase,
o ogni battuta che state memorizzato. Si noti come sia più facile analizzare la struttura e
memorizzarla a mani separate rispetto che a mani unite.
Ogni persona può analizzare lo spartito musicale solo al livello a cui arriva la sua conoscenza della
teoria musicale. Pertanto la conoscenza della teoria musicale può fare una grande differenza nella
velocità e nella bontà con la quale una persona riesce a memorizzare. In più, come ci si ricorda di
un pezzo dipende dalla velocità. Quando si suona velocemente, si tende a ricordare la musica a
livelli di astrazione più alti. Suonando molto lentamente, è necessario ricordare nota per nota. Alle
velocità più elevate, si penserà in termini di frasi. A velocità ancora più elevate si potrebbe arrivare
a pensare a livelli di relazione fra frasi o interi concetti musicali. Questi concetti di più alto livello
sono di solito più facili da memorizzare. Durante lo studio lento a mu, è possibile concentrarsi su
ogni nota. Pertanto al cambiare della velocità, si passerà attraverso modalità molto diverse della
memoria.
Durante lo studio a mani separate, è possibile andare a velocità molto elevate, cosa che forzerà la
mente a vedere al musica sotto una luce differente. Memorizzare la stessa musica da molti angoli
diversi è quello che serve per memorizzare bene; quindi esercitarsi a velocità differenti aiuta
grandemente la memoria. In effetti, è spesso più facile memorizzare quando si suona velocemente
che quando si suona piano. Di conseguenza, quando si inizia un nuovo pezzo e siete in grado di
suonarlo solo lentamente, non inquietatevi per il fatto che avete difficoltà a memorizzarlo. Mano a
mano che lo si velocizzerà, diventerà solitamente più semplice da memorizzare. Per questo effetto,
portare rapidamente in alto la velocità utilizzando lo studio a mani separate è il modo più veloce per
memorizzare.
Anche se siete in grado di suonare facilmente una particolare sezione a mani unite, dovreste
memorizzarla a mani separate, dal momento che ne avremo bisogno in seguito.
La memoria è un processo associativo; quindi non c'è nulla di più utile che la propria ingenuità
nell'inventare metodi che possano aiutare, e più metodi differenti riusciamo a pensare, meglio è. La
complessa natura della memoria è una delle ragioni per cui le persone intelligenti sono spesso anche
buoni memorizzatori. Essi riescono velocemente a pensare ad utili associazioni. Memorizzando a
mani separate, si aggiungono altri due processi associativi con organizzazione molto più semplice.
Una volta che abbiate memorizzato una pagina, o più, spezzatela in frasi musicali logicamente
sensate e iniziate a suonare queste frasi in modo casuale; cioè, esercitatevi nell'arte di iniziare a
suonare da un punto qualunque del pezzo. È veramente esilarante essere in grado di suonare un
pezzo da un qualunque punto e non cesserà mai di divertire il pubblico.
Quando memorizzate qualcosa, questa viene prima memorizzata nella memoria temporanea o a
breve termine. Ci vogliono dai 2 a 5 minuti a questa memoria perchè venga trasferita nella memoria
a lungo termine (se questo succede). Per memorizzare, è meglio aspettare da 2 a 5 minuti e ri-
memorizzare di nuovo. Questa è una delle ragioni per cui si dovrebbero memorizzare parecchie
cosa alla volta durante una sessione di memorizzazione. Non concentratevi solo su una cosa,
pensando che più ripetizioni possano dar vita ad una migliore memoria.
Il consolidamento consiste nell’adottare quelle strategie di studio che serviranno a rinforzare e
rendere più sicura la traccia mnestica.
In che cosa consiste il consolidamento? Come possiamo migliorare, stabilizzare, consolidare e
rendere più sicuro ciò che abbiamo appreso?
Il principio è piuttosto semplice: intervenire su ogni tipo di memoria (udito, pensiero, vista,
sensazione) separatamente per migliorarle e perfezionarle, per poi passare a lavorare sulle possibili
combinazioni tra funzioni diverse.
Ognuno può formare un proprio programma di studio scegliendo quelli che ritiene più opportuni,
magari variandoli nel tempo.
Scegliere un luogo adatto, possibilmente isolato, tranquillo, dove poter studiare senza essere
disturbato e non fare sessione di studio troppo lunghe per poter permettere al cervello di ricaricarsi.
Ogni esercizio dovrà essere svolto evitando assolutamente la ripetizione meccanica senza
consapevolezza; a tal fine è bene porsi obiettivi concreti a breve termine. Nello studio di un
passaggio, per esempio, ci si dovrebbe imporre di realizzare il miglioramento voluto con solo poche
ripetizioni, ristabilendo inoltre un tempo entro il quale realizzare il miglioramento voluto anche a
livello di singolo passaggio.
L’elemento da prendere in considerazione è quello del tempo mentale. La normale strategia di
studio consiste nell’effettuare innumerevoli ripetizioni aumentando gradualmente il tempo fisico (la
velocità metronomica) sino al tempo ideale di esecuzione. Ciò comporta una notevole perdita di
tempo nonché una meccanizzazione dell’esecuzione che non consente un’interpretazione basata
sulla reale comprensione del testo.
Se pensiamo ad un esecutore il cui tempo di gestione mentale sia ancora lento, ma che adotta un
tempo fisico di studio più alto, ecco che allora sarà costretto ad innumerevoli piccole frenate e/o
fermate, come balbettii, quelle che sembrano continue mini-amnesie.
È questo il momento in cui si sperimenterà la frustrazione, al contrario la noia.
Una delle trovate più utili per la memoria è il rafforzamento. Un ricordo dimenticato, quando viene
riacquistato, viene sempre ricordato meglio. Molte persone si affliggono perchè dimenticano. Il
trucco è tramutare questa avversità in un vantaggio. Molte persone hanno bisogno di dimenticare e
rimemorizzare tre o quattro volte prima che qualcosa rimanga memorizzato permanentemente. Per
poter eliminare le frustrazioni del dimenticarsi e per rinforzare la memoria, provate a dimenticare di
proposito, per esempio, non suonando un pezzo per settimane o anche più e poi re-impararlo.
Oppure fermandovi prima di averlo completamente memorizzato in modo da dover ricominciare
tutto da zero la volta seguente. Oppure, invece che ripetere brevi parti (il metodo utilizzato
inizialmente per memorizzare il pezzo), suonate l'intero pezzo, una volta al giorno, oppure più volte
al giorno, ma a molte ore di distanza. Trovate delle maniere per dimenticare; provate a creare vuoti
di memoria artificiali -- fermatevi in mezzo ad una frase e provate a ripartire. Memorizzare nuovo
materiale tende a far dimenticare quello che si è precedentemente imparato a memoria. Questo è il
motivo per cui spendere molto tempo a memorizzare piccole sezioni non è efficiente. Se avete
scelto proprio il giusto numero di cose da memorizzare, potete usare una di esse per controllare il
"dimenticare" delle altre in modo che possiate rimemorizzarle per una migliore persistenza.
• Suonare lentamente:
1. suonare lentamente è sorprendentemente utile per la buona tecnica, specialmente per
esercitarsi al rilassamento;
2. suonare lentamente rinforza la memoria perchè c'è il tempo per i segnali necessari a suonare
per viaggiare dalle dita al cervello e viceversa parecchie volte prima che le note che si
susseguono vengano suonate. Se avete studiato solo alla giusta velocità, stavate rinforzando
la memoria delle mani e perdendo la vera memoria;
3. suonare lentamente permette di esercitarsi a rimanere mentalmente avanti rispetto alla
musica che si sta suonando, che da maggiore controllo sul pezzo e può persino permettere di
anticipare imperfezioni imminenti. Questo è il momento di lavorare sui salti e sugli accordi.
Essere avanti di almeno un secondo ed esercitarsi sentendo il tasto prima di suonare
garantisce il 100% di precisione;
4. suonare lentamente è uno dei migliori modi di eliminare dalle mani le cattive abitudini,
specialmente quelle che potreste aver inconsciamente assunto durante lo studio ad alta
velocità;
5. ora avete il tempo per analizzare i dettagli della struttura della musica mentre la suonate, e
prestare attenzione a tutti i segni di espressione. Soprattutto, concentratevi nel fare musica.
• Cantare: sviluppa la memoria auditiva melodica. Se si prova a cantare, senza suonare e cercando
di immaginare la tastiera (o meglio la posizione delle dita sulla tastiera) si svilupperà la memoria
visuale della tastiera. Successivamente se si prova ad unire al suono cantato (anche mentalmente)
e/o la visione della tastiera la sensazione dei movimenti delle dita e delle braccia, attiveremo anche
la memoria propriocettiva. Se però proviamo a fare lo stesso esercizio, questa volta tamburellando
le dita su di un tavolo, avremo le seguenti associazioni di memorie: auditiva melodica- visuale –
propriocettiva – fisica. Come vediamo il semplice cantare può essere uno strumento potentissimo
per sviluppare memorie differenti e creare diverse associazioni di memorie.
• cantare in un’altra tonalità: provare a cantare a memoria però in un’altra tonalità.
• Suonare una melodia con un solo dito o con l’altra mano: si prenda un frammento e si provi a
suonarlo con un solo dito, ovviamente a memoria. Il ritmo in questa fase non è importante, si può
prolungare una nota a piacimento anticipando mentalmente la seguente. Per quanto riguarda la
diteggiatura si può scegliere un dito qualunque oppure si provi a suonarlo con la mano sinistra,
sempre a memoria. Venendo a mancare la memoria fisica (automatismo della diteggiatura) ci si
accorgerà che per suonarlo sarà necessario fare ricorso alla memoria auditiva sia melodica sia
armonica, mentre per alcuni sarà più facile fare ricorso alla memoria visuale della tastiera.
• suonare una melodia con un solo dito o con l’altra mano in un’altra tonalità: si provi a suonare lo
stesso frammento in un’altra tonalità. Trasportando ci si accorge che viene a combinare la
configurazione delle note e delle dita sulla tastiera; non potendo quindi fare affidamento né sulla
memoria visuale né su quella fisica (automatismo della diteggiatura) sarà necessario sviluppare la
memoria auditiva (melodica e armonica). Sarà di particolare importanza adottare un tempo lento
che consenta di:
1. Ascoltare interamente ogni intervallo (memoria auditiva melodica)
2. Visualizzarlo sulla tastiera (memoria visuale)
3. Immaginare la corrispondente azione
4. Inviare l’ordine per l’esecuzione alla parte motoria (memoria fisica)
5. Suonare l’intervallo
6. Controllare e correggere ogni eventuale errore.
Il processo può essere descritto come una serie di operazioni la cui sequenza può essere
schematizzata come segue: memoria auditiva melodica – individuazione del tasto da suonare (sia
per memoria visuale della tastiera che per memoria analitica melodica e/o armonica) – memoria
fisica – orecchio esterno.
Suonare in un’altra tonalità rappresenta inoltre un’eccellente maniera di sviluppare la riflessione
analitica.
• Melodie a mani alternate: se si prova a suonare la melodia con una sola mano si vedrà come il
profilo melodico, una volta libera la mente della gestione dei movimenti, risulterà più netto sia dal
punto di vista auditivo melodico che visuale della tastiera, migliorando di conseguenza questi due
tipi di memoria e rendendo più sicuro il coordinamento dei gesti, ossia la memoria fisica. È un tipo
di esercizio che risulta utilissimo nello studio di bach e della polifonia in generale là dove spesso le
voci interne vengono suddivise tra le due mani.
• melodie suonate con una parte della mano: si provi a suonare solo la melodia, anche con l’altra
mano. Questo consente di concentrare l’attenzione sia sull’aspetto melodico che su quello visuale.
Accompagnare l’esecuzione delle melodie con il canto aumenterà notevolmente l’efficacia di questi
esercizi.
• Riduzione armonica: questo esercizio migliorerà notevolmente la memoria armonica (auditiva e
analitica). Consiste nel suonare a memoria solamente lo schema armonico di un brano o di passaggi
di esso.
• Riduzione armonica in un’altra tonalità: questo esercizio fa lavorare in associazione tra loro sia la
memoria auditiva (melodica e armonica) che la memoria analitica, collegandole ovviamente alla
memoria fisica per l’esecuzione.
• Analisi formale: una buona analisi formale sarà un punto di riferimento importantissimo durante
l’esecuzione garantendoci sicurezza. Ci darà indicazioni dei temi, di come e quando si presentano,
della loro durata, delle loro modificazioni e rappresenta un indispensabile strumento di studio.
• Trascrizione a memoria: provate a trascrivere a memoria un brano che pensate di conoscere
bene, o anche una piccola parte di esso. Questo esercizio costituisce una eccellente maniera per
rinforzare vari tipi di memoria. Provate a sedervi in tranquillità e iniziate a trascrivere cercando di
concentrarvi esclusivamente su di un tipo di memoria per volta. Potete partire da una qualunque
memoria, secondo le preferenze ed attitudini di ognuno. Ad ogni stadio dell’esercizio prendete nota
delle difficoltà che
avete incontrato.
• trascrizione a memoria in un’altra tonalità: si provi a trascrivere il brano o parte di esso, sempre a
memoria in un’altra tonalità.
• Diteggiatura: la buona abitudine di scegliere la diteggiatura con attenzione e di usarla con
regolarità è una delle principali vie per strutturare e consolidare la memoria fisica. Un determinato
passaggio dovrebbe essere sempre studiato con la medesima diteggiatura e questa dovrebbe essere
cambiata solo dopo uno studio e una valutazione particolarmente attenti. Una volta cambiata si deve
dare il tempo alla memoria fisica di assimilarla.
• Suonare sul tavolo: suonare su di un tavolo o sul coperchio chiuso della tastiera del pianoforte,
costituisce un ottimo mezzo per verificare se il pezzo che abbiamo memorizzato sia stato assimilato
dalla memoria fisica. È un esercizio apparentemente facile anche se spesso gli allievi sono in
difficoltà nello svolgere questo esercizio a tempo e con la dinamica.
• Tecnica pianistica: gli innumerevoli libri e metodi di tecnica sono strumenti per sviluppare la
memoria fisica delle cinque articolazioni nelle combinazioni della tecnica pianistica. Se da una
parte una certa quantità di ripetizioni è necessaria per assimilare i movimenti di base ed avere così
una certa sicurezza esecutiva, dall’altra non consiglieremmo di fare affidamento solo su questo tipo
di memoria. Per migliorare la memoria fisica, quindi la tecnica, saranno necessari alcuni
accorgimenti:
1. Quanto più precisi saranno i movimenti tanto migliore e più rapida sarà la memorizzazione;
2. Condizione necessaria per una buona memorizzazione sarà l’uguaglianza con la quale i vari
movimenti vengono ripetuti;
3. Gli esercizi di tecnica dovrebbero essere svolti senza guardare la tastiera ma vedendola
internamente, per poter migliorare anche la memoria visuale della tastiera;
4. Negli spostamenti laterali e nei salti bisogna esercitarsi senza guardare la tastiera e senza
preparare l’intervallo usando il senso del tatto, per poter consolidare la memoria
propriocettiva dei movimenti e visuale della tastiera.
• Mani separate: l’uso universalmente diffuso dello studio a mani separate potrebbe essere
migliorato se si usasse il semplice accorgimento di pianificare il lavoro seguendo uno schema di
crescente complessità:
1. Bisogna quanto prima introdurre nello studio a mani separate anche l’attenzione al braccio e
alla mano che non suona cercando di tenerlo rilassato. Una pratica semplicissima, quella di
deglutire o di respirare mentre si suona, è un espediente per verificare il proprio stato di tensione
2. Una volta raggiunto il rilassamento del braccio che non suona si può passare a farlo suonare
sulla gamba o sulla parte di legno del pianoforte. Si verrebbe così a creare una combinazione
stimolante di differenti tipi di memorie. Se la mano che suona usa la memoria fisica, la mano
che
Suona sulla parte di legno stimolerà la memoria auditiva melodica e la memoria visuale, oltre a
quella fisica.
• Ripasso mentale: questo esercizio è interessante perché serve a migliorare tutti i tipi di
memoria. Può essere svolto infatti sia richiamando visivamente le informazioni che abbiamo
nella memoria visuale, della partitura e della tastiera, sia cantandolo internamente, memoria
auditiva, ma anche concentrandosi sulle sensazioni dei vari movimenti che si effettuerebbero se
si suonasse realmente, memoria propriocettiva.
Molti dei metodi per rifinire la tecnica sono applicabili alla manutenzione della memoria. Uno degli
ovvi lavori di manutenzione ordinaria è il ripristino delle sezioni dimenticate. Se sì è dimenticata
una sezione, è possibile esercitarsi utilizzando la memoria della mano per recuperarle attraverso di
essa e vedere se questo sistema funziona per voi. Per incoraggiare la memoria della mano, suonate
forte e un po' più velocemente.
Un altro lavoro di routine per la manutenzione è accertarsi di essere ancora in grado di ricordare il
pezzo a mani separate. Questo può diventare un lavoro veramente noioso per i pezzi più importanti,
ma ne vale la pena, perché è meglio evitare di accorgersi di averne bisogno durante un'esibizione. Si
noti che queste sessioni di manutenzione a mani separate non servono solo per la memoria. Questo
è il momento per provare nuove cose, suonare molto più velocemente che la velocità finale, e
generalmente ripulire la parte tecnica. Suonare a lungo a mu spesso introduce errori di tempo e altri
errori inaspettati e questo è il momento di sistemarli. Quindi, suonare a mani separate sia per la
memoria che per la tecnica è uno sforzo che paga molto. Questo è uno dei migliori momenti per
usare un metronomo per controllare l'accuratezza del ritmo e del tempo, sia suonando a mani
separate che a mani unite.
La procedura di manutenzione maggiormente efficace è suonare il pezzo a mente. Coloro che
possiedono una memoria fotografica dovrebbero figurarsi davanti l'intero spartito. Coloro che
hanno una memoria da tastiera suoneranno realmente il pianoforte nella loro mente. Questo è molto
utile sia quando imparate il pezzo all'inizio che, più avanti, per la manutenzione. Quindi, non
appena iniziate ad imparare un pezzo, prendete l'abitudine di suonarlo a mente in qualunque
momento possiate trovare il tempo, a letto, prima di addormentarvi, o quando vi svegliate alla
mattina, etc... Questo serve anche come vero test per capire se lo avete veramente memorizzato e
non state suonando utilizzando la memoria della mano. Come per la memorizzazione, per molte
persone, è troppo tardi per iniziare a "suonare a mente" se riuscite già a suonare il pezzo (con l'aiuto
dello spartito) -- dovete utilizzare questo metodo proprio dall'inizio, appena iniziate ad imparare il
pezzo a mani separate, etc... Suonare nella mente, lontani dal pianoforte, deve essere una parte
integrante del processo di memorizzazione. Questo è il motivo per cui anche i pezzi facili
dovrebbero essere imparati a mani separate se li volete memorizzare bene. Non è necessario
suonarli a mu a mente; sarà sufficiente a ms. Se suonate nella mente dall'inizio, diventerà una
procedura semplice, quasi naturale, e non è così difficile come si potrebbe pensare all'inizio. Con un
poco di pratica, sarete capaci di suonare a mente a velocità incredibili, così non diventi un compito
ricorrente che fa perder tempo. In più, suonare velocemente nella mente vi aiuterà realmente a
suonare più velocemente al pianoforte.
Un altro compito di routine per la manutenzione è la preparazione alle esibizioni. La procedura più
importante da seguire è di suonare il pezzo lentamente prima di smettere, al termine di ogni
sessione di studio. Se tendete a fare gli stessi errori suonando lentamente che quando suonate alla
giusta velocità, allora non vi siete preparati bene a sufficienza. Il giorno dell'esibizione, non
dovreste esercitarvi oltremisura col pezzo dell'esibizione, e generalmente, non è una buona idea
suonarlo più di una volta a piena velocità. Ma potete suonarlo nella vostra mente. Questo vi
permetterà di verificare la vostra memoria, fino al momento dell'esibizione. Se state andando
incontro ad un vuoto di memoria durante il Eecital, avrete lo stesso blackout anche durante il
ripasso mentale. In questo caso, è possibile rinfrescare la memoria velocemente utilizzando lo
spartito ed eliminare quel potenziale blackout. Un altro fattore è il nervosismo. Se rouscite a
suonare il pezzo ad una velocità dal 50% al 100% maggiore (che quella del recital) a ms e nella
vostra mente, avrete così tanto controllo sul pezzo che non vi innervosirete. Invece, sarete
totalmente occupati nel suonare il pezzo nel modo che voi volete esca.
Infine, suonate i pezzi che non avete suonato da mesi e controllate se riuscite a suonali in modo
soddisfacente. Annotate mentalmente che tipi di difficoltà incontrate, quali sezioni tendete a
dimenticare, quali sezioni vi danno problemi tecnici. Quindi, come parte del programma di
mantenimento, riservate alcuni pezzi che non suonate da mesi per questo scopo. Questo vi darà
confidenza del fatto che riuscite a suonare qualcosa anche se non l'avete studiato per lungo tempo.
Vi darà anche un’idea delle cose che tendete a dimenticare e cosa tendete a ricordare bene.
Riassumendo, la manutenzione ha le seguenti componenti:
1. Controllo dell'accuratezza di ogni nota ed espressione con lo spartito;
2. essere sicuri di poter suonare l'intero pezzo a ms. Potreste studiare a mani separate molto
velocemente per rifinire la tecnica;
3. studiare a partire da punti arbitrari del pezzo. Questo è un eccellente modo per verificare la
memoria e per capire la struttura del pezzo;
4. suonare lentamente; non c'è miglior modo per aumentare la memoria;
5. suonare "a freddo". Rafforzerà molto le vostre capacità di esibirvi;
6. suonate "a mente", almeno a mani separate. Se iniziate questa pratica da subito, quando
imparate per la prima volta il pezzo, e la mantenete, è sorprendentemente facile. E i benefici
risultanti valgono veramente la pena;
7. per i recital imminenti, seguite la routine di preparazione dettagliata.
Bibliografia
• Stefano Mancuso: le tecniche di memorizzazione nell’apprendimento pianistico
• I fondamenti dello studio del pianoforte – C. Chang
LETTURA A PRIMA VISTA
Articoli tratti dall’Archivio storico di Musica Domani, trimestrale di cultura e pedagogia musicale
Valga per tutti l’esempio dei percorsi delineati nei programmi del London College of Music, un’istituzione
deputata all’educazione musicale a livello professionale, peraltro simili a quelli di altre realtà educative
inglesi (Royal Schools of Music e affini). Da ognuno dei sette livelli si passa al successivo tramite un esame
che comprende cinque prove: scale e arpeggi, esecuzione strumentale, prova orale di cultura musicale,
lettura a prima vista, educazione dell’orecchio, più l’esame finale di diploma. Ad esempio nel sito del College
of Music all’indirizzo http://elgar.tvu.ac.uk./exams i programmi d’esame sono accompagnati da esaurienti
delucidazioni su come devono essere effettuate le prove e sui criteri di valutazione. Nel caso della prova di
lettura a prima vista è ad esempio chiaramnte esplicitato che: “Le esecuzioni dovrebbero dimostrare
l’acquisizione della consapevolezza del centro tonale e un livello di scioltezza e di abilità nel fraseggio,
adeguati al grado dell’esame”. La prova sarà considerata fallita nel caso in cui sia stata “poco curata e
incerta”; sufficiente se l’esecuzione è stata generalmente accurata anche se con qualche incertezza; discreta
con un’esecuzione accurata e piuttosto fluida anche se priva di musicalità; ottima se sicura, accurata e ben
eseguita. Il punteggio ottenuto nella prova di prima vista incide sul risultato generale dell’esame nella
misura del 10%, mentre alla prova d’esecuzione è riservato il 60%. Per ogni prova e per ogni livello sono
disponibili testi preparatori contenenti esempi di prove d’esame su cui l’allievo può esercitarsi. Allo stesso
modo, se analizziamo percorsi più legati al mondo amatoriale e meno accademico, notiamo come le cose
non cambino poi di molto. Ad esempio nel metodo Bastien vi sono ben quattro volumi (A line a day, Kjos,
1991) dedicati alla lettura a prima vista che anche qui è introdotta nelle fasi iniziali dei percorsi formativi del
pianista.
Le abilità implicate
Gli studi scientifici (vedi ad esempio John Sloboda, La mente musicale, Il Mulino, 1988), la ricerca didattica e
l’esperienza confermano che i prerequisiti di una buona lettura a prima vista possono sostanzialmente
ascriversi a due grandi gruppi.
Il primo gruppo riguarda quelle strategie che consentono di attivare, esercitare e potenziare la cosiddetta
memoria di servizio che è la capacità di rendere immediatamente disponibili, richiamandole alla mente,
tutte le informazioni in precedenza archiviate che servono a svolgere un dato compito.
Il secondo gruppo riguarda tutte le conoscenze stilistiche e costruttive del pezzo che stiamo leggendo.
Queste sono importanti perché consentono di contestualizzare i dati che ci arrivano dalla lettura,
risparmiando così sul numero delle operazioni da compiere per una maggiore velocità, fluidità e musicalità
dell’esecuzione.
Per attivare la memoria di servizio sono presenti nei testi una nutrita serie di domande, osservazioni o
segnali d’attenzione che in molti testi precedono gli esercizi di lettura. Queste domande sono molto utili nel
lasso di tempo che è lasciato all’inizio di ogni prova di lettura, domande che possono riguardare la tonalità,
gli intervalli, il tempo, l’estensione, la configurazione melodica, le posizioni, la diteggiatura e quant’altro
possa caratterizzare il brano da leggere. In questo frangente basta sapere cosa cercare, cosa occorre porre
all’attenzione e ritenere alla mente, per rendere le operazioni di lettura notevolmente più agevoli. Ciò
presuppone un lungo e costante allenamento all’osservazione e all’analisi.
Sia gli esercizi sia gli esami si svolgono su terreni ben circoscritti e con brani predisposti al superamento di
ben definite difficoltà, tant’è vero che ognuno degli otto volumi del “Sight-reading made easy”, ad esempio,
è corredato di una scheda in cui si elencano le caratteristiche dei brani e se ne descrivono i contenuti livello
per livello.
Osservando ad esempio la complessità dei materiali proposti da Bradley e Tobin al livello finale, possiamo
ben comprendere come un allievo che ha seguito un percorso guidato, sia alla fine dotato di quegli
strumenti che lo mettono agevolmente in grado di superare con professionalità una qualsiasi prova di
lettura a prima vista.
Per quanto riguarda infine il secondo gruppo di abilità, esse fanno riferimento alla memoria strutturale del
musicista, vale a dire alla capacità di “estrarre una struttura di ordine superiore da sequenze di note”
(J.Sloboda, op. cit). Più il linguaggio è strutturato, più è definito lo stile dell’autore, più esso sarà prevedibile.
Infatti la lettura non avviene letteralmente nota per nota, ma piuttosto attraverso una serie di azioni
presuntive. Queste supposizioni sono destinate ad avere maggior successo nell’ambito di un linguaggio
molto connotato anziché in un ambiente in cui altri fattori stilistici come tonalità, armonia e fluttuazioni
metriche le renderanno molto meno probabili.
Per usufruire a pieno dei vantaggi della memoria strutturale occorre quindi che l’esecutore possegga la
conoscenza più ampia possibile delle caratteristiche costruttive del linguaggio che sta trattando. Ed è qui
che i percorsi formativi della prima vista s’intrecciano con altre abilità complementari quali l’analisi e
l’improvvisazione.
Sempre Bradley e Tobin ad esempio introducono quasi immediatamente il concetto di tonica e di accordo
tonale, la complementarietà dei percorsi melodici, la loro riproposizione in progressione, la loro ripetizione
con risposta nel classico periodo di otto battute, l’analisi di incisi, frasi e semifrasi per l’analisi formale.
La soluzione vincente consiste nel mettere l’allievo nelle condizioni di disporre di un numero sufficiente di
schemi e regole per riuscire a decodificare la pagina quasi automaticamente e con poco sforzo. In questo
modo le risorse cognitive saranno incanalate verso il coordinamento del tempo e dell’espressione, nonché
verso il controllo del proprio stato emotivo.
Prerequisiti
Saper suonare il pianoforte con le due mani, leggendo in chiave di violino e basso. Conoscere le metriche
binarie e ternarie, le combinazioni ritmiche principali e il significato dei simboli presenti in una partitura.
Finalità educativa
Obiettivi intermedi
L’insegnante:
- Predispone una serie di spartiti a partire dalla posizione del do centrale, in ordine crescente di
difficoltà, comprendenti i vari campi dello studio pianistico (conoscenza della tastiera, percezione
ritmica, lettura degli intervalli, studio degli accordi ecc.)
- Ha cura di presentare all’alunno i brani anche secondo la loro tonalità, che corrisponderà alla scala
affrontata in quel momento
- Contestualmente inserisce nel repertorio brani contenenti melodie note in modo da stimolare
l’orecchio a fungere da guida nell’esecuzione del brano
- L’insegnante suona a 4 mani o a 2 pianoforti con l’allievo, obbligandolo a mantenere una continuità
d’esecuzione
L’alunno:
- Legge gli spartiti con le due mani che suonano anche contemporaneamente e ha cura di rispettare
da subito tutte le indicazioni presenti nel brano (fraseggi, dinamiche ecc.)
- Individua il campo tonale e predispone le posizioni delle mani sui tasti corrispondenti
- Individua all’interno del brano strutture familiari e ricerca una guida nell’esecuzione del brano
- Sa cogliere le unità metriche e le “sente” internamente, impegnandosi a mantenere una continuità
d’esecuzione (gli alunni, se ben educati alla musica d’insieme o alla pratica di accompagnarsi con
una base musicale, non dovrebbero avere grosse difficoltà in questo senso).
1.2 Saper individuare la corrispondenza tra segno e collocazione della mano sulla tastiera a livello tattile
- Localizzare a livello tattile suoni distinti attraverso i gruppi di due e tre tasti neri
- Suonare senza guardare la tastiera o con gli occhi chiusi o in una stanza buia
2.1 Saper individuare a colpo d’occhio gli elementi grafici e topografici del brano
- Individuare visivamente due note (intervallo) sia nella forma melodica sia armonica
- Analizzare graficamente (forma delle note sul pentagramma) e topograficamente (posizione e morfologia
della mano sulla tastiera) l’intervallo
- Analizzare graficamente (forma delle note sul pentagramma) e topograficamente (posizione e morfologia
della mano sulla tastiera) gli accordi
- Individuare le alterazioni presenti nel brano e collegarle eventualmente a un cambio di tonalità (posizione)
Un ruolo fondamentale per l’assimilazione di questo e di altri schemi lo svolge l’improvvisazione. Si può
giocare, in questo caso, con l’accordo o con l’arpeggio, inventare un breve brano, introdurre la mano
sinistra, spostarsi a varie ottave, variare le dinamiche, suonare ora legato ora staccato, creare degli ostinati
su cui improvvisare più liberamente. Un altro momento può prevedere un gioco di tipo grafico, come il
disegno delle note dell’accordo sul quaderno pentagrammato, dove si potrà scomporlo o ricomporlo: ciò
servirà senz’altro all’insegnante a verificare nell’alunno l’avvenuta memorizzazione. La fase conclusiva
consiste nel presentare una o più partiture nelle quali dovrà essere riconosciuto l’oggetto musicale
considerato.
- Individuare il movimento delle note sul pentagramma e il suo andamento (ascendente, discendente,
misto, con salti ecc.), riproducendolo col canto, col movimento corporeo ecc. (Cantare mentalmente almeno
l’incipit del brano aiuta ad evitare “l’effetto sorpresa” derivante dalla prima esecuzione, prepara l’orecchio
all’ambiente sonoro, aiuta a stabilire un tempo consono, facilita la successiva individuazione della melodia e
dell’eventuale accompagnamento ecc.)
- Individuare nei disegni melodici e di accompagnamento l’appartenenza delle note ai più semplici accordi
- Individuare nei disegni tratti di scale, accordi, arpeggi, sequenze di terze, seste, ottave ecc
- Trascrivere su un foglio la/e cellula/e ritmica/che ed eseguirle in esercizi come cantare, battere le mani,
camminare ecc. in varie modalità: domanda/risposta con le mani e con i piedi, improvvisazioni al pianoforte
mantenendo il ritmo ma variando le altezze ecc.
- Titolo e compositore (Riflettere sul carattere del brano eventualmente dal titolo e sul contesto
storico del compositore, sullo stile ecc.)
- Chiavi (Indicare se sono le stesse per tutto il brano o se ci sono cambiamenti)
- Posizione delle mani sulla tastiera
- Impianto tonale (maggiore, minore o altro)
- Ictus
- Andamento (indicare se è sempre lo stesso per tutto il brano o se ci sono cambiamenti)
- Metrica (4/4 ¾ ecc. individuare le unità metriche e “sentirle” internamente, sarebbe bene scandire
mentalmente la metrica individuata.
- Ritmo (Cellule ritmiche predominanti e ricorrenti e sarebbe meglio trascriverle sul quaderno)
- Segni di articolazione (Punti, accenti, appoggi ecc.)
- Diteggiatura (Indicare cambi particolari)
- Fraseggio (Ogni battuta o altro)
- Pedali (Individuare dove sono segnati)
- Dinamica (Individuare dove è segnata)
- Agogica (Cambiamenti di velocità: rall., accel., ecc.)
- Forma (Ripetizioni, schemi tipo ABA ecc.)
- Segni particolari (Ritornelli, corone, legature di valore ecc.)
- Armonia (Intervalli, accordi, alterazioni, progressioni, cadenze ecc.)
- Problemi particolari (Individuare punti che, a causa della loro particolarità, potrebbero causare una
sorpresa come il cambio di posizione, cambiamenti di tempo ecc.)
3.5 Raggruppare per frasi, semifrasi, incisi, melodie, armonie, ritmi, forma ecc. in modo che abbiano un
senso compiuto, al di là della divisione in battute.
4.1 Allenare la velocità dell’occhio
- Suonare i due pentagrammi con una sola mano, concentrandosi sulle altezze e tralasciando i valori. Questo
esercizio serve ad allenare l’occhio allo scorrimento dal basso verso l’alto quanto più rapido possibile.
L’insegnante potrà coprire con un foglio le note che si stanno suonando in quel momento, in modo da
obbligare l’occhio a spostarsi alla battuta o movimento successivi.
- Conoscere e familiarizzare con lo stile dell’autore (Sarebbe auspicabile un percorso interdisciplinare con la
storia, la letteratura, l’arte ecc. per calarsi nel contesto in maniera più completa)
- Sviluppare la memoria di lavoro (Evitare il movimento oculare all’indietro per ricontrollare ad esempio le
alterazioni in chiave ecc.) Come esercizio si potrà all’improvviso sottrarre la partitura dagli occhi dell’allievo
e sottoporlo a un quiz del tipo: in che tonalità siamo? Qual è il metro? Ecc.
5.1 Saper rispettare il seguente ordine di priorità nell’esecuzione a prima vista di un brano
a) saper mantenere la pulsazione, il tempo e la continuità d’esecuzione, cercando di cogliere gli elementi
essenziali dei passaggi
d) saper eseguire tenendo presente altri aspetti quali segni dinamici, di articolazione, fraseggi, ritornelli ecc.
L’ultimo obiettivo è di tipo riepilogativo, intende proporre all’allievo uno schema mentale da seguire, un
ordine di priorità da rispettare. La continuità d’esecuzione nasconde un numero notevole di abilità. Prima
della lettura delle note, del ritmo, dei fraseggi e di tutti gli altri segni presenti in partitura, è fondamentale
rendere il “carattere” di un brano, realizzando una versione quanto più vicina possibile alle intenzioni
dell’autore.
Metodologia
Le attività dovranno essere svolte per la maggior parte in classe, con l’insegnante e l’allievo che lavorano
insieme. Ciononostante si prevede, da parte dell’alunno, l’esercitazione a casa e un allenamento costante
delle attività previste dai vari obiettivi come ad esempio la compilazione a casa della scheda). Il percorso
dovrà comunque essere personalizzato, per cui i tempi potranno dilatarsi o restringersi rispetto a quelli
indicati.
Modalità di verifica
Sembra esistere una sequenza temporale ben precisa, rispettata grosso modo dalla totalità degli autori
esaminati, in base alla quale proporre i contenuti all’allievo.
- Per ciò che riguarda le indicazioni di tempo ad esempio tutti i metodi privilegiano inizialmente
esercizi basati su tempi semplici, posticipando quelli composti.
- Stesso discorso vale per le alterazioni, infatti i primissimi esercizi saranno il più delle volte in do
maggiore.
- Quasi tutti i metodi cominciano fin da subito ad abituare l’allievo al doppio pentagramma e quindi
alla chiave di basso.
- La totalità degli autori è concorde nell’impostare i primi esempi su melodie da eseguire a mani
separate, e invitare l’allievo solo successivamente a eseguire a mani unite
- Alcuni autori forniscono non solo un’ampia premessa relativa all’utilizzo del metodo e agli obiettivi
fondamentali che si pongono, ma descrivono brevemente vantaggi e svantaggi della lettura a prima
vista e indicazioni di vario genere. In questa prospettiva, Jeremy Norris offre senza dubbio la
descrizione più precisa e puntuale sul corretto apprendimento e svolgimento dell’abilità di lettura
estemporanea, arrivando anche a formulare interessanti osservazioni di natura didattica.
- In certi metodi l’elenco delle “regole” da seguire si presenta piuttosto dettagliato e viene mostrato
una volta per tutte in apertura, mentre altri preferiscono scremare e selezionare solo le indicazioni
davvero imprescindibili o presentarle in maniera graduale, secondo le necessità. Hall e Macardle
forniscono due “regole d’oro”, contare e non fermarsi mai; Bradley e Tobin, Harris e lo stesso Norris
suggeriscono invece punto per punto ogni comportamento "ideale" a cui il lettore dovrebbe
attenersi, prima e durante l’attività.
- La funzione di assistenza e di guida fornita all’allievo nel corso di tutto il metodo viene assunta e
realizzata in modi diversi dai vari autori esaminati. Se alcuni, infatti, si limitano a offrire un semplice
elenco di esercizi di lettura senza intervenire in alcun modo per aiutare o accompagnare il lettore
nel percorso di apprendimento e relegando ogni responsabilità allo studente stesso o all’insegnante
(vedi Busching), altri stimolano continuamente lo studente attraverso consegne, domande, esercizi
e spiegazioni in modo sia verbale che grafico (Hall e Macardle). Gli esercizi possono essere di
diverso tipo: ritmici (Harris), finalizzati al riconoscimento a colpo d’occhio di elementi e figure
musicali (Norris) o allo sviluppo dell’orecchio interno e di altre abilità (Hall e Macardle).
- Una funzione di assistenza è fornita inoltre da quei metodi (Bastien, Harris) basati su un rigoroso
controllo dei progressi, attraverso la calendarizzazione delle letture o l’assegnazione di un punteggio
specifico, in modo tale da verificare la frequenza e la qualità dell’allenamento.
- Alcuni autori stabiliscono un itinerario didattico nel quale si possono affrontare diverse tipologie di
lettura (melodica, polifonica, accordale), offrendo materiale adatto a tal fine, mentre altri sembrano
ignorare quasi del tutto queste differenze di scrittura e, di conseguenza, l’apprendimento delle
abilità specifiche che esse richiedono (Hall e Macardle, e Busching, ad esempio, non propongono
all’allievo alcuna esecuzione accordale sulla tastiera).
- Presenza o meno negli esercizi dei segni di espressione e di dinamica. Ad esempio Last inserisce
tutti gli elementi di espressione praticamente da subito mentre Busching non tratta in alcun modo
la questione.
- Anche l’aspetto cinestetico, relativo allo sviluppo della capacità tattile, è affrontato in modo diverso,
prospettando due diverse impostazioni didattiche: la prima (quella di Bastien e di Busching) basata
su poche posizioni fisse della mano, limita così al minimo il problema dei salti o della diteggiatura; la
seconda (quella più frequente) è invece slegata da impostazioni rigide delle mani e suggerisce di
volta in volta, in maniera più o meno accurata, le dita da utilizzare.
- Tutti i metodi esaminati si fondano su un avanzamento progressivo della difficoltà, tuttavia se in
alcuni tale progresso si rivela piuttosto lento (Busching, Hall e Macardle), altri permettono di
raggiungere un’abilità di lettura a prima vista in riferimento a brani davvero complessi (è questo il
caso di metodi distribuiti su molti volumi, come Bradley e Tobin, Last o Harris).
- Anche per ciò che concerne i prerequisiti ci sono differenze: Bradley e Tobin o Norris, ad esempio,
introducono alla lettura dei brani che propongono, attraverso esercizi specifici mirati al
riconoscimento delle altezze sul pentagramma e degli intervalli, altri invece (Last) considerano come
già acquisiti una quantità più ampia di segni e nozioni musicali.
- Anche l’impostazione grafica cambia da metodo a metodo: quello di Hall e Macardle sembrerebbe il
più idoneo ad allievi piuttosto giovani, grazie ai simboli grafici accattivanti e al paragone tra la
lettura a prima vista e l’avventura di un esploratore, mentre quello di Last incontrerebbe senza
dubbio maggiori consensi in un pubblico in parte già esperto.
Per concludere possiamo affermare che nessun metodo, tra quelli considerati, prende in considerazione
la totalità dei parametri qui proposti. Ad esempio il metodo di Busching cerca di “simulare situazioni
rappresentative basate sulla lettura a prima vista attraverso l’esecuzione a 4 mani con l’insegnante
(unico esempio tra quelli esaminati), tuttavia esso si dimostra decisamente insufficiente nel fornire una
guida idonea e veramente “metodologica” al lettore principiante. Molto più interessante è invece il
lavoro di Harris (forse uno dei più completi e ben fatti), fra le altre cose anche per la proposta originale
(riscontrata qui soltanto) di esercizi mirati allo sviluppo del senso ritmico e delle capacità di
coordinazione sensomotoria; o quello di Hall e Macardle, il solo che sembri considerare, da un punto di
vista pratico, l’aspetto forse più affascinante dell’attività di lettura, ovvero il problem-solving e l’abilità di
“ricostruzione attiva” del materiale codificato, attraverso diversi test finalizzati allo sviluppo del
feedback uditivo, delle capacità di previsione, di minime abilità compositive o di analisi, ed esercizi di
completamento dei segni mancanti in partitura o di riconoscimento degli errori di scrittura.
STRUMENTI TRASPOSITORI
Per strumenti traspositori si intende quelli che producono suoni reali diversi da quelli scritti.
Cenni storici: il corno non era in grado di produrre note alterate perciò con tonalità diverse e con la
necessità di produrre note alterate, risultava più semplice tarare lo strumento sulla nuova tonalità
allungando lo strumento con un ritorto. In questo modo producendo lo stesso suono fondamentale
(cioè usando la stessa diteggiatura del suo suono fondamentale) ne usciva un suono diverso (più
grave) adatto alla nuova tonalità. Visto che l'azione fisica del musicista era sempre uguale a se
stessa (cioè produrre la "nota fondamentale") sembrò logico adottare anche una uniformità di
scrittura, scrivendo sempre lo stesso do con significato convenzionale di "nota fondamentale"
indifferentemente dal ritorto applicato. Il ritorto necessario veniva scritto all'inizio della parte.
Gli strumenti traspositori nascono da esigenze pratiche, dalla necessità di semplificare l'esecuzione.
Gli strumenti della stessa famiglia (es. clarinetto in Sib e La) mantengono la stessa diteggiatura
(posizione della dita) questo permette all'esecutore di cambiare strumento (all'interno della stessa
famiglia) facendo sempre corrispondere ad una nota scritta la stessa posizione delle dita,
indipendentemente dal risultato reale.
Lo strumentista non ha difficoltà perché suona ciò che legge. Il direttore o pianista accompagnatore,
deve invece prestare attenzione a tutti gli strumenti traspositori per avere un'immagine mentale
corretta dei suoni risultanti.
La tonalità di uno strumento indica la nota reale prodotta rispetto ad un riferimento (il Do).
Gli strumenti tagliati in varie tonalità hanno come conseguenza una modificazione del timbro (es. il
clarinetto in Sib ha un timbro più scuro e caldo del clarinetto in Do più leggero e squillante).
Teoricamente è possibile creare strumenti di tutte le tonalità ma con l'evoluzione storica alcuni tagli
presero il sopravvento per praticità, dimensioni e caratteristiche timbriche.
Alcuni strumenti sono solo traspositori di ottava, questo vuol dire che le loro note vengono scritte
un'ottava più in alto o più in basso rispetto al suono reale, per evitare parti scritte con troppi tagli
addizionali e quindi scomode da scrivere e leggere. (Es. chitarra, contrabbasso, controfagotto,
ottavino, clarinetto basso).
Casi particolari: i timpani venivano anticamente trattati come strumenti traspositori, indicando
convenzionalmente con Do la tonica del brano e con Sol la dominante. Questa scrittura è stata
superata dall'evoluzione nell'uso dello strumento (non più solo sui due gradi fondamentali) e
dall'adozione del meccanismo a pedale che permette un rapido cambio di intonazione dello
strumento durante il brano.
• CORNO INGLESE
- è un oboe contralto, intonato una quinta sotto l'oboe;
- la sua parte viene scritta una quinta sopra il suono reale;
- strumento ad ancia doppia, con una estremità a forma di pera;
- suono pieno e carattere malinconico.
• CLARINETTO
- definito il “violino” degli strumenti a fiato;
- strumento ad ancia semplice con tubo cilindrico;
- strumento molto agile, con grande estensione;
- famiglia: piccolo (Mib), in Do, in La, in Sib, Basso (Sib, una nona maggiore sotto);
- i più comuni sono in Sib (parti scritte un tono sopra il suono reale) e in La (parti scritte una
terza minore sopra il suono reale).
• CORNO
- ottone, con lungo tubo conico avvolto a spirale, termina con un largo padiglione a
campana;
- sonorità espressiva e di grande dolcezza;
- in origine potevano produrre un numero limitato di note ma nel XIX sec. con l'aggiunta dei
pistoni (generalmente 3) si è in grado di produrre l'intera scala cromatica;
- famiglia: Fa (il più comune), Do (una ottava sotto), Sib;
• TROMBA
- strumento più acuto del gruppo;
- timbro squillante, strumento molto agile;
- originariamente la produzione dei suoni era limitata agli armonici della nota fondamentale
in cui lo strumento era intonato, ma con l'introduzione dei pistoni è diventato strumento
cromatico (evoluzione simile al corno);
- famiglia: acuta (Mib), Sib (la più comune), Do, Fa e Re.
• SASSOFONI
- ancia semplice, munito di chiavi, fatto di ottone ma nella famiglia dei legni (no ottoni!);
- brevettato da Adolphe Sax nel 1840;
- famiglia: molti! Le tonalità più comuni sono: Mib e Sib
DETERMINAZIONE TONALITA':
• Se la tonalità del brano è in Do maggiore (nessuna alterazione in chiave) essendo la nota
effettiva del Clarinetto in Sib più bassa di un tono, allora devo scrivere la parte del clarinetto
un tono più alta rispetto alla tonalità originale e cioè in Re maggiore (2 diesis in chiave)
perciò la tonalità delle parti degli strumenti in Sib deve essere una seconda più alta rispetto a
quelli in DO.
• la tonalità delle parti degli strumenti in Mib deve essere una sesta più alta rispetto a quelli in
DO (per leggere in Do, devo scrivere in La maggiore).
• la tonalità delle parti degli strumenti in Fa deve essere una quinta più alta rispetto a quelli in
DO (per leggere in Do, devo scrivere in Sol maggiore)
Punto 6 -TECNICHE DI MEMORIZZAZIONE-
Durante il secolo scorso, tre pianisti e didatti del pianoforte scrissero trattati particolarmente
apprezzabili su come suonare a memoria un determinato repertorio pianistico.
Tobias Matthay scrisse On memorizing and playing from memory and on the laws
of practice generally (1926) e Walter Gieseking insieme al suo insegnante di
pianoforte Karl Leimer scrisse Piano technique (1933).
In questi testi, gli autori descrivono come gli interpreti possono memorizzare la
musica attraverso quattro tipi di memoria fondamentali:
• Memoria uditiva
• Memoria visiva
• Memoria cinestetica
• Analisi della partitura (o memoria analitica)
• Memoria uditiva
Mediante la memoria uditiva si può immaginare, si può “ascoltare” il pezzo mentre
la musica si dispiega. Durante l’esecuzione, la memoria uditiva permette al
musicista di “cantare nella mente”, oppure, pensare una melodia o un passaggio
prima di suonarlo.Matthay evidenzia il valore fondamentale dello sviluppo
dell’orecchio.
La memoria uditiva, infatti, è basata esclusivamente sulla capacità di ascoltare ed è
sviluppata soprattutto da chi possiede una grande sensibilità musicale.
Questo tipo di memorizzazione, anche se riduttiva, è utile e in alcuni casi anche
rischiosa se adoperata isolatamente. Anche un buon orecchio, in situazioni di
stress, può tradire.
• Memoria visiva
Attraverso la memoria visiva (o fotografica), in generale, possiamo richiamare e
visualizzare nella mente la pagina scritta dello spartito, così come altri aspetti visivi
dell’esecuzione.
Si basa sull’immagine della parte, cioè l’impaginazione dei singoli fogli, la
distribuzione dei pentagrammi o anche i singoli appunti sul rigo musicale.
• Memoria Cinestetica
Attraverso la memoria cinestetica (o digitale) è possibile ricordare come suonare
automaticamente passaggi complessi.
Essa si sviluppa essenzialmente tramite la ripetizione e consiste nella capacità di
riprodurre le note senza la vera consapevolezza di ciò che stiamo eseguendo, cioè
senza sapere esattamente le note che si suonano.
Questo tipo di memoria si acquisisce spontaneamente nello studio di un brano,
perché sono le dita delle mani che memorizzano per noi grazie alla ripetizione di un
singolo movimento.
• Memoria analitica
Tuttavia, sia Matthay che Gieseking e Leimer sottolineano unanimi che, affinché
abbia luogo una memoria intelligente, dev’esserci soprattutto una profonda
conoscenza della partitura e della struttura musicale in ogni suo dettaglio.
Essi considerano la memoria uditiva, visiva e cinestetica come secondarie alla
memoria acquisita da un’attenta analisi della partitura.
Ma c’è chi consiglia vivamente questo tipo di studio ancor prima di eseguire per la
prima volta il brano con lo strumento.
Walter Gieseking e Karl Liemer raccomandavano di provare mentalmente un brano
come passo iniziale nella memorizzazione (prima di provarlo allo strumento).
Suggeriscono di apprendere un pezzo a memoria visualizzandolo attraverso la
lettura silenziosa. Hanno descritto il loro metodo per analizzare la partitura in modo
molto dettagliato fornendo esempi specifici.
Memorizzare compitando
Ecco come Rattalino definisce la memorizzazione ”compitando”. Si tratta di
suonare il brano da capo a fondo molto lentamente, curando tutti i dettagli e senza
farsi scappare nemmeno un errore.
Sarebbe molto utile essere in grado di riprendere il brano ogni due o quattro battute
stabilendo dei “check-point”: qualunque cosa succeda sappiamo di poter riprendere
da uno di questi punti prefissati.
La ripetizione
Le ripetizioni sviluppano moltissimo la memoria
cinestetica, quella digitale, meccanica.
Fabrizio Fogagnolo
Riassunto
Dalla musica jazz > IMPROVVISAZIONE (elemento essenziale del jazz stesso ma non
l’elemento fondamentale)
- Per parafrasi
- Creazione melodico/armonica
- Improvvisazione “radicale”
A) IMPROVVISAZIONE JAZZISTICA
Nel jazz a partire da uno standard (brani appartenenti alla tradizione dei musicals)
introduzione, soli, esposizione del tema e finali sono liberi
B) L’IMPROVVISAZIONE RADICALE
Parliamo del FREE JAZZ, che abbatte tutte le regole, le forme e i pattern stilistici.
Applicando questa improvvisazione in gruppo è necessario comunque avere dei
criteri: saper ascoltare, avere un vocabolario musicale adatto a saper comunicare,
saper esprimere il proprio pensiero musicale nello strumento.
GAETANO MANARA
Conclusioni
L’improvvisazione è quindi una musica impulsiva, fortuita, ma mai rischiosa o
arbitraria, sempre controllata come una composizione lungamente elaborata. Si
deduce che i modelli sono il vero modo con cui l’artista è in grado di esprimere
meglio il suo estro. La creatività si esprime tramite essi. Sono inoltre il linguaggio
comune che permette di scambiare significato e rende l’improvvisazione dotata di
senso. L’improvvisazione grazie ai suoi ingranaggi, il meccanismo
dell’immaginazione, i processi di elaborazione, l’esecuzione spontanea, ci ricorda la
stessa libertà dell’arte e della vita. Si formano infatti elementi che obbediscono a
leggi del loro proprio sviluppo e che determinano i loro criteri immanenti.
