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APPRENDIMENTO
Darwin e la teoria dell’evoluzione
L’uomo, come le specie animali, per adattarsi all’ambiente dispone di due meccanismi:
l’evoluzione biologica e l’apprendimento. Il primo meccanismo è costituito dalla
selezione delle caratteristiche che permettono alla specie di adattarsi alle variazioni
macroscopiche e di lungo periodo dell’ambiente; ciò avviene mediante la
sopravvivenza degli individui che possiedono, in base alla variabilità interindividuale, i
caratteri che meglio consentono la vita in quell’ambiente. L’apprendimento assicura la
sopravvivenza di un organismo nella misura in cui permette a questo di adattarsi, cioè
di reagire nel modo appropriato e in tempi rapidi, alle molteplici richieste di
cambiamento provenienti dall’ambiente. Darwin per primo mise in evidenza come
modificazione biologica e apprendimento interagiscano modificando reciprocamente il
loro effetto. Il processo di selezione naturale delle caratteristiche biologiche è
profondamente influenzato dall’apprendimento di alcuni nuovi comportamenti che
rendono più facile e probabile la trasmissione di quelle caratteristiche biologiche,
casualmente possedute da alcuni individui, che consentono l’adattamento. Gli
evoluzionisti e, più generalmente, quanti accettavano i postulati darwiniani, come i
funzionalisti prima e i comportamentisti poi, cercarono di individuare i meccanismi che
nell’uomo come nelle altre specie rendono possibili le modificazioni in senso adattivo.
Ciò implicava l’ammissione che il comportamento umano e animale non fosse
totalmente predeterminato dal patrimonio genetico (innato), ma potesse, almeno in
parte, cambiare per effetto delle pratiche ed esperienze di vita. Poiché il processo di
apprendimento non è direttamente osservabile, ma solo inferibile dalla comparazione
di più prestazioni degli individui (antecedenti e successive a una sollecitazione
ambientale o stimolazione sperimentale), sono stati accentuati gli aspetti esecutivi (le
modificazioni di comportamento o attività cui da luogo), le condizioni per
l’instaurazione (l’esecuzione, la ripetizione), i caratteri temporali (la persistenza delle
modificazioni dei comportamenti e, quindi, l’acquisizione in memoria di “tracce”).
Definizione e classificazione
L’apprendimento nella sua accezione più ampia può essere definito come “ogni
modificazione relativamente permanente del comportamento che ha luogo per effetto
dell’esperienza”, ponendo in evidenza come esso rappresenti il processo sottostante
la formazione di abitudini, intese come associazioni tra stimoli provenienti dal mondo
fisico e risposte costruite in comportamento da un individuo. Non tutto
l’apprendimento rientra però in questa accezione: vi sono infatti apprendimenti più
complessi che possono essere spiegati in base a processi cognitivi, quali percezione,
attenzione, comprensione e memoria. Ciò che accumuna tutte le definizioni di
apprendimento è la sua considerazione di fenomeno psichico legato all’esperienza e
all’esposizione a uno stimolo. È possibile distinguere l’apprendimento dalla
maturazione (che non considera l’esposizione a nessuno stimolo, ma è basata sullo
sviluppo e l’affermarsi di variabili interne all’individuo e alla specie) e affermare che
tale processo è legato ai cambiamenti che nel complesso tendono ad aumentare le
differenze tra gli individui.
Il cambiamento è un concetto strettamente legato all’apprendimento:
l’apprendimento, infatti, implica un cambiamento nell’interazione tra il
comportamento e di un organismo e gli eventi ambientali. Il cambiamento trova,
dunque, la sua origine e il suo catalizzatore nell’ambiente. Ogni organismo che vive in
un ambiente può percepire, per mezzo dei sensi, le variazioni, qualitative o
quantitative, dell’ambiente stesso: queste variazioni percepibili dell’ambiente sono
dette stimoli, o “situazione” o “evento stimolo”. Un evento ha effetto sul
comportamento di un individuo solo se possiede una funzione-stimolo: questo termine
descrive la specifica ed effettiva azione di un evento su un dato individuo che dipende
sia dalle caratteristiche naturali dello stimolo sia dalla storia di interazioni del
soggetto. Il cambiamento ha come oggetto la risposta, o meglio le classi di risposta. Le
modalità di risposta possono essere classificate in due categorie: le risposte elicitate e
i comportamenti emessi. Le prime sono reazioni che conseguono automaticamente
alla presentazione di uno stimolo, si verificano prevalentemente a livello fisiologico e
costituiscono generalmente una reazione adattiva alle modificazioni ambientali. I
comportamenti emessi rappresentano il modo in cui un organismo modifica, in modo
più o meno adattivo, l’ambiente. La relazione organismo-ambiente consiste
psicologicamente nella relazione mutua e inscindibile tra evento-stimolo e
comportamento. Questa relazione è influenzata da una terza variabile, il contesto,
definito come l’insieme degli elementi situazionali che fanno da sfondo a una
particolare situazione. Ogni relazione organismo-ambiente può essere modificata dal
contesto in cui avviene nella forza, nella valenza e nelle caratteristiche delle funzioni
particolari dello stimolo e della risposta implicati.
Vi sono però dei cambiamenti che non sono dovuti all’apprendimento. Secondo
Hilgard e Bower (1975) “il concetto di apprendimento si riferisce al cambiamento
del comportamento di un soggetto di fronte a una data situazione, per il fatto che
quella situazione sia stata sperimentata ripetutamente, ammesso che il cambiamento
del comportamento non possa essere spiegato in base a tendenze innate alla risposta,
alla maturazione o a stati temporanei del soggetto”. Rientrano in questa categoria
fattori fisiologici e patologici, i riflessi, gli istinti e i tropismi, la maturazione (che porta
a modificare le sequenze di comportamenti attraverso stadi regolari,
indipendentemente dalla pratica sopravvenuta), l’affaticamento e l’abitudine, i
processi di pensiero (come il problem solving e il ragionamento deduttivo, che portano
a comportamenti indipendenti dalle esperienze effettive).
Esistono due tipi principali di apprendimento: non associativo e associativo.
L’apprendimento non associativo è quello relativo a un singolo stimolo e include
l’abituazione (o assuefazione) e la sensibilizzazione. L’abituazione è la progressiva
diminuzione della forza di una risposta al ripetuto ripresentarsi di uno stimolo innocuo.
