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- LA PSICOTERAPIA BREVE
La psicoterapia breve compare in concomitanza con la diverse pratiche terapeutiche nel
bagaglio professionale dei psicoterapeuti del secolo scorso. Tuttavia, verso gli anni 50 e
60 le psicoterapie analitiche a lungo termine erano considerate strumento principe di
cura, ma solo per poche persone che potevano permetterselo. Tale pratica analitica, o
pratiche basate su terapie a lungo termine, determinavano il costituirsi di lunghe liste di
attesa e ciò ha portato all’elaborazione di tecniche di psicoterapia breve, che peraltro si
sono rivelate in grado di ottenere risultati soddisfacenti al pari delle psicoterapie a lungo
termine.
Volendo riferirci alle prime attuazioni psicoterapeutiche sui fenomeni psicopatologici, si
riscontra che sin dai primi “Studi sull’isteria” (studi condotti da Freud e Breuer 1892 - 95)
si possono ritrovare molti elementi che attualmente caratterizzano la pratica della
psicoterapia breve a orientamento analitico. Negli “Studi sull’isteria” si possono trovare
alcuni trattamenti con durata simile a quella dell’attuale psicoterapia breve e anche
molte delle tecniche utilizzate per il metodo catartico ( dal greco “purificazione”; in
psicoanalisi: liberazione da affetti o conflitti patogeni attraverso la rievocazione dei
traumi che ne sono la causa) , inoltre Freud ha indicato alcuni dei requisiti necessari per
poter utilizzare questo metodo terapeutico (psic.breve), quali:
Da parte del paziente: un certo livello di intelligenza, la fiducia nel metodo terapeutico e
un alto grado di motivazione.
Da parte del terapeuta: essere fiducioso e in grado di trasmettere ottimismo al paziente
in modo da consente la “spiegazione “ (quasi in senso pedagogico: pratica ad indirizzo
educativo) di come si sviluppano i processi psichici, un autentico confronto dialettico
oltre che un valido sostegno terapeutico. È bene considerare che questo approccio Freud
lo ha attuato fino a quando non ha sviluppato le sue teorie in merito ai meccanismi di
difesa e sull’analisi dei sogni e delle fantasie. Questo cambiamento di posizione teorica e
pratica ha determinato una forte resistenza nei confronti della psicoterapia breve.
Successivamente, i primi autorevoli esponenti della psicoanalisi che si sono occupati della
durata del trattamento e di elaborare metodi terapeutici più brevi, sono stati:
FERENCZI: si è concentrato sul problema del livello di attività del terapeuta nel corso del
trattamento, sostenendo la necessità talvolta di dare minor rilevanza alla tecnica delle
libere associazioni;
FRANZ ALEXANDER (1946): si è focalizzato nell’individuare metodi psicoterapeutici più
brevi ed efficienti. Questo autore ha contestato il postulato freudiano secondo il quale la
profondità della terapia e la qualità dei risultati siano per forza e in ogni caso
proporzionali alla lunghezza del trattamento e alla frequenza delle sedute, sottolineando
che il metodo psicoanalitico può favorire il mantenimento in uno stato regressivo
(ovvero, ostacolando il progresso) da parte del paziente che, gratificato da questa
situazione, può sentirsi legittimato a prolungare la relazione terapeutica, senza effettive
motivazioni cliniche.
I punti centrali del modello di Alexander, attualmente usati nelle prassi
psicoterapeutiche, sono:
-la valutazione iniziale della personalità dei pazienti (in quanto si cerca di analizzare le fasi
di sviluppo e del tipo di resistenze adottate)
-l’approfondita analisi della forza dell’IO, in quanto da questa dipenderà in gran parte la
durata della terapia
-l’esperienza emotiva correttiva, che consiste nel far rivivere al paziente l’esperienza
traumatica originaria, attraverso soluzioni più adattive rispetto a quelle adottate
nell’infanzia.
FELIX DEUTSCH: in ambito psicoanalitico ha sviluppato un particolare metodo di
trattamento chiamato “terapia settoriale”, consistente nell’identificazione di un orizzonte
terapeutico, così delimitato: un’area circoscritta della vita intrapsichica del paziente, dove
concentrare i propri sforzi nell’esplorazione completa di un aspetto di un problema
ricorrente all’interno di quest’area. Deutsch, a differenza degli autori sopra citati, in cui
nel loro trattamento sceglievano di trattare solo alcune parti specifiche del conflitto del
paziente, senza attribuire molta importanza al singolo dominio, basava fortemente il suo
approccio nell’identificare uno specifico “focus”.