Spesso l'improvvisazione costituisce una sorta di tabù da cui tenersi larghi...in
realtà anche con con argomenti di livello non certo avanzato è possibile
cominciare a effettuare esperimenti interessanti improvvisativi in forma di
armonizzazione melodica creativa
Vediamo alcuni esempi che ovviamente possono essere variati a piacimento usando il
punto, facendo una quartina o una terzina veloce e una lenta ecc. ecc. Nota bene gli
esempi delle prime due pagine possono essere “convertiti” anche in modo minore
armonizzando scala minore naturale, armonica, melodica, ed in modo dorico
Terzine
Quartine
Zig Zag
Appoggiatura cromatica
Bluesy
.....facciamo degli esempi scritti anche con il minore sempre armonizzando
soltanto con I IV e V grado
Mi minore
Discendendo
Approccio diatonico da sopra
Secondo John Paynter, compositore e didatta inglese, comporre/improvvisare dovrebbe essere parte
del processo di apprendimento di uno strumento; creatività e acquisizione delle capacità tecniche
dovrebbero andare di pari passo. Dalla prefazione di Guardabasso al testo Suono e struttura di
Paynter:
“L’insegnante formula una proposta, innescando così dei processi creativi («Un sasso gettato in uno stagno suscita onde
concentriche», ci ricordava Gianni Rodari) e organizza la classe in piccoli gruppi che lavorano in un clima di continuo
confronto cercando di realizzare un brano musicale, di realizzare cioè un prodotto finale nel quale possano riconoscersi
e che possano sentire come proprio. […] L’insegnante lascia che gli allievi lavorino da soli e interviene nei momenti
opportuni, non per indicare le direzioni “giuste” da seguire, ma ponendo loro quelle domande utili a stimolare
ulteriormente l’immaginazione e la capacità di organizzare le idee, aiutandoli così a riflettere e a prendere le decisioni
adeguate per costruire strutture musicali coerenti e dotate di una logica interna.”
La lezione collettiva e la musica d’insieme sono mezzi privilegiati per la didattica strumentale nella
S.M.I.M; il laboratorio il “luogo” ideale per lavorare con attività creative.
Nell’approccio all’improvvisazione se le consegne sono troppo complesse si rischia che l’allievo o
si blocchi o faccia ricorso a schemi convenzionali. Partire dalla manipolazione di una piccola idea
musicale per arrivare alla costruzione di un intero brano, in cui tutti possano avere un ruolo
importante, mettendo in gioco la propria creatività.
Materiali usati:
improvvisazione come mezzo compositivo, moduli ritmici e riff da 4/4 (riff = breve frase ritmico-
melodica ripetuta in ostinato, in genere affidata ai fiati, con funzione incalzante per
l’improvvisatore), scala pentafonica (che consente la sovrapposizione anche di tutte le note senza
generare dissonanze fastidiose), giro armonico blues (in particolare gli accordi di I-IV grado
maggiori), ritmo swing.
Percorso svolto
- Improvvisare su una sola nota. Inizialmente esplorazione libera, poi più attenzione al ritmo, poi
suonare meno lasciando pause. Poi provare a improvvisare frasi di due-tre misure senza contare
- Apprendere un riff proposto dall’insegnante su una sola nota e ripetuto a turno senza interruzioni,
poi tutti insieme
- Improvvisazione ritmica individuale su una sola nota su tappeto armonico di settima di dominante,
G7 (fatto dai compagni), poi con due note e poi tre
- Apprendimento scala pentafonica minore di sol per imitazione
- Improvvisare a turno sulla pentafonica con una lunghezza di frase stabilita (es. due misure da 4/4)
- Improvvisare a turno sulla scala pentatonica minore mantenendo sempre lo stesso riff (uno dei riff
appresi in precedenza)
- Usare il riff come base armonica (ogni allievo o gruppo di allievi suona una nota differente)
alternando G7 e C7 (I-IV accordi del giro Blues) e improvvisazione libera individuale; poi cercare
di improvvisare nelle pause
- Provare a inventare dei riff sulla pentafonica cercando di fissarne uno
- Scegliere insieme i riff più adatti
- Scrivere ognuno il proprio riff inventato
- Scegliere insieme il modo di organizzare la struttura del brano alternando variamente le seguenti
sezioni: improvvisazione collettiva libera, improvvisazioni individuali melodiche, riff stabiliti sia in
sequenza che sovrapposti (con funzione tematica), improvvisazioni su tappeto armonico di I-IV.
Sperimentazioni/improvvisazione al pianoforte
Infatti è facile notare che soprattutto data la inamovibilità ed anche la sua accordatura fuori
dalle competenze medie dell'esecutore il piano diventa spesso quasi un oggetto estraneo
che incute timore.
D'altra parte va anche considerato che ci sono dei vantaggi non indifferenti: ad esempio
la varietà timbrica, l' estensione di registro , la possibilità di suonare a quattro mani ,
verificare la disposizione dei suoni, di suonare da solista o in funzione di accompagnamento
Ricerca del suono su tutta l'estensione liberi da costrizioni e metriche, ci sono possibilità
che stimolano l'inventiva in molte direzioni: cluster, note singole, (spunto tattile) tasti
bianchi o neri (spunto visivo) moto contrario , obliquo, parallelo (direzione del movimento e
variando il senso di marcia) lontano e vicino (distanza) e poi ancora: note singole,
arpeggiate, facendo emergere silenzi suonando a mani alternate, glissando .
Si possono usare le mani in modo anomalo: di pugno di taglio, tutto ciò si avvicina un po'
alla ricerca della musica contemporanea trovando agogiche: lento, veloce, accelerando ecc ,
dinamiche piano, mezzo forte ecc. immaginando situazioni: misterioso, energico ecc.
suonando in simmetria spaziale o di durata, con percorsi di andata e ritorno o suonando in
contrappunto, trovando dei moduli come delle successioni da ripetersi secondo i più
svariati stilemi, pattern, variazioni, simmetrie ecc.
Interessante seguire l'evolversi del processo di improvvisazione dalle prime esplorazione,
esce una quantità di materiale non organizzato che via via in modo istintivo viene
selezionato ed organizzato.
2. Lavoro su intervalli
Una volta stabilito un buon rapporto con lo strumento si può passare agli intervalli,
introducendo mano a mano anche temi più impegnativi e ritmi metricamente misurati,
specifici rapporti di altezze e suoni.
Per iniziare vengono presi in considerazione solo intervalli di seconda e di quinta
si parla di distanza ovviamente da ricercare sulla tastiera dal basso verso l' alto e viceversa e
contemporaneamente.
Alcune idee, espediente da proporre sono:
suonare in tempo non misurato facendo emergere le dinamiche far emergere dal silenzio
suoni irregolari, note suonate contemporaneamente.
Ancora metricamente battere e levare, con pulsazione alternando silenzi, con durate diverse
corto lungo con intensità e timbri diversi, in misure semplici, composte ed irregolari.
Con moduli spaziali cioè combinazioni simmetriche, si possono unire le mani suonando i
temi a moto contrario , a canone, in contrappunto con intervalli ostinati.
Si introduce poi l'intervallo di quinta perfetta suonando una scala cromatica facendo vedere
che l'intervallo cade con due tasti bianchi o neri eccezion fatta per le quinte Sib- Fa e Si –
Fa#. Si cercano anche qui progressioni e ritmi ad esempio eseguendo semiminime sui tasti
bianchi, crome su quelli neri e minime su quelli misti.
Si suona staccato e legato con fermate e poi sciogliendo l'intervallo.
Ovviamente da non sottovalutare che lavorare con gli intervalli aumenta la dimestichezza
con il riconoscimento dell'orecchio. Si improvvisa per qualche tempo su toni interi e poi su
semitoni, in modo da distinguerli bene per poi integrarli.
Questo appropriarsi della tastiera della manualità e di alcuni elementi tecnici porta
l'improvvisazione sperimentale verso una zona che potremmo definire più legata alla
musica moderna e meno a quella contemporanea.
Melodie in maggiore, minore, modale altri tipi di scale accordi di tre o più suoni, cadenze ,
progressioni, giri armonici, modulazioni, forme, stili.
Certamente le regole si fanno più serrate ma la musicalità non va messa da parte.
Dopo aver sperimentato gli accordi di tre suoni con relativi rivolti si mettono al servizio di
armonizzazioni di melodie.
La melodia a volte è data a volte improvvisata. Utile anche utilizzare inflessioni vocali,
perchè con la voce si è sicuri di ottenere un fraseggio equilibrato.
Le prime melodie vengono accompagnate con bordoni e bassi ostinati.
Poi melodie in tono maggiore e minore utilizzando solo tonica , sottodominante e
dominante.
Progressivamente si introducono gli accordi, settime e poi progressioni modulazioni
Cadenza semplice perfetta Scala cromatica a quattro voci e via via.
L'improvvisazione quindi può diventare un supporto allo studio migliorando la prima vista,
risolvendo passaggi difficili, isolandoli e facendoli diventare tema su cui improvvisare,
incentivando l'espressione della musicalità.
In definitiva come ai tempi di Bach e Mozart si usava improvvisare questa pratica deve
entrare nel curriculum musicale e non rimanere materia a sè stante.
Soundpainting
Il soundpainting è stato creato da Walter Thompson a Woodstock, New York, nel 1974.
È una tecnica di improvvisazione basata su un linguaggio di segni gestuali per la composizione
multidisciplinare estemporanea, che viene eseguita da musicisti, attori, ballerini e artisti visivi.
Il Soundpainter, posto in genere di fronte al gruppo, compone in tempo reale utilizzando i segni: a
volte stabilisce il materiale che vuole ottenere dagli interpreti altre volte no, per cui vi sono vari
gradi di possibilità e specificità. È fondamentale la sua capacità di adattarsi e di prendere spunto da
ciò che sta accadendo nel momento. Il tutto dà vita ad una performance unica e irripetibile, in
quanto estemporanea, e globale poiché coinvolge diverse forme d’arte (anche video).
Altra prerogativa del soundpainting è quella di mettere sullo stesso piano musicisti di livelli tecnici
e competenze strumentali anche lontanissime: purché conoscano il linguaggio strutturale del
soundpainting, a tutti è dato lo stesso grado di libertà espressiva annullando le differenze nella
competenza tecnica.
Approccio didattico
Il soundpainting è accessibile a tutti gli studenti, dai bambini in età prescolare agli studenti
universitari e anche alle persone con bisogni speciali. Non è richiesta alcuna conoscenza
preliminare dell'improvvisazione. Impegnando molteplici stili di apprendimento (verbale, visivo,
uditivo e cinestetico) per esplorare la creatività, il Soundpainting supera i confini comuni, sviluppa
le attitudini creative degli studenti attraverso una serie di parametri strutturali che richiedono una
scelta individuale. La creatività innata degli studenti emerge e si sviluppa in modo costruttivo
attraverso le opzioni gestuali del Soundpainter (il docente) permettendo a ciascun gruppo di
esprimere la propria personalità attraverso un approccio esperienziale.
Repertori relativi al pianoforte a
partire dalle fasi iniziali di studio.
Luglio 2020
REPERTORI PIANISTICI !1
Premessa
Seppure in maniera lenta, anche il numero di metodi per lo studio del
pianoforte ha subito un inevitabile rinnovamento, soprattutto a partire dalla
metà del secolo scorso. Così, ad affiancare i metodi consolidati nel tempo e di
stampo più tradizionale, oggi possiamo contare su testi più stimolanti e
accattivanti (soprattutto dal punto di vista grafico) rivolti a giovani studenti che
sono abituati a ritmi frenetici, stimoli visivo-uditivi irresistibili, sollecitazioni
continue a carattere multimediale soprattutto da parte della tanto amata/odiata
tecnologia di continuo portata agli estremi dai vari device elettronici con i quali
condividono la loro giovane esistenza.
I giovani alunni di pianoforte, soprattutto quelli che non hanno mai suonato lo
strumento prima di frequentare una scuola ad indirizzo musicale, dovrebbero al
più presto iniziare a suonare qualche brano per ottenere una rapida
gratificazione e capire che tutto quanto di teorico e tecnico apprendono durante
le prime lezioni è finalizzato a qualcosa di importante ed in un certo senso
unico: il fare musica, e con questo si intende la capacità di sapere esprimere, al
pari di altre forme comunicative, emozioni, sensazioni, stati d’animo, umori
tramite l’arte dei suoni.
REPERTORI PIANISTICI !2
brani di Bartók (Microkosmos), Kabalevsky (Pieces for children) ma anche,
soprattutto nelle prime fasi di apprendimento, brani scelti dal metodo Bastien
dove ritroviamo certamente melodie orecchiabili e carine senza però perdere di
vista le principali e progressive difficoltà nella scrittura, nella suddivisione
ritmica, nel fraseggio. A tutto ciò si possono infine aggiungere anche brani
jazzistici, colonne sonore tratte da film famosi o ancora brani appartenenti alla
musica popolare sia solistici che, soprattutto, pensati per diversi organici
strumentali: non dimentichiamo che la pratica di Musica di insieme ha assunto
sempre più rilievo.
REPERTORI PIANISTICI !3
Autore Brani
Aprea T. Juvenilia: Raccolta di piccoli pezzi per principianti
Bach J.S. 24 piccoli pezzi dal libro di Anna Magdalena Bach
23 pezzi facili
Bartók B. First Term at the Piano.
10 Pezzi facili.
For Children libro 1 e 2.
Mikrokosmos vol. 1 e 2.
Bastien J. Metodo Bastien per lo studio del pianoforte - Livello 1 e
2
Beethoven L. V. Sonatina in Sol maggiore.
Sonatina in Fa maggiore.
Sonata facile in Sol minore Op. 49 n. 1
Sonata facile in Sol maggiore Op. 49 n. 2
Variazioni sul tema di Paisiello
Variazioni su un tema originale
Behr F. Album per la gioventù Op. 575.
Bettinelli B. Piccoli pezzi per pianoforte
Burgmuller 25 Studi facili e progressivi Op. 100
Casella A. 11 Pezzi Infantili Op.35
Pupazetti: 5 pezzi facili a 4 mani
Cesi - Marciano Antologia Pianistica fascicolo 1 e II
Clementi M. 6 Sonatine Op. 36
Diabelli A. Sonatine Op. 168
Farina G. Ritratti di animali
6 piccole composizioni
Sonatine Op. 54 a 4 mani
Ferrari Trecate G 14 pezzi facili
Ninnoli musicali
Galluzzi G. Il primo concerto del giovane pianista vol. 1 e 2
REPERTORI PIANISTICI !4
Autore Brani
Ghedini G. F. Puerilia: 4 piccoli pezzi sulle 5 note
Gurlitt C. The first steps of the young pianist Op. 82
20 little pieces for the piano Op. 101
Album pour la jeunesse Op.140
Kabalevsky D. 30 pieces for children Op. 27
24 pieces for children Op. 39
Album for children Op. 89
Khachaturian A. Kinder Album
REPERTORI PIANISTICI !5
Nel corso dei secoli i grandi didatti dello strumento hanno sempre cercato di scrivere e
comporre musica per aiutare gli allievi nel loro percorso formativo.
L'approccio che negli ultimi anni si sta cercando si è adattato al cambiamento dei tempi, nei
quali gli allievi non hanno più tempo e voglia di dedicarsi completamente e devotamente allo
strumento, sono oberati di impegni e sovraccaricati di mille cose da fare. Questa nuova
modalità di tenere possibilmente il più impegnati i figli crea una dispersione di attenzione e
di energia, l'allievo non è più disponibile a sacrificare il suo tempo in una materia che non
porta quasi subito al risultato sperato, e potrebbe preferire dedicarsi ad altre attività meno
impegnative….
Per ovviare a questa problematica negli ultimi decenni si è quindi cercato un approccio più
divertente ed accattivante dei metodi ma non tutti possono sortire a degli effetti o risultati
ottimali.
Uno dei metodi che prediligo è il “Metodo Europeo per Pianoforte” di F. Emonts. È pubblicato
dalla tedesca ‘Schott Music’ ed è piuttosto recente: la prima pubblicazione è del 1992 e
l’ultima ristampa del 2007.
E’ suddiviso in tre volumi e, come la maggior parte dei moderni metodi, è rallegrato da
disegni molto belli e pagine colorate. S’intitola “Metodo Europeo” per la seguente
motivazione espressa dallo stesso autore: “In considerazione del crescente sviluppo della
Comunità Europea ritengo importante che i nostri giovani, anche nel quadro della loro
formazione musicale, abbiano l’opportunità di entrare in contatto con la cultura di altri paesi.
Per questo ho voluto inserire numerosi canti e brani musicali provenienti da ogni parte
d’Europa”.
Il primo volume parte con una serie di ‘pagine gialle’ con i “Primi passi sui tasti neri”,
contenenti dei pezzi molto semplici che devono venire suonati dall’insegnante e poi, per
imitazione, dall’allievo. Il vantaggio di questo approccio sui tasti neri è che le funzioni motorie
non sono limitate alle singole dita della mano ma coinvolgono i movimenti dell’intero braccio
e dell’intero corpo favorendo così il rilassamento muscolare.
Vi è anche la possibilità aggiuntiva di poterli suonare insieme a 4 mani anche con l’uso del
pedale di risonanza così da dare subito all’allievo non solo un senso di completezza armonica
ma anche di poter fantasticare e visualizzare per immagini ciò che sta suonando, tra l’altro
anche i bellissimi disegni aiutano all’ambientazione stessa. Brani come: La bambola e la
marionetta, Campanelli, Il flauto del pastore e la ciaramella sono dei piccoli quadri sonori
semplici ma divertentissimi e che suonati col giusto timbro diventano molto realistici e danno
una soddisfazione immediata.
Seguono una serie di canzoncine e piccole melodie popolari tratte dal repertorio dei paesi
europei ma anche dal Brasile e dall’America. Alcune di esse andranno suonate ad orecchio,
altre su imitazione del docente ed eseguite a memoria, senza leggerle. Vengono integrate
nel capitolo successivo da semplici accompagnamenti da suonare con la mano sinistra, in
bicordo ad intervalli di quinta o con intervalli di quinta melodici (ad es. do-sol con
diteggiatura 5-1 così che la mano trovi da subito il giusto equilibrio tra le dita estreme e il
polso, gomito , braccio si rilassi in caduta) ma anche specularmente a ciò che fa la destra,
usando quindi la stessa diteggiatura, o in canone.
Questi accompagnamenti, se troppo difficoltosi, potranno essere utilizzati in seguito.
La prima parte del libro lascia molto spazio alla creatività, all’inventiva e donano all’allievo
non solo un approccio divertente ma anche molto utile sotto l’aspetto sonoro, timbrico,
emotivo e di gusto per i diversi effetti sonori, stimolano l’ascolto, la memoria,
l’improvvisazione.
Terminata la sezione delle pagine gialle, iniziano le pagine bianche con la prima posizione
del Do centrale, sono piccole melodie polifoniche per le due mani, con la sinistra spesso
speculare alla destra.
Da qui in poi comincia la vera e propria lettura delle note sul pentagramma, coinvolgendo
dapprima tre dita della mano (pollice-2-3, note della mano destra do-re-mi in chiave di violino
e specularmente do-si-la per la mano sinistra in chiave di basso) poi con tutte e 5 le dita( do-
re-mi-fa-sol mano destra, do-si-la-sol-fa mano sinistra)
Si arriva quindi alla differenziazione maggiore/minore e allo studio delle tonalità di Re, Sol,
La, sempre con brani sulle cinque dita, senza passaggio del pollice, alcuni anche a 4 mani.
Il primo libro termina con alcuni pezzi adattati da composizioni di Beethoven, Bartòk e alcune
melodie di derivazione popolare: sempre sulle cinque dita, in diverse posizioni e con cambio
di posizione all’interno dello stesso pezzo.
Il secondo volume offre un approfondimento sul piano tecnico e musicale. Inizia con alcuni
brani per approfondire gli aspetti del fraseggio e dell’articolazione. Dopodiché si passa allo
studio delle scale maggiori e quindi allo studio del passaggio del pollice, alle scale minori
armoniche e melodiche. A questo punto si apre un’importante parte del metodo dedicata alle
tonalità maggiori e relative minori, con aggiunte le rispettive cadenze IV-V-I .
Ogni sezione è accompagnata da composizioni tratte dal repertorio dei paesi dell’Europa:
Paesi Bassi, Italia, Grecia, Inghilterra, Ungheria, Germania, Svezia, Spagna, Russia, Francia,
Estonia e in più gli Stati Uniti (con il blues). Troviamo esercizi per la velocità e l’uguaglianza
e pezzi di vari compositori ( Czerny, Kuhlau, Bertini, Bach etc.) che affrontano i problemi
tecnici tipici dello strumento. Un capitolo viene dedicato al pedale di risonanza, con varie
indicazioni sul suo uso; in un altro capitolo è spiegato il termine “cantabile”, con la “Piccola
canzone” di R.Schumann.
Il secondo volume si chiude con degli esempi di accompagnamento per canzoni e danza,
con le cadenze e gli accordi costruiti sulla scala maggiore e minore, su come accompagnare
una canzone con due o tre accordi, con una danza con armonie cadenzanti.
Il terzo libro si propone, più che come metodo per pianoforte in senso tradizionale, come
raccolta di materiale e stimolo per le lezioni di livello avanzato, per degli allievi ormai
cresciuti e abbastanza esperti. Fritz Emonts ha individuato alcuni brani del vasto repertorio
per pianoforte e li ha ordinati secondo precisi criteri metodologici. Aspetti tecnici come terze,
seste vanno di pari passo con tematiche musicali come il tocco espressivo, la consapevolezza
ritmica, l’uso del pedale. Questi due processi di sviluppo interagiscono costantemente: il
lavoro tecnico deve procedere di pari passo con lo sviluppo delle capacità espressive.
Troviamo quindi molte composizioni dei grandi della musica affiancate a motivi dei vari
paesi.
Un altro metodo da me molto apprezzato è il Corso Tutto-in-Uno legato alla Alfred’s Basic
Piano Library. È un metodo molto comodo perché ti permette di usare un unico testo
completo, comprendente lezioni, teoria, e brani. Rappresenta una delle avanguardie del
moderno insegnamento pianistico, inoltre tutti gli elementi sono combinati in esercizi che
seguono un cammino logico e progressivo. Per ciò che riguarda l’età degli studenti, il corso
può essere utilizzato proficuamente dai ragazzini di prima media e i disegni non sono troppo
infantili. Ognuno dei cinque volumi del Corso Tutto-in-Uno è basato su uno schema di lezioni
ben definito. Le prime pagine del primo volume sono dedicate alla postura e alla conoscenza
delle dita, oltre che alla percezione dei suoni gravi e acuti.
A differenza di altri metodi, l’allievo inizia lo studio sui tasti neri per favorire l’associazione di
un qualsiasi dito a un qualsiasi tasto. I primi esercizi e le prime melodie interessano il gruppo
di due tasti neri, poi si passa al gruppo di tre e dopo si utilizzano i cinque, le semplici melodie
vengono dapprima cantate e poi suonate. Solo dopo molti esercizi si passa ai tasti bianchi,
partendo dal do centrale con piccoli esercizi, che interessano le prime dita delle due mani.
Ci si avvia alla conoscenza dell’accollatura dopo vari esercizi sulle note in chiave di basso.
Tutto il percorso didattico è impastato con elementi di teoria musicale, che rendono il
percorso più agevole e chiaro, i disegni e i colori rendono le lezioni gradevoli.
Gli argomenti trattati sono le basilari posizioni sulle cinque dita: si parte dal Do ( mano sinistra
posizionata col quinto dito sul Do2, mano destra col pollice sul Do 4) successivamente del
Sol, del Do centrale e del Fa, per poi combinarle insieme costruendo le basi armoniche del
pensiero musicale sia classico che moderno, passando anche attraverso il folk, il boogie, il
blues, e il rock. Allo stesso tempo nelle varie posizioni si individuano i vari tipi di intervalli
dalla seconda alla terza, quarta e quinta per poi nei volumi più avanzati allargare la mano alla
sesta sia verso l'interno che l'esterno della mano ( spostamento del quinto dito di un tasto
verso l’acuto tenendo fisso il pollice o viceversa). Si arriva all’estensione dell’ottava nel quinto
volume, nel frattempo l’alunno sarà cresciuto e tutto si svolgerà in modo fisiologico e
naturale.
Vengono introdotti a mano a mano tutti i simboli che rappresentano gli elementi fondamentali
della musica (le indicazioni di tempo, le durate dei suoni e delle pause) le indicazioni
dinamiche ( piano, forte, mezzo forte, mezzo piano, pianissimo) di fraseggio, di tocco( legato,
staccato, portamento, accenti), agogiche.
Ogni brano rappresenta esperienze o piccoli scorci del vissuto quotidiano, immagini,
canzoncine prese dalla tradizione classica, ma si ispira anche a ritmi folcloristici e a musiche
extraeuropee ampliando così già da subito il bagaglio di conoscenze dell'allievo e favorendo
l’interculturalità.
Alla fine di ogni volume vi è una tavola riassuntiva per ripassare i nuovi termini musicali
imparati e un diploma da compilare che funge da gratificazione per i traguardi raggiunti.
Recentemente ho usato per alcuni allievi di prima media il Piano magico; è un metodo
pubblicato nel 2015 da Maria Vacca, autrice del metodo il Musigatto in quattro volumi, e di
molti altri libri per ragazzi, sia di pianoforte che teoria e solfeggio.
Il libro è ricco di materiale e disegni colorati e allegri. Al suo interno si trovano tanti piccoli
brani che stimoleranno la fantasia e l’immaginazione grazie soprattutto ai testi, alle
illustrazioni e ai titoli mirati.
Fin dall’inizio i brani hanno un accompagnamento che potrà essere eseguito o dal docente
o da un compagno di livello più avanzato, oppure può essere ascoltato dal CD ROM allegato
per rendere lo studio a casa più facile e piacevole e dal quale è possibile scaricare per
l’insegnante gli spartiti dell’accompagnamento in formato PDF. Ogni argomento è spiegato
in termini molto semplici e chiari ed è completato, sia sul libro che sul CD ROM, da svariati
giochi ed esercizi presi anche dall’Enigmistica musicale, un libro di soli giochi musicali in
due volumi della stessa autrice, e qui riportati.
Nelle prime pagine del libro sono presentati i diversi personaggi che accompagneranno i
ragazzi nel loro percorso formativo, la descrizione dello strumento (com’è fatto, come si
produce il suono e come sono disposti i tasti neri sulla tastiera), poi esercizi sulle basi teoriche
musicali (notazione, pentagramma, chiavi, figure etc), la posizione al pianoforte , la
diteggiatura.
Dopo questo excursus teorico, la pratica viene affrontata partendo da un unico dito, il pollice
a cui verranno date, nel susseguirsi degli esercizi, diverse durate; fortunatamente sono a 4
mani e le prime pagine possono essere suonate a prima vista. I brani successivi, grazie ad
un percorso graduale, consentiranno all’allievo di migliorare la capacità di lettura e di
prendere sempre più confidenza con la tastiera e i suoni. Poco per volta verranno assimilati
i nuovi argomenti: i segni dinamici, le doppie note, la legatura di valore, la battuta in levare,
i segni di ritornello. L’allievo ora ha le competenze e le abilità necessarie per poter unire le
mani e dedicarsi ad ulteriori compiti: i vari tocchi (legato, staccato etc), l’indipendenza delle
mani, e a dedicarsi ad altri elementi di teoria: le alterazioni, il concetto di frase musicale, le
indicazioni di tempo, per poi passare a nuove posizioni delle mani e infine al passaggio del
pollice che preparerà allo studio delle scale. Infine il concetto di triade che getterà le basi
armoniche per la costruzione del pensiero e l’uso corretto del pedale di risonanza per
lavorare ulteriormente sull’espressivita e sulla qualità del suono.
Il libro si conclude con i quiz finali di ripasso per verificare le competenze acquisite per poi
poter passare al secondo volume o ai primi brani degli autori classici.
Un altro metodo che apprezzo notevolmente è “Ma première annèe de Piano” di Charles
Hervè e Jacqueline Pouillard, è scritto in francese, non è stato ancora tradotto in italiano, ed è
illustrato con simpatici disegni. La prefazione è di Badura-Skoda che ne esalta la qualità
definendolo un metodo interessante, fresco, vario, logico e graduale per quanto concerne i
problemi pedagogici e pianistici.
Consiglio di leggere ed eventualmente tradurre ai propri allievi le prime pagine di questo
libro perché danno ottimi consigli:
Il libro inizia con la posizione del Do centrale sulle cinque dita con entrambi i pollici sul do, e
dopo poche pagine in cui si suona a mani alternate con brani anche a 4 mani molto piacevoli,
vi sono due pagine di esercizi per allenarsi sul suonare legato.
Poi quasi subito inizia la parte polifonica a mani unite, dapprima nella posizione del Do (m.sin
quinto dito sul Do2, md pollice sul Do4), poi del Sol.
Il metodo comprende:
- esercizi polifonici tradizionali per sviluppare una buona posizione del corpo e della mano,
la lettura a più voci, la concentrazione
- pezzi vari per sviluppare il senso musicale, ritmico, del bel suono, della frase
- la “conaissance de la clavier”, conoscenza della tastiera, che tratta gli aspetti più particolari
della tecnica strumentale, le diverse nuances, i registri, i diversi modi di attacco del tasto:
legato, staccato, fraseggio a due (legatura di portamento), appoggiato etc Vi sono anche
pezzi a 4 mani dove c’è un’inversione di posti tra maestro e allievo molto divertente, in uno
scambio di ruoli (role playing).
Quasi alla fine del libro gli esercizi presentati sono dei grandi didatti classici: Czerny,
Gnyesina, Kabalevskj, L. Mozart.
Il metodo ritmico Dalcroze si articola in lezioni esclusivamente di gruppo, nelle quali ogni
studente è necessario alla crescita collettiva. La didattica si struttura su 3 diversi livelli:
1- la ritmica dalcroze dai 3 anni
2- solfeggio dalcroze dai sei anni
3- improvvisazione dai 10 anni.
Suzuki sviluppa il suo metodo del 1948 ma si diffonde in Europa solo dal 1970.
Conosce Einstain e Montessori e studia la psicologia infantile. Accoglie la filosofia Zen:
raggiungimento dell’obiettivo senza sforzo, attraverso la naturale padronanza della forma.
Il suo metodo è chiamato anche metodo della LINGUA MADRE: si basa sullo sviluppo
delle capacità innate prima di ogni processo di alfabetizzazione, partendo che il linguaggio
della musica non è diverso dal linguaggio verbale : suonare = parlare (come John
Sloboda, cognitivista, musica e linguaggio)
Kodaly, ungherese di nascita, struttura la sua pedagogia di base sugli stessi concetti base
dei metodi sperimentali di questo periodo e cioè che la musica (innata in ogni essere
umano) puo’ essere appresa in modo analogo al linguaggio verbale. A differenza di altri
educatori, Kodaly scrive , fa conferenze e pubblica le sue opere pedagogiche.
Come Gordon, Kodaly dice che l’ed. Musicale debba iniziare dai primi anni di vita, fase in
cui l’elasticità è massima. Così nacquero i 4 fascicoletti intitolati “Musica Pentafonica”:
melodie pentafoniche per fa acquisire buona intonazione, formazione dell’orecchio grazie
ai gradi disgiunti e solo ed esclusivamente a cappella, con l’esclusione di qualsiasi
strumento.
Il “metodo corale”, il canto in coro è un’attività attiva e partecipativa, la voce il più potente
dei mezzi didattici: tutte le percezioni e acquisizioni passano dalla voce, attraverso
l’esperienza concreta di essa i bambini assimilano in modo automatico e naturale le
strutture ritmiche e melodiche propedeutiche all’ed. Musicale vera e propria.
Il canto popolare ha poi un posto di primaria importanza della formazione del discente.
-“Solmisazione”per riconoscere e rappresentare le note in maniera più intuitiva. La
suddivisione nella scala modale non è definita in maniera assoluta, ma dalle relazioni che
si instaurano tra le varie note
- “Chironomia”: un altro espediente musicale di Kodaly: ad ogni nota un preciso segno
gestuale per far sì che l’alunno assimili piu’ facilmente quella nota, attraverso il dettato
chironomico, come un solfeggio gestuale cantato: i bambini intonano quella nota e ne
restituiscono il segno gestuale corrispondente.L’utilizzo di un codice visivo favorisce
l’assimilazione.
- L’ed. Ritmica prevede delle semplificazioni mnemo-tecniche, ovvero l’utilizzo di “sillabe
ritmiche” per segmentare il tempo:
TA per le minime
TI per le crome
TIRI per le biscrome
una volta assimilate queste semplici figure ritmiche, si possono scomporre e ricomporre
per costruire ostinati ritmici.
Bibliografia:
- Gioco didattico per l’apprendimento informale della musica – Politecnico di Milano
- Le Garzantine - Musica
- tesi di laurea – DeMaestri F.
Gruppo n 8 : CONOSCENZA DEI METODI E DEI TESTI DIDATTICI RELATIVI
ALL’INSEGNAMENTO DEL PROPRIO STRUMENTO
Metodo Thompson
Introduzione
Il metodo di John Thompson, degli anni novanta, rientra tra quei metodi moderni suddivisi
in vari volumi di crescente livello e dedicati principalmente a giovani allievi. È anch’esso
abbellito da simpatici disegni e adotta una grafica chiara, facilmente leggibile.
Non risulta molto facile reperire in rete informazioni dettagliate circa questo metodo,
soprattutto non risulta facile reperire tutti i volumi di cui è composto chiedendo in librerie
molto note e diffuse su tutto il territorio nazionale. Dallo studio delle informazioni
recuperate su internet risulta che il corso è organizzato in diversi volumi ( 8 volumi) dove i
primi 5 sono facilmente reperibili da librerie on line. Risulta inoltre dal web anche un
corso Thompson per adulti strutturato in 2 volumi.
Nelle edizioni più recenti i primi volumi sono corredati anche da un CD contenente le
tracce registrate con le esecuzioni di ogni brano. Questo approccio attraverso la
stimolazione dell’apprendimento uditivo dei brani, rispecchia di certo le ultime tendenze
nel campo della didattica musicale, dove si punta allo sviluppo dell’orecchio interno ed
esterno ai fini dell’apprendimento della musica
Parte 1
Il primo volume inizia con le nozioni basilari , comincia con l’indicare la posizione
delle note sulla tastiera passando subito a dei semplici esercizi ritmici su una nota, Do,
con le due mani. Imposta ritmicamente l’esperienza pratica, ribattendo una sola nota, con
gli accompagnamenti dell’insegnante che fungono da metronomo sensoriale . Poi
aggiunge il Re in chiave di violino e il Si in chiave di basso. Via via aggiunge le altre note,
ma con molta calma e soffermandosi su ogni piccolo passo con degli esercizi. È un
approccio interessante per dar modo al giovane allievo di fare pratica e assimilare le
nuove informazioni.
Il secondo volume riprende con la posizione delle due mani sul Do centrale, in modo
speculare. Vengono quindi presentate, nell’ordine: le crome; il segno di alterazione (Fa#,
Sib) e la tonalità con l’indicazione dell’accidente in chiave. Dalla pagina 16 ci si sposta
sulle tre note mancanti, cioè sul La, Si e Do, per tutt’e due le mani. In questo modo si può
passare alla tonalità di Fa e alla relativa posizione sulle cinque dita. I brani seguenti
‘sfruttano’ tutte queste informazioni, spaziando in diverse tonalità e posizioni. A pagina 30
vengono spiegati gli accordi, divisi nelle due mani, con degli esercizi specifici. Quindi
troviamo pezzi con gli accordi a parti strette per la mano sinistra. Il volume si chiude con
due brani da suonare a quattro mani. In pratica possiamo osservare che:
Progressivamente vengono proposte nuove note sulle cinque dita, e superato l’intervallo di
quinta, si passa allo spostamento laterale della mano. Prima ancora di arrivare alle scale e
agli accordi si insegna l’importanza del fraseggio, favorendo l’individuazione melodica, la
differenziazione nel tocco (legato/staccato), e le sfumature dinamiche.
Il terzo volume si apre con la spiegazione del concetto di frase musicale e con la relativa
legatura. Quindi viene mostrato come spesso un periodo musicale sia costituito da quattro
semifrasi. A pagina 16 si spiegano gli intervalli di tono e semitono, con due brani basati su
questi intervalli. A pagina 20 è illustrata la scala maggiore e si invita l’allievo a scriverne
alcune, trasportando il modello. I brani seguenti spaziano, toccando le tonalità di Sol, Fa,
Do, Do min. Si ritorna agli accordi maggiori e alla spiegazione dei rivolti. Il volume si
chiude con molti altri pezzi, in diverse tonalità e con sette diverse scale maggiori con la
relativa cadenza.
Il quarto volume inizia con la nozione di ‘staccato’ e con un brano dove la melodia è alla
mano sinistra. Quindi troviamo la spiegazione dei tagli addizionali, per la chiave di basso
verso l’acuto, per quella di violino verso il grave. Si arriva alla tonalità di Mi maggiore e a
brani in 6/8. Poi a un brano dove l’accordo viene spezzato. Ci sono quindi vari pezzi dove
troviamo lo studio dello ‘staccato’, del salto di una mano nell’altra chiave, del ritmo
sincopato. Arriviamo quindi alle tonalità di Si magg., Reb magg., Solb magg., ognuna
accompagnata da uno o più brani. Il libro si chiude con altre sette scale maggiori (anche
Do# maggiore!).
Dal quinto volume si ha un cambiamento: il libro non è più in formato orizzontale come i
precedenti, ma in formato verticale. Esso inizia con una breve spiegazione delle
semicrome e un relativo brano. Vengono presentati i tagli addizionali delle note estreme,
verso il grave e verso l’acuto, ma solo fino a tre linee addizionali. Viene poi mostrata
l’acciaccatura e lo studio del pedale di risonanza. Vi sono vari brani per affrontare i vari usi
del pedale. Le semicrome vengono presentate in brani con diverso tempo: 4/4, 3/4, 2/4,
6/8. Gli studi successivi affrontano invece il problema del passaggio del pollice, dopo il
secondo e il terzo dito. I brani seguenti, quasi tutti originali tranne qualche adattamento di
composizioni d’altri autori, sviluppano in maniera graduale e progressiva le varie difficoltà,
arrivando a un livello discreto, che potrebbe coincidere con un secondo anno di pianoforte
classico.
Anche i seguenti volumi continuano sulla stessa strada, presentando brani di diverso
genere e carattere, in vari tempi e tonalità. Troviamo anche brani adattati da Chopin,
Thomè, Rimsky-Korsakoff e molti altri.
Parte 2
Punti di FORZA e punti di DEBOLEZZA
PUNTI FORTI:
4) la maggioranza degli esercizi sono molto musicali, sono studiati tenendo presente in
modo costante il fraseggio e l’orecchiabilità della melodia.
PUNTI DEBOLI:
Questo metodo, ma in generale ciò riguarda la maggioranza dei metodi moderni, cercano
di portare nel più breve tempo possibile lo studente a poter suonare quindi si evidenziano
due tratti caratteristici anche a questo metodo:
Fonti:
http://www.francescocarta.it/cms/wp-content/uploads/2013/05/TESI.pdf
Metodi e testi didattici: Il Mikrokosmos
I sei libri del Mikrokosmos furono composti da Bela Bartok dal 1926 al 1939. La raccolta, in sei
volumi, fu pubblicata nel 1940. Questi 153 piccoli pezzi raccolti in 6 volumi costituiscono una
monumentale opera pianistica che, almeno per quanto riguarda i primi quattro libri, hanno una precisa
funzione didattica, non solo dal punto di vista “manuale”, ma anche come progressivo avvicinamento
dello studente ai linguaggi della modernità, alle sue sonorità, alla riscoperta del patrimonio popolare
della musica ungherese. In tale ambito Bartok si applicò in modo scientifico sin dai primi anni del 900,
anche recandosi presso le popolazioni contadine più umili, quelle popolazioni depositarie di una
memoria non corrotta dalla trasformazione culturale che conseguiva il progressivo affermarsi della
società industriale. Da quest’opera, incessante di scoperta, emersero nuovi modi, scale, ritmi,
concezioni melodiche che posti sotto la lente critica della modernità fornirono a Bartok gli strumenti
per superare, in modo del tutto personale, gli ultimi retaggi tonali e l’estetica post-romantica. Nel
Mikrokosmos che cronologicamente rappresenta l’ultimo significativo titolo della pur copiosa
produzione pianistica, Bartok, che fu anche un ottimo pianista, definisce con estrema razionalità un
percorso formativo che, coniugandosi con la rivisitazione di quei tratti folklorici, conduce lo studente in
modo progressivo verso un significativo livello di complessità tecnico-esecutive ma anche verso
sonorità sempre più distanti dalla tradizione tonale e verso strutture tecniche-compositive che a pieno
titolo posssiamo definire novecentesche. Nella prefazione all’opera lo stesso autore afferma che i primi
quattro libri della raccolta sono stati scritti con il proposito di fornire materiale didattico ai principianti,
giovani e meno giovani, e intendono presentare il più possibile tutti i problemi riscontrabili durante i
primi passi. Afferma inoltre che il primo secondo e terzo libro sono pensati per il primo e secondo anno
del percorso formativo. Nonostante gli esercizi del Mikrokosmos si succedano secondo un criterio di
progressività delle difficoltà proposte, Bartok affida al docente la possibilità di modificare l’ordine e di
scegliere eventualmente quali fra i brani finalizzati all’apprendimento di una specifica abilità tecnica
siano i più indicati rispetto alle caratteristiche individuali dell’ allievo. Al docente viene anche
demandato l’onere di fornire tutte le indicazioni necessarie per la corretta esecuzione tecnica ed
espressiva. Rispetto alle indicazioni metronomiche, alcune delle quali non coincidono con le
indicazioni cronometriche poste in calce ad ogni brano, Bartok afferma che specialmente nei primi tre
libri può essere adottata una certa libertà. Raccomanda invece che ci si uniformi scrupolosamente alle
indicazioni date nel quinto e nel sesto libro. Dalle testimonianze del figlio Peter al quale l’opera è
dedicata apprendiamo che Bartok, non di rado chiedeva agli allievi di cantare i brani più semplici o
parte di essi , ancor prima di suonarli. Questo particolare suggerisce che oltre alla crescita tecnica e
manuale il Mikrokosmos intenda perseguire anche una attenta e più completa formazione espressiva
dell’allievo fatta di dettagliati fraseggi, di ricerca timbrica, di precisione ritmica, di coscienza metrica,
di mutevoli rapporti fra le due mani e di una capacità di gestire soluzioni testurali assai variegate. I 153
piccoli pezzi progressivi durano spesso meno di un minuto, altri poco di più e soltanto uno supera i tre
minuti di esecuzione. I suoi brani conducono attraverso le difficoltà elementari, quali lo staccato o le
mani incrociate, passando ad aspetti tecnico-compositivi come la scala pentatonica o ritmi asimmetrici,
fino alla politonalità con pezzi che presentano tonalità diverse fra mano destra e mano sinistra. La
difficoltà è crescente, si passa dai primi pezzi all'unisono di sole otto battute a brani più complessi, fino
a giungere al celebre Ostinato e alle Sei danze su ritmi bulgari dal virtuosismo di stampo concertistico,
dal sesto volume.. Il lavoro non prende in considerazione esclusivamente la musica per pianoforte solo,
ma comprende anche brani in cui è previsto il canto con accompagnamento e altri per esecuzione a
quattro mani o per due pianoforti. Il Mikrokosmos senza voler essere un vero e proprio metodo per lo
studio dello strumento è diventato un punto fermo per la didattica pianistica.
METODO LEBERT-STARK
La prima parte del primo volume è costituita da una sezione teorica in cui vengono presentati alcuni
“principi elementari”: il nome, la durata e il valore delle note, tempi binari e ternari, semplici e composti, le
indicazioni agogiche, gli intervalli, le scale e le tonalità:
Inoltre, alcuni brevi paragrafi riguardano la teoria del meccanismo: viene spiegata la corretta postura da
assumere al pianoforte, la giusta posizione della mano e il movimento delle dita.
Tali spiegazioni sono corredate da illustrazioni che esemplificano meglio i concetti:
Dal paragrafo 23 il metodo prevede che l’allievo inizi a cimentarsi al pianoforte attraverso esercizi per le
cinque dita.
Dopo 31 brevi brani, l’allievo, sempre a 4 mani con l’insegnante, inizia a suonare progressivamente sui
tasti neri.
Dal paragrafo 26 l’allievo si cimenta con primi pezzetti da solo, spesso tratti da canzoni popolari.
Il paragrafo 27 contiene alcuni esercizi preparatori per allargare e riavvicinare le dita su un’estensione di
6 note:
Da notare l’indicazione Bisogna suonare sforzandosi di tenere immobili il braccio e la mano. Il metodo, una summa
del modo di suonare il pianoforte secondo la tradizione clavicembalistica e ottocentesca, richiede allo
studente l’azione delle sole dita e non l’intervento del peso del braccio e dell’avambraccio. La tecnica del
peso sarà sintetizzata tra fine Ottocento e inizio Novecento da alcuni didatti tra cui il tedesco Rudolph
Breithaupt, e in Italia Attilio Brugnoli.
Gradualmente i pezzi presentano un’estensione più larga, di 6 o 7 note, sia a due che a quattro mani,
senza tuttavia arrivare all’ottava.
Seguono brani ed esercizi preparatori sulle terzine e le sestine.
Il paragrafo 32 contiene esercizi per l’indipendenza delle dita attraverso l’utilizzo delle note tenute; si
tratta di brevi formule, uguali per mano destra e sinistra da ripetere più volte:
Il paragrafo successivo è invece dedicato e esercizi preparatori alle doppie terze:
pro
• Si tratta di un metodo sapientemente pensato e articolato, che affronta le difficoltà in maniera
graduale e fornisce molti esercizi per costruire una tecnica pianistica solida.
• La presenza di molti brani da suonare a 4 mani con l’insegnante può essere fonte di stimolo per
l’alunno.
contro
• È un po’ datato, non molto entusiasmante per un ragazzo che si appresta a intraprendere lo studio
del pianoforte oggi, non possiede una veste grafica accattivante o brani in stile più moderno.
• È un metodo basato essenzialmente sulla costruzione di una tecnica digitale, in cui il peso del
braccio e dell’avambraccio sono totalmente esclusi.
SITOGRAFIA
https://it.wikipedia.org/wiki/Sigmund_Lebert
http://www.francescocarta.it/cms/wp-content/uploads/2013/05/TESI.pdf
Metodo Yamaha
La filosofia del Metodo Yamaha
“Il concetto di temperamento equabile si è sviluppato di pari passo con il desiderio dell’uomo di
esprimersi con la musica. Affinché l’Educazione Musicale sia il più possibile efficace, essa debba
essere condotta secondo i dettami di questa teoria, universalmente accettata.”
La filosofia del Metodo Yamaha ritiene che la pratica strumentale sia possibile a tutti e dimostrare
come la musica giochi un ruolo fondamentale nella formazione di ciascuno di noi.
Il processo di apprendimento in tutti i corsi Yamaha implica di “cantare ciò che hanno ascoltato e
suonare ciò che hanno cantato “ Questa è la procedura didattica del metodo Yamaha :
ASCOLTARE – CANTARE – SUONARE – LEGGERE .
Tutto ciò si chiama “ Suonare a imitazione “ ed è un metodo unico ed esclusivo elaborato da
Yamaha, dove si ci concentra sui processi di imitazione degli elementi musicali proposti
ditivo, attraverso numerosi esercizi di
dall’insegnante e sullo sviluppo prioritario di un feedback u
ear - training .
Il metodo tradizionale fa esattamente il contrario: si comincia dalla lettura delle note e poi si passa a
suonare, con la conseguenza di scoraggiare la maggior parte degli allievi.
Un principio ideale che deve seguire chi insegna con questo metodo, è che i ragazzi imparino in
modo permanente con obiettivi chiari. L’insegnante deve sempre indicare agli allievi delle mete
concrete, motivarli per raggiungerle e sperimentare loro la soddisfazione del raggiungimento di questi
traguardi. In questo modo crescerà in loro quel senso di autonomia necessaria per lavorare da soli e
in modo consapevole. Se durante la lezione la priorità è data dall’acquisizione soltanto di capacità
tecniche, l’approccio sarà del tutto inefficace ottenendo un atteggiamento poco positivo da parte
dell’alunno. Gli insegnanti dei corsi Yamaha, musicisti specializzati nell’educazione musicale, hanno
una qualificata esperienza di lavoro con i ragazzi. Vengono accuratamente selezionati e seguono
una rigorosa preparazione prima di cominciare la loro attività. Le differenze di livello di
apprendimento tra i ragazzi sono dovute principalmente alle differenze nel loro sviluppo psicofisico,e
in molti casi non sono da mettere in relazione con le loro potenzialità tecniche. Proprio a causa di
questo, anziché soffermarsi su ciò che il ragazzo non sa fare e forzarlo a farlo, si comincerà su ciò
che il ragazzo sa fare sviluppando proprio quelle attività nelle quali il ragazzo si sente più sicuri. I
corsi hanno una durata media di tre anni, con il rilascio di certificati di studio con validità
internazionale. Il metodo Yamaha è stato progettato per rendere l’apprendimento non solo facile ed
immediato, ma anche divertente. Si impara in modo naturale, soprattutto sviluppando prima
l’orecchio musicale e affrontando man mano vari brani di difficoltà progressiva. Questi ultimi sono
stati concepiti non soltanto per la loro validità, ma anche per l’attrattiva che esercitano su tutti.
Partecipando alla lezione con altre persone, c’è più motivazione e si trae giovamento dall’ascolto
reciproco. L’atmosfera è più simpatica ed è priva di tensione. La musica favorisce la socialità. Si
diventa tutti amici e si impara a fare musica d’insieme, ed è questa un’esperienza di valore
straordinario.
Quali sono gli obiettivi dei corsi Yamaha
I corsi JMC- JAC- JEC – Keyboaed – Clavinova propongono lo studio di uno strumento a tastiera (
pianoforte digitale o acustico ); questo non è tuttavia il solo scopo. L'obiettivo è quello di sviluppare
negli alunni altre capacità,tipo:
La voglia di fare musica e fare musica assieme
La voglia di esprimere sentimenti ed emozioni attraverso la musica
La voglia di sperimentare vari generi musicali e varie sonorità
La comprensione delle basi della musica
La capacità di elaborare un arrangiamento partendo da un'idea musicale semplice.
Vediamo in uno schema riassuntivo, quali sono le caratteristiche dei libri di un corso Yamaha : JAC 6
volumi
Le lezioni, secondo lo standard Yamaha, è naturalmente collettiva. Quest'ultima risulta più
stimolante per i ragazzi, permettendo loro un continuo confronto
I libri di testo spaziano in svariati stili musicali dalla musica classica a quella popolare, al jazz, al rock.
Già dalla prima lezione, gli allievi imparano a suonare il primo brano musicale, accompagnati
dall’insegnante e dalla base registrata su compact disc. Man mano che gli allievi progrediscono, i
brani diventano sempre più complessi e divertenti da suonare.
Brani di repertorio
Gli allievi sperimentano stili musicali svariati e sviluppano una vasta gamma di capacità durante il
processo di apprendimento e completamento quali :
La sensibilità musicale ( senso della melodia e armonia )
La capacità di suonare ( sotto il profilo della tecnica )
Il senso Ritmico ( feeling ritmo - Pulsazione ritmica – senso del tempo – della velocità e del
fraseggio )
La capacità di leggere la musica.
Ensemble
L’allievo mentre suona con i compagni sviluppa la sua capacità di controllo sulla sua esecuzione (
tempo, bilanciamento, espressione etc.. )
Fin dalla prima lezione occorre rendere coscienti gli allievi delle capacità che occorrono per suonare
bene in un ensemble ( attacco e chiusura simultanea,tempo e velocità uguale, bilanciamento fra le
parti,dinamica etc.
Ovviamente le basi del suonare in ensemble vengono affrontate anche nell'insegnamento delle altre
materie: anche per suonare un brano di repertorio infatti,occorre curare la simultanietà dell'attacco e
della chiusa,la precisione ritmica,il bilanciamento etc. Inoltre il brano di repertorio può essere
perfezionato “costruendolo “ con gli allievicome se fosse un brano di ensemble e affidando a più
allievi l 'esecuzione di più parti e frammenti.
Solfeggio
Nel metodo Yamaha, l'insegnamento di tutti i brani va affrontato mediante il canto, in modo che gli
allievi vengano guidati naturalmente all'apprendimento e alla comprensione della musica sviluppando
la loro capacità di orecchio e la loro capacità espressiva.
Fondamentale : mai insegnare il brano mediante la lettura.
La lettura verrà in un secondo momento.
La materia creata appositamente per il solfeggio è : Solfeggio appreso a memoria, dove l'alunno
svilupperà l'orecchio e svilupperà la capacità di memorizzare e di intonare. Inizialmente quando si
insegna questa materia, si invita i ragazzi ad imitare l'insegnante nel modo più curato possibile.
Occorre focalizzare la loro attenzione più sui sensi che su di una spiegazione di tipo teorico. Pian
piano il docente farà in modo di affrontare la lettura e la scrittura in modo più naturale.
IL METODO BASTIEN
Gli autori del Metodo Bastien per lo studio del pianoforte sono James
Bastien e la moglie Jane Smisor Bastien, Il metodo è stato pubblicato
intorno al 1960 ed è diviso in diversi fascicoli di teoria e pianoforte. Una
prima caratteristica è l’approccio grafico molto accattivante, con disegni e
titoli degli esercizi rivolti evidentemente ai bambini. E’ infatti dedicato
soprattutto ai bambini dai sette agli undici anni, ma può essere adatto
anche per ragazzi e dispone di volumi specifici per adulti.