Davanti a uno stimolo nuovo o inusuale per una data situazione si ha, generalmente,
un insieme di reazioni fisiologiche e motorie (risposta di orientamento). Se tale
stimolo, però, si ripete più volte nel tempo subentra una progressiva indifferenza. La
sensibilizzazione è invece caratterizzata dall’aumento della risposta comportamentale
a una stimolo inteso. Tipicamente si verifica quando si presenta a un organismo uno
stimolo nocivo o minaccioso. Secondo alcuni autori, abituazione e sensibilizzazione
non possono essere considerati apprendimento in senso stretto, anche se in un certo
modo ne rappresentano le premesse.
L’apprendimento associativo è molto più complicato di quello non associativo, perché
implica l’apprendimento delle relazioni tra gli eventi. Include: il condizionamento
classico, il condizionamento operante e il cosiddetto apprendimento complesso. Il
condizionamento classico e quello operante implicano entrambi la formazione di
associazioni: cioè, l’apprendimento che certi eventi si verificano insieme. Nel
condizionamento classico, l’organismo apprende che a un evento ne segue un altro;
nel condizionamento operante, l’organismo apprende che la sua risposta avrà una
particolare conseguenza. L’apprendimento complesso implica qualcosa di più del
formarsi di associazioni.
Un'altra classificazione dei tipi di apprendimento è quella proposta da Gagné nel suo
modello gerarchico del 1965, in cui gli apprendimenti sono ordinati dal più semplice al
più complesso:
- condizionamento classico o pavloviano
- apprendimento stimolo-risposta (condizionamento operante di Skinner)
- apprendimento motorio come concatenazione tra stimoli e risposte di
movimenti semplici e complessi
- apprendimento di associazioni verbali (per es. acquisizione di nomi degli
oggetti)
- apprendimento di discriminazioni (per es. imparare a leggere distinguendo le
lettere)
- apprendimento di concetti (raggruppare oggetti appartenenti alla medesima
categoria)
- apprendimento di regole
- soluzione di problemi
- apprendimento degli adulti e apprendimento dall’esperienza.
Le prime ricerche sull’apprendimento sono state eseguite partendo dal punto di vista
comportamentista, spesso basato sui seguenti assunti: il comportamento si
comprende meglio in termini di cause esterne, piuttosto che interne; le associazioni
semplici sono il fondamento dell’apprendimento; e le leggi dell’apprendimento sono le
stesse, per specie e situazioni diverse. Questi assunti sono stati modificati alla luce
delle ricerche successive.
L’approccio cognitivista
L’approccio cognitivista prende distanza dai modelli associazionisti del
comportamentismo spostando la centralità dal concetto di associazione a quello di
rappresentazione. L’innovazione principale del cognitivismo è quella di esaltare il ruolo
attivo del soggetto nell’elaborazione della realtà circostante, dando maggior rilievo ai
processi interni di elaborazione e rappresentazione.
• Rappresentazioni. Secondo la prospettiva cognitiva, il punto cruciale
dell’apprendimento consiste nell’abilità dell’organismo di rappresentarsi
mentalmente gli aspetti del mondo e operare su queste rappresentazioni
mentali, piuttosto che direttamente sul mondo. In molti casi ciò che è
rappresentato mentalmente sono associazioni fra stimoli e eventi. In altri casi le
rappresentazioni appaiono più complesse. Può trattarsi di una mappa
dell’ambiente che ci circonda o di un concetto astratto come la nozione di
causa. Inoltre le operazioni eseguite sulle rappresentazioni mentali talvolta
appaiono più complesse dei processi associativi. Possono prendere la forma di
un esercizio mentale per prove ed errori, in cui l’organismo esplora nella sua
mente le diverse possibilità; oppure, possono consistere nel mettere a punto
una strategia a più livelli in cui si fanno dei passi mentali solo perché questi ne
consentono altri successivi. L’idea di una strategia, in particolare, sembra non
conciliabile con l’assunto che l’apprendimento complesso è composto da
semplici associazioni.
Studi sui primati: studi recenti offrono prove dell’esistenza di rappresentazioni
mentali complesse nei primati. Gli scimpanzé sono in grado di acquisire concetti
astratti. Essi possono imparare a usare contrassegni di plastica di forma,
dimensione e colori differenti, come se fossero parole. Possono imparare anche
concetti astratti, come “uguale”, “differente” e “causa” (sembra che gli
scimpanzé comprendano le relazioni causali).
• Mappe cognitiva. Un concetto molto importante per i cognitivisti è quello di
mappa cognitiva. L’apprendimento serve a scoprire le connessioni che esistono
nell’ambiente, attraverso la costruzione di appropriate mappe cognitive,
facilitando l’organismo a trovare la soluzione più breve ed efficace (principio del
minimo sforzo). Ciò che è appreso è la mappa cognitiva del territorio, ossia la
sua rappresentazione mentale, spaziale e temporale. Uno dei primi sostenitori
dell’approccio cognitivo all’apprendimento è stato E. Tolman, le cui ricerche
hanno affrontato il problema dei ratti che imparano a percorrere labirinti
complessi. Dal suo punto di vista un ratto che corre in un labirinto complesso
non sta imparando una sequenza di curve a destra e a sinistra; piuttosto, sta
sviluppando una mappa cognitiva: una rappresentazione mentale del labirinto.
Studi più recenti sostengono questa interpretazione. In un esperimento di Olton
(1978; 1979), si è utilizzato un labirinto composto da una piattaforma centrale
da cui si irradiano otto bracci identici. Il ratto deve imparare a visitare ogni
braccio (e trovarvi il cibo) senza tornare in quelli in cui è già stato. Gli animali
apprendono questo compito davvero bene. Fatto molto importante, un ratto
raramente usa le strategie che un uomo metterebbe in atto, per esempio
percorrere i bracci secondo un ordine preciso. Al contrario, il ratto li visita a
caso, indicando di non avere appreso una rigida sequenza di risposte.
Probabilmente, ha sviluppato una rappresentazione del labirinto, che indica
esattamente la relazione spaziale tra i bracci, e in ogni prova prende nota
mentalmente di quale braccio ha già visitato.
• Apprendimento latente. Il fatto che l’apprendimento non sia l’acquisizione
meccanica di schemi motori ma di rappresentazioni mentali è stato
ulteriormente dimostrato da Tolman attraverso il fenomeno dell’apprendimento
latente, ossia un apprendimento che a luogo in assenza di rinforzo. In un
esperimento si sono utilizzati tre gruppi di ratti (A, B e C). Il gruppo A non fu mai
rinforzato per aver attraversato il labirinto; il gruppo B fu rinforzato ad ogni
prestazione; il gruppo C non fu rinforzato fino al 11° giorno dell’esperimento.
Nel momento in cui il gruppo C fu rinforzato, ebbe prestazioni immediate e
addirittura superiori al gruppo B. Tale risultato è comprensibile solo se si
ammette che i ratti del gruppo C avevano appreso in modo latente e senza
bisogno di alcun rinforzo la mappa cognitiva del labirinto nel periodo in cui non
erano stati ricompensati e avevano potuto esprimere tale apprendimento nel
momento in cui furono premiati. Nella fase iniziale (senza rinforzo) i ratti
avevano imparato di più di quanto facessero vedere. Su questa base Tolman
sostiene che l’apprendimento può aver luogo grazie alla semplice esposizione
all’ambiente e introduce la distinzione tra competenza (ciò che si apprende) e
prestazione (l’apprendimento messo in atto). L’apprendimento si manifesta,
quindi, quando vi è uno scopo per mettere in atto il comportamento appreso.
• Credenze preesistenti. La ricerca sugli animali, di solito, ha posto l’accento
sull’apprendimento di relazioni prevedibili. Nella vita reale, quando si tratta di
apprendere relazioni non perfettamente prevedibili fra stimoli, spesso la gente
ricorre a credenze preesistenti su queste relazioni. Ciò può portare a scorgere
associazioni che non esistono realmente (associazioni spurie). Quando una
relazione esiste veramente, avere già una convinzione a riguardo può portare a
sopravvalutarne la forza predittiva. Quando una relazione oggettiva è in
conflitto con una credenza preesistenze, colui che apprende può privilegiare
quest’ultima. Tuttavia, a mano a mano che i dati (l’associazione oggettiva)
diventano sempre più rilevanti, le convinzioni preesistenti possono capitolare e
si apprende come stanno veramente le cose. La modalità attraverso la quale le
conoscenze già possedute da una persona (schemi, concetti, teorie ecc)
influenzano l’acquisizione di nuove conoscenze viene definita “top-down”
(dall’alto verso il basso), viceversa, le modalità in cui è la realtà percepita che
attiva processi cognitivi di apprendimento o revisione di schemi precedenti è
definita “bottom-up” (dal basso verso l’alto). Nel processo dall’alto verso il
basso relativo all’apprendimento, colui che apprende combina le sue credenze
preesistenti su una relazione associativa con l’input reale riguardante la
relazione, per produrre una valutazione finale sull’intensità della relazione
stessa.
Applicazioni: gli effetti delle credenze preesistenti sull’apprendimento hanno
importanti implicazioni nel campo dell’educazione. In particolare quando si
insegna a qualcuno un argomento, non si possono ignorare le conoscenze che
egli già possiede su quell’argomento. Lo studente cerca spesso di adattare le
nuove informazioni alle credenze precedenti. In campo educativo potrebbe
essere opportuno esplicitare queste credenze preesistenti, così che il docente
possa correggerle, se sono effettivamente errate.
Se nella prospettiva comportamentista l’apprendimento viene studiato attraverso il
comportamento manifesto e trattato come un fenomeno “unitario”, nella nuova
prospettiva cognitiva si osserva una frammentazione dell’ambito d’indagine e
l’apprendimento viene ridefinito in base alle componenti cognitive coinvolte. In
particolare si verifica una forte associazione tra lo studio dell’apprendimento e quello
della memoria.
• Schemi. Diventa particolarmente importante in questo contesto il concetto di
schema. Gli schemi in quanto unità organizzative della memoria che
rappresentano le nostre conoscenze relative ad oggetti, situazioni, eventi e
azioni, sono stati considerati i “mattoni di costruzione dell’attività conoscitiva”,
elementi di base da cui dipende tutta l’elaborazione dell’informazione. Vengono
infatti utilizzati per interpretare i dati sensoriali, comprendere e produrre nuova
conoscenza, recuperare informazioni dalla memoria, strutturare azioni,
determinare scopi e sottoscopi. Di particolare interesse psicoeducativo risulta la
definizione delle modalità peculiari di apprendimento fatta da Rumelhart e
Norman, teorici degli schemi. Secondo questi autori esistono tre modalità
principali: apprendimento per accrescimento, apprendimento per
sintonizzazione, apprendimento per ristrutturazione.
L’apprendimento per accrescimento avviene quando si incorporano nuove
informazioni entro gli schemi già disponibili di un soggetto, che non vengono
sottoposti ad alcuna modifica.
L’apprendimento per sintonizzazione si manifesta quando si rendono necessarie
modifiche degli schemi attivati per interpretare le nuove conoscenze.
L’apprendimento per ristrutturazione si manifesta quando l’interpretazione delle
nuove informazioni richiede strutture nuove o si deve dare un’organizzazione
nuova alla conoscenza già immagazzinata.
Emergono nel cognitivismo innumerevoli ulteriori specificazioni dell’apprendimento
che coinvolgono altri processi cognitivi e abilità. Imparare a leggere, per esempio,
implica l’integrazione di abilità linguistiche, mnestiche e percettive; saper guidare
un’automobile significa avere buone abilità di integrazione visuo-motoria, e capacità
attentive; l’apprendimento in ambito scolastico richiede sia competenze specifiche,
come il calcolo e la lettura, sia competenze generali, come quelle di applicare
strategie, fare inferenze e mettere in atto processi di astrazione.
Da un lato si assiste dunque ad un vasto sviluppo di modelli di apprendimento
specifici, dall’altro vengono definiti modelli generali di funzionamento della mente, che
hanno forti implicazioni per l’apprendimento anche se non sono modelli o teorie
specifici dell’apprendimento.
• Human Information Processing (HIP). Il primo approccio allo studio
dell’apprendimento in ambito cognitivista, che aveva come oggetto lo studio
dell’elaborazione umana dell’informazione è stato fortemente influenzato dalla
metafora mente-computer. Questo ha portato tra gli anni ’70 e ’80 allo sviluppo
di modelli di apprendimento, articolati in una serie di passaggi (regole di
produzione) rigidi, con strutture gerarchiche simili a quelle di un programma
implementabile in un computer.
• Teoria di Fodor.Un importante punto di svolta nello studio dell’apprendimento
e dei processi cognitivi più in generale è costituito dall’introduzione della teoria
modulare di Fodor (1983; 2001), il quale propone una distinzione di base tra
abilità specifiche, definite ‘modulari’, e abilità generali legate ai processi di
pensiero superiori. Vengono postulati dei moduli che ricevono informazioni dai
sistemi sensoriali, le elaborano ad un primo livello, e sono descritti come innati,
altamente specializzati ed efficienti, poco flessibili ma molto veloci
nell’elaborazione delle informazioni ed “informazionalmente incapsulati” (non
hanno cioè accesso ai contenuti e alle informazioni provenienti da altri moduli).
Viene postulato inoltre un processore centrale, più lento nei processi di
elaborazione ma più flessibile, che riceve dati dai moduli ed ha la funzione di
integrare e interpretare le informazioni specifiche.
Concludendo, si può affermare che l’approccio cognitivista ha completamente
modificato il metodo di studio nell’ambito della psicologia dell’apprendimento,
concepito in questa prospettiva come un processo costruttivo, strategico-attivo e
interattivo.
Aspetti applicativi: La distinzione tra abilità specifiche e generali ha influito fortemente
sugli studi nell’ambito dell’apprendimento, sia in ambito teorico sia in ambito clinico.
La dislessia, ad esempio, è oggi definita come un Disturbo Specifico
dell’Apprendimento (DSA). Le formulazioni teoriche sviluppate in relazione ai diversi
sottosistemi di apprendimento hanno permesso di individuare quali fossero le diverse
componenti cognitive deficitarie nei diversi profili dei DSA, fornendo quindi un
importante contributo anche all’ambito clinico.
L’Approccio costruttivista
Entro la famiglia delle teorie cognitiviste si colloca il costruttivismo, una teoria
dell’apprendimento basata sul presupposto che, mediante la riflessione sulle nostre
esperienze, noi edifichiamo la conoscenza del mondo in cui viviamo. Mentre i
comportamentisti vedono la conoscenza come la risposta passiva, automatica, agli
stimoli ambientali e i cognitivisti vedono la conoscenza come astratta
rappresentazione simbolica nella mente degli individui, la scuola costruttivista ritiene
la conoscenza una entità complessa edificata da ciascuno ogni volta che passa
attraverso un processo di apprendimento. La conoscenza, dunque, non può essere
trasmessa da un individuo all’altro ma dev’essere reinventata da ogni persona.
Il costruttivismo si è sviluppato grazie al contributo della di studiosi come Bruner,
Vygotskij, Papert e Jonassen. All’interno della corrente costruttivista possiamo infatti
distinguere i seguenti paradigmi: il costruttivismo sociale (Vygotskij), culturale (Bruner
e Cole) e socio-interazionista (Papert e Jonassen).
L’idea chiave della teoria di Vygotskij è che le relazioni sociali giochino un ruolo
fondamentale nello sviluppo cognitivo. Egli introdusse l’idea di Zona di Sviluppo
Prossimale (ZPD), intesa come la zona cognitiva entro la quale uno studente riesce a
svolgere, con il sostegno (scaffolding) di un adulto o in collaborazione con un pari più
capace, attraverso la mediazione degli scambi comunicativi, compiti che non sarebbe
in grado di svolgere da solo. È nel momento in cui agisce socialmente con il linguaggio
che egli si appropria di nuovi strumenti cognitivi che gli serviranno ad alimentare un
agire linguistico interiore, che gli permetterà di risolvere in maniera autonoma
problemi analoghi a quelli affrontati con altri.
Aspetti applicativi: dal concetto di ZPD deriva un’importante implicazione sul ruolo
dell’apprendimento che non deve limitarsi a seguire lo sviluppo, ma deve aggiungervi
qualcosa: l’istruzione deve quindi agire nella zona di sviluppo delle possibilità, ossia
attivare quei processi evolutivi che il bambino manifesta soltanto nell’interazione. Il
costruttivismo sociale permette di passare da una definizione di scuola come luogo di
trasmissione delle conoscenze (didattica centrata sul processo di insegnamento), a
quella di ambiente di apprendimento.
Bruner definì l’apprendimento come il fenomeno di “ottenere informazioni da parte di
qualcuno usando la mente di qualcun altro”, un atto di scoperta, non un evento
casuale. Esso comporta l’attesa di trovare regolarità e relazioni nell’ambiente e
affermò che la soluzione dei problemi mediante strategie di ricerca strutturata è una
parte integrante dell’apprendimento di nuove nozioni. Secondo Bruner giungere a
conoscere qualcosa è un azione sia situata, sia distribuita. Trascurare questa natura
sia situata, sia distribuita della conoscenza e del conoscere significa perdere di vista
non soltanto la natura culturale della conoscenza, ma anche la natura culturale del
processo di acquisizione della conoscenza. Secondo Bruner l’apprendimento è
essenzialmente un’attività che si svolge in comune e che coinvolge la costruzione
della conoscenza; un apprendimento significativo e una comprensione nascono da
conversazioni, da confronti, da dibattiti e da discussioni (pianificate e strutturate) tra
studenti, tra pari, tra colleghi, tra esperti e tra docenti. Se il sapere non è scindibile,
ma anzi è determinato dal dove e dal come, allora possiamo affermare una nuova
concezione dell’apprendimento, definito come attività cognitiva situata, cioè in
specifici contesti d’uso (il saper fare).
Papert, l’inventore del LOGO (probabilmente il più noto ambiente di apprendimento di
stampo costruttivista), rappresenta una pietra miliare nel paradigma socio-
interazionista. È stato il primo a interpretare e a proporre le tecnologie didattiche
come strumenti di apprendimento: ha creato ambienti di simulazione o gioco didattico,
ambienti di espressione delle proprie idee e del proprio vissuto (editor testuali, grafici
e musicali), ambienti per l’esplorazione e la ricerca (ipermultimedia), ambienti per la
comunicazione in rete locale e remota (telematica). “È il bambino che programma il
computer e non viceversa”: questa è l’idea guida di Papert, cioè di un apprendimento
che contrappone una didattica basata sull’ “usare per imparare”, anziché di una
didattica basata sull’ “imparare a usare”. In tal modo si costruisce un sapere utile,
condiviso, che si adegua allo stile di ciascuno, un sapere pratico e intenzionale,
incorporato in concreti ambiti di utilizzo.
Ambiti applicativi del costruttivismo: dalle sollecitazioni provenienti dagli studiosi del
costruttivismo, sono derivate molte applicazioni delle stesse entro progetti didattici
innovativi che favoriscano un apprendimento significativo (attivo, costruttivo,
intenzionale, collaborativo ecc). Negli ambienti di apprendimento di tipo costruttivista
gli studenti agiscono in uno spazio creato ad hoc (reale o virtuale) e usando strumenti
di lavoro (ad es. software e tool di vario tipo) hanno accesso a diverse fonti di
informazione (libri, foto, CD-ROM, siti web, ecc); in questo modo si possono raccogliere
e interpretare le informazioni interagendo con altri attori (pari o insegnanti) e sempre
con il supporto da parte dell’insegnante. Ad es., mentre nell’utilizzo dei libri viene
privilegiato il percorso autore-opera-lettore e si trova un flusso ordinato e sequenziale
delle informazioni, organizzate in capitoli, paragrafi e pagine sistemate in logica
successione, l’uso di uno strumento come l’ipertesto privilegia il percorso mente-testo-
mente, superando la scrittura lineare e sfruttando i vantaggi di una struttura
reticolare. In conclusione si può affermare che gli sviluppi e le applicazioni della teoria
costruttivista rappresentano oggi un ambito di applicazione entro il contesto didattico
scolastico in interessante evoluzione.
Basi neurali
update: i neuroni specchio
I meccanismi neurali delle forme non associative di apprendimento sono stati studiati
in animali invertebrati come lumache. L’abituazione è mediata dalla riduzione della
trasmissione sinaptica; la sensibilizzazione, invece, dall’incremento della trasmissione.
In questi tipi di apprendimento sono coinvolti anche processi di regressione e crescita
delle sinapsi, rispettivamente.
Le sinapsi del cervello mammifero prendono parte all’immagazzinamento delle
informazioni, nel corso dell’apprendimento. Il cervelletto è particolarmente importante
per il condizionamento motorio, e l’amigdala è essenziale al condizionamento emotivo.
Gli incrementi della trasmissione sinaptica, denominati “potenziamento a lungo
termine”, sono coinvolti in questi processi di apprendimento.
Approfondimenti: l’apprendimento ha un fondamento biologico necessario, in quanto il
processo attraverso cui impariamo competenze e conoscenze lascia delle tracce nei
circuiti nervosi del cervello. Per apprendere qualcosa è necessaria un attività nervosa
che induce la formazione di nuove connessioni sinaitiche in aggiunta a quelle
preesistenti. L’esperienza fornisce una serie di istruzioni e di stimolazioni in grado di
generare nuove modulazioni e configurazioni dei circuiti nervosi.
Già nel 1894, Ramón y Cajal aveva sostenuto che la capacità dei neuroni di maturare
e il loro potere di creare nuove connessioni possono spiegare il processo
dell’apprendimento.
Hebb (1949) ha ripreso con vigore questa concezione e ha sottolinea l’idea della
plasticità neurale in connessione con l’attività nervosa indotta dall’esperienza. Se
l’assone di un neurone A è abbastanza vicino per eccitare un altro neurone B in modo
ripetuto e consistente, in uno o in entrambi i neuroni si producono cambiamenti
metabolici e un qualche processo di crescita, per cui l’efficienza di A risulta potenziata.
Inoltre, i neuroni che scaricano simultaneamente si connettono fra loro. Parimenti,
quando input deboli provenienti da un neurone W e input forti provenienti da un
neurone S sono attivi nello stesso tempo nei confronti di un neurone bersaglio A, la via
debole risulta potenziata grazie all’associazione con la via forte. In questo modo la
stimolazione ripetuta di specifici neuroni conduce lentamente alla formazione di una
“assemblea di cellule” che può agire come un sistema chiuso una volta che la
stimolazione sia cessata, prolungando così l’apprendimento. Di parla di
apprendimento hebbiano per descrivere i cambiamenti nella forza di connessione fra
due o più neuroni.
Kandel (1976) ha dato evidenza empirica alle assunzioni di Hebb. Studiando il
sistema di una lumaca marina, la Aplisia californica, egli ha messo in evidenza che, nei
processi di apprendimento connessi con i fenomeni di assuefazione e di
sensibilizzazione, gli assoni attivi, si ramificano e propagano nuove connessioni per la
formazione di nuove sinapsi.
La maggior parte delle strutture cerebrali è in grado di apprendere dall’esperienza
poiché le proprietà delle loro sinapsi possono essere modificate dall’esperienza. In
questo ambito la scoperta del potenziamento a lungo termine (PLT) fatta da Bliss e
Lømo (1973) ha segnato un importante passo in avanti per capire la plasticità neurale
e per spiegare l’apprendimento. Il PLT consiste nell’applicazione di uno stimolo
potenziante a una via nervosa; a seguito di questo stimolo potenziante la risposta
sinaptica aumenta notevolmente rispetto alla risposta standard e si mantiene per ore.
Si è visto che il PLT crea nuove connessioni sinaptiche grazie alla liberazione di
neurotrofine (molecole stimolanti per la sopravvivenza e la crescita dei neuroni) da
parte della cellula post-sinaptica. Parimenti il PLT svolge una funzione centrale
nell’elaborazione dell’informazione e nel mantenimento dei ricordi attraverso la sintesi
di proteine che possono durare tutta la vita, anche se i collegamenti sinaptici durano
pochissimo. In particolare, si è distinto tra PLT precoci e PLT tardivi, ritenuti omologhi,
rispettivamente, della memoria di lavoro e della memoria a lungo termine.
Metodi d’indagine
Metodo sperimentale (cfr. esperimenti di Pavlov e Skinner)
Applicazioni cliniche
La più nota tra le applicazioni cliniche dei principi dell’apprendimento è certamente la
terapia del comportamento, un approccio psicoterapico, basato sul presupposto che la
maggiorparte dei disturbi psicopatologici sia il risultato dell’apprendimento di pattern
di risposta inadeguati e perciò disadattavi. Le metodiche terapeutiche si sono evolute
in questi ultimi decenni integrando il corpus di ricerca del condizionamento classico
con quello del condizionamento operante, e quello prettamente comportamentale con
quello cognitivo. Il panorama è, quindi, ampio e variegato: si incontrano termini che
fanno riferimenti a diversi modelli: behavior analysis (analisi del comportamento),
behavior modification (modificazione del comportamento), cognitive-behavior therapy
(terapia cognitivo-comportamentale), analisi e terapia del comportamento, ingegneria
comportamentale.
• Applicazioni derivate dal condizionamento classico. Il condizionamento
classico è stato spesso considerato un paradigma essenzialmente di laboratorio
e utilizzato principalmente nella ricerca sugli animali, ma l’acquisizione di
risposte condizionate rappresenta un meccanismo di adattamento che riguarda
tutti gli esseri viventi. Nell’uomo è stato studiato il condizionamento di varie
risposte, come quella di salivazione, con stimoli fisici e verbali, e quella di
contrazione della pupilla tramite il suono di una campanella. Inoltre, è stata
condizionata una gamma di risposte come quella psicogalvanica, le alterazioni
termiche, le reazioni vasomotorie e il ritmo cardiaco che hanno permesso la
costituzione della tecnica del biofeedback, una procedura in base alla quale il
soggetto impara ad acquisire il controllo su una funzione (viscerale o somatica)
mediante l’ausilio di un segnale esterno, il feedback che, derivato dalla funzione
stessa che si vuole controllare, viene “rimandato”, retroazionato al soggetto. Le
aree di applicazione di tale terapia riguardano pazienti che presentano problemi
di autoregolazione a livello muscolo-scheletrico, viscerale, con lo scopo,
attraverso una serie di prove di apprendimento, di riequilibrare una funzione
alterata da precedenti apprendimenti inadeguati (tuttavia, non sempre i risultati
ottenuti in campo sperimentali sono stati seguiti da convincenti dimostrazioni
dell’efficacia del metodo in ambito clinico). Oltre a queste risposte, il
condizionamento classico può riguardare nell’uomo l’apprendimento di risposte
emozionali specifiche, tra cui in primo piano vi sono paure e fobie. La paura è
una risposta incondizionata provocata da stimoli pericolosi, spiacevoli o
dolorosi. La reazione di paura davanti a un pericolo ha una funzione adattiva
per l’individuo. La paura in quanto risposta non si apprende: ciò che si apprende
è il fatto di aver paura di alcune cose e non di altre. Talvolta la risposta di paura
è irrazionale, incontrollata e originata da stimoli e situazioni “normali” o,
comunque, non pericolosi: se non vi è più funzione adattiva per l’organismo
significa che si è instaurata una fobia. Le fobie possono essere, quindi, il
risultato di condizionamenti casuali a stimoli insignificanti.
L’osservazione, fatta sin dai tempi di Pavlov, della possibilità di modificare il
comportamento in modo stabile attraverso metodiche di condizionamento, fino
all’induzione delle cosiddette “nevrosi sperimentali” (esperimenti sui ratti), è
stata il punto di partenza per la costruzione di una serie di pratiche basate sul
condizionamento e miranti alla terapia del comportamento patologico. Questo
comportamento, che può avere il valore di sintomo (come nelle fobie) o essere
l’atto attraverso il quale si concretizza la patologia (come l’atto di bere negli
alcolisti), viene trattato come tale e non analizzato per il suo significato
profondo.
All’inizio degli anni ’20, Watson tentò di applicare sperimentalmente alcuni
principi del condizionamento allo studio e alla terapia di paure e fobie. È famoso
il caso del “piccolo Albert” . Albert era un bambino di 11 mesi a cui fu indotta
sperimentalmente una risposta condizionata di paura nei confronti di una
piccola cavia bianca, associando la presenza di questa a un forte rumore
improvviso; dopo solo sette presentazioni dei due stimoli accoppiati, la semplice
vista della cavia provocava una reazione condizionata di paura che si
generalizzò presto ad altri stimoli percettivamente simili. Con questo
esperimento Watson intendeva dimostrare che era possibile spiegare la genesi
di alcune reazioni di paura in base alle leggi conosciute dell’apprendimento e
del condizionamento e contemporaneamente ipotizzava la possibilità di
applicare le stessi leggi a scopo terapeutico: “Tale condizionamento potrebbe
essere superato adottando quattro possibili soluzioni: l’estinzione sperimentale,
attività costruttive sull’oggetto temuto, il ricondizionamento o provocando una
competizione con la paura”.
Il decondizionamento della paura per mezzo della presentazione di uno stimolo
“competitivo” gradito si diffuse soltanto dopo trent’anni, riproposto dal
sudafricano J. Wolpe con il termine “inibizione reciproca” . Più precisamente si
può definire l’inibizione reciproca come una modalità della terapia
comportamentale che si rifà al controcondizionamento, ovvero all’inibizione di
una risposta patologica per mezzo di una risposta che si pone in competizione
con l’attivazione ansiosa che ne è il punto di partenza. L’applicazione delle
conoscenze sperimentali e dei principi dell’apprendimento all’ambito clinico
prende il nome di “terapia del comportamento”, un approccio che si è evoluto
gradualmente. Il termine behavior therapy è stato introdotto più o meno
indipendentemente da tre gruppi di ricercatori separati: Skinner, Solomon e
Lindsley (1953) negli Stati Uniti, Lazarus (1958) in Sud Africa e il gruppo inglese
guidato da Eysenck (1958). Wolpe preferì inizialmente il termine “psicoterapia
per inibizione reciproca”. Nel trattamento delle nevrosi umane Wolpe,
richiamandosi a Watson, utilizzò il rilassamento muscolare profondo come
antagonista dell’ansia, unitamente alla presentazione graduale degli stimoli
ansiogeni: tale tecnica è stata chiamata “desensibilizzazione sistematica” e si è
rivelata molto efficace nel trattamento di un’ampia gamma di disturbi fobici.
Nello specifico, l’ansia connessa a comportamenti indesiderati si può collocare a
diversi livelli di profondità. Se essa si situa a livello superficiale può essere
sufficiente un procedimento di “desensibilizzazione rassicurativa”, per il quale la
situazione d’ansia viene sdrammatizzata con ripetute affermazioni correttive.
Nel caso di forme d’ansia che si manifestano nell’interazione sociale, la
modalità più idonea di trattamento consiste nell’incoraggiamento di pulsioni e
sentimenti che dall’ansia (profonda o di base) sono stati inibiti. Tali pulsioni, per
ostacolare l’emergenza delle quali si era sviluppata l’ansia, vengono favorite
nella loro espressione o attraverso una serie di affermazioni verbali o anche
attraverso delle “prove di comportamento” che rendono tangibili e “innoque” le
pulsioni affettive sottostanti al comportamento da correggere. Una forma di
“desensibilizzazione avversativa” si rivela più adatta a trattare le abitudini
ossessive o coatte. Un esempio tipico è quello dell’alcolismo: degli stimoli
dolorosi, in origine degli shock elettrici e ora dei farmaci che rendono nauseante
l’assunzione di alcolici, vengono applicati contemporaneamente
all’instaurazione del comportamento sgradito in modo che esso venga associato
allo shock e gradualmente evitato. L’evitamento così raggiunto può essere
attivo per lungo tempo, anche in assenza di rinforzo. Questa metodica è stata
usata anche nel trattamento di enuresi, bulimia, in certe forme di omosessualità
secondaria ecc. Una forma particolare di decondizionamento è la
“desensibilizzazione sistematica”. Elementi caratterizzanti sono l’induzione nel
paziente di uno stato di rilassamento muscolare tale da antagonizzare la
risposta ansiosa a livello somatico e la desensibilizzazione graduata secondo
una ordinata e refratta presentazione degli stimoli ansiogeni. Il rilasciamento si
può ottenere con delle tecniche che interessano uno ad uno i singoli gruppi
muscolari (come la metodica di Jacobson) oppure attraverso la trance ipnotica o
con l’ausilio di farmaci sedativi. Attraverso un analisi accurata si può stabilire
una precisa gerarchia degli stimoli ansiogeni per il singolo soggetto. Al paziente,
in stato di rilasciamento, viene presentato (o semplicemente fatto evocare
mentalmente) lo stimolo che ha il più basso grado di ansiogenicità nella sua
personale gerarchia, fintanto che esso non susciti alcuna reazione ansiosa. Il
processo passa poi a oggetti e situazioni successive per intensità di reazione
ansiosa normalmente evocata nel soggetto, in modo molto graduale e preciso
fino ad ottenere l’estinzione della risposta anche di fronte alle situazioni al
vertice della gerarchia. La gradualità è essenziale in quanto l’eventuale
scatenamento di un’ansia incontrollabile porterebbe al rinforzo e alla
generalizzazione della risposta indesiderata anche di fronte a stimolazioni
situate ad un livello inferiore della gerarchia. Si è osservato chela fase del
trattamento è facilitata dalla esposizione reale (in vivo) alla situazione temuta,
dalla desensibilizzazione di gruppo e dall’osservazione di un altro soggetto
(Bandura, 1968) che si avvicina senza subire conseguenze alla situazione
temuta.
• Applicazioni derivate dal condizionamento operante. Le tecniche di
matrice operante possono essere applicate all’apprendimento di nuovi
comportamenti adattivi, al potenziamento di comportamenti già presenti ma
deboli o poco frequenti o all’eliminazione-riduzione di condotte disadattive.
Si può ottenere il superamento di risposte disadattive attraverso la
gratificazione delle risposte che si orientano ad un modello di comportamento
alternativo. Questo processo viene chiamato ricondizionamento positivo.
Nell’uso terapeutico, le due modalità principali sono il rinforzo positivo e lo
shaping (modellamento). Nel rinforzo positivo il terapeuta parte dal
frazionamento della risposta desiderata in tante piccole parti attraverso
l’evocazione graduale di ogni risposta che sia orientata nella direzione
prefissata e nella sua gratificazione immediata. Attraverso lo shaping vengono
sistematicamente rinforzate le risposte che si avvicinano progressivamente al
comportamento-meta, finché il soggetto arriva ad acquisire un’abilità nuova
rispetto al suo repertorio iniziale; a differenza del rinforzo positivo, esse non
vengono evocate dal terapeuta, ma si attende che compaiano spontaneamente
(questa è la stessa tecnica utilizzata dai domatori). Risulta importante dal punto
di vista tecnico: l’immediato rinforzo del segmento d’azione compatibile col fine
prefissato; non rinforzare eccessivamente, ma neanche troppo scarsamente una
risposta approssimativa; definire con precisione quali risposte rinforzare ad ogni
stadio successivo della terapia. La gratificazione dev’essere adattata a ogni
singolo individuo e può anche corrispondere all’eliminazione di uno stimolo
avversivo, alla riduzione di uno stato di bisogno ecc. Ancora più che in ambito
terapeutico questa tecnica è utilizzata (in modo consapevole e non) nella scuola
e nelle tecniche di propaganda (il riconoscimento di carattere sociale –
identificazione con il leader o l’eroe collettivo – agisce da gratificazione
rinforzante). Il prompting consiste nell’uso strategico di stimoli discriminativi
allo scopo di aiutare il soggetto nel processo di apprendimento. Con il fading
questi stimoli discriminativi supplementari, forniti inizialmente dal terapeuta,
vengono progressivamente eliminati per permettere la normale autonomia del
comportamento. Con il chaining si predispone una sequenza di stimoli che
rende più facile l’apprendimento di comportamenti complessi.
L’estinzione è una procedura utilizzata per favorire l’eliminazione di un
comportamento disadattivo impedendo la comparsa di uno stimolo
incondizionato o di un rinforzo. Secondo la definizione di Dunlap, l’estinzione
consiste nella ripetizione sistematica e sistematicamente non premiata da alcun
rinforzo positivo del comportamento non desiderato o patologico, la quale è
anche stata anche denominata “pratica negativa”. La mancanza sistematica del
rinforzo e la ripetizione massiva indeboliscono re attivamente il comportamento
indesiderato e sembra che questo metodo sia efficacemente utilizzabile per
correggere le abitudini motorie sgradite, come i tics. Il costo della risposta
implica la perdita dei vantaggi, consapevoli o inconsapevoli, che mantengono
molti comportamenti disadattavi. Le tecniche di controllo dello stimolo
prevedono l’attenuazione o l’eliminazione di un determinato contesto di stimoli
da un determinato contesto degli stimoli che favoriscono la comparsa dei
comportamenti disadattivi. I contratti comportamentali implicano la stipula di
un vero e proprio contratto tra il terapeuta e il cliente che stabilisce
esplicitamente i vantaggi di ogni nuovo apprendimento e gli eventuali costi per
il mancato progresso.
Queste tecniche possono apparire di semplice applicazione, ma non è così. Tra le
difficoltà vi sono: la corretta analisi del caso, la contestualizzazione e la
individualizzazione dei principi, la flessibilità terapeutica necessaria per monitorare, e
se necessario modificare, gli interventi.
Altre tecniche terapeutiche: oltre alla già citata desensibilizzazione sistematica: il
flooding consente di ottenere l’estinzione di una risposta d’ansia “inondando” il
soggetto e impedendo, così, il comportamento di evitamento ad essa collegato. Con la
tecnica dell’arresto del pensiero il terapeuta addestra il paziente a interrompere il
corso dei pensieri ricorrenti e ansiogeni. Le tecniche di autocontrollo più utilizzate
sono il self-instructional training, che mira allo sviluppo dell’autoconsapevolezza del
paziente riguardo la dipendenza del comportamento indesiderato da valutazioni e
istruzioni e alla modifica di tali istruzioni e valutazioni, e lo stress inoculation training,
che consiste nell’attivazione intenzionale di situazioni ansiogene o stressanti che il
soggetto deve affrontare mettendo in pratica le procedure apprese nel corso del
training. Infine, il training di assertività mira ad aumentare le abilità sociali
dell’individuo in modo da risolvere positivamente i problemi d’ansia legati ai rapporti
sociali.
• Applicazioni derivate dall’approccio cognitivo. Accanto a queste classiche
tecniche comportamentali, sono state messe a punto tecniche derivate dalla
teoria cognitivista, che presuppone che i disturbi del comportamento siano
anche il risultato di schemi di pensiero disadattivo. Secondo Ellis (1962),
esistono, infatti, alcune “convinzioni irrazionali” che incrementano la probabilità
di una valutazione erronea delle situazioni (pensiero polarizzato,
personalizzazione ecc). Il compito della terapia è quello di mettere in grado il
paziente di riconoscere e, quindi, modificare questi pensieri disadattavi.
Beck (1976) propone alcune procedure per modificare i processi disadattavi del
pensiero che impiegano tecniche sia comportamentali sia cognitive. I metodi
comportamentali comprendono l’individuazione di schemi di attività, la
presentazioni di compiti graduati che forniscono esperienze di controllo e di
successo, e l’assegnazione di “compiti a casa” (diario, schede di
automonitoraggio). I metodi cognitivi si incentrano sulle capacità di ridurre il
problema, di prendere le distanze e di decentrarsi: identificati i pensieri
automatici, si invita il paziente a concentrarsi sugli errori di pensiero (che
possono essere dovuti a fattori di personalizzazione, di polarizzazione, di
ipergeneralizzazione) per acquisire la consapevolezza di commettere
costantemente un errore. Il passo successivo è l’elaborazione di alternative. Le
tecniche da usare per la produzione di alternative possono essere stabilite in
relazione all’errore cognitivo commesso nel giungere alla conclusione iniziale.
Se l’errore è la personalizzazione il compito consiste nel riuscire a decentrarsi;
se l’errore è la polarizzazione, il compito consiste nel produrre alternative
intermedie; quando l’errore cognitivo è l’ipergeneralizzazione, si tenta di
spiegare al paziente la conclusione cui è giunto, specificando i dati che la
sostengono.
Le tecniche di ristrutturazione cognitiva hanno come obbiettivo la revisione e la
riformulazione delle convinzioni che regolano lo stile rappresentativo del
paziente nei confronti del suo problema. In particolare, la tecnica di
ristrutturazione razionale sistematica pone in risalto il ruolo delle convinzioni
irrazionali e mira alla loro modificazione. La tecnica del problem solving, invece,
è finalizzata allo sviluppo di una strategia generale per far fronte alle situazioni
problematiche con modalità più originali ed efficaci. Le tecniche di
immaginazione modificativa comprendono la tecnica del turn-off, mediante la
quale si addestra il paziente a interrompere una fantasia ansiogena autonoma
per mezzo di un input sensoriale e a sostituirla con una fantasia piacevole e la
tecnica di modellamento e sostituzione delle immagini. Rientrano ancora fra le
tecniche cognitivo-comportamentali la misurazione in scala, finalizzata al
ridimensionamento delle interpretazioni estreme per contrastare il tipico
pensiero dicotomico, la riattribuzione, cioè la rassegnazione delle responsabilità
per quanto concerne azioni e risultati, la valutazione di costi e benefici nel
mantenere o modificare convinzioni e comportamenti e la decatastrofizzazione,
per rendere il paziente in grado di riconoscere e contrastare la tendenza a
prefigurare esclusivamente le conseguenze deleterie delle situazioni. Infine, una
tipica tecnica che riassume tutte le caratteristiche dell’approccio cognitivo
comportamento è il modeling. Esso si basa sul principio che il comportamento
sia modificabile oltre che dall’esperienza diretta di un soggetto, per vicarianza,
dalle conseguenze osservate su un modello. L’apprendimento osservativo
funziona quindi in modo molto simile a quello operante, solo che il soggetto
impara per interposta persona, senza mettere in atto in prima persona un
comportamento e senza sperimentarne le conseguenze. In questo modo il
terapista può insegnare al proprio paziente ad affrontare certe situazioni senza
temere catastrofiche conseguenze, mostrando lui stesso che ciò che avviene
non è pericoloso. Il principio di base si può declinare poi in diversi modi, per
esempio unendolo a istruzione, come nel coaching.