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“LA TEORIA ETOLOGICA DI

BOWLBY”

PROF.SSA ANNA FALCO


Università Telematica Pegaso La teoria etologica di Bowlby

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
2 JOHN BOWLBY E MARY AINSWORTH ------------------------------------------------------------------------------- 6
3 LA RELAZIONE MADRE – BAMBINO E LA FORMAZIONE DEI MODELLI OPERATIVI INTERNI 9
4 L’INDIVIDUAZIONE DEI PATTERN DI ATTACCAMENTO INFANTILI ----------------------------------- 11
4.1. LA PROCEDURA DELLA STRANGE SITUATION ( AINSWORTH, WITTIG, 1969) -------------------------------------- 11
5 LA VALUTAZIONE DELL’ATTACCAMENTO NELL’ETÀ ADULTÀ : L’ADULT ATTACHMENT
INTERVIEW -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17
6 CONSIDERAZIONI FINALI ----------------------------------------------------------------------------------------------- 19
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 21

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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La ricerca in ambito sociale e psicologico utlizza numerosi metodi e tecniche di indagine


qualitativa, a volte anche prendendole in prestito da altre discipline. Questo è il caso dell'Etologia
di Konrad Lorenz, nata come metodo di ricerca del comportamento degli animali e poi utilizzata per
l'osservazione del comportamento umano. In questa lezione mostreremo le modalità attraverso le
quali l'etologia sta apportando il suo contributo alla piena comprensione del comportamento umano
soffermandoci in maniera particolare sull’impianto teorico elaborato da John Bowlby. Questa
teoria dimostra come i primi legami affettivi possono o meno creare una personalità sicura

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1 Introduzione

L’etologia è quella disciplina scientifica che studia il comportamento animale nel suo
ambiente naturale. Essa analizza le modalità attraverso le quali l’animale interagisce con
l’ambiente e aiuta a chiarire sia il ruolo della componente istintiva sia quello della capacità innata
di rispondere alle situazioni. Dall’interazione di queste due forze nasce il motore
dell’apprendimento che, utilizzato per la prima volta durante lo sviluppo, marcherà in maniera
indelebile il carattere dell’animale per tutto il resto della sua vita.

L'etologia si interessa di vari aspetti legati al comportamento animale, e tra questi, in particolare :
l’apprendimento, il corteggiamento, le cure parentali, l’organizzazione sociale e il comportamento
sessuale.

Konrad Lorenz è universalmente considerato uno dei padri fondatori della moderna etologia.
Celebri sono i suoi studi sull’imprinting, effettuati nel 1930, attraverso i quali osservò quella
particolare modalità di apprendimento che si stabilisce in un determinato periodo della vita del
cucciolo, detto fase sensibile. In questo periodo il cucciolo è biologicamente predisposto ad
apprendere ed in lui si fissano degli specifici modelli di comportamento. Nel cucciolo esistono degli
schemi comportamentali innati che se sono stimolati a manifestarsi nella fase sensibile si rafforzano
in lui. Affinché ciò è accada è necessaria la presenza di alcuni stimoli esterni. L’episodio che portò
Lorenz alla scoperta di questo fenomeno fu la nascita della sua ochetta Martina. Appena l'ochetta
ruppe col becco l'uovo e guardò fuori, Lorenz si accovacciò e si allontanò facendo il verso delle
oche selvatiche. La cosa stupefacente è che l'ochetta lo seguì immediatamente e che, da quel
momento in poi, non volle più essere posta accanto alla madre: per lei la madre era Konrad Lorenz
e lo seguiva ovunque andasse. Da qui il grande etologo comprese che le oche identificano come
propria "madre" il primo essere che vedono in movimento appena nascono. Non importa se ha la
barba bianca, non ha le ali e nemmeno le zampe palmate: per le ochette la loro madre è,
irreversibilmente, il primo essere che si è mosso davanti ai loro occhi quando sono venute al
mondo.

Sulla scia di questa pioneristica intuizione ne seguirono molte altre e, a poco a poco, l’etologia andò
affermandosi sempre più come fonte privilegiata a cui attingere per la comprensione del

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comportamento umano in tutte le sue sfaccettature. Così, a partire dagli anni Cinquanta, i principi
dell'etologia sono penetrati gradualmente nelle scienze sociali arrivando a esercitare, negli ultimi
decenni, una forte influenza in svariati campi. Quali sono questi principi? Tra i più importanti vi è
l'idea secondo la quale lo studio del comportamento debba iniziare con osservazioni e descrizioni
accurate effettuate in condizioni che siano naturali per le specie considerate, e che questo tipo di
analisi debba essere unita alla consapevolezza che l'insieme è qualcosa di più della semplice somma
delle parti. Inoltre gli etologi hanno ritenuto che la piena comprensione di un aspetto del
comportamento richieda una risposta a quattro domande fondamentali: "Che cos'è che determina il
comportamento?" (in questo caso riferendoci a fattori sia interni sia esterni all'organismo); "Come si
sviluppa nell'individuo?"; "Come si è evoluto?" e "Qual è o qual è stata la sua funzione?" ovvero,
per essere più precisi "Quali sono le conseguenze adattative per cui tale comportamento si è, o si
era, conservato nel repertorio comportamentale di una specie?".

