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ideogramma KI = Essenza Individuale

DEEP COACHING
di Alessandra Vesi
Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche,
intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori
traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo.
I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio
peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.

DEEP COACHING
La prigionia della spontaneità:
miti letterari dell’infanzia e comportamenti professionali
di Alessandra Vesi

C’era una volta un re … un principe … una principessa … un ragazzo …


Le quattro esperienze di coaching che racconto nelle pagine che seguono
fanno riferimento ad altrettante situazioni in cui come coach ho ritenuto di
esplorare in profondità l’origine di una determinata impasse professionale.
L’elemento che le accomuna è la scoperta fatta insieme ai coachee che
alcuni comportamenti ritenuti inadeguati dall’organizzazione di
appartenenza o disfunzionali al raggiungimento dei loro stessi obiettivi
professionali hanno, durante il percorso di coaching, preso la “forma” di un
personaggio letterario da loro particolarmente amato nell’infanzia.
Ognuno di noi ha scritto la storia della propria vita.
Cominciamo a scriverla dalla nascita. Quando abbiamo quattro anni,
abbiamo deciso le parti essenziali della trama.
A sette anni abbiamo completato la storia in tutti i dettagli principali. Da
allora sino all’età di circa dodici anni le abbiamo dato dei ritocchi e aggiunto
qua e là qualche dettaglio. Nell’adolescenza poi abbiamo riveduto il
copione, aggiornandolo con personaggi più aderenti alla vita reale.
Come tutte le storie, la storia della nostra vita ha un inizio, un punto di
mezzo e una fine. Ha i suoi eroi, le sue eroine, i suoi cattivi, i suoi
protagonisti e le sue comparse. Ha il suo tema principale e i suoi intrecci
secondari. Può essere comica o tragica, mozzafiato o noiosa, fonte
d’ispirazione o banale.
Ora che siamo adulti gli inizi della nostra storia sono al di fuori della portata
della nostra memoria cosciente. Può darsi che a tutt’oggi non siamo
consapevoli di averla scritta; e tuttavia in assenza di questa consapevolezza
è probabile che vivremo questa storia quale la componemmo tanti anni fa.
Questa storia è il nostro copione.
(Pag. 133 da Stewart & Joines, L’Analisi Transazionale, Garzanti)

Ho voluto introdurre le riflessioni su alcune esperienze di


coaching, contenute nelle pagine successive, con questo
brano perché da questo testo è partita per me, tanti anni fa,
una nuova avventura professionale, e personale. Da allora
l’Analisi Transazionale1, approfondita con il contributo dei
docenti incontrati e il gruppo con cui ho condiviso il percorso
di counselling al “Centro di Psicologia e Analisi
Transazionale” di via Archimede a Milano, mi accompagna
guidandomi con i suoi principi etici e con la profondità dei
suoi contenuti per affrontare la complessità delle esperienze
che questa bellissima professione mi fa incontrare.
Il brano, denso di significati profondi, rappresenta anche la
chiave di lettura delle esperienze di coaching che racconterò.

1
L’Analisi Transazionale è una teoria psicologica che spiega come si
sviluppa la nostra personalità, come funzionano le nostre dinamiche sia
psichiche che relazionali. Ha trovato ampia diffusione non solo in ambito
clinico, ma anche in ambito organizzativo.

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Premessa

Da qualche anno, per molteplici ragioni che qui non saranno


esplorate, è cresciuta, da parte di aziende e persone, la
richiesta di avere risposte ai propri bisogni formativi sempre
più mirate e personalizzate.
Se da una parte si è risposto con contenuti e metodologie
d’aula sempre più raffinati, dall’altra si sono messi a punto
approcci e metodologie di coaching, e di counselling, tese a
soddisfare il forte e diffuso bisogno di potenziamento
soggettivo.
All’inizio si è lavorato molto per capire, capirsi e farsi capire
dai clienti. Ci si è concentrati sull’obiettivo di qualificare
l’offerta di coaching attraverso la definizione di processi
articolati in tappe, di ruoli delle parti precisi, di obiettivi
concreti. Oggi abbiamo le idee più chiare, più esperienza e
sappiamo anche navigare con maggiore perizia nei mari
ampi e profondi della complessità della persona che desidera
lavorare sul proprio potenziamento personale.
Talvolta, nel corso di attività di coaching, il potenziamento
può essere determinato da un lavoro mirato ad affinare
alcune competenze attraverso la comprensione di cosa è
necessario fare, come è preferibile fare e perché, a seconda
del ruolo ricoperto. Ad esempio, se il percorso di coaching è
finalizzato a sviluppare comportamenti di leadership

