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PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO

CAPITOLO 1 - LO SVILUPPO MOTORIO


1.1 Le teorie dello sviluppo motorio
Lo studio dello sviluppo motorio ha come grande vantaggio metodologico di essere
oggetto di studio direttamente osservabile e misurabile, a differenza della maggior
parte dei processi psicologici. I comportamenti motori implicano, oltre all’attività di
muscoli e articolazioni, anche un controllo adattivo che coinvolge il binomio
corpo-ambiente attraverso elaborati processi di percezione, apprendimento, di
decision making (processo decisionale) e di interazione sociale.

Possiamo in generale individuare tre macro approcci teorici che caratterizzano lo


studio dello sviluppo motorio:

1. maturativo = gli studi di Gesell e McGraw si inseriscono all'interno di questo


approccio > essi spiegano lo sviluppo motorio come un processo innato e
articolato in stadi biologicamente determinanti che possono essere accelerati o
ritardati dalle caratteristiche dell’ambiente di vita del bambino.
2. cognitivo = all’interno di questa prospettiva, l’esecuzione di un atto motorio
viene spiegata come un processo di risoluzione di problema caratterizzato da
una sequenza coordinata di movimenti finalizzati al raggiungimento di un
obiettivo > questo processo implica una successione di fasi: elaborazione di input
sensoriali, pianificazione dell’azione, opportuna selezione di strategie motorie ed
esecuzione motoria finale.
3. ecologico = i Gibson evidenziano l’importanza della coppia percezione-azione e
analizzano la capacità del bambino di estrapolare informazioni attraverso
l’esplorazione delle caratteristiche dell’ambiente (affordance: qualità fisica di un
oggetto che suggerisce a un essere umano le azioni appropriate per manipolarlo)
e di utilizzare tali informazioni per organizzare la propria azione motoria.

Questi tre approcci riprendono le tre età metaforiche che, secondo Thalen,
caratterizzano lo studio dello sviluppo motorio:
- età dell’oro, corrispondente a un periodo fecondo e ricco di studi;
- età dormiente, corrispondente a una riduzione di interesse da parte degli
psicologi;
- età della rinascita, rinnovato interesse.
A queste, alla luce degli studi attuali, si aggiunge una quarta età corrispondente alla
piena realizzazione di un approccio multidisciplinare che applica i risultati di ricerche
di kinesiologia (studio scientifico del movimento umano), anatomia, neuroscienze e
scienze dello sviluppo all’ambito educativo. Tale contributo si esplica nello studio
dell’influenza delle capacità motorie sullo sviluppo delle funzioni esecutive, vengono
sempre più apprezzati i benefici dello svolgimento regolare di attività motorie sulle
prestazioni in compiti di memoria di lavoro, pianificazione, attenzione, ecc. Questo
accade per vari motivi:
- sicuramente la natura fisiologica: le attività motorie incrementano la densità
dei capillari e quindi favoriscono la velocità del flusso sanguigno cerebrale;
- spiegazioni di natura psicologica: partecipare ad attività sportive stimola
emozioni positive di gioia, orgoglio e soddisfazione > queste emozioni, unite alla
possibilità di confrontarsi con i coetanei, migliora la percezione della propria
competenza fisica contribuendo a regolare il processo di costruzione del valore
di sé e innalzare il livello di autostima.

1.2 Le componenti del movimento


Lo sviluppo motorio rappresenta l’insieme dei cambiamenti nei comportamenti motori
e nei sottostanti processi, che si realizzano dalla nascita, ancora prima dalla vita
intrauterina, fino alla senescenza > infatti, in virtù dei processi di maturazione del
sistema nervoso, comportamenti che prima sono regolati dai centri sottocorticali (ad
esempio i riflessi primitivi), vengono sostituiti da comportamenti controllati da
strutture corticali.

Le componenti del movimento si articolano prevalentemente in:


1. schemi motori di base: insieme al (2), si sviluppano per primi e sono
fondamentali per l’acquisizione delle successive componenti motorie. Sono
caratterizzati da dinamicità e si sviluppano nelle tre dimensioni dello spazio
(larghezza, lunghezza e altezza) e nella dimensione del tempo (sono ad es.
camminare, correre, strisciare, rotolare, saltare)

2. schemi posturali: si sviluppano per primi, come (1). Possono essere statici o
dinamici e si sviluppano nelle tre dimensioni dello spazio (lunghezza, larghezza, e
altezza). Sono ad es. flettere, inclinare, ruotare, piegare, ecc.

3. capacità motorie: rappresentano le caratteristiche motorie, fisiche o sportive


che consentono all’individuo l’apprendimento e l’esecuzione delle azioni motorie.
Esse comprendono:
● capacità senso-percettive = riguardano il rapporto tra il corpo e il
mondo esterno e la relativa percezione di tale rapporto attraverso il
trasferimento di informazioni che provengono dall’ambiente esterno
()fornite da analizzatori tattili, visivi, uditivi, ecc)
● capacità condizionali (in base alle tue condizioni) = riguardano i
processi di utilizzo, trasporto e utilizzo di energia necessaria per il
movimento e si articolano in 3 sistemi: capacità di forza, velocità e
resistenza > sono influenzati sia dalle caratteristiche strutturali del corpo
(età,sesso,peso,statura) sia dai processi biochimici e funzionali regolati dal
sistema nervoso.
● capacità coordinative = sono capacità di apprendimento motorio,
differenziazione e controllo, orientamento nello spazio. Controllano i
processi di gestione e di regolazione dei movimenti grossolani
(richiedono l’azione di un’ampia muscolatura e riguardano ad es. lo
spostamento del corpo nello spazio, l’equilibrio, il lancio, la presa) e i
movimenti fini (coinvolgono gruppi muscolari circoscritti come mano e
dita, ad esempio prendere\posare oggetti).
● capacità di mobilità articolare = consentono l’esecuzione dei movimenti
con un buon livello di fluidità e grande ampiezza.

1.3 Le fasi dello sviluppo


Lo sviluppo del movimento si realizza come un’evoluzione progressiva e cumulativa nel
corso dell’intero ciclo di vita, al fine di acquisire la padronanza di movimenti abili,
caratterizzati sia da efficienza fisiologica, biomeccanica e psicologica, sia da adattabilità,
ovvero capacità di modificarsi al variare delle condizioni ambientali. Questa evoluzione
trova una chiara spiegazione nella metafora della scalata della montagna che Clark e
Metcalfe adottano per rivisitare i 6 periodi di sviluppo motorio nel percorso evolutivo
> l’individuo, come lo scalatore, si pone l’obiettivo dell’autonomia e intraprende un
percorso individualizzato, segnato da tappe, che si adatta e ristabilizza in base agli
eventuali imprevisti. Questa scala si intraprende a partire dal terzo mese di
gestazione, ma è anticipata dal cammino “fino alle pendici della montagna” che
simbolizza le condizioni di vita (stato di salute, dieta, ecc) e le condizioni dell’ambiente in
cui vivono i genitori, capaci di influenzare le primissime fasi di vita.

Ci sono sei tappe:


1. periodo dei riflessi: va dal terzo mese di gestazione fino a circa 2 settimane
dopo la nascita. L'obiettivo è adattarsi al passaggio dall'ambiente intrauterino a
quello extrauterino per consentire la sopravvivenza autonoma assolvendo
funzioni di base come la suzione (assunzione di liquido), la nutrizione o la
protezione > sono movimenti semplici che servono ad aprire un dialogo con il
mondo.
2. periodo dei movimenti preadattati: si protrae fino a 9-12 mesi ed è
caratterizzato dalla comparsa dei movimenti volontari. L'obiettivo è raggiungere
l'indipendenza sia per nutrirsi autonomamente sia per muoversi nell'ambiente
conquistando la posizione eretta e la capacità di locomozione.
3. periodo degli schemi di base: si prolunga fino a 7 anni circa. L'obiettivo è, a
partire dagli schemi di locomozione e manipolazione già padroneggiati, costruire
un repertorio diversificato che consenta di apprendere azioni motorie in grado di
adattarsi flessibilmente ai differenti contesti > qui cominciano a emergere
differenze individuali che corrispondono al raggiungimento di vette della
montagna di diversa altezza.
4. periodo dei movimenti contesto-specifici: va fino all'inizio della pubertà.
L'obiettivo è adattare gli schemi motori di base a una molteplicità di situazioni >
è caratterizzato da una sempre maggiore individualizzazione nelle prestazioni
motorie, perciò i tempi e le strategie per raggiungere la vetta della montagna di
diversa altezza si diversificano ancora di più da ragazzo a ragazzo.
5. periodo dei movimenti abili: ha inizio con l'età puberale (11-13 anni).
L'obiettivo è pervenire a comportamenti motori efficienti caratterizzati dall'abilità
di usare strategie adeguate allo scopo di massimizzare la prestazione motoria
riducendo lo sforzo fisico > è caratterizzato da una nuova fase di crescita del
corpo, incremento della forza e cambiamenti nella sfera cognitivo emozionale.
6. periodo di compensazione: è caratterizzato dalla capacità del sistema di
riorganizzarsi in modo adattivo quando insorgono cambiamenti associati e
processi di invecchiamento o causati da un danno al sistema, ad esempio una
condizione di disabilità.

1.4 Lo sviluppo motorio 0-2 anni


La fase di vita compresa dalla nascita ai 5 anni include le tappe fondamentali dello
sviluppo che avviano il passaggio dalla condizione iniziale di dipendenza dagli adulti a
quella di autonomia.

Alla nascita il neonato presenta un repertorio di riflessi, ovvero risposte involontarie a


specifici stimoli esterni, di cui alcuni sono in continuità con azioni involontarie compiute
durante la vita gestazionale (ad esempio il riflesso di suzione), inoltre, il neonato è
capace di applicare rudimentali pattern senso-motori, tipici della specie, che gli
consentono di cominciare a interagire con il mondo circostante e acquisire una
progressiva padronanza del corpo in un ambiente gravitazionale.
I primi 2 anni di vita sono connotati da abilità che rappresentano pietre miliari
nell'acquisizione di competenze sia di motricità grossolana, quali controllo della
postura, capacità di transizione della posizione seduta a quella eretta, locomozione, sia
motori fine fine, qua manipolazione oggetti > questo sviluppo è regolato dalla legge
della progressione cefalo caudale, data dall'anticipazione cronologica del controllo
della testa e del tronco sul controllo degli arti, e della progressione prossimo-distale,
data dall’anticipato sviluppo dei movimenti delle parti prossimali degli arti rispetto alle
parti distali.
In questo periodo, il miglioramento della postura, che deriva dall' interazione del
corpo con le caratteristiche dell'ambiente fisico, è un'azione motoria di cruciale
importanza Perché la conquista della posizione sempre più eretta su una base di
sostegno progressivamente più ridotta avvia altre azioni motorie a cascata che
consentono maggiori possibilità di esplorazione.

1.5 Lo sviluppo motorio 3-5 anni


Il periodo che coincide con la frequenza della scuola dell'infanzia si caratterizza per
l'affinamento delle competenze di motricità grossolana e fine, in concomitanza a
cambiamenti fisici e corporei. Abilità sempre più varie, complesse e sofisticate si
affiancano e perfezionano quelle raggiunte nell'età precedente. I ritmi di sviluppo
possono cambiare da un bambino all'altro, nonostante sia possibile individuare una
sequenza evolutiva per ogni schema motorio e posturale > questa variabilità tende ad
accentuarsi al crescere dell'età per fattori relativi allo sviluppo percettivo, cognitivo e
sociale.
Le capacità motorie prescolari sono collegate a componenti cognitive diverse: il
miglioramento delle capacità aerobiche è maggiormente influenzato da livelli più elevati
di attenzione, una maggiore velocità in prove di agilità è condizionata da migliori abilità
di attenzione e memoria di lavoro. Le abilità prescolari di motricità fine, invece, sono
maggiormente associate ad abilità cognitive e scolastiche: sono buoni predittori delle
prestazioni in matematica e lettura nei primi due anni di scuola primaria.

1.6 Lo sviluppo motorio in età scolare


Successivamente alla stabilizzazione del repertorio degli schemi motori di base, il
bambino comincia ad applicare e adattare questi schemi a una sempre più ampia
molteplicità di compiti e contesti.
Gli schemi motori di base rappresentano una sorta di set di abilità legate alle capacità
di locomozione e controllo degli oggetti, che cominciano a essere appresi durante la
prima infanzia, ma presentano una stabilità evolutiva da moderata a elevata negli
aspetti di coordinazione motoria. La competenza motoria, sin da questa età,
contribuisce al processo di strutturazione di componenti della personalità, che avranno
un peso peculiare in età adolescenziale, riguardanti l'autostima, l'immagine corporea, la
consapevolezza di se è la percezione di competenza. Studi recenti hanno dimostrato gli
effetti positivi di buone competenze motorie sulle abilità scolastiche di lettura, scrittura
e calcolo.
Durante l'età scolare cominciano a evidenziarsi differenze nelle prestazioni tra bambini
che hanno arricchito il loro repertorio di esperienze motorie e bambini che non lo
hanno fatto: è a partire dalla frequenza della scuola primaria che diventano più evidenti
eventuali difficoltà di coordinazione ed è proprio in questo periodo che si registra una
maggiore frequenza di richieste di valutazione da parte dei genitori per il sospetto di
disturbo della coordinazione motoria (DCD=Developmental Coordination Disorder). Si
tratta di un insieme di disturbi del neurosviluppo caratterizzati da goffaggine, lentezza e
imprecisione nello svolgimento delle attività motorie che interferiscono
significativamente con la vita quotidiana e le attività scolastiche. L'inadeguata
padronanza degli schemi motori rappresenta anche un indicatore dello stato di salute
generale sia durante l'infanzia che in epoca adolescenziale: dunque, l'abilità motoria è
precursore e conseguenza del peso corporeo.

1.7 Lo sviluppo motorio in età adolescenziale


Il passaggio dall'infanzia alla preadolescenza prima e all'adolescenza dopo rappresenta
un importante svolta evolutiva segnata da radicali cambiamenti fisici e significative
conquiste sul piano intellettivo e sociale.
Lo sviluppo motorio è legato alla realizzazione di una serie di compiti evolutivi e
riguardano la conoscenza e l'accettazione di un corpo nuovo, la gestione, anche sociale,
del proprio ruolo maschile o femminile e il raggiungimento della piena autonomia.
L'accrescimento fisico ha un peso cruciale sullo sviluppo della personalità in quanto
influenza la progressiva organizzazione del concetto di sé, il livello di autostima e la
percezione di competenza: l'immagine corporea assume un significato fondamentale
nella vita dell'adolescente, al punto da essere spesso fonte di preoccupazione che
genera vissuti di inadeguatezza e di inferiorità punto anche il possibile insorgere di
problemi di coordinazione, dati dalla goffaggine causata da un'improvvisa e varrà o
accelerata crescita fisica, può essere fonte di disagio nelle relazioni interpersonali
creando forme di isolamento sociale e contribuendo al drop-out sportivo > l’età
adolescenziale registra, infatti, tassi elevati di abbandono di attività sportive, in stretta
associazione a variabili di genere e culturali: sono Infatti più le ragazze e nei paesi del
Sud Europa a interrompere le attività intraprese da piccole con conseguente inattività.

1.8 Lo sviluppo motorio in età adulta e senescenza


Si tende generalmente a pensare alla competenza motoria come una funzione che
segue un andamento a U rovesciata nel corso della vita con una fase regressiva dopo
l'età adulta > questo decremento motorio è spiegato da cambiamenti sia nelle
strutture periferiche, come i recettori sensoriali, muscoli, nervi periferici, sia nelle
strutture centrali a causa di mutamenti strutturali, come riduzione di materia bianca e
riduzione del volume di materia grigia > inibizioni del controllo motorio in età senile si
associano anche a cambiamenti nel funzionamento sia sensoriale (sistema uditivo e
visivo) che cognitivo (memoria, velocità di elaborazione).
E’ opportuno fare una distinzione tra le due componenti della competenza motoria:
prestazione motoria e apprendimento motorio. Per quanto riguarda la prestazione
motoria, gli studi riportati in letteratura convergono verso una tendenza caratterizzata
da peggioramenti in età senile genericamente dati da maggiore lentezza, minore
accuratezza nell'esecuzione dei movimenti, specialmente quelli più complessi. Un
discorso a parte va fatto, invece, per la competenza motoria relativa all'apprendimento
motorio. Infatti, se le prestazioni motorie tendono a peggiorare con l'invecchiamento, le
capacità di apprendimento di compiti motori, invece, in età senile non registrano
decrementi: tuttavia, le differenze in compiti di apprendimento tra giovani e anziani
dipendono da variabili relative all'attività motoria stessa da imparare, come la struttura,
la complessità, la difficoltà è il livello di familiarità. Nell'apprendimento di compiti di
motricità grossolana, invece gli anziani tendono a usare strategie di compensazione sia
motoria sia cognitiva che riducono le differenze con le prestazioni dei giovani.
Recentemente, sempre maggiore attenzione viene rivolta alle misure per migliorare
anche in età senile il benessere e la qualità della vita attraverso l'implementazione di
programmi di attività motoria adattata (APA= Adapted Physical Activity) > Questi
programmi sono finalizzati alla prevenzione del rischio di cadute, all'incremento della
forza muscolare, al miglioramento di equilibrio, al controllo posturale e flessibilità
articolare.

CAPITOLO 2 - LO SVILUPPO DELLE EMOZIONI E DELLA COMPETENZA SOCIOEMOTIVA


A partire dalla rivoluzione cognitiva avviata negli anni sessanta del secolo scorso, lo
studio delle emozioni è divenuto oggetto di ricerca scientifica: numerosi autori hanno
contribuito alla definizione di EMOZIONE come processo multicomponenziale, che
coinvolge principalmente la valutazione cognitiva degli eventi, l'attivazione
neurofisiologica, l'espressività e la tendenza a compiere azioni. In psicologia dello
sviluppo, lo studio delle emozioni si è dapprima tradotto in approcci teorici dedicati alla
descrizione e spiegazione dello sviluppo emotivo del bambino, in seguito, si è assistito
all'elaborazione dei costrutti di competenza socio emotiva e di socializzazione
emozionale.

2.1. Lo sviluppo emotivo


Prospettive teoriche più accreditate che riguardano lo sviluppo emotivo:

TEORIA DIFFERENZIALE (IZARD): sostenuta principalmente da IZARD. Esso afferma


l'esistenza di un certo numero di emozioni innate e universali, chiamato set di emozioni
primarie o di base > in generale, pur essendoci delle variazioni, il set comprende la
paura, la collera, la gioia, la tristezza e il disgusto. Le emozioni non di base, sono dette
emozioni complesse o secondarie, includono un elevato numero di stati emotivi come
la vergogna, la colpa, l'imbarazzo, l'orgoglio e così via, e si presentano in relazione
all'emergere della consapevolezza di sé, quindi solo a partire dalla fine del primo anno
di vita. Individua il presentarsi delle emozioni secondo tre livelli:
1. nel corso del primo anno di vita, Izard Individua un primo livello di
sviluppo emotivo (0-2 mesi) detto dell'esperienza sensorio-affettiva:
caratterizzata dalla presenza di emozioni come il disgusto, lo sconforto e
l'interesse con cui comunica i propri bisogni.
2. il secondo livello (circa 3-9 mesi), detto dell'esperienza
percettivo-affettiva, copre un periodo durante il quale il bambino è
maggiormente in grado di esplorare l'ambiente in cui compaiono la
collera, la tristezza e la paura.
3. il terzo livello (circa 9-24 mesi), quello dell'esperienza
cognitivo-affettiva > nel corso del secondo anno di vita compaiono
emozioni complesse come la colpa, la vergogna, la timidezza, che
attestano il consolidamento del processo di differenziazione sé-altro e il
crescere della consapevolezza di sé.

Secondo questa prospettiva, le emozioni primarie emergono già strutturate come una
totalità, sulla base di un programma innato e universale. Fin dalla nascita le espressioni
facciali costituiscono dirette e attendibili manifestazioni delle esperienze emotive in
corso: esiste dunque una concordanza tra espressione facciale ed esperienza
emotiva. Izard in particolare, aderisce all'ipotesi del cosiddetto feedback facciale:
enfatizza il legame espressione-emozione, e sostiene che questo feedback, di tipo
corporeo-muscolare, contribuisca in modo rilevante a generare specifiche esperienze
emotive. La concordanza espressione-esperienza emotiva garantisce l'effettiva
comunicazione sociale da parte del bambino anche nella fase di sviluppo preverbale >
questa concordanza consentirebbe di comunicare i propri bisogni al caregiver che potrà
riconoscere i segnali del piccolo e intervenire.
La natura innata dei comportamenti espressivi propri di ogni emozione primaria pone il
sistema emotivo nella condizione di funzionare, inizialmente, in modo indipendente da
quello cognitivo. Secondo vari studiosi, i punti deboli della teoria differenziale sono
rappresentati dall’affermazione del primato del piano emotivo su quello cognitivo e
dalla concezione dell'emozione come una totalità chiusa, cioè come un pacchetto
preformato di emozioni universali.

TEORIA DELLA DIFFERENZIAZIONE (SROUFE): la teoria della differenziazione delle


emozioni, che si offre come possibile soluzione ai limiti della teoria di Izard, è
rappresentata da SROUFE, egli propone un modello dello sviluppo emotivo che copre
circa i primi tre anni di vita del bambino. Ritiene che alla nascita sarebbe possibile
distinguere uno stato di maggiore o minore eccitazione (o tensione) generalizzata
che si differenzia in stati di sconforto e di piacere. Nel processo di differenziazione, che
porta alle emozioni vere e proprie, sarebbero coinvolti i seguenti sistemi:
- sistema del piacere\gioia > nei primi due mesi di vita il piccolo produce un sorriso
endogeno (ha la funzione di richiamare l’attenzione e mantenere la vicinanza
con il caregiver), che è funzione essenzialmente di eventi interni, indica una
fluttuazione degli stati fisiologici e segnala una condizione di benessere. Soltanto
a partire dai 3 mesi, si può parlare di piacere in relazione alla comparsa del
sorriso sociale (sorriso selettivo e intenzionale, solitamente diretto a persone
specifiche, ad esempio il caregiver), mentre la vera e propria emozione di gioia
emerge dal quarto mese. Con lo sviluppo successivo, a partire dagli otto mesi in
modo evidente, il sorriso e la gioia sono sempre più determinati dal significato
che l'evento assume per il bambino.
- sistema della circospezione\paura > nel periodo neonatale si osserva in alcune
circostanze un incremento dello stato di attivazione fisiologica, o reazione di
disagio, che è il precursore e il prototipo della paura vera e propria, destinata a
comparire intorno ai 7 mesi.
- sistema della frustrazione\rabbia > questo sistema ha a che fare, in epoca
neonatale, con situazioni di impedimento della motricità e di costrizione fisica. La
reazione evolve in un prototipo definito frustrazione, visibile nella prima parte del
primo anno di vita, dopo i sei mesi invece compare la rabbia vera e propria che si
esprime per esempio quando il bambino subisce l'interruzione di una
operazione intenzionale.
Perciò, nella prospettiva di Sroufe, le emozioni fondamentali di gioia, paura e rabbia
emergono attraverso passaggi precisi:
- la reazione del piccolo a stati di attivazione
- i precursori che compaiono precocemente
- la successiva emozione vera e propria.
TEORIA DIFFERENZIALE TEORIA DELLA DIFFERENZIAZIONE

ASPETTI PRINCIPALI ASPETTI PRINCIPALI

● per ogni emozione di base vi sono ● l’emozione è la risultante di due


programmi neurali innati e componenti: una di attivazione
universali; dell’organismo e una di percezione
● l’espressione di ogni emozione di e valutazione dell’attivazione stessa
base emerge con la maturazione da parte del soggetto;
neurologica; ● ciascuna emozione di base emerge a
● fra esperienza soggettiva interna e partire da uno stato di eccitazione
espressione facciale esterna vi è indifferenziata;
una corrispondenza biunivoca; ● ciascuna emozione di base emerge
● sebbene lo sviluppo cognitivo e la da precursori emotivi;
socializzazione emotiva possano ● la reazione del bambino con il suo
avere un ruolo per comprendere le caregiver assume un ruolo critico ai
situazioni che scatenano lo risposte fini dello sviluppo emotivo
emotive, tuttavia essi non (socializzazione emotiva).
determinano lo sviluppo emotivo
stesso.

ETÀ DI COMPARSA DI EMOZIONI E ETÀ DI COMPARSA DI EMOZIONI E


COMPORTAMENTI ESPRESSIVI COMPORTAMENTI ESPRESSIVI

➔ trasalimento = primo mese di vita ➔ trasalimento = primo mese di vita


➔ disgusto = primo mese di vita ➔ disgusto = non è considerata
➔ sconforto = primo mese di vita un’emozione
➔ sorriso sociale = 1 mese e mezzo-3 ➔ sconforto = primo mese di vita
mesi ➔ sorriso sociale = 3 mesi

➔ gioia = 4\5 mesi ➔ gioia = 4\7 mesi


➔ rabbia o collera = 3\5 mesi ➔ rabbia o collera = 3\7 mesi
➔ paura = 5\9 mesi ➔ paura = 4\9 mesi
➔ sorpresa = 2\3 mesi ➔ sorpresa = 9 mesi
➔ vergogna = 4\9 mesi ➔ vergogna = 18 mesi
➔ colpa = 12\15 mesi ➔ colpa = 36 mesi
L’APPROCCIO FUNZIONALISTA (BARRET e CAMPOS): questo approccio sottolinea la
natura funzionale delle emozioni nella regolazione delle interazioni individuo-
ambiente. In particolare:
- la funzione biologica ha a che fare con la sopravvivenza degli individui: per
esempio, il disagio psicologico (tristezza, angoscia) si accompagna al pianto che
produce le attenzioni e le cure del caregiver; oppure l'esperienza del disgusto
protegge dall'assunzione di cibi nocivi per l'organismo, e così via.
- la funzione comunicativa è evidente negli scambi interpersonali della vita
quotidiana: questa funzione è stata approfondita studiando il fenomeno del
riferimento sociale (social referencing = Fenomeno per cui il bambino si orienta
nella conoscenza del mondo attraverso le espressioni emotive facciali del
caregiver) > infatti, attraverso l'osservazione delle espressioni facciali ed emotive
materna, il bambino, in situazioni di pericolo indotte sperimentalmente, mostra
di utilizzare efficacemente questa espressione.
- le emozioni, infine, hanno la funzione di informare circa il raggiungimento di
desideri e scopi in precise situazioni contestuali > il contesto è dunque
fondamentale per dare significato a esperienze ed espressioni emotive.
La prospettiva funzionalista sottolinea che con lo sviluppo cognitivo e con l'esperienza
sociale compaiono nuove emozioni che attestano il mutare della valutazione degli
eventi in rapporto a nuovi obiettivi e interessi.

2.2 Lo sviluppo della competenza socio-emotiva


L'attenzione degli studiosi si è poi spostata sul ruolo o funzione che le esperienze
emotive assumono nella vita quotidiana. La ricerca in psicologia dello sviluppo ha
contribuito in modo rilevante alla definizione del costrutto di competenza emotiva,
detta anche socio-emotiva data la natura sociale delle emozioni > a tale riguardo,
SAARNI ha offerto un quadro articolato dello sviluppo della competenza emotiva,
costituita da un insieme di abilità necessarie per essere efficaci soprattutto nei
rapporti sociali, che producono emozioni, in cui gli eventi assumono un significato >

Saarni approfondisce 8 abilità: la consapevolezza del proprio stato emotivo, la capacità


di riconoscere le emozioni degli altri, l'abilità di usare il lessico emotivo, la capacità di
coinvolgimento empatico, la comprensione del fatto che stati emotivi interni non
necessariamente trovano corrispondenza nelle espressione visibile esterna sia in se
stessi sia negli altri, la capacità di far fronte (coping= insieme di processi messi in atto
per fronteggiare un evento esterno o uno stato interno) alle emozioni a valenza
negativa usando strategie di regolazione che intervengono sull'intensità o sulla durata
degli stati emotivi, la consapevolezza che la qualità delle relazioni sociali e in parte
collegata la comunicazione emotiva tra i partner e, infine, il senso di autoefficacia
emotiva. Tutte queste abilità sono state ricondotte a tre macro-aree:
1. l'espressione delle emozioni = è la manifestazione esterna delle emozioni che si
realizza attraverso i canali della comunicazione non verbale e verbale.
2. la regolazione delle emozioni = riguarda i processi estrinseci e intrinseci
coinvolti nel monitoraggio, nella valutazione e nella modifica delle reazioni
emotive rispetto ai parametri dell’intensità e durata.
3. la conoscenza o comprensione delle emozioni = riguarda la conoscenza della
natura delle emozioni, delle cause che le provocano e delle strategie che si
possono utilizzare per regolarle.
Queste macroaree (o dimensioni) seguono un preciso sviluppo di seguito descritto.

1- sviluppo dell’espressione delle emozioni = tale sviluppo avviene attraverso diversi


canali comunicativi e precisi segnali dapprima non verbali e, dal secondo anno di vita,
anche verbali. Nella comunicazione emotiva, particolarmente importanti risultano
essere il volto, lo sguardo, i gesti, i movimenti corporei, la voce e il contatto > ci sono 3
principali fasi di sviluppo dell’espressività emotiva:
- prima fase: è rappresentata dalle risposte presenti fin dalla nascita e
fondamentali per la sopravvivenza del neonato che sono di tipo riflesso e
regolate da processi biologici ( le reazioni alla sollecitazione gustativa, ai
forti rumori, alle stimolazioni dolorose, ecc.). Izard e Sroufe parlano della
comparsa del sorriso endogeno o automatico, che si presenta in
assenza di stimoli esterni, di interesse e attenzione precoce coatta, di
trasalimento, di sconforto e disgusto (solo Izard).
- seconda fase: inizia intorno ai due mesi e si protrae per tutto il primo
anno di vita del bambino. In questo periodo compaiono comportamenti
espressivi inizialmente non intenzionali che divengono, nel corso della
seconda metà del primo anno di vita, sempre più intenzionali e funzionali
allo sviluppo psicologico del piccolo. Durante questa fase compaiono il
sorriso sociale (attivato dal volto umano proteso verso il bambino e dalla
voce umana), la sorpresa, la rabbia e la tristezza, la gioia, la paura e la
vergogna (per Izard).
- terza fase evolutiva: si colloca a partire dal secondo anno di vita fino a
circa tre anni. Durante questa fase compaiono le espressioni di emozioni
dette sociali o complesse (come la vergogna, l’imbarazzo e la colpa),
emozioni che Michael Lewis ritiene strettamente legate alla
consapevolezza di sé e alle sensibilità nei confronti del giudizio
proveniente da altri.
Negli anni successivi, l’espressione delle emozioni può essere controllata e modificata
volontariamente > come sostenuto da Ekman con la teoria neuroculturale delle
emozioni, le persone imparano a produrre modificazioni nell’espressione naturale di
una certa emozione per adeguarsi alle aspettative e agli standard culturali di
riferimento > tali modificazioni sono chiamate regole di esibizione (display rules) e
consentono al soggetto di apparire adeguato al contesto sotto il profilo emotivo. La
capacità di mascherare i pattern espressivi facciali comincia già da 2 anni e con più
sicurezza a 3\4 > questo lo mostra la ricerca condotta con il paradigma “regalo
indesiderato” che consiste nel fare aprire ai bambini un pacco che contiene qualcosa di
disgustoso o spiacevole (es. bucce di banana) adoro > tale paradigma evidenzia una
diversa espressività facciale se l’adulto è presente o è assente quando il bambino
osserva il contenuto.

2- sviluppo della regolazione delle emozioni: Thompson ha definito la regolazione


delle emozioni come l’insieme dei processi coinvolti nel monitoraggio, nella valutazione
e nella modifica delle risposte emotive, in particolare rispetto alla loro intensità e durata
> grazie a questi processi gli individui possono attingere alle risorse in loro possesso per
far fronte alle svariate situazioni ambientali nel modo più efficace possibile. In questo
studio il ruolo del caregiver è fondamentale e si colloca nel solco della ricerca
promossa da Tronick: a metà degli anni 70 ha messo a punto un paradigma
sperimentale chiamato still face paradigm (volto immobile o impassibile) per osservare
l’interazione tra madre e figlio. In base all'applicazione di questo paradigma, emerge che
a partire dai 2 mesi di età i bambini mostrano uno stato di confusione, di sconcerto e
disagio dovuto al fatto di non riuscire a provare nella madre la consueta reazione,
quando questa assume l'espressione del volto immobile > i comportamenti del
bambino, di conseguenza, per ridurre il proprio disagio possono essere autodiretti
(distoglimento dello sguardo, succhiamento del corpo o di oggetti) o eterodiretti (ricerca
dello sguardo, vocalizzazioni, mimica facciale, ecc.). Tronick ha proposto un modello di
regolazione reciproca o MRM (Mutual Regulation Model) secondo il quale il bambino
è un sistema autorganizzato in grado di regolare le proprie emozioni nella
comunicazione con la madre, anche lei vista come un sistema autorganizzato. Nella loro
interazione, madre e bambino, danno vita a un sistema diadico di mutua regolazione:
se la regolazione materna viene meno, come nella situazione di still face, il bambino
modifica immediatamente le sue modalità comunicative. Anche per la regolazione
emotiva si possono individuare 5 fasi principali di sviluppo emotivo:
- prima fase (0-1 anno): fase in cui il ruolo dell'adulto è fondamentale per dare
significato alle esperienze del bambino. Molto presto si osservano condotte
autoregolatorie, come la suzione del pollice per calmarsi.
- seconda fase (1-3 anni): si tratta di un periodo molto importante per
l’acquisizione di competenze motorie, cognitive, linguistiche ed emotive > il
bambino inizia ad esplorare l’ambiente. Si osservano quindi condotte di
evitamento di situazioni indesiderate, di ricerca attiva di alcune persone, di
richiesta di vicinanza e contatto fisico per ottenere conforto. L’adulto ha un ruolo
minore rispetto alla fase precedente, ma è comunque di grande importanza: è in
questo periodo che compare il fenomeno di riferimento sociale, in base al
quale i bambini utilizzano le espressioni emotive del caregiver per orientare i
propri comportamenti ed emozioni.
- terza fase (3-5 anni): fase di incremento delle capacità linguistiche e cognitive,
di sviluppo della teoria della mente. In questo periodo il bambino è in grado di
mascherare o minimizzare le proprie esperienze emotive.
- quarta fase (dopo i 5-6 anni): anche in relazione all’ingresso nella vita
scolastica, è la fase in cui le abilità di autoregolazione accrescono, c’è una
mentalizzazione maggiore delle esperienze emotive in corso, grazie anche al
crescere della comprensione emotiva.
- quinta fase: si ha a partire dalla preadolescenza, durante la quale le esperienze
emotive si fanno più intense, dovute anche allo sviluppo ormonale e neurologico
> iniziano a prendere forma stili di regolazione emotiva molto personali.

3. sviluppo della comprensione delle emozioni: tale sviluppo è stato studiato


soprattutto da Denham e da Harris > il primo ha mostrato come già tra i 2 e i 3 anni i
bambini sappiano affrontare sia compiti in cui viene chiesto di nominare le emozioni di
base osservando le espressioni facciali sia prove di riconoscimento dell’espressione
emozionale a partire dall’etichettamento verbale.
Harris e collaboratori hanno proposto un modello di sviluppo della comprensione delle
emozioni che copre la fascia d’età 3-11 anni, costituito da 3 principali livelli che
racchiudono 9 componenti:
- esterno: raggiunto dai bambini tra i 5-6 anni
- mentale (5\6 e 8 anni circa)
- riflessivo raggiunto entro i 10\11 anni

2.3 Lo sviluppo della socializzazione emotiva


I primi studi sulla socializzazione emotiva risalgono agli inizi degli anni 80, quando è
stato posto l'accento sulle strategie, più o meno intenzionali, messa in atto dagli adulti
che interagiscono con il bambino per promuovere la competenza emotiva, in accordo
con gli atteggiamenti e le norme del gruppo sociale e culturale di riferimento.
La ricerca si è focalizzata sia sui contenuti che vengono socializzati ( etichettamento
verbale delle emozioni, modalità di gestione o regolazione e così via) sia sui processi di
insegnamento-apprendimento. Inoltre, la ricerca Ha riguardato sia la socializzazione
emotiva genitoriale, mettendo a fuoco il contesto familiare, sia quella culturale,
approfondendo le pratiche di socializzazione più diffuse nelle diverse culture, ma anche
le modalità socializzanti che si realizzano in contesti educativi extrafamiliari per opera di
figure adulte diverse dai genitori, ad esempio al nido o nelle scuole.
La socializzazione emotiva in famiglia, alcune teorie:
Saarni, facendo in particolare riferimento alla relazione genitore-figlio, ha proposto la
distinzione tra: modalità indirette e modalità dirette di socializzazione emotiva.
- tra quelle indirette, l'autrice include quelle forme di insegnamento non
intenzionali né consapevoli attraverso le quali i bambini acquisiscono
conoscenze circa il significato delle emozioni > fa riferimento all'apprendimento
per imitazione, al riferimento sociale e al meccanismo di identificazione con
l'altro.
- le modalità dirette comprendono le strategie esplicitamente e consapevolmente
usate dal genitore allo scopo di insegnare al bambino come esprimere le
emozioni, come modular le, quale nome dare ad esse e come collegare gli eventi
che le hanno provocate.
Entrambe le modalità vanno concepite lungo un continuum dal momento che non
sempre è possibile distinguere le une dalle altre e cogliere il livello di consapevolezza
che l'adulto possiede rispetto al suo ruolo di agente socializzante.

Il tema della socializzazione emotiva è stato approfondito anche da Gottman e


collaboratori che hanno definito filosofia della metaemozione l'insieme di opinioni e
convinzioni sulle emozioni che un adulto possiede > hanno individuato due principali
filosofie metaemotive dei genitori: quella della guida alle emozioni (emotion coaching
philosophy) e quella della messa al bando delle emozioni (dismissing meta-emotion
philosophy) > le differenze sostanziali tra le due riguardano il grado di consapevolezza
delle emozioni proprie e del proprio figlio e la capacità di assistere Il bambino durante
l'esperienza emotiva.

Denham individua tre tipologie complementari di socializzazione emotiva > hanno a


che fare con modalità diverse di apprendimento circa le emozioni da parte dei bambini:
● il modeling = fa riferimento a una modalità basata sull'osservazione. I bambini
fin da piccoli sono continuamente esposti all'osservazione dei comportamenti
verbali e non verbali degli altri, in particolare dei genitori, e ne sono
naturalmente influenzati > l'osservazione dei modi di esprimere, le emozioni da
parte dei genitori - indipendentemente dal loro livello di autoconsapevolezza -
funge da vero e proprio modello di comportamento. Uno dei principali
apprendimenti, per esempio, riguarda le regole di esibizione: osservando i
genitori esprimere chiaramente le proprie emozioni in certi contesti e non in
altri, i bambini saranno portati a conformarsi e a comportarsi in modo simile
nelle medesime circostanze.
● il coaching = si riferisce a una modalità di socializzazione emotiva in cui
l'apprendimento avviene sulla base di un insegnamento esplicito da parte dei
genitori > ha che fare con insegnamenti di tipo diretto e consapevoli dell'adulto e
si avvale soprattutto di strumenti linguistici: il genitore sfrutta l'occasione offerta
dal figlio per insegnargli intenzionalmente, per esempio il significato di alcune
emozioni, le cause che lo hanno prodotte, le espressioni che le accompagnano.
● la modalità del contingency = riguarda l'apprendimento attraverso le reazioni
dell'adulto immediatamente successive all'espressione emotiva dei bambini:
l'adulto può reagire in diversi modi, ad esempio cercare di consolare il bambino
in caso di tristezza, rassicurarlo in caso di paura, ecc; viceversa, invalidando
l'esperienza emotiva in corso può mostrarsi anche indifferente, punitivo o
incapace di gestire le emozioni del figlio, mostrandosi in difficoltà. in questo caso
la reazione del genitore diventa fonte di apprendimento per il figlio sul significato
dell'esperienza che sta provando, sulle cause che l'hanno prodotta e sulle
strategie per gestirla.

Morris e colleghi hanno proposto un modello tripartito dei processi di socializzazione


emotiva che si focalizza sull'osservazione dei comportamenti dei membri familiari,
sulle pratiche messe quotidianamente in atto nei confronti delle esperienze ed
espressioni emotive dei figli e sul clima emotivo familiare > includono quindi variabili
a carico dei genitori (es. credenze, salute mentale, storia autobiografica) e dei bambini
(es. età, temperamento) e sottolineano come il rapporto tra le diverse componenti del
modello sia tutt'altro che unidirezionale > le caratteristiche della regolazione emotiva
possono a loro volta avere un'influenza, per esempio, sul clima familiare e questo agire,
con un effetto di ritorno, sui comportamenti e le credenze genitoriali.

CAPITOLO 4 - LO SVILUPPO COGNITIVO


Studiare lo sviluppo cognitivo significa indagare come incrementano le nostre
conoscenze e le abilità di comprensione e ragionamento su noi stessi, sulla realtà fisica
e sociale: in questo capitolo verranno trattati i diversi approcci allo studio dello sviluppo
cognitivo, Ovvero le diverse idee che sono state formulate su come cambino le nostre
funzioni mentali e perché questo avvenga. Oltre a questo saranno presentati alcuni tra i
più illustri studiosi dello sviluppo cognitivo e le teorie proposte nell'ambito dei diversi
approcci.

4.1 Approcci Teorici


Può essere utile considerare l'evoluzione storica che ha caratterizzato l'emergere dei
diversi approcci: tutti gli approcci presenti si sono sviluppati nel corso del Novecento, a
inizio secolo in America sotto l'influenza della filosofia empiristica prendeva avvio il
comportamentismo (Watson) > in base a questo approccio occorre rinunciare a
studiare il funzionamento della mente perché l'attenzione va rivolta al comportamento.
Grazie alle ricerche condotte in questo ambito sono stati identificati alcuni meccanismi
di apprendimento che mostrano quanto il nostro agire possa essere influenzato dalle
stimolazioni ambientali e dall'esperienza. Tuttavia, l'idea secondo cui apprendimento e
sviluppo coincidono, non è ripresa negli approcci qui presentati nei quali invece la
mente torna a essere il principale oggetto di indagine.
Contemporaneamente all'approccio comportamentista, in Svizzera Piaget propone una
idea costruttivista di sviluppo, un gruppo di studiosi sovietici danno il via all'approccio
storico-culturale (Vygotskij). Successivamente, in esplicita contrapposizione al
comportamentismo, emerge l'approccio dell'elaborazione delle informazioni il cui
intento è indagare il funzionamento dei processi della mente (Neisser).
Più recenti sono l'approccio neopiagetiano (Pascual-Leone e Goodman) e
neurocostruttivista (Karmiloff Smith), che riprendono alcuni concetti di Piaget e
dell'elaborazione di informazioni integrandole con nuove idee.

LA TEORIA COSTRUTTIVISTICA DI PIAGET = L'approccio costruttivista ha le sue radici


nella filosofia dialettica e nella corrente filosofica del costruttivismo, secondo tale
approccio lo sviluppo è il frutto delle operazioni che il soggetto conoscente compie per
conoscere la realtà. Nell'ambito della psicologia, Jean Piaget può essere considerato il
padre fondatore del costruttivismo.
Nel raccontare la vita di Piaget si fa spesso riferimento alle sue precoci abilità,
nominando spesso le ricerche giovanili e il suo interesse per la biologia, chi ci aiuta
inevitabilmente a comprendere la sua visione dello sviluppo intellettivo, da lui inteso
come un processo di adattamento dell'individuo all'ambiente. Ciò che Piaget
trovava sorprendente era che i bambini di una stessa età, che non si conoscevano tra
loro, tendessero a rispondere in modo simile ai quesiti standard che lui poneva loro e
questo accadeva, non perché condividevano lo stesso contesto, ma perché secondo
Piaget i bambini si trovavano nello stesso stadio evolutivo > per cui, bambini di età
differente possiedono strutture di pensiero differenti, quindi si trovano in due diversi
stadi di sviluppo.
Sosteneva dunque che l'essere umano passa attraverso differenti stadi di sviluppo:
dalla nascita fino all'ingresso in adolescenza evolviamo gradualmente attraverso
quattro stati qualitativamente diversi fino al raggiungimento delle abilità di pensiero
tipiche dell'adulto > questi quattro stadi corrispondono a periodi di vita differenti, ma le
età riportate tuttavia sono da considerarsi solo come indicative perché vi è una certa
variabilità nei tempi con cui ogni individuo progredisce attraverso i diversi stadi.
Il passaggio da uno stadio ad un altro, nonostante costituisca un cambiamento
qualitativo, non è da intendersi come un improvviso mutamento dell'intero sistema
cognitivo, ma come il frutto di diverse scoperte parziali.
1. STADIO SENSOMOTORIO: Il bambino dalla nascita fino a circa un anno e mezzo
o 2 anni è nel primo stadio, che a sua volta comprende 6 sottostadi = primo
sotto stadio (0-1 mese: osserviamo come il bambino metta in atto i riflessi
primari, ad esempio quello di prensione), secondo sotto stadio (1-4 mesi: il
bambino esegue ripetutamente alcune azioni, ad esempio aprire e chiudere
ripetutamente una mano, Inoltre emergono le prime forme di coordinazione di
schemi, ad esempio afferrare e poi succhiare un oggetto), terzo sottostadio (4-8
mesi: può accadere che il bambino, dopo aver casualmente messo in atto
un'azione che ha prodotto un interessante spettacolo nell'ambiente esterno, sia
intento nel ripetere questa azione), quarto sottostadio (8-12 mesi: qui emerge la
capacità di coordinare più schemi per un obiettivo, tanto che il comportamento
del bambino può apparirci intenzionale, ad esempio può rimuovere un oggetto
che ostacola la possibilità di afferrarne un altro), quinto sottostadio (12-18
mesi:Il bimbo non si limita più a ripetere un'azione che ha prodotto uno
spettacolo interessante, ma introduce delle variazioni all'azione come per
studiarne gli effetti, ad esempio lasciar cadere un oggetto o lanciarlo in posizioni
e modi diversi), sesto sottostadio (18-24 mesi: osserviamo come il bambino non
si muove più per tentativi, ma sembra aver progettato le azioni da compiere).
Gli schemi, prima solo sensomotori, azioni fisiche, divengono poi schemi di azioni
pensate prima di metterle in atto, diventano cioè schemi mentali > la fine dello
stadio senso-motorio vede l'emergere della funzione simbolica (capacità
cognitiva di rappresentarsi un qualcosa tramite simboli di cui si fa uso nel
corso dell’intera esistenza), evidente nell’imitazione differita (mettere in atto un
comportamento che è stato osservato in un contesto diverso in precedenza), nel
gioco simbolico (il far finta), nelle maggiori competenze linguistiche (ora una
parola richiama un oggetto anche in sua assenza).
2. STADIO INTUITIVO (o PREOPERATORIO) = Tipicamente va dai 2 ai 6 anni. In
questo stadio il bambino usa stimoli e possiede semplici regole e concetti, ma
l'indizio percettivo prevale ancora sulla rappresentazione mentale, ancora non sa
utilizzare il pensiero logico > è questo il periodo dell’egocentrismo infantile e di
tutta una serie di fenomeni (animismo, finalismo, artificialismo) che ci
raccontano quanto ancora sia rudimentale la comprensione del mondo di cui
bambino dispone. Piaget chiamava egocentrico il pensiero del bambino ancora
non in grado di considerare altri punti di vista oltre al suo: secondo lui, infatti, a
questa età il bambino può pensare che la sua visuale di una scena sia la visuale
di cui tutti dispongono. Inoltre, i bambini in questo stadio potrebbero ritenere
che gli oggetti siano vivi, una bicicletta ferma dorme = animismo; Che gli eventi
accadano in favore delle persone, la palla che rotola va incontro al bambino =
finalismo; fino a pensare che gli elementi del mondo naturale, come le
montagne, siano stati da noi costruiti = artificialismo.
3. STADIO OPERATORIO CONCRETO = Intorno ai 7 anni il bambino inizia a
disporre del pensiero logico: ad esempio, già nello Stadio intuitivo il bambino sa
che i cani sono animali e che i gatti sono animali, ma solo in questo stadio riesce
a coordinare queste conoscenze per capire che la classe degli animali include le
altre due > i bambini in questo stadio riescono a tenere a mente più punti di
vista e più proprietà degli oggetti. Il bambino Infatti dispone di operazioni,
cioè rappresentazioni mentali su cui riesce a operare.
4. STADIO OPERATORIO FORMALE = Inizia nella preadolescenza, secondo Piaget,
a questa età sono possibili anche forme complesse di ragionamento ipotetico,
che utilizzano schemi logici come l'implicazione (se…allora).
La tempistica indicata con cui bambini passano attraverso questi stadi è da intendersi
approssimativa, il passaggio è graduale e ci possono essere delle differenze Ma secondo
Piaget, la sequenza degli stadi è fissa e universale: per raggiungere il terzo stadio
occorre prima essere maturati attraverso il primo e il secondo.

Piaget ci ha fornito anche delle idee rispetto a come il bambino acquisisca schemi nuovi
e come avvenga il passaggio tra gli stati, ovvero quali sono i principi per cui questo
accade: gli schemi possiedono secondo Piaget due proprietà > l'assimilazione e
l'accomodamento. Assimilazione significa capacità di applicare ciò che si conosce già: si
interagisce con l'ambiente secondo il modo di pensare di cui disponiamo (es.Il bimbo
conosce la parola cane e la usa per nominare sia i cani sia altri animali a quattro zampe),
può però accadere che lo schema si modifichi per assimilare nuove informazioni >
accomodamento è esattamente la proprietà dello schema di modificarsi (il bimbo
differenzia i gatti dai cani e li nomina entrambi correttamente).
la possibilità di acquisire nuovi schemi è determinata dalla stessa attività del bambino >
se nel suo agire Il bambino incontra un disequilibrio, un conflitto cognitivo, è possibile
che si attivi un cambiamento, tuttavia, non sempre una situazione di conflitto può
portare a un'evoluzione, talvolta semplicemente si possono ignorare i dati conflittuali.
Il cambiamento e l'incremento di conoscenza avviene quando il bambino riesce a
utilizzare i feedback negativi o le informazioni contraddittorie per superare i limiti degli
schemi preesistenti e costruire nuovi strumenti di conoscenza > è questa l'idea
costruttivista di sviluppo = processi tra loro contrastanti, come l'attività di
costruzione e l'osservazione della caduta dei pezzi, danno luogo attraverso il conflitto a
una sintesi che non è una via di mezzo, ma un vero e proprio salto di qualità > lo
sviluppo è quindi un cambiamento qualitativo. il fatto che il sistema cognitivo non sia
rigido, ma evolve di fronte a inadeguatezza degli schemi dipende da un processo di
equilibrazione: il sistema ricerca un nuovo equilibrio. secondo Piaget ogni schema
acquisito non rimane isolato, ma stimola una crescita globale: il sistema nel tempo
progredisce verso una nuova organizzazione > il bambino grazie all'esistenza di questi
meccanismi (assimilazione, accomodamento, equilibrazione e organizzazione)
costruisce schemi sempre più funzionali a interagire con la realtà, a comprenderla e ad
adattarsi ad essa > il bambino, è secondo Piaget, costruttore del suo sviluppo.
APPROCCIO STORICO-CULTURALE = Questo approccio pone enfasi su ciò che è
culturale, storico e sociale nello sviluppo psichico del bambino > nel considerare il
cambiamento ci si interroga sulle influenze sociali e culturali esperite: non si tratta,
come per l'approccio comportamentista, di analizzare le influenze ambientali sul
comportamento, ma di cogliere quanto la cultura di appartenenza contribuisca a
strutturare le abilità di pensiero. Lev Vygotskij è colui che ha contribuito (insieme a
Lirija e Leont’ev) a fondare la cosiddetta scuola storico-culturale. Siamo in Russia, Pochi
anni dopo la rivoluzione, In un clima di vivace dibattito e fermento di nuove idee,
Vygotskij è un giovane intellettuale di formazione culturale marxista, con una laurea in
giurisprudenza e si Dedica a diversi temi, uno però diviene il più grande interesse: la
psicologia applicata all'educazione > all'età di 28 anni lavora presso l'istituto di
psicologia di Mosca con il più giovane Aleksandr Lurija ( poi divenuto uno dei Padri
fondatori della neuropsicologia). Vygotskij morì prematuramente all'età di 38 anni,
Piaget ebbe modo di conoscere il suo pensiero soltanto dopo la sua morte, Mentre
Vygotskij chi conosceva il pensiero di Piaget, come risulta dai suoi scritti > egli propone
un'idea diversa da Piaget rispetto a come l'essere umano progredisca cognitivamente,
Infatti afferma che le regole che Piaget ha fissato hanno un significato non universale,
ma limitato, cioè Sono validi in un ambiente sociale dato è determinato. la teoria di
Piaget, secondo Vygotskij, trascura l'importanza dell'influenza dei fattori sociali e
culturali sullo sviluppo cognitivo > per lui lo sviluppo cognitivo di ciascuno individuo è
influenzato dagli strumenti che il contesto in cui questo individuo vive gli ha messo a
disposizione. non vi sono quindi caratteristiche che in assoluto definiscono un pensiero
adulto, il pensiero raggiunge un pieno sviluppo quando la persona si è appropriata di
ciò che la cultura e la società hanno messo a disposizione per interagire con quel
particolare contesto. Vygotskij non Individua gli stati di sviluppo differenti, ma nella sua
concezione i bambini passano da una fase in cui sono caratterizzati naturalmente da
processi psichici elementari (come la percezione, la memoria non volontaria,
l'attenzione spontanea), ad una fase in cui emergono funzioni psichiche superiori
(come la memoria e l'attenzione volontarie e il ragionamento concettuale).
Il passaggio tra queste due fasi non è determinato dall'attività del singolo bambino, ma
dall' interazione sociale sperimentata > è infatti attraverso l'interazione con gli altri che
il bambino scopre i mediatori culturali, cioè tutte quelle scoperte e invenzioni, dalla
ruota alla scrittura, di cui una cultura si fa portatrice, a cui il bambino è esposto fin dalla
più tenera età e che vanno a influenzare il suo modo di pensare.
tra i diversi mediatori, Vygotskij assegna al linguaggio un ruolo di particolare rilievo: il
linguaggio è in primo luogo un comportamento sociale e viene sviluppato dai bambini
grazie all'interazione sociale > da funzione unicamente Sociale, il linguaggio assume poi
una funzione intrapsichica, diviene cioè un linguaggio interno e contribuisci in modo
decisivo allo sviluppo del pensiero, alla formazione dei concetti e al funzionamento della
coscienza.
A Vygotskij dobbiamo l'idea di zona di sviluppo prossimale: ognuno di noi da solo è in
grado di raggiungere un livello di prestazione che è dato dalle abilità che ha già
interiorizzato, possediamo anche un margine di sviluppo (ovvero il livello a cui possiamo
arrivare attraverso il supporto sociale) > attraverso l'interazione possiamo scoprire
nuove modalità che potranno poi divenire risorse interne all'individuo. La zona di
sviluppo prossimale rappresenta il potenziale di sviluppo, cioè quelle abilità che il
bambino da solo non manifesta ancora, ma può dimostrare se aiutato opportunamente
(es. può accadere che un bambino nel contare nomini i numeri correttamente ad alta
voce, ma indichi due volte verso lo stesso oggetto > un compagno più grande potrebbe
aiutarlo e suggerirgli di toccare una sola volta ogni singolo oggetto così da far
corrispondere a ciascun numero detto un'unità).

Numerosi sono gli studiosi che si sono ispirati all'approccio storico-culturale di Vygotskij:
uno tra i più illustri è l'americano Jerome Bruner. Anche Bruner presta attenzione al
ruolo delle influenze culturali e condivide la visione dello sviluppo cognitivo come un
apprendistato nell'uso degli strumenti culturali da parte del bambino > In questo
processo assegna grande importanza agli adulti, che nell'interazione con i bambini
offrono elementi di sostegno (scaffolding) alle loro acquisizioni cognitive. Nello
specifico bruner ipotizza che i bambini conoscono il mondo prima attraverso
rappresentazioni esecutive -1 anno di vita (azioni), successivamente possono anche
utilizzare rappresentazioni iconiche - verso i 12 mesi\ pienamente affermate verso
i 5-7 anni (immagini di realtà) e infine diventano capaci di rappresentazioni
simboliche - iniziano verso i 18 mesi si affermano stabilmente nell'adolescenza
(grazie a queste le informazioni possono essere elaborate in modo più efficace, anche
perché si può andare oltre il dato osservato, formulando ipotesi ad esempio). NB:
queste tre rappresentazioni compaiono in successione e una volta presenti e ben
sviluppate non eliminano quelle precedenti, ma coesistono con esse.

4.7 Abilità e sviluppo cognitivo


Analizziamo ora alcuni tra i cambiamenti osservabili nelle diverse fasi di vita.

1. Prima infanzia = La concezione della prima infanzia e nel tempo cambiata: negli anni
è stato possibile acquisire una serie di conoscenze che ti consentono oggi di avere
un'idea del neonato come soggetto molto più competente è attivo nel suo processo di
sviluppo, di quanto si ritenesse in precedenza.
L'infanzia è considerata la fase di Maggiore cambiamento, infatti in soli due anni dalla
nascita i bambini Acquisiscono numerose e complesse competenze: Piaget si è per
primo dedicato a Comprendere le caratteristiche cognitive dei bambini nelle diverse fasi
di vita e vediamo come alcune delle sue idee siano ancora attuali > anche oggi gli
studiosi concordano che vi sia un'evoluzione dei riflessi primari ( comportamenti
automatici e organizzati che consentono al bambino di sopravvivere e di interagire con
l'ambiente circostante anche quando la sua organizzazione biologica non è ancora
strutturata per sostenere attività complesse) a comportamenti più controllati e
intenzionali. le ricerche successive hanno però consentito di osservare una serie di
abilità cui i bambini dispongono fin dall'età neonatale, che Piaget non aveva avuto modo
di cogliere: numerose conoscenze sono derivate dagli studi sulla percezione > in molti
studi sono state esaminate le variazioni a livello delle risposte comportamentali e
fisiologiche, queste variazioni sono considerate un indicatore dell'attivazione del
bambino ( l'attivazione è maggiore di fronte a uno stimolo nuovo e decresce di fronte a
uno stesso stimolo ripetuto nel tempo) > il bambino dunque si abitua allo stimolo =
questo abituazione e ha consentito di ideare esperimenti finalizzati a studiare lo
sviluppo percettivo. Se il bambino rinnova il suo interesse quando si presenta uno
stimolo nuovo, possiamo dedurre che percettivamente abbia colto la differenza tra lo
stimolo a cui si è abituato è quello nuovo. i bambini Inoltre mostrano delle preferenze, il
loro interesse Infatti non è Uguale tra i diversi stimoli.
i paradigmi sperimentali appena descritti, come l'abituazione ho il paradigma della
preferenza visiva, sono risultati utili anche nel indagare Quali tipi di aspettative e
rappresentazioni il bambino possegga del mondo. secondo Piaget una sfida complessa
per i bambini è quella di scoprire le proprietà del mondo fisico, le caratteristiche degli
oggetti, come il comprendere che un oggetto esiste anche quando non è visibile >
questa Piaget la colloca Nella seconda metà del primo anno di vita. in una ricerca
successiva, a bambini di 4 mesi è stata mostrata una situazione impossibile, che Viola i
principi della fisica, in cui sembra che un oggetto sia attraversato da una tavoletta è una
situazione possibile in cui la tavoletta non può attraversare l'oggetto: già a questa età i
bambini fissano lo sguardo per più tempo verso l'evento impossibile > questo ci
consente di ipotizzare che i bambini possiedono delle rappresentazioni degli oggetti, e
quindi della realtà percepita, molto prima di quanto supposto da Piaget.

Nel complesso quindi la conoscenza dei cambiamenti che occorrono nella prima
infanzia e oggi più articolata di quanto riportato da Piaget. Nello spiegare lo sviluppo
cognitivo sono Infatti considerate più variabili, tra cui le predisposizioni che ci
caratterizzano, le stimolazioni ambientali che riceviamo, la maturazione del cervello, ma
anche l'emergere di diverse abilità cognitive, ad esempio: con errore A- non-B Ci si
riferisce alla tendenza dei bambini nel IV sotto stadio sensomotorio, capaci di cercare
un oggetto anche se coperto, che hanno già ritrovato un oggetto nel posto A, a cercarlo
nuovamente nel posto A anche se davanti a loro L'oggetto è stato spostato in un altro
luogo (posto B). Piaget spiegava questo fenomeno sostenendo che i bambini a quell'età
non avessero ancora acquisito lo schema della permanenza dell'oggetto > oggi però
sono state prese in considerazioni altre abilità cognitive che possono aiutarci a
comprendere il perché i bambini non si comportano in quel modo. intorno agli anni 90
alcune ricerche hanno mostrato come l'errore A-non.B possa diminuire se i due
nascondigli sono molto differenti tra di loro: questa variazione non ha nulla a che fare
col concetto di permanenza spazio-temporale degli oggetti, è stato quindi ipotizzato che
il comportamento osservato da Piaget possa essere spiegato considerando altre
variabili. I neopiagetiani Pascuaol -Leone e JohnsonRitengono che uno schema di
permanenza dell'oggetto, Ovvero la conoscenza che gli oggetti rimangono dove sono
stati messi, sia necessario, Ma che esso debba essere coordinato in memoria con altri
tre schemi: uno schema operativo per cercare l'oggetto e due schemi figurativi degli
eventi essenziali > la Manu dell'adulto con l'oggetto entra in B, la mano dell'adulto ne
esce vuota punto il bambino di otto mesi non riuscirebbe ancora a coordinare 4 schemi
senso-motori in memoria e questa sarebbe la ragione per cui commette l'errore.

2 Seconda infanzia (età prescolare)


Anche l'età prescolare è stata negli anni rivalutata > una significativa acquisizione, tra la
prima e la seconda infanzia, già individuata da Piaget e la funzione simbolica che egli
colloca intorno ai 18 mesi.La funzione simbolica, Ovvero la capacità di rappresentarsi un
qualcosa tramite simboli è una capacità cognitiva molto importante, di cui si fa uso nel
corso dell'intera esistenza. Tuttavia è proprio tra i 3 e i 5 anni che possiamo notare un
significativo incremento di tutte quelle manifestazioni che sono legate all'uso di questa
funzione, tra cui il linguaggio, il gioco di finzione, il disegno.
nel gioco di finzione, il bambino intenzionalmente sovrappone una situazione ipotetica
a una effettiva con finalità ludiche > ad esempio quando il bambino muove un LEGO,
mimando il rumore di una macchina, Grazie al pensiero, sta sovrapponendo all'oggetto
reale LEGO l'idea di un'auto in moto. il gioco di finzione, che compare tra il primo e il
secondo anno di vita, nel corso dell'età prescolare si svolge con crescente frequenza,
nelle fasi successive invece è meno frequente. nel tempo il gioco diventa più complesso:
è frequente che i bambini giochino insieme, attribuendo ruoli a se stessi e agli altri,
drammatizzando gli scenari che conoscono > il gioco di finzione diventa così una
palestra in cui si allenano l'immaginazione, la creatività e competenze cognitive, emotive
e sociali. il gioco di finzione è quindi indicativo di una certa competenza cognitiva,
perché sono contemporaneamente considerate diverse rappresentazioni mentali.
altri studi hanno mostrato che i bambini nella prima età prescolare mostrano difficoltà
nel gestire rappresentazioni diverse di uno stesso referente: la capacità di considerare
diverse rappresentazioni mentali nell'interazione con gli altri è stata ampiamente
studiata in età prescolare nell'ambito della teoria della mente, perché è proprio in
questa fase di vita che si osservano significativi cambiamenti in questa capacità punto
nel corso dell'età prescolare è evidente un incremento di altre conoscenze e capacità
che consentono al bambino di regolare maggiormente la sua interazione con il mondo:
sono ad esempio significative le conoscenze che i bambini Acquisiscono della realtà
circostante e della routine = con il termine scripts si intende una specie di copione,
ovvero un particolare schema, costituito da una sequenza di eventi generalizzata è
organizzata temporalmente e spazialmente, relativa a una routine familiare (come fare
il bagnetto o pranzare) > gli scripts consentono ai bambini di sapere cosa accadrà in una
determinata situazione e questo può consentire loro di avere un maggior grado di
controllo sull'esperienza che vivranno.
oltre ad acquisire script sempre più vari e complessi legati alla quotidianità, i bambini
nel corso dell'età prescolare incrementano in modo significativo la loro conoscenza sul
mondo > questa conoscenza è favorita dalla loro Capacità di concettualizzare: il
concetto può essere definito come la rappresentazione mentale di una categoria, per
poter classificare occorre essere in grado di cogliere somiglianze fondamentali tra le
diverse unità.
oggi sappiamo Che il nostro sistema cognitivo è capace di più funzioni mnestiche: È in
grado di ricordare alcune informazioni a lungo, di tenere a mente alcuni dati per il
tempo utile a eseguire un'operazione > tra queste abilità la memoria di lavoro, Cioè la
capacità di mantenere ed elaborare le informazioni al fine di eseguire un compito, è
stata ampiamente indagata > il bambino di 3 anni Sembra in grado di elaborare una
sola informazione per volta, ma intorno ai 4 anni e mezzo 5 emerge la capacità di tenere
presenti due diverse informazioni.
oltre alla memoria di lavoro, tra le abilità cognitive che incrementano significamente in
età prescolare vi sono le funzioni esecutive: con questo termine ci si riferisce a un
insieme di abilità funzionali alla regolazione cognitiva e comportamentale, tra cui Ad
esempio la capacità di controllare le risposte impulsive o di non farsi distrarre da stimoli
irrilevanti.
Inoltre, nello svolgere una particolare attività spesso occorre richiamare diverse abilità
cognitive. per esempio il disegno: nel corso dell'età prescolare si osservano significativi
cambiamenti nell'attività grafica, verso i due anni e mezzo emerge un'intenzione
rappresentativa che però si manifesta in modo fluttuante nel corso dell'attività grafica e
comunque non si traduce in forme ben riconoscibili dell'oggetto rappresentato. verso i
3-4 anni appaiono le prime semplici forme schematiche, successivamente il bambino
inizia a utilizzare forme convenzionali, per esempio la casa o l'albero. verso i 5 anni
spesso organizza la distribuzione delle figure sul foglio secondo un ordine lineare, A
volte tracciando anche una linea di terra ho una striscia orizzontale blu che rappresenta
il cielo.

3. Fanciulezza (o età scolare)


La fanciullezza, Che coincide per la maggioranza dei bambini con l'età scolare, è
considerata l'età della ragione > Piaget descrive il pensiero del bambino in età
prescolare come immaturo, nello specifico sottolinea come in età prescolare i bambini
siano propensi a valutare le situazioni considerando indizi percettivi Che talvolta si
dimostrano fuorvianti, come il valutare se due bicchieri contengono una stessa quantità
di liquido basandosi solo sul livello raggiunto dal liquido, Senza considerare la differenza
nella forma dei bicchieri. il bambino in età scolare invece è capace di analizzare una
situazione Considerando la Reale differenza nelle quantità e non quella apparente:
Inoltre, il bambino in età scolare considera più elementi riuscendo ad esempio a notare
sia il livello del liquido sia la forma del bicchiere.
- L'organizzazione spaziale del disegno cambia notevolmente: dai 7 anni circa la
composizione del disegno si organizza secondo due dimensioni: l'asse verticale del
foglio viene usato per rappresentare la distanza. In questo periodo aumenta anche
l’abilità Di raffigurare altre relazioni spaziali, per esempio la cosiddetta occlusione
parziale, che consiste nel disegnare solo la parte visibile di un oggetto parzialmente
nascosto.
- un simile cambiamento strutturale può essere osservato anche nel pensiero
narrativo: con l'età si sviluppa l'abilità di narrare storie più complesse.
- Incrementa la capacità di elaborare le informazioni, in particolare aumenta il
quantitativo di informazioni che la persona riesce a tenere a mente e utilizzare per
risolvere un compito e anche la velocità con cui vengono elaborate le informazioni.
- i bambini progressivamente utilizzano strategie più funzionali;
- incrementa progressivamente anche la metacognizione, cioè le conoscenze che
abbiamo sul nostro funzionamento cognitivo è la capacità di usare queste conoscenze
per regolare il nostro pensiero e comportamento > Ad esempio se si chiede a bambini
in età prescolare di riflettere sul funzionamento della mente, ci si accorgerà di quanto i
bambini siano focalizzati sugli stimoli da memorizzare piuttosto che su ciò che la mente
può fare per facilitare il ricordo, successivamente però i bambini diventano più
consapevoli della attività della mente: infatti verso i 6-8 anni comprendono che per
facilitare il ricordo si possono usare delle associazioni, comprendono quindi che è
possibile fare qualcosa per ricordare.

4.Adolescenza
L'adolescenza si configura come un'altra fase di vita ricca di Sfide evolutive:
generalmente, si riconosce all'adolescente la capacità di ragionare in modo più astratto,
egli riesce a pensare a ciò che è reale, a ciò che non lo è e a ciò che è possibile,
distinguendo quindi scenari più o meno probabili.
-Gli adolescenti mostrano di saper procedere in modo sistematico, riuscendo a
utilizzare il pensiero ipotetico deduttivo > con questa nuova forma di pensiero, Il
ragazzo non ha più necessità di agire concretamente, ma può utilizzare solo le sue
rappresentazioni.
CAPITOLO 5 - LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE
Si deve all’affermarsi dell’approccio funzionalista e pragmatico, a partire dagli anni
Sessanta, l’impulso allo studio del fenomeno della comunicazione non verbale, di cui i
comunicanti «sono inconsapevoli o solo parzialmente consapevoli. Negli ultimi decenni
si è assistito a un crescente aumento dell’interesse intorno alla comunicazione in diversi
ambiti disciplinari > le evidenze della letteratura hanno mostrato una sostanziale
continuità tra comunicazione prelinguistica e comunicazione linguistico-verbale,
individuando nella prima la condizione necessaria e un prerequisito per lo sviluppo
della seconda.

5.2 Specificità del linguaggio verbale


Solo l’uomo dispone del linguaggio verbale, uno strumento sui generis prodotto della
facoltà simbolica, specie specifica, che consente di creare e usare collaborativamente
segni convenzionali. Il linguaggio verbale svolge la funzione di rinvio simbolico (simbolo
= qualcosa che sta per qualcos’altro) non tanto alla realtà concreta, quanto a
rappresentazioni mentali, rendendole condivisibili intersoggettivamente. Una peculiare
proprietà del linguaggio verbale è costituita dalla ricorsività o combinabilità
potenzialmente illimitata e di tipo arbitrario tra le componenti formali elementari
(suoni, elementi morfologici e sintattici), che consente un «uso infinito di mezzi finiti»

5.3 Definizione, prerequisiti e funzioni dello scambio comunicativo


Comunicare significa «mettere in comune», «trasmettere», «scambiare», «partecipare».
Possiamo distinguere due concezioni complementari della comunicazione:
- la prima, come scambio interpersonale di qualcosa che preesiste allo scambio,
ad esempio i bisogni individuali (comunicazione fondata);
- la seconda, come costruzione e fondazione della soggettività, frutto di
esperienze condivise (comunicazione fondante)
Mentre la comunicazione fondata è possibile sulla base di una predisposizione innata a
interagire, per mezzo di segnali naturali, con i membri della propria specie, la
comunicazione fondante comporta un’interazione partecipativa e costruttiva di nuove
rappresentazioni, grazie all’utilizzo di simboli analogici e segni digitali codificati che
consentono di dare forma a una mente mediata ed ibrida, ovvero trasformata dal ruolo
di mediazione del linguaggio che introduce la cultura nel pensiero umano.
È lo scambio comunicativo con gli altri esseri umani che consente al bambino di
costruire il senso della propria collocazione nel mondo al fine di prenderne parte attiva,
colmando il gap tra le risorse cognitive di cui dispone alla nascita e la realtà
socioculturale in cui si trova immerso > Il bambino supera l’iniziale condizione
asimmetrica rispetto all’adulto soprattutto attraverso il linguaggio verbale, che si
caratterizza come mediatore insostituibile.
A lungo gli studiosi si sono interrogati sull’origine del linguaggio verbale a partire da
forme di comunicazione non verbali precedenti, ma dato che a questi quesiti non è
possibile dare effettive risposte, l’attenzione è passata poi sulla funzione e sugli scopi
che il linguaggio verbale può assolvere.
Nelle prime fasi dello sviluppo infantile, è possibile comunicare con i propri simili grazie
a disposizioni comportamentali innate, che si attivano automaticamente al fine di
garantire la sopravvivenza. Nel neonato tali disposizioni si manifestano come semplici
riflessi (ad esempio, il riflesso di suzione) che via via si differenziano e specializzano, in
seguito all’esperienza. Già dalla nascita il bambino è impegnato a preparare, in
collaborazione con l’adulto, quel terreno comune di condivisione per la costruzione
progressiva dello sviluppo psicologico individuale e di quello socioculturale, destinati a
incontrarsi e a integrarsi, grazie soprattutto al linguaggio verbale > l’adulto reagisce in
modo specifico ai segnali che provengono dai neonati. Recenti studi, nell’ambito delle
neuroscienze, hanno confermato la diversa predisposizione di maschi e femmine a
reagire ai segnali infantili, evidenziando, ad esempio, una maggiore sensibilità del sesso
femminile al pianto dei bambini rispetto a individui maschi.

Il bambino effettua i primi scambi comunicativi attraverso comportamenti non verbali,


affiancati e supportati ben presto dal linguaggio verbale, il potente e insostituibile
strumento comunicativo in grado di rivoluzionare il rapporto del bambino non solo con
l’altro individuo, ma anche con sé stesso, realizzando l’integrazione tra le linee di
sviluppo individuale e culturale. Come si realizza tale processo di progressiva
integrazione?
Dal momento che la comunicazione non si produce individualmente, ma alla
comunicazione si partecipa, il bambino deve apprendere, il più precocemente possibile,
le regole basilari di tale attività condivisa, prima tra tutte la distinzione tra i ruoli
comunicativi. Preliminare e propedeutica è la scoperta dei ruoli di emittente e
ricevente > il bambino si pone sin dalla nascita come partner competente
nell’interazione con l’adulto, in grado cioè non solo di assumere il ruolo di ricevente, ma
anche di emettere informazioni sul proprio stato e sui propri bisogni per default, ovvero
spontaneamente: partecipa a effettive protoconversazioni.
Il bambino, inizialmente, non piange per richiamare l’attenzione della madre, ma
semplicemente utilizza un mezzo di cui la natura l’ha dotato e che costituisce una vera e
propria assicurazione per la sopravvivenza. È l’accorrere della madre, l’interpretazione
(piangi «perché hai fame», «perché vuoi essere preso in braccio» «perché sei bagnato»)
e la risposta che dà (offrendogli da mangiare, coccolandolo, cambiandogli il pannolino)
che fanno scoprire al bambino di poter utilizzare il pianto come mezzo per ottenere
qualcosa.
Considerando la sequenza nella comparsa delle funzioni comunicative, si osserva che la
funzione base, implicita e propedeutica è la funzione di contatto (o fatica), che
consente agli individui di segnalare gli uni agli altri la propria presenza, richiamando
l’attenzione su di sé.

Halliday per primo ha descritto il passaggio dal comunicare per fare al comunicare
per conoscere > il bambino, in seguito a ripetute interpretazioni, da parte del caregiver,
dei segnali che spontaneamente emette senza alcuna valenza comunicativa
intenzionale (messaggi espressivi) scopre che può influenzare l’adulto e pertanto inizia
a usare dapprima suoni e gesti, poi parole per ottenere quello che desidera (messaggi
imperativi); infine quando scopre l’altro come agente intenzionale e come mente
impara a richiamarne l’ attenzione per condividere esperienze sul contesto esterno e sul
mondo in generale (messaggi referenziali). Pertanto anche nelle abilità comunicative,
come in quelle cognitive, il percorso di sviluppo procede da modalità autocentrate (in
cui l’altro non esiste ancora) verso la progressiva conquista dell’individuazione e del
decentramento (separazione e distinzione tra sé e altro).

5.5 Gesti comunicativi e intenzionalità comunicativa


Per lo sviluppo delle funzioni comunicative più evolute, rese possibili dall’acquisizione
del linguaggio verbale, è necessaria la scoperta della:
- valenza comunicativa del suono = dall’emissione di suoni come mero
accompagnamento di un’azione a un uso a scopo comunicativo.
- intenzionalità comunicativa = essa è implicitamente presente già nell’uso dei
gesti comunicativi: gesto richiestivo («dammi») e gesto dichiarativo («guarda»).
Quando, tra i 9 e i 12 mesi, il bambino inizia a scoprire l’altro come dotato di
intenzionalità, in analogia con il Sé, si realizza la conquista che Tomasello
chiama «rivoluzione sociocognitiva del nono mese». Tale rivoluzione consiste
nel passaggio dall’intento comunicativo (scopo dell’azione scoperto a posteriori
come effetto di un’azione casuale) all’intenzione vera e propria in cui è
individuabile un’attenzione anticipatoria per un effetto atteso.
Il bambino che non sa ancora parlare, ma effettua già movimenti controllati delle
braccia, inizia a usare i gesti, associati o meno a vocalizzazioni, per comunicare con
l’adulto e influenzarne il comportamento. Dapprima esibisce il gesto richiestivo o
imperativo (reaching) che consiste nell’allungare il braccio verso qualcosa che vuole
ottenere, successivamente il gesto di indicare (pointing) il cui fine non è avere un
oggetto ma l’attenzione dell’adulto su qualcosa di interessante (attenzione congiunta).
Mentre il gesto «per avere» svolge una funzione imperativa, quello «per condividere» ha
una funzione dichiarativa ed è considerato un precursore dello sviluppo della Teoria
della Mente. Il gesto indicativo, in particolare, segna l’inizio della cosiddetta interazione
triadica: io, tu e l’oggetto di interesse.
Tra i 9 e i 12 mesi il bambino inizia a produrre le prime parole con una forma fonetica e
un contenuto che si avvicinano sempre più ai segni convenzionali del codice linguistico
(protoparole).

5.5 Sviluppo del linguaggio verbale: modelli teorici


A partire dalla questione sollevata da Platone, chiedeva se il linguaggio fosse per natura
o per convenzione, è durato a lungo il dibattito sulle contrapposte posizioni
dell’innatismo e dell’ambientalismo, fino ad assumere toni radicali Il linguista Chomsky,
in un famoso articolo, ha apertamente criticato la tesi del comportamentista Skinner,
che sosteneva che il linguaggio fosse acquisito per mera imitazione di modelli linguistici,
grazie al meccanismo del rinforzo sociale. Secondo Chomsky tale ipotesi non è adeguata
a spiegare né la velocità di acquisizione del linguaggio, specie nelle componenti più
strutturali come la sintassi, né la creatività linguistica dei bambini, già a tre anni in grado
di produrre frasi complesse che non hanno mai udito. Egli considera il linguaggio come
parte di una facoltà simbolica più generale, la cui peculiarità consiste in una capacità
combinatoria di unità discrete, secondo modelli di grammatica universale generativa
> l’abilità linguistica sarebbe pertanto una sorta di grammar box, localizzato nel cervello:
LAD (Language Acquisition Device).
Tra gli studiosi intervenuti nel dibattito, Bruner per primo ha avanzato un’ipotesi di
mediazione tra i due modelli > il suo modello teorico, denominato sociocostruttivista,
considera sia gli aspetti funzionali del comportamento sia agli aspetti
biologico-evoluzionistici della cultura umana. In particolare, Bruner ha posto l’accento
sul ruolo dell’interazione sociale come specifico sistema di supporto
all’apprendimento del linguaggio: LASS (Language Acquisition Support System).

L’ipotesi della mediazione è attualmente sostenuta, in termini nuovi, dal recente


approccio teorico, denominato emergentista o epigenetico, che cerca di definire con
maggior precisione processi, meccanismi e tempi dell’integrazione tra fattori
innati/genetici e ambientali/esperienziali del comportamento. Circa lo sviluppo del
linguaggio, ogni neonato nascerebbe internazionale, essendo dotato della disposizione
naturale ad apprendere una qualsiasi delle circa 7.000 lingue esistenti nel mondo > tale
capacità è transitoria e differenziata per diversi tipi di suoni: a 6 mesi il bambino è
predisposto ad apprendere i suoni vocalici della lingua a cui è esposto, a 9 mesi i suoni
consonantici. Tale finestra temporale rimane aperta più a lungo in bambini esposti a più
di una lingua. In seguito, si verifica una graduale riduzione della capacità di discriminare
i suoni di altre lingue e dopo i 7/8 anni diventa più difficile imparare una seconda lingua.
Recentemente sono stati evidenziati due meccanismi complementari per l’acquisizione
del linguaggio: l’abilità di calcolo statistico-probabilistico del cervello e l’immersione
in un universo sociale parlante: sono stati condotti degli esperimenti su 4 piccoli
gruppi di bambini di 9 mesi, di madre-lingua inglese e sono stati esposti a diverse
condizioni di parlato per un mese. Un gruppo ascoltava degli adulti che parlavano
cinese mandarino e tra loro e giocavano con loro, un altro ha ascoltato delle
registrazioni audio, un altro gruppo ha guardato dei video..poi sono stati
successivamenti sottoposti a test psicologici e al monitoraggio delle onde cerebrali > Il
risultato: solo il gruppo esposto al cinese parlato dal vivo ha avuto prestazioni simili a
quelle di bambini cinesi di 11 mesi.
Alla luce di questo si può concludere che l’apprendimento del linguaggio non è un
processo passivo, basato sulla semplice attivazione di procedure biologiche, ma richiede
interazioni sociali, perché comportano un coinvolgimento emotivo che stimola
l’attenzione e la motivazione.

5.6 Il ruolo dell’adulto


Adulti e bambini collaborano nella costruzione dell’abilità comunicativa-linguistica
essendo entrambi predisposti biologicamente a entrare in contatto (intersoggettività
primaria) e a cooperare tra di loro (intersoggettività secondaria). Le necessarie
strategie spontanee del bambino non sono sufficienti a realizzare il complesso percorso
per diventare membro attivo e produttivo della cultura umana > e, dal momento che la
diade adulto-bambino è asimmetrica (l’adulto ha delle competenze che il bambino non
possiede), è fondamentale la funzione di supporto e di guida che l’adulto può e deve
svolgere. E’ dimostrato che la responsività della madre è predittiva della successiva
padronanza del linguaggio e del più in generale del livello di sviluppo mentale > le madri
si rivolgono ai figli piccoli utilizzando uno specifico stile linguistico, chiamato baby talk,
che presenta delle caratteristiche peculiari, come semplificazione, ridondanza toni acuti,
ritmo piu lento. Sempre più numerose ricerche stanno mostrando ad esempio come la
musicalità rappresenti una specifica facilitazione nell’apprendimento del linguaggio.

Conclusioni
NB = Per lo sviluppo del linguaggio verbale l’ipotesi attualmente più accreditata ed
euristica è quella dell’interdipendenza tra fattori innati e fattori ambientali che si
realizza attraverso la sincronizzazione, in periodi critici e sensibili, tra disposizioni del
bambino e interazioni sociali cui partecipa e in cui l’adulto svolge il cruciale ruolo di
facilitatore. IN SINTESI: il linguaggio verbale svolge funzioni sia interpersonali sia
intrapsichiche: designazione della realtà (funzione referenziale); organizzazione del
pensiero (funzione cognitiva); riferimento autoriflessivo al linguaggio stesso (funzione
metalinguistica). Inoltre e non secondariamente, il linguaggio verbale fornisce un
contributo insostituibile allo sviluppo della consapevolezza, dell’autoconsapevolezza e
pertanto alla formazione dell’identità personale (funzione di individuazione).
CAPITOLO 8. LE FAMIGLIE DI FRONTE ALLA SFIDA EDUCATIVA
8.1 Le famiglie di fronte alla sfida educativa
Le risorse e le opportunità, al pari dei rischi e delle debolezze, che caratterizzano la
società contemporanea rappresentano sfide notevoli per la famiglia la quale, sebbene
abbia assunto forme nuove e variegate rispetto al modello tradizionale che ha dominato
i secoli scorsi (monogenitoriali, omosessuali, ricostituite), rimane tuttavia il nucleo
fondante della società attuale, almeno in Italia. Diventare genitori oggi dunque significa
confrontarsi con una realtà complessa che genera sfide di diversa natura.
Da una parte, infatti, la famiglia è chiamata ad affrontare le sfide educative che
tradizionalmente connotano il rapporto genitori-figli. Dall’altra parte, assistiamo
all’emergere di nuove sfide educative, strettamente legate alla società che cambia.
Per quanto riguarda i genitori, le principali sfide educative che verranno approfondite
sono rintracciabili nei cambiamenti a livello sociale, culturale ed economico, che hanno
visto l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e la conseguente difficoltà a conciliare
il tempo della cura dei figli e il tempo della professione, nonchè il problema dei ruoli di
genere. Per quanto riguarda i figli, le principali sfide poste dalla società contemporanea
riguardano, in primo luogo, la nuova relazione genitori-figli, legata ai cambiamenti
economici e sociali accennati, ma anche l’iperprotezione e l’abolizione dell’attesa, che la
solitudine e la precocità nella crescita, trovano terreno favorevole nella pervasività della
tecnologia, che caratterizza la società contemporanea, e che si configura come
un’ulteriore sfida da affrontare nel percorso educativo.
Tuttavia, prima di approfondire, bisogna definire alcune delle tradizionali sfide
educative che devono affrontare le famiglie. IN primo luogo, già il diventare genitori
rappresenta per le coppie una sfida notevole. La transizione alla genitorialità è un
momento delicato in cui entra in gioco anzitutto la ridefinizione dell’identità, personale
ma anche sociale. La coppia potrebbe temere di non essere in grado di affrontare una
sfida così notevole. Diventare genitori richiama, inoltre, il legame con i propri genitori,
che rappresenta il principale bagaglio di memorie sulla relazione genitori-figli da cui i
partner possono attingere per il loro percorso e che possono essere una risorsa (se
positive) o un rischio (se negative). Legami sicuri con i propri genitori generano fiducia e
sicurezza che il bambino - e dunque il futuro adulto - trasferirà in altre relazioni
significative che sono alla base dello sviluppo della sua personalità. Una volta diventati
adulti e genitori queste esperienze possono essere inconsapevolmente riprodotte sui
loro figli, ricreando situazioni già vissute e non elaborate. Memoria e attaccamento
sono, dunque, fondamentali nella genitorialità e chiamano in causa la necessità di
lavorare sulle esperienze del passato per poter essere genitori consapevoli e capaci di
creare una relazione di attaccamento sicuro volta a promuovere il benessere dei figli.
Le sfide educative che abbiamo illustrato presentano una duplice natura; sono
innanzitutto delle opportunità per crescere ingegno e sensibilità, ma anche rischi
perché non sempre e non tutti riescono ad affinare questi strumenti per fronteggiarle.
8.2 I genitori oggi
Le motivazioni all’origine della profonda trasformazione della famiglia sono da ricercarsi
nelle caratteristiche tipiche della società contemporanea che ha prodotto profondi
cambiamenti a livello sociale, culturale ed economico. Ad esempio la conformazione
demografica è cambiata, si diventa genitori più tardi rispetto al passato e questo
fenomeno è legato a molteplici fattori: innanzitutto oggi non è scontato avere figli, è una
scelta, anche sulla base delle risorse economiche disponibile e quindi dal momento che
la stabilità economica si raggiunge intorno ai 30-40 anni, anche la scelta di formare una
famiglia è rimandata intorno a questa età. A queste cause si aggiungono i progressi nel
controllo delle nascite, che hanno consentito di poter ritardare il concepimento, e i
progressi nella fecondazione assistita, che hanno reso possibile la gravidanza a donne
in età più avanzata. E se è vero che fare figli in età avanzata aumenta il rischio di
patologie, dall’altra parte i genitori più adulti sono generalmente più maturi e tendono a
seguire uno stile di vita più sano; in generale sembrano essere più pronti ad assumersi
le responsabilità di mettere al mondo dei figli.
All’interno della coppia poi ci sono ulteriori differenze demografiche, che
contraddistinguono la figura materna e la figura paterna nella società contemporanea.
Anche in questo caso è possibile parlare di rivoluzione culturale, iniziata attorno agli
anni Sessanta-Settanta. innanzitutto è cambiato il ruolo della donna, che ad oggi
possiede un capitale scolastico e decide di investire in una carriera lavorativa. A tal
proposito però bisogna sottolineare come l’ultima indagine conoscitiva sulle politiche in
materia di parità tra donne e uomini abbia evidenziato che più della metà delle donne
(54,1%) svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito e/o familiare a fronte del
46,6% degli uomini. Inoltre il tasso di occupazione delle madri è del 56,4%, contro il 70%
delle donne che vivono da sole. Questo è il risultato di un retaggio ancora diffuso che
lega alla figura materna il ruolo principale ed esclusivo di cura della casa e dei figli e che
può condurre a problematiche anche sul luogo di lavoro. Il fatto è che è ancora diffuso
lo stereotipo secondo il quale il lavoro del padre è nocivo solo quando viene a mancare,
mentre il lavoro materno viene ancora visto come nocivo per il benessere del bambino,
perché se la madre lavora, il bambino viene privato delle sue cure. Ancora più assenti
appaiono le istituzioni nei confronti della figura paterna, che ha diritto a soli due giorni
di congedo parentale obbligatorio, più due facoltativi. Una politica che sembra allinearsi
alle disparità di genere nella cura dei figli ancora diffuse nel sistema valoriale del nostro
paese. La figura paterna è, invece, essenziale per la rivoluzione della figura materna. Gli
uomini ad oggi sono più presenti e partecipi, si prendono cura della casa e dei figli non
soltanto attraverso il contributo economico, ma anche con una partecipazione attiva al
lavoro domestico, e ricoprono sia una funzione affettiva che una funzione educativa.
Questo modello di padre attivo nella cura dei figli scardina quel pregiudizio della nostra
società per cui i bambini che hanno una madre lavoratrice ricevono meno cure
materne, perché in realtà ne guadagnano in quelle paterne. N.B. Questa nuova
immagine di padre, tuttavia, non attraversa trasversalmente tutte le categorie
socioeconomiche, ma interessa gli individui con livelli più alti di istruzione: a questo
proposito si parla di rivoluzione (di genere) “incompiuta”.
I ricercatori hanno inoltre messo in luce come alla base di un buon funzionamento
familiare vi sia il modello della cogenitorialità, che si riferisce al modo con cui i
genitori si relazionano tra loro, sostenendosi reciprocamente per il raggiungimento di
scopi comuni: un atteggiamento di collabo e di sostegno reciproco nella crescita dei figli
è di importanza cruciale. I genitori dovrebbero rappresentare i punti di riferimento da
seguire.

8.3 I figli oggi


Le separazioni a cui sono costrette le famiglie per i ritmi di vita sempre più frenetici
hanno modellato una nuova relazione genitore figlio, portando in certi casi all’emergere
di due fenomeni che si collocano su due poli opposti.
- Il fenomeno dell’iper-protezione dei figli: genitore che cerca di proteggere il
proprio figlio da eventuali comportamenti di sopruso, come la tendenza a
legittimare il ruolo dell’insegnante e a svalutare la sua autorità anche in contesti
normativi. Il prendere posizione contro l’insegnante a vantaggio del figlio può
ingenerare nel bambino l’idea di avere sempre ragione e che siano gli altri a
sbagliare. Potrebbe essere deprivato del senso di responsabilità individuali,
anche per il continuo soddisfacimento delle richieste del bambino. Si viene così a
produrre un fenomeno tipico di questa epoca, ovvero l’abolizione dell’attesa e la
possibilità del tutto e subito.
- Fenomeno dell’iper-responsabilizzazione dei figli: Si chiede ai figli di crescere
più in fretta per poter far fronte alla situazione di solitudine che i bambini
possono trovarsi a vivere. Ai bambini viene, quindi, chiesto di essere grandi e
responsabili per poter badare a sè stessi, nella falsa convinzione di promuovere
in loro l’autonomia e portare dunque alla precocità nella crescita, che può
protrarsi nell’età adolescenziale (che a sua volta può prolungarsi in maniera
anomala a lv di atteggiamenti - ho trovato zona di comfort e ci rimango).
Su entrambi i poli della nuova relazione genitori-figli, si avverte l’influenza notevole della
tecnologia che caratterizza la nostra società. L’idea di poter avere “tutto e subito” è
favorita dai nuovi mezzi tecnologici. Questa potenzialità dei media, se non
correttamente gestita dagli adulti di rif, va a intaccare il senso del desiderio e dell’attesa
nella realizzazione di quel desiderio: avere tutto e subito può veicolare il messaggio di
facile fruibilità e di immediato successo nella vita, che non corrisponde alla realtà. La
pubblicità, infatti, instilla in loro dei bisogni materiali, attivando quello che viene
chiamato nag factor, il fattore assillo, ovvero quella pressione che i bambini fanno sui
genitori per ottenere ciò che desiderano. Durante la lunga adolescenza, le sfide
educative assumono una nuova conformazione, legandosi alle specifiche caratteristiche
che denotano questa fase della vita, come l’assunzione di sostanze che creano
dipendenza o la guida ad alta velocità. In più, i social network danno accesso a un
mondo virtuale, che ricalca le dinamiche del mondo reale, in particolare la condivisione
sociale di contenuti personali, e le amplifica, portando all’attenzione collettiva il proprio
mondo interiore. Questa continua esposizione agli altri si esplica nella percezione degli
adolescenti di essere costantemente su un palcoscenico; tuttavia, non si tratta di un
pubblico immaginario, ma un audience reale e presente.

8.4 Affrontare le sfide educative: quali strumenti?


Di fronte alle sfide che la società contemporanea pone è necessario che le famiglie
adottino strumenti adeguati per poterle affrontare. In primo luogo, lo stile educativo
adottato: i ricercatori in questo campo hanno formulato e revisionato diversi modelli
teorici, arrivando a definire alcuni pattern di stili genitoriali. V.TAB

Alla luce di questi modelli, emerge con evidenza come sia necessario un atteggiamento
di cura e responsività, da una parte, e un atteggiamento di supervisione, dall’altra. è
importante, infatti, che i genitori rappresentino un porto sicuro su cui poter fare
affidamento per soddisfare i bisogni affettivi, ma al tempo stesso siano guide salde che
conoscano i loro figli e sappiano indirizzarli verso la giusta direzione. In questo uno
strumento efficace è rappresentato dalla narrazione: quando madre e bambino
discutono di esperienze negative utilizzano un numero più ampio di parole emotive e si
impegnano maggiormente in negoziazioni e riflessioni sulle emozioni del bambino. Al
contrario, ricordare eventi positiva ha lo scopo di mantenere e rinforzare i legami
emotivi e di creare un senso di storia condivisa. In generale, la narrazione condivisa si
configura come uno strumento efficace nel percorso di crescita dei figli e questo
richiama il costrutto di monitoring delineato in precedenza, che si configura come una
forma di apertura spontanea da parte dei figli nei confronti dei genitori, la quale
consente un’attività costante di monitoraggio genitoriale. A tal proposito è importante -
per invogliare il giovane a parlare - che i genitori si dimostrino ascoltatori empatici, per
poter co-costruire insieme ai loro figli una narrazione coerente ed efficace che metta
insieme la storia individuale di ciascun membro con la storia collettiva della famiglia.

CAPITOLO 9. SERVIZI EDUCATIVI PER LA PRIMA INFANZIA


9.1 LA STORIA
L’origine dell’asilo nido in Italia è fatta risalire all’ONMI (Opera nazionale maternità e
infanzia), istituita dal regime fascista nel 1925 con la Legge 2277/1925 per fronteggiare il
problema della mortalità infantile, elevata in quel periodo. L’ONMI istituisce a livello dei
comuni asili nido e consultori, con finanziamento che passa per le province. Questi
servizi pongono l’attenzione sull’aspetto igienico-sanitario, ignorando l’aspetto
educativo fino agli anni Sessanta-Settanta. Difatti sarà poi la Legge 1044/1971 a
prevedere il servizio nido come servizio di accudimento e di responsabilità educativa
verso i più piccoli come dovere della comunità. Si tratta però di un servizio a carico delle
famiglie per una quota rilevante dei costi.
In quel periodo è vivace il dibattito sull’asilo-nido e il legame madre-bambino anche in
relazione alla teoria di Bowlby sull’attaccamento: il bambino ha bisogno di una
relazione costante e unica con una figura materna i primi anni di vita, e qualunque
rottura -in questo caso l’accudimento al nido- di questa relazione comporta
conseguenze negative a lungo termine. In Italia questo si traduce in attenzione per il
momento dell’inserimento, pensato come periodo di presenza della madre accanto al
bambino per introdurlo nel nuovo spazio di vita e per favorire la costruzione di nuove
relazioni di fiducia con l’educatrice.
Negli anni successivi quest’idea di servizio educativo e non assistenziale si sviluppa
sempre di più, testimoniato dalla nascita di servizi “integrativi al nido”, che accolgono
sia bambini e genitori assieme, sia bambini per periodi più limitati di tempo, con la
funzione di offrire un contesto di gioco e di relazione con i pari, che la famiglia non
riesce a dare. Il riconoscimento di questa funzione educativa arriva a compimento con
la Legge 107/2015, che inserisce a pieno titolo il nido nelle strutture educative, non più
a servizio a domanda individuale e in continuità con la scuola dell’infanzia. Al
consolidamento di questa prospettiva concorre anche la parallela elaborazione in
ambito europeo e internazionale, con i cosiddetti Obiettivi di Lisbona prima, e poi con
i documenti della Comunità Europea su Early Child Education and Care.

9.2 CURA ED EDUCAZIONE, LA PROSPETTIVA EUROPEA


Con il termine Early Child Education and Care (ECEC) si fa riferimento a tutti i servizi che
forniscono “educazione e cura” ai bambini in età prescolare, indipendentemente dal
fatto che siano privati o pubblici, dall’età dei bambini, dal tipo di gestione ecc. Questi
servizi sono un investimento sociale: vediamo la ricerca di Heckman secondo la quale
l’investimento per ridurre le diseguaglianze legate all’origine familiare ha una ricaduta
molto superiore quando è fatto nelle prime fasi della vita, rispetto alle età successive.
I principi che devono guidare la diffusione e la qualificazione di questi servizi sono:
- Accessibilità e inclusione: possibilità di accesso anche a fam. con meno risorse;
inoltre l’offerta deve essere aperta e inclusiva, accogliendo le diff. culturali.
- Qualificazione delle educatrici e dei professionisti che operano nei servizi:
dunque qualificazione iniziale ma anche aggiornamento nel tempo e il tempo per
le attività non a contatto diretto con i bambini (osservazione, programmazione
ecc.)
- Un curriculum: inteso come prospettiva complessiva sul bambino
- Il monitoraggio: come pratica autoriflessiva delle educatrici e di verifica della
corrispondenza fra obiettivi e organizzazione effettiva
- La disponibilità di risorse e supporto dalle scelte politiche sui servizi: l’obi
dei servizi dovrebbe essere condiviso dai responsabili politici del paese in modo
tale da ottenere i finanziamenti adeguati.

9.3 GLI EFFETTI DELLE CURE EXTRAFAMILIARI


Negli ultimi anni assistiamo a un gran numero di ricerche che studiano l’effetto del
lavoro materno (quindi della cura affidata a persone diverse dai genitori) sullo sviluppo
dei bambini, ormai una realtà imprescindibile. La ricerca più importante su questi temi è
quella del National Institute of Child Health and Development (NICHD), un grosso studio
partito negli anni ‘90 ed effettuato su più di 1.000 bambini. Si tratta di uno studio diviso
in quattro fasi, condotti in diverse località degli USA. I principali risultati di questo studio
sono che: “Le caratteristiche dei genitori e della famiglia sono più robustamente legate
allo sviluppo dei bambini di quanto non siano le modalità di cura nell’infanzia e
predicono alcuni sviluppi che non sono predetti dal tipo di cura” (in soldoni, influenza
più il contesto familiare che quello delle cure extrafamiliari). Dunque, non ci sono rischi
per i bambini che frequentano servizi educativi nell’infanzia, soprattutto se di buona
qualità e soprattutto se il bambino non ci passa un tempo esagerato della sua giornata.
Il dibattito è tuttavia ancora vivo e di recente in Italia si è parlato del nido come fattore
di protezione rispetto alle diseguaglianze legate alle famiglie di origine e dipendenti
dalle condizioni socioeconomiche dei genitori: il nido a tal proposito può intervenire
come fattore protettivo proprio rispetto a queste disuguaglianze (es. linguistiche).

9.4 COSA CI DICE LA PSICOLOGIA?


La cultura educativa dei servizi per la prima infanzia, più che in ogni altra fascia di età, fa
riferimento a conoscenze e costrutti psicologici. Soprattutto nel nostro paese, dove la
nascita del nido non corrispondeva a modelli pedagogici consolidati, si è sviluppata una
cultura dell’infanzia che si rifaceva a ricerca psicologica e ricerca educativa. Questa
duplice prospettiva si è mantenuta fino ad oggi, e i contributi della psicologia sono
molteplici.
9.4.1. L’attaccamento e la relazione professionale con il bambino
La ricerca sull’attaccamento è stata, come abbiamo visto nel caso dell’inserimento, uno
dei cardini della cultura dei servizi, con una specificità italiana: c’era la necessità di
giustificare il nido perchè il contesto culturale lo vedeva come responsabile di un
impoverimento dei legami familiari. Dunque fondamentale diventa la costruzione di una
buona relazione con il bambino, attraverso l’attenzione a momenti di routine, la scelta
di una figura di rif. che potesse fungere da base sicura e nello stesso tempo
l’attenzione alle conoscenze sullo sviluppo dell’attaccamento. Il ruolo dell’educatrice
deve essere un sostegno al ruolo genitoriale, soprattutto nei primi mesi di vita
quando il legame specifico ancora non si è consolidato. Inoltre, all’interno della
riflessione sugli attaccamenti multipli, si è sviluppata la ricerca sull’attaccamento
all’educatrice, considerando anche che le figure educative possono essere fattori di
protezione rispetto a relazioni difficili con i familiari. Infatti i bambini mostrano di essere
attaccati agli educatori, e la percentuale di attaccamenti è analoga a quella riscontrata
per le figure familiari: ulteriore conferma che il pattern di attaccamento non è una
caratteristica individuale, ma relazionale.
Se riflettiamo poi sul ruolo dell’educatrice in termini di maternage, dobbiamo specificare
che l’’homo sapiens è una delle poche specie di mammiferi che pratica
l’allogenitorialità, definita dall’antropologa e primatologa Sarah Hrdy la crescita dei
piccoli sulla base di una modalità cooperativa che coinvolge altri membri del gruppo. La
Hrdy sostiene che l’adulto che accudisce il piccolo altrui deve avere determinate
caratteristiche: deve saper rispondere ai segnali del cucciolo e avere una certa
predisposizione a proteggere i piccoli e a occuparsi di loro. Queste caratteristiche sono
indubbiamente necessarie all’educatrice, che però, sostiene Pierrehumbert deve
evitare un eccessivo coinvolgimento emotivo, che comporterebbe una sorta di
confusione con la figura materna. Per questo è importante una supervisione su
l'educatrice e che quest’ultima si ricordi che la relazione con il bambino è “a termine”,
mentre i genitori rimangono stabilmente figure di attaccamento.
9.4.2 L’importanza dell’esperienza del nido come stimolo allo sviluppo
Ancora, le ricerca psicologica ha sottolineato come nel primo anno avvenga la maggior
parte dello sviluppo delle connessioni neurali, a livello sensoriale e motorio, ma anche
del linguaggio e delle funzioni cognitive. L’offerta di un ambiente ricco e cognitivamente
stimolante è quindi fondamentale per lo sviluppo, per sperimentare i proprio sensi e la
propria motricità.
9.4.3 La relazione fra pari
L’esistenza dei nidi ci ha dato modo di approfondire le nostre conoscenze sulla relazone
tra pari in età precoce, proprio perchè sarebbe difficile - se non impossibile - al di fuori
dei servizi per l’infanzia (a meno che non ci siano gemelli). Solo nell’osservazione di
bambini fra loro familiari si è potuto osservare le loro competenze sociali precoci, e lo
sviluppo di queste competenze.

9.5 L’OSSERVAZIONE COME STRUMENTO PROFESSIONALE


Pensando al lavoro degli educatori, la psicologia ha messo a disposizione gli strumenti
operativi, come quello dell’osservazione, uno strumento di base della professionalità.
L’osservazione del bambino è il fulcro di modelli pedagogici importanti: osservare il
bambino è fondamentale per conoscerlo, apprezzare il suo sviluppo e proporgli
esperienze adeguate alle sue competenze. Il piacere di osservare i bambini che
crescono è il fondamento del piacere professionale. Inoltre, l’osservazione e la capacità
di riflettere sul proprio operato hanno una ricaduta effettiva sulla qualità dei servizi.
Inoltre, tramite l’osservazione si attua la vigilanza: i bambini richiedono un'attenzione
costante, che impegna fortemente l’adulto e che difatti è la condizione di qualunque
attività o esperienza di gioco dei bambini. A volte l’educatrice presta attenzione ad un
particolare evento/bambino, perché focalizzano lo sguardo dell’educatrice
positivamente o negativamente. Differente invece è l’osservazione sistematica, dove la
selezione non è casuale ma esplicitata in partenza, e i mezzi che utilizziamo per
osservare sono costruiti per operare efficacemente questa selezione, senza distorsione
della realtà che stiamo osservando. In questo senso l’osservazione è il principale
strumento del professionista riflessivo al nido: ragionare su di sè e riflettere sulle
proprie scelte organizzative per verificarne la corrispondenza ai propri obiettivi
educativi.

CAPITOLO 11. CRESCERE NELL’ERA DEI NEW MEDIA


11.1 L’evoluzione degli artefatti tecnologici e sviluppo umano
Per descrivere e comprendere lo sviluppo umano, occorre considerare gli artefatti
culturali che diversificano i vari contesti in cui gli esseri umani crescono e vivono. è
infatti grazie agli artefatti culturali, che non solo condividiamo e interpretiamo come
funziona l’ambiente circostante (fisico e sociale), ma diventiamo più adatti a vivere in
quell’ambiente. Questi artefatti però, non sono semplicemente qualcosa di esterno che
passivamente potenzia, supporta o compensa le azioni umani, ma modificano
direttamente il nostro comportamento e le nostre attività, cambiando il nostro modo di
essere, pensare o agire. Per comprendere questa dinamica ci rifacciamo al concetto
elaborato da Vygotskij di zona di sviluppo prossimale (ZOPED - Zone of Proximal
Development), che esprime il potenziale di sviluppo che caratterizza i processi cognitivi
umani laddove l’individuo, anzichè agire autonomamente, interagisce con un altro
individuo che lo supporta e lo aiuta durante lo svolgimento dell’attività (scaffolding).
Vygotskij sottolineò come in questo processo un ruolo centrale è ricoperto dal
linguaggio, identificato come strumento di mediazione principe per lo sviluppo cognitivo
umano. Leont’ev ampliò il concetto di zona di sviluppo prossimale proponendo il
concetto di organo funzionale: un organo funzionale non è, come spesso viene
erroneamente interpretato, lo strumento che supporta un’attività umana, ma
rappresenta l’integrazione fra un’abilità umana e uno strumento che garantisce una
prestazione che nè l’una nè l’altro potrebbero garantire separatamente. Es. Paio di
forbici che tagliano più movimento della mano formano un organo tagliente (uno
strumento supporta un’abilità umana permettendole di fare qualcosa che non sarebbe
in grado di fare). Es. Lenti a contatto associate all’abilità visiva (deficitaria) garantiscono
una prestazione ottimale (gli strumenti compensano a una carenza umana e riportano
la prestazione a un livello ottimale).
Nell’ambito della prospettiva teorica della Cultural Historical Activity Theory (CHAT),
Engestrom proietta tali dinamiche nei sistemi di attività umane: i sistemi di attività sono
caratterizzati da un individuo che persegue un obiettivo all’interno di una comunità di
riferimento. Gli artefatti tecnologici possono influire su almeno quattro specifici
elementi che caratterizzano il sistema: interazione, modalità, norme e ruoli.
Es. Molti studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado svolgono i compiti
scolastici pomeridiani supportati dallo smartphone per interagire e condividere info. La
modalità di interazione è dunque differente e consente agli studenti di comunicare
senza spostarsi o effettuare molteplici telefonate. All’interno di questo cambiamento
nelle interazioni/comunicazioni il ruolo dell’insegnante cambia radicalmente, come
cambiano le modalità del suo lavoro. Inoltre, interagire online con i compagni di classe
richiede la def. di differenti norme implicite di comportamento.

11.2 La funzione delle tecnologie digitali nello sviluppo umano


In un’ottica di sviluppo si può affermare che quando l’utilizzo di una tecnologia è di
supporto a un’attività umana (o ne compensa le carenze) per raggiungere un obi, allora
tale tecnologia è funzionale allo sviluppo. Quando invece l’obi per cui viene utilizzata si
discosta dalla funzione originaria di quella stessa tecnologia, allora vi è il rischio di
strumentalità inversa, ovvero di un utilizzo disfunzionale. Ogni strumento tecnologico
ha una funzione contraddistinta da due versanti:
- Chi produce una tecnologia vuole promuovere specifiche funzioni
- Chi utilizza lo strumento adatta le funzioni alle esigenze personali
Donald A. Norman ha rappresentato tale processo nel volume La Caffetteria del
masochista: psicopatologia degli oggetti quotidiani. Secondo Norman progettista e utente
hanno ognuno due distinti modelli concettuali circa il funzionamento di una tecnologia:
1. Il modello progettuale è il modello concettuale del progettista;
2. Il modello dell’utente è il modello mentale sviluppato dall’utente durante
l’interazione con lo strumento.
I due modelli concettuali comunicano attraverso l'immagine del sistema, ovvero
tramite le caratteristiche che il progettista ha implementato sullo strumento e ciò che
l’utente percepisce di tali caratteristiche: più il modello dell’utente si avvicina al modello
progettuale, più il suo utilizzo sarà consono.
Ma perchè la funzione di uno strumento tecnologico potrebbe essere diff. nel modello
progettuale e nel modello dell’utente? Un’interessante prospettiva è proposta da
Zywica e Danowski nella loro ipotesi del potenziamento sociale contrapposta alla
compensazione sociale. Secondo gli autori l’uso problematico che facciamo di Internet,
soprattutto delle app volte all’interazione sociale online, sarebbe determinato dal fatto
che spesso non le utilizziamo per svolgere al meglio delle attività, ma per compensare
carenze e lacune che sentiamo di avere nella vita quotidiana. La percezione di bassa
autostima e di scarsa soddisfazione di vita può infatti sfociare nel rifugiarsi all’interno di
mondi artificiali come gli online games -in particolare quelli che prevedono esperienze
di interazione di gruppo e di leadership. In questo caso la funzione di partenza del gioco
(ludica) viene deviata su una funzione di crescita dell’autostima e rivalsa sociale e
considerando che il periodo adolescenziale coincide con un livello di autostima più
basso rispetto agli altri periodi di vita, questo spiega l’utilizzo intenso dei videogames da
parte degli adolescenti.
Sulla relazione adolescenza-autostima un ruolo centrale è giocato dai Social Networking
Sites (SNSs - FB, IG, YT ecc), in particolare dai riscontri positivi ottenuti online. Spesso le
persone inseriscono contenuti per attirare feedback positivi da parte dei loro contatti e
sentirsi socialmente approvati. La funzione originaria della tecnologia viene così traslata
su un’esigenza secondaria compensativa rispetto a una carenza che la persona vive
nella vita quotidiana. Inoltre, la difficoltà di costruire relazioni sociali nel quotidiano può
portare a sovrastimare le potenzialità di Internet e vedere nelle relazioni sociali online
un modo per sopperire alla carenza di relazioni offline. Sherry Turkle propone
un’interessante ipotesi secondo la quale la nostra fiducia nelle tecnologie è determinata
dal fatto che ci consentono di controllare e definire la giusta distanza, diventando
mediatrici di distanza sociale: la prossimità genera l’imprevedibilità della
comunicazione, mentre la distanza generata dagli schermi fa sì che si possano utilizzare
varie scuse (es. non ho letto il mess). Ne consegue che la funzione di superamento delle
barriere-spazio temporali, per cui è stato costruito Internet, viene invece traslata sulla
costruzione di barriere tecnologiche.
11.3 Rischi e potenzialità delle tecnologie digitali durante lo sviluppo
Detto ciò, possiamo comprendere la rilevanza che le tecnologie rivestono nello sviluppo
umano, in particolare nelle fasi che vanno dalla nascita all’età adulta e che
comprendono anche quella che Arnett definisce emerging adulthood (dai 18 ai 25
circa). Es. Uscire con gli amici è uno dei momenti più belli per gli adolescenti. i ragazzi
iniziano a manifestare indipendenza dai genitori, fanno in autonomia alcune scelte e
gestiscono i rapporti con i pari. L’autostima cresce con la gestione della progressiva
autonomia conquistata, si acquisisce maggior autocontrollo e consapevolezza delle
proprie azioni e delle relative conseguenze. Tutto questo è sancito da un patto di fiducia
con il genitore, ma c’è diff. tra nativi digitali e generazioni prima: le generazioni prima
dovevano rientrare ad un orario definito perchè non avendo un modo per avvisare
poteva diventare un problema e per questo l’adolescente dal momento che usciva di
casa finchè non rientrava poteva percepire forte autonomia, con le responsabilità e i
rischi che ne derivano. Gli attuali nativi digitali invece hanno un legame permanente con
i genitori: l’invio frequente di messaggi da parte del genitore per sapere dove si trovi il
figlio non fa altro che minare l’autostima a causa della percezione di mancanza di fiducia
da parte del genitore. Utilizzano i profili social per controllare i loro figli e le loro
amicizie. Infine, avendo un legame digitale costante, spesso non viene definito un orario
di rientro e questo indebolisce l’autocontrollo degli adolescenti e la loro consapevolezza
delle responsabilità e delle conseguenze delle azioni e scelte effettuate in autonomia.
Questo rapporto controverso è fonte di tutta una serie di interrogativi e fra i più comuni
citiamo:
1. A quale età si deve dare uno smartphone a un bambino?
2. Quante ore può passare un bambino o un adolescente davanti allo schermo?
3. Controllare lo smartphone dei propri figli è opportuno/fattibile o è meglio
evitare?
L’evoluzione delle tecnologie richiede costanti adattamenti aggiornamenti legislativi,
così come propone trasformazioni nei modi di pensare, agire e interagire che mostrano
dinamiche psicosociali in gran parte ancora da esplorare all’interno degli ambienti
online. Ne consegue che i vari tentativi di definire delle linee guida rischiano di risultare
obsoleti nel brevissimo tempo. Ma vediamo ora gli aspetti di Internet che possono
giocare un ruolo impo durante lo sviluppo, in positivo e/o in negativo.

11.4 Rischi connessi all’utilizzo delle tecnologie digitali durante lo sviluppo


Iniziamo con una prima risposta all’interrogativo riguardo l’età alla quale consegnare
uno smartphone a un bambino o a un adolescente. Diciamo sin da subito che non “si
deve” dare o regalare uno smartphone, ma si può assecondare l'esigenza del bambino o
dell’adolescente determinata dal periodo di sviluppo che sta attraversando. Resnick
propone di focalizzare l’attenzione non tanto su che cosa una tecnologia può fare per un
bambino o un adolescente, quanto su che cosa un bambino o un adolescente può fare con
quella tecnologia, concentrando il focus sulla relazione fra obi da raggiungere nel corso
dello sviluppo e funzione della tecnologia che agevola tale raggiungimento. Il
presupposto è dunque che ogni tecnologia ha un suo momento e un suo tempo per
essere utilizzata: non deve dunque essere inserita troppo in anticipo, altrimenti si
rischia che le potenzialità positive di quella tecnologia restino inespresse. Se usata per
tempo invece permette di esprimere al meglio le potenzialità del bambino o
dell’adolescente. Quindi se dall’infanzia al termine della scuola primaria il bambino fa un
utilizzo degli strumenti tecnologici essenzialmente volto al gioco, ne consegue che ha
molto più senso farlo interagire con un tablet piuttosto che uno smartphone: ha lo
schermo più grande ed è rivolto all’interazione digitale o alla visione di imm/video
anziché avere una funzionalità rivolta all’interazione. N.B. L’utilizzo può dirsi positivo se
è volto a costruire il mondo esperienziale del bambino, supportando l’ampliamento
delle conoscenze del bambino e dunque essendo funzionale al suo sviluppo. Se il
bambino viene messo davanti allo schermo in modo passivo la tecnologia diviene
disfunzionale e serve solo ad isolarlo e non impara a gestire la frustrazione (deve
attendere per giocare con i genitori) e non impara a gestire momenti di attesa e noia,
aspetto importante per lo sviluppo della creatività. Per quanto riguarda lo smartphone,
può giocare un ruolo importante nella pubertà, quando il rapporto con i pari inizia ad
essere sempre più impo. In quel momento l’interazione e il confronto con i compagni è
fondamentale e lo smartphone può assecondare a supportare tale bisogno. Togliere a
un adolescente lo smartphone significa, da un lato, negargli la possibilità di tenere i
contatti con gli amici e i compagni, ma soprattutto levargli una parte rilevante di “vita”.
Per loro vita online e vita offline non sono mondi separati, ma due facce della stessa
medaglia. I rischi dell’esposizione tecnologica sono diversi e quello che ha allertato
maggiormente è il cyberbullismo, ma qui non ci interessa. Qui si evidenzia invece la
percezione distorta della realtà in merito alla vita online. Le conseguenze di ciò che
accade in rete possono avere risolvi drammatici offline ed essere dietro uno schermo
non esime dalle responsabilità di comportamenti adottati Es. accettare app che
accedono ai contatti, condividere foto o video intimi, considerare news online affidabili
se ricevono molte condivisioni.
Vi sono però molti altri rischi per lo sviluppo nell’età dell’adolescenza, associati a un
utilizzo disfunzionale di dispositivi digitali, soprattutto nei SNSs e i giochi di ruolo online,
definiti MMORPG (Massively Mutiplayer Online Role-Playning Game). Nella ricerca
condotta su un ampio campione di adolescenti italiani si evidenziano altri due fattori
che prevengono l’utilizzo disfunzionale di Internet, ovvero la consapevolezza delle
proprie azioni e una buona rete relazionale nella vita offline, perchè carenze in questi
fattori può determinare il rifugiarsi nella vita online. Il rischio è l’evolvere di una
sequenza che può sfociare nell' interaction overload o in episodi di Nomophobia o di
Fomophobia.
Carenza di autocontrollo può portare a comportamenti di phubbing o vamping, ma
anche una vera e propria dipendenza da internet. è dunque opportuno definire delle
regole circa i tempi di utilizzo, soprattutto in relazione ad altre attività da svolgere (es.
studio). Definire regole in famiglia rispettate da tutti e delimitare in casa zone tech-free.
Anche il controllo genitoriale è importante per prevenire il rischio di sexting e
cyberbullismo, senza però esagerare e toccare la sfera dell’intimità degli adolescenti.

11.5 Opportunità connesse all’utilizzo delle tecnologie digitali durante lo sviluppo


Stiamo vivendo in una civiltà ibrida, in cui la tecnologia è parte integrante della vita
dell’uomo. In questo senso non si crea un mondo parallelo, ma si amplia e si potenzia
l’esistenza umana attuale (v. Leont’ev - organo funzionale). Per quanto riguarda
l’adolescenza, le ricerche di Ellison, Steingield e Lampe e di Mazzoni e Iannone hanno
evidenziato la rilevanza che Internet riveste in sé per costruire il capitale sociale e,
verso la fine del periodo adolescenziale, per affrontare al meglio gli spostamenti in
nuovi contesti (lavorativi e universitari). Grazie ai contatti latenti tipici dei SNSs,
spostarsi in nuovo contesto di vita non avviene al buio. I SNSs fungono, in un certo
senso, da agenzie di pre-socializzazione e garantiscono il mantenimento dei contatti
con la rete di relazioni del contesto di partenza e permettono di costruire una nuova
rete di relazioni all’interno del contesto di arrivo.
Allo stesso modo, il tablet può arricchire notevolmente l’esperienza di un bambino che,
insieme al genitore, costruisce una storia, un’esperienza e arricchisce la propria
conoscenza grazie a fotografie, immagini e giochi. Quando la tecnologia è fonte di
scambio e confronto, può essere di forte impulso per lo sviluppo del bambino. Viene
infatti a crearsi una ZOPED ampliata in cui il mezzo tecnologico è semplicemente lo
strumento condiviso, mentre intorno si intreccia e si costruisce la conoscenza.

CAPITOLO 12. FATTORI DI RISCHIO E PROTEZIONE NELLA GENITORIALITÀ FRAGILE


Il concetto di fragilità genitoriale richiama la presenza di difficoltà e di sofferenza
psichica sociale ed educativa nei genitori, che influenzano o potrebbero influenzare le
traiettorie di sviluppo dei figli, evolvendo verso forme di disagio croniche e di
disadattamento o che, viceversa, potrebbero modificarsi positivamente attraverso il
rafforzamento delle risorse e delle competenze individuali e familiari. FRAGILE, quindi,
nel senso di DELICATO, NECESSITANTE, INCOMPLETO o SPROVVISTO DI RISORSE per far
fronte alle difficoltà e agli ostacoli. La spinta a sostenere, anche in una prospettiva
preventiva, la genitorialità fragile nasce dalla consapevolezza dei gravi rischi che
potrebbero correre bambini costretti a vivere con genitori che erodono la costruzione
del senso di fiducia dei figli, provocando sofferenza e pensieri negativi.

12.2 Fattori di rischio e fattori protettivi


Nell’ambito della ricerca sulla valutazione del rischio evolutivo, si è progressivamente
affermata una prospettiva dinamica dello sviluppo, basata sulla interconnessione tra:
vulnerabilità, fattori di rischio e fattori protettivi. In particolare nascono concetti quali
PLURALISMO EVOLUTIVO e di PERCORSI MULTIPLI, che prevedono traiettorie non
determinabili a priopri, ma guidate dai principi di multifinalità (non è detto che da
condizioni iniziali simili si arrivi allo stesso risultato) e di equifinalità (da condizioni
iniziali diverse si può arrivare allo stesso risultato.
Nel modello process-oriented della psicopatologia dello sviluppo il funzionamento
psicologico del bambino è fondamentale e questo vuol dire che la direzione delle
influenze non procede in modo rettilineo, ma è mediata da specifici processi psicologici
e fattori che riflettono il funzionamento quotidiano (day-to-day) dei bambini in diversi
contesti. L’attenzione è, dunque, rivolta ai pattern comportamentali, cioè le sequenze
ripetitive che definiscono le relazioni e non semplicemente alle singole unità
comportamentali che possono essere invece temporanee, occasionali e casuali.
La presenza di fattori di rischio, che nello sviluppo introducono aspetti di vulnerabilità,
possono intersecare esperienze protettive, capaci di trasformare in senso positivo un
percorso potenzialmente disadattivo. Allo stesso tempo, possono evolvere in maniera
negativa, se ulteriori fattori prossimali di rischio e di vulnerabilità interferiscono in modo
continuativo nel percorso di sviluppo. In sintesi, L’EFFETTO DEI FATTORI DI RISCHIO
DIPENDE DAI COSIDDETTI MEDIATORI, definiti GENERATIVE MECHANISM.
I differenti fattori, inoltre, assumono gradi diversi di importanza in funzione della fase
evolutiva: per un bambino piccolo sono importanti sia la qualità della relazione di
attaccamento, sia la relazione di attaccamento che i genitori stessi hanno sperimentato
in età infantile, mentre le competenze di un figlio adolescente dipendono in misura più
elevata dall’abilità dei genitori di monitorare le influenze esercitate dalle relazioni con i
pari, modulando dimensioni di dipendenza-autonomia.
La capacità di superare le difficoltà e gli ostacoli dipende, dunque, dalla forza di fattori
che ne contrastino l’effetto, svolgendo un ruolo di protezione che solleciti le cosiddette
capacità resilienti, in relazione ai diversi compiti di sviluppo. Il riferimento al costrutto di
RESILIENZA consente di studiare le traiettorie di sviluppo di bambini che hanno
superato molteplici ostacoli e difficoltà incontrate durante la loro esistenza. La ricerca fa
riferimento alla resilience-as-a-process, ovvero la capacità di completare i compiti di
sviluppo e crescere in termini positivi e soddisfacenti nonostante situazioni oggettive di
rischio. Si parla di processo per sottolineare la dimensione dinamica e non statica, che è
il risultato del modo in cui i fattori protettivi si amalgamano, diventando così parte di un
processo compensatorio che serve a promuovere l’adattamento.

12.3 La resilienza in bambini a rischio


Le prime ricerche basate soprattutto su variabili di personalità, come quella di Garmezy
e Neuchterlein, condotta su un gruppo di bambini afroamericani cresciuti in condizioni
di indigenza estrema e nonostante ciò competenti e ben adattati, avevano indotto a
pensare che i bambini fossero in questo caso invincibili e invulnerabili. La successiva
riformulazione del termine ha introdotto invece una dimensione dinamica,
evidenziando la non uniformità dell’adattamento positivo e la stretta interconnessione
con i contesti relazionali e ambientali (non è detto che se sei africano sei invincibile).
Analogamente allo sviluppo tipico, dunque, anche quello resiliente non si presenta in
modo omogeneo, ma questo non significa che i risultati conseguiti in un’area di sviluppo
non siano staibili. La ricerca di Werner, condotta su 623 bambini, ha mostrato come un
terzo dei soggetti giudicati ad alto rischio nell’infanzia abbia manifestato in età adulta
buone competenze sul piano personale e in ambito lavorativo. I lavori di Masten sulle
traiettorie resilienti dall’infanzia alla tarda adolescenza ne hanno confermato la stabilità
nel tempo: ha esaminato 205 bambini di 8-10 anni monitorati per dieci anni in diversi
domini di sviluppo e con l’ausilio di diverse fonti informative. Dall’analisi dei risultati
sono emersi tre gruppo: i soggetti resilienti, quelli disadattati e quelli competenti. Le
competenze intellettive e la qualità del parenting sono emersi come gli aspetti predittivi
più significativi per due motivi: in quanto associati a capacità più elevate in tutti i domini
di sviluppo e in quanto fattori di contrasto di comportanmenti antisociali. Un secondo
studio, incentrato stavolta sui compiti di sviluppo e sugli eventi avversi, condotto su 173
bambini a rischio, seguiti dall’infanzia all’età adulta per un periodo di 10 anni, ha
confermato i dati precedenti, sottolineando un ulteriore aspetto: il successo non andava
ricondotto solo a risorse individuali e sociorelazionali, ma anche a competenze adattive
che emergono nella transizione dall’adolescenza all’età adulata (motivazione al
successo, capacità di progettare il futuro, ecc.).

12.4 Protocollo sui fattori di rischio e di protezione nella valutazione della


genitorialità fragile
Per far emergere e attivare le risorse che sostengono i processi di resilienza, è
necessario conoscere i fattori più significativi in grado di compromettere le competenze
genitoriali. La valutazione del rischio è un importante obiettivo di istituzioni e ricercatori
che intendano individuare in modo accurato e tempestivo situazioni di questo tipo.
L’idea di elaborare un Protocollo sui fattori di rischio e di protezione, per la valutazione
della genitorialità fragile. Il protocollo rielabora e modifica il modello process-oriented e
rappresenta uno strumento di analisi per identificare gli elementi di allarme e le
potenziali risorse di cambiamento in situazioni di pregiudizio familiare. è basato
sull’analisi della letteratura scientifica sulla genitorialità fragile e analizza la
interrelazione tra vulnerabilità, fattori di rischio e fattori protettivi. Per spiegare e
comprendere l’intreccio di questi elementi nella loro dinamicità, occorre tenere
presenti: la distinzione tra fattori di rischio distali e prossimali, l’importanza del
costrutto di vulnerabilità, come conseguenza della esposizione a fattori di rischio,
l’influenza benefica dei fattori di protezione che intersecano quelli di rischio in una
trama di transazioni e di relazioni che evolve e si modifica nel tempo.
è Baldwin a introdurre la distinzione tra fattori di rischio distali e prossimali, così
chiamati in ragione della distanza o della contiguità delle influenze che essi esercitano
nel quotidiano. I FATTORI DI RISCHIO DISTALI: esercitano un’influenza indiretta e
rappresentano l’humus su cui vengono a innestarsi altri elementi più vicini e prossimi
dell’esperienza di cui sono intessute le relazione; contribuiscono a generare uno stato di
disagio generale, preoccupazioni, incertezze ecc. e determinano una sorta di debolezza
che rende le famiglie e gli individui più vulnerabili. i FATTORI DI RISCHIO PROSSIMALI:
tali fattori sono contigui e prossimi da un punto di vista relazionale, coincidono con le
esperienze del quotidiano (day-to-day): possono avere una valenza negativa e per
questo contribuiscono a potenziare il rischio, nel senso che ne amplificano l’effetto
(fattori prossimali di amplificazione del rischio), oppure una valenza positiva che
contribuisce a ridurre l’effetto dei fattori di rischio (fattori prossimali protettivi e di
riduzione del rischio).
N.B. La comprensione delle traiettorie di rischio e la valutazione della genitorialità
avviene, quindi, attraverso l’attenta analisi delle complesse interconnessioni e dei
rapporti di sinergia tra fattori distali, e fattori prossimali di rischio e di protezione.

12.5 Attendibilità del protocollo


Il Protocollo può costruire un supporto utile per analizzare in modo integrato i diversi
aspetti critici e di rischio della genitorialità fragile, in una prospettiva ecologica e
dinamica che non sottovaluti gli eventi, le relazioni e le motivazioni individuali che
promuovono il cambiamento e in grado, quindi, di far emergere non solo le
caratteristiche e le peculiarità familiari che mettono a rischio il bambino, ma anche le
potenzialità e le risorse residue che potrebbero contrastare o ridurre l’impatto degli
aspetti negativi.

CAPITOLO 14. SVILUPPO PSICOLOGICO E “NUOVE” DIPENDENZE SENZA SOSTANZE


Tra i comportamenti di rischio in età adolescenziale rientrano quelli di dipendenza
senza il coinvolgimento di sostanze, che comportano a condotte maladattive e talvolta
patologiche. Infatti, quando si parla di dipendenza, è opportuno chiarire che essa si può
instaurare non soltanto verso una sostanza ma anche verso un comportamento (es.
internet, gioco d’azzardo, vigoressia), che a lungo andare può invalidare le normali
attività dell’individuo. Tutte queste forme di comportamento, seppur apparentemente
differenti e innocue, hanno caratteristiche simili poichè possono essere comportamenti
volti a ridurre stati d’ansia o frustrazioni, nonchè possono avere le stesse conseguenze
sia sul benessere personale che sulla qualità delle relazioni sociali. Nel corso del
capitolo chiameremo le nuove forme di dipendenza anche comportamenti atipici: non
soltanto perchè di alcune di esse manca una ben definita categoria diagnostica, ma
anche per non cadere nell’errore di patologizzare quei comportamenti.

14.1 Fra vecchi e nuove forme di dipendenza: definizioni e caratteristiche


Già qualche decennio fa, l’Organizzazione mondiale della sanità descriveva la
dipendenza patologica come quella condizione psichica, e talvolta anche fisica,
derivante dall’interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica. Per il
manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), la dipendenza è
considerata una modalità patologica d’uso della sostanza che conduce a disagio o a
compromissione clinicamente significativi, che devono verificarsi entro un periodo di 12
mesi:
1. Sostanza assunta in quantità maggiori o periodi troppo prolungati.
2. Presente un desiderio persistente.
3. Grande quantità di tempo spesa per procurarsi la sostanza, assumerla o per
riprendersi dai suoi effetti.
4. è presente un forte desiderio
5. vi è un uso ricorrente della sostanza che causa un fallimento nell’adempimento
dei principali obblighi sociali o interpersonali
6. vi è un uso continuativo della sostanza nonostante la presenza di problemi
sociali o interpersonali
7. importanti attività sociali, lavorative o ricreative vengono abbandonate
8. Viene effettuato uso della sostanza anche se pericolosa fisicamente
9. Viene effettuato un uso continuato della sostanza nonostante la consapevolezza
di un problema
10. Il concetto di tolleranza deve intendersi come definito insieme da un bisogno di
dosi notevolmente più elevate e un effetto notevolmente diminuito con l’uso
continuativo della stessa quantità della sostanza
11. La sostanza viene assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza.

Le new addiction sono invece quelle forme di dipendenza sena sostanza, dove il
comportamento stesso diventa l’oggetto della dipendenza. Griffiths, giò negli anni
Novanta del secolo scorso, sottolineava come le nuove dipendenze comportamentali
abbiano caratteristiche molto simili a quelle legate alla sostanza e descritte nel DSM,
soprattutto in termini di:
1. Dominanza (l’attività prende il sopravvento)
2. Tolleranza (la persona sente il bisogno di aumentare la dose in man. crescente)
3. Sintomi di astinenza (le persona avverte malessere quando interrompe)
4. Conflitto (riduzione delle relazioni sociali interpersonali)
5. Alterazione dell’umore
6. Ricaduta (ricade nel medesimo circolo vizioso)
Inoltre, secondo una ricerca condotta in Italia da Baiocco, Couyoumdijan e Del Miglio
la fenomologia dei comportamenti di dipendenza sarebbe molto simile o addirittura
sovrapponibile nelle dipendenze legate alle sostanze.
è anche vero che molte di quelle che vengono definite nuove dipendenze
comportamentali hanno come oggetto attività quotidiane spesso socialmente
incoraggiate, come la capacità di saper usare la rete (internet addiction), la pratica di
uno sport (vigoressia), l’acquisto di beni di consumo (shopping compulsivo). Pensare di
eliminare tali attività è semplicemente improponibile. Per questo il limite che divide i
comportamenti adattivi da quelli disadattivi è spesso legato al valore soggettivo che tali
comportamenti hanno per la persona.

14.2 Dipendenza da Internet o INTERNET ADDICTION


Lo sviluppo tecnologico e i cambiamenti sociali, soprattutto per gli/le adolescenti, hanno
modificato non solo le abitudini, ma anche il modo di esprimersi e comunicare. In
Giappone, sta diventando diffusissimo il termine hikikomori, per indicare persone che
vivono volontariamente a casa, nelle loro stanze, per lunghi periodi. La caratteristica
essenziale è appunto l'auto isolamento, il rifiuto della vita sociale, e tale condizione può
essere ricondotta a uno spettro di problemi sociali dissociativi. E anche se il termine
nasce in Giappone, altri sono stati segnalati in molte parti del mondo: giovani che
passano più di 12 ore al giorno davanti al computer, per i quali l'interazione online
diviene il ritiro, poichè il mondo virtuale non compensa le opportunità del mondo reale.
Il comportamento incontrollato ed eccessivo dei dipendenti verso la rete può condurre
ad una riconosciuta sofferenza (dunque il sintomo è egodistonico), oppure può essere
considerato parte dell’identità (quindi egosintonico).
L’utilizzo esclusivo della rete nel tempo libero può configurarsi come un fattore di
rischio verso la dipendenza, poichè il soggetto investe energie psichiche e fisiche verso
la tecnologia per intraprendere una vita virtuale tout court. Young, a tal proposito,
sottolinea l’esistenza di tre fasi verso la dipendenza da internet: il coinvolgimento
(curiosità verso il virtuale), la sostituzione (immersione nella rete e ricerca di ciò che
nella vita reale non si riesce a trovare) e la fuga dal mondo reale. La letterature, inoltre,
sottolinea come chi fa un uso incontrollato di Internet sia spesso caratterizzato da una
perdita di controllo, fenomeno descritto con termini quali problem gaming o uso
patologico da gioco online. In altre parole, il bisogno irrefrenabile di utilizzare la rete
viene spesso accompagnato da una perdita di controllo per ricercare emozioni forti,
senza considerare le conseguenze negative dell’uso prolungato di tale mezzo. Altre
caratteristiche sono il ritiro sociale, la vergogna e l’inibizione. L’adolescente non sta
considerando il fatto che sta sacrificando occasioni per sperimentare realmente il
proprio sè, perché è nelle relazioni sociali reali che si costruisce l’identità. Parafrasando
Erikson, la rete non crea integrazione dell’identità ma diffusione e confusione del sè.
D’altro canto, l'attenzione esclusiva alla rete porta a trascurare gli aspetti importanti
della vita. Inoltre, come sottolineano molto studi internazionali, in adolescenza è
abbastanza frequente la possibile relazione fra internet addiction e comportamenti di
tipo internalizzante (internet diventa uno strumento per gestire l’ansia) ed
esternalizzante (il ritiro sociale e lo stato depressivo porterebbero all’uso eccessivo della
rete). In altre parole, la dipendenza da internet può rappresentare un modo per
sfuggire ai problemi o per alleviare sentimenti di impotenza, ansia e depressione.

14.4 INTERNET GAMING DISORDER


Secondo un’indagine condotta dall’ISFE (2012) il 41% della popolazione utilizza
videogiochi, e la tipologia più popolare e maggiormente indagata dal pov scientifico è
quella dei giochi di ruolo multigiocatore di massa online (Massively Multiplayer
Online Role-Playing Games, MMORPGs). La dipendenza da videogame è ormai
confermata come una vera e propria dipendenza patologica, assimilabile per
caratteristiche, conseguenze e correlati neurofisiologici ad altre forme di dipendenza. Il
fattore da tenere d’occhio però non sembra essere il tempo trascorso videogiocando, o
comunque non definisce il gioco patologico e non necessariamente va associato a esiti
negativi.
Il disturbo da gioco su Internet, inserito nel DSM-5, viene definito come “un uso
persistente e ricorrente di Internet per partecipare a giochi, spesso con altri giocatori,
che porta a compromissione o disagio clinicamente significativi come indicato dalla
presenza di cinque o più criteri per un periodo di 12 mesi”. Questi criteri sono:
- Preoccupazione riguardo ai giochi su Internet
- Sintomi di astinenza
- Tolleranza
- Perdita d’interesse verso precedenti hobby
- Uso eccessivo e continuativo nonostante la conoscenza del problema
- Mentire riguardo la quantità di ore passate online
- Uso dei giochi su internet per evitare stati d’animo negativi
- Aver messo a repentaglio/perso una relazione/lavoro
La letteratura disponibile tuttavia non è riuscita ad identificare una definizione standard
poichè non supporta criteri diagnostici specifici.
La prevalenza del disturbo pare essere più alta tra adolescenti maschi e nei paesi
asiatici, quella più bassa invece nella popolazione tedesca con lo 0,2%. Ma anche in
questo secondo caso se consideriamo solo la fascia di popolazione adolescenziale si
alza al 1,7% con un’elevata discrepanza tra maschi (3%) e femmine (0,3%). Nella fascia
adolescenziale asiatica invece i dati sono 12,6% maschi e 4,7% femmine.

Molteplici sono i fattori di rischio e sono divisi in fattori individuali, fattori familiari e
fattori legati alle motivazioni di gioco.
Tra i fattori individuali rientrano il genere maschile, tratti di personalità come
nevroticismo, aggressività, sensation seeking, impulsività e ridotto autocontrollo, bassa
autostima, scarsa competenza sociale e basso senso di autoefficacia.
I fattori familiari vengono individuati come fattori di rischio dovuti a uno scarso
supporto parentale, un uso frequente di videogame da parte dei genitori e la
separazione/divorzio dei genitori.
Per le motivazioni di gioco facciamo riferimento all’uso del gioco come strategia di
coping e di fuga da stress quotidiano e dalle emozioni negative, la ricerca di amicizie
online o di dissociazione.
GENTILE: In merito ai risultati di ricerche longitudinali, i ricercatori ipotizzano che molte
delle relazioni significative individuate tra le variabili siano bidirezionali: es. se soffro di
solitudine è più facile che io abbia una dipendenza da videogiochi e viceversa. Infine, in
merito alla stabilità di questo disturbo, sembrerebbe che il gioco patologico tenda a
protrarsi a lungo, quindi non può essere definita semplicemente una “fase”, ma una
vera e propria spia di maladattamento che necessita attenzione.

Costituirebbero invece dei fattori protettivi la supervisione dei genitori, una buona
integrazione all’interno della propria classe e un buon livello di benessere collegato alla
scuola. Le conseguenze di questa dipendenza sono correlate con molteplici sintomi
psicologici, disturbi comportamentali e problemi sociali. A livello psicologico, la
dipendenza pare connessa a sintomi depressivi, disturbi d’ansia e attacchi di panico,
irritabilità e aggressività e minore capacità di concentrazione. Per quanto riguarda le
problematiche comportamentali e le difficoltà sociali vengono sacrificate relazioni reali a
favore di quelle virtuali, peggioramento delle performance scolastiche e consumo di
nicotina, alcol e droghe.

14.4 VIGORESSIA
Il notevole impatto che i nuovi media hanno sulla vita di adolescenti e adulti ha
permesso la propagazione di paradigmi culturali e sociali talvolta stereotipati, portando
i fruitori dello schermo all’emulazione di standard praticamente irraggiungibili.
Avvicinandosi sempre più a questi canoni, l’adolescente trova una fonte di soddisfazione
nella sua stessa immagine. Questa necessità può essere funzionale e soddisfare
semplicemente un bisogno evolutivo, ovvero quello di piacersi. La soddisfazione
corporea è un fattore cruciale in adolescenza, strettamente connesso alli sviluppo del sè
e a eventuali condotte atipiche messe in atto per ottenere un corpo utopisticamente
perfetto (es. condotte alimentari distorte che causano anoressia, bulimia oppure
allenamento sfrenato che fa male al corpo). La vigoressia era già stata descritta da
Pope, Katz e Hudson nel 1993, in uno studio condotto su 108 uomini bodybuilders.
Il termine reverse anorexia si riferisce al fatto che la persona nonostante abbia
sviluppato muscoli fuori dal normale, continui a sentirsi gracile e di conseguenza
insoddisfatto. Nel loro studio i soggetti, tra cui gli utilizzatori di steroidi, riferivano di
rifiutare gli inviti sociali, si coprivano in spiaggia e in generale coprivano il loro corpo
perché convinti di apparire come troppo gracili.

14.5 GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO


Il gioco d’azzardo può essere inquadrato secondo un continuum, composto da tre stadi:
1. Gioco d’azzardo informale e ricreativo = ovvero un comportamento fisiologico in
cui il gioco è saltuario, motivato dalla spinta alla socializzazione e dall’impulso
alla competizione che conduce a una spesa contenuta;
2. Gioco d’azzardo problematico = che mette a rischio la salute psicologica, fisica e
sociale della persona, in quanto può portare a un’evoluzione in termini negativi
verso il disagio patologico, anche attraverso la periodicità del comportamento
insieme al tempo e alle spese dedicati a esso;
3. Gioco d’azzardo patologico = ovvero quando il comportamento assume
connotati di disagio psicofisico importanti, è quotidiano, intensivo, caratterizzato
dal desiderio incontrollabile tipico delle dipendenze (craving), da sentimenti di
inquietudine quando si è impossibilitati a giocare, e da spese notevoli che
portano a conseguenti indebitamenti.

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