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Il comportamentismo
Nell’ambito del comportamentismo lo sviluppo morale è stato studiato come un
aspetto dell’apprendimento. L’individuo impara le norme di comportamento
morale attraverso una serie di esperienze nelle quali alcuni atti sono soggetti a
rinforzi positivi, come l’affetto, mentre altri a punizioni, ad esempio fisiche.
All’interno di questo campo di ricerca non sono stati utilizzati solamente i
paradigmi classici del condizionamento operante: negli ultimi decenni infatti i
quadri comportamentisti si sono fusi con altre componenti, come ad esempio
quelle a carattere sociale e cognitivo di Bandura.
L’orientamento comportamentista che si è occupato con maggior successo dello
sviluppo morale è rappresentato dalla concezione del social learning. In questa
corrente di pensiero si ritiene improbabile che i vari comportamenti moralmente
rilevanti siano acquisiti inizialmente tramite rinforzo, sostenendo invece che un
comportamento, per essere rinforzato, deve prima prodursi spontaneamente.
Questo dimostra come il rapido progresso di tali comportamenti nell’infanzia non
si possa spiegare solo sulla base del rinforzo successivo. Si ritiene quindi che i
bambini apprendano questi comportamenti tramite l’osservazione e l’imitazione di
modelli appropriati.
Una forte messa in discussione dell’approccio delle teorie cognitivo-evolutive è
stata condotta da Bandura, il quale in una riformulazione delle tesi del social
learning, assumendo una prospettiva cognitivo-sociale ha contestato a Kohlberg la
concezione di una gerarchia precostituita di forme di moralità.
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comprendendo così i vincoli e le opportunità della relazione con l’ambiente
tramite la conoscenza delle conseguenze.
Il secondo fattore fondamentale della teoria social-cognitiva è l’insieme delle
caratteristiche utilizzate per concettualizzare la persona, ovvero i meccanismi
cognitivi che la rendono capace di conoscere il mondo e se stessa e di usare tale
conoscenza per regolare il proprio comportamento.
Bandura individua cinque capacità di base:
- Capacità di simbolizzazione: è fondamentale per lo sviluppo di tutte le altre e
consiste nella capacità di rappresentare simbolicamente la coscienza. Il linguaggio
è l’esempio più evidente della capacità del soggetto di utilizzare simboli.
- Capacita vicaria: corrisponde alla capacità di acquisire conoscenze, abilità e
tendenze affettive attraverso l’osservazione ed il modellamento. L’analisi di tale
capacità è uno degli aspetti che contribuisce a rendere la teoria di Bandura così
completa.
- Capacità di previsione: consiste nella capacità di anticipare gli eventi futuri ed
è estremamente rilevante a livello emotivo e motivazionale.
- Capacità di autoragolazione: si fonda sulla capacità di porsi degli obiettivi e
valutare il proprio comportamento riferendosi a standard interni di prestazione.
- Capacità di autoriflessione: si tratta della capacità, esclusivamente umana di
riflettere in modo cosciente su se stessi. Le persone, osservandosi mentre
agiscono, valutano il significato e le conseguenze degli eventi in relazione al
proprio benessere.
Un altro aspetto cruciale della teoria social-conitiva riguarda il senso di efficacia
personale che si sviluppa grazie alla capacità delle persone di valutare e riflettere
sul proprio operato: Bandura la chiama “autoefficacia percepita”, definendola
come la valutazione che le persone danno delle proprie capacità di mettere in atto
determinati piani d’azione e quindi raggiungere determinati livelli di prestazione
(Bandura, 1977, 1997).
Il disimpegno morale
La teoria social-cognitiva si fonda inizialmente sui processi di rinforzo e
modellamento vicario per poi spostarsi verso i meccanismi di autoregolazione che
sono alla base degli standard interni. Questi permettono alla persona di
comportarsi in funzione delle conseguenze previste, consentendole di arrivare alla
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soddisfazione personale e al senso di autostima, evitando così auto-sanzioni
dovute alla trasgressione dei valori morali. Maggiore è il disimpegno morale e
minore è il senso di colpa e il bisogno di riparare al male causato dalla condotta
lesiva (Bandura, Barbaranelli, Caprara, Pastorelli, 1996 b).
Di norma gli individui non adottano una condotta riprovevole finché non hanno
giustificato davanti a se stessi la correttezza delle loro azioni.
Bandura ha approfondito i meccanismi e le condizioni che, nel corso della
socializzazione, determinano l’attivazione o meno dei controlli morali interni,
agendo così come cause del comportamento immorale di persone pur capaci delle
più elevate forme di ragionamento morale.
Bandura ha individuato otto diversi meccanismi di disimpegno morale:
Una parte di questi operano sul comportamento lesivo stesso.
- Giustificazione morale: si tratta di un meccanismo attraverso il quale i
comportamenti socialmente deleteri vengono resi accettabili sia personalmente
che socialmente attraverso la ricostruzione cognitiva o forme di ideologizzazione.
Gli individui, quindi, agiscono per impulso di un imperativo sociale o morale.
Nelle vicende della vita quotidiana, numerosi comportamenti aggressivi vengono
giustificati col pretesto di voler proteggere l’onore e la reputazione (Cohen &
Nisbett, 1994).
Questo processo può essere inoltre paragonato al meccanismo psicodinamico di
razionalizzazione.
- Etichettamento eufemistico: è un meccanismo che si fonda sul potere del
linguaggio: questo se elaborato, permette di mascherare un’azione riprovevole
conferendole un carattere di rispettabilità proprio grazie all’attribuzione di
caratteristiche positive alla condotta deviata, in modo tale che il soggetto si senta
libero da ogni responsabilità.
- Confronto vantaggioso: consiste nel mettere a confronto la propria azione
deplorevole con una peggiore, in modo da alterarne la percezione ed il giudizio.
Più flagranti sono le attività utilizzate nel confronto, più è probabile che la propria
condotta lesiva appaia trascurabile o addirittura benevola (Bandura, 1991). I
deterrenti interni vengono eliminati dalla ristrutturazione morale che mette così
l’autoapprovazione a servizio di imprese distruttive, trasformando ciò che prima
era condannabile in fonte di autostima.
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Il seconda gruppo di meccanismi opera nascondendo o distorcendo la relazione
agentiva fra le azioni e gli effetti da esse provocati.
- Dislocazione della responsabilità: è un meccanismo che permette alle persone
di compiere azioni che solitamente ripudiano poiché non si sentono direttamente
responsabili del loro operato. Questo è evidente quando si obbedisce ad una
autorità: considerando l’obbedienza come obbligatoria si individua l’autorità
stessa come responsabile. Milgram (1974), grazie a diversi esperimenti, ha
dimostrato che maggiore è l’autorità che assegna il comando e maggiore è
l’obbedienza, ma che questa diminuisce nel momento in cui gli effetti lesivi del
proprio operato sono evidenti.
- Diffusione della responsabilità: è un meccanismo che permette di distribuire
fra membri diversi la responsabilità derivante dall’attività rischiosa, della quale
vengono eseguiti aspetti parziali che sembrano quindi innocui in sé, ma che sono
pericolosi nella loro totalità. La diffusione della responsabilità permette agli
individui, altrimenti attenti alle esigenze altrui, di comportarsi in maniera crudele.
Gli individui si comportano in modo molto più crudele quando la responsabilità è
del gruppo rispetto a quando si ritengono personalmente responsabili delle loro
azioni (Zimbardo, 1969, 1995).
- Distorsione delle conseguenze: è un meccanismo in cui opera la
minimizzazione o la selezione strumentale nella rappresentazione delle
conseguenze positive o negative dell’atto. Ad esempio, i questi casi, i soggetti
ricordano con prontezza le informazioni sui potenziali vantaggi delle loro azioni,
ma sono meno capaci di ricordare quelli dannosi. Anche Milgram (1974) ha
dimostrato, tramite la diminuzione dell’ubbidienza al comando aggressivo, che è
più facile danneggiare quando la sofferenza delle vittime non è visibile e quando
le azioni causali sono temporalmente remote dagli effetti, rispetto a quando il
dolore della vittima è evidente e personalizzato.
L’ultimo gruppo di pratiche di disimpegno opera sui destinatari degli atti lesivi.
- Disumanizzazione della vittima: si fonda sulla capacità di attribuire alla
vittima caratteristiche spregevoli, non umane, in modo da evitare l’insorgenza di
angoscia alla visione della sofferenza causata. Infatti considerare le vittime come
soggetti subumani consente di mettere in atto azioni estremamente crudeli,
considerandole giustificabili così da alleviare il senso di angoscia. Questo è stato
confermato da uno studio sulle dinamiche di vittimizzazione svolto da Perry,
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Williard e Perry (1990) nel quale è stato riscontrato che i bambini aggressivi
mostrano scarso interesse empatico quando fanno male a coetanei sminuiti ai loro
occhi.
- Attribuzione di colpa: è un meccanismo che riduce il controllo interno tramite
la percezione dell’altro come colpevole. Infatti durante una disputa è facile
attribuire alla controparte delle colpe così da giustificare la propria condotta
violenta come difesa contro la provocazione aggressiva. Anche i bambini inclini
all’aggressività sono pronti ad ascrivere l’intenzione ostile ad altri, cosa che
fornisce una giustificazione ad atti preventivi di ritorsione (Crick & Dodge, 1994).
Pertanto se l’altro è ritenuto responsabile, non solo le proprie azioni sono
giustificabili, ma ci si può sentire addirittura più buoni ed onesti di altri.
Sebbene i meccanismi di disimpegno morale operano simultaneamente nel
processo di autoregolazione, differiscono per grado di influenza nelle diverse età.
Ad esempio, l’interpretazione della condotta lesiva come funzionale a scopi giusti,
il disconoscimento della responsabilità per gli effetti lesivi e la svalutazione di
coloro che vengono maltrattati sono le modalità maggiormente utilizzate per
autogiustificarsi durante l’infanzia e l’adolescenza. Mentre celare attività
riprovevoli dietro denominazioni eufemistiche oppure renderle innocue tramite il
confronto palliativo sono meccanismi che richiedono capacità cognitive avanzate
e sono pertanto utilizzate con minor frequenza (Bandura, Brabaranelli, Caprara,
Pastorelli, 1996).
Il processo di disimpegno morale, che trasforma individui benevoli in carnefici,
non avviene sicuramente repentinamente, bensì in maniera graduale. Il mutamento
avviene attraverso una progressiva rimozione del sentimento di autocensura.
Inizialmente, coloro che compiono azioni disumane si abbandonano a misfatti
abbastanza limitati, che essi mettono in atto non senza qualche difficoltà morale.
Una volta che la ripetitività degli atti di natura violenta ha smussato il loro
sentimento di colpevolezza, le azioni diventano via via più odiose, fino al punto
che azioni considerate all’inizio come ripugnanti, vengono perpetrate
quotidianamente senza suscitare angoscia né disgusto. Il comportamento
disumano diviene a questo punto una routine.
Uno studio condotto da Elliot e Rhinehart (1995) sulle aggressioni e sulle
trasgressioni di grave entità dei giovani americani conferma la generalizzabilità
della teoria del disimpegno morale.
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Gli studi empirici condotti in Italia sul disimpegno morale
Di seguito verranno riportati alcuni tra i principali contributi empirici sul costrutto
di “disimpegno morale”. La totalità di questi studi si è svolta nel contesto italiano
a partire dai primi anni novanta fino ad oggi.
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Come nello studio sui preadolescenti sono state evidenziate differenze
significative a carico del sesso: i maschi risultano maggiormente inclini al
disimpegno morale e vi è una correlazione positiva di questo con la condotta
aggressiva sia nella autovalutazione che nella eterovalutazione.
È inoltre emersa, nella eterovalutazione, soprattutto all’interno del campione
femminile, una maggiore associazione tra disinvestimento morale e condotta
aggressiva.
In generale è stata riscontrata una maggiore correlazione tra disimpegno morale e
condotta aggressiva nei soggetti adolescenti rispetto ai bambini di 9-10 anni.
Questo avvalora l’ipotesi di Bandura (1991) secondo la quale i meccanismi di
controllo, antagonisti della trasgressività, si evolvono parallelamente alla
competenza cognitiva e all’esperienza.
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Comportamento
prosociale
Riparazione
Ruminazione Irritabilità
Fig.1 Struttura causale delle linee di influenza attraverso al quale opera il disimpegno
morale: modello concettuale (Bandura, Barbaranelli, Caprara, Pastorelli, 1996).
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Comportamento
prosociale
Riparazione
Ruminazione Irritabilità
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L’influenza del disimpegno morale sulla condotta aggressiva è stata mediata dalla
prosocialità, dal senso di colpa e dalla propensione all’aggressività (vedi fig.3). Un
elevato disimpegno morale ha ridotto la prosocialità ed i sensi di colpa, favorendo
reazioni affettive e cognitive tendenti all’aggressività.
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Comportamento
prosociale
Riparazione
Ruminazione Irritabilità
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suscettibilità emotiva, ruminazione/dissipazione, paura della punizione, tolleranza
verso la violenza e disimpegno morale.
I risultati hanno mostrano che i giovani dell’area a rischio presentano non solo
una maggiore propensione al disinvestimento morale, ma anche una spiccata
propensione all’aggressione di tipo offensivo e cognitivo-strumentale rispetto al
gruppo non a rischio. Questa maggiore inclinazione al disinvestimento morale ed
alle disposizioni di personalità connesse alla condotta aggressiva avvalorano la
definizione di rischio proposta dagli sperimentatori.
Dai risultati emerge anche che i soggetti del gruppo a rischio mostrano una
maggiore capacità di differenziare manifestazioni aggressive di natura impulsiva
da quelle di natura socio-cognitiva.
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all’aggressione ed alla delinquenza, infine una maggiore tendenza al disimpegno
morale e civile. Le ragazze mostrano invece maggiori capacità autoregolatorie nei
confronti delle trasgressioni e maggiori tendenze prosociali.
Nel secondo studio, condotto su 779 soggetti compresi tra i 21 e gli 85 anni è stata
analizzata la validità della nuova scala e le sue relazioni con il rischio etico e
l’amicalità. Ai soggetti è stata somministrata una batteria comprensiva delle
seguenti scale: disimpegno morale-civile, rischio etico, amicalità.
I risultati evidenziano che la scala di disimpegno morale-civile ha una
correlazione elevata con il rischio etico (r=.44,p<.001) ed una correlazione
negativa con la scala di amicalità (r=-.31,p<.001).
Anche negli adulti, come per gli adolescenti, è stata riscontrata una maggiore
tendenza dei maschi verso il disimpegno morale-civile rispetto alle femmine.
I risultati di questo studio avvalorano, come prima per gli adolescenti, la validità e
generalizzabilità della nuova scala anche per gli adulti.
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