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funzionali al raggiungimento di obiettivi, si lavora sulla
ricerca delle modalità coerenti con il ruolo e il contesto
aziendale di fare le cose, ma anche possibili per la persona,
cioè sintoniche con il suo sistema di valori e convinzioni
consapevoli.

Talvolta però coach e coachee si imbattono in barriere


invisibili, blocchi profondi, tendenze a ripetere decisioni o
comportamenti auto sabotanti, che diventano per il coach
oggetto di ricerca perché è proprio da lì che può avere
origine l’impasse professionale, l’ostacolo al raggiungimento
di mete professionali ambite e dell’eccellenza desiderata, o
addirittura il malessere. E talvolta si scopre che il
comportamento insoddisfacente deriva da un sistema più
profondo che “guida” la persona, al di fuori della sua
consapevolezza, a fare determinate scelte. C’è dietro una
strategia antica sperimentata con successo nel là e allora,
cioè in un tempo passato, nell’infanzia o nella prima
adolescenza. Una strategia attivata per rispondere, con le
risorse comportamentali o i modelli di riferimento a
situazioni di quella fase della vita, a richieste e stimoli
dell’ambiente, a messaggi di conferma o svalutanti, a divieti
di fare o di non fare.

Un classico esempio è il tema del feedback positivo. Molte


volte succede di ragionare con capi che fanno fatica a dare
feedback positivi ai propri collaboratori e giustificano la cosa
con argomenti scontati palesemente in contrasto con

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qualsiasi teoria di riferimento come “le persone poi si
montano la testa” o “le persone devono sapere da sole se
lavorano bene”. Quella fatica appare talvolta una fatica
“atavica” e se si va a scavare appena appena sotto quelle
convinzioni autolimitanti, si scopre un portato culturale
derivante dalla famiglia di provenienza. L’esperienza in cui,
ad esempio, a fronte di ottimi successi scolastici, la persona
si é spesso sentita dire “hai fatto solo la metà del tuo
dovere!” è diffusa più di quanto si possa immaginare.
Un esempio ancora più evidente fa riferimento al sistema
Spinte2 e a quello delle Ingiunzioni3. Ricordo con

2
Il concetto di Spinta descrive la tendenza di una persona a obbedire ad un
imperativo come se il messaggio provenisse da un genitore interiore che,
con questo messaggio perentorio, tiene la persona sotto scacco;
intrappolata in questa sorta di ricatto affettivo la persona tende ad agire
comportamenti che corrispondano allo specifico modo di essere richiesto.
Taibi Kahler ne ha definite cinque: Sii forte, Sii perfetto, Sii compiacente,
Sbrigati, Sforzati. Nei seminari di formazione o negli incontri di coaching
tendiamo a considerare la Spinta funzionale o disfunzionale al benessere
della persona e alla sua efficacia professionale a seconda dell’intensità. In
piccola dose contribuiscono al nostro successo, se esasperate possono
diventare importanti stressors interni.
3
Si definiscono Ingiunzioni messaggi, prevalentemente non verbali, che le
figure di riferimento, genitori in primis, inviano al bambino determinando
divieti a cui la persona adulta inconsapevolmente sottostà. Il divieto può
determinare un limite profondo che può riguardare e condizionare l’essere e
il fare della persona, il suo stesso benessere, la sua propensione a costruire
relazioni intime e significative con singoli o gruppi, la sua crescita, il
raggiungimento di importanti mete professionali, il suo successo. Bob e
Mary Goulding ne hanno codificate dodici: Non esistere, Non essere te
stesso, Non essere un bambino, Non crescere, Non riuscire, Non fare, Non
essere importante, Non far parte, Non entrare in intimità, Non star bene,
Non pensare, Non sentire. Come le Spinte anche le ingiunzioni hanno una
forte valenza in ambito organizzativo. Le culture aziendali possono avere
responsabilità in tal senso. Basti pensare al mobbing che può essere visto
come l’ingiunzione a Non esistere.

