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5.

APPRENDIMENTO
Darwin e la teoria dell’evoluzione
L’uomo, come le specie animali, per adattarsi all’ambiente dispone di due meccanismi:
l’evoluzione biologica e l’apprendimento. Il primo meccanismo è costituito dalla
selezione delle caratteristiche che permettono alla specie di adattarsi alle variazioni
macroscopiche e di lungo periodo dell’ambiente; ciò avviene mediante la
sopravvivenza degli individui che possiedono, in base alla variabilità interindividuale, i
caratteri che meglio consentono la vita in quell’ambiente. L’apprendimento assicura la
sopravvivenza di un organismo nella misura in cui permette a questo di adattarsi, cioè
di reagire nel modo appropriato e in tempi rapidi, alle molteplici richieste di
cambiamento provenienti dall’ambiente. Darwin per primo mise in evidenza come
modificazione biologica e apprendimento interagiscano modificando reciprocamente il
loro effetto. Il processo di selezione naturale delle caratteristiche biologiche è
profondamente influenzato dall’apprendimento di alcuni nuovi comportamenti che
rendono più facile e probabile la trasmissione di quelle caratteristiche biologiche,
casualmente possedute da alcuni individui, che consentono l’adattamento. Gli
evoluzionisti e, più generalmente, quanti accettavano i postulati darwiniani, come i
funzionalisti prima e i comportamentisti poi, cercarono di individuare i meccanismi che
nell’uomo come nelle altre specie rendono possibili le modificazioni in senso adattivo.
Ciò implicava l’ammissione che il comportamento umano e animale non fosse
totalmente predeterminato dal patrimonio genetico (innato), ma potesse, almeno in
parte, cambiare per effetto delle pratiche ed esperienze di vita. Poiché il processo di
apprendimento non è direttamente osservabile, ma solo inferibile dalla comparazione
di più prestazioni degli individui (antecedenti e successive a una sollecitazione
ambientale o stimolazione sperimentale), sono stati accentuati gli aspetti esecutivi (le
modificazioni di comportamento o attività cui da luogo), le condizioni per
l’instaurazione (l’esecuzione, la ripetizione), i caratteri temporali (la persistenza delle
modificazioni dei comportamenti e, quindi, l’acquisizione in memoria di “tracce”).

Definizione e classificazione
L’apprendimento nella sua accezione più ampia può essere definito come “ogni
modificazione relativamente permanente del comportamento che ha luogo per effetto
dell’esperienza”, ponendo in evidenza come esso rappresenti il processo sottostante
la formazione di abitudini, intese come associazioni tra stimoli provenienti dal mondo
fisico e risposte costruite in comportamento da un individuo. Non tutto
l’apprendimento rientra però in questa accezione: vi sono infatti apprendimenti più
complessi che possono essere spiegati in base a processi cognitivi, quali percezione,
attenzione, comprensione e memoria. Ciò che accumuna tutte le definizioni di
apprendimento è la sua considerazione di fenomeno psichico legato all’esperienza e
all’esposizione a uno stimolo. È possibile distinguere l’apprendimento dalla
maturazione (che non considera l’esposizione a nessuno stimolo, ma è basata sullo
sviluppo e l’affermarsi di variabili interne all’individuo e alla specie) e affermare che
tale processo è legato ai cambiamenti che nel complesso tendono ad aumentare le
differenze tra gli individui.
Il cambiamento è un concetto strettamente legato all’apprendimento:
l’apprendimento, infatti, implica un cambiamento nell’interazione tra il
comportamento e di un organismo e gli eventi ambientali. Il cambiamento trova,
dunque, la sua origine e il suo catalizzatore nell’ambiente. Ogni organismo che vive in
un ambiente può percepire, per mezzo dei sensi, le variazioni, qualitative o
quantitative, dell’ambiente stesso: queste variazioni percepibili dell’ambiente sono
dette stimoli, o “situazione” o “evento stimolo”. Un evento ha effetto sul
comportamento di un individuo solo se possiede una funzione-stimolo: questo termine
descrive la specifica ed effettiva azione di un evento su un dato individuo che dipende
sia dalle caratteristiche naturali dello stimolo sia dalla storia di interazioni del
soggetto. Il cambiamento ha come oggetto la risposta, o meglio le classi di risposta. Le
modalità di risposta possono essere classificate in due categorie: le risposte elicitate e
i comportamenti emessi. Le prime sono reazioni che conseguono automaticamente
alla presentazione di uno stimolo, si verificano prevalentemente a livello fisiologico e
costituiscono generalmente una reazione adattiva alle modificazioni ambientali. I
comportamenti emessi rappresentano il modo in cui un organismo modifica, in modo
più o meno adattivo, l’ambiente. La relazione organismo-ambiente consiste
psicologicamente nella relazione mutua e inscindibile tra evento-stimolo e
comportamento. Questa relazione è influenzata da una terza variabile, il contesto,
definito come l’insieme degli elementi situazionali che fanno da sfondo a una
particolare situazione. Ogni relazione organismo-ambiente può essere modificata dal
contesto in cui avviene nella forza, nella valenza e nelle caratteristiche delle funzioni
particolari dello stimolo e della risposta implicati.
Vi sono però dei cambiamenti che non sono dovuti all’apprendimento. Secondo
Hilgard e Bower (1975) “il concetto di apprendimento si riferisce al cambiamento
del comportamento di un soggetto di fronte a una data situazione, per il fatto che
quella situazione sia stata sperimentata ripetutamente, ammesso che il cambiamento
del comportamento non possa essere spiegato in base a tendenze innate alla risposta,
alla maturazione o a stati temporanei del soggetto”. Rientrano in questa categoria
fattori fisiologici e patologici, i riflessi, gli istinti e i tropismi, la maturazione (che porta
a modificare le sequenze di comportamenti attraverso stadi regolari,
indipendentemente dalla pratica sopravvenuta), l’affaticamento e l’abitudine, i
processi di pensiero (come il problem solving e il ragionamento deduttivo, che portano
a comportamenti indipendenti dalle esperienze effettive).
Esistono due tipi principali di apprendimento: non associativo e associativo.
L’apprendimento non associativo è quello relativo a un singolo stimolo e include
l’abituazione (o assuefazione) e la sensibilizzazione. L’abituazione è la progressiva
diminuzione della forza di una risposta al ripetuto ripresentarsi di uno stimolo innocuo.
Davanti a uno stimolo nuovo o inusuale per una data situazione si ha, generalmente,
un insieme di reazioni fisiologiche e motorie (risposta di orientamento). Se tale
stimolo, però, si ripete più volte nel tempo subentra una progressiva indifferenza. La
sensibilizzazione è invece caratterizzata dall’aumento della risposta comportamentale
a una stimolo inteso. Tipicamente si verifica quando si presenta a un organismo uno
stimolo nocivo o minaccioso. Secondo alcuni autori, abituazione e sensibilizzazione
non possono essere considerati apprendimento in senso stretto, anche se in un certo
modo ne rappresentano le premesse.
L’apprendimento associativo è molto più complicato di quello non associativo, perché
implica l’apprendimento delle relazioni tra gli eventi. Include: il condizionamento
classico, il condizionamento operante e il cosiddetto apprendimento complesso. Il
condizionamento classico e quello operante implicano entrambi la formazione di
associazioni: cioè, l’apprendimento che certi eventi si verificano insieme. Nel
condizionamento classico, l’organismo apprende che a un evento ne segue un altro;
nel condizionamento operante, l’organismo apprende che la sua risposta avrà una
particolare conseguenza. L’apprendimento complesso implica qualcosa di più del
formarsi di associazioni.
Un'altra classificazione dei tipi di apprendimento è quella proposta da Gagné nel suo
modello gerarchico del 1965, in cui gli apprendimenti sono ordinati dal più semplice al
più complesso:
- condizionamento classico o pavloviano
- apprendimento stimolo-risposta (condizionamento operante di Skinner)
- apprendimento motorio come concatenazione tra stimoli e risposte di
movimenti semplici e complessi
- apprendimento di associazioni verbali (per es. acquisizione di nomi degli
oggetti)
- apprendimento di discriminazioni (per es. imparare a leggere distinguendo le
lettere)
- apprendimento di concetti (raggruppare oggetti appartenenti alla medesima
categoria)
- apprendimento di regole
- soluzione di problemi
- apprendimento degli adulti e apprendimento dall’esperienza.
Le prime ricerche sull’apprendimento sono state eseguite partendo dal punto di vista
comportamentista, spesso basato sui seguenti assunti: il comportamento si
comprende meglio in termini di cause esterne, piuttosto che interne; le associazioni
semplici sono il fondamento dell’apprendimento; e le leggi dell’apprendimento sono le
stesse, per specie e situazioni diverse. Questi assunti sono stati modificati alla luce
delle ricerche successive.

Il condizionamento classico (Pavlov, 1903)


Il condizionamento classico è un processo appreso in cui uno stimolo
precedentemente neutrale si associa con un altro stimolo, a seguito di ripetute
presentazioni abbinate.
Lo studio del condizionamento è iniziato nei primi anni del XX secolo quando I. Pavlov,
fisiologo russo che vinse nel 1904 il premio Nobel per le sue ricerche sulla digestione,
rivolse la sua attenzione all’apprendimento. Studiando l’apparato digerente del cane,
si era accorto che l’animale cominciava a salivare alla semplice vista della ciotola o
sentendone il rumore: il semplice concetto di riflesso non era quindi sufficiente a
spiegare la meccanica della secrezione del succo gastrico. Per spiegare questi
fenomeni, Pavlov allestì una procedura sperimentale, di seguito illustrata.
Per prima cosa viene applicata una fistola alla ghiandola salivare del cane, per
misurare il flusso della saliva. Quindi si pone l’animale di fronte a un recipiente in cui
può essere versata, in modo automatico, della carne liofilizzata. Il ricercatore accende
una luce (o produce un suono con una campanella). Dopo alcuni secondi, si versa
automaticamente un po’ di carne nel recipiente e la luce si spegne. Il cane è affamato
e lo strumento registra un abbondante salivazione. Questa salivazione è una risposta
incondizionata o RI (una risposta innata, non appresa, elicitata da uno stimolo
incondizionato) poiché non è necessario alcun apprendimento, affinché il cibo provochi
salivazione. Di conseguenza la carne liofilizzata rappresenta uno stimolo
incondizionato o SI (uno stimolo che elicita automaticamente una risposta, senza
precedente condizionamento). Dopo alcune presentazioni della luce seguita carne
liofilizzata, il cane comincia a salivare in risposta alla luce, persino se non riceve il cibo
subito dopo. Questa salivazione anticipatoria è una risposta condizionata o RC
(risposta appresa), mentre la luce è diventata uno stimolo condizionato o SC (stimolo
appreso). Sebbene la luce fosse originariamente uno stimolo neutro, il cane ha
appreso ad associare la luce con il cibo e a rispondere con la salivazione.
A una correlazione permanente tra un agente esterno e una risposta dell’organismo si
è, quindi, aggiunto un nuovo legame temporaneo tra uno degli innumerevoli fattori
ambientali percepiti dall’animale e una determinata reazione presente nel repertorio
dell’organismo. Questo processo in base al quale uno stimolo neutro acquista la
capacità di produrre la risposta prodotta precedentemente dallo SI, fu chiamato
“condizionamento”.
Pavlov distinse tra stimoli capaci di provocare delle risposte da parte dell’organismo in
modo spontaneo (SI) e stimoli che possono provocarle (SC). Il valore adattivo degli SC
per la sopravvivenza dell’individuo è elevato: attraverso il condizionamento, infatti,
l’organismo è in grado di reagire non solo a taluni stimoli adeguati, ma anche a quei
segnali che l’esperienza ha trasformato in stimoli dotati di uno specifico significato.
Per poter essere uno SC, uno stimolo deve possedere almeno tre caratteristiche:
essere percepibile nel limite delle caratteristiche sensoriali dell’organismo, non
provocare una risposta simile a quella provocata dallo SI, non essere troppo intenso
(per evitare che si verifichi una vera e propria RI). Lo SI, a sua volta, deve avere quale
caratteristica principale quella di provocare una risposta specifica, con alto grado di
probabilità. Tra SC e SI devono essere rispettate alcune relazioni temporali: se l’inizio
di SI precede quello di SC, si ha condizionamento; con l’ordine inverso non si evidenzia
condizionamento; con una presentazione simultanea si ottiene sovente, anche se con
difficoltà, il condizionamento. L’intervallo ottimale tra SI e SC è intorno a 0,5 secondi.
Si parla di condizionamento di secondo livello quando un SC produce una RC pur non
essendo mai stato associato con uno SI. L’esistenza del condizionamento di secondo
livello aumenta considerevolmente la sfera del condizionamento, specialmente negli
esseri umani. Affinché avvenga il condizionamento è necessario l’abbinamento di uno
stimolo con un altro, purché quest’ultimo sia stato in precedenza a uno stimolo
biologicamente significativo
• Generalizzazione e discriminazione.
Quando una RC è associata con un particolare stimolo, stimoli simili
evocheranno la medesima risposta. Quanto più i nuovi stimoli sono simili allo SC
originale, tanto più probabilmente sono in grado di evocare la RC. Questo
principio è chiamato generalizzazione e può spiegare l’abilità a reagire a nuovi
stimoli, purché simili ad altri familiari. Esistono due tipi di generalizzazione:
quello primario, in cui la risposta è generalizzata in base alla presenza di
somiglianze fisiche, e quello secondario, in cui la risposta è basata su
somiglianza tra gli stimoli, non fisica, ma appresa (di tipo simbolico,
emozionale..).
Mentre la generalizzazione è una reazione a fenomeni simili, la discriminazione
è un processo di risposta alle differenze.
• Fasi del condizionamento.
Ogni presentazione abbinata di uno SC e uno SI si chiama prova. Le prove
durante le quali il soggetto apprende l’associazione tra i due stimoli
costituiscono lo stadio di acquisizione del condizionamento. Durante questo
stadio, i ripetuti abbinamenti tra SC e SI rafforzano l’associazione tra i due. Il più
grande cambiamento nell’ampiezza della RC si verifica nelle prime prove, dopo
il cambiamento è scarso. Se lo SI è ripetutamente omesso, la RC diminuirà
gradualmente e si verificherà l’estinzione.
L’estinzione corrisponde all’apprendimento che lo SC non è più predittivo dello
SI. Non si tratta di cancellare l’apprendimento dell’originale associazione SI-SC:
nei fatti, l’estinzione prevede la formazione di una nuova memoria SC-“assenza
dello SI” che inibisce l’espressione dell’associazione SI-SC.
La preservazione dell’associazione originale è dimostrata dal fenomeno del
recupero spontaneo, che consiste nella ricomparsa della RC dopo un periodo di
riposo e senza ulteriore addestramento.
Infine, reintroducendo lo SI, si ottiene un rapido ri-apprendimento, detto
riacquisizione.
Le fasi del condizionamento quindi sono: acquisizione, estinzione, recupero
spontaneo, riacquisizione.
È possibile condizionare sperimentalmente anche l’uomo, in situazione di laboratorio;
nell’uomo sono osservabili inoltre moltissimi condizionamenti prodottisi nella vita
quotidiana.
A livello fisiologico, il condizionamento è ritenuto essere sotto il controllo del Sistema
Nervoso Autonomo. Le risposte viscerali più frequentemente studiate nell’uomo, in
laboratorio, sono:
- la risposta salivare
- la risposta gastrointestinale
- le reazioni vasomotrici
- la frequenza e il ritmo cardiaco
- il ritmo respiratorio
- la reazione psico-galvanica
L’analisi contemporanea dell’apprendimento ha integrato i principi del
condizionamento classico con i fattori cognitivi e i vincoli biologici:
- fattori cognitivi: affinché avvenga il condizionamento lo SC deve essere un
predittore attendibile dello SI; ciò vuol dire che ci deve essere una maggiore
probabilità che compaia lo SI dopo che è stato presentato lo SC, piuttosto che in
sua assenza;
- vincoli biologici: secondo gli etologi quello che un animale impara è vincolato
dai suoi “programmi comportamentali”, geneticamente predeterminati . Una
prova di questi vincoli viene dagli studi sul disgusto. I ratti imparano subito ad
associare la sensazione di malessere con il sapore di una soluzione, ma non
riescono ad imparare ad associare il malessere con una luce. Al contrario gli
uccelli possono imparare ad associare luce e malessere, ma non sapore e
malessere.

Il condizionamento operante (Thorndike, 1898; Skinner, 1938)


