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101 Bibliografia
Metodologie e didattiche musicali in Europa.
INTRODUZIONE
una breve sintesi dei metodi e delle esperienze più comuni
Questo lavoro cercherà di tracciare un sunto sui metodi più utilizzati nel
campo della didattica musicale nella presunzione di fornire una serie di
strumenti operativi da processare e sintetizzare nell'utilizzo quotidiano.
La didattica, infatti, pur tenendo conto dei metodi ha la necessità di essere
contestualizzata all'ambiente di lavoro e, soprattutto, ai bambini e ragazzi
che devono essere sempre soggetto attivo dell'apprendimento. In questa
chiave di lettura i metodi che si andranno ad “esplorare” saranno già
contestualizzati e forniti come strumenti operativi ricchi di esempi pratici e
applicazioni immediate.
Si parlerà così di “metodo attivo”, o pedagogia attiva, includendo in questo
tutti gli approcci didattici che dal sapere procedurale, la pratica musicale,
portino al sapere dichiarativo, la teoria musicale con tutte le implicazioni
cerebrali.
Nella pedagogia attiva il bambino è attore del proprio sviluppo. Il modello
educativo, nel rispetto dello stadio di sviluppo cognitivo, emozionale e
affettivo del bambino, interviene a partire dai suoi bisogni e dalle sue
motivazioni. Il presupposto di partenza è che l’attività del bambino sia
sempre suscitata da un bisogno, per soddisfare il quale egli è disposto a
mobilitare le sue energie.
L'educatore quindi, a partire dalle esperienze e dalle esigenze del bambino,
deve creare le situazioni adatte per risvegliare il suo interesse e consentirgli
di apprendere le conoscenze adatte a soddisfare i suoi bisogni.
Gli strumenti che più si vedranno utilizzare sono legati al canto, ai giochi
ritmici corporei, all'uso di strumenti musicale senza un pregressa
conoscenza tenica della stesso.
Infatti nel 1909 Jaques-Dalcroze intraprese una serie di viaggi per far
conoscere il suo metodo in Europa incontrando in Germania l'intellettuale e
mecenate Wolf Dohrn che gli propose di aprire un Istituto che fu così
costruito secondo le esigenze della sua didattica . Nella sede di Hellerau,
vicino Dresda, confluirono le idee costruttive di Appia con praticabili quali
scale, terrazze, colonne, piani inclinati che consentivano diverse
combinazioni sceniche, così come l'arredamento e l'illuminazione curate
dal pittore Alexander Salzmann davano l'idea di luce aperta e fluttuante
come i suoni che permeavano l'intera struttura.
Adotta dal greco la parola EURITMICA per definire il modo in cui si deve
eseguire una melodia o un brano musicale, ossia non solo ritmo preciso
ma anche BEN RAPPRESENTATO...VISSUTO...ESPRESSIVO.
Costruisce così uno straordinario codice corporeo per esprimere tutto ciò
che si legge su uno spartito...emozioni incluse!
1 http://www.cirmonline.it/il-metodo-dalcroze.html
2 http://www.dalcroze.it/index.html
il movimento alla base dei suoi rivoluzionari principi educativi.
(Émile Jaques-Dalcroze)
-la Ritmica che sviluppa la capacità di risposta spontanea del corpo alla
musica attraverso il movimento;
Con i bambini o con gli adulti principianti questi tre aspetti del lavoro
vengono integrati in singole classi nelle quali gli allievi utilizzano il
movimento, la voce e gli strumenti in una varietà di attività che coinvolge
l’ascolto, la capacità elaborativa e inventiva.
-Il senso corporeo del ritmo ;sviluppa, per mezzo di un'educazione speciale
del sistema muscolare e dei centri nervosi,le qualità ricettive ed espressive
delle gradazioni di forza ed elasticità nel tempo e nello spazio, di
concentrazione nell'analisi e di spontaneità nell'esecuzione dei movimenti
ritmati ; esso insegna agli allievi a leggere,a scrivere e poi a creare
(mentalmente e corporalmente) i ritmi.
RITMICA
6 http://vimeopro.com/supsidfa/sentire-e-provare
contrazione muscolare delle braccia. Successivamente, seguendo dei
comandi repentini, alla parola “hop” il bambino dovrà impedire al piede di
battere e al braccio di contrarsi sul primo movimento o batterà
immediatamente il piede con contrazione del braccio su movimenti diversi
dal primo o a sostituire il movimento di contrazione del braccio con il
battito del piede e viceversa.
SOLFEGGIO
Ecco un interessante articolo tratto dal numero 1 del 2006 della “Rivista
dell'Associazione Italiana Jaques-Dalcroze” di Maria Luisa D'Alessandro
sull'improvvisazione pianistica:
“L’acqua sorgiva che lotta contro la resistenza delle pietre e delle rocce,
crea delle forme spesso più belle di quelle create dallo sforzo paziente della
pialla e del martello”. Cosa vuol dire Dalcroze con queste parole? Che
spesso l’espressione musicale spontanea, ovvero l’improvvisazione, può
essere più bella di quella creata con lavoro di pazienza e riflessione, cioè la
composizione.
In ambito didattico–musicale l’utilizzo di modelli improvvisativi dà
risultati di grande significato espressivo e di reale valore educativo. Questo
perché l’improvvisazione è esprimere un pensiero appena concepito; cioè
sviluppa un atteggiamento profondamente attivo nel momento in cui si fa
musica, sviluppa la
rapidità di decisione e di realizzazione, di concezione immediata delle
strutture, di comunicazione diretta fra l’anima e il cervello che
concepiscono e le dita, la mani e le braccia o la voce che realizzano.
L’improvvisazione sviluppa capacità specifiche dell’ambito musicale, che
però investono anche la sfera formativa generale: attenzione,
concentrazione, memoria, capacità di analisi e sintesi, sviluppo della
creatività e della fantasia, coscienza di sé, autocontrollo, prontezza di
riflessi.
Con gli stessi vantaggi formativi l’improvvisazione viene impiegata anche
nella didattica strumentale, visto che l’educazione strumentale non può
essere scissa da quella musicale.
In ambito strumentale l’improvvisazione ci dà la possibilità di mettere in
atto una didattica dall’approccio più naturale e spontaneo di quanto non
succeda in quella tradizionale, con cui generazioni di musicisti sono stati
avvicinati allo strumento.
Uno dei motivi che ci spingono a distaccarci dalla didattica tradizionale sta
nel fatto che questa comincia con la lettura delle note, mentre sentiamo la
necessità di cercare vie più vicine a quelle dell’approccio al linguaggio
parlato; quando i bambini imparano a parlare, infatti, lo fanno perché
ascoltano gli adulti e li imitano, non perché imparano prima a leggere
l’alfabeto.
Allo stesso modo è fondamentale che il bambino entri in contatto diretto
con il suono, con la differenza fra le altezze dei suoni, le differenze di
dinamica, di agogica, di fraseggio, di articolazione ecc. prima di imparare i
segni con cui si indicano quegli elementi, e cioè prima di imparare la
notazione.
Infatti, la notazione è solo un codice che sottintende la conoscenza del
linguaggio che esso esprime, a cui fa riferimento. In altre parole, la
notazione non è il suono, ma il segno con il quale noi indichiamo il suono.