Un campo nel quale l'approccio etologico ha avuto implicazioni di ampia portata è quello del ruolo
del rapporto tra genitore e figlio nello sviluppo della personalità (Bowlby). Nel caso invece delle
scienze sociali dell’uomo come la psicologia sociale, l’antropologia e la sociologia il contributo
dell’etologia è stato quello di ampliare il punto di vista su fenomeni come: le relazioni tra i
comportamenti degli individui, i rapporti interindividuali e la struttura sociale del gruppo.

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2 John Bowlby e Mary Ainsworth

Sia Mary Ainsworth che John Bowlby si interessarono allo sviluppo della personalità e al
ruolo fondamentale che hanno gli scambi tra genitori e figli in questo percorso di crescita. John
Bowlby (Londra, 1907 – Isola di Skye, 1990) si laureò in medicina per poi specializzarsi in
psichiatria. Partendo da un’esperienza di volontariato in una scuola residenziale per bambini
disadattati nacque in lui il desiderio di diventare uno psichiatra infantile. Negli anni della seconda
guerra mondiale lavorò come psichiatra dell’esercito, e al suo ritorno ottenne la direzione del
dipartimento infantile della Tavistock Clinic. I suoi interessi principali ovvero lo sviluppo infantile
e la psicoanalisi, lo avvicinarono inizialmente alla scuola Kleiniana da cui però ben presto si
allontanò. Dal suo punto di vista l’autrice poneva un’attenzione eccessiva sulle vicende del mondo
interno. Concetti come pulsioni, conflitti e fantasie, tipici dell’approccio psicoanalitico tradizionale,
lo portarono a nutrire un’insoddisfazione sempre maggiore verso quel quadro di riferimento
teorico.

Le numerose contaminazioni intellettuali che interessarono i suoi studi e le sue ricerche lo


portarono ad interessarsi agli sviluppi delle nuove scienze del comportamento in particolare, la
psicologia evolutiva di Piaget, il cognitivismo, la biologia evoluzionistica, la cibernetica e
,soprattutto, l’etologia di Niko Tinbergen e Konrad Lorenz che andranno assumendo nel suo
impianto teorico un’importanza fondamentale. I concetti etologici infatti, interessandosi a fenomeni
almeno in parte simili a quelli che gli psicoanalisti cercano di comprendere nell’uomo, e cioè, ad
esempio, la formazione di legami fra genitori e figli, il comportamento fra partner sessuali ed il
conflitto se utilizzati con le dovute cautele avrebbero potuto dare un nuovo impulso alla
comprensione dello sviluppo della personalità. Gli strumenti i concetti ed i metodi della nuova
prospettiva etologica, nelle intenzioni dell’autore, avrebbero potuto aiutare la psicoanalisi ad
iniziare una indagine ancora più completa ed efficace dello sviluppo affettivo precoce.

In un articolo del 1991 pubblicato sull’ “American Psychologist “ John Bowlby e Mary Ainsworth
definiscono la teoria dell’attaccamento come un approccio etologico allo sviluppo della
personalità. All’interno di questo percorso evolutivo, Bowlby sottolinea il primato dei legami
emotivi tra il bambino e le sue figure di accudimento, in particolar modo la madre. Egli fu molto
colpito, dagli effetti negativi sullo sviluppo del bambino che sono provocati da carenze in queste