Un altro paradigma metodologico per lo studio dei processi di apprendimento è quello
del condizionamento operante, come è stato denominato da Skinner: tale termine si è
sostituito a quelli di “apprendimento strumentale” (Hildgard & Marquis, 1940) e di
“condizionamento di secondo tipo” (Miller & Konorsky, 1926). Questo paradigma
permette di studiare i comportamenti e gli apprendimenti complessi, più a fondo di
quanto non sia possibile con il paradigma pavloviano. Vi sono, infatti, molteplici forme
di adattamento all’ambiente, soprattutto nell’uomo, che sono la risultante di attività
spontanee dell’individuo, indipendenti da una specifica situazione stimolo.
L’organismo di solito non resta passivo nel suo ambiente , ma entra in interazione con
moltissimi stimoli che discrimina, seleziona e concorre a modificare per effetto
dell’interazione stessa. Proprio perché l’organismo agisce sul mondo esterno, lo
schema pavloviano non riesce a dar ragione di come esso concretamente operi: esso
deve venire completato da un altro paradigma d’indagine dei comportamenti adattivi,
per quanto riguarda gli aspetti più propriamente “attivi”.
Nel condizionamento classico, la RC spesso somiglia alla risposta normale allo SI (ad
es. la salivazione); ma quando si vuole insegnare ad un organismo qualcosa di nuovo,
non si può usare il condizionamento classico. Nel condizionamento operante, si
apprendono certe risposte perché operano sull’ambiente, cioè lo influenzano.
L’organismo non si limita a rispondere all’ambiente come nel condizionamento
classico, ma si comporta in modi designati a produrre alcuni cambiamenti nel suo
ambiente. Cioè il comportamento degli individui è strumentale a ottenere gli esiti
desiderati. Quando un organismo mette in atto un determinato comportamento, però,
la probabilità che l’azione sia ripetuta dipende dalle sue conseguenze. Il
condizionamento operante equivale ad imparare che un particolare comportamento
porta ad un particolare risultato (Rescorla, 1987). Come il condizionamento classico, il
condizionamento operante implica l’apprendimento delle relazioni tra gli eventi, in
questo caso tra risposte ed esiti.
Lo studio del condizionamento operante è iniziato alla fine del XX secolo con una serie
di esperimenti eseguiti da E. L. Thorndike. Questo studioso, influenzato da Darwin e
James e convinto delle asserzioni di Lloyd Morgan circa la spiegazione dei
comportamenti intelligenti negli animali come risultato di sequenze di prove ed errori
connesse alle esperienze passate, eseguì esperimenti con animali di varie specie,
immessi in situazioni tipo labirinti o problem boxes. Ad es. in un tipico esperimento si
mette un gatto affamato in una gabbia, la cui porta è tenuta chiusa da una semplice
serratura a scatto, e si sistema un pezzo di pesce appena fuori dalla gabbia. All’inizio,
il gatto cerca di raggiungere il cibo sporgendo le zampe dalle sbarre. Dato che questo
non serve a raggiungere il cibo, il gatto comincia a muoversi per la gabbia, mettendo
in atto un certo numero di comportamenti diversi. Ad un tratto, tocca inavvertitamente
la serratura a scatto, si libera e mangia il pesce. I ricercatori allora rimettono il gatto
nella gabbia e sistemano un nuovo pezzo di pesce fuori. Il gatto mette in atto
all’incirca gli stessi comportamenti, finché ancora una volta per caso tocca la serratura
a scatto. La procedura è ripetuta più volte. Nel corso delle prove, il gatto scarta molti
dei suoi comportamenti inutili e finalmente riesce ad aprire la serratura e liberarsi
subito dopo essere stato messo in gabbia. Il gatto ha imparato ad aprire la serratura
allo scopo di raggiungere il cibo. A partire dalle sue osservazioni, Thorndike definì tre
leggi dell’apprendimento:
- legge dell’idoneità, per cui: stimolando un forte impulso a una particolare serie
di azioni, la calma che deriva da quella sequenza provoca soddisfazione; se
quella sequenza di azioni è ostacolata e non può essere completata, ne deriva
insoddisfazione; se c’è stanchezza o sazietà di una data azione, allora l’obbligo
a una ripetizione dell’atto non provoca soddisfazione
- legge dell’esercizio (o legge dell’uso), per cui le connessioni tra stimoli e
risposte si rafforzano con la pratica e si indeboliscono senza il loro uso
- legge dell’effetto (la più importante), secondo la quale: “delle varie risposte
date alla medesima situazione, quelle che sono accompagnate, o
immediatamente seguite da soddisfazione per l’animale, saranno – ferme
restando le altre condizioni – più saldamente connesse con la situazione, in
modo che, quando essa si ripresenterà, tali risposte ricorreranno con maggiore
probabilità”.
Nell’esperimento del gatto, non vi è alcun momento nel quale l’animale sembri
avere un insight sulla soluzione del problema. Piuttosto, le sue prestazioni
migliorano gradualmente nel corso delle prove. Il gatto sembra impegnato in un
comportamento di tipo prova ed errore e allorché una ricompensa segue
immediatamente uno di questi comportamenti, l’apprendimento dell’azione in
questione è rinforzato. In sostanza, la legge dell’effetto seleziona da un insieme
di risposte a caso solo quelle che provocano conseguenze positive; questo
processo è simile all’evoluzione.
Thorndike era molto influenzato dalla teoria darwiniana, e parlò dell’apprendimento
come un processo che avviene per selezione e connessione delle risposte adattive. In
letteratura, ci riferisce all’apprendimento “alla Thorndike” come all’apprendimento
per prove ed errori.
S. Miller e J. Konorsky nel 1928 pubblicarono un lavoro in cui veniva descritto un tipo
di condizionamento diverso da quello classico, in quanto riguardava le attività motorie
degli animali. Tentando di applicare la legge dell’effetto di Thorndike alle tecniche
Pavloviane, costruirono una situazione nella quale una zampa anteriore di un cane,
dopo il suono di un campanello (SC), veniva presa in mano dallo sperimentatore e
flessa: avvenuta la flessione veniva fatta rotolare nella ciotola di fronte una pallottola
di cibo, che questi consumava. Dopo un certo numero di presentazioni, essi rilevarono
che il cane fletteva spontaneamente la zampa e salivava se gli veniva dato il cibo solo
dopo la flessione della zampa stessa. Lo schema sperimentale era, pertanto, il
seguente: SC2 (suono) > SC1 (flessione) > SI (cibo) > R (salivazione)
L’accertata possibilità di una relazione fra SC1 e R, permise a Miller e Konorsky di
ipotizzare che il cibo rappresentasse un vero e proprio rinforzo e, quindi, di avere
individuato un tipo di condizionamento diverso (“di secondo tipo”), rispetto a quello
pavloviano (“di primo tipo”).
A partire da questi studi, Skinner costruì il paradigma del condizionamento operante.
L’apparato sperimentale, la famosa “Skinner Box”, una gabbia all’interno della quale
vi era una levetta che azionava il dispensatore di cibo; un meccanismo di registrazione
su carta indica quante volte la levetta è stata premuta dall’animale immesso nella
gabbia (quasi sempre un ratto) e a quali intervalli. L’esperimento prevede che
l’animale sia libero di muoversi nella gabbia, esplorando in giro, e di premere la
levetta solo per caso, magari dopo molto tempo (la forza con cui il ratto spinge la
levetta la prima volta rappresenta il “livello base” di pressione). In tal caso può
mangiare una pallottola di cibo. È questo il rinforzo. Successivamente, sempre per
caso, il ratto può appoggiarsi altre volte alla levetta, finché l’intervallo tra una
pressione e l’altra diviene pari al tempo necessario per premere la leva e mangiare: il
cibo rinforza la pressione sulla levetta e la frequenza della pressione. A questo punto
si dice che si è verificato il condizionamento. Il condizionamento operante aumenta la
probabilità di una risposta, facendo seguire il comportamento da un rinforzo (ad es.
cibo). La frequenza della risposta dell’organismo rappresenta, quindi, un utile misura
dell’intensità dell’apprendimento.
Il condizionamento operante può essere utilizzato per insegnare agli animali esercizi
complessi, attraverso la tecnica del modellamento che consiste nel rinforzare soltanto
le risposte che vanno nella direzione desiderata dallo sperimentatore. Ad es. nel caso
del ratto: lo sperimentatore osserva attentamente l’animale e, ogni volta che questo si
avvicina alla parete con la leva, gli somministra un po’ di cibo. Rinforzando la risposta
di avvicinamento, si rende più probabile l’azionamento della leva.
• Fasi del condizionamento operante. Se il contenitore del cibo viene
disattivato, così che la pressione della leva non provoca più la caduta del cibo,
la frequenza della pressione tende a diminuire. Per cui una risposta
strumentalmente condizionata è soggetta ad estinzione se non vi è rinforzo.
L’estinzione è il processo che porta a rimuovere i rinforzi che agiscono su di una
risposta comportamentale precedentemente rinforzata; consiste in una
diminuzione dell’ampiezza della risposta e in un aumento del tempo di latenza
per la reazione, allorché viene sospeso il rinforzo. La “forza della risposta”
viene misurata attraverso i parametri di ampiezza, latenza, frequenza ecc. Nel
condizionamento classico, la forza della RC può scendere fino a zero, mentre in
quello operante ritorna, al massimo, al “livello operante” iniziale. L’estinzione
non è, quindi, la scomparsa assoluta di una risposta operante (in quanto essa
esiste nel repertorio comportamentale di un individuo, magari con una
frequenza bassissima), ma solo la sua riduzione di frequenza. La frequenza di
risposta, tuttavia, può diminuire anche indipendentemente dall’estinzione,
ovvero sotto l’azione di fattori come sazietà, fatica, conflitto fra diversi rinforzi,
ecc.
La gradualità della diminuzione della risposta, dopo la sottrazione della risposta,
viene definita “resistenza all’estinzione”: essa è maggiore quanto più valido è
l’apprendimento realizzato.
Il recupero spontaneo contrassegna la ricomparsa di una risposta appresa, dopo
che sia stata attenuata, ovvero estinta, senza il rinnovo del rinforzo. Questo
processo dimostra che una risposta non si annulla, ma lascia una sorta di
traccia che si esprime con una riacquisizione spontanea della forza della
risposta stessa. Il recupero, dopo un intervallo di riposo, della forza della
risposta diminuisce quanto più frequenti sono i periodi di riposo. La forza
del recupero spontaneo dipende anche dall’intervallo di tempo che intercorre
tra l’estinzione della risposta e il momento in cui si controlla la forza del
recupero spontaneo: fino a un certo essa aumenta, poi rimane costante.
• Rinforzo. Nel condizionamento operante, un evento ambientale successivo al
comportamento produce un incremento o una riduzione della probabilità di quel
comportamento. Per rinforzo si intende il processo tramite il quale l’offerta di
uno stimolo appetivo o l’eliminazione di uno stimolo avversivo aumenta la
probabilità di un comportamento. Può esistere una contingenza positiva tra il
comportamento e il rinforzo o una contingenza negativa. Il rinforzo positivo
descrive un comportamento che produce uno stimolo appetivo, mentre il
rinforzo negativo è relativo a un comportamento che previene uno stimolo
avversivo.
Secondo Skinner, con “rinforzo” si intendono almeno tre fatti diversi: il processo
di dare un rafforzatore, ovvero il rinforzo vero e proprio; il processo di
modificazione del comportamento che si è ottenuto dopo aver somministrato i
rafforzatori, per cui si dice che è stato dato un rinforzo; l’agente rafforzatore.
È possibile classificare i rinforzi secondo la loro natura. Si distingue tra rinforzi
primari (o naturali), quelli che soddisfano motivazioni fondamentali (ad es. il
cibo), e i rinforzi secondari ( o condizionati). In teoria qualunque stimolo può
diventare un rinforzo condizionato se è costantemente abbinato a un rinforzo
primario. Se il condizionamento operante avvenisse solamente con rinforzi
primari non sarebbe così frequente; la vita quotidiana è, invece, ricca di rinforzi
secondari (ad es. le lodi e i soldi), i quali sono frutto della storia individuale e
sociale di ognuno. Oltre alle caratteristiche fisiche, determinante per la funzione
rinforzante di un evento stimolo è il contesto situazionale interno ed esterno
dell’organismo che interagisce con quell’evento stimolo. Con questo concetto si
indicano tutte quelle condizioni, naturali o artificiali (culturali) che fanno di uno
stimolo un riforzo. Anche per i rinforzi secondari il contesto ha un ruolo
fondamentale. Alcuni stimoli sociali, come l’affetto o l’attenzione, sono rinforzi
generalizzati, una sottoclasse particolare dei rinforzi secondari, che ha un
effetto molto potente sul comportamento. L’approvazione rappresenta un
importante rinforzo generalizzato perché coniuga una componente relazionale-
affettiva, ad effetto motivazionale, e una componente informazionale, che
facilita la rapida acquisizione di abilità, conoscenze, comportamenti complessi
ecc. Un’ultima sottoclasse di stimoli generalizzati è quella dei rinforzi simbolici,
il più noto dei quali, nella nostra cultura, è il denaro (un potente rinforzo, in
quanto è spesso abbinato a tanti rinforzi primari). A scuola i rinforzi simbolici
sono i voti. La stimolazione che deriva dall’esplorazione e dall’interazione con il
mondo fisico è un altro rinforzo generalizzato. Il bambino che esplora il suo
mondo incontra una gran numero di rinforzi generalizzati. Vanno, infine,
ricordati i rinforzi dinamici, ovvero quella classe di rinforzi che non è costituita
da stimoli ambientali, ma dai nostri stessi comportamenti. Rientrano in questa
sottoclasse tutte le diverse preferenze comportamentali che ogni individuo, che
si trovi in un ambiente in cui può muoversi in libertà, mette in atto con
maggiore frequenza. Premack (1965), illustrò il “principio della nonna”, secondo
cui: un comportamento ad alta frequenza funziona da rinforzo di un
comportamento meno gradito. Anche i rinforzi dinamici sono funzione del
contesto situazionale.
• Programmi di rinforzo. Nella vita reale i comportamenti non sono
costantemente rinforzati. Se il condizionamento operante avvenisse solo con
rinforzo continuo potrebbe giocare un ruolo limitato nella nostra vita. In realtà
succede che una volta che un comportamento è stato acquisito può essere
mantenuto anche rinforzandolo di tanto in tanto: questo fenomeno è conosciuto
come rinforzo parziale. L’estinzione di una risposta mantenuta con rinforzo
parziale si verifica molto più lentamente dell’estinzione di una risposta
mantenuta con rinforzo continuo. Ciò avviene perché vi è meno differenza tra
estinzione e mantenimento, quando il rinforzo durante il mantenimento è solo
parziale. È stato dimostrato che il programma di rinforzo determina lo schema
delle risposte. Esistono quattro programmi di rinforzo di base. Alcuni programmi
sono chiamati programmi a rapporto perché il rinforzo dipende dal numero di
risposte fornite dall’organismo.
In un programma a rapporto fisso (RF) il numero di risposte che deve essere
dato è fissato ad un valore particolare. In generale, quanto più alto è il rapporto,
tanto più alta è la frequenza a cui l’organismo risponde, specialmente quando è
inizialmente addestrato con un rapporto abbastanza basso. L’aspetto più
caratteristico, circa il comportamento in un programma RF, consiste nella pausa
della risposta, subito dopo il verificarsi del rinforzo.
Anche in un programma a rapporto variabile (RV) si riceve il rinforzo solo dopo
aver dato un certo numero di risposte, ma quel numero varia in modo
imprevedibile. Diversamente dal comportamento con un programma RF,
quando un organismo opera in programma RV, non ci sono pause, perché
l’organismo non ha modo di capire quant’è lontano dal rinforzo successivo. I
programmi RV possono generare tassi molto alti di risposta.
Nei programmi ad intervallo il rinforzo si presenta dopo che è trascorso un certo
intervallo di tempo.
In un programma ad intervallo fisso (IF), l’organismo è rinforzato per la prima
risposta effettuata dopo che è trascorso un certo periodo di tempo dall’ultimo
rinforzo. Un aspetto caratteristico della risposta in un programma IF è la pausa
che ha luogo immediatamente dopo il rinforzo. Questa pausa può essere anche
più lunga di quella che si verifica nei programmi RF. Un altro aspetto
caratteristico della risposta in un programma IF è l’aumento della frequenza
delle risposte, man mano che si avvicina la fine dell’intervallo, con conseguente
produzione di un andamento “a festone”.
In un programma ad intervallo variabile (IV), il rinforzo dipende dal fatto che sia
trascorso un certo intervallo di tempo, ma la durata dell’intervallo varia in modo
imprevedibile. Diversamente dalle variazioni di risposta riscontrate, nei
programmi IF, l’organismo tende a rispondere con un ritmo elevato e uniforme.
• Generalizzazione e discriminazione/differenziazione. Questi processi
spiegano come gli apprendimenti, realizzati con le esperienze particolari,
possono venire applicati ad una infinità di altre esperienze e a perfezionare le
risposte in esperienze simili.
La generalizzazione può riguardare sia gli stimoli che le risposte. Nel primo
caso, l’individuo, che ha appreso a dare una specifica risposta ad un
determinato stimolo, la emette anche di fronte a stimoli oggettivamente simili o
che ha appreso a considerare tali, nel secondo lo stesso stimolo, che è stato
associato ad una specifica risposta, riesce a provocarne altre oggettivamente
simili o assimilate attraverso un processo di apprendimento. Secondo Hull la
generalizzazione dev’essere distinta in primaria e secondaria, a seconda che sia
relativa a risposte simili, che vengono emesse in corrispondenza di stimoli
analoghi, ma con almeno una caratteristica simile o a risposte simili, emesse di
fronte a stimoli globalmente diversi. Complementare a quello di
generalizzazione è il processo di discriminazione, attraverso il quale un
organismo apprende a rispondere in modo diverso a stimoli simili. L’importanza
di questo processo è notevolissima, in quanto permette all’organismo di isolare
stimoli specifici (discriminazione propriamente detta) e risposte diversamente
troppo generiche (differenziazione). Se il processo di discriminazione è
importante, in quanto rende opportuna l’esecuzione di un operante qualsiasi in
risposta ad uno stimolo discriminativo, quello di differenziazione è fondamentale
per quanto riguarda l’adattamento alle esigenze dell’ambiente poiché
conferisce al comportamento le proprietà di decisione, agilità e adeguatezza
delle operazioni.
• Condizionamento avversativo. Il condizionamento operante si avvale, oltre
che di eventi che hanno valenza positiva per l’individuo, ad es. il cibo (rinforzo
positivo) o la rimozione di un evento spiacevole (rinforzo negativo, che non va
confuso con la punizione), anche di eventi avversivi (che hanno valenza
negativa per lo stesso). Esistono diversi tipi di condizionamento avversivo, a
seconda che l’evento avversivo sia usato per indebolire una risposta
preesistente oppure per apprendere una nuova.
Nell’addestramento realizzato mediante punizione, la risposta è seguita da un
evento o uno stimolo avversivo, il che provoca l’indebolimento della risposta o
la sua scomparsa in occasioni successive. Sebbene la punizione possa
cancellare una risposta indesiderabile, essa ha numerosi e significativi
svantaggi. Per prima cosa i suoi effetti non sono altrettanto prevedibili quanto le
conseguenze della ricompensa. Fondamentalmente, la ricompensa dice “ripeti
quello che hai fatto”, il castigo dice “smettila”, ma non fornisce un’alternativa.
Di conseguenza, l’organismo può scegliere, in sostituzione, una risposta ancora
meno desiderabile di quella che è stata punita. In secondo luogo, gli effetti
secondari della punizione possono essere inopportuni. La punizione spesso
porta a detestare o a temere la persona che l’ha somministrata e il luogo in cui
è stata ricevuta. Infine, un castigo drastico o doloroso può provocare una
condotta aggressiva più grave del comportamento indesiderabile originale.
Questi avvertimenti non significano che non si debba mai usare la punizione,
essa può efficacemente eliminare una risposta indesiderabile, se le possibili
risposte alternative sono premiate. La punizione è un mezzo efficace per
riorientare il comportamento perché è informativa, il che sembra essere la
chiave per un uso umano e efficace del castigo.
L’apprendimento di nuove risposte può servirsi anche di eventi avversivi. Gli
organismi possono imparare a dare una certa risposta per porre termine ad un
evento avversivo in corso. Si tratta dell’apprendimento di una risposta di fuga.
Gli organismi possono imparare anche a produrre risposte finalizzate ad
impedire il verificarsi di eventi avversivi. In tal caso si parla di apprendimento di
una risposta di evitamento. Spesso l’apprendimento di una risposta di fuga
precede quello di una risposta di evitamento. Che cos’è esattamente che
rinforza la risposta di evitamento? E come può un non-evento servire da
rinforzo? Esistono due livelli di apprendimento, esemplificabili negli esperimenti
con gli animali. Il primo livello riguarda il condizionamento classico: attraverso
ripetuti abbinamenti dell’allarme (SC) con l’evento punitivo (SI), l’animale
impara una risposta di paura all’allarme. Il secondo livello riguarda il
condizionamento operante: l’animale impara che una risposta particolare (ad
es. saltare un ostacolo) rimuove un evento avversivo, cioè la paura. In breve
ciò che dapprima sembra un non-evento è in realtà la paura, e possiamo
pensare all’evitamento come a una fuga dalla paura.
L’analisi contemporanea dell’apprendimento ha integrato i principi del
condizionamento operante con i fattori cognitivi e i vincoli biologici:
- fattori cognitivi: affinché il condizionamento operante si verifichi, l’organismo
deve credere che il rinforzo sia almeno parzialmente sotto il suo controllo cioè,
l’organismo deve percepire una contingenza tra le sue risposte e il rinforzo;
- vincoli biologici: si tratta di limiti che stabiliscono quali rinforzi possono essere
associati a determinate risposte. Con i piccioni, quando il rinforzo è il cibo,
l’apprendimento è più rapido se la risposta è beccare un pulsante piuttosto che
sbattere le ali, ma se il rinforzo è l’interruzione di una scossa elettrica,
l’apprendimento è più rapido quando la risposta è battere le ali, piuttosto che
beccare un pulsante.

L’apprendimento per Insight (Köhler, 1917)


La scuola della Gestalt propose la teoria dell’apprendimento di tipo intuitivo (insight)
in opposizione all’apprendimento “per prove ed errori” dei comportamentisti.
L’apprendimento intuitivo è stato attribuito con una certa sicurezza alle prestazioni di
animali che posti in una situazione in cui la risposta motoria ad uno stimolo-segnale
(ad es. cibo posto a distanza con una barriera non superabile con le modalità di
locomozione abituali) si presenta difficoltosa, arrivano a formarla con una certa
rapidità, tale da togliere credibilità all’ipotesi dell’intervento di un normale processo di
apprendimento per prove ed errori. Il primo psicologo che notò la presenza di questi
fenomeni fu W. Köhler.
Köhler si oppose al principio per prove ed errori e definì l’apprendimento come l’esito
di un processo intelligente che presuppone la capacità di collegare insieme in modo
unitario elementi distribuiti e considerati (fino ad allora) isolati. Gli elementi del campo
vengono connessi in modo unitario e all’improvviso, grazie a una
illuminazione/intuizione: insight. L’insight comporta una ristrutturazione del campo
cognitivo. Secondo una prospettiva gestaltista, sugli elementi prima sconnessi avviene
una chiusura, gli elementi vengono riorganizzati secondo una nuova configurazione
mentale e si ha l’apprendimento.
Sono classici gli esperimenti con gli scimpanzé, condotti negli anni ’20. I problemi
preparati da Köhler per i suoi scimpanzé lasciavano spazio all’insight, dal momento
che nessuna componente del problema era nascosta alla vista (contrariamente al
meccanismo di funzionamento del distributore di cibo nella Skinner box, che è
nascosto alla vista dell’animale. In un classico esperimento, Köhler poneva uno
scimpanzé in una zona recintata con uno frutto appetibile (una banana) fuori portata.
Per prendere la banana l’animale doveva servirsi di un oggetto a disposizione. Di solito
lo scimpanzé riusciva a risolvere il problema e lo faceva in modo da far supporre che
avesse avuto un insight. Ad es. vengono appese delle banane al soffitto: lo scimpanzé
prova a prenderle, ma non ci riesce, si rassegna e ritorna alle attività precendenti,
manipola gli oggetti presenti all’interno della gabbia e ha un certo punto ha un insight:
accatasta delle casse e costruisce una piattaforma. Per Köhler i tentativi degli animali
non sono casuali ma intelligenti (l’animale valuta la situazione, formula un’ipotesi di
soluzione del problema e la verifica). La ristrutturazione avviene all’improvviso per
intuizione. Dopo la prima intuizione gli scimpanzé sono in grado di ripetere l’azione (è
quindi avvenuto un apprendimento per insight).

L’approccio cognitivista
L’approccio cognitivista prende distanza dai modelli associazionisti del
comportamentismo spostando la centralità dal concetto di associazione a quello di
rappresentazione. L’innovazione principale del cognitivismo è quella di esaltare il ruolo
attivo del soggetto nell’elaborazione della realtà circostante, dando maggior rilievo ai
processi interni di elaborazione e rappresentazione.
• Rappresentazioni. Secondo la prospettiva cognitiva, il punto cruciale
dell’apprendimento consiste nell’abilità dell’organismo di rappresentarsi
mentalmente gli aspetti del mondo e operare su queste rappresentazioni
mentali, piuttosto che direttamente sul mondo. In molti casi ciò che è
rappresentato mentalmente sono associazioni fra stimoli e eventi. In altri casi le
rappresentazioni appaiono più complesse. Può trattarsi di una mappa
dell’ambiente che ci circonda o di un concetto astratto come la nozione di
causa. Inoltre le operazioni eseguite sulle rappresentazioni mentali talvolta
appaiono più complesse dei processi associativi. Possono prendere la forma di
un esercizio mentale per prove ed errori, in cui l’organismo esplora nella sua
mente le diverse possibilità; oppure, possono consistere nel mettere a punto
una strategia a più livelli in cui si fanno dei passi mentali solo perché questi ne
consentono altri successivi. L’idea di una strategia, in particolare, sembra non
conciliabile con l’assunto che l’apprendimento complesso è composto da
semplici associazioni.
Studi sui primati: studi recenti offrono prove dell’esistenza di rappresentazioni
mentali complesse nei primati. Gli scimpanzé sono in grado di acquisire concetti
astratti. Essi possono imparare a usare contrassegni di plastica di forma,
dimensione e colori differenti, come se fossero parole. Possono imparare anche
concetti astratti, come “uguale”, “differente” e “causa” (sembra che gli
scimpanzé comprendano le relazioni causali).
• Mappe cognitiva. Un concetto molto importante per i cognitivisti è quello di
mappa cognitiva. L’apprendimento serve a scoprire le connessioni che esistono
nell’ambiente, attraverso la costruzione di appropriate mappe cognitive,
facilitando l’organismo a trovare la soluzione più breve ed efficace (principio del
minimo sforzo). Ciò che è appreso è la mappa cognitiva del territorio, ossia la
sua rappresentazione mentale, spaziale e temporale. Uno dei primi sostenitori
dell’approccio cognitivo all’apprendimento è stato E. Tolman, le cui ricerche
hanno affrontato il problema dei ratti che imparano a percorrere labirinti
complessi. Dal suo punto di vista un ratto che corre in un labirinto complesso
non sta imparando una sequenza di curve a destra e a sinistra; piuttosto, sta
sviluppando una mappa cognitiva: una rappresentazione mentale del labirinto.
Studi più recenti sostengono questa interpretazione. In un esperimento di Olton
(1978; 1979), si è utilizzato un labirinto composto da una piattaforma centrale
da cui si irradiano otto bracci identici. Il ratto deve imparare a visitare ogni
braccio (e trovarvi il cibo) senza tornare in quelli in cui è già stato. Gli animali
apprendono questo compito davvero bene. Fatto molto importante, un ratto
raramente usa le strategie che un uomo metterebbe in atto, per esempio
percorrere i bracci secondo un ordine preciso. Al contrario, il ratto li visita a
caso, indicando di non avere appreso una rigida sequenza di risposte.
Probabilmente, ha sviluppato una rappresentazione del labirinto, che indica
esattamente la relazione spaziale tra i bracci, e in ogni prova prende nota
mentalmente di quale braccio ha già visitato.
• Apprendimento latente. Il fatto che l’apprendimento non sia l’acquisizione
meccanica di schemi motori ma di rappresentazioni mentali è stato
ulteriormente dimostrato da Tolman attraverso il fenomeno dell’apprendimento
latente, ossia un apprendimento che a luogo in assenza di rinforzo. In un
esperimento si sono utilizzati tre gruppi di ratti (A, B e C). Il gruppo A non fu mai
rinforzato per aver attraversato il labirinto; il gruppo B fu rinforzato ad ogni
prestazione; il gruppo C non fu rinforzato fino al 11° giorno dell’esperimento.
Nel momento in cui il gruppo C fu rinforzato, ebbe prestazioni immediate e
addirittura superiori al gruppo B. Tale risultato è comprensibile solo se si
ammette che i ratti del gruppo C avevano appreso in modo latente e senza
bisogno di alcun rinforzo la mappa cognitiva del labirinto nel periodo in cui non
erano stati ricompensati e avevano potuto esprimere tale apprendimento nel
momento in cui furono premiati. Nella fase iniziale (senza rinforzo) i ratti
avevano imparato di più di quanto facessero vedere. Su questa base Tolman
sostiene che l’apprendimento può aver luogo grazie alla semplice esposizione
all’ambiente e introduce la distinzione tra competenza (ciò che si apprende) e
prestazione (l’apprendimento messo in atto). L’apprendimento si manifesta,
quindi, quando vi è uno scopo per mettere in atto il comportamento appreso.
• Credenze preesistenti. La ricerca sugli animali, di solito, ha posto l’accento
sull’apprendimento di relazioni prevedibili. Nella vita reale, quando si tratta di
apprendere relazioni non perfettamente prevedibili fra stimoli, spesso la gente
ricorre a credenze preesistenti su queste relazioni. Ciò può portare a scorgere
associazioni che non esistono realmente (associazioni spurie). Quando una
relazione esiste veramente, avere già una convinzione a riguardo può portare a
sopravvalutarne la forza predittiva. Quando una relazione oggettiva è in
conflitto con una credenza preesistenze, colui che apprende può privilegiare
quest’ultima. Tuttavia, a mano a mano che i dati (l’associazione oggettiva)
diventano sempre più rilevanti, le convinzioni preesistenti possono capitolare e
si apprende come stanno veramente le cose. La modalità attraverso la quale le
conoscenze già possedute da una persona (schemi, concetti, teorie ecc)
influenzano l’acquisizione di nuove conoscenze viene definita “top-down”
(dall’alto verso il basso), viceversa, le modalità in cui è la realtà percepita che
attiva processi cognitivi di apprendimento o revisione di schemi precedenti è
definita “bottom-up” (dal basso verso l’alto). Nel processo dall’alto verso il
basso relativo all’apprendimento, colui che apprende combina le sue credenze
preesistenti su una relazione associativa con l’input reale riguardante la
relazione, per produrre una valutazione finale sull’intensità della relazione
stessa.
Applicazioni: gli effetti delle credenze preesistenti sull’apprendimento hanno
importanti implicazioni nel campo dell’educazione. In particolare quando si
insegna a qualcuno un argomento, non si possono ignorare le conoscenze che
egli già possiede su quell’argomento. Lo studente cerca spesso di adattare le
nuove informazioni alle credenze precedenti. In campo educativo potrebbe
essere opportuno esplicitare queste credenze preesistenti, così che il docente
possa correggerle, se sono effettivamente errate.
Se nella prospettiva comportamentista l’apprendimento viene studiato attraverso il
comportamento manifesto e trattato come un fenomeno “unitario”, nella nuova
prospettiva cognitiva si osserva una frammentazione dell’ambito d’indagine e
l’apprendimento viene ridefinito in base alle componenti cognitive coinvolte. In
particolare si verifica una forte associazione tra lo studio dell’apprendimento e quello
della memoria.
• Schemi. Diventa particolarmente importante in questo contesto il concetto di
schema. Gli schemi in quanto unità organizzative della memoria che
rappresentano le nostre conoscenze relative ad oggetti, situazioni, eventi e
azioni, sono stati considerati i “mattoni di costruzione dell’attività conoscitiva”,
elementi di base da cui dipende tutta l’elaborazione dell’informazione. Vengono
infatti utilizzati per interpretare i dati sensoriali, comprendere e produrre nuova
conoscenza, recuperare informazioni dalla memoria, strutturare azioni,
determinare scopi e sottoscopi. Di particolare interesse psicoeducativo risulta la
definizione delle modalità peculiari di apprendimento fatta da Rumelhart e
Norman, teorici degli schemi. Secondo questi autori esistono tre modalità
principali: apprendimento per accrescimento, apprendimento per
sintonizzazione, apprendimento per ristrutturazione.
L’apprendimento per accrescimento avviene quando si incorporano nuove
informazioni entro gli schemi già disponibili di un soggetto, che non vengono
sottoposti ad alcuna modifica.
L’apprendimento per sintonizzazione si manifesta quando si rendono necessarie
modifiche degli schemi attivati per interpretare le nuove conoscenze.
L’apprendimento per ristrutturazione si manifesta quando l’interpretazione delle
nuove informazioni richiede strutture nuove o si deve dare un’organizzazione
nuova alla conoscenza già immagazzinata.
Emergono nel cognitivismo innumerevoli ulteriori specificazioni dell’apprendimento
che coinvolgono altri processi cognitivi e abilità. Imparare a leggere, per esempio,
implica l’integrazione di abilità linguistiche, mnestiche e percettive; saper guidare
un’automobile significa avere buone abilità di integrazione visuo-motoria, e capacità
attentive; l’apprendimento in ambito scolastico richiede sia competenze specifiche,
come il calcolo e la lettura, sia competenze generali, come quelle di applicare
strategie, fare inferenze e mettere in atto processi di astrazione.
Da un lato si assiste dunque ad un vasto sviluppo di modelli di apprendimento
specifici, dall’altro vengono definiti modelli generali di funzionamento della mente, che
hanno forti implicazioni per l’apprendimento anche se non sono modelli o teorie
specifici dell’apprendimento.
• Human Information Processing (HIP). Il primo approccio allo studio
dell’apprendimento in ambito cognitivista, che aveva come oggetto lo studio
dell’elaborazione umana dell’informazione è stato fortemente influenzato dalla
metafora mente-computer. Questo ha portato tra gli anni ’70 e ’80 allo sviluppo
di modelli di apprendimento, articolati in una serie di passaggi (regole di
produzione) rigidi, con strutture gerarchiche simili a quelle di un programma
implementabile in un computer.
• Teoria di Fodor.Un importante punto di svolta nello studio dell’apprendimento
e dei processi cognitivi più in generale è costituito dall’introduzione della teoria
modulare di Fodor (1983; 2001), il quale propone una distinzione di base tra
abilità specifiche, definite ‘modulari’, e abilità generali legate ai processi di
pensiero superiori. Vengono postulati dei moduli che ricevono informazioni dai
sistemi sensoriali, le elaborano ad un primo livello, e sono descritti come innati,
altamente specializzati ed efficienti, poco flessibili ma molto veloci
nell’elaborazione delle informazioni ed “informazionalmente incapsulati” (non
hanno cioè accesso ai contenuti e alle informazioni provenienti da altri moduli).
Viene postulato inoltre un processore centrale, più lento nei processi di
elaborazione ma più flessibile, che riceve dati dai moduli ed ha la funzione di
integrare e interpretare le informazioni specifiche.
Concludendo, si può affermare che l’approccio cognitivista ha completamente
modificato il metodo di studio nell’ambito della psicologia dell’apprendimento,
concepito in questa prospettiva come un processo costruttivo, strategico-attivo e
interattivo.
Aspetti applicativi: La distinzione tra abilità specifiche e generali ha influito fortemente
sugli studi nell’ambito dell’apprendimento, sia in ambito teorico sia in ambito clinico.
La dislessia, ad esempio, è oggi definita come un Disturbo Specifico
dell’Apprendimento (DSA). Le formulazioni teoriche sviluppate in relazione ai diversi
sottosistemi di apprendimento hanno permesso di individuare quali fossero le diverse
componenti cognitive deficitarie nei diversi profili dei DSA, fornendo quindi un
importante contributo anche all’ambito clinico.

Altri paradigmi di apprendimento


• Paradigma dell’apprendimento verbale (Ebbingaus): V. Canestrari pp.
213-218
• L’apprendimento seriale. Si tratta di un tipo apprendimento che si basa sul
principio dell’associazione e si riferisce a comportamenti seriali, cioè a sequenze
motorie complesse e dotate di un carattere direzionale. La realizzazione di un
comportamento seriale presuppone l’acquisizione di un’abilità specifica (skill)
attraverso una serie di prove di complessità diversa e in funzione di un rinforzo
finale. Su tale acquisizione il rinforzo finale agisce in modo che l’animale
migliora la sua prestazione man mano che si avvicina alla meta, aumentando
l’intensità e la precisione delle risposte; le risposte sbagliate vengono eliminate,
e sempre più rapidamente con l’avvicinarsi della meta. Come sottolineato da
Hull, l’apprendimento è funzione oltre che della memorizzazione e della
capacità di ritenzione del pattern motorio da parte dell’animale, anche della
situazione sperimentale all’interno della quale possono essere riconosciuti dei
punti di riferimento che migliorano il rendimento: la meta è il più importante.
• L’imprinting. È una forma di apprendimento estremamente complessa. Il
fenomeno è stato osservato per la prima volta da Spalding e, dopo oltre mezzo
secolo, è stato riscoperto da Lorenz (1941). Egli lo ha descritto come un
processo di apprendimento tipico dei piccoli degli uccelli a prole precoce i quali
sviluppano una forma particolare di attaccamento nei confronti della “figura
materna” che può essere rappresentata da qualsiasi oggetto dotato di
movimento. Lorenz ha anche caratterizzato l’imprinting come irreversibile,
limitato a brevi “fasi sensibili” immediatamente successive alla nascita, e come
decisivo per la scelta del partner nella maturità sessuale. Gli psicologi e gli
etologi, che si sono interessati all’imprinting negli ultimi vent’anni, hanno
leggermente modificato il quadro descrittivo e interpretativo di Lorenz. La sua
presenza è stata riscontrata anche nei mammiferi e negli insetti e pur
confermando l’estrema varietà degli stimoli visivi atti a determinarlo, è stata
riscontrata la possibilità di una sua attivazione anche in corrispondenza di
stimoli uditivi. La durata delle “fasi sensibili” (o “periodi critici”) è, inoltre,
variabile a seconda del criterio di osservazione adottato. Così la risposta di
“seguitazione” (consistente cioè nel seguire l’oggetto mobile presentato per
primo) è attivabile in un arco cronologico molto più esteso delle risposte di
transfert (di attaccamento durevole all’oggetto stesso). L’allevamento in gruppo
è un fattore che contribuisce a ridurre la durata delle fasi sensibili, e che porta
alla comparsa di forme di imprinting reciproco. Dopo le ricerche di Shutz (1965),
risulta abbastanza che l’imprinting verso la figura materna e l’attaccamento
sessuale sono due fenomeni inscindibili, anche se non è stato possibile
accertare se siano due processi identici. La fase sensibile nella quale si produce
l’attaccamento sessuale precoce si protae, infatti, molto aldilà di quella
caratterizzata dalle risposte di “seguitazione” della figura materna. Il processo
dell’imprinting ha, come sue peculiarità, il fatto che una volta instaurato pone
probabilmente termine alla fase sensibile e, altresì, il fatto che non presenta
alcun rinforzo manifesto. Tutto ciò contribuisce a farlo ritenere un processo di
apprendimento particolare, legato più specificamente degli altri, alla
maturazione comportamentale.

L’Approccio costruttivista
Entro la famiglia delle teorie cognitiviste si colloca il costruttivismo, una teoria
dell’apprendimento basata sul presupposto che, mediante la riflessione sulle nostre
esperienze, noi edifichiamo la conoscenza del mondo in cui viviamo. Mentre i
comportamentisti vedono la conoscenza come la risposta passiva, automatica, agli
stimoli ambientali e i cognitivisti vedono la conoscenza come astratta
rappresentazione simbolica nella mente degli individui, la scuola costruttivista ritiene
la conoscenza una entità complessa edificata da ciascuno ogni volta che passa
attraverso un processo di apprendimento. La conoscenza, dunque, non può essere
trasmessa da un individuo all’altro ma dev’essere reinventata da ogni persona.
Il costruttivismo si è sviluppato grazie al contributo della di studiosi come Bruner,
Vygotskij, Papert e Jonassen. All’interno della corrente costruttivista possiamo infatti
distinguere i seguenti paradigmi: il costruttivismo sociale (Vygotskij), culturale (Bruner
e Cole) e socio-interazionista (Papert e Jonassen).
L’idea chiave della teoria di Vygotskij è che le relazioni sociali giochino un ruolo
fondamentale nello sviluppo cognitivo. Egli introdusse l’idea di Zona di Sviluppo
Prossimale (ZPD), intesa come la zona cognitiva entro la quale uno studente riesce a
svolgere, con il sostegno (scaffolding) di un adulto o in collaborazione con un pari più
capace, attraverso la mediazione degli scambi comunicativi, compiti che non sarebbe
in grado di svolgere da solo. È nel momento in cui agisce socialmente con il linguaggio
che egli si appropria di nuovi strumenti cognitivi che gli serviranno ad alimentare un
agire linguistico interiore, che gli permetterà di risolvere in maniera autonoma
problemi analoghi a quelli affrontati con altri.
Aspetti applicativi: dal concetto di ZPD deriva un’importante implicazione sul ruolo
dell’apprendimento che non deve limitarsi a seguire lo sviluppo, ma deve aggiungervi
qualcosa: l’istruzione deve quindi agire nella zona di sviluppo delle possibilità, ossia
attivare quei processi evolutivi che il bambino manifesta soltanto nell’interazione. Il
costruttivismo sociale permette di passare da una definizione di scuola come luogo di
trasmissione delle conoscenze (didattica centrata sul processo di insegnamento), a
quella di ambiente di apprendimento.
Bruner definì l’apprendimento come il fenomeno di “ottenere informazioni da parte di
qualcuno usando la mente di qualcun altro”, un atto di scoperta, non un evento
casuale. Esso comporta l’attesa di trovare regolarità e relazioni nell’ambiente e
affermò che la soluzione dei problemi mediante strategie di ricerca strutturata è una
parte integrante dell’apprendimento di nuove nozioni. Secondo Bruner giungere a
conoscere qualcosa è un azione sia situata, sia distribuita. Trascurare questa natura
sia situata, sia distribuita della conoscenza e del conoscere significa perdere di vista
non soltanto la natura culturale della conoscenza, ma anche la natura culturale del
processo di acquisizione della conoscenza. Secondo Bruner l’apprendimento è
essenzialmente un’attività che si svolge in comune e che coinvolge la costruzione
della conoscenza; un apprendimento significativo e una comprensione nascono da
conversazioni, da confronti, da dibattiti e da discussioni (pianificate e strutturate) tra
studenti, tra pari, tra colleghi, tra esperti e tra docenti. Se il sapere non è scindibile,
ma anzi è determinato dal dove e dal come, allora possiamo affermare una nuova
concezione dell’apprendimento, definito come attività cognitiva situata, cioè in
specifici contesti d’uso (il saper fare).
Papert, l’inventore del LOGO (probabilmente il più noto ambiente di apprendimento di
stampo costruttivista), rappresenta una pietra miliare nel paradigma socio-
interazionista. È stato il primo a interpretare e a proporre le tecnologie didattiche
come strumenti di apprendimento: ha creato ambienti di simulazione o gioco didattico,
ambienti di espressione delle proprie idee e del proprio vissuto (editor testuali, grafici
e musicali), ambienti per l’esplorazione e la ricerca (ipermultimedia), ambienti per la
comunicazione in rete locale e remota (telematica). “È il bambino che programma il
computer e non viceversa”: questa è l’idea guida di Papert, cioè di un apprendimento
che contrappone una didattica basata sull’ “usare per imparare”, anziché di una
didattica basata sull’ “imparare a usare”. In tal modo si costruisce un sapere utile,
condiviso, che si adegua allo stile di ciascuno, un sapere pratico e intenzionale,
incorporato in concreti ambiti di utilizzo.
Ambiti applicativi del costruttivismo: dalle sollecitazioni provenienti dagli studiosi del
costruttivismo, sono derivate molte applicazioni delle stesse entro progetti didattici
innovativi che favoriscano un apprendimento significativo (attivo, costruttivo,
intenzionale, collaborativo ecc). Negli ambienti di apprendimento di tipo costruttivista
gli studenti agiscono in uno spazio creato ad hoc (reale o virtuale) e usando strumenti
di lavoro (ad es. software e tool di vario tipo) hanno accesso a diverse fonti di
informazione (libri, foto, CD-ROM, siti web, ecc); in questo modo si possono raccogliere
e interpretare le informazioni interagendo con altri attori (pari o insegnanti) e sempre
con il supporto da parte dell’insegnante. Ad es., mentre nell’utilizzo dei libri viene
privilegiato il percorso autore-opera-lettore e si trova un flusso ordinato e sequenziale
delle informazioni, organizzate in capitoli, paragrafi e pagine sistemate in logica
successione, l’uso di uno strumento come l’ipertesto privilegia il percorso mente-testo-
mente, superando la scrittura lineare e sfruttando i vantaggi di una struttura
reticolare. In conclusione si può affermare che gli sviluppi e le applicazioni della teoria
costruttivista rappresentano oggi un ambito di applicazione entro il contesto didattico
scolastico in interessante evoluzione.

L’apprendimento sociale di Bandura


L’apprendimento non è condizionato solo dal contatto diretto con le cose, gli eventi e
le conseguenze che guidano il comportamento: vi sono, infatti, anche esperienze
indirette e conseguenze mediate la cui azione può essere osservata su altre persone.
In questo contesto, si parla di rinforzo vicariante quando un individuo manifesta un
comportamento mai rinforzato in precedenza come risultato dell’osservazione di altre
persone rinforzate per tale comportamento. Tale meccanismo è alla base
dell’apprendimento osservativo.
Dopo i primi lavori sull’imitazione, di Miller e Dollard, negli anni Quaranta del XX
secolo, è stato A. Bandura (1970), a studiare sistematicamente questo processo.
L’esperimento che lo rese celebre riguarda l’aggressività e venne svolto osservando il
comportamento dei bambini. Vi sono molte discussioni relative alle possibilità che
l’essere esposti a spettacoli televisivi violenti solleciti nei giovani spettatori
comportamenti aggressivi. Bandura mostrò a dei bambini dei filmati in cui una
persona adulta agiva su una bambola di gomma colpendola in vari modi. Dopo aver
assistito a queste scene i bambini mostravano comportamenti aggressivi del tipo di
quelli presenti nel filmato. In una successiva ricerca, Bandura allestì un esperimento in
cui tre gruppi di bambini osservavano tre modelli operanti in tre diverse situazioni:
nella prima situazione un modello aggressivo che veniva ricompensato; un modello
aggressivo che veniva punito; un modello aggressivo che non veniva né punito né
ricompensato. Il modello ricompensato venne emulato in maggior misura. Essendo poi
stato chiesto ai bambini, nella fase post-sperimentale, quale modello avrebbero voluto
imitare quasi tutti indicarono quello aggressivo, nonostante ne descrivessero il
comportamento in termini fortemente negativi. Questo dimostra come la loro scelta
non fosse determinata dalle qualità estrinseche del modello quanto dai risultati
conseguiti con il suo atteggiamento. Nel caso invece in cui il modello aggressivo
veniva punito, i soggetti esibivano assai meno risposte imitative. Tuttavia Bandura fa
notare, a questo proposito, che occorre distinguere tra “apprendimento” vero e
proprio ed “esecuzione di risposte”. Infatti, quando ai bambini alla fine veniva chiesto
di commentare il comportamento del modello aggressivo punito, essi spesso
descrivevano l’intera sequenza degli atti aggressivi con considerevole precisione. Ciò
rende chiaro che essi avevano appreso l’equivalente cognitivo del comportamento del
modello, senza tradurlo nella sua forma motoria. Alla luce di questi fatti Bandura definì
il rinforzo e la punizione, o meglio la disapprovazione, come una parte molto
importante del processo di apprendimento.
Quello descritto da Bandura attraverso i suoi esperimenti può essere definito come
“apprendimento attraverso l’identificazione”. Tale apprendimento si verifica quando
gli individuo imparano, attraverso l’esperienza ad emulare i modelli per risolvere i
problemi posti dalla realtà. Così ad es. i bambini sono capaci di rapide imitazioni dei
loro fratelli maggiori e dei loro genitori perché sono queste le persone che di solito
soddisfano i loro bisogni. Secondo Bandura, quella che in psicoanalisi è stata definita
“identificazione con l’aggressore”, può essere spiegata come il risultato di un
apprendimento discriminativo in quanto, in certi contesti socio-culturali, spesso i
genitori puniscono sì l’aggressione diretta contro di loro, ma incoraggiano quella
rivolta contro gli estranei. A volte, infine, un individuo può servire da modello di come
non comportarsi. Questo accade, ad es., quando il modello è disprezzato o quando,
non lui come persona, ma certi suoi comportamenti sono oggetto di critica.
L’apprendimento vicario è incentrato sul processo di imitazione che intercorre tra
osservatore e osservato. Anche questa teoria come il condizionamento operante di
Skinner ,elabora un concetto di modellamento in cui Bandura definisce una serie di
condizioni: l’attenzione dell’osservatore rivolta verso il modello, tale attenzione si
rivolge a lui anche senza essere rinforzata o premiata; l’identificazione tra modello e
osservatore: più è elevata, più l’apprendimento avrà effetto; la capacità di ricordare e
richiamare il modello comportamentale a distanza di tempo quando si sviluppano le
situazioni adeguate.
Ambiti applicativi: L’applicazione della teoria di Bandura consiste nella tecnica del
modellamento: l’esposizione a modelli positivi favorisce l’instaurarsi di comportamenti
adattivi e permette l’eliminazione di comportamenti disadattivi.
Il modellamento può essere applicato in ambito terapeutico, nel caso di disturbi
d’ansia e fobie: l’esposizione a modelli che eseguono il comportamento temuto dal
fobico senza manifestare alcun segno di paura o disagio permette al soggetto ansioso
di superare l’inibizione che lo blocca e favorisce l’apprendimento di modalità corrette
di avvicinarsi al problema.
Inoltre alcuni esperimenti hanno dimostrato che attraverso il modellamento si può
aumentare la frequenza dei rapporti interpersonali in bambini socialmente isolati,
mostrando loro dei filmati in cui sono presentate scene di interazione interpersonale
che coinvolgano bambini loro coetanei. In questo caso il modellamento serve a far
emergere comportamenti che essi già possiedono ma che non si manifestavano con la
debita frequenza. Il modellamento è una tecnica efficace anche per potenziare
competenze sociali e relazionali in caso di bambini con disturbi del comportamento.

Lo studio dell’apprendimento negli adulti


Gli studi sui processi di apprendimento hanno avuto forti ripercussioni in ambito
educativo/scolastico; ma, da circa vent’anni, alcuni studiosi stanno compiendo
ricerche nell’ambito di una disciplina poco diffusa: l’andrologia, cioè lo studio
dell’apprendimento negli adulti.
Knowles fu uno dei primi a studiare tale processo e identificò alcuni fattori di
specificità della persona che apprende, derivanti dall’età adulta.
- Il bisogno di conoscere: gli adulti sentono l’esigenza di sapere perché occorre
apprendere qualcosa, prima di intraprendere l’apprendimento. Quando gli adulti
iniziano ad apprendere qualcosa per conto loro investono una considerevole
energia nell’esaminare i vantaggi che trarranno dall’apprendimento;
- Il concetto di sé del discente: gli adulti hanno un concetto di sé come persone
responsabili delle loro decisioni. Una volta raggiunto questo stadio, desiderano
essere trattati e come persone capaci di gestirsi autonomamente. Se pensano
che altri stiano cercando di imporre la propria volontà, la respingono;
- Il ruolo dell’esperienza del discente. Gli adulti hanno esperienze con un vissuto
personale maggiore delle persone più giovani perché hanno accumulato più
esperienze;
- La disponibilità ad apprendere: gli adulti sono disponibili ad apprendere ciò che
hanno bisogno di sapere e saper fare per far fronte alle situazioni della loro vita
reale;
- L’orientamento verso l’apprendimento: in contrasto con l’orientamento centrato
sulle materie caratteristico dei bambini, quello degli adulti è invece centrato
sulla vita reale;
- La motivazione: è errato pensare che gli adulti si rendano disponibili alla
formazione per un lavoro migliore, promozioni e simili; le molle sono le pressioni
interne: l’autostima, la qualità della vita, la soddisfazione sul lavoro.
Rispetto all’ambito della formazione degli adulti si parla oggi sempre più del concetto
di apprendimento dall’esperienza (Bion, 1972), da non far coincidere con il “fare
esperienza” o “accumulare esperienza. Apprendere dall’esperienza significa
elaborarla, trattarla alla luce di quel che già si sa e alla ricerca di quello che ancora
non si sa, e ciò non è possibile senza una contemporanea riflessione che il soggetto
che apprende fa su se stesso, sul suo stile di pensiero, sui suoi modi di essere, leggere
e decodificare le situazioni in cui è coinvolto.

Il connessionismo e le reti neurali artificiali


L’apprendimento è un processo complesso che implica, in ogni caso, un notevole
grado di organizzazione cognitiva. Un tentativo per comprendere tale complessità è
stato fatto dal connesionismo, detto anche PDP (parallel distributed processing), che
prende ispirazione dal funzionamento cerebrale.
Il punto di partenza è dato dal costrutto delle reti neurali artificiali che consistono in
sistemi di elaborazione dell’informazione, in grado di apprendere e di svolgere compiti
complessi. Tali reti neurali sono formate da diverse unità (chiamate anche “neuroni
artificiali) che agiscono in parallelo e che sono collegate tra loro in modo unitario (da
qui il termine “rete”). Le reti sono pensate come attive, ossia caratterizzate da un
certo stato di attivazione in base agli stimoli (input) che ricevono e all’elaborazione
dei dati che propagheranno ad altre reti (output). Le reti neurali artificiali sono altresì
da una certa architettura che stabilisce i percorsi di connettività fra le diverse unità (o
nodi). Di solito, ogni rete neurale presenta uno strato di unità all’ingresso per la
ricezione degli input (strato di input), uno strato di unità per l’output (strato di output)
e uno strato intermedio di unità nascoste che favoriscono i processi di connessione e
di elaborazione dell’informazione. Le connessioni tra le singole unità possono variare
in termini di intensità: vi possono essere unità più fortemente legate tra loro altre
meno. Tale intensità è misurata dal peso sinaptico che è positivo quando la
connessione è eccitatoria, è negativo quando la connessione è inibitoria. Esso è tanto
più elevato quanto più forte è la connessione tra due unità. L’attività della rete neurale
è regolata dagli schemi di connettività fra i vari stati delle unità
(feedforward,feedback, connessioni laterali, back propagation dell’errore).
Su questa piattaforma è possibile spiegare la procedura di apprendimento di una rete
neurale. Essa consiste nella modifica dei pesi sinaptici e quindi della forza di
connessione tra le diverse unità, alla luce della “regola” che Hebb (1949) aveva
ipotizzato per i neuroni biologici: se due neuroni fra loro collegati sono entrambi attivi,
l’efficacia della loro connessione sinaptica risulta aumentata. Diventa quindi possibile
elaborare degli algoritmi di apprendimento che illustrano la complessità
dell’apprendimento (dove per algoritmo si intende un insieme di istruzioni esplicite per
risolvere un problema. Dopo un numero anche elevatissimo di prove il sistema, che
gira su un computer, impara a fare meglio dell’uomo nei compiti più svariati. Il
computer è programmato per esplorare masse enormi di dati e, scovando le
correlazioni, individua le regole che producono le risposte corrette.

Basi neurali
update: i neuroni specchio
I meccanismi neurali delle forme non associative di apprendimento sono stati studiati
in animali invertebrati come lumache. L’abituazione è mediata dalla riduzione della
trasmissione sinaptica; la sensibilizzazione, invece, dall’incremento della trasmissione.
In questi tipi di apprendimento sono coinvolti anche processi di regressione e crescita
delle sinapsi, rispettivamente.
Le sinapsi del cervello mammifero prendono parte all’immagazzinamento delle
informazioni, nel corso dell’apprendimento. Il cervelletto è particolarmente importante
per il condizionamento motorio, e l’amigdala è essenziale al condizionamento emotivo.
Gli incrementi della trasmissione sinaptica, denominati “potenziamento a lungo
termine”, sono coinvolti in questi processi di apprendimento.
Approfondimenti: l’apprendimento ha un fondamento biologico necessario, in quanto il
processo attraverso cui impariamo competenze e conoscenze lascia delle tracce nei
circuiti nervosi del cervello. Per apprendere qualcosa è necessaria un attività nervosa
che induce la formazione di nuove connessioni sinaitiche in aggiunta a quelle
preesistenti. L’esperienza fornisce una serie di istruzioni e di stimolazioni in grado di
generare nuove modulazioni e configurazioni dei circuiti nervosi.
Già nel 1894, Ramón y Cajal aveva sostenuto che la capacità dei neuroni di maturare
e il loro potere di creare nuove connessioni possono spiegare il processo
dell’apprendimento.
Hebb (1949) ha ripreso con vigore questa concezione e ha sottolinea l’idea della
plasticità neurale in connessione con l’attività nervosa indotta dall’esperienza. Se
l’assone di un neurone A è abbastanza vicino per eccitare un altro neurone B in modo
ripetuto e consistente, in uno o in entrambi i neuroni si producono cambiamenti
metabolici e un qualche processo di crescita, per cui l’efficienza di A risulta potenziata.
Inoltre, i neuroni che scaricano simultaneamente si connettono fra loro. Parimenti,
quando input deboli provenienti da un neurone W e input forti provenienti da un
neurone S sono attivi nello stesso tempo nei confronti di un neurone bersaglio A, la via
debole risulta potenziata grazie all’associazione con la via forte. In questo modo la
stimolazione ripetuta di specifici neuroni conduce lentamente alla formazione di una
“assemblea di cellule” che può agire come un sistema chiuso una volta che la
stimolazione sia cessata, prolungando così l’apprendimento. Di parla di
apprendimento hebbiano per descrivere i cambiamenti nella forza di connessione fra
due o più neuroni.
Kandel (1976) ha dato evidenza empirica alle assunzioni di Hebb. Studiando il
sistema di una lumaca marina, la Aplisia californica, egli ha messo in evidenza che, nei
processi di apprendimento connessi con i fenomeni di assuefazione e di
sensibilizzazione, gli assoni attivi, si ramificano e propagano nuove connessioni per la
formazione di nuove sinapsi.
La maggior parte delle strutture cerebrali è in grado di apprendere dall’esperienza
poiché le proprietà delle loro sinapsi possono essere modificate dall’esperienza. In
questo ambito la scoperta del potenziamento a lungo termine (PLT) fatta da Bliss e
Lømo (1973) ha segnato un importante passo in avanti per capire la plasticità neurale
e per spiegare l’apprendimento. Il PLT consiste nell’applicazione di uno stimolo
potenziante a una via nervosa; a seguito di questo stimolo potenziante la risposta
sinaptica aumenta notevolmente rispetto alla risposta standard e si mantiene per ore.
Si è visto che il PLT crea nuove connessioni sinaptiche grazie alla liberazione di
neurotrofine (molecole stimolanti per la sopravvivenza e la crescita dei neuroni) da
parte della cellula post-sinaptica. Parimenti il PLT svolge una funzione centrale
nell’elaborazione dell’informazione e nel mantenimento dei ricordi attraverso la sintesi
di proteine che possono durare tutta la vita, anche se i collegamenti sinaptici durano
pochissimo. In particolare, si è distinto tra PLT precoci e PLT tardivi, ritenuti omologhi,
rispettivamente, della memoria di lavoro e della memoria a lungo termine.

Metodi d’indagine
Metodo sperimentale (cfr. esperimenti di Pavlov e Skinner)

Applicazioni cliniche
La più nota tra le applicazioni cliniche dei principi dell’apprendimento è certamente la
terapia del comportamento, un approccio psicoterapico, basato sul presupposto che la
maggiorparte dei disturbi psicopatologici sia il risultato dell’apprendimento di pattern
di risposta inadeguati e perciò disadattavi. Le metodiche terapeutiche si sono evolute
in questi ultimi decenni integrando il corpus di ricerca del condizionamento classico
con quello del condizionamento operante, e quello prettamente comportamentale con
quello cognitivo. Il panorama è, quindi, ampio e variegato: si incontrano termini che
fanno riferimenti a diversi modelli: behavior analysis (analisi del comportamento),
behavior modification (modificazione del comportamento), cognitive-behavior therapy
(terapia cognitivo-comportamentale), analisi e terapia del comportamento, ingegneria
comportamentale.
• Applicazioni derivate dal condizionamento classico. Il condizionamento
classico è stato spesso considerato un paradigma essenzialmente di laboratorio
e utilizzato principalmente nella ricerca sugli animali, ma l’acquisizione di
risposte condizionate rappresenta un meccanismo di adattamento che riguarda
tutti gli esseri viventi. Nell’uomo è stato studiato il condizionamento di varie
risposte, come quella di salivazione, con stimoli fisici e verbali, e quella di
contrazione della pupilla tramite il suono di una campanella. Inoltre, è stata
condizionata una gamma di risposte come quella psicogalvanica, le alterazioni
termiche, le reazioni vasomotorie e il ritmo cardiaco che hanno permesso la
costituzione della tecnica del biofeedback, una procedura in base alla quale il
soggetto impara ad acquisire il controllo su una funzione (viscerale o somatica)
mediante l’ausilio di un segnale esterno, il feedback che, derivato dalla funzione
stessa che si vuole controllare, viene “rimandato”, retroazionato al soggetto. Le
aree di applicazione di tale terapia riguardano pazienti che presentano problemi
di autoregolazione a livello muscolo-scheletrico, viscerale, con lo scopo,
attraverso una serie di prove di apprendimento, di riequilibrare una funzione
alterata da precedenti apprendimenti inadeguati (tuttavia, non sempre i risultati
ottenuti in campo sperimentali sono stati seguiti da convincenti dimostrazioni
dell’efficacia del metodo in ambito clinico). Oltre a queste risposte, il
condizionamento classico può riguardare nell’uomo l’apprendimento di risposte
emozionali specifiche, tra cui in primo piano vi sono paure e fobie. La paura è
una risposta incondizionata provocata da stimoli pericolosi, spiacevoli o
dolorosi. La reazione di paura davanti a un pericolo ha una funzione adattiva
per l’individuo. La paura in quanto risposta non si apprende: ciò che si apprende
è il fatto di aver paura di alcune cose e non di altre. Talvolta la risposta di paura
è irrazionale, incontrollata e originata da stimoli e situazioni “normali” o,
comunque, non pericolosi: se non vi è più funzione adattiva per l’organismo
significa che si è instaurata una fobia. Le fobie possono essere, quindi, il
risultato di condizionamenti casuali a stimoli insignificanti.
L’osservazione, fatta sin dai tempi di Pavlov, della possibilità di modificare il
comportamento in modo stabile attraverso metodiche di condizionamento, fino
all’induzione delle cosiddette “nevrosi sperimentali” (esperimenti sui ratti), è
stata il punto di partenza per la costruzione di una serie di pratiche basate sul
condizionamento e miranti alla terapia del comportamento patologico. Questo
comportamento, che può avere il valore di sintomo (come nelle fobie) o essere
l’atto attraverso il quale si concretizza la patologia (come l’atto di bere negli
alcolisti), viene trattato come tale e non analizzato per il suo significato
profondo.
All’inizio degli anni ’20, Watson tentò di applicare sperimentalmente alcuni
principi del condizionamento allo studio e alla terapia di paure e fobie. È famoso
il caso del “piccolo Albert” . Albert era un bambino di 11 mesi a cui fu indotta
sperimentalmente una risposta condizionata di paura nei confronti di una
piccola cavia bianca, associando la presenza di questa a un forte rumore
improvviso; dopo solo sette presentazioni dei due stimoli accoppiati, la semplice
vista della cavia provocava una reazione condizionata di paura che si
generalizzò presto ad altri stimoli percettivamente simili. Con questo
esperimento Watson intendeva dimostrare che era possibile spiegare la genesi
di alcune reazioni di paura in base alle leggi conosciute dell’apprendimento e
del condizionamento e contemporaneamente ipotizzava la possibilità di
applicare le stessi leggi a scopo terapeutico: “Tale condizionamento potrebbe
essere superato adottando quattro possibili soluzioni: l’estinzione sperimentale,
attività costruttive sull’oggetto temuto, il ricondizionamento o provocando una
competizione con la paura”.
Il decondizionamento della paura per mezzo della presentazione di uno stimolo
“competitivo” gradito si diffuse soltanto dopo trent’anni, riproposto dal
sudafricano J. Wolpe con il termine “inibizione reciproca” . Più precisamente si
può definire l’inibizione reciproca come una modalità della terapia
comportamentale che si rifà al controcondizionamento, ovvero all’inibizione di
una risposta patologica per mezzo di una risposta che si pone in competizione
con l’attivazione ansiosa che ne è il punto di partenza. L’applicazione delle
conoscenze sperimentali e dei principi dell’apprendimento all’ambito clinico
prende il nome di “terapia del comportamento”, un approccio che si è evoluto
gradualmente. Il termine behavior therapy è stato introdotto più o meno
indipendentemente da tre gruppi di ricercatori separati: Skinner, Solomon e
Lindsley (1953) negli Stati Uniti, Lazarus (1958) in Sud Africa e il gruppo inglese
guidato da Eysenck (1958). Wolpe preferì inizialmente il termine “psicoterapia
per inibizione reciproca”. Nel trattamento delle nevrosi umane Wolpe,
richiamandosi a Watson, utilizzò il rilassamento muscolare profondo come
antagonista dell’ansia, unitamente alla presentazione graduale degli stimoli
ansiogeni: tale tecnica è stata chiamata “desensibilizzazione sistematica” e si è
rivelata molto efficace nel trattamento di un’ampia gamma di disturbi fobici.
Nello specifico, l’ansia connessa a comportamenti indesiderati si può collocare a
diversi livelli di profondità. Se essa si situa a livello superficiale può essere
sufficiente un procedimento di “desensibilizzazione rassicurativa”, per il quale la
situazione d’ansia viene sdrammatizzata con ripetute affermazioni correttive.
Nel caso di forme d’ansia che si manifestano nell’interazione sociale, la
modalità più idonea di trattamento consiste nell’incoraggiamento di pulsioni e
sentimenti che dall’ansia (profonda o di base) sono stati inibiti. Tali pulsioni, per
ostacolare l’emergenza delle quali si era sviluppata l’ansia, vengono favorite
nella loro espressione o attraverso una serie di affermazioni verbali o anche
attraverso delle “prove di comportamento” che rendono tangibili e “innoque” le
pulsioni affettive sottostanti al comportamento da correggere. Una forma di
“desensibilizzazione avversativa” si rivela più adatta a trattare le abitudini
ossessive o coatte. Un esempio tipico è quello dell’alcolismo: degli stimoli
dolorosi, in origine degli shock elettrici e ora dei farmaci che rendono nauseante
l’assunzione di alcolici, vengono applicati contemporaneamente
all’instaurazione del comportamento sgradito in modo che esso venga associato
allo shock e gradualmente evitato. L’evitamento così raggiunto può essere
attivo per lungo tempo, anche in assenza di rinforzo. Questa metodica è stata
usata anche nel trattamento di enuresi, bulimia, in certe forme di omosessualità
secondaria ecc. Una forma particolare di decondizionamento è la
“desensibilizzazione sistematica”. Elementi caratterizzanti sono l’induzione nel
paziente di uno stato di rilassamento muscolare tale da antagonizzare la
risposta ansiosa a livello somatico e la desensibilizzazione graduata secondo
una ordinata e refratta presentazione degli stimoli ansiogeni. Il rilasciamento si
può ottenere con delle tecniche che interessano uno ad uno i singoli gruppi
muscolari (come la metodica di Jacobson) oppure attraverso la trance ipnotica o
con l’ausilio di farmaci sedativi. Attraverso un analisi accurata si può stabilire
una precisa gerarchia degli stimoli ansiogeni per il singolo soggetto. Al paziente,
in stato di rilasciamento, viene presentato (o semplicemente fatto evocare
mentalmente) lo stimolo che ha il più basso grado di ansiogenicità nella sua
personale gerarchia, fintanto che esso non susciti alcuna reazione ansiosa. Il
processo passa poi a oggetti e situazioni successive per intensità di reazione
ansiosa normalmente evocata nel soggetto, in modo molto graduale e preciso
fino ad ottenere l’estinzione della risposta anche di fronte alle situazioni al
vertice della gerarchia. La gradualità è essenziale in quanto l’eventuale
scatenamento di un’ansia incontrollabile porterebbe al rinforzo e alla
generalizzazione della risposta indesiderata anche di fronte a stimolazioni
situate ad un livello inferiore della gerarchia. Si è osservato chela fase del
trattamento è facilitata dalla esposizione reale (in vivo) alla situazione temuta,
dalla desensibilizzazione di gruppo e dall’osservazione di un altro soggetto
(Bandura, 1968) che si avvicina senza subire conseguenze alla situazione
temuta.
• Applicazioni derivate dal condizionamento operante. Le tecniche di
matrice operante possono essere applicate all’apprendimento di nuovi
comportamenti adattivi, al potenziamento di comportamenti già presenti ma
deboli o poco frequenti o all’eliminazione-riduzione di condotte disadattive.
Si può ottenere il superamento di risposte disadattive attraverso la
gratificazione delle risposte che si orientano ad un modello di comportamento
alternativo. Questo processo viene chiamato ricondizionamento positivo.
Nell’uso terapeutico, le due modalità principali sono il rinforzo positivo e lo
shaping (modellamento). Nel rinforzo positivo il terapeuta parte dal
frazionamento della risposta desiderata in tante piccole parti attraverso
l’evocazione graduale di ogni risposta che sia orientata nella direzione
prefissata e nella sua gratificazione immediata. Attraverso lo shaping vengono
sistematicamente rinforzate le risposte che si avvicinano progressivamente al
comportamento-meta, finché il soggetto arriva ad acquisire un’abilità nuova
rispetto al suo repertorio iniziale; a differenza del rinforzo positivo, esse non
vengono evocate dal terapeuta, ma si attende che compaiano spontaneamente
(questa è la stessa tecnica utilizzata dai domatori). Risulta importante dal punto
di vista tecnico: l’immediato rinforzo del segmento d’azione compatibile col fine
prefissato; non rinforzare eccessivamente, ma neanche troppo scarsamente una
risposta approssimativa; definire con precisione quali risposte rinforzare ad ogni
stadio successivo della terapia. La gratificazione dev’essere adattata a ogni
singolo individuo e può anche corrispondere all’eliminazione di uno stimolo
avversivo, alla riduzione di uno stato di bisogno ecc. Ancora più che in ambito
terapeutico questa tecnica è utilizzata (in modo consapevole e non) nella scuola
e nelle tecniche di propaganda (il riconoscimento di carattere sociale –
identificazione con il leader o l’eroe collettivo – agisce da gratificazione
rinforzante). Il prompting consiste nell’uso strategico di stimoli discriminativi
allo scopo di aiutare il soggetto nel processo di apprendimento. Con il fading
questi stimoli discriminativi supplementari, forniti inizialmente dal terapeuta,
vengono progressivamente eliminati per permettere la normale autonomia del
comportamento. Con il chaining si predispone una sequenza di stimoli che
rende più facile l’apprendimento di comportamenti complessi.
L’estinzione è una procedura utilizzata per favorire l’eliminazione di un
comportamento disadattivo impedendo la comparsa di uno stimolo
incondizionato o di un rinforzo. Secondo la definizione di Dunlap, l’estinzione
consiste nella ripetizione sistematica e sistematicamente non premiata da alcun
rinforzo positivo del comportamento non desiderato o patologico, la quale è
anche stata anche denominata “pratica negativa”. La mancanza sistematica del
rinforzo e la ripetizione massiva indeboliscono re attivamente il comportamento
indesiderato e sembra che questo metodo sia efficacemente utilizzabile per
correggere le abitudini motorie sgradite, come i tics. Il costo della risposta
implica la perdita dei vantaggi, consapevoli o inconsapevoli, che mantengono
molti comportamenti disadattavi. Le tecniche di controllo dello stimolo
prevedono l’attenuazione o l’eliminazione di un determinato contesto di stimoli
da un determinato contesto degli stimoli che favoriscono la comparsa dei
comportamenti disadattivi. I contratti comportamentali implicano la stipula di
un vero e proprio contratto tra il terapeuta e il cliente che stabilisce
esplicitamente i vantaggi di ogni nuovo apprendimento e gli eventuali costi per
il mancato progresso.
Queste tecniche possono apparire di semplice applicazione, ma non è così. Tra le
difficoltà vi sono: la corretta analisi del caso, la contestualizzazione e la
individualizzazione dei principi, la flessibilità terapeutica necessaria per monitorare, e
se necessario modificare, gli interventi.
Altre tecniche terapeutiche: oltre alla già citata desensibilizzazione sistematica: il
flooding consente di ottenere l’estinzione di una risposta d’ansia “inondando” il
soggetto e impedendo, così, il comportamento di evitamento ad essa collegato. Con la
tecnica dell’arresto del pensiero il terapeuta addestra il paziente a interrompere il
corso dei pensieri ricorrenti e ansiogeni. Le tecniche di autocontrollo più utilizzate
sono il self-instructional training, che mira allo sviluppo dell’autoconsapevolezza del
paziente riguardo la dipendenza del comportamento indesiderato da valutazioni e
istruzioni e alla modifica di tali istruzioni e valutazioni, e lo stress inoculation training,
che consiste nell’attivazione intenzionale di situazioni ansiogene o stressanti che il
soggetto deve affrontare mettendo in pratica le procedure apprese nel corso del
training. Infine, il training di assertività mira ad aumentare le abilità sociali
dell’individuo in modo da risolvere positivamente i problemi d’ansia legati ai rapporti
sociali.
• Applicazioni derivate dall’approccio cognitivo. Accanto a queste classiche
tecniche comportamentali, sono state messe a punto tecniche derivate dalla
teoria cognitivista, che presuppone che i disturbi del comportamento siano
anche il risultato di schemi di pensiero disadattivo. Secondo Ellis (1962),
esistono, infatti, alcune “convinzioni irrazionali” che incrementano la probabilità
di una valutazione erronea delle situazioni (pensiero polarizzato,
personalizzazione ecc). Il compito della terapia è quello di mettere in grado il
paziente di riconoscere e, quindi, modificare questi pensieri disadattavi.
Beck (1976) propone alcune procedure per modificare i processi disadattavi del
pensiero che impiegano tecniche sia comportamentali sia cognitive. I metodi
comportamentali comprendono l’individuazione di schemi di attività, la
presentazioni di compiti graduati che forniscono esperienze di controllo e di
successo, e l’assegnazione di “compiti a casa” (diario, schede di
automonitoraggio). I metodi cognitivi si incentrano sulle capacità di ridurre il
problema, di prendere le distanze e di decentrarsi: identificati i pensieri
automatici, si invita il paziente a concentrarsi sugli errori di pensiero (che
possono essere dovuti a fattori di personalizzazione, di polarizzazione, di
ipergeneralizzazione) per acquisire la consapevolezza di commettere
costantemente un errore. Il passo successivo è l’elaborazione di alternative. Le
tecniche da usare per la produzione di alternative possono essere stabilite in
relazione all’errore cognitivo commesso nel giungere alla conclusione iniziale.
Se l’errore è la personalizzazione il compito consiste nel riuscire a decentrarsi;
se l’errore è la polarizzazione, il compito consiste nel produrre alternative
intermedie; quando l’errore cognitivo è l’ipergeneralizzazione, si tenta di
spiegare al paziente la conclusione cui è giunto, specificando i dati che la
sostengono.
Le tecniche di ristrutturazione cognitiva hanno come obbiettivo la revisione e la
riformulazione delle convinzioni che regolano lo stile rappresentativo del
paziente nei confronti del suo problema. In particolare, la tecnica di
ristrutturazione razionale sistematica pone in risalto il ruolo delle convinzioni
irrazionali e mira alla loro modificazione. La tecnica del problem solving, invece,
è finalizzata allo sviluppo di una strategia generale per far fronte alle situazioni
problematiche con modalità più originali ed efficaci. Le tecniche di
immaginazione modificativa comprendono la tecnica del turn-off, mediante la
quale si addestra il paziente a interrompere una fantasia ansiogena autonoma
per mezzo di un input sensoriale e a sostituirla con una fantasia piacevole e la
tecnica di modellamento e sostituzione delle immagini. Rientrano ancora fra le
tecniche cognitivo-comportamentali la misurazione in scala, finalizzata al
ridimensionamento delle interpretazioni estreme per contrastare il tipico
pensiero dicotomico, la riattribuzione, cioè la rassegnazione delle responsabilità
per quanto concerne azioni e risultati, la valutazione di costi e benefici nel
mantenere o modificare convinzioni e comportamenti e la decatastrofizzazione,
per rendere il paziente in grado di riconoscere e contrastare la tendenza a
prefigurare esclusivamente le conseguenze deleterie delle situazioni. Infine, una
tipica tecnica che riassume tutte le caratteristiche dell’approccio cognitivo
comportamento è il modeling. Esso si basa sul principio che il comportamento
sia modificabile oltre che dall’esperienza diretta di un soggetto, per vicarianza,
dalle conseguenze osservate su un modello. L’apprendimento osservativo
funziona quindi in modo molto simile a quello operante, solo che il soggetto
impara per interposta persona, senza mettere in atto in prima persona un
comportamento e senza sperimentarne le conseguenze. In questo modo il
terapista può insegnare al proprio paziente ad affrontare certe situazioni senza
temere catastrofiche conseguenze, mostrando lui stesso che ciò che avviene
non è pericoloso. Il principio di base si può declinare poi in diversi modi, per
esempio unendolo a istruzione, come nel coaching.

Applicazioni in ambito educativo:


cfr. Ambiti applicativi del costruttivismo e della teoria di Bandura; approfondimenti su:
istruzione programmata, e-learning, apprendimento cooperativo.

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