In questo contesto, lo strumento che ci permette di entrare in diretto
contatto con il suono e che ci permette di far musica dal primo momento
senza mediazioni è l’improvvisazione.
Durante l’approccio improvvisativo il pianoforte ci offre vantaggi e
svantaggi:
VANTAGGI:
1. Visivamente presenta caratteristiche molto chiare, come i tasti neri e
bianchi, cosa molto stimolante, per un bambino;
2. Timbricamente è molto vario; essendo formato da diverse altre parti,
oltre ai tasti, come il legno, le parti metalliche e le corde stesse, possiamo
trarne timbri davvero diversi e numerosi, se spingiamo il bambino ad
acquisire un’elasticità mentale che gli faccia usare il pianoforte in ogni sua
parte;
3. Ha possibilità espressive quasi illimitate, data l’estensione ampia dei
registri, i pedali, la dinamica, la possibilità di più suoni contemporanei.
Fra i vantaggi ce n’è uno che è anche uno svantaggio, a lungo andare, e
cioè il fatto che il suono è lì già pronto; è sufficiente premere un tasto e
avremo un suono, il che costituisce un elemento gratificante, un prodotto
soddisfacente, per un principiante; però il rischio è che lo studente non
venga educato ad ascoltare e a curare il proprio suono proprio perché lo
ottiene così facilmente. E succede che alcuni pianisti rimangano “sordi”,
non siano coscienti del loro suono e non percepiscano differenze
drammaticamente importanti come quella che c’è fra staccato e legato, fra
un fraseggio lungo e uno breve, fra modo maggiore e modo minore ecc.
Questo succede molto difficilmente per gli strumentisti ad arco e a fiato,
che lavorano sodo prima di
ottenere un suono apprezzabile.
SVANTAGGI
1) Impossibilità di prolungare il suono con un crescendo.
2) Mancanza di contatto diretto fra l’esecutore e la produzione del suono.
3) Dimensioni che non facilitano l’appropriazione, l’interiorizzazione di
questo “oggetto sonoro”. Spesso, anzi, rimane talmente al di fuori per tutto
il corso di studi che molti lo abbandonano subito dopo il diploma.
Quest’ultima è un’ulteriore ragione per stimolare un approccio che implichi
una relazione fisica stretta fra il
bambino e lo strumento, un approccio non mediato.
Vediamo in che modo possiamo farlo:
• Lavorando in gruppo, perché il gruppo stimola, fa crescere, rende attenti.
• Servendoci di un linguaggio fatto di suoni non strutturati secondo schemi
armonico-melodici prestabiliti; quindi non sarà né linguaggio tonale, né
modale, né pentafonico, ma solo il suono che risulta dal gesto dei bambini.
Quindi avremo una tavolozza di colori fatta di suoni singoli, di cluster, di
glissando
Il lavoro si svolge in diverse fasi:
Fase esplorativa
La prima fase è esplorativa, cioè si presenta lo strumento come un oggetto
da scoprire. Si porteranno i bambini a conoscere le possibilità espressive
dello strumento, a trarre suoni dai diversi materiali adoperando non solo le
dita, ma anche le mani, le avambraccia, i pugni chiusi, in tutti i modi utili
servendoci di più linguaggi extra musicali paralleli, vale a dire:
• del movimento, tramite efficacissimo per la comprensione e la
interiorizzazione del ritmo e dei parametri musicali
• di suggestioni immaginative, che ci aiutano a mettere in relazione
l’oggetto
che vogliamo far conoscere ai bambini con il loro bagaglio di esperienze
quotidiane.
Avremo così suoni singoli, cluster, glissando e tutto ciò che il gruppo potrà
inventare. Non è difficile per un maestro creativo che conosca i bambini
guidarli nei loro progressi sulla tastiera, immaginando piccoli giochi con
tutti i parametri del linguaggio musicale, (la dinamica, l’agogica, il
fraseggio, le articolazioni, i registri).
Dalcroze dice: “Si può far notare che le dita camminano sulla tastiera come
pesanti camion o come veloci automobili da corsa; saltano sui tasti come
martelli; saltano da una parte all’altra sulla tastiera come a volte, quando
piove, la gente salta fra una pozzanghera e l’altra; fanno balzi come fossero
pulci; saltellano come passeri; si arrampicano sui tasti neri come su uno
sgabello; fanno spostamenti in altezza e in larghezza; si chiudono gli occhi
lasciando le dita andare da sole(…); si salta sui
tasti al ritmo di una canzone conosciuta; si accelera, si rallenta per imitare
un treno che parte e poi si ferma in una stazione; si immaginano dei
dialoghi fra le mani; e liti fra le mani in cui esse parlano
contemporaneamente; si imita il cinguettio degli uccelli e il passo pesante
dell’orso”.
Fase elaborativa e creativa:
Dalla fase esplorativa, si passa spontaneamente a quella in cui mettiamo in
relazione fra loro gli elementi che abbiamo scoperto: per esempio una
sequenza di cluster suonati forte e una sequenza di suoni singoli suonati
piano; oppure staccato e forte, legato e piano; si può stimolare un’ulteriore
abilità col principio della dissociazione, chiedendo di fare ciò che non
viene spontaneo, per esempio cluster suonati piano e suoni singoli forte;
sviluppare un’idea a 4 mani chiedendo a uno dei due esecutori di
imitare quel che fa l’altro; poi chiedendogli di fare il contrario di quel che
fa l’altro. Le attività in duo o d’insieme sviluppano capacità di ascolto,
analisi, memoria, di pronta reazione.
Fase analitica: Nascono così forme musicali vere e proprie come AB, ABA,
RONDO’. Una volta che dal lavoro di gruppo è nata un’idea è importante
parlarne, ovvero che i bambini ne parlino stimolati dall’insegnante per
avviare il processo di comprensione di ciò che si è creato e da cui possiamo
trarre principi di carattere generale, secondo la legge per cui la teoria deriva
dall’esperienza diretta e non viceversa. Per facilitare questo processo è utile
servirsi di supporti grafici. (Ad esempio, se si vuole che la classe assimili il
concetto di rondò, si può rappresentare questa forma attraverso un triangolo
che si alterna con il cerchio, il quadrato, il rombo ecc.; oppure una mela che
si alterna con pere, ciliegie, ananas). Poi
possiamo stimolare la produzione grafica da parte dei bambini per
esprimere un prodotto del lavoro fatto e servirci di quello per
memorizzarla, per rieseguirla, come una sorta di notazione spontanea.
Quando il bambino si rende conto che le sue dita, le sue mani, le sue
braccia hanno una propria vita, allora si sarà svegliata la sua volontà, così
l’immaginazione; da questo momento il maestro può tentare di dare
spiegazioni, dare regole, esigere una certa disciplina. Il bambino non si
annoierà, anzi.
Infatti, dal momento che la curiosità infantile si è svegliata le domande si
moltiplicano ed entra in gioco l’amor proprio: il bambino esigerà dalle sue
dita prestazioni sempre più grandi.
Questo è il momento che tutti gli insegnanti aspettano: il momento in cui
l’allievo trova dentro di sé la motivazione a fare ciò che l’insegnante vuole
che lui faccia.