Il metodo è preceduto da due livelli preparatori, A e B . specifici per
bambini piccoli. Costituiti da libretti di teoria e di pratica. Dopodiche vi è
un livello cosiddetto preparatorio o intermedio , suddiviso in 4 volumi:il
metodo dipiano. La teoria la tecnica e il repertorio. Dopo la serie
preparatoria inizia la vera e propria collana didattica costituita da 4 livveli
suddivisi in teoria, pratica, piano e repertorio.
Il livello preparatorio è dedicato ai bambini piccoli, anche non scolarizzati,
inizia con l’individuazione dei tasti neri e con dei piccoli motivi su di essi.
Usando le dita piu luinghe della mano. Dopo questa prima parte l’autore
insegna a visualizzare le note sulla tastiera.
Nel volume uno l’allievo inizia con entrambe le mani in posizione Do-Sol,
esattamente come in Beyer op.101, ma una prima importante differenza è
che il metodo Bastien introduce immediatamente anche la chiave di basso.
Per un bambino che inizia a suonare, quasi certamente questo porta a
concentrarsi unicamente sulle distanze tra le note e tra le dita, sviluppando
il meccanismo senza iniziare a leggere davvero lo spartito. In questo
modo, volendo utilizzare fin dal principio entrambe le chiavi si ottiene
l’effetto opposto: l’allievo non impara affatto a leggere, ma si basa
unicamente sulle diteggiature e le distanze tra i suoni.
Fin dai primi esercizi, Bastien introduce anche i diesis e bemolli. E’ questo
un punto a favore del Metodo Bastien per lo studio del pianoforte, in
quanto l’allievo impara a tenere la mano dentro la tastiera fin dal principio.
Suonare per molto tempo solo sui tasti bianchi porta infatti ad una
posizione della mano lontana dai tasti neri, e questo è un problema quando
si comincia a suonare su tutta la scala cromatica.
Dopo pochi esercizi, Bastien introduce anche accordi a tre note. E’ questo
un grave errore, in quanto difficilmente la mano di un bambino (ma anche
di un principiante adulto) è già pronta a suonare gli accordi, dopo poche
settimane di esercizi. Anche nel caso di una mano già sviluppata, suonare
l’accordo porterà inevitabilmente alla tensione del polso e della mano,
favorendo una tecnica sbagliata e dannosa.
Pur introducendo in modo frettoloso gli accordi, fin quasi dal principio,
Bastien è assai meno impegnativo dal punto di vista dell’indipendenza
delle mani. Le parti della destra e della sinistra sono spesso alternate,
oppure omoritmiche. L’allievo non impara a coordinare frasi ritmicamente
diverse, almeno fino al terzo fascicolo del Metodo Bastien per lo studio del
pianoforte.
Posizionare bene la mano, le dita, il polso, il braccio e tutto il resto del corpo quando si suona
il pianoforte è molto importante.
Una corretta impostazione permette di suonare meglio, con più facilità e naturalezza. Inoltre
mantenendo la mano ed il braccio rilassati si può suonare il piano di seguito per ore.
Articolare le dita in modo corretto e posizionare la mano ed il polso nel modo migliore
garantisce al pianista la possibilità di suonare passaggi tecnicamente molto difficili, di sbagliare
molto di meno e di stancarsi al minimo. Molti brani pianistici sono impossibili da suonare se
non si imposta nel modo corretto la mano e le dita.
Quindi il pollice deve appoggiarsi lateralmente sul tasto e creare l’esatta posizione d ella mano.
Inoltre l’ultima falange del pollice deve essere leggermente piegata verso l’interno.
Articolazione delle dita
Per articolazione delle dita si intende il movimento che le dita compiono per abbassare i tasti
dello strumento. Le dita devono essere curve, piegate e nel momento precedente
all’abbassamento del tasto devono alzarsi. L’articolazione delle dita può essere paragonata al
movimento di un martello nella sua azione. Molto importante è l’esatta posizione dell’ultima
falange delle dita. Le dita devono colpire il tasto con la punta e non con la parte interna del
polpastrello.
Le dita non devono trovarsi in
posizione rettilinea, dritta; in questo
modo non è possibile l’articolazione
corretta. Il dito indice non deve
piegarsi sull’ultima falange con
quest’ultima che va quindi verso
l’esterno, causando un innaturale e
scorretto movimento del dito
stesso. Infine il dito non deve
colpire il tasto con la parte interna
del polpastrello causando una
scarsa articolazione del dito.
La meccanica pianistica è un
sistema di leve complesso. È quindi
utile osservare come le leggi della
fisica determinino il funzionamento
della meccanica e, di conseguenza,
la nostra interazione con essa.
Il punto di arrivo del nostro gesto, tuttavia, non è il fondo corsa del tasto, ma la corda.
Idealmente, quindi, il nostro dito sta imprimendo il “nostro” suono non al tasto, ma alla corda
stessa, per il tramite del sistema di leve che ad esse trasmette il movimento tramite il tasto e
il martello. Ecco, perché, diventando il nostro dito parte di quel sistema, è utile che esso sia il
più possibile solidale con le altre leve, e, quindi senza alcuna dispersione di energia. Per
questo motivo, in generale, ritengo utile mantenere una buona aderenza tra il dito ed il tasto,
lavorando con estrema cura al raggiungimento di una ottimale economia dei movimenti. Del
resto, osservando i grandi pianisti, salta all’occhio come quasi tutti tendano ad essere con le
dita già sul tasto prima di premere il tasto.
Andiamo ora ad osservare nello specifico come è costituito questo sistema di leve e snodi:
o Il dito non agisce per sé, ma sempre come ultimo anello di una catena di leve e di
movimenti che partono dal busto del pianista, passando per tutti gli snodi che possiamo
utilizzare e cioè: spalla, gomito, polso, e le tre falangi di ogni dito.
o Tutte le leve coinvolte (braccio, avambraccio, mano, e le tre falangi) sono attive e
solidali, nel senso che partecipano al movimento con i rispettivi muscoli, i quali sono in
lieve tensione per non lasciare che alcuna leva sia cedevole.
La caratteristica della tecnica, generalmente diffusa in Italia, si basa sopra il principio di rendere
o Le dita assolutamente indipendenti dalla mano e dal braccio, per mezzo d’una continua
ed ampia articolazione;
o Nell’escludere l’azione del braccio da ogni specie di tecnica, col tenerlo immobile per
quanto è possibile, in un meccanismo per l’esecuzione degli staccati, delle note doppie
staccate, e delle ottave così detto di polso;
o Nella immobilità più grande del palmo della mano.
Da Clementi venendo quasi sino ai nostri giorni, il principio tecnico era rimasto immutato,
modificandosi soltanto lievissimamente qua e là, ma fermo nella rinuncia ad ogni forza c he non
fosse quella delle dita indipendenti per la esecuzione dei passi legati. […] Il “guida -mani” fu
applicato come mezzo meccanico per impedire al braccio di partecipare in alcuna guisa al
movimento articolato delle dita negli esercizi così detti sulle cinque note; e l’esercizio delle
cinque note è quello che meglio ci dimostra le mire della scuola, tendente non solo a rifiutare
ogni aiuto proveniente dal braccio e dalla spalla, ma anche dalla mano stessa. […] ne venne
la necessità […] di sottoporre l’allievo ad una moltitudine di esercizi inutile nella illusione di:
“ottenere l’uguaglianza perfetta in quanto a forza e tatto delle dita” come si legge nell’esercizio
n.3 del 1°libro del Cesi.
Tutti i metodi e sistemi d’insegnamento basati sul criterio delle dita sempre indipendenti dal
braccio (Cesi, Lebert-Stark, Kœler, Riemann, Leschetitzky) sono obbligati a cercare d’ottenere
questa uguaglianza di forza nelle dita; una, questa, fra le molte ipocrisie dell’insegnamento,
perché nessun maestro è convinto per davvero che possa ottenersi una perfetta uguaglianza
di forza fra il pollice ed il quarto o quinto dito, senza l’aiuto della mano o del braccio. […]
Ho già detto come la tecnica pianistica, basata tutta sull’articolazione delle dita, porti ad
una uniformità di tocco veramente povera, impedisca un legato assoluto (specie nel forte), non
dia il mezzo per raggiungere potenti sonorità. Vorrei che i maestri rivolgessero a loro stessi la
seguente domanda: tengo io in gran cura che l’allievo, specie in principio, apprenda le molte
varietà del tocco e le distribuisca a seconda dei casi che gli si presentano? Ebbene, molti,
molti maestri risponderanno a loro stessi negativamente […]
Nessuno dei Metodi che vanno per la maggiore, fa una analisi del tocco, e col sistema della
continua articolazione delle dita le varietà possibili del tocco sono poche e racchiuse entro un
limite angusto. […]
Da poco più di un ventennio si è andata sviluppando in Europa una scuola nuova: maestri
d’ingegno hanno cercato nuove sorgenti di progressi alla tecnica pianistica. Servendosi delle
cognizioni anatomiche e fisiologiche, essi hanno ragionato acutamente sulle varie
manifestazioni che all’una e all’altra cosa si connettevano. […]
Per ottenere il legato, tutto il peso del braccio deve sempre gravitare (non per forza) sulle dita.
In tal modo noi possiamo produrre il suono con tutte le dita, l’una dopo l’altra , tenendole già
a contatto col tasto, senza articolarle minimamente o scaricando su ognuna di esse il peso del
braccio, che essendo sempre uguale produrrà così identico suono, qualunque sia il dito del
quale ci serviamo; e le differenze fra mano grassa e mano scarna saranno minime.
Questo è quello che alcuni autori tedeschi chiamano “frei fall” libera caduta. Il suono
risulta pieno e nell’istesso tempo dolce: il braccio deve rimanere molle, il polso deve portarsi
dall’alto al basso ad ogni percussione facendo l’ufficio d’una molla, per attutire il passag gio
della forza di gravità dal braccio al dito […].
Questo il principio fondamentale della produzione del suono basato sulla inazione assoluta
delle dita, e sul continuo e costante intervento del braccio: precisamente il rovescio di quanto
ci venne insegnato.
MOVIMENTO DI FLESSIONE: Azione che permette di avvicinare due parti del corpo.
MOVIMENTO DI ABDUZIONE:
Movimento laterale verso l'esterno. Questo tipo di movimento non
riguarda solo il polso ma anche le braccia che ruotano verso
l'esterno.
MOVIMENTO DI ADDUZIONE:
1. PRONAZIONE:
Movimento che porta il dorso della mano verso l'alto.
2. SUPINAZIONE:
Movimento che porta il dorso della mano verso il basso.
A questi due movimenti appartiene il "rollio", vale a dire la ripetizione dello stesso intervallo
(comunemente chiamato TREMOLO).
(Pollice 1 – Indice 2 – Medio 3 – Anulare 4 – Mignolo 5)
Attenzione!!! le dita assumono sempre la stessa numerazione, indipendentemente che si
parli di mano destra o mano sinistra (il primo dito è sempre il pollice, il secondo è sempre
l'indice...).
Ogni volta che ci si siede al pianoforte si abbia cura di correggere la postura. Ricordate:
1. Non sedetevi mai su tutta l'area della panchetta ma sul bordo anteriore, vi aiuterà
a gestire meglio il peso;
2. Controllate sempre l'altezza della panca e regolatela a piacere fino a quando non
siete comodi;
3. Posizionate le mani sulla tastiera e controllate la distanza in modo tale che siate
disinvolti nei movimenti;
4. Senza suonare, fate scivolare le mani sulla tastiera, da destra a sinistra ( e viceversa).
Il busto deve essere rilassato e deve seguire le braccia e le mani. Il busto si muove
lateralmente, attenzione a non ruotarlo: il movimento dev'essere quello di un pendolo.
5. Posizionate le mani al centro della tastiera e fate scorrere le mani verso l'esterno (il
busto va in avanti); arrivati all'estremità ritornate indietro (il busto ritorna nella posizione
iniziale). I movimenti del busto devono essere contemporanei a quelli delle mani.
Suonare non è difficile, suonare BENE è difficile, perché ci vuole precisione e coscienza di
quello che si sta facendo. All'inizio dello studio è utile riportare l'esempio del camminare,
perché il funzionamento degli arti inferiori è analogo a quello degli arti superiori (e delle
dita delle mani che si muovono sulla tastiera).
Il rilassamento (o meglio decontrazione dei muscoli) della spalla e del braccio è risultato
della dissociazione muscolare che si acquisisce con gli anni e l'esercizio tecnico corretto.
Bisogna capire come sfruttare correttamente il "peso".
Per spiegare questo concetto, uso questo esempio: prendo una penna, la lascio cadere
per terra. La caduta dell'oggetto avviene con rapidità e quando la penna tocca il
pavimento si avverte un rumore, dovuto all'impatto con il terreno. E' quel rumore che ci fa
capire che la penna è dotata di peso, che in termini fisici è una forza definita come: P=m*g,
dove m è la massa dell'oggetto (cioè proprietà dell'oggetto che indica che occupa un
volume) e g è la forza di gravità.
Il peso che porteremo sulle mani è il prodotto della massa corporea e della forza di gravità
esercitata dalla terra. Affinché ciò avvenga le spalle e le braccia sono rilassate, le dita
(rafforzate con l'esercizio) sostengono il tutto. Affinché ci sia equilibrio le dita si ancorano
alla tastiera (fanno pressione) e suonando, producono lo stesso movimento delle gambe
e dei piedi quando camminiamo o corriamo.
Il suono che le dita producono, quando c'è il peso, è morbido e caldo; il suono che le dita
producono, quando c'è spinta, è aspro e freddo.
La spinta si ha quando il braccio non si lascia cadere naturalmente (rilassato) ma è rigido,
pertanto alla forza di gravità si somma la spinta del braccio, producendo il suono brutto e
antimusicale.
Respirare durante le esecuzioni è importante: la respirazione è quella diaframmatica, cioè
quella naturale. Respirando profondamente, i muscoli si ossigenano, si distendono e il
cervello è più attivo.
A tal proposito tengo a precisare che tutte le azioni partono dal cervello e pertanto le dita
non suonano da sole: impariamo a suonare in modo intelligente.
Durante le esecuzioni è doveroso respirare, chi suona in apnea (e ci sono tanti allievi che
lo fanno) non riesce ad avere un'esecuzione tranquilla e pulita, in compenso trasmette
agitazione e fastidio.
Sin dall'inizio non si deve trascurare la respirazione: ogni brano è un discorso e come tale
merita dei respiri.
Come respira la mano? con il polso... alzando il polso e sincronizzando il movimento con la
respirazione naturale, si otterrano esecuzioni più musicali ed espressive.
Propongo alcuni esercizi preliminari di "rilassamento" del braccio e della spalla.
Chopin ci insegna di posizionare le dita in questo modo: Mi, Fa#, Sol#, La#, Do (mano
destra) e Do, La#, Sol#, Fa#, Mi (mano sinistra). Questa è una posizione comoda per la
mano perché vi è la suddivisione in toni e quindi la stessa distanza tra un dito e l'altro, inoltre
abitua la mano a stare in una posizione naturale che consente ai polpastrelli (la parte più
sensibile della mano) di aderire bene ai tasti. Poi... come afferma sempre lo stesso Chopin
nelle poche pagine del "metodo dei metodi": la mano va impostata perché di naturale c'è
ben poco.
Il Prof. Fink dice: immaginiamo una zona grigia al centro della tastiera, parte in cui si
posizionano le dita. Seguire questo consiglio è importante, perché: l'esecuzione delle scale
e degli arpeggi è più fluida, la mano è in una posizione sicura e tutti i tasti sono "sotto" le
dita.
Per posizionarla correttamente si pensi di tenere nella mano una pallina da tennis.
Attenzione alla posizione del pollice e del mignolo, sono i pilastri della mano e suonano con
l’estremità. Inoltre, pollice e indice si avvicinano, quasi a formare una "O". La mano
dev'essere raccolta e le dita allineate. Se ciò non avviene si otterrà sempre un suono
disomogeneo e scomposto.
Un errore comune è di abbassare e ruotare la mano quando suona il mignolo e di usare
tutta la prima falange del pollice. Assolutamente, no!!! Si devono evitare questi errori che
vanno a discapito dell'agilità della mano.
Il mignolo deve usare l'articolazione (movimenti dal basso verso l'alto), si deve allungare,
senza abbassare la mano; il pollice deve suonare "con la punta", estremità esterna. Capite
queste semplici regole la mano si imposta automaticamente e le esecuzioni saranno più
fluide.
Affinché le nostre dita imparino a suonare correttamente, dobbiamo imparare a
decontrarre i muscoli subito dopo aver suonato (scatto e rilassamento).
Iniziamo a studiare a mani separate.
ARTICOLAZIONE DELLE DITA E DEL POLSO
IL LEGATO
Il suono legato presuppone un giusto movimento delle dita e la capacità di decontrazione
dopo una contrazione: ogni volta che da una nota passiamo ad un'altra, non facciamo
altro che contrarre (premere il tasto) e decontrarre (tenere giù il tasto rimanendo
"attaccati" allo stesso, decontraendo i muscoli del braccio).
Il movimento delle dita deve essere rapido e deciso: mentre un dito suona, l'altro è pronto
per suonare. La forza viene dalla falange, non dalla spinta del braccio: non si deve forzare
il suono. Se al legato si aggiunge anche "espressivo", al movimento delle dita aggiungiamo
la rotazione del braccio, per rendere il suono più intenso e bello.
GLI STACCATI
Il suono staccato si può produrre in vari modi, ottenendo un suono diverso a seconda del
tocco che si decide di adottare.
Quelli più comuni sono: staccato di polso, staccato di braccio e staccato di dito.
Staccato di polso:
Le dita cadono perpendicolari alla tastiera grazie all'articolazione del polso.
La leggerezza che richiede questo staccato è una prova di forza e controllo muscolare
perché il risultato deve essere "leggero".
Staccato di dito:
Il braccio, il polso e la mano non concorrono al movimento: sono le dita, arrotondate,
devono dirigersi verso il palmo della mano con agilità. Le dita scorrono sui tasti quasi per
"strappare".
Per ottenere un movimento fluido e preciso, il polso deve stare leggermente più alto, in
modo da permettere alle dita di muoversi. Tale tecnica è usata nei pezzi molto veloci.
Staccato di braccio:
"Solitamente" usato per suonare le ottave. Si ottiene un suono più pesante grazie alla forza
del braccio. Senza spingere...
Quale staccato usare? Dipende dal brano e dal carattere/impronta che vogliamo
trasferire all’esecuzione. Sicuramente possiamo ottenere infiniti staccati ascoltando e
capendo cosa dobbiamo suonare.
MOVIMENTI ROTATORI
Questi movimenti sono indispensabili per eseguire gli arpeggi e legare note lontane
applicando la "tecnica a ruota" di Chopin.
In questo tipo di movimento si usa la rotazione del polso e quella del braccio; le dita sono
distese, proprio come i "raggi" di una ruota.
La rotazione del polso è importantissima anche per l'esecuzione delle scale e dei piccoli
arpeggi. Quando eseguiamo una scala, non è il pollice che va sotto alla mano ma è il
polso che ruota la mano per farla proseguire e così per gli arpeggi.
La tecnica si deve studiare con i brani. Non esagerate con l'Hanon in quanto se seguite
quello che vi dice l'autore, correrete il rischio di suonare tutto piatto e "pestato".
Naturalmente nessun suono è uguale ad un altro. Anche l'Hanon può essere studiato in
modo musicale, seguendo la scrittura delle note.
Ricordo molto bene quando suonavo gli esercizi di questo famigerato libro. Dopo 5 minuti
arrivava mio padre o una delle mie sorelle e mi diceva: "Hai finito? è insopportabile".
Effettivamente, pur riconoscendone il valore educativo, consiglio di non considerarlo "la
Bibbia" della tecnica e di non superare i 10 minuti al giorno.
4 e 6 Mani / 2 Pianoforti
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
Drey Sonaten füre Clavier als Doppelstücke fur zwey Personen mit vier Handen
Duo C.H. Müller 4 mani
Duo J. Haydn 2 sonate non autentiche 4 mani
Duo L.van Beethoven Sonata op. 6/ 3 marce op.45 e due serie di variazioni 4 mani
Duo W.A. Mozart Pezzi vari 4 mani
J. Brahms Variazioni su un tema di Schumann op. 23
Duo J. Brahms Dieci Danze Ungheresi 4 mani
Duo J. Brahms Liebesliederwalzer op.52 4 mani
Duo Fauré Dolly, op. 65 4 mani
Duo F. Poulenc Sonata 4 mani
Duo S. Rachmaninov 6 pezzi op.11 4 mani
Duo M. Ravel Rhapsodie espagnole / Ma mère l’Oye 4 mani
Duo F. Schubert Pezzi vari 4 mani
Duo R. Schumann Bilder aus Olsten op. 66 4 mani
Duo C. Debussy Petite suite/ 6 4 mani
Duo G. Bizet Jeux d'enfants, op.22 4 mani
Duo F. Mendelssohn Sogno di una notte di mezza estate 4 mani
Duo I. Stravinsky 3 Easy Pieces / 5 Easy Pieces 4 mani
Duo D. Milhaud Le Bœuf sur le Toit , or The Nothing Doing Bar 4 mani
Duo J. FRANÇAIX 15 Portraits d’enfants d’Auguste Renoir 4 mani
Duo Barber Souvenirs 4 mani
Duo A. Dvorak Danze slave op.46 e 72 4 mani
Duo E. Satie 3 pezzi in forma di pera 4 mani
Duo E. Grieg Danze norvegesi op.35 4 mani
Duo C. Norton Microjazz per 4 mani
Duo W.A. Mozart Sonata in re maggiore K 448 2 PF
Duo W.A. Mozart Adagio e fuga K426 2 PF
Duo J. Brahms Sonata in fa minore op. 34 b 2 PF
Duo J. Brahms Variazioni su un tema di Haydn op. 56 b 2 PF
Duo C. Debussy Prélude à l’apres‐midi d’un faune 2 PF
Duo E.Chabrier España, trascrizione per due pf dell’autore 2 PF
Duo J.s.Bach Concerto in do maggiore per 2 tastiere 2 PF
Duo C. Guastavino 3 Romance for two pianos 2 PF
Duo C. SAINT‐SAËNS Variazioni su tema di Beethoven op.35 2 PF
Duo C. SAINT‐SAËNS Les Carnaval des Animaux 2 PF
Duo P. Hindemith Sonata for Two Pianos 2 PF
Duo SHOSTAKOVICH Concertino op.94 2 PF
Trio S. Rachmaninov 2 pezzi a sei mani 6 mani
Trio A. Schnittke Dedication to Stravinsky, Prokofiev and Shostakovich, for piano six hands 1979 6 mani
Trio Wollenhaupt Grand Galop Brillant, Op. 71 6 mani
Trio Gillock Oriental bazaar 6 mani
Trio C. Norton Microjazz per 6 mani 6 mani
Trio A.Timofeev Ad Caelum / To The Sky, for Piano Six Hands 2020 6 mani
Trio J. Cras Ames d'Enfants for piano (six hands) 1918 6 mani
Trio C. Czerny op,295 / Divertissement militaire for piano six hands, Op. 229 6 mani
Trio C. Gurlit Three pieces for piano six hands op. 192 6 mani
Trio J. Pitts Are you going? 6 mani
Violino e Pianoforte
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
Duo
Duo Beethoven, Ludwing van 10 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Beethoven, Ludwing van 12 Variations on 'Se vuol ballare', WoO 40 Vl+Pf
Duo Béla Bartók Sonata in anticipo per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Béla Bartók Sonata n ° 1 per violino e pianoforte, 1921 Vl+Pf
Duo Béla Bartók Sonata n ° 2 per violino e pianoforte, 1922 Vl+Pf
Duo Carl Philipp Emanuel Bach 12 per violino con basso continuo e violoncello Vl+Pf
Duo Carl Philipp Emanuel Bach 5 per violino e cembalo conc Vl+Pf
Duo Grażyna Bacewicz 5 sonate per violino con pianoforte Vl+Pf
Duo Johann Sebastian Bach Sei Sonate per violino e clavicembalo BWV 1014‐1019 Vl+Pf
Duo Johann Sebastian Bach Sonate per violino e basso continuo: BWV 1021, 1023 Vl+Pf
Duo Johannes Brahms 3 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Arcangelo Corelli sonate per violino con basso continuo (Op. 5, nn. 1‐12) Vl+Pf
Duo Claude Debussy Sonata per violino in sol minore, 1917 Vl+Pf
Duo Claude Debussy Sonata per violoncello e pianoforte, 1915 Vl+Pf
Duo Antonín Dvořák Sonata per violino in fa maggiore op. 57, 1880 Vl+Pf
Duo Antonín Dvořák Violino Sonatina in sol maggiore op. 100 del 1893 Vl+Pf
Duo Edward Elgar Sonata per violino in mi minore, op. 82 Vl+Pf
Duo George Enescu Sonata per violino n ° 1 in Re maggiore op. 2 Vl+Pf
Duo George Enescu Violin Sonata No. 2 in fa minore op. 6 Vl+Pf
Violin Sonata No. 3 dans le caractère populaire roumain (in rumeno Folk Style)
Duo George Enescu nella minore, op. 25 Vl+Pf
Duo Gabriel Fauré Sonata per violino n ° 1 in La maggiore op. 13 Vl+Pf
Duo Gabriel Fauré Violin Sonata No. 2 in mi minore, op. 108 Vl+Pf
Duo César Franck Sonata per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Philip Glass Sonata per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Edvard Grieg 3 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo George Frideric Handel diverse sonate per violino e basso continuo Vl+Pf
Duo Paul Hindemith 4 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Aram Khachaturian Sonata per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Heitor Villa‐Lobos 4 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Pietro Antonio Locatelli diverse sonate per violino e basso continuo Vl+Pf
Duo Bohuslav Martinů 3 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Giuseppe Martucci Sonata per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Felix Mendelssohn 3 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Darius Milhaud almeno due sonate per violino con pianoforte, e una con clavicembalo Vl+Pf
Duo Wolfgang Amadeus Mozart 36 Sonate per violino e pianoforte (alcune di esse completate da Stadler) Vl+Pf
Duo Niccolò Paganini diverse sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Sergei Prokofiev 2 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Maurice Ravel 2 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Ottorino Respighi Sei pezzi per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Ottorino Respighi 2 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Anton Rubinstein 3 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Camille Saint‐Saëns 2 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Franz Schubert 3 Sonatine per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Franz Schubert Sonata per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Robert Schumann 2 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Robert Schumann 3e4 tempo della sonata FAE Vl+Pf
Duo Dmitri Shostakovich Sonata per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Richard Strauss Sonata per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo Giuseppe Tartini diverse sonate per violino e basso continuo Vl+Pf
Duo Georg Philipp Telemann diverse sonate per violino e basso continuo Vl+Pf
Duo Antonio Vivaldi diverse sonate per violino e basso continuo Vl+Pf
Duo Carl Maria von Weber 6 Sonate per violino e pianoforte Vl+Pf
Duo J.N.Hummel Sonata op. 5 n. 3 Vl+Pf
Viola e pianoforte
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
Duo A.Glazunov Elegia op. 44 Vla+Pf
Duo A.Honegger Sonata Vla+Pf
Duo A.Rolla Sonata in do maggiore Vla+Pf
Duo A.Vivaldi Sei sonate (dall'originale per violoncello e basso continuo) Vla+cemb
Duo Anton Rubinstein Sonata in fa minore op. 49 Vla+Pf
Duo B.Britten Lachrymae op. 48 Vla+Pf
Duo B.Martinu Sonata n.1 Vla+Pf
Duo C.Marino Sonata in re maggiore Vla+cemb
Duo C.P.E.Bach Sonata in sol minore Vla+cemb
Duo C.Reinecke Pezzi fantastici op. 43 Vla+Pf
Duo D.Milhaud Sonata n. 1 -Sonata n.2- Quettro visages Vla+Pf
Duo D.Schostakovich Sonata op. 147 Vla+Pf
Duo E.Bloch Suite Vla+Pf
Duo F.Bridge Quattro pezzi Vla+Pf
Duo F.Liszt Romance oublieé Vla+Pf
Duo F.Mendelssohn Bartoldy Sonata in do minore Vla+Pf
Duo F.Schubert Sonata in la minore D 821 "arpeggione" Vla+Pf
Duo F.Trevani Tre sonate Vla+Pf
Duo G.Brunetti Sonata in re maggiore Vla+cemb
Duo G.Enescu Concertpiece Vla+Pf
Duo G.P.Haendel Sonata in do magg./ Sonata in sol minore Vla+cemb
Duo G.P.Telemann Sonata in re magg. / Sonata in si bemolle magg. Vla+cemb
Duo H.Vieuxtemps Sonata op. 36 ‐Elegia op. 30 Vla+Pf
Duo H.von Herzogenberg Legenden op. 62 Vla+Pf
Duo H.Wieniawsky Reverie Vla+Pf
Duo J.B.Wanhal Sonata in mi bemolle Vla+Pf
Duo J.Brahms Sonata op. 120 n.1 in mi bemolle maggiore Vla+Pf
Duo J.G.Graun Sonata in do minore Vla+cemb
Duo J.Kalliwoda 6 notturni op. 86 Vla+Pf
Duo J.N.Hummel Sonata op. 5 n. 3 Vla+Pf
Duo J.S.Bach Tre sonate BWV 1027‐1029 (dall'originale per v.la da gamba e clav.) Vla+cemb
Duo K.Hoeller Sonata in mi op.62 Vla+Pf
Duo L.van Beethoven Notturno op. 42 Vla+Pf
Duo M.Glinka Sonata in re minore Vla+Pf
Duo M.Marais Cinque antiche danze francesi Vla+cemb
Duo M.Reger Sonata op. 107 Vla+Pf
Duo N.Rota Sonata- Intermezzo Vla+Pf
Duo N.W.Gade Sonata op. 22 Vla+Pf
Duo P.Hindemith Meditation aus "Nobilissima visione"‐ Sonata op. 11n.4‐ Sonata op. 25 n.4 Vla+Pf
Duo R.Casadesus Sonata Vla+Pf
Duo R.Clarke Sonata Vla+Pf
Duo R.Moser Suite op. 81 Vla+cemb
Duo R.Schumann Maerchenbilder op. 113 Vla+Pf
Duo S.Prokofieff /W.Borissovsky Selezione pezzi dal balletto "Romeo e Giulietta" Vla+Pf
Duo T.Giordani Sonata in si bemolle Vla+cemb
Duo W.Flackton Sonata op. 2 n.4 in do maggiore Vla+cemb
Duo J. Brahms 2 Sonate op. 120 n Vla+Pf
Duo J. Brahms Scherzo in do minore dalla sonata "F.A.E." Vla+Pf
Violoncello e Pianoforte
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
Duo L. van Beethoven 2 Sonate per vcl e pf op. 5 1796 Vcl+PF
Duo L. van Beethoven Sonata per violoncello, op. 69 in A (1808) 1808 Vcl+PF
Duo L. van Beethoven Sonata per violoncello, op. 102, No. 1 in C 1815 Vcl+PF
Duo L. van Beethoven Sonata per violoncello, op. 102, No. 2 in D 1815 Vcl+PF
Dodici Variazioni per violoncello e pianoforte in Fa maggiore di Mozart su
Duo L. van Beethoven "Ein Mädchen oder Weibchen", op. 66 Vcl+PF
Dodici Variazioni per violoncello e pianoforte in sol maggiore sul Handel di
Duo L. van Beethoven "Vedere, il Conqu'ring eroe arriva," WoO 45 Vcl+PF
Sette Variazioni per violoncello e pianoforte in mi bemolle maggiore di
Duo L. van Beethoven Mozart su "Bei Männern," WoO 46 Vcl+PF
Duo A. Dvorak Polonaise in La maggiore, B.94 (1879)
Duo A. Dvorak Rondo in sol minore op. 94, B.171 (1891)
Duo A. Dvorak Danze slave op. 46, B.172 (1891)
Duo A. Dvorak N.3 in La maggiore, Polka: Allegretto
Duo A. Dvorak No.8 in G minor, Furiant: Vivace
Duo A. Dvorak Silenzioso Woods , op. 68,5, B.173 (1891)
Duo C. Debussy Nocturne et Scherzo
Duo C. Debussy Sonata per violoncello in re minore (1915)
Duo F. Chopin Sonata per violoncello, op. 65 in sol minore (1845)
Duo F. Chopin Introduction et Polonaise brillante, Op.3
Duo M. Castelnuovo‐Tedesco Sonata per violoncello, op. 50 (1928)
Duo M. Castelnuovo‐Tedesco Op Toccata. 83, per violoncello e pianoforte (1935)
Duo A. Casella Violoncello Sonata No. 1 (Casella) (1906)
Duo A. Casella Sonata per violoncello No. 2 (Casella) (1926)
Duo A. Casella Notturno voor cello en pianoforte (1934)
Duo A. Casella Tarantella voor cello en pianoforte (1934)
Duo F. Busoni Kleine Suite op. 23, per violoncello e pianoforte, BV 215 (1886)
Duo F. Busoni Serenata op. 34 BV196
Duo F. Busoni Kultaselle, dieci variazioni per violoncello e pianoforte (1889)
Duo J. Brahms Sonata per violoncello, op. 38 in mi minore (1862‐1865)
Duo J. Brahms Sonata per violoncello, op. 99 in F (1886)
Duo A. Borodin Sonata per violoncello in si minore
Duo G. Enescu Sonata per violoncello, op. 26, No. 1 in Fa minore (1898)
Duo G. Enescu Sonata per violoncello, op. 26, No. 2 in do maggiore (1935)
Duo G. Fauré Petite Pièce in sol maggiore op. 49 (PERDITA) (1888)
Duo G. Fauré Elegie, op. 24 (1883)
Duo G. Fauré Romanticismo nella maggiore op. 69 (1894)
Duo G. Fauré Papillon, op. 77 (1894)
Duo G. Fauré Sicilienne, Op.78 (1898)
Duo G. Fauré Sérénade op. 98 (1908)
Duo G. Fauré Violoncello Sonata No. 1 op. 109 in re minore (1917)
Duo G. Fauré Cello Sonata No. 2 Op. 117 in sol minore (1921)
Duo E. Grieg Sonata per violoncello op. 36
Duo P. Hindemith sonate per violoncello (ex 1919, sonatina 1942, Sonata 1948)
Duo B. Martinu Sonata violoncello, No. 1 (1939)
Duo B. Martinu Sonata per violoncello, No. 2 (1941)
Duo B. Martinu Sonata violoncello, No. 3 (1952)
Duo G. Martucci Sonata per violoncello op. 52 in fa diesis minore (1880)
Duo G. Martucci 3 Pezzi per violoncello e pianoforte, op. 69 (1888)
Duo G. Martucci 2 Romanze per violoncello e pianoforte, op. 72 (1890)
Duo C. M. Piatti Pezzi vari
Duo F. Mendelssohn Cello sonata No. 1, Op. 45 in B magg (1838)
Duo F. Mendelssohn Cello sonata No. 2, Op. 58 in Re maggiore (1842-1843) ( [16] )
Duo F. Mendelssohn Variazioni Concertantes, op. 17
Duo F. Mendelssohn Canzone senza parole in Re maggiore op. 109
Duo F. Mendelssohn Andante Cantabile da "Sonata No. 3" per Organo (Calamosca)
Duo A. Piazzolla Le Grand Tango per violoncello e pianoforte
Duo W. Piston Duo per violoncello e pianoforte 1972
Duo D. Popper Elfentanz, Op.39
Duo D. Popper Hungarian Rhapsody, Op.68
Duo F. Poulenc Sonata per violoncello 1948
Duo S. Prokofiev Ballade per violoncello e pianoforte op 15 (1912)
Duo S. Prokofiev Sonata per violoncello, op. 119 (1949)
Duo S. Prokofiev Sonate in C diesis minore, Op. 134
Duo S. Rachmaninov Violoncello Sonata in sol minore op. 19
Duo M. Reger Sonata per violoncello, op. 5 in Fa minore (1892)
Duo M. Reger Sonata per violoncello, op. 28 in sol minore (1898?)
Duo M. Reger Sonata per violoncello, op. 78 in F (1904)
Duo M. Reger Sonata per violoncello, op. 116 nella minore (1910?)
Duo C. Reinecke Sonata per violoncello, op. 42 nella minore (1847/8)
Duo C. Reinecke Sonata per violoncello, op. 89 in re (1866)
Duo C. Reinecke Drei Stücke op. 146 (1878)
Duo C. Reinecke Sonata per violoncello, op. 238 in sol
Duo A. Schnittke Sonata per violoncello, No. 1 (1978)
Duo A. Schnittke Sonata violoncello, No. 2 (1993‐94)
Duo D. Shostakovich Sonata per violoncello, op. 40 in re minore (1934)
Duo J. Sibelius Malinconia Op.20 (1900)
Duo J. Sibelius Cantique & Devotion op.77 (1915)
Duo R. Strauss Sonata per violoncello in fa maggiore , op. 6,
Contrabbasso e Pianoforte
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
Duo P.Hindemith Sonata per contr. E pf Contr+PF
Duo Isaia Billé 24 capricci per contrabbasso e pianoforte Contr+PF
Duo Giovanni Bottesini Pezzi vari per contr e pf Contr+PF
Duo A. Beach Romanza Contr+PF
Duo F. Proto Sonata "1963" per contr. E pf Contr+PF
Duo S. Koussevitzky Chanson Triste for Double Bass and Piano, Op. 2 Contr+PF
Duo A. Morricone Spazi Contr+PF
Duo A. Misek 2 Sonate per contr. E pf Contr+PF
Duo A. russell Chaconne Contr+PF
FLAUTO E PIANOFORTE
Beethoven Ludwig van Sonata in sib maggiore
Beethoven Ludwig van Temi variati op. 105 e 109
Bellini Vincenzo Fantasia brillante sulla “Norma” op.168 n.4, elab. di R.Galli (1824-
1889)
Bellini Vincenzo Fantasia brillante op. 167 n. 3 sull’opera “La Sonnambula”
(R.G.)
Bischof Rainer “Una voce molto fa” (2011)
Burian Erik Alfred Serenata perduta
Büsser Henri Petite suite
Casella Alfredo Barcarola e scherzo
Casella Alfredo Siciliana e Burlesca
Chaminade Cecile Concertino op. 107
Czerny Carl Duo Concertante op. 129
Chopin Fryderyk Variazioni su un tema di Rossini
Donizetti Gaetano Sonata in do maggiore
Faure Grabriel Fantasie op.79
Franck César Sonata in la maggiore
Hindemith Paul Sonata
Hummel Johann Nepomuk Sonata in la maggiore op. 62
Hummel Johann Nepomuk Sonata in re maggiore op. 50
Kalkbrenner Friedrich Gran Duo op. 63
Krenek Ernst Flötenstuck Neunphasig op. 171
Krenek Ernst Suite
Kropfitsch Johannes La canzone della Salina -Variazioni sopra un antico canti dei salinari
istriani
Jolivet André Chant de Linos
Liani Davide Ricuarz
Martinů Bohuslav First Sonata
Mozart Wolfang Amadeus Sonata K.V. 14 e 15
Mozart Wolfang Amadeus Sonata in fa maggiore K.V. 376
Mozart Wolfang Amadeus Sonata in do maggiore K.V. 296
Mozart Wolfang Amadeus Sonata in fa maggiore K.V. 377
Messiaen Olivier Le merle noir
Milhaud Darius Sonatine
Pennisi Francesco Preludietto e Coda sul nome Goffredo
Petrić Ivo Winter Games
Pezzè Piero Sonata
Pixis Johann Peter Pot Pourri
Ponchielli Amilcare Fantasia sulla “Gioconda”, elab. di L. Hugues (1836-1913)
Poulenc Francis Sonata
Prokofjew Sergej Sonata op. 94
Reinecke Carl Sonata “Undine” op. 167
Rossini Gioacchino Due Cavatine sul “Barbiere di Siviglia”, elaborate da J.L.Tulou
(1786-1865)
Schubert Franz Introduzione, tema e variazioni op. 160 “Trockne Blumen”
Schulhoff Erwin Sonata
Strauss Richard Introduction, Thema und Variationen op. 56
Tadini Michele Bulerias - II per flauto, pianoforte e nastro magnetico
Verdi Giuseppe Fantasia su “La Traviata”, elaborata da R. Galli (1824-1889)
Verdi Giuseppe Fantasia brillante op.166 n.2 sull’opera “I Lombardi” (R.G.)
Verdi Giuseppe Capriccio n. 15 sull’opera “Il Rigoletto” (R.G.)
Verdi Giuseppe Fantasia op. 40 sull’opera “Il Trovatore” (R.G.)
Verdi Giuseppe Fantasia op. 17 sull’opera “Un ballo in maschera” (R.G.)
Zanettovich Daniele Suite Miniature
Zanettovich Daniele Hommage a ... D. Šostakovič, G. C. Menotti, B. Martinů, E. Satie, C.