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precisione l’espressione di stupore comparsa
improvvisamente sul volto di un coachee, ingegnere e
dirigente di una multinazionale, quando insieme scoprimmo
che dietro le sue ripetute dimissioni (era accaduto già due
volte nel suo percorso professionale) date spontaneamente
proprio nel momento in cui stava per raggiungere mete
importanti della sua carriera (ogni volta aveva ripreso quasi
daccapo), c’era una forte pressione della Spinta Sforzati, a
copertura di ingiunzioni come Non avere successo o Non
sentire la gioia. Era proprio l’espressione di chi sta
finalmente liberandosi da un sortilegio.
O la determinazione di un altro ingegnere, anche lui
dirigente di un’altra multinazionale, nel voler cambiare rotta
rispetto al suo ricorrente meccanismo di non godere dei
successi, personali come la laurea o il master, o dei successi
professionali raggiunti con il suo gruppo di lavoro, perché
“non c’è tempo per festeggiare” perché “ci sono altri
obiettivi dietro l’angolo”, sempre più difficili, sempre più
faticosi da raggiungere, sempre più ravvicinati.

Ma cosa rende possibile in un coaching, attuato in contesto


aziendale, l’esplorazione nei meandri dell’autobiografia, il
recupero e la rielaborazione di pezzi di vita o di “scene
madri” che appartengono ad un lontano passato, ad una
sfera della vita del coachee che non ha nulla a che fare con
il contesto lavorativo?
Per rispondere a questa domanda è necessario risalire al
presupposto etico che sta alla base di un percorso di

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coaching: il forte patto iniziale che coach e coachee
stipulano all’inizio del percorso e al continuo atteggiamento
contrattuale che guida il coach per tutta la durata del
percorso. Quando il coach percepisce che esiste qualcosa di
profondo o di antico da riportare alla luce della
consapevolezza, stipula un contratto specifico con il coachee
su quel pezzo di lavoro, attivando una relazione tra sé e
l’altro di tipo Adulto4.
L’atteggiamento contrattuale cardine intorno a cui ruota il
mio modo di fare coaching si basa sul presupposto che il
coachee ha le risorse per decidere quanto desidera mettersi
in gioco durante il percorso di coaching.

4
Secondo l’Analisi Transazionale la struttura di personalità di ogni individuo
è costituita da tre nuclei distinti: gli Stati dell’Io. Stato dell’Io Bambino,
Stato dell’Io Adulto, Stato dell’Io Genitore. Lo stato dell’Io Adulto è attivato
quando la persona interagisce con altri, analizza le situazioni, prende
decisioni fortemente ancorato al presente, ai dati di realtà, al “qui-e-ora”.
In alcune fasi del coaching come la fase di contratto il coach ha una
particolare attenzione a creare una relazione Adulto-Adulto.

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Le esperienze

Il ricercatore combina guai


Il primo caso ha come protagonista una persona che
chiamerò Alberto. Ha circa 45 anni, due lauree e svolge la
funzione di specialista in un importante istituto di ricerca e
studi di politiche economiche. E’ sposato e padre di due figli
di circa otto e dieci anni.
E’ stimato dai suoi colleghi, che gli riconoscono competenza
e capacità di leadership.
E’ anche stimato dal suo responsabile, che intravede in lui
competenze potenziali tali da potergli affidare il ruolo di
secondo della struttura.
Alberto é molto motivato ad assumere tale ruolo. A questo
punto del suo percorso professionale si sente pienamente
pronto ad assumere questa posizione. Il suo grado di
empowerment é alto. Riconosce in se stesso le capacità
necessarie a svolgere con efficacia i nuovi compiti e le
delicate responsabilità che la posizione richiede.
L’effettiva conferma del ruolo è condizionata a un anno di
prova. Al termine di questo periodo Alberto dovrà
dimostrare di aver acquisito nuove competenze
specialistiche connesse alla nuova responsabilità, di aver

