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Questi tre approcci riprendono le tre età metaforiche che, secondo Thalen,
caratterizzano lo studio dello sviluppo motorio:
- età dell’oro, corrispondente a un periodo fecondo e ricco di studi;
- età dormiente, corrispondente a una riduzione di interesse da parte degli
psicologi;
- età della rinascita, rinnovato interesse.
A queste, alla luce degli studi attuali, si aggiunge una quarta età corrispondente alla
piena realizzazione di un approccio multidisciplinare che applica i risultati di ricerche
di kinesiologia (studio scientifico del movimento umano), anatomia, neuroscienze e
scienze dello sviluppo all’ambito educativo. Tale contributo si esplica nello studio
dell’influenza delle capacità motorie sullo sviluppo delle funzioni esecutive, vengono
sempre più apprezzati i benefici dello svolgimento regolare di attività motorie sulle
prestazioni in compiti di memoria di lavoro, pianificazione, attenzione, ecc. Questo
accade per vari motivi:
- sicuramente la natura fisiologica: le attività motorie incrementano la densità
dei capillari e quindi favoriscono la velocità del flusso sanguigno cerebrale;
- spiegazioni di natura psicologica: partecipare ad attività sportive stimola
emozioni positive di gioia, orgoglio e soddisfazione > queste emozioni, unite alla
possibilità di confrontarsi con i coetanei, migliora la percezione della propria
competenza fisica contribuendo a regolare il processo di costruzione del valore
di sé e innalzare il livello di autostima.
2. schemi posturali: si sviluppano per primi, come (1). Possono essere statici o
dinamici e si sviluppano nelle tre dimensioni dello spazio (lunghezza, larghezza, e
altezza). Sono ad es. flettere, inclinare, ruotare, piegare, ecc.
Secondo questa prospettiva, le emozioni primarie emergono già strutturate come una
totalità, sulla base di un programma innato e universale. Fin dalla nascita le espressioni
facciali costituiscono dirette e attendibili manifestazioni delle esperienze emotive in
corso: esiste dunque una concordanza tra espressione facciale ed esperienza
emotiva. Izard in particolare, aderisce all'ipotesi del cosiddetto feedback facciale:
enfatizza il legame espressione-emozione, e sostiene che questo feedback, di tipo
corporeo-muscolare, contribuisca in modo rilevante a generare specifiche esperienze
emotive. La concordanza espressione-esperienza emotiva garantisce l'effettiva
comunicazione sociale da parte del bambino anche nella fase di sviluppo preverbale >
questa concordanza consentirebbe di comunicare i propri bisogni al caregiver che potrà
riconoscere i segnali del piccolo e intervenire.
La natura innata dei comportamenti espressivi propri di ogni emozione primaria pone il
sistema emotivo nella condizione di funzionare, inizialmente, in modo indipendente da
quello cognitivo. Secondo vari studiosi, i punti deboli della teoria differenziale sono
rappresentati dall’affermazione del primato del piano emotivo su quello cognitivo e
dalla concezione dell'emozione come una totalità chiusa, cioè come un pacchetto
preformato di emozioni universali.
Piaget ci ha fornito anche delle idee rispetto a come il bambino acquisisca schemi nuovi
e come avvenga il passaggio tra gli stati, ovvero quali sono i principi per cui questo
accade: gli schemi possiedono secondo Piaget due proprietà > l'assimilazione e
l'accomodamento. Assimilazione significa capacità di applicare ciò che si conosce già: si
interagisce con l'ambiente secondo il modo di pensare di cui disponiamo (es.Il bimbo
conosce la parola cane e la usa per nominare sia i cani sia altri animali a quattro zampe),
può però accadere che lo schema si modifichi per assimilare nuove informazioni >
accomodamento è esattamente la proprietà dello schema di modificarsi (il bimbo
differenzia i gatti dai cani e li nomina entrambi correttamente).
la possibilità di acquisire nuovi schemi è determinata dalla stessa attività del bambino >
se nel suo agire Il bambino incontra un disequilibrio, un conflitto cognitivo, è possibile
che si attivi un cambiamento, tuttavia, non sempre una situazione di conflitto può
portare a un'evoluzione, talvolta semplicemente si possono ignorare i dati conflittuali.
Il cambiamento e l'incremento di conoscenza avviene quando il bambino riesce a
utilizzare i feedback negativi o le informazioni contraddittorie per superare i limiti degli
schemi preesistenti e costruire nuovi strumenti di conoscenza > è questa l'idea
costruttivista di sviluppo = processi tra loro contrastanti, come l'attività di
costruzione e l'osservazione della caduta dei pezzi, danno luogo attraverso il conflitto a
una sintesi che non è una via di mezzo, ma un vero e proprio salto di qualità > lo
sviluppo è quindi un cambiamento qualitativo. il fatto che il sistema cognitivo non sia
rigido, ma evolve di fronte a inadeguatezza degli schemi dipende da un processo di
equilibrazione: il sistema ricerca un nuovo equilibrio. secondo Piaget ogni schema
acquisito non rimane isolato, ma stimola una crescita globale: il sistema nel tempo
progredisce verso una nuova organizzazione > il bambino grazie all'esistenza di questi
meccanismi (assimilazione, accomodamento, equilibrazione e organizzazione)
costruisce schemi sempre più funzionali a interagire con la realtà, a comprenderla e ad
adattarsi ad essa > il bambino, è secondo Piaget, costruttore del suo sviluppo.
APPROCCIO STORICO-CULTURALE = Questo approccio pone enfasi su ciò che è
culturale, storico e sociale nello sviluppo psichico del bambino > nel considerare il
cambiamento ci si interroga sulle influenze sociali e culturali esperite: non si tratta,
come per l'approccio comportamentista, di analizzare le influenze ambientali sul
comportamento, ma di cogliere quanto la cultura di appartenenza contribuisca a
strutturare le abilità di pensiero. Lev Vygotskij è colui che ha contribuito (insieme a
Lirija e Leont’ev) a fondare la cosiddetta scuola storico-culturale. Siamo in Russia, Pochi
anni dopo la rivoluzione, In un clima di vivace dibattito e fermento di nuove idee,
Vygotskij è un giovane intellettuale di formazione culturale marxista, con una laurea in
giurisprudenza e si Dedica a diversi temi, uno però diviene il più grande interesse: la
psicologia applicata all'educazione > all'età di 28 anni lavora presso l'istituto di
psicologia di Mosca con il più giovane Aleksandr Lurija ( poi divenuto uno dei Padri
fondatori della neuropsicologia). Vygotskij morì prematuramente all'età di 38 anni,
Piaget ebbe modo di conoscere il suo pensiero soltanto dopo la sua morte, Mentre
Vygotskij chi conosceva il pensiero di Piaget, come risulta dai suoi scritti > egli propone
un'idea diversa da Piaget rispetto a come l'essere umano progredisca cognitivamente,
Infatti afferma che le regole che Piaget ha fissato hanno un significato non universale,
ma limitato, cioè Sono validi in un ambiente sociale dato è determinato. la teoria di
Piaget, secondo Vygotskij, trascura l'importanza dell'influenza dei fattori sociali e
culturali sullo sviluppo cognitivo > per lui lo sviluppo cognitivo di ciascuno individuo è
influenzato dagli strumenti che il contesto in cui questo individuo vive gli ha messo a
disposizione. non vi sono quindi caratteristiche che in assoluto definiscono un pensiero
adulto, il pensiero raggiunge un pieno sviluppo quando la persona si è appropriata di
ciò che la cultura e la società hanno messo a disposizione per interagire con quel
particolare contesto. Vygotskij non Individua gli stati di sviluppo differenti, ma nella sua
concezione i bambini passano da una fase in cui sono caratterizzati naturalmente da
processi psichici elementari (come la percezione, la memoria non volontaria,
l'attenzione spontanea), ad una fase in cui emergono funzioni psichiche superiori
(come la memoria e l'attenzione volontarie e il ragionamento concettuale).
Il passaggio tra queste due fasi non è determinato dall'attività del singolo bambino, ma
dall' interazione sociale sperimentata > è infatti attraverso l'interazione con gli altri che
il bambino scopre i mediatori culturali, cioè tutte quelle scoperte e invenzioni, dalla
ruota alla scrittura, di cui una cultura si fa portatrice, a cui il bambino è esposto fin dalla
più tenera età e che vanno a influenzare il suo modo di pensare.
tra i diversi mediatori, Vygotskij assegna al linguaggio un ruolo di particolare rilievo: il
linguaggio è in primo luogo un comportamento sociale e viene sviluppato dai bambini
grazie all'interazione sociale > da funzione unicamente Sociale, il linguaggio assume poi
una funzione intrapsichica, diviene cioè un linguaggio interno e contribuisci in modo
decisivo allo sviluppo del pensiero, alla formazione dei concetti e al funzionamento della
coscienza.
A Vygotskij dobbiamo l'idea di zona di sviluppo prossimale: ognuno di noi da solo è in
grado di raggiungere un livello di prestazione che è dato dalle abilità che ha già
interiorizzato, possediamo anche un margine di sviluppo (ovvero il livello a cui possiamo
arrivare attraverso il supporto sociale) > attraverso l'interazione possiamo scoprire
nuove modalità che potranno poi divenire risorse interne all'individuo. La zona di
sviluppo prossimale rappresenta il potenziale di sviluppo, cioè quelle abilità che il
bambino da solo non manifesta ancora, ma può dimostrare se aiutato opportunamente
(es. può accadere che un bambino nel contare nomini i numeri correttamente ad alta
voce, ma indichi due volte verso lo stesso oggetto > un compagno più grande potrebbe
aiutarlo e suggerirgli di toccare una sola volta ogni singolo oggetto così da far
corrispondere a ciascun numero detto un'unità).
Numerosi sono gli studiosi che si sono ispirati all'approccio storico-culturale di Vygotskij:
uno tra i più illustri è l'americano Jerome Bruner. Anche Bruner presta attenzione al
ruolo delle influenze culturali e condivide la visione dello sviluppo cognitivo come un
apprendistato nell'uso degli strumenti culturali da parte del bambino > In questo
processo assegna grande importanza agli adulti, che nell'interazione con i bambini
offrono elementi di sostegno (scaffolding) alle loro acquisizioni cognitive. Nello
specifico bruner ipotizza che i bambini conoscono il mondo prima attraverso
rappresentazioni esecutive -1 anno di vita (azioni), successivamente possono anche
utilizzare rappresentazioni iconiche - verso i 12 mesi\ pienamente affermate verso
i 5-7 anni (immagini di realtà) e infine diventano capaci di rappresentazioni
simboliche - iniziano verso i 18 mesi si affermano stabilmente nell'adolescenza
(grazie a queste le informazioni possono essere elaborate in modo più efficace, anche
perché si può andare oltre il dato osservato, formulando ipotesi ad esempio). NB:
queste tre rappresentazioni compaiono in successione e una volta presenti e ben
sviluppate non eliminano quelle precedenti, ma coesistono con esse.
1. Prima infanzia = La concezione della prima infanzia e nel tempo cambiata: negli anni
è stato possibile acquisire una serie di conoscenze che ti consentono oggi di avere
un'idea del neonato come soggetto molto più competente è attivo nel suo processo di
sviluppo, di quanto si ritenesse in precedenza.
L'infanzia è considerata la fase di Maggiore cambiamento, infatti in soli due anni dalla
nascita i bambini Acquisiscono numerose e complesse competenze: Piaget si è per
primo dedicato a Comprendere le caratteristiche cognitive dei bambini nelle diverse fasi
di vita e vediamo come alcune delle sue idee siano ancora attuali > anche oggi gli
studiosi concordano che vi sia un'evoluzione dei riflessi primari ( comportamenti
automatici e organizzati che consentono al bambino di sopravvivere e di interagire con
l'ambiente circostante anche quando la sua organizzazione biologica non è ancora
strutturata per sostenere attività complesse) a comportamenti più controllati e
intenzionali. le ricerche successive hanno però consentito di osservare una serie di
abilità cui i bambini dispongono fin dall'età neonatale, che Piaget non aveva avuto modo
di cogliere: numerose conoscenze sono derivate dagli studi sulla percezione > in molti
studi sono state esaminate le variazioni a livello delle risposte comportamentali e
fisiologiche, queste variazioni sono considerate un indicatore dell'attivazione del
bambino ( l'attivazione è maggiore di fronte a uno stimolo nuovo e decresce di fronte a
uno stesso stimolo ripetuto nel tempo) > il bambino dunque si abitua allo stimolo =
questo abituazione e ha consentito di ideare esperimenti finalizzati a studiare lo
sviluppo percettivo. Se il bambino rinnova il suo interesse quando si presenta uno
stimolo nuovo, possiamo dedurre che percettivamente abbia colto la differenza tra lo
stimolo a cui si è abituato è quello nuovo. i bambini Inoltre mostrano delle preferenze, il
loro interesse Infatti non è Uguale tra i diversi stimoli.
i paradigmi sperimentali appena descritti, come l'abituazione ho il paradigma della
preferenza visiva, sono risultati utili anche nel indagare Quali tipi di aspettative e
rappresentazioni il bambino possegga del mondo. secondo Piaget una sfida complessa
per i bambini è quella di scoprire le proprietà del mondo fisico, le caratteristiche degli
oggetti, come il comprendere che un oggetto esiste anche quando non è visibile >
questa Piaget la colloca Nella seconda metà del primo anno di vita. in una ricerca
successiva, a bambini di 4 mesi è stata mostrata una situazione impossibile, che Viola i
principi della fisica, in cui sembra che un oggetto sia attraversato da una tavoletta è una
situazione possibile in cui la tavoletta non può attraversare l'oggetto: già a questa età i
bambini fissano lo sguardo per più tempo verso l'evento impossibile > questo ci
consente di ipotizzare che i bambini possiedono delle rappresentazioni degli oggetti, e
quindi della realtà percepita, molto prima di quanto supposto da Piaget.
Nel complesso quindi la conoscenza dei cambiamenti che occorrono nella prima
infanzia e oggi più articolata di quanto riportato da Piaget. Nello spiegare lo sviluppo
cognitivo sono Infatti considerate più variabili, tra cui le predisposizioni che ci
caratterizzano, le stimolazioni ambientali che riceviamo, la maturazione del cervello, ma
anche l'emergere di diverse abilità cognitive, ad esempio: con errore A- non-B Ci si
riferisce alla tendenza dei bambini nel IV sotto stadio sensomotorio, capaci di cercare
un oggetto anche se coperto, che hanno già ritrovato un oggetto nel posto A, a cercarlo
nuovamente nel posto A anche se davanti a loro L'oggetto è stato spostato in un altro
luogo (posto B). Piaget spiegava questo fenomeno sostenendo che i bambini a quell'età
non avessero ancora acquisito lo schema della permanenza dell'oggetto > oggi però
sono state prese in considerazioni altre abilità cognitive che possono aiutarci a
comprendere il perché i bambini non si comportano in quel modo. intorno agli anni 90
alcune ricerche hanno mostrato come l'errore A-non.B possa diminuire se i due
nascondigli sono molto differenti tra di loro: questa variazione non ha nulla a che fare
col concetto di permanenza spazio-temporale degli oggetti, è stato quindi ipotizzato che
il comportamento osservato da Piaget possa essere spiegato considerando altre
variabili. I neopiagetiani Pascuaol -Leone e JohnsonRitengono che uno schema di
permanenza dell'oggetto, Ovvero la conoscenza che gli oggetti rimangono dove sono
stati messi, sia necessario, Ma che esso debba essere coordinato in memoria con altri
tre schemi: uno schema operativo per cercare l'oggetto e due schemi figurativi degli
eventi essenziali > la Manu dell'adulto con l'oggetto entra in B, la mano dell'adulto ne
esce vuota punto il bambino di otto mesi non riuscirebbe ancora a coordinare 4 schemi
senso-motori in memoria e questa sarebbe la ragione per cui commette l'errore.
4.Adolescenza
L'adolescenza si configura come un'altra fase di vita ricca di Sfide evolutive:
generalmente, si riconosce all'adolescente la capacità di ragionare in modo più astratto,
egli riesce a pensare a ciò che è reale, a ciò che non lo è e a ciò che è possibile,
distinguendo quindi scenari più o meno probabili.
-Gli adolescenti mostrano di saper procedere in modo sistematico, riuscendo a
utilizzare il pensiero ipotetico deduttivo > con questa nuova forma di pensiero, Il
ragazzo non ha più necessità di agire concretamente, ma può utilizzare solo le sue
rappresentazioni.
CAPITOLO 5 - LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE
Si deve all’affermarsi dell’approccio funzionalista e pragmatico, a partire dagli anni
Sessanta, l’impulso allo studio del fenomeno della comunicazione non verbale, di cui i
comunicanti «sono inconsapevoli o solo parzialmente consapevoli. Negli ultimi decenni
si è assistito a un crescente aumento dell’interesse intorno alla comunicazione in diversi
ambiti disciplinari > le evidenze della letteratura hanno mostrato una sostanziale
continuità tra comunicazione prelinguistica e comunicazione linguistico-verbale,
individuando nella prima la condizione necessaria e un prerequisito per lo sviluppo
della seconda.
Halliday per primo ha descritto il passaggio dal comunicare per fare al comunicare
per conoscere > il bambino, in seguito a ripetute interpretazioni, da parte del caregiver,
dei segnali che spontaneamente emette senza alcuna valenza comunicativa
intenzionale (messaggi espressivi) scopre che può influenzare l’adulto e pertanto inizia
a usare dapprima suoni e gesti, poi parole per ottenere quello che desidera (messaggi
imperativi); infine quando scopre l’altro come agente intenzionale e come mente
impara a richiamarne l’ attenzione per condividere esperienze sul contesto esterno e sul
mondo in generale (messaggi referenziali). Pertanto anche nelle abilità comunicative,
come in quelle cognitive, il percorso di sviluppo procede da modalità autocentrate (in
cui l’altro non esiste ancora) verso la progressiva conquista dell’individuazione e del
decentramento (separazione e distinzione tra sé e altro).
Conclusioni
NB = Per lo sviluppo del linguaggio verbale l’ipotesi attualmente più accreditata ed
euristica è quella dell’interdipendenza tra fattori innati e fattori ambientali che si
realizza attraverso la sincronizzazione, in periodi critici e sensibili, tra disposizioni del
bambino e interazioni sociali cui partecipa e in cui l’adulto svolge il cruciale ruolo di
facilitatore. IN SINTESI: il linguaggio verbale svolge funzioni sia interpersonali sia
intrapsichiche: designazione della realtà (funzione referenziale); organizzazione del
pensiero (funzione cognitiva); riferimento autoriflessivo al linguaggio stesso (funzione
metalinguistica). Inoltre e non secondariamente, il linguaggio verbale fornisce un
contributo insostituibile allo sviluppo della consapevolezza, dell’autoconsapevolezza e
pertanto alla formazione dell’identità personale (funzione di individuazione).
CAPITOLO 8. LE FAMIGLIE DI FRONTE ALLA SFIDA EDUCATIVA
8.1 Le famiglie di fronte alla sfida educativa
Le risorse e le opportunità, al pari dei rischi e delle debolezze, che caratterizzano la
società contemporanea rappresentano sfide notevoli per la famiglia la quale, sebbene
abbia assunto forme nuove e variegate rispetto al modello tradizionale che ha dominato
i secoli scorsi (monogenitoriali, omosessuali, ricostituite), rimane tuttavia il nucleo
fondante della società attuale, almeno in Italia. Diventare genitori oggi dunque significa
confrontarsi con una realtà complessa che genera sfide di diversa natura.
Da una parte, infatti, la famiglia è chiamata ad affrontare le sfide educative che
tradizionalmente connotano il rapporto genitori-figli. Dall’altra parte, assistiamo
all’emergere di nuove sfide educative, strettamente legate alla società che cambia.
Per quanto riguarda i genitori, le principali sfide educative che verranno approfondite
sono rintracciabili nei cambiamenti a livello sociale, culturale ed economico, che hanno
visto l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e la conseguente difficoltà a conciliare
il tempo della cura dei figli e il tempo della professione, nonchè il problema dei ruoli di
genere. Per quanto riguarda i figli, le principali sfide poste dalla società contemporanea
riguardano, in primo luogo, la nuova relazione genitori-figli, legata ai cambiamenti
economici e sociali accennati, ma anche l’iperprotezione e l’abolizione dell’attesa, che la
solitudine e la precocità nella crescita, trovano terreno favorevole nella pervasività della
tecnologia, che caratterizza la società contemporanea, e che si configura come
un’ulteriore sfida da affrontare nel percorso educativo.
Tuttavia, prima di approfondire, bisogna definire alcune delle tradizionali sfide
educative che devono affrontare le famiglie. IN primo luogo, già il diventare genitori
rappresenta per le coppie una sfida notevole. La transizione alla genitorialità è un
momento delicato in cui entra in gioco anzitutto la ridefinizione dell’identità, personale
ma anche sociale. La coppia potrebbe temere di non essere in grado di affrontare una
sfida così notevole. Diventare genitori richiama, inoltre, il legame con i propri genitori,
che rappresenta il principale bagaglio di memorie sulla relazione genitori-figli da cui i
partner possono attingere per il loro percorso e che possono essere una risorsa (se
positive) o un rischio (se negative). Legami sicuri con i propri genitori generano fiducia e
sicurezza che il bambino - e dunque il futuro adulto - trasferirà in altre relazioni
significative che sono alla base dello sviluppo della sua personalità. Una volta diventati
adulti e genitori queste esperienze possono essere inconsapevolmente riprodotte sui
loro figli, ricreando situazioni già vissute e non elaborate. Memoria e attaccamento
sono, dunque, fondamentali nella genitorialità e chiamano in causa la necessità di
lavorare sulle esperienze del passato per poter essere genitori consapevoli e capaci di
creare una relazione di attaccamento sicuro volta a promuovere il benessere dei figli.
Le sfide educative che abbiamo illustrato presentano una duplice natura; sono
innanzitutto delle opportunità per crescere ingegno e sensibilità, ma anche rischi
perché non sempre e non tutti riescono ad affinare questi strumenti per fronteggiarle.
8.2 I genitori oggi
Le motivazioni all’origine della profonda trasformazione della famiglia sono da ricercarsi
nelle caratteristiche tipiche della società contemporanea che ha prodotto profondi
cambiamenti a livello sociale, culturale ed economico. Ad esempio la conformazione
demografica è cambiata, si diventa genitori più tardi rispetto al passato e questo
fenomeno è legato a molteplici fattori: innanzitutto oggi non è scontato avere figli, è una
scelta, anche sulla base delle risorse economiche disponibile e quindi dal momento che
la stabilità economica si raggiunge intorno ai 30-40 anni, anche la scelta di formare una
famiglia è rimandata intorno a questa età. A queste cause si aggiungono i progressi nel
controllo delle nascite, che hanno consentito di poter ritardare il concepimento, e i
progressi nella fecondazione assistita, che hanno reso possibile la gravidanza a donne
in età più avanzata. E se è vero che fare figli in età avanzata aumenta il rischio di
patologie, dall’altra parte i genitori più adulti sono generalmente più maturi e tendono a
seguire uno stile di vita più sano; in generale sembrano essere più pronti ad assumersi
le responsabilità di mettere al mondo dei figli.
All’interno della coppia poi ci sono ulteriori differenze demografiche, che
contraddistinguono la figura materna e la figura paterna nella società contemporanea.
Anche in questo caso è possibile parlare di rivoluzione culturale, iniziata attorno agli
anni Sessanta-Settanta. innanzitutto è cambiato il ruolo della donna, che ad oggi
possiede un capitale scolastico e decide di investire in una carriera lavorativa. A tal
proposito però bisogna sottolineare come l’ultima indagine conoscitiva sulle politiche in
materia di parità tra donne e uomini abbia evidenziato che più della metà delle donne
(54,1%) svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito e/o familiare a fronte del
46,6% degli uomini. Inoltre il tasso di occupazione delle madri è del 56,4%, contro il 70%
delle donne che vivono da sole. Questo è il risultato di un retaggio ancora diffuso che
lega alla figura materna il ruolo principale ed esclusivo di cura della casa e dei figli e che
può condurre a problematiche anche sul luogo di lavoro. Il fatto è che è ancora diffuso
lo stereotipo secondo il quale il lavoro del padre è nocivo solo quando viene a mancare,
mentre il lavoro materno viene ancora visto come nocivo per il benessere del bambino,
perché se la madre lavora, il bambino viene privato delle sue cure. Ancora più assenti
appaiono le istituzioni nei confronti della figura paterna, che ha diritto a soli due giorni
di congedo parentale obbligatorio, più due facoltativi. Una politica che sembra allinearsi
alle disparità di genere nella cura dei figli ancora diffuse nel sistema valoriale del nostro
paese. La figura paterna è, invece, essenziale per la rivoluzione della figura materna. Gli
uomini ad oggi sono più presenti e partecipi, si prendono cura della casa e dei figli non
soltanto attraverso il contributo economico, ma anche con una partecipazione attiva al
lavoro domestico, e ricoprono sia una funzione affettiva che una funzione educativa.
Questo modello di padre attivo nella cura dei figli scardina quel pregiudizio della nostra
società per cui i bambini che hanno una madre lavoratrice ricevono meno cure
materne, perché in realtà ne guadagnano in quelle paterne. N.B. Questa nuova
immagine di padre, tuttavia, non attraversa trasversalmente tutte le categorie
socioeconomiche, ma interessa gli individui con livelli più alti di istruzione: a questo
proposito si parla di rivoluzione (di genere) “incompiuta”.
I ricercatori hanno inoltre messo in luce come alla base di un buon funzionamento
familiare vi sia il modello della cogenitorialità, che si riferisce al modo con cui i
genitori si relazionano tra loro, sostenendosi reciprocamente per il raggiungimento di
scopi comuni: un atteggiamento di collabo e di sostegno reciproco nella crescita dei figli
è di importanza cruciale. I genitori dovrebbero rappresentare i punti di riferimento da
seguire.
Alla luce di questi modelli, emerge con evidenza come sia necessario un atteggiamento
di cura e responsività, da una parte, e un atteggiamento di supervisione, dall’altra. è
importante, infatti, che i genitori rappresentino un porto sicuro su cui poter fare
affidamento per soddisfare i bisogni affettivi, ma al tempo stesso siano guide salde che
conoscano i loro figli e sappiano indirizzarli verso la giusta direzione. In questo uno
strumento efficace è rappresentato dalla narrazione: quando madre e bambino
discutono di esperienze negative utilizzano un numero più ampio di parole emotive e si
impegnano maggiormente in negoziazioni e riflessioni sulle emozioni del bambino. Al
contrario, ricordare eventi positiva ha lo scopo di mantenere e rinforzare i legami
emotivi e di creare un senso di storia condivisa. In generale, la narrazione condivisa si
configura come uno strumento efficace nel percorso di crescita dei figli e questo
richiama il costrutto di monitoring delineato in precedenza, che si configura come una
forma di apertura spontanea da parte dei figli nei confronti dei genitori, la quale
consente un’attività costante di monitoraggio genitoriale. A tal proposito è importante -
per invogliare il giovane a parlare - che i genitori si dimostrino ascoltatori empatici, per
poter co-costruire insieme ai loro figli una narrazione coerente ed efficace che metta
insieme la storia individuale di ciascun membro con la storia collettiva della famiglia.
Le new addiction sono invece quelle forme di dipendenza sena sostanza, dove il
comportamento stesso diventa l’oggetto della dipendenza. Griffiths, giò negli anni
Novanta del secolo scorso, sottolineava come le nuove dipendenze comportamentali
abbiano caratteristiche molto simili a quelle legate alla sostanza e descritte nel DSM,
soprattutto in termini di:
1. Dominanza (l’attività prende il sopravvento)
2. Tolleranza (la persona sente il bisogno di aumentare la dose in man. crescente)
3. Sintomi di astinenza (le persona avverte malessere quando interrompe)
4. Conflitto (riduzione delle relazioni sociali interpersonali)
5. Alterazione dell’umore
6. Ricaduta (ricade nel medesimo circolo vizioso)
Inoltre, secondo una ricerca condotta in Italia da Baiocco, Couyoumdijan e Del Miglio
la fenomologia dei comportamenti di dipendenza sarebbe molto simile o addirittura
sovrapponibile nelle dipendenze legate alle sostanze.
è anche vero che molte di quelle che vengono definite nuove dipendenze
comportamentali hanno come oggetto attività quotidiane spesso socialmente
incoraggiate, come la capacità di saper usare la rete (internet addiction), la pratica di
uno sport (vigoressia), l’acquisto di beni di consumo (shopping compulsivo). Pensare di
eliminare tali attività è semplicemente improponibile. Per questo il limite che divide i
comportamenti adattivi da quelli disadattivi è spesso legato al valore soggettivo che tali
comportamenti hanno per la persona.
Molteplici sono i fattori di rischio e sono divisi in fattori individuali, fattori familiari e
fattori legati alle motivazioni di gioco.
Tra i fattori individuali rientrano il genere maschile, tratti di personalità come
nevroticismo, aggressività, sensation seeking, impulsività e ridotto autocontrollo, bassa
autostima, scarsa competenza sociale e basso senso di autoefficacia.
I fattori familiari vengono individuati come fattori di rischio dovuti a uno scarso
supporto parentale, un uso frequente di videogame da parte dei genitori e la
separazione/divorzio dei genitori.
Per le motivazioni di gioco facciamo riferimento all’uso del gioco come strategia di
coping e di fuga da stress quotidiano e dalle emozioni negative, la ricerca di amicizie
online o di dissociazione.
GENTILE: In merito ai risultati di ricerche longitudinali, i ricercatori ipotizzano che molte
delle relazioni significative individuate tra le variabili siano bidirezionali: es. se soffro di
solitudine è più facile che io abbia una dipendenza da videogiochi e viceversa. Infine, in
merito alla stabilità di questo disturbo, sembrerebbe che il gioco patologico tenda a
protrarsi a lungo, quindi non può essere definita semplicemente una “fase”, ma una
vera e propria spia di maladattamento che necessita attenzione.
Costituirebbero invece dei fattori protettivi la supervisione dei genitori, una buona
integrazione all’interno della propria classe e un buon livello di benessere collegato alla
scuola. Le conseguenze di questa dipendenza sono correlate con molteplici sintomi
psicologici, disturbi comportamentali e problemi sociali. A livello psicologico, la
dipendenza pare connessa a sintomi depressivi, disturbi d’ansia e attacchi di panico,
irritabilità e aggressività e minore capacità di concentrazione. Per quanto riguarda le
problematiche comportamentali e le difficoltà sociali vengono sacrificate relazioni reali a
favore di quelle virtuali, peggioramento delle performance scolastiche e consumo di
nicotina, alcol e droghe.
14.4 VIGORESSIA
Il notevole impatto che i nuovi media hanno sulla vita di adolescenti e adulti ha
permesso la propagazione di paradigmi culturali e sociali talvolta stereotipati, portando
i fruitori dello schermo all’emulazione di standard praticamente irraggiungibili.
Avvicinandosi sempre più a questi canoni, l’adolescente trova una fonte di soddisfazione
nella sua stessa immagine. Questa necessità può essere funzionale e soddisfare
semplicemente un bisogno evolutivo, ovvero quello di piacersi. La soddisfazione
corporea è un fattore cruciale in adolescenza, strettamente connesso alli sviluppo del sè
e a eventuali condotte atipiche messe in atto per ottenere un corpo utopisticamente
perfetto (es. condotte alimentari distorte che causano anoressia, bulimia oppure
allenamento sfrenato che fa male al corpo). La vigoressia era già stata descritta da
Pope, Katz e Hudson nel 1993, in uno studio condotto su 108 uomini bodybuilders.
Il termine reverse anorexia si riferisce al fatto che la persona nonostante abbia
sviluppato muscoli fuori dal normale, continui a sentirsi gracile e di conseguenza
insoddisfatto. Nel loro studio i soggetti, tra cui gli utilizzatori di steroidi, riferivano di
rifiutare gli inviti sociali, si coprivano in spiaggia e in generale coprivano il loro corpo
perché convinti di apparire come troppo gracili.