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RELAZIONE SOCIALE”
Indice
1 PREMESSA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 DIVERSI MODELLI PER LO SVILUPPO DEL SÉ ------------------------------------------------------------------- 4
3 UN APPROCCIO DELLA PSICOLOGIA SOCIALE ALLO SVILUPPO DEL SÉ ----------------------------- 7
4 LA NASCITA DEL SÉ E LA RELAZIONE ------------------------------------------------------------------------------ 9
A. TRA GENETICA E AMBIENTE ------------------------------------------------------------------------------------------ 10
5 L’ IMPORTANZA DELLA RELAZIONE SOCIALE PER LO SVILUPPO DEL SÉ -------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 21
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Università Telematica Pegaso La nascita del Sé e la relazione sociale
1 Premessa
L’attenzione all’età evolutiva nasce nel 1800 con Jean Jacques Rousseau.
Prima di allora tra il piccolo e l’adulto non veniva fatta alcuna differenza. I bambini lavoravano,
spesso schiavizzati, erano responsabilizzati alla stessa stregua dei genitori. L’ideologia di Rousseau
stravolge negli anni l’atteggiamento sociale relativamente all’infanzia. Questo capovolgimento
politico - sociale ha dato largo spazio a studi sull’età evolutiva.
E’ emerso così che il neonato, il bambino e poi l’adolescente differiscono dall’adulto non solo per
capacità quantitativamente ma anche qualitativamente diverse.
I nuovi atteggiamenti sociali hanno sviluppato competenze diverse: il bambino dell’800 era diverso
da quello del 900 e ancora di più da quello del 2000.
A loro volta i bambini moderni stanno cambiando l’andamento della società che si avvale sempre
di più di soggetti capaci di esprimere idee, opinioni, di avere e pretendere una dignità personale .
Il bambino nella cultura occidentale è iperprotetto i suoi diritti sono fortemente regolamentati e
garantiti.
Non succede lo stesso in altre culture. Ad esempio quando Davide aveva 1 anno e mezzo circa, la
sua baby-sitter ucraina lamentò con me il fatto che non mangiasse ancora da solo. I suoi figli a
quell’età avevano questa abilità, visto che a 6 mesi dovevano essere necessariamente portati al nido.
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I diversi approcci allo sviluppo del sé sottendono filosofie diverse rispetto all’uomo. Per alcuni
l’uomo è solo condizionato dall’ambiente. Per altri è un essere capace di esistere e sopravvivere
solo all’interno di relazioni funzionali. Il bisogno di relazione è quello di cooperazione, di armonia
nell’unità che si costruisce lavorando insieme.
a. APPROCCIO COMPORTAMENTISTA
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(Logical Structure of Linguistic Theory, Chicago: 1975). Piaget dimostrò che il concetto di capacità
cognitiva, e quindi di intelligenza, è strettamente legato alla capacità di adattamento all'ambiente
sociale e fisico. Ciò spinge la persona a formare strutture mentali sempre più complesse e
organizzate che si modificano negli anni. Infatti c’è una differenza tra l’intelligenza del bambino e
quella dell’adulto. Lo sviluppo ha quindi una origine individuale e fattori esterni come l'ambiente e
le interazioni sociali possono favorire o no lo sviluppo, ma non ne sono la causa (al contrario, ad
esempio, di ciò che pensa Vygotskij).
B. APPROCCIO ORGANISMICO
C. APPROCCIO PSICOANALITICO
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Piaget, seguendo le orme di Baldwin, pensa che una cooperazione democratica favorisca lo
sviluppo del pensiero logico. In seguito Piaget, si concentrerà quasi esclusivamente sul modo in cui
l'individuo elabora strumenti cognitivi sempre più complessi, prescindendo dalle condizioni sociali
di tali elaborazioni. La psicologia dello sviluppo non ha assolto, nelle sue correnti dominanti, il
compito che Baldwin le aveva assegnato: specificare le varie forme di interazione sociale che
permettono a un individuo di svilupparsi e di partecipare a interazioni sempre più complesse, capaci
di causare ulteriori progressi. Si spera che in futuro si ponga rimedio.
Secondo una teoria sociogenetica (in Doise,’ 97) esisterebbe un rapporto ricorsivo tra regolazioni
sociali e individuali: in ogni momento dello sviluppo, sono certe competenze acquisite che
consentono al piccolo di partecipare a interazione sociali relativamente complesse, che a loro volta
creano nuove competenze individuali, che permettono nuove interazioni sociali e così all’infinito.
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Ad esempio, il sorriso specifico del bambino viene corrisposto da quello della madre che porta il
bambino a sporgesi verso di lei e così via. Perché vi sia uno sviluppo cognitivo nel bambino occorre
che le sue competenze siano sostenute a più riprese da costruzioni sociali.
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Piaget, dal canto suo, in una visone costruttivista, cerca di focalizzare l’importanza delle parti che
creano strutture superiori emergenti. Dà una particolare enfasi allo sviluppo neuropsicologico a cui
l’ambiente fa da supporto, ma è attore secondario.
Gli psicoanalisti delle relazioni oggettuali vogliono evidenziare il fatto che il bambino nasca
all’interno di una relazione, dove è la capacità intersoggettiva della madre a porre le basi per quella
del bambino.
1
Shavelson, Hubner, &Stanton,1976; Shavelson&Marsh, 1986
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Gli etologi pongono l’accento su alcuni bisogni innati che, come quello di accudimento, se
soddisfatti, creerebbero una base sicura per lo sviluppo psicologico del bambino, ovvero la
sicurezza del Sé.
Volendo provare una sintesi tra tutte queste teorie , potremmo dire che il Sè alla nascita esiste nel
senso di unità minima molto dipendente dall’ambiente. Tale unità è prevalentemente formata da
comportamenti innati di tipo riflesso. Questo Sè è molto diverso dal Sé umano che diventerà negli
anni successivi. Ci vorranno 5/6 anni perchè il Sè del bambino arrivi a sviluppare, anche se in modo
limitato, un po’ tutte le potenzialità di un Sè umano.
Il piccolo alla nascita coglie piccoli frammenti/unità, come gli occhi della madre, la voce della
madre, ecc. Ha la capacità di rappresentarsi delle immagini3. Sono, perciò, unità molto elementari.
All’inizio la conoscenza è molto ridotta e il neonato impiegherà del tempo perché le unità più
elementari si trasformino in quelle più complesse. Il tempo da solo è una condizione necessaria ma
non sufficiente, in quanto è anche il tipo di esperienza con le figure di riferimento e con l’ambiente
in genere a condizionare il tipo di sviluppo delle strutture elementari innate che si complessificano.
Ciò che questo piccolo Sé sarà da adulto è dato dall’insieme di conoscenze innate e apprese.
Sebbene il neonato abbia una potenzialità genetica indiscussa, molte di quello che svilupperà
dipende dall’esperienza con il contesto sociale, molti studi comprovano questa affermazione . Il
neonato possiede, a livello genetico, tutte le potenzialità dei livelli psichici quali pensiero, emozioni
2
A tre mesi e mezzo secondo alcuni studi condotti da Haith, Hazan e Goodman (1988) il neonato sarebbe capace di
agire sulla base di schemi organizzati, cioè scoprire regolarità in una serie spazio temporale e sviluppare aspettative
anche quando quelle azioni non hanno effetto sugli eventi stimolo.
3
Flavel, 1997
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sensazioni e motricità, ma il loro sviluppo dipende dall’ambiente sia familiare che sociale. Ad
esempio, il bambino possiede la capacità di percepire un oggetto, di coglierlo in modo
approssimativo nelle sue parti non ordinate e, per piccoli frammenti, ma solo se giustamente
stimolato imparerà ad afferrarlo, se eliminiamo dal suo spazio tutti gli oggetti, imparerà poco, se
eliminiamo le figure di riferimento, che sostengono continuamente i suoi gesti lo sviluppo sarà
limitato.
Per lo sviluppo umano, a seconda dei momenti storici si è data più enfasi al condizionamento
biologico o ambientale. Oggi si tende a sostenere la teoria dei tre fattori: modello bio-psico
sociale, secondo il quale lo sviluppo umano è condizionato biologicamente, ma anche fortemente
dalla storia personale e dall’ambiente sociale in cui cresce.
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Per tutti i modelli che studiano lo sviluppo del Sé non è possibile considerare tale sviluppo se non
all’interno di una relazione familiare e sociale.
IL MICROSISTEMA
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IL MESOSISTEMA
Rappresenta la interrelazione tra due o più situazioni ambientali alle quali l’individuo in via di
sviluppo partecipa: per un bambino è rappresentato dalle relazioni tra famiglia, scuola e gruppo dei
pari. Per un adulto, dalla relazione tra ambiente familiare, lavorativo e sociale (amici).
L’ESOSISTEMA
IL MACROSISTEMA
È rappresentato dalle varie situazioni sociali , credenze e ideologie che sono l’espressione del tipo
di società in cui vive il bambino o l’adulto.
Lo sviluppo del neonato risente degli stati cognitivi ed emotivi dei genitori e in modo particolare
delle aspettative che questi riversano su di lui. I tratti caratteriali di mamma e papà sviluppano
atteggiamenti di dipendenza o autonomia nel piccolo, al di là della cultura di appartenenza. Sempre
declinati con la struttura di personalità dei genitori. Ad esempio, ci sono genitori molto bravi a
gestire la dipendenza, ma con molti problemi a confrontarsi con l’autonomia. In questo caso i
momenti della crescita, che necessitano di estrema dipendenza come il primo anno di vita,
potrebbero svilupparsi adeguatamente, ma dal secondo anno in poi, quando c’è bisogno di iniziare a
conquistarsi l’autonomia, la coppia bambino/ genitore potrebbe trovarsi in difficoltà. Ricordo una
mia paziente che aveva molta difficoltà a fare sperimentare autonomamente il figlio; A un anno,
questo bambino non sapeva gattonare e a 15 mesi non camminava. Questo atteggiamento troppo
apprensivo della madre, che lo assecondava in ogni richiesta, stavano creando un ritardo motorio. Il
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mio intervento sbloccò la situazione. A tre anni questo bambino era vivacissimo e a scuola era
considerato uno dei più intelligenti.
Da alcuni studi si è visto che le aspettative dei genitori influenzano lo sviluppo del bambino. Se, ad
esempio, un genitore è molto centrato sullo sviluppo delle capacità cognitive, molto probabilmente
il figlio parlerà presto e bene, guarderà la Tv già a un anno e, quando intorno ai tre anni comincerà a
ragionare, lo farà adeguatamente. Se, al contrario, il genitore è più attratto dallo sviluppo fantastico-
emotivo, ritenendo che un bambino debba ragionare di meno, il figlio giocherà di più, muovendosi,
sarà più creativo, ecc. Le aspettative dei genitori dovrebbero tenere conto anche delle
predisposizioni innate del piccolo per non crear dentro di lui un eccessivo conflitto.
Problemi trans-generazionali
A volte possono nascere conflitti tra relazione familiare e contesto sociale allargato per problemi
trans-generazionali, laddove le diverse generazioni sono portatrici di valori diversi. A partire dagli
anni 50, negli stati Uniti e in Europa si è verificato un cambiamento di atteggiamento pedagogico.
Secondo un approccio umanistico, il bambino doveva crescere spontaneamente (vedi metodo
Montessori), in quanto avrebbe avuto una naturale propensione a trovare soluzioni utili allo
sviluppo delle sue potenzialità. Educazioni troppo restrittive ne avrebbero solo danneggiato
l’aspetto creativo. Ovviamente questa visione pedagogica urtava notevolmente contro le mentalità
precedenti molto più rigide nell’impartire guide educative. Io stessa potevo verificare la diversità di
aspettative tra me ed i miei genitori rispetto a mio figlio: se lo prendevo troppo in braccio mi
accusavano di viziarlo, se lo sfamavo finchè lui voleva lo avrei fatto deperire e così via.
Quando il bambino è più grande diviene più autonomo rispetto al primo anno di vita; ora il
contesto rimane significativo con modalità diverse. Intorno ai 20 mesi, a causa dello sviluppo del
pensiero riflessivo (si riconosce allo specchio = scissione del Sé in soggetto e oggetto, cioè io
osservo le mie stesse azioni e so che mi appartengono), il bambino si rende più conto della
complessità della realtà: ad esempio capisce che il genitore non è sempre presente come lui
vorrebbe, come lo è stato, in modo onnipotente, nel primo anno di vita. Quando Davide aveva
circa venti mesi e si presentò il fatale momento della paura, sentivo che il bambino veniva
continuamente deriso dai miei genitori. Mi sentivo dispiaciuta per lui, avrei voluto proteggerlo, ma
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a nulla valsero i miei tentativi di spiegare loro che è normale, in quella fase dello sviluppo, essere
spaventati di tutto. I miei genitori continuavano a deriderlo ogni volta che il bambino mostrava
paura. Notai che mio figlio prese un po’ distanza da loro e questa cosa servì per sottolineare un altro
limite: era antipatico, a differenza del cuginetto sempre affettuoso e simpatico. La cosa per circa un
mese mi turbò molto, e a nulla servirono le mie razionalizzazioni sul fatto che è giusto che un
bambino si scontri con realtà diverse. Ancora una volta c’era uno scontro trans- generazionale: la
generazione precedente tendeva a controllare le emozioni, in modo particolare la paura in un
maschietto. Noi post-sessantottini eravamo invece innamorati della spontaneità. Questo diverso
atteggiamento rispetto al vissuto emotivo tra due generazioni comportava giudizi e comportamenti
assolutamente diversi rispetto allo stesso vissuto del bambino. Stessa sorte, purtroppo, toccò ad
Emanuele, il figlio di mia sorella di 7 mesi più piccolo di Davide, quando, avvicinandosi ai due
anni, iniziò ad avere paura di tutto.
Problemi trans-culturali
Si è per molto tempo studiato il rapporto madre/figlio. Senza voler negare la massima importanza a
questa relazione per lo sviluppo del bambino, è necessario notare che il mondo di questi è arricchito
anche da altre presenze: padre, nonni, baby-sitter, amici intimi, e, negli ambienti rurali, anche dal
vicinato. Oggi televisione e internet partecipano significativamente a questo sviluppo di relazioni
sociali.
Il bambino si trova quasi immediatamente a dovere fare riferimento e confrontarsi con personalità
diverse che hanno aspettative diverse, a volte con culture diverse. Quando mio figlio aveva un anno
cambiai la baby-sitter filippina con un’altra ucraina. Tra l’una e l’altra ospitai per un mese una
baby- sitter indiana. Un giorno trovai Davide solo nella sua stanzetta che a momenti si impiccava.
Spaventatissima corsi dalla ragazza chiedendole di non lasciare solo il bambino. Lei molto
semplicemente mi rispose, con fare rassegnato, che suo fratello era morto annegato in una piscinetta
a casa, a tre anni. Non era risentita, per la sua cultura “i bambini li guarda il cielo”, queste cose
possono accadere, fa parte della vita. Questo tipo di atteggiamento per noi occidentali è
inaccettabile. Consapevole che la ragazza fosse assolutamente in buona fede, ma che i nostri valori
erano toppo distanti, decisi di cambiare baby-sitter.
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Mentre la donna filippina tendeva ad adattarsi al bambino, senza spingerlo né stimolarlo troppo, la
nuova baby-sitter ucraina era molto esigente: a un anno e mezzo i bambini devono mangiare da soli,
non devono portare il pannolino. La cultura sovietica, nella quale si era formata, impartiva
un’educazione più severa della società filippina molto più delicata e accomodante.
E’ evidente che culture così diverse condizionino diversamente l’andamento della crescita dei
bambini. Studiarne le conseguenze dovrebbe essere uno degli obiettivi della psicologia sociale.
Questo approfondimento potrebbe migliorare i nostri progetti educativi complessificandoli.
Il neonato, anche per povertà di capacità, predilige relazioni duali. Non dimentichiamo, però, che
contesto allargato non significa solo rapporto tra madre e bambino, ma anche tra madre e i punti di
riferimento di questa che indirettamente ricadono sul bambino.
Esiste un temperamento di base della persona che verrà strutturato sulla base di capacità innate e
apprese. Come abbiamo visto ogni temperamento è in parte condizionato geneticamente ma anche
rinforzato positivamente o negativamente dal contesto. Così, un bambino con un temperamento
mite potrebbe essere stimolato in modo tale da potenziarlo o ridurlo. Allo stesso modo, un neonato
con temperamento esuberante potrebbe essere bloccato. Se si iperstimola un temperamento mite o si
blocca troppo un temperamento esuberante, si potrebbero avere importanti disfunzioni nello
sviluppo del Sè accompagnate da sofferenza.
La forza del Sé, quindi, è data da un temperamento di base che si strutturerà positivamente in un
ambiente favorevole. Se l’integrazione è armoniosa avremo un Sé forte. Un prevalere di energia
incapace di strutturarsi in bisogni e comportamenti finalizzati darà un certo tipo di disfunzione sul
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versante di una personalità poco organizzata nei bisogni e comportamenti. Al contrario, un’energia
bloccata, significherà comportamenti e bisogni rigidi e vuoti, poco intensi.
Si definisce buona, una relazione quando permette lo sviluppo integrato di tutte le parti del Sè,
quindi, del pensiero, emozioni, sensazioni motricità nonché la capacità di essere liberi e responsabili
Il piccolo vive in un mondo imperfetto con genitori imperfetti. Sbagliano, quindi, quei genitori che
sono disinteressati ai figli, ma sbagliano anche coloro i quali pretendono da se stessi un interesse
perfetto e costante. Noi ci auguriamo di essere attenti e presenti, ma anche tolleranti relativamente
ai moltissimi errori che facciamo con i nostri piccoli. Come madre, mi piace essere attenta, mi piace
rimediare quando ho fatto male in un modo non costruttivo a mio figlio per la sua crescita, ma
qualche volta mi piace anche, rispettare la mia stanchezza e la mia voglia di fare per quello che so,
anche quando questo non perfetto o come credo di dover fare.
Questa premessa, mi auguro, sgombri la via a quegli enormi sensi di colpa che genitori con bambini
problematici spesso si portano dietro; anzi, mi piacerebbe mettere a fuoco qualcosa che, evitando
inutili vissuti disperanti, possa aiutare tutti a porre dei rimedi funzionali. Un genitore che ha appena
vissuto un lutto devastante, oppure uno che a sua volta ha avuto un’infanzia difficile e tormentata,
indubbiamente, si pone rispetto al neonato con un atteggiamento senso-motorio di tensione,
emotivo di angoscia come insieme di tristezza paura e rabbia, e al livello fantastico, si presume, con
pensieri non positivi. Molto probabilmente, il contatto fisico di questo genitore con il suo bambino
sarà poco sereno, carico di angoscia e fantasmaticamente negativo; cioè le fantasie rispetto alla vita,
alla maternità o paternità potrebbero essere buie. Il bambino simbiotico, del primo anno, vive un
modello relazionale molto frustrante. Non possiamo parlare di colpe, visto che il genitore in
questione, molto probabilmente, non è consapevole di quanto agisce. Ciò non esclude, però, che il
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suo comportamento, seppure inconsapevole, generi dei danni. Per tale ragione, quando vi accorgete
che il piccolo manifesta dei disagi, cercate di farvi aiutare.
Alcuni disagi della prima infanzia, non sono dovuti ad un atteggiamento negativo da parte dei
genitori, al contrario, questo comportamento disfunzionale sembrerebbe secondario a problematiche
fisiologiche del bambino. Se, infatti, il neonato ha un problema organico, non ben diagnosticato, è
nervoso ed irascibile. Questa volta è il suo nervosismo ad innescare quello della madre o del padre,
che, provandole tutte e non riuscendo a risolvere il problema, corrono il rischio di agitarsi o
deprimersi.
Se a livello sociale si vive un momento di recessione economica, come quello attuale, la perdita del
lavoro di un genitore oppure l’allontanamento di questi per andare a guadagnare altrove, creano
indubbi stati di tensione all’interno del nucleo familiare che si ripercuotono sul bambino
Quindi volte è l’ambiente a creare problemi ai bambini altri il bambino a creare tensione
all’ambiente.
- Abbastanza coerenza tra e diverse figure che se ne prendono cura a partire dal padre e dalla
madre
- alternanza tra lasciarlo libero e proteggerlo
- buona capacità ematica che significa comprendere il bambino nelle sue esigenze declinando
gratificazione frustrazione in modo adeguato all’età
- equilibrio tra frustrazione e gratificazione
- Non solo la madre ma l’intero contesto nel quale è inserito il bambino, integrandosi,
possono permettere uno sviluppo sano o disfunzionale. Questo non significa che dobbiamo
aspettarci che tutte le parti del contesto siano sempre d’accordo, perché non aiuteremmo il
bambino a sopportare la frustrazione di non essere capito, cosa questa normale nella nostra
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vita quotidiana. Ci auguriamo, però, che le diversità non siano così estreme da non
permettere al bambino di trovare soluzioni creative, possibilmente anche con il supporto di
noi genitori. Speriamo che il piccolo non rimanga imprigionato in messaggi eccessivamente
contraddittori, che creando confusione, sia a livello emotivo che cognitivo, con genitori non
capaci di trovare una sintesi, lo paralizzino nella crescita;
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Bibliografia
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STERN D., “Il mondo interpersonale del bambino”, Bollati-Borringhieri, Torino, (1987).
Vygotskij L.S., “Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche e altre storie”, Giunti
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