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precoci relazioni d’attaccamento e perciò iniziò ad interessarsi alla loro natura e alla loro origine.
Notò in particolare i lavori di Harlow (1958, 1959) sui piccoli di scimmie Rhesus; questi
esperimenti mostravano che, quando ai piccoli veniva offerta l’occasione di scegliere tra due
surrogati materni, essi preferivano trascorrere la maggior parte del tempo aggrappati alla madre che
offriva il piacere del contatto, piuttosto che a quella che offriva nutrimento. Il termine attaccamento
definisce perciò la relazione, il legame tra quello specifico bambino e le persone che si prendono
cura di lui. Bowlby affermò a gran voce che l’attaccamento fosse un sistema motivazionale
fondamentale. Riflessioni di questo tipo ponevano Bowlby nella scomoda posizione di andare ad
intaccare uno dei cardini della teoria freudiana : il primato dell’oralità, opponendovi il “primato dei
legami emotivi intimi” ( Bowlby, 1988). Per la psicoanalisi classica infatti, il bambino ricerca il
piacere, e quindi il legame che egli stabilisce con la madre è soltanto una conseguenza diretta del
soddisfacimento di una pulsione. Nella teorizzazione classica quindi, il legame di attaccamento è
secondario e subordinato al soddisfacimento orale. E’ con la pubblicazione di Attaccamento e
perdita, che Bowlby espone in maniera più chiara e completa il piano concettuale della teoria
dell’attaccamento sostenendo che : “L’attaccamento è un sistema motivazionale primario con i suoi
modi di operare e si interfaccia con gli altri sistemi motivazionali”. L’ attaccamento determina la
vicinanza tra il bambino e l’adulto di riferimento. Ma in che modo avviene ciò ? Avviene attraverso
l’uso di alcuni segnali tipici come ad esempio il pianto, che ha proprio la funzione richiamare
l’attenzione della madre, ed altri come il chiamare, il seguire e l’aggrapparsi. Questi sono tutti
comportamenti innati del bambino, ma allo stesso tempo sono anche influenzati dall’ambiente.
Tale sistema si è evoluto proprio per assolvere la funzione biologica di assicurare protezione
sostengo e conforto ai membri più giovani all’interno di alcuni gruppi di primati. Nonostante
quindi il bambino abbia una capacità innata a formare dei legami di attaccamento, egli svilupperà
uno specifico legame, che risulterà funzionale o disfunzionale, proprio a causa delle cure genitoriali
a cui è esposto nei primi anni di vita. Quello che emerge quindi dalla pagine scritte dall’autore è che
lo sviluppo dell’organizzazione infantile dell’attaccamento ha basi esperenziali interattive e reali.
La realtà una volta per tutte si sostituisce alla fantasia.

Mary Ainsworth (Glendale, 1913 – Charlottesville, 1999) nata nell’ Ohio si trasferì a Toronto
dove si specializzò in psicologia. Nel 1950 un nuovo trasferimento, questa volta a Londra, le diede
l’occasione di diventare membro dell’unità di ricerca di Bowlby alla Tavistock Clinic; tra i due
autori inizio così una lunga e felice collaborazione. I numerosi dati raccolti permettevano di

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sostenere le ipotesi fatte in precedenza sul ruolo centrale che ha nello sviluppo del bambino il suo
forte attaccamento alla madre. Evidenze empiriche che vennero ulteriormente avvalorate da alcuni
studi effettuati tendendo in considerazione gli effetti negativi che possono provocare le esperienze
di separazione dalla madre, come ad esempio, periodi di permanenza in istituto o di malattia. I
lavori osservativi condotti con il Ganda Project in Uganda e, successivamente, quelli del Baltimore
Project, insieme al perfezionamento della Strange Situation Procedure(di cui ci occuperemo a
breve) confermarono la piena adesione dell’autrice all’approccio etologico della teoria
dell’attaccamento.

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3 La relazione madre – bambino e la formazione dei


modelli operativi interni
I modelli operativi interni sono rappresentazioni mentali che il bambino si costruisce in base
all’esperienza interattiva che vive. Con le relazioni il bambino impara come rappresentare la realtà e
com’è la relazione con l’altro e la coscienza di sé. È un sistema di conoscenza che il bambino
costruisce nel corso delle relazioni ripetute con il proprio ambiente e forniscono informazioni non
solo sul mondo fisico e sociale ma anche su di sé e sulle figure di attaccamento : si costruiscono
sulla base dell’esperienza vissuta rispetto a figure verso cui il bambino ha sviluppato attaccamento
e rispecchiano la qualità della relazione vissuta con questa persona; per dirla con le parole di
Bowlby: “ Nessuna variabile ha sullo sviluppo della personalità effetti di maggiore portata delle
esperienze fatte da bambini in famiglia; infatti, a partire dai primi mesi nei suoi rapporti con la
figura materna, proseguendo poi negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza nei suoi rapporti con
entrambi i genitori, il bambino si costruisce modelli operativi interni del modo in cui le figure di
attaccamento si potranno comportare nei suoi riguardi in ciascuna di più situazioni diverse; e su
tali modelli sono basate tutte le sue aspettative, e pertanto tutti i suoi programmi, per il resto della
vita ( Bowlby,1973).
I modelli operativi interni, sono come una guida interna e inconsapevole che il bambino possiede, e
che quindi non fa altro che guidare appunto i suoi sentimenti e i suoi comportamenti nei confronti
degli altri. Un bambino che fa esperienze positive nella sua infanzia svilupperà un senso di sé come
persona amata degna di amore protezione e conforto e, contemporaneamente, un senso degli altri
come di persone di cui poter avere fiducia. Un bambino invece che invece sperimenta cure
inadeguate oppure esperienze traumatiche come lutti o abusi percepirà un senso di sé e degli altri
generalmente negativo.
Bowlby afferma che, una volta interiorizzati, i modelli operativi interni siano fondamentalmente
stabili e restii al cambiamento. L’unica eccezione può essere costituita da esperienze talmente
significative e ripetute che, contraddicendo i vecchi schemi acquisiti, determinano la formazione di
una nuova struttura che meglio si adatta alle mutate condizioni delle realtà.