Orff, N. Rota
Zatti Cicuttini Renata Ars Amata Prima
Zatti Cicuttini Renata Tramonti
• Bach, Carl Philipp Emanuel -2 Pieces for Oboe and Piano, Op.35
-Bagatelle No.1 for Oboe and Piano, -1ème Solo de Concert, Op.73
Op.19 -2ème Solo de Concert, Op.74
-3ème Solo de Concert, Op.76
• Pierné, Paul -4ème Solo de Concert, Op.77
-5ème Solo de Concert, Op.78
-Fantaisie Pastorale -6ème Solo de Concert, Op.79
-Pièce for Oboe and Piano -7ème Solo de Concert, Op.81
-Sérénade -8ème Solo de Concert, Op.82
-9ème Solo de Concert, Op.83 Op.12
-10ème Solo de Concert, Op.84 -Grande Valse pour Hautbois et Piano,
-11ème Solo de Concert, Op.85 Op.66
-12ème Solo de Concert, Op.85 -Variations on a theme by Hummel,
-Aranjuez Op.34 Op.26
-Caprice pour Hautbois et Piano op.15
-Fantaisie et Variations sur 'Il Corsaro', • Widor, Charles-Marie
Op.54
-Fantaisie sur 'Le Planteur de Monpou', -3 pièces
CLARINETTO E PIANOFORTE
Albeniz tango
Arnold Sonatina
Baerman Adagio op 63
Bartok Sonatina
Berg 4 pezzi op 5
Bernestein Sonata
Bozza Aria
Claribel
Bucolique
Pulcinella
Suite
Dylle
Brahms Sonata n 1 e n 2 op 120
Castelnuovo sonata op 128
Cavallini adagio e tarantella
David introduzione e variazione n 8
Debussy Premièr Rhapsodie
Petite piece
Clair de Lune
Arabesque
Dubois rapsodie
Romanze
Sonatine
Piernè canzonetta
Poulenc sonata
Reger sonata n 1 e 2 op 49
Tarantella
Sonata op 107
Romanza
Rota sonata in re
Saint-Sains sonata op 167
Schubert Serenate / Improvviso
Schumann pezzi fantastici
FAGOTTO E PIANOFORTE
UMBERTOBERTONI
Capriccio
MARCO ENRICO BOSSI
Improvviso
ROBERTO CITTADINI
Suite di antiche danze veneziane
OLIVIO DI DOMENICO
Sonatina
ROBERTO DI GIROLAMO
Clown
EMILIO GHEZZI
Sonatina in forma di Tema e Variazioni su “Una furtiva lagrima” di G. Donizetti
RICCARDO GIAVINA
Ricercare - Elegia - Danza
RENATO GRISONI
Sonatina Concertante, op. 42
ALESSANDRO LONGO
Suite in sol minore, op. 69
NINO ROTA
Toccata
ROMUALDO LUCCHI
Tois Pètites Pièces
I - Omaggio a Johannes Brahms
II - Omaggio a Cesar Franck
III - Omaggio a Maurice Ravel - (2002)
SAVERIO MERCADANTE
Cinque studi da concerto
SAVERIO MERCADANTE
Cavatina
ALBERTO OREFICI
Elegia e Scherzo
LUIGI ORSELLI
Réminiscence de “La Traviata” de G. Verdi
TROMBA E PIANOFORTE
Iosif Andriasov Concertino per tromba e pianoforte, op. 14
CORNO E PIANOFORTE
L. van BEETHOVEN Sonata op. 17
P. DUKAS Villanelle
P. HINDEMITH Sonata
F. POULENC Elegia
J. M. DAMASE Sonata
Berceuse
J. M. DEFAYE Alpha
ROSSARI Fantasia
GLAZUNOV Reverie
Elegia
E. PELLEGRINI Mahleriana
F. SCHWEIZER Notturno
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
Duo J. Absil Sonata per sax alto e pf op.115 Sax+PF
Duo W. Albright Sonata per sax alto e pf Sax+PF
Duo P. Bacri Sonatina lapidaria op. 108 n.2 per sax contr e pf Sax+PF
Duo P. Bonneau Suite per sax contr e pf Sax+PF
Duo P. Bonneau Aria per sax contr e pf Sax+PF
Duo E. Bozza Diptyque per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo M. Carro Chugaeri per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo P. Creston Sonata op. 19 per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo A. Ciesla Ocre Rouge per sx contr e pf Sax+PF
Duo J. Demersseman Fantaisie sur un thème original per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo E. Denisov Sonata per sax contr e pf Sax+PF
Duo A. Desenclos Prélude, Cadence et Final per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo P. Dubois Deuxiéme sonatine per sax contralto e pianoforte/ Sax+PF
Duo P. Dubois Concertstück per sax contralto e pianoforte/ Sax+PF
Duo J. Feld Sonata per sax soprano e pf Sax+PF
Duo J. Francaix Cinq danses exotiques per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo I. Gotkovsky Brilliance per sax contralto e pf Sax+PF
Duo I. Gotkovsky Variations Pathétiques per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo P. Hindemith Sonate per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo C. Guillonneau Bal pour Baptiste per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo P. Iturralde Pequena Czarda per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo A. Jolivet Fantaisie – Impromptu per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo C. H. Joubert Barroco per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo C. Koechlin 15 Ėtudes pour saxophone alto et piano Sax+PF
Duo R. Muczynski Sonata op. 29 per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo J. Naulais Sax de Voyage per sax tenore e pianoforte Sax+PF
Duo J. Naulais Petite suite Latine per sax contralto e pianoforte/ Sax+PF
Duo C. Pascal Impromptu per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo C. Pascal Sonatine per sax contralto e pf Sax+PF
Duo J. Petit L’un multiple per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo L. Robert Cadenza per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo H. Sauget Sonatine Bucolique per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo J.b. Singelèe Vari pezzi per sax e pf Sax+PF
Duo P. Woods Sonata per sax contralto e pianoforte Sax+PF
Duo N. Wood Man Mou per sax sopranino e pianoforte Sax+PF
Duo I. Volante Laguna per sax contralto e pianoforte/ Sax+PF
Duo I. Volante Amaranto per sax contralto e pianoforte/ Sax+PF
Duo I. Volante Evocazione Estemporanea per sax contralto e pianoforte/ Sax+PF
Duo A. Vezzoli Oltre il buio per sax contralto e pianoforte/ Sax+PF
Duo P. Ugoletti Tre pezzi per sax contralto e pianoforte/ Sax+PF
Duo A. Tcherepnine Sonatine Sportive per sax contralto e pianoforte/ Sax+PF
Duo P. Swerts Klonos per sax contralto e pianoforte/ Sax+PF
Repertorio per voce e pianoforte
Fragmente
Winter Words
Les Illuminations
Serenade for Tenor
Horn and Strings
Nocturne
S. Barber 1953 Hermit Songs
1969 Despite and Still
L. Bernstein 1974 Hammarskjold Portrait
1976 Les Olympiques
1981 Tribute to a Hero
M. Mussorgsky 1874 Senza sole
1868-72 Con la balia
1875-77 Canti e danze della
morte
S. Rachmaninov 1890-1893 Sei canzoni op.4
1893 Sei canzoni op.8
1896 Dodici canzoni op.14
1902 Dodici canzoni op.21
1906 Quindici canzoni op.26
1912 Quattordici canzoni
op.34
1916 Sei canzoni op.38
P. Cajkovskij 1869 6 romanze, op.6
1872 6 canzoni, op.16
1874 6 canzoni op.25
1875 6 canzoni op.27
1878 6 canzoni op.38
1880 6 duetti con
pianoforte op.46
1880 7 canzoni op.47
1883 16 canzoni per
bambini op.54
1884 6 canzoni op.57
1886 12 canzoni op.60
1887 6 canzoni op.63
1888 6 canzoni su testi
francesi op.65
E. Grieg 1898 Ciclo di Lieder di
Haugtussa op.67
A. Dvoràk 1888 Pisne milostne
Pianoforte/i e percussione/i
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
4 B. Bartok Sonata per 2 pianoforti e percussione 2 PF + 2 Perc
duo Carlo Willems-Geert Callaert Jazz Suite for vibraphone and piano vibr+pf
A. Annunziata Apollon PF+ensemble perc
duo Quadri sonori Helmut Laberer per Pianoforte e Percussione pf+perc
trio J. Ryu Musica per Percussioni, Marimba e Pianoforte No.1 pf+marimba+perc
duo F. Trabucco NOTTURNO con Percussioni e Pianoforte pf + perc
R. Conz In tua assenza pf + perc
A. Russell Sonata per pianoforte e percussioni pf + perc
R. Gervasio Sonata per pianoforte e percussioni op.118 pf + perc
quintetto E. Capalbo 4x4 per 4 pf e percussioni 4 pf + perc
Trii con Pianoforte
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
trio Alkan Charles Valentine Trio op .30 1841piano‐violino‐violoncello
trio Arensky Anton Trio op. 32 1894piano‐violino‐violoncello
trio Arensky Anton Trio op 73 1905piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van Piano trio op 1 n 1, 2 e 3 1793/94 piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van trio dalla sinf n 2 1805piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van Op 38 trio dal settimino op 20 1802/03 piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van WoO 39 allegretto 1812piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van Piano trio op. 70 n. 1 e n. 2 1808piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van Piano trio op. 97 1810/11 piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van Piano trio WoO 38 1791piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van Variazioni op. 44 1800piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van Piano trio op. 121 ‐variazioni 1803? piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van Allegretto WoO 39 1812piano‐violino‐violoncello
trio Beethoven Ludwig van trio op 11 1797piano, clarinetto,vlc
trio Brahms Johannes Trio op 8 1853/54 piano‐violino‐violoncello
trio Brahms Johannes Trio op. 101 1886piano‐violino‐violoncello
trio Brahms Johannes Trio op. 87 1878/79 piano‐violino‐violoncello
trio Brahms Johannes Trio op. 114 1891‐2 piano, clarinetto o viola, violoncello
trio Brahms Johannes Trio op 40 1865piano, corno o cello, violino
trio Brahms Johannes Duetti 2 voci e pf op.20 1858/60 soprano e contralto
trio Brahms Johannes Duetti 2 voci e pf op. 28 1860/62 contralto e baritono
trio Brahms Johannes Duetti 2 voci e pf op. 61 1874soprano e contralto
trio Brahms Johannes Duetti 2 voci e pf op. 66 1875soprano e contralto
trio Brahms Johannes Duetti 2 voci e pf op. 75 1877/78 contralto e tenore, soprano e contralto
trio Bruch Max Piano trio op. 5 1858piano‐violino‐violoncello
trio Bruch Max 8 pezzi op. 83 1910clarinetto, viola, pf
trio Chaminade Cecile Trio op 39 1887piano‐violino‐violoncello
trio Chaminade Cecile Trio op. 11 1880piano‐violino‐violoncello
trio Chausson Ernest Trio 1881piano‐violino‐violoncello
trio Chopin Frederic Trio op 8 1828/29 piano‐violino‐violoncello
trio Czerny Carl Piano trio op. 2 n. 166 piano‐violino‐violoncello
trio D’Indy Vincent Trio op. 29 1887 piano, clarinetto o vl, violoncello
trio D’Indy Vincent Trio n.2 op 98 1929 piano‐violino‐violoncello
trio D’Indy Vincent Trio 1888 clarinetto, vlc, piano
trio Debussy Claude Achille Trio 1880 piano‐violino‐violoncello
trio Dussek Jan Ladislav trio op. 21 flauto, cello, piano
trio Dussek Jan Ladislav Sonate, di cui 5 perdute e 3 anche per fl (Op. 31) piano‐violino‐violoncello
trio Dussek Jan Ladislav 2 sonate pf vl ctb
trio Dussek Jan Ladislav Tre sonate op. 31 flauto, cello, piano o piano violino violoncello
trio Dussek Jan Ladislav Piano trio op. 34 piano‐violino‐violoncello
trio Dussek Jan Ladislav Piano trio op.37 piano‐violino‐violoncello
trio Dvorak, Antonin piano trio n°1, op. 21 1875 piano‐violino‐violoncello
trio Dvorak, Antonin piano trio n°2, op. 26 1876 piano‐violino‐violoncello
trio Dvorak, Antonin piano trio n° 3, op. 65 1883 piano‐violino‐violoncello
trio Dvorak, Antonin piano trio n°4, op.90 Dumky 1891 piano‐violino‐violoncello
trio Faurè, Gabriel piano trio, op. 120 1923 piano, volino, violoncello
trio Franck, Cesar piano trio, n° 1, op. 1 1842 piano, violino, violoncello
trio Franck, Cesar piano trio. N°2. op. 2 1842 piano, violino, violoncello
trio Franck, Cesar pianotrio, n°3, op,1 1842 piano, violino, violoncello
trio Franck, Cesar piano trio, op.2 1842 piano, violino, violoncello
trio Glinka Michail Trio pathetique 1832 clarinetto, fagotto, piano
trio Grieg, Edvard andante con moto, EG 116 1878 piano, violino, violoncello
trio Haydn Franz Joseph 39 trii (sonate) con pianoforte piano‐violino‐violoncello
trio Haydn Franz Joseph 6 trii di dubbia attribuzione piano‐violino‐violoncello
Trio Hensel Mendelssohn FannyPiano trio op. 11 1846/47 piano, violino, violoncello
Trio Henselt Adolf von piano trio op 24 piano, violino, violoncello
trio Hoffmann Ernst Theodor ATrio 1809 piano‐violino‐violoncello
trio Hummel Johann Nepomuk Adagio, var. e rondò op. 78 1818 flauto, vlc, piano
trio Kalkbrenner, Friedrich W. piano trio n°1, op. 7 1810 piano, violino, violoncello
trio Kalkbrenner, Friedrich W. piano trio n°2 , op. 14 1823 piano, violino, violoncello
Trio Kalkbrenner, Friedrich W. Piano trio n. 1 1810? piano, violino, violoncello
trio Kalkbrenner, Friedrich W. Piano trio n. 2 op. 14 1814? piano‐violino‐violoncello
trio Kalkbrenner, Friedrich W. Piano trio n. 3 op. 26 1815 piano‐violino‐violoncello
trio Kalkbrenner, Friedrich W. Piano trio n. 4 op. 84 (grand piano trio) piano‐violino‐violoncello
trio Klengel Julius Trio op 25 1890 piano‐violino‐violoncello
trio Klengel Julius Kindertrios op. 35 1900 piano‐violino‐violoncello
trio Klengel Julius Kindertrios op 39 1902 piano‐violino‐violoncello
trio Klengel Julius Kindertrios op 42 1904 piano‐violino‐violoncello
trio Korngold Eric Piano trio n. 1 1909/10 piano‐violino‐violoncello
trio Lalo, Edouard piano trio n° 1, op. 7 1850 piano, violino, violoncello
trio Lalo, Edouard piano trio, n° 2, op. 7 1850 piano, violino, violoncello
trio Lalo, Edouard piano trio, n° 3, op. 26 1880 piano, violino, violoncello
trio Lekeu Guillaume Piano trio 1891 piano‐violino‐violoncello
trio Litolff Henrt Charles Piano trio n. 2 op. 56 1850 piano‐violino‐violoncello
trio Litolff Henrt Charles Trio n. 3 op 100 piano‐violino‐violoncello
trio Litolff Henry Charles Piano trio n. 1 op. 47 1848 piano‐violino‐violoncello
trio Litolff Henry Charles Trio n 1 op 47 1848 piano‐violino‐violoncello
trio Litolff Henry Charles Trio n. 2 op 56 1850? piano‐violino‐violoncello
trio Luigi Ferdinando di Prussia Trio op 2 piano‐violino‐violoncello
trio Luigi Ferdinando di Prussia Trio op 3 piano‐violino‐violoncello
trio Luigi Ferdinando di Prussia Trio op 10 piano‐violino‐violoncello
trio Martucci, Giuseppe piano trio, n° 1, op. 59 1882 piano, violino, violoncello
trio Martucci, Giuseppe piano trio, n°2, op. 62 1883 piano, violino, violoncello
trio Mendelssohn, Felix piano trio, n° 1, op. 49 1839 piano, violino, violoncello
trio Mendelssohn, Felix piano trio, n° 2 , op. 66 1845 piano, violino, violoncello
trio Moszkowski, Moritz suite, op. 71 1903 piano, violino, violoncello
trio Mozart Wolfgang Amadeustrio k 498 1786 piano, clarinetto, viola
trio Mozart Wolfgang AmadeusTrio K 496 1776 piano‐violino‐violoncello
trio Mozart Wolfgang AmadeusTrio K 502 1786 piano, clarinetto, viola
trio Mozart Wolfgang AmadeusTrio K 254 1776 piano, viola, violoncello
trio Mozart Wolfgang AmadeusTrio K 442 1783/90 piano‐violino‐violoncello
trio Mozart Wolfgang AmadeusTrio K496 1786 piano‐violino‐violoncello
trio Mozart Wolfgang AmadeusTrio K 542 1788 piano, clarinetto, viola
trio Mozart Wolfgang AmadeusTrio K 548 1788 piano, clarinetto viola
trio Mozart Wolfgang AmadeusTrio K 564 1788 piano, clarinetto, viola
trio Paer Ferdinando Grande sonata n 2 piano‐violino‐violoncello
trio Paer Ferdinando Grande sonata n 3 piano‐violino‐violoncello
trio Paer Fernando Grande sonata n 1 piano‐violino‐violoncello
trio Piernè Gabriel Piano trio op. 45 1921 piano‐violino‐violoncello
trio Piernè Gabriel Sonata da camera 1927 flauto, vlc, piano
trio Pleyel, Ignace Joseph 3 piano trio, op.14 ( B. 431‐433) piano, violino, violoncello
trio Pleyel, Ignace Joseph 3 piano trio, op. 15 (B:434‐ 436) piano, violino, violoncello
trio Pleyel, Ignace Joseph 2 piano trio, op. 31 (B. 465‐466) piano, violino, violoncello
trio Pleyel, Ignace Joseph 3 piano trio, op. 32 (B. 440‐442) piano, violino, violoncello
trio Pleyel, Ignace Joseph 3 piano trio, op. 33 (B. 471‐473) piano, violino, violoncello)
trio Pleyel, Ignace Joseph 3 piano trio, op. 41 (B. 443‐445) piano, violino, violoncello
trio Pleyel, Ignace Joseph piano trio, op. 44 (B. 465) piano, violino, violoncello)
trio Pleyel, Ignace Joseph 3 piano trio, op. 52 (B. 468‐470) piano, violino, violoncello
trio Rachmaninoff, Sergei trio Elegiaque n°1 in sol minore 1892 piano, violino, violoncello
trio Rachmaninoff, Sergei trio Elegiaque n°2 in re minore 1893 piano, violino, violoncello
trio Ravel Maurice Piano trio 1915 piano‐violino‐violoncello
trio Reger, Max piano trio, n° 1, op. 2 1891 piano, violino, violoncello
trio Reger, Max piano trio, n° 2, op. 102 1907‐8 piano, violino, violoncello
trio Rimskij Korsakov Nikolai Trio 1897 piano‐violino‐violoncello
trio Rubinstein Anton Piano trio n. 1 e 2 op.15 piano‐violino‐violoncello
trio Rubinstein Anton Piano trio n. 2 op. 52 piano‐violino‐violoncello
trio Rubinstein Anton Piano trio n. 3 op. 85 piano‐violino‐violoncello
trio Rubinstein Anton Piano trio n. 4 op 108 piano‐violino‐violoncello
trio Saint‐Saens, Camille piano trio, n°1, op. 18 1864 piano, violino, violoncello
trio Saint‐Saens, Camille piano trio, n°2, op. 92 1891‐2 piano, violino, violoncello
trio Scharwenka Xaver Piano trio n. 1 1868 piano‐violino‐violoncello
trio Scharwenka Xaver Piano trio op 45 1878 piano‐violino‐violoncello
trio Schubert, Franz piano trio, n°1, D.898 (op. 99) 1827 piano, violino, violoncello
trio Schubert, Franz piano trio, n°2, D. 929 (op. 100) 1827 piano, violino, violoncello
trio Schubert, Franz notturno per piano trio, D. 897 (op. 148) 1827 piano, violino, violoncello
trio Schubert, Franz piano trio in si bemolle, D. 28 (Sonatensatz) 1812 piano, violino, violoncello
trio Schumann Robert Marchenerzahlungen 1853 clarinetto o vl, vla, piano
trio Schumann, Clara piano trio in sol minore op. 17 1846 piano, violino, violoncello
trio Schumann, Robert piano trio, n.°1, op. 63 1847 piano, violino, violoncello
trio Schumann, Robert piano trio, n.° 2, op. 80 1847 piano, violino, violoncello
trio Schumann, Robert piano trio, n°3, op. 110 1851 piano, violino, violoncello
trio Schumann, Robert Phantasiestucke, op. 88 1842 piano, violino, violoncello
trio Sinding, Christian piano trio, n°1, op.23 1893 piano, violino, violoncello
trio Sinding, Christian piano trio, n°2, op.64a 1902 piano, violino, violoncello
trio Sinding, Christian piano trio, n°3, op. 87 1908 piano, violino, violoncello
trio Smetana Bedrich Trio op 15 1855 piano‐violino‐violoncello
trio Sostakovic Dmitri trio op 8 1923 piano‐violino‐violoncello
trio Sostakovic Dmitri trio op 67 1944 piano‐violino‐violoncello
trio Strauss Richard Piano trio 1877 piano‐violino‐violoncello
trio Tchaikovsky, Pyotr piano trio, op. 50 in la minore 1882 piano, violino, violoncello
trio Tchaikovsky, Pyotr Ilic piano trio, op. 37a 12 pezzi "le stagioni" 1879 piano, violino, violoncello
trio Turina Joaquin trio op 35 1926 piano‐violino‐violoncello
trio Turina Joaquin trio op 76 1933 piano‐violino‐violoncello
trio Turina Joaquin Circulo op. 91 1942 piano‐violino‐violoncello
trio Weber. Carl Maria von piano trio in sol minore, op. 63, j. 259 1819 piano, flauto, violoncello
trio Wieniawski, Jozef piano trio, op.40 1885 piano, violino, violoncello
trio Wolf‐Ferrari, Ermanno piano trio, n°1, op. 5 1898 piano, violino, violoncello
trio Wolf‐Ferrari, Ermanno piano trio, n°2, op.7 1900 piano, violino, violoncello
Bach Johann Christian Trii op . 2 1764 piano‐violino‐violoncello
Bach Johann Christian Trii op 15 1778 piano‐violino‐violoncello
Bach Johann Christian Sonata 1796 piano‐violino‐violoncello
Quartetti con Pianoforte
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
Quartetto A. Dvořák ‐ Piano Quartet No.1, Op.23 Archi+PF
Quartetto A. Dvořák ‐ Piano Quartet No.2, Op.87 Archi+PF
Quartetto A. Fesca ‐ Piano Quartet No.1, Op.26 Archi+PF
Quartetto A. Maier Piano Quartet in E majar Archi+PF
Quartetto A. Rubinstein ‐ Piano Quartet, Op.66 Archi+PF
Quartetto C. Bériot Piano Quartet in A minor, Op.50 Archi+PF
Quartetto C. H. H. Parry Piano Quartet in A‐flat major Archi+PF
Quartetto C. Kreutzer Piano Quartet in E minor Archi+PF
Quartetto C. Saint-Saëns Piano Quartetto in Si b mag. Op.41 Archi+PF
Quartetto C.M. Weber Piano Quartet in B‐flat major, J.76 Archi+PF
Quartetto D. Steibelt Piano Quartet in A major, Op.51 Archi+PF
Quartetto F. Mendelssohn Piano Quartet in D minor, MWV Q 10 Archi+PF
Quartetto F. Mendelssohn Piano Quartet op.1 n. 1 Archi+PF
Quartetto F. Mendelssohn Piano Quartet op.1 n. 2 Archi+PF
Quartetto F. Mendelssohn Piano Quartet op.1 n. 3 Archi+PF
Quartetto F. Schubert Quartet for Piano and Strings, D.487 (Adagio and Rondo Concertante) Archi+PF
Quartetto G. Enescu Piano Quartetto n.1 op. 16 Archi+PF
Quartetto G. Enescu Piano Quartetto n.2 op.30 Archi+PF
Quartetto G. Fauré ‐ Piano Quartet No.1, Op.15 Archi+PF
Quartetto G. Fauré ‐ Piano Quartet No.2, Op.45 Archi+PF
Quartetto G. Mahler Piano Quartetto Archi+PF
Quartetto H. Witte Piano Quartetto op.5 Archi+PF
Quartetto J. Brahms ‐ Piano Quartet No.1, Op.25 Archi+PF
Quartetto J. Brahms ‐ Piano Quartet No.2, Op.26 Archi+PF
Quartetto J. Brahms ‐ Piano Quartet No.3, Op.60 Archi+PF
Quartetto J. F. X. Sterkel Piano Quartet in B‐flat major, StWV 157 Archi+PF
Quartetto J. Turina Piano Quartet in A minor, Op.67 Archi+PF
Quartetto J.W. Wilms Piano Quartet in C major, Op.22 Archi+PF
Quartetto L. van Beethoven Piano Quartet No.1 in E♭, WoO 36 Archi+PF
Quartetto L. van Beethoven Piano Quartet No.2 in D, WoO 36 Archi+PF
Quartetto L. van Beethoven Piano Quartet No.3 in C, WoO 36 Archi+PF
Quartetto R. Schumann Piano Quartet, Op.47 Archi+PF
Quartetto S. Taneyev Piano Quartet in E minor Archi+PF
Quartetto W. A.Mozart Piano Quartet in G minor, K.478 Archi+PF
Quartetto W. A.Mozart Piano Quartet in E‐flat major, K.493 Archi+PF
Quartetto A. Fesca ‐ Piano Quartet No.2, Op.28 Archi+PF
Quartetto P. Juon ‐ Piano Quartet No.2, Op.50 Archi+PF
Quartetto P. Juon ‐ Rapsodia for Piano Quartet Archi+PF
Quartetto L. A. Le Beau Piano Quartet, Op.28 Archi+PF
Quartetto G. Lekeu Piano Quartet Archi+PF
Quartetto Louis Ferdinand, Prince of Prussia ‐ Andante with Variations for Piano Quartet in B♭, Op.4 Archi+PF
Quartetto Louis Ferdinand, Prince of Prussia ‐ Piano Quartet in E♭, Op.5 Archi+PF
Quartetto Louis Ferdinand, Prince of Prussia ‐ Piano Quartet in F minor, Op.6 Archi+PF
Quartetto L. Boëllmann Piano Quartet in F minor, Op.10 Archi+PF
Quartetto F. Bridge Phantasy for Piano Quartet, H.94 Archi+PF
Quartetto E. Chausson Piano Quartet, Op.30 Archi+PF
Quartetto V. d'Indy Piano Quartet, Op. 7 Archi+PF
Quartetto J. Suk Piano Quartet Archi+PF
Quintetti con Pianoforte
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
Quintetto J. Brahms Quintetto per pianoforte e archi in Fa minore, op. 34 1862
Quintetto F. Schubert Quintetto per pianoforte e archi in La maggiore D.667, tratto dal Lied Die Forelle (La t 1819
Quintetto R. Schumann Quintetto con pianoforte in Mi bemolle, op. 44 1842
Quintetto D. D. Šostakovič Quintetto con pianoforte in Sol minore, op. 57 1940
Quintetto A. Dvořák Quintetto con pianoforte in La maggiore, op. 5 1872
Quintetto A. Dvořák Quintetto con pianoforte in La maggiore, op. 81 1887
Quintetto W. A. Mozart Quintetto per pianoforte e fiati K 452 1784
Quintetto O. Respighi Quintetto in fa minore per pianoforte e archi 1902
Quintetto N. Rimskj-Korsakov Quintetto in si bemolle maggiore 1876
Quintetto G. Martucci Quintetto con pianoforte in do maggiore, op. 45 1877
Quintetto C. Saint-Saëns Quintetto con pianoforte in la minore op. 14
Quintetto C. Franck Quintetto con pianoforte in fa minore
Quintetto M. Pilati Quintetto con pianoforte in re maggiore
Quintetto L. Boccherini 6 Quintetti per pianoforte e archi op. 56 1797
Quintetto L. Boccherini 7 Quintetti per pianoforte e archi op. 57
Quintetto Béla Bartók, Piano Quintet in C major, Sz23 1903‐04
Quintetto E. Elgar Quintetto con pianoforte in la minore op. 84 1918
Quintetto A. Borodin Quintetto con pianoforte in do minore
Quintetto Bruch Quintetto con pianoforte in Sol minore,
Quintetto S. Taneyev Quintetto con pianoforte in Re minore op. 89
Quintetto G. Fauré Quintetto con pianoforte in Sol minore op. 31
Quintetto G. Fauré Quintetto con pianoforte in Do minore op. 115
Quintetto E. W. Korngold Quintetto con pianoforte in mi maggiore, op. 15 1921
Quintetto F. Danzi Quintetto per pianoforte e fiati in re min. op.41
Quintetto F. Danzi Quintetto per pianoforte e fiati op.53
Quintetto J. Zarębski Quintetto con pianoforte in Sol minore,
Quintetto A. Beach Quintetto con pianoforte op. 67 1907
Quintetto N. Medtner Quintetto con pianoforte in do minore
Quintetto F. Thieriot Quintetto con pianoforte in re maggiore
Quintetto G. Sgambati Piano Quintet No. 1 in F Minor, Op. 4
Quintetto G. Sgambati Piano Quintet No. 2 in B-Flat Major, Op. 5
Quintetto J. Turina Quintetto con pianoforte in Sol minore op.1 1907
Quintetto A. Schnittke Quintetto con pianoforte 1976
Quintetto J. Huré Quintetto con pianoforte 1908
Quintetto J. Raff Quintetto con pianoforte in la maggiore op.1
Quintetto O. Olsson Quintetto con pianoforte in la minore 1899
Quintetto B. Martinu Quintetto con pianoforte n. 1, H.229 1933
Quintetto B. Martinu Quintetto con pianoforte n. 2, H.298 1942
Quintetto E. Andrée Quintetto con pianoforte in mi minore
Quintetto Ernő Dohnányi 2 Quintetti con pianoforte
Quintetto E. Bloch 2 Quintetti con pianoforte
Quintetto E. Dohnányi 2 Quintetti con pianoforte
Quintetto M. Gnesin Requiem for Piano Quintet, Op. 11 1914
Sestetti con Pianoforte
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
Sestetto J. Simon Wind Sextet Fiati + PF
Sestetto C. Quef Suite for Piano and Wind Quintet, Op.4 Fiati + PF
Sestetto L. Kreutzer Sextuor Fiati + PF
Sestetto M. Brauer Sextuor Fiati + PF
Sestetto H. Huber Sextuor Fiati + PF
Sestetto J. Manookian Sextuor Fiati + PF
Sestetto T. Genin jeune Sextuor Fiati + PF
Sestetto F. Poulenc Sextet FP 100 Fiati + PF
Sestetto A. Copland Sextet for Clarinet, String Quartet and Piano Cl+Archi +PF
Sestetto H. Chrétien Arabesque Fiati + PF
Sestetto W. De Bleser Carelessness Causes Fire Fiati + PF
Sestetto P. Juon Divertimento op. 51 Fiati + PF
Sestetto A. Roussel Divertimento op. 6 Fiati + PF
Sestetto F. Fuhrmeister Gavotte and Tarantelle Op.6 Fiati + PF
Sestetto J. Cartan Introduzione e Allegro Fiati + PF
Sestetto J. Jongen Rapshodie op.70 Fiati + PF
Sestetto V. d'Indy Sarabande et menuet, Op.72 Fiati + PF
Sestetto H. Bertini 5 Piano Sextet Archi +PF
Sestetto F. Mendelssohn Piano Sextet op. 110 Archi +PF
Sestetto F. Ries Piano Sextet WoO 76 Archi +PF
M. Glinka Serenade from Bellini's "La sonnambula" in A flat major Archi +PF
Sestetto M. Glinka Grand Sextet in E‐flat major Archi +PF
Sestetto A. Marando 2 Piano Sextet Archi +PF
Sestetto F. Weingartner Piano Sextet op. 33 Archi +PF
Sestetto P. Tchaikovsky Allegro in do minore Archi +PF
Sestetto C. Czerny Andante und Rondo, Op.213 Archi +PF
Sestetto I. Moscheles Grandes variations sur une mélodie nationale autrichienne, Op.42 Archi +PF
Sestetto C. Alkan Concerti da Camera, Op.10 Archi +PF
Sestetto J. Holbrooke 4 Dances, Op.20 Archi +PF
7-8-9-10 elementi con Pianoforte
Formazione Compositore Titolo Anno Organico
Settetto C. Saint-Saëns Septet in E♭ major, Op. 65 1881 Tr+Archi +PF
Settetto B. Martinu six dances called Les Rondes 1930 Ob+Cl+Fg+Tr+2vl+PF
Settetto B. Martinu Serenade No. 3 1932 Ob+Cl+4vl+PF
Settetto B. Martinu Fantasie 1944 theremin+ob+pf+archi
Settetto J.N. Hummel Septet No.1, Op.74 Fl+Ob+Corn+vla+vlc+ctr+pf
Settetto J.N. Hummel Septet No.2, Op.114 Fl+cl+tr+vl+vlc+ctr+pf
Settetto I. Stravinsky Septet 1953 Cl+Fg+Corn+PF+Vl+vla+vcl
Settetto I. Moscheles Grand septuor, Op. 88 Cl+Corn+Vl+Vla+vcl+ctr+pf
Settetto A. Fesca Septet op,26 e 28 Ob+corn+archi e pf
Nel saggio “Lo spirito creativo”, il noto studioso statunitense di intelligenza emotiva Daniel
Goleman (1946) sostiene che la creatività è una competenza alla portata di tutti. Si tratta, infatti, di
una caratteristica propria non solo degli artisti, ma di ciascun individuo, e applicabile a tutti i campi
della vita, dalla famiglia, al lavoro, al tempo libero, etc.
In ambito scolastico il docente sarà creativo se attuerà una didattica “laboratoriale” centrata sullo
sviluppo delle competenze dei propri discenti. Per ognuno di loro attuerà metodi e strategie
opportune.
Ogni docente di strumento, componente del “team”, lavorerà in cooperazione affinché il livello sia
adeguato e tutti gli alunni possano far parte del gruppo orchestra.
Il repertorio potrà essere a tema o generico. Per il primo si cita ad esempio quello natalizio
costituito da brani e melodie tradizionali-popolari. (Per questa occasione faranno parte del gruppo
le seconde e le terze anche se non è esclusa la partecipazione di ragazzi di prima talentuosi).
Un repertorio che riscuote interesse sia per i docenti che soprattutto per gli studenti è quello sulle
colonne sonore dei film; a tal proposito è doveroso ricordare il premio-oscar Ennio Morricone,
scomparso recentemente che con le sue musiche ha reso indimenticabile il cinema dell’ultimo
mezzo secolo.
Il docente riveste il ruolo di mediatore, tutor, che attraverso le sue competenze valorizzerà ogni suo
alunno arrangiando le parti strumentali; (userà raddoppi all’unisono, all’ottava, melodia al canto o
al basso, accompagnamento su forma di pedale, etc.).
Tutto sarà sempre rivolto allo sviluppo delle qualità tecniche e interpretative dei discenti e
calibrato all’organico presente in ogni istituto ad indirizzo musicale.
COS'È L'ARRANGIAMENTO
A differenza della trascrizione (che riporta su carta fedelmente le note di una melodia o di una
orchestrazione) e dell'adattamento musicale (che si “limita” a rendere eseguibile una
determinata composizione da organici strumentali diversi da quelli per cui è stata scritta la
versione originale, con lo scopo di consegnare all’ascoltatore più possibile, un risultato finale che
sia quanto più simile a quello originale), l'arrangiamento ha lo scopo di vestire, ampliare,
arricchire o trasformare lo stile di un brano in uno completamente diverso.
• portare a termine una composizione appena abbozzata da un compositore, nei suoi tratti
essenziali (procedura molto comune nella musica leggera, nella quale il compositore si limita a
creare la linea melodica armonizzata, spesse volte anche con semplici accordi di massima, e poi
tutto il resto del lavoro viene completato, vestito e/o rielaborato dall’arrangiatore)
• “rivestire” un brano musicale con uno stile totalmente differente, per esempio trasformando un
tango in un brano jazz, o pop.
• arricchire una struttura con introduzioni, background, bridge code, canoni, call-and-response,
assoli, magari mantenendo lo stile ma ampliandone l'organico.
• Creazione di medley, cioè mescolare più brani, interi o citati, cucendoli assieme attraverso varie
strategie compositive.
In sintesi l'arrangiamento consiste in una riorganizzazione strutturale, e strumentale di una
composizione (che abbraccia stile, strumenti, armonizzazione, durata, tecniche compositive,
destinazione d'uso… ecc) allo scopo che essa suoni secondo la forma musicale desiderata.
Un arrangiatore che può decidere liberamente come reinterpretare un brano, può dare priorità a
scelte stilistiche e decidere anche secondariamente di quali strumenti disporre, in base al proprio
gusto e alle proprie esigenze.
Nell'ambito della Scuola Secondaria di I Grado (Media), gli strumenti attualmente più usati nelle
scuole ordinarie sono tastiere, chitarre, flauti, ukulele, percussioni, batteria, mentre nelle SMIM
(scuole Medie ad indirizzo Musicale) gli strumenti disponibili sono caratteristici dei vari indirizzi
(pianoforte, violino, sax, tromba, clarinetto, percussioni, chitarra, flauto ecc.)
Nell'ambito della Scuola Secondaria di II grado saranno presenti gli strumenti dei vari indirizzi,
come per le scuole medie, ed è possibile che qualche scuola predisponga dell'intera famiglia dello
specifico strumento (esempio: sax soprano, contralto, tenore, baritono, famiglia dei clarinetti, varie
percussioni come marimba vibrafono, timpani, timbales, congas. )
Inoltre è possibile che in entrambi gli ordini di scuola si trovi disponibilità di batteria e basso
elettrico, oltre al pianoforte.
• Strumenti diversi
Musica da camera, strumenti con accompagnamento, duo, trio, piccole orchestre, per musica
classica, e ancora combo con sezione ritmica (contrabbasso e batteria), accompagnamento
(strumenti armonici come pianoforte, chitarra) e solisti (strumenti melodici come sax, clarinetto,
flauto, violino ecc.) per repertori di musica contemporanea, moderna, pop, jazzistica, etnica e
World.
Genere
Una volta individuato l'Organico l'insegnate dovrà affrontare la scelta del brano, e dunque a quale
genere attingere. Classico, contemporaneo, World music, pop, jazz, ecc., questo dipende in parte
dal percorso di insegnamento.
Al giorno d'oggi si tende a dare una preparazione poliedrica che parte dalla musica classica ma si
estende e abbraccia anche vari generi di musica contemporanea. Dunque il bacino di scelta è
molto vario.
Interesse
Difficoltà
In base all'organico uno dei parametri da calibrare bene è il grado di difficoltà del brano da
scegliere in base alle competenze (effettive o potenziali) degli alunni strumentisti.
Alcuni esempi:
Se un brano è virtuosistico occorre calibrare la scelta del brano vagliando le capacità del musicista
a cui toccherebbe la parte più difficile.
Più è ampio un organico, più è facile distribuire parti stratificate per difficoltà che nell'insieme
rendono un risultato completo. A più alunni principianti, si può scrivere un accompagnamento
omoritmico con una nota diversa, per ottenere gli accordi, e distribuire temi, armonizzazioni,
controcanti e accompagnamenti più impegnativi agli alunni di grado superiore.
Meno strumenti ho più devo ragionare su un brano che con pochi elementi mi riesce a dare una
buona resa d'insieme, e una facile distribuzione delle parti, che devono risultare chiare, distinte e
solide.
Una volta scelto il brano è fondamentale eseguirne una attenta analisi, sia dal punto di vista
melodico che armonico per decidere l'impianto tonale ottimale.
Fatta eccezione per alcuni brani di repertorio classico, che, facendo parte di una letteratura
musicale specifica per una famiglia di strumenti, consideriamo (generalmente) già in una tonalità
ottimale per favorire la tecnica dello strumento in questione,
l'arrangiatore può e deve considerare un adattamento tonale al brano, in funzione di alcuni
fattori:
• l'estensione degli strumenti o delle voci, a cui è destinato l'arrangiamento (note effettivamente
possibili sullo strumento, considerazione delle note più basse e più alte della melodia principale, e
range ottimale più ricco di armonici).
• note, nell'estensione, effettivamente “raggiungibili” dal livello di preparazione dell'alunno
• fruibilità tecnica dell'alunno che andrà a suonare in brano (esempio numero di alterazioni,
“posizioni scomode” ecc.)
(que
sto è un estratto di Gordon Delamont “Tecnica Moderna di Arrangiamento” Per approfondimenti
sull'argomento)
• Scegliere lo stile
Lo stile definisce il carattere che si vuole dare all'arrangiamento. Aldilà del semplice riadattamento
delle parti, l'arrangiamento prevede/permette una rielaborazione stilistica, a gusto
dell'arrangiatore.
“Lo stile è un fattore importante in tutti gli arrangiamenti e comprende una vasta gamma di
considerazioni.
La scelta delle armonie, dei colori tonali, le figurazioni ritmiche, i sottofondi e persino la
strumentazione, sono tutti fattori integranti dello stile. L'unico modo per ottenere il controllo dei
fattori stilistici e ascoltare analiticamente e sperimentare di persona.
“La musica da ballo non è certo l'unico campo d'azione dell'arrangiatore. Ogni situazione avrà i
suoi requisiti stilistici, sia che si tratti di jazz, musica radiofonica o televisiva, da spettacolo, da
sottofondo ad un cantante, o di qualsiasi altro tipo.
È molto importante esserne coscienti e lavorare entro i limiti che essi prescrivono. Una volta scelto
lo stile è importante mantenersi coerenti.
Per riassumere:
• Durata
La durata di un arrangiamento varia in base al genere trattato. La durata tipica di un
arrangiamento, in chiave moderna, andrebbe proporzionata alla durata tradizionale delle incisioni
di musica leggera, cioè approssimativamente due minuti e mezzo/tre minuti; ma tutto ciò può
subire notevoli modifiche. Gli stock arrangements per musica da ballo, suonati per intero, di solito
superano questa durata di uno o due minuti, mentre un jazz arrangement, che comprende lo
sviluppo di vari assoli improvvisati, può proseguire molto più a lungo.
Nel riadattamento (più raramente arrangiamento) di musica classica per organico diverso
dall'originale si parte dalla durata standard del brano, che può essere rielaborato modificando solo
la distribuzione e l'adattamento delle parti, o subire un allungamento dettato dalla creazione di
introduzioni, intermezzi e code. (Ci sono forme concerto che possono durare anche 15/20 minuti)
Nel caso dei Medley la durata è molto variabile, e dipende dalla struttura e dalla destinazione d'uso
(ascolto, ballo, intrattenimento, ecc).
Per predisporre la struttura del brano occorre analizzare la struttura armonica e melodica di
partenza, decidere che impronta stilistica e che forma si vuole dare, iniziare a valutare quali
elementi strutturali inserire nello scheletro di base (intro, temi, ritornelli, ponti, special,
modulazioni, code)
• Introduzione (4-8- 16 battute, quali strumenti, solo chitarra, solo basso, unisono, ecc.)
• Tema (distribuzione delle parti, 16 battute + 16 battute), background o bordoni di sottofondo,
articolazione strofa/ ritornello, call-and-response…
• Bridge (ponte tra un tema e l'altro di 8-16 battute)
• Tema o assoli, scambi tra strumenti 4/8 battute ciascuno.
• Special (di 16 battute) e o Modulazione (preparazione CLIMAX)
• Tema (esposizione in altra tonalità, con tessiture diverse, o con cambio ritmico)
• Coda di 4-8-16 battute.
Si può partire dalla linea melodica, poi armonizzare le voci (o decidere se muoverle in canone, in
chiamata e risposta o omoritmicamente) poi scrivere il basso e aggiungere la sezione ritmica.
Oppure partire dal Basso (ritmico, walking, canone) poi armonia e linee melodiche…
O ancora partire dal basso, inserire le voci e le armonizzazioni (esempio block chord) e poi
“riempire” con l’accompagnamento.
È importante naturalmente conoscere, oltre alle estensioni dei vari strumenti, le regole delle
principali tecniche compositive (armonizzazione a parti strette, a parti late, tensioni da evitare,
quinte, ottave, nota del pianoforte sotto la quale è meglio non scendere…)
In alcuni casi è “indicato partire dall'armonizzare in primo luogo i punti focali quali note lunghe, le
tensioni, l'accordo finale ed eventuali altri punti di risalto particolari secondo lo stile
predeterminato” (Teoria Armonia e Nozioni di Arrangiamento S. Gramaglia)
La cosa importante è che nel predisporre la scrittura si cerchi di mantenere una idea globale, linee
pulite, e chiare. Poi un bravo arrangiatore può ricorrere a strategie per rendere il proprio lavoro
ancora più interessante come:
Una partitura è l'organizzazione grafica di più righi musicali contemporanei, ad uso del
compositore o del direttore d'orchestra, al fine di controllare e gestire con un colpo d'occhio
l'intera simultaneità delle parti che concorrono all'opera musicale.
Le partiture hanno un ordinamento consuetudinario che porta a dividere gli strumenti in famiglie
e a suddividere le famiglie in sezioni. All'interno di ogni singola famiglia, gli strumenti sono ordinati
per tessitura dall'alto verso il basso (esempio sax soprano, contralto, tenore, baritono, basso). La
partitura d'orchestra generalmente è organizzata secondo la seguente successione:
-Timpani
In orchestra, il pianoforte e la chitarra, hanno ruoli molto simili, sono gli strumenti armonici per
eccellenza e rifiniscono le sfumature di colore e la loro funzione ritmica è notevole È ormai noto
che compositori e arrangiatori, per predisporsi alla scrittura di un brano si avvalgano di programmi
e software che ne velocizzano il lavoro. I software in uso sono vari, da quelli acquistabili a quelli
open source. Una delle peculiarità di questi programmi è che hanno delle impostazioni già
standardizzate (anche se modificabili), della disposizione su partitura degli strumenti. È possibile
scrivere per strumento singolo, duo, trio e tutte le combinazioni possibili fino all'orchestra intera. È
possibile impostare parametri di tempo, tonalità e decidere se scrivere, strumento per strumento,
in toni reali, o nella tonalità di lettura degli strumenti traspositori. Attraverso la funzione di cambio
(toni reali o tonalità dello strumento) è possibile scrivere tutto in una unica chiave e poi
predisporre la trasposizione per gli strumenti in un click.
Dove esso debba essere sistemato è solo una questione di forma. Generalmente andrà bene nella
seconda metà dell'arrangiamento o, in certe occasioni, alla fine. Può essere di breve durata o
prolungato, un'area espressiva di particolare intensità.
In base agli strumenti di cui dispone l'arrangiatore, il colore timbrico è dato dagli strumenti che
decide di accoppiare e che deve gestire alle giuste distanze per valorizzarne l'effetto. Esempio
Clarinetto e trombone, tromba con sordina e sax tenore. L'orchestratore/arrangiatore deve avere
una visione complessiva della timbrica esistente nel gruppo per il quale ha intenzione di scrivere. È
importante sperimentare tutte le variabili di combinazioni, in modo da poter sfruttare e cambiare
(in genere dopo 8 o 16 battute) le sonorità proposte.
LA MODULAZIONE
• Predisporre una tonalità più soddisfacente che valorizza l'estensione di uno strumento
• preparare ad una atmosfera successiva
• Alleviare la monotonia.
Molti arrangiatori preferiscono cambiare tonalità nel terzo ritornello, per rompere semplicemente
la monotonia oppure per incrementare le possibilità espressive.
Non c'è una lunghezza obbligatoria in fatto di modulazione. Spesso è possibile modulare senza
aggiungere altre misure, soprattutto se la melodia ha un finale di due misure che permetta cioè
l'inserimento della modulazione nell'ambito della cornice formale esistente (II-V-I). Se sono
necessarie, o preferibili, altre misure se ne aggiungono, di solito, due, quattro, sei oppure otto.
(Per un esame specifico delle tecniche di modulazione, vedi TECNICA MODERNA DI ARMONIA).
Un docente di strumento che andrà a lavorare con i propri alunni è plausibile che predisporrà
arrangiamenti per strumenti della stessa famiglia. Quindi verosimilmente, due trio quartetto,
quintetto, ensemble di Sassofoni, archi, legni ecc.
Spesso vi è un secondo sax contralto per rafforzare l'armonia qualora il primo contralto
armonizzasse la prima voce.
È d'uso nelle formazioni moderne di fiati, affiancare un percussionista o una sezione ritmica o
ritmico melodica. Nel secondo caso la modalità di scrittura, in un arrangiamento, può lasciare
l'accompagnamento cordale e preferire una modalità di armonizzazione delle voci a parti strette.
TECNICHE DI ARRANGIAMENTO
L’arrangiamento di un brano, può iniziare con una Introduzione che è quella breve parte della
composizione in cui l’arrangiatore è libero di concepire secondo i propri desideri. Può presentare il
tema principale o parte di esso, può ricordare l’atmosfera generale, può essere solo di natura
ritmica, dando cioè l’idea della pulsazione di base, ecc. L’elemento principale di un arrangiamento
è la melodia, che può venire esposta interamente da sola, oppure può avere qualsiasi tipo di
accompagnamento, accordale o contrappuntistico, ma se essa sta nella voce superiore, sarà
probabilmente avvertita come la parte principale. Occorre quindi darle una sistemazione adatta,
che la valorizzi, la sostenga e che possa portare a delle variazioni ed interpretazioni nelle parti
successive. Alla melodia principale si può contrapporre un controcanto, che contrasti volutamente
dal punto di vista ritmico e melodico con la melodia principale; vi può essere anche una melodia
secondaria che si limita a seguire ed accompagnare la melodia principale, spesso per terze e seste,
con poche differenze di ritmo rispetto ad essa. Questo tipo di melodia serve per addensare la
scrittura o per aggiungere peso armonico ed è tipica nella scrittura strumentale. La melodia viene
accompagnata o da accompagnamenti melodici, cioè che hanno un’importanza melodica
individuale, o da accompagnamenti armonici, cioè concepiti come supporto armonico, attraverso
accordi tenuti, che dovranno essere collegati tra loro secondo la logicità della condotta delle parti,
soprattutto con riguardo alle voci estreme. Questo accompagnamento, può trasformarsi in frase
melodica, assumendo forma di arpeggio melodico, attraverso gli accordi (più adatto al pianoforte),
o da accompagnamenti ritmici, cioè concepiti per sostenere e contribuire alle caratteristiche
ritmiche dell’arrangiamento. Queste tre categorie di accompagnamento si possono sovrapporre.
Per esempio: l’accompagnamento melodico o armonico può avere anche caratteristiche ritmiche e
viceversa, un accompagnamento armonico o ritmico può avere un discreto rilievo melodico. O
addirittura un piccolo accompagnamento, può avere caratteristiche appartenenti a tutti i tre tipi. A
tal proposito, parlando di accompagnamenti ritmici, è doveroso sottolineare l’importanza di
valorizzare al meglio, quando la composizione lo richieda, gli strumenti
ritmici, basso, batteria, percussioni. Sono il "cuore pulsante" dell'arrangiamento. Le PERCUSSIONI
sono L’ANIMA DELL’ORCHESTRA, in ambito didattico, nelle scuole secondarie di primo grado, non
per forza deve esserci una classe di percussioni, possono ugualmente essere affidate ad allievi di
prima classe che ancora non padroneggiano il proprio strumento o si possono affidare, a rotazione,
a tutti gli alunni in genere (frusta, piatto con la spazzola, maracas, tamburi, sono molto importanti
in termini coloristici). Invece nei Licei Musicali è presente la classe di percussioni che potrà
pienamente esprimersi in orchestra in forma melodica che ritmica
Dopo un’attenta analisi della melodia, dopo aver identificato la tonalità, i punti modulanti e i punti
di tensione, si può procedere con l’armonizzazione in vari modi, sostituendo, eventualmente alcuni
accordi con altri di miglior effetto a seconda dello stile voluto. Armonizzare significa imporre
un’armonia ad una melodia, definendo gli accordi che collegati in sequenza possono essere scissi in
differenti voci che procedono parallele al canto e distribuite agli strumenti nell’ambito di un
arrangiamento, facendo sempre attenzione allo studio della polifonia che regola l’aggregazione
verticale dei suoni.
In una struttura data, qualsiasi elemento melodico o armonico può essere raddoppiato. Il
raddoppio d’ottava degli elementi melodici superiori o inferiori è una pratica molto comune in
qualsiasi brano per pianoforte o per insieme strumentale e anche se le voci raddoppiate sono
molte distanziate, riescono a racchiudere tra loro le parti armoniche.
La voce del canto o voce leader, occorre mantenerla in alto, altrimenti viene oscurato il senso
melodico. Questa voce deve essere una delle voci più esterne con quella del basso che canta
invece come la più grave. Le altre che cantano, fra basso e melodia, si definiscono interne.
Nell’arrangiamento è meglio evitare scavalcamenti né incroci di voci per conservare il medesimo
carattere.
Qualsiasi melodia può essere armonizzata a due o più voci, le cui linee melodiche, procedono con
la stessa ritmica così che la sonorità risulti più aperta con effetto migliore che suonando
all’unisono. L’armonizzazione a più voci non riguarda la tecnica del contrappunto, dove invece gli
strumenti si intercalano e si rispondono in ritmiche contrapposte e linee melodiche orizzontali,
questo è un altro aspetto della tecnica dell’arrangiamento che viene sviluppato in maniera
verticale. Nell’arrangiamento a due voci vi possono essere due strumenti solisti o anche più,
purché divisi in due gruppi all’interno dei quali si suoni all’unisono in maniera da avere solamente
due linee melodiche. In questo tipo di armonizzazione prevale l’utilizzo di terze e seste che danno
una sonorità morbida.
È considerata la tecnica di arrangiamento più usata perché basata per creare l’effetto musicale
voluto. Armonizzando a quattro parti sono disponibili più vie che danno ciascuna un carattere
differente all’arrangiamento. Importante è però prima esaminare la strumentazione da usare, per
cercare di mantenere un bilanciamento dei suoni.
Ricordarsi che la voce più bassa è quella che dopo la voce principale, viene percepita in maniera
più distinta e per questo richiede in particolare una valida linea melodica.
Deriva da quella a quattro parti, ma utilizza la tecnica dell’eliminazione di una delle voci inferiori.
È caratterizzata dalla posizione particolarmente stretta delle 4 voci che sono presenti in un
intervallo inferiore ad una ottava.
Si ha quando le 4 voci sono disposte con intervalli compresi fra una e due ottave.
Importante è anche l’amalgama che viene a crearsi fra gli strumenti che devono essere
accuratamente bilanciati con un’accurata distribuzione delle parti, per cui è indispensabile sapere
per prima cosa la strumentazione da poter gestire.
Le tensioni
Si hanno quando si aggiungono note agli accordi estendendoli, creando intervalli che li
arricchiscono destabilizzandolo. Più note si aggiungono infatti ad un accordo, più diminuisce
l’importanza della fondamentale dalla quale man mano ci si allontana. L’utilizzo di note aggiuntive
deve seguire scrupolosamente determinate regole, altrimenti il senso armonico ne rimarrebbe
snaturato.
OSTINATO: elemento melodico, ritmico, strumentale, motorio che si ripete più volte senza
modificarne altezza e ritmo. Molti ostinati sono brevi e semplici, come l’alternarsi di tonica e
dominante. È una tipica forma di accompagnamento che può essere realizzato anche con voce,
body percussion, strumentini. Il più delle volte si colloca al basso definito appunto basso ostinato.
PULSAZIONE: È la prima forma di ritmo, ossia la costante successione di suoni uguali (detti anche
battiti, movimenti, tempi) con andamento regolare, che funge da metronomo, così da poter
rendere l’organico indipendente dalla presenza di un direttore.
CANONE: tecnica compositiva contrappuntistica che unisce a una melodia, una o più imitazioni che
si sovrappongono progressivamente. È chiamata canone anche una qualunque sezione di un brano
musicale che segua il principio costruttivo sopra esposto.
● alla distanza temporale tra ciascuna voce e il fatto che gli intervalli della seconda voce
coincidano con quelli della prima o vengano modificati per obbedire alle esigenze della scala
diatonica;
● infine l’eventuale differenza nel valore delle note tra l’antecedente e le sue imitazioni
successive. Nella pratica dell’arte musicale i compositori hanno spesso impiegato anche più
di uno dei metodi suddetti simultaneamente.
Tipi di Canone
● Un canone dove la melodia è seguita da una voce di contrappunto è detto a due voci. Se le
intervallo preciso, diverso dall’ottava o unisono (esempio: canone alla seconda, quinta,
settima, etc.). Se la conseguente imita l’antecedente secondo il preciso intervallo assegnato,
si parla di canone esatto; se l’imitazione segue l’intervallo (ad es: terza) ma non la qualità
(maggiore/minore), si parla di canone diatonico.
● Un canone inverso (detto anche canone per moto contrario) fa muovere la voce
Il Finale
Prima di procedere all’arrangiamento, devo effettuare un’attenta analisi melodica ed armonica del
brano da arrangiare, stabilendo tonalità, punti modulanti, punti di tensione. Dopo l’analisi della
melodia, l’armonizzo definendo gli accordi che possono essere divisi in diverse voci che procedono
parallele al canto o sono distribuite agli altri strumenti.
Da una semplice melodia data, tratta da un qualsiasi repertorio, si può realizzare un brano a due /
tre voci per pianoforte a 3/ 4 /6 mani, considerando di poterla destinare anche ad allievi che
studiano da pochissimi mesi. Ricordarsi di creare cose semplici e pulite. La melodia può iniziare a
due voci, poi diventare a tre voci, per nuovamente ridursi ad una sola voce, posso inserire un
ostinato al basso o in base allo stile di arrangiamento prescelto, uso l’accompagnamento tipico del
valzer o la forma compositiva del canone.
Se prevedo un arrangiamento per tre pianoforti (6 mani) da proporre ad alunni della classe terza
dei corsi SMIM oppure nelle prime classi di Liceo musicale, quindi che hanno già più esperienza,
posso elaborare qualcosa di più articolato, magari rispettando la tonalità originale, senza
preoccuparmi del numero di alterazioni presenti in chiave. Inserisco un’introduzione più lunga,
affido il tema principale al Piano 1, un ostinato con funzione ritmica al Piano 2, mentre il Piano 3
sostiene il brano dal punto di vista ritmico con la mano sinistra ed armonico con la mano destra
(esempio: Libertango – A. Piazzolla)
Tecniche di strumentazione
La strumentazione ha acquisito una posizione sempre più rilevata con l’avanzare di un tipo di
composizione liberato da generi, stili e convenzioni che, fino a ben oltre la metà del XIX secolo,
sopperivano all’adempimento di un compito che appariva meno legato alla creatività individuale e
più all’applicazione rigorosa di una tecnica che era parte della formazione del compositore. Nel
corso del XIX secolo gli organici orchestrali hanno subito un progressivo ampliamento,
determinando il conseguente mutamento delle tecniche nonché delle scelte timbriche, che
diventavano via via più originali e fantasiose (si pensi a Mahler e a Debussy che negli stessi anni
creano mondi sonori radicalmente distinti). A partire dai primi decenni del XX secolo la
composizione ha iniziato a presupporre una scelta creativa ed estremamente libera, non soltanto
delle sfumature timbriche e delle tecniche di orchestrazione ma anche della definizione stessa
dell’organico vocale e/o strumentale, la cui pianificazione è divenuta un fattore essenziale della
composizione. Dalla seconda metà del secolo le tecniche si sono evolute anche in relazione alle
nuove fonti di produzione sonora: la musica elettronica richiede un approccio compositivo
totalmente diverso, dal momento che il suono viene creato attraverso una manipolazione diretta,
che non permette di parlare di una fase di strumentazione; recentemente sono tuttavia entrate a
far parte della orchestrazione vera e propria anche alcune tecniche di registrazione, riproduzione e
manipolazione del suono, soprattutto dopo l’avvento del live electronics, che offre la possibilità di
registrare e restituire in tempo reale i suoni modificandoli mediante amplificazione, ritardi di fase,
distorsione sonora, o con l’aggiunta di riverbero. Si tratta a tutti gli effetti di un nuovo “strumento”
a disposizione del compositore.
La trascrizione è una procedura caratterizzata dalla presenza di un vincolo nei confronti di un testo
musicale preesistente. Essa può essere semplicemente funzionale oppure avere finalità artistiche e
creative. Le trascrizioni “d’uso” possono essere ricondotte a due tipologie: l’adattamento, che
consiste nel riscrivere un brano adeguandolo a un organico strumentale diverso (al solito ridotto),
dunque intervenendo sull’orchestrazione; la riduzione, che consiste nel trascrivere un brano
musicale per uno strumento che, pur conservando i principali contenuti melodici e armonici della
composizione originale, offre una gamma ristretta di possibilità timbriche e dinamiche. Tra le varie
tipologie di riduzione, quella pianistica (spesso effettuata da un apprendista e non dall’autore
stesso) è la più diffusa, poiché la scrittura per pianoforte consente di condensare un buon numero
di parti orchestrali; le riduzioni pianistiche della parte orchestrale sono utilizzate in ambito
operistico per la preparazione dei cantanti. Meno diffuse ma meritevoli di attenzione sono le
riduzioni d’autore, quale la versione per due pianoforti della Sagra della primavera di Stravinsky.
Bibliografia
FORME MUSICALI: Suite, Fuga, Concerto grosso, Concerto solista, Ricercare, Canzone, Fantasia, Partita,
Passacaglia e Ciaccona, Toccata, Variazioni, Oratorio, Sonata.
DINAMICA: In epoca barocca le indicazioni dinamiche (piano e forte) erano utilizzate sporadicamente e solo
per indicare effetti particolari come “ L’effetto d’eco”, cioè rapidi cambiamenti d’intensità per cui una
stessa frase poteva essere ripetuta ora forte, ora piano. Inoltre i segni dinamici venivano utilizzati per
segnare il contrasto tra il “tutti” ed il solista nel concerto grosso.
AGOGICA: dal punto di vista ritmico possiamo individuare brani vivaci e spigliati. Alternanza di sezioni
contrastanti per ritmo binario-ternario. Cambi repentini di tempo, sviluppo dell’improvvisazione.
FRASEGGIO: Il linguaggio musicale utilizzato durante il periodo barocco si basa sul contrappunto imitato e
contrappunto libero. Il fraseggio viene modellato in base alla cantabilità delle varie voci. Presenza di
abbellimenti che vengono improvvisati dall’esecutore.
PROBLEMI ESECUTIVI.
2 LETTURA: lettura con difficoltà medio- alta per la presenza della scrittura contrappuntistica e l’inseguirsi
di più voci.
3 ESECUZIONE INTERPRETAZIONE: Nel periodo barocco si evince nelle composizioni la tecnica compositiva
e risolutiva dell’autore. Basti pensare alle variazioni su un tema che venivano improvvisate per evidenziare
la brillantezza del compositore.
STRATEGIE RISOLUTIVE.
1 TECNICA E POSTURA: applicare le strategie di studio valide per tutti i periodi ( varianti, utilizzo del
metronomo, scale , arpeggi) e applicare tecniche di rilassamento del braccio e dell’avambraccio onde
evitare irrigidimenti.
2 LETTURA: Scomporre il brano in più sezioni e procedere con la lettura delle singole voci. Studio e sviluppo
dei vari abbellimenti. Segnare la diteggiatura appropriata.
COMPETENZE DI CITTADINANZA:
Imparare ad imparare
Risolvere problemi
Progettare
PERIODO: 1750/1830
FORME MUSICALI: Sonata, duo, trio, quartetto, quintetto, sestetto, concerto solistico,
sinfonia
1. DINAMICA
Il nuovo interesse per una dinamica non più “a terrazze” è contestuale alla diffusione del
melodramma e al belcanto, nonché all’affermarsi dell’arte violinistica. Da una musica
polifonica si arriva gradualmente ad una musica monodica. Questo passaggio ha creato
problemi urgenti riguardanti l’espressione musicale, ovvero tutti i “colori” che potevano
essere prodotti mediante la variazione del suono. Contemporaneamente prendeva forma il
nuovo strumento musicale: il pianoforte. Dotato di una propria personalissima cantabilità,
indipendente dalla voce umana, nonché di possibilità dinamiche usate, nel periodo classico,
per enfatizzare la forma strutturale dei brani caratterizzata dal contrasto tra TONICA e
DOMINANTE.
2. AGOGICA
PROBLEMI ESECUTIVI:
1. TECNICA E POSTURA
2. LETTURA
La scrittura del periodo classico non presenta le difficoltà del periodo barocco e del suo
intersecarsi di voci. L’armonia è tonale, basato sull’alternanza tra tonica e dominante.
Particolare attenzione va rivolta agli abbellimenti come parte integrante della linea melodica
e alla loro corretta decodificazione che varia in base allo stile, al periodo storico e al
compositore.
3. ESECUZIONE ED INTERPRETAZIONE
1. TECNICA E POSTURA
2. LETTURA
Per poter eseguire ed interpretare correttamente un brano nello stile classico è necessario
innanzitutto inquadrare storicamente il brano e stabilirne, previo ascolto del brano stesso, la
sonorità più adatta.
Successivamente, l’alunno potrà procedere allo studio per singole sezioni, dapprima a mani
separate, fissando immediatamente la diteggiatura più adatta alla sua mano, che gli consenta
una risoluzione del passaggio senza irrigidimenti del braccio e nella maniera più naturale e
rilassata possibile, tenendo conto delle proprie caratteristiche fisiche.
Una volta fissata la diteggiatura è possibile iniziare lo studio diversificato per fattispecie di
problema (scale veloci con varianti ritmiche, passaggio del pollice con spostamenti
orizzontali e movimenti del polso, accordi ed arpeggi con lo studio delle posizioni, agilità
dell’esecuzione mediante l’uso del metronomo e l’ascolto di se stessi).
