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“PSICOLOGIA SOCIALE

DELLA SECONDA INFANZIA E


ADOLESCENZA (5-18 ANNI)”

PROF.SSA ANNA FALCO


Università Telematica Pegaso Psicologia sociale della seconda infanzia
e adolescenza (5-18 anni)

Indice

1 SECONDA INFANZIA (DAI 5-6 ANNI ALL’ADOLESCENZA) ---------------------------------------------------- 3


1.1. ACQUISIZIONI SOCIALI -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
1.2. ACQUISIZIONI PSICOLOGICHE ------------------------------------------------------------------------------------------------ 4
2 PSICOLOGIA SOCIALE DELL’ADOLESCENZA -------------------------------------------------------------------- 5
2.1. INTRODUZIONE----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
2.2. COS’È L’ADOLESCENZA? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
2.3. MUTAMENTI BIOLOGICI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 7
2.4. MUTAMENTI PSICOLOGICI ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
2.5. ADOLESCENZA CONSIDERATA SOCIOLOGICAMENTE ------------------------------------------------------------------- 10
2.6. ADOLESCENTI E ADULTI ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 12
3 COSA CAMBIA NELL’ESPERIENZA TRA SECONDA INFANZIA, PREADOLESCENZA E
ADOLESCENZA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14
3.1. IL BAMBINO TRA I 5- 10-ANNI --------------------------------------------------------------------------------------------- 14
3.2. PREADOLESCENTE 9-14 ANNI---------------------------------------------------------------------------------------------- 15
3.3. ADOLESCENTE 14-18/20 ANNI--------------------------------------------------------------------------------------------- 16
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Seconda infanzia (dai 5-6 anni all’adolescenza)


E’ la fase in cui comincia la relazionalità tra pari portatori di diritti simili, delle regole
definite all’interno del gruppo. E’ la fase del “non è giusto”.

1.1. Acquisizioni sociali

Fino ai sei anni il bambino è più decisamente autocentrato, e il valore degli scambi con gli
adulti è enorme.
 Sono gli adulti che impongono la loro visione del mondo, definiscono le regole e
organizzano il gioco tra bambini (che non sanno mettersi regole tra loro e organizzarsi).
 E’ dagli adulti che il piccolo apprende cosa è giusto o sbagliato; ma il valore etico non è
ancora capito fino in fondo. Ad esempio nella prima infanzia la bugia è tale perché
inverosimile, non perché non sia giusto dirla (ad esempio, è più grave dire di avere un
elefante a casa che mentire sull’aver mangiato le caramelle). La bugia è tanto più grave
quanto più inverosimile.

A 6-7 anni
 il bambino comincia a comprendere che ciò che non è giusto per lui non lo è neanche per
l’altro. Vede gli altri bambini in modo diverso: cominciano a essere considerati portatori di
diritti simili ai suoi. Cominciano i giochi di regole condivise tra pari, finora impossibili
(ogni bambino fino ai sei anni gioca spontaneamente “in parallelo” agli altri, ma la
possibilità di fare, senza un adulto, un gioco con regole è molto limitato). Grazie ai giochi di
regole il senso morale si fa più sofisticato e le regole diventano tali se condivise, e si
possono cambiare, se il gruppo lo vuole. Le regole diventano un modo concreto per
organizzarsi tra pari.
 Si comprende come la persona sociale, con proprie etiche e valori condivisi, comincia a
nascere a questa età. Essa coincide con la frequenza della scuola primaria, con i giochi di
squadra, con le prime “lotte” per l’autonomia.

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1.2. Acquisizioni psicologiche

Queste importanti acquisizioni sociali vanno di pari passo con l’evoluzione biologica e
psicologica.
Psicologicamente il bambino di 6-7 anni non riesce ancora a ragionare in modo astratto, è legato al
pensiero concreto, ma, in modo più raffinato rispetto al bambino piccolo: introduce nel suo
ragionamento la reversibilità, cioè la capacità di ricostruire le azioni attraverso processi mentali
all’inverso. Ad esempio sa che due palline di plastilina uguali per dimensioni restano tali anche se
facciamo loro cambiare forma (una a bastoncino lunghissimo e una a palla), oppure che due
quantità d’acqua restano tali anche se le mettiamo in contenitori di forma assai diversa.
Attraverso queste acquisizioni psicologiche il bambino comincia a poter fare esercizi matematici,
sempre più complessi con l’avanzare dell’età.

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2 Psicologia sociale dell’adolescenza

2.1. Introduzione

Qualche citazione sull’adolescenza:

“Mio figlio di 16 anni è un impulsivo, manca di giudizio, non pensa alle conseguenze di quello che
fa”
“Raramente i ragazzi valutano le conseguenze a lungo termine e il loro senso del futuro è diverso
da quello degli adulti” (Giorgio Maria Bressa)
“L’adolescenza è una impresa evolutiva congiunta di genitori e figli per rendere possibile il
reciproco distacco senza rotture irreparabili”
“Non mi parla più, è sempre in lotta con qualcosa o qualcuno”
“I due grandi problemi dell’adolescenza sono: trovarsi un posto nella società e, allo stesso tempo,
trovare se stessi” (Bruno Bettelheim)
“L’adulto visualizza all’adolescente le fasi del divenire e le mete che dovrà raggiungere”
“Ciascuno cresce solo se sognato” (Danilo Dolci)
“Vuole sempre avere ragione, crede di sapere tutto lui”
“Che stagione l’adolescenza. Senti di poter essere tutto e ancora non sei nulla e proprio questa è la
ragione della tua onnipotenza mentale” (Eugenio Scalfari)

Queste citazioni descrivono alcuni aspetti peculiari dell’adolescenza: l’impulsività, il ruolo dei
genitori e del mondo adulto nel sostenere questa fase di passaggio, la sensazione di onnipotenza, le
speranze, la meraviglia e la gioia connesse con la crescita.

Cosa significa studiare l’adolescenza dal punto di vista della psicologia sociale?

a. Implica, in prima battuta, studiare in che modo i sistemi sociali, da quelli più distali al
giovane (società) a quelli più prossimali (famiglia, gruppo dei pari), influiscano sulle
strutturazioni biologiche e psicologiche responsabili del comportamento dei giovani in

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molteplici aspetti (ad esempio rispetto all’autonomia/dipendenza dai genitori,


normalità/devianza, atteggiamenti rispetto al lavoro, preoccupazioni rispetto al futuro,
consumo di alcol e droghe, costumi e consumi..).
Infatti, nell’ultimo decennio, si è sempre più considerata l’adolescenza non più come una
fase della vita deterministicamente orientata da mutamenti biologici sempre uguali, ma
come fortemente influenzata da una importante azione dei contesti sociali che fungono da
“trama della crescita”1.

b. Implica inoltre il valutare la funzione psico - sociale dei giovani nella nostra realtà (ad
esempio i giovani sono innovatori o solo sismografi dell’esistente? 2 ; qual è il ruolo sociale
dei giovani adolescenti e post adolescenti nella nostra società?... )

Come si vede la psicologia sociale, che si pone nell’interfaccia tra sociologia (che studia le relazioni
sociali e il loro significato) e la psicologia (che studia le relazioni tra le componenti psichiche
dell’individuo e il loro significato), dà una molteplicità di contributi alla comprensione del periodo
adolescenziale.
I suoi studi hanno molta importanza per definire quali siano le politiche sociali ed educative più
adeguate allo sviluppo dell’adulto sano e felice.
Ma ci dicono molto anche relativamente al ruolo degli adolescenti quali consumatori di beni e
cultura, in che modo orientano mode e tendenze.
E’ impossibile per qualunque trattazione prendere in considerazione tutti questi aspetti. Ci
limiteremo a definirne alcuni, di interesse più generale.

In particolare cercheremo di rispondere alle seguenti domande:

 Cosa è l’adolescenza?
 In che modo da bambino ad adolescente cambiano le strutture biologiche, psicologiche e il ruolo
sociale della persona. In che modo la società, il contesto familiare e il gruppo dei pari sono
importanti per la definizione di un’identità adulta?

1
Bonino, 2001
2
Meeus, Crocetti, 2009

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 I giovani si differenziano dai genitori o ne assumono i valori e gli atteggiamenti esistenziali? I


giovani sono innovatori rispetto all’esistente?

2.2. Cos’è l’adolescenza?

Adolescere = crescere
E’ una fase dello sviluppo che va dalla pubertà (tra gli 8 e i 13-14 anni, secondo le epoche e le
culture, perché legata all’alimentazione e alle condizioni igienico-sanitarie, che comportano
differenze nel ritmo di crescita) e l’acquisizione dell’autonomia –es. scelta lavorativa o lavoro, con
variazioni imposte dalle culture- in genere tra i 18-20 anni.
Si caratterizza per modificazioni biologiche (endocrinologiche, neurologiche, corporee),
acquisizione di una identità psicologica (sé, identità sessuale), inizio di una identità sociale
(autonomia, valori, identità lavorativa…).
E’ un periodo di enormi cambiamenti di mente, corpo e comportamenti che vanno definendosi in
maniera adulta.
Va letta secondo il paradigma bio-psico-sociale poiché i tre fattori la determinano influenzandosi in
maniera reciproca.

2.3. Mutamenti biologici

L’inizio dell’adolescenza (11-12 a. per le ragazze e 13-14 per i ragazzi) e i primi 3 anni di
vita sono le fasi della vita in cui vi è il più tumultuoso rimaneggiamento endocrinologico, cerebrale
e corporeo nel suo complesso.
Si completa la maturazione degli organi riproduttivi. Aumenta la pulsione sessuale.
Sotto l’influenza degli ormoni sessuali il cervello si sviluppa in senso maschile o femminile,
contribuendo, assieme ai fattori ambientali/esperienziali, alle differenze di comportamento non solo
sessuale.
Grazie alle modificazioni biologiche cambiano le capacità cognitive.

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Nel bambino il pensiero è induttivo (cioè concreto, legato alla osservazione e percezione della realtà
quale essa è).
Nel preadolescente comincia a maturare il pensiero ipotetico-deduttivo (si fanno ipotesi e
deduzioni, si ipotizza il futuro e si è capaci di sviluppare progettualità).
Il bambino, e l’adolescente disturbato, imparano e agiscono nel mondo del qui ed ora legato, in gran
parte, alle esigenze immediate: non sanno collegare le proprie azioni a principi generali;
l’adolescente, posto davanti a un problema, può cominciare a ipotizzare diverse soluzioni,
vagliando lo sviluppo futuro dell’azione immediata; comincia a ragionare di politica, filosofia…
Nell’adolescente il pensiero e il comportamento sono impulsivi, cioè dominati, più che nell’adulto,
da dinamiche emotive. Non è un problema solo educativo, ma neurobiologico. In questa età, infatti,
il sistema limbico (che si trova sotto la corteccia cerebrale ed è responsabile delle emozioni) si
sviluppa più velocemente della corteccia frontale e prefrontale e delle sue connessioni con il
sistema limbico (che servono per il controllo delle emozioni). Nel bambino, invece, c’è maggiore
equilibrio tra emozioni e sistema di controllo.
Nel sistema limbico c’è anche il “centro cerebrale di rinforzo”, cioè il centro del “piacere” che,
senza un controllo corticale, è più “disinibito”. Da qui la possibilità di comportamenti (sessuali,
droghe, alcool, sport estremi, azioni pericolose…) che “attivano” questi centri.

La biologia (cioè lo sviluppo delle connessioni tra i neuroni) è influenzata anche dall’ambiente. E’
importantissimo, nello sviluppo biologico, l’ambiente educativo e culturale in cui cresce il ragazzo.
Compito di educatori e genitori è fornire modelli di confronto, stimolare il controllo e il pensiero
logico-deduttivo. Il controllo corticale delle aree limbiche ha molto a che fare con le regole morali e
sociali e con la capacità di tollerare la divergenza di opinioni.
Il processo di “maturazione” del cervello si completa tra i 20 e i 25 anni con l’aumento della
sostanza bianca e il decadimento delle connessioni neuronali “ridondanti”. In tal modo sia la
coordinazione motoria, che il controllo degli impulsi sono migliori.

NON DIMENTICHIAMO il ruolo dell’educazione/ambiente/cultura sul favorire queste


connessioni. L’educazione e il sostegno alla crescita, devono stimolare acquisizioni vicine, per
struttura psicologica, a quelle presenti e non possono spingersi oltre le possibilità biologiche di quel
momento, anche se gli stimoli influenzano lo sviluppo biologico (è il concetto di stimolazione
prossimale).

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2.4. Mutamenti psicologici

L’adolescenza è il momento della differenziazione e della definizione dell’identità.

Identità = Definirsi come persona dotata di idee, sentimenti, interessi, modalità di azione e di
interazione con il mondo propri e peculiari
Il ragazzo deve separarsi da vecchi legami, sentimenti, valori e credenze maturati nella relazione
con i caregivers per acquisirne di “suoi”. Si oppone, ma ha paura.
Conflitto interno tra la necessità di individuarsi e di essere autonomo, e la paura di separarsi. E’ una
vera “guerra d’indipendenza”, dominata dall’ambivalenza.
Non ce la fa da solo. Per non sentire l’angoscia della solitudine e tollerare la dispersione dell’io tra
mille potenzialità, in una fase intermedia, tende a legarsi a gruppi, passando da una relazione
asimmetrica – es. padre-figlio - a relazioni apparentemente simmetriche, infarcite però spesso di
dipendenza. Sono il gruppo di pari, il partner il suo riferimento. E’ il momento delle grandi
idealizzazioni e dell’identificazione in miti esterni, anche molto distanti dal contesto socio-culturale
di provenienza. L’idealizzazione lo porta a identificarsi totalmente in modelli anche controculturali.
Può far sua un’ideologia, anche in maniera acritica. Anna Freud parla di spostamento
dell’investimento libidico da figure genitoriali a figure o gruppi extrafamiliari (cambiamento delle
relazioni oggettuali infantili).
A un livello più profondo l’adolescente ha paura, e sente di dover contare su famiglia ed educatori
che non devono pensare a questo periodo come una “crisi”, ma come un momento evolutivo
fondamentale. Mentre infatti, per la prima e seconda infanzia il mondo sociale del bambino è
prevalentemente quello familiare o comunque questo funge molta da filtro con il mondo sociale
esterno. A partire dalla preadolescenza il mondo sociale assume un significato molto più importante
e la famiglia comincia a passare in secondo piano, deve esserci, ma è il ragazzo che inizia ad
imparare a mediare i suoi rapporti con il mondo sociale
Come già detto gli adolescenti devono affrontare questi cambiamenti con un apparato psicologico e
neurobiologico non del tutto sviluppato. L’ambivalenza emotiva, l’angoscia della separazione e
della non completa individuazione, l’elevata impulsività non ben controllata, l’insicurezza di fondo
necessitano, a livello psicologico, del ricorso a “meccanismi di difesa”.

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Gli adolescenti ne possono usare molti: alcuni più adattivi (cioè che favoriscono l’adattamento
all’ambiente e vanno verso la norma), altri più disadattivi (che possono andare cioè verso la
disfunzionalità).
Adattivi: sublimazione (es. invece di aggredire sublimo l’impulso nello sport), altruismo,
umorismo…
Meno adattivi: idealizzazione, inversione dell’affetto (odio quello che prima amavo –per favorire la
separazione/individuazione-), rimozione (escludo dalla consapevolezza), proiezione (dico che
l’altro è respingente, rabbioso…ma sono io ad essere così)…
Disadattivi: regressione (invece di rompere la simbiosi con i genitori regredisce a fasi precedenti
dello sviluppo), acting out (perdita di controllo nella rabbia, ad esempio…), somatizzazione…
Psicotici: proiezione delirante, distorsione psicotica.

Adolescenti normali possono usare tutti questi meccanismi di difesa. Tuttavia se il ricorso a
meccanismi disadattivi è esteso questo è indice di problematicità.
Qualche volta il terrore della separazione e delle relazioni di transizione verso l’identità adulta è
molto elevato. L’adolescente, allora, può ritirarsi (in modo disadattivo) su di sé.

Ad esempio vi può essere un investimento:


- sulla fantasia: idee di onniscienza e onnipotenza, fantasie di grandezza e di potenza;
- sulla razionalità: “intellettualizzazione” (discutere dei massimi sistemi in modo
irrealistico…);
- sul corpo, per la paura di perdersi nell’impulsività: disturbi alimentari restrittivi,
controllo rigido della sessualità, attività fisica praticata in modo ossessivo…

2.5. Adolescenza considerata sociologicamente

L’adolescenza sociologicamente è la preparazione all’età adulta.


E’ adulto chi sa gestire il lavoro come impegno stabile e l’amore come responsabilità verso entità
definite.

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L’essere adulti è anche legato al completamento del processo della acquisizione della
consapevolezza e della responsabilità.
Si identifica anche con l’uso della libertà per optare tra varie possibilità di valore e di vita, con
senso della propria identità personale.

Nelle varie culture ed epoche cambia sia il concetto che il corso dell’adolescenza. Non solo: come
già visto nello sviluppo biologico e psicologico, il contesto è importantissimo per il percorso di
acquisizione dell’identità adulta, tanto da far dire ad alcuni psicologi sociali che non esiste
l’adolescenza, ma gli adolescenti, che affrontano i compiti di sviluppo caratteristici di quest’età in
modo fortemente differenziato e personale a seconda dei contesti in cui si trovano a vivere3.

Non tutte le culture identificano l’adolescenza con il disagio emotivo, né con il cambiamento
repentino di personalità. In alcune culture tradizionali il passaggio all’adolescenza è brusco, e
segnato da veri e propri “riti di passaggio”, dopo i quali nulla è più come prima (ad esempio nella
tribù etiope dei Mursi alla ragazze a 15 anni nel corso di un rito di passaggio viene praticata
un’incisione sul labbro inferiore nella quale vengono inseriti dischi di legno decorati sempre più
grandi, che sono un segnale di raggiunta maturità sessuale; in altre tribù i maschi adolescenti
vengono sottoposti a prove di forza e coraggio). In altre, di contro, il passaggio è inavvertito
sociologicamente (es. nelle società preindustriali o dell’inizio dell’industrializzazione l’adolescenza
era già quasi un’età adulta, e i minori erano impegnati in compiti sociali spesso sovrapponibili a
quelli dei grandi).

Nelle nostre società occidentali si sono verificati nell’ultima generazione importanti cambiamenti
che hanno reso differente il passaggio all’età adulta.
Molti sociologi rilevano una mancanza di un sistema sufficientemente stabile e trasmissibile di
regole e valori che identificano la comunità (società liquida, modernità liquida)4.
Grazie alle grandi possibilità di accesso a informazioni e modelli di vita molto distanti, anche per lo
sviluppo della rete digitale, ciascuno può “comporre” la propria identità prendendo pezzi da culture
diverse: vi può essere la mancanza della possibilità di confrontarsi/diversificarsi con chiarezza dalla
“cultura dei padri”.

3
Bonino, 2001

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Il problema dell’ingresso posticipato al mondo del lavoro e della non differenziazione identitaria dai
caregivers, provoca, anche, l’adolescenza prolungata, che è un vero problema sociale. Abbiamo
persone biologicamente adulte, ma sociologicamente adolescenti (i “bamboccioni”).

Novità sociologiche per gli adolescenti di oggi e di domani:


 Comunità (intesa come sistema definito di relazioni, valori, etiche individuali legate al
contesto di crescita e di vita) sostituita dal network5.
 Più etiche; più modelli di vita, spesso influenzati dalle pubblicità, ma non trasmessi dai
genitori; minore trasmissione di comportamenti strutturati.
 Mancanza di sistemi di contenimento e di riferimento stabili. Si ritiene che la comunità
sia, assieme alla famiglia sana e alle istituzioni, un sistema di mediazione importante
per aiutare il giovane adulto a scongiurare i rischi di devianza e disagio favorendo,
attraverso la stabilità dei sistemi di riferimento, l’autoregolazione6.
 La sostituzione della famiglia autoritaria/etica con quella possibilista/liquida può
attenuare la contrapposizione tra generazioni (padri e figli sono simili e perseguono
stessi gusti, visioni…), con risultati di difficoltà identitaria e separazione.

2.6. Adolescenti e adulti

In genere i giovani vengono identificati nelle società come elementi di rottura rispetto al
passato, come promotori di cambiamenti culturali responsabili di nuovi stili di vita, costumi, idee
politiche innovative. Non tutti gli studiosi la pensano così.
“Qual è la funzione dei giovani nei cambiamenti culturali? Sono degli innovatori, cioè dei
promotori di cambiamento, o dei sismografi, che registrano i cambiamenti in atto nella società?”7.
I ricercatori, analizzando attentamente l’atteggiamento dei gruppi giovanili post adolescenziali nei
comportamenti ideologici nelle fasi di mutamento della società, sono arrivati alla determinazione
che, più che innovatori, i giovani sembrano essere degli ottimi “sismografi”, abilissimi a percepire e
interpretare i cambiamenti in atto nella società. Questo spiegherebbe lo spostamento ideologico

4
Bauman, 2001
5
Bauman, 2001, 2005
6
De Leo, Patrizi 2002; Caso, De Gregorio, De Leo, 2003

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massiccio verso idee più conservatrici o più progressiste in tempi anche molto brevi, in linea con gli
umori emergenti nel sociale8.
Anche l’idea che i giovani siano responsabili, nelle società occidentali in crisi, della loro
emarginazione dai processi culturali e produttivi, viene messa in crisi dalle ricerche degli psicologi
sociali.
Con l’espressione conflitto (o gap) generazionale invertito ci si riferisce alla tendenza del mondo
“adulto” a tenere ai margini e ritardare l’ingresso dei giovani nei processi produttivi e decisionali,
salvaguardando il proprio status sociale9.
Altra opinione abbastanza comune è che i giovani abbiano una cattiva opinione del mondo adulto.
Le ricerche evidenziano, al contrario, che i giovani hanno opinioni sugli adulti mediamente migliori
di quanto gli adulti le abbiano sui giovani. Ulteriore esempio di conflitto generazionale invertito.

7
Meeus, Crocetti 2009
8
Meeus, Crocetti 2009
9
Meeus, Crocetti 2009

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3 Cosa cambia nell’esperienza tra seconda


infanzia, preadolescenza e adolescenza
Vorrei sintetizzare brevemente come cambia l’esperienza tra la seconda infanzia,
preadolescenza e adolescenza e quali dovrebbero essere i comportamenti consigliati in questo
periodo dello sviluppo in modo che il contesto sociale possa fungere da stimolo costruttivo alla
crescita, sana anziché un elemento disturbante

3.1. Il bambino tra i 5- 10-anni

In questo periodo il bambino è prevalentemente imitativo/dipendente dall’adulto. Il proprio


pensiero, i propri vissuti spesso imitativi di quelli delle figure di riferimento, sono vissuti come veri
in assoluto. Con il bambino dobbiamo essere attenti alle scelte che noi operiamo per lui, proprio
perché non sa essere critico e sufficientemente forte nell’opporsi alle nostre decisioni. Se quindi
sbagliamo gli avremo imposto stili e comportamenti che non gli appartengono, con le ovvie
conseguenze che questo comporta. Se da una parte non dobbiamo imporre scelte lontane dei bisogni
e capacità dei piccoli, nello stesso tempo, non dobbiamo nemmeno proteggerli troppo quando con
troppa facilità chiedono, ad esempio, di abbandonare una qualsiasi attività abbiano iniziato e crei
loro problemi come ad esempio la scuola e lo sport. A scuola potrebbe diventare passivo e pigro;
potrebbe invece decidere di abbandonare l’attività sportiva. Non dico che sia facile capire le
motivazioni sottese alle loro richieste. Teniamo presente che gli ambienti extra- familiari
rappresentano il luogo in cui il bambino agisce emozioni, si arrabbia ed impara a contenere la
frustrazione del senso di sconfitta, in situazioni molto meno protette rispetto all’ambiente
domestico. A volte è più facile scappare, ed è a questo punto che una collaborazione attenta e di
supporto tra genitori ed educatori potrebbe permettere al bambino di superare, paura e frustrazione
sperimentando la possibilità di farcela, cosa che lo rende più sicuro e fiducioso di potere attingere
da se stesso e dalle persone che se ne prendono cura le risorse per superare le difficoltà. A volte,
imprudentemente facilitiamo un atteggiamento perdente, senza accorgersi che la piccola rinuncia di
oggi può divenire la grande rinuncia domani. Queste decisioni non sono né banali né facili, perciò il

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confronti tra noi genitori e genitori ed educatori rappresenta un ottimo sostegno funzionale alle
scelte più utili per i bambini.

3.2. Preadolescente 9-14 anni

Questa è la fase della ribellione onnipotente, con scarso senso realistico. Ho notato che a 11
anni è in certo senso come a 1. Ricordate quando in quel periodo il bambino si allontanava con
l’aspettativa onnipotente che bastava voltarsi a cercarvi, per credere che saresti apparsi lì? Con un
complessità diversa ora si comporta un po’ come allora, riponendo eccessiva fiducia nella sua
autonomia che riguarda senz’altro altre sfere e abilità diverse. Prima erano i genitori ad essere
onnipotenti; ora crede di poter competere con loro anche se di fatto né è ancora dipendente. Il
preadolescente, non è ancora capace di valutazioni autonome, sebbene convinto di esserlo: “So cosa
è giusto fare, tu non capisci!”. Questo è il motivo per cui possiamo assistere, all’inizio della scuola
media, a fenomeni di bullismo: il senso di forza onnipotente che non riconosce i propri limiti, in una
personalità aggressiva e poco equilibrata, porta a comportamenti di prepotenza e prevaricazione,
con la convinzione che le proprie “idee contro e devianti” siano le vincenti.

In questa fase uno sviluppo fisiologico, comporta che si cominci a sperimentare la diversità di modi
di pensare e vissuti emotivi anche sul versante ipotetico/ deduttivo; prevale, però, ancora la
modalità egocentrica, visto che non ha ancora una buona dimestichezza con il pensiero astratto ed è
fragile sul controllo emotivo. Inoltre, a questa età, i ragazzi fanno fatica a contestualizzare (questa
competenza, richiede la capacità di muoversi tra livelli logici diversi,); così, ad esempio, la richiesta
disattese di mettere le loro scarpe a posto che per pigrizia vengono lasciate nel soggiorno, viene
posta sullo stesso piano di quella di un genitore stanco, che sta preparando per loro. La scuola, lo
sport il gruppo dei pari che iniziano a frequentare con sempre crescente autonomia, rappresentano
il luogo per accrescere la stima di sé nei confronti degli altri.

L’atteggiamento dell’adulto con il preadolescente richiede che il primo, pazientemente lasci un po’
fare e molto sorvegli. Con questi bisogna tenersi l’ansia e lasciare che un po’ sperimentino sulla
base delle loro idee, mettendo chiari paletti, una sorta di libertà molto vigilata. L’errore a mio modo
di vedere va sottolineato ma non perseguitato. Quando sono spaventati per avere fallito in una loro

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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valutazione, è inutile stare lì ad infierire, questo serve solo a minare la fiducia di base. Basta aiutarli
a vedere in cosa le loro previsioni sono state disattese e trovare strategia più adeguate. In questi
momenti li scoprirete che sono più disposti a seguirvi e anche grati e fiduciosi nei vostri confronti.
Nella misura in cui sono consapevoli dei propri errori, perchè semplicemente molto spaventati, frasi
del tipo “hai visto, non capisci nulla, sbagli sempre”, sono troppo scoraggianti e creano sfiducia
nella relazione, con il risultato di promuovere, relativamente a futuri errori, atteggiamenti arroganti
e neganti l’evidenza. Dire “hai sbagliato, ma alla tua età può capitare, cerchiamo insieme una
soluzione per rimediare”, li rende più intelligenti e aperti ad un confronto

3.3. Adolescente 14-18/20 anni

Ora il ragazzo diviene sempre più cosciente di una verità relativa, della precarietà dei propri
pensieri e vissuti, (fase depressiva = “questo mondo è ingiusto sono terribilmente solo, ma lotterò
contro tutti e ce la farò!) . Un po’ per volta durante la preadolescenza i limiti si impongono
scalfendo così il senso di onnipotenza. L’adolescente è un po’ come il bambino di 3 anni che
impone il proprio senso di identità ragionando. Grazie al pensiero ipotetico-deduttivo è divenuto
intellettualmente molto più abile e si cimenta nel confronto con gli adulti e i pari su temi sociali e
politici.

A 14 anni il ragazzo sa che la realtà si impone ai suoi bisogni, che spesso non ce la fa a superare gli
ostacoli, il mondo appare più ingiusto, gli altri possono progettare volutamente di fargli del male e
lui ha imparato a prevederlo. Questo crea molto dolore e senso di precarietà. Da qui l’angoscia
esistenziale, la ricerca di senso, la valutazione del limite e della morte. Il mondo emotivo è ancora
molto fragile per gestire questo momento luttuoso, perciò l’adolescente per difendersi utilizza
l’idealizzazione onnipotente, diversa a mio modo di vedere da quella del periodo precedente molto
più ingenua. Ora c’è più la ricerca di un mondo idealizzato, più che la consapevolezza che esso sia
alla sua portata, come nella preadolescenza. L’adolescente è capace di contestualizzare, di
prevedere come un adulto, ma non ha la giusta maturità emotiva per sostenere le nuove valutazione
sulla realtà. Perciò passa da momenti depressivi a altri di idealizzazione onnipotente

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Con l’adolescente dobbiamo imparare ad accettare il dolore, aiutandoli a sopportare il senso di


impotenza. E’ importante dare spazio al confronto. Bisogna cercare di mantenere il proprio punto di
vista nei momenti di idealizzazione onnipotente e sostenerli nei momenti depressivi;. mostrare
competenza laddove la si possiede ma anche provare a sopportare il senso di frustrazione di fronte a
problemi non facilmente risolvibili.

La scuola, lo sport, altre attività ludiche-creative, con la possibilità che cii siano figure di
riferimento allargate, a volte rappresentano degli ottimi contenitori a comportamenti che possono
dirigersi vero mete non desiderate, come ad esempio droga, devianza sociale ecc. Un po’ per volte
l’adolescente imparerà a relazionarsi alle difficoltà della vita senza deprimersi né avere bisogno di
idealizzare. Questo momento segnerà il passaggio al periodo adulto, che vede ogni persona capace
di comprende che la vita è fatta di momenti sereni, ma anche di situazioni dolorose non sempre
risolvibili.

Credo che se si comprendono le diverse fasi dello sviluppo e come vanno trattate, se si trova la
forza da parte di genitore ed educatori di confrontarsi e sostenersi, certamente i bambini e gli
adolescenti non diventeranno tutti geni, ma ciascuno di loro sarà un piccolo campione nella vita,
cioè una persona impegnata e soddisfatta, relativamente a qualcosa da realizzare. Allora avranno
vinto tutti insieme!

Anna Falco

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Bibliografia
 Bauman Z.: Voglia di comunità, Laterza, Bari 2001

 Bauman Z.: La società sotto assedio, Laterza, Bari 2005

 Bonino, S. (a cura di): Nucleo tematico: La famiglia e il benessere degli adolescenti, «Età

evolutiva», 2001, 69, pp. 43-94

 Brofenbrenner U.: Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino, Bologna, 1986

 Caso, L., De Gregorio, E., De Leo, G.: Rischio, resilienza e devianza: Quali connessioni

teoriche ed empiriche?, «Rassegna Italiana di Criminologia», 2003, 14 (2), pp. 281-297

 De Leo, G., Patrizi, P.: Psicologia della devianza, Carocci, Roma, 2002

 Meeus W. e Crocetti E.: Psicologia sociale e adolescenza, in Palmonari A. e Pojaghi B. (a

cura di): Il contributo della Psicologia Sociale allo studio dell’adolescenza e della

giovinezza. Traguardi raggiunti e nuove sfide da affrontare, EUM, Macerata, 2009

 Palmonari A. (a cura di): Psicologia dell’adolescenza, Il Mulino, Bologna 2011

 Palmonari A. e Pojaghi B. (a cura di): Il contributo della Psicologia Sociale allo studio

dell’adolescenza e della giovinezza. Traguardi raggiunti e nuove sfide da affrontare, EUM,

Macerata, 2009

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