PRINCIPALI MODELLI DI PSICOTERAPIE BREVI
Tali modelli definiti brevi o meglio limitati nel tempo pongono che vi sia un numero di
sedute non superiore a 20 – 30. Queste psicoterapie si caratterizzano per la possibilità di
essere applicate a un maggior numero di soggetti, per giunta anche negli ambulatori dei
servizi pubblici.
Vi sono 3 principali modelli di psicoterapia breve:
PSICODINAMICA
COGNITIVO – COMPORTAMENTALE
INTERPERSONALE
1 PSICOTERAPIE PSICODINAMICHE BREVI
Derivano dai modelli psicodinamici del profondo: psicoanalisi freudiana,psicologia
individuale adleriana, psicologia junghiana. Questo tipo di psicoterapia breve pone una
“parziale” modificazione strutturale della personalità attraverso l’investigazione e il
lavoro focalizzato sulle conflittualità centrali (ovvero, senza girarci troppo intorno,
individua bene da dove deriva il conflitto, che può essere conscio o inconscio e lo affronta
in modo deciso). Infatti, il processo di focalizzazione su alcuni problemi, definito FOCUS,
costituisce uno dei fattori principali caratterizzanti la psicoterapia breve. Tuttavia,
nonostante l’investigazione sia parziale e ben focalizzata (cioè può riferirsi a un singolo
sintomo o difficoltà), le mete e le procedure non sono per questo limitate o che non
tengano in considerazione il nucleo profondo della personalità, più semplicemente sono
orientate a un lavoro focale.
-Durata: il numero di sedute è generalmente variabile; al paziente può essere
comunicato sin da subito il numero di sedute, oppure la brevità del trattamento.
-Setting: è stabile, le sedute sono regolari per frequenza e orario
-Atteggiamento del terapeuta: è attivo, in modo variabile a seconda dei diversi
orientamenti teorici
-Transfert: alcuni orientamenti teorici privilegiano un’interpretazione del transfert fin da
subito, altri solo nelle fasi finali del trattamento in relazione ai vissuti di perdita e
separazione, altri ne sconsigliano l’utilizzo.
-Controtransfert: è importante che il terapeuta possa utilizzare la sua capacità di provare
sentimenti in reazione a quelli espressi dal paziente, tenendo conto dei limiti temporali
del trattamento
-Finalità: gli obiettivi terapeutici possono variare dalla risoluzione del sintomo o del
conflitto focale a un rimodellamento degli assetti difensivi rigidi fino a quando
consentito, un riassestamento della personalità necessariamente circoscritto ad alcune
aree problematiche.
REPERTORIO DELLE PSICOTERAPIE BREVI:
- Psicoterapia focale breve di Malan: focus circoscritto in un conflitto intrapsichico
che ha origine nell’infanzia il quale spiega la problematica principale del paziente
- Psicoterapia a breve termine di Sifneos: lo scopo principale è costituito dalla
risoluzione del conflitto intrapsichico che viene da subito evidenziato, nel quale il
paziente viene posto di fronte alle proprie resistenze in modo drastico; le difese
non son o tanto interpretate, quanto affrontate
- Psicoterapia dinamica breve a focus allargato di Davanloo: viene attuata la tecnica
“confrontativa”, nel senso che pone il paziente costantemente di fronte alle sue
difese nei riguardi dei sentimenti inconsapevoli. Il numero di sedute varia a
secondo del tipo di conflitto inteso come focus (più lungo e complesso nelle
conflittualità riguardanti la perdita).
- Psicoterapia limitata nel tempo di Mann: la finalità di fondo è di curare il dolore
mentale e la negativa immagine di sé presenti nel paziente, lavorando sul conflitto
centrale attuale con particolare attenzione alle problematiche di che si cerca di far
emergere nelle varie sedute terapeutiche. La durata è rigorosamente limitata a 12
sedute!
2 PSICOTERAPIA BREVE COGNITIVO – COMPORTAMENTALE
Per prima cosa è bene porre una chiara distinzione tra le terapie cognitive e
comportamentali, per meglio capire la loro interazione e fusione nella terapia di stampo
cognitivo – comportamentale.
I principali modelli di terapia comportamentale: pongono al centro dell’intervento
clinico il “comportamento osservabile” del paziente il relazione al suo ambiente.
L’intervento psicoterapeutico breve ha come obiettivo la correzione del comportamento
disadattativo del soggetto, senza che vi sia la necessità di formulare ipotesi sui suoi
conflitti interni.
Tecniche comportamentali:
-Desensibilizzazione sistematica: il soggetto viene esposto a una serie di stimoli reali o
immaginari progressivamente più ansiogeni (che procurano ansia) solo dopo aver
raggiunto uno stato di rilassamento
-Inibizione reciproca: al comportamento deviante viene associato un comportamento con
esso incompatibile in modo da estinguerlo
-Flooding, Implosion: sono una serie di tecniche che utilizzano l’esposizione traumatica
per desensibilizzare il paziente
-Condizionamento avversativo: al comportamento deviante viene associato uno stimolo
sgradevole, venendo così progressivamente a estinguersi nel soggetto il comportamento
in questione.
I principali modelli di terapia cognitiva: pongono al centro dell’attenzione il tipo di
attenzione che il paziente ha di sé, degli altri e della realtà esterna in generale. Tale
intervento psicoterapeutico si basa sulla considerazione che la percezione, nonché il
comportamento di un individuo sono fortemente determinati dal modo in cui il soggetto
struttura (e interpreta) la conoscenza della realtà. Tale strutturazione avviene attraverso
processi cognitivi (idee oppure rappresentazioni) che si basano su processi di
automatismo e assunti (schemi sviluppati in base a precedenti esperinze)
Tecniche Cognitive:
-Scoprire gli automatismi del pensiero: sono specificamente dei meccanismi cognitivi che
intervengono tra gli eventi esterni e le relazioni della persona all’evento; tipo: è un
pensiero automatico il non sentirsi graditi dalle persone, quando incontrate non ti
salutano o non rispondono al saluto!
-Verificare gli automatismi del pensiero: il terapeuta aiuta il paziente a verificare i
meccanismi coinvolti nella risposta automatica; perciò, l’obiettivo è sia di incoraggiare il
rifiuto degli automatismi del pensiero improprio o esagerati sia, di fornire alternative per
gli eventi tali da indebolire gli automatismi inesatti o distorti.
-Identificare gli assunti disadattativi: a mano a mano che paziente e terapeuta procedono
nel percorso di smascheramento degli automatismi del pensiero, anche gli schemi
sottostanti, quelli che rappresentano le regole o gli assunti disadattativi generali che
guidano i processi cognitivi, divengono evidenti e consentono una modificazione adattiva.
3 PRINCIPALI ORIENTAMENTI INTERPERSONALI IN PSICOTERAPIA BREVE
Le teorie interpersonali: le teorie interpersonali tendono a far emancipare (liberare da
una soggezione) la formazione dell’IO dai condizionamenti biologici a cui Freud l’aveva
sottoposta (pulsioni), per ricondurla, invece, all’interazione umana considerata come
primaria e tale da condizionare la stessa evoluzione biologica! Perciò il paradigma
(modello) fondamentale di queste concezioni risiede nella visione dell’uomo come
risultato delle sue relazioni interpersonali e delle sue interazioni culturali e ambientali.
Il modello interpersonale si propone come un trattamento rivolto alle attuali situazioni di
vita del paziente. Si tratta di un intervento breve, con una durata di 12 o 16 sedute di
un’ora circa e con frequenza settimanale.
-il ruolo del terapeuta: non è neutrale, ma dalla parte del paziente. La relazione
terapeutica non è una relazione di transfert e non una relazione di amiciazia.
-Le tecniche specifiche utilizzate dal terapeuta nel corso dell’intervento: esplorazione,
incoraggiamento dell’espressione degli affetti, chiarificazione, analisi della
comunicazione, tecniche di modificazione del comportamento
-La conclusione del trattamento: seppur riconoscendo che la conclusione è un momento
doloroso, occorre orientare il paziente a riconoscere la propria raggiunta autonomia
decisionale.
Su tale orientamento interpersonale menzioniamo i 4 modelli più significativi:
La psicoterapia interpersonale della depressione di Klerman: metodo specificamente
rivolto al trattamento dei pazienti depressi, non psicotici e non bipolari. Tale intervento
mira a ridurre i sintomi depressivi e ad affrontare i problemi sociali e interpersonali
associati all’insorgenza della sintomatologia
La terapia individuale interattiva di Cashdan: si focalizza prevalentemente sulle strategie
disadattative e non nell’attuare una diagnosi clinica. L’obiettivo terapeutico si basa
nell’aiutare il paziente, attraverso una serie progressiva di esperienze di apprendimento,
a sostituire i modelli disadattavi con altri, relazionali, più produttivi: ciò avviene mediante
gli scambi più maturi e prettamente adattivi fra paziente e terapeuta.
Terapia Analitica della Comunicazione: si basa nella considerazione che ogni individuo,
quando sperimenta uno stato di malessere psicologico, viene precipitato (posto) in un
vissuto di carente accettazione verso la propria personale responsabilità.
Psicoterapia Breve Interattiva: questa modalità si basa nell’affermare che il problema
clinico presentato dal paziente va considerato come un aspetto dei suoi abituali sistemi di
rapporto interpersonale, ovvero, il suo malessere e i suoi sintomi sono considerati come
il risultato della cattiva conduzione di uno o più passaggi fondamentali della vita.
LA PSICOTERAPIA BREVE SECONDO IL MODELLO INDIVUDUAL PSICOLOGICO
Riportiamo le indicazioni basilari dell’approccio psicologico individuale delle psicoterapie
brevi:
la durata dell’intervento non dovrebbe superare le 20 sedute, in quanto la concezione
psicologica del tempo limitato sembrerebbe incoraggiare a superare velocemente le
proprie resistenze; il terapeuta deve saper dosare e orientare il proprio coinvolgimento
emotivo e ancor di più quello del paziente.
Anche nella psicoterapia breve vi sono una successione di diverse fasi:
1 FASE) a)caratterizzo dal processo di conoscenza e comprensione delle problematiche
del paziente mediante un ascolto attivo (compartecipazione emotiva); b)dalla particolare
attenzione rivolta alle sue modalità di comunicazione non verbale e alle sue esperienza in
ambito sociale e culturale, ovvero il modo di percepire il mondo e gli altri; c) dalla
valutazione della propria personalità e dei meccanismi di difesa;
2 FASE) momento volto alla promozione del processo di Insight mediante l’utilizzo di
strumenti tecnici terapeutici: interpretazione, confrontazione, chiarificazione (cioè far
acquisire una maggiore consapevolezza del proprio problema), incoraggiamento a
elaborare, convalidazione (cioè rafforzare,amplificare) empatica, sprone (incitamento) –
stimolazione e conferma.
3 FASE) definibile prospettica, in quanto si focalizza nel ridefinire il progetto nonché stile
di vita del paziente. In questa fase è indispensabile che il terapeuta scoraggi ogni forma
possibile di dipendenza da parte del paziente (utilizzando se necessario l’interpretazione
del tranfert negativo), in modo da permettere al paziente il passaggio al cosiddetto
Momento Conclusivo del processo terapeutico, caratterizzato dall’esprimere in modo
sintetico gli obiettivi prefissati e dal loro raggiungimento nonché dalla loro elaborazione
connesso al distacco dal terapeuta.
ANALOGIE E DIFFERENZE TRA PSICOTERAPIA BREVE E COUNSELING
Riproponendo il concetto di Crisi, il quale dice: “ogni individuo relativamente sano può
attraversare momenti critici dell’esistenza e può aver bisogno di aiuto per affrontare il
cambiamento e assestarsi su un nuovo equilibrio”, possiamo dire che un intervento in
questo ambito è prettamente di pertinenza della pratica di counseling, invece, la
psicoterapia interviene sugli aspetti patologici che la crisi può recare, al fine di impedire
la comparsa o la strutturazione rigida di un disturbo mentale.
- La Psicoterapia breve: il suo intervento è centrato sulla rimozione o il contenimento
dell’elemento psicopatologico; nella psicoterapia la richiesta di aiuto è ben specificata da
parte del cliente; la psicoterapia interviene quando si manifesta una condizione di
disturbo psichico o di malattia mentale stabilizzata. In merito alla questione del focus di
indagine, nella pratica psicoterapeutica breve si tende a esplorare i contenuti dinamici
profondi. Quindi ciò che ben caratterizza la psicoterapia breve sono:
a) Raggiungimento stabile di salute psicologica
b) Guarigione di disturbi psicopatologici e scompensi clinici acuti o cronici
c) Modificazione dei meccanismi di adattamento e della struttura di personalità
- Counseling: il suo intervento mira al superamento del bisogno, in quanto questa
esigenza è centrale nella richiesta d’aiuto; il counselour deve sempre avere presente che
il suo obiettivo primario è di ordine adattivo (cioè favorire l’adattamento alla situazione
disturbante o modificazione della stessa) limitandosi il più possibile a questo; il
counseling lavora in genere su richieste iniziali non del tutto ben specificate, spesso sono
mascherate da una scusante, come da motivazione informativa. Quindi si evince che il
couselour agisce con un mandato ben diverso da quello del psicoterapeuta. Il focus di
indagine nella pratica di counseling, si mantiene sempre centrato sul problema.
Ciò che caratterizza il conuseling sono: -Raggiungimento di obiettivi specifici;
superamento della crisi attraverso la focalizzazione sul bisogno; l’elemento
psicopatologico, se presente, resta in secondo piano; sviluppo delle potenziali capacità di
adattamento alla situazione disturbante.
In conclusione, potremmo dire che i principali elementi comuni tra psicoterapia breve e
counseling sembrano essere:- focalizzazione sul problema - ricerca di soluzioni pratiche
- valorizzazione delle risorse del soggetto – limitatezza dei tempi nell’intervento.
CAP.3 IL COUNSELING PSICOLOGICO – CLINICO
CENNI STORICI: negli Stati Uniti a partire dagli anni 40 nacquero innumerevoli movimenti
psicoterapeutici: - neofreudiano o neoadleriano; - di Horney, - Fromm; - Sullivan; quello
cognitivo – comportamentale; quello sistemico più breve (nonché economicamente più
economico). Inoltre si diffusero anche le psicoterapie di gruppo in modo da poter
allargare il campo di intervento a una più vasta fascia di popolazione, le terapie familiari e
la psicoterapia centrata sul cliente di Rogers.
Fino alla soglia degli anni 40 la psicoterapia era di competenza strettamente medica,
mentre gli psicologi si occupavano di psicodiagnostica (metodo di indagine e di analisi
della personalità, fondato sulle tecniche proiettive) e di una generica attività di
consulenza. Nel 1939 ROLLO MAY scrive il primo libro pubblicato in America, intitolato
L’arte del counseling che conteneva le lezioni da lui svolte in qualità di consulente
psicologico all’Università del Michigan, incarico che prevedeva, oltre all’insegnamento,
anche la consulenza psicologica degli studenti e la supervisione delle attività
studentesche. Rollo May riferisce che nell’attuare tale lavoro di counseling gli è stato
molto utile il seminario che aveva avuto con Adler negli anni trenta a Vienna, poco prima
del suo rientro in America.
Nel 1942 è l’opera di ROGERS, Counseling e psicoterapia: la psicoterapia di consultazione,
a dare l’avvio a quella che possiamo chiamare a tutti gli effetti la rivoluzione Americana in
campo psicoterapeutico …“Lo scopo del counseling non è quello di risolvere un problema
particolare, ma di aiutare l’individuo a crescere perché possa affrontare sia il problema
attuale sia quelli successivi in maniera più integrata, ovvero con maggiore autonomia,
responsabilità, consapevolezza”.
Con tale libro Rogers faceva sorgere l’idea che al più presto anche lo psicologo avrebbe
potuto attuare pratiche psicoterapeutiche, in quanto fino ad allora le scuole
psicoanalitiche americane dominanti, manifestarono un aristocratico disprezzo nei
confronti di queste nuove figure e dei nuovi approcci psicoterapeutici, continuando a
riservare ai soli medici il loro percorso formativo. Col tempo si assiste in America nel
favorire l’allargamento dei confini della psicoterapia e il confluire in essa dei più diversi
orientamenti psicologici.
RUDOLF DREIKURS, tra i più attivi allievi di Adler emigrò nel Sud America per poi
trasferirsi a Chicago dove costituì il terzo polo individual – psicologico ( i primi due centri
erano a New York e Los Angeles) il quale si differenziava dai due poli. Dreikurs infatti
trasferì il modello viennese dell’attività individual – psicologico in America.
All’università di Chicago, Rogers era docente di psicologia, mentre Dreikurs di psichiatria.
Dreikurs pur essendo uno psichiatra ( cioè medico abilitato all’epoca a praticare
psicoterapia) si interessò degli approcci emergenti in America in campo psicoterapeutico
promossi da Rogers.
Così ebbe inizio la loro collaborazione istituendo il primo centro di formazione al
counseling. Dreikurs fu il primo psichiatra ad orientamento psicodinamico ad accettare di
formare oltre ai medici anche psicologi e laureati in filosofia (dato che le scuole
psicoanalitiche dell’epoca ammettevano solo i medici nel training formativo alla
psicoterapia).
Dreikurs riteneva che il trattamento di counseling dovesse essere rivolto a persone in
difficoltà per problemi di natura correnti (diffusi, comuni, ordinari), aiutando le persone
nella chiarificazione e superamento delle loro difficoltà, mentre pensava che la
psicoterapia si dovesse occupare di soggetti affetti da disturbi psichici, con l’obiettivo di
favorire la revisione dello stile di vita, intesa come ristrutturazione della personalità.
Lo sviluppo in Gran Bretagna e Italia vedere cap.22
Origine:
L’origine e lo sviluppo del counseling possono essere ricondotti al CONTRIBUTO
ADLERIANO che sottolinea l’importanza dell’agire nei contesti relazionali ed educativi più
importanti, ossia la scuola e la famiglia, luoghi primari all’interno dei quali si sviluppa e
struttura la personalità.
È proprio nella costruzione della personalità e dello stile di vita che si riscontra l’elemento
cardine del pensiero adleriano, ossia il SENTIMENTO SOCIALE, elemento che costituisce il
terreno su cui si sviluppa il counseling.
La nascita del counseling è legata anche all’area del VOLONTARIATO che si è occupato sin
dall’origine di servizi riconducibili a parte all’attuale attività del counselor: OFFRIRE
SOSTEGNO (a chi si trova di fronte a problematiche concernenti disagi sociali).
Gli aspetti fondamentali del Counseling sono:
-La comunicazione come strumento centrale del processo di relazione, che comprende
tutti i sistemi di comunicazione verbale e non verbale di chi chiede aiuto e di chi accoglie
la domanda, indispensabili per elaborare i processi di comprensione e soluzione della
problematica sottostante;
-L’importante e la conseguente necessità di puntualizzazione sul concetto di crisi.
L’intervento di Counseling è finalizzato alla possibilità di identificare e cercare possibili
soluzioni a determinate realtà vissute come problematiche, e non contiene scopi
terapeutici nei confronti degli scompensi psicopatologico-clinici;
-La distinzione tra il Counseling inteso come specifica relazione professionale d’aiuto e
l’attitudine individuale “aiutativa” insita in molteplici professioni che implicano l’aiuto.
Tali aspetti appena elencati ci dovrebbero aiutare a ben delineare una netta differenza e
delimitazione degli ambiti di intervento del counseling con le altre professioni di varia
natura che rientrano nelle generiche relazioni d’aiuto. La strada che il counseling si
propone di seguire è quella di rientrare nell’area della psicologia clinica applicata e quindi
essere connotata (definita) come specifica relazione d’aiuto, come proprio la
psicoterapia. In tal senso il counseling è caratterizzato da una relazione che pone
l’attenzione sulle dimensioni psicologiche, emotive, cognitive, e relazionali, con
l’obiettivo di favorire un cambiamento psicologico attraverso un contratto condiviso tra
operatore e utente. Diversamente, le più generiche relazioni professionali che implicano
l’aiuto sono caratterizzate da una relazione i cui benefici psicologici sono secondari e
soprattutto aspecifici. Il confine tra il counseling e la generica relazione d’aiuto risiede
proprio nella stabilità e nella struttura del processo di counseling, che segue principi,
regole e strategie specifiche e con una continuità definita dal modello teorico di
riferimento. Pertanto, ricondurre il counseling tra le generiche relazioni d’aiuto sarebbe
un’operazione riduttiva che non tiene conto della specificità dell’intervento, ma solo di
quelle che possono essere le affinità riguardanti l’apprendimento delle abilità di
counseling di base, rappresentate dalle capacità relazionali e comunicative.
Le Vocazioni:
Le principali vocazioni formative, intese come vertici di osservazione da cui deriveranno
specifiche prospettive terapeutico-relazionali, possono essere suddivise e tipologizzate
nelle seguenti dizioni:
-La vocazione educazionale: si instaura una relazionale di tipo istruttiva o pedagogica.
Tale prospettiva trova il suo ancoraggio metodologicamente costante in un orientamento
concettualmente riferibile al modello cognitivo-comportamentale. O meglio, tale
modello, pur estratto dal suo contesto terapeutico, attua un approccio ai problemi
costantemente basato sulla possibilità di orientare e di influenzare consapevolmente e
positivamente la conoscenza di sé e ancor più le competenze dell’utente nella risoluzione
comportamentale dei suoi problemi.
-La vocazione maieutica(metodo di insegnamento socratico secondo il quale,
interrogando abitualmente un interlocutore lo si aiuto a mnettere in luce il suo
pensiero): tale prospettiva sembra dominare oggi; si caratterizza per la sua attenzione di
anteporre alle direttive un’organizzazione sulla domanda e di superare i limiti della
soluzione immediatamente dirigistica e comportamentale dei problemi. Questo metodo
si propone di scrostare il problema alla superficie per provare a osservare insieme
all’utente aspetti motivazionali, inibizioni o conflitti, riconoscibili allo sguardo in
prossimità (al di sotto) della coscienza vigile (esplicita). In tal modo l’utente diviene
l’interlocutore (che prende parte a una discussione) di un processo investigativo
(riflessivo e di investigazione progressiva), che trova nello psicologo clinico il supervisore
o la guida, ma che assegna ugualmente all’utente un compito prestazionale specifico per
la soluzione dei suoi problemi.
-La vocazione clinico dinamica: gli operatori che si ispirano a tale modello hanno
l’intenzione comune di riguardare le difficoltà (prestazionali o meno) come problemi
psichici soggettivi, come espressioni “sintomatiche” di un malessere che interessa
comunque la persona nella sua interezza e che, dunque, pur con le dovute relativizzazioni
e contestualizzazioni, non possono trovare soluzioni parziali che si traducano in
prescrizioni o strategie comportamentali. A ciò si aggiunge la convinzione che i problemi
psichici, per loro natura, non sono immediatamente percorribili interamente dalla
coscienza, pur nella sua estensione alla latenza preconscia, come sostenuto nella
vocazione maieutica, e che pertanto occorra sostenere l’intervento con procedure atte a
slatentizzare (condensare, compendiare), localmente o meno, i conflitti soggiacenti.
Consultazione - consulenza e collegamento nella psichiatria e nella
psicologia clinica di LIASON (lo chiedono all’esame)
Consultazione: Attività clinica che si configura come peculiare strumento di intervento da
parte dello psichiatra di cui rappresenta la predominante matrice medica; la specificità
connessa alla consultazione psichiatrica sembra fondata sia dalla sua connotazione
formativa, intrecciata di variabili biologiche, psicologiche e sociali, sia dalla sua prassi
clinica (momento di diagnosi, prognosi e terapia di un disturbo mentale). Lo psichiatra
consultante sembra pertanto indirizzato non solo all’attuazione di una presa in carico, ma
anche a una specifica assunzione di responsabilità (agire, decidere) nei confronti del
paziente (definibile come modalità parallela e complementare a quella del medico di
reparto).
Collegamento: Tipo di intervento articolato e continuativo, nato dalle esigenze insite nei
reparti medico-specialistici e/o nei servizi di medicina generale, che riguarda tanto lo
psichiatra quanto lo psicologo clinico con relazione all’eventuale loro possibilità di
collaborazione con l’équipe curante (collegamento: mediazione tra équipe, paziente,
familiari e personale sanitario). Esso si rivolge essenzialmente ai problemi che gli
operatori incontrano all’interno del proprio lavoro con i pazienti; le procedure possono
variare da suggerimenti e riflessioni rispetto agli atteggiamenti adottabili, a
interpretazioni riguardanti le dinamiche che si instaurano, in ambito istituzionale, tra
pazienti ed équipe sia nella prassi terapeutica sia nelle esigenze di formazione e
aggiornamento.
Consulenza: per consulenza si intende:“Forma di rapporto interpersonale in cui un
individuo che ha un problema, ma non possiede le conoscenze o le capacità per
risolverlo, si rivolge a un altro individuo, il consulente, che, grazie alla propria esperienza
e preparazione, è in grado di aiutarlo a trovare una soluzione. Il rapporto di consulenza,
limitato nel tempo e generalmente relativo ad uno specifico problema, fa parte delle
varie modalità di intervento della psicologia clinica, dove può assumere differenti forme,
a seconda dell’utente a cui si rivolge (cliente, paziente, collega, organizzazione)”.
Sempre relativamente alla consulenza in ambito psicologico – clinico, sono state
individuate come specialistiche le seguenti attività di intervento:
Attività di intervento cliniche: (utente-paziente coinvolto in una situazione di sofferenza)
intraprese da tecnici di un settore specialistico insieme a quelli di altri settori, nella
condivisa ricerca di “complementarità attraverso strategie diverse”, da attivarsi in un
programma unificato di interventi terapeutici e/o riabilitativi (indirizzato alla persona in
toto);
Attività di intervento con finalità informativo-formative: (utente-cliente che richiede un
mutamento per una propria situazione di disagio in rapporto a compiti istituzionali); si
distinguono gli interventi a seconda del loro essere indirizzati rispettivamente verso
problematiche istituzionali, dell’équipe, del singolo operatore.
Per ultimo va sottolineata l’esigenza di differenziare, nell’ambito delle attività
specialistiche di consulenza psicologico – clinica, il colloquio:
Specializzato: dove l’orientamento teorico assume un ruolo significativo così come
l’intenzionalità di presa in carico psicoterapeutica;
Di consulenza: con approccio caratterizzato da sospensione di giudizio, di decisione e di
aspettative di intervento, così come dalla prevalente ricerca delle aspettative, richieste,
emozioni, difficoltà e capacità insieme a eventuali componenti psicopatologiche.
La consulenza psicologica non va confusa con la psicoterapia!
Le fasi della consulenza specialistica psicologico-clinica:
Accoglimento: della domanda-richiesta (espressione di un disagio - malessere-sofferenza
che necessita di essere compresa attraverso ascolto, formulazione e successiva verifica di
ipotesi psicogenetiche l’origine e lo sviluppo delle funzioni psichiche). Tale fase si
caratterizza attraverso il tentativo di riformulare il disagio e la sofferenza in termini di
“problema” da condividere, affrontare e cercare di risolvere insieme, dove la disponibilità
ad accogliere non va confusa con una indiscriminata accettazione. Principali obiettivi:
conoscere il soggetto e analizzare la domanda di consulenza, raggiungere una condivisa e
chiara formulazione del problema cha la sottende sia degli investimenti eventualmente
necessari per i possibili progetti di intervento.
Analisi del problema: attraverso l’osservazione (come procedura o strategia fondata su
operazioni logiche) e l’intuizione (caratterizzata dal prodotto di determinate competenze
ed esperienze) paiono raggiungibili come principali obiettivi nei vari contesti i seguenti
problems (Grasso, Cordella e Pennella, 2003):
- problem finding: rendersi conto del disagio;
- problem seting: definisce il problema;
- problem analysis: scomporre il problema principale in problemi secondari;
- problem solving: definire e valutare la/e soluzione/i;
- decision making: assumere una decisione.
Studio dell’intervento o progettazione: ogni progetto di intervento comprende una più o
meno consapevole “intenzionalità”, in quanto “improntato” al raggiungimento di specifici
scopi e obiettivi. Si possono differenziare in questo ambito: finalità e obiettivi generali
(che indicano lo scopo di fondo verso cui si tende), finalità e obiettivi particolari (che
richiedono, invece, maggiore definizione). Principali obiettivi: elaborare una linea guida
dei possibili interventi e valutare la loro accettabilità e realistica applicabilità.
Accordo: ogni modalità di “accordo tra le parti” (definibile come contratto in ambito
giuridico - civile) sembra individuata da elementi causali (desiderio di guarire), contenuti
oggettuali (intervento psicoterapeutico o farmacologico o chirurgico), esplicitazioni
formali (verbali o non verbali), tutti fattori che concorrono al determinare, come
principale obiettivo di questa fase, quello connesso all’assunzione di un responsabile
reciproco impegno nel tentativo di raggiungere la condizione “desiderata”.
Pianificazione: fase che consente di tracciare dettagliatamente le linee guida relative alle
varie attività operative connesse all’intervento clinico; in essa assume significativa
importanza il monitoraggio, qui inteso come attività finalizzata a evidenziare gli
allontanamenti tra i risultati previsti e quelli accertati, cioè una verifica del lavoro attuato
o in corso!!
Valutazione: talora (a volte) espressa con sinonimi (quali verifica, giudizio di misura,
modalità di controllo) caratterizzati dall’interno di indicare i vari strumenti metodologici
più congeniali alla effettiva conoscenza del raggiunto conseguimento degli obiettivi (esito
degli interventi) pianificati durante le fasi precedenti. È inseribile in questa fase il
monitoraggio, inteso come insieme di attività in grado di consentire la verifica
dell’andamento di un fenomeno nel contesto dei suoi diversi momenti evolutivi.
Per concludere: nell’ambito della prestazione specialistica di consulenza psicologico -
clinica, per l’esercizio corretto di tale funzione nelle varie fasi, sembrano risultare
indispensabili, come peculiari “saperi”, sia “capacità tecniche” (insieme di conoscenze,
competenze e abilità caratterizzanti una specifica attività professionale) sia “capacità
organizzativo - relazionali” (insieme di conoscenze, competenze e abilità connesse con
finalità diagnostiche, comunicazionali e procedurali). Prospetto: