Sei sulla pagina 1di 89

Libro 1 - Teorie e Applicazioni

Capitolo 1 – Che cos’è la psicologia sociale?


Che cos’è la psicologia sociale?
La psicologia sociale è il ramo della psicologia che studia l’interazione tra le persone. Una definizione
ampiamente diffusa è quella di Allport: “La psicologia sociale è l’indagine scientifica di come pensieri,
sentimenti e comportamenti degli individui siano influenzati dalla presenza oggettiva, immaginata o
implicita degli altri”.
La psicologia sociale è una scienza che sviluppa teorie per spiegare il comportamento umano e le verifica
empiricamente attraverso esperimenti e osservazioni. Al centro del suo interesse si trovano pensieri,
sentimenti e azioni delle persone.
Ciò che distingue la psicologia sociale dal resto della psicologia riguarda l’influenza della presenza oggettiva,
immaginata o implicita degli altri.
La presenza implicita si riferisce a come l’interazione umana attribuisca significato alle cose. Di solito,
questo “significato sociale” è costruito e trasferito attraverso il linguaggio. Un esempio di presenza implicita
sono le norme. Tali norme implicano la presenza di altre persone e “determinano” il comportamento anche
in assenza di altri.
NORME -> Uniformità negli atteggiamenti e nei comportamenti che definiscono l’appartenenza a un
gruppo e differenziano i gruppi tra di loro.

Sub – Livelli di spiegazione


Il riduzionismo consiste nella pratica di spiegare un fenomeno attraverso linguaggio e concetti appartenenti
a un livello di analisi inferiore. Un problema della teoria riduzionista è quello di non essere in grado di
proporre una risposta alla domanda scientifica di partenza. Se il livello di analisi (o di spiegazione) non si
sintonizza con il livello a cui la domanda è stata posta, essa rimane di fatto senza risposta.
RIDUZIONISMO -> Spiegazione di un fenomeno attraverso il linguaggio e i concetti proprio di un livello di
analisi inferiore, solitamente con una conseguente riduzione della capacità esplicativa.
La psicologia sociale è stata criticata in quanto considerata riduzionista per natura, perché cerca di spiegare
il comportamento sociale in termini che non sono sociali.
Doise ha suggerito che esistano differenti livelli di spiegazione. Tajfel e Turner attraverso la teoria
dell’identità sociale spiegano i comportamenti intergruppo utilizzando, sia i processi cognitivi individuali, sia
le forze sociali che operano su larga scala.
Livelli di spiegazione in psicologia sociale:
1 – Intrapersonale: analisi del modo in cui le persone organizzano le proprie esperienze dell’ambiente
sociale
2 – Interpersonale e situazionale: analisi dell’interazione interpersonale. Fattori posizionali esterni alla
situazione, come lo status, non vengono considerati. Oggetto di studio sono le dinamiche di relazione in un
dato momento tra dati individui in una data situazione
3 – Posizionale: analisi dell’interazione interpersonale in situazioni specifiche, ma in cui il ruolo della
posizione sociale, esterno alla situazione, viene preso in considerazione
4 – Ideologico: analisi dell’interazione interpersonale che considera il ruolo delle credenze sociali generali e
delle relazioni sociali tra gruppi

Sub2 – La psicologia sociale e i suoi parenti


La psicologia sociale si è sviluppata in modo tale da divenire il punto di intersezione di altre discipline:
psicologia cognitiva (1), psicologia dell’individuo (2), antropologia sociale (3), sociologia (4),
sociolinguistica/linguaggio della comunicazione (5).
Gli studi sulla cognizione sociale rimandano alla 1. La 2 contribuisce ai test della personalità e ad altri test
diagnostici. La 3 e la 4 sono in stretto contatto con la psicologia sociale in quanto coinvolte nella ricerca che
si occupa delle norme sociali e dei gruppi: inoltre la 4 ha anche influenzato il modo in cui la psicologia
sociale affronta i problemi del sé attraverso l’interazionismo simbolico. Infine, nella psicologia sociale si
sono sviluppate linee di ricerca che interagiscono con i rami della 5.

Fare psicologia sociale


Gli psicologi sociali non studiano il comportamento degli animali: studiano quello delle persone. Questo
perché gli psicologi sociali ritengono che lo studio degli animali non ci porti molto lontano nella spiegazione
del comportamento sociale dell’uomo.

Sub – Scienza
La psicologia sociale è una scienza. La scienza è un metodo per studiare la natura, ed è il metodo che
distingue la scienza dagli altri approcci conoscitivi: tale metodo include la raccolta dei dati per verificare le
ipotesi.
La psicologia sociale utilizza concetti come la dissonanza, l’atteggiamento, la categorizzazione e l’identità
per spiegare i fenomeni psicologico-sociali.
TEORIA -> Insieme di concetti e principi correlati che spiegano un fenomeno. La validità di una teoria si
basa sulla sua corrispondenza con fatti pubblicamente verificabili. Gli psicologi sociali prima sviluppano
ipotesi basate su teorie, poi raccolgono dati per verificare se le ipotesi sono corrette.
IPOTESI -> Previsioni verificabili empiricamente sui rapporti di relazione e di causa-effetto.

Sub – Verifica delle ipotesi


Nella psicologia sociale il numero della probabilità è 0,05. Se le statistiche dimostrano che l’effetto ha una
probabilità più bassa (cioè inferiore al 5%) di essere un evento dovuto al caso, allora lo si può considerare
un effetto autentico: l’ipotesi è stata confermata. In caso contrario, l’ipotesi non è confermata e si
ricomincia daccapo.
In quanto scienza, la psicologia sociale dispone di una vasta gamma di metodi differenti per verificare le
ipotesi in via empirica. Esistono due ampie tipologie di metodi: quello sperimentale e quello non
sperimentale. La scelta di un metodo appropriato è influenzata da fattori che hanno a che fare con la
natura dell’ipotesi indagata, le risorse disponibili per effettuare la ricerca (es. tempo, denaro, partecipanti)
e le basi etiche su cui il metodo si fonda.

Sub – Esperimenti
Un esperimento è la messa alla prova di un’ipotesi in cui si fa qualcosa per osservarne l’effetto su
qualcos’altro. La sperimentazione causale è una delle modalità più comuni e importanti attraverso cui le
persone migliorano la conoscenza del proprio mondo. È un metodo che ci permette di identificare le cause
degli eventi e quindi di assumere il controllo del proprio destino.
La sperimentazione sistematica è il più importante metodo di ricerca della psicologia sociale.
METODO SPERIMENTALE -> Richiede la manipolazione di una o più variabili indipendenti e la misurazione
dell’effetto di tale manipolazione su una o più variabili dipendenti.
VARIABILI INDIPENDENTI -> Aspetti della situazione che cambiano in modo spontaneo o che possono
essere manipolati dallo sperimentatore per avere effetti su una variabile dipendente.
VARIABILI DIPENDENTI -> Variabili che cambiano in seguito a modifiche nella variabile indipendente.
La variazione della variabile dipendente dipende dalla variazione delle variabili indipendenti.

Durante la sperimentazione è importante:


1 – assicurarsi che quando si manipola una variabile non si manipoli inavvertitamente qualcos’altro che
potrebbe essere causa dell’effetto prodotto.
CONFUSIONE -> Situazione in cui due o più variabili indipendenti covariano in modo tale che è impossibile
sapere qual è la causa dell’effetto.
2 – assicurarsi che la richiesta non sia troppo impegnativa da rendere improbabile che qualcuno acconsenti
(effetto pavimento): caso opposto è l’effetto soffitto.
3 – Evitare che i partecipanti individuino l’ipotesi, in quanto potrebbero comportarsi intenzionalmente in
modo da confermarla o negarla.
CARATTERISTICHE DELLA RICHIESTA -> Sono definite da Orne come degli elementi di un esperimento che
sembrano “richiedere” una certa risposta.
Il vantaggio di condurre un esperimento in laboratorio è dato dalla possibilità di controllare la situazione, in
modo che le manipolazioni risultino pure e non confuse. Gli esperimenti sono concepiti ad hoc per creare
situazioni artificiali rare nel mondo esterno. Gli sperimentatori hanno l’obiettivo di mantenere le
manipolazioni a un basso livello di realismo mondano. Il loro scopo è ampiamente orientato al realismo
sperimentale.
REALISMO MONDANO -> Somiglianza tra le circostanze in cui ha luogo un esperimento e le circostanze che
si incontrano nella vita di tutti i giorni.
REALISMO SPERIMENTALE -> La manipolazione deve avere un forte impatto psicologico ed essere
pienamente dotata di significato per i partecipanti.
Dato che per gli esperimenti di laboratorio è necessario portare lì le persone, col tempo è diventato
conveniente servirsi di studenti universitari come partecipanti. I critici hanno affermato che questa
eccessiva dipendenza dagli studenti stia dando luogo alla “psicologia sociale dei ‘fagioli’” (nomignolo per gli
studenti di secondo anno), dai quali si ricavano dati difficilmente generalizzabili ad altri settori della
popolazione.
Molto spesso vogliamo fare ricerca su popolazioni che non si possono facilmente portare in laboratorio: in
questo caso, la risposta è data dagli esperimenti sul campo, in cui si ha una manipolazione realizzata fuori
dal laboratorio. Gli esperimenti sul campo si caratterizzano per l’alto tasso di realismo mondano e
sperimentale, dove i partecipanti spesso non sanno di essere coinvolti in un esperimento.

Sub – Altri metodi di ricerca


Quando la sperimentazione è impossibile o inappropriata, gli psicologi sociali possono scegliere tra una
serie di metodi non sperimentali. Questi metodi non prevedono la manipolazione di variabili indipendenti a
fronte dell’assegnazione casuale dei partecipanti a una condizione. Per tale motivo è quasi impossibile
giungere a conclusioni attendibili circa i rapporti causa-effetto. I metodi non sperimentali includono l’esame
della correlazione tra variabili che si manifestano in maniera naturale e che, in quanto tali, non ci
permettono di trarre conclusioni sul rapporto causa-effetto.
CORRELAZIONE -> Fenomeno per cui i cambiamenti di una variabile si combinano in modo attendibile a
quelli di un’altra variabile, senza che però sia possibile stabilire quale delle due variabili abbia causato il
cambiamento.
1 – La ricerca d’archivio è un metodo non sperimentale basato sulla collezione di dati raccolti da altri. Tale
metodo è utile per indagare fenomeni riconducibili a tempi passati. I metodi d’archivio sono spesso usati
per fare confronti tra culture o nazioni differenti in merito a fenomeni come il suicidio, la salute mentale, o
l’educazione dei figli. La ricerca d’archivio può rivelarsi inattendibile, perché il ricercatore non ha il controllo
sulla raccolta dei dati iniziali.
2 – Gli studi di un caso rappresentano un altro metodo non sperimentale. Richiedono analisi approfondite
di un caso singolo e sono particolarmente adatti allo studio di fenomeni rari o inusuali, che non potrebbero
essere ricreati in laboratorio.
PAURA DEL GIUDIZIO -> La preoccupazione di essere giudicati dai presenti può portare alla facilitazione
sociale (ovvero un miglioramento della prestazione).
3 – Una variante dello studio di un caso è l’analisi del discorso. Qui l’attenzione si concentra su quello che le
persone dicono esplicitamente in una naturale conversazione e su quello che si cela dietro le parole.
Quanto è condotta in modo appropriato, può dimostrarsi molto efficace per rilevare atteggiamenti e
sentimenti che le persone sono ben attente a nascondere.
4 – Un altro metodo comune non sperimentale è la ricerca basata sull’inchiesta. Un’inchiesta può
richiedere la presenza di un ricercatore, oppure può assumere la forma di un questionario, in cui si scrivono
le risposte a domande chiuse o aperte.
5 – L’equivalente non sperimentale degli esperimenti sul campo, è la ricerca sul campo. In essa un
ricercatore non intrusivo e “invisibile” osserva, registra e codifica il comportamento per come si manifesta.
Le ricerche sul campo sono eccellenti per indagare sequenze di azioni spontanee in un contesto naturale.

Fare ricerca in modo etico


In qualità di ricercatori gli psicologi sociali si confrontano con temi etici.
Per orientare i ricercatori, l’Associazione degli Psicologi Americani ha stabilito nel 1972 una serie di principi
di condotta etica, riguardanti la ricerca sugli esseri umani. Ci sono cinque principi etici che hanno ricevuto
più attenzione e sono: protezione dal danno, diritto alla privacy, inganno, consenso informato e
trasparenza.
PRIVACY -> Dato che i partecipanti forniscono spesso informazioni personali e talvolta imbarazzanti e
intime, i ricercatori devono fare del loro meglio per garantirne la confidenzialità, in modo che dai dati non si
possa risalire ai singoli individui coinvolti.
Negli esperimenti è necessario che i partecipanti non siano a conoscenza della manipolazione e delle
ipotesi che vengono verificate, altrimenti i dati rifletterebbero risposte deliberate e sarebbe impossibile
studiare molti processi psicologici.
Un esperimento può essere presentato come uno studio sui processi decisionali di gruppo, quando in
effetti è parte di un programma di ricerca sul pregiudizio e la stereotipizzazione.
I partecipanti dovrebbero anche ricevere un debriefing, cioè un rapporto dettagliato relativo
all’esperimento a cui hanno preso parte.

Breve storia della psicologia sociale


Sub – Gli esordi
I primissimi esordi della psicologia sociale risalgono probabilmente a un gruppo di studiosi tedeschi
influenzato dal filosofo Hegel, che si diedero il nome di demopsicologi.
A differenza della psicologia generale, la demopsicologia si occupava della mente collettiva. Il concetto di
mente collettiva fu interpretato, da una parte, come una modalità di pensiero sociale interna al singolo
individuo, dall’altra, come una forma di pensiero transindividuale, in grado di includere un intero gruppo di
persone.
MENTE DI GRUPPO -> Idea di McDougall secondo cui le persone adottano un modo di pensare
qualitativamente differente quando sono in gruppo.
Una prima questione fu se la psicologia sociale dovesse essere una scienza dall’approccio “top-down”,
focalizzata sul modo in cui i processi sociali influenzano la psicologia dell’individuo, oppure “bottom-up”,
dove il centro di interesse è rappresentato da come la psicologia individuale influenza i fenomeni a livello
sociale.

Sub – Psicologia sociale come scienza


Allport sostenne che la psicologia sociale si sarebbe diffusa solo diventando una scienza sperimentale. Il
primo esperimento di psicologia sociale che suscitò interesse e controversie viene spesso identificato nello
studio di Triplett sul maggior impegno della gente nello svolgimento di un compito se svolto in presenza di
altre persone presenti come spettatori o rivali.
1 - Un primo tema al centro dell’attenzione è stato lo studio degli atteggiamenti.
All’inizio alcuni studiosi identificarono addirittura la psicologia sociale con lo studio scientifico degli
atteggiamenti.
2 - Si dall’inizio il comportamento degli individui nei gruppi è stato un altro tema molto rilevante. Lewin
considerato il “padre” della psicologia sociale sperimentale, condusse i primi studi classici sulla leadership
nei gruppi e nel 1945 fondò un centro di ricerca dedicato allo studio delle dinamiche di gruppo.
3 – Un altro tema di interesse centrale nella psicologia sociale riguarda l’influenza reciproca tra le persone e
le modalità con cui i gruppi sviluppano norme che influenzano i loro membri.
Gli psicologi sociali sono sempre stati interessati a capire come percepiamo gli altri e che cosa pensiamo di
loro.

Sub – Europa
Sebbene la psicologia sociale fosse nata in Europa, gli Stati Uniti assunsero rapidamente la leadership non
soltanto in termini di idee, ma anche di riviste, libri e organizzazioni. L’ascesa del fascismo negli anni Trenta,
culminata nella Seconda Guerra Mondiale, ridusse nel nostro continente la psicologia sociale al punto che
essa di fatto non esisteva più.
Dal 1945 agli anni Cinquanta, gli Stati Uniti fornirono risorse per (ri)costruire centri di psicologia sociale in
Europa: tali centri erano collegati agli Usa. Gli europei avvertirono di essere maggiormente interessati alle
relazioni intergruppo e ai gruppi, mentre gli americani mostrarono più interesse alle relazioni interpersonali
e agli individui.
A Royaumont nel 1966 si costituì l’Associazione europea di psicologia sociale sperimentale, con lo scopo di
promuovere la psicologia sociale in Europa.
La storia della psicologia sociale europea è stata influenzata in particolare da due figure: Tajfel e Moscovici.
Il primo sviluppò all’Università di Bristol un nuovo approccio allo studio dei rapporti intergruppo: la sua
teoria dell’identità sociale si concentrava sulle relazioni intergruppo, enfatizzando il ruolo della
categorizzazione e le modalità con cui l’identità delle persone viene definita attraverso i gruppi a cui esse
appartengono.

Sub – Ritorno al futuro


Oggi la teoria dell’identità sociale riscuote grande attenzione, ma emerge uno speciale interesse per la
religione, l’estremismo, il terrorismo e la psicologia del “male”.
Collegata alla cognizione sociale c’è un forte aumento di interesse per la mappatura dell’attività neuronale:
la neuroscienza sociale.

Capitolo 2 – Pensiero sociale


La psicologia sociale studia le modalità attraverso cui pensieri, sentimenti e comportamenti umani sono
influenzati dagli altri e a loro volta li influenzano. Le persone pensano al proprio mondo sociale e, sulla base
del loro pensiero, agiscono in determinati modi. Il pensiero coincide con il linguaggio interiore e con i
simboli che usiamo.
La cognizione è un’attività mentale attraverso cui si elaborano, comprendono e memorizzano informazioni
percettive e attraverso cui si pianifica e programma ciò che si dice e si fa: essa non può essere osservata
direttamente.

Come si formano le nostre impressioni sugli altri


COGNIZIONE SOCIALE -> Processi e strutture cognitive che influenzano il comportamento sociale e ne sono
influenzate.
Durante gli anni Quaranta e Cinquanta, il nuovo approccio di ricerca degli psicologi sociali produsse
numerose teorie che condividevano l’assunto secondo il quale le persone perseguono la coerenza
cognitiva.
COERENZA COGNITIVA -> Modello di cognizione sociale secondo cui le persone cercano di ridurre
l’incoerenza tra le proprie cognizioni, poiché la trovano spiacevole.
Le teorie della coerenza persero popolarità negli anni Sessanta, quando divenne chiaro che le persone
possiedono una notevole tolleranza nei confronti dell’incoerenza cognitiva. I ricercatoti adottarono allora il
modello dello scienziato ingenuo, secondo cui le persone hanno la necessità di attribuire specifiche cause ai
comportamenti e agli eventi, per rendere il mondo un luogo dotato di senso in cui agire. Questo modello
sta alla base delle teorie attribuzionali del comportamento sociale, che dominarono la psicologia sociale
negli anni Settanta.
SCIENZIATO (O PSICOLOGO) INGENUO -> Modello di cognizione sociale secondo cui le persone svolgono
analisi causa-effetto razionali e di tipo scientifico per comprendere il proprio mondo.
TEORIA ATTRIBUZIONALE -> Processo di individuazione di una causa alla base del nostro comportamento o
di quello degli altri.
ECONOMIZZATORE COGNITIVO -> Espressione usata da Nisbett e Ross. Modello di cognizione sociale
secondo cui le persone utilizzano le cognizioni meno complesse e faticose in grado di produrre
comportamenti generalmente adattativi.
Secondo Showers e Cantor il pensatore sociale si presentava come un tattico motivato.
TATTICO MOTIVATO -> Modello di cognizione sociale secondo cui le persone dispongono di molteplici
strategie cognitive, che selezionano in funzione di obiettivi, motivi e necessità personali.
Oggi la cognizione sociale si focalizza su come la cognizione sia influenzata da contesti sociali sia ampi che
più immediati e su come, a sua volta, influenzi il nostro comportamento sociale. La cognizione sociale è
anche un approccio alla ricerca caratterizzato da una serie di metodi, in larga parte presi in prestito dalla
psicologia cognitiva.
NEUROSCIENZA SOCIALE -> Metodologia in cui l’attività cognitiva è monitorata dalla risonanza magnetica
funzionale (fMRI), che scopre e localizza l’attività elettrica cerebrale associata ad attività o funzioni
cognitive. Grafman ha riportato che l’attività neuronale aumenta quando le persone credono nella
presenza di Dio nella vita di tutti i giorni.
Situazioni differenti evocano emozioni differenti in persone diverse. Le persone valutano continuamente le
proprie speranze, desideri, abilità e la situazione in cui si trovano. Queste valutazioni cognitive generano
emozioni specifiche e reazioni fisiologiche. Secondo il modello dell’infusione dell’affetto di Forgas la
cognizione si unisce allo stato affettivo al punto che i giudizi sociali riflettono l’umore del momento. Il
nostro giudizio sulle persone è influenzato maggiormente dall’umore quando:
1) abbiamo bisogno di pensare più a lungo
2) elaboriamo attivamente i dettagli di uno stimolo

Sub – Quali impressioni sono importanti?


Ci formiamo impressioni sulle persone che incontriamo, che ci vengono descritte o che conosciamo
attraverso i media. Comunichiamo queste impressioni agli altri e le usiamo come basi per decidere come si
sentiamo e agiamo. La formazione delle impressioni e la percezione della persona sono aspetti importanti
della cognizione sociale.

Sub2 – Controllo delle impressioni


Quando descriviamo gli altri usiamo sin da subito i tratti della personalità. Asch distinse i tratti centrali
(quello più distintivi) dai tratti periferici (meno distintivi).
TRATTI CENTRALI -> Nel modello configurazionale di Asch, sono tratti che hanno un’influenza
sproporzionata sulla configurazione delle impressioni finali.
TRATTI PERIFERICI -> Nel modello configurazionale di Asch, sono tratti che hanno un’influenza poco
significativa sulla configurazione delle impressioni finali.
I tratti centrali sono quelli che in maniera intrinseca presentano alte correlazioni con altri tratti.
COSTRUTTI PERSONALI -> Definiti da Kelly, sono modi personali e idiosincratici con cui si rappresentano gli
altri.
TEORIE IMPLICITE DELLA PERSONALITA’ -> Modi personali e idiosincratici con cui si rappresentano gli altri e
si spiega il loro comportamento.
Le impressioni che si hanno su qualcuno sono inoltre influenzata dall’ordine in cui si ricevono informazioni
al suo riguardo.
EFFETTO PRIMACY -> Consiste nell’incidenza delle prime informazioni sull’impressione generale del
destinatario. Fa riferimento all’ordine di presentazione in cui le informazioni comunicate per prime hanno
un’influenza sproporzionata sulla cognizione sociale.
EFFETTO RECENCY -> Si verifica quando le ultime informazioni hanno un impatto più decisivo delle prime.
Fa riferimento all’ordine di presentazione in cui le informazioni comunicate per ultime hanno un’influenza
sproporzionata sulla cognizione sociale.
In generale l’effetto primacy è più comune.

Sub2 – L’aspetto fisico conta


È probabile che l’apparenza abbia un effetto primacy. Le nostre impressioni vengono condizionato
dall’aspetto fisico.
Quando forniamo le nostre impressioni solitamente diamo più peso alle informazioni negative che a quelle
positive. Sfortunatamente le informazioni positive sembrano avere un impatto debole sulle impressioni
negative. Le informazioni negative producono tale effetto perché sono inusuali e distintive.

Schemi e categorie
La memorizzazione avviene sotto forma di schemi, di informazioni riguardanti noi stessi e gli altri, eventi e
luoghi.
SCHEMA -> Struttura cognitiva che rappresenta la conoscenza di un concetto o di un tipo di stimolo, inclusi
i suoi attributi e le loro relazioni. Esso ci permette di comprendere rapidamente una persona, una
situazione, un evento o un luogo sulla base di informazioni limitate.
Una volta attivati, gli schemi agevolano il cosiddetto processo top-down, o deduttivo: cioè, generano
rapidamente un’impressione generale sulla base di preconcezioni. Il processo inverso è il bottom-up, o
induttivo: in questo caso, informazioni acquisite direttamente dal contesto immediato formano
un’impressione accurata.
Ci sono molti tipi di schema:
1 – Schemi di persona: schemi che formiamo su persone specifiche
2 – Schemi di ruolo: strutture conoscitive che riguardano chi ricopre un ruolo
3 – Script: schemi che riguardano eventi
4 – Schemi di sé: schemi che formano parte dell’idea di identità di una persona
5 – Schemi senza contenuto: insieme di “regole” che elaborano le informazioni. Uno schema senza
contenuto può stabilire come si attribuiscono le cause del comportamento della gente.

Sub – Categorie e prototipi


Per applicare uno schema particolare è prima necessario categorizzare un’istanza in modo adeguato. Può
essere una determinata persona, evento o situazione.
Le persone considerano le categorie come insiemi di esemplari che hanno la stessa aria di famiglia.
ARIA DI FAMIGLIA -> Qualità che definisce l’appartenenza a una categoria.
Le categorie sono insiemi sfuocati di attributi correlati, definiti complessivamente prototipo.
INSIEMI SFUOCATI -> Le categorie sono considerate insiemi sfuocati di caratteristiche organizzati attorno a
un prototipo.
PROTOTIPO -> Rappresentazione cognitiva delle caratteristiche tipiche/ideali che definiscono una
categoria.
Sebbene i prototipi spesso rappresentino il membro più comune di una categoria, non è detto che sia
sempre così.
Oltre che rappresentare le categorie come prototipi, le persone possono anche rappresentarle come
esemplari, ossia specifiche istanze da loro incontrate.
Una volta che una persona, un evento o una situazione vengono categorizzati si genera lo schema
pertinente. Schemi e prototipi sono simili: per distinguerli può essere utile ricordare che i prototipi sono più
indistinti, mentre gli schemi rispondono a un’organizzazione molto più precisa.

Sub – Categorie e stereotipi


Gli stereotipi sono fondamentalmente schemi di gruppi sociali; quelli che vengono applicate agli outgroup
sono etnocentrici e spesso associati a pregiudizi. Nel complesso lo stereotipo è un’immagine valutativa di
un gruppo sociale e dei suoi membri ampiamente condivisa e semplificata.
ETNOCENTRISMO -> Preferenza valutativa accordata a tutti gli aspetti del proprio gruppo di appartenenza
rispetto agli altri.
1 – Gli stereotipi sono immagini semplificate dei membri di un gruppo; quando vengono applicati agli
outgroup sono spesso dispregiativi.
2 – La stereotipizzazione è una scorciatoia cognitiva che ha una funzione adattiva, dato che permette di
formarsi rapide impressioni sulla gente. Gli stereotipi servono a comprendere particolari relazioni
intergruppo.
3 – Gli stereotipi difficilmente cambiano. Quanto capita è generalmente in risposta a più ampi cambiamenti
sociali, politici o economici. Gli stereotipi tenderanno a persistere, se nella memoria possiamo facilmente
accedervi. Cambiamenti nell’accessibilità modificheranno lo stereotipo.
4 – Alcuni stereotipi sono acquisiti precocemente, mentre altri si cristallizzano più in là nell’infanzia, dopo i
10 anni.
5 – Gli stereotipi diventano più marcati quando insorgono tensioni sociali e conflitti tra i gruppi.

Sub2 – Stereotipi e accentuazione


Secondo Tajfel quando giudichiamo uno stimolo, ci basiamo su qualunque informazione riteniamo possa
aiutarci a formulare il nostro giudizio.
Sempre Tajfel ha introdotto il termine principio di accentuazione per descrivere come diamo risalto alle
analogie tra istanze appartenenti alla stessa categoria, alle differenze tra istanze appartenenti a categorie
diverse e alle differenze tra categorie diverse considerate nel loro complesso. Questo effetto aumenta
quando le persone sono incerte su come giudicare qualcosa. Taylor ha scoperto che tendiamo a fare più
errori all’interno di una categoria che tra le categorie.
In sintesi, le categorie che usiamo fungono da base per gli stereotipi. Gli stereotipi sono fondati, sostenuti e
modellati dalle relazioni intergruppo.

Sub – Come usiamo e acquisiamo gli schemi


Sub2 – Uso degli schemi
Secondo la psicologa cognitiva di Rosch le persone tendono a fare ricorso a categorie che si collocano a un
livello di base, né troppo ampie né troppo piccole. Usano sottotipi come “donna in carriera”, piuttosto che
categorie sovraordinate come “donna” o subordinate come “astronauta di sesso femminile”.
CATEGORIE DI BASE -> Categorie di ampiezza media che godono di priorità cognitiva perché più utili.
Secondo la teoria della distinzione ottimale, categorie che si collocano a un livello di base e sottotipi
rispondono alla necessità degli uomini di considerare un individuo simile ad altri, ma anche diverso da altri.
Le persone categorizzano senza difficoltà anche sulla base di indizi distintivi come il colore della pelle,
l’abito o l’aspetto fisico.
Gli schemi che utilizziamo in modo automatico possiedono un’accuratezza circoscritta che ottimizza il
compromesso tra la cognizione deduttiva top-down e la cognizione induttiva bottom-up. Un fattore chiave
che governa questo compromesso è la percezione dei costi dell’errore o dell’indecisione. Se le conseguenze
dell’errore hanno costi elevati, stiamo più attenti ai dati e adoperiamo schemi più accurati. I costi
dell’errore sono rilevanti quando le ricompense e le punizioni a cui andiamo incontro dipendono
fortemente dalle azioni degli altri. Se a essere elevati sono invece i costi dell’indecisione, le persone
prendono decisioni rapide e formano velocemente le proprie impressioni. I costi dell’indecisione sono
rilevanti quando le persone devono assolvere un compito sotto la pressione del tempo, o quando sono
ansiose o distratte.

Sub2 – Acquisizione degli schemi


È probabile che acquisiamo o modifichiamo i nostri schemi attraverso gli incontri con istanze che si
inseriscono nella categoria. Uno schema può inoltre arricchirsi, diventare più complesso e organizzarsi più
saldamente attorno a una singola struttura mentale, attivabile solamente nel suo insieme. Una
caratteristica di tali schemi è che essi sono accurati nella misura in cui riproducono nel dettaglio la realtà
sociale.

Sub2 – Cambio degli schemi


Gli schemi non cambiano facilmente. Tuttavia, se sono davvero inesatti, essi possono cambiare. Rothbart
ha proposto tre possibili modalità di cambiamento degli schemi:
1 – per registrazione: gli schemi cambiano di fronte all’accumulo di prove.
2 – per conversione: gli schemi cambiano all’improvviso dopo che si è accumulata una massa critica di
prove discordanti.
3 – per formazione di sottotipi: per rimediare alla presenza di prove discordanti, gli schemi possono
formare una nuova sottocategoria.
La formazione di sottotipi è forse il modo più comune per uno schema di adattarsi a prove discordanti.

Come percepiamo e ricordiamo gli altri


Sub – Codifica sociale
La codifica sociale è il processo di rappresentazione degli stimoli esterni nelle nostre menti. È composta da
almeno quattro fasi principali:
1 – Analisi preattentiva: scansione automatica, inconscia, dell’ambiente.
2 – Attenzione focalizzata: identificazione e categorizzazione consapevole degli stimoli una volta che sono
stati identificati.
3 – Comprensione: attribuzione di significato agli stimoli.
4 – Elaborazione inferenziale: collegamento dello stimolo ad altre conoscenze per rendere possibili
inferenze complesse.

Sub2 – Salienza
La salienza è la proprietà che distingue uno stimolo dagli altri in un contesto specifico. Le persone salienti
attraggono l’attenzione e in un gruppo sono spesso considerate più influenti, più direttamente responsabili
del proprio comportamento e meno influenzati dalla situazione.
L’attenzione spesso è guidata dall’accessibilità delle categorie o degli schemi che abbiamo già in testa.
Siccome le categorie accessibili sono quelle che usiamo di più e sono coerenti con i nostri obiettivi, vengono
attivate molto facilmente da ciò che vediamo o sentiamo.
ACCESSIBILITA’ -> Facilità nel richiamare categorie o schemi che abbiamo già in mente.
PRIMING -> Attivazione nella memoria di categorie o schemi accessibili, che influenzano il modo in cui
elaboriamo nuove informazioni.
Una volta attivata, una categoria interpreta gli stimoli, in particolare gli stimoli ambigui, in maniera
coerente. Tuttavia quando le persone si rendono conto che è stata attivata una categoria possono cercare
di contrastarne l’impiego. Il genere sessuale è spesso una categoria accessibile, prontamente attivata e
usata per interpretare il comportamento.
Sub – Capacità di ricordare le persone
Il modo in cui la nostra memoria è organizzata, influenza il nostro comportamento. Di solito, tuttavia,
tendiamo a non affidarci alla memoria; piuttosto, ci formiamo impressioni delle persone on-line, basandoci
su dati in entrata che vengono assimilati dagli schemi per produrre un’impressione.
La memoria opera come una rete di associazioni.
RETE DI ASSOCIAZIONI -> Modello di memoria in cui nodi o idee sono collegati da legami associativi lungo i
quali può propagarsi l’attivazione cognitiva.
I legami associativi possono essere più o meno forti: più sono attivati dalla ripetizione cognitiva, più
diventano forti, e più probabilmente è possibile recuperare un nodo che ha molti legami forti. Esistono due
livelli di memoria: la memoria a lungo termine e la memoria a breve termine.
In questo modello, l’informazione incoerente con l’impressione che abbiamo di qualcuno, attrae
l’attenzione e genera cognizione, e viene di conseguenza ricordata meglio.

Sub2 – Contenuti della memoria delle persone


La memoria per l’aspetto di solito si basa su informazioni concrete direttamente osservabili, ed è
conservata nella mente come un’immagine. Siamo incredibilmente accurati nel ricordarci i volti, ma solo se
appartengono a persone del nostro gruppo.
Siamo imprecisi nel ricordare le fisionomie in contesti naturali dove è richiesta una testimonianza oculare.
A differenza dell’aspetto fisico, conserviamo ricordi dei tratti delle persone sotto forma di proposizioni che
possono essere alquanto astratte. Esse si basano su inferenze causali derivate dal comportamento e dalle
situazioni, e tendono a codificare i tratti in termini di desiderabilità sociale e competenza. Il modo in cui
ricordiamo un atto è influenzato dalle nostre inferenze sul suo fine o obiettivo.

Sub2 – Come si organizza la memoria delle persone


Ci sono due modi distinti attraverso i quali possiamo organizzare le informazioni riguardanti le persone: per
individuo o per gruppo. Nella maggior parte dei casi ricordiamo le persone considerandole come un insieme
di informazioni che combinano tratti di personalità, comportamenti e caratteristiche fisiche. Organizzare in
questo modo la memoria delle persone per individuo produce ricordi ricchi e accurati, che vengono
facilmente richiamati alla memoria.
Nei primi incontri con gli estranei è più probabile che la memoria delle persone sia organizzata per gruppo.

Inferenza sociale
Nel processo bottom-up costruiamo le impressioni gradualmente, a partire da singoli specifici dati, mentre
nel processo top-down traiamo inferenze da schemi o stereotipi generali.
PROCESSO BOTTOM-UP -> L’informazione è elaborata sinteticamente a partire da singoli specifici dati.
PROCESSO TOP-DOWN -> L’informazione è elaborata analiticamente a partire da costrutti psicologici o
teorie.
Brewer ha distinto tra due tipi di processo: uno che utilizza le categorie ed è relativamente automatico, ed
uno basato sugli attributi di una persona. Secondo Eagly e Chaiken ogni volta che entrano in gioco i nostri
atteggiamenti utilizziamo due differenti percorsi di elaborazione: un percorso euristico/periferico per
rapide decisioni da prendere su due piedi, o un percorso sistematico/centrale quando dobbiamo riflettere
attentamente e in modo ponderato.
Qualunque processo usiamo, le nostre inferenze di solito sono meno accurate di quanto potrebbero essere
e non sono molto scientifiche.

Sub – Correlazione illusoria


Quando facciamo un’inferenza, giudichiamo che esista una correlazione.
CORRELAZIONE ILLUSORIA -> Esagerazione cognitiva della frequenza con cui si manifestano
contemporaneamente due stimoli o eventi, o percezione di una co-occorrenza inesistente.
Chapman affermò che ci sono due basi per la correlazione illusoria: significato associativo e differenziazione
condivisa.
Nella vita reale gli eventi negativi sono distintivi in quanto considerati più rari di quelli positivi e i gruppi
minoritari sono distintivi perché le persone hanno pochi contatti con loro. Si verificherà così una
correlazione illusoria basata sulla distintività, che favorirà l’attivazione di stereotipi riguardanti i gruppi
minoritari.

Sub – Scorciatoie inferenziali


L’inferenza sociale è quindi un processo largamente guidato dallo schema: significa che traiamo conclusioni
a sostegno di schemi di cui già disponiamo.

Sub2 – Euristiche cognitive


Questi processi “adeguati” si basano su strategie cognitive definite euristiche, che traducono la soluzione di
un problema dalle caratteristiche complesse a più semplici operazioni di giudizio.
EURISTICHE -> Scorciatoie cognitive che, nella maggior parte dei casi, forniscono alla maggioranza delle
persone la capacità di produrre inferenze sufficientemente accurate. Possiamo avere:
1 – Euristica della rappresentatività: scorciatoia cognitiva grazie alla quale gli esemplari vengono assegnati
a categorie o tipi sulla base della somiglianza complessiva che essi presentano nei confronti della categoria.
2 – Euristica della disponibilità: scorciatoia cognitiva in cui la frequenza o la probabilità del verificarsi di un
evento si basano sulla velocità con cui vengono alla mente esemplari o associazioni.
3 – Ancoraggio e accomodamento: scorciatoia cognitiva in cui le inferenze sono collegate a modelli iniziali
o a schemi.

Alla ricerca delle cause del comportamento


Ognuno di noi è impegnato nel costruire una rappresentazione del proprio mondo sociale tale da renderlo
prevedibile e controllabile.
Il modo più efficace per fare ciò è capire che cosa provoca che cosa, grazie alla capacità di attribuire causa
al comportamento e agli eventi.

Sub – Come attribuiamo la causalità e perché è importante?


Sub2 – Persone come psicologi ingenui
Heider riguardo le teorie psicologiche ingenue, credeva che fossero importanti di per sé, dato che
influenzano il comportamento. Heider reputava che le persone fossero psicologi intuitivi, capaci di costruire
teorie causali del comportamento umano: le persone sarebbero quindi degli psicologi intuitivi o ingenui.
Heider propose una distinzione tra fattori individuali (come la personalità, la capacità) e fattori ambientali
(come il contesto, la pressione sociale). I primi sono esempi di attribuzione interna (o disposizionale), i
secondi di attribuzione esterna (o situazionale).
ATTRIBUZIONE INTERNA -> Processo di assegnazione delle cause del comportamento, nostro o altrui, a
fattori interni o disposizionali.
ATTRIBUZIONE ESTERNA -> Assegnazione delle cause del comportamento, nostro o altrui, a fattori esterni
o ambientali.
Heider credeva che poiché le cause interne ci sono nascoste, possiamo inferirne la presenza solo se non
esistono chiare cause esterne.

Sub2 – Persone come comuni scienziati


Una teoria ben conosciuta su come si compiono le attribuzioni è il modello della covariazione di Kelley.
MODELLO DELLA COVARIAZIONE -> Teoria di Kelley dell’attribuzione causale: le persone assegnano la
causa del comportamento al fattore che covaria più sistematicamente con il comportamento.
Secondo Kelley per scoprire una causa del comportamento di qualcuno, le persone identificano quale
fattore covaria con il comportamento, quindi assegnano a quel fattore un ruolo causale. Le persone usano
questo principio di covariazione per decidere se attribuire un atto specifico alle disposizioni interne o a
fattori ambientali esterni. Per prendere questa decisione attribuzionale, considerano tre tipi di
informazione: la coerenza, il valore distintivo e il consenso.
Quando la coerenza è bassa, cerchiamo cause alternative per spiegare il comportamento. Quando invece la
coerenza è alta, non sappiamo subito se il comportamento riflette la personalità dell’individuo o la
situazione. Ipotizzando una coerenza alta, le persone possono valutare il valore distintivo del
comportamento e la presenza di un alto consenso o di un basso consenso. La combinazione di alto valore
distintivo e alto consenso porta a un’attribuzione esterna; la combinazione di basso valore distintivo e
basso consenso porta a un’attribuzione interna.
Le persone possono certamente fare attribuzioni causali del comportamento in questo modo; tuttavia
usano molto poco l’informazione sul consenso.

Sub2 – Atti stabili e controllati


Weiner riteneva che nell’attribuzione del risultato si considerassero tre dimensioni della prestazione. La
prima è il luogo, che ancora una volta rimanda a cause esterne e interne; le altre due sono la stabilità e la
controllabilità.
Il modello di Weiner è di tipo dinamico: prima le persone valutano se hanno avuto successo o hanno fallito,
dopo compiono un’attribuzione causale a proposito della prestazione.

Sub – Attribuzione causale in azione


Sub2 – Autopercezione
Se si può attribuire un atto alla disposizione di un individuo, ciò significa che di quell’individuo si conosce
qualcosa: la personalità. Bem nella sua teoria dell’autopercezione, sostenne che facciamo attribuzioni del
nostro comportamento allo stesso modo in cui facciamo attribuzioni del comportamento altrui, e che è per
mezzo dell’attribuzione interna del nostro comportamento che aumentiamo la conoscenza di noi stessi, del
nostro sé e della nostra identità.

Sub2 – Come spieghiamo le nostre emozioni


Le nostre emozioni sono costituite da due componenti distinte: l’attivazione fisiologica e le cognizioni che
usiamo per etichettare tale stato di attivazione. Sebbene l’attivazione e l’etichetta di solito procedano
insieme, in alcuni casi uno stato di attivazione potrebbe essere considerato come un’emozione oppure
un’altra, a seconda del tipo di attribuzione che compiamo sull’esperienza che stiamo vivendo. Schachter si
occupò di studiare la “labilità emotiva”. Essere emotivamente labili può aiutare nella terapia.

Sub2 – Stili di attribuzione


STILE ATTRIBUZIONALE -> Predisposizione individuale (personalità) alla base di un certo tipo di attribuzione
causale del comportamento.
Secondo Rotter, gli interni tendono a fare attribuzioni interne, ritenendo che il nostro destino dipenda in
gran parte da noi: le cose accadono perché le facciamo accadere. Gli esterni tendono a fare attribuzioni
esterne, ritendendo che abbiamo poco controllo su ciò che accade.

Sub2 – Relazioni di coppia e attribuzione


Le attribuzioni nelle relazioni di coppia, sono comunicate per soddisfare differenti funzioni: per spiegare,
giustificare o scusare un comportamento, oppure per attribuire responsabilità e generare senso di colpa. Il
conflitto attribuzionale svolge un ruolo causale nell’insoddisfazione e nelle difficoltà della relazione. Nelle
buone relazioni le persone attribuiscono ai propri partner i comportamenti positivi citando fattori interni,
mentre giustificano il comportamento negativo ascrivendolo a cause esterne, non controllabili.
Tendenze sistematiche nell’attribuzione delle motivazioni
Le persone elaborano pensiero sociale solo nella quantità necessaria a ottenere un risultato sufficiente: non
ricercano il pensiero ottimale.

Sub – Dagli atti alle disposizioni: l’errore fondamentale di attribuzione


Sub2 – Inferenza corrispondente
Jones e i suoi colleghi svilupparono la teoria dell’inferenza corrispondente, che fa riferimento
all’attribuzione del comportamento a disposizioni di fondo. Le persone amano fare inferenze
corrispondenti. Una causa disposizionale è una causa stabile che rende il comportamento delle persone
prevedibile e aumenta la nostra sensazione di controllo sul mondo. Per l’inferenza corrispondente, l’azione
socialmente indesiderabile è lo strumento diagnostico di base più affidabile, poiché è il frutto
dell’infrazione di una norma sociale.

Sub2 – Errore fondamentale di attribuzione


La tendenza sistematica attribuzionale meglio conosciuta è l’errore fondamentale di attribuzione. Consiste
nella tendenza delle persone ad attribuire il comportamento a stabili disposizioni di fondo della personalità.
È anche detta bias di corrispondenza, in quanto è una tendenza sistematica (bias) che porta a considerare il
comportamento come corrispondente a disposizioni interne (caratteristiche della personalità), piuttosto
che a situazioni esterne.
È stato ampiamente dimostrato che l’errore fondamentale di attribuzione è un errore inferenziale comune
che facciamo tutti. Tuttavia è meno marcato nelle culture relativamente collettivistiche dell’Asia orientale,
dove le persone sono più inclini ad adeguare il proprio comportamento al contesto sociale rappresentato
dagli altri e dalle norme situazionali. L’errore fondamentale di attribuzione si manifesta soprattutto perché
le persone tendono automaticamente a concentrarsi sulla persona a sfavore del contesto.
In alcune situazioni, l’errore fondamentale di attribuzione può assumere una forma estrema definita
essenzialismo.
ESSENZIALISMO -> Tendenza pervasiva a ritenere che il comportamento rifletta caratteristiche di fondo e
immutabili, spesso innate, delle persone o dei gruppi a cui appartengono.

Sub – Effetto attore-osservatore


L’effetto attore-osservatore è una tendenza ad attribuire i propri comportamenti a cause esterne e i
comportamenti degli altri a cause interne. Le sue cause più frequenti sono:
1 – Centro dell’attenzione: quando gli altri sono al centro dell’attenzione li giudichiamo
indipendentemente dal contesto.
2 – Asimmetria dell’informazione: abbiamo una conoscenza maggiore del nostro comportamento e quindi
sappiamo che è influenzato da fattori situazionali.
L’effetto attore-osservatore può ridursi o anche scomparire se l’attore passa al ruolo di osservatore.

Sub – Falso consenso


Una terza tendenza sistematica attribuzionale è l’effetto del falso consenso. Le persone tendono a
considerare il proprio comportamento più diffuso di quanto effettivamente sia.
Il falso consenso nasce perché:
1 – di solito cerchiamo persone che siano simili a noi e perciò non dovremmo sorprenderci di scoprire che
le altre persone ci sono simili
2 – le nostre opinioni per noi sono così salienti da farci trascurare la possibilità di opinioni alternative
3 – siamo motivati a basare le nostre opinioni e azioni sul consenso percepito per avvalorarle e costruire
per noi stessi un mondo dotato di stabilità.
Il falso consenso è più forte per le convinzioni importanti e di cui ci preoccupiamo; per le credenze di cui
siamo certi; nei casi in cui avvertiamo una minaccia esterna.
Sub – Tendenze sistematiche a vantaggio del sé
TENDENZE SISTEMATICHE A VANTAGGIO DEL SE’ -> Distorsioni attribuzionali che proteggono o migliorano
l’autostima o il concetto di sé.
Accreditiamo i nostri comportamenti positivi come espressioni di ciò che siamo e delle nostre intenzioni e
sforzi a fare cose positive (tendenza sistematica all’autoaccrescimento), mentre giustifichiamo i nostri
comportamenti negativi sulla base di coercizione, vincoli normativi e altri fattori situazionali esterni.
Le tendenze sistematiche all’autoccrescimento sono più comuni delle tendenze sistematiche
all’autoprotezione. In particolare le persone dotate di bassa autostima tendono a non proteggere sé stesse
attribuendo i propri fallimenti a fattori esterni. Tuttavia autoaccrescimento e autoprotezione possono
essere attenuate da un desiderio di non essere visti vantarsi dei propri successi e compiacersi dei propri
fallimenti. Questa è una tendenza sistematica a vantaggio del sé, quella che viene definita strategia
autolesiva.
STRATEGIE AUTOLESIVE -> Attribuzioni a fattori esterni espresse pubblicamente in maniera anticipata a
proposito di un proprio fallimento o di una scarsa prestazione in un evento imminente.
Le persone usano questa tendenza sistematica quando prevedono di fallire: nel loro lavoro, nello sport, ecc.
CREDENZA IN UN MONDO GIUSTO -> Credenza secondo cui il mondo è un luogo giusto e prevedibile dove
le cose positive capitano alle “persone buone” e le cose negative alle “persone cattive”.
ILLUSIONI DI CONTROLLO -> Credenza secondo cui abbiamo più controllo sul nostro mondo di quanto sia
vero.
Questo modello di attribuzione fa apparire il mondo un luogo controllabile e sicuro nel quale ci creiamo in
modo autonomo il nostro destino.

Come spieghiamo il nostro mondo sociale


Spesso sono i gruppi o persino la nostra società a costruire spiegazioni per giustificare eventi e azioni. Le
persone, in generale, per costruire il proprio mondo si affidano a script causali, stereotipi di gruppo, sistemi
di credenze culturali e ideologie più ampie.

Sub – Attribuzione intergruppo


Hewstone ha osservato che i gruppi sviluppano spiegazioni causali per se stessi, come membri di un
gruppo, e per altri, come membri di un ingroup o di un outgroup. Le persone fanno spesso attribuzioni
disposizionali per il comportamento negativo degli outgroup, e attribuzioni esterne per il comportamento
positivo: Pettigrew definì questo fenomeno un errore ultimo di attribuzione.
ATTRIBUZIONI INTERGRUPPO -> Processo di assegnazione della causa del comportamento proprio o altrui
all’appartenenza a un gruppo.
Le attribuzioni intergruppo sono etnocentriche: riflettono differenze etnocentriche tra gli schemi e gli
stereotipi dell’ingroup e dell’outgroup che possediamo; i nostri giudizi sono sbilanciati in favore del gruppo
a cui apparteniamo. Le persone spesso accentuano queste differenze percepite per proporre un’immagine
positiva di sé come membri di un gruppo.
Le attribuzioni si inseriscono nella cornice di un’ideologia.
IDEOLOGIA -> Insieme di credenze sistematicamente correlate che ha come funzione primaria la
spiegazione. Circoscrive il pensiero, rendendo difficile uscire dai confini che la delimitano.
Il livello di istruzione delle persone può portarle a formulare attribuzioni intergruppo.

Sub – Rappresentazioni sociali


Le rappresentazioni sociali sono spiegazioni basate sul senso comune a proposito del mondo in cui viviamo,
condivise dai membri di un gruppo; si sviluppano attraverso la comunicazione informale tra le persone per
trasformare ciò che è ignoto e complesso in qualcosa di facile e familiare.
Elaboriamo anche rappresentazioni sociali della natura di determinati gruppi sociali.
La ricerca sulle rappresentazioni sociali utilizza differenti metodi, tra cui analisi qualitative e quantitative
delle interviste, questionari, dati di osservazione e di archivio. Esempio è il lavoro di Jodelet, Folies et
représentations sociales, che si concentra sulla descrizione e rappresentazione della malattia mentale nella
piccola comunità francese di Ainay-le-Chateau. La sua ricerca utilizzava questionari, interviste e
osservazione etnografica.

Sub – Voci
VOCI -> Informazioni non verificate diffuse tra individui che cercano di capire eventi incerti e confusi.
La trasmissione delle voci è caratterizzata da livellamento, affinatura e assimilazione: la voce diventa più
breve e meno dettagliata e complessa.
È più probabile che le voci si sviluppino durante una situazione di crisi, quando le persone sono incerte,
ansiose e sotto stress. Quando facciamo circolare una voce, contribuiamo a ridurre l’incertezza e lo stress
che viviamo e a costruire integrazione sociale.
Le voci hanno anche una fonte: qualcuno può essere intenzionato a screditare un individuo o un gruppo. Un
caso molto noto è la produzione e diffusione di teorie della cospirazione.

Sub – Teorie della cospirazione


Le teorie della cospirazione sono teorie causali astruse, che attribuiscono disastri naturali e sociali ad
attività intenzionali e organizzate da parte di specifici gruppi sociali, al fine di rovinare e quindi dominare il
resto dell’umanità.
Una famosa teoria della cospirazione è il mito della cospirazione del mondo ebraico; un altro esempio è il
ruolo della CIA nell’assassinio di John Kennedy del 1963.

Capitolo 3 – Sé, identità e società


Molti studiosi hanno sostenuto che è il pensiero riflessivo a differenziarci da quasi tutti gli altri animali.
Pensiero riflessivo significa che possiamo pensare a proposito di noi stessi, a chi siamo, a come ci
piacerebbe essere e a come vorremmo che gli altri ci vedessero. Al giorno d’oggi gli esseri umani hanno un
senso del proprio sé molto sviluppato. Sé e identità sono parti fondamentali dell’essere umano.
Sé e identità sono costrutti cognitivi che condizionano l’interazione sociale e la percezione, e che a loro
volta subiscono l’influenza della società.
COSTRUTTI -> Concetti astratti o teorici oppure variabili che non sono osservabili, usati per spiegare o
chiarire un fenomeno.

Il sé nella storia
Nella società medievale i rapporti erano immutabili, stabili e legittimati in termini religiosi. Vite e identità
delle persone erano rigorosamente tracciate secondo la loro posizione nell’ordine sociale.
Tutto ciò iniziò a cambiare nel sedicesimo secolo. Le spinte al cambiamento derivarono dai seguenti fattori:
secolarizzazione, industrializzazione, illuminismo, psicoanalisi.

Sub – Il sé psicodinamico
Il sé e l’identità erano connessi a dinamiche complesse, nascoste in profondità nella nostra idea di chi
siamo. Freud riteneva che gli impulsi libidici asociali ed egoistici (l’Es) fossero repressi e tenuti sotto
controllo da norme interiorizzate provenienti dalla nostra società (il Super-Io) ma anche che in modalità
insolite e peculiari, gli impulsi repressi emergessero alla superficie.
Le idee della psicoanalisi sul sé, sull’identità e sulla personalità hanno esercitato una forte influenza in
psicologia sociale: per esempio la teoria della personalità autoritaria per interpretare le manifestazioni di
pregiudizio.
Sub – Il sé: “Io” o “Noi”?
Freud considerava il sé molto soggettivo e privato: qualcosa che descrive un singolo essere umano in modo
unico.
Il sé è un fenomeno individuale o collettivo? Per molto tempo la tendenza prevalente è stata quella dei
sostenitori del sé individuale. Gli individui che interagiscono in aggregati costituiscono la sfera di
competenza della psicologia sociale, mentre i gruppi come collettivi costituiscono la sfera di competenza di
diverse altre scienze sociali, quali la sociologia e la scienza politica.
COMPORTAMENTO COLLETTIVO -> Il comportamento delle persone che si trovano in gruppo, per esempio
tra gli spettatori, tra i partecipanti di una manifestazione o di una rivolta.
In anni recenti il concetto di sé collettivo è stato sviluppato nella teoria dell’identità sociale.
RAPPRESENTAZIONI SOCIALI -> Spiegazioni elaborate collettivamente circa fenomeni sconosciuti e
complessi, in grado di trasformare tali fenomeni in forme familiari e semplici.
TEORIA DELL’IDENTITA’ SOCIALE -> Teoria dell’appartenenza al gruppo e dei rapporti intergruppo basata
sulla categorizzazione del sé, sul confronto sociale e sulla costruzione di una definizione del sé nei termini di
caratteristiche che definiscono l’ingroup.

Sub – Sé e interazione sociale


Un altro punto di svolta nell’idea di sé collettivo è stato segnato dal riconoscere che il sé nasce e si forma
grazie all’interazione sociale. I primi psicologi come James distinguevano tra il sé come flusso di coscienza,
l’”io”, e il sé come oggetto di percezione, il “me”. L’”io” può essere consapevole del “me” e le persone
possono quindi conoscere se stesse.
INTERAZIONISMO SIMBOLICO -> Teoria sulle modalità di emersione del sé tramite l’interazione umana.
Richiede che le persone si scambino simboli (attraverso il linguaggio e i gesti) che sono in genere condivisi e
rappresentano proprietà astratte piuttosto che oggetti concreti. Secondo l’interazionismo simbolico il sé
deriva dall’interazione umana.
Secondo Mead la società influenza il modo in cui gli individui pensano a se stessi. Se vogliamo comunicare
con efficacia utilizziamo simboli che devono avere un significato condiviso.
L’interazione efficace si basa anche sulla capacità di assumere il ruolo dell’altro. Ciò comporta il vedere noi
stessi come ci vedono gli altri: come oggetto sociale, “me”, piuttosto che soggetto sociale, “io”. La
rappresentazione che la nostra società ha del mondo sono scambiate attraverso l’interazione simbolica con
gli altri. Esistiamo solo se assumiamo il ruolo dell’altro, cioè se ci vediamo come ci vedono gli altri.
SE’ RIFLESSO -> Il sé derivato dal vedere noi stessi come ci vedono gli altri.
Il modo in cui giudichiamo noi stessi dovrebbe essere intimamente connesso al modo in cui ci giudicano gli
altri.
Le persone non vedono se stesse come gli altri le vedono, ma piuttosto come pensano che gli altri le
vedano.
Le persone di solito sovrastimano le proprie caratteristiche positive e il controllo che hanno sugli eventi e
sono ottimiste in modo non realistico: Sedikides e Gregg definiscono tutto questo triade
dell’autoaccrescimento.

Autoconsapevolezza
L’autoconsapevolezza viene e va per diverse ragioni e comporta una serie di conseguenze. Duval e
Wicklund definiscono la consapevolezza di sé come uno stato in cui si è coscienti di sé come di un oggetto:
pertanto gli autori parlano di autoconsapevolezza oggettiva. In tale stato di autoconsapevolezza effettuate
un confronto tra come siete in realtà e come vi piacerebbe essere. Il risultato spesso è la scoperta dei
propri limiti, accompagnata da emozioni negative. Le persone cercano allora di correggere i propri difetti
nel tentativo di avvicinare il proprio sé ai canoni ideali. A volte, questo può essere molto difficile e le
persone, non riuscendoci, smettono di provarci, sperimentando una riduzione della propria motivazione.
L’autoconsapevolezza oggettiva è generata da qualcosa che focalizza la vostra attenzione su voi stessi come
oggetto. Un metodo molto noto per accrescere l’autoconsapevolezza usato in ricerche di laboratorio è
proprio quello di mettere i partecipanti davanti a uno specchio. Carver e Scheier distinsero due tipi di sé di
cui possiamo essere consapevoli:
1 – il sé privato: i nostri pensieri, sentimenti e atteggiamenti privati
2 – il sé pubblico: il modo in cui le persone ci vedono, la nostra immagine pubblica
L’autoconsapevolezza privata ci porta ad adattare il nostro comportamento ai nostri modelli interiori,
mentre l’autoconsapevolezza pubblica è orientata verso l’autopresentazione di noi stessi agli altri sotto una
luce positiva.
L’autoconsapevolezza può migliorare con l’introspezione, intensificare le emozioni e perfezionare
l’esecuzione di compiti di controllo che non richiedono eccessiva abilità, come la revisione di un saggio che
avete scritto.
Il contrario dell’autoconsapevolezza oggettiva è lo stato di ridotta autoconsapevolezza oggettiva: dato che
l’elevata autoconsapevolezza può essere stressante o sgradita, alcuni possono cercare di evitare questa
condizione attraverso l’alcol o modalità più estreme come il suicidio. La riduzione dell’autoconsapevolezza
è stata identificata anche come una componente chiave della deindividuazione.
DEINDIVIDUAZIONE -> Processo attraverso cui le persone perdono il senso della propria identità
individuale. È riscontrabile maggiormente nelle folle e/o nei gruppi.

Conoscenza di sé
Utilizzando un certo numero di schemi immagazziniamo informazioni intorno al sé in modo simile a quanto
facciamo per le altre persone.

Sub – Schemi di sé
Le persone tendono ad avere idee chiare su se stesse (cioè schemi di sé) in merito ad alcune dimensioni, ma
non su altre: sono cioè schemi su alcune caratteristiche ma aschematiche su altre. Le persone hanno
schemi di sé relativi a dimensioni che ritengono importanti, rispetto alle quali si collocano in maniera
polarizzata e di cui sono certe che il contrario non abbia valore.
Avere una molteplicità di schemi di sé protegge da alcune avversità della vita.
Se alcuni schemi di sé sono molto negativi e altri molto positivi, gli eventi possono procurare cambiamenti
estremi di stato d’animo a seconda che venga attivato uno schema di sé positivo o negativo: sono preferibili
più schemi associati di sé.

Sub – Come conoscere il proprio sé


Uno dei modi per conoscere se stessi è esaminare i propri pensieri e le proprie emozioni riguardo al mondo.
La teoria dell’autopercezione di Bem sostiene che non compiamo attribuzioni soltanto circa il
comportamento degli altri ma anche riguardo al nostro, e che non esiste una differenza sostanziale tra le
autoattribuzioni e le attribuzioni nei confronti degli altri. Inoltre ci formiamo un’idea di chi siamo grazie alla
capacità di produrre attribuzioni interne riguardo al nostro comportamento.
Anche l’immaginare un nostro specifico comportamento può essere alla base del modo che abbiamo di
percepire noi stessi.
La teoria afferma che, se qualcuno è indotto a eseguire un compito sotto la spinta di grandi ricompense o
pesanti punizioni, la prestazione che ne deriva è attribuita a fattori esterni e perciò la motivazione è ridotta.
In assenza di fattori esterni rintracceremo le sue cause nella passione o nell’impegno (effetto di
sovragiustificazione): in questo modo il ruolo della motivazione aumenta.
FATTORI ESTERNI -> Ricompense o punizioni
FATTORI INTERNI -> Passione o impegno
Condry ha dimostrato che l’introduzione di ricompense può avere un effetto contrario a quello sperato,
riducendo la motivazione e il piacere che si prova nello svolgimento di un compito in precedenza motivato
intrinsicamente.

Sub – Confronto sociale e conoscenza di sé


Festinger ha sviluppato la teoria del confronto sociale per descrivere come le persone acquistano
conoscenza di sé attraverso il confronto con gli altri. Gli esseri umani basano le proprie cognizioni, emozioni
e comportamenti su quelli degli altri.
Secondo Wills nel caso delle prestazioni cerchiamo di confrontarci con persone che sono leggermente
peggiori di noi: facciamo confronti sociali che tendono verso il basso, i quali portano ad avere un concetto
di sé positivo. Wood ha osservato che alcuni confronti sociali indirizzati verso l’alto possono avere effetti
dannosi sull’autostima.
AUTOSTIMA -> Sentimenti e giudizi a proposito di sé.
Secondo il modello di mantenimento dell’autostima di Tesser cerchiamo di minimizzare la nostra
somiglianza con l’altra persona o di interrompere i rapporti con lei.
I confronti verso il basso si instaurano anche tra i gruppi. i gruppi cercano di paragonarsi ad altri gruppi,
inferiori, per sentire che “noi” siamo meglio di “loro”. Secondo la teoria della categorizzazione del sé il
processo fondamentale vede le persone che si considerano parte di un gruppo categorizzarsi come membri
del gruppo stesso e interiorizzare in modo automatico nel giudizio su di sé gli attributi che descrivono il
gruppo. Se il gruppo è positivo, gli attributi sono positivi, quindi anche il sé è positivo.
TEORIA DELLA CATEGORIZZAZIONE -> Teoria di Turner e colleghi secondo cui il processo di
categorizzazione di sé come membro di un gruppo produce identità sociale e comportamenti nel gruppo e
tra i gruppi.
BIRGing -> Basking In Reflected Glory, “godere di gloria riflessa”: menzionare nomi importanti per collegarsi
a persone o gruppi ammirati e migliorare di conseguenza l’impressione che le persone hanno nei nostri
riguardi.

Sub – Regolazione del sé


Gli schemi di sé non solo descrivono ciò che siamo, ma anche ciò che vogliamo essere. Secondo Markus e
Nurius abbiamo una serie di sé potenziali: schemi orientati al futuro di ciò che vorremmo accadesse o di
quello che temiamo possa accadere.
La teoria della discrepanza del sé di Higgins afferma che possediamo tre tipi di schema di sé:
1 – Sé reale: come realmente siamo
2 – Sé ideale: come vorremmo essere
3 – Sé normativo: come pensiamo che dovremmo essere
Gli ultimi due sono “guide del sé” che mobilitano tipi differenti di comportamenti legati al sé.
REGOLAZIONE DEL SE’ -> Strategie utilizzate per far corrispondere il nostro comportamento a un modello
ideale o normativo.
TEORIA BASATA SULL’AUTOREGOLAZIONE -> Elaborata da Higgins, afferma che le persone usano strategie
di regolazione del sé per portarsi al livello dei propri modelli e obiettivi per mezzo di un sistema di
promozione o un sistema di prevenzione.
C’è un principio motivazionale con due sistemi regolatori del sé separati, collegati alla ricerca di differenti
tipi di obiettivi:
1 – Sistema di promozione: siete motivati a concretizzare le vostre speranze e aspirazioni, cioè i vostri
ideali. Se questa è la vostra ottica, adotterete una strategia di avvicinamento per realizzare i vostri obiettivi.
2 – Sistema di prevenzione: siete motivati ad adempirei ai vostri doveri e obblighi, cioè alle norme. Se
questa è la vostra ottica, adotterete una strategia di allontanamento per realizzare i vostri obiettivi.
Alcune persone sono abitualmente più orientate alla promozione e altre più alla prevenzione: questa
differenza può sorgere durante l’infanzia. Si incoraggia la promozione se si usa abbracciare e baciare i
bambini perché si comportano nel modo desiderato. La prevenzione può emergere invece se da bambini di
è stati incoraggiati a stare attenti ai potenziali pericoli, oppure si è stati puniti e sgridati per comportamenti
sbagliati. Le persone orientate alla promozione cercano di ispirarsi a modelli di ruolo positivi, che danno
enfasi alle strategie utili per raggiungere il successo; le persone orientate alla prevenzione, sono
maggiormente ispirate da modelli di ruolo negativi, che gettano luce sulle strategie per evitare il fallimento.

Molti sé, molteplici identità


Gergen descrive il concetto di sé come un repertorio di identità relativamente separate e spesso piuttosto
diversificate, ognuna con un distinto insieme di conoscenze. Le nostre identità probabilmente si sono
sviluppate dalle molte, differenti relazioni sociali che abbiamo avuto nella vita.
I teorici dell’identità sociale hanno sostenuto che esistono due ampie classi di identità capaci di definire
differenti tipi di sé:
1 – l’identità sociale che definisce il sé in termini di appartenenza a un gruppo
2 – l’identità personale che definisce il sé in termini di relazioni e tratti personali idiosincratici
Brewer e Gardner hanno distinto tre forme di sé:
1 – il sé individuale: basato su tratti personali che differenziano il sé dagli altri;
2 – il sé relazionale: basato su collegamenti e relazioni di ruolo con altre, significative persone;
3 – il sé collettivo: basato sull’appartenenza a gruppi che differenziano “noi” da “loro”;
Il sé relazionale può anche venire considerato un tipo particolare di sé collettivo.

Sub – Come distinguere sé e identità


In contesti diversi, le persone descrivono se stesse in maniera differente e si comportano in maniera
differente.
Le procedure sperimentali focalizzate sull’appartenenza al gruppo portano le persone ad agire in modo
molto differente rispetto alle procedure che si focalizzano sull’individualità e le relazioni interpersonali.

Sub – La ricerca della coerenza di sé


La coerenza consente di mettere insieme le nostre varie identità e i vari sé per ottenere una persona
completa. Per le persone caratterizzate da sé molto frammentati (schizofrenici, malati di Alzhaimer) è
estremamente difficile funzionare in modo efficace
Per ottenere un senso coerente del sé si utilizzano molte strategie.
EFFETTO ATTORE-OSSERVATORE -> Tendenza ad attribuire i propri comportamenti a cause esterne e i
comportamenti degli altri a cause interne.

Motivazioni del sé
Le persone sono assai motivate ad assicurarsi la conoscenza di sé. Gli psicologi sociali hanno identificato tre
classi motivazionali che possono interagire per influenzare la costruzione del sé e la ricerca della
conoscenza di sé:
1 – l’autovalutazione per confermare noi stessi (per confermare come siamo)
2 – l’autoverifica per essere coerenti
3 – l’autoaccrescimento per dare una buona impressione
Sub – Autovalutazione e autoverifica
Le persone si sforzano di scoprire la verità al proprio riguardo.
AUTOVALUTAZIONE -> Motivazione a cercare nuove informazioni sul nostro conto per scoprire che tipo di
persona siamo davvero
Le persone si impegnano anche nella ricerca di conferme: per ribadire ciò che già conoscono di sé cercano
informazioni coerenti con il proprio sé attraverso un processo di autoverifica.
AUTOVERIFICA -> Ricerca di informazioni che verifichino e confermino ciò che già conosciamo di noi stessi.
Le persone che hanno un’immagine di sé negativa andranno alla ricerca di informazioni negative per
confermare quell’immagine.

Sub – Autoaccrescimento
Le persone desiderano conoscere informazioni di sé che ne diano un’immagine positiva: siamo guidati dal
motivo dell’autoaccrescimento.
AUTOACCRESCIMENTO -> Motivazione a sviluppare e a promuovere un’immagine favorevole di sé.
Secondo la teoria dell’autoaffermazione le persone si impegnano ad affermare pubblicamente aspetti
positivi su di sé: possono farlo in maniera palese, vantandosi, o in modo più sottile, attraverso ragionamenti
e allusioni. La necessità di autoaffermazione è particolarmente forte quando è stato messo in crisi un
aspetto della propria personalità. L’autoaffermazione si basa sul bisogno delle persone di mantenere
un’immagine complessiva di sé come individui competenti, capaci di scegliere in modo autonomo e di
gestire risultati importanti.
Il livello di autoriflessione dovrebbe dipendere da quale motivazione (M) del sé sta operando.
M1 – Autovalutazione: autoriflessione maggiore su tratti periferici del sé piuttosto che su tratti centrali. Vi
è il desiderio di scoprire di più attorno al proprio sé.
M2 – Autoverifica: autoriflessione maggiore su tratti centrali piuttosto che su tratti periferici.
M3 – Autoaccrescimento: maggiore autoriflessione su aspetti positivi che su aspetti negativi del sé.
Sedikides rilevò che l’influenza maggiore era esercitata dall’autoaccrescimento; al secondo posto
l’autoverifica; al terzo l’autovalutazione.
TENDENZE SISTEMATICHE A VANTAGGIO DEL SE’ -> Distorsione attribuzionali che proteggono o migliorano
l’autostima o il concetto di sé.
Le persone si impegnano in autoinganni per accrescere o proteggere gli aspetti positivi dei propri concetti
di sé.

Autostima
Di solito le persone hanno un’opinione favorevole di sé. Le persone minacciate o ansiose esibiscono
l’egotismo automatico: un’immagine ampiamente positiva di sé. Taylor e Brown affermano che le persone
sovrastimano i propri punti forti, il controllo sugli eventi, e sono ottimiste in modo irrealistico. Sedikides e
Gregg chiamano queste tre caratteristiche triade dell’autoaccrescimento.
L’eccessiva ostentazione di sé, tuttavia, può anche essere scarsamente adattiva.
L’autostima è strettamente connessa all’identità sociale: grazie all’identificazione con un gruppo, il prestigio
e lo status sociale di quel medesimo gruppo si incardinano nel concetto di sé di un individuo.

Sub – Differenze individuali


Un punto di vista oggi piuttosto consolidato, considera la bassa autostima responsabile di una serie di
problemi personali e sociali come il crimine, la delinquenza, la tossicodipendenza, le gravidanze
indesiderate e gli scarsi risultati a scuola. I critici hanno sostenuto che la bassa autostima può essere il
risultato delle condizioni stressanti e alienanti della moderna società industriale, e che il “movimento” per
l’autostima sia un futile tentativo di cambiare le cose, in grado solo di creare individui egoisti e narcisisti.
In America l’autostima individuale tende a oscillare tra moderata e molto alta.
STRATEGIE AUTOLESIVE -> Attribuzioni a fattori esterni espresse pubblicamente in maniera anticipata circa
un proprio fallimento o una scarsa prestazione in un evento imminente.

Sub – Alla ricerca dell’autostima


Essere di buon umore può provocare piacevoli sensazioni in grado di distorcere la stima che le persone
provano nei propri confronti.

Sub2 – Paura della morte


Una ragione interessante che porta le persone alla ricerca dell’autostima, è la volontà di superare la paura
della morte. Nella loro teoria della gestione del terrore, Greenberg e colleghi sostengono che essere
consapevoli dell’ineluttabilità della morte è la vera minaccia affrontata dalle persone e quindi il fattore
motivazionale più forte nell’esistenza umana. L’alta autostima permette alle persone di fuggire dall’ansia
che altrimenti incomberebbe per la continua contemplazione dell’inevitabilità della propria morte: il
desiderio di autostima si fonda così sul terrore della morte. L’alta autostima fa stare bene le persone con se
stesse: si sentono immortali, positive ed entusiaste della vita.
L’autostima agisce da tampone contro l’ansietà.

Sub2 – L’autostima è un “sociometro”?


La ricerca dell’autostima è anche un ottimo rilevatore interno dell’accettazione e dell’inclusione sociale.

Autopresentazione
I sé si costruiscono, modificano e manifestano attraverso l’interazione con gli altri.
GESTIONE DELL’IMPRESSIONE -> Utilizzo da parte delle persone di varie strategie per mostrarsi agli altri
sotto una luce positiva.
Goffman paragonò questo processo di gestione dell’impressione al teatro, dove le persone interpretano
ruoli diversi per platee diverse. Le persone si comportano in pubblico in modo diverso da quanto fanno in
privato. Ci sono due classi generali di motivazioni alla base dell’autopresentazione: strategica ed espressiva.
AUTOMONITORAGGIO -> Controllo attento del nostro modo di presentarci. Nell’automonitoraggio
esistono differenze individuali e legate al contesto.
Nell’automonitoraggio attenti osservatori di sé stessi adottano tecniche di autopresentazione strategica.

Sub – Autopresentazione strategica


Jones e Pittman hanno identificato cinque motivazioni strategiche nel modo in cui tentiamo di presentare
noi stessi:
1 – Autopromozione: cerchiamo di persuadere gli altri della nostra competenza
2 – Accattivamento: cerchiamo di piacere agli altri
3 – Intimidazione: cerchiamo di far credere agli altri che siamo pericolosi (per non apparire deboli)
4 – Esemplificazione: cerchiamo di farci considerare dagli altri individui moralmente rispettabili
5 – Supplica: cerchiamo di fare in modo che gli altri si impietosiscano di noi

Sub – Autopresentazione espressiva


AUTOPRESENTAZIONE -> Sforzo intenzionale di agire in modo da creare un’impressione particolare, di
solito favorevole, di noi stessi
Le motivazioni espressive per l’autopresentazione coinvolgono la dimostrazione e la conferma del nostro
concetto di sé attraverso le nostre azioni. L’identità richiede la conferma sociale per poter continuare a
esistere e ad avere una funzione utile.
Il comportamento delinquenziale è quasi sempre ostentato in pubblico dai ragazzi. La conferma sociale di
un comportamento espresso sembra anche essere implicata nel cambiamento del concetto di sé.
Capitolo 4 – Atteggiamenti e persuasione
Gli atteggiamenti sono le nostre valutazioni in merito a persone, oggetti ed eventi che appartengono al
nostro mondo. Essi si basano sulle nostre credenze e sentimenti. Alcuni atteggiamenti vengono facilmente
in mente e appaiono difficilmente modificabili, altri possono essere influenzati dalla persuasione e di
conseguenza venire rimodellati.
L’atteggiamento si distingue dal comportamento: non sempre coincidono.

Che cosa sono gli atteggiamenti?


Il termine atteggiamento deriva dalla parola latina aptus, che significa “adatto e pronto all’azione”: si
riferisce a qualcosa che è direttamente osservabile. Gli studiosi oggi considerano l’”atteggiamento” come
un costrutto che precede il comportamento e guida le nostre scelte e le decisioni relative alle azioni che
compiamo.
L’atteggiamento può essere inoltre definito:
A) Organizzazione relativamente stabile di credenze, sentimenti e tendenze comportamentali verso oggetti,
gruppi, eventi o simboli socialmente significativi.
B) Sentimento o valutazione generale – positiva o negativa – in merito a una persona, a un oggetto o a un
problema.
Gli atteggiamenti sono fondamentali nella vita degli esseri umani. Senza gli atteggiamenti sarebbe difficile
interpretare e reagire agli eventi, prendere decisioni e attribuire un significato alle nostre relazioni con gli
altri.

Sub – Gli atteggiamenti hanno una struttura


MODELLO DI ATTEGGIAMENTO A TRE COMPONENTI -> Questa tripartizione ha un retaggio antico,
sottolineando il ruolo di pensiero, sentimento e azione come elementi fondamentali per l’esperienza
umana. Secondo tale modello un atteggiamento si articola in:
1 – una componente cognitiva (pensiero): le informazioni sull’oggetto di un atteggiamento
2 – una componente affettiva (sentimento): i sentimenti positivi o negativi associati all’oggetto di un
atteggiamento
3 – una componente comportamentale (azione): uno modo in cui ci comportiamo di fronte all’oggetto
Oltre alle tre componenti, tale approccio vede gli atteggiamenti come:
- relativamente stabili: resistono cioè nel tempo e nello spazio (un sentimento temporaneo non è un
atteggiamento)
- limitati a eventi o a oggetti socialmente significativi
- generalizzabili e almeno parzialmente astratti
Ogni atteggiamento, dunque, è un insieme di sentimenti, simpatie e antipatie e di intenzioni
comportamentali.

Sub – Gli atteggiamenti hanno uno scopo


Gli atteggiamenti hanno anche una funzione. Un atteggiamento permette di risparmiare energia, poiché
non dobbiamo comprendere come relazionarci all’oggetto o alla situazione in questione “partendo da
zero”. Un atteggiamento ci permette di massimizzare le nostre possibilità di avere esperienze positive e di
minimizzare quelle negative.
La funzione principale di ogni tipo di atteggiamento è la valutazione dell’oggetto. Questo
indipendentemente dal fatto che l’atteggiamento abbia una valenza positiva o negativa.

Da dove derivano gli atteggiamenti?


Gli atteggiamenti possono svilupparsi per mezzo dell’esperienza oppure attraverso le interazioni con gli altri
FORMAZIONE DELL’ATTEGGIAMENTO -> Processo con cui si formano i nostri atteggiamenti, principalmente
attraverso le nostre esperienze, l’influenza altrui e le nostre reazioni emotive

Sub – Esperienza
Molti atteggiamenti derivano dalla nostra esperienza diretta con gli oggetti dell’atteggiamento e ci sono
diverse spiegazioni circa il suo effetto: la mera esposizione, il condizionamento classico, il condizionamento
operante o strumentale, la teoria dell’apprendimento sociale e dell’autopercezione.
L’esperienza diretta ci aiuta a formare credenze che influenzano il nostro livello di gradimento o di
avversione nei confronti di quest’ultimo. Un’esperienza moderatamente traumatica può provocare un
atteggiamento negativo e rendere più saliente qualche credenza.
EFFETTO DELLA MERA ESPOSIZIONE -> L’esposizione ripetuta a un oggetto dà come risultato una maggiore
attrazione nei suoi confronti

Sub2 – Condizionamento
L’associazione ripetuta può portare uno stimolo che in passato era neutrale a provocare una reazione
suscitata in precedenza soltanto da un altro stimolo: è quello che viene definito condizionamento classico.
Al contrario del comportamento con conseguenze negative il comportamento con conseguenze positive è
rafforzato e ha probabilità maggiori di essere ripetuto: in questo caso si tratta di condizionamento
strumentale.
Sia il condizionamento classico che quello strumentale mettono in risalto il ruolo dei rinforzatori diretti nel
processo di acquisizione e mantenimento del comportamento.
Gli atteggiamenti si possono formare anche attraverso l’apprendimento sociale e manifestarsi in assenza di
rinforzi diretti.
MODELLAMENTO -> Tendenza di una persona a riprodurre azioni, atteggiamenti e risposte emotive di un
modello, tratto dalla vita reale oppure simbolico
Il modellamento richiede l’osservazione: gli individui non apprendono nuove reazione direttamente
dall’esperienza di risultati positivi o negativi, ma osservando ciò che capita agli altri.

Sub – Fonti di apprendimento


Una fonte cruciale dei nostri atteggiamenti è rappresentata dalle azioni delle altre persone che ci
circondano.
I mass media, in particolare la televisione, hanno una significativa influenza sugli atteggiamenti delle
persone e su quelli dei loro figli.

Sub – Teoria dell’autopercezione


Secondo Bem e la sua teoria dell’autopercezione, le persone raggiungono la conoscenza di chi sono e dei
loro atteggiamenti, esaminando le proprie azioni e chiedendosi: “Perché lo faccio?”.

Come si rivelano gli atteggiamenti


Un modo per scoprire gli atteggiamenti delle persone è chiedergli direttamente.

Sub – Indizi corporei


Le misure fisiologiche possiedono un grande vantaggio rispetto alle misure basate sull’autodescrizione: le
persone possono non rendersi conto che i loro atteggiamenti vengono valutati, e anche se lo capiscono,
possono non essere in grado di alterare le proprie risposte. Uno strumento utilizzato nelle indagini
criminologiche è il poligrafo, detto anche “macchina della verità”.
Le misure fisiologiche, tuttavia, possono presentare qualche svantaggio. Molte sono sensibili a fattori
diversi dagli atteggiamenti che intendono misurare.
Sub – Indizi derivati dalle azioni
Vengono utilizzate varie tecniche di rilevazione degli atteggiamenti. Tra queste abbiamo:
1 – misure non invasive: approcci basati sull’osservazione che non interferiscono sui processi che vengono
studiati né portano le persone a comportarsi in modo non spontaneo.
2 – tecnica del falso collegamento: tecnica di misurazione che induce la persona a credere che una
“macchina della verità” possa monitorare le loro risposte emotive, misurando perciò i loro atteggiamenti
reali.

Sub – Atteggiamenti impliciti


Un atteggiamento implicito è un atteggiamento di cui una persona obiettivamente può non essere
consapevole. Sono state rilevate tre misure all’interno di una recente ricerca:
1 – Tendenza sistematica nell’uso del linguaggio: gli atteggiamenti possono essere legati al modo in cui le
persone utilizzano le parole. Quando un membro del nostro gruppo fa qualcosa di buono, adoperiamo un
aggettivo astratto per descrivere la sua azione, basandoci sull’attribuzione interna; una buona azione
compiuta da una persona appartenente a un outgroup è descritta tramite un verbo concreto: compiamo
un’attribuzione esterna.
2 – Attivazione dell’atteggiamento: possiamo rispondere più velocemente quando un atteggiamento
fondamentale è corrispondente a una risposta “corretta”.
3 – Test di associazione implicita: test basato sul tempo di reazione, finalizzato a misurare gli
atteggiamenti, in particolare quelli piuttosto impopolari che le persone potrebbero voler nascondere

Gli atteggiamenti preannunciano le azioni?


Le scale di atteggiamento furono sviluppate all’inizio degli anni Trenta e furono usate per misurare i punti di
vista delle persone su temi fondamentali quali la politica, la religione e la razza. Queste scale consistevano
in questionari in cui si chiedeva alle persone che cosa pensassero e provassero in merito a quei temi e come
potessero agire in contesti differenti.

Sub – Atteggiamenti accessibili


Gli atteggiamenti accessibili sono quelli più facilmente recuperabili dalla memoria e che vengono espressi
rapidamente.
EURISTICA DELLA DISPONIBILITA’ -> Scorciatoia cognitiva in cui la stima della frequenza o della probabilità
del verificarsi di un evento è basata sulla velocità con cui vengono alla mente esempi o associazioni
Gli atteggiamenti accessibili esercitano una forte influenza sul comportamento, rafforzano il collegamento
tra atteggiamento e comportamento e sono dunque più stabili.
Il livello a cui un atteggiamento è funzionale e utile per l’individuo dipende dalla misura in cui esso sia
automaticamente attivabile nella memoria. La probabilità di un’attivazione automatica dipende dalla forza
dell’associazione tra l’oggetto e la valutazione.
Gli atteggiamenti accessibili possono influenzate il modo in cui categorizziamo. Quando scegliamo tra una
varietà di categorie possibili per descrivere un oggetto, è più probabile selezionare quella che risulta più
accessibile.
Un atteggiamento diventa più accessibile nella misura in cui l’esperienza diretta con il suo oggetto diventa
più frequente. Gli atteggiamenti formati attraverso l’esperienza diretta sono collegati in modo più costante
al comportamento.
Sub – Atteggiamenti forti
Gli atteggiamenti forti devono essere molto accessibili. Essi verranno in mente con più prontezza ed
eserciteranno una maggiore influenza sui comportamenti di quanto potranno fare gli atteggiamenti deboli.
Solo un’associazione forte consente l’attivazione automatica di un atteggiamento. Un atteggiamento forte
non necessariamente sarà un atteggiamento estremistico.
ATTIVAZIONE AUTOMATICA -> Secondo Fazio è più probabile che, dalla memoria, gli atteggiamenti con un
forte collegamento valutativo con elementi situazionali appaiano automaticamente in mente.
L’esperienza diretta con un oggetto rende l’atteggiamento più accessibile e incrementa il suo effetto sul
comportamento.
Tanto più pensate a un atteggiamento, tanto più è probabile che esso ricompaia e influenzi il vostro
comportamento, agevolando il processo decisionale. Accedere ad atteggiamenti generali può influenzare il
comportamento in situazioni specifiche. Se non si accede mai all’atteggiamento generale, il
comportamento non può essere influenzato. Soltanto gli atteggiamenti attivati possono guidare i successivi
processi di elaborazione dell’informazione e il comportamento.

Sub – Atteggiamenti e razionalità


Vi sono due teorie per ottenere una migliore corrispondenza tra atteggiamento e comportamento: la teoria
dell’azione ragionata e la teoria del comportamento pianificato.
1 – La teoria dell’azione ragionata è stata la prima che ha affrontato il problema dello scarso collegamento
tra atteggiamento e comportamento a cui ci siamo riferiti in precedenza. Essa ha trattato in modo specifico
le modalità in cui credenze e intenzioni di una persona sono criticamente coinvolte nel modo in cui essa
agisce. Tale teoria include le seguenti componenti:
- Norma soggettiva: il risultato di ciò che l’individuo pensa che gli altri credano.
- Atteggiamento verso il comportamento: basato sulle credenze individuali relative al comportamento
specifico e sulle modalità di valutazione di tali credenze. È un atteggiamento riguardante un’azione, non un
oggetto.
- Intenzione comportamentale: una dichiarazione interiore di agire.
- Comportamento: l’azione eseguita.
Un’azione viene eseguita se l’atteggiamento della persona è favorevole e se la norma sociale è di sostegno.
La TRA enfatizza la convinzione che il comportamento sia controllabile.

2 – secondo la teoria del comportamento pianificato afferma che il controllo del comportamento percepito
è il punto fino a cui la persona crede sia facile o difficile compiere un’azione. Quando assumiamo decisioni
pensiamo alle esperienze passate e agli ostacoli presenti.
Le due teorie, dell’azione ragionata e del comportamento pianificato, non sono in conflitto.
L’abitudine è un ulteriore strumento per prevedere il comportamento futuro.

Gli atteggiamenti possono cambiare: la dissonanza


La dissonanza cognitiva fa parte della famiglia delle teorie sulla coerenza cognitiva. Esse presuppongono
che le persone desiderino credere di essere coerenti nel modo di pensare, sentire e agire.
La dissonanza cognitiva è quello sgradevole stato di tensione mentale che si verifica quando una persona ha
due o più cognizioni che sono incoerenti o che non si armonizzano. Le cognizioni sono pensieri,
atteggiamenti, convinzioni o stati di consapevolezza del comportamento.
CAMBIO DI ATTEGGIAMENTO -> Ogni modifica significativa di un atteggiamento individuale. Nel processo
di persuasione esso coinvolge comunicatore, comunicazione, medium adoperato e caratteristiche del
pubblico. Il cambio di atteggiamento può verificarsi anche inducendo qualcuno a eseguire un’azione
contraria a un atteggiamento esistente.
Festinger affermò che cerchiamo armonia nei nostri atteggiamenti, credenze e comportamenti: tentiamo di
ridurre la tensione generata da ogni incoerenza. Le persone proveranno a far ciò cambiando una o più
cognizioni incoerenti cercando ulteriori prove per rafforzare l’uno o l’altro aspetto o sminuendo il valore
della fonte di una delle cognizioni. Maggiore è la dissonanza, tanto più forte è il tentativo di ridurla.
La ricerca ha individuato tre modi di produrre dissonanza: la giustificazione dello sforzo, l’obbedienza
indotta e la libera scelta.
Sub – Giustificazione dello sforzo
Ogni volta che scegliete tra diverse alternative sollecitate uno stato di dissonanza.
GIUSTIFICAZIONE DELLO SFORZO -> Un caso speciale di dissonanza cognitiva: l’incoerenza è esperita
quando una persona compie uno sforzo considerevole per raggiungere un risultato modesto.

Sub – Obbedienza indotta


Occasionalmente le persone sono indotte ad agire in modo incoerente rispetto alle proprie convinzioni. Un
aspetto dell’obbedienza indotta è che la pressione esercitata non dovrebbe essere percepita come una
forzatura contraria alla propria volontà.
OBBEDIENZA INDOTTA -> Un caso speciale di dissonanza cognitiva: l’incoerenza è esperita quando un
individuo è persuaso a comportarsi in modo contrario a un atteggiamento.
Secondo l’ipotesi dell’obbedienza indotta, la dissonanza si manifesta quando si è acconsentito ad affermare
cose circa le quali si è esperita la verità del contrario. Siete stati indotti a comportarvi in modo contrario al
vostro atteggiamento.
Secondo la variazione dell’obbedienza indotta, il conflitto postdecisionale dovrebbe essere maggiore
quando il comunicatore è negativo.
CONFLITTO POSTDECISIONALE -> Dissonanza associata al comportamento controattitudinale. La
dissonanza si può ridurre armonizzando l’atteggiamento con il comportamento.

Sub – Libera scelta


Secondo lo schema ideato da Festinger dell’elaborazione del conflitto nel processo decisionale, il periodo
predecisionale è segnato da incertezza e dissonanza, mentre quello postdecisionale da relativa calma e
fiducia.
Nella libera scelta è probabile che la riduzione del conflitto sia un fenomeno che caratterizza le scommesse
su eventi sportivi, corse di cavalli, giochi d’azzardo e così via. Quando una persona ha compiuto una scelta
tra alternative decisionali, la teoria della dissonanza prevede che la persona che ha fatto una puntata abbia
più fiducia nella vittoria. I 3 paradigmi della dissonanza dunque sono: la giustificazione dello sforzo,
l’obbedienza indotta e la libera scelta.

I 3 paradigmi della dissonanza dunque sono: la giustificazione dello sforzo, l’obbedienza indotta e la libera
scelta.

La scienza della persuasione


Le facoltà ricettive delle masse sono molto limitate e la loro capacità di comprensione è piuttosto ridotta.
La ricerca nel campo della psicologia sociale sulla relazione tra comunicazione persuasiva e cambiamento di
atteggiamento si concentra su aspetti più precisi.
COMUNICAZONE PERSUASIVA -> Messaggio destinato a un pubblico di cui si intende cambiare un
atteggiamento e i comportamenti a esso collegati
Sub – Comunicare in maniera persuasiva
Alcuni autori suggerivano che la chiave per interpretare il modo in cui le persone prestano attenzione,
comprendono, ricordano e accettano un messaggio consisteva nel rispondere alla domanda: “Chi dice che
cosa a chi e con quale effetto?”. Questa struttura generale di ricerca può essere individuata ancora oggi. Le
tre variabili coinvolte sono:
1 – fonte (chi): punto di origine di una comunicazione persuasiva
2 – messaggio (che cosa): comunicazione originata da una fonte e diretta a un pubblico
3 – pubblico (a chi): bersaglio a cui è destinata la comunicazione persuasiva
Il processo di persuasione richiede che un pubblico presti attenzione in una certa misura a un messaggio e
ne capisca almeno parte del contenuto. È più probabile che un messaggio sia accettato se attiva pensieri
favorevoli, ma che venga rifiutato se dà luogo a forti controargomentazioni. I tre anelli della catena della
persuasione (chi, che cosa, a chi) sono sempre presenti e spesso più di uno di questi svolge un ruolo
importante.
James e Feshbach usarono tre variazioni di un messaggio per incoraggiare le persone a praticare una buona
igiene orale:
1 – Messaggio poco minaccioso: alle persone venivano comunicate le spiacevoli conseguenze dell’avere
denti e gengive malate
2 – Messaggio moderatamente minaccioso: l’avvertimento riguardo alla malattia era più esplicito
3 – Messaggio molto minaccioso: alle persone veniva comunicato che la malattia poteva diffondersi ad altri
parti del corpo e venivano mostrate diapositive con sgradevoli immagini di denti marci e gengive in pessimo
stato
Più è alto il livello di minaccia, più esso è efficace.
Si verificò una relazione inversamente proporzionale tra i livelli di (presunta) attivazione della paura e il
cambiamento nelle pratiche di igiene orale.
Tuttavia un modo molto minaccioso di presentare un’idea può generare così tanta ansia da distrarci e da
farci perdere parte dei contenuti informativi del messaggio. Immagini televisive inquietanti, per esempio,
possono distrarre le persone dal messaggio che si vuole trasmettere
La teoria della motivazione della protezione ha offerto nell’eliminare abitudini pericolose per la salute.

Percorsi a due processi verso la persuasione


Il modello della probabilità dell’elaborazione e il modello euristico-sistematico, presuppongono due
processi e trattano gli indizi della persuasione.
AUTOEFFICACIA -> Previsioni che abbiamo sulla nostra capacità di portare a termine con successo compiti
specifici.

Sub – Modello della probabilità dell’elaborazione


Secondo il modello della probabilità dell’elaborazione (modello di cambiamento di atteggiamento proposto
da Petty e Cacioppo), quando le persone ricevono un messaggio persuasivo esse pensano alle
argomentazioni implicite. Tuttavia non lo fanno necessariamente con profondità o attenzione. La persona
comune è un economizzatore cognitivo, motivato a produrre uno sforzo cognitivo solo su questioni per lui
importanti. La persuasione segue due percorsi, a seconda della quantità di sforzo cognitivo impegnato nel
messaggio.
1 – Se le argomentazioni del messaggio sono prese in carico in maniera approfondita è utilizzato un
percorso centrale. Se deve essere usato il percorso centrale indirizzato alla persuasione, gli elementi
concettuali del messaggio devono essere esposti in modo convincente, poiché ci verrà richiesto un notevole
sforzo cognitivo su di loro.
2 – Se invece le argomentazioni non sono ascoltate con attenzione, si segue un percorso periferico. Usando
gli indizi periferici, agiamo in modo meno diligente, preferendo un prodotto in base a un motivo
superficiale.
Sub – Modello euristico-sistematico
Il modello euristico-sistematico (modello di cambiamento di atteggiamento proposto da Chaiken),
distingue l’elaborazione sistematica dall’elaborazione euristica.
- l’elaborazione sistematica si verifica quando le persone esaminano e considerano gli argomenti
disponibili
- l’elaborazione euristica, invece, utilizza euristiche cognitive, dove le argomentazioni più lunghe
appaiono come più solide
La nostra capacità di concentrarci sul contenuto di un messaggio può essere sensibilmente influenzata da
qualcosa di provvisorio come l’umore. La musica di sottofondo è un espediente ampiamente adottato nelle
pubblicità per creare un clima di rilassamento. Il sentirsi “bene” ostacola l’elaborazione di un messaggio in
maniera sistematica. Quando il tempo è limitato il sentirsi davvero bene fa agire in modo automatico, ossia
porta a utilizzare un percorso periferico (ELM) o un processo euristico (HSM).
Se il contenuto del messaggio è in sintonia con i nostri atteggiamenti (quindi coerente con il nostro umore,
già buono in partenza), allora anche l’essere felici conduce a elaborazioni più dettagliate. In questo caso è
coinvolta l’interazione tra due dei tre principali fattori di persuasione: il sostegno del messaggio e la felicità
del pubblico.
Grazie al condizionamento classico, un prodotto ripetutamente associato con un buono stato d’animo può
arrivare a essere valutato positivamente, anche in assenza della musica o di altri indizi contestuali positivi.

Resistere alla persuasione


La stragrande maggioranza dei tentativi di persuasione si conclude con un fallimento piuttosto che con un
successo. I ricercatori hanno identificato tre principali ragioni: reattività, preavvertimento e
immunizzazione.

Sub – Reattività
REATTIVITA’ -> Teoria di Brehm secondo cui le persone cercano di proteggere la loro libertà di azione.
Quando ne percepiscono la riduzione, agiscono al fine di recuperarne il pieno possesso.
La causa fondamentale della reattività è la percezione che la nostra libertà personale venga messa in
discussione.

Sub – Preavvertimento
Il preavvertimento è la conoscenza a priori di un’intenzione persuasiva: anticipare a qualcuno che si
cercherà di influenzarlo. Se la conosciamo in anticipo, la persuasione è meno efficace, specialmente
rispetto agli atteggiamenti e alle questioni che consideriamo importanti. Quando le persone sono avvisate,
hanno il tempo per recuperare le controargomentazioni utilizzabili come difesa.
Sub – Effetto di immunizzazione
IMMUNIZZAZIONE -> Modalità con cui si rendono le persone resistenti alla persuasione. Fornendo
controargomentazioni deboli si permette agli individui di essere in grado di formulare confutazioni efficaci
di una successiva, più forte argomentazione.
Possiamo cercare un metodo analogo per fornire una difesa contro le idee persuasive. La tecnica
dell’immunizzazione prende avvio esponendo un individuo a una debole argomentazione
controattitudinale.
McGuire distinse due tipi di difesa:
1 – la difesa basata sul sostegno, fondata sul rafforzamento dell’atteggiamento. La resistenza potrebbe
essere rafforzata fornendo argomentazioni aggiuntive che sostengano le credenze originali.
2 – la difesa basata sull’immunizzazione, che impiega invece controargomentazioni e può avere maggiore
efficacia. Una persona apprende gli argomenti dell’opposizione e poi ascolta come vengono smontati.
Il fenomeno dell’immunizzazione è stato usato in alcuni tipi di pubblicità.

Capitolo 5 – Conformismo e cambiamento sociale


INFLUENZA SOCIALE -> Processo tramite il quale atteggiamenti e comportamento sono influenzati dalla
presenza, reale o implicita, di altre persone.
Riguardo l’influenza sociale esistono forze sociali esplicite di cui le persone sono consce e che hanno
l’obiettivo di influenzare le persone stesse.

Norme
Le norme sono credenze condivise circa la condotta del membro di un gruppo considerata appropriata.
Sono sia descritte sia prescrittive. Le norme descrivono le uniformità di comportamento che caratterizzano
i gruppi, mentre le discontinuità normative forniscono i profili di gruppi sociali differenti.
NORME -> Uniformità d’atteggiamento e di comportamento che definiscono l’appartenenza a un gruppo e
differenziano i gruppi tra loro.
Norme e stereotipi sono strettamente correlati. Le norme si riferiscono al comportamento condiviso
all’interno del gruppo; gli stereotipi alle generalizzazioni condivise a proposito degli altri gruppi.
Le norme possono prendere la forma di ruoli espliciti, imposti da leggi e sanzioni, oppure possono fungere
da sfondo implicito, dato per scontato, dell’esistenza quotidiana.
ETNOMETODOLOGIA -> Metodo, ideato da Garfinkel, che implica la violazione di norme nascoste per
rivelarne la presenza. Una di tali norme nascoste consisteva nel violare deliberatamente le norme per
attirare l’attenzione degli altri.
Le norme di gruppo possono avere un potente effetto sulle persone.
Le norme dimostrano una resistenza innata al cambiamento: questo perché la loro funzione è fornire
stabilità e prevedibilità. Tuttavia esse nascono per affrontare circostanze specifiche: resistono finché tali
circostanze prevalgono ma, alla fine, mutano con il mutare delle circostanze. Le norme variano nel “grado
di accettazione dei comportamenti”: alcune sono rigide e restrittive, altre più flessibili e meno restrittive. In
generale, le norme che sono in relazione con la fedeltà al gruppo hanno un grado di accettazione dei
comportamenti più limitato.

Sub – Come nascono le norme


Quando le persone sono da sole, nell’esprimere giudizi di tipo percettivo utilizzano come schema di
riferimento le proprie valutazioni; quando invece fanno parte di un gruppo, essi utilizzano la gamma di
giudizi espressi dagli altri membri per convergere velocemente verso una media del gruppo.
Le persone si basano sul comportamento altrui per stabilire la gamma di comportamenti possibili: utilizzano
cioè lo schema di riferimento, di cui si servono per instaurare confronti sociali in un determinato contesto.
EFFETTO AUTOCINETICO -> Illusione ottica in cui un puntino luminoso che brilla nella totale oscurità
sembra muoversi.
Secondo Sherif una norma è una proprietà che nasce dall’interazione tra i membri di un gruppo ma che,
una volta creata, acquista vita propria.

Conformismo
CONFORMISMO -> Cambiamento profondo, personale e duraturo nel comportamento e negli
atteggiamenti dovuto alla pressione del gruppo.

Sub – Arrendersi alla maggioranza


Il conformismo riflette un processo relativamente razionale in cui le persone costruiscono una norma a
partire dal comportamento degli altri, per determinare il corretto e appropriato comportamento da
adottare loro stesse. Se si è già fiduciosi e sicuri in merito a ciò che è appropriato e corretto, il
comportamento degli altri sarà in larga misura irrilevante e quindi ininfluente.
Secondo Asch, se l’oggetto del giudizio fosse chiaro, le opinioni degli altri non avrebbero effetto sul
comportamento: un individuo dovrebbe rimanere del tutto indipendente dall’influenza del gruppo.
Una ragione per cui le persone si conformano alle posizioni della maggioranza, anche quando la scelta
corretta è evidente, può essere quella di evitare la censura, il ridicolo e la disapprovazione sociale. Si tratta
di un’autentica paura.

Sub – Chi si conforma?


Coloro che si conformano tendono ad avere bassa autostima, forte bisogno di sostegno, necessità di
autocontrollo, basso quoziente intellettivo, molta ansia, senso di colpa e insicurezza.
In norma le donne dimostrano di adeguarsi un po' più degli uomini: tuttavia dipende dal tipo di compito
richiesto. Vi sono compiti con i quali le donne hanno meno familiarità ed esperienza e rispetto ai quali sono
più incerte, rendendosi più influenzabili rispetto agli uomini.

Sub – Cultura e conformismo


Le norme culturali incidono sul conformismo? Si è notato come il conformismo è minore nelle culture
individualistiche del Nord America o dell’Europa nordoccidentale, rispetto le culture collettivistiche di
Africa, Asia, Oceania e Sud America.
Questo tipo di variabilità indica che i popoli legati a valori collettivistici si conformano alle norme del
proprio gruppo più di quanto facciano le persone appartenenti a popolazioni legate a valori individualistici.

Sub – Contesto e conformismo


Le persone sono più inclini al conformismo in determinati contesti, mentre rimangono indipendenti in altri.
Due fattori indagati al riguardo sono stati la dimensione del gruppo e la sua unanimità.
I sostenitori, gli individui dissenzienti e coloro che formulano opinioni devianti possono avere efficacia nel
ridurre il conformismo, poiché infrangono l’unanimità della maggioranza e di conseguenza rendono
legittima la possibilità di risposte o comportamenti alternativi.

Sub – Processi di influenza


Gli psicologi sociali reputano responsabili del conformismo due processi di influenza sociale: l’influenza
informativa e l’influenza normativa.
INFLUENZA INFORMATIVA -> Tendenza ad accettare le opinioni degli altri come prove della realtà.
Quando ciò capita, facciamo inizialmente verifiche oggettive a proposito della realtà; altrimenti, mettiamo
in atto dei confronti sociali.
INFLUENZA NORMATIVA -> Tendenza ad adeguarci alle aspettative positive degli altri.
Tale influenza è la causa principale del conformismo messo in luce dal paradigma di Asch.
La distinzione tra influenza informativa e normativa pone scarsa enfasi sul ruolo dell’appartenenza al
gruppo. A occuparsene è stata la teoria dell’identità sociale, che propone un processo di influenza sociale
responsabile dell’adeguamento alle norme di gruppo, definito influenza informativa del referente.
INFLUENZA INFORMATIVA DEL REFERENTE -> Pressione che porta a conformarsi alla norma di un gruppo la
quale definisce un individuo come membro del gruppo stesso.
Quando essere parte di un gruppo diventa saliente avvertiamo un senso di appartenenza e definiamo noi
stessi in termini del gruppo. Recuperiamo informazioni dalla memoria e usiamo informazioni del contesto
sociale per definire norme e attributi rilevanti del gruppo. Le fonti di informazione più immediate sono le
azioni dei membri appartenenti all’ingroup. Un ingroup in fase di sviluppo cattura e accentua, non solo le
somiglianze tra i membri dell’ingroup, ma anche le differenze tra questo e gli outgroup rilevanti. Secondo la
teoria della categorizzazione del sé, giungiamo a considerare noi stessi in termini di gruppo.
Le persone si conformano perché sono membri di un gruppo, non per convalidare la realtà fisica. Le
persone non si adeguano ad altre persone, ma a una norma: poiché la norma è una rappresentazione
interiorizzata, le persone possono conformarvisi senza dipendere dalla sorveglianza da parte dei membri
del gruppo.

Acquiescenza
Il termine acquiescenza è talvolta usato come sinonimo di conformismo. Ciò può accadere quando
“conformismo” è inteso in modo da includere, tra i risultati della pressione del gruppo, un cambiamento nel
comportamento, oltre che nelle credenze.
Con acquiescenza ci riferiamo a quel tipo di risposta comportamentale alla richiesta di un altro individuo;
con conformismo, invece, ci riferiamo all’influenza di un gruppo su un individuo.
ACQUIESCENZA -> Superficiale, pubblico e transitorio cambiamento nel comportamento e negli
atteggiamenti espressi verbalmente in seguito a richieste, costrizioni o pressioni del gruppo.

Sub – Tecniche per accrescere l’acquiescenza


Gli esperti di vendita hanno ideato molte procedure indirette per indurre acquiescenza, poiché da questa
dipende la loro sopravvivenza.
ACCATTIVAMENTO -> Tentativo strategico di conquistare l’apprezzamento di una persona per ottenere
l’acquiescenza verso una richiesta.
Possiamo usare l’accattivamento se manifestiamo accordo con le persone per apparire simili a loro o per
farle sentire a proprio agio. Tuttavia l’accattivamento palese può essere controproducente e portare al
“dilemma dell’adulatore”.
META-ANALISI -> Procedimento statistico che combina dati provenienti da studi differenti per misurare
affidabilità e forza complessiva di effetti specifici.
L’uso della norma di reciprocità è un’altra tecnica, basata sul principio secondo cui “dovremmo trattare gli
altri nel modo in cui loro trattano noi”: se facciamo un favore agli altri, questi si sentiranno obbligati a
ricambiarlo. Analogamente l’attivazione del senso di colpa produce una maggiore acquiescenza.
NORME DI RECIPROCITA’ -> Norma che risponde al principio: “Fai agli altri quello che gli altri quello che gli
altri fanno a te”. Può riferirsi alla restituzione di un favore, alla reciproca aggressione o al reciproco aiuto.

Sub2 – Tecniche di richiesta multipla


Esistono diverse tecniche basate sull’uso di richieste multiple. Anziché una singola richiesta viene utilizzato
un processo a due fasi, in cui la prima richiesta funziona come mezzo per attenuare la seconda richiesta,
quella autentica.
RICHIESTE MULTIPLE -> Tecniche finalizzate a ottenere acquiescenza, che utilizzano un processo a due fasi:
la prima richiesta funziona come pretesto per la seconda, autentica, richiesta.
I tre tipi classici sono le tecniche del piede nella porta, della porta in faccia e del colpo basso:
1 – Secondo la tecnica del piede nella porta, se qualcuno acconsente a una piccola richiesta, sarà più
predisposto a soddisfarne una seconda, più grande. Tale tecnica non sempre funziona. Se la prima richiesta
appare troppo esigua o la seconda troppo grande, il collegamento tra le molteplici richieste si rompe.
TECNICA DEL PIEDE NELLA PORTA -> Tecnica di richiesta multipla, finalizzata a ottenere acquiescenza, in cui
la richiesta cruciale è preceduta da una richiesta minore, destinata a essere accettata.
1.1 – Una versione perfezionata della tecnica prevedeva che le persone acconsentissero a una serie di
richieste graduali anziché saltare da una richiesta esigua ad una richiesta grande. Questa soluzione (tecnica
dei due piedi nella porta) si è mostrata più efficace della tecnica classica del piede nella porta.
Accondiscendendo a una piccola richiesta, le persone si sentono coinvolte e sviluppano un’immagine di sé
come individui “generosi”; la successiva, impegnativa, richiesta le obbliga a essere coerenti.
2 – La strategia opposta è la tecnica della porta in faccia: in questo caso viene prima chiesto a qualcuno un
grosso favore e poi avanzata una piccola richiesta.
TECNICA DELLA PORTA IN FACCIA -> Tecnica di richiesta multipla, finalizzata a ottenere acquiescenza, in cui
la richiesta cruciale è preceduta da una richiesta più impegnativa.
Secondo Cialdini la tecnica della porta in faccia può essere sfruttata al meglio utilizzando un effetto di
contrasto (quando una seconda richiesta viene fatta sembrare più ragionevole e accettabile se paragonata
alla prima).
3 – Nella tecnica del colpo basso, il soggetto dotato di influenza cambia le regole nel corso della trattativa e
riesce a passarla liscia. L’efficacia di questa strategia dipende dalla capacità di indurre il cliente ad accettare
una richiesta prima di rivelarne determinati costi nascosti. La tattica si basa sul principio secondo cui è più
probabile che le persone, una volta coinvolte in un’azione, accettino un piccolo incremento del costo
dell’azione stessa.
TECNICA DEL COLPO BASSO -> Tecnica finalizzata a indurre acquiescenza, grazie alla quale una persona che
acconsente a una richiesta continua a sentirsi coinvolta anche dopo aver scoperto che essa presenta costi
nascosti.

Obbedienza all’autorità
Milgram criticò i risultati dello studio di Asch sul conformismo. Dunque cercò di ripetere tale studio, ma
ricorrendo a un compito che presentava conseguenze importanti a seconda che venisse presa la decisione
di conformarsi o di rimanere indipendente.

Sub – Gli studi di Milgram sull’obbedienza


Se entriamo in uno stato di agente possiamo mentalmente assolvere noi stessi dalla responsabilità di ciò
che succede dopo.
STATO DI AGENTE -> Stato d’animo concepito da Milgram per definire l’obbedienza incondizionata, in cui le
persone, in qualità di agenti, trasferiscono le proprie responsabilità a chi impartisce gli ordini.

Sub – Fattori che influenzano l’obbedienza


Una volta che gli individui si sono fatti coinvolgere in una linea di azione, possono trovare difficile in seguito
cambiare idea.
Un fattore importante dell’obbedienza è la contiguità della vittima: la vicinanza o l’esplicita presenza della
vittima rispetto al partecipante.
Un altro fattore importante è la contiguità della figura autorevole. L’obbedienza è ridotta quando lo
sperimentatore è assente dalla stanza e trasmette le istruzioni dal telefono. Tuttavia il fattore che incide
maggiormente sull’obbedienza è la pressione del gruppo.
La disobbedienza di gruppo probabilmente produce il suo effetto, perché le azioni degli altri aiutano a
confermare la legittimità o l’illegittimità di continuare a somministrare ad esempio scosse.
La legittimità della figura autorevole permette alle persone di rinunciare alla responsabilità diretta delle
proprie azioni.
La ricerca di Milgram affronta lo studio di una delle grandi debolezze dell’umanità: la tendenza a obbedire
agli ordini senza prima riflettere. Tuttavia l’obbedienza qualche volta può rivelarsi utile: molte
organizzazioni si fermerebbero se i propri membri continuassero a negoziare nel dettaglio gli ordini.

Sub – Alcune considerazione etiche


Le questioni etiche ruotano attorno a tre domande riguardanti l’etica di sottoporre chi partecipa a un
esperimento a uno stato di stress a breve termine:
1 – la ricerca è importante?
2 – il partecipante è libero di terminare l’esperimento in qualsiasi momento?
3 – i partecipanti acconsentono liberamente alla propria partecipazione all’esperimento?
Ci sono due ragioni per ingannare coloro che partecipano a un esperimento di psicologia sociale:
1) la prima è di indurli a partecipare a un esperimento altrimenti sgradevole
2) la seconda ragione è che, per studiare il funzionamento automatico dei processi psicologici, i partecipanti
devono essere tenuti all’oscuro rispetto alle ipotesi e questo spesso implica un inganno circa il vero scopo
dello studio e delle procedure usate.
Questo dibattito ha portato alla creazione di un codice etico che guidasse gli psicologi nella conduzione
della ricerca. Le principali componenti sono:
- la partecipazione si deve basare sul consenso pienamente informato;
- i partecipanti devono essere esplicitamente informati della possibilità di ritirarsi, senza subire sanzioni, in
ogni fase della ricerca;
- i partecipanti devono ricevere una relazione completa e onesta alla fine dello studio.

Influenza della minoranza e cambiamento sociale


Esiste un diverso tipo di influenza: in un contesto gruppo, un individuo o una piccola minoranza possono
cambiare le opinioni della maggioranza. Una minoranza con poco o nessun potere legittimato può avere
influenza e spostare la maggioranza verso il proprio punto di vista.
INFLUENZA DELLA MINORANZA -> Processi di influenza sociale grazie ai quali minoranza, in termini di
numero o di potere, cambiano gli atteggiamenti della maggioranza.

Sub – Oltre il conformismo


Moscovici sostenne che i ricercatori, in maniera inconsapevole, fossero vittime della tendenza sistematica
al conformismo, che porta a considerare l’influenza sociale un’esigenza adattativa della vita umana.
TENDENZA SISTEMATICA AL CONFORMISMO -> Tendenza della psicologia sociale a trattare l’influenza del
gruppo come un processo unidirezionale in cui gli individui o le minoranze si conformano sempre alle
maggioranze.
Il grado di certezza delle nostre opinioni dipende in buona parte dal grado in cui concordiamo con le
opinioni altrui. I dubbi circa le caratteristiche degli oggetti “là fuori” possono basarsi sul fatto che gli altri
non sono d’accordo con noi.
Contrariamente alla ricerca tradizionale sul conformismo Moscovici credeva che i gruppi presentassero
spesso conflitto al loro interno, al quale le persone reagiscono in uno dei tre modi seguenti:
1 – Conformandosi: la maggioranza persuade la minoranza (i devianti) ad adottare il punto di vista della
maggioranza.
2 – Mediando: si raggiungere un compromesso che porta alla convergenza.
3 – Innovando: una minoranza crea e accentua il conflitto, cercando di persuadere la maggioranza ad
adottare il proprio punto di vista.