A questo punto è possibile inserire, a piccole dosi, l’uso del pedale di risonanza nelle battute
che lo richiedono.
Per risolvere, invece, problemi legati all’interpretazione del periodo classico è necessario
che l’alunno integri le conoscenze tecniche e pratiche con quelle lessicali, storiche e
culturali sviluppando una autonoma sensibilità artistica e capacità di presentazione del
brano. È inoltre fondamentale stimolare la motivazione conferendo valore ai successi
conseguiti in termini di risoluzione di problemi esecutivi ed interpretativi in un’ottica di
raggiungimento della competenza “imparare ad imparare”.
Infine, mediante l’uso della registrazione o video registrazione si procede ad un ascolto
critico della propria esecuzione e soprattutto della corrispondenza tra sonorità stabilità in
partenza e sonorità prodotta, cercando di migliorare eventuali scostamenti dal progetto
originario utilizzando un timbro diverso.
PERIODO :1830/1890
FORME MUSICALI: Lied, Romanze senza parole, Composizioni di breve durata (Notturni, Romanze, Scene
infantili, Serenate, Improvvisi, Fogli d'album), Composizioni di maggiore durata (Ballate, Scherzi, Rapsodie,
Poemi Sinfonici)
1.DINAMICA: aumenta la gamma di sfumature dinamiche e i diversi livelli di intensità sonora che vanno dal
“pianissimo” impercettibile al “fortissimo”. Essendo diventato mezzo espressivo che dà colore e carattere alla
linea melodica subisce frequenti variazioni. Acquisisce notevole importanza il timbro strumentale che deve
essere coerente con il tipo di composizione e con l'intento dell'autore.
2.AGOGICA: dal punto di vista ritmico, si amplia la gamma dei tempi musicali impiegati diversi anche all'interno
del medesimo brano; il rigore temporale e ritmico caratteristico della musica del Settecento viene superato anche
attraverso un ampio impiego delle variazioni di velocità (accelerando, rallentando, rubato).
3.FRASEGGIO: la melodia ha adesso un ruolo-chiave: l'idea melodica, il tema musicale, è il centro della musica
romantica. La frase non è sempre regolare come nel periodo classico e gli autori cominciano ad usare sempre più
frequentemente gruppi irregolari con ampio numero di note. Si sviluppano 2 correnti opposte: la prima
caratterizzata da melodie semplici ed estremamente cantabili, la seconda è alla ricerca di grandi sonorità e
virtuosismi che hanno come scopo principale quello di impressionare il pubblico. Non è raro soprattutto
all’interno delle “scuole nazionali” l’uso di canti e melodie popolari tradizionali.
PROBLEMI ESECUTIVI
1.TECNICA E POSTURA : i compositori romantici avendo assistito al sempre maggior sviluppo dello strumento
e al suo perfezionamento tecnico hanno elaborato una scrittura sempre più complessa e musicalmente intricata
innalzando anche il livello tecnico richiesto per l'esecuzione dei brani. È sempre più frequente l'uso di scale,
arpeggi, accompagnamenti che richiedono l'uso della rotazione del polso perché scritti spesso a parti late; salti di
più ottave che richiedono prontezza nello spostarsi all'interno della tastiera, passaggi con ottave in entrambe le
mani che possono causare irrigidimento delle braccia.
2.LETTURA: la lettura nel periodo romantico risulta più difficile rispetto a quella classica in quanto l'armonia
tonale comincia ad essere messa in discussione e di frequente si incontrano accordi “inusuali” come quelli di
semidiminuita e diminuita, modulazioni a toni lontani che rendono più difficoltosa la lettura e la comprensione di
un brano.
3.ESECUZIONE E INTERPRETAZIONE: la centralità della melodia tipica del periodo romantico impone
all'esecutore la ricerca del timbro giusto per entrambe le mani che sia coerente con l'interpretazione voluta dal
compositore. È richiesta una maggiore sensibilità da parte dell'interprete per rendere nel migliore dei modi il
cantabile ma è anche richiesto un maggiore livello tecnico per eseguire le parti più complesse. Un importante
strumento di arricchimento sonoro è il pedale destro: esso infatti ha la funzione di arricchire il suono di armonici e
inoltre serve a prolungare di un po' la durata del suono. Se ben usato può aumentare il fascino e la poesia di una
determinata linea melodica ma un uso maldestro può rovinarla del tutto.
STRATEGIE RISOLUTIVE
1.TECNICA E POSTURA: Oltre alle strategie di studio valide per tutti i periodi (studio a mani separate, varianti
ritmiche scelte ad hoc in base alle difficoltà da superare, studio a sezioni, studio per posizioni, abbattimento dei
muri di velocità attraverso il metronomo) è necessario uno studio approfondito della tecnica come scale, arpeggi e
salti per sviluppare le capacità tecniche necessarie ed evitare che insorgano irrigidimenti muscolari dati da
mancanza di esercizio ed elasticità, insicurezza, stress psicofisico, senso di inadeguatezza.
2.LETTURA: essendo i brani romantici più complessi da leggere è consigliato far ascoltare il brano all'allievo
(modeling uditivo) per far comprendere il senso generale e procedere successivamente oltre allo studio una
“lettura a tavolino” che ha la funzione di far comprendere la struttura del brano sia da un punto di vista formale sia
da un punto di vista armonico in modo tale da rendere più semplice la comprensione e conseguentemente la lettura
evitando così di spendere inutili e interminabili ore al pianoforte nel tentativo di imparare un brano passivamente
senza che ne conosca gli elementi costitutivi (individuazione della struttura, delle frasi, di moduli come scale e
arpeggi, delle modulazioni, di accordi). Di grande importanza è anche lo studio di una diteggiatura appropriata che
sia frutto del compromesso tra le esigenze anatomiche, motorie e cognitive dell'alunno e le esigenze stilistiche e
interpretative. Una strategia per la risoluzione di passaggi difficili è suggerita da molti didatti tra i quali Cortot i
quali raccomandano di studiare tali passaggi trasportandoli cromaticamente.
3.ESECUZIONE E INTERPRETAZIONE: per risolvere durante lo studio problemi legati all'esecuzione si può
procedere con lo studio dei singoli moduli o sezioni (il docente nelle fasi iniziali dello studio divide un brano in
sezioni di dimensioni appropriate caratterizzate al loro interno dalla ricorrenza di un determinato modulo
ritmico/melodico/morfologico) ripetendo i passaggi che presentano maggiori difficoltà e a velocità ridotta. Una
volta che i problemi sono stati risolti si può procedere al “montaggio” dei moduli nel corretto ordine. Altra
componente importante è lo sviluppo di una particolare sensibilità alla autonoma capacità espressiva dei timbri
sonori, intesi e utilizzati come “colori” facendo acquisire sempre maggiore conoscenza e controllo della tastiera
attraverso l'esplorazione delle diverse sonorità. Per l'interpretazione è necessario una conoscenza teorica del
periodo, dell'autore e se è possibile anche del brano oggetto di studio per capire fino in fondo ciò che si nasconde
dietro esso. L'alunno va inoltre educato all'uso del pedale che assume nella musica romantica un ruolo importante
(con Chopin abbiamo infatti una rivoluzione nell'uso del pedale e un pianismo del tutto innovativo). Per il suo uso
è necessario sia conoscere alcune regole importanti (il rinnovo deve seguire l'esecuzione del nuovo accordo, il
diverso uso del pedale nei vari registri del pianoforte, il rinnovo del pedale va effettuato ad ogni cambio di
armonia, l'uso del pedale differisce nei crescendo e nei diminuendo, l'uso del pedale segue lo svolgimento della
linea melodica quindi è bene rispettare il fraseggio e i respiri della frase) sia fare acquisire la competenza
all'alunno attraverso lo studio del brano (anche a tavolino) e lo sviluppo della capacità espressiva.Possono essere
utilizzate a tale scopo anche delle metafore che stimolano la capacità di immaginazione, oppure facendo esprimere
allo studente affetti, stati mentali o caratteri che suscitano il brano. Nel caso della musica Romantica bisogna
anche tenere conto che il pedale viene esso sempre nella prima nota inferiore quando si è in presenza di accordi
arpeggiati in modo tale da poter fissare il basso dell'armonia ed evitare così “equivoci armonici”.
Agire in modo autonomo e responsabile durante lo studio: saper adottar le giuste strategie di controllo e
adattamento che assicurano benessere fisico e psichico;
Risolvere problemi
Sviluppo della Metacognizione attraverso un processo ciclico di auto-regolazione che consta di 3 fasi:
“preconoscenza” (ragionamenti e convinzioni che precedono l'effettivo impegno nel compito che però
influenzano lo studio),
“controllo volontario
dell'esecuzione” (processi
che hanno luogo durante
l'apprendimento),
“riflessione” (che influenza
la reazione all'esperienza).
BIBLIOGRAFIA
Edises: Strumento musicale negli istituti di istruzione secondaria (Pianoforte) a cura di L. Capannolo-
2020
A. Casella: Il pianoforte ed. Ricordi
PERIODO: 1890-1930
FORME MUSICALI: Pezzi caratteristici, Preludi, Sonate, Preludi e fughe, Suite, Variazioni, Studi
AUTORI: Debussy, Ravel, Poulenc, Satie, Bartok, Schönberg, Berg, Webern, Hindemith, Prokofiev, Skrjabin,
Albeniz, Granados, Busoni
1. DINAMICA: il passaggio dal tardo-romanticismo al Novecento fu lento e graduale. Intorno alla fine del
secolo, in particolare, si verificò un progressivo cambiamento dello stile: una nuova ricerca timbrica, armonica
e tonale, nonché ritmica, segnarono una nuova fase nello sviluppo della letteratura pianistica.
Anche grazie allo sviluppo e alla rapida evoluzione del pianoforte e del pedale di risonanza, fu possibile
ricercare sempre più sfumature dinamiche e timbriche al pianoforte, comportando un importante arricchimento
della scrittura dinamica nelle partiture per pianoforte.
La varietà dinamica è vastissima: dal ppp impercettibile (anche grazie all’utilizzo del pedale “una corda”)
delle partiture francesi, ispirate alla pittura e alla poesia simbolista e impressionista e ricche di indicazioni
poetiche mirate a una corretta interpretazione, si arriva al ffff e a importanti sfz, con l’ausilio di nuovi segni
dinamici quali accenti, sforzati e staccati volti a raggiungere una maggiore percussività e violenza sonora
(specialmente in autori come Prokofiev e Bartok).
2. AGOGICA: dal punto di vista ritmico, le partiture pianistiche subiscono un forte cambiamento. Si amplia
ulteriormente la gamma dei tempi musicali impiegati, utilizzando molte indicazioni circa il tempo d’esecuzione
che può variare più volte all’interno della stessa partitura. Seguendo l’evoluzione dinamica, anche la scrittura
ritmica diventa sempre più complessa, ricca di figure ritmiche irregolari e di complessa decodificazione,
utilizzate sia per creare effetti timbrico-dinamici particolari (come in Ravel e in Debussy) che per ragioni
compositive e formali (nel caso dei compositori viennesi).
3. FRASEGGIO: la melodia, che aveva un ruolo chiave fino al tardo Ottocento, lascia il posto alla componente
sonora, ritmica e timbrica. La frase musicale perde completamente la regolarità, escludendo alcuni casi di
ritorno alla classicità. Gli autori francesi giocano su repentini cambi di tempo e di movimento, in particolare
Debussy inizia a “spezzare” la regolarità temporale per ragioni estetico-filosofiche, nell’ottica di una
sospensione. Gli autori viennesi, al contrario, perdono l’idea di una regolarità sonora, in favore di ragioni
formali e armoniche: la serie diventa protagonista, perdendo completamente la regolarità della frase, fino a
giungere a brevi frammenti sonori di tipo aforistico.
PROBLEMI ESECUTIVI
1. TECNICA E POSTURA: con l’aumento della densità della scrittura pianistica e strumenti sempre più
sviluppati, al pianista è richiesta una gamma di suoni sempre più variegata e complessa. È necessario saper
spaziare da un suono percussivo e sgradevole (Prokofiev, Bartok) ad accordi in ppp, anche in posizioni
particolarmente ampie (Debussy, Skrjabin). In alcuni casi risulta necessario avere il dominio totale della
tastiera, per poter eseguire anche salti di notevole difficoltà nel rispetto della vasta gamma dinamica. Il polso
deve quindi saper spaziare dal controllo rigido dei ribattuti al rilascio completo del peso per ottenere il massimo
della sonorità. Come per la musica romantica, è richiesta una posizione che permetta il controllo di tutta la
tastiera, che permetta di spostarsi anche sulle tonalità dei tasti neri in totale libertà.
La mano deve poter gestire accordi a parti late, spesso da sgranare, nonché arpeggi, scale e ottave anche a
grande distanza, con l’ausilio del movimento del corpo.
2. LETTURA: la lettura risulta sempre più complessa: richiede di decifrare accordi e scritture intricate, spesso
in tonalità lontane con numerose alterazioni, con passaggi repentini da una tonalità all’altra senza una
particolare logica armonica e formale. In particolare, la lettura risulta ancora più difficile considerando la
totalità della partitura, dovendo tener conto non solo dell’esecuzione corretta delle note, ma anche delle
indicazioni dinamiche e di interpretazione, particolarmente precise, e dei numerosi segni di articolazione che
richiedono particolari movimenti.
STRATEGIE RISOLUTIVE
1. TECNICA E POSTURA: oltre alle diverse strategie di studio valide per qualsiasi periodo o stile musicale
(lettura a mani separate, studio lento a mani separate e poi unite, rilassamento delle spalle, rilascio del peso,
varianti ritmiche mirate, divisione in sezioni, studio per posizioni, utilizzo del metronomo), per la musica del
XX secolo è richiesto un maggiore coinvolgimento del corpo, soprattutto in relazione alla richiesta di una
gamma di suoni diversi e di nuove tecniche esecutive che richiedono nuovi movimenti del corpo, del braccio
e del polso. È fondamentale una maggiore consapevolezza posturale in relazione al suono che si vuole ottenere,
spostando non solo il busto nella direzione del suono, ma variando la posizione del braccio, del gomito e del
polso per ottenere il suono migliore.
Una buona tecnica di studio è rappresentata dal canto delle parti o dei singoli strati sonori che compongono un
determinato passaggio, per ottenere una maggiore consapevolezza del suono risultante, soprattutto nelle
sezioni particolarmente dense e stratificate o di difficile comprensione.
Utile è l’utilizzo del videoregistratore, che permette non solo di riascoltare il suono prodotto per uno studio
più accurato, ma di osservare anche la posizione del braccio e del corpo in determinati passaggi tecnici che
risultano particolarmente difficili, per poter intervenire successivamente.
Diversamente dalla musica romantica, che richiede uno studio costante di tecnica pura, scale, arpeggi e ottave,
è importante lavorare costantemente sul timbro e sul suono e sull’utilizzo del pedale tonale e di risonanza.
2. LETTURA: ancor più che nella musica romantica, ai fini didattici è importante far ascoltare
precedentemente al discente il brano in oggetto, anche procedendo a una rapida analisi e lettura della struttura
e della forma. Fondamentale, in caso di musica dodecafonica, è individuare la struttura e la serie di base per
poter meglio comprendere la scrittura compositiva, evitando una lettura “nota per nota” e “battuta per battuta”.
È fondamentale privilegiare una lettura complessiva prima ancora del particolare. A seguire, è fondamentale
una lettura a mani separate per decifrare con attenzione la scrittura, ricca di alterazioni e modulazioni lontane,
per individuare la migliore diteggiatura (spesso “creativa” rispetto alla precedente musica romantica, più legata
agli standard tecnici, con diverse possibilità di risoluzione dei passaggi da scegliere accuratamente in relazione
al suono che si vuole ottenere e alla predisposizione naturale della mano).
3. ESECUZIONE E INTERPRETAZIONE: una volta risolta la lettura, è possibile intervenire anche sui
problemi più legati all’esecuzione.
Per quanto riguarda i problemi di memoria, risulta particolarmente utile la divisione in sezioni, ciascuna
indicata con una lettera dell’alfabeto, possibilmente sezioni non troppo estese. Una volta effettuata la divisione,
si può procedere con l’esecuzione con la partitura aperta, l’esecuzione con la partitura chiusa, l’esecuzione
senza partitura e infine l’esecuzione con la partitura aperta (4 passaggi A, B, C, A). Una volta memorizzate le
singole sezioni, un esercizio utile è l’estrazione delle lettere corrispondenti ad esse e la loro esecuzione, per
testare la propria memoria partendo da punti sempre diversi. Un approccio di questo tipo risulta utile a fronte
di una scrittura e una struttura armonica troppo complesse per seguire una memoria di tipo meccanico o legata
all’armonia.
Fondamentale è uno studio approfondito del periodo storico, non solo relativo al compositore che si esegue,
ma all’intera scuola o stile cui appartiene, per meglio comprendere le relazioni e le influenze tra le diverse arti
tipiche del primo Novecento. Soprattutto nel caso dei compositori francesi, è fondamentale conoscere
l’Impressionismo e il Simbolismo come fenomeni culturali, mentre per i compositori viennesi (Berg, Webern,
Schönberg) è doveroso approfondire l’Espressionismo e il concetto di atonalità e dodecafonia.
Nell’ottica di un’esecuzione sempre più attenta ai colori della partitura e ai timbri, è fondamentale uno studio
approfondito dei 3 pedali, per cui è possibile prevedere degli esercizi mirati (soprattutto per l’utilizzo del pedale
tonale, che può risultare utile per questo periodo stilistico).
BIBLIOGRAFIA
CAPANNOLO L. (2020), Strumento musicale negli istituti di istruzione secondaria (Pianoforte), Edises
CASELLA A., Il pianoforte, Ricordi
RATTALINO P., L’interpretazione pianistica
RATTALINO P., Storia del pianoforte
GRUPPO PUNTO 13: - Competenze nella scrittura di composizioni e strumentazioni
per organici diversi, utilizzando anche adeguati software di notazione musicale :
Nell’affrontare gli aspetti teorici e pratici della direzione di coro, sarà fondamentale mettersi
d'accordo sulla terminologia da utilizzare per non incorrere in incomprensioni che spesso generano
confusione. Innanzitutto partiamo dall'attore principale, il perno intorno al quale ruota la direzione
del nostro coro e cioè il direttore.
Il direttore del coro non è altro che il tramite tra due realtà ben distinte tra loro: l'autore e il coro.
Entrambi i soggetti citati hanno delle proprie caratteristiche che il direttore deve conciliare. Egli
interpreta il pensiero dell'autore, lo fa suo e attraverso la sua gestualità, lo trasmette al coro, il quale,
anch'esso mediando il messaggio ricevuto, lo trasforma nel prodotto che il pubblico andrà ad
ascoltare. Da ciò si capisce quindi l'importanza del direttore, che deve veicolare un messaggio verso
due destinatari: verso il coro, che è un soggetto musicalmente istruito, attraverso la tecnica della
direzione, e verso il pubblico, che è un soggetto a volte non musicalmente istruito.
Per coro, invece, possiamo avere diverse accezioni: un coro può essere un canto eseguito da più
persone, ma anche il gruppo dei cantori che esegue questo canto. Il significato moderno della parola
lo dobbiamo però alla tradizione cristiana, per cui il coro è la grande collettività cantante.
in base alla sua composizione: se cantano uomini e donne insieme avremo un coro a voci
miste o dispari; se i cantori sono tutti dello stesso sesso parleremo di coro a voci pari; il coro
composto da bambini è detto coro di voci bianche, caratterizzato da un timbro chiaro e
mordente;
in base alla varietà della partitura cantata: quando l'andamento delle parti è contrappuntistico
e soprattutto quando le varie parti non cantano insieme, ma hanno melodie differenti
sviluppate su di un unico testo, avremo il coro polifonico, se una parte canta la melodia
principale e le altre procedono parallele con funzione di accompagnamento armonico,
avremo il coro isoritmico o omoritmico.
Generalmente, un coro è diviso in sezioni, cioè in gruppi di voci che cantane parti diverse:
Nella scrittura di una partitura per coro, a ogni voce è abbinata la relativa chiave. Questa prassi
tornava utile ai compositori, che potevano scrivere parti adeguate a ogni voce, visualizzandole
all'interno del pentagramma. Parlando, quindi, della suddivisione delle voci in una partitura sarà
utile chiarire anche questo termine:
La partitura è la notazione di una composizione musicale in tutte le sue parti strumentali e vocali,
incolonnate sulla stessa pagina, in modo tale da essere lette simultaneamente. Lo spartito, invece,
non è altro che una riduzione per piccolo organico di una partitura.
Altri due termini da chiarire sono agogica e dinamica. L'agogica raccoglie tutti i movimenti di
tempo nel discorso musicale, richiesti dall'espressione e dall'interpretazione (es. indicazioni di
andamento come andante o allegro sono indicazioni agogiche). Diversa è la dinamica, che invece
riguarda le variazioni di intensità dei suoni (es. indicazioni dinamiche possono essere il piano o
forte). Entrambe hanno grande, perché fanno in modo che ogni esecuzione risulti diversa dall'altra e
frutto dell'interpretazione e del gusto del direttore del coro.
Per quanto riguarda gli elementi ritmici, dobbiamo dire che ogni movimento o gesto del direttore è
preceduto da un levare, cioè da una fase di slancio che dà il giusto senso al battere che verrà subito
dopo. Queste fasi, presso i Greci, erano chiamate arsis e thesis. In partitura un gruppo di note in
levare non precedute da pause è detto arsis o anacrusi. Se la frase inizia con un
movimento in battere, invece, sarà detta tetica. Quanto detto riguarda i ritmi iniziali; per quelli
finali, invece, un ritmo che termina sul tempo forte è detto tronco o maschile, mentre un ritmo che
termina sul tempo debole è detto piano o femminile.
Che cos'è la voce? È il suono generato dalla vibrazione delle corde vocali e modulato nel percorso
che conduce dalla cavità della gola alla bocca, ed è l'elemento più comune della comunicazione
umana. In musica la voce è il mezzo di espressione più spontaneo e universale. La produzione della
voce può essere scomposta in tre funzioni:
Figura. 1
suoni, che hanno risonanza nel canale vocale faringe, che è una cavità a forma di imbuto e
(figura 2). che costituisce il primo amplificatore della
voce e che influisce sul timbro. La faringe
L'aria espirata dai polmoni passa attraverso la comunica direttamente con la cavità orale e
trachea, che è un vero e proprio canale alla con le fosse nasali, che invece determinano il
sommità del quale abbiamo detto si trova la colore e il volume della voce.
laringe, che è l'organo vocale per eccellenza,
nella cui cavità interna passa l'aria generatrice
del suono. Nella cavità interna della laringe si
trovano, infatti, le corde vocali, due vere e
due false: di queste ultime non si conosce la
funzione (figura 3).
I suoni prodotti dalla voce hanno quel colore e quella consistenza proprio grazie alle casse di
risonanza presenti nel nostro corpo. La voce umana ha casse di risonanza poste sopra o sotto la
laringe. Quelle poste sopra sono la faringe, la cavità orale, le fosse nasali e le cavità facciali e
frontali. La cassa di risonanza posta sotto la laringe è costituita dalla cavità toracica.
L'aria che vibra all'interno di quest'ultima dà vita a una serie di suoni bassi. Quando i suoni, poi,
cominciano a salire verso l'acuto e abbandonano il colore scuro tipico dei suoni bassi, la risonanza
passa alle cavità poste al di sopra della laringe. A questo proposito parleremo di registro di petto e
registro di testa:
Si utilizza il registro di petto quando le vibrazioni della laringe sono portate verso le cavità inferiori
a essa e cioè verso la cassa toracica. Il registro di centro è una specie di punto di raccordo tra
registro di petto e di testa, poiché il passaggio tra questi ulti i due registri non è mai netto. Benché
nel registro di centro vi sia una prevalenza del registro di testa, esso si basa comunque sulla
mescolanza dei due. Quando i suoni diventano particolarmente acuti, essi vanno a risuonare nelle
cavità al di sopra della laringe, passando così al registro di testa. Il suono perde forza, ma acquista
sottigliezza e agilità. Una menzione a parte merita la voce di falsetto, che è usata soprattutto dai
tenori per le note acute proprie del registro di testa. Nel XV e nel XVI secolo i falsettisti erano
molto quotati, basti pensare a Farinelli, ed erano usati in teatro in sostituzione delle donne che non
potevano calcare le scene.
5.3 La respirazione
Fondamentale sia per chi canta che per chi dirige è la conoscenza di una corretta respirazione.
La respirazione ci permette di immettere l'aria necessaria al nostro organismo attraverso l'attività dei
polmoni. Esistono tre tipi di respirazione: la diaframmatica, la costale e la clavicolare. Quella
raccomandata a chi canta o suona uno strumento a fiato è la respirazione diaframmatica.
Questo tipo di respirazione all'atto dell'inspirazione coinvolge un muscolo che si chiama diaframma.
Quest'ultimo, in posizione di riposo, assume un aspetto convesso, ma quando i polmoni si
riempiono d'aria nella loro parte più bassa esso si appiattisce. Nel tornare nella sua posizione
originale, il diaframma darà la spinta all’aria per risalire lungo le vie respiratorie e dare vita alla fase
dell’espirazione. Questo tipo di respirazione permette di utilizzare i polmoni per tutta la loro
capienza, fornendo al cantante o al musicista la giusta riserva d’aria per affrontare l’esecuzione di
intere frasi musicali. Essa non è immediatamente familiare agli artisti, per cui per usarla
naturalmente sono necessari dei semplici esercizi di respirazione.
La respirazione clavicolare è tipica degli stati d’ansia e coinvolge solo ed esclusivamente la parte
più alta dei polmoni, riducendo la riserva d’aria che basterà a stento per le normali funzioni fisiche.
La respirazione circolare è usata principalmente dagli strumenti a fiato, consiste nel non
interrompere la colonna d’aria nel corso di un periodo musicale, utilizzando una riserva d’aria
presente nella cavità della bocca.
5.4 L’intonazione
È una delle qualità di cui un buon coro non può fare meno. Insieme al ritmo, si può dire che
l’intonazione sia alla base del bel cantare e di una esecuzione piacevole da ascoltare.
Il coro accompagnato da strumenti, ovvero il coro concertante, in genere non ha grossi problemi
perché i cantori usano l’accompagnamento strumentale come appoggio per l’intonazione. I
problemi possono esserci nel coro a cappella, cioè senza accompagnamento strumentale.
Generalmente, possiamo ricondurre la mancanza di intonazione a vari fattori, non sempre
direttamente collegati alla bravura del coro. Essi sono:
la mancanza di educazione musicale: al coro possono appartenere anche persone che non
hanno studiato musica, ma che cantano in modo amatoriale;
la scarsa fusione: si ha quando un coro è composto da persone che non si conoscono o che
da poco cantano insieme;
gli influssi atmosferici: il coro può esibirsi in ambienti troppo freddi o troppo caldi, o colpi
di freddo possono causare improvvise raucedini;
la stanchezza;
la mancanza di personalità del direttore: un direttore con forte personalità e gesto autoritario,
spronerà anche solo con lo sguardo il suo coro a cantare in maniera intonata e a tempo.
In questa sezione ci occuperemo di come si forma, si educa e si istruisce un coro, compito che tocca
certamente al maestro del coro. È importante sapere che non è fondamentale scegliere il cantante
che abbia una bella voce, quest’ultimi tenderebbero ad emergere sugli altri. Nella scelta delle voci
sarà utile fare una distinzione fra coro concertante e coro a cappella. Un coro concertante avrà
bisogno di più volume e di più estensione perché legato all’esecuzione di brani tratti dal repertorio
sinfonico e melodrammatico. Sarà necessario scegliere cantori con voce squillante e piena. Nel coro
a cappella, poiché legato a repertori madrigalisti, avrà bisogno di voci più agili e gradevoli.
Dovranno essere più dotati musicalmente che vocalmente, perché più impegnativo dal punto di vista
contrappuntistico e armonico.
Ma come vengono selezionati i componenti di un coro? Tramite audizione, alla quale il direttore
presiede. L’esame comprende una prova di solfeggio parlato, un solfeggio cantato, dei vocalizzi.
Nella scelta dei componenti per ciascuna di queste sezioni sarà necessario appurare che il candidato
canti senza sforzo le note contenute entro il rigo della chiave riferita alla sua voce.
Per classificare le voci e suddividere i cantanti in gruppi, sarà necessario far cantare loro dei
vocalizzi. Partendo da una tonalità, bisognerà trasportare gradualmente di mezzo tono sopra il
vocalizzo, fino a raggiungere senza sforzo il limite più acuto. In figura è illustrato un esempio di un
vocalizzo per soprano:
5.5.2 Il coro di voci bianche
Il coro di voci bianche è composto da bambini e bambine che non abbiano ancora attraversato il
periodo della muta della voce, coincidente di norma con la pubertà. È utile fare una distinzione tra il
coro di voci bianche e il coro di bambini. Apparentemente possono sembrare la stessa cosa, ma in
realtà il primo è un coro selezionato, educato istruito in maniera professionale e che si esibisce in
concerti, il secondo, invece, è il coro costituito a scopo didattico nelle scuole dell’insegnante di
musica, che usa questo gruppo a scopi educativi e di socializzazione.
Per quanto riguarda l’estensione delle voci bianche, avremo questi tipi di estensione:
Durante la pubertà la voce dei bambini attraversa un periodo di grande cambiamento, per cui
sarebbe opportuno non esercitarla o metterla sotto pressione con il canto continuo. Nel passato i
bambini con voci particolarmente belle e acute venivano sottoposti a castrazione per fare in modo
che non avvenisse in loro la muta della voce mancata produzione degli ormoni maschili, infatti,
faceva in modo che si sviluppasse in questi cantanti un'estensione vocale eccezionale, che ricopriva
addirittura tre ottave, coprendo i registri di soprano, contralto, tenore e, a volte, anche
di basso. La pratica dell'evirazione dei cantori ebbe origine orientale, ma cominciò a diffondersi in
Europa a partire dal XV secolo, anche se ufficialmente proibita dalla legge. Essa ha due tipi di
origine: una sociale, che prevedeva il divieto per le donne di cantare nelle chiese e la conseguente
necessità di sostituirle nei cori polifonici con voci maschili della stessa estensione, e una
economica, per la quale venivano castrati soprattutto i cantori provenienti da umili famiglie,
che in questo modo potevano guadagnarsi il necessario per vivere con le loro esibizioni. Questa
pratica arrivò fino alla fine del XIX secolo e fece conoscere la popolarità a cantanti come Farinelli,
Ferri, Appiani, Pacchiarotti e Crescentini.
Prima ancora dell'esibizione, c'è tutta una fase di preparazione e istruzione del coro. Istruire un coro
significa non solo insegnare le parti da cantare, ma soprattutto, attraverso il gesto, suggerire il
proprio contributo espressivo all'opera. Proprio per questo l'esibizione di uno stesso coro cambierà a
seconda del direttore che vi sarà davanti, perché ognuno con la propria soggettività e gestualità darà
dei diversi input ai cantori. Il gesto è importantissimo nella direzione: esso non solo fornisce le
informazioni sul ritmo da seguire, ma anche sull'espressione da dare a ciò che si canta. Queste
informazioni vengono fornite dalle mani del direttore: la mano destra suggerirà il ritmo, mentre la
sinistra suggerirà il carattere e l'espressione da dare al pezzo. Non solo le mani aiuteranno il
direttore nella concertazione: anche il solo guardare una azione con un'enfasi particolare potrà
suggerire un modo diverso di cantare.
Molto importanti sono il gesto per l'attacco iniziale e quello per il finale.
Nessun coro sarebbe mai capace di iniziare a cantare insieme, per cui sarà molto importante fornire
un gesto sereno e non precipitato. Sarà importante innanzitutto fermarsi un attimo con le mani a
mezza altezza per ottenere l'attenzione di tutti i cantori. Una volta ottenuto il silenzio e l'attenzione,
si procederà, per un brano che inizia in battere, dando un movimento in levare, che sarà utile per
capire qual è l'andamento del brano da eseguire. Questo gesto in levare sarà utile al coro anche per
prendere fiato a tempo, cioè per capire quale sarà l'andamento che il direttore vuole per il brano da
eseguire. Per fare in modo che l'attacco sia oltremodo chiaro, inoltre, sarà consigliabile al direttore
prendere fiato insieme ai suoi cantori. Questo permetterà l'instaurarsi di una perfetta comunicazione
tra il direttore e il suo coro.
Anche il gesto finale ha la sua importanza. Come, infatti, è fondamentale attaccare insieme, così
sarà altrettanto importante fermarsi allo stesso modo. Per questo alla fine del brano tutti dovranno
guardare il gesto del direttore, che allargando i movimenti delle braccia potrebbe voler indicare un
rallentando prima della chiusura, che sarà ottenuta con una piccola roteazione della mano destra.
Molto importante ai fini dell'esecuzione è sicuramente lo spazio nel quale è posizionato il coro. Sarà
necessario avere un locale adeguato, non troppo piccolo rispetto al numero dei cantori, nel quale
questi possano sentirsi a proprio agio e possano soprattutto avere lo spazio di muoversi e di
respirare adeguatamente. Generalmente, un coro si dispone a semicerchio, con il direttore ben
visibile nel mezzo. Se il coro è molto numeroso, sarà necessario disporlo su due servendosi di
gradini per rialzare la fila posteriore. Nel coro a voci dispari, le voci femminili vanno sempre
posizionate davanti a quelle maschili e devono essere proporzionalmente più numerose.
La disposizione ideale, quindi, del coro a voci dispari sarà questa:
La musica nasce naturalmente-facendola, cantandola-e poi si evolve in un linguaggio formale che è
la notazione musicale. Le radici della notazione, quindi, sono assolutamente pratiche. Non si tratta
di una astrazione teorica ma di un modo concreto e efficace per esprimere le idee musicali con il
minor sforzo possibile.
Il Sequencer MIDI, all’opposto, nasce molto dopo la notazione e come strumento di controllo di
dispositivi hardware (e oggi di strumenti virtuali software). È un modo per registrare e riprodurre
performance nel formato più comprensibile alle macchine. Non agli esseri umani.
Di fatto, tante persone iniziano a fare musica proprio con i software e senza una preparazione
formale. Quindi si accontentano della visualizzazione MIDI, perché comunque assolve alle esigenze
immediate di scrivere o registrare un pezzo e la notazione sembra un’inutile complicazione.
Anche se è senza dubbio possibile scrivere brani anche molto complessi direttamente dentro al
Sequencer, adoperando solo i trattini del MIDI e un mouse o una tastiera questa non è la via più
facile.
Infatti, la maggioranza dei musicisti ha il problema opposto: abituati alla notazione, non riescono a
adattarsi al Sequencer e alla scarna rappresentazione di un brano musicale espresso in formato
MIDI.
L’orchestrazione virtuale è essenzialmente una tecnica di programmazione MIDI grazie alla quale si
realizza un’esecuzione di un brano dove ogni singola parte strumentale viene affidata ad
un’emulazione acustica fornita da una libreria di suoni (le più famose, offrono set completi di
strumenti orchestrali ma non necessariamente od esclusivamente classici). In teoria il
programmatore MIDI potrebbe anche non sapere nulla di orchestrazione o di composizione perché
potrebbe eseguire la virtualizzazione di lavori realizzati da arrangiatori, orchestratori, compositori,
ma in pratica è quasi impossibile svolgere questo mestiere se non si ha una grande conoscenza
organologica (gli strumenti musicali, le loro tecniche e prassi esecutive) e una più che buona dose di
discipline teoriche musicali (teoria, armonia, composizione, orchestrazione).
Esistono diversi settori dove l’orchestrazione virtuale trova ampio utilizzo: l’industria
cinematografica e televisiva, il settore multimediale (soprattutto il game), l’industria musicale
(realizzazione di demo di librerie), la produzione musicale (aggiunta di parti strumentali virtuali in
brani di musica pop, rock, jazz, world, chili, elettronico, ecc.). Essa trova notevole applicazioni
anche nella didattica musicale. In alcuni casi le parti realizzate virtualmente resteranno tali e
saranno quindi trattate poi in audio per essere inserite nella tessitura del brano per ottenere una
perfetta emulazione acustica, in altri saranno poi sostituite da un’esecuzione reale e pertanto
svolgono un ruolo di preascolto o di linea guida. Nella realizzazione delle colonne sonore per il
cinema o la televisione, l’orchestrazione virtuale è ormai una tecnica presente in quasi tutte le
produzioni. Il compositore, i suoi orchestratori ed arrangiatori, realizzano i vari M (ossia i brani
musicali associati alle immagini in precise posizioni di timecode dei vari rulli in cui è suddiviso il
film o la serie televisiva) producendo dei mockup di pre-produzione da far ascoltare al regista o al
direttore di produzione. Quando questi preascolti avranno soddisfatto la produzione o saranno stati
corretti si passerà alla successiva fase della cosiddetta Session score ovvero alla sostituzione di tutte
o alcune delle parti virtuali con la registrazione di musicisti solisti o in varie formazioni.
Durante la realizzazione dei mockup si può procedere in diversi modi a seconda di come è abituato
a lavorare il compositore e il suo staff e le tecnologie musicali utilizzate sono le seguenti:
Si può iniziare da un software notazionale in cui può essere visualizzato anche un file video per la
realizzazione delle parti musicali, esportare tutto verso un sequencer utilizzando il formato midifile
o music XML. Nel sequencer poi verranno programmate ed associate ai vari suoni occorrenti,
trasformate in tracce audio e infine missate e riverberate per il preascolto di produzione.
In alternativa (caso più raro) si inizia direttamente nel sequencer il lavoro di composizione,
orchestrazione e programmazione e in seguito si procede a copiare la sessione, a quantizzare le parti
MIDI e ad inviarle (tramite midifile) al software notazionale per la stesura delle partiture. Questo
modo di lavorare allunga i tempi di preproduzione. La cura e la precisione della programmazione
virtuale dipende da diversi fattori (tra cui il tempo a disposizione per realizzarla) ma principalmente
dal fatto che debba o meno essere poi sostituita da un’esecuzione reale (in quest’ultimo caso risulta
piuttosto inutile arrivare all’emulazione totale, che richiede molto tempo).
FINALE
Finale è considerato da anni il punto di riferimento nel panorama dei programmi di notazione.
Avere a che fare con un'interfaccia utente più comprensibile (e quindi con una terminologia
musicale che non si riferisce più a Ties, Staves, ecc. ma a Legature, Pentagrammi, ecc.) rappresenta
un grosso passo avanti per uno sfruttamento più approfondito e semplificato del programma da
parte dell'utente.
Finale è universalmente considerato come lo "standard" tra i software di notazione e stampa
musicale. Nessun altro programma per la notazione ha una così grande flessibilità. Ogni
problematica relativa alla notazione musicale può essere risolta in diversi modi, sta a voi scegliere
quello che più vi soddisfa
Finale è un programma estremamente vasto pensato per risolvere qualsiasi problema di ordine
musicale. Malgrado ciò non è necessario conoscerne tutte le caratteristiche per poterlo usare, è
sufficiente sapere quanto basta per soddisfare le esigenze del momento; è rassicurante il fatto di
poter contare su risorse praticamente illimitate alle quali potete accedere quando se ne ha
l’esigenza. Finale è un programma di video-notazione musicale compiuterizzato sviluppato della
Make Music e compatibile con piattaforme Window e Machintosh È disponibile in versione
Notepad, Songwriter, Printmusic e Finale. Quest'ultima è la più potente e versatile. I documenti
creati dal software, che sino alla versione 2012 avevano estensione .mus, dalla versione 2014 hanno
estensione .MUSX.; è comunque possibile creare delle copie di backup e di auto-salvataggio con
estensioni che, dalla nuova versione 2014 prendono il nome di .BAKX e .ASVX. L'ultima versione
è Finale 26. Questo programma visualizza il pentagramma sullo schermo dove è possibile inserire
simboli notazionali come note, pause, legature ed altri simboli musicali, tramite tastiera , mouse
, sintyetizzatore e tastierino numerico. L'inserimento può avvenire anche attraverso il canto o il
suono di strumenti musicali, affidando al programma il riconoscimento dell'altezza delle note
eseguite. I simboli musicali (e gli eventuali righi) possono essere totalmente editabili a livello
grafico, per consentire la creazione di partiture musicali anche lontanissime dalla scrittura
tradizionale. Apposite font (alcune in dotazione, altre di terze parti) possono imitare vari tipi di
scrittura o stili di scrittura, ad esempio quella quadrata medievale o quella manuale in uso nel jazz.
Si può anche:
Interagire tra programma e tastiera elettronica per inserire nuovi strumenti e ritmi sul
programma stesso.
Inserire il testo cantato sotto il pentagramma correlato. Il testo verrà conservato nel
documento o esportato in un file di testo.
Scannerizzare partiture attraverso un riconoscitore ottico per ottenere spartiti dalle scansioni
chiamato Smartscore light
Inserire gli accordi in partitura nelle fondamentali convenzioni relative al modo di chiamare
gli accordi; nel programma in inglese manca il sistema in uso in Italia, tuttavia nella versione
localizzata dal distributore italiano è possibile usufruire della possibilità di inserire gli accordi
secondo l'uso nostrano.
Come detto in precedenza, uno dei problemi precipui nella preparazione dei concerti scolastici di
Natale e fine anno è dato dalla scelta dei repertori da proporre agli alunni. La scelta più logica
suggerisce di optare per brani di musica classica per favorirne la conoscenza e la diffusione tra i
giovanissimi, ma vi sono anche docenti che preferiscono cimentarsi nella concertazione di canzoni
di musica leggera e popolare.
C’è da dire che l’amore e la passione che il docente mostra nei confronti del brano proposto si
traspone facilmente agli allievi, i quali, studiandolo, impareranno ad apprezzarlo. E’ importante,
poi, contestualizzare il brano parlandone in classe e inserendolo in un percorso ben preciso.
Al fine di conciliare i diversi gradi di conoscenza dello strumento da parte di ragazzi provenienti da
classi diverse, si può pensare di sdoppiare le parti. Può capitare infatti che non tutti gli alunni siano
in grado di sostenere la pressione e la responsabilità di suonare il tema principale; così, accanto alla
voce che esegue il tema, se ne può inserire una seconda che lo raddoppia all’ottava bassa o che ne
rappresenta una semplificazione. In tal senso si offrirà a tutti i ragazzi, anche a quelli che praticano
lo strumento da pochissimo tempo, la possibilità di esibirsi.
E’ opportuno, ancora, tener conto delle peculiarità proprie di ognuno strumento facente parte
dell’organico. Ad esempio per la chitarra, che si caratterizza per una sonorità esigua, si può pensare
di assegnare un’unica parte suonata da tutti gli alunni così da produrre più volume ed un timbro più
marcato oppure si può ricorrere all’amplificazione. Allo stesso modo, dal momento che nelle
orchestre scolastiche non si dispone in genere di tanti pianoforti, si può adottare la pratica di far
suonare due alunni per strumento facendoli esibire a quattro mani con un alunno che suona la
“mano destra” ed un altro che si diletta con la “mano sinistra”.
Fatta la partitura, il lavoro è solo all’inizio. Entrano ora in scena gli allievi: dopo che sono state
distribuite le parti a tutti gli alunni, si passa allo studio attento nelle singole classi dei vari strumenti,
battuta per battura. E solo dopo che tutti i ragazzi avranno imparato bene le proprie parti, si
organizzano le prove d’insieme.
Le prove d’orchestra, specie per quanto concerne i primi incontri, sono sempre molto faticose per il
fatto che i ragazzi, presi dall’euforia di suonare insieme, si lasciando spesso andare a
comportamenti inadeguati al contesto o fanno comunella tra di loro; è compito del docente che in
quel momento cura la concertazione richiamare tutti all’ordine e cominciare con le prove. Sempre
con riferimento ai primi incontri e più specificamente alle volte in cui si inizia un brano nuovo,
potrà essere necessario far provare i ragazzi a gruppi: essi, infatti, non conoscono gli incastri del
brano, che invece sono ben noti ai docenti che si sono occupati della trascrizione della partitura. Per
cui potrebbe essere utile anche ascoltare quello che suonano gli altri, cosa che certamente risulta più
agevole se si suona pochi alla volta.
Una volta che il pezzo va avanti senza troppe interruzioni dall’inizio alla fine, si dovrà cominciare a
curare la dinamica facendo capire alle singole sezioni quando e come suonare forte o piano, per
permettere alla singola voce di venire fuori dall’insieme dei suoni prodotti. Solo in questo modo si
potrà trovare l’equilibrio delle parti, senza cioè che alcuni strumenti si sentano più degli altri, e
soprattutto si garantirà l’ascolto di un prodotto gradevole all’orecchio.
Alla fine di questo intenso lavoro di concertazione, il brano è pronto per essere eseguito in pubblico,
ma l’aspetto più importante è che gli alunni, attraverso lo studio delle dinamiche, abbiano imparato
quanto sia fondamentale la coesione e la collaborazione di tutti gli elementi affinchè il risultato
finale sia soddisfacente. Dunque, nell’esecuzione di un brano di musica d’insieme, non vi è il più
bravo o il più importante, ma tutti grazie al loro piccolo o grande apporto contribuiscono alla
creazione del prodotto finale. Da ultimo, questa attività ha un grande valore educativo ed accresce
notevolmente l’amicizia tra i componenti del gruppo, facendo in modo che anche i più timidi si
sentano importanti e decisivi nel raggiungimento del risultato finale.
I GRUPPI STRUMENTALI:
Le orchestre variano a seconda del periodo storico : L’orchestra barocca è diversa da quella classica,
quella da camera, quella Sinfonica, quella moderna in quanto varia sia il numero di strumentisti che
per il repertorio.
La musica per Orchestra è scritta sulla partitura, dove vengono incolonnate tutte le voci degli
strumenti coinvolti partendo dal più acuto.
I vari tipi di orchestra sono l’evoluzione storica delle precedenti.
Alla fine del Cinquecento, a Venezia, compaiono le prime formazioni strumentali che si avvicinano
alla moderna concezione di “orchestra”. Dapprima in esse prevalgono gli strumenti a fiato (come
nelle composizioni di Giovanni e Andrea Gabrieli ma nel Seicento si fa ampio uso degli strumenti
ad arco, che al tempo di Bach diventano predominanti.
Nelle prime orchestre anche il clavicembalo ha un ruolo importante perché, insieme alle viole da
gamba (violoncelli), al violone (contrabbasso) e alla dulciana (fagotto), esegue il “basso continuo“,
ovvero l’accompagnamento con note basse. Gli archi si assestano su quattro dimensioni diverse, che
resteranno simili nel corso dei secoli: violino, viola, violoncello e contrabbasso.
Durante tutto il Seicento, dunque, gli archi diventano l’elemento dominante della musica orchestrale
e molti musicisti compongono quasi esclusivamente per essi.
L’orchestra di Luigi XIV, il Re Sole, si chiamava ventiquattro violini del Re, a sottolineare
l’importanza che avevano questi strumenti.
Nelle orchestre barocche, comunque, gli strumenti non sono molto numerosi, all’incirca tra 20 e 30,
perché tutti i musicisti devono poter entrare nelle “camere” (saloni) dei palazzi dei nobili.
I rumorosi strumenti a fiato, seppur presenti, sono considerati secondari perché si preferisce
l’omogeneità timbrica degli archi agli effetti di contrasti timbrici.
L’ORCHESTRA «ROMANTICA»
Nell’Ottocento, i costruttori perfezionano gli strumenti e ne inventano di nuovi, proseguendo il
lavoro iniziato già nella Scuola di Mannheim.
Nell’orchestra romantica aumenta il numero dei legni e gli ottoni, dal suono potente, acquistano
grande importanza, e in molti casi gli vengono affidati degli “Assolo”; Inoltre, si perfezionano gli
strumenti a percussione, come i timpani, e gli strumenti a corde, come l’arpa, che entra
nell’orchestra in maniera stabile, e il contrabbasso, che acquista la sua forma definitiva con 4 o 5
corde d’acciaio. Strumenti nuovi sono invece lo xilofono e i sassofoni, non sempre presenti
nell’orchestra.
Nell’orchestra Wagneriana si potenzia ancora di più la sezione dei fiati impiegando almeno 3
strumenti per ogni famiglia.
L’orchestra sinfonica
Tra Ottocento e Novecento l’orchestra sinfonica si presenta con un organico variabile tra gli ottanta
e i cento esecutori sono introdotti nuovi strumenti come l’arpa, il pianoforte, l’organo, la chitarra,
nella sezione delle percussioni, fanno il loro ingresso, tra gli altri, lo xilofono, il gong e il vibrafono.
Nel Novecento, i compositori appartenenti all’avanguardia sperimentalista introducono in orchestra
anche strumenti elettronici.
L’orchestra sinfonica moderna
L’orchestra sinfonica moderna è il più grande gruppo di musicisti che suonano insieme tanti
strumenti. Può comprendere 80-100 strumentisti, ma anche di più, in funzione delle partitura da
eseguire.
Essa è il punto di arrivo di quel lungo processo di ampliamento e perfezionamento iniziato dalle
piccole formazioni di epoca barocca.
I musicisti sono seduti in semicerchio di fronte al direttore d’orchestra. Gli strumenti dal suono più
potente sono dietro, per produrre un buon bilanciamento del suono.
GI i strumenti più numerosi sono quelli appartenenti alla famiglia degli archi (di solito 60, di cui 32
violini) e appaiono così disposti:
i primi violini (di solito 16) sono nella prima fila e il più bravo violinista (primo violino) è il più
vicino al direttore.
Seguono poi i secondi violini (altri 16) ~ le viole e a destra violoncelli e contrabbassi.
Gli strumenti a fiato sono disposti in più file. nell’arco centrale, mentre gli strumenti a percussione
sono nell’ultima fila in alto: chi li suona deve potersi spostare dai timpani alla grancassa, dallo
xilofono alle campane tubolari, e perciò deve avere spazio.
II direttore d’orchestra
II direttore d’orchestra è il musicista che dirige grandi o piccole formazioni strumentali ponendosi
di fronte agli strumentisti e guidandoli con gesti delle mani. Egli ha compiti importanti, come:
studiare la partitura, cioè l’insieme delle singole parti affidate ai diversi strumenti;
interpretare la musica, cioè fare scelte musicali fondamentali sull’andamento. sulla dinamica
ecc. rispettando le intenzioni del compositore;
Le origini con le prime band erano in genere caratterizzate da una sezione melodica
costituita da cornetta, clarinetto e trombone e da una sezione ritmica con banjo, chitarra e
bassotuba.
1930-1940 (il periodo dello swing) è l’era delle big band di fiati, Orchestra jazz con sezione
fiati composta da più di dieci elementi (trombe, tromboni, sassofoni, clarinetti e a volte
flauti) a cui vanno ad aggiungersi chitarrista (o il banjo), contrabbassista, batterista e
pianista (nell’immagine che segue la disposizione della Big Band);
dalla fine della Seconda guerra mondiale, col Be-bop e successivamente negli anni ’60
col free jazz invece si affermano ensemble più ridotti, dai tre ai cinque
elementi, contrabbassista, batterista, pianista e uno o due fiati.
Nella big band, il direttore d’orchestra si occupa anche dell’arrangiamento dei brani, ossia
dell’adattamento delle varie parti strumentali.
La banda
La banda ha origini molto antiche ed è tuttora un’importante formazione musicale sia come banda
militare marciante sia come banda cittadina o municipale. Le bande accompagnano eventi pubblici,
militari, civili e religiosi.
È un gruppo strumentale composto da un numero variabile di strumenti a fiato, a seconda se si è di
fronte a una banda da parata (le esibizioni si svolgono all’aperto e in movimento) o ad una Banda da
concerto detta anche orchestra di fiati o banda sinfonica (si esibisce sul palco e non sfila).
Molte sono le bande che fanno il doppio servizio (di seguito la disposizione della banda in parata)
L’organico di una banda da parata è costituito da: ottavino, flauto, clarinetti, oboe, sassofoni,
trombe, tromboni, flicorni (con varie estensioni soprano, contralto, tenore, baritono, basso e
contrabbasso), tube o sousaphone (strumenti tipicamente americani e sono tube con grandi campane
che si arrotolano attorno al corpo; prendono il nome dal compositore americano John Philip Sousa
che li ha inventati). In pratica, usa quelli più pratici da trasportare, poiché le esibizioni si svolgono
spesso all’aperto e in movimento.
La Banda da concerto detta anche orchestra di fiati o banda sinfonica è una formazione che si
esibisce su un palco e non sfila. Il suo organico comprende gli strumenti a fiato propri della banda
da parata integrati con altri strumenti più scomodi da suonare in movimento. L’integrazione
principale è, indiscutibilmente, nella sezione delle percussioni con i timpani, le campane tubolari, il
gong, e a volte anche glockenspiel, xilofono, vibrafono, e la batteria.
Il repertorio tipicamente bandistico prevede soprattutto marce militari (in 2/4 o 6/8)
o sinfoniche (solitamente in 4/4) e brani come inni e canti popolari, ma alcune bande eseguono
anche brani di musica classica, riduzioni di opere liriche, brani di musica leggera, musica da film e
classici del jazz.
La tradizione bandistica italiana ha goduto del favore di molti tra i nomi più famosi dell’Ottocento
musicale italiano, come Giuseppe Verdi, Amilcare Ponchielli e Pietro Mascagni, autori che hanno
ricoperto il ruolo di maestro di banda e hanno composto per banda.