Anche Bowlby sosteneva che : “ Esiste nel primo periodo di vita una fase sensibile, trascorsa la
quale sviluppare una capacità di instaurare attaccamenti sicuri e diversificati diventerebbe sempre

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più difficile; in altri termini, il modello secondo il quale si è organizzato il comportamento di


attaccamento tende a persistere e , man mano che il bambino cresce, a modificarsi meno
facilmente”(Bowlby, 1969).

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4 L’individuazione dei pattern di attaccamento


infantili
L’apporto decisivo che Mary Ainsworth fornì alla teoria dell’attaccamento fu quello di aver
individuato, per la prima volta, tre modelli tipici di attaccamento, attraverso la messa a punto di una
accurata procedura sperimentale su base osservativa : la Strange Situation Procedure (SSP).
Questo strumento si proponeva di valutare l’equilibrio tra il sistema di attaccamento e il sistema di
esplorazione del bambino. Si tratta di una procedura standardizzata effettuata in un laboratorio che
consiste nell’osservazione di otto sequenze, per una durata totale di circa mezz’ora. Le sequenze in
questione sono costanti e stabiliscono che il bambino sia in compagnia, congiunta o alternata, della
madre e di una persona estranea. Si passa quindi ad osservare le reazioni del bambino alla
separazione e al ricongiungimento alla madre e l’intera sequenza viene videoregistrata.
I bambini presi in considerazione hanno un’età non inferiore ai dodici mesi, che corrisponde
all’inizio della deambulazione. La peculiarità della procedura ovvero, l’ambiente nuovo nel quale il
bambino si trova, la presenza di un adulto estraneo e il successivo allontanamento della madre sono
tutti fattori di stress per il bambino che non fanno altro che promuovere in lui la comparsa di un
comportamento d’attaccamento. I momenti cruciali sui quali si focalizza l’attenzione sono quelli
della separazione del ricongiungimento alla madre.

4.1. La procedura della Strange Situation ( Ainsworth, Wittig,


1969)

1) La madre e il bambino vengono accompagnati in una stanza.


2) La madre e il bambino vengono lasciati da soli e il bambino è libero di esplorare l’ambiente ( 3
minuti).
3) Entra un’estranea, si siede, parla con la madre e cerca di mettersi a giocare con il bambino ( 3
minuti).
4) La madre esce dalla stanza. Il bambino e l’estranea rimangono soli ( al massimo 3 minuti).
5) Prima riunione. La madre ritorna e l’estranea esce in maniera discreta. La madre consola, se
necessario, il bambino e cerca di mettersi a sedere ( 3 minuti).
6) La madre esce dalla stanza. Il bambino rimane da solo ( massimo 3 minuti).

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7) L’estranea ritorna e cerca, se necessario, di consolare il bambino. Poi si accomoda sulla sedia ( al
massimo 3 minuti).
8) Seconda riunione. La madre ritorna e l’estranea esce dalla stanza in maniera discreta. La madre
consola il bambino, se necessario, e cerca di ritornare sulla sedia ( 3 minuti).
(Ainsworth,Wittig,1969)

Categoria del bambino Categoria della madre

Attaccamento sicuro (B) Disponibilità emotiva- capacità di


rispondere

Attaccamento ansioso-evitante(A) Rifiuto

Attaccamento ansioso-ambivalente(C) Vicinanza insoddisfacente

( intrusività- distanza)

Attaccamento disorganizzato(D) Spaventata/ spaventante

(Zeanah,1993)