Sub – Coerenza
L’efficacia del conflitto dipende dallo stile comportamentale che la minoranza adotta.
Lo stile comportamentale più importante è la coerenza. Una minoranza coerente, ottiene i seguenti effetti:
- mette in crisi la norma della maggioranza e produce incertezza e dubbio;
- attira l’attenzione su di sé come entità;
- trasmette l’idea secondo cui un punto di vista alternativo coerente esiste;
- dimostra sicurezza e deciso coinvolgimento nel proprio punto di vista;
- mostra che l’unica soluzione al conflitto è l’accettazione del punto di vista della minoranza.

Sub – Inclusione
Nella società i gruppi che diffondono punti di vista minoritari sono spesso stigmatizzati dalla maggioranza,
oppure etichettati come individui devianti: solitamente le loro opinioni sono rifiutate poiché irrilevanti. Tale
livello di resistenza da parte della maggioranza rende per le minoranze più difficile essere efficaci.
Le minoranze possono essere più efficaci se non si limitano a promuovere solo un’opinione che differisce
dalla posizione della maggioranza, ma se sono anche considerate suoi membri: le minoranze infatti
esercitano un’influenza maggiore se la maggioranza le percepisce come ingroup.
Ciò produce quello che Crano definisce “contratto di tolleranza”, secondo cui la maggioranza è abbastanza
tollerante verso il punto di vista della minoranza da non rifiutarlo all’istante. Dove l’appartenenza a uno
stesso ingroup è importante e “inevitabile”, i membri possono cercare di ridefinire alcune caratteristiche
del proprio gruppo per portarlo a un livello compatibile con la minoranza: in questo caso, la minoranza si è
dimostrata efficace.

Sub – L’influenza della minoranza è davvero diversa?


Moscovici ha sostenuto che le maggioranze e le minoranze esercitano influenza sociale attraverso processi
differenti. L’influenza della maggioranza produce acquiescenza pubblica diretta per ragioni di dipendenza
normativa o informativa: le opinioni della maggioranza sono accettate passivamente senza pensarci molto
su. Al contrario, l’influenza della minoranza produce nell’opinione un cambiamento privato dovuto al
conflitto cognitivo e alla riorganizzazione derivati dalle idee devianti. Le minoranze provocano un effetto
conversione come conseguenza dell’attiva presa in carico del punto di vista della minoranza.
EFFETTO CONVERSIONE -> Condizione in cui l’influenza della minoranza produce un improvviso e
importante cambiamento interiore e privato negli atteggiamenti della maggioranza.
Nemeth ha sostenuto che il dissenso della minoranza di solito stimola pensiero divergente creativo e
un’elaborazione più attiva dell’informazione.
Le maggioranze e le minoranze possono anche essere legate al numero delle persone. Le “minoranze”
possono anche essere meno potenti ma più numerose.
Latané utilizzò la teoria dell’impatto sociale per sostenere che, quando una fonte di influenza cresce in
dimensione (numero) possiede una maggiore influenza.
IMPATTO SOCIALE -> Effetto ottenuto dalle altre persone sui nostri atteggiamenti e comportamenti, di
solito in conseguenza di fattori quali la dimensione del gruppo e la contiguità temporale e fisica.
Più grande è la fonte dell’influenza, più impatto essa ha, con cambiamenti incrementali dovuti a fonti
addizionali che diminuiscono con l’aumentare della dimensione.
C’è un punto in cui l’effetto di un’ampia maggioranza su un suo singolo membro giunge a un livello di stasi,
in cui i membri addizionali o “frammenti” di influenza della maggioranza hanno un impatto relativamente
debole.

Capitolo 6 – Persone nei gruppi


I gruppi influenzano in grandissima misura le nostre vite. I gruppi determinano chi siamo in società, la
nostra identità.
Che cosa sono i gruppi?
I gruppi sono categorie di persone. Esistono attributi che identificano chi fa parte del gruppo e chi ne è
escluso. Tali attributi, presi singolarmente, non sono necessariamente precisi. Gli psicologi sociali ritengono
che i gruppi umani siano caratterizzati da tali insiemi sfuocati di attributi collegati e sovrapponibili, i quali,
complessivamente, distinguono chi è dentro il gruppo da chi ne è fuori.
I gruppi possono tuttavia variare in differenti modi. I gruppi possono essere grandi/piccoli, di breve
durata/di lunga durata, organizzati con grande precisione/organizzati in maniera più informale.
Alcuni psicologi sociali usano il termine entitatività (o unità percepita) per descrivere questa proprietà di
chiara fisionomia gruppale. Un gruppo altamente entitativo è relativamente omogeneo e dotato di
un’evidente struttura interna e ha confini netti che lo distinguono dagli altri gruppi.
ENTITATIVIA’ -> Proprietà che fa apparire un gruppo come un’entità coerente, distinta e unitaria.
Non tutti gli insiemi di persone sono gruppi in senso psicologico.

La presenza degli altri


Un modo in cui i gruppi ci influenzano è attraverso le norme, a cui noi ci conformiamo, oppure
semplicemente tramite la loro presenza.

Sub – Prestazioni in pubblico


Allport dimostrò l’effetto di facilitazione sociale, grazie a cui la sola presenza di altre persone che non
partecipano migliora l’esecuzione di un compito: tuttavia può anche peggiorare quando non capiamo bene
il compito. Tuttavia la presenza sociale può anche produrre un effetto del tutto opposto: l’inibizione sociale
o il peggioramento dell’esecuzione del compito.
TEORIA DELLA PULSIONE -> Elaborata da Zajonc, afferma che la presenza fisica di membri della stessa
specie provoca istintivamente un’attivazione che stimola l’esecuzione di modelli di comportamento
abituale: se impariamo bene qualcosa, il nostro comportamento sarà abituale.
L’attivazione o incremento di motivazione è quindi una reazione istintiva alla presenza sociale. Questa
attivazione “stimola” la nostra risposta dominante: quelle azioni che sono più abituali in una determinata
situazione. Se la risposta dominante è corretta, allora la presenza sociale migliora la prestazione; se invece
è scorretta, allora la presenza sociale degli altri porterà ad un peggioramento della prestazione stessa.
Secondo Zajonc l’attivazione era causata dalla presenza degli altri, mentre secondo Cottrell dal timore di
essere giudicati dagli altri. Cottrell, con il suo modello della paura del giudizio afferma che le persone
apprendono come le ricompense e le punizioni sociali ricevute si basino su come gli altri ci giudicano. La
presenza sociale produce un’attivazione indotta (pulsione), basata sulla paura del giudizio.

Misure fisiologiche dell’attivazione come il sudore delle mani possono rilevare lo stimolo, ma l’assenza di
attivazione non garantisce che la pulsione non stia operando.
Secondo la teoria della discrepanza del sé di Higgins, quando le persone diventano autoconsapevoli e
concentrano l’attenzione su se stesse, paragonano il proprio sé reale (la loro effettiva esecuzione di un
compito) e il proprio sé ideale (il modo in cui vorrebbero eseguirlo). La discrepanza tra sé reale e sé ideale
aumenta la motivazione e l’impegno per portarsi al livello dell’ideale.
Secondo la meta-analisi in presenza degli altri, le persone si preoccupano di ottenere la migliore
prestazione possibile.
Il fatto che consideriamo le altre persone fonte di distrazione, influenza la nostra esecuzione di un compito.
Baron ritiene che le persone abbiano una capacità di attenzione limitata, che può essere messa in crisi dalla
presenza di un pubblico. Un eccesso di attenzione porta le persone a ridurre gli ambiti della propria
attenzione, e a concentrarsi su un piccolo numero di indici centrali.
- i compiti difficili richiedono attenzione verso un ampio numero di indici; quando restringiamo l’attenzione
nei compiti difficili, possiamo perdere di vista indici a cui dovremmo, in realtà, prestare attenzione:
pertanto la presenza sociale peggiora la prestazione.
- i compiti facili, invece, richiedono attenzione solo verso un numero limitato di indici; quando focalizziamo
la nostra attenzione su compiti semplici, possiamo eliminare la distrazione rappresentata da indici estranei
e focalizzarci su indici centrali: la presenza sociale, in questo caso, migliora la prestazione.
Il tipo più elementare di situazione di gruppo è quella in cui le persone sono semplicemente in presenza di
altri, senza lavorare o interagire con loro. Questa situazione di “gruppo” è molto comune e può avere un
forte impatto.
La presenza sociale ha un impatto più forte quando le persone interagiscono tra loro.

Sub – Inerzia nei gruppi


Per diversi individui può essere difficile coordinare il proprio comportamento con efficacia, così alcuni si
distraggono e il proprio contributo viene sommerso dal contributo di altri che godono di maggiore
influenza.
PERDITA DI COORDINAZIONE -> Termine indicato da Steiner, sta ad indicare il peggioramento della
prestazione in gruppo rispetto alla prestazione individuale, dovuta a problemi nella coordinazione del
comportamento.
La perdita di motivazione all’interno del gruppo venne definita inerzia sociale da Latané.
INERZIA SOCIALE -> Riduzione nell’impegno individuale quando si svolge un compito collettivo (in cui i
nostri risultati sono combinati con quelli degli altri membri del gruppo) rispetto a quando lo si svolge da soli
o contemporaneamente ad altri (senza che si combinino i risultati).
L’inerzia sociale è la tendenza delle persone a lavorare meno duramente in un compito a cui credono stiano
lavorando anche altri.
L’inerzia sociale è straordinariamente diffusa.
Geen ha concluso che ci sono tre ragioni per cui rimaniamo inerti quando ci troviamo in un gruppo:
1 – Equità di risultato: pensiamo che gli altri rimangano inerti, perciò, per mantenere l’equità ed evitare di
fare la figura dei “babbei”, rimaniamo inerti anche noi.
2 – Paura del giudizio: ci preoccupiamo di venire giudicati dagli altri; ma quando manteniamo l’anonimato
e non possiamo essere identificati rimaniamo inerti.
3 – Conformità allo standard: spesso non abbiamo un’idea chiara degli standard del gruppo; dunque
rimaniamo inerti.
Tuttavia stare in gruppo talvolta può motivarci a lavorare persino con più intensità di quando siamo soli.
COMPENSAZIONE SOCIALE ->Incremento di impegno in un compito collettivo per compensare la mancanza
di impegno o di capacità – reale, percepita o prevista, di altri membri del gruppo.
Oltre che per l’effetto di compensazione sociale, le persone lavorano più duramente nei gruppi rispetto a
quando sono sole se:
- provengono da una cultura collettivistica piuttosto che da una cultura individualistica
- credono e si aspettano che il gruppo sarà capace di ottenere risultati importanti
- fanno parte di un gruppo con alti livelli di solidarietà e coesione
Se la norma del gruppo è quella di abbassare lo standard, il gruppo produrrà di meno.
Come funzionano i gruppi
Sub – Coesione di gruppo
La coesione è una proprietà basilare di un gruppo, che lo porta a “rimanere unito” come una salda entità
autonoma caratterizzata da uniformità di condotta, reciproco sostegno tra i membri, solidarietà, spirito di
corporazione, spirito e morale di squadra. Un gruppo possiede la proprietà dell’entitatività (cioè di unità
percepita). A livello psicologico, la coerenza è stata attribuita allo sviluppo di legami di apprezzamento
reciproco tra le persone.
Fattori in grado di incrementare l’apprezzamento (come la somiglianza, la cooperazione, l’accettazione
interpersonale, la minaccia condivisa) incrementano anche la coesione. Inoltre una forte coesione genera
conformità agli standard del gruppo e una migliore comunicazione intragruppo.
La coesione ha molte dimensioni che sono difficili da misurare.
L’apprezzamento reciproco può essere un indice affidabile di coesione in piccoli gruppi dove le persone si
conoscono l’un l’altra. Hogg ha distinto tra attrazione personale e attrazione sociale.
L’attrazione sociale è l’aspetto dell’apprezzamento che distingue i gruppi di tutte le forme e dimensioni.

Sub – Socializzazione di gruppo


Una caratteristica fondamentale dei gruppi è il loro sviluppo nel tempo.
Il modello di socializzazione di gruppo di Levine e Moreland punta l’accento più sugli individui che sui
gruppi.
SOCIALIZZAZIONE DI GRUPPO -> Relazione dinamica tra il gruppo e i suoi membri che descrive il percorso
dei membri in un gruppo in termini di coinvolgimento e di cambiamento di ruoli.
Gli autori hanno descritto il percorso temporale degli individui all’interno dei gruppi tramite lo sviluppo di
tre fondamentali processi: la valutazione, il coinvolgimento e la transizione di ruolo. Un individuo giudica il
gruppo paragonandone le ricompense con quelle provenienti dagli altri gruppi. Allo stesso tempo, il gruppo
valuta gli individui nei termini del loro contributo alla vita del gruppo; un contributo positivo porta
all’approvazione dell’individuo. Il gruppo e l’individuo lavorano insieme: il coinvolgimento richiede sia di
essere d’accordo su obiettivi e valori, sia di desiderare che l’appartenenza al gruppo continui. Se non vi è
equilibrio tra questi fattori si crea instabilità, in quando la parte meno coinvolta ha potere sulla parte più
coinvolta.
La socializzazione di gruppo muove le persone attraverso differenti ruoli. Esistono tre tipi generali di ruolo:
1 – non membro: vi appartengono i membri potenziali che non sono entrati nel gruppo
2 – quasi membro: vi appartengono i nuovi membri che non hanno raggiunto lo status di membro a pieno
titolo
3 – membro a pieno titolo: è il ruolo delle persone che vengono pienamente identificate con il gruppo e
che hanno tutti i privilegi tipici di membro del gruppo
Le transizioni di ruolo sono semplici e prive di complicazioni quando l’individuo e il gruppo sono coinvolti in
ugual misura. I criteri di transizione sono spesso formalizzati e pubblici; i riti di iniziazione hanno tre
importanti funzioni:
1 – Funzione simbolica: consentono il riconoscimento pubblico di un cambiamento nell’identità.
2 – Funzione di apprendistato: riti che aiutano le persone ad abituarsi a nuovi ruoli e standard normativi.
3 – Funzione di fidelizzazione: iniziative piacevoli che includono doni e permessi speciali; possono suscitare
gratitudine, la quale a sua volta dovrebbe accrescere il coinvolgimento del gruppo.
RITI DI INIZIAZIONE -> Procedure pubbliche spesso dolorose o imbarazzanti che segnalano i trasferimenti
dei membri del gruppo da un ruolo all’altro.
I riti di iniziazione possono essere eventi piacevoli, come una cerimonia di laurea o un matrimonio.
Più dura è l’iniziazione, più è probabile che essa porti a una maggiore dissonanza e a un più favorevole
giudizio del gruppo.
Sub – Struttura del gruppo
Sono pochi i gruppi in cui tutti i membri sono uguali. Le differenze tra i membri si riflettono nei ruoli, nei
rapporti basati sullo status e nelle reti di comunicazione.

Sub2 – Ruoli
RUOLI -> Modelli di comportamento che distinguono le differenti attività all’interno del gruppo che si
collegano gli uni agli altri a maggior vantaggio del gruppo.
I ruoli sono utili per mantenere ordine. Possono essere descritti in modo simile a un lavoro, poiché si
concentrano su quello che un individuo fa all’interno del gruppo. Essi governano le relazioni e le interazioni
tra sottogruppi al fine di ottenere un risultato migliore per l’intero gruppo.
I ruoli possono essere informali e impliciti. I ruoli possono essere associati ad appartenenze a categorie più
ampie.
I ruoli emergono nei gruppi per delineare una divisione del lavoro.
Sebbene le persone possano spostarsi tra differenti ruoli, spesso le vediamo rivestirne uno solo, e inferiamo
che questo è il modo in cui esse sono realmente.

Sub2 – Status
STATUS -> Valutazione condivisa del prestigio di un ruolo o di chi occupa un ruolo in un gruppo, o del
prestigio di un gruppo e dei suoi membri nel complesso.
Non tutti i ruoli sono uguali: alcuni hanno uno status più elevato degli altri. I ruoli con uno status elevato
sono valutati e considerati prestigiosi dal gruppo e permettono a chi li occupa di essere innovativo e
influente. Nella maggior parte dei gruppi il ruolo con lo status più alto è quello del leader. Le gerarchie di
status nei gruppi possono variare nel tempo e attraverso le situazioni.
Secondo la teoria dell’aspettativa di status, lo status all’interno di un gruppo deriva da due distinti insiemi
di caratteristiche:
1 – le caratteristiche dello status specifico, nonché li attributi che riguardano l’abilità della persona nel
compito del gruppo
2 – le caratteristiche dello status generale, nonché gli attributi che non riguardano l’abilità nel compito del
gruppo, ma che sono generalmente valutati in modo positivo o negativo dalla società
Status specifico e status generale danno entrambi il proprio contributo allo status complessivo di una
persona.
Le caratteristiche dello status generale creano aspettative favorevoli che vengono estese a tutti i tipi di
situazione. I membri di un gruppo presumono che chi gode di un elevato status generale riuscirà meglio
degli altri a promuovere gli obiettivi del gruppo.

Sub2 – Reti di comunicazione


RETE DI COMUNICAZIONE -> Insiemi di regole che governano il modo in cui avrà luogo la comunicazione tra
i differenti ruoli di un gruppo. Possiamo avere reti centralizzate, a ruota, a stella.
In grandi organizzazioni e apparati burocratici, le reti sono spesso rigidamente formalizzate.
Bavelas ha osservato che le reti differiscono nel grado di centralizzazione. In quelle di tipo centralizzato,
tutte le comunicazioni circolano passando per un centro di comunicazione, mentre in quelle di tipo
decentralizzato, ogni ruolo può comunicare direttamente con ogni altro. Nei compiti semplici la
centralizzazione migliora la prestazione di gruppo.
Per compiti complessi una struttura decentralizzata funziona meglio.
La centralizzazione presenta un problema di fondo. Dato che tutta la comunicazione passa per il centro, i
membri periferici possono sentire di avere meno autonomia e potere. Ciò spesso riduce la soddisfazione
generale e può produrre conflitto di gruppo.
Sub2 – Gruppi interni ai gruppi
I gruppi contengono anche sottogruppi. I sottogruppi possono essere inglobati all’interno del gruppo più
esteso.
A differenza dei ruoli, che solitamente cooperano a vantaggio del gruppo, i sottogruppi spesso competono
ed entrano in conflitto tra di loro, arrecando quindi danno al gruppo più esteso.

Sub – Perché le persone entrano nei gruppi?


Le persone entrano all’interno di un gruppo per ridurre l’incertezza. Il “perché” dell’ingresso delle persone
nei gruppi non coincide con il “come”, e il livello di scelta di cui disponiamo nell’appartenere a un gruppo
varia in gran quantità. Abbiamo poco possibilità di scelta a proposito del gruppo sessuale, etnico, nazionale,
sociale di cui “entriamo a far parte”; abbiamo invece qualche possibilità di scelta a proposito del gruppo
lavorativo o politico.

Sub2 – Ragioni e motivi


1) La prossimità fisica è un motivo molto comune. Iniziamo ad apprezzare le persone a cui siamo più
prossimi; la prossimità può rivelare interessi, atteggiamenti e credenze simili.
2) Un’altra ragione per entrare a far parte di un gruppo è la realizzazione di obiettivi che da soli non si
potrebbero conseguire
3) Inoltre, le persone entrano a far parte dei gruppi anche per il piacere della compagnia umana e per
evitare la solitudine.
Secondo la teoria dell’incertezza-identità di Hogg, entrare in un gruppo è un modo efficace per ridurre
l’incertezza sul nostro sé. I gruppi ci forniscono un modo per definire e valutare chi siamo e come ci
dovremmo comportare con gli altri.
Secondo la teoria della gestione del terrore, la minaccia davvero fondamentale che le persone affrontano è
l’ineluttabilità della morte e per questo esse vivono con un perpetuo terrore nei suoi confronti.
L’affiliazione e la formazione del gruppo sono strategie di gestione del terrore altamente efficaci, perché
incrementano l’autostima e fanno stare bene le persone con se stesse, sentendosi immortali, positive ed
entusiaste della vita.

Sub2 – Esclusione, rifiuto e devianza


Il non essere membro di un gruppo può portare a condurre un’esistenza solitaria. Essere esclusi da un
gruppo può essere un’esperienza molto dolorosa, in particolare quando i suoi membri attivano un
meccanismo di ostracismo sociale per escludere intenzionalmente una persona.
OSTRACISMO SOCIALE -> Esclusione da un gruppo decisa di comune accordo.
In quasi tutti i gruppi quello che conta non è esserne membri, ma il fatto che da parte del nostro gruppo si
tenga in considerazione che ci siamo. Membri fortemente prototipici hanno spesso un’influenza
significativa sul gruppo e possono svolgere ruoli di leadership.
DINAMICHE SOGGETTIVE DI GRUPPO -> Processo in cui i membri devianti di un gruppo minacciano le
norme e l’unità del gruppo stesso.
SCISMA -> Divisione di un gruppo in sottogruppi che differiscono per atteggiamenti, valori e ideologie.

Leadership
I leader sono persone con “buone” idee sulle quali sono tutti d’accordo; persone con il potere di
persuadere e di far accadere le cose. I leader permettono ai gruppi di funzionare come insieme produttivi e
coordinati.
La leadership è “un processo di influenza sociale attraverso il quale un individuo ottiene e mobilita l’aiuto
degli altri nel raggiungimento di uno scopo collettivo”. Essa richiede che un individuo influenzi il
comportamento di un altro individuo o di un gruppo di individui: dove ci sono leader devono esserci anche
sostenitori. L’uso del potere per far fare le cose alle persone, attraverso il rinforzo e la minaccia non è
leadership.
È necessario distinguere tra leadership efficace e buona. È un leader efficace chi riesce con successo a
fissare nuovi obiettivi e a persuadere gli altri a realizzarli. Al contrario, valutare se un leader è buono o
cattivo è prevalentemente un giudizio soggettivo basato su preferenze, prospettive e aspirazioni personali,
e sul fatto che il leader faccia parte del gruppo a cui si appartiene oppure di un altro gruppo. Valutiamo i
leader in termini caratteriali, in base alla moralità dei mezzi usati per influenzare gli altri e per raggiungere
gli scopi, e in base alla natura degli obiettivi verso cui essi indirizzano le persone. I buoni leader sono quelli
che possiedono attributi che lodiamo, che utilizzano mezzi che approviamo, e che fissano e realizzano
obiettivi che consideriamo importanti.

Sub – I Grandi leader


I leader efficaci possiedono un insieme di caratteristiche personali durature, acquisite molto presto, che li
permeano di carisma e di predisposizione al comando.
BIG FIVE -> Le cinque dimensioni maggiori della personalità: estroversione/iniziativa, piacevolezza,
coscienziosità, stabilità emotiva, intelligenza/apertura mentale.
I predittori migliori della leadership efficace erano rappresentanti dall’estroversione, dall’apertura mentale
e dalla coscienziosità.

Sub – Teorie sui tipi di leader


Sub2 – Teorie della contingenza
Tuttavia i tratti della personalità non sono in grado di fornire una spiegazione completa della leadership.
Un leader efficace possiede le caratteristiche giuste per affrontare la situazione. Possiamo distinguere due
stili di leadership: uno stile che si concentra sul compito del gruppo e si interessa che le cose vangano fatte,
e uno stile che rivolge la propria attenzione alle relazioni tra i membri. Bales identificò due ruoli chiave
della leadership: lo specialista del compito e lo specialista socioemotivo. Gli specialisti del compito si
concentrano sul raggiungimento delle soluzioni; gli specialisti socioemotivi, invece, sono attenti ai
sentimenti che provano gli altri membri del gruppo. Raramente un unico individuo ricopre entrambi i ruoli.
Le teorie della contingenza si propongono di rilevare se un determinato stile di leadership sia efficace in
relazione alle caratteristiche della situazione.
1) La prima è quella di Fiedler. L’autore distinse tra leader orientati al compito e leader orientati alla
relazione. Egli classificò anche le situazioni di leadership in termini di controllo della situazione, variabile da
alto (buone relazioni leader-membro) a basso (cattive relazioni leader-membro).
Fiedler misurò lo stile di leadership con la scala del collega meno apprezzato (LPC Scale), in cui gli
intervistati davano un voto al collega meno apprezzato impiegando dimensioni differenti:
- un punteggio estremamente basso indica uno stile orientato al compito e un atteggiamento severo
nei confronti di un collega dalle prestazioni scarse.
- un punteggio estremamente alto indica uno stile orientato alle relazioni e un atteggiamento
benevolo nei confronti di un collega anche quando le sue prestazioni non sono buone.
In una seconda entra in scena il controllo della situazione:
- i leader orientati al compito sono più efficaci quando il controllo della situazione è scarso e quando
il controllo della situazione è forte.
- i leader orientati alle relazioni sono più efficaci quando il controllo della situazione si trova tra
questi due estremi.
2) La seconda è la teoria del percorso-obiettivo di House. Essa presuppone che una delle funzioni principali
del leader sia di motivare i gregari (persone che assistono altre persone). Ci sono due classi di
comportamento del leader: strutturazione (il leader dirige attività connesse al compito) e cura (il leader si
dedica ai bisogni personali ed emotivi). La strutturazione è più efficace quando i gregari non hanno chiari i
propri obiettivi.
La teoria del percorso-obiettivo può anche essere classificata come teoria transazionale, in quanto si
focalizza su come i comportamenti di “strutturazione” e “cura” motivano i gregari.

Sub2 – Leadership transazionale


LEADERSHIP TRANSAZIONALE -> Approccio alla leadership che si focalizza sulla transazione di risorse tra
leader e gregari. È anche uno stile di leadership.
Le teorie della leadership transazionale considerano la leadership come processo di scambio. I gregari
forniscono al leader approvazione sociale, status e potere e questi, in cambio, guida il gruppo verso gli
obiettivi importanti.
Secondo Hollander i leader hanno bisogno di ottenere dal gruppo credito personale.
CREDITO PERSONALE -> Teoria transazionale di Hollander secondo cui i gregari ricompensano i leader del
raggiungimento degli obiettivi di gruppo permettendo loro di essere relativamente autonomi.
Per essere efficaci, i leader hanno bisogno che i gregari li lascino essere autonomi. Un leader può
accumulare credito personale in 4 modi:
1 – conformandosi inizialmente in maniera stretta alle norme di gruppo
2 – assicurandosi che il gruppo percepisca come democratica la sua elezione a leader
3 – assicurandosi di essere ritenuto adeguato al raggiungimento degli obiettivi del gruppo
4 – mostrando la propria identificazione con il gruppo, i suoi ideali e le sue ispirazioni
La più famosa teoria transazionale della leadership è forse la teoria dello scambio leader-gregario.
TEORIA DELLO SCAMBIO LEADER-GREGARIO -> Teoria sulla leadership secondo cui la leadership efficace si
basa sulla capacità del leader di sviluppare relazioni di scambio personali di buona qualità con singoli
gregari.
I leader intrattengono relazioni di scambio con i singoli collaboratori; queste relazioni possono essere di
qualità elevata oppure scarsa. Nel primo caso si basano sulla fiducia, il rispetto e l’impegno reciproco; nel
secondo, si fondano sul formale contratto di lavoro tra leader e dipendenti.
Un leader efficace sviluppa relazioni di qualità elevata. Tali relazioni aumentano il benessere e la
prestazione lavorativa dei collaboratori e legano questi ultimi al gruppo con più forza.

Sub2 – Trasformazione e carisma


La leadership transazionale è paragonabile alla leadership trasformazionale.
LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE -> Approccio alla leadership che si focalizza sul modo in cui i leader
trasformano gli obiettivi e le azioni di gruppo (principalmente attraverso l’esercizio del carisma). Anche uno
stile di leadership basato sul carisma.
I leader transazionali dirigono la loro attenzione all’interesse personale del gregario, mentre i leader
trasformazionali vogliono letteralmente trasformare un gruppo. I leader trasformazionali si prefiggono lo
scopo di migliorare le abilità dei gregari. Leader di tale natura motivano i gregari a identificarsi con loro e
con la loro visione.
Il carisma gioca un ruolo chiave nella leadership trasformazionale. Perché siano trasformazionali, i leader
devono avere fascino e forza seduttiva ed essere capaci di esercitare una leadership carismatica. I leader
carismatici e trasformazionali sono estroversi, piacevoli e dotati di apertura mentale.
Secondo la teoria dell’identità sociale della leadership, il carisma può essere una conseguenza piuttosto che
una causa della leadership efficace.

Sub – I leader guidano i gruppi


La leadership dipende dalla misura in cui il gruppo permette al leader di essere guida. Secondo la teoria
della categorizzazione del leader le nostre percezioni della leadership giocano un ruolo centrale nelle
decisioni che prendiamo in merito alla selezione e al sostegno dei leader.
TEORIA DELLA CATEGORIZZAZIONE DEL LEADER -> Possediamo differenti schemi riguardanti il modo in cui
differenti tipi di leader si comportano in differenti situazioni di leadership. Quando un individuo è
categorizzato come un particolare tipo di leader, lo schema definisce nei dettagli come quello stesso leader
si comporterà
Esistono differenti categorie di leadership che le persone rappresentano come schemi o prototipi. In ogni
situazione di leadership, le persone registrano quanto le caratteristiche del leader si armonizzano con il
prototipo di leadership rilevante. Più grande è l’armonia, più è favorevole la percezione del leader.
TEORIA DELL’IDENTITA’ SOCIALE DELLA LEADERSHIP -> Sviluppo della teoria dell’identità sociale che
interpreta la leadership come un processo di identità caratterizzato dalla maggior efficacia, nei gruppi
salienti, dei leader prototipici rispetto ai leader meno prototipici. Secondo tale teoria i gruppi forniscono
alle persone identità sociale.
Il tipo di persona che incarna il prototipo si trova al centro dell’attenzione del gruppo. Le persone fanno
affidamento sui propri leader affinché essi esprimano e rappresentino la loro identità.
Più saliente è un gruppo, più è forte l’identificazione in esso da parte delle persone.
Quando l’appartenenza al gruppo diventava saliente, rispecchiare il prototipo di un gruppo incrementava la
percezione dell’efficacia di un leader.
Nei gruppi salienti i leader prototipici sono più influenti degli altri perché:
- incarnano le caratteristiche e sono considerati la fonte e non l’oggetto dell’influenza
- sono apprezzati e popolari
- ricevono fiducia, perché la loro identità e il loro destino sono legati strettamente al gruppo
- acquisiscono carisma grazie ai membri del gruppo. I gruppi attribuiscono le azioni positive dei loro leader
alla personalità di questi ultimi, rafforzandone ulteriormente la posizione
- mantengono la propria posizione gestendo la loro prototipicità

Sub – Fiducia, giustizia e leadership


Un pilastro importante su cui si poggia la fiducia è la cura da parte del leader della giustizia procedurale,
ovvero il modo in cui il leader si occupa di rispettare le leggi del gruppo: ciò incoraggia i gregari ad avere
sentimenti positivi verso il gruppo. Negli studi sulle organizzazioni la giustizia distribuzionale è solitamente
molto meno importante della giustizia procedurale.

Sub - Uomini, donne e leadership


Nel campo del lavoro, della politica e dell’ideologia, generalmente è l’uomo a occupare le posizioni di
massima leadership.
Eagly ha individuato un fenomeno chiamato soffitto di vetro (o gap di genere), facendo riferimento a quella
barriera invisibile che impedisce alle donne, e ad altre minoranze, di ottenere posizioni di leadership di alto
livello. Per spiegare tale fenomeno Eagly ha utilizzato la teoria della coerenza con il ruolo.
TEORIA DELLA COERENZA DI RUOLO -> Teoria applicata principalmente alle diseguaglianze legate al genere
nella leadership: poiché gli stereotipi sociali riguardanti le donne non sono coerenti con gli schemi che le
persone elaborano sulla leadership efficace, le persone di sesso femminile sono giudicate leader di poco
valore.
Gli stereotipi sociali, in genere, caratterizzano gli uomini come individui attivi e le donne come individui
devoti. Nel contesto della leadership, gli schemi delle persone caratterizzano i leader come individui attivi,
in corrispondenza con uno stereotipo maschile; questo perché le donne rivendicano la leadership in modo
meno efficace degli uomini, mentre questi ultimi rivendicano e detengono molte più posizioni di leadership
delle donne. Secondo Bowles e McGinn esistono quattro barriere per le donne che rivendicano autorità:
1 – l’incoerenza con il ruolo
2 – la mancanza di esperienza nel dirigere
3 – la responsabilità della famiglia, che compromette la possibilità della donna di impegnarsi per il tempo
richiesto dalle posizioni di leadership
4 – la mancanza di motivazione: questa può essere dovuta alla minaccia dello stereotipo
MINACCIA DELLO STEREOTIPO -> Sentimento che ci fa pensare che saremo giudicati e trattati sulla base di
stereotipi negativi attribuiti al nostro gruppo e che inavvertitamente confermeremo con il nostro
comportamento.

Processi decisionali nei gruppi


Una delle funzioni più significative dei gruppi è prendere decisioni: esse hanno un enorme impatto sulle
nostre vite.

Sub – Regole per prendere decisioni


SCHEMI DELLE DECISIONI SOCIALI -> Regole, esplicite o implicite, alla base del processo decisionale, che
collegano le opinioni individuali alla decisione di gruppo conclusiva.
Davis ha distinto tra le diverse regole, esplicite o implicite, alla base del processo decisionale che i gruppi
possono adottare:
- unanimità: la discussione è finalizzata a fare pressione sui membri devianti affinché si conformino
- la maggioranza vince: la discussione conferma la posizione della maggioranza, che viene quindi adottata
come posizione del gruppo
- la verità vince: la discussione rivela la posizione che può dimostrarsi corretta
- maggioranza dei due terzi: senza la maggioranza dei due terzi il gruppo non riesce a raggiungere una
decisione
- primo spostamento: il gruppo, alla fine, adotta una decisione in linea con quella espressa nel primo
spostamento di opinione da parte di un suo qualsiasi membro
La regola che un gruppo adotta può essere influenzata dalla natura del compito decisionale.
Le regole di decisione differiscono nei termini della quantità di accordo richiesto. In generale, le regole più
rigide sono più egualitarie, in quanto il potere decisionale è meglio distribuito nel gruppo. La rigidità e la
distribuzione del potere della regola influiscono sia sul funzionamento del gruppo sia sulla soddisfazione dei
suoi membri.

Sub – Memoria di gruppo


Quando un gruppo prende una decisione ha bisogno di una memoria per poter recuperare e organizzare le
informazioni.
Quando le persone si riuniscono in gruppo per condividere le informazioni, la memoria di ognuno viene
espansa, cosicché il gruppo ricorda di più. Poiché il gruppo riconosce le informazioni “vere”, è più probabile
che le informazioni condivise siano accurate.
Il ricordo di gruppo è un processo costruttivo molto complesso, in cui le persone differiscono per potere e
influenza, mettono sul tavolo differenti ricordi.
MEMORIA TRANSATTIVA -> I membri del gruppo hanno una memoria condivisa di chi, all’interno del
gruppo stesso, ricorda che cosa ed è esperto di che cosa.
La memoria transattiva permette a un gruppo di ricordare un numero di informazioni significativamente
maggiore di quello che potrebbe ricordare normalmente.
Nei gruppi di nuova formazione la memoria transattiva si basa spesso su aspettative stereotipate riguardo a
chi è più probabile ricordi che cosa. Un gruppo può negoziare su chi ricorderà cosa, oppure può assegnare
le responsabilità nei diversi ambiti della memoria.
Dato che la memoria è distribuita in maniera disuguale, quando un membro se ne va, parte della memoria
di gruppo è temporaneamente perduta o ridotta.

Sub – Brainstorming
Il brainstorming consiste nella produzione libera del maggior numero di idee possibili in un gruppo, per
accrescere la creatività di quest’ultimo. Si suppone che il brainstorming agevoli il pensiero creativo e quindi
renda la creatività del gruppo. Esso è ampiamente utilizzato nei contesti aziendali.
Tuttavia, sebbene i gruppi di brainstorming generino più idee degli altri, gli individui interni al gruppo non
sono più creativi di quelli che hanno lavorato da soli. I gruppi nominali possiedono il doppio della creatività
rispetto ai gruppi dove invece c’è interazione.
Nel contesto del brainstorming il problema più significativo è il blocco produttivo: è difficile essere creativi
e tirar fuori le proprie idee perché tutti gli altri le esprimono allo stesso tempo. Un modo per ridurre la
minimo tale blocco è procedere a un brainstorming elettronico. I gruppi che fanno brainstorming
elettronicamente possono produrre più idee di quelli che non usano il computer. Un altro modo per ridurre
al minimo il blocco produttivo è rendere il gruppo il più stimolante possibile. Una maniera per far ciò è
assicurarsi che esso sia eterogeneo.
ILLUSIONE DELL’EFFICACIA DI GRUPPO -> Credenza, basata sull’esperienza, secondo cui produciamo idee
più numerose e migliori nei gruppi che da soli.
Ci sono tre motivi alla base di questa credenza illusoria:
1 – le persone sono esposte ad alcune idee che non avevano sentito in precedenza
2 – le persone apprezzano l’attività di gruppo più di quella solitaria e perciò si sentono più soddisfatti della
propria prestazione
3 – le persone credono di non aver esposto molte idee buone

Sub – Pensiero di gruppo


I gruppi talvolta prendono decisioni davvero sbagliate, che hanno conseguenze disastrose. Jones coniò il
termine pensiero di gruppo per descrivere che cosa succedeva nei gruppi decisionali che assumevano
decisioni sbagliate.
PENSIERO DI GRUPPO -> Modalità di pensiero nei gruppi altamente coesi in cui il desiderio di raggiungere
un accordo unanime prevale sulla motivazione ad adottare procedure decisionali idonee e razionali.
Il pensiero di gruppo è una modalità di pensiero in cui il desiderio di raggiungere l’unanimità prevale sulla
motivazione ad adottare procedure decisionali logiche e razionali. La causa principale del pensiero di
gruppo è l’eccessiva coesione di gruppo.
L’attrazione sociale è il predittore migliore del pensiero di gruppo.
Antecedenti del pensiero di gruppo:
- eccessiva coesione di gruppo
- isolamento del gruppo dalle informazioni e dall’influenza esterna
- mancanza di leadership imparziale e di norme che incoraggino procedure idonee
- omogeneità ideologica dei membri
- alto tasso di stress causato dalla minaccia esterna e dalla complessità del compito
Sintomi del pensiero di gruppo:
- sensazioni di invulnerabilità e unanimità
- credenza indiscussa che il gruppo abbia ragione
- tendenza a ignorare o a screditare l’informazione che sia contraria alla posizione del gruppo
- pressione diretta esercitata sui dissidenti affinché si conformino
- stereotipizzazione dei membri outgroup
Conseguenze del pensiero di gruppo -> procedure decisionali di scarso valore
Quando i membri del gruppo subiscono lo stress del processo decisionale, adottano strategie difensive di
coping, che sono sintomatiche del pensiero di gruppo.

Sub – Polarizzazione di gruppo


Solitamente i gruppi prendono decisioni più prudenti di quanto farebbero i singoli individui.
Tuttavia i gruppi talvolta possono prendere decisioni rischiose. Tale fenomeno è stato definito
polarizzazione di gruppo: consiste nella tendenza di discutere in gruppo al fine di produrre decisioni di
gruppo più estreme della media delle precedenti opinioni, nella direzione sostenuta da tale media.
Sono state avanzate diverse spiegazioni in merito alla polarizzazione di gruppo:
1 – Teoria delle argomentazioni persuasive: quando sentiamo argomentazioni originali che sostengono la
nostra posizione su un tema, il nostro punto di vista si fa più radicale.
2 – Confronto sociale/valori culturali: in quanto esseri umani, cerchiamo l’approvazione e rifuggiamo la
censura sociale. La discussione di gruppo rivela quali idee sono socialmente desiderabili o culturalmente
apprezzate.
2.1 – Effetto del carro del vincitore: una volta che individuano il polo socialmente desiderabile verso cui il
gruppo propende, i suoi membri entrano in competizione per apparire come i più forti fautori di quella
posizione. Codol ha chiamato questo effetto primus inter pares. Il confronto sociale può anche agire
attraverso l’ignoranza pluralistica.
IGNORANZA PLURALISTICA -> Situazione in cui degli individui interni a un gruppo rifiutano a livello privato
una norma che presumono invece essere accettata dagli altri.
3 – Teoria dell’identità sociale: in qualità di membri di un gruppo, ci identifichiamo a una norma
dell’ingroup. Questa norma accentua le differenze tra il nostro e gli altri gruppi. In una discussione uniamo
gli elementi in una rappresentazione della norma di gruppo. Questi elementi sono le posizioni dei membri
dell’ingroup, poste a confronto con quelle che si presuppone assumano i membri dell’outgroup. Le norme
risultanti riducono al minimo la variabilità all’interno dell’ingroup e distinguono l’ingroup dagli outgroup.

Sub – Anche le giurie sono gruppi


Una giuria è un tipo speciale di gruppo. È composto da persone non specialiste che hanno il compito di
prendere una decisione cruciale sull’innocenza o la colpevolezza di qualcuno.
Le persone citate in giudizio che sono fisicamente attraenti hanno maggiori probabilità di essere assolte o di
ricevere una condanna più lieve: tuttavia le tendenze sistematiche possono essere ridotte fornendo
sufficienti prove oggettive. Negli Stati Uniti l’etnia influenza la giuria: è più probabile che le persone di
colore siano giudicate colpevoli di crimini che portano a una condanna detentiva.
Le giurie devono spesso ricordare ed elaborare enormi quantità di informazioni. La mera quantità
promuove un effetto recency. La complessità delle prove, il sistema legale e il linguaggio concorrono a
mettere in difficoltà una giuria e a ridurre la qualità del processo decisionale.
Se due terzi o più dei giurati appoggiano inizialmente un’alternativa, questa rappresenterà probabilmente il
verdetto finale della giuria.
Le giurie più ampie, di dodici piuttosto che di sei membri, hanno maggiori probabilità di includere persone
provenienti da gruppi di minoranza.

Capitolo 7 – Pregiudizio e relazioni intergruppo


Il pregiudizio è un tipo di atteggiamento dominato da tendenze sistematiche cognitive e dall’abbondante
uso degli stereotipi; la discriminazione è un tipo di comportamento basato sul trattamento ingiusto di
determinati gruppi di persone. La discriminazione non deriva sempre da un pregiudizio di fondo. Il
pregiudizio è costruito attorno ad atteggiamenti negativi forti, mentre la discriminazione è lesiva, offensiva
e talvolta estremamente dannosa per i membri dei gruppi di minoranza.
Il pregiudizio può essere basato sulla razza e sul genere sessuale.
PREGIUDIZIO -> Atteggiamento sfavorevole e talvolta ostile verso un gruppo sociale e i suoi membri
LIVELLO DI ANALISI -> Tipologia di concetti, meccanismi e linguaggio usati per spiegare un fenomeno.

La natura del pregiudizio e la discriminazione


Il pregiudizio e il suo manifestarsi attraverso la discriminazione sono tra i principali ostacoli che si
contrappongono alla conoscenza. Il pregiudizio è un correlato dell’aggressione su larga scala.
Sub – Che cos’è il pregiudizio?
Un aspetto del pregiudizio è la disumanizzazione di un gruppo di persone.
DISUMANIZZAZIONE -> Privare le persone della propria dignità e umanità.
Il pregiudizio è associato a molto del dolore e della sofferenza umana.
GENOCIDIO -> Manifestazione estrema di pregiudizio consistente nello sterminio di un intero gruppo
sociale.
Il pregiudizio si basa sugli stereotipi negativi attribuiti ai gruppi; tra il pregiudizio e la discriminazione c’è un
legame affine a quello esistente tra gli atteggiamenti e il comportamento nei confronti di un outgroup; il
pregiudizio, inoltre, si traduce spesso nell’aggressione verso un outgroup. Il pregiudizio riguarda i
sentimenti e le azioni delle persone nei riguardi degli altri ed è indotto dai gruppi a cui le persone
appartengono.
Il termine “pregiudizio” significa letteralmente “giudizio prematuro”.

Sub – Che cos’è la discriminazione?


Vi sono tre tipi di comportamento che possono celare pregiudizi di fondo:
1 – Riluttanza ad aiutare: incapacità di aiutare gli altri gruppi a migliorare la propria posizione nella società.
2 – Tokenism: il termine si riferisce a un’azione positiva relativamente di scarsa importanza fatta in favore
dei membri di un gruppo di minoranza. Tale azione permette di apparire privi di pregiudizi e disponibili a
impegnarsi in azioni positive di maggior rilievo.
3 – Discriminazione inversa: è una forma estrema di tokenism. Le persone con atteggiamenti residuali di
pregiudizio possono talvolta fare uno strappo alla regola e favorire i membri di un gruppo verso di cui
nutrono dei pregiudizi
Il tokenism può avere conseguenze dannose per l’autostima di coloro che ottengono un impiego solo in
quanto parte di una minoranza.
La pratica inversa può infondere fiducia negli studenti appartenenti a minoranze.

Due “ismi”: razza e genere


Certi gruppi sono vittime perenni del pregiudizio. Si tratta di gruppi che includono persone che occupano
quasi sempre posizioni di scarso potere nella società (ad es. gay, lesbiche, persone con disabilità fisiche o
intellettive, anziani).

Sub – Razzismo
La maggior parte della ricerca sul razzismo si è focalizzata su atteggiamenti e comportamenti sfavorevoli nei
riguardi delle persone di colore negli Stati Uniti dove, gli afroamericani, sono stati considerati in modo
negativo.
RAZZISMO -> Pregiudizio e discriminazione verso le persone sulla base della loro etnia o della loro razza.

Sub2 – Nuovo razzismo


Il nuovo razzismo è più difficile da svelare. Il nuovo razzismo ha diversi nomi, tra cui quelli di razzismo
riluttante e di razzismo moderno, che hanno essenzialmente lo stesso significato. Le persone con questo
pregiudizio risolvono il proprio problema conducendo vite separate ed evitando il tema della razza.

Sub2 – Come rilevare il razzismo


La sfida della psicologia sociale è quella di riuscire a rilevare il nuovo razzismo. Per rilevare il razzismo nella
sua forma meno percepibile si ha in generale necessità di misure non invasive, quali questionari e misure
implicite.
Il razzismo può emergere anche nelle parole che usiamo.
ANALISI DEL DISCORSO -> Insieme di metodi usati per analizzare un testo, in particolare il linguaggio
naturale, in modo da comprendere i significati e le connotazioni.
Sub – Sessismo
La ricerca sul sessismo si concentra su pregiudizio e discriminazione verso le donne. Questo perché
soprattutto le donne, nella storia, hanno sofferto come vittime del sessismo.

Sub2 – Stereotipi e ruoli sessuali


La ricerca sugli stereotipi sessuali ha rivelato che sia gli uomini sia le donne tradizionalmente sono concordi
a giudicare gli uomini competenti e indipendenti e le donne gentili e comunicative.
STEREOTIPO -> Immagine valutativa di un gruppo sociale e dei suoi membri ampiamente condivisa e
semplificata.
La corrispondenza tra il conoscere e il credere si verifica solo tra gli individui con forti pregiudizi.
Fiske individua nella cultura occidentale quattro sottotipi principali di donna: casalinga, donna sexy, donna
in carriera e femminista/atleta/lesbica. I primi due rappresentano una dimensione interpersonale, mentre
gli altri una dimensione relativa alla competenza. La donna tipica è più vicina al sottotipo casalinga o al
sottotipo sexy. I due principali sottotipi maschili sono l’uomo d’affari e il macho: entrambi rappresentano la
dimensione della competenza. L’uomo tipico si trova fra questi due poli.
I tratti stereotipici femminili sono apprezzati in misura significativamente minore di quelli stereotipici
maschili.
Uomini e donne hanno occupato nella società differenti ruoli sessuali
RUOLI SESSUALI -> Comportamento considerato appropriato dal punto di vista dello stereotipo sessuale.
TEORIA DEL RUOLO SOCIALE -> Teoria secondo cui le differenze sessuali nelle occupazioni sono
determinate dalla società piuttosto che da fattori biologici individuali.
TEORIA DELLE SELEZIONE SESSUALE -> Teoria secondo cui le differenze comportamentali tra maschio e
femmina derivano dalla storia dell’evoluzione umana.

Sub2 – Genere e potere


Gli stereotipi sessuali persistono perché persiste l’assegnazione di ruolo in relazione al genere. Certe
occupazioni sono state etichettate come “lavoro da donne” e vengono di conseguenza valutate di meno.
Gli stereotipi si basano sulle categorie: le stesse categorie che usiamo per relazionarci ai vari gruppi sociali e
per fare distinzioni tra loro.

Sub – Profezia che si autoavvera e minaccia dello stereotipo


Gli atteggiamenti di pregiudizio sfociano in un comportamento discriminatorio manifesto. In questo modo,
una credenza stereotipica può creare una realtà che conferma la credenza: è un caso si profezia che si
autoavvera.
PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA -> Aspettative e supposizioni su una persona che influenzano la nostra
interazione con lei e che infine ne cambiano il comportamento allineandolo alle nostre aspettative.
I membri di un gruppo stigmatizzato conoscono esattamente gli stereotipi negativi che gli altri hanno nei
loro riguardi e sperimentano quella che Steele ha definito minaccia dello stereotipo. Gli studenti neri
vivono in continua ansia per la paura che i loro insuccessi accademici siano visti come la conferma di uno
stereotipo. Ciò causa un’enorme ansia e può indurre gli studenti afroamericani a ridurre i propri sforzi e ad
abbandonare gli studi.

Sub – Discriminazione estrema: violenza e genocidio


Gli atteggiamenti basati sul pregiudizio tendono ad avere aspetti comuni: coloro che ne sono bersaglio sono
per esempio considerati stupidi, insensibili e psicologicamente instabili.
In assenza di esplicito sostegno istituzionale, la disumanizzazione solitamente promuove gli atti individuali
di violenza.
Quando il pregiudizio è moralmente accettato e legalmente approvato dalla società possono essere
perpetrati atti sistematici di discriminazione di massa.
La forma più estrema di pregiudizio legittimato è il genocidio, in cui il gruppo bersaglio viene sterminato
sistematicamente.
Il genocidio può anche essere praticato in modo più indiretto, creando le condizioni per un enorme
svantaggio materiale, che porta un gruppo, di fatto, ad annientarsi attraverso malattie, suicidi e delitti
causati dall’alcolismo.

Pregiudizio e differenze individuali


Diverse teorie sul pregiudizio sostengono che le sue origini si trovino nella personalità.

Sub – La personalità autoritaria


PERSONALITA’ AUTORITARIA -> Sindrome della personalità che ha origine nell’infanzia e predispone gli
individui al pregiudizio.
Secondo la teoria della personalità autoritaria, le pratiche autoritarie e punitive nell’educazione dei figli
erano responsabili della manifestazione in età adulta di varie combinazioni di credenze: tra queste
l’etnocentrismo.
ETNOCENSTRISMO -> Preferenza valutativa accordata a tutti gli aspetti del proprio gruppo di appartenenza
rispetto agli altri.
Adorno ha messo a punto un questionario conosciuto come California F-scale, utile a misurare
l’autoritarismo in generale.

Sub – Teorie basate sulla politica


Sub2 – Teoria della dominanza sociale
TEORIA DELLA DOMINANZA SOCIALE -> Sviluppata da Sidanius, è un approccio in cui pregiudizio,
sfruttamento e oppressione sono attribuiti a un’ideologia che legittima una differenziazione gerarchica tra i
gruppi sociali.
Nel tempo una struttura sociale gerarchica potrebbe includere la legittimazione di false credenze come il
“diritto divino dei re” per indicare che la disuguaglianza è in realtà giusta. Una determinata società
svilupperà un insieme di atteggiamenti e valori che creano un’ideologia che consolida la dominanza sociale.
Ciò rinforza le relazioni sociali di tipo gerarchico e mantiene il pregiudizio. Le istituzioni di una società
possono rafforzare la gerarchia esistente.
La teoria della dominanza sociale tiene conto delle differenze sociali. Alcune persone vogliono una società
basata sulla gerarchia, altre ne vogliono una basata sull’uguaglianza. Le persone che vogliono che il proprio
gruppo sia superiore hanno un forte orientamento alla dominanza sociale, mentre quelle che sono
fortemente orientati alla predominanza sociale usano stereotipi nei confronti delle minoranze e le
discriminano.

Sub2 – Teoria della giustificazione del sistema


TEORIA DELLA GIUSTIFICAZIONE DEL SISTEMA -> Teoria che attribuisce la stasi sociale all’aderenza delle
persone a un’ideologia che giustifica e protegge lo status quo.
La teoria della giustificazione del sistema è strettamente collegata alla teoria della dominanza sociale,
connessa ai punti di vista delle persone sulla politica. Secondo tale teoria le persone si differenziano a
seconda del grado in cui giustificano lo status quo politico.
1 – Un polo viene spesso chiamato liberale: le persone di questa parte chiedono il cambiamento, ma
rifiutato la disuguaglianza sociale;
2 – L’altro polo è conservatore: le persone in questo caso si oppongono al cambiamento e approvano la
disuguaglianza sociale.
I liberali preferiscono alcuni tra i seguenti elementi: progresso, ribellione, caos, flessibilità, femminismo,
uguaglianza; i conservatori preferiscono invece elementi quali: conformismo, ordine, stabilità, valori
tradizionali e gerarchia. Sempre i conservatori giustificano e proteggono il sistema sociale esistente.
Le misure del pregiudizio che favorivano il ruolo delle differenze individuali si sono sviluppate in modo da
tener conto della mancanza di eguaglianza nei sistemi sociali e del ruolo dell’ideologia.

Relazioni intergruppo e malcontento sociale


COMPORTAMENTO INTERGRUPPO -> Comportamento tra gli individui regolato dalla loro consapevolezza
di appartenere a differenti gruppi sociali e dall’identificazione con loro.
Ovunque ci sia un gruppo a cui le persone appartengono (cioè un ingroup), ci sono tuttavia altri gruppi a cui
le stesse persone non appartengono (outgroup).
IPOTESI DELLA FRUSTRAZIONE-AGGRESSIVITA’ -> Teoria secondo cui ogni frustrazione conduce
all’aggressività e tutta l’aggressività deriva dalla frustrazione, utilizzata per spiegare il pregiudizio e
l’aggressività intergruppo.

Sub – Deprivazione relativa


DEPRIVAZIONE RELATIVA -> Divario percepito tra le aspettative e i risultati.
La deprivazione relativa nasce come teoria individualista. La deprivazione relativa frusta le persone ed è
una condizione che anticipa l’aggressività intergruppo. Attraverso un processo di facilitazione sociale, la
diffusa aggressività individuale può diventare violenza collettiva.
Davies propose un modello di curva J per rappresentare il modo in cui le persone creano le proprie
aspettative future a partire dai risultati passati.
CURVA J -> Rappresentazione grafica che cattura il modo in cui la deprivazione relativa si manifesta quando
i risultati raggiunti improvvisamente appaiono non corrispondere alle aspettative.
Runciman definì deprivazione relativa fraterna quella sensazione che il gruppo possieda di meno di quanto
gli spetti, in relazione alle proprie aspirazioni o ad altri gruppi. Le persone pensano che la condizione
complessiva del proprio ingroup sia peggiore se messa a confronto con quella di altri gruppi.

Sub – Protesta collettiva e cambiamento sociale


Il malcontento sociale unito alla deprivazione relativa costituisce spesso una prolungata protesta finalizzata
al raggiungimento di un cambiamento sociale.
Klandermans ha identificato tre concetti fondamentali della protesta collettiva:
1 – Ingiustizia: indignazione per il modo in cui le autorità trattano un problema sociale
2 – Efficacia: convinzione che la situazione sia modificabile tramite un’azione collettiva a un prezzo
ragionevole
3 – Identità: è definita dai componenti del gruppo
Secondo Sturmern e Simon quando le persone si identificano in modo molto intenso con un gruppo hanno
una percezione potentemente condivisa dell’ingiustizia, dei bisogni e degli obiettivi collettivi. La
motivazione del gruppo mette in ombra quella personale.

Teoria del conflitto realistico


Laddove i gruppi competono per risorse limitate, sorge l’etnocentrismo.
OBIETTIVI SOVRAORDINATI -> Obiettivi a cui i gruppi possono aspirare, ma che sono raggiungibili solo
attraverso la cooperazione intergruppo.
Da vari esperimenti condotti al riguardo, è stato scoperto che:
- vi è un tasso di etnocentrismo latente anche prima che i gruppi entrino in competizione
- vi è un incremento del pregiudizio, discriminazione ed etnocentrismo a seguito del conflitto reale
intergruppo
- vi è carenza di personalità autoritarie
- vi è minore frustrazione nei gruppi che esprimono maggiore aggressività intergruppo
Secondo la teoria del conflitto realistico, la natura delle relazioni basate sull’obiettivo determina la natura
delle relazioni intergruppo. Gli individui che condividono obiettivi che richiedono interdipendenza tendono
a cooperare e a formare un gruppo. Tuttavia gli individui che hanno obiettivi reciprocamente esclusivi si
impegnano in una competizione. Ciò impedisce la formazione di un gruppo o può essere causa della sua
dissoluzione; i gruppi con obiettivi reciprocamente esclusivi puntano al conflitto e all’etnocentrismo.
Quando gli obiettivi condivisi richiedono interdipendenza ai fini del loro raggiungimento si riduce il conflitto
e si promuove l’armonia.

Teoria dell’identità sociale


L’appartenenza di una persona a un gruppo definisce aspetti cruciali del suo sé e gioca un importante ruolo
nel modo in cui questa si percepisce.

Sub – Gruppi minimali


I gruppi minimali sono caratterizzati solo dalla categorizzazione.
PARADIGMA DEL GRUPPO MINIMALE -> Metodologia sperimentale usata per dimostrare la
discriminazione intergruppo, anche quando le persone vengono categorizzate casualmente o a partire da
criteri irrilevanti.
I risultati emersi da un esperimento mostrano come i gruppi minimali non vengono creati sulla base di
alcun criterio definito.
CATEGORIZZAZIONE SOCIALE -> Classificazione delle persone in quanto membri di gruppi sociali differenti.
La categorizzazione sociale è necessaria, ma può non essere sufficiente per il comportamento intergruppo.
Un motivo per cui le persone si identificano con il gruppo è dato dal desiderio di ridurre l’incertezza
soggettiva.

Sub2 – Identità sociale e appartenenza al gruppo


Secondo l’approccio dell’identità sociale, le categorie sociali di tutti i tipi forniscono ai membri un’identità
sociale: una definizione e una valutazione di chi si è.
Identificandosi le persone si conformeranno a norme ingroup e dimostreranno sia solidarietà sia
favoritismo ingroup (ovvero comportamenti che favoriscono il proprio gruppo rispetto agli altri).
L’identità sociale è distinta dall’identità personale. L’identità personale è associata al comportamento
individuale e interpersonale piuttosto che ai comportamenti di gruppo e intergruppo. Le persone hanno
tante identità sociali quanti sono i gruppi con cui si identificano. Nonostante le nostre numerose identità,
sperimentiamo il sé come un’unità integra con una biografia ininterrotta.

Sub2 – Teoria della categorizzazione del sé


TEORIA DELLA CATEGORIZZAZIONE DEL SE’ -> Teoria di Turner e colleghi su come il processo di
categorizzazione del sé come membro di un gruppo produca identità sociale e comportamenti di gruppo e
intergruppo.
Le persone rappresentano mentalmente le categorie sociali e i gruppi come prototipi. Un prototipo è un
insieme di attributi (percezioni, credenze, atteggiamenti, sentimenti, comportamenti) che descrive un
gruppo e lo distingue da altri gruppi rilevanti. I prototipi obbediscono al principio del metacontrasto.
PRINCIPIO DEL METACONTRASTO -> Il prototipo di un gruppo è rappresentato dalla posizione al suo
interno che ha il rapporto più alto tra le “diversità dalle posizioni ingroup” e le “diversità dalle posizioni
outgroup”.
Formiamo categorie in modo che le differenze tra queste superino le differenze al loro interno. Il contenuto
dei prototipi può variare a seconda del contesto sociale.
Quando categorizziamo le persone le vediamo attraverso le lenti del prototipo rilevante; ciò conduce alla
depersonalizzazione.
DEPERSONALIZZAZIONE -> Percezione e trattamento di sé e degli altri non come individui unici, ma come
incarnazioni prototipiche di un gruppo sociale.
Giudichiamo le persone più simili al prototipo rilevante di quanto probabilmente esse siano, cadendo
dunque in preda all’etnocentrismo. Lo stesso succede quando categorizziamo noi stessi.

Sub2 – Come funziona l’identità sociale


Le categorie sociali vengono attivate in maniera selettiva, perché la loro accessibilità nella nostra memoria
è alta.
L’identità sociale di un individuo presenta due importanti funzioni:
1 – Autoaccrescimento: i gruppi competono per differenziarsi in maniera a loro favorevole, fornendo
un’identità sociale positiva all’individuo che ne è membro.
2 – Riduzione dell’incertezza soggettiva: identificandoci con i gruppi riduciamo l’incertezza.

Sub – Identità sociale e relazioni intergruppo


Nel cercare un’identità sociale positiva, gruppi e individui possono adottare varie strategie. La scelta è
determinata da ciò che pensiamo circa la natura dei rapporti tra il nostro gruppo e gli altri.
Le credenze sulle relazioni intergruppo sono costrutti ideologici che possono rispecchiare o meno la realtà.
Un sistema di credenza basato sulla mobilità sociale inibisce l’azione di gruppo da parte di un gruppo
subordinato. La credenza nella mobilità è patrimonio di sistemi politici fondati sull’individualismo.
INDIVIDUALISMO -> Struttura sociale e visione del mondo in cui le persone danno più importanza a
emergere come individui che a essere membri di un gruppo.
SISTEMA DI CREDENZA BASATO SUL CAMBIAMENTO SOCIALE -> Credenza che i confini intergruppo siano
invalicabili. Un individuo con uno status inferiore può migliorare la propria identità sociale solo sfidando la
legittimità della posizione del gruppo che gode di uno status superiore.
L’adozione di un tale sistema è possibile solo a condizione che lo status quo sia percepito come incerto; se è
certo, le persone possono non essere capaci di immaginare una struttura sociale alternativa.
ALTERNATIVA COGNITIVA -> Credenza che lo status quo sia instabile e illegittimo e che la competizione
sociale con il gruppo dominante sia la strategia appropriata per migliorare l’identità sociale.
Se lo status quo è incerto (cioè percepito come instabile e illegittimo) e le alternative cognitive esistono, si
avrà allora una competizione sociale.
COMPETIZIONE SOCIALE -> Strategie di comportamento basate sul gruppo che migliorano l’identità sociale
muovendo direttamente contro la posizione del gruppo dominante

Come migliorare le relazioni intergruppo


Le soluzioni richiedono il cambiamento della personalità o dei sistemi di credenza della persona con
pregiudizi.
Secondo la teoria della deprivazione relativa, deprivazione e frustrazione, in un gruppo, nascono quando i
suoi membri paragonano la propria vita a quella di un outgroup. Per prevenire la frustrazione è possibile:
ridimensionare le aspettative delle persone, distogliere l’attenzione da personali sentimenti di frustrazione
e/o praticare attività innocue con cui dare sfogo alla frustrazione.
Secondo una prospettiva basata sull’identità sociale, il pregiudizio e il conflitto manifesto diminuiranno se
gli stereotipi riguardanti l’outgroup saranno meno dispregiativi e se nelle forme di competizioni
intergruppo la violenza sarà evitata.

Sub – Educare alla tolleranza


Il pregiudizio si basa in parte sull’ignoranza: un’educazione che promuova la tolleranza per il diverso potrà
ridurre la chiusura mentale, in particolare nei bambini.
Una strategia efficace con i bambini è fa loro provare l’esperienza di essere prima stigmatizzati e poi resi
oggetto di angherie. Essere stigmatizzati è talmente sgradevole da far sì che i bambini pensino due volte
prime di avere pregiudizi verso gli altri.
I bambini educati a essere attenti agli altri possono certamente cambiare.
Sub – Contatto tra i gruppi
IPOTESI DI CONTATTO -> Idea secondo cui riunificare i membri di gruppi sociali contrapposti migliorerà le
relazioni integruppo e ridurrà il pregiudizio e la discriminazione.
Le credenze negative sono prodotte da ideologie sociali diffuse e mantenute in vita dalla mancanza di
accesso a informazioni contrarie. Spesso c’è un’insufficienza di contatto intergruppo e poca opportunità di
incontrare membri reali di un altro gruppo. Lo scenario in cui due gruppi si incontrano davvero presenta
difficoltà, ma contiene in sé il potenziale per un futuro migliore per entrambi.

Sub2 – Il contatto porterà a percepire somiglianza?


Il contatto porta le persone a riconoscere che in realtà esse sono molto più simili di quanto pensassero, e
così iniziano a piacersi. Tuttavia alcuni gruppi possono essere molto diversi, e il contatto potrà evidenziare
differenze più profonde e più ampie di quanto immaginato; tali differenze possono ridurre ulteriormente le
simpatie e peggiorare gli atteggiamenti intergruppo. A causare tali atteggiamenti intergruppo può essere
un conflitto di interessi, o una differenza dovuta allo status e alle relazioni di potere.

Sub2 – L’esperienza personale si potrà estendere al gruppo?


Quando il contatto migliora gli atteggiamenti nei confronti di altri individui, non può essere generalizzato al
gruppo nella sua interezza.
Dove è presente un vero conflitto intergruppo, può essere quasi impossibile distogliere l’attenzione delle
persone dalle appartenenze di gruppo.
Il modello dell’identità dell’ingroup di Gaertner suggerisce che, se i membri di gruppi contrapposti vengono
incoraggiati a essere più inclusivi, gli atteggiamenti intergruppo spariranno.
MODELLO DELL’IDENTITA’ DELL’INGROUP COMUNE -> I membri di due gruppi ricategorizzano se stessi
come membri di una sola entità sociale: tuttavia, se le salienze non sono marcate, tale processo non avrà
luogo.

Sub2 – Politica basata sul contatto in contenti multiculturali


Nella politica “melting pot” tutti i gruppi sono apparentemente trattati alla stessa maniera. Tuttavia questo
approccio presenta alcuni problemi:
1 – La discriminazione ha agito in modo da emarginare determinati gruppi
2 – Il melting pot ignora la realtà delle differenze etniche e culturali
3 – Il melting pot non è affatto un calderone che contiene tutto: è un calderone che tutto dissolve, un
calderone dove le minoranze etniche cessano di esistere
ASSIMILAZIONE -> La fusione di un gruppo o di una cultura subordinata in un gruppo o in una cultura
dominante.
L’alternativa all’assimilazionismo è il multiculturalismo.
MULTICULTURALISMO -> Modo in cui una società conserva e controlla l’identità delle sue diverse culture.
Questo approccio mira a una società multiculturale in cui i rapporti tra i gruppi siano armoniosi.

Sub – Obiettivi sovraordinati


Vi è un importante requisito per l’uso di obiettivi sovraordinati. Questi non riducono il conflitto
intergruppo, se i gruppi falliscono nel raggiungimento dell’obiettivo. Le relazioni intergruppo possono
peggiorare quando i gruppi non riescono a raggiungere un obiettivo comune: in tal caso il fallimento può
essere attribuito all’altro gruppo.

Sub – Gruppi che negoziano


La negoziazione per ridurre il conflitto può essere un compito difficile, a causa, ad esempio, dell’incapacità
di adottare la prospettiva di un’altra persona.
CONTRATTAZIONE -> Processo di risoluzione del conflitto intergruppo in cui i rappresentanti raggiungono
un accordo attraverso la negoziazione diretta
MEDIAZIONE -> Processo di risoluzione del conflitto intergruppo in cui una terza parte neutrale interviene
nella negoziazione per facilitare il raggiungimento di un accordo.
ARBITRATO -> Processo di risoluzione del conflitto intergruppo in cui una terza parte neutrale è invitata a
imporre un accordo vincolante per entrambi i contendenti.

Capitolo 9 – Aiutare gli altri


Sia il nostro comportamento aggressivo sia quello prosociale hanno radici biologiche e sociali.
Che cos’è il comportamento prosociale?
COMPORTAMENTO PROSOCIALE -> Azioni valutate positivamente dalla società
Le azioni compiute a vantaggio di un’altra persona vengono definite comportamenti prosociali.

Sub – Il comportamento prosociale può variare


Il comportamento prosociale include sia l’aiuto che l’altruismo.
Il comportamento di aiuto è una sottocategoria del comportamento prosociale. L’aiuto è intenzione e viene
compiuto a favore di un altro essere vivente o di un altro gruppo.
Un’altra sottocategoria del comportamento prosociale è rappresentata dall’altruismo, che si riferisce a
un’azione finalizzata al vantaggio altrui più che al proprio
ALTRUISMO -> Speciale forma di comportamento di aiuti, talvolta dispendiosa, caratterizzata dall’interesse
per i propri simili, e compiuta senza aspettative di ricompensa.
CONTROVERSIA TRA NATURA E CULTURA -> Dibattito classico attorno al ruolo dei fattori genetici o
ambientali nel determinare il comportamento umano. Gli scienziati generalmente accettano che il
comportamento umano derivi dall’interazione di entrambi.

Approcci biologici
Sub – Un fenomeno naturale?
Secondo l’approccio di tipo biologico gli umani hanno tendenze innate a mangiare, bere, unirsi, lottare e
aiutare il prossimo.
Mutualismo: comportamento cooperativo che avvantaggia il cooperatore come anche gli altri.
Selezione familiare: un cooperatore dimostra tendenze sistematiche all’aiuto verso i propri parenti.

Sub – Chi aiuta prova empatia?


EMPATIA -> Capacità di sperimentare le esperienze di un’altra persona; identificazione e condivisione delle
emozioni, dei pensieri e degli atteggiamenti altrui.
L’empatia è una risposta emotiva alla sofferenza altrui, una reazione legata all’essere testimone di un
evento inquietante.

Sub – Fare i conti


MODELLO DEI COSTI-BENEFICI CALCOLATI DALLO SPETTATORE -> Prima di intervenire in una situazione di
emergenza, lo spettatore calcola costi e benefici percepiti nel prestare aiuto, mettendoli a confronto con
quelli associati al non farlo.

Sub – Assunzione del punto di vista altrui


COINVOLGIMENTO EMPATICO -> Elemento della teoria del comportamento di aiuto elaborata da Batson. A
differenza dell’angoscia personale (che può portarci a fuggire dalla situazione), il coinvolgimento empatico
include sentimenti di affetto, disponibilità, compassione nei confronti di una persona in difficoltà.
Sub – Le donne sono più empatiche?
Sembra che le donne mostrino più empatia nei confronti del loro sesso quando hanno vissuto in prima
persona esperienze simili durante l’adolescenza, cosa che non accade negli uomini. Questo perché,
secondo Batson, le donne sono più orientate verso il prossimo, mentre gli uomini verso sé stessi.

Approcci sociali
Se i bambini possono imparare a essere aggressivi in alcune situazioni, possono sicuramente apprendere a
essere prosociali in altre.

Sub – Imparare a prestare aiuto


Il comportamento prosociale sembrerebbe legato al processo di socializzazione: esso viene appreso, non è
innato.
Ci sono diverse maniera in cui tale comportamento può essere appreso: attraverso le istruzioni, attraverso
il rinforzo, attraverso l’esposizione a determinati modelli.
MODELLAMENTO -> Tendenza di una persona a riprodurre le azioni, gli atteggiamenti e le risposte emotive
di un modello, tratto dalla vita reale oppure simbolico. È definito anche apprendimento per osservazione.

Sub – Impatto dell’attribuzione


Le persone compiono attribuzioni in merito all’aiutare o meno gli altri.
Nel chiederci se offrire o meno aiuto a qualcuno in difficoltà, solitamente cerchiamo di capire che tipo di
persona ci troviamo davanti. Secondo l’ipotesi del mondo giusto, le persone hanno bisogno di credere che il
mondo sia un luogo giusto dove le persone ricevono ciò che meritano.
Miller ha isolato due fattori che possono convincerci a prestare aiuto:
1 – la vittima rappresenta un caso speciale, non è una delle tante;
2 – il bisogno è temporaneo piuttosto che persistente;

Sub – Norme di aiuto


Le norme forniscono un riferimento permanente di come dovremmo comportarci ed essenzialmente
vengono apprese. Una norma è un modello che specifica ciò che ci spetta, ciò che è “normale” o corretto.
A fondamento dell’altruismo sono state poste le due norme seguenti:
1 – Norma di reciprocità: norma che risponde al principio: “Fai agli altri quello che gli altri fanno a te”. Può
riferirsi alla restituzione di un favore, alla reciproca aggressione o al reciproco aiuto.
2 – Norma di responsabilità sociale: Idea secondo cui dovremmo aiutare le persone che dipendono da noi
e che hanno bisogno. È contraddetta da un’altra norma che scoraggia l’interferenza nelle vite altrui.
Né l’una né l’altra possono realisticamente spiegare il comportamento prosociale negli animali.

Apatia dello spettatore


INTERVENTO DELLO SPETTATORE -> Intervento che si verifica quando un individuo esce dal ruolo di
spettatore e aiuta una persona in una situazione di emergenza.
EFFETTO SPETTATORE -> È meno probabile che le persone aiutino in un’emergenza quando sono insieme
ad altri rispetto a quando sono da sole. Maggiore è il numero degli spettatori, minore è la probabilità di
aiuto da parte di qualcuno di loro.

Sub – Aiuto in emergenza


SITUAZIONE DI EMERGENZA -> Implica spesso un evento inusuale, può variare nella natura, non è
programmata e richiede una risposta rapida.
Gli elementi di una situazione di emergenza sono:
1 – può essere pericolosa, per una persona o la proprietà;
2 – è un evento inusuale, in cui raramente si imbatte una persona comune;
3 – può differire ampiamente nella natura: da un incendio in banca alla rapina ai danni di un passante;
4 – non è prevista, cosicché una precedente pianificazione riguardo a come affrontarla risulta improbabile;
5 – richiede un’azione istantanea
La mancanza di aiuto si verifica maggiormente quando la dimensione del gruppo dei testimoni aumenta.
Secondo il modello cognitivo di Latané e Darley l’aiuto di una persona dipende dai risultati di una serie di
decisioni.
Vi è un accrescimento della responsabilità personale quando in un’emergenza è presente un solo
spettatore. Vi sono diversi processi psicologici che possono innescare la riluttanza all’aiuto in presenza di
altri:
- Diffusione della responsabilità: la presenza di altre persone offre l’opportunità di trasferire a questi la
responsabilità connessa con l’agire, o il non agire.
- Inibizione del pubblico: la presenza di altre persone può metterci a disagio nell’attuare l’azione
desiderata. A questo è legata la paura della brutta figura, nonché il timore di agire in modo inappropriato o
di compiere un errore stupido di fronte agli altri.
- Influenza sociale: le altre persone forniscono un modello di azione da seguire.

Quali sono le persone che aiutano?


Il comportamento prosociale è stato considerato attraverso vari fattori quali:
1 – stati d’animo: quando le persone stanno bene sono più sensibili ai bisogni degli altri e quindi più pronte
ad aiutare.
2 – misure della personalità: hanno poca o nessuna influenza sul prestare aiuto.
3 – il “buon samaritano”: le prove a sostegno sono scarse
4 – stile affettivo: le persone che sono sicure sono alquanto più compassionevoli e altruiste

Sub – Differenze di genere sessuale:


Sub – Competenza: “saper fare aiutia”
Sentirsi in grado di affrontare un’emergenza rende più probabile il proprio aiuto: c’è la consapevolezza di
sapere ciò che si fa.
Il possesso da parte di una persona delle abilità adatte a una situazione implica che queste abilità
dovrebbero essere usate.

Sub – Vita nelle grandi città


È stato visto come le persone provenienti da piccoli centri tendono maggiormente a prestare aiuto rispetto
a quelle provenienti da città più grandi.

Che cosa motiva le persone a essere prosociali?


Sub – Le chiavi per essere utili
Prestare aiuto è una questione motivazione e che i motivi evolvono in obiettivi. Secondo Batson il
comportamento prosociale è governato da quattro ragioni:
1 – egoismo: le azioni prosociali favoriscono il proprio sé. Possiamo aiutare gli altri per assicurarci una
ricompensa e per evitare una punizione.
2 – altruismo: le azioni prosociali contribuiscono al benessere degli altri. Agire in modo altruistico non
implica che qualcuno contraccambi.
3 – collettivismo: le azioni prosociali contribuiscono al benessere di un gruppo sociale.
4 – riferimento a un principio: le azioni prosociali seguono un principio morale.
Sub – Promozione del comportamento prosociale
Vi sono due modalità che possono incoraggiare le persone ad agire in modo prosociale: la prima riguarda il
modo di prevenire il crimine persuadendo le persone ad assumersi le proprie responsabilità; la seconda
riguarda il modo di ridurre la tendenza a copiare durante gli esami.

Sub2 – Prevenzione del crimine


La prevenzione del crimine può coinvolgere una classe del comportamento prosociale. È più probabile che
le persone si rendano colpevoli di un crimine non violento se i vantaggi sono alti e i costi bassi.
È più probabile che le persone aiutino gli altri se sentono di avere la responsabilità di dare assistenza.
Sentirsi responsabile di prestare aiuto aumenta le probabilità di comportamento prosociale; ciò è definito
coinvolgimento a priori, nonché una forma specifica di responsabilità che può indurre un’azione prosociale.

Sub2 – Assunzione di responsabilità


Vi sono alte possibilità che un leader, rispetto ai suoi gregari, avvii un’azione prosociale. La componente
della leadership rappresentata dalle capacità potrebbe essere utilizzata per giustificare alcune prestazioni
di aiuto.

Sub2 – È possibile scoraggiare l’abitudine di copiare agli esami?


Al giorno d’oggi, il copiare si estende al plagio del lavoro altrui. È stato visto come l’atto del copiare non è
strettamente collegato alle caratteristiche della personalità: infatti si è pensato che tali trasgressioni
possano essere spinte maggiormente da fattori situazionali.
Un effetto situazionale a breve termine è l’attivazione, un sentimento di eccitazione o di paura scaturito
dall’approfittare dell’occasione. L’attivazione fa perdere la concentrazione e ci rende meno capaci di
regolare il nostro comportamento.
Un modo per scoraggiare l’abitudine a copiare è impartire delle punizioni.

Capitolo 11 – Cultura e comunicazione


Cultura
Il comportamento è il prodotto di una cultura, linfa vitale di gruppi etnici e nazionali.
CULTURA -> Insieme di credenze e pratiche che identificano uno specifico gruppo sociale e lo distinguono
dagli altri.
Quella che potremmo chiamare la nostra cultura ci fornisce un’identità e una serie di attributi che la
definiscono. La cultura influenza pensieri, sentimenti, modo di vestire, abitudini alimentari, linguaggio,
selezione di valori e di principi morali, modo di interagire con gli altri e di interpretare il mondo che ci
circonda.

Sub – Definizione e studio della cultura


La ricerca transculturale ha mostrato una considerevole variazione dovuta alla cultura in una gamma di
processi che coinvolgevano i comportamenti umani di base e quelli psicosociali. Ha anche individuato una
differenza generale tra la cultura orientale e quella occidentale.
Lo studio scientifico della cultura è strettamente legato allo sviluppo dell’antropologia culturale nel tardo
Ottocento. Boas definì la cultura come “le abitudini sociali di una comunità”. Smith e Bond considerarono
la psicologia sociale come una disciplina che copriva un’ampia varietà di processi psicologici.
Consideriamo la cultura come l’insieme di credenze e pratiche che identificano uno specifico gruppo
sociale, fornendogli caratteristiche che lo distinguono dagli altri gruppi.
Sub – Impatto della cultura sul pensiero e sull’azione
La tradizione intellettuale degli abitanti dell’Estremo Oriente si è sviluppata in modo da essere più olistica e
orientata alle relazioni; gli americani, invece, hanno un pensiero più analitico e lineare. Nisbett ha fatto
riferimento a una “geografia del pensiero” e suggerisce che orientali e occidentali possiedano differenti
sistemi di pensiero da migliaia di anni.
Studi relativi a differenti culture hanno messo sempre più in luce che le spiegazioni causali possono essere
comprese appieno solo prendendo in considerazione i più ampi sistemi di credenze e di valori degli
individui.
Esiste una variazione culturale nel modo di compiere le attribuzioni, con riferimento, in particolare, alla
tendenza sistematica alla corrispondenza (o errore fondamentale di attribuzione).
TENDENZA SISTEMATICA ALLA CORRISPONDENZA -> Tendenza sistematica attribuzionale generale, che
porta le persone a considerare in modo eccessivo il comportamento come il prodotto di stabili
caratteristiche di base della personalità.
La probabilità di conformismo in risposta alla pressione del gruppo è più alta nelle culture non occidentali.
Il modo in cui le persone si inseriscono nelle relazioni interpersonali e di gruppo può essere profondamente
influenzato dal modo in cui essere lavorano e vivono.
Esistono culture in cui la violenza è incoraggiata e culture in cui viene enfatizzata la cooperazione. Esempi
del primo caso li si trovano nel Sud degli Stati Uniti, dove la sottocultura della violenza è trasmessa dalla
famiglia.
CULTURA DELL’ONORE -> Cultura che approva la violenza maschile come modo di affrontare le minacce nei
confronti della reputazione sociale o della posizione economica.

Individualismo, collettivismo e sé
Secondo la psicologia sociale i valori sono capaci di orientare un intero popolo, unendo atteggiamenti e
comportamenti specifici. I valori sono legati a gruppi, categorie sociali e culture.
INDIVIDUALISMO -> Struttura sociale e visione del mondo in cui le persone attribuiscono maggiore
importanza a emergere come individui che a essere membri di un gruppo.
COLLETTIVISMO -> Struttura sociale e visione del mondo in cui le persone attribuiscono maggiore
importanza alla fedeltà, all’impegno, al conformismo, all’appartenenza e all’adattamento al gruppo
piuttosto che all’emergere come singoli individui.
In un contesto organizzato, se i lavoratori hanno la possibilità di adattare alle mansioni in cui sono
impegnati il proprio stile di lavoro, allora l’ethos è di tipo individualistico; se non hanno questa possibilità,
l’ethos è di tipo collettivistico. Secondo Hofstede gli opposti valori dell’individualismo e del collettivismo
potevano essere applicati a nazioni, e a culture, nel loro complesso.
Le nazioni di origine europea tendono a esser più individualistiche, mentre quelle del Medio ed Estremo
Oriente e dell’America latina sono più collettivistiche.
Il collettivismo caratterizza le società tradizionali e agrarie, basate sulla famiglia estesa.
IDEOLOGIA -> Insieme di credenze sistematicamente correlate che ha come funzione primaria la
spiegazione. Circoscrive il pensiero, rendendo difficile uscire dai confini che la delimitano.

Sub – Due psiche, due sé


SE’ INDIPENDENTE -> Sé relativamente distinto, intimo e unico
SE’ INTERDIPENDENTE -> Sé relativamente dipendente dalle relazioni sociali e con confini indistinti.
Generalmente chi fa parte di culture individualistiche ha un sé indipendente, mentre chi fa parte di culture
collettivistiche ha un sé interdipendente. Il sé indipendente è un’entità autonoma, i cui confini rispetto agli
altri sono chiari: i suoi attributi interni sono in gran parte non influenzabili dal contesto sociale. Il sé
interdipendente invece ha confini flessibili e sfuocati rispetto agli altri: i suoi attributi interni sono molto
sensibili al contesto sociale.
Il bisogno di avere un senso di sé distinto e integrato può essere universale; tuttavia la distintività del sé ha
un significato diverso nelle culture individualistiche e in quelle collettivistiche. In una, il sé isolato acquisisce
significato dalla separatezza, mentre nell’altra il sé relazionale acquisisce significato dai suoi rapporti con gli
altri.

Sub – Acculturazione
ACCULTURAZIONE -> Processo tramite cui individui apprendono le regole di comportamento caratteristiche
di un’altra cultura.
Quando si applica a un intero gruppo si realizza un cambiamento culturale su larga scala. Tuttavia, ad
esempio, i gruppi di immigrati possono in parte scegliere la forma con cui tali cambiamenti possono
realizzarsi: la scelta più elementare è tra assimilazione e separazione.
Berry affermò che gli immigrati, nel confrontare la cultura d’origine e la cultura dominante, possono
scegliere quattro diversi percorsi:
1 – integrazione: mantenimento della propria cultura d’origine, ma anche relazione con la cultura
dominante;
2 – assimilazione: rinuncia alla propria cultura d’origine e accettazione della cultura dominante;
3 – separazione: mantenimento della propria cultura d’origine e isolamento dalla cultura dominante;
4 – marginalizzazione: rinuncia alla propria cultura d’origine e fallimento nel relazionarsi in modo
appropriato con la cultura dominante.
La via più seguita dagli immigrati è l’integrazione, ed è quella associata al minor grado di stress
nell’acculturazione. La scelta dell’integrazione è un processo che richiede una quantità considerevole di
tempo e in molti casi entra in conflitto con la frequente aspettativa dell’assimilazione della cultura del
paese ospitante.

Sub – Società multiculturali


L’assimilazione può essere di due tipi, totale e “melting pot”. La prima implica l’annullamento di una
cultura, mentre la seconda è meno estrema e concede a una nuova forma di cultura dominante di
emergere.
Il multiculturalismo è un metodo attraverso cui una società conserva e controlla l’identità delle proprie
diverse culture. Nella sua forma laissez-faire (ovvero senza intervento della società) esso permette alla
diversità culturale di proporsi senza l’aiuto di una cultura ospitante. Nella sua forma attiva esso prevede
una politica nazionale che sostenga la diversità culturale. Un multiculturalismo funziona quando i gruppi di
minoranza reputano che le proprie identità e usanze siano rispettate.

Comunicazione
La comunicazione è l’essenza dell’interazione sociale: quando interagiamo, comunichiamo. Comunichiamo
attraverso parole, espressioni del volto, segni, gesti del corpo, contatto fisico. La comunicazione:
1 – comprende le nostre relazioni con altri;
2 – è costruita sulla base di una comprensione condivisa di significati;
3 – è il modo in cui le persone si influenzano reciprocamente.

Sub – Origini del linguaggio


Il linguaggio vero e proprio è la forma di comunicazione specifica dell’uomo.
La vocalizzazione animale, in genere, è legata a uno stimolo: un limitato numero di suoni in risposta a
stimoli specifici, come una fonte di cibo o un predatore. Le nostre espressioni di pianto, che a volte
accompagnano le emozioni primarie, possono essere tracce dei suoni articolate dai nostri antenati primari.
Sub – Linguaggio, pensiero e società
Il linguaggio è sociale sotto ogni aspetto: come sistema di simboli si trova al centro della vita sociale.
Vygotsky credeva che il linguaggio interiore fosse il medium del pensiero, e che fosse strettamente
connesso al linguaggio esteriore.
TEORIA DEL RELATIVISMO LINGUISTICO -> Secondo questa teoria il linguaggio determina completamente il
pensiero: in questo modo, le persone che parlano lingue diverse vedono il mondo in maniera
completamente diversa, vivendo di conseguenza in universi cognitivi del tutto differenti.
Una versione più recente della suddetta teoria afferma invece che il linguaggio non determina il pensiero:
piuttosto ci aiuta a comunicare più facilmente.
Il linguaggio comunica sia ciò che viene detto, sia il come viene detto.
PARALINGUAGGIO -> Insieme di elementi extralinguistici che accompagnano il linguaggio (accento,
intensità, velocità ecc.): questi elementi possono cambiare radicalmente il significato del discorso.
MARCATORI SOCIALI -> Caratteristiche dello stile di linguaggio che veicolano le informazioni su stato
d’animo, contesto, status e appartenenza al gruppo.
Giles e Powesland hanno descritto la tendenza all’utilizzo di due dimensioni fondamentali nel giudicare gli
altri in base al loro linguaggio:
1 – lo status (insieme di caratteristiche come intelligente, competente, autorevole);
2 – la solidarietà (insieme di caratteristiche come vicino, amichevole, caldo);
In genere la varietà standard di linguaggio riflette status economico elevato e potere. Le varietà non
standard includono gli accenti regionali, quelli delle periferie urbane e le lingue delle minoranze etniche. Lo
status associato alla varietà standard è controbilanciato dall’immagine concreta suggerita dalla varietà non
standard.
Il modo in cui parliamo dunque influenza il modo in cui gli altri ci valutano.

Sub – Linguaggio e cultura


TEORIA DELL’IDENTITA’ ETNOLINGUISTICA -> Applicazione ed estensione della teoria dell’identità sociale
per rendere conto del comportamento linguistico di gruppi etnolinguistici.
La lingua o lo stile del linguaggio sono spesso chiari indicatori dell'identità etnica. Lo stile del linguaggio può
essere una proprietà centrale dell’appartenenza a un gruppo. Si può scegliere di enfatizzare il proprio
linguaggio etnico quando esso è motivo di amor proprio e di orgoglio, o di attenuarlo quando non lo è: la
scelta è influenzata dalla percezione del potere interetnico e dalle relazioni di status nel proprio paese e in
un determinato contesto.
VITALITA’ ETNOLINGUISTICA -> Insieme di caratteristiche di un contesto interetnico che influenzano la
quantità d’uso di una lingua.
Gruppi di status elevato godono di alta vitalità etnolinguistica. Una bassa vitalità è un segno di declino
dell’idioma e un presagio della sua scomparsa: ciò che segue è l’estinzione della lingua e, forse, la
sparizione di un gruppo etnico.
L’apprendimento di una seconda lingua è una componente fondamentale per l’acculturazione di un
immigrato.
Padroneggiare il linguaggio come un madrelingua non comporta necessariamente la perdita della cultura
originaria: si può padroneggiare il linguaggio della terra ospitante mantenendo allo stesso tempo le proprie
tradizioni culturali ed etnolinguistiche.

Sub – Comunicare senza parole


COMUNICAZIONE NON VERBALE -> Trasferimento di informazioni significative da una persona a un’altra
attraverso mezzi differenti dal linguaggio parlato o scritto.
Il comportamento non verbale può essere utile a una varietà di scopi: ricavare informazioni sui sentimenti e
sulle intenzioni degli altri; regolare le interazioni; esprimere intimità.
- stabilire una posizione di dominanza o di controllo (minacce non verbali)
- agevolare il raggiungimento di un obiettivo (per esempio indicando)
Sin dall’infanzia le persone acquisiscono, senza ricevere alcun insegnamento formale, la padronanza
completa di un ricco repertorio di comportamenti non verbali.
Alcune persone sono più brave di altre a percepire i segnali non verbali e a usarli. Rosenthal ideò un profilo
di sensibilità non verbale (PONS), dalla quale dedusse che, a parità di condizioni:
- la sensibilità si affina con l’età;
- la sensibilità è più sviluppata tra le persone di successo
- la sensibilità è più compromessa nelle persone sofferenti di una gamma di patologie psichiche

Sub – Esprimere le proprie emozioni


Lo studio scientifico dell’espressione facciale si è largamente concentrato sul modo in cui il volto trasmette
emozioni. Darwin riteneva che vi fosse un numero ristretto di emozioni universali e che, associate a esse,
esistessero espressioni facciali universali. La ricerca successiva individuò, in generale, sei emozioni
fondamentali (felicità, sorpresa, tristezza, paura, disgusto e ira), da cui sono derivate espressioni più
complesse o miste. Riguardo il genere le donne mostrano più spesso le proprie emozioni meno forti (come
paura, tristezza, vergogna, senso di colpa), mentre gli uomini quelle più forti (come ira e ostilità).
Le espressioni facciali umane associate alle emozioni fondamentali sembrano essere relativamente
universali.
Ekman, studioso che si occupò di dimostrare l’universalità delle emozioni primarie, sviluppò un “sistema di
codifica delle espressioni facciali” (FACS) utile a misurare il movimento del viso che si basa su piccole unità
muscolari.
L’apparente universalità delle espressioni facciali delle emozioni può riflettere ontogenesi universali
(comunanza transculturale nella prima socializzazione) oppure filogenesi universali (collegamento innato
tra le emozioni e l’attività muscolare facciale).
REGOLE DI OSTENTAZIONE -> Regole culturali e situazionali che stabiliscono se sia appropriato o meno
esprimere le proprie emozioni in un determinato contesto.
Nelle regole di ostentazioni ci sono variazioni culturali, di genere sessuale e situazionali. L’espressione di
un’emozione è incoraggiata tra le donne e nelle culture mediterranee, ma è scoraggiata tra gli uomini e
nelle culture del Nord Europa e asiatiche. In Giappone le persone vengono educate a controllare le
espressioni facciali dell’emozione negativa e a ridere o a sorridere per nascondere la collera o il dolore.
CONTROVERSIA TRA NATURA E CULTURA -> Dibattito classico sui fattori del comportamento umano:
genetici o ambientali. Gli scienziati generalmente accettano che il comportamento umano derivi
dall’interazione di entrambi.
I movimenti del viso sono qualcosa di più di segnali delle nostre emozioni: essi sono anche usati
deliberatamente per sostenere o persino per sostituire il linguaggio parlato. L’ASL è un codice
convenzionale che usa come segni linguistici una serie di espressioni facciali, le quali hanno significato
emotivo e sono dinamiche: si realizzano, cioè, in tempo reale.

Sub – Contatto visivo


Negli ambienti circoscritti a due individui, le persone passano il 61% del tempo a guardarsi negli occhi e uno
sguardo dura circa tre secondi.
Kleinke afferma che lo sguardo è forse il principale canale di comunicazione non verbale più ricco di
informazioni; esso ci permette di compiere inferenze su sentimenti, credibilità, onestà, competenza e grado
di attenzione prestata dalle persone. Nascondere agli altri il proprio sguardo può aumentare il senso di
sicurezza e privacy.
Lo sguardo gioca un ruolo importante anche nel regolare il corso di una conversazione, una volta iniziata.
Lo sguardo può comunicare una relazione di status tra noi e qualcun altro. Gli individui con uno status
inferiore guardano negli occhi il loro interlocutore maggiormente rispetto agli individui con uno status più
alto.
Sub – Posture e gestualità
CINESICA -> Modello linguistico della comunicazione del corpo creato da Birdwhistell. L’autore individuò
fino a settanta unità fondamentali del movimento del corpo e descrisse le regole di combinazione che
producono unità di significato nella comunicazione con il corpo.
Usiamo braccia e mani per arricchire il significato di ciò che diciamo. Esistono differenze tra i generi
sessuali: la ricerca indica che alzare un pugno chiuso come segno di orgoglio o potere è più probabile negli
uomini che nelle donne.
EMBLEMI -> Gesti che sostituiscono o integrano il linguaggio parlato.
Alcuni emblemi sono ampiamente condivisi dalle diverse culture, altri sono specifici: la stessa cosa può
essere indicata, in culture differenti, tramite differenti gesti, e lo stesso gesto può significare cose differenti
in culture differenti.

Sub – Vicino e personale


PROSSEMICA -> Studio della distanza interpersonale.
Usiamo la distanza interpersonale per regolare la riservatezza e l’intimità: più grande è la distanza,
maggiore è la possibilità di mantenere il proprio privato. La dimensione nascosta (libro di Hall) identificò
quattro zone di distanza interpersonale, che variano dall’alta alla bassa intimità: in ogni zona la lontananza
tra i nostri corpi aumenta.
SPAZIO PERSONALE -> Spazio fisico che circonda il corpo delle persone, le quali lo trattano come se fosse
una parte di loro stesse.
TEORIA DELL’EQUILIBRIO DELL’INTIMITA’ -> Secondo tale teoria all’aumentare dei segnali di intimità in una
modalità, corrisponde la loro contemporanea diminuzione in altre modalità.
Vi è, infine, una sostanziale variazione transculturale nella frequenza d’uso del contatto sociale. Chi
proviene dai paesi dell’America latina, del Mediterraneo o arabi tende a toccare molto, mentre i
nordeuropei, i nordamericani, gli australiani e gli asiatici non lo fanno.
Libro 2 - Metodologia della ricerca psicosociale
Capitolo 1 – Dalle teorie alle ipotesi: la nascita di una ricerca
La ricerca nasce dalla curiosità e dal desiderio di conoscenza, ma può anche derivare dall’interesse a
replicare risultati già ottenuti in altri contesti.
La curiosità con cui si avvia un progetto di ricerca può associare l’impresa scientifica alla creatività. Per fare
ciò occorrono pazienza e accuratezza nel reperire le fonti bibliografiche e nell’approfondire il lavoro fatto in
precedenza da altri. Altrettanta pazienza e accuratezza occorrono per raccogliere i dati empirici in modo
appropriato.
La connessione fra teorie e ipotesi viene dedotta per via astratta. La molteplicità di analisi che qualunque
software statistico compie, serve a mascherare lo spazio esistente fra ipotesi e conclusioni.

Sub – La scelta dell’argomento e l’analisi della letteratura


Il tema della ricerca nasce dallo studio delle teorie che di quell’argomento si sono occupate.
Per impostare una ricerca sull’argomento bisogna tener conto di tutte le componenti che ne fanno parte.
Il passo successivo è verificare ciò che è stato studiato in precedenza sullo stesso tema e i risultati cui si è
giunti, analizzandone le concordanze e le discordanze.
La ricerca bibliografica è oggi agevolata dalle banche dati elettroniche e dalla possibilità di ottenere
mediante internet informazioni dirette e rapidissime sullo stato di un certo settore di ricerca: è possibile ad
esempio consultare siti come PychInfo, ERIC o MedLine.
La prima parte di ogni presentazione di lavori di ricerca consiste in una rassegna aggiornata della
letteratura sulla teoria di riferimento. Ciò che emerge da questa rassegna è la base che giustifica la scelta di
un argomento di ricerca.

Sub – Dalla teoria al modello


Una volta individuata la teoria di riferimento, la ricerca procede verso la formulazione delle ipotesi e la loro
verifica, attraverso la mediazione di un modello. Dalla teoria non si possono dedurre ipotesi empiriche
pronte per essere verificate. Le conclusioni tratte dalla ricerca possono riferirsi solo alle condizioni
considerate nella teoria, che sono una specificazione della teoria stessa. Secondo Cattel: “il vantaggio di un
modello è di essere preciso, e chiaro nelle sue implicazioni da verificare.
Un esempio può essere trattato dalla teoria generale dell’ansia sociale. L’ansia connessa ad una prestazione
in cui il soggetto deve essere giudicato ha due componenti diverse ed interagenti tra loro: iperattivazione
emozionale (arousal) e “preoccupazione” cognitiva (worry); più questi aspetti sono accentuati, più l’ansia
interferisce negativamente con l’efficienza nella prestazione stessa.
È stato visto che:
1 – In presenza di una figura autoritaria che richiede una prestazione viene attivato l’aspetto cognitivo della
“preoccupazione”, centrato sul problema di essere “valutato” da una persona severa ed esigente.
Questo modello ci permette di operazionalizzare (vale a dire rendere verificabili concretamente) ipotesi di
ricerca di volta in volta specificate. Si osserva che:
- “se dei soggetti sono sottoposti ad una situazione di esame scolastico, e l’esaminatore è percepito
come autoritario, la preoccupazione autopercepita dal soggetto è superiore all’attivazione
emozionale autopercepita”. La situazione considerata stimola maggiormente, tra i diversi aspetti
dell’ansia, quelli cognitivi.
Diverse ipotesi, derivanti dallo stesso modello, potrebbero prevedere condizioni diverse
dell’esperimento.
- La situazione di esame può essere di tipo non scolastico; le altre condizioni restano invariate.
- La valutazione del tratto di autoritarismo non è attribuita ai soggetti, ma è ricavata dal
comportamento dell’esaminatore.
- La preoccupazione e l’attivazione emozionale sono misurate attraverso segni comportamentali o
psicofisiologici.
Altre ipotesi possono modificare le previsioni.
Il ricercatore sceglierà di volta in volta quelle che sono più pertinenti, e più utili, alla sperimentazione che
intende condurre.
Dalla stessa teoria si possono derivare altri modelli, ad esempio:
- “l’ansia consistente nella preoccupazione di essere valutati da una persona autoritaria implica una
riduzione dell’efficienza nella prestazione”.
Questo secondo modello afferma che: “l’ansia riduce l’efficienza” secondo la variabile
“esaminatore autoritario”. Il modello può essere operazionalizzato a sua volta in molteplici ipotesi,
come nel primo caso.
Un ulteriore modello “operativo” è concretizzabile tramite sperimentazioni applicative che comportano un
intervento di tipo educativo, preventivo o clinico:
- “l’ansia di esame consistente nella preoccupazione di essere valutati da una persona autoritaria
può essere ridotta se si induce nei soggetti una valutazione anticipatoria degli effetti dell’eventuale
insuccesso.
Questo modello consente verifiche tramite sperimentazioni su gruppi artificiali (studenti
universitari) o naturali (classi scolastiche).

Sub – La definizione delle variabili e la formulazione del piano di ricerca


La formulazione del piano di ricerca comporta delle scelte di fondo che riguardano il modo di procedere
nella verifica delle ipotesi, gli strumenti da utilizzare, la raccolta e l’analisi dei dati.
Una variabile è una qualsiasi caratteristica che può assumere valori diversi, che possono essere misurati. In
una ricerca esistono due tipi fondamentali di variabili: le variabili che si ipotizza producano degli effetti di
influenzamento e le variabili che si ipotizza subiscano questi effetti. Le prime vengono definite variabili
indipendenti, in quanto non dipendono da altre variabili e vengono manipolate e controllate direttamente
dallo sperimentatore; le seconde variabili dipendenti, perché si ipotizza possano variare in funzione delle
variabili indipendenti. Quest’ultime vengono anche chiamate osservate, poiché lo scopo della ricerca è
quello di osservarle e valutarle per verificare o meno l’ipotesi.
Esiste anche un terzo tipo di variabili, definite intervenienti, o di disturbo, perché intervengono a
disturbare il rapporto tra le variabili indipendenti e dipendenti.
L’interazione tra le variabili è proprio l’oggetto centrale della ricerca.
L’ipotesi ne definisce con esattezza i termini, le procedure metodologiche servono a controllare gli effetti
“spuri” delle variabili intervenienti, il disegno della ricerca coordina tra loro questi elementi.
Vi sono:
1 – piani di ricerca in cui è possibile una manipolazione delle variabili indipendenti e un controllo rigoroso
delle variabili intervenienti: studi di laboratorio, studi di psicofisiologia clinica, uso di test psicodiagnostici
standardizzati, simulazioni su computer.
Questi ambiti garantiscono la possibilità di manipolare in modo preciso e rigoroso gli stimoli associati alla
variabile indipendente.
2 – piani di ricerca in cui non è possibile la manipolazione delle variabili indipendenti:
- Sperimentazioni “applicative”: in psicologia dell’educazione, sociale, del lavoro, clinica, riabilitazion;
- Ricerche in cui i gruppi sono già precostituiti
Si tratta di situazioni in cui lo sperimentatore deve avvalersi di quanto trova “in natura”.
3 – piani di ricerca in cui è possibile una manipolazione delle variabili, ma il grado di controllo delle
variabili intervenienti è limitato:
- Ricerche demoscopiche: sollecitazione della “opinione” mediante interviste o questionari;
- Metodo osservativo stimolato (tipico della ricerca di Piaget): osservazione delle risposte a
situazioni-stimolo con intervento attivo del ricercatore e interazione “clinica”;
- Ricerche mediante “role-playng”;
In questi casi gli stimoli possono essere programmati, anche se il contesto in cui vanno somministrati
lascia ampi margini a variazioni non controllabili.

4 – piani di ricerca in cui non è possibile alcuna manipolazione né controllo delle variabili intervenienti:
- Ricerche di osservazione delle interazioni sociali, delle modalità di comunicazione, delle espressioni
linguistiche spontanee e non provocate;
- Analisi di videoregistrazioni del funzionamento di famiglie o reparti lavorativi;
- Ricerche etologiche condotte sulla prima infanzia o sugli animali;
Si tratta di condizioni di ricerca “non sperimentali”, spesso definite “sul campo”.
Ciascuno di questi piani di ricerca va scelto in base alle condizioni e alle risorse che il ricercatore ha a
disposizione.

Capitolo 2 – Il modello sperimentale


Sub – Le condizioni sperimentali
Quando si conduce un esperimento, una delle prime scelte che il ricercatore deve compiere riguarda le
condizioni sperimentali: bisogna scegliere quanti e quali saranno i livelli della variabile indipendente. Una
variazione crea due condizioni, due variazioni creano tre condizioni, e così via. È necessario che la variabile
indipendente assuma livelli diversi.
Quando si deve decidere circa il numero di condizioni sperimentali, bisogna riuscire a ridurre le condizioni
sperimentali al minimo indispensabili per poter verificare le ipotesi.
Per poter trarre delle conclusioni abbiamo bisogno di almeno due condizioni sperimentali, cioè due varianti
della variabile indipendente.
È anche possibile avere più di due condizioni sperimentali, ma non sempre è utile.
Entrambe le modalità hanno una funzione di proporre modelli violenti.

Sub – Manipolazione e controllo delle variabili


Alcune variabili indipendenti possono essere attivamente manipolate dallo sperimentatore (ad esempio,
carattere violento vs. neutrale di un film); altre, invece, non possono essere manipolate dallo
sperimentatore. In questo caso, il ricercatore può solo dividere i soggetti in base a queste variabili.
Tali variabili per poter essere utilizzate devono essere operazionalizzate, ovvero devono essere tradotte in
precise definizioni concrete. Questo vale soprattutto per le variabili che non sono direttamente osservabili,
come ad esempio l’intelligenza.
Quando è possibile una manipolazione diretta della variabile indipendente, lo si può fare in vari modi.
Secondo Zajonc la familiarità di uno stimolo determina un aumento della sua piacevolezza. Naturalmente, il
ricercatore quando deve scegliere i valori da assegnare alla variabile indipendente, non può farlo del tutto
arbitrariamente: questo è necessario per evitare di perdere tempo e risorse.
In alcuni casi, non è possibile modificare direttamente i valori della variabile indipendente, ma si può
comunque modificarne il livello.
Tajfel e Wilkes hanno condotto un esperimento per verificare gli effetti della categorizzazione. I
partecipanti dovevano stimare la lunghezza di otto linee di diversa lunghezza (variabile dipendente). La
variabile indipendente (categorizzazione) aveva tre livelli: categorizzazione sistematica, categorizzazione
casuale, nessuna categorizzazione. In questo caso non è possibile variare i valori della variabile
indipendente, ma è comunque possibile fare in modo che la variabile assuma livelli diversi nelle varie
condizioni.
In alternativa alle procedure di categorizzazione delle variabili, si potrebbe scegliere un disegno
correlazionale nel quale tutti i valori di una variabile indipendente possono essere utilizzati.
Infine, un altro modo per manipolare la variabile indipendente consiste nel variare le istruzioni date ai
partecipanti.
Bettencourt ha condotto un esperimento per verificare gli effetti del tipo di orientamento (variabile
indipendente) sulla discriminazione intergruppi. La variabile indipendente aveva tre livelli, ottenuti
modificando le istruzioni date ai partecipanti: orientamento al compito (1), orientamento interpersonale (2)
e nessun orientamento (3). Nella condizione di (2) ai partecipanti si diceva che dovevano formarsi
un’accurata impressione di come erano i compagni di gruppo; nella condizione di (1) veniva detto che
durante il compito bisognava formarsi un’accurata impressione del compito che stavano svolgendo; infine,
nella condizione di controllo non si diceva nulla.
Una stessa variabile indipendente può essere manipolata in modo diversi: importante è che la
manipolazione deve essere la stessa per le due condizioni.
A prescindere dal tipo di manipolazione che si usa è sempre opportuno effettuare un controllo
dell’affidabilità della manipolazione stessa, ovvero avere un indicatore che ci assicuri che i diversi livelli
della variabile indipendente siano effettivamente percepiti come tali dai partecipanti.
Le variabili dipendenti vengono chiamate così poiché si ipotizza che la loro variazione dipenda dalle
variabili indipendenti: servono dunque a valutarne gli effetti.
Nella ricerca di Tajfel e Wilkes la variabile dipendente era rappresentata dalle stime di lunghezza delle
linee. Nella categorizzazione sistematica i partecipanti tendevano a sovrastimare la lunghezza delle quattro
linee più lunghe e a sottostimare la lunghezza delle quattro linee più corte. La categorizzazione ha
influenzato la stima delle lunghezze delle linee, poiché tali stime erano diverse nella condizione di
categorizzazione sistematica.
Anche per le variabili dipendenti, soprattutto quando sono variabili non direttamente osservabili, vale il
problema dell’operazionalizzazione, infatti anche queste variabili devono essere tradotte in definizioni
operative per poter essere utilizzate. Qualunque strumento usiamo per rilevare la variabile dipendente,
esso deve rappresentare sempre e solo la caratteristica che si vuole misurare.
Alcune volte nelle ricerche si usano più variabili dipendenti, che possono essere rappresentative di costrutti
diversi.
In altri casi, invece, il ricercatore può utilizzare più variabili dipendenti, tutte rappresentative dello stesso
costrutto.
Nella relazione tra la variabile indipendente e la variabile dipendente, possono entrare in gioco altre
variabili, che possono influenzare tale relazione.
Le variabili intervenienti, dette anche variabili “di disturbo”, sono variabili che ai fini della ricerca vengono
considerate fonte di errore, in quanto possono alterare i risultati attesi.

Capitolo 3 – I disegni sperimentali e il controllo


Sub – Procedure di controllo
Scopo della metodologia sperimentale è di tenere sotto controllo le possibili variabili intervenienti che
possono generare errori. È possibile distinguere due significati del concetto di controllo: l’esperimento di
controllo e il controllo sperimentale.
L’esperimento di controllo fa riferimento al fatto di avere un punto di paragone fisso, utile per confrontare
gli effetti di una variabile dipendente.
Il controllo sperimentale, invece, fa riferimento alla capacità di limitare i possibili effetti di disturbo.
I due tipi di controllo sono strettamente legati; l’esperimento di controllo permette di stabilire che la
variabile indipendente ha causato i cambiamenti della variabile dipendente; il controllo sperimentale,
invece, limita il numero di variabili che possono intervenire nella ricerca.
Sub2 – Strategie generali di controllo
Le strategie che hanno lo scopo di effettuare un controllo generale della ricerca sono: la situazione di
ricerca come “preparato”, il controllo nel laboratorio, la strumentazione e la ripetizione della ricerca.
1 – La situazione di ricerca come “preparato” si riferisce al fatto che il primo tipo di controllo riguarda
l’organizzazione della situazione di ricerca, ovvero la scelta del contesto, degli strumenti, della
manipolazione, e così via. Un aiuto può venire da precedenti esperimenti; lo sperimentatore, infatti,
consultando la letteratura esistente può costruire la propria ricerca.
2 – Il controllo di laboratorio si riferisce al luogo in cui la ricerca viene effettuata: tale luogo deve
permettere di eliminare o controllare le possibili variabili di confusione. Le variabili di confusione
dipendono dal tipo di ricerca che si sta conducendo. Il luogo in cui si effettua la ricerca deve consentire di
eliminare tutti gli stimoli ambientali che possono distrarre il soggetto dal compito. Inoltre, l’utilizzo del
laboratorio permette di mantenere costante la situazione in cui si effettua la ricerca: infatti, il contesto in
cui vengono raccolti i dati può influenzare i risultati.
In ambito psicosociale un laboratorio è qualunque ambiente che consente di controllare le variabili di
interesse di una particolare ricerca.
Infine, a prescindere dal luogo scelto per effettuare la ricerca, bisogna controllare quelle che vengono
definite caratteristiche di richiesta, ovvero tutti gli indizi presenti nella situazione di ricerca tramite i quali i
soggetti tentato di capire cosa si vuole da loro. Le caratteristiche di richiesta determinano dei cambiamenti
nei soggetti provocando ansia, curiosità, desiderio di assecondare o, al contrario, boicottare il ricercatore.
3 – La strumentazione utilizzata per rilevare le variabili in esame è un altro aspetto del controllo che varia
in base alla variabile che si intende misurare.
Il ricercatore per scegliere lo strumento più appropriato può avvalersi della letteratura esistente e
considerare gli strumenti che hanno provato avere le caratteristiche più adatte allo scopo. Le
caratteristiche indispensabili che lo strumento deve possedere sono:
- l’oggettività: ovvero, la somministrazione e l’interpretazione dei punteggi devono essere
indipendenti dal giudizio del singolo ricercatore;
- l’affidabilità o fedeltà: lo strumento, cioè, deve dare gli stessi risultati a prescindere da variazioni
momentanee dei soggetti o della situazione;
- la validità: lo strumento deve misurare la variabile per cui è stato costruito e non altre;
- la sensibilità: deve essere possibile tramite lo strumento cogliere i diversi livelli della variabile in
esame.
4 – Infine, l’ultima strategia di controllo è rappresentata dalla ripetizione della ricerca, che mira ad
aumentare l’affidabilità dei risultati; se ripetendo una ricerca si ottengono gli stessi risultati, allora si può
dire che i risultati sono affidabili. Esistono due tipi di ripetizione: esatta e sistematica:
- la ripetizione esatta consiste nel ripetere la ricerca nel modo più fedele possibile all’originale;
- la ripetizione sistematica, invece, consiste nel ripetere la ricerca apportando delle modifiche.
Nella ripetizione sistematica, il ricercatore può modificare lo strumento, i soggetti, il contesto in cui si
svolge, e così via: l’importante è modificare una sola variabile per volta, per evitare effetti di confusione.

Sub – Strategie specifiche


Le strategie specifiche di controllo più importanti riguardano la selezione del campione, l’assegnazione dei
soggetti alle condizioni sperimentali, il controllo degli effetti di ordine e sequenza.

Sub2 – La selezione del campione


Con popolazione di riferimento della ricerca si intende l’intero universo di casi potenzialmente reperibili.
Con campione, invece, si intende solo una parte di questo universo. La popolazione accessibile (available) è
quella parte della popolazione bersaglio (target) che concretamente può essere raggiunta ed esaminata.
La scelta del campione è essenziale per organizzare una buona ricerca: se il campione non è
rappresentativo della popolazione di riferimento, i risultati non potrebbero essere estesi a questa.
Esistono vari metodi di campionamento in relazione alle specifiche esigenze della ricerca, che possono
essere distinti in:
1 – campionamenti probabilistici: prevedono che ogni elemento della popolazione abbia la stessa
probabilità di essere scelto per entrare a fare parte del campione.
2 – campionamenti non probabilistici: si hanno quando gli elementi della popolazione non hanno la stessa
probabilità di essere estratti per fare parte del campione; in questo caso si cerca di costituire campioni
rappresentativi delle categorie di variabili che interessano il ricercatore.
Quando si effettua un campionamento non probabilistico è possibile incorrere in un errore sistematico
(bias) che può distorcere i risultati ottenuti. Il bias più frequente consiste nella scelta dei soggetti più
facilmente reperibili, ad esempio studenti universitari, adolescenti scolarizzati, lavoratori ecc. In tutti questi
casi bisogna fare attenzione alla generalizzazione dei risultati.
Nel campionamento casuale gli elementi del campione vengono estratti in maniera del tutto casuale. Per
poterlo applicare è necessario disporre di una lista completa e precisa degli elementi che compongono la
popolazione. Affinché tale campionamento sia attendibile è necessario che il campione abbia una
numerosità che oscilli tra il 5 e il 10% della popolazione.
In alcuni casi, questa percentuale può significare avere un campione molto numeroso. Se, invece, non è
possibile avere un campione molto numeroso si può ricorrere al campionamento casuale stratificato, in cui
si suddivide la popolazione in sottopopolazioni definite clusters (grappoli in italiano), in base ad una o più
variabili di rilievo per l’indagine (ad esempio età, genere, livello di istruzione); infine si estraggono in
maniera casuale gli elementi del campione di tali raggruppamenti.

Sub2 – L’assegnazione dei soggetti alle condizioni sperimentali


È necessario controllare il modo in cui i soggetti vengono assegnati ai vari gruppi di ricerca. Una buona
assegnazione dei soggetti ci permette di controllare l’intervento di possibili variabili di disturbo che
potrebbero influenzare i risultati.
Per creare i gruppi che parteciperanno alle varie condizioni sperimentali, è preferibile utilizzare il metodo
dell’assegnazione casuale (o randomizzata). Questo metodo consente di neutralizzare i possibili effetti
delle variabili di disturbo.
Non sempre il metodo dell’assegnazione casuale ai gruppi è possibile, specie se le variabili da controllare
sono tante e il campione è piccolo. In questo caso, si può procedere tramite il metodo definito del
pareggiamento dei soggetti nei gruppi, che consiste nel rendere i gruppi simili rispetto alla variabile da
controllare.
Un particolare tipo di pareggiamento è l’appaiamento (matching) uno a uno dei soggetti rispetto alle
variabili da controllare.
Il pareggiamento può essere anche utilizzato per rendere equivalenti due gruppi da sottoporre a
trattamento: in questo caso la variabile di controllo può essere la posizione nella valutazione iniziare
rispetto alla variabile dipendente.
Nei disegni di ricerca in cui due gruppi omogenei tra loro sono sottoposti a condizioni diverse, il controllo
delle variabili avviene fra i gruppi (between groups), cioè utilizzando l’assegnazione dei soggetti a gruppi
diversi sia per verificare l’ipotesi relativa alle variabili indipendenti, sia per pareggiare l’effetto delle
potenziali variabili di disturbo. In alcuni casi il controllo avviene all’interno del gruppo stesso (within group),
cioè quando si considerano gli stessi soggetti prima e dopo un trattamento. In questo tipo di controllo, ogni
soggetto è sottoposto a tutte le condizioni sperimentali, per cui viene ridotta la variabilità proveniente dalle
differenze tra i soggetti.

Sub2 – Controllo degli effetti di ordine e sequenza


Utilizzare i soggetti come controllo di sé stessi presenta degli inconvenienti derivanti dal fatto che gli stessi
soggetti devono ripetere, in condizioni diverse, le prove relative alla variabile dipendente (effetto di ordine
o di pratica).
Oltre questo effetto, può crearsi un effetto di sequenza o contrasto, ovvero quando una prova eseguita per
prima può influenzare quella eseguita successivamente.
Una soluzione a questi inconvenienti è rappresentata dal contro bilanciamento, che consiste nel bilanciare
l’ordine delle condizioni in modo che quella che è presentata per prima alla metà dei soggetti sia
presentata per seconda all’altra metà.

Sub – Disegni monofattoriali


I disegni monofattoriali sono quei disegni che hanno una sola variabile indipendente che agisce tra i gruppi
(ogni gruppo viene sottoposto ad una sola condizione sperimentale) o entro il gruppo (ogni gruppo viene
sottoposto a tutte le condizioni sperimentali).

Sub2 – Tra i gruppi


Una variazione di questo disegno, si ha quando manca il pre-test. In questo l’equivalenza dei gruppi è
garantita dal fatto che i soggetti sono assegnati casualmente alle due condizioni, annullando quindi
l’intervento di possibili variabili di disturbo.
Un’altra variazione si ha quanto la variabile indipendente ha più di due livelli. In questo caso abbiamo
bisogno di tanti gruppi quanti sono i livelli della variabile indipendente.

Sub2 – Entro i gruppi


Quando il disegno è entro il gruppo tutti i soggetti sono sottoposti a tutte le condizioni sperimentali: per
questo abbiamo bisogno di un unico gruppo di soggetti. Nel caso più semplice, abbiamo solo due livelli della
variabile indipendente in cui lo stesso gruppo viene sottoposto a entrambe le condizioni sperimentali.
Vediamo ora quali sono i possibili esiti di un disegno monofattoriale. Affinché una variabile dipendente
produca effetti significativi, i livelli della variabile dipendente devono essere significativamente diversi:
questa significatività consente di escludere la casualità dei risultati ottenuti.

Sub – Disegni multifattoriali


I disegni multifattoriali analizzano contemporaneamente più variabili indipendenti. Tramite questi disegni
è possibile sia analizzare l’effetto principale di ogni variabile, sia l’interazione tra queste. L’effetto
principale indica l’effetto che una variabile indipendente ha sulla variabile dipendente a prescindere dagli
effetti delle altre variabili indipendenti. Si ha un’interazione quando l’effetto che una variabile
indipendente ha sulla variabile dipendente non è lo stesso per tutti i livelli delle altre variabili indipendenti.
Il disegno 2x2 è un disegno con due variabili indipendenti, ognuna delle quali ha due livelli. In questo
disegno abbiamo quattro condizioni sperimentali (A1 B1, A2 B1, A1 B2, A2 B2), date dall’interazione dei due
livelli delle due variabili indipendenti. Se il disegno è entro i soggetti dobbiamo sottoporre lo stesso gruppo
alle quattro condizioni. Se, invece, il disegno è tra i soggetti abbiamo bisogno di quattro gruppi (equivalenti)
ognuno dei quali viene sottoposto ad una condizione.
I disegni fattoriali diventano più complicati se abbiamo più di due variabili indipendenti o se ogni fattore ha
più livelli. Nel primo caso possiamo avere un disegno 2x2x2, ovvero un disegno con tre variabili
indipendenti, ognuno a due livelli, quindi otto condizioni sperimentali.
Se il disegno è tra i gruppi abbiamo bisogno di otto gruppi.
Nel secondo caso, invece, possiamo avere un disegno 2x3, in cui abbiamo due variabili indipendenti, la
prima con due livelli, la seconda con tre, ottenendo sei condizioni sperimentali.
Le cose si complicano ulteriormente se abbiamo più variabili indipendenti ognuna con più livelli. In un
disegno 4x3x2, abbiamo tre variabili indipendenti: la prima con quattro livelli, la seconda con tre e la terza
con due.
I disegni possono essere sia tra i gruppi sia entro il gruppo. Nel primo caso si pongono i problemi di
assegnazione casuale dei soggetti ai gruppi; nel secondo caso, invece, bisogna evitare la dipendenza tra le
situazioni e ovviare ai problemi di ordine e sequenza.
Esistono anche disegni misti, in cui una variabile è controllata tra i gruppi, e una entro i gruppi.
I disegni fattoriali sono particolarmente utili nella ricerca sperimentale. Più le variabili indipendenti sono
numerose e più sono i livelli in cui esse si articolano, più sottogruppi saranno necessari; affinché il numero
di soggetti in ognuno di essere sia sufficiente a rendere affidabili le analisi dei dati (minimo 10 per ogni
condizione) occorre un campione totale molto numeroso e spesso difficile da ottenere. Inoltre,
l’interpretazione degli effetti e delle interazioni diventa difficile quando le variabili sono numerose. Un
disegno fattoriale con tre variabili, di cui due a tre livelli e una a due, comporta 3x3x2 = 18 gruppi per un
totale di 180 soggetti.
I soggetti giovani e di livello d’istruzione basso possono risultare difficilmente reperibili o poco disponibili a
sottoporsi all’esperimento. Per questo motivo, è possibile utilizzare disegni incompleti, che omettono dei
livelli delle variabili indipendenti, anche se ciò può comportare problemi al momento dell’analisi e
interpretazione dei dati.
Nei disegni monofattoriali, se la variabile indipendente ha avuto effetti significativi, allora i livelli delle
variabili dipendenti nelle varie condizioni sperimentali dovrebbero essere significativamente diversi. Questo
vale per gli effetti principali; nel caso dell’interazione, invece, se questa risulta significativa, dovremmo
trovare che le differenze tra i livelli sono diverse. Se l’interazione tra due variabili non è significativa
dovremmo avere due linee parallele o che si sovrappongono; se, invece, abbiamo due linee che non sono
parallele, allora l’interazione è significativa.

Capitolo 4 – Strategie alternative ai metodi sperimentali


Sub – I metodi descrittivi
Il metodo descrive le variabili in esame, non prevede alcuna manipolazione della variabile indipendente né
un controllo completo sulle variabili che possono modificare i risultati della ricerca (per questo viene
definita ricerca “esplorativa”.
Quando la ricerca valuta la relazione esistente tra i livelli di più variabili, viene definita correlazionale. La
correlazione implica la stima del grado in cui due variabili covariano.
Il rapporto casuale, in questo tipo di disegni, va inferito per via logica, ovvero in base a specifiche ipotesi
sulla natura delle variabili in gioco.
Per poter stabilire una relazione causale tra le due variabili, il ricercatore dovrà condure un esperimento,
manipolando la variabile di interesse.
Limite 1 -> Uno dei limiti della ricerca non sperimentale riguarda l’impossibilità di stabilire chiare relazioni
causa-effetto.
Limite 2 -> Un altro limite si riferisce al fatto che, tramite queste metodologie, non è possibile influenzare i
risultati ottenuti.
Nonostante i limiti segnalati, i metodi non sperimentali sono largamente utilizzati in psicologia, sia nelle fasi
preliminari di un’indagine, sia quando non è possibile ricorrere ai metodi sperimentali.

Sub2 – La ricerca d’archivio


La ricerca d’archivio consiste nell’analisi di dati raccolti da altre persone, diverse dal ricercatore, in altri
momenti che non sono quelli della ricerca. Tali dati nella maggior parte dei casi, sono conservati in registri o
archivi.
La ricerca d’archivio ha il vantaggio di poter essere utilizzata quando non è possibile l’utilizzo di altre
metodologie, ad esempio, se si vogliono studiare fenomeni accaduti nel passato, oppure argomenti molto
delicati come l’aborto o la pedofilia in cui l’approccio sperimentale è impossibile.
Due sono gli scopi principali della ricerca d’archivio:
1 – esse vengono effettuate per descrivere un particolare fenomeno.
2 – le ricerche d’archivio vengono anche effettuate per delineare la relazione esistente tra alcune variabili,
senza comunque stabilire un rapporto di causalità
Vantaggi della ricerca d’archivio:
1 – non produce l’effetto di reattività nei partecipanti, poiché i dati sono stati registrati al di fuori del
contesto di ricerca.
2 – permette di verificare ipotesi relative ad alcuni fenomeni, come ad esempio, quelli accaduti in passato.
3 – non richiede molte risorse, come apparecchiature costose o laboratori sofisticati. Sono sufficienti le
autorizzazioni per accedere ai dati.
Limiti della ricerca d’archivio:
1 – gli archivi non sempre contengono tutte le informazioni di cui il ricercatore potrebbe avere bisogno.
2 – non sempre i dati sono raccolti con criteri rigorosi.
3 – non tutte le informazioni vengono conservate per lungo tempo, dopo un determinato periodo le
informazioni ritenute inutili vengono distrutte.

Sub2 – L’osservazione naturalistica


Uno degli strumenti utilizzati nell’osservazione naturalistica è la griglia di osservazione. L’osservazione
dettagliata del comportamento è un tipico esempio di osservazione naturalistica. L’osservazione può
essere definita come una tecnica di rilevazione del comportamento che consiste nel “guardare” cosa
succede a particolari soggetti, in una data situazione. Nell’osservazione naturalistica il soggetto viene
osservato nel suo ambiente naturale, senza essere disturbato dal processo di osservazione, ovvero senza
manipolare alcuna variabile. Quando si conduce un’osservazione naturalistica, il ricercatore dovrebbe
nascondere la propria presenza usando specchi unidirezionali oppure una videocamera che i soggetti non
possono vedere.
Quando il ricercatore non può nascondere la propria presenza, si può ricorrere all’osservazione
partecipante, in cui il ricercatore entra nella scena da osservare, senza, comunque, interferire con essa
(non intrusività).
Uno dei vantaggi dell’osservazione è che essa rispetta la naturalità del comportamento; tuttavia, questo
costituisce anche uno dei suoi limiti, poiché non si è in grado di individuare le cause di un comportamento.
L’osservazione, per essere valida, deve attenersi ad alcune regole fondamentali.
1 – una di queste riguarda la sistematicità con cui si osserva il comportamento. Il ricercatore deve scegliere
solo quelle interazione che ritiene più inerenti alle proprie ipotesi.
2 – l’altra regola importante riguarda la registrazione del comportamento, che può avvenire sia tramite
videocamera sia utilizzando il metodo carta e matita. La registrazione deve riguardare sempre i dati e mai le
deduzioni, soprattutto quando si usa il metodo carta e matita.
Infine, è bene ricordare alcune questioni etiche relative all’osservazione naturalista.
1 – uno dei principi etici della ricerca psicosociale riguarda il consenso informato: i partecipanti devono
conoscere la natura della ricerca e acconsentire a partecipare.

Sub2 – L’inchiesta
L’inchiesta è una particolare forma di raccolta dei dati in cui le risposte vengono sollecitate mediante
stimoli scritti cui le persone devono rispondere.
Nell’inchiesta si desidera ottenere un’opinione relativa ad un particolare argomento. Possiamo, quindi,
definire l’inchiesta come una tecnica che ha lo scopo di conoscere opinioni, atteggiamenti, comportamenti,
stili di vita, di una data popolazione. Essa consiste nel porre un insieme ordinato di domande relative
all’argomento in esame, ad un campione rappresentativo della popolazione.
L’inchiesta può essere condotta sia con gruppi sociali ampi e su argomenti generali, sia con gruppi e con
argomenti specifici. Inoltre, tramite l’inchiesta, è possibile verificare se esiste una relazione tra variabili.
La raccolta dei dati può avvenire in vari modi, intervistando direttamente o telefonicamente i partecipanti,
oppure inviando loro un questionario postale.
La raccolta dei dati relativi ad un’inchiesta deve avvenire nel minor tempo possibile, al fine di evitare
distorsioni dovute a repentini cambiamenti nel contesto sociale di riferimento. Tuttavia, alcuni tipi di
inchieste vengono effettuati in periodi di tempo lunghi: ad esempio le inchieste longitudinali, il cui scopo è
verificare se avvengono dei cambiamenti nel campione della variabile di interesse. Un altro tipo di inchiesta
è quella trasversale, in cui si analizza lo stesso fenomeno prendendo in considerazione gruppi diversi di
soggetti.
Le inchieste sono molto utili quando bisogna analizzare un grande numero di persone, in quanto le risposte
precodificate facilitano le successive analisi dei dati. Tuttavia, presentano dei limiti, tra cui la superficialità
delle risposte, per cui i risultati spesso si limitano a semplice descrizioni, e il costo molto elevato, in quanto
per essere attendibili le inchieste devono utilizzare campioni molto ampi e rappresentazioni della
popolazione di riferimento.

Sub2 – Studi longitudinali


La memoria fonologica e la consapevolezza fonemica sono due componenti che influenzano
l’apprendimento della lettura nei bambini. D’Amico si è proposta di verificare il ruolo di queste due
componenti nell’apprendimento della lettura, ipotizzando che i bambini che presentavano bassi livelli in
queste due abilità, nel periodo della scuola dell’infanzia, avrebbero avuto, in anni successivi, maggiori
difficoltà nell’imparare a leggere. Per verificare questa ipotesi, la ricercatrice ha condotto uno studio a cui
ha partecipato un gruppo di bambini, che veniva analizzato in tre diversi momenti dello sviluppo: ultimo
anno della scuola dell’infanzia, primo e secondo anno della scuola prima. I risultati ottenuti indicano che gli
effetti della memoria fonologica e della consapevolezza fonemica sull’apprendimento della lettura variano
in funzione del livello di sviluppo raggiunto. In particolare, la memoria fonologica, interagisce con la
correttezza della lettura, ma solo nel primo anno della scuola primaria; nel secondo anno, invece, il
processo di conversione grafema-morfema è divenuto automatico, quindi la memoria fonologica non
interagisce più con la correttezza della lettura. Per quanto riguarda la comprensione della lettura, nel primo
anno della scuola dell’infanzia, entrambe le variabili considerate giocano un ruolo determinante; nel
secondo anno, invece, la comprensione della lettura è influenzata solo dalla memoria fonologica che
consente al bambino di mantenere in memoria tutti gli elementi che compongono la parola o la frase per
poterla comprendere.
Il disegno longitudinale e il disegno trasversale hanno lo scopo di analizzare cambiamenti che avvengono
con il trascorrere del tempo. Tuttavia, il loro approccio è differente: nello studio longitudinale (studio di
panel) si seleziona un gruppo di individui che viene poi analizzato a intervalli di tempo regolari; nello studio
trasversale (studio di trend), invece, si selezionano più gruppi, con diversi livelli di età, in cui si analizzano i
cambiamenti della stessa caratteristica.
Se si vuole condurre una ricerca per analizzare lo sviluppo del linguaggio nei bambini, adottando il disegno
longitudinale, è necessario rilevare le capacità linguistiche dello stesso campione di bambini più volte nel
tempo; se, invece, si utilizza il disegno trasversale, si selezionano più campioni di bambini di diversa età e si
rilevano le loro abilità linguistiche.
Un problema degli studi trasversali consiste nell’effetto della coorte di età. Questi studi analizzano gruppi
di individui di età diversa che hanno avuto esperienze diverse, per cui non è sempre possibile confrontare i
dati. Spesso, queste differenze tra i due gruppi possono essere confuse con la differenza di età. Per questo
motivo sarebbe preferibile utilizzare disegni longitudinali, tuttavia anche questo tipo di disegno presenta
dei problemi:
1 – uno riguarda il fatto che alcuni soggetti possono ritirarsi dalla ricerca.
2 – un altro problema si riferisce al fatto che, durante l’arco di tempo in cui si svolge la ricerca, avvenga
qualcosa che interferisce con la ricerca stessa, modificandone i risultati.
Gli studi longitudinali e trasversali sono spesso utilizzati nella ricerca descrittiva; inoltre possono essere
utilizzati anche per condurre esperimenti.
Sub2 – Lo studio di casi singoli
Un caso particolare di ricerca longitudinale è lo studio intensivo e prolungato nel tempo di un singolo caso.
Il caso di Anna O., per esempio, è un tipico caso di studio non sperimentale di casi singoli. Tale tecnica
consiste nell’analizzare, in maniera intensiva, il comportamento di una singola persona.
Negli studi sui casi singoli la raccolta dei dati avviene prevalentemente tramite colloqui.
Gli studi su casi singoli vengono di solito utilizzati quando il caso da studiare è raro o unico, in quanto hanno
il vantaggio di fornire una descrizione profonda e accurata del caso in esame. Tuttavia i risultati che si
ottengono sono difficilmente generalizzabili.

Sub – I quasi-esperimenti
Lo scopo della ricerca sperimentale è verificare l’esistenza di relazioni causa-effetto tra le variabili. È
possibile stabilire che tra due variabili esiste una relazione causale quando le modifiche della variabile
dipendente sono causate dalle manipolazioni della variabile indipendente e non dall’influenza di altre
variabili. I veri esperimenti prevedono un controllo completo da parte del ricercatore su tutte le variabili.
Nei quasi-esperimenti, invece, il ricercatore non può controllare tutte le variabili. La differenza è che nei
quasi-esperimenti non è possibile assegnare casualmente i soggetti alle varie condizioni sperimentali, ma
solo selezionarli in base a raggruppamenti già esistenti.
I quasi-esperimenti si chiamano anche “ex post facto” (dopo il fatto), in quanto l’esperimento avviene dopo
che i gruppi sono stati formati in base a criteri che non è stato il ricercatore a decidere.
È possibile anche effettuare degli esperimenti che combinano variabili veramente sperimentali e variabili
quasi-sperimentali.

Sub2 – Disegni con gruppo di controllo non equivalente


Quando si ha un disegno con una condizione di controllo non equivalente, e quindi non si ha a
disposizione due gruppi di soggetti equivalenti, è possibile ricorrere a un disegno con un gruppo di
controllo non equivalente.
In questo tipo di disegni, poiché manca l’assegnazione casuale dei soggetti, per verificare l’equivalenza dei
gruppi è necessario formare il gruppo di controllo facendo in modo che sia più simile possibile al gruppo
sperimentale. Inoltre, è necessario effettuare un pre-test, ovvero una rilevazione prima del trattamento; se
da questo emergono risultati simili per i due gruppi, possiamo dire che essi sono equivalenti.
Possiamo avere un disegno con gruppo di controllo non equivalente e due prove, una prima e una dopo il
trattamento. Il gruppo A rappresenta il gruppo sperimentale che viene sottoposto in ordine al pre-test, al
trattamento e al post-test; il gruppo B, invece, rappresenta il gruppo di controllo, che viene sottoposto solo
al pre-test (prima) e al post-test (dopo).
In questo tipo di disegno, per verificare se il trattamento è stato efficace, è necessario confrontare le
differenze pre-test/post-test dei due gruppi, ovvero confrontare la differenza tra il pre-test e il post-test del
gruppo A con la differenza tra il pre-test e il post-test del gruppo B.
- Nel caso A i due gruppi hanno lo stesso livello iniziale della variabile di interesse.
La prestazione del gruppo sperimentale migliora in seguito al trattamento, mentre quella del gruppo di
controllo rimane invariata. Il rendimento iniziale dei gruppi è uguale.
- Nel caso B la prestazione del gruppo di controllo rimane invariata nelle due rilevazioni, mentre la
prestazione del gruppo sperimentale, diventa migliore della seconda. Se il trattamento non avesse avuto
effetto, le prestazioni dei due gruppi sarebbero state uguali.
- Nel caso C, il livello iniziare e quello finale della variabile in esame sono gli stessi per i due gruppi. in
questo caso non ha avuto effetto.
- Nel caso D i due gruppi hanno prestazioni diverse sia prima sia dopo il trattamento. Il risultato non
dipende dal trattamento perché l’aumento è uguale in entrambi i gruppi.
- Nel caso E, il rendimento iniziale e quello finale dei due gruppi sono diversi, ma, all’interno di ciascun
gruppo, non c’è stato alcun cambiamento tra le due rilevazioni. In questo caso il trattamento non ha avuto
effetto, poiché non c’è stato alcun miglioramento nel gruppo sperimentale.
- Nel caso F, i livelli di partenza dei due gruppi sono diversi, le prestazioni del gruppo sperimentale
migliorano, mentre quelle del gruppo di controllo rimangono invariate. In questo caso sembrerebbe che il
trattamento abbia avuto effetto; tuttavia, è possibile che questi risultati siano dovuti a fattori di confusione,
come la regressione verso la media, fenomeno per cui i soggetti che hanno ottenuto punteggi estremi nel
pre-test ottengono punteggi più vicini alla media nel post-test. Inoltre, è possibile che i risultati del post-
test dipendano dall’effetto tetto.

Sub2 – Disegni con regressione discontinua


Nei disegni con regressione discontinua vi è una correlazione fra i risultati precedenti e quelli successivi al
trattamento.
I disegni con regressione discontinua non sempre sono facili da interpretare; infatti, solo in pochi casi i dati
si raggruppano perfettamente in due linee distinte. Quando questo non succede, non è possibile stabilire
l’efficacia del trattamento con la semplice ispezione visiva dei grafici (visual analysis), ma occorrono analisi
statistiche appropriate a questo specifico disegno sperimentale.

Sub2 – Disegni senza gruppo di controllo e serie temporali


Quando non è possibile disporre di un gruppo di controllo che possa partecipare all’esperimento, è
possibile adottare due tipi di disegno che rispondono ad una logica longitudinale: il disegno a serie
temporale interrotta e il disegno con trattamento ripetuto.
Il disegno a serie temporale interrotta è un disegno con un solo gruppo, in cui si rileva la variabile
dipendente (Y) più volte sia prima sia dopo il trattamento (X). Lo scopo delle rilevazioni ripetute è quello di
aumentare la validità interna del disegno. Una singola rilevazione, infatti, potrebbe non essere affidabile,
poiché potrebbe dipendere da vari fattori casuali.
Nel disegno a serie temporale interrotta si utilizza solo un gruppo di soggetti.
La tendenza dei dati prima del trattamento viene definita linea di base e viene utilizzata come punto di
paragone fisso con cui confrontare i dati dopo il trattamento. Prima del trattamento, la linea di base
dovrebbe essere piatta e stabile, mentre dopo il trattamento dovrebbe cambiare di livello.
Questo tipo di disegno può essere utilizzato anche per studiare fenomeni su larga scala, come quando si
verificano gli effetti di un evento, che può fungere da trattamento.

Sub2 – Disegni con serie temporale e gruppo di controllo


Si può applicare questo disegno anche quando è possibile avere un gruppo di controllo. Adottando questo
disegno è possibile verificare gli effetti del trattamento sia all’interno dello stesso gruppo, sia tra i gruppi.

Sub2 – Disegni con trattamenti ripetuti


Un altro tipo di disegno che si può applicare quando non si dispone di un gruppo di controllo è il disegno
con trattamento ripetuto, in cui il trattamento viene somministrato più volte.
Sia il disegno con serie temporale interrotta sia quello con trattamento ripetuto vengono spesso utilizzati
negli esperimenti sui soggetti singoli.

Sub2 – Disegni a “base-line”


Nella ricerca su casi singoli è molto usato il disegno definito a “base-line”. Esso è fondato su una prima
rilevazione del livello “di base” precedente l’intervento, e questa rilevazione viene ripetuta ad intervalli
durante l’intervento e successivamente ad esso. Queste rilevazioni intermedie o finali si svolgono in
assenza di trattamento.
Il disegno prevede:
1 – una prima fase in cui si rilevano i dati relativi alla variabile in esame senza che venga intrapreso
l’intervento su questa variabile (fase detta appunto base-line);
2 – una fase di intervento in cui la rilevazione dei dati continua mentre si attua il trattamento;
3 – un secondo base-line per verificare se la variabile torna a livello di base iniziale.
Nel disegno a base-line le fasi sono connesse ad uno specifico trattamento attuato dallo sperimentatore: si
tratta di un vero e proprio disegno quasi-sperimentale in cui ogni soggetto (o gruppo) che è rappresentato
nel disegno fa da controllo a sé stesso in fasi diverse.
Le fasi di trattamento possono essere più di una allo scopo di confrontare tra loro due diversi tipi di
trattamento. Ulteriori base-line si effettuano al termine delle fasi di trattamento: se il trend atteso è di tipo
positivo, il livello dovrebbe crescere.
Al fine di evitare che venga trattata una sola variabile per volta si possono programmare disegni a “base-
line” sovrapposti (due prestazioni diverse e trattate separatamente vengono confrontate tra loro nella
stessa analisi) o multipli (più base-line vengono sovrapposti in un’unica sperimentazione).

Sub2 – La metanalisi
Nella metanalisi si prendono studi/dati già analizzati. Tale metodo non sperimentale consente di
quantificare l’effetto medio ottenuto nei diversi studi e di mettere in relazione gli effetti ottenuti nei singoli
studi.
La metanalisi può essere definita come una metodologia che consente di sintetizzare e confrontare i
risultati ottenuti da più studi.
La metanalisi può anche essere usata per cumulare effetti ottenuti in studi con soggetti singoli, costituendo
pertanto un valido strumento per generalizzare risultati considerati “idiografici”, cioè limitati al ristretto
ambito costituito dai soggetti in esame.

Capitolo 5 – La validità
Vi sono quattro tipi di validità: validità interna, validità di costrutto, validità esterna, validità statistica.
Sub – Validità interna
La validità interna si riferisce alla relazione tra la variabile indipendente e quella dipendente: vi è validità
interna quando la relazione tra queste due variabili è di tipo casuale.

Sub2 – Minacce alla validità interna e metodi per ridurle


Esistono vari fattori che possono minacciare la validità interna: variabili di confusione, errori dovuti al
soggetto ed errori dovuti allo sperimentatore.

Sub3 – Le variabili di confusione


Le variabili di confusione sono variabili che possono alterare la relazione tra le variabili sperimentali:
vengono anche definite intervenienti o di disturbo. Tra queste abbiamo gli eventi esterni, la storia reale, la
“maturazione”, l’effetto delle prove, la strumentazione, la regressione verso la media, la selezione e la
mortalità.
1 – gli eventi esterni si riferiscono all’intervento di eventi non previsti come l’interruzione della corrente
mentre il soggetto esegue una prova al computer: è impossibile evitare del tutto questi eventi
imprevedibili.
2 – il concetto di storia reale si riferisce a qualsiasi evento che interferisce durante un esperimento che
prevede un andamento longitudinale che si sovrappone all’effetto della variabile indipendente. Questo
effetto si verifica soprattutto nei disegni con due misurazioni, una prima e una dopo il trattamento (pre-test
e post-test). Quando la ricerca viene effettuata sui gruppi, l’effetto si riferisce a un evento che riguarda tutti
i soggetti. Quando, invece, la ricerca è condotta su un unico soggetto, l’effetto si riferisce ad un evento
personale.
3 – i processi di “maturazione” (o evolutivi), si riferiscono ai cambiamenti sistematici, biologici o psicologici,
che avvengono con il passare del tempo. Gli effetti dei processi di maturazione si verificano soprattutto nei
disegni longitudinali che prevedono più misurazioni nel corso del tempo: in questo caso è possibile che i
cambiamenti riscontrati nelle variabili dipendano da cambiamenti naturali dei soggetti e non dal
trattamento. L’influenza può essere positiva oppure negativa. L’unico modo per tenere sotto controllo i
processi di maturazione consiste nell’avere un gruppo di controllo in cui si effettuano misurazioni ripetute
delle variabili oggetto di ricerca parallelamente al gruppo sperimentale.
4 – l’effetto delle prove si riferisce al fatto che la partecipazione stessa all’esperimento può influenzare le
successive prestazioni, a causa dell’apprendimento. Questo effetto si verifica soprattutto nei disegni che
hanno un pre-test.
5 – gli errori dovuti alla strumentazione fanno riferimento al fatto che il mezzo prescelto può non essere
adatto a rilevare le variabili che si stanno studiando. Per evitare di usare uno strumento sbagliato è bene
fare un’attenta analisi della letteratura esistente, mentre, per ridurre le fluttuazioni momentanee, è
necessario mantenere il più possibile costante la situazione sperimentale. Gli errori dovuti alla
strumentazione possono anche derivare dall’inserimento dei dati nella banca dati. Proseguire senza
accorgersi dell’errore può provocare errori irreparabili nei successi calcoli statistici.
6 – l’effetto della regressione verso la media si riferisce al fatto che i punteggi estremi tendono a
convergere verso la media. Questo effetto si può ridurre se tutti i soggetti hanno analoga possibilità di
incremento nella ripetizione della prova.
7 – gli effetti della selezione riguardano sia il modo in cui si effettua il campionamento, sia l’assegnazione
dei soggetti alle condizioni sperimentali.
8 – l’effetto della mortalità si riferisce al fatto che alcuni soggetti dopo essere stati sottoposti alla prima
prova possono ritirarsi o comunque venir meno al campione della ricerca. Non esiste, in questo caso,
alcuna strategia efficace per evitare che i soggetti abbandonino la ricerca. Se si tratta di una ricerca
longitudinale occorre tener conto di quali soggetti sono venuti a mancare, in quanto potrebbero far parte di
un sottogruppo particolare.

Sub3 – Gli errori dovuti al soggetto


Gli errori dovuti al soggetto dipendono dall’oggetto di studio della psicologia. Gli errori dovuti al soggetto
sono: l’effetto Hawthorne, l’acquiescenza, la desiderabilità sociale, le caratteristiche di richiesta e le
conoscenze del soggetto.
1 – l’effetto Hawthorne si riferisce ai risultati di una ricerca condotta dalla Harvard School di Chicago negli
stabilimenti di un’azienda elettrica dell’Illinois. L’effetto Hawthorne si riferisce al fatto che il soggetto della
ricerca si rende conto di essere oggetto di osservazione e questo modifica il suo comportamento. Per
eliminare questo tipo di distorsioni è possibile fare in modo che il soggetto non sappia che sta partecipando
alla ricerca. È possibile, anche, utilizzare il metodo del singolo cieco, che consiste nel nascondere ai soggetti
non solo lo scopo generale della ricerca ma anche la condizione sperimentale a cui sono stati assegnati.
2 – l’acquiescenza è la tendenza a dare una risposta piuttosto che un’altra in base a contingenze e a
predisposizioni particolari.
3 – la desiderabilità sociale è strettamente legata all’acquiescenza, ovvero alla tendenza di alcuni soggetti a
rispondere nel senso socialmente approvato, indipendentemente dal fatto che la risposta sia congruente
con quanto effettivamente pensano.
4 – le caratteristiche di richiesta sono una serie di indizi che spingono il soggetto a dare una risposta
piuttosto che un’altra. Il comportamento dei soggetti può essere alterato da segnali impliciti (carrello
d’emergenza) presenti nella situazione di ricerca. Per limitare questi effetti è necessario condurre la ricerca
in un ambito neutro.
5 – le conoscenze del soggetto influenzano i risultati della ricerca perché possono produrre risposte che
vanno in direzione dell’obiettivo della ricerca, o, al contrario, possono spingere il soggetto a non
collaborare. Si può trattare di conoscenze relative sia alla psicologia in generale sia alle procedure della
particolare ricerca che si sta svolgendo. Nel primo caso è possibile dare al soggetto istruzioni che lo
spingano a evitare di fare inferenze; nel secondo caso è consigliabile somministrare un questionario per
raccogliere informazioni sulle competenze pregresse del soggetto che potrebbero influire sulla prestazione.
Infine, per evitare che i soggetti si comunichino le procedure, è bene tenere fisicamente separati i soggetti
che hanno già partecipato alla ricerca da quelli che non lo hanno ancora fatto.

Sub3 – Gli errori dovuti allo sperimentatore


Gli errori dovuti allo sperimentatore si possono dividere in: caratteristiche fisiche e di personalità dello
sperimentatore, aspettative ed errori sistematici che egli può compiere nell’interazione con i soggetti.
1 - le caratteristiche fisiche dello sperimentatore, come l’età, il sesso o l’appartenenza etnica, possono
influenzare i risultati di ricerca
2 – per quanto riguarda le caratteristiche di personalità del ricercatore, quella che maggiormente può
influenzare i risultati è l’esperienza.
3 – le aspettative dello sperimentatore influenzano il comportamento dei soggetti, per cui se egli si aspetta
un certo risultato, finisce per ottenerlo realmente. L’effetto non riguarda solo i soggetti umani ma si
estende anche agli studi con animali. Per ridurre l’effetto delle aspettative del ricercatore è possibile
utilizzare la procedura del doppio cieco, che consiste nel nascondere sia al soggetto sperimentale sia al
ricercatore che compie l’esperimento le ipotesi della ricerca e la condizione sperimentale a cui il soggetto
sta partecipando.
4 – Infine, gli errori sistematici riguardano il fatto che il ricercatore può involontariamente comunicare ai
soggetti come rispondere (con il sorriso, con lo sguardo, con la postura ecc.). Per questo tipo di errori è
possibile ridurre al minimo le interazioni tra lo sperimentatore e i soggetti.

Sub – Validità di costrutto


La validità di costrutto si riferisce alla corrispondenza tra il piano della ricerca e la teoria di riferimento. Una
ricerca è valida se si possono escludere spiegazioni alternative dei dati rispetto alla teoria di riferimento.
A tal proposito, i modelli hanno la funzione di mediare tra teoria generale e specifiche ipotesi relative a
relazioni tra vari aspetti della realtà fenomenica verificati empiricamente.
Per poter generalizzare alla teoria di riferimento i risultati ottenuti, è necessario che gli stimoli
rappresentino pienamente le variabili pertinenti all’ipotesi e che questa, a sua volta, rappresenti parti
essenziali di un modello teorico.
La generalizzazione del modello sarà garantita dal successo della ripetizione delle stesse ipotesi con diversi
gruppi. inoltre, la presenza di diversi modelli consente di estendere ulteriormente la portata della teoria di
riferimento.

Sub2 – Minacce alla validità di costrutto e metodi per ridurle


Tra le minacce alla validità di costrutto, la più importante è la mancanza di una dettagliata analisi a livello
concettuale dei costrutti, ovvero quando non si riesce ad identificare chiaramente il fenomeno che si vuole
studiare.
Un altro problema riguarda l’inadeguata definizione operazionale dei costrutti teorici. I costrutti teorici
devono essere operazionalizzati, ovvero devono essere tradotti in operazioni concrete.
Infine, una importante minaccia alla validità di costrutto è costituita dall’ambiguità delle variabili
indipendenti, che si riferisce al fatto che la varabile indipendente può non essere quella ipotizzata dal
ricercatore.
Per quando riguarda i metodi per ridurre tali minacce, il primo consiste nel definire chiaramente il costrutto
astratto che si vuole analizzare. Inoltre, i dati relativi alla variabile che stiamo studiando devono essere
correlati con variabili concettualmente simili. Un ultimo metodo per aumentare la validità di costrutto è
rappresentato dal controllo della manipolazione (manipulation check) che consiste nel verificare se la
manipolazione sperimentale è effettivamente rappresentativa del costrutto ipotizzato (ovvero verificare se
ha avuto effetto).

Sub – Validità esterna


La validità esterna fa riferimento alla possibilità di generalizzare le conclusioni tratte dalla ricerca empirica.
La validità esterna si preoccupa dell’estensione del campione di soggetti.
Un criterio di generalizzazione riguarda la possibilità di estendere i risultati dal campione alla popolazione.
Perché ciò sia possibile, occorre che il campione sia adeguatamente rappresentativo della popolazione cui
si vogliono estendere le conclusioni.
Un altro criterio di generalizzazione riguarda la possibilità di estendere i risultati a condizioni che non sono
sovrapponibili a quelle in cui la ricerca è stata condotta.
Infine, l’ultimo criterio di generalizzazione riguarda la stabilità temporale dei risultati, ovvero il fatto che i
risultati tratti da una ricerca rimangano immutati anche in momenti diversi da quello della ricerca.
I problemi di generalizzazione riguardano anche gli strumenti utilizzati: solo mediante questionari è difficile
trarre deduzioni generali su argomenti particolarmente complessi che difficilmente possono essere indagati
soltanto mediante uno strumento così “scoperto”.
Anche le statistiche usate influenzano la possibilità di trarre conclusioni di ordine generale: se si usa come
criterio quello probabilistico, la numerosità del campione aumenta la possibilità di ottenere i risultati
significativi (ciò che è definito potenza dell’esperimento), mentre al contrario un numero ridotto di
osservazioni la abbassa.

Sub2 – Minacce alla validità esterna e metodi per ridurle


Una delle principali minacce alla validità esterna riguarda la inadeguatezza del campione utilizzato nella
ricerca e del modo di reperirlo. A prescindere dal metodo di selezione, spesso in psicologia si pone il
problema del reperimento dei soggetti. I soggetti volontari di solito sono più istruiti, più socievoli, più
ansiosi, più giovani, più intelligenti, meno autoritari e più desiderosi di provare sempre nuove emozioni
rispetto ai soggetti non volontari.
Un’altra fonte di minaccia deriva dalle variazioni stagionali e dalle variazioni cicliche. Le prime si riferiscono
a quei cambiamenti che si verificano nella popolazione a intervalli regolari. Le variazioni cicliche, invece,
riguardano l’organismo dei soggetti, come il ritmo cardiaco, la temperatura corporea, e così via. Anche le
variazioni personologiche, ovvero il cambiamento di alcune caratteristiche individuali, possono ridurre la
validità esterna di una ricerca.
Per ridurre le minacce alla validità esterna è preferibile condurre la ricerca in situazioni non artefatte; è
meglio usare misure non troppo “esplicite” nella rilevazione dei dati, oppure raccogliere i dati senza che i
soggetti si rendano conto che stanno partecipando all’esperimento. È consigliabile utilizzare disegni
complessi perché questa complessità rispecchia meglio la vita quotidiana, alla quale i risultati delle ricerche
andrebbero generalizzati.

Sub2 – La generalizzazione a partire da pochi casi o da casi singoli


I disegni di ricerca longitudinali sono spesso utilizzati per riassumere l’andamento di un gruppo nel corso
del tempo.
Analizzando un unico caso con metodologie valide, si può essere sicuri dell’effetto ottenuto per quel
soggetto e in quelle condizioni; non è possibile, però, essere sicuri né che l’effetto sia stato causato dal
trattamento sperimentale, né che i risultati saranno gli stessi a prescindere dalla situazione in cui sono stati
testati.
L’aggregazione di più casi viene compiuta mediante la ripetizione sistematica, ripetendo, cioè, il disegno
sperimentale variando di volta in volta alcune variabili critiche, in modo da consentire una sorta di “mappa
di generalizzazione”.
Le diverse ripetizioni ed estensioni, prese nel loro complesso, costituiscono un unico metadisegno
sperimentale che può essere progettato e analizzato come tale, al di là dei risultati dei singoli studi. In
questo senso la metanalisi può essere utilizzata come vera e propria strategia di ricerca e di
generalizzazione dei risultati ottenuti nei singoli studi.

Sub2 – Validità ecologica


La validità ecologica è un particolare tipo di validità esterna che si riferisce alla corrispondenza tra le
condizioni dell’esperimento e la realtà cui si fa riferimento e alla quale i risultati ottenuti dovrebbero essere
estesi. La validità interna e quella ecologica sono spesso inversamente correlate.
L’espressione “validità ecologica” fu introdotta da Brunswik.
Validità interna e validità ecologica sono due modi diversi di fare ricerca, che entrambi apportano contributi
alla conoscenza e all’azione.

Sub – Validità statistica


La validità statistica ha lo scopo di verificare se la relazione trovata tra le variabili sperimentali è o meno di
tipo causale, ovvero se l’effetto è significativamente diverso da quello che si sarebbe ottenuto per caso.
Quando si effettua una ricerca i dati raccolti sono suscettibili di una grande variabilità, che può dipendere
dall’eterogeneità dei soggetti che partecipano alla ricerca. La validità statistica si occupa di controllare la
variabilità dovuta al caos, tramite il calcolo delle probabilità e l’inferenza statistica. Se la variabilità
osservata è superiore alla variabilità teorica, allora la variabilità dei risultati dipende dal trattamento.
Per poter decidere se la variabilità dei risultati dipende dal trattamento o dal caso, abbiamo bisogno di
definire le ipotesi di una ricerca come:
- ipotesi nulla (H0), che si riferisce alla casualità dei risultati ottenuti;
- ipotesi alternativa (H1), che si riferisce invece alla non casualità dei risultati ottenuti;
L’obiettivo del ricercato è di accettare l’ipotesi alternativa e rifiutare quella nulla.
Decidere di accettare l’ipotesi alternativa e rifiutare quella nulla è una decisione probabilistica che può
portare a commettere due tipi di errori. L’errore di primo 1o tipo si commette quando si decide che i
risultati sono significativi perché non casuali; l’errore di 2o tipo si commette quando decidiamo di ritenere
casuale un certo risultato.

Sub2 – Minacce alla validità statistica e metodi per ridurle


Il primo tipo di minaccia alla validità statistica deriva dal “fishing”, che si verifica quando si effettuano
correlazioni tra le variabili senza avere precise ipotesi circa le relazioni tra esse. In questa situazione è molto
facile incorrere nell’errore di 1o tipo.
Un alto fattore che minaccia la validità statistica deriva dal fatto di avere un campione troppo piccolo, per
cui il test statistico applicato non rileva una relazione significativa: questo porta a commettere l’errore di 2o
tipo.
Altri fattori che diminuiscono la validità statistica possono dipendere dagli strumenti, poco affidabili nel
rilevare le variabili; dalla manipolazione della variabile indipendente; dalla presenza di variabili di
confusione.
Per ridurre il rischio di commettere l’errore di 1o tipo è possibile scegliere soglie più rigide di verifica. In
questo modo, però, si aumenta il rischio di cade nell’errore di 2o tipo; è preferibile, quindi, aumentare la
numerosità del campione, il che rende più affidabile la verifica probabilistica nel suo complesso.
Un altro metodo per aumentare la validità statistica consiste nell’aumentare l’intervallo tra i valori della
variabile indipendente.
Infine, l’ultimo metodo per ridurre le minacce alla validità statistica consiste nel ridurre l’errore casuale
utilizzando appropriate tecniche di campionamento e assegnazione dei soggetti alle condizioni
sperimentali.

Capitolo 6 – La raccolta dei dati


Sub - Osservazione
Il metodo osservativo nella storia della psicologia ha avuto fasi alterne. Il metodo osservativo è caduto in
disuso con l’affermarsi del metodo sperimentale e delle ricerche di laboratorio.
L’osservazione sistematica resa, comunque, un insostituibile mezzo di rilevazione di dati empirici e di
quantificazione delle variabili.
Un primo aspetto che bisogna considerare quando si conduce un’osservazione riguarda la sua durata. Con
questo si intende sia la quantità di tempo che viene dedicata ad una ricerca, sia la durata di ogni singola
sessione. Nel caso di una ricerca longitudinale, la durata totale della ricerca potrebbe essere anche di alcuni
anni. Un altro elemento fondamentale riguarda l’unità di tempo, ovvero la suddivisione di ogni singola
sessione di osservazione. La sua lunghezza dipende dall’oggetto di studio e può variare da pochi secondi
all’intera durata dell’osservazione.
Per quanto riguarda l’oggetto dell’osservazione, bisogna avere una buona definizione operativa
dell’oggetto di studio e dei comportamenti che lo rappresentano.
Una volta definito chiaramente cosa vogliamo osservare, dobbiamo prendere in considerazione il tempo
che intercorre tra l’inizio dell’osservazione e la comparsa del comportamento in esame (latenza), il numero
di volte in cu un dato comportamento si verifica (frequenza) e il tempo che intercorre tra la fine di un
comportamento e l’inizio del successivo (intervallo).
Uno dei principali problemi che si pongono riguarda lo stabilire l’inizio e la fine di un comportamento e se è
o meno rilevante prendere in considerazione anche la sua durata. A questo proposito, i comportamenti si
possono distinguere in molari e molecolari. I comportamenti molari hanno una durata significativa e
appaiono agli occhi dell’osservatore come dotati di senso e di intenzionalità. Rappresentano tutte quelle
attività che si protraggono nel tempo e che sono finalizzate ad uno scopo (es. scrivere una lettera). I
comportamenti molecolari, invece, sono comportamenti caratterizzati da immediatezza (es. un sorriso) e
che durano pochi secondi.
Per quanto riguardo gli strumenti usati per registrare l’osservazione, è possibile utilizzar delle check-list
(schede a codifica prefissata), oppure schede a codifica flessibile, oppure registrazioni tramite videotape in
cui la codifica può avvenire a posteriori. Le prime necessitano della presenza dell’osservatore. Per quanto
riguarda, invece, le registrazioni tramite apparecchiature automatiche, esse consentono la totale non
intrusività, elevati livelli di precisione e la possibilità di condividere tra osservatori diversi il fenomeno.
Per alcuni tipi di comportamento è anche necessario valutare l’intensità del comportamento, che può
essere rilevata tramite scale di valutazione a n gradi: 1 = intensità breve; 2 = intensità media; 3 = intensità
forte.

Sub – Intervista
L’intervista è un metodo di raccolta dei dati che consente la libera espressione del soggetto.
L’intervistatore raccoglie le risposte libere del soggetto sull’argomento in esame, che verranno
successivamente codificate e categorizzate.
L’intervista offre molte occasioni per approfondire argomenti che sfuggirebbero ad un questionario a
risposte chiuse, ed è particolarmente indicata per soggetti con basso livello d’istruzione.
Le interviste possono essere divise in base al loro grado di strutturazione: più l’intervista è strutturata più
le domande che l’intervistatore pone devono seguire una traccia ben precisa. Nelle interviste libere o poco
strutturate l’intervistatore pone le domande con una certa libertà.
I dati raccolti devono riflettere i reali atteggiamenti, comportamenti e opinioni delle persone: lo stile
dell’intervistatore o le sue competenze possono alterare i dati raccolti. Per una buona riuscita
dell’intervista, l’intervistatore deve assicurarsi la cooperazione degli intervistati e motivarli a partecipare:
quando contatta l’intervistato lo deve fare in un momento opportuno, presentando adeguatamente se
stesso e gli scopi dell’intervista. L’intervistatore, inoltre, deve porre correttamente le domande previste e
registrare le risposte nella maniera adeguata.
L’intervista è una tecnica che consente di analizzare in profondità un certo tema e, se condotta in maniera
adeguata, è in grado di fornire molte informazioni.

Sub – Questionario
Il questionario è lo strumento più utilizzato in ambito psicosociale: esso è utile per la rilevazione di
atteggiamenti, opinioni e stili di pensiero. Son composti da domande che possono essere chiuse o aperte:
nel primo caso il soggetto deve scegliere tra le varie alternative proposte, nel secondo, invece, può
esprimere liberamente la propria opinione.
Esempi di strumenti sono: item con risposta vero/falso, item con giudizi di frequenza, item con giudizi di
intensità, check-list, scale a somma costante, termometri comportamentali, scala di Likert, differenziale
semantico, domande aperte.
Relativamente alle domande chiuse, le risposte che il soggetto dà possono essere del tipo vero/falso, o
prevedere un giudizio di frequenza o di intensità. Altre scale richiedono di scegliere anche più di una tra le
alternative proposte, oppure di mettere in ordine certe affermazioni o certi argomenti (check-lists). Altre
canso, chiedono al soggetto di indicare una percentuale che comporti sempre 100 nel totale (scala a
somma costante), oppure di quantificare su una scala già indicata un concetto o un argomento proposto
dal ricercatore (termometri comportamentali).
Relativamente alle domande aperte, il soggetto è libero di esprimere ciò che pensa su un dato argomento.
Un altro tipo di scala, molto utilizzata in ambito psicosociale, è la scala a punteggi sommati o scala Likert.
Questo tipo di scala è costituito di una serie di affermazioni o item, per ognuna delle quali il soggetto deve
rispondere esprimendo il proprio grado di accordo su una scala che va da 1 a 5. Il punteggio totale di ogni
soggetto si ottiene sommando i punteggi dati ad ogni affermazione. Per evitare effetti di distorsione come
l’acquiescenza, alcuni item devono essere espressi in forma positiva, altri in forma negativa. Naturalmente,
quando si effettuano le analisi dei dati bisogno “invertire” il punteggio degli item espressi in forma
negativa, quindi, se il soggetto si dichiara in disaccordo bisognerà assegnare 5.
Un altro strumento, molto utilizzato per rilevare l’atteggiamento, è il differenziale semantico. Questo
strumento mira a quantificare le reazioni cognitive e affettive suscitate da un concetto-stimolo. Al soggetto
vengono presentanti più concetti-stimolo, ciascuno dei quali deve essere valutato su una serie di scale
bipolari, costituite di aggettivi opposti (ad es. cattivo – buono), indicando, di volta in volta, a quale dei due
aggettivi il concetto si avvicina di più. Il punto intermedio della valutazione (4) corrisponde all’equidistanza
dei due aggettivi polari in relazione al concetto-stimolo. La scelta degli aggetti viene effettuata in base allo
scopo della ricerca; in generale, comunque, gli aggettivi rappresentano tre dimensioni:
1 – valutazione: rappresenta una attribuzione di valore relativa al concetto-stimolo;
2 – potenza: esprime la forza che al concetto viene attribuita;
2 – attività: indica la percezione di dinamismo del concetto.
Il differenziale semantico, inoltre, viene spesso usato come strumento di autovalutazione del Sé; il
concetto-stimolo è in questo caso: <<Io, come sono>> (Sé reale) oppure <<Io, come vorrei essere>> (Sé
ideale) o ancora <<Io, come penso che gli altri mi vedono>> (Sé sociale percepito). L’analisi dei dati ottenuti
tramite il differenziale semantico può avvenire a diversi livelli. Al livello puramente descrittivo, si riportano
in un grafico i punteggi segnati dal soggetto sulle diverse scale ottenendo così un <<profilo>> per ciascun
concetto valutato.
Uno specifico tipo di questionario si può definire <<test>>. Gli item di un test che valuta aspetti normali o
patologici della personalità sono standardizzati; ciò che cambia è la possibilità di valutare i punteggi
riepilogativi in base a precise <<norme>> relative a campioni di riferimento. Per questa ragione i test
vengono definiti <<psicometrici>>. Il loro uso è molto ampio e diffuso in settori come quelli educativo o
clinico.

Sub – Tecniche implicite


Una delle tecniche implicite più utilizzate per la rilevazione di stereotipi e pregiudizi, è il <<priming>>. Tale
tecnica parte dal presupposto che gli stereotipi siano costituiti da associazioni semantiche, quindi, ogni
volta che la categoria viene attivata, saranno attivati anche gli attribuiti stereotipici ad essa collegati:
maggiore è la forza che lega gli attributi alla categoria più facilmente questi attributi saranno attivati
quando si attiva la categoria. L’attivazione degli attributi stereotipici è automatica, il soggetto cioè non è
consapevole di compiere queste associazioni. Inoltre, quando si attiva la categoria, vengono attivati anche
le sue valutazioni generali. Quando si vuole rilevare una valutazione tramite questa tecnica, si utilizza un
paradigma sperimentale che prevede la presentazione di un’etichetta (stimolo prime) rappresentativa
dell’oggetto o della categoria in esame a livello subliminale; l’etichetta viene dunque presentata per un
tempo molto breve, in modo che il soggetto non si renda conto consapevolmente di vederla. Dopo la
presentazione dell’etichetta viene presentato un aggettivo. Il compito del soggetto è di indicare più
velocemente possibile se l’aggettivo presentato abbia valenza positiva o negativa. Il tempo di risposta è
utilizzato come indice della valutazione: se la valutazione è positiva si risponderà più velocemente agli
aggettivi positivi che a quelli negativi; il contrario se la valutazione è negativa. È anche possibile utilizzare,
invece delle etichette, delle foto rappresentative delle categorie.
Un’altra tecnica implicita basata sulla forza dell’associazione tra categoria e attributi valutativi è il Test di
Associazione Implicita (IAT) di Greenwald, McGhee e Schwartz. Questa tecnica offre il vantaggio di rilevare
in maniere più consistente le differenze individuali; nell’ IAT l’effetto dell’interazione tra la categoria-prime
è più grande. Quando si applica questa tecnica al soggetto compare sullo schermo una parola, che può
indicare una categoria o una valenza. Questa tecnica prevede l’utilizzo di due categorie e parole con
valenza positiva o negativa. Il compito del soggetto sarà di individuare a quale categoria appartiene la
parola presentata o che valenza ha una parola. Anche in questo caso il tempo di risposta è utilizzato per
rilevare la valutazione. Se la valutazione di una categoria è negativa i tempi di reazione saranno più elevati.

Sub – La scelta del metodo di raccolta dei dati


Un primo aspetto da prendere in considerazione riguarda l’attendibilità e la validità degli strumenti
utilizzati. L’attendibilità (o affidabilità) di uno strumento si riferisce alla sua capacità di valutare
coerentemente e stabilmente la stessa variabile.
Per stimare l’attendibilità di uno strumento si usano tre procedure:
1 – il teste-retest: consiste nel somministrare nuovamente lo strumento a distanza di tempo
2 – le forme parallele: consistono nella messa a punto di due versioni equivalenti dello stesso strumento
3 – lo split-half: consiste nel dividere a metà lo strumento (gli item pari e quelli dispari) e somministrare
separatamente le due versioni.
Lo strumento, inoltre, deve essere coerente, cioè deve valutare la stessa cosa in tutte le sue parti.
Un ulteriore aspetto dell’attendibilità è quello dell’accordo tra valutatori diversi (inter-rater reliability).
La validità di uno strumento, invece, si riferisce alla sua capacità di rilevare la variabile per cui è stato
costruito e non altre. Esistono tre tipi di validità relativa agli strumenti:
1 – validità di contenuto: indica la misura in cui lo strumento in esame contiene un campione
rappresentativo del comportamento che si vuole misurare
2 – validità concorrente: riguarda il grado di concordanza tra lo strumento in esame ed un altro strumento
di provata validità per l’esame della stessa variabile
3 – validità predittiva: indica il grado in cui una variabile rilevata con lo strumento in esame è capace di
prevederne un’altra, che si suppone sia associata con la variabile in oggetto
Gli strumenti devono inoltre essere specifici e congruenti con gli scopi della ricerca e con le caratteristiche
dei partecipanti. Questionari check-list e griglie di osservazioni già validati per altri ambiti vanno
preliminarmente adattati allo specifico campione con cui si lavora. In alcuni casi è possibile integrare più
strumenti.
In generale, comunque, la scelta del metodo dipende fortemente dallo scopo della ricerca.

Capitolo 7 – L’analisi dei dati


Più che di scale di “misurazione” parleremo di scale di “rilevazione dei dati”, suddividendoli in quattro
classi.
1 – nella scala categoriale o nominale, i numeri sono puramente simbolici e servono solo ad identificare le
categorie: si attribuiscono numeri uguali a elementi della stessa categoria e numeri diversi a elementi
appartenenti a categorie diverse.
2 – la scala ordinale consente di associare ad un numero una gradazione di una variabile; i numeri indicano
la posizione reciproca dei vari elementi. Un caso di scala ordinale è la graduatoria.
3 – la scala a intervalli equivalenti si ha quando si può stabilire un’unità di misura, per cui è possibile
stabilire l’entità delle differenze di intensità di una variabile. Esempi sono i termometri comportamentali, le
scale di atteggiamento e i punteggi di alcuni test (come i QI).
4 – la scala razionale o a rapporti equivalenti è una scala che ha tutte le proprietà dei numeri reali in cui è
possibile identificare uno zero. Esempi di variabili che si possono collocare in questo tipo di scale sono la
lunghezza, il peso, la temperatura.

Sub – La statistica descrittiva


La statistica descrittiva consente di riepilogare i dati relativi ad un campione di soggetti, in termini di
variabili o di combinazioni di variabili, tramite l’uso di rappresentazioni grafiche e indici.
La distribuzione di frequenza è un’organizzazione dei dati, in cui ad ogni valore (o livello) di una variabile è
associato il numero di volta in cui esso si presenta. La distribuzione di frequenza può essere rappresentata
sia tramite una tabella sia tramite un grafico. Quest’ultimo può essere realizzato tramite un istrogramma, in
cui si mettono in ascissa i valori della variabile e in ordinata le frequenze.
La distribuzione di frequenza ci dice com’è composto un campione al suo interno.
È anche importante avere indicazioni relative a quale valore rappresenta meglio il campione nel suo
insieme. Rispetto ad una data variabile, le misure di tendenza centrale consentono di calcolare il valore che
meglio rappresenta il campione, mentre le misure di variabilità consentono di calcolare quanto i punteggi
dei soggetti si discostano da tale valore centrale.
1 – la media aritmetica è una misura di tendenza centrale, che corrisponde alla somma di tutti i valori della
variabile di riferimento, diviso per il numero dei casi.
2 – la deviazione standard e la varianza sono due misure di variabilità che consentono di calcolare la
dispersione dei dati attorno alla media.
3 – la mediana corrisponde al punteggio che si trova al centro della distribuzione, disponendo i valori in
ordine crescente o decrescente.
4 – la differenza interquartilica è una misura di variabilità che corrisponde alla differenza tra i valori del
terzo e del primo quartile (valori/modalità che ripartiscono la popolazione in quattro parti di uguale
numerosità). Essa si calcola dividendo la distribuzione ordinata dei valori in quattro parti uguali (quartili),
quindi si sottrae il valore che delimita il primo quartile da quello che delimita l’ultimo quartile.

Sub – La statistica inferenziale


La statistica descrittiva serve a descrivere il campione e le variabili che in esso sono state rilevate. La
statistica inferenziale mira a verificare le ipotesi, facendo ricorso all’analisi probabilistica per le inferenze sul
rischio di accettare o rifiutare l’ipotesi nulla H0.
La correlazione permette di valutare se due variabili sono associate (aspetto descrittivo) e se lo sono in
modo statisticamente significativo (aspetto inferenziale). Essa esprime la direzione della covariazione
esistente tra due serie di dati. La correlazione è di segno positivo se, aumentando i valori di una variabile,
aumentano i corrispondenti valori dell’altra; è di segno negativo se, aumentando i valori della prima
variabile, i valori corrispondenti dell’altra variabile tendono a diminuire. Il coefficiente di correlazione è un
indice numerico che misura il grado di corrispondenza nella variazione fra le due variabili. Esistono diversi
tipi di coefficienti di correlazione, ma per tutti la gamma di valori possibili è compresa fra +1 (correlazione
positiva perfetta) e -1 (correlazione negativa perfetta). Valori prossimi allo zero (correlazioni nulle) indicano
che tra le due variabili considerate non esiste alcun legame di rilievo, ossia esse variano in modo
indipendente l’una dall’altra. Infine, se troviamo una correlazione nulla, possiamo affermare che le due
variabili non sono associate.
Più complessa rispetto alla correlazione è la regressione multipla. Essa serve a determinare quali variabili
indipendenti risultano meglio associate alla variabile dipendente. Ad esempio, una regressione multipla
può valutare quali specifiche variabili predicono in misura più elevata la discriminazione intergruppi.
A partire da matrici di correlazioni è possibile procedere ad analisi di “riduzione dei dati” come l’analisi
fattoriale o dei “clusters”, che consentono di individuare alcune dimensioni (clusters/raggruppamenti)
capaci di spiegare le covariazioni trovate: in questo modo è possibile raggruppare molteplici variabili in
pochi fattori. Esistono anche delle modalità di analisi fattoriale che servono a verificare precise ipotesi: le
analisi fattoriali confermative (contrapposte a quelle esplorative in cui i fattori vengono individuati per via
induttiva).
Tali tipi di analisi vengono di solito applicate ai metodi di ricerca non sperimentali. Quando, invece, si
conduce un esperimento, è necessario verificare se la manipolazione di una variabile cambi i livelli di
un’altra variabile che si suppone sia associata. Nel caso più semplice si hanno due gruppi, di cui solo uno
viene sottoposto al trattamento. Per dimostrare che il trattamento ha avuto effetto sulla variabile
dipendente, i livelli di questa variabile, dopo il trattamento, devono essere diversi nei due gruppi. La
statistica t di Student consente di stabilire se tra due medie esiste una differenza <<significativa>>
Se vi sono più di due condizioni sperimentali, non è possibile applicare il t di Student che valuta le
differenze fra le medie di due gruppi, ma dobbiamo usare una statistica che confronta più di due gruppi,
consentendoci quindi di verificare l’effetto di più variabili indipendenti e della loro interazione. Questo
metodo, inventato da Fisher, si chiama analisi della varianza o ANOVA. L’indice statistico denominato F
calcola il rapporto fra la varianza tra i gruppi (dovuta al trattamento) e la varianza nei gruppi (dovuta
all’errore o al caso).
È possibile utilizzare la statistica F anche quando si hanno più variabili indipendenti, ognuno delle quali con
più livelli. Tale indice ci consente di stabilire qual è l’effetto di ognuno delle variabili dipendenti e se esiste
un’interazione tra le variabili indipendenti.
Su scala categoriale, le statistiche più appropriate sono quelle basate sull’analisi delle frequenze, disposte
in tabelle di contingenza. Queste ultime consentono di disporre i dati in incroci tra variabili (Cross-
Tabulation), quando essi sono a livello di scale categoriali. Per ciascun incrocio si possono calcolare la
frequenza di casi che vi rientrano e la relativa percentuale. In questo modo, le frequenze teoriche (casuali)
possono essere confrontate con frequenze osservate (reali). Per fare questo ci si avvale di una statistica
chiamata Chi quadrato (X2), che consente di valutare se la disposizione dei dati osservati nelle singole
caselle degli incroci è più o meno distante da quella che si avrebbe se i dati fossero disposti casualmente.
Le analisi log-lineari si basano sulla trasformazione logaritmica dei dati e sono utili per esaminare tabelle di
contingenza multidimensionali.
L’analisi fattoriale delle corrispondenze, invece, consente di estrarre dei fattori da una matrice di variabili
qualitative.
In generale, una corretta analisi dei dati è indispensabile per compiere deduzioni rispetto al modello teorico
di riferimento. La statistica può dirci che probabilità esiste di attribuire i dati ottenuti all’effetto delle
variabili che nella ricerca vengono ipotizzate come influenti e qual è, invece, il rischio che i risultati siano
stati ottenuti per caso. Il criterio di verifica probabilistica è sempre uguale: se il valore della statistica super
il limite critico di probabilità inferiore a 0,05 si può smentire l’ipotesi nulla e accettare l’ipotesi alternativa.
Il calcolo dell’effect size consente di valutare quanto è ampio l’effetto sperimentale trovato nella ricerca: a
tal proposito l’indice più usato è il d di Cohen, consistente nel rapporto tra la differenza tra le medie di due
gruppi e la radice quadrata della stima della varianza composita dei due gruppi.

Sub – I diversi livelli di analisi


Esistono quattro diversi livelli di misura, che dal più basso sono: nominale, ordinale, a intervalli e a rapporti.
I tipi di statistiche variano in base al livello di misura: mentre per le scale a intervalli possono essere
applicati tutti i tipi di statistica descrittiva, per le scale ordinali possono essere utilizzate solo la mediana, la
differenza interquartilica e la moda; infine, per le scale nominali, l’unica statistica descrittiva applicabile è la
moda.
È possibile passare da un livello di misura più elevato ad uno più basso: non è invece possibile il contrario.
È quindi possibile trasformare una scala ad intervalli in una scala ordinale.

Capitolo 8 – Dal laboratorio al campo, dal quantitativo al qualitativo


Sub – Dal laboratorio alla ricerca applicata
La ricerca consistente nello studio delle relazioni tra variabili prende in considerazione l’oggetto di studio in
un determinato punto della sua evoluzione.
Questo modello di ricerca è difficile da utilizzare quando è grande la complessità dell’oggetto esaminato.
La “purezza” dello stimolo è difficile da realizzare nella ricerca applicata: è più facile ottenerla nella ricerca
di base in cui la manipolazione e il controllo delle variabili indipendenti possono essere più rigorosi. Una
compatibilità sembra esistere fra la generalizzabilità relativa agli stimoli e quella relativa alle condizioni.
La ricerca azione è uno tra i modi di “fare ricerca mentre si interviene”. Altri modi possono essere: la
verifica di nuove tecniche riabilitative; la diagnosi organizzativa; la psicoterapia come mezzo di conoscenza
e di cambiamento; l’uso del piccolo gruppo come strumento di formazione.

Sub – La ricerca-intervento
La “ricerca-azione” o “ricerca intervento” prevede che la verifica delle ipotesi teoriche sull’oggetto di studio
e l’azione tendente alla modifica dell’oggetto stesso procedano parallelamente, all’interno di un processo
circolare di programmazione – azione – verifica – ulteriore programmazione; la ricerca viene definita
“partecipativa” in quanto sono coinvolti sia il ricercatore che i destinatari dell’intervento.
La complessità e mutabilità dell’oggetto di ricerca non consentono di manipolare solo alcune variabili
indipendenti per volta. Le variabili devono essere manipolate tutte insieme e i gruppi con cui lavorare sono
in genere già precostituiti e non possono essere modificati ai fini della ricerca.
La modificazione nel corso di una ricerca-intervento può riguardare anche il campione: né il
campionamento, né la “perdita” dei soggetti sono mai casuali.
Caratteristica peculiare di una ricerca-intervento è che il ricercatore costituisce una variabile della ricerca
stessa, e la sua posizione non può essere neutrale e avalutativa.
Un aspetto metodologico essenziale nella ricerca-intervento è la valutazione degli effetti ottenuti mediante
l’intervento.
Si pone l’esigenza di strumenti attendibili per controllare l’effetto dell’intervento durante lo svolgimento
dello stesso. Gli strumenti devono possedere, oltre i requisiti di attendibilità, anche caratteristiche di:
- Specificità e congruenza con i fini che l’intervento si propone di raggiungere
- Semplicità e rapidità di somministrazione
- Comprensibilità, ovvero gli strumenti devono consentire la condivisione della attribuzione di
significati
- Multimodalità, ovvero deve presentare l’integrazione fra più modi di accertamento, quali il self-
report e l’osservazione
- Le tecniche di analisi dei dati ottenuti durante la ricerca-intervento devono essere congruenti ai
fini, agli strumenti e alle modalità in cui la ricerca si svolge.

Questo tipo di ricerca può mirare a codificare:


1 – i cambiamenti nelle condizioni che influenzano il rapporto fra interazioni nel trattamento;
2 – la risposta a questi cambiamenti in termini di azione/interazione;
3 – le conseguenze che a loro volta ne risultano e il modo in cui queste conseguenze influenzano successive
sequenze interazionali.
Lo scopo è spiegare come proceda il processo, se è spontaneo, programmato/guidato, casuale e/o
rapido/lento.

Sub – La ricerca qualitativa


L’approccio qualitativo riguarda un approccio epistemologico peculiare, cioè un modo diverso di
concettualizzare la ricerca, di raccogliere i dati, di codificarli, di analizzarli. Esso intende descrivere e
comprendere il significato e il valore attribuito da particolari individui che costituiscono l’oggetto della
ricerca.
Rispetto alla ricerca sperimentale, nella ricerca qualitativa diverse devono essere le misure e gli strumenti
utilizzati; tali strumenti devono essere meno intrusivi e più fondati su significati, come ad esempio:
1 – resoconti sul processo di ciò che accade o è accaduto
2 – osservazioni esterne mediante griglie e “termometri”
3 – interviste aperte e non strutturate
4 – metodo narrativo nel colloquio
5 – tecniche basate sull’immaginazione o sul gioco e il role-playing per bambini e adolescenti
6 – tecniche di focus group come interviste e discussioni in piccoli gruppi (6-10 partecipanti) focalizzate su
uno o più temi dei quali è possibile esaminare il significato
7 – uso di video, foto, produzioni artistiche o letterarie
8 – storie di vita, diari, narrazioni autobiografiche
9 – analisi di testi: discorsi, leggi, dispositivi di sentenze, articoli di giornale o sequenze televisive
Diverso rispetto alla ricerca sperimentale deve essere anche il campionamento delle osservazioni, che deve
fare uso di casi singoli con conseguente campionamento longitudinale delle osservazioni: in alternativa è
possibile utilizzare un campionamento “teoretico” che si avvale di casi estremi critici per la teoria.
Infine, occorrono tecniche di analisi dei dati in grado di analizzare i dati in itinere, in modo da focalizzare
meglio le variabili sui cui procedere ulteriormente: le analisi più adatte sono quelle sequenziali, le time-
series, le survival.

Sub – La procedura di ricerca qualitativa


La ricerca qualitativa inizia focalizzando l’oggetto della ricerca tramite indagini preliminari, interviste, analisi
d’archivio, ecc.
L’analisi dei dati procede parallelamente alla loro raccolta, permettendo così di individuare fin dall’inizio i
nodi concettuali e modificarli in itinere.
La codifica delle categorie derivate dai dati “aperti” arriva alla individuazione delle categorie centrali (core),
attraverso un confronto continuo con i dati cui le categorie individuate devono adattarsi.
Nel report di ricerca qualitativa si riportano non solo le descrizioni delle categorie, con gli appunti (memos),
ma anche i confronti all’interno delle categorie.
Mentre la ricerca quantitativa mira a spiegare i fenomeni e gli eventi a partire dalle ipotesi del ricercatore,
quella qualitativa ha lo scopo di comprendere gli eventi partendo dal punto di vista dei loro attori.
La sua validità è stabilita in base alla corrispondenza e alla comprensione condivisa del “senso” costruito
nella ricerca da parte del soggetto e del ricercatore (validità di significanza).
È inoltre possibile una validazione interna della ricerca, ottenuta tornando sul campo dopo aver ottenuto i
risultati. Si parla di validità “per saturazione teorica”, quando, dopo aver raccolto i dati e aver testato il
modello in soggetti e contesti diversi, si giunge ad un punto in cui nuovi dati direbbero poco rispetto a
quello che è stato già acquisito.
Spesso ricerca qualitativa e ricerca quantitativa si integrano reciprocamente.
Una ricerca qualitativa può aiutare a comprendere ed interpretare più in profondità le tendenze che
emergono dai dati quantitativi; uno studio quantitativo può consentire di estendere e generalizzare i
risultati di un’indagine qualitativa.
Nella ricerca qualitativa il “senso” non è ipotizzato a priori e quindi sottoposto a verifica, ma va scoperto
con approccio fenomenologico attraverso metodologie che ne facilitano l’emergere.

Capitolo 9 – Comunicare i risultati


Dopo aver condotto una ricerca, l’ultimo sforzo consiste nel produrre un buon rapporto sui risultati. Le
regole formali per la pubblicazione in certi settori sono definite in modo preciso dalla American
Psychological Association (APA), che ha fissato delle norme accettate nella maggior parte delle riviste di
psicologia scientifica.
Le regole generali per scrivere un report di ricerca prevedono i seguenti punti:
1 – Un’introduzione teorica fa il punto sullo stato dell’arte riguardo all’argomento specifico trattato nella
ricerca.
Secondo Allport l’effetto positivo del “contatto” sulle relazioni intergruppi avviene quando i gruppi hanno
uguale status nella situazione di contatto; il contatto deve essere di natura intima e sostenuto dall’autorità.
Tuttavia rimangono ancora alcuni problemi irrisolti. Uno di tali problemi riguarda la generalizzazione degli
effetti positivi del contatto dall’outgroup prossimale all’outgroup distale.
Per risolvere questo problema sono stati proposti vari modelli alternativi, aventi come base comune la
teoria dell’identità sociale e la teoria della categorizzazione di sé. Il più recente di questi è il modello del
contatto intergruppi, secondo cui il contatto deve avvenire in un contesto intergruppi, in cui è “saliente”
l’appartenenza categoriale. Secondo tale modello, gli effetti positivi del contatto verranno estesi
all’outgroup solo se nell’interazione le appartenenze di gruppo sono salienti. Tuttavia, se il contatto avviene
a livello interpersonale, i suoi effetti positivi rimarranno nell’ambito delle relazioni interpersonali, ma le
relazioni intergruppi rimarranno sostanzialmente invariate. Se, invece, il contatto avviene a livello di gruppo
è possibile modificare le relazioni intergruppi.
2 – Si illustra come dalla teoria viene dedotta l’ipotesi di ricerca.
Secondo l’ipotesi specifica, quando il contatto positivo con un membro del gruppo avviene a livello
intergruppo, rispetto a quando avviene a livello interpersonale, si avrà un miglioramento
dell’atteggiamento nei confronti dell’outgroup.
Il rapporto intergruppi preso in considerazione è stato quello tra italiani e albanesi, poiché gli albanesi
rappresentano un gruppo spesso discriminato e percepito negativamente nel contesto italiano.
3 – La sezione del metodo include la descrizione del campione prescelto e gli eventuali sottogruppi. Segue
la descrizione dettagliata delle procedure e degli strumenti utilizzati.

METODO: campione, procedura, strumenti, controllo della manipolazione, verifica della qualità del
contatto, atteggiamento nei confronti dell’outgroup in generale.

4 – Si descrivono le modalità di analisi dei dati, giustificando perché si sono usate certe statistiche e non
altre; vengono riportati e commentati analiticamente i dati ottenuti, utilizzando tabelle e grafici.

RISULTATI: controllo della manipolazione, verifica della qualità del contatto, valutazione dell’outgroup.
5 – L’ultima parte è quella in cui si traggono le conclusioni, cioè le deduzioni dai dati della ricerca,
esponendo delle considerazioni complessive rispetto alle teorie e ai modelli esposti nell’introduzione. Al
riguardo, è essenziale non trarre inferenze che vadano oltre quanto i dati ci consentono effettivamente di
dedurre.
6 – Al termine va riportata la Bibliografia riferita agli autori citati nel testo, in genere ordinata
alfabeticamente per cognome del primo autore.

Potrebbero piacerti anche