Il gruppo rock
La formazione rock più tipica è quella costituita da due chitarre elettriche, una delle quali con il
ruolo da solista, un basso elettrico e la batteria.
A questo nucleo ”di base” si possono però aggiungere altri strumenti, come per esempio una sezione
di strumenti a fiato, costituita da tromba, sassofono e trombone, tipica del genere rhythm and blues.
Con il progresso tecnologico, vari strumenti elettronici (organo, sintetizzatori e strumenti a tastiera
in genere) hanno ulteriormente arricchito le formazioni rock.
Nell’ambito del rock sperimentale e ”progressivo” alcuni strumenti tradizionali, come il violino o il
flauto, hanno talvolta affiancato gli strumenti elettrici offrendo soluzioni timbriche del tutto inedite
e singolari.
PUNTO 14
“Competenze nella progettazione e realizzazione di
eventi sonori che integrino anche altre forme artistiche”
n.1
Le vibrazioni sonore possono essere prodotte da materiali diversi. Ecco alcuni esempi: - la vibrazione
dell’aria (ad esempio in tutti gli strumenti a fiato) - l’acqua (il rumore delle onde) - il legno (ad esempio
quando percuoto dei legnetti o uno xilofono) - la terra (anche il terremoto produce un rumore!) - le
corde vocali (nel caso della voce umana) - le leghe metalliche (ad esempio nel caso del gong).
Le vibrazioni sonore
I suoni e rumori non sono altro che vibrazioni sonore; queste sono delle onde che si propagano
esattamente come le onde del mare. Le onde sonore si possono propagare sia nell’aria, sia
nell’acqua, sia nei materiali solidi. Un esempio: quando suono una chitarra, vado a pizzicare le sue
corde. Mettendo in movimento le corde, esse cominciano ad oscillare, a vibrare. La loro vibrazione si
propaga nell’aria, giungendo fino al nostro orecchio, che percepisce dunque un suono.
Secondo l’acustica, la scienza che studia i fenomeni sonori, la differenza tra suono e rumore è data
dal tipo di vibrazioni sonore. La differenza tra suono e rumore NON consiste in: Suono = evento
sonoro gradevole Rumore = evento sonoro sgradevole, se le vibrazioni sonore sono irregolari allora
possiamo parlare di RUMORE. Il nostro orecchio non riuscirà a percepire un’altezza determinata. Se
le vibrazioni sonore sono regolari allora possiamo parlare di SUONO.
“Rumori musicali” Ormai è superata l’idea che solo i suoni possano essere utilizzati per fare musica.
Anche i rumori possono assumere significati musicali (pensiamo ad esempio ai rumori prodotti dalla
batteria).
Il fenomeno sonoro
Potremmo semplicemente dire che un fenomeno sonoro è "ciò che sentiamo" (o sarebbe meglio dire
ascoltiamo). Questa definizione sembra eccessivamente debole (il fenomeno sonoro esiste anche
quando non siamo lì a percepirlo?) ma ha il pregio, nella sua generalità, di mettere in evidenza
quattro fasi da cui pensiamo esso sia sempre costituito:
1. produzione di onde meccaniche ad opera di una sorgente che vibra detta sorgente sonora.
Esempi di sorgenti sonore sono:
○ gli strumenti musicali in cui la parte vibrante può essere una corda percossa (come
nel pianoforte) o strofinata con un archetto (come nel violino), una membrana, una
barra, un piatto percosso (come nelle percussioni), o una colonna d'aria la cui
vibrazione è comandata del fiato dello strumentista (come negli strumenti a fiato)
○ le nostre corde vocali che sono fatte vibrare dall'aria che esce dai polmoni e danno
origine alla voce;
○ qualunque fenomeno che provoca uno "spostamento d'aria" (il battito di ali di un
colibrì, un aereo che abbatte la barriera supersonica, una bomba che esplode, un
martello che batte su di un'incudine...) avente caratteristiche fisiche opportune (non
ogni spostamento d'aria viene poi da noi "sentito" come evento sonoro;
propagazione delle onde attraverso un mezzo elastico (di solito l'aria); tale
propagazione è il fenomeno ondulatorio vero e proprio e verrà d'ora in poi chiamato
onda sonora;
3. elaborazione del segnale trasformato (in genere in impulsi elettrochimici) da parte del
cervello.
Ciò che rende particolarmente interessante e, allo stesso tempo complesso lo studio del mondo dei
suoni è il fatto che in esso si intrecciano strettamente parametri oggettivi e soggettivi.
● Parametri oggettivi sono le grandezze fisiche che descrivono le vibrazioni delle sorgenti
sonore e che caratterizzano l'onda sonora e la sua propagazione. Sono proprietà dell'onda
sonora indipendenti dall'ascoltatore. Ne sono esempio la frequenza, la lunghezza d'onda, la
velocità di propagazione, ecc.
Nonostante il carattere soggettivo della singola percezione, lo studio del fenomeno sonoro in tutte le
sue quattro fasi ci porta a cercare di caratterizzare meglio sia i parametri fisici che quelli percettivi, e,
possibilmente, a collegarli tra loro. Anche se il sogno più riduzionista del fisico è quello di "spiegare"
tutte le qualità del fenomeno sonoro in termini di sole grandezze oggettive e misurabili, si tratta di un
campo in cui moltissime sono le risposte parziali e problemi aperti, tuttora oggetto di studio, e per
questo esso è tanto più affascinante.
Iniziamo a studiare, in questa pagina, la seconda fase, cioè quella relativa alla caratterizzazione di ciò
che chiamiamo onda sonora.
In fisica un'onda è una perturbazione che si propaga nello spazio e che può trasportare energia da un
punto all'altro tramite la variazione di una grandezza fisica (si veda la pagina cos'è un'onda). L'onda
sonora è un particolare tipo di onda in cui la perturbazione è la variazione di pressione indotta dal
corpo vibrante nel mezzo circostante (di solito l'aria). Tale variazione di pressione è in grado di
propagarsi nel mezzo come una successione di rarefazioni e condensazioni (cioè di variazioni di
densità). L'animazione seguente mostra ciò che accade nel caso in cui il corpo vibrante sia una
parete mobile messa in oscillazione mediante un motore e un pistone
Sono evidenti le zone di rarefazione e quelle di addensamento delle molecole, e si nota che ciò che
"avanza" è il fronte d'onda, cioè la compressione del mezzo, e non le molecole d'aria che
subiscono solo piccoli spostamenti attorno a punti di equilibrio fissi, come mostra la molecola di
riferimento evidenziata in rosso
1. Si vede che la densità dell'aria, localmente, viene modificata ma le particelle oscillano attorno
ad una posizione di equilibrio ma non vengono trasportate lontano come se si trovassero in
una corrente;
3. Come si vede, l'oscillazione locale delle molecole avviene nella stessa direzione di
propagazione dell'onda: tecnicamente si dice che l'onda sonora è un'onda longitudinale.
Se ci concentriamo sul mezzo possiamo, punto per punto nello spazio, e istante per istante nel
tempo, misurare:
● lo spostamento delle molecole d'aria dalla loro posizione di equilibrio, e la loro velocità .
Avremo in tal caso "un campo di spostamenti" e "un campo di velocità".).
Proprietà dell'onda
Tuttavia, se focalizziamo la nostra attenzione sull'onda, anziché sul mezzo in cui essa si propaga,
osservando l'animazione, potremo misurare, ad esempio
● il periodo T della perturbazione, che è il tempo che intercorre tra l'istante in cui, in un punto
prefissato, si verifica la massima pressione e l'istante in cui questa situazione si verifica
nuovamente nello stesso punto; più semplicemente, nel caso della molecola di riferimento, è
il tempo che essa impiega a compiere un'oscillazione completa attorno alla sua posizione di
equilibrio.
● la frequenza dell'onda, cioè il numero di volte in cui avviene l'oscillazione di una molecola,
nell'unità di tempo;
● la lunghezza d'onda : la distanza che intercorre, in un certo istante, tra due zone consecutive
di maggior addensamento (zone scure), zone nelle quali la pressione acustica è massima;
● l'ampiezza dell'oscillazione, cioè lo spostamento massimo delle molecole rispetto alla loro
condizione di riposo; scopriremo che essa è strettamente legata al massimo valore che può
raggiungere la pressione acustica;
● la velocità con cui la perturbazione avanza nel mezzo, come rapporto tra e T. Si noti che
questa velocità non coincide affatto con la velocità con cui si muovono le singole molecole.
…
n.2
La produzione di un film costituisce un vero e proprio spettacolo che vede accomunate tutte le facoltà sensoriali
e che, per ciò stesso , costituisce la fusione di immagine, parola e musica. Ognuna di queste 3 componenti
aggiunge allo spettacolo un valore semantico senza il quale il film non avrebbe ragion d’essere; l’immagine
senza il testo parlato o senza la musica penalizzerebbe la percezione finale del messaggio che il regista
intendeva veicolare; infatti, il testo e la musica -con il proprio valore espressivo ed informativo- arricchiscono
l’immagine conferendo alla stessa una sorta di valore aggiunto. Per quanto riguarda il valore aggiunto dal testo, è
indubbiamente questi a calamitare l’attenzione dello spettatore, a strutturare la visione ed ad inquadrarla
rigorosamente. Quando ci sono voci in mezzo ad altri suoni e/o rumori) (musica, soffio del vento etc.)
l’ascoltatore le isola e le attenziona.
Per quanto riguarda il valore aggiunto all’immagine dalla musica quest’ultima attraverso il ritmo, il tono, il
fraseggio più adatti comunica in modo empatico e diretto le emozioni sulla scena; anzi, la musica attraverso
l’orecchio condiziona più in fretta dell’occhio la percezione del tempo delle immagini soprattutto se in movimento.
Si parla in tal senso di: a) animazione temporale dell’immagine ove la percezione del tempo dell’immagine è resa
dal suono più immediata, dettagliata e concreta ovvero più vaga e fluttuante; b) linearizzazione temporale dei
piani ove la sincronizzazione del sonoro con le immagini impone un’idea di successione che
manca nel cinema muto; c) vettorializzazione o drammatizzazione dei piani con la creazione di un sentimento di
attesa ed imminenza. Ciò comporta che se per es. l’immagine è fissa il suono è in grado di inserirla in una sua
temporalità che lo stesso introduce; se l’immagine ha una animazione temporale la temporalità del suono si
combina con quella già esistente dell’immagine. Così un suono uniforme, continuo e misto ad un ritmo
regolarmente scandito (come ad es. un basso continuo) si combina bene con un’animazione temporale quasi
statica e prevedibile rispetto a quella creata da un suono, discontinuo, irregolare che crea allarme all’ascolto.
Quindi la progettazione e realizzazione di una “pellicola cinematografica” diventa cronografica perché la
successione delle immagini è inserito nell’arco temporale dai suoni che non resteranno in secondo piano ma
costituiscono parte essenziale della pellicola stessa.
Ora mentre l’immagine nel cinema rappresenta il contenitore -ossia un quadro percettibile e visibile allo
spettatore perché delimitato ai suoi quattro lati- e calamita i suoni come cioè se il suono provenisse dallo
schermo e fosse collegato automaticamente alla scena o alla immagine proiettata anche se poi di fatto la traccia
sonora viene da tutt’altra parte -ed in questo caso si parla di ascolto visualizzato cioè accompagnato dalla causa
sorgente-, per il suono che è anche il contenuto di un’immagine, il discorso è invece un po’ diverso . Infatti, il
suono può non essere legato ad alcuna immagine (come quello ascoltato dalla radio) e si parla in tal caso di
suono acusmatico perché si sente senza vedere la causa originaria del suono. Peraltro, si distingue tra suono in
e suono off rinvenendosi la differenza nel fatto che nel primo la sorgente sonora appare nell’immagine (banda
che suona) e correlata alla situazione evocata mentre nel secondo la sorgente non solo è assente dall’immagine
ma situata in un altro tempo e luogo rispetto alla situazione evocata.
Inoltre, se la musica accentua le impressioni suggerite dallo schermo siamo di fronte a un uso convergente
della musica (sincronismo) mentre quando la musica è chiaramente in contrasto con ciò che la scena mostra si
parla di uso divergente della musica (asincronismo). Ora, l'uso convergente della musica è sicuramente più
frequente: il commento sonoro in genere sottolinea elementi presenti sulla scena e amplifica le emozioni
suggerite dalle immagini. Meno frequente e più complesso, l'uso divergente della musica può invece dar luogo a
risultati espressivi più interessanti proprio perché meno prevedibili. Infatti il conflitto fra musica e immagine
sollecita lo spettatore a un'interpretazione meno scontata e più problematica, portandolo a riflettere su aspetti
meno evidenti della storia raccontata.
I principali obiettivi che la musica deve conseguire nella realizzazione di una pellicola sono:
Sottolineare con discrezione ciò che le immagini dicono, esprimendo musicalmente il ritmo e
i movimenti delle scene;
Esprimere i sentimenti dei personaggi per far vivere allo spettatore le stesse emozioni del
protagonista;
Contestualizzare l’immagine fornendo ulteriori indizi sul luogo e sul tempo in cui si svolge
la scena;
Definire il carattere di un personaggio;
Anticipare gli avvenimenti successivi facendo prevedere allo spettatore quello che succederà
di lì a poco;
Prolungare l’azione precedente, in modo da consentire allo spettatore di continuare ad assaporare
gioie e malinconie;
Rievocare qualcosa che appartiene al passato o a un luogo lontano;
Contrastare le immagini evocando situazioni o sentimenti in contrasto con le immagini;
Collegare diverse scene, apparentemente separate l’una dall’altra.
Secondo Kandinsky il colore era per “un mezzo per influenzare direttamente l’anima. Il colore è il tasto. L’occhio
è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa
vibrare l’anima”. Kandinsky affermava: <<Presta le tue orecchie alla musica, apri gli occhi alla pittura, e ... smetti
di pensare! Chiediti solamente se lo sforzo ti ha permesso di passeggiare all'interno di un mondo fin qui
sconosciuto. Se la risposta è sì, che cosa vuoi di più?>> . Così Athanasius Kircher: <<Se durante un concerto
avessimo la possibilità di osservare l’aria, mentre vibra simultaneamente influenzata dalle voci e dagli strumenti,
con grande stupore vedremmo colori organizzarsi e muoversi in essa>>
Esiste sicuramente una rapporto tra il suono ed con il colore. Quando parliamo di questo rapporto il riferimento è
al fenomeno della sinestesia (dal greco συν-αισθάνομαι: percepire insieme). Infatti, lo studio del fenomeno
sinestetico -oggi definibile attraverso un preciso protocollo scientifico fatto di test accurati attraverso l’utilizzo di
apparecchi tecnologici avanzati e di analisi psicologiche specifiche- ha il suo vero e proprio inizio nel 1980,
anno in cui vengono effettuati studi neurofisiologici su soggetti sinestetici secondo cui in concomitanza di
esperienze sinestetiche, il cervello attiva contemporaneamente aree sensoriali differenti con la conseguenza, ad
esempio, che le zone adibite alla percezione uditiva si attivino contemporaneamente a quelle visive o olfattive,
consentendo una sorta di doppia percezione dello stimolo normalmente percepito ed analizzato da un senso
solo. Già i Greci costruirono una scala di colori divisa in sette parti in analogia con le sette note della scala
musicale e i sette pianeti conosciuti e la stessa teoria aristotelica del colore è stata considerata valida fino al XVII
secolo. Anche il lavoro artistico di Debussy, Skrjabin, Shoenberg Rimsky-Korsakov, Schoenberg, Webern,
Milhaud, Stravinsky, Xenakis -ove la musica si muove in direzione del colore- così come il lavoro astrattista di
Klee e di Kandinsky, il futurismo di Pratella, Russolo e Carrà ed il cubismo di Picasso e Braque -ove il lavoro
pittorico si muove verso la musica- dimostrano a pieno titolo questo stretto legame. Ci sono stati, inoltre, anche
artisti che hanno diretto la loro attenzione verso l’utilizzo della luce come strumento d’elezione per poter
interagire con la musica. L’utilizzo della luce, la possibilità di sovrapporre forme e colori in modo sempre nuovo e
diverso, la possibilità di imprimere a questi elementi il movimento grazie all’utilizzo degli strumenti per la
proiezione delle immagini, tutto questo ha contribuito in modo fondamentale a superare le difficoltà intrinseche
della pittura di esprimere non tanto dei concetti legati alla musica, quanto la capacità della musica stessa di
trasformarsi continuamente in un dato lasso di tempo. D’ora in poi la storia della musica visuale viene fatta in
gran parte dal cinema o dall’utilizzo dei mezzi cinematografici in chiave musicale.
Oggi la tendenza ad unire fortemente le due arti sembra scontata, ma è stato grazie alla presenza di certe
influenti figure sia nel panorama musicale che in quello pittorico che la tematica ha prodotto forti risultati fino ai
nostri giorni. Si arriva in questa maniera a stabilire due importanti punti
1) Questa unione che vede le due realtà artistiche -pittura e suono/musica- naturalmente abbracciate per la
creazione di atmosfere, spazi irreali e nuove realtà immaginative risulta essere ampiamente attestata nelle opere
d’arte dei maggiori artisti performativi (come Marina Abramovic), nelle videoinstallazioni, negli esperimenti di
visual e videomapping di artisti contemporanei;
2) Le due arti sono state rese l’una la conseguenza dell’altra per aumentare il senso di ispirazione, di creatività e
di allontanamento dal rigore. Oggi l’ascolto della musica avviene di pari passo allo sviluppo pratico delle opere
artistiche, ci si allena alla percezione dei colori e dei suoni ma anche al sapere la corrispondenza tra il suono e il
colore. Certi medium come televisione, pc e nuovi programmi permettono in maniera più aperta di guardare/
ascoltare il mondo con nuovi occhi e nuove orecchie. Questo utilizzo continuo delle due arti è divenuto
indispensabile anche nella formazione scolastica sin dalla prima infanzia, con programmi serrati di ascolto della
musica contemporanea e non, e l’utilizzo parallelo dei diversi mezzi espressivi del colore. Tra gli obiettivi
principali di una progettazione e realizzazione di una commistione tra le due forme d’arte emergono con
evidenza lo sviluppo di una creatività senza eguali, il miglioramento della conduzione della propria esistenza e la
possibilità di conoscere meglio se stessi.
Premessa
L’arte , in ogni sua manifestazione, è la più alta espressione umana di creatività e di fantasia, ed è l’unico
momento che permette all’uomo di esteriorizzare la propria interiorità. La tensione umana a rappresentare i
propri impulsi è antichissima e se ne trova testimonianza persino nelle grotte preistoriche. Inizialmente essa servì
a conoscere la realtà attraverso la rappresentazione: l’uomo percepisce il mondo circostante e lo interpreta
facendosene un’ idea. Le prime figurazioni artistiche del mondo preistorico costituiscono la base dei due
linguaggi artistici più immediatamente intellegibili e più istintivamente comunicabili: la musica , originata dalla
percussione degli oggetti, e la pittura, ottenuta dall’incisione di materiale rupestre con rozzi utensili. Prima e al di
là della differenziazione dei metodi e del linguaggio artistico, esiste un codice comunicativo dell’arte che è
universale, perché fondato sulla ricezione di sentimenti e passioni traducibili senza la specifica conoscenza
tecnica dei moduli narrativi. Questa lingua lega passato, presente e futuro per mezzo di un sentimento insito in
tutti gli uomini di tutte le epoche storiche e di qualsivoglia collocazione geografica; è il canto corale del desiderio
di amore e della paura della morte, dell’anelito alla pace e dell’istinto guerresco, della fame, della paura e della
solitudine. Esplorare le modalità espressive primigenie della pittura e della musica significa cogliere l’afflato
universale che originariamente accostava l’uomo al proprio simile, prima che l’evoluzione storica costruisse le
barriere del linguaggio, degli stati, e delle diverse culture. Vuole dire anche racchiudere in un unico significato le
diverse modalità espressive ed i mezzi comunicativi propri di ogni attività artistica, stimolando negli alunni un
approccio sensibile e privo di riserve a qualsivoglia opera, sia essa musicale, pittorica, scultorea o letteraria.
Significa, infine, insegnare loro che esiste una lingua primigenia e astorica, il linguaggio del sentimento e dello
spirito, una lingua che tutti i popoli intendevano tanto tempo fa e intendono ancora ora, nel tempo in cui un’altra
lingua, prodotta dalla differenziazione delle Nazioni, li ha divisi per sempre.
Scopi e finalita’ del progetto L’iniziativa si propone di sondare le assonanze tra i linguaggi comunicativi della
pittura e della musica, al fine di infondere nell’alunno una conoscenza seppur rudimentale delle tecniche
espressive tipiche di queste due arti. Così facendo, si vuole ricondurre le specificità del linguaggio musicale e di
quello figurativo ad un’unica matrice, rilevando le assonanze fra le unità di misura dei due codici espressivi : la
nota musicale ed il colore. In tal modo, si cercherà di rendere partecipe l’alunno dell’originario istinto che ha dato
vita all’espressione artistica, ovvero la comunicazione di un sentimento. Insieme, si cercherà di avvicinare gli
alunni da un lato alla specificità del linguaggio professionalmente specializzato dell’opera d’arte, cogliendone le
sfumature che connotano ogni creazione, dall’altro di ricondurre le diversità di raffigurazione sia visiva che
musicale al bisogno principe dell’essere umano di comunicare con il proprio simile. La musica infatti è costituita,
più e meglio delle altre arti, da un linguaggio universale e racchiude la proprietà di unire i popoli, pur nelle sue
diverse modulazioni, così come la pittura racchiude il potere evocativo delle immagini.
Nell’attuale mondo, globalizzato economicamente ma egoisticamente racchiuso nella protezione dei propri
privilegi, è parso significativo fornire ai futuri cittadini uno strumento di riflessione circa la matrice comune a tutti i
popoli, su ciò che li affratella e li accompagna nel cammino che essi compiano verso la ricerca della felicità e
della dignità della propria esistenza. Il progetto si pone come obiettivo sia di creare un percorso di
avvicinamento, di decodificazione e di conoscenza dell’arte intesa quale spinta all’elevazione spirituale
dell’essere umano, sia di riconoscere nella comunicazione espressiva trasfusa nell’opera d’arte i sentimenti, le
passioni e i bisogni universali dell’umanità, in questo ambito unita dal partecipe linguaggio e non separata dai
confini culturali ed economici. L’arte, quindi, intesa come mezzo per scardinare le barriere poste a difesa di
interessi individuali e tornaconti economici, grimaldello che scardina i portoni di ferro ed i fili spinati che l’uomo
ignaro della bellezza artistica continua a costruire.
L’azione progettuale consisterà in un itinerario storico, grafico e musicale con il quale l’alunno verrà invitato a
cogliere i nessi fra le due arti, partendo dalla iniziale constatazione della apparente diversità che differenzia le
due modalità espressive. La pittura, infatti, è formata da colori, linee e forme, la musica invece da suoni. A
questa istintiva e incontestabile divergenza si opporrà, con lo sviluppo del progetto, un processo di ricerca di
affinità sia di scopi, ma anche di linguaggi e di modalità espressive, che i ragazzi verranno invitati a riconoscere.
Si prenderà le mosse dal termine di “composizione”, che indica la collocazione di elementi nello spazio all’interno
del campo visivo; in musica la composizione è la disposizione di note, pause e tempi all’interno della partitura. La
scrittura musicale è un codice che si è evoluto nel tempo, i cui elementi primari sono altezza, durata, intensità e
timbro, mentre quelli secondari linee, segni, parole, abbreviazioni, numeri e segni grafici. Si prenderanno in
esame le notazioni alfabetiche greche che costituiscono la prima forma di antica scrittura musicale , ove i suoni
venivano rappresentati attraverso lettere dell’alfabeto, e si farà notare come successivamente e
progressivamente sono stati adottati i segni sonori fino ad arrivare all’odierno pentagramma. Per quanto
riguarda la pittura, si farà notare come essa nel Medioevo non venisse neppure menzionata tra le arti, al
contrario della musica , che sin dall’antichità occupò un posto di rilievo. Si addiverrà poi alla teoria, formatasi nei
secoli compresi tra il XV ed il XVII, che tra le arti alcune di esse (pittura, scultura, poesia, musica e danza)
occupassero una posizione particolare, costituendo un gruppo autonomo.
Nello studio delle opere grafiche, gli autori potranno essere divisi in due gruppi, i primi dei quali hanno iniziato a
rappresentare graficamente la musica, mentre i secondi si sono spinti a creare un linguaggio pittorico il più vicino
possibile a quello musicale.
Il segno pittorico, come la musica o la scrittura, contrassegna una appartenenza stanziale rispetto ad un
territorio culturale prima che geografico accomunando nel contempo tutti gli uomini rispetto ai contenuti. Così i
bambini imparano la diversità dei mezzi espressivi e l'uguaglianza e la parità nei confronti delle culture. L'Arte, è
uno dei linguaggi universali trasversale a tutte le culture ed accomuna tutti i popoli; per sua natura, veicolando
tesori di emotività, è stata sempre un fattore di socializzazione ed un principio fondante del dialogo, poiché essa
ha sempre avuto come centro del suo essere, l’umano e le umane esperienze. Un linguaggio di cui il mondo ha
sempre più bisogno.
La dimensione interculturale del progetto si ravvisa negli effetti concreti che riesce a realizzare in relazione al
sistema di relazioni tra gli individui di diverse estrazioni; da un’arte che parla degli altri ad un’ arte che parla con
gli altri, un’arte il cui obiettivo sia quello di creare un dialogo tra persone di diverse età, culture, generi, mondi.
Educare all'arte attraverso la scoperta delle opere degli artisti promuove e sensibilizza nel bambino
l'avvicinamento ai beni culturali presenti nell'ambiente: l'arte è intesa come ambito privilegiato di ricerca. Scoprire
l'arte è stare in bilico tra il noto e l'ignoto, è vivere il fermento e la suspense tipici di ogni processo creativo. L'arte,
come risultato di progetto e caso, di regola e libertà, di tradizione e trasgressione, costituisce un'eccezionale
opportunità formativa ed educativa, contribuendo alla costruzione dell'identità personale e culturale del bambino.
I bambini sono portati ad esprimere con immaginazione e creatività le loro emozioni ed i loro pensieri : l'arte
orienta questa propensione, educa al sentire estetico e al piacere del bello, favorisce lo sviluppo delle capacità
necessarie per imparare a leggere le proprie emozioni e a gestirle, per rappresentarsi obiettivi non immediati e
perseguirli. Con l'educazione all'arte e all'immagine, soprattutto attraverso un approccio di tipo laboratoriale,
l'alunno sviluppa le capacità di osservare e descrivere , di leggere e comprendere criticamente le opere d'arte .In
questo itinerario formativo la presenza degli insegnanti è indispensabile, poichè hanno la possibilità di vivere
accanto ai bambini in situazioni di particolare apprendimento, imparando così a valorizzare nuove capacità e talenti che
potrebbero non emergere in altre situazioni di studio astratto e teorico; inoltre, essendone coinvolti, viene loro offerta
la possibilità di arricchire la propria esperienza ed il proprio rapporto con l'arte. In questa ottica, avvalendosi del
contributo dell'esperta, l'educazione all'immagine diviene opportunità di formazione e di aggiornamento agli insegnanti,
nel sostenere l'educazione all'arte dei giovani adulti di domani, fin dalla prima età.
Il progetto di laboratorio artistico ha come obiettivo formativo l' accelerazione ed il consolidamento, dello
sviluppo dell'apprendimento nel processo cognitivo dell'età evolutiva del bambino, mediante l'indagine del
linguaggio visuale, proprio del “segno”, in relazione all'uso della parola-testo e dell'immagine.
Attraverso l’esperienza del laboratorio si educa all’arte in un processo di sperimentazione che è centrato sul
“creare”, fatto di emozioni e di interazioni, le quali , conseguentemente stimolano e favoriscono nei bambini,
anche un apprendimento di tipo nozionistico, storico e filologico; poiché è attraverso l'esperienza dell'arte, che si
sviluppano le proprie potenzialità espressive e la propria capacità di concentrazione e di relazione. L’approccio di
tipo estetico perseguito, riconosce l’opera d’arte non solo come testo, ma come pre-testo, e caratterizza il
laboratorio, come luogo del fare e del pensare: immette nei processi intellettivi e creativi dei bambini, idee,
simboli, schemi propri del linguaggio artistico e fornisce loro strumenti di osservazione ed elaborazione verso il
mondo circostante.
L'opera d'arte diviene così materiale didattico prezioso e insostituibile per sensibilizzare, alfabetizzare, costruire
l'immaginario; nutre di interessi e curiosità i bambini affinché si attivino in loro sempre desideri e bisogni di
conoscersi, per meglio adattarsi all'ambiente e per meglio appropriarsene: scoprendosi e nel portar dentro e far
proprio per “com-prendere”, comprendersi. Attraverso il lavoro di gruppo, il bambino, confrontandosi coi suoi
compagni, memorizza più dati possibili, nei limiti delle sue capacità, sviluppando la propria immaginazione. La
condivisione della stessa attività gli consente di esplorare, conoscere, progettare più relazioni, quindi acquisisce
strumenti che gli permetteranno di affrontare i propri problemi per risolverli, ogni volta che gli si presenteranno.
Incoraggiati verso la sperimentazione e la progettualità, gli allievi sono sollecitati a pensare, realizzare e valutare
le attività vissute in modo condiviso e partecipato con altri. L’attività laboratoriale potenzia la creazione infantile,
ravvisandone il pregio non già nel risultato finale del prodotto, ma nel suo stesso processo. Importante non è
quel che i bambini hanno creato, importante è che essi creino, diano forma, si esercitino nell’immaginazione
creatrice e nel modo di dare corpo a quest’ultima , affinché abbiano sempre la sensazione di “essere guidati”
nell'esperienza del gioco, il quale coinvolgendoli diventa solo per sé stessi, poiché da questo ne sono
intimamente presi essendone loro il centro.
Per far si che la disciplina dell'educazione all'arte e all'immagine contribuisca allo sviluppo di tutti gli aspetti della
personalità dell'alunno, è necessario che l’ apprendimento sia realizzato e perseguito, mediante il potenziamento
dei nuclei costitutivi del suo impianto strutturale scientifico, epistemologico: sensoriale (sviluppo delle dimensioni:
tattile, olfattiva, uditiva, visiva, intesa come vedere-osservare); linguistico-comunicativo ( il messaggio visivo, i
segni dei codici iconici e non iconici, le funzioni etc.); storico-culturale ( l'arte come documento per comprendere
la storia, la società, la cultura, la religione di un epoca).
Indicatori generali e obiettivi specifici
Il conoscere la grammatica delle immagini, attraverso l'osservazione delle opere d'arte, ci permetterà di individuare i
diversi elementi che compongono il linguaggio visuale, quali:
gli elementi concettuali geometrici (segno, punto, linea, superficie, volume),
gli elementi visivi (forma, direzione, colore, texture),
gli elementi compositivi (posizione, ritmo, direzione, peso, simmetria),
gli elementi estetici e funzionali (soggetto, funzione, significato).
Cogliendo la peculiare combinazione delle possibili relazioni esistenti tra i vari elementi, avremo una “mappa
concettuale”, che ci consentirà di comprendere i diversi artisti, discernendone il loro stile, che ne diviene manufatto e
testo visivo.
Il progetto ha come obiettivo:
- usare la gamma cromatica e i cromatismi
- inventare composizioni cromatiche
- osservare, leggere e interpretare un’immagine artistica o un’opera d’arte
- cogliere la funzione espressiva di un’opera d’arte
Lo scopo ultimo del laboratorio e riuscire a comprendere che non è importante quanto siamo in grado di
avvicinarci alla rappresentazione fedele del reale, ma quanto siamo abili nell'esprimere l'essenza del soggetto
scelto. Non esiste una realtà uguale per tutti e di conseguenza le sue rappresentazioni saranno infinite e
soggettive
Finalità :
1.Favorire un nuovo approccio al mondo degli eventi sonori che superi gli atteggiamenti di ascolto ed esecuzione
passiva
2. Conoscenza funzionale della musica, la comprensione del suo uso, dei suoi scopi e dei suoi significati per un
processo di consapevolezza degli eventi sonori
3. Acquisizione di competenze di manipolazione, scomposizione, modifica e
ricostruzione del materiale multimediale
4. Collegare la specificità musicale alla generalità dei sistemi di comunicazione
5. Progettare e sperimentare attività didattiche utilizzando prodotti multimediali o tecnologie digitali specifiche
6. Progettare/realizzare eventi sonori che integrino altre forme artistiche, quali danza, teatro, arti visive e
multimediali.
7. Responsabilizzare verso le massificazioni e mistificazioni dei media particolarmente influenti su soggetti di
questa età.
8. Accedere alle risorse musicali presenti in rete e utilizzare software specifici per
elaborazioni sonore e musicali.
9. Ideare e realizzare, anche attraverso l’improvvisazione o partecipando a processi di
elaborazione collettiva, messaggi musicali e multimediali, nel confronto critico con
modelli appartenenti al patrimonio musicale, utilizzando anche sistemi informatici.
Obiettivi
1.Progettare/realizzare eventi sonori che integrino altre forme artistiche, quali danza,
teatro, arti visive e multimediali.
2. Accedere alle risorse musicali presenti in rete e utilizzare software specifici per
elaborazioni sonore e musicali.
3. Comprendere le relazioni tra la costruzione /modifica di materiale sonoro e contesto
4. Conoscere l’uso del materiale sonoro nei media e usare le proprie competenze per
esperienze multimediali
5. Organizzare materiale sonoro ai fini della comunicazione sperimentando funzioni,
idee e criteri costruttivi
6. Comprendere analogie e differenze tra codici e strutture del materiale sonoro e
quelli degli altri linguaggi
7. Creare ed organizzare il lavoro da solo e in gruppo
8. Utilizzo responsabile del materiale proveniente dalla rete
9. Acquisire ed utilizzare le competenze informatiche essenziali riguardanti la
multimedialità (formati, conversione, modifica, montaggio ecc .)
10. Manipolare il materiale sonoro utilizzando appositi software ed editor a/v per
creare materiale multimediale
Contenuti e attività
Il laboratorio è un luogo dove i ragazzi possono creare, manipolare, smontare, modificare,
mixare ed editare materiale sonoro e multimediale lavorando sui seguenti settori:
1. Multimedialità come pluralità di linguaggi espressivi (visivo, verbale/vocale, sonoro)
2. Analisi ,costruzione e utilizzo delle funzioni musicali nella multimedialità (radio,
composizione musica, canzoni, coreografie, storie multimediali ecc)
3. Formati ,software, editor, converter, specifici e loro uso (scrittura musicale, creazione,
modifica, registrazione, montaggio, doppiaggio, mixaggio)
4. Analisi, invenzione,creazione e costruzione prodotti multimediali (animazioni cartoni
animati, spot pubblicitari,colonne sonore,videoclip e filmati)
Prodotti
Realizzazione di prodotti multimediali (presentazioni, animazioni, brani musicali, spot,
coreografie, video, filmati)
Metodologia
1. Lavorare con un gruppo ristretto di alunni con gli strumenti necessari
2. Fondare l'attività sull’operatività sulla sperimentazione
3. Dare spazio alla creatività
4. Utilizzare materiale sonoro partendo dal vissuto dei ragazzi
5. Guidare l’attività in modo da stimolare l’autonomia nel lavoro individuale e di gruppo
6. Utilizzo di software specifici di editing audio/video
7. Far acquisire competenze informatiche e multimediali interconnettendo linguaggi
espressivi diversi
8.Utilizzo del materiale preso da internet in modo responsabile
Il progetto si rivolge preferibilmente agli alunni delle classi terze della scuola secondaria di
primo grado in quanto forniti di competenze maggiori anche di tipo informatico e si
svolgerà con una cadenza annuale per un’ora a settimana.
Criteri di valutazione
n.3
La vera specificità, nonché l’elemento che li caratterizza tutti e li rende particolarmente attrattivi, è la
durata limitata nel tempo: il fatto di essere temporalmente circoscritto, con un inizio e una fine, è
l’origine di gran parte del suo appeal, poiché questo è ciò che lo contraddistingue da altri programmi
permanenti, che possono essere fruiti in qualsiasi momento.
Il pubblico, infatti, si aspetta che un evento, per sua stessa natura, finisca, e di conseguenza sa di
avere a disposizione una frazione limitata di tempo per parteciparvi. Questo stimola la partecipazione,
soprattutto dal punto di vista emotivo, alimenta la tensione e il coinvolgimento, specialmente nel caso
di eventi unici.
D- Minor events: sono tipicamente eventi locali o di “comunità”. Possono essere eventi culturali,
musicali, sportivi. Attraggono principalmente audience locali e vengono realizzati sostanzialmente per
il loro valore sociale e di intrattenimento. Anche questi eventi possono produrre benefici quali il
rafforzamento del senso di appartenenza e l’orgoglio di una comunità; spesso i festival locali
diventano piccoli eventi Hallmark per le città ed i paesi che li ospitano.
Si tratta quindi di un momento estemporaneo, un’esperienza fuori dall’ordinario e per questo speciale,
che cerca di soddisfare un bisogno della collettività, attraverso specifici attributi e obiettivi di
comunicazione.
Questa prerogativa dell’evento culturale di dover in qualche modo riflettere i bisogni di una città o di
un territorio fa sì che venga meno, in fase di progettazione, la logica deterministica imposta dal project
management tradizionale e che, altresì, venga lasciato spazio ad un oggetto progettuale che sia più
votato all’incertezza e alla instabilità, stando però sempre attenti a perseguire un bilanciato equilibrio
con gli strumenti appropriati per una corretta condotta gestionale.
n.4
ideazione
Il ciclo di vita di un evento culturale si genera secondo uno schema detto waterfall (a
sequenza o a cascata), che prevede sei fasi:
A differenza del project management tradizionale, inoltre, dove ogni fase si chiude con
l’ottenimento di un risultato tangibile, negli eventi culturali questo è vero solo in parte,in
quanto i risultati conseguiti sono di solito funzionali al perfezionamento e funzionamento
dell’intero processo produttivo.
Nella fase iniziale l’evento culturale viene sviluppato nei contenuti, negli obiettivi strategici e
operativi che deve acquisire e nelle funzioni che deve assolvere; questa valutazione va fatta
tenendo conto degli interessi di tutti coloro che prendono parte alla manifestazione o che ne
traggono beneficio.
Si definisce, dunque, il ruolo strategico dell’evento, si analizza il contesto e l’arena definitiva
per poi concordare il palinsesto delle attività da svolgere.
Come ampiamente detto, l’evento culturale nasce da sollecitudini ed esigenze più o meno
espresse dai soggetti, per la comprensione delle quali bisogna necessariamente cercare di
scoprire il perché della realizzazione dell’evento stesso.
Si indica subito quella che è la mission, il traguardo finale, la motivazione stessa che porta
alla realizzazione dell’evento, redigendo un project manifesto che, attraverso uno slogan
d’impatto, sia in grado di rispondere al meglio alle domande: Chi siamo? Quali sono i nostri
valori? Cosa vogliamo fare? Perché lo vogliamo fare? Cosa vogliamo ottenere?
Premessa per un’analisi efficace del contesto è la definizione della dimensione effettiva
dell’evento e della sua copertura territoriale, che può riguardare una singola parte della città
così come il pubblico internazionale. L’evento interagisce con contesti interni ed esterni, tra i
quali vanno creati dei nessi e dei collegamenti che riguardano:
- Aspetti: elementi che non intervengono nell’organizzazione direttamente, ma che la
possono condizionare (legislazione, burocrazia, condizioni atmosferiche ecc.);
- Soggetti: tutti gli stakeholder o comunque gli attori che possono direttamente influire nel
progetto.
Parte fondamentale della fase iniziale di ideazione è quella relativa alla definizione degli
obiettivi che l’evento vuole conseguire: definire cioè il punto di arrivo che ne giustifica tutti gli
sforzi di pianificazione e di realizzazione. Se ne inseguono di due tipi:
- strategici: obiettivi principali, dichiarati solitamente nel project manifesto;
- operativi: legati ai risultati ottenibili dallo svolgimento concreto delle azioni progettuali lungo
tutto il processo; devono ovviamente essere coerenti con quelli strategici.
n.5
attivazione
Un evento culturale o artistico può essere una celebrazione dedicata ad una personalità artistica
rappresentativa per la tua città, regione o paese. Può essere un festival dedicato ad una certa
corrente artistica, o alla rappresentazione di un certo concetto nell’arte.
Si possono organizzare eventi unici o eventi periodici. Il momento di
realizzazione dell’evento nell’arco dell’anno è importantissimo dal punto di vista
dell’organizzazione della manifestazione, dell’impatto sul territorio e delle implicazioni in termini
turistici
Innanzitutto bisogna scegliere la location adatta qualsiasi sia il tema, a un pubblico abbastanza
ampio per le dimensioni che si sta immaginando per l’evento. Il tema sarà il punto di interesse
che infatti “venderà” l’evento.
La location deve essere coerente e compatibile con la natura
dell’avvenimento. Esistono alcuni criteri di scelta come:
● Festività;
Bisogna avere un programma ben definito e dettagliato delle attività che si andranno a proporre
É indispensabile, inoltre, conoscere e studiare la concorrenza, in modo da evitare di proporre un
evento simile ad uno già proposto da altri o sovrapposizioni temporali con proposte dello stesso
genere.
E’ necessario tenere in considerazione molte cose: le tendenze nel settore a cui stiamo
lavorando, gli eventi simili che ci sono stati in passato, in particolare quelli di maggior successo
che ci indicano i gusti del pubblico; ed è necessario offrire contenuti interessanti, scegliendo una
forma innovativa.
In alcuni casi l’evento è unico, ad esempio un concerto, mentre in altri è composto di più
manifestazioni e attrazioni di vario genere (si pensino a una fiera con cerimonia di apertura,
convegni e workshop organizzati, spettacoli, eventi promozionali rivolti ai visitatori, e conferenze
stampa per i media).
Importante è l’evento centrale, quello che soddisfa l’esigenza principale del
visitatore. Le altre prestazioni, che hanno funzioni accessorie, possono essere suddivise in
servizi di facilitazione, e servizi ausiliari, aggiuntivi ma non per accrescere il valore dell’evento.
Bisogna decidere anche con quale forma giuridica proporsi. Ci si può presentare, ad esempio,
come privato, come associazione culturale o come socio di una cooperativa. La scelta è molto
importante non solo per l’immagine che si trasmette ma anche perchè determina la portata e le
possibilità dell’attività di fundraising, ossia la ricerca di fondi con cui finanziare l’evento.
Un ruolo importante è il web marketing nel rendere noto il tuo evento nella regione. Il sito web
dell’evento sarà il punto centrale, mentre la pubblicità display, l’email marketing e le campagne
social con un target molto preciso saranno gli strumenti per diffonderlo.
Per questo tipo di evento non si deve sottovalutare la forza dell’offline marketing. Per gli eventi
culturali, le affissioni e la cartellonistica in città sono ancora uno strumento efficace. In più, si può
coinvolgere di nuovo le istituzioni. L’evento sarà d’interesse per le scuole, per i licei e per le
università, quindi si manda delle proposte ai fattori decisionali nel sistema educativo, insieme ad
un pacchetto di sconti per i gruppi di studenti.
Obblighi burocratici.
Nella maggior parte dei casi si vengono a creare sottogruppi temporanei, in grado di
generare meccanismi di funzionamento più rapidi ed efficienti Ad esempio:
● Team di servizio: formato da coloro che popolano lo svolgimento dell’evento come addetti
alla sicurezza e alle emergenze, prima accoglienza ecc.
Deve essere valutato l’impatto di ciascun rischio in base ad una scala di fattori come le
prestazioni, i tempi, i costi, la qualità, la reputazione, le persone, ecc. Inoltre deve essere
assegnata una probabilità di accadimento a ciascun rischio identificato (es. da 1 a 5) ed un
valore di impatto (es. da 1 a 5).
Concretizzazione dell'Evento
1.
● Considerare gli inviti tipici: biglietti, volantini, ecc. Si può anche usare il computer:
e-mail, newsletter, Facebook, Twitter e siti come Eventbrite. Sono ottimi per
mandare inviti, sapere chi parteciperà e fissare un promemoria.
Fatto questo bisogna cercare, chiamare, prenotare, delegare fotografi, costruttori, designer,
arredatori, relatori invitati, sponsor, intrattenitori, band, partner per ballare o modelli
Bisogna poi trovare un conduttore. Questa figura non sempre organizza l'evento nella sua
interezza, principalmente riveste il ruolo di presentatore. Solitamente, è un partecipante che fa
discorsi o annuncia eventi, quali portate, balli, ospiti d'onore o momenti di intrattenimento.
Dopo aver completato tutta la fase strategica si passa a quella esecutiva, che può essere
suddivisa in due parti: quella di attuazione, nella quale si cerca di portare a compimento nei
tempi prefissati e con le risorse predeterminate quanto pianificato, cercando di porre rimedio agli
eventuali scostamenti rispetto al project manifesto; quella di completamento, che determina la
chiusura della manifestazione ed il successivo ripristino delle condizioni precedenti all’evento. In
quest’ottica vanno considerati: la restituzione dei materiali, le chiusure amministrative, i
pagamenti posticipati e l’eventuale rendicontazione per la liquidazione dei finanziamenti pubblici
e privati.
n.6
pianificazione
Le regole principali affinché un evento si consideri ben riuscito sta soprattutto nella capacità
dell'organizzazione del team di riferimento.
Ogni evento prevede metodologie e approcci differenti a seconda dei temi scelti, per questo
si rivela utile predisporre task diverse, idee originali e capacità di reinventarsi rispondendo
alle esigenze del cliente.
“Il segreto è avere tante idee e per avere tante idee serve tanta immaginazione.”
Nel gestire il calendario di produzione è utile considerare i tempi tecnici per organizzare
effettivamente l'evento.
Staff organizzativo
In sede di pianificazione è necessario scegliere le figure disponibili a svolgere attività
all'interno della struttura organizzativa e quali azioni invece vanno riferite in parte o
completamente da altre società.
Le regole principali affinché un evento si consideri ben riuscito risiedono soprattutto nella
capacità di organizzazione del team di riferimento, che lavorerà insieme, ma con una chiara
e definita gerarchia dei ruoli.
Uno degli obiettivi è quello di avere alla fine del progetto una differenza tra costi e ricavi che
sia almeno pari a zero. Il reparto commerciale verifica la disponibilità delle risorse
economiche valutandone la fattibilità in relazione a risorse umane disponibili e richieste ,
disponibilità della location nel periodo in cui si dovrà svolgere l'evento. Le stime emerse in
questa fase dovranno tener conto delle variazioni possibili in fase di esecuzione e dei costi
che potrebbero aggiungersi in fase di realizzazione.
Sicurezza
Anche gli aspetti relativi alla sicurezza sono di competenza del piano tecnico.
Numero di utenti
Misure di sicurezza
Punti di raccolta
Segnaletica di sicurezza
Attrezzatura antincendio
Le maggiori criticità sono dettate dalla programmazione dei tempi e degli orari, che devono
essere programmati con un minimo di elasticità per poter fronteggiare eventuali imprevisti o
ritardi.
Permessi spettacoli
Relazione tecnica
Diritti d'autore
Licenze di vendita
Affissioni pubbliche
Contratti lavorativi
Impiego di minori
...movimentazioni merci:
Ordine pubblico
Assistenza sanitaria
Il pubblico e l'invito
Il pubblico di un evento è chi fruisce, gratuitamente o a pagamento, dei servizi offerti.
In base alla tipologia di evento è possibile individuare diverse tipologie di pubblico per
differenza di età, culturale o sociali.
A seconda dei destinatari dell'evento ci sono diversi tipi di inviti: dalla pubblicità sui manifesti
a quella digitale sui social network.
L'elemento tecnologico che caratterizza ormai tutte le fasi dell'evento non è riuscito però a
sostituire il rituale dello scambio del biglietto da visita che continua a configurarsi come
momento chiave della connessione.
n.7
esecuzione
Dopo aver completato la fase strategica si passa a quella esecutiva. Essa è divisa in due
gruppi:
La fase di attuazione in cui si cerca di portare a termine, nei tempi prefissati e con le risorse
predeterminate quanto è stato pianificato.
valutazione
VALUTAZIONE DI UN EVENTO
La valutazione di un evento consente di verificare se gli obiettivi definiti all’inizio dell’evento sono stati conseguiti
o no, permette di accertare il successo o il fallimento dell’iniziativa e di migliorare la pianificazione degli eventi
futuri come lezione appresa.
Il post evento è infatti un momento molto prezioso per gli organizzatori di eventi, durante il quale sono
necessarie diverse azioni.
Le attività di valutazione sono veramente indispensabili. Sono quelle attività che fanno la differenza tra un
approccio di gestione professionale ed uno approssimativo, perché ti offrono la possibilità “scientifica” di
migliorare dai tuoi errori (anziché perseverare diabolicamente!).
Dal punto di vista operativo, in fase di pianificazione si dovrà fissare una serie di indicatori di successo specifici
per ciascun obiettivo e gli strumenti che permetteranno di valutare in quale misura essi sono stati raggiunti.
In relazione agli obiettivi del piano di marketing si dovrà dunque far corrispondere le seguenti voci:
• indicatori di successo: la variabile che determina il successo (se presente) o l’insuccesso (se mancante o
presente in misura insufficiente) della strategia adottata;
Una opzione per ottenere una giusta valutazione è l’invio del sondaggio di valutazione, una specie di test da
mandare ai partecipanti in cui si cerca di capire il livello di gradimento generale dell’evento
Sondaggio
Dal sondaggio un planner può comprendere molte cose rispetto a un evento che si è appena concluso.
il sondaggio per verificare se avete raggiunto obiettivi e KPI, le attese rispetto a un’eventuale edizione
successiva, e avere un feedback preciso su logistica, accomodation, ecc.
Ecco perché il sondaggio di valutazione post evento può diventare uno strumento prezioso nelle vostri mani.
Un consiglio è quello di stilarlo prima dell’evento - potrebbe esservi utile per ordinare le idee su quali aspetti
volete puntare maggiormente, quali vi aspettate colpiscano di più i partecipanti o al contrario temete di non
essere al 100% - per poi naturalmente rivederlo prima di inviarlo ai partecipanti.
Lunghezza e leggibilità
I partecipanti non sono obbligati a compilare il vostro sondaggio sia che lo richiediate in forma anonima o meno.
Sta dunque a voi confezionare un questionario che invogli il partecipante Anche il design del questionario
potrebbe giocare un ruolo importante nel fare decidere a un partecipante di compilarlo.
Il sondaggio serve anche per capire se si è lavorato bene nella fase di promozione. Per questo potrebbe essere
interessante chiedere ai partecipanti come hanno saputo dell’evento. Nel caso, per esempio, abbiate investito
molto in campagne social di promozione, sarà utile capire se si è speso bene i soldi, oppure se, per la tipologia
dell’ evento, funziona ancora il classico “passaparola”.
Motivazioni e aspettative
Un’altra domanda utile sarà anche quella che sonda il perché un partecipante ha deciso di prendere parte
all’evento. Nel caso di un evento di formazione, per esempio, si potrebbe scendere nel dettaglio per capire quali
argomenti hanno avuto una maggiore attrattiva.
Sondare le premesse che hanno spinto i partecipanti verso l’evento è fondamentale, ma anche capire se le loro
aspettative sono state soddisfatte. Potrebbe emergere per esempio che un partecipante è stato attratto da un
determinato aspetto, ma che poi ha apprezzato altro.
Nel caso l’evento preveda una nuova edizione, non si deve dimenticare di chiedere ai partecipanti se sarebbero
interessate a ripetere l’esperienza. Questo darà una misura più concreta sia di quanto siano stare soddisfatte le
aspettative sia di come muovervi per ‘fidelizzare’ i partecipanti
Dovrebbe essere in grado di dire anche quante persone si sono registrate e non si sono presentate. In questo
modo, si possono contattare in modo individuale tutti quelli che non si sono presentati.
Si può immaginare una grande varietà di eventi nella scuola con la creazione di un eventi sonori
integrati da altre performances, organizzati da enti pubblici o privati o dall’istituzione scolastica
stessa (secondo progetti approvati in primis dal Collegio Docenti, e dai Consigli di classe);
Nella scuola è fondamentale privilegiare gli eventi multidisciplinari, eventi musicali integrati con
altre forme artistiche, così da far sviluppare all’interno dell’alunno le più complete forme artistiche:
ad esempio con musical, in cui troveremo l’unione di musica teatro e danza, la lettura di poesie
con l’accompagnamento musicale, una mostra di dipinti effettuati dai ragazzi con
l’accompagnamento di musica live e\o registrata,…
La scuola dell’autonomia promuove relazioni esterne attraverso azioni coordinate con i soggetti
culturali, professionali, sociali, ed economici del territorio (STAKEHOLDERS) allo scopo di attivare
azioni di supporto alle particolari esigenze e problematiche sociali dell’utenza e del contesto in cui
opera, implementando la cultura di rete come strumento di sviluppo e di visibilità dei percorsi
formativi tracciati.
Il processo di innovazione della scuola segna il passaggio alla realizzazione di una rete sistemica
in cui gli attori, che concorrono in diversa misura alla realizzazione del processo educativo,
operano in un’ottica sinergica e lasciano spazio a margini di flessibilità e di adattabilità , mettendo
in campo dinamiche di interazione delle responsabilità di tutte le componenti del processo
educativo e formativo (quelle che sono state definite “esagono del sistema educativo”: la scuola,
la famiglia, gli enti locali, l’associazionismo, il mondo del lavoro, le chiese).
Si può affermare dunque, che gli eventi abbiano differenti effetti sul territorio/ente ospitante, e
possano rappresentare strumenti per la valorizzazione del patrimonio culturale, naturale e
paesaggistico, oltre che fonti per la valorizzazione e il mantenimento del patrimonio artistico e
culturale. Inoltre, possono essere realizzati per accrescere l’interesse della comunità locale per un
bene o una risorsa culturale, un monumento e così via. Tutte queste azioni, determinano un
miglioramento dello stato delle risorse locali, e quindi, influiscono sul livello di attrattiva
complessiva del luogo.
La regolazione di questi appuntamenti trasforma la scuola di un polo culturale (LIFELONG
LEARNING).
Il ciclo di vita di un evento culturale si genera secondo uno schema detto waterfall (a sequenza o
a cascata), che prevede sei fasi:
Nella fase iniziale l’evento culturale viene sviluppato nei contenuti, negli obiettivi strategici e
operativi che deve acquisire e nelle funzioni che deve assolvere; questa valutazione va fatta
tenendo conto degli interessi di tutti coloro che prendono parte alla manifestazione o che ne
traggono beneficio.
Si definisce, dunque, il ruolo strategico dell’evento, si analizza il contesto e l’arena definitiva per
poi concordare il palinsesto delle attività da svolgere.
Come ampiamente detto, l’evento culturale nasce da sollecitudini ed esigenze più o meno
espresse dai soggetti, per la comprensione delle quali bisogna necessariamente cercare di
scoprire il perché della realizzazione dell’evento stesso.
Si indica subito quella che è la mission, il traguardo finale, la motivazione stessa che porta alla
realizzazione dell’evento, redigendo un project manifesto che, attraverso uno slogan d’Impatto,
sia in grado di rispondere al meglio alle domande: Chi siamo? Quali sono i nostri valori? Cosa
vogliamo fare? Perché lo vogliamo fare? Cosa vogliamo ottenere?
Le regole principali affinché un evento si consideri ben riuscito sta soprattutto nella capacità
dell'organizzazione del team di riferimento.
La pianificazione è indispensabile per un efficace coordinamento esecutivo e la struttura
organizzativa è il cuore di tutte le attività .
E' sicuramente la fase più delicata e strategica, perché si deve prevedere la programmazione
dell'evento organizzando dei piani di lavoro dettagliati e specifici.
Ogni evento prevede metodologie e approcci differenti a seconda dei temi scelti, per questo si
rivela utile predisporre task diverse, idee originali e capacità di reinventarsi.
Strettamente legati all'ideazione dell'evento sono lo sviluppo del concept e la sua declinazione
che rappresentano la seconda fase del processo di organizzazione di eventi.
Essenziali sono gli aspetti relativi alla sicurezza e alla logistica, le maggiori criticità invece, sono
dettate dalla programmazione dei tempi e degli orari, che devono essere programmati con un
minimo di elasticità per poter fronteggiare eventuali imprevisti o ritardi.
Molto importante risulta la location dell'evento e se questa può essere facilmente raggiungibile.
Ciò che permette di differenziarsi è la scelta di offrire un servizio unico nel suo genere, che lasci
un segno indelebile nei partecipanti.
Negli eventi culturali in genere, alla fase valutativa viene prestata poca importanza, determinata
principalmente da alcuni indicatori quantitativi, che sono legati all’andamento delle vendite, ai
risultati economici e all’attenzione ricevuta sui media, sottovalutando una altrettanto importante
valenza qualitativa dei risultati ottenuti.
Nella fattispecie degli eventi culturali, si considerano come impatti tutte le ricadute positive e
negative, di breve o lungo periodo, che si producono direttamente e non sul territorio e sulla
comunità; gli eventi infatti contribuiscono ad aumentare l’entusiasmo nel settore culturale e
generano impatti positivi sull’acquisizione di capacità e conoscenze (basti pensare alla
valutazione qualitativa esperenziale degli alunni come elemento di crescita personale e
professionale che contribuisce allo sviluppo della metacognizione).
La conseguenza più evidente è determinata dalla costruzione di un ambiente dinamico, creativo
ed innovativo che farà da stimolo per una nuova produzione culturale che, a sua volta, porterà a
due importanti conseguenze: innanzitutto, la risposta positiva della comunità locale, con
l’aumento dell’interesse all’indirizzo musicale della scuola stessa, di gruppi musicali e teatrali, di
nuovi stili di produzione e di nuovi prodotti culturali, che molto spesso re-interpretano e rinnovano
il tradizionale patrimonio culturale intangibile rendendolo a sua volta più attrattivo per le nuove
generazioni e garantendone, quindi, la sopravvivenza. In secondo luogo lo “sviluppo del capitale
umano” determinato dalla capacità del territorio di rinnovare il proprio tessuto sociale e di attrarre
– come residenti – nuove comunità di elevata qualificazione culturale e professionale.
SCHEDA DI LAVORO
Titolo Evento
Nell’ultimo secolo aspetti della tradizione sono rimasti intatti ma altri si sono trasformati in nuove tradizioni.
Gojè(violino monocorde) e xilifono sono oggi considerati strumenti musicali africani anche se potrebbero essere
giunti da popoli asiatici.
Con il colonialismo vennero introdotti strumenti europei ma ci fu anche una trasformazione del linguaggio
musicale.
L’armonia di tutte le influenze del colonialismo è stata quella più pervasiva infatti ascoltando gli inni nazionali si
nota questo carattere ‘’europeo’’ dell’armonizzazione.
Nella musica tradizionale africana ci sono grandi ricchezze armoniche, la coralità indigena è infatti molto varia,
alcuni si basano su impanti omofoni all’unisono, altri su una polifonia non gerarchica.
Lagos nell’Ottocento:
la capitale della Nigeria era una città con una vita musicale eterogenea, sul versante ‘’tradizionale’’ c’erano i
tamburi, le danze i canti di lode e le cerimonie in maschera.
Sul versante ‘’moderno’’ c’erano i concerti organizzati da un èlite in ascesa comprendente missionari, funzionari
provenienti dalla madre patria, ecc…
A lagos si tenevano regolarmente concerti nei quali il repertorio e le modalità esecutive erano imitazione delle
pratiche europee.
E’ una delle scuola musicali d’eccellenza in Africa occidentale, nonché un centro di punta per lo studio e
l’esecuzione musicale.
La scuola aveva due sbocchi, uno era il concorso Pop Chain, e l’altro sbocco riguardava la musica tradizionale.
La conseguenza forse più decisiva del colonialismo fu il sorgere in africa di due tradizioni, la prima è la tradizione
della musica popular, l’altra è la cosiddetta musica d’arte.
Nel Ghana il genere popular come lo highlife ebbe origine nella richiesta d’intrattenimento per il tempo libero.
Con l’aiuto delle innovazioni tecnologiche - radio, registrazione sonora, impianti di amplificazione, libero
commercio tra l’Africa e l’area centroamericana, la musica ebbe poi un’ottima accoglienza.
Le sue melodie sono cantabili e orecchiabili , i testi di queste canzoni si basano su un tipo di conversazioni che
possono avvenire sull’autobus, nei bar, in chiesa, nei luoghi di divertimento.
I testi highlife affrontano varie tematiche, da quelle più drammatiche a quelle più leggere.
Possiamo concettualizzare la musica popular africana come un fenomeno stratificato, un insieme di linguaggi
musicali dalle più svariate origini.
Rappresenta un’altra significativa anche se meno visibile risposta al colonialismo, i compositori di questo tipo di
genere fecero uso di un linguaggio ‘’europeo’’ con varie inflessioni tratte dagli idiomi africani, tentando di scrivere
musica ‘’classica’’.
Per quanto riguarda gruppi di musica tradizionale, un posto speciale va riservato a un gruppo chiamato Pan African
Orchestra di origine ghanese.
Formatosi nel 1988 sotto la guida di Nana Danso Abiam, i musicisti suonano strumenti tradizionali tra cui xilofoni,
campane , campane, sonagli, flauti atenteben (di bambù) flauti wia (atacca), xilofoni gyle, kora (arpe – liuti), gonje
(violini africani), tamburi fontomfrom e di altro tipo, corni.
Le sue teorie affrontano un nodo classico dell’etnom. : il rapporto tra testo e contesto, tra suono
organizzato e cultura.
Blacking invoca una etnomusicalogia come metodo, come una vera e propria antropologia della
musica e del comportamento musicale, anziché come studio di alcune musiche.
Mentre Merriam suggerisce uno studio su tre livelli: concettualizzazione della musica,
comportamenti legati alla musica e suono vero e proprio.
Blacking va oltre arrivando a fondere completamente musicologia e antropologia.
1973: Il compito dell’etnom. (utopistico?) studiare l’interazione di molteplici fattori che
interagiscono durante la produzione e la fruizione del suono organizzato. Fattori ad esempio
psicologici, sociali, culturali.
1977: Troviamo in Blacking una decisa impostazione strutturalista : riconosce la validità alle analisi
strutturali e semiologiche della musica che prescindono dal contesto culturale. Se esistono
fondamenti biologici universali per la musica come nel linguaggio è probabile che questi possano
funzionare da terreno di comunicazione interculturale e rendere le analisi non necessariamente
estranee al processo di reazione della musica.
Al centro di tutto c’è l’uomo e i suoi rapporti con gli altri uomini. Ha contribuito al definirsi di una
etnom. rivolta al momento dell’esecuzione , dell’evento musicale, al momento in cui si vive la
musica. All’interazione tra esecutore e pubblico, al rapporto musica-corpo e musica-danza.
Da notare come questo sforzo di etnom. come metodo globale non si discosti dalle esigenze di
onnicomprensività della musicologia sistematica di Guido Adler .
Le culture africane hanno in comune la valorizzazione della parola, vi è una consapevolezza molto marcata della
natura misteriosa della musica e della sua facoltà di modificare lo stato psichico e i comportamenti degli
ascoltatori.
Le reazioni alla musica della società possono essere differenti se non opposte: possono essere del tutto positive
oppure estremamente negative.
In quest’ultimo caso prevale la diffidenza che porta all’emarginazione dei musicisti e a tentativi di elimare la
pratica musicale.
Per altri la musica possiede molte funzioni come ad esempio quella di comunicare con il mondo invisibile dal quale
dipende la sopravvivenza degli umani, chi fa musica è partecipe di questo aspetto sacro.
In africa non si poteva suonare tutto quello che si voleva, quando e dove si voleva e in presenza di chi si voleva.
Queste proibizioni sono strettamente correlate alla nozione di sacro e distinzioni sociali.
l’esclusività nelle esecuzioni di certe musiche e nell’impiego degli strumenti corrispondenti è caratterizzata da
ordini differenti ed è riservata a due grandi categorie di musicisti:
a) musicisti di casta , b) musicisti iniziati, raggruppati in varie confraternite strettamente legate a religioni di
tradizione africane autoctone.
Musicisti di casta :
Sono situati in quelle regioni che si estendono intorno al tropico del Cancro, in quell’area Sahariana e del Sahel che
si estende fra il Mediterraneo e il Sudan.
Nella parte orientale di questa area i musicisti di casta sono per la maggior parte delle volte fabbri.
I griots malinkè rappresentano il massimo grado di specializzazione nel panorama dei musicisti africani, i griots
musicisti vengono chiamati djèti e appartengono alla casta dei Nyamakola che comprende anche individui che
svolgono altre attività.
I djèti oltre alle loro attività musicali hanno un ruolo di mediatori in ambiti diversi, essi hanno la possibilità di dire e
fare ciò che sarebbe vergognoso per i membri della casta superiore, i cui comportamenti sono rigidamente
regolamentati, soprattutto per quanto riguarda l’espressione delle emozioni.
I griots sono professionisti , le loro competenze si estendono dalle tecniche vocali alle composizioni musicali e alla
fabbricazione di strumenti.
I loro strumenti principali sono le arpe – liuti e la famiglia degli xilofoni suonati dagli uomini e gli idiofoni metallici a
frizione suonati dalle cantanti come accompagnamento.
Questi xilofoni, in cui ogni teato è munito di un risuonatore in zucca di forma pressappoco sferica venivano
accordati su scala equieptatonica.
Questi sono musicisti di casta ed anch’essi hanno in dotazione un certo tipo di strumenti musicali, una delle
formazioni più diffuse prevede un oboe accompagnato da due tamburi.
L’oboe è denominato gayta dagli arabofoni o anche zukra, nelle regioni più meridionali si chiama algaita.
Anche la sua fattura è variabile, nel Sahara settentrionale la canna canonica è in legno tornito, mentre a sud il
corpo dello strumento è costituito da un tubo metallico nel quale si introduce il cannello che sostiene la doppia
ancia, che viene a sua volta innestato in un condotto in legno o di bambù terminante in un padiglione di zucca
all’estremità opposta all’imboccatura.
In alcune regioni un certo tipo di ganga viene appaiato a un tamburo bipelle chiamato trumbel.
Si possono menzionare anche batterie di tre tamburi, due dei quali disposti a clessidra, una rappresenta la voce
maschile e l’altro quella femminile.
Essi vengono percossi a mani nude da un unico musicista che li regge sovrapposti sotto il suo braccio sinistro.
Il terzo chiamato Kollu, è portato a tracolla dal suonatore, è di piccole dimensioni e la pelle viene percossa per
mezzo di due bacchette. Questi sono strumenti utilizzati soprattutto nei distretti situati sulle rive del lago Ciad.
E’ un tamburo bipelle portato a tracolla dal musicista che lo percuote a mani nude mentre canta e danza al centro
del cerchio dei danzatori.
Lo stesso tamburo viene chiamato egidi presso gli Zaghawe del Ciad orientale e del Sudan.
In Africa la musica è onnipresente e funge da supporto a molteplici aspetti della cultura, qui come altrove esistono
individui più o meno dotati per eseguirle.
La funzione di musicista non può essere assunta da un membro qualsiasi della comunità che non ne possieda le
competenze tecniche.
Per molte società dell’Africa sub – sahariana gli essere invisibili che compongono il pantheon hanno ciascuno un
tema musicale suo proprio.
I musicisti hanno l’obbligo di conoscerli tutti alla perfezione, in quanto la loro attività è fondamentale per la
riuscita dei rituali.
I musicisti specializzati sono di grande importanza anche per i lavori e i rituali agrari, la musica è presente anche
nelle società dove predomina l’allevamento.
Presso i pastori Fulbe, gli uomini guidano e tranquillizzano gli animali per mezzo della voce, oppure impiegando
strumenti a fiato.
Le musiche tradizionali spesso vengono eseguite nell’intimità, agli uomini è riservata la pratica di numerosi
strumenti musicali, in particolare i tamburi.
Per la popolazione femminile la pratica del canto può avvenire anche molto presto ma quando diventano adulte si
vedono limitare l’accesso alle attività musicali, quantomeno in pubblico.
In questo momento delle loro vita i repertori dell’intimità vanno a soddisfare le loro esigenze d’espressione
musicale.
Le donne cantano per cullare i bambini o quando lavorano in casa, anche per gli uomini vi sono pratiche vocali o
strumentali che possono essere paragonate a quelle delle donne.
Per la parte centrale e meridionale del continente si può citare l’impiego di lamellofoni conosciuti col nome di
sanza.
Al musicista tradizionale africano si presenta molta libertà d’invenzione perché non è tenuto a rispettare un testo,
si potrebbe dire che il suo ruolo si avvicina a quello di chi improvvisa su un tema dato.
Il tema però deve essere sempre percepito da chi ascolta, in mancanza di fonti scritte, l’ascoltatore non deve
perdere l’orientamento e disporre di riferimenti sonori.
Apprendistato e vocazione
Nella maggior parte dei casi l’apprendimento avviene prima per assorbimento poi per imitazione,la ragazzina può
cominciare molto giovane, mentre il ragazzino dovrà tener conto dei vari divieti.
A numerose società i tamburi sono riservati solo agli uomini adulti, e la vocazione di musicista non può
manifestarsi se non nel quadro dell’osservanza dei divieti ai quali ognuno è sottoposto in funzione del sesso,
dell’età e del gruppo sociale d’appartenenza.
I musicisti di corte le cui prestazioni erano controllate dai sovrani, suonano ora più liberamente per i potenti del
momento, essi ricevono inoltre renumerazioni in denanro a differenza el passato.
Per quanto riguarda i musicisti di casta, il loro status differisce da un luogo all’altro, nelle regioni non urbanizzate
però non si notano cambiamenti.
I fabbri – musicisti del Sahel e del Sahara orientale continuano a suonare ai matrimoni e alle feste dietro
renumerazione.
Nelle zone urbanizzate, si tratti dell’Africa centrale o dell’Africa occidentale si possono rilevare al contrario
cambiamenti molto rilevanti a causa dell’accesso ai media e alla globalizzazione.
LE DIVERSITÀ CULTURALI IN ANIMAZIONE E IN EDUCAZIONE MUSICALE
Prof. Maurizio Domenico Disoteo
L’idea multiculturale ha trovato seguito nelle istituzioni educative di vari paesi. Il compito di una
scuola che assuma una prospettiva multiculturale è anzitutto riconoscere e rispettare le diversità
dei diversi gruppi etnici e culturali, sostenere la partecipazione di tali gruppi alla vita sociale
favorire pari opportunità e sviluppare la società democratica fondata sulla pari dignità di tutti gli
individui. Così come già evidenziato per quanto riguarda l’insieme dei discorsi sulla società
multiculturale, si può rivolgere anche all’educazione multiculturale la critica relativa al rischio di
una cristallizzazione delle identità che si aggiunge all’attenzione eccessiva se non esclusiva
all’appartenenza “etnica”. Inoltre, l’approccio multiculturale non favorisce gli scambi tra le culture
e ha la tendenza a reificarle a scapito delle trasformazioni dinamiche che caratterizzano tutte le
culture viventi. Passando a discutere di educazione interculturale definisce un’azione pedagogica
che privilegia la dinamica e l’interazione rispetto allo stato e la descrizione. È una risposta,
progettata dagli educatori, al multiculturalismo. Nel campo dell’educazione musicale le distinzioni
tra interculturale e multiculturale seguono per molti versi i criteri generali enunciati anche se con
molta libertà e numerose sfaccettature.
IN ALTRE PAROLE
Campbell non si ferma a mettere a confronto le strategie educative delle varie culture del mondo,
ma studia le conseguenze pedagogiche che possono essere suggerite da tale confronto.
Secondo Campbell l’apprendimento della musica è un processo che non coincide con
l’insegnamento. Campbell anticipa quindi un tema che centrale nel dibattito d’oggi: l’esistenza di
un’educazione informale a fianco di quella formale. I bambini non imparano la musica solo a
scuola, ma in tutti i momenti della loro vita, anche se l’educazione musicale (soprattutto
occidentale) ha per lungo tempo sottovalutato il valore dell’apprendimento quotidiano, informale e
spontaneo. La famiglia, il gruppo di pari, i media, sono luoghi di apprendimento musicale come la
scuola e qualche volta più significativi della scuola .
Il lavoro di Campbell utilizza la comparazione tra le culture per proporre anche delle pratiche di
produzione musicale e non solo di ascolto. Una riflessione innovativa è venuta da diversi autori
anglofoni (come quelli del citato Mayday group) che hanno tratto le conseguenze dalla
constatazione che la diversità culturale, nelle società complesse, non riguarda solo la provenienza
nazionale o etnica, ma presenta molti altri aspetti. La volontà di includere nella progettualità
pedagogica tutte le forme di diversità culturale ha provocato una maggiore attenzione all’identità
degli allievi in tutti i suoi aspetti. Per questo, un numero crescente di autori preferisce parlare
semplicemente, oggi, di “diversità culturale” evitando sia il termine di “multiculturale” che quello
di “interculturale”, proprio a significare un allargamento della prospettiva pedagogica che sembra,
in realtà superare di slancio le vecchie impostazioni, troppo legate alla nazionalità e all’etnia.
IN CONCLUSIONE
È importante sottolineare che il multiculturalismo, pur con tutti i limiti che ha palesato, ha
comunque permesso alle comunità minoritarie e immigrate di rendersi visibili e di salvaguardare la
loro storia, la loro identità collettiva e la loro memoria.
Al discorso multiculturale offre tuttavia un’alternativa più avanzata l’interculturalità:
l’interculturale si fonda su una filosofia del soggetto, cioè su una fenomenologia che costruisce il
concetto di soggetto come essere libero e responsabile, inscritto in una comunità di simili.
L’approccio interculturale rompe con il punto di vista oggettivista e strutturalista poiché
s’interessa alla produzione della cultura da parte del soggetto stesso, alle strategie sviluppate
senza per altro sostenere che l’individuo ne abbia sempre coscienza.
Concetto di identità musicale.
Nel corso del dibattito sull’identità musicale, sono stati proposte diverse definizioni e vari modelli
di identità musicale.
Tra tutti il modello più convincente è quello formulato da Mario Piatti.
Secondo Piatti l’identità musicale si articola in quattro differenti tratti o settori:
1. l’imprinting originario, formato dalle esperienze sonore-musicali primarie, relative ai primi mesi
di vita se non addirittura al periodo prenatale. Sin dai primi mesi di vita ognuno è immerso in
un bagno sonoro che predispone e condiziona la sua mente e il suo corpo, prefigurandone la
formazione del senso musicale. Sono le esperienze sonore familiari iniziali.
2. Il vissuto, cioè l’insieme dei sensi e dei significati elaborati intorno alle esperienze della vita,
alle condotte e ai comportamenti acquisiti, ai gusti nati e modificati nel corso della vita, E’
importante tenere presente che il vissuto personale si innesta in un vissuto di gruppo
sopratutto per quanto riguarda la nascita di passioni e gusti musicali, che possono provenire
da scelte autonome ma anche da condizionamenti collettivi.
3. I valori che si attribuiscono alla musica, e quelli che si ricavano dal mondo musicale. Che
valore si attribuisce, per esempio, all’autonoma pratica artistica della musica colta, quale
valore alla musica rock, quale alla musica in generale nelle formazione personale di un
individuo, alla pratica o fruizione della musica ecc.
4. Le abilità e le conoscenze in campo musicale, acquisite non soltanto attraverso percorsi
intenzionali e scolastici ma anche dalle occasioni della quotidianità. In quest’ultimo settore
rientra quello che si sa fare in musica (abilità) e quanto si conosce (conoscenze).
È evidente che nella cultura musicale colta occidentale, la scrittura esercita un’egemonia
indiscussa, che si estende anche sull’educazione musicale e sulle pratiche discorsive intorno alla
musica. Spesso, il sapere musicale di una persona è considerato proporzionale alla sua capacità
di decifrare una partitura, ed e corrente sentire frasi come “non sono niente di musica, non so
nemmeno leggere le note sul pentagramma...”.
Come accade in tutti i processi di produzione in cui viene introdotta una tecnologia, l’affermazione
della musica scritta (che è una tecnologia) è accompagnata da un’ideologia. In questo caso,
l’ideologia sostiene la superiorità, se non l’esclusività, della musica scritta come musica “d’arte” e
la sottovalutazione delle culture orali.
Dal punto di vista dell’insegnamento musical, questa concezione è alla base di metodi basati
esclusivamente sulla scrittura sul pentagramma. I risultati sono ben noti: sviluppo inadeguato
dell’orecchio musicale, incapacità di improvvisare, separazione mente/corpo, difficoltà a
confrontarsi con le musiche e le pratiche orali.
In effetti, tra oralità e scrittura non esiste un’opposizione totale, e spesso, le due pratiche trovano
dei momenti di continuità e d’integrazione.
Roberto Leydi ha osservato che se noi ascoltiamo oggi il Miserere di Allegri non riusciamo a
capire le ragioni che portavano migliaia di ascoltatori di tutta Europa nella Cappella Sistina. Egli
nota che in realtà si tratta di un’opera che, leggendone la partitura, non merita tanta attenzione.
Eppure, secondo le testimonianze di chi aveva assistito alla sua esecuzione, l’entusiasmo degli
ascoltatori era dettato da un’interpretazione particolarmente elaborata dell’opera, che i cantori si
trasmettevano oralmente.
La presenza dell’oralità nella scrittura riguarda anche le musiche del XIX secolo, periodo che
normalmente è ritenuto esemplare del dominio della scrittura prescrittiva nella musica occidentale
di tradizione colta. Tale oralità è costituita dai commenti e dalle indicazioni orali che vengono
scambiate tra i musicisti o che vengono trasmesse dagli insegnanti agli allievi su come eseguire
determinati brani scritti, ma anche dalla pratica di ascoltare interpreti o incisioni prestigiose per
carpirne i punti di forza al di là della lettura della partitura. A partire dal ventesimo secolo, anche
nella musica “colta” europea si sono riproposte situazioni di notazione che lasciano più spazio
all’esecutore.
Inoltre esiste spesso un aspetto scritto nelle musiche di tradizione orale. Il jazz è una di queste
tradizioni, ma ciò non impedisce che si trovino in commercio le partiture di standard. Questo
anche se nessun musicista si limita a suonare uno standard senza aggiungere variazioni e
improvvisazioni, senza delle quali un’esecuzione jazz non avrebbe senso. Una situazione che si
ripete nel mondo della musica pop.
Un’altra situazione, più particolare, si verifica nel mondo asiatico, dove la trasmissione delle
musiche è orale ma ciò non contrasta con l’esistenza di forme di notazione che aiutano la
memoria del musicista o dell’allievo, quando si è in un contesto pedagogico.
Le differenze tra l’apprendimento formale e informale sono quindi di varia complessa natura.. Ciò
che differenzia i due tipi di apprendimento è una quantità di fattori relativi ai luoghi e ai contesti
ma soprattutto il fatto che nell’apprendimento formale le decisioni, la guida e il metodo
dell’esperienza sono nelle mani di un adulto, mentre nell’informale prevale il rapporto orizzontale
tra pari, lo scambio di informazioni, di suggerimenti e di competenze. Gli obiettivi sono definiti
strada facendo, mentre si lavora.
ELENCO BRANI PIANISTICI CON TEMI POPOLARI
18. L. BERIO
4 Canzoni popolari ( per voce femminile e pf)
19. PROKOFIEV
Racconti della vecchia nonna, op.31 1918 per pf
( appartengono al genere ispirato all’infanzia e alla musica popolare. Sfruttano suggestioni
tipiche della musica slava).
20. SERGEJ RACHMANINOV, Six Morceaux Op. 11 per pf a 4 mani (ultimo brano con tema
popolare)
GERARDH KUBIK
LA MUSICA – DANZA TRADIZIONALE AFRICANA NEL CICLO DELL’ANNO E NEL CICLO DELLA VITA
1. IL CICLO DELL’ANNO
Sono attività musicali che si svolgono durante il corso dell’anno nella città dei Venda del Transval.
John Blacking propose una tabella che elenca in 16 punti le attività musicali che si svolgevano durante il corso
dell’anno da ottobre a settembre.
Alcune canzoni come il malende (‘’canzoni della birra’’) sono eseguite durante tutto l’arco dell’anno.
L’esecuzione della musica veniva influenzata dai periodi di lavoro e di riposo e dall’abbondanza di cibo.
Durante un anno di magra si eseguiva poca musica in quanto non vi è musica eseguita senza una qualche forma di
pagamento.
A ottobre/novembre nella regione del Malawi del Sud la tradizione musicale piu diffusa era quella di praticare il
rituale nsembe ya mvule quando non arrivava la pioggia.
Le persone si avviano verso le montagne più alte cantando lungo tutto il cammino, in una valle con un grande
albero che si ritiene ospitasse gli spiriti essi spargono farina di mais.
E’ accaduto che subito dopo questi sacrifici siano comparse le nuvole e sia poi caduta la pioggia.
Nella stessa area culturale c’è l’attività stagionale di percuotere xilofoni di tronchi chiamati mangolongondo fra gli
Yao, mambirira tra i Lomwe e mangwilo fra gli Shima del Mozambico.
Questi strumenti vengono suonati da ragazzi per tutto il giorno per impedire agli animali di danneggiare il raccolto.
Le società hanno sempre dovuto cercare soluzioni per gestire l’individuo nei momenti di bisogno, le attività
artistiche come la danza e la musica riflettono alcune di queste strategie.
Contrariamente agli stereotipi diffusi, la musica africana non si apprende soltanto per imitazione, infatti nell’Africa
pre – coloniale erano presenti forme musicali complesse.
La trasmissione di questi principi strutturali e modelli di comportamento caratteristici delle culture musicali si
poteva compiere in una varietà di contesti:
b) nel contesto di gerarchie politiche, per esempio alle corti reali dove i musicisti ricevevano una lunga e raffinata
formazione musicale a partire dall’adolescenza
c)entro piccoli gruppi di musicisti specializzati, i gruppi musicali venivano reclutati da un fratello maggiore( o
sorella nei gruppi di ragazze) all’interno di una stessa famiglia. Il fondatore del gruppo fa di solito anche da
maestro ai più giovani.
L’unico processo educativo formalizzato presso le società Mbwela dell’Angola orientale era il mukanda per i
ragazzi e il cikula per le ragazze, queste istituzioni sono dedicate esclusivamente ad una fascia di età chiamata
Kanike (bambino fino alla pubertà), in cui vi era una frequenza obbligatoria, in questi gruppi si studiavano i
fondamenti per la comprensione della danza, della musica e della letteratura orale.
Quando i ragazzi vengono rilasciati dal periodo di isolamento danno dimostrazione attraverso una sorta di saggio
delle loro competenze acquisite.
Possiamo dire che ad ogni età corrisponde una determinata istituzione dove è possibile cantare un certo tipo di
canti o suonare un certo tipo di strumenti.
Per quanto riguarda la fascia di età vanike (plurale di kanike)si utilizzano strumenti rudimentali come i luvimbi (
foglie di albero fatte vibrare) o anche l’arco a percussione detto kambulumbumba.
Intorno alla metà del XX secolo tra i maschi adolescenti dello Zambia si è diffuso un nuovo strumento musicale,
una specie di banjo fatto in casa.
Mentre alcune attività musicali posso associarsi a particolari gruppi di età, un altro aspetto del ciclo della vita è il
legame di determinati canti e danze con eventi specifici della vita degli individui.
CARATTERISTICHE GENERALI REPERTORIO ITALIANO
Canti e musiche popolari in Italia, Leydi 1991
La ricerca etnomusicologica si sviluppa in Italia in modo organico e sistematico dopo la seconda
guerra mondiale, con notevole ritardo rispetto agli altri paesi. Il primo terreno d’osservazione è il
sud ma la grande raccolta di Carpitella e Lomax del 1954 tocca tutto il paese. Dagli anni ’70 invece
la ricerca è rivolta maggiormente al nord, i cui risultati contribuiscono a cancellare l’idea che voleva
le regioni settentrionali ormai corrotte dallo sviluppo economico. L’intenso impegno di ricerca sul
campo ha permesso -attraverso il contatto diretto con i cantori, i musicisti, i loro familiari e la realtà
anche quotidiana della loro esistenza- di conservare e analizzare nel modo più completo tutto questo
patrimonio della nostra cultura.
Non esiste una tradizione popolare italiana. Ancora oggi distanze notevoli separano il sud, dal nord,
dalla Sardegna. L’Italia rivela ancora i segni di una frammentarietà culturale che si definisce in un
mosaico di aree e subaree culturali. La situazione linguistica è del resto specchio di questa
situazione. Due terzi d’italiani si esprimono in un italiano modellato sul dialetto e forse un quarto
comunica quasi esclusivamente nella propria lingua locale. Tardiva unità politica, le varie influenze
dovute a dominazioni straniere, accentuata dicotomia tra città e campagna, dovuta da un precoce
urbanesimo risalente dal medioevo, la posizione dell’Italia legata all’Europa continentale, ma anche
al bacino mediterraneo e all’oriente. Nel corso degli ultimi 120 anni una serie di avvenimenti ha
ridotto i valori della diversità: unificazione politica, istruzione obbligatoria, il servizio militare, forti
movimenti migratori interni, il diffondersi dei mass media.
Uno dei criteri di sistemazione del patrimonio tradizionale è quello dei modi di esecuzione:
1. canti monodici
2. polivocalità e polifonia
3. brani vocali-strumentali
4. brani strumentali
All’interno di questa suddivisione è possibile stabilire un’ulteriore ripartizione in base all’occasione
in cui vengono eseguiti i canti: di gioco di lavoro, ecc.
I criteri di classificazione finora citati sono di rilievo ma non esaustivi per una concreta
convergenza musica – testo. Parlare di ninne nanne ed endecasillabo non significa trovare
espressioni musicali unificate da tratti ricorrenti e specifici.
Perciò altri criteri:
1. numero degli interpreti (anche nei canti monodici alternanza solisti)
2. voci maschili, femminili o miste (ninne nanne o lamentazioni funebri solo femminili,
serenata o canto dei carrettieri solo maschili)
3. monodia con o senza accompagnamento strumentale (eventualmente suddividere ancora a
seconda dello strumento)
In ogni caso analizzare LO STILE VOCALE è uno dei principali elementi di differenziazione
all’interno della musica vocale
Nord – Sud Italia
Si tratta naturalmente di generalizzazioni
Nord: stile di canto continentale: (tratti della BALLATA monodica continentale)
1. enunciativo,
2. emissione vocale trattenuta, la comunicazione del testo è fondamentale,
manca ogni forma di enfasi
3. registro medio o medio-grave con raro ricorso ai toni acuti
4. ambitus limitato entro l’ottava in forma autentica e plagale
5. incipit ascendenti, melodie ad arco, moto congiunto o incipit ascendenti di
tipo triadico basati sul salto dal V al I
6. scale diatoniche, anche inferiori all’ottava (filastrocche o canti infantili),
predominio ton. maggiori
7. rapporto con il testo sillabico e semisillabico, ritmo regolare,
ornamentazione contenuta e melismi evitati
8. impianti strofici anche con ritornello
9. indifferente adozione dello stile sia da voci maschili che femminili
10. monodia pura con esclusione di accompagnamento
11. unica voce e non alternanza di solisti
12. presenza del repertorio narrativo
Il più classico punto di riferimento per lo studio di questo stile è la ballata monodica dell’Europa
continentale: Il termine ballata viene riferito ad un testo poetico di carattere narrativo e strofico che
si caratterizza per un serie di tratti (tipo di narrazione, verso) di natura extramusicale. N.B.: Questo
stile enunciativo si applica a molti altri generi testuali (ninne nanne, canti rituali) anche in altre
regioni al Sud Italia.
Presente anche un canto solistico arcaico (applicato alla ballata) a voce piana e aperta tipico del
Piemonte
Al Nord anche canti lirici (anche su endecasillabo) diversi però da quelli del Sud; tipico il distico
che diventa quartine. Vive sono strutture liriche con liolela cioè con ritornello non sense che
probabilmente replica un ritornello strumentale
Troviamo al sud oltre al canto “lirico” con le caratteristiche di cui sopra, anche il filone narrativo.
Le storie cantate al sud presentano caratteristiche diverse dalle ballate del nord: sono molto lunghe
(anche decine di versi), anche estese dal punto di vista narrativo, nel senso che cercano di spiegare
la vita dell’eroe in più episodi, con digressioni descrittive e interventi commentativi. Lo stile è
diverso dai canti lirici, non dovendo esprimere sentimenti, ma raccontare una storia, ecco la
necessità funzionale è quella di far comprendere il testo: canto più lineare, pochi melismi, meno
decorazioni. E’ possibile supporre che al sud tale repertorio sia stato portato dai cantastorie.
Al sud esempi di polivocalità. E’ più semplice rispetto a quella sarda, alto-adriatica, o alpina. Canti
professionali (Settimana Santa) e di lavoro. Stile dei primi ad accordo con un pedale basso nelle
cadenze conclusive di un canto solistico che si svolge nello stile mediterraneo. Nei canti di lavoro
forme semplici eterofoniche spesso determinate dallo slittamento di un impianto antifonico
3. canti di lavoro
venditori ambulanti, cavatori, portatori, salinari, marinai, contadini, mondine
Fra i canti monodici ad occasione indeterminata, quelli lirici che si differenziano in base al
contenuto testuale in amorosi, satirici, contestativi. Tra i più diffusi:
4. L’ottava rima
5. Stornello
6. Mutu sardo
7. Villotta friulana
8. Fronda ‘e limone e canto affigliola campani
9. Canto dei carrettieri siciliani
10. Canzone narrativa
Il metro varia a seconda del genere e dell’area geografia; nell’Italia centrale predomina
l’endecasillabo, ad esempio nell’ottava rima, oppure nei distici dei canti dei carrettieri; al nord e in
Sardegna prevale prevalgono il settenario (mutu), l’ottonario (villotta), o il novenario
A questa varietà del testo corrisponde una varietà anche nella forma strofica della musica: nel
canto dei carrettieri corrispondenza ab AB, nell’ottava rima ababcc corrisponde ABCDA’B’C’D’,
nella canzone narrativa al testo aabab corrisponde AABAB
ARCAICITA’: soprattutto nel repertorio contadino, comunque non urbanizzato, scale modali in
Sicilia tetracordo classico e preclassico; in Sardegna struttura ricordale; nei canti dei venditori
ambulanti campani moduli scalari ricordali;
MINORANZE ALLOGLOTTE: albanesi in Calabria, Basilicata e Sicilia; slavi della Carnia e del
Molise; tedeschi dell’alto Adige; occitani del Piemonte; catalani della Sardegna nord-occ.
POLIVOCALITÀ E POLIFONIA
1. Canti polivocali le cui parti procedono parallelamente all’unisono e /o all’ottava, per terze,
seste spesso con un bordone.
Canti della tonnara in forma responsoriale con funzione euritmica
Canti di questua
Stile per terze tipico dell’arco alpino
Villotte
2. Canti polifonici con voci relativamente indipendenti dal punto di vista ritmico e melodico.
3. polifonia a coppia
4. vatoccu dell’Umbria e Marche discanto medievale
5. alla longa
6. alla mietitora del Lazio
7. trallallero genovese 5 voci che forse imitano gli strumenti
8. bei toscano
9. tenores sardegna
I canti a più voci intonano il testo verbale di canzoni narrative, stornelli, mutu e mutettu, ecc.
BRANI VOCALI-STRUMENTALI
Stornelli, serenate, canti di questua, canzoni a ballo, rispetti, voce maschile con chitarra, chitarra
battente, organetto strumenti che possono produrre accordi
LA POLIVOCALITÀ DI TRADIZIONE ORALE IN ITALIA
MACCHIARELLA
II patrimonio musicale di tradizione orale italiano possiede una ricca e variegata componente polivocale:
repertori a due tre quattro e più voci, ancora non del tutto e non a fondo «esplorato».
La sua estensione geografica abbraccia in pratica tutte le regioni, anche quelle meridionali per lungo tempo
considerate estranee al fenomeno,
anche se è senza dubbio nelle regioni centro-settentrionali e nel Centro-nord della Sardegna che si registra la
più larga e articolata diffusione.
Va detto, però, che i processi di disgregazione e di trasformazione oggi in atto nella comunicazione folclorica
incidono ancor più sulla pratica polivocale.
Cantare a più voci implica l'esistenza di complessi processi di aggregazione vigenti in una comunità.
L'atto esecutivo, necessita sempre di determinate occasioni di incontro, lavorative, festive, o di
intrattenimento quotidiano, e non mancano i casi in cui esso costituisce il motivo per forme di «antagonismo» o
di «ostentazione».
Inoltre i repertori più elaborati richiedono precise competenze da parte di ogni singolo cantore che deve
specializzarsi in un determinato ruolo, e che si acquisiscono attraverso precisi iter di apprendistato.
Si può ben comprendere come il venir meno dei modelli di vita e quindi di incontro tradizionali possa
compromettere la vitalità o l'esistenza stessa di taluni repertori.
I repertori polivocali in Italia sono grosso modo raggruppabili morfologicamente in un ristretto insieme di
modelli esecutivi, ognuno dei quali risulta collocato geograficamente e caratteristico di ciascuna delle diverse
aree culturali del nostro paese.
Nell'esecuzione per terze il rigido parallelismo può momentaneamente essere interrotto da altri intervalli, per lo
più di quarta e di seconda, che tuttavia sono sempre a carattere transitorio, mai strutturale: sono dovuti a note di
volta, ritardi o anticipazioni in una delle due parti.
Di norma il brano ha termine con le due voci che restano a distanza di terza, non mancano casi all'unisono o
all'ottava.
Poco frequenti gli abbellimenti e i vocalizzi, mentre predomina il rapporto uno a uno, sillaba-nota con una
marcata scansione ritmica che determina la piena comprensibilità del testo verbale.
Il canto per terze parallele nel Nord eseguiti da soli uomini o sole donne o da formazioni miste.
Altra caratteristica comune alla quasi totalità dei repertori per terze parallele è la struttura strofica, cioè musica
uguale per tutte le strofe del testo verbale.
Si riscontrano spesso versioni monodiche costituite dalla principale delle due linee melodiche. Ciò suggerisce
che la seconda voce rappresenta essenzialmente una «aggiunta» che esalta il momento socializzante del cantare
insieme.
Assai numerosi sono quelli tradizionalmente connessi ad attività lavorative, i canti di risaia, di filanda.
Considerevole l'insieme dei repertori di «intrattenimento», senza cioè una specifica destinazione ma praticato in
diverse occasioni di incontro extralavorative o in situazioni festive. In quest'ambito un caso del tutto particolare
è costituito dal repertorio delle ballate. L'esecuzione a più voci della ballata determina indubbiamente un
affievolimento della tradizionale funzione narrativo - comunicativa che ha l'esecuzione monodica, e appare
invece indirizzata verso il soddisfacimento del piacere di cantare dello stare insieme da parte degli esecutori.
Ciò è confermato dalle testimonianze dei principali interpreti della tradizione delle ballate che tendono ad
esaltare sempre l'esecuzione monodica.
Sempre nel Nord casi di parallelismo per terze si ritrovano tra l'altro anche nei repertori dei cantastorie padani,
dove si ha spesso la presenza di accompagnamento strumentale e in vasto numero di repertori di argomento e
contesto religioso, canti della settimana santa, canti di questua ecc.
Al di fuori dell'area alpino-padana il modello del canto per terze parallele si ritrova
1. in alcuni repertori dei canti di questua delle regioni del Centro a volte con accompagnamento
strumentale su organetto o chitarra, in pochi repertori legati al lavoro; come il «canto alla cepranese» del
Lazio
2. sporadicamente in Sardegna nell'esecuzione di mutos.
3. Assai frequente e diffusa la sua presenza in repertori di genere religiosi soprattutto in quelli
processionali della Settimana santa tra cui di gran rilievo gli esempi dell'Umbria e dell'alto Lazio,
eseguiti da gruppi femminili, maschili o misti, sovente in forma antifonale (con alternanza cioè di due
cori) , e quelli della Sicilia, concentrati in una ristretta zona a sud-ovest dell'Etna, eseguiti da gruppi
maschili con sovente l'aggiunta di una nota bassa tenuta in funzione di bordone. La presenza in repertori
così particolari come quelli liturgici e paraliturgici un modello esecutivo per altri versi estraneo alla
tradizione musicale meridionale autorizza a ipotizzare l'esistenza di fenomeni di «importazione».
Nei repertori per terze parallele del Nord costituisce prassi normale l'aggiunta di una terza parte che raddoppia
una delle due all'ottava più bassa.
NOtate la progressiva entrata delle voci: incipit monodico per il primo verso, a due voci in unisono per il
secondo e quindi la stabilizzazione del modello a tré.
Un'altra notevole variante del modello per terze parallele è l'aggiunta di una terza voce che si muove su uno o
due gradi della scala (che spesso si possono leggere come reali o presunti tonica e dominante) in maniera simile
a un bordone «mobile».
Particolare sviluppo di essa si ha in alcune valli liguri (con esempi in zone amministrativamente piemontesi) e
principalmente a Ceriana, «un paese che canta» che si segnala per la ricchezza e vitalità della tradizione del
canto polivocale (con la presenza anche di vere e proprie sfide canore), opera di «squadre» di canto
specializzate.
Il repertorio, costituito quasi esclusivamente da canti di carattere narrativo, presenta una struttura per terze
parallele poco rigorosa su cui si innesta la parte grave, realizzata da più cantori detti «bassi».
Uno stile di canto analogo è ampiamente praticato nell'esecuzione di tutto il repertorio delle ballate.
Oltre a quello per terze nel patrimonio etnico italiano si ritrovano altre, benché sporadiche, forme di
parallelismo istituite su rapporti intervallari diversi.
1. Casi di seste nell'esecuzione di brani di repertori di «intrattenimento» della minoranza italiana d’Istria,
2. altri di quinta o di quarta nelle regioni del Centro-sud.
3. Una larga presenza di forme di parallelismo si ha infine nei repertori delle minoranze albanesi del Sud
(arbereshe) i cui modelli sono comunque estranei alle forme folcloriche italiane per cui rinviamo a
trattazioni specifiche.
L'esecuzione è quasi sempre a due voci soliste e i rari raddoppi di voci, che limitano lo sviluppo melodico, si
ritrovano soprattutto in alcuni repertori più settentrionali. Anche in questo caso l'esecuzione è sempre avviata da
una sole voce mentre l'entrata dell'altra avviene in tempi e modi alquanto differenti - spesso dopo consistenti
tratti monodici a volte con alternanza tra le due parti — mentre la conclusione è di norma all'unisono o
all'ottava.
Di grande rilievo è la frantumazione dei versi del testo, con conseguente difficoltà di comprensione, secondo
una logica che privilegia le ragioni dello sviluppo musicale.
A differenza di quanto visto a proposito del modello «a parti parallele» in questo caso mancano del tutto
versioni monodiche dei canti e la sovrapposizione delle due voci è da considerare un unicum inscindibile con le
due linee melodiche reciprocamente interdipendenti.
Tra i repertori
I CANTI «A LA LONGA»,
Comunità veneta in Istria
1. I canti «a pera» (a paio /a coppia) da due voci maschili o femminli. L'esecuzione del verso ha luogo in
due fasi:
a. la prima, solista, con marcata scansione sillabica del testo verbale, esposto in tutta la sua
lunghezza;
b. la seconda, a due voci, che ripropone il verso, suddividendolo in due sezioni ognuna delle quali
è costituita da una proposizione in contrappunto nota contro nota (con variabile rapporto
intervallare) seguita da una elaborata cadenza sull'ultima sillaba dell’emistichio dove l'omoritmia
viene meno.
2. I canti «a la longa», generalmente a due voci miste. L'esecuzione ha inizio con una alternanza solistica
delle due voci (in genere la sezione svolta dalla prima è più lunga), dalla scansione ritmica molto
marcata; segue la sezione a due voci – dove le durate si dilatano alquanto - che prevede una complessa
frammentazione del testo verbale e una grande varietà di rapporti intervallari con una costante relativa
autonomia ritmica.
Entrambi i repertori non hanno un preciso contesto esecutivo e sono costruiti generalmente su testi di villette su
coppie di versi endecasillabi
Son stata a Roma non (voce F.)
gh'ò visto ‘l Papa (voce M.+F)
gh'ò visto ‘l Papa (voce F.+M)
Trad.: Sono stata a Roma non ho visto il papa / ho visto delle belle romanine. Le romane portano il grembiule /
le veneziane il fazzoletto in testa.
VATOCCU
Un altro repertorio «a parti non parallele» è quello del «vatoccu», o batoccu eseguito a da un uomo
e una donna, ma anche da più voci miste o da soli uomini,
Tipico della zona dell’appennino dell’Umbria, delle Marche e Abruzzo
Non ha un preciso contesto esecutivo e viene sovente praticato in occasioni di incontro
extralavorative. La combinazione delle parti è assai variabile e presenta una vasta gamma di
soluzioni.
Il vatoccu è il batacchio della campana e in questo canto si ha un battere e ribattere delle due voci
Nella forma più semplice si presenta su un testo lirico monostrofico di tre endecasillabi (tipo
strambotto), il secondo del quale ripete il primo.
La prima voce canta il primo endecasillabo da sola, quindi la seconda voce entra nel secondo e terzo
endecasillabo. Le due parti all’inizio del secondo e terzo verso sono all’unisono, quindi passando per
un intervallo di terza si fissano su una serie di seste e nel finale in ottava.
La voce è forte, sforzata, quasi gridata.
Vi do la buonasera car’ amore
o vi do la buonasera car’ amore
chi sa se ci potremo rivedere. (Macerata)
L'esempio seguente può essere considerato un caso alquanto rappresentativo: molto complessa è
altresì la frantumazione del versi del testo verbale.
Da notare nell'esempio l'alternanza solistica dei due cantori, la varietà di soluzioni armoniche
corrispondenti alle diverse ripetizioni del secondo verso e la presenza di vocalizzi in conclusione.
Siamo arrivati alla cima cima
amor se mi vuoi ben dimmelo prima
amor se mi vuoi ben dimmelo prima
amor se mi vuoi ben dimmelo prima
amor se mi vuoi ben dimmelo prima
amor se mi vuoi ben dimmelo prima
li le le la lo.
Amore amore non me le fa tante
son piccolina e me le tengo a mente…
In tutte le forme a più di due parti si ha la presenza di una parte preminente, con funzione guida rispetto alle
altre, le quali concorrono a creare successioni accordali di supporto in un contesto di assoluta interdipendenza.
Ciò vuol dire, tra l'altro, che l'ascolto reciproco tra i singoli cantori è indispensabile per l'esecuzione e questo
esclude la possibilità di esecuzioni di singoli parti staccate, come pure quella con assenza di una delle parti. La
particolare competenza necessaria per la realizzazione di ogni parte da vita spesso alla creazione di gruppi
specializzati, che in alcuni casi sono espressioni di strutture associative quali confraternite laicali, società
operaie. In quest'ambito non mancano nella trasmissione del canto esempi di vere e proprie scholae cantorum,
popolari.
Per quanto riguarda i modelli esecutivi si può «in grandi linee»
1. parte principale sostenuta da successioni accordali che seguono la sua articolazione ritmica o che
propongono valori dilazionati (in funzione quasi di pedale armonico)
2. parti di accompagnamento ripetono costantemente dei moduli ritmico-melodici con relativa autonomia
di tutte le parti.
Rientrano nel primo caso tutte le forme di ampliamento della struttura a due parti parallele come quelle viste in
precedenza negli esempi nn. 2 e 3. Tale ampliamento può altresì prevedere ulteriori aggiunte di parti, come
avviene per esempio nella montagna pavese nell'esecuzione di repertori di « intrattenimento » dove si può avere
anche la presenza di due o tré parti nel registro grave e di un'altra all'acuto (quest'ultima specialmente in fase di
cadenza finale si ritrova in maniera analoga anche in altri repertori - si veda oltre).
Un singolare esempio di canto in cui il numero delle parti non è mai rigidamente prefissato si ha a Premana,
piccolo centro alpino in provincia di Como, nella prassi del «tiir».
Questa costituisce un momento di forte socializzazione e l'occasione per forme di competitivita tra gli esecutori
presiedute da regole assai complesse . L'attacco è di norma a una voce sola mentre l'entrata delle altre parti è
progressiva e nel complesso mira a riempire tutte le possibili intersezioni degli accordi dalla nota più grave alla
più acuta in uno spazio sonoro presieduto da una riconoscibile linea melodica principale.
Ciascun cantore, però, è libero di passare da una parte all'altra e nemmeno la melodia principale è
costantemente eseguita da una stessa voce. La trascrizione musicale dell'esempio seguente non può quindi
rendere che parzialmente tale complesso gioco tra le voci per comprendere il quale è indispensabile almeno
l'ascolto .
Tra gli altri repertori a più parti del nord una segnalazione particolare merita quello delle cosiddette arie «da
nuoto» (cioè di notte) appartenente alla minoranza veneta in Istria. A tré parti eseguite ciascuna da un cantore
esso ha l'elemento caratterizzante nella ricerca di sofisticare combinazioni nella articolazione della trama
armonica. Questa, infatti, fondata su accordi completi in posizione fondamentale, è assai ricca di dissonanze
provocate da scivolamenti per grado, ritardi o veri e propri glissando delle voci di grande effetto e si conclude
con accordi pienamente consonanti.
Se nelle forme appena viste si ha una sostanziale omoritmia tra tutte le parti, nel cosiddetto canto «ad accordo»,
diffuso nelle regioni meridionali e in particolare in Sicilia, è assai marcata la divisione tra il ritmo della melodia
principale e quello delle altre parti. La prima, generalmente sul registro più acuto, è realizzata sempre da un
cantore solista e presenta i caratteri dei canto monodico del Sud compresa una ricca componente ornamentale.
Le altre parti, invece, eseguite di norma da più di un cantore ciascuna, si svolgono in ambiti melodici piuttosto
ristretti e determinano una successione di bicordi o accordi completi in posizione fondamentale con valori
ritmici in genere assai dilazionati. Tale successione che interviene a partire da determinati punti della melodia
solista variabili di volta in volta, o semplicemente in fase di cadenza intermedia e/o finale, presenta nel
complesso una rimarchevole varietà di svolgimento. È inoltre da segnalare die assai spesso l'accordo finale
viene arricchito dalla presenza di una voce acuta, a mo' di «falsetto», all'ottava superiore rispetto a una delle
parti di accompagnamento.
Benché esempi di tal genere siano documentati nell'esecuzione di repertori di intrattenimento è soprattutto in
repertori religiosi di tipo processionale, connessi per lo più alle celebrazioni rituali della Settimana santa, che
esso oggi si manifesta. La particolare competenza richiesta nell'esecuzione di tutte le parti da vita all'istituzione
di «squadre» di canto specializzate, in genere espressione di confraternite laicali. Va anche osservato che sia la
strutturazione del materiale musicale che i dati reladv; alla sua esecuzione-trasmissione indicano die alla base
della sedimentazione dd modello vi siano state profonde commistioni fra forme musicali della tradizione orale e
forme della musica colta (in particolare del falsobordone italiano assai diffuso nella musica religiosa dei secoli
XVI-XVI1).
La relativa autonomia delle parti è invece caratteristica di un modello di canto polivocale alquanto complesso in
genere detto a imitazione strumentale per il particolare effetto risultante dall'esecuzione che richiama per molti
versi il comportamento di un canto solistico con accompagnamento di strumento musicale. Anche in questo
caso, infatti, è ben evidente una sostanziale automia tra una parte principale e le altre che nell'assieme ne
sostengono l'andamento. La prima, posta su registri di volta in volta differenti, si staglia alquanto nettamente
nel contesto della sovrapposizione verticale realizzando linee melodiche pienamente sviluppate e svolge il testo
verbale del canto. Le altre, di numero variabile a seconda dei casi, realizzano frammenti melodici e hanno ruoli
e caratteristiche ciascuno differenti, che, in prospettiva verticale, danno vita a successioni accordali di terza e
quinta, in genere pienamente interpretati da una logica armonica di tipo tonale. Tutte le parti hanno una precisa
denominazione, sono eseguite da un solo cantore (ad eccezione in alcuni casi di possibili raddoppi delle parti
basse) e richiedono una particolare competenza con conseguente istituzione di gruppi di cantori specializzati.
Sono ascrivibili a tale modello il «trallalero documentato nell'area urbana di Genova, il «bei presente nella zona
di Grosseto e intorno al monte Amiata e delle «bitinade» degli istrio-veneti di Livigno. Si tratta di repertori che
oggi sono in aree assai ristrette, relativamente lontane tra loro e senza apparente reciproco collegamento e
contatto con altre forme polivocali delle rispettive regioni, mentre presentano nell'assieme forti affinità con
repertori esteri assai lontani come quelli della grande tradizione polivocale della Geòrgia e delle regioni
caucasiche o quelli di alcune aree della penisola Iberica. Tali affinita che costituiscono un campo di indagine
assai complesso e ancora del tutto inesplorato, suggeriscono l'esistenza nel passato di possibili scambi musicali
oggi non più esistenti.
IL «TRALLALERO»,
in passato diffuso in ambiti extraurbani in una vasta zona della Liguria e anche in regioni vicine, è oggi intonato
da «squadre» di canto semiprofessioniste.
Imparentato con il Bei, i Tenores, le Tasgia,cioè con le varie forme di polifonia a piùvoci con bordone e
imitazione strumentale, propone un modello di polifonia arcaica
Le parti sono cinque e, dall'acuto al grave, sono denominate
1. cuntrètu, donna o segundo che è una voce in falsetto,
2. primmu, la parte principale, voce tenorile
3. «chitarra»,
4. «baritono» e
5. «basso» che è anche l’unica che può essere realizzata da più di un cantore. Realizzano un bordone con
intervalli fra loro di qeurta e terza o quinta
Al momento dell'esecuzione, avviata sempre dal primmu, i cantori si dispongono in cerchio per facilitare il
reciproco ascolto.
Caratteristico è il vocalizzo della «chitarra», eseguito ponendo il palmo della mano rovesciato all'altezza delle
labbra, con un arpeggiare continuo che appunto richiama esplicitamente il comportamento musicale dello
strumento. Il repertorio è in genere costituito da un insieme di testi tradizionalmente definiti «trallalero», ma in
stile «trallalero» vengono normalmente eseguiti testi di diversa provenienza, ivi compresi brani di operetta e di
musica di consumo (tra cui le canzoni del festival di Sanremo).
L’usignolo
Canzonetta ottocentesca nota anche attraverso i fogli volanti, che con La partenza per Parigi, occupa il posto
principale nel repertorio delle compagnie genovesi.
Non sono un usignolo -basso
sono il tuo damo -tenore
ti chiedo dei baci - basso
perché tanto t’amo -tenore
April non è April senza dei fior
amor senza baci non è amor- tenore e coro
Lingua serpentina
Un esempio di polivocalità nell’area del trallallero, ma di struttura meno artefatta, sofisticata e complessa. Il
testo è costituito da una serie di strambotti.
Da dunde ti ne vegnì o lengua serpentina
ti gh'ài ditu al me amur che sun pecìna.
Si fan montar la tasta, queste citrulle, Ora che son di moda le banane
perché voglion portar na zazzerina, e alle ragazza gli piacciono assaie
si tagliano la trecce, queste grulle, e portano assai curte le sottane
non portano i capelli came prima. con le calzettine tutte matte.
Coi capelli si tagliati E con quelle calze strambe
par che sian tutte chignate, par che nude abbian le gambe
non c'è che dire: se gira il sole,
più brutte di così fanno morire pare che abbian le mutandine sole.
Le «bitinade», «mattinate, serenate» di Rovigno, infine, costituiscono il repertorio attualmente più inesplorato
Le tré parti, una principale e due di accompagnamento non hanno una precisa denominazione benché
nell’insieme gli esecutori vengono denominati bitinadori.
Anche in questo caso, comunque, è solo la prima a svolgere una completa linea melodica e tra le altre voci
presenti sono specializzate nel realizzare un effetto «instrumentale» attraverso un vocalizzo arpeggiato. Anche
anche in questo caso il risultato armonico è dato da una regolare successione di accordi di tonica e dominante in
un ambito pienamente tonale. Il repertortorio è costituito soprattutto da canzoni d'autore di «stampo
ottocentesco» mentre mancano testimonianze circa l’esecuzione in questa maniera di «villette» o di altri testi
della tradizione orale.
Un rapido accenno in conclusione di questo intervento va fatto alla presenza di numerosi canti, anch'essi
polivocali, che scandiscono ritmi di lavoro eseguiti in forme di tipo responsoriale con alternanza tra un solista e
un coro tendenzialmence all'unisonoo all'ottava o più raramente in forma di tipo antifonale con alternanza di
due gruppi vocali anch'essi tendenzialmente in unisono. Esempi di tal genere sono documentati tra l'altro in
Sicilia nel repertorio dei canti dei pescatori di tonno.
Vo girand per gli ' osterie
vo girand di qua e di là
la notte in Betlemme non si trova
e non si troverà - ci vuoi pazienza
pazienza santa
stanotte andremo a riputa
sot quela pianta2
Si gh'è pasà di là '1 pastor Gerlindo '
1 le •
2 sotto quella pianta
s si è passalo di ti il pastore Ge(r)lindo
vede la buona gente mal vestita
— venite a dietro con me sposina aibella
io vi farò insegna na capanella
E là c'è '1 bue e l'asinelio
con del fieno
starete più bene là
che al ciel sereno -
E vi saluto brava gente
e vi saluto di buon cuor
ma di buon cuore
voi mi sembrate gente
del Signore
E'1 ventiquattro di dicembre
la Maria si sentì
un gran dolore
si gh'è nasìt il nostro '
Redentore
VILLOTTA
El me murùs el sta de là del Sèri Al me murus al m'a manda na riga
l'è picinìn ma '1 gh'à le gambe bèle al m'a mandat a di che me so nigra
l'è picinìn ma '1 gh'à le alte (v)us e me gh'u riscuntrà d'una rigassa
el pusé bèl del mund l'è '1 me murus se me so nigra
Laralalalla laralalalla lù l'a de la rassa
laralalalla laralalà
iaralalalla, ecc.
E mi stanot g'ò fat d'un sogno matto El me murus al m'à manda una lètera
sugnài che '1 me murus al me stringeva '1 I
braccio al m'à mandai a dì che me son puarèta
e me g'ò fat per daga d'un basin |
mi g'ò basa la fodra dal cussin e me g'ò riscontra le so richesse
Laralalalla, ecc. I,
lù '1 porta la gìachèta a punc e pesse
El me murùs l'è nel e pò l'è bèl t
al gh'à du rissulìt sòta al capel iaralalalla, ecc.
al gh'à du rissulìt d'una cavidda El me murus el m'à manda una nus
se lu l'è bel e me so inemurada |
Laralalalla, ecc. al m'à mandai a dì che lù l'è spus
e me g'ò riscuntrà d'una nisóla
se lù l'é spus e me g'ò già una fióla
iaralalalla, ecc.
Traduzione
II mio moroso sta al di .là del Serio / è piccolino ma ha le gambe belle / è piccolino ma ha la
voce forte / il più bello del mondo è il mio moroso
E io stanotte ho fatto un sogno matto / ho sognato che il mio moroso mi stringeva il braccio / e
io ho fatto per dargli un bacino / e ho baciato la fodera del cuscino
II mio moroso è bello e poi è bello / ha due ricciolini sotto il cappello / ha due ricciolini e una
capigliatura / se lui è bello io sono innamorata.
II mio moroso mi ha mandato una riga / mi ha mandato a dire che sono nera / e io gli ho
risposto una rigaccia / se io son nera lui è della stessa razza
II mio moroso mi ha mandato una lettera / mi ha mandato a dire che sono poveretta / e io gli ho
rinfacciato le sue ricchezze / lui porta la giacchetta a rammendi e pezze.
Il mio moroso mi ha mandato una noce / mi ha mandato a dire che lui è sposo / io gli ho
risposto con una nocciola /se lui è sposo io ho già una figlia.
Comprende sia quanto viene eseguito dagli adulti per i bambini, sia quanto
appartiene all’attività propria dei bambini.
Il bambino impara vivendo e l’adulto sembra quasi disinteressato a lui, non gli
insegna, non gli spiega.
Osservando i modi della crescita sembrerebbe non esistere una didattica o
una metodologia specifica per la trasmissione al bambino; in realtà ad
operare era una didattica indiretta, ossia
un bambino collaboratore e non allievo.
Questa tecnica del rubare il mestiere, di una scuola senza spiegazioni era
utilizzata anche dagli artigiani con i piccoli apprendisti, dai suonatori con gli
allievi.
Una cultura senza libri e senza scrittura.
Il primo suono che il bimbo ascolta è la voce della sua mamma che parla o
canta.
«Ciò spiega in parte perché tanto spesso le ninne - nanne contro l’opinione
corrente, non abbiano testi lieti e sereni e musicalmente si connotino come
veri e propri lamenti, anche disperati»; «non raramente nei testi delle ninne -
nanne compare l’immagine della morte e altrettanto spesso appaiono altri
segni e immagini paurosi»
ninnananna la malcontenta
il babbo gode la mamma stenta
babbo va all’osteria
mamma tribola tuttavia
babbo mangia l’erbe cotte
mamma tribola giorno e notte
babbo mangia e beve vino
mamma tribola col cittino
babbo mangia li fagioli
mamma tribola coi figlioli
(toscana) N.B.: economia di miseria dove il solo fatto di bere vino, mangiar
fagioli facciano dell’uomo un gaudente
7. Suonn suonn
L’analisi di questa ninna nanna rivela alcune affinità con i nomoi della
salmodia gregoriana:
nel versetto gregoriano troviamo l’initium , qui un inciso melodico
ascendente dell’ampiezza di 3a maggiore
5° grado più volte ripetuto (nel versetto gregoriano assolve ad
analoghe funzioni la repercussio , nota centrale della melodia simile
appunto alla nostra dominante).
La cesura verbale viene resa più efficace dall’uso del silenzio
ancora una volta ricordandoci il modello gregoriano (flexa ).
RIME, GIOCHI………
Una seconda importantissima fase è quella dell’addestramento fisico del
bambino:
RIME, GIOCHI RITMICI, SCIOGLILINGUA, INDOVINELLI
hanno funzione di gioco ma anche
di coordinamento dei movimenti
di addestrare all’uso del linguaggio,
all’agilità.
Sono giochi in cui si fa saltare il bimbo sulle ginocchia e si finge di farlo volare
o cadere, giochi che comportano il battito ritmico delle mani.
Il materiale è vastissimo.
LA ME NONA L’È VECCHIERELLA
Questa rima per gioco infantile è un documento di notevole interesse perché
consente di attribuire un'ascendenza musicale a quella canzone della
Resistenza divenuta notissima che è Bella ciao e sulle cui origini e
trasformazioni tanto si è scritto e detto, spesso in modo inesatto.
Per quanto riguarda il testo, Bella ciao discende da una canzone narrativa
Fiore di tomba che ha un'ampia diffusione in Italia e in Europa.
Per la musica era stata indicata una canzone di risaia, ma ad una ricerca più
accurata quella canzone è risultata posteriore alla versione della resistenza
(cioè del dopoguerra).
Sono state avanzate diverse ipotesi, ma tutte poco convincenti. Ciò che
rendeva problematica la ricostruzione della genesi della canzone era la
melodia in modo minore (in un'area, quella settentrionale, dominata dal
maggiore) e soprattutto la presenza di quel battito di mani, così estraneo alla
nostra tradizione.
Si era così parlato di un'origine slava, capace forse di giustificare e il minore
e le mani battute. Del resto l'origine slava rientrava nel processo genetico di
più d'una canzone partigiana.
Ma in effetti questa rima infantile ci offre una plausibile ascendenza per Bella
ciao. Prima di tutto si tratta di una rima sicuramente anteriore alla canzone
resistenziale,
la melodia è uguale a Bella ciao,
si può spiegare la presenza del battito delle mani che, nel canto politico
aveva funzione incitativa, mentre in La me nona l'è vecchierello, era usato
per l'educazione al coordinamento dei movimenti dei bimbi.
MERRIAM
ANTROPOLOGIA DELLA MUSICA
Merriam:
Etnomusicologia……Lo studio della musica nella cultura. 1960
Scopi dell’etnomusicologia
1. Analisi della musica dei popoli non-occidentali. Per sfatare l’etnocentrismo che vede la
musica di queste popolazioni inferiore alla nostra e indegna di analisi . Kunst (1959) si
oppose con forza al preconcetto secondo il quale questa musica non-occidentale fosse
null’altro che l’espressione di civiltà primitive.
2. Registrare e analizzare e conservare materiali. Per vincere la paura che la musica popolare
sia in via d’estinzione. Curt Sachs (1962) questa musica non può essere acquistata nei
negozi, …essa va rispettata e ..preservata dalla scomparsa. Sebbene questo scopo sia
importante non dimentichiamo però l’inevitabilità del cambiamento, cioè quei fattori sociali
e culturali che agiscono sulla trasformazione della musica. Occorre quindi registrare più in
fretta possibile, ma anche studiare i processi trasformativi.
3. La musica si considera un mezzo di comunicazione. Hood ricorda che la musica è un mezzo
di comunicazione: naturalmente dobbiamo evitare di considerare la musica come un
linguaggio universale. Esistono al mondo molte comunità musicali che utilizzano musica
incomprensibile agli altri gruppi. Possiamo dire che la musica comunichi solo all’interno di
una determinata società e a questo proposito Robert Morey (1940) fece un esperimento.
Fece ascoltare brani di Schubert Beethoven Wagner Haendel ad alcuni studenti di Balahum
in Liberia (1940) e scrisse: I Loma della Liberia non riconoscono nella musica occidentale
l’espressioni di emozioni..Ci saremmo aspettati le classiche reazioni di tristezza, allegria,
paura, gioia, invece la musica non è in grado di suscitare emozioni per ascoltatori la cui
educazione sociale e musicale è differente da quella del compositore. Ogni cultura decide
cosa debba considerarsi musica, in generale è la composizione di ritmo e tonalità, ma
secondo modelli che sarà la società a fissare. La musica è composta ed eseguita da alcuni
uomini per altri uomini e non può essere un comportamento appreso. La musica non esiste
per sé e la sua organizzazione è il risultato della decisione delle persone su ciò che debba
essere considerato musica. Farnsworth descrive un esperimento che illustra della relazione
tra musica e società: ad un duo pianistico venne chiesto di suonare un valzer e gli studenti di
un college dovevano fissare con il metronomo il giusto andamento che fu presto stabilito in
116 quarti. Sei anni dopo lo stesso esperimento ebbe come risultato 139 querti. Ecco come il
gusto si determina in rapporto ai modelli culturali. Ascoltando un determinato canto ci
accorgiamo che esso è costituito da una certa quantità di suoni, alcuni individui producano
questo canto ed altri lo ascoltano: tutti insieme possono accettare o rifiutare il prodotto a
seconda delle proprie idee e dei propri gusti; si determina così una certa influenza sui
comportamenti e sulla musica stessa.
La comunicazione presuppone comprensione e anche desiderio di comprendere. Se è
naturale che i membri di una comunità accademica si dichiarino disponibili ad ascoltare,
analizzare e ricercare suoni di una cultura diversa, non possiamo certo dire che la stessa
disponibilità ci sia qualora si decidesse di presentare l’Opera cinese in un bar del Kentucky.
4. Studiare la musica primitiva. Sostiene Nettl (1956)..questa musica allarga le esperienze
dell’ascoltatore e dell’esecutore, fa dello studioso un essere più tollerante dei diversistili ed
idiomi. Per o storico musicale è utile per cercare di determinare l’origine della musica o
degli strumenti musicali; per il linguista per trovare materiali etnilinguistici.
Competenze dell’etnomusicologo
1. Deve essere in grado di studiare all’interno la disciplina: cosa sia la musica, come si crei e
quale sia la sua struttura. Deve essere in grado di trascrivere e analizzare la musica. Un tipo
di studio descrittivo e tecnico che non può essere affrontato senza un’adeguata preparazione
musicale. Molto spesso i non-specialisti rifiutano l’estremo tecnicismo di questi studi
comprensibili solo agli addetti ai lavori.
2. Deve essere in grado di studiare il comportamento fisico degli esecutori (postura,
movimento della dita, del respiro) e il comportamento sociale degli esecutori e dei fruitori.
Ad esempio nella nostra società i musicisti si comportano in certo modo e il loro
comportamento emotivo e fisico è standardizzato (si pensi ad una esecuzione al pianoforte
di una sonata di Beethoven). Naturalmente i comportamenti differiscono a seconda delle
convenzioni in vigore in un determinato sistema musicale.
3. Deve essere in grado di studiare la funzione e gli usi della musica in un determinato contesto
sociale
L’etnomusicologo tenta di capire ciò che ascolta, ricorrendo all’analisi della struttura del
comportamento e di ricondurre questi studi alla comprensione generalizzata e comparata dei
risultati.
L’etnomusicologia ricorre nello stesso tempo a due aree di studio: le finalità sono scientifiche,
mentre l’oggetto di studio è umanistico
L’Educazione musicale multiculturale è un nuovo approccio all’insegnamento dell’arte dei suoni,
nel contesto di una società globalizzata. Gilberto Ongaro ci parla di questa nuova sfida alla
didattica italiana.
Il contesto sociale in cui ci troviamo oggi, in Italia ma anche nel resto dell’Europa, è caratterizzato
da una moltitudine di culture diverse che si trovano a dialogare, a volte sono in contrasto, ma è
innegabile che bisogna fare i conti con la complessità, ed accettarne la sfida. L’autore afferma che,
ad eccezione fatta ovviamente per l’etica laica del rispetto reciproco e della convivenza civile,
tornare ad imporre valori di Stato monoculturali in un Paese che monoculturale non lo è più,
risulta anacronistico e anche dannoso. Qui nello specifico, si parla di musica, dunque di educazione
musicale e se bisogna affrontare classi sempre più eterogenee, per quanto riguarda etnia e
religione, è necessario riuscire a porre le basi per un’educazione musicale multiculturale.
Ennio Morricone si era recentemente espresso sulla debolezza dell’educazione musicale nelle
scuole dell’obbligo, lamentandosi anche dei famigerati flauti dolci. In realtà il flauto dolce è
retaggio di una storica cultura rurale, per cui avrebbe una sua dignità e una sua ragion d’essere.
Ma nel 2020 in una società sempre più interconnessa, dove le diverse culture si sono mescolate
già da almeno trent’anni, ha ancora senso proporre un modello didattico rimasto al dopoguerra?
Interculturalità
Prendiamo adesso in considerazione l’idealismo dell’interculturalità, cioè dell’interazione fra
diverse culture originarie, volto a costruire un’unica identità ibrida e che a giudizio dell’autore si è
rivelato un fallimento. Perché? Perché era un processo artificiale, forzato. Nel nome del libero
mercato, si richiedeva alle diverse realtà culturali di fondersi, e nello specifico musicale, questo
processo sociale ha portato alla nascita della world music: un calderone, che contiene qualsiasi
materiale sonoro etnico, spesso messo in loop su basi elettroniche in pieno stile occidentale.
Simbolicamente, era il trionfo del modello economico americano su tutte le culture altre, che lo
asservivano.
Dopo l’11 settembre 2001 è diventato evidente che questo approccio è stato deteriore: i quartieri
di New York sono ghettizzati, ogni gruppo etnico resta chiuso in sé, il dialogo è evitato e visto con
sospetto.
Multiculturalità
Diverso concetto è quello della multiculturalità, in quanto non è un processo artificioso bensì un
dato di fatto: è la convivenza fra diverse culture che coabitano in uno spazio circoscritto.
Possibilmente convivenza pacifica e nel rispetto reciproco, ma non per forza ci si mescola. Questo
è decisamente il modello più realistico e giusto, da applicare (con fatica) anche nell’educazione
musicale, per forgiare nuove generazioni che sappiano vivere in armonia sia nelle loro comunità,
che nel dialogo con le altre.
Ma anche applicare questo approccio come modello fisso, ha una contraddizione latente in sé:
significa dare per scontato che le minoranze costituiscano per forza un problema da risolvere, e
non un’opportunità di crescita.
In Italia
Zoltán Kodály, compositore, etnomusicologo e didatta ungherese, insieme al suo amico e collega
Béla Bartók, fu un profondo conoscitore della musica tradizionale e popolare del suo paese,
l’Ungheria, e grazie alla metodologia da lui sperimentata fu possibile rivoluzionare l’insegnamento
della musica. Si interessò notevolmente all’educazione musicale e sviluppò dei principi per
coinvolgere gli allievi in modo non convenzionale, superando la sola lettura a spartito. Oggi gli
studiosi parlano delle idee didattiche di Kodály riassumendole nella denominazione di "Metodo
Kodály".
Chi segue questo metodo, prima di arrivare ad insegnare la lettura delle note, ambienta i bambini
nei rapporti sonori, senza teoria alcuna. Spesso con la creazione di coreografie, di movimenti che
fanno interiorizzare la percezione musicale. Questo per far prendere familiarità con il linguaggio
sonoro primitivo, con la suggestione ancestrale che scaturisce dall’esplorare la propria voce. Ma
tutti questi discorsi sono vicini a quelli ascoltati durante una lezione di educazione musicale alle
medie? Improbabile, afferma l’autore.
La scrittura musicale esiste essenzialmente in tre aree: Occidente, Giappone e India. Tre quarti del
mondo insegna e suona musica a orecchio e impara per imitazione del maestro. Imparando la
musica da spartito, si impara per stratificazione di tante fasi: prima si studiano solo le durate delle
note, poi solo le altezze, poi solo le posizioni delle mani, poi solo l’intensità etc... Perché noi ci
ostiniamo ad escludere l’oralità musicale dalla scuola? Con l’imitazione, tutto questo si apprende
in un solo colpo d’occhio, lasciando più spazio all’allenamento pratico.
Riferimenti e bibliografia
Premessa
L’universo e il flusso di suoni e musica che circolano nei diversi ambienti di vita, di lavoro, di svago e di studio sono
collegati a tre differenti fattori.
1) L’apertura delle frontiere culturali permesso la circolazione di musiche non conosciute prima
oltre i confini nazionali.
2) L’industria musicale e i diversi interessi culturali hanno moltiplicato i generi musicali.
3) L’uso dei media della comunicazione ha favorito l’integrazione musicale e infittito la rete dei messaggi e degli
scambi tra i popoli.
1 Cap.
La musica non si propone più come un linguaggio universale, indipendente dalle diversità culturali, ma è fortemente
vincolata ai contesti socio-culturali in cui viene prodotta e fruita. Cioè essa è espressione della dinamicità sociale e
culturale che attraversa e caratterizza le attuali comunità multietniche e multiculturali.
I generi musicali diversi, provenienti da periodi storici e da latitudini differenti, sono frutto della antropologia musicale
proposta da Alan Merriam (1964) che ha studiato il fenomeno sonoro.
Negli anni 80 Anthony Seger (1993), superando la teoria di Merriam secondo la quale la musica non è semplice
espressione sonora di un determinato gruppo sociale, afferma che essa è un fenomeno che determina molti aspetti
della vita culturale e sociale. Diventa un modo non verbale di concepire e organizzare il pensiero sviluppando la sfera
dell’individuale e quella del sociale. Questo nuovo modo di intendere la multiculturalità della musica permette nella
pratica pedagogica di far conoscere agli allievi contesti culturali differenti e realizzare esperienze di integrazione
culturale, critica e creativa.
2 Cap.
I giovani delle moderne società occidentali vivono in un universo sonoro-musicale ricco nel quale riescono ad
individuare il mutamento del “paradigma cognitivo” che si basa sul coinvolgimento non solo visivo, ma dell’intero
impianto sensoriale del soggetto. Essi assistono al superamento della vita economica, sociale e culturale di prima degli
sviluppi elettronici.
Ma gli studi e le analisi di vari studiosi come Vygotskij, Bruner e Olson, evidenziano i legami tra i diversi meccanismi
cognitivi (il vecchio e il nuovo). Tuttavia il pensiero muta nel tempo. I nostri bambini crescono in un ambiente naturale
diverso rispetto alla cultura gutembergiana e orale. L’oralità mediata dalla radio, televisione e altri supporti elettronici
li espone a inedite forme di “imprinting cognitivo”. I suoni e la voce provengono da lontano, la fonte della comunicazione
non è presente al destinatario del messaggio. Queste caratteristiche delle tecnologie della comunicazione sonora si
saldano anche all’universo della scrittura. La comunicazione sonora si basa su ritmo, volume, timbro, modulazione, ma
si incontra e si combina anche alla comunicazione tipografica. La radio infatti consente l’opportunità di registrare. Il
video coinvolge, oltre alla vista e all’udito, il messaggio emotivo nella fruizione. Col passaggio dalla “cultura dell’occhio”
alla “cultura dell’orecchio” anche il campo musicale assume caratteristiche inedite creando un circuito di diffusione
della musica la cui potenza era inimmaginabile in passato.
In tal modo le nuove generazioni si mantengono spontaneamente disponibili verso sonorità sconosciute e accedono
senza difficoltà all’universo sonoro-musicale di popoli lontani culturalmente e geograficamente.
3 Cap.
All’interno delle attuali società multiculturali c’è il fenomeno della musica popolare che comprende canzoni in stile
locale o derivate da tradizioni regionali orali. Secondo Middleton (1994) che ha studiato questo tipo di musica, essa è
un fenomeno musicale in stretta relazione con la cultura in cui questo si presenta. Vi è un fondamentale legame tra stili
musicali e società. Nella realtà, si presentano strettamente interconnessi “sfera del valore” e cioè dei significati e dei
giudizi, e “sfera del piacere”, del godimento corporeo ed estetico. Middleton distingue sei categorie di valore della
musica popolare:
- Valori comunicativi: la musica può dare qualcosa di interessante, commovente secondo la comprensione
dell’ascoltatore.
- Valori rituali: la musica può svolgere e creare solidarietà.
- Valori tecnici: essa impiega abilità tecniche.
- Valori erotici: coinvolge il corpo, i muscoli, i gesti e i desideri.
- Valori politici: la musica può presentare un contenuto politico.
- Valori posizionali: la musica consente di adottare una collocazione individuale o collettiva.
4 Cap.
La musica popolare è complessa perché le sue radici culturali la legano a specifiche entità etnico-linguistiche, sociali ed
economiche. In gran parte dei paesi del mondo lo sviluppo dei repertori locali non risulta messo in crisi dalla diffusione
di repertori erotici. I “localismi” sono ancora saldi nel mondo della musica. Permangono ancora evidenti le barriere
musicali in ambito europeo. Le canzoni italiane, francesi, spagnole inserite nelle hit parade dei paesi di origine varcano
di rado i confini nazionali. Così il pubblico arabo non ascolta canzoni europee e viceversa. In Italia ha accesso in maniera
massiccia la musica angloamericana.
5 Cap.
Negli incontri fra “localismi” ed “omologazioni musicali” nascono dinamiche culturali variegate che generano
innumerevoli possibilità musicali diverse. È così che in ogni parte del mondo occidentale si moltiplicano esperienze
acustiche diverse, estranee all’ accademismo della composizione “colta”, al contesto musicale classico. Nascono di
conseguenza collaborazioni artistiche tra musicisti, reinterpretazioni originali, combinazioni di suoni, di ritmi, di dialetti
che trovano sintesi in festival, dischi, colonne di film.
6 Cap.
La stragrande quantità di brani musicali che oltrepassano i confini dei paesi dove sono stati concepiti si diramano in ogni
parte del mondo, contribuiscono a formare uno spazio di comunicazione particolare dove si sovrappongono sonorità
multiculturali che determinano il passaggio da una cultura dominata dalla percettività visiva a una cultura fortemente
“sonorizzata”. Ciò sollecita i giovani ad entrare in contatto immediato con la diversificata molteplicità dei prodotti
culturali. Generalmente ai giovani piace godere di eventi musicali che trascendono la tradizione del proprio paese.
Essi si mostrano particolarmente sensibili a fare interagire il proprio patrimonio di conoscenze con le informazioni
sconosciute provenienti dal mondo musicale: le acconciature, il vestiario, il linguaggio mimico-gestuale, la varietà di
ritmi dei temi trattati. In questo quadro occorre volgere l’intervento educativo all’integrazione della “cultura
dell’orecchio” a quella della “cultura dell’occhio” intervenendo sia sul versante sincronico che diacronico.
Riguardo al primo bisogna proporre attività di:
- ascolto, studio, riflessione sulle culture diverse dalle nostre per individuare le specificità espressivo-
comunicative e contenutistiche
- collegamento di tali specificità con la cultura, organizzazione sociale, politica, economica, linguistica, religiosa
dei popoli diversi.
Riguardo al versante diacronico è necessario proporre attività di:
- ascolto, studio, riflessioni su brani musicali in epoche diverse
- collegamento della evolutività di una tradizione musicale
- utilizzazione della familiarizzazione con forme musicali diversificate nel tempo storico di ciascuna cultura.
La scuola deve perciò essere configurata come centro di elaborazione sonoro-musicale. Da una parte deve essere in
contatto con la tecnologia sonora in circolazione, deve utilizzare video-supporti elettronici, impianti hi-fi, riviste
musicali. Dall’altra deve invitare artisti di tradizioni musicali diverse, organizzare interviste e registrazioni.
La scuola infine può spostarsi in luoghi dove si produce e si ascolta musica nei teatri, nei circoli culturali, nelle discoteche,
nelle feste popolari ove realizzare percorsi di educazione interculturale, per volgere uno sguardo sul mondo disponibile
a cogliere nella irriducibile diversità dell’ ”altro da sé” inesauribili possibilità di crescita e di sviluppo personale e sociale.
SARDEGNA
Una trattazione a parte merita per complessità e varietà di forme la straordinaria fioritura della
polivocalità a più parti della Sardegna.
Anche in questo caso è possibile una suddivisione
1. forme con una sostanziale omoritmia tra le parti
2. forme con marcata scansione ritmica
3. casi quasi a imitazione strumentale
La polivocalicà sarda è un'espressione a se stante, superbo frutto di una cultura musicale assai
sviluppata lo dimostrano:
le peculiarità delle soluzioni armoniche
la qualità del timbro dell'emissione vocale
il ricco campionario di effetti vocali (glissando, ritardi ecc.)
Diffusa in tutto il Centro-nord, essa ancora oggi risulta largamente frequentata e in molti casi
pienamente funzionale con una notevole molteplicità di stili ciascuno caratteristico di una
determinata area.
L'esecuzione, a quattro o cinque parti, prevede sempre che ogni parte sia realizzata da una sola voce
e quindi l'opera di cantori altamente specializzati in un determinato ruolo.
Inoltre non sempre un ruolo leader della parte principale appare con assoluta evidenza in quanto la
particolare interazione delle parti permette anche alle altre di risaltare e quindi a tutti i cantori di far
sfoggio delle proprie capacità vocali.
LA POLIFONIA BARBARICINA
Il tenore della Barbagia è da considerare il modello della polivocalità sarda per eccellenza.
Orgosolo è un nome consacrato alle dure cronache del banditismo sardo. Il paese di circa 5000
abitanti è nel cuore della Barbagia, la più impervia e chiusa regione della Sardegna. La terra di
antica tradizione pastorale non fu mai completamente sottomessa ai vari conquistatori del passato
che invece si insediarono in varie ondate in tutta la Sardegna.
La polifonia barbaricina è un fenomeno unico e singolare.
Quando improvvisano i loro poemi, gli orgolesi hanno l’abitudine di riunirsi in gruppi, di solito di
quattro cantori.
Il primo SA BOGHE si mette da un lato, quasi di fronte rispetto agli tre, spesso con la mano
davanti alla bocca in modo da farne una cassa di risonanza e incomincia a intonare il primo verso
con una voce acuta e tremolata. Il modulo ritmico è molto irregolare, asimmetrico caratterizzato da
continue accelerazioni, e decelerazioni, melismi e abbellimenti. Questa voce somiglia a quella dei
pastori del Gargano e della Calabria. Non appena il verso finisce il primo cantore tace e sulla sua
ultima nota intervengono gli altri tre.
SU BASSU: di registro basso, una voce di gola rauca e cavernosa, dal timbro metallico, dal suono
duro, continuo che emette una successione di note rapide e violente che fanno da base agli altri due
cantori
SA MESA BOGHE E SA CONTRA
che emettono altri suoni in rapporto armonico con su bassu di terza - quinta oppure quarta-sesta
(intervalli approssimati in quanto le tecniche vocali portano spesso all’emissione di intervalli
inferiori al semitono).
Spesso si incontrano intervalli di seconda che danno maggiore urto e angolosità.
Le tre voci non ripetono alcuna parola cantata o declamata dalla boghe ma fondano il loro blocco
ritmico sulla scansione di alcune combinazioni sillabiche tradizionali
ba-ri-llà
bim-ba-rà
bim-bo-rò
Conclusasi questa parte a tre voci, la voce sola riprende la sua declamazione, per essere interrotta
dalle altre voci, e così via.
I canti erano utilizzati quale incitamento alla bardana.
Le voci dei tenores barbaricini si caratterizzano per alcune sedimentazioni e imitazioni naturali: si
riscontra un’affinità con i gridi che i pastori lanciavano ai loro greggi
voce tirata, tremolata, grida, sibili, effetti glissando
analogie col mondo animale
belati, muggii, suono dei campanacci
I cantori cantano in uno stato di totale immobilità se si eccettua la mano che talvolta portano alla
guancia, tra l’orecchio e la bocca e che serve da cassa di risonanza.
Le altre musiche pastorali italiane sono invece caratterizzate da continui movimenti del corpo dei
cantori e deformazioni del viso. L’immobilità la troviamo in culture celtiche o africane
IL MUTU (E IL MUTETTU)
Il mutu (e il mutettu) sono le forme fondamentali del canto tradizionale sardo. Le due forme non
sono esattamente separabili perché intimamente connesse e perché usate spesso indifferentemente,
sia nell'uso che nelle opere degli studiosi. In termini generali si può dire che il mutu è soprattutto
diffuso nell'area nuorese-logudorese, mentre il mutettu è proprio dell'area campidanese.
Nella forma del mutu si hanno, in Sardegna, esecuzioni diverse: voce sola, voce e chitarra, più voci
(tenores, tasgia, ecc.).
Sia l'uno che l'altro usano di preferenza il verso settenario, più raramente l'ottonario,
eccezionalmente l'endecasillabo. Entrambi, poi, presentano una singolare struttura che è propria di
queste due forme della musica popolare sarda.
Abbiamo innanzi tutto una "esposizione" con un numero variabile di versi (minimo due,
normalmente tre o quattro, massimo undici o tredici). Questa "esposizione" è detta istérria.
Il nostro testo ha una istérria di tré versi:
Anninni' anninnia
canta sa pastorella
con boghe armoniosa
La struttura del mutu prevede uno sviluppo, detto torrada, che "sviluppa" il materiale contenuto
nell’istérria.
La torrada si compone di tante cambas quanti sono i versi della istérria e ogni camba inizia con uno
dei versi della istérria, solitamente nell'ordine (prima camba primo verso, seconda camba secondo
verso e così via).
Al verso assunto dalla istérria la prima camba aggiunge due o più versi nuovi.
Le cambas successive utilizzano a loro volta, per torrare, questi materiali. Questa struttura così
particolare è chiarissima nel canto pubblicato.
istérria
Anninni' anninnia
canta sa pastorella
cun boghe armoniosa
torrada
camba 1 E anninni' anninnia
Zess'ite cosa bella
Zess'ite bella cosa
si s'isposu benìa
Traduzione
Anninni' anninnia /canta la pastorella / con voce armoniosa
Anninni' anninnia / Gesù che cosa bella / Gesù che bella cosa / se venisse lo sposo
Canta la pastorella / se l'amore venisse / Gesù che bella cosa / Gesù che cosa bella
Con voce armoniosa / Gesù che cosa bella / se l'amore venisse / Gesù che bella cosa
MUTTOS
a) Bellezza cardellina
b) Sa pizzu de sa reina
Orgosolo Nuoro. Sardegna/
voci maschili alternate e chitarra
reg. 1955 Carpitella e F. Cagnetta
Bellezza cardellina
che se ‘ndata a volare
da i supra i sos fiores
bellezza cardellina
che mi dia chermes dare
e un vasu e de amore.
Da un punto di vista concettuale la distinzione fra le due sezioni del componimento è ovviamente
meno netta. In generale vi è, fra le due parti, uno iato, un salto logico abbastanza avvertibile.
La prima parte propone delle immagini, la seconda le conduce a uno scopo comunicativo, emotivo,
sentimentale più preciso.
CELESTE TESORO
Orgosolo
canto di Natale. Le prime strofe utilizzate anche come ninna nanna
BATTORINE
Quartine di ottonari o endecasillabi con testi di argomenti vari (amoroso, satirico ecc.). Erano
intonate nell'ambito di occasioni di incontro tra i cantori nonché di canzoni a ballo effettivamente
danzate da ballerini.
GALLURA
TASGIA
Un altro modello fondamentale della polivocalità sarda, tipico del Nord dell'isola, e in particolare
della Gallura, è in genere, per estensione, denominato tasgia.
Esso può prevedere
1. quattro parti, come avviene ad esempio a Castelsardo
dove vengono denominate falsittu, baci, cantra, bassu
2. cinque parti comeè norma ad Aggius
dove sono dette quintu, trippi, bogi, cantra, bassu.
Anche in questo caso l'inizio è assolutamente monodico (anche se non sempre è opera della baci o
bogi voce principale) e può essere costituito da brevi frammenti melodici o da più estese
proposizioni in cui vengono sviluppati interi versi del testo verbale. Con l'entrata delle altre parti il
canto si sviluppa come una successione di accordi in posizione fondamentale che realizza una
complessa trama armonica anche in questo caso affatto estranea alla logica tonale.
Le parti procedono tendenzialmente in maniera omoritmica, ma tale tendenza è costantemente
negata da ritardi o anticipazioni realizzabili da ciascuna voce, che, occasione per i singoli cantori
per mettere in evidenza la propria bravura, danno un peculiare colore alla trama armonica.
Le esecuzioni che rientrano in quest'ambito prevedono una destinazione generalmente connessa a
eventi rituali religiosi, e sono opera di gruppi altamente specializzati appartenenti quasi sempre a
confraternite laicali (assai diffuse in questa zona). Tra i repertori grande risalto ha l'insieme dei
canti legati alla Settimana santa con testo in latino (Misererò, Stabit Mater ecc.)
Anche in questo caso sono alquanto evidenti i sincretismi e le commistioni tra tradizione orale e
musica colta, e anche in questo caso, nello specifico musicale, il riferimento storico al falso-
bordone appare del tutto pertinente.
Ascolteremo l’epistola della Domenica delle Palme nel testo liturgico latino.
SERENA FACCI
MULTICULTURALISMO NELL’EDUCAZIONE MUSICALE
In Europa negli ultimissimi decenni abbiamo assistito all’intensificarsi di flussi migratori dai paesi più poveri
verso quelli più ricchi, la presenza nelle classi di bambini “venuti da lontano”, con diverse competenze
linguistiche culturali, pone la questione dell’educazione multiculturale e interculturale. Nella
raccomandazione numero 18 dell’Unesco del 1982, si riconosce pari dignità a tutte le culture come fattore
di arricchimento e la necessità di preparare in senso interculturale gli insegnanti. In Italia sono state
raccomandate strategie per l’apprendimento della lingua italiana. Per l’inserimento scolastico degli alunni
stranieri sono state proposte strategie più articolate quali:
1) la valorizzazione di forme di comunicazione non verbale (la musica)
2) l’interazione con le diverse culture di provenienza, attraverso contatti con le famiglie e le comunità
di immigrati
3) l’utilizzazione di insegnanti specializzati.
Con l’insorgere dei fenomeni di intolleranza sociale e di atteggiamenti razzisti anche a livello scolastico si
è richiesto un ampliamento del concetto di educazione alla multiculturalità.
La cosiddetta pedagogia interculturale in Italia sta spostando le sue attenzioni dagli studenti stranieri a
quelli dei paesi ospitanti.
Temi come accoglienza, integrazione, rispetto della cultura d’origine sono tutti recenti.
In Italia il primo convegno dedicato al tema della musica in una società multietnica è stato organizzato
ad Assisi dalla Pro Civitate Christiana nel 1993.
Le domande che hanno accompagnato le riflessioni sull’educazione musicale multiculturale sono:
- la musica ha un ruolo specifico nell’educazione alla multiculturalità?
- l’atteggiamento degli insegnanti di materie musicali deve cambiare per rivolgersi a gruppi scolastici
multiculturali?
- è sufficiente un inserimento nella prassi didattica di musiche non occidentali?
I termini multiculturalità e interculturalità non sono sinonimi: per multiculturalità si intende la pacifica
convivenza di culture non comunicanti tra loro; per interculturalità una interazione dinamica tra le culture.
In ambito pedagogico i due concetti danno origine all’educazione multiculturale e all’educazione
interculturale. La prima richiede un passaggio da un’offerta formativa monoculturale a una pluriculturale. La
seconda persegue la differenziazione dei mondi entro i quali il confronto si materializza.
La multiculturalità è un dato di fatto, l’interculturalità è un processo artificiale che va raggiunto attraverso la
costruzione di “un’abitudine all’apertura”.
La multiculturalità è entrata nelle nostre abitazioni attraverso l’immigrazione, i mass media. Sul piano
didattico essa deve spingere l’insegnante a formare non alla musica di oggi ma alle musiche. Un insegnante
di educazione musicale che forma i suoi allievi solo nella conoscenza della musica colta occidentale, senza
prendere in considerazione altri repertori, generi e culture musicali, svolge un compito inadeguato ai tempi.
La Campbell (1991) definì”insalata musicale” la realtà degli Stati Uniti e nella sua metodologia didattica
forniva agli allievi tutti gli strumenti necessari per orientarsi.
La realtà europea si sta uniformando a quella statunitense. Il primo obiettivo consiste nell’offrire conoscenze
e metodi che mettano in grado gli studenti di apprezzare qualsiasi proposta musicale.
Per fare questo si richiede un ripensamento di programmazioni, metodi, libri di testo, supporti e sussidi ormai
consolidati.
Il secondo obiettivo dovrebbe essere l’abitudine a una tolleranza musicale, al riconoscere pari dignità a tutte
le espressioni musicali. L’adesione a una corrente musicale spesso è una passione esclusiva che rende poco
disponibili i giovani verso altri generi. Sul piano cognitivo, la scarsa frequentazione dei giovani in Italia di
linguaggi musicali costruiti su altre grammatiche rende poco familiari e comprensibili i repertori
extraoccidentali. Per raggiungere una tolleranza musicale si ha bisogno di specifiche strategie didattiche che
possono risultare inefficaci senza la ricerca di similitudini e differenze tra le culture musicali.
L’interculturalità, intesa come territorio artificialmente costruito al confronto culturale, è anche essa una
dimensione problematica. La cosiddetta World music è un prodotto interculturale perché nasce da un
confronto ed è il risultato di un processo creativo artificioso.
Si potrebbe proporre a scuola lo studio della World music ma questo non sarebbe sufficiente per tre motivi:
1) sotto l’etichetta World music, nata per ragioni commerciali, si stanno raccogliendo esperienze
disomogenee, dalle musiche tradizionali ai più arditi esperimenti di contaminazioni
2) la World music, vincolata attraverso la rete commerciale, pubblicazioni giornalistiche, circuiti degli
spettacoli, presenta agli alunni gli stessi problemi di approccio di quelli della Popular music.
3) la formazione interculturale non può ridursi alla somministrazione di prodotti preconfezionati e
sperimentali come la World music.
La strada migliore è riprodurre nelle attività scolastiche modi creativi che danno vita al confronto diretto con
musiche varie allo scopo di produrre delle nuove, come risultato di un approccio interculturale.
Alcune esperienze con bambini stranieri hanno dimostrato che la musica può riuscire a sbloccare situazioni
di incomunicabilità verbale, di chiusura e di disagio profondo. Gli studi semiotici hanno dimostrato il fatto
che il significato attribuito a un brano musicale non è mai lo stesso per tutti gli ascoltatori. L’idea infatti che
ci siano motivazioni comuni nell’approccio degli uomini alla musica (la reazione sensomotoria, il gioco di
regole, l’evocazione simbolica) può rendere una musica trasferibile da un contesto a un altro. Ciò spiega la
comprensione tra persone che non sanno comunicare verbalmente tra di loro e la percezione della
condivisione della stessa musica.
Oggi l’educazione musicale deve adeguarsi a una società multimusicale e deve fornire a tutti gli studenti gli
strumenti necessari per viverla. Gli studenti stranieri o indigeni hanno diritto agli stessi stimoli e alle stesse
cure. Ogni classe è un microcosmo sociale in cui si può parlare di maggioranze o minoranze dal punto di vista
etnico. La salvaguardia delle minoranze etniche e linguistiche è un valore sempre più accreditato nelle realtà
occidentali. Le indicazioni normative spingono a una valorizzazione delle musiche d’origine dei giovani. Gli
immigrati africani ad esempio ascoltano la musica commerciale dei loro paesi di origine che è il risultato di
un processo di contaminazione con le musiche caraibiche, il jazz, la popular music occidentale. Va però tenuto
presente il livello di preparazione multiculturale degli studenti dei paesi ospitanti, le cui reazioni potrebbero
essere negative. Numerose esperienze didattiche hanno dimostrato che un approccio multiculturale
proposto a tutti gli studenti è diventato prassi costante nell’educazione musicale. Gli alunni stranieri possono
diventare una grande risorsa perché sono portatori di contenuti culturali come gli strumenti, le tecniche
vocali, le posture di danza con cui gli studenti dei paesi ospitanti possono confrontarsi ed arricchirsi.
L’obiettivo dell’educazione multiculturale è quindi preparare i ragazzi a una società “planetaria”, che sia
terreno di libero confronto e di libere scelte sul piano musicale. L’educazione musicale multiculturale può
aiutare nel processo educativo al rispetto, alla tolleranza, alla valorizzazione delle differenze e per fare questo
è necessario un lavoro minuzioso di conoscenza delle diverse culture in cui la musica sia la vera protagonista.
Ogni progetto educativo non può basarsi su principi astratti ma deve essere adattato alla complessità sociale
e culturale in cui opera la scuola.
L’ETNOMUSICOLOGIA ITALIANA A SESSANTA ANNI DALLA NASCITA
Di seguito vengono riportati i passaggi più importanti e concreti, estrapolati da “L’arte armonica”
Quando l’accerchiamento culturale appare più che mai intenso, una rassegna di musica di
tradizione orale ha forse anche più senso che in passato. Soprattutto perché racconta che le
tradizioni esistono, si perpetuano, si trasformano secondo procedimenti loro peculiari che poco o
nulla hanno a che fare con grandi eventi mediatici di riduzione di altre culture al modello di
comunicazione dominante. Forniscono strumenti per distinguere, per misurare le distanze, per
conoscere, anche con un certo dettaglio, le differenze che corrono tra il modo di pensare alla
musica di musicisti professionisti romagnoli e musicisti professionisti zingari rumeni, tra pastori
del Dodecanneso e pastori siciliani. Microstorie, certo, quantomeno alcune di esse, ma di questo
arcipelago di microstorie si compone un panorama musicale assai vasto. Questo e altro, nel suo
insieme, è quel che ascolta una enorme quantità di gente: quel che passa attraverso i grandi
mezzi di comunicazione certo è assai più largamente condiviso, ma il liscio di Romagna, i saltarelli
delle Marche, le sirbe della Romania o i canti contadini del Burkina, nel loro complesso, evocano
e direttamente interessano una porzione di umanità non meno ampia, che pur ove conosca quel
che passa la televisione non cessa, ancor oggi, di avere una competenza viva delle tradizioni di
casa propria. E la riproposta in concerto costituisce in certo modo di per sé un modello possibile
di relazione tra culture: che, di solito, non passa attraverso la mescolanza, la collaborazione tra
musicisti di diversi luoghi e che possiedono diversi linguaggi musicali, o la loro appropriazione da
parte di professionisti o appassionati estranei a quei linguaggi, ma perché il concerto è, di per sé,
momento di mediazione tra occasioni e funzioni diverse del far musica: il mutare di funzione, lo
scambiarsi dei medesimi oggetti sonori tra le loro funzioni e occasioni di uso consuete – occasioni
rituali, feste pubbliche e private, attività lavorative ecc. – e rito borghese del concerto è terreno
concreto e vivo di confronto tra culture diverse.
La world music è un fenomeno che interessa una piccola parte della borghesia urbana dell’Europa
occidentale e dell’America e non tocca, sul piano della fruizione, il pubblico tradizionale e anche i
musicisti delle culture musicali di cui si appropria.
Cantori e suonatori per lo più sono ben consapevoli del fatto che, nel raccontarsi di fronte al
taccuino, al microfono, alla telecamera del ricercatore si consegnano alla storia. “Adesso signuria
può scrivere tanto” disse a Diego Carpitella una donna in Puglia negli anni Sessanta, dopo aver
cantato per il suo magnetofono. E anche il documento sonoro registrato è il frutto di una
contrattazione, di un’intesa tra ricercatore e informatore; esso è un’opera chiusa, pronto, appunto,
ad essere consegnato alla storia, congelando il contingente, l’estemporaneo in una forma
definitiva: “così è, ora e per sempre”. O, per dirla in termini meno altisonanti, cantori e suonatori
sanno che il ruolo del ricercatore è, prima di tutto, quello di un traduttore: di chi consegna le
conoscenze che gli vengono tra- smesse a una tradizione diversa del sapere, svolgendo, dunque
appunto un ruolo di traduzione in diversi linguaggi, in altre forme di pensiero. Il che comporta una
inevitabile, necessaria trasformazione dell’oggetto, della quale in diverso modo sono consapevoli
entrambe le parti della relazione. La traduzione è il prodotto di un lavoro collettivo; il suo risultato
dipende non soltanto dalla qualità delle domande e delle richieste di chi svolge la ricerca, ma
anche dalla consapevolezza di chi trasmette ad altri il proprio sapere, dal modo in cui sceglie di
farlo, in cui si mette in scena. Il setting, è evidente, determina la rilevanza della relazione di ricerca:
tra il modo in cui un musicista si comporta nel corso della sua attività, ad esempio, in una festa o
in una cerimonia – che può essere influenzato anche poco o per nulla dalla presenza di
osservatori esterni e di apparecchiature di ripresa (tanto più in contesti nei quali queste
apparecchiature vengono utilizzate pure all’interno del rito, dai suoi protagonisti) – e una seduta di
registrazione in casa o in studio il comportamento relativo di ricercatore e musicista muta
parecchio. Sul palco la partecipazione degli attori alla rappresentazione di sé per gli altri è
esplicita e completa. Il concerto è un terreno concreto sul quale il lavoro di traduzione si compie; i
suoi modi, le sue tecniche sono il prodotto di una contrattazione, implicita o esplicita, tra il
ricercatore, l’organizzatore o diretto- re artistico che sia e gli informatori divenuti, sul palco, artisti.
Certo non funziona per tutti i concerti, per tutti gli artisti, nello stesso modo. V’è grande differenza
tra suonatori professionisti o semi-professionisti e non; tra musiche già destinate a un ascolto
pubblico e repertori domestici, tra oggetti sonori che conoscono già una fruizione
prevalentemente estetica (ad esempio la musica carnatica del sud dell’India o i repertori fasil
turchi) e altri la cui funzione primaria è diversa. E pure tra i professionisti, abituati a esibirsi in sale
da concerto, vi sono differenze anche grandi circa il modo di intendere la musica, il proprio ruolo,
il rapporto tra la forma del concerto e le forme che assume il loro far musica in altri contesti.