L’ipotesi iniziale è che il comportamento osservato sia rappresentativo delle quotidiane esperienze
d’attaccamento del bambino con la madre.. I bambini classificati come sicuri, tipo B (66% del
campione ), erano quelli che al momento della separazione potevano piangere oppure no ma che si
avvicinavano alla loro madre al momento della riunione ricercando il contatto e la vicinanza. Erano
in linea di massima facilmente consolabili quando mostravano rabbia ed erano in grado di
riprendere agevolmente l’esplorazione dell’ambiente. Circa il 20% del campione comprendeva quei
bambini definiti insicuri – evitanti ( con attaccamento di tipo A); essi sembravano non risentire
dell’allontanamento dalla madre, né tanto meno al suo ritorno cercavano di avvicinarsi a lei; rispetto
all’estraneo il loro comportamento era freddo e distaccato, la loro attenzione era rivolta soprattutto
all’ambiente circostante. La terza categoria di bambini, quelli ansiosi - resistenti ( con attaccamento
di tipo C) corrispondenti al 12% del campione apparivano agli occhi dell’osservatore come

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assolutamente disperati per l’allontanamento della madre. Al ricongiungimento il loro


comportamento era ambivalente, cercavano fortemente il contatto ma contemporaneamente
respingevano ogni tentativo di consolazione effettuato dalla stessa. L’esplorazione dell’ambiente
era ridotta al minimo e anche il gioco era difficoltoso. Una piccola ma significativa percentuale di
bambini ( circa l’8% del campione) rimase al di fuori delle tre categorie appena elencate perché
l’analisi del loro comportamento non rientrava in nessuno dei modelli presi in considerazione. Si
rendeva quindi necessaria l’identificazione di una nuova “etichetta” di attaccamento che potesse
meglio descriverli e definirli . Fu definito come attaccamento disorganizzato – disorientato (tipo
D). Il comportamento di questi bambini è caratterizzato da paura e disorientamento. Sono bambini
spaventati che non riescono ad avvicinarsi al genitore in una maniera efficace.

Passiamo ora ad analizzare più sistematicamente le quattro categorie appena descritte.

I bambini “sicuri” (tipo B) alla separazione dalla madre piangono, si disperano, la chiamano
affannosamente e cercano di seguirla; al ricongiungimento cercano subito un contatto con lei. Una
volta tranquillizzati sono in grado di riprendere il gioco interrotto e di esplorare liberamente
l’ambiente intorno a loro, appaiono di nuovo felici e sicuri. Le osservazioni domestiche
evidenziarono che questi bambini sicuri potevano fare affidamento su delle madri affettuose ed
attente che spesso si intrattenevano con loro. Nel bambino l'aspettativa circa l'accessibilità e
responsività della madre si costruisce proprio attraverso l'esperienza di averla vissuta come
generalmente sensibile e responsiva ai propri segnali. Egli ha interiorizzato una buona fiducia di
base nei confronti della madre percependola come una base sicura alla quale può fare sempre
riferimento in tutti i momenti di paura, difficoltà, stress e dolore.

I bambini classificati come insicuri – evitanti ( tipo A) al momento della separazione non appaiono
particolarmente stressati, il pianto è breve o inesistente. Al ricongiungimento il loro comportamento
è distaccato, sia il contatto che l’interazione sono attivamente evitati. Questi bambini indirizzano la
loro attenzione su oggetti neutri dell'ambiente e paradossalmente sembra che esplorino più di
quanto facessero un attimo prima, ignorando la madre al suo rientro. lei. Se la madre li prende in
braccio, essi non si aggrappano, né mostrano resistenza. Le osservazioni domestiche mostrarono
delle madri rifiutanti nei confronti dei comportamenti d’attaccamento dei figli; parliamo di madri
fredde, distaccate che si intrattenevano con loro in un’interazione puramente funzionale, diretta
soltanto a soddisfare le esigenze fisiche del bambino. In rapporto a ciò il figlio sviluppa una scarsa

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fiducia circa una pronta e adeguata risposta alle proprie difficoltà. Tende così a mantenere un
atteggiamento di autosufficienza allo scopo di minimizzare le occasioni di vicinanza alla madre
evitando il rischio di un possibile rifiuto.

I bambini classificati come insicuri – resistenti o ambivalenti (tipo C) alla separazione esprimono
una forte angoscia, il pianto è forte e rabbioso e al ricongiungimento sono difficili da calmare; una
volta presi in braccio tentano in tutti i modi di divincolarsi. Il loro comportamento è contraddittorio,
da un lato ricercano il contatto e la vicinanza con la madre ma allo stesso tempo cercano di
discostarsene ad esempio distogliendo lo sguardo o manifestando forti scoppi di rabbia;
difficilmente riprendono l’esplorazione dell’ambiente circostante ed il gioco appare fortemente
inibito. Le osservazioni domestiche ci offrono un profilo tipico di queste madri che sono
fondamentalmente imprevedibili; a volte appaiono affettuose mentre alte volte, magari proprio
quando il bambino ne ha più bisogno, si dimostrano assenti o non disponibili. Il comportamento
della madre non consente al bambino di prevedere quali saranno le reazioni materne di fronte alle
sue richieste.

I bambini disorganizzati - disorientati (tipo D) manifestano molta angoscia alla separazione e al


ricongiungimento presentano un comportamento disorganizzato. Un fenomeno tipico è quello di
ricercare il contatto con la figura materna che però molto spesso è seguito da un comportamento di
evitamento. Essi possono avvicinarsi al genitore ma tenere la testa voltata, alzarsi in piedi per
avvicinarsi ma poi ricadere per terra. Sono madri che spaventano i loro bambini, molto spesso
parliamo di madri maltrattanti che sono fonte di paura. Il comportamento materno è dovuto
generalmente a traumi infantili non risolti, come lutti e abusi, fisici o sessuali. La differenza
principale tra i bambini A, B e C e quelli D e che questi ultimi non sono in grado di elaborare
alcuna strategia efficace di coping (in psicologia, si definisce "coping" il meccanismo che si mette
in atto nel tentativo di superare, ridurre o, comunque, rendere tollerabili situazioni conflittuali o che
sono fonte di stress), quest’ultimo modello rappresenta il fallimento di tale processo. Il bambino D
vive una relazione di attaccamento molto instabile e insicura, spesso con uno o entrambi i genitori
abusanti. L’espressione comportamentale tipica dello stile disorganizzato è il
“freezing”(congelamento - che in natura rappresenta una difesa biologica contro il pericolo più
estremo) che rappresenta l’incapacità di fare appello alle proprie risorse e di mettere in atto una
qualsiasi strategia difensiva.

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Riporto sintetizzata una storia scritta da me alcuni anni fa. Vuole essere un modo concreto per
evidenziare alcuni stili di attaccamento.

UNA GIORNATA AL PARCO


Queste le cose che mi colpiscono negli occhi di un bambino: la speranza, il dolore, il vuoto,
l’indifferenza
Ieri ero al parco giochi con mio figlio di quindici mesi. Davide correva eccitato tra una giostrina e
un’altra.
Ero un po’ più indietro di Davide quando vidi una bambina sui dieci anni, che a testa bassa stava
giocando con la sabbia. Mi fermai inorridita: il viso della piccola era pieno di graffi ed
escoriazioni. Mi guardò negli occhi, poi abbassò lo sguardo. Continuava a giocare con la sabbia
con un fare meccanico e rassegnato. Era un toccare senza toccare, un muovere le mani come se
non fossero sue, gli occhi persi nel vuoto. Rallentata nei gesti, si muoveva senza interesse, come a
far passare un tempo che non sapeva come riempire; il volto era quasi inespressivo; solo gli occhi
tradivano il suo dolore. Mi guardai intorno per capire se ci fosse qualcuno con lei: sembrava
completamente sola!

Davide, nel frattempo, corse via e raggiunse un gruppetto di bambini vicini allo scivolo. “Ciao!”,
fece una vocina affabile. Sostituendomi a Davide, che non sapeva parlare, chiesi: “Come ti
chiami?”. Rispose: “Beatrice”. Sempre rivolta a Davide, allungandogli la manina, la bimba
aggiunse: “Vuoi giocare con me?”. Davide, eccitato, provava ad imitarla nel risalire lo scivolo al
contrario. Un altro bambino un po’ più grande, sui sette /otto anni borbottava: “Insomma! Sei
sempre la solita! Fai cose pericolose e io sono costretto a seguirti per evitare che ti faccia male!”.
Lo guardai, aveva qualcosa di buffo nelle movenze e nel tono, come di chi vuole sembrare più
grande: un piccolo uomo! Gli chiesi come si chiamasse: “Mi chiamo Andrea, ho otto anni,
frequento la terza elementare. Sono al parco per fare compagnia a mia cugina. Mamma è seduta lì
in fondo su una panchina; mi ha raccomandato di essere attento a Beatrice che ha solo cinque
anni”. Pensai “Mio Dio! Questo bambino parla come un libro stampato!”..

Intanto, Beatrice aveva completamente conquistato Davide che, urlando, la seguiva felice,
nonostante non riuscisse a muoversi agilmente come lei. Aiutai mio figlio. Beatrice mi piaceva, era
viva e serena. Andrea, invece, faticava a risalire su per la scala al contrario. Non mi guardava, nè
sembrava interessato alla mia vicinanza. Appariva piuttosto freddo.

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Mentre Davide giocava con Beatrice che lo aveva completamente affascinato, arrivò un gruppetto
di altri bambini che si rincorrevano. Mi colpì tra loro uno veloce e agile, ma talmente esuberante
da cadere e farsi male, facendo male. Gli altri lo prendevano in giro e tendevano ad allontanarlo.
Lui rispondeva con forte aggressività. Passava poi a ritirarsi spaventato. Ad un certo punto, stava
per scoppiare una rissa tra lui ed un altro bambino. Intervenne Francesco, il leader, e lo
allontanò.

Cosa ho visto negli occhi di questi bambini? Negli occhi della bambina senza nome ho colto il
dolore, in quelli di Beatrice la speranza, in quelli di Andrea il vuoto, in quelli di Massimo
l’agitazione

Ritornando agli stili di attaccamento: Beatrice presenta un attaccamento sicuro, Andrea ansioso-
evitante, Massimo ansioso-ambivalente e La Bambina senza nome quello disorganizzato

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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5 La valutazione dell’attaccamento nell’età adultà :


l’Adult Attachment Interview

Gli studi di Mary Main e colleghi, ideatori dell’ Adult Attachment Interview (AAI), hanno
permesso di identificare l’esistenza di un forte legame tra il tipo attaccamento del genitore e quello
del bambino che si manifesta attraverso la capacità della madre di rispondere in maniera adeguata
alle richieste del piccolo e di interpretare correttamente i suoi bisogni.

L’AAI è un’intervista semistrutturata composta da 20 domande, poste secondo un ordine


prestabilito, che esplora le esperienze dell’adulto vissute con i caregiver (ovvero le figure di
accudimento primarie) durante l’infanzia e che consente di classificare gli stati della mente relativi
all’attaccamento attraverso un’analisi qualitativa delle narrazioni che riguardano tali
esperienze(Steele e Steele 2008). L’intervistatore si focalizza sul linguaggio e sulle espressioni
utilizzate dal soggetto, egli deve tornare indietro con la memoria allo scopo di far emergere i
ricordi delle esperienze di attaccamento attraverso descrizioni generali ed episodi più specifici. In
altre parole lo strumento indaga la possibile corrispondenza tra l’assetto mentale del soggetto e
alcune caratteristiche del suo linguaggio. Il sistema di classificazione prevede quattro categorie.

I soggetti classificati come sicuri – autonomi (free), parlano in maniera sicura delle proprie
esperienze di attaccamento, il loro racconto è coerente. Il quadro che emerge attraverso i loro
ricordi non è per forza quello di un’ infanzia totalmente felice e spensierata, ma sono comunque
arrivati ad elaborare le proprie esperienze con le figure di accudimento in maniera chiara e
consapevole. Sono in grado di parlare liberamente sia degli gli aspetti piacevoli che di quelli
dolorosi.

Gli adulti classificati come distanzianti – dismissing (Ds), hanno pochi ricordi, le risposte sono
generalmente brevi . Essi tendono a minimizzare l’influenza che tali esperienze hanno avuto sulla
loro vita. La descrizione è spesso idealizzata o al contrario svalutante.

Gli adulti definiti preoccupati – coinvolti, entangled (E), riportano generalmente frasi lunghe e
confuse, incomplete o incomprensibili. Il loro stato mentale è confuso e non obiettivo rispetto alla
propria esperienza di attaccamento. Spesso usano frasi dirette, rivolte al genitore come se fosse lì

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presente. Rabbia e confusione la fanno da padroni. Si tratta di persone ancora coinvolte, invischiate
in dinamiche familiari passate e presenti.

Infine, gli adulti assegnati alla categoria non risolto – unresolved (U), manifestano una mancata
risoluzione di episodi traumatici come lutti e abusi. I soggetti manifestano un coinvolgimento
ancora vivido e quindi attuale, unitamente a uno stato mentale disorientato, rispetto a queste
esperienze traumatiche. Questa classificazione è sempre accostata a una delle altre tre categorie
principali per meglio definire l’intervista nel suo complesso.

La cosa più rilevante che emerge dai diversi studi che correlano l’AAI alla SSP, è che non sono
tanto gli eventi infantili dei genitori in quanto tali, positivi o negativi che siano, a predire la qualità
della relazione di attaccamento con i propri figli, bensì quanto questi siano stati elaborati e integrati
in un modello coerente di sé (Caviglia,2003).

La corrispondenza tra attaccamento sicuro o insicuro del bambino e del genitore è del 78% (Main
1995). Tutti questi dati non fanno altro che avvalorare l’ipotesi bowlbiana della trasmissione
intergenerazionale dei modelli operativi interni.

Le quattro categorie di attaccamento dell’adulto corrispondono a quelle individuate nei bambini da


Mary Ainsworth nel 1978

Categorie dell’adulto  Categorie del bambino

Attaccamento sicuro (F)  Attaccamento sicuro (B)

Attaccamento distanziante (Ds)  Attaccamento ansioso-evitante (A)

Attaccamento preoccupato-coinvolto (E)  Attaccamento ansioso-ambivalente (C)

Attaccamento con lutti o traumi non risolti (U)  Attaccamento disorganizzato (D)

(Hesse,1999)

Alla base di tali corrispondenze categoriali vi è, dunque, l’ipotesi per cui le madri che hanno
accettato e integrato le proprie esperienze infantili e che valorizzano le relazioni, sono nella
situazione migliore per fornire delle cure sensibili ai loro bambini e per promuovere in essi un
sentimento di sicurezza ( Zeanah et al.,1993).

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6 Considerazioni finali

L’opera di Bowlby negli ultimi decenni ha dato il via a una mole impressionante di ricerche
che si sono soffermate sulla relazione tra l’attaccamento del bambino e il suo funzionamento in altre
aree come : la competenza sociale con i pari, il comportamento scolastico, le manifestazioni di
aggressività fisica e la tendenza esplorativa verso l’ambiente sociale. Quello che questi studi hanno
confermato , anche molti decenni dopo le intuizioni dell’autore, è che il modello di attaccamento
sicuro garantisce una comunicazione libera ed efficace , una conoscenza di sé e degli altri più
concreta e funzionale e quindi assicurerebbe un maggior adattamento sociale e una più elevata
probabilità di sopravvivenza. Bowlby è stato rivoluzionario anche da un punto di vista teorico.
Infatti egli ha identificato quegli aspetti del funzionamento mentale inconscio che sono indipendenti
dai processi dinamici descritti da Freud e dagli psicoanalisti classici. L’elaborazione dei MOI, e dei
processi di apprendimento implicito a questi collegati, ha costituito un’innovazione a cui hanno
aderito molte delle teorie psicoanalitiche contemporanee. Per concludere citiamo anche l’ambito
clinico dove la teoria bowlbiana dell’attaccamento aprì la strada alla nascita di un nuovo paradigma
concettuale per lo studio della psicopatologia evolutiva, stiamo parlando della Developmental
Psychopathology; disciplina orientata alla comprensione del disturbo psichico in una prospettiva
che sottolinea l'importanza delle relazioni per lo sviluppo normale e patologico che offriva così una
valida alternativa all’approccio psichiatrico tradizionale.

ESEMPIO

Vengono in agenzia 4 ragazzi. Uno è aperto, socievole, tende a parlare socievolmente. E’


equilibrato nelle sue risposte emotive. Ne discute, propone alternative intelligenti quando si
presenta un problema, non perde la pazienza nei confronti degli altri più ansiosi che, anzi, tende a
rassicurare e proteggere (sicuro/sicuro). Un secondo sembra accettare le proposte in modo
eccessivamente critico, trovando de ridire su tutto (distanziante/evitante). Un altro invece accetta
alcune proposte con entusiasmo, ma alla prima difficoltà che incontra reagisce in modo molto
aggressivo e ansioso (preoccupato –coinvolto/ambivalente ansioso). Infine l’ultimo è molto passivo

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sembra non avere alcuna idea sua personale si lascia trascinare dagli altri da cui dipende
completamente (attaccamento con lutti o traumi non risolti/ disorganizzato). .

Voi siete affascinati e vi trovate molto bene con il primo, siete in imbarazzo con il secondo perché
sembra disconfermare continuamente quanto dite, non è mai entusiasta veramente ed assume un
atteggiamento di superiorità distaccato. Vi sentite invece confusi ed irritati con il terzo che in certi
momenti vi idealizza e in altri vi svaluta completamente non riuscendo a reggere nessuno dei
piccoli problemi che gli portate. Verso l’ultimo provate molta pena e pensate che sia una fortuna per
lui che abbia trovato degli amici che gli vogliono bene, altrimenti sarebbe completamente da solo e
perso.

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Bibliografia
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bambini di un anno nella “Strange Situation”,in M.D.S. Ainsworth , Modelli di attaccamento

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 Ainsworth M.D.S., Bowlby J. (1991), : An Ethological Approach to Personality

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 Bowlby J., Attaccamento e Perdita, vol I : L’attaccamento alla madre, Boringhieri, 1972

 Bowlby J., Attaccamento e Perdita, vol II : La separazione dalla madre, Boringhieri, 1975

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 De Coro A., Ortu F., : Psicologia Dinamica, Laterza, 2011

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 Fonagy P., Steele M., Steele H., : L’integrazione della teoria psicoanalitica e del lavoro

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 Main M., : L’attaccamento. Dal comportamento alla rappresentazione, Raffaello Cortina,

2008

 Meins E., : Sicurezza e sviluppo sociale della conoscenza, Raffaello Cortina, 1999

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 Zeanah C.H., Disturbi dell’attaccamento, in Manuale della salute mentale infantile, Milanno,

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