L’attività improvvisativa di gruppo in genere precede e poi affianca lo
studio della tecnica e del repertorio, rimanendo importante per tutto il corso
di studi. Anche in età adulta, infatti, l’improvvisazione concorre a tenere
sveglia la creatività, la coscienza e la capacità di analisi di ogni tipo di
musica che si ascolti o che si suoni.
Un secolo fa Dalcroze scriveva: “Sono rari i maestri di pianoforte che, nelle
lezioni che impartiscono ai bambini, sappiano trovare il tempo di far
precedere gli studi puramente tecnici da esercizi destinati a sviluppare in
senso generale la loro musicalità e a indurre in loro il desiderio di
esprimere i propri sentimenti sul pianoforte. L’educatore deve
costantemente cercare di svegliare i sentimenti degli allievi e di suscitare in
loro il bisogno di tradurli e di dar loro una forma.
Esempio di approccio improvvisativo al pianoforte attraverso il racconto:
Giulio ha 5 anni e prende lezioni di pianoforte da tre mesi.
E’ un bambino iperattivo e creativo, con il vantaggio di essere pieno di
curiosità e lo
svantaggio di distrarsi molto facilmente.
Di conseguenza i nostri primi incontri si sono basati sulla diversificazione
delle attività, mettendo in relazione l’esplorazione del pianoforte con
personaggi delle fiabe e con le precedenti esperienze di Ritmica Dalcroze
fatte da Giulio. Quindi dinamiche forti, registro basso e cluster per la strega
cattiva di Biancaneve; movimenti e suoni veloci per gli animaletti della
foresta; registro acuto, espressione dolce e suadente per la bella
addormentata.
Molto spesso Giulio andava alla lavagna per disegnare il personaggio che
stavamo suonando. Durante una lezione stava imitando il movimento del
cavallo, mentre io sonorizzavo al pianoforte: dopo avermi ascoltato, viene
al pianoforte e suona con le due mani qualcosa con lo stesso ritmo che
avevo usato io; da lì a farlo lungo tutta la tastiera come se questa fosse un
sentiero il passo è stato breve; così, un po’ alla volta Giulio ha inventato
una storia:
Zorro torna a casa
1. Alla sera, dopo aver fatto giustizia tutto il giorno, Zorro torna a casa,
galoppando
nella prateria: Giulio suona al ritmo del cavallo in su e in giù per la tastiera;
2. A un certo punto si ferma alla fonte per bere e vede un gatto che segue di
soppiatto un uccellino, standogli sempre più addosso: io suono l’uccellino
che fa uno, due, tre, quattro o cinque salti nel registro alto; Giulio ascolta i
salti fatti dall’uccellino e
suona per il gatto un numero uguale di salti, in un registro più basso e
usando mezzo forte;
3. Finché il gatto tenta l’attacco finale, ma l’uccellino vola via: grande e
forte salto
di Giulio sul registro vicino a quello del volatile, io suono la fuga in volo
con suoni cromatici in velocità;
4. Zorro riprende il cavallo e galoppa alla volta di casa: Giulio suona il
cavallo,
come prima;
5. Ma vede da lontano una bambina che piange, spaventata da un mostro
cattivo:
Giulio suona il mostro con sguardo spaventoso, usando le mani nel registro
grave, clusters molto forti; poi, invece, suona per la bambina che piange
una sorta di melodia di gradi congiunti e spesso cromatici, usando un dito
alla volta, nel registro medio-acuto, con delicatezza;
6. La soluzione è semplice: Zorro ridisegna il volto del mostro cattivo,
facendolo diventare molto buono, poi dà una caramella alla bambina, che
smette di piangere; dopodiché riprende il cavallo e torna finalmente a casa:
Giulio suona ancora il cavallo di Zorro, ma stavolta riesce ad esprimere,
con il suo andare su e giù per i tasti con i cluster, un senso di conclusione,
di cadenza finale.
Questa sua storia viene eseguita durante una manifestazione pubblica della
scuola; viene raccontata da un altro bambino, con le illustrazioni che Giulio
ha costantemente disegnato mentre la creava; questi disegni, messi in
successione, non solo costituiscono la scenografia della storia, ma anche
una partitura non convenzionale dalla quale scaturisce chiara la forma del
Rondò.
Finalità educative:
• Sviluppo della creatività
• Capacità di agire relazionandosi con altre persone
• Capacità di capire quando è il proprio turno
• Sviluppo della memoria
• Sviluppo della prontezza di riflessi
• Sviluppo dell’attenzione e della concentrazione
Obiettivi musicali:
• Sviluppo della capacità di ascoltare, analizzare, comprendere e riprodurre
una proposta altrui
• Orientamento sulla tastiera
• Comprensione e interiorizzazione della diversità dei timbri
• Comprensione e interiorizzazione della
diversità dei registri
• Comprensione e interiorizzazione delle dinamiche
• Comprensione e interiorizzazione delle diverse velocità
• Comprensione e manipolazione delle possibilità espressive dello
strumento
• Capacità di esprimere, attraverso il suono, diversi caratteri dei
personaggi.”
Il “metodo” Kodály
7 http://www.aikem.it/concetto-kodaly.htm
non formò un metodo completo, ma tracciò piuttosto una serie di principi
da seguire nell'insegnamento che avevano come base fondamentale il
principio della solmisazione, che sarà successivamente ripreso e
reinterpretato da Roberto Goitre nel metodo didattico Cantar leggendo.”
Insegnante di etnomusicologia all'università di Budapest (1931-33), fu
presidente dell'Accademia ungherese delle scienze (1946-49) e si interessò
con uguale impegno allo studio della musica popolare magiara e dal 1941,
in collaborazione con Bartók, diresse la pubblicazione del Corpus musicae
popularis hungaricae, raccolta di canti e danze popolari ungheresi poi
curata da G. Kerényi e L. Kiss.
La grande innovazione pedagogica parte dalla profonda convinzione di
Kodály che la musica debba svolgere un ruolo educativo e di sviluppo
dell'individuo dalla più tenera età; così si pronuncia il sito dell'Aikem: “La
musica è fondamentale nella formazione generale dell'uomo poiché stimola
l'intelletto sviluppando maggiore ricettività verso le altre materie. E' il
nutrimento insostituibile che rende l'uomo completo. L'importanza della
musica nell'educazione e nella cultura è determinata dal fatto che essa non
è solo arte, ma anche semiotica. Come il linguaggio e la matematica, la
musica fornisce infatti un sistema di segni che servono ad esprimere e a
capire noi stessi. Grazie a questo sistema di segni impariamo a comunicare
in modo efficace e a vivere meglio la collettività. Se si vuole una comunità
formata da esseri umani completi, la musica deve quindi essere un bene
comune, deve essere accessibile a tutti, non può essere elitaria e rimanere
relegata in una torre d'avorio.
L'educazione musicale deve iniziare molto presto (nove mesi prima della
nascita di un bambino, secondo Kodály), perché il gusto e le abilità sono
maggiormente influenzabili in età infantile: nei primi anni si possono
creare "impressioni che dureranno tutta una vita" (dall'articolo Progetto dei
cento anni, 1° volume di Visszatekintés). Solo così si creerà un buon gusto
musicale anche in chi non ha seguito un iter di studi specificamente
musicali: "il cattivo gusto artistico è una malattia dell'anima" (dall'articolo
Cori di voci bianche, 1° volume di Visszatekintés).”
Con questa concezione Kodály anticipa pedagoghi come Edwin Gordon
con la sua “musica nella culla” e studi universitari che, sempre più, stanno
correlando lo studio della musica a capacità cognitive e di apprendimento
quasi straordinarie. Ecco un articolo tratto dal sito staibene.it: “Studiare
musica migliora l’intelligenza soprattutto nei bambini, ascoltare un brano
musicale stimola e aumenta il quoziente intellettivo. I bambini ed anche gli
adulti che studiano musica e suonano uno strumento sono più intelligenti
degli altri. Lo dimostra uno studio di Glenn Schnellenberg, psicologo
dell’università di Toronto a Mississauga, nell’Ontario, presentato , nel
corso della conferenza The neuroscience and music – II, From perception
to performance organizzato dalla Fondazione Pierfranco e Luisa Mariani.
La ricerca di Schnellenberg, pubblicata su Psicological Science, è stata
presentata insieme a numerosi altri studi sugli effetti della musica
nell’apprendimento del linguaggio da parte dei bambini. I suoi risultati
parlano chiaro: “forse si tratta di un effetto comune alle attività
extrascolastiche, ma con la musica siamo riusciti a osservarlo con una certa
sicurezza”.
8 www.staibene.it
4. La necessità di un'educazione musicale pubblica e attiva ad ogni
9 www.staibene.it
assolutamente innovative per il periodo, come la chironomia e la
solmisazione, due concetti che saranno saldamente radicati nelle didattiche
musicali successive.
L'ideazione di segni della mano per indicare le intonazioni musicali, quindi
una notazione chironomica, così come l'idea di non rendere assoluta la
lettura rispetto alle diverse tonoalità di partenza ma rendere la relazione
intervallare partendo sempre dal “do”, concetto del do mobile, saranno le
due tecniche corali che consolideranno e renderanno pratico l'approccio alla
lettura del materiale vocale scelto da Kodáli.
Ecco quanto riportato dal sito Aikem: “Questi ausili didattici sono solo
strumenti per raggiungere determinati scopi, non scopi in se stessi:
10 www.aikem.it
Carisch, per gli altri si indicano la casa editrice ungherese (Editio Musica
Budapest) e quella inglese (Boosey&Hawkes):
333 esercizi, unisono, versione italiana a cura di Davide Liani,
Carisch. Esercizi basilari per iniziare la lettura.
Cantiamo in modo corretto, unisono, Carisch. Esercizi pentatonici
senza solmisazione per curare l'intonazione perfetta.
50 canti per bambini, unisono, versione italiana a cura di Davide
Liani, Carisch.
Musica Pentatonica, unisono, 4 voll. (100 Canti ungheresi, 100
Piccole marce, 100 Melodie dei Chermessi, 140 Melodie
ciuvascie), Carisch. Melodie basate sullo stile popolare ungherese.
Bicinia Hungarica, 4 voll., Editio Musica Budapest oppure Boosey
and Hawkes. Melodie basate sullo stile popolare ungherese.
Tricinia Hungarica, Editio Musica Budapest oppure Boosey and
Hawkes. Caratteristiche stilistiche differenti.
77 esercizi, 2 voci, Editio Musica Budapest oppure Boosey and
Hawkes. Il materiale non è più popolare, le melodie utilizzate sono
pentatoniche e diatoniche.
66 esercizi, 2 voci, Editio Musica Budapest oppure Boosey and
Hawkes. Introducono lo stile barocco.
15 esercizi, 2 voci, Carisch. Avvicinano il modello imitativo-
barocco e introducono la modulazione.
55 esercizi, 2 voci, Editio Musica Budapest oppure Boosey and
Hawkes. Esercizi per un livello più avanzato, in stile barocco e
classicismo viennese.
44 esercizi, 2 voci, Editio Musica Budapest oppure Boosey and
Hawkes. Esercizi per un livello più avanzato, in stile barocco e
classicismo viennese.
33 esercizi, 2 voci, Editio Musica Budapest oppure Boosey and
Hawkes. Esercizi di difficoltà maggiore, per il livello più avanzato.
22 esercizi, 2 voci, Editio Musica Budapest oppure Boosey and
Hawkes. Esercizi di difficoltà maggiore, per il livello più avanzato.
24 Piccoli canoni sui tasti neri, Carisch. Melodie pentatoniche da
utilizzare per esercitare la trasposizione.”11
Tornando alla pratica chironomica ecco uno schema sinottico, riportato dal
sito francese del sistema Kodály12 dei gesti usati:
11 www.aikem.it
12 www.kodaly.fr
La pratica chironomica permette di far cantare subito i bambini
associando la notazione simbolica; la pratica imitativa, associata alla
gestualità, permetterà al bambino, anche molto piccolo, di associare subito
il rapporto segno/significato, gesto/intonazione. Da notare nella seconda
immagine che nella trascrizione letterale della notazione si usano solo le
consonanti iniziali d per il do, r per il re, m per il mi eccetera con il si che,
per evitare la confusione con il sol, diventa t, ti.
Ecco come Giovanni Mangione, tra i maggiori studiosi italiani della
pedagogia Kodály, descrive l'introduzione al metodo nel suo libro13:
“ Introduzione al metodo.
Prima di iniziare lo svolgimento del metodo, è necessario chiarirne alcuni
aspetti fondamentali: la scala pentatonica, la solmisazione ritmico-
13 GIOVANNI MANGIONE, La pedagogia della musica secondo Zoltán Kodály, Trento, Uniservice,
2007.
alfabetica, il solfeggio relativo.
LA SCALA PENTATONICA non deve essere confusa con il pentacordo.
Mentre questo comprende i primi cinque suoni di una scala, ad esempio
quella maggiore (do re mi fa sol) o quella minore (la si do re mi), la scala
pentatonica - non pentafonica - è caratterizzata, oltre che dall'assenza di
semitoni, dal fatto che ciascuno dei suoi cinque suoni (do re mi sol la) può
essere nota finale (e quindi tonica ) di una melodia: si noterà difatti come
buona parte dei canti delle raccolte Pentatonic music e 333 Elementary
Exercises siano a carattere modale 14.
A rigor di logica dunque non possiamo parlare di una scala pentatonica
maggiore (tonica DO) e di una scala pentatonica minore (tonica LA),ma
possiamo constatare come nella scala pentatonica siano contenuti i due
modelli tonali :
la do re mi sol la do
semitono
I suoni vengono intonati con naturalezza tanto più grande quanto più stretto
è il rapporto di consonanza che li unisce ;come vediamo dallo schema, il SI
entra in rapporto di semitono(che è la maggiore dissonanza esistente nella
scala temperata ) con il do: l'intonazione richiede perciò maggior cura e
ricerca. Altrettanto dicasi il rapporto FA-MI.
Naturalmente Kodály non si ferma alla musica pentatonica: essa
rappresenta il primo stadio dello sviluppo naturale del bambino e un
razionale metodo di insegnamento deve seguire questo sviluppo, non
imporre difficoltà premature. Quando il bambino avrà imparato a muoversi
con sicurezza nell'ambito pentatonico, apprenderà facilmente ad intonare i
semitoni.
Una volta che i rapporti SOL-MI e LA-DO saranno solidamente impiantati
nella sua memoria, l'inserimento della nota di passaggio (che viene a creare
l'intervallo di semitono )potrà essere effettuato senza che scapiti l'esattezza
dell'intonazione dell'intervallo di terza minore, in quanto il bambino ne
avrà ben presenti i due pilastri, di partenza e di arrivo.”
Come tutte le didattiche attive la formazione ritmica nel metodo Kodály
parte dal movimento e dalla capacità di associarlo alle diverse durate
musicali. Mentre cresce nella conoscenza ritmica, l'allievo impara le
principali formule ritmiche presenti nelle canzoni del repertorio folkorico
che spesso si presentano con onomatopee, prive di significato, ma intrise di
carica ritmico-alfabetica. Ecco alcune delle principali onomatopee
utilizzate:
Ti-ti ta ee q
Ti-tiri ta exx q
Tiri-tiri ta x x x x q
Ta-a h
Nel 1934 apparve la sua prima pubblicazione con il titolo "Nuove idee
filosofiche sulla musica e le sue applicazioni pratiche". In esso sono
contenuti i criteri fondamentali e le basi della sua vasta opera pedagogica e
scientifica. Willems parte direttamente dalla musica stessa per la
formulazione delle proprie idee rimanendo lontano da riflessioni
metafisiche e da speculazioni intellettuali. Egli scopre le affinità
psicologiche che la rendono così vicina alla consapevolezza dell'IO
nell'uomo e dimostra le concordanze tra musica e ciascun essere che oggi
vengono confermate dagli stessi studiosi di fenomenologia.
Il ritmo, la melodia e l'armonia rappresentano rispettivamente la natura
fisiologica, affettiva e mentale dell'uomo. Questi tre elementi fondamentali
possono essere schematicamente rappresentati e disposti tra un polo
materiale ed un polo spirituale (materia - spirito) identificando da un lato la
fonte che viene messa in vibrazione (corde, colonne d'aria, membrane ecc.),
dall'altro lato l'opera musicale.
Partendo da questi concetti fondamentali e soprattutto dal rapporto tra
musicalità e umanità quale base di qualunque atto creativo in qualsiasi
ambito vitale, Edgar Willems costruì un metodo d'educazione musicale
perfettamente idoneo non solo a dimostrare la potenziale presenza della
musicalità in ogni uomo (la vita armonica), ma anche a risvegliarla e a
stimolarla fin dalla primissima infanzia. Senza altri mezzi al di fuori della
"sola" musica, questo metodo permette la formazione e la conservazione
dell'orecchio musicale e la fedele comprensione di qualsiasi sequenza
ritmica e facilita sia lo studio del solfeggio (concepito come teoria musicale
elementare sulla base della solmisazione) sia lo studio strumentale in modo
estremamente naturale. Willems, per lunghi anni, si è occupato
dell'educazione musicale precoce e dell'utilizzo terapeutico della musica a
favore di bambini, ragazzi e adulti con handicap.
La propria enorme esperienza nel campo dell'educazione uditiva e della
direzione corale lo spinse a scrivere un'opera in due volumi intitolata
"L'orecchio musicale", volumi che furono pubblicati rispettivamente nel
1940 e nel 1946.”
Le caratteristiche fondamentali della metodologia per l'educazione
musicale Willemsiana scaturiscono da motivazioni filosofiche e
psicologiche e partono da questi concetti fondamentali:
L'educazione musicale di base che prende spunto dai concetti più sopra
enunciati si rivolge indistintamente a tutti i bambini, dotati o non dotati
dall'età di circa 4 anni. Grazie alla sistematica e vitale formulazione degli
atteggiamenti didattici si assicura lo sviluppo dell'orecchio musicale e di un
preciso senso ritmico, entrambi importantissimi per un futuro studio del
solfeggio, dello strumento o di qualsivoglia ulteriore disciplina musicale.
Le basi psicologiche di una tale educazione non si esauriscono nei corsi di
iniziazione musicale per bambini né nella successiva preparazione al
solfeggio e allo strumento. Esse mantengono intatto il proprio valore
educativo anche nell'insegnamento musicale scolastico ed oltre, che si tratti
di attività vocale o strumentale, svolta professionalmente o amatorialmente.
Esse esercitano un positivo influsso nell'educazione di bambini con diversa
abilità di vario tipo.
Le basi fondate sul ritmo "vivo" e sul suono "vivo", con tutte le sue
peculiarità, sono senza alcun dubbio importanti anche per la professione
futura. Essi sono alla base di un'esecuzione strumentale "viva" e musicale,
sono essenziali nello studio del solfeggio e dell'armonia elementare,
consolidando notevolmente le più diverse funzioni mnemoniche che si
instaurano sin dall'inizio dello studio sia nella raggiunta maturità musicale
e pedagogica fino al più spinto virtuosismo, e infine, grazie alla plasticità
ed allo slancio ottenuti fondendo ritmo, melodia ed armonia
nell'improvvisazione, permettendo l'acquisizione di un minimo di
autonomia creatrice.
Dal punto di vista pedagogico si stimola l'attiva partecipazione degli allievi
e un atteggiamento metodologico sempre appropriato, che sono il
presupposto indispensabile nel rapporto insegnante-allievo. Si utilizzano, in
prevalenza, elementi tratti dalla natura e dall'esperienza vissuta, elementi
che vanno dalla concretezza del suono alla sua stessa astrazione. Ciò
favorisce il passaggio omogeneo dall'istintività alla consapevolezza per
giungere, in seguito, agli automatismi.
Si escludono tutti i procedimenti extramusicali, sia che lo stesso rappresenti
un atteggiamento di fondo o semplicemente un punto di riferimento
superficiale (utilizzo di colori, disegni, rappresentazioni di tonalità,
storielle, giochi ecc.).
“Al contrario si utilizza per sperimentazione diretta elementi
esclusivamente tratti dalla musica (suono, movimento sonoro, spazio
infratonale, pancromatismo, ritmo, intervalli, accordi, melodia, scala,
canzoni ecc.):
Viene attribuita grande importanza all'ordine dei suoni, del nome delle
note, delle dita, della diteggiatura e della tastiera. Allo stesso modo ci si
deve preoccupare di coordinare tra loro le diverse memorie musicali e
strumentali.
Edgar Willems, nella sua opera scientifica e pedagogica ha indicato, quale
traguardo, la creazione delle basi psicologiche per una educazione musicale
in grado di arricchire l'essere umano e di favorirne lo sviluppo. L'uomo
nasce con alcuni elementi fondamentali (di ordine fisico, percettivo e
spirituale) che sono basilari per l'educazione musicale. Si tratta, quindi, di
sviluppare queste forze in modo tale da renderle sufficienti per le necessità
musicali. L'attitudine musicale deve venire risvegliata e sviluppata ponendo
in primo piano il senso ritmico e la percezione uditiva interiore onde
servire da fondamento per un idoneo itinerario educativo. Questa
particolare metodologia si formula attraverso il collegamento tra gli
elementi fondamentali della musica e la natura stessa dell'essere umano.
Diventano obsoleti, quindi, per l'insegnante, metodi extramusicali che
spesso appesantiscono inutilmente il subconscio dell'alunno quando invece
non siano effettivamente d'ostacolo allo sviluppo libero degli impulsi
naturali e dell'immaginazione uditiva.
Questa educazione musicale è rivolta a tutti i bambini. Essa può iniziare
all'età di 4 anni. I corsi d'iniziazione musicale preparano all'effettivo
insegnamento del solfeggio e dello strumento, così come all'apprendimento
della teoria.
1º Grado - Da 3 a 4 anni
2º Grado - Da 4 a 5 anni
3º Grado - Da 5 a 6 anni (in poi...)
4º Grado - Da 6 a 7 anni (in poi...)
Il suo metodo parte dalla volontà di legare la lettura musicale, o comunque la pratica
musicale cantata o suonata, alla pedagogia attiva convinto che il processo di lettura
musicale chiami in causa complesse facoltà neurosensoriali che possono attivare in
modo completo e costante le facoltà senso-motorie, cosa che troverà numerose
applicazioni anche in musicoterapia.
Come altri didatti, che l'hanno preceduto, anche Martenot parte dal risveglio delle
facoltà ritmiche mediante il senso della pulsazione. Come già pensato da Kodály, lo
studio della ritmica si concretizza attraverso l'uso di onomatopee vocali al fine di
educare i muscoli dell'apparato verbale per poi giungere solo successivamente alla
concettualizzazione delle formule eseguite.
Diversamente dagli altri educatori però Martenot è convinto che il tutto non debba
avvenire con andamenti al rallentatore ma rispettando il tempo fisiologico del
bambino, con semiminima uguale a 110-120. Questa pratica viene chiamata “stato
ritmico” e permette al bambino di essere sempre pronto ad interagire con gli stimoli
musicali esterni.
L'efficacia per il trattamento della disgrafia e della disortografia dello “stato ritmico”
utilizzato da Martenot, è stata documentata in numerosi studi di cui riporto una
sintesi17: “ Il Metodo Martenot (Bonistalli e Pesci, 1974) offre, invece, al soggetto
l’opportunità di liberare i gesti, di dosarli e scoprirne l’intensità di pressione. Ogni
attività richiede la contemporaneità del contributo organizzativo-respiratorio e della
costruzione in stabilità posturale, oltre ad offrire l’occasione di dare figurazione al
movimento rotatorio delle braccia. Le esperienze previste dal Metodo Martenot si
17
http://www.centrokromos.it/uploads/9/3/2/1/9321019/disturbi_specifici_di_apprendimento_un_aiuto_concreto.pdf
propongono lanci bimanuali diversamente orientati passanti per un punto dato,
oscillazioni delle braccia con movimenti coordinati e dissociati, oscillazioni braccio-
gamba destra, braccio-gamba sinistra o incrociati, rotazione del braccio con pernio
sulla spalla, dopo avere fatto esperienze di alzata-caduta per vincere le tensioni”.
La principale forma didattica utilizzata è quella del “call&response”, cioè del maestro
che canta o esegue una frase con i bambini che la ripetono collettivamente o anche
singolarmente, magari individuando il nome delle note o la durata dei suoni sempre
in funzione ludica, cosa che permette un notevole apprendimento e l'eliminazione del
pericolo di annoiare.
18 Martenot, M. e Caron, N., Methode de musique. Jeux musicaux Martenot, 5 voll., SIRS-Omnivox-BBC, Paris, 1992
pratiche creative, producendo la sua musica con la voce e con i mezzi a disposizione,
occorre offrire occasioni di sviluppo nelle età successive, per consentirgli di
esprimere il proprio mondo interiore nelle forme sonore congruenti con la progressiva
maturazione personale, e nella sostanza espressiva propria del medium sonoro, in
parallelo e a integrazione del suo sviluppo creativo negli ambiti visuali, gestuali,
verbali.”19
Ecco infine una dettagliata descrizione dello strumento che Martenot ideò anche
legandolo alle finalità pedagogiche da lui perseguite:
“Una delle principali caratteristiche delle Onde è la straordinaria portata del loro
suono che si fa udire a grandissima distanza: ciò le rende particolarmente adatte alle
manifestazioni musicali all'aperto.
Le Onde Martenot furono anche sincronizzate coi grandiosi giochi d'acqua e di luce
che ebbero luogo su la Senna durante l'Esposizione di Parigi del 1937: le musiche ad
hoc erano state espressamente composte da Florent Schmitt, Elsa Barraine, Raymond
Loucheur, Marcel Delannoy, Paul Le Flem, Henry Barraud, Pierre Vellones, Charles
Koechlin, Olivier Messiaen, M. P. Sauvageot.
L'istrumento può essere suonato in tre modi: 1°, a distanza : 2°, alla tastiera finta ;
3°, alla tastiera effettiva.
19 http://www.carlodelfrati.it/carlo-delfrati/educazione-musicale
Nel suonare a distanza, l'esecutore descrive con la mano destra movimenti nello
spazio corrispondenti a quelli della linea melodica. Per mezzo di un filo leggiero, le
minime inflessioni del gesto sono trasmesse all'instrumento, che le traduce ed
esprime con la sua duttile voce.
Nel suonare alla tastiera finta, l'esecutore siede davanti allo strumento e sposta
l'indice della destra infilato in un anello, al di sopra d'una tastiera che serve solo di
riferimento visivo.
In tutti e tre i casi, la mano sinistra agisce a sua volta su un tasto speciale alo scopo di
rendere con precisione tutte le sfumature dinamiche e coloristiche dell'arabesco
sonoro : intensità del suono, varietà del timbro, diversità di emissione.
Sono queste alcune delle istruzioni che trovansi impartite dal Metodo per
l'insegnamento delle Onde Musicali (istrumento radio-elettrico Martenot), pubblicato
dall'inventore stesso presso Alphonse Leduc, Rue St. Honoré, 175 - Parigi (52 pagg.
in foglio), preceduto da una assai bella prefazione di Alfred Cortot. (Prezzo Fr.
92,50).
Non sarà superfluo aggiungere che, data l'agevolezza dello strumento, vi si possono
ottenere, in tre o quattro mesi di studio, risultati corrispondenti a quelli raggiungibili
in circa tre anni di esercizio sul violino. Verrà probabilmente il giorno in cui fra i
mobili d'ogni casa civile sarà annoverato, oltre al solito pianoforte, anche un
apparecchio d'Onde.” 20
20 http://www.suonoelettronico.com/ondemartenot_02.htm
Roberto Goitre
Cosi la pagina wikipedia descrive il metodo: “Durante gli studi in Ungheria, nel
1968, Roberto Goitre si meravigliò nel constatare come tutti fossero in grado di
leggere con facilità la musica a prima vista grazie all'opera pedagogica di Zoltán
Kodály.
Perciò decise di reintrodurre in Italia la solmisazione Tonic Sol-fa che fondava le sue
radici nelle teorie di Guido d'Arezzo, già codificata e raffinata da John Curwen e
infine ripresa dallo stesso Kodály.
Tra il 1968 e il 1980 Goitre applicherà i suoi studi pedagogici ai cori di voci bianche
da lui fondati: I Piccoli Cantori di Torino e, successivamente, il Coro Farnesiano.
Goitre dedicò tutta la vita alla didattica e alla musica corale, tanto che fu proprio lui,
all'inizio degli anni settanta, a fondare la rivista La Cartellina, ancora oggi importante
organo di informazione nell'ambito della musica corale e della didattica. Diretta dopo
la morte di Goitre (1980) e fino al 2004 da Giovanni Acciai, essa è attualmente diretta
da Marco Boschini.”21
La pratica del do mobile è divenuta base comune per tante didattiche di cui troviamo
materiali gratuiti su molti siti; ecco quanto riporta il sito musicalfabeto a tal
proposito: “Roberto Goitre si meravigliò nel constatare, durante un giro artistico in
Ungheria nel 1968, come tutti fossero in grado di leggere con facilità la musica a
prima vista. Dai primi anni '70 Roberto Goitre ha reintrodotto il metodo in Italia.
Il concetto di base della lettura con il do mobile è la lettura per funzioni tonali: i suoni
vengono indicati in base alla loro posizione nella scala anziché in base alla loro
altezza assoluta, ma sarebbe riduttivo limitare a ciò la pedagogia di Kodály, il cui
obiettivo è la formazione di una competenza musicale intesa come possesso di un
linguaggio.
La lettura con il do mobile (lettura relativa) è molto più semplice di quella assoluta:
una canzoncina come "Fra' Martino", letta con il do mobile, inizia con le funzioni d r
m d che rimangono tali qualunque sia il suono assoluto dal quale si inizia a cantare.
Le funzioni tonali corrispondono ai numeri con i quali i musicisti indicano il "grado",
cioè la nota, della scala: d r m d corrisponde quindi alle note 1231 di qualunque scala
(maggiore).
Nella scrittura strumentale, cioè con l'indicazione delle altezze assolute, la stessa
21 http://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Goitre
canzone può essere scritta in quindici tonalità diverse, più o meno complicate da
diesis o bemolli.
Saper leggere la musica non significa saper dare un nome ai segni scritti sul foglio,
ma saperli collegare al suono, o meglio saper comprendere il discorso che è formato
dai suoni indicati sul foglio. A questo punto dovrebbe apparire chiaro che non è
importante l'altezza assoluta dei suoni, quanto la loro funzione all'interno del discorso
stesso: infatti noi riconosciamo un motivo musicale anche se lo ascoltiamo in una
tonalità diversa dall'originale (cioè più acuto o più grave).
Pensando ai diversi significati che una parola come "letto" può assumere in base al
contesto della frase in cui è inserita, non potremo che essere d'accordo con Giovanni
Mangione, di cui riportiamo la seguente riflessione:
22 http://www.musicalfabeto.it/didattica/do-mobile.htm
Laura Bassi
la ritmica intergrale
Laura Bassi nasce in provincia di Perugia più di un secolo fa: nel lontano 1883;
nonostante il desiderio di fare l’attrice o la ballerina, frequenta l’Istituto Magistrale;
consegue l’abilitazione e anche il diploma di maestra giardiniera. Inizia a studiare
pianoforte, ma l'ostilità verso il solfeggio impedisce la prosecuzione degli studi
musicali. La sorella Emma, che molto contribuì per lo sviluppo di quello che sarebbe
diventato il metodo di “ritmica integrale”, si diplomò regolamente in pianoforte.
“Alla sua opera si deve affiancare quella della sorella Emma, che continua a
perfezionare il metodo: si è occupata della Scuola di "Ritmica Integrale" fino al 1956,
anno in cui si ritira; purtroppo, non si è trovato alcun docente in grado di sostituirla.
Ecco una descrizione di Laura particolarmente significativa (tratta da: Giuseppe
Grazioso, Il metodo Laura Bassi, Pro Musica Studium, Roma, 1977; pag. 12):
La Ritmica Integrale
23
http://www.kultural.eu/component/content/article/262-leducazione-musicale-iii-i-metodi-di-insegnamento
L’intuizione della Bassi fu quella di associare alla musica, in particolare alla ritmica,
altre attività (parole, disegno, grafica, movimenti), così da introdurre alla musica
sollecitando la creatività, senza isolare la musicalità dall’espressività intesa in senso
lato.
Il metodo si rivolge ai bambini della scuola materna, ma è stato sperimentato anche
nei Conservatori e nelle scuole di musica. È esposto in Gioco e movimento nella
prima educazione musicale (Milano 1940), scritto dalla stessa L. Bassi, ed è stato
ripreso e trattato dalla sorella Emma Pampiglione Bassi in La ritmica integrale di
Laura Bassi e Il ritmogramma (Brescia 1964).
Il disegno ritmico è una forma di analisi che sviluppa la rapidità di reazione alla
percezione dei suoni e può arrivare ad indicare la costruzione della frase musicale
(proposta e risposta). A ogni durata viene associata una certa lunghezza del tratto
grafico.
Per far riconoscere le durate, si fanno ascoltare dei brevi brani musicali al piano,
formati da note della stessa durata, a partire dal TA (quarto). I bambini devono
eseguire dei gesti seguendo il tempo (per esempio la stretta di mano).
Col TE (ottavi) si possono fare delle oscillazioni delle braccia avanti e indietro
mentre si cammina, tipo marionetta. Col TI (sedicesimi) si può imitare il movimento
delle dita sulla macchina da scrivere, o quello della mano nel gesto di strofinare.
Una volta assimilata (fisicamente) la distinzione dei valori, si possono inscenare delle
coreografie. Per esempio in una successione di accordi lunghi (GRU), la presenza di
un accordo breve e accentato sarà un segnale per compiere un gesto diverso da parte
dei bambini.
Si possono iniziare ad ascoltare anche brani pianistici con valori diversi per le due
mani. Ogni parte è affidata a un bambino o gruppo (es. babbo che passeggia con la
bambina, o babbo e cagnolino, o gru con intorno dei cagnolini). In altri esercizi,
ciascun bambino esprime due o più valori simultanei (es. si fanno passettini a tempo
di TI e contemporaneamente si battono le mani a tempo di TA).
LA PAROLA - Ogni parola o espressione, in virtù dell’accentuazione e della durata
delle sillabe, ha un suo ritmo.
I bambini sono invitati a rispondere a dei ritmi eseguiti su un tamburello
dall’insegnante con delle parole che abbiano la stessa struttura metrica.
Un altro esercizio consiste nel rispondere al ritmo della frase pianistica con una frase
parlata già definita, avente lo stesso ritmo. Oppure associare a un ritmo ascoltato la
figura di un oggetto corrispondente per numero di sillabe e posizione dell’accento.
24 http://www.youtube.com/watch?v=jyN-f9zdPRI
Francois Delalande
François Delalande (Parigi 1941) è stato uno dei principali animatori del Groupe de
Recherches Musicales (Institut National de l'Audiovisuel, Paris) , direttore del
programma di ricerche in scienze della musica.
Gli ambiti di ricerca e attività in cui lavora sono:
Quindi alla visione non nuova di una pedagogia attiva, Delalande aggiunge:
1) Il concetto di «condotta musicale», tratto dalla psicologia
funzionalista francese
2) La valorizzazione del gioco come snodo centrale del progetto
educativo
3) Il riferirsi non alla musica tradizionale colta, ma alla musica 'concreta',
basata sulla ricerca e sull'esplorazione creativa del mondo sonoro anche mediante
l'uso dell'elettronica.
Negli scritti di Delalande è costante un riferimento alle esperienze del disegno e della
pittura, così come a altre attività artistiche extramusicali, che godono da più tempo di
un riconoscimento come attività di libera espressione, ricerca, progresso individuale.
Il “prodotto” finito, l’opera, non è però considerato l’obiettivo ultimo del lavoro, che
invece diviene stimolo per un'attività artistica multimediale; è invece importante
impadronirsi delle “condotte” dei musicisti.
La pedagogia proposta da D. è infatti basata sul concetto di condotta, definibile come
una serie di azioni coordinate tra loro in una strategia con un fine.
In ambito musicale, si parla di condotte di esplorazione, di espressione, di
organizzazione.
La finalità pedagogica consiste dunque nello sviluppo delle condotte che
caratterizzano universalmente il musicista.
A ognuna di queste condotte Delalande associa una delle fasi del gioco teorizzate da
Piaget, applicandole non solo alle fasi di sviluppo dei bambini ma anche agli
atteggiamenti dell’adulto e in particolare del musicista.
La condotta esplorativa, basata sulla scoperta e sperimentazione di suoni e rumori,
corrisponde al gioco senso-motorio, che per Piaget domina il primo periodo di vita
fin verso i due anni.
L'interesse per il suono è molto vivo nel bambino piccolo, ma decresce nell'adulto
(che considera il rumore un fattore inquinante). Per apprezzare il suono, è necessario
essere capaci di differenziare sonorità, attraverso un lavoro di ricerca individuale.
Secondo Piaget, si tratta di una strategia di esplorazione tipica delle condotte senso-
motorie della prima infanzia. “Il piccolo non si limita a riprodurre semplicemente i
movimenti e gesti che hanno portato un effetto interessante: egli li varia
intenzionalmente per studiare i risultati di questa variazione”. (1964)
Si ritrova lo stesso atteggiamento nel musicista ogni volta che ricerca una particolare
sonorità sul suo strumento.
La condotta espressiva corrisponde alla fase del gioco simbolico, che per Piaget
caratterizza gli anni della scuola dell’infanzia. Al suono viene attribuito un certo
significato extra-musicale, si evocano situazioni, personaggi, movimenti, per cui la
musica è il risultato intenzionale della volontà di esprimersi coi suoni.
Nel musicista adulto questo tipo di condotta appare quando con un gesto enfatico si
accompagna l’emissione dei suoni, poiché si vuole comunicare anche attraverso il
corpo che “aiuta” la produzione del suono.
Tra i cinque e i sette anni, il bambino scopre, con la socializzazione, il piacere di
applicare regole ai propri giochi. A questa fase (gioco di regole), Delalande associa la
condotta organizzativa. Musicalmente questo porta ad assegnare dei ruoli, a stabilire
le entrate di uno strumento o di un suono, a programmare l’evoluzione della musica
nel tempo.
Secondo Delalande, tutte le tappe della storia della musica occidentale, ma anche le
espressioni delle culture musicali extra-europee, potrebbero essere lette alla luce delle
condotte e delle funzioni del gioco descritte, individuando di volta in volta quale
funzione è dominante.
La ricerca musicale viene stimolata dall’educatore attraverso dei “dispositivi”,
ovvero mezzi concreti che si applicano alle situazioni specifiche. Può trattarsi di
oggetti (per esempio un registratore o uno strumento) oppure di direttive di ricerca o
di riflessione, o ancora di giochi guidati.
Le tappe operative suggerite da Delalande intendono riattivare in modo spontaneo le
condotte che caratterizzano il musicista: si parte dall’ascolto e produzione dei suoni,
che trovano un’eco nell’immaginazione poetica e nella vita affettiva (esperienza
vissuta del suono), fino ad arrivare alla ricerca delle modalità di sviluppo e di
costruzione dei materiali sonori, ovvero alla organizzazione formale dell’opera.
Per la scuola dell’infanzia, M. Frapat propone una semplificazione del percorso,
riconducendo le tappe a: esplorazione, scambio, invenzione.
Il senso della forma: una volta individuata, durante l’improvvisazione, una trovata,
questa va sviluppata con la variazione. Per capire qual è la trovata migliore è utile
sentire una registrazione di quanto si è sperimentato e discuterne.
Possibilità interessanti sono offerte dal gioco a due, dove due bambini sono impegnati
a ottenere delle sonorità dallo stesso oggetto/strumento contemporaneamente. Anche
qui si può passare dall’improvvisazione alla costruzione. L’ascolto reciproco può dare
delle svolte alla composizione.
La composizione collettiva richiede, una volta definite delle sequenze (realizzate in
più incontri), un piano complessivo, reso schematicamente sulla carta, precisando
entrate, strumenti, gesti... Uno dei ragazzi può dirigere il tutto. Segue l’ascolto critico.
B = biomecanica
A = anatomia
P =psicologia
La neuroscienza aiuta a capire cosa accade nel nostro cervello quando realizziamo
esercizi specifici di body percussion. Essa spiega perché ci sembra che alcuni siano
più complicati di altri, cosa spiegata con l’attivazione dei differenti lobi cerebrali. La
sinapsi neuronale che si sviluppa durante ogni esercizio specifico giustifica la finalità
di ogni movimento del metodo BAPNE.
Più sono le sinapsi neuronali durante l’esecuzione degli esercizi, con attivazione di
tutti i lobi cerebrali, maggiori sono le difficoltà di coordinazione osservate, legate
all’uso simultaneo degli arti inferiori e superiori, e la verbalizzazione.
E = etnomusicologia
Tenendo conto del fatto che siamo esseri bipedi, e che articoliamo il movimento
grazie all’indipendenza che hanno gli arti inferiori rispetto a quelli superiori, il
metodo BAPNE centra il suo processo di insegnamento-apprendimento in funzione a:
La body percussion si articola tramite una serie di movimenti condizionati dal nostro
bipedismo e, a sua volta, dalla nostra struttura ossea e muscolare. Per questo motivo,
il corpo e i suoi movimenti devono essere visualizzati non solo dalla prospettiva delle
possibilità fisico-meccaniche e anatomico-fisiologiche, ma anche in relazione allo
spazio nel momento in cui ci muoviamo.
L’obiettivo della biomeccanica nella didattica della body percussion è lo studio del
corpo in ognuno dei movimenti per poter ottenere un rendimento massimo in ognuno
degli esercizi ritmici, con la finalità di pianificare, creare e impartire un insegnamento
e, dall’altra parte, ricevere e apprendere in modo eccellente.
2. Stimoli e risposte
Nella didattica della body percussion gli esercizi non vengono insegnati solo
attraverso il metodo classico della ripetizione o imitazione, ma anche attraverso altre
forme di insegnamento-apprendimento.
•Imitazione
ESERCIZIO PRATICO
Su youtube è possibile trovare numerosi video sul metodo Bapne con esercizi pratici
e dimostrazioni di uso nei diversi contesti illustrati. Sul sito ufficiale del metodo è
possibile acquistare i volumi didattici con i DVD allegati27