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messo a punto comportamenti di leadership, ma anche di
aver migliorato competenze comunicative.
Per supportarlo in questo percorso di miglioramento il
responsabile della funzione sviluppo e il suo capo gli
propongono un percorso di coaching finalizzato a mettere a
punto le competenze connesse alla leadership e all’area
della relazione. Quando vengo chiamata per l’incontro di
contratto con il responsabile dello sviluppo e il suo capo
resto abbastanza sorpresa. Conosco già il futuro coachee
per averlo avuto tra i partecipanti in un seminario sul
gruppo e ne avevo apprezzato la capacità di relazionarsi con
i colleghi e con me.
Inoltre Alberto stesso, pur avendo accettato con entusiasmo
il percorso di coaching, mi esprime qualche dubbio sulla
piena comprensione del feedback ricevuto.
Dall’ascolto dei suoi casi di ordinaria quotidianità relazionale
e nel dialogare con lui non mi accorgo di evidenti
defaillance.
Utilizzando per l’analisi degli autocasi la griglia degli Stati
dell’Io percepisco la capacità di un variegato repertorio di
comportamenti relazionali, cioè un equilibrato utilizzo degli
stati dell’Io, e soprattutto un potente Adulto e un attivo
Bambino Libero5, fonte per lui di energia vitale e di

5
Quando ci esprimiamo liberamente, senza preoccuparci delle reazioni
degli altri, siamo vitali, diamo libero corso alle nostre curiosità o alla nostra
creatività, siamo consapevoli dei nostri desideri autentici, siamo in intimità
ed esprimiamo la gamma delle nostre emozioni, stiamo attivando il
Bambino Libero (o Bambino Naturale). Per descrivere lo stato di attivazione
di uno Stato dell’Io viene utilizzato anche il verbo energizzare per indicare

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empowerment. Né la ribellione, né tantomeno
l’iperadattamento mi sembrano essere modalità relazionali
che gli appartengono.
Focalizzo allora la mia esplorazione su un aspetto specifico
raccolto durante l’incontro con il responsabile e il suo capo
e cioè quel “essere sopra le righe”, “un po’ fuori controllo”,
soprattutto in contesti formali e in presenza di interlocutori
esterni importanti, giudicati sconvenienti per il futuro ruolo.
Mi faccio raccontare quindi qualche episodio collegato a
questo preciso feedback e comincia a farsi strada l’idea che
dietro questi comportamenti - come diffondere informazioni
che invece richiedono una certa riservatezza, fare qualche
battuta di troppo, mettere in difficoltà con domande tranello
l’importante professore universitario per coglierlo in
flagrante lacunosità - ci sia un preciso modello
inconsapevole con cui egli stesso si sta sabotando.
Faccio così una delle possibili domande per esplorare
comportamenti copionali6. Gli chiedo, connettendomi al
tema del Copione, quale fosse il personaggio letterario

che le energie della persona sono impegnate a dare potere a quello Stato
dell’Io.
6
Con il termine “comportamenti copionali” si fa riferimento a quei
comportamenti che l’individuo sperimenta durante l’infanzia come reazione
alle richieste provenienti dalle figure di riferimento e dall’ambiente di
appartenenza e sperimentandole ne verifica la funzionalità. Sono quindi
decisioni antiche che abbiamo preso utilizzando al meglio le risorse, in quel
momento, disponibili. Comportamenti che diventano pattern
comportamentali che costituiscono una sorta di “Copione” (da cui il
termine) e che vengono agiti, da adulti, al di fuori della nostra
consapevolezza.

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preferito nell’infanzia, quello che lo aveva più attratto o
affascinato.
La risposta arriva immediatamente: “Gian Burrasca”.
Finalmente, da un piccolo frammento di autobiografia, si
manifesta “l’incantesimo” o, meglio, “il sortilegio della
spontaneità”! Un evidente paradosso comportamentale: quel
sentirsi talmente libero da combinare guai in contesti dove
la formalità, lo “stare dentro le righe”, il rispetto di regole
non solo è richiesto, ma costituisce l’essenza stessa del
futuro ruolo.
Si cristallizza in tal modo “l’oggetto comune”, riconosciuto
da entrambi, su cui concentrare in modo proficuo le energie
del nostro lavoro comune.
Nel momento in cui i comportamenti “incriminati” prendono
la “forma” del personaggio letterario da lui preferito, ritengo
necessario recuperare un po’ di materiale biografico della
persona. Parti di vita a volte dimenticate, come spezzoni di
pellicola di un vecchio film che, tagliati dall’operatore,
giacciono abbandonati in un angolo della saletta di
proiezione e che, se recuperati, possono offrire alla persona
elementi di riflessione utili. Non tanto per andare a ricercare
colpe o responsabilità nelle figure di riferimento del passato,
ma per facilitare l’acquisizione di maggiore consapevolezza
rispetto ai propri comportamenti, per scavare al di sotto del
comportamento copionale e individuarne il “tornaconto”7.

7
Nel linguaggio tecnico della teoria del Copione, il tornaconto è alla base
stessa della scelta copionale e costituisce la gratificazione relativa ai nostri
bisogni profondi alla base della scelta stessa. Quando da adulti mettiamo in

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Il passo successivo è quindi cominciare a capire qual è il
tornaconto antico, riconducibile in questo caso specifico ad
una scelta auto protettiva di reazione all’educazione paterna
peculiare del contesto militare, proprio come fa Gian
Burrasca nei confronti delle convenzioni famigliari, dei
soprusi che subisce in collegio.
La chiave del tornaconto la si comprende analizzando il
personaggio de “Il giornalino di Gian Burrasca”:

… è un bambino di nove anni che ne combina di tutti i colori,


facendo impazzire la sua famiglia e tutti quelli che hanno a che fare
con lui. Dopo mille tentativi di "raddrizzare" il ragazzo, i genitori,
disperati, decidono di mandarlo in collegio e questo non é che
l'inizio di una lunga serie di birbonate. Ma non siamo davanti ad un
birbantello pestifero. Tutt'altro. L’autore ha con finezza psicologica
disegnato un personaggio che il più delle volte agisce in base a un
suo preciso codice morale e comportamentale, alternando eccessi
di vivacità e qualche raro lampo di stizza ad una disarmante e
ingenua buona fede. Gian Burrasca è convinto di agire bene, e non
esita a mettere in atto quanto gli passa per la mente, senza
prevedere neppure lontanamente le conseguenze delle sue azioni.
I rapporti di parentela, che sono salvaguardati mediante l'attenersi
ad una serie di comportamenti ipocriti e fintamente rispettosi,
vengono smascherati nella loro falsità dall'indomito Gian Burrasca,
che, nell'obbedire in toto a una regola perennemente ripetutagli dai
genitori, quella di dire sempre e soltanto la verità, mette in crisi la
società perbenista dell'epoca e ne rivela involontariamente la
grettezza, le miserie e i sotterfugi.
Gian Burrasca agisce animato da buone intenzioni, distrugge
salotti, allaga appartamenti, suscita malori e infortuni, rovina

scena il nostro Copione, senza saperlo scegliamo dei comportamenti che ci


fanno avvicinare al tornaconto del nostro Copione.

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l'avvenire delle persone. Il tutto con una naturalezza e un'ingenuità
disarmanti8.

Nell’analizzare il personaggio, il coachee riconosce alcuni dei


suoi temi di riferimento irrinunciabili e cominciamo a questo
punto a individuare strade percorribili per salvaguardarli
senza cadere nella trappola del “combina guai”.

Gian Burrasca, personaggio di Vamba (pseudonimo di Luigi Bertelli)

Il promotore finanziario giocatore


Il secondo caso di “sortilegio del copione” riguarda l’attività
di coaching proposto da un gruppo bancario a una decina di
promotori finanziari con un contratto d’agenti. La decisione
aziendale di offrire questa opportunità formativa ha origine
dagli scarsi risultati da parte di alcuni, la maggioranza di
questo gruppo. Si era prima della crisi e i responsabili

8
Tratto da http://criticaletteraria.blogspot.com, Il Giornalino di Gian
Burrasca recensito da Irene Pazzaglia.

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aziendali ritenevano che gli scarsi risultati dipendessero
soprattutto dalle manchevoli performance individuali.
Dopo un incontro di “contratto collettivo”, cominciano gli
incontri individuali che prevedono l’utilizzo di una griglia,
creata ad hoc, di autoanalisi delle competenze chiave del
ruolo come: conoscenza del mercato e dell’offerta,
pianificazione del lavoro, orientamento al cliente e ai
risultati, gestione della relazione interpersonale e del
colloquio di vendita.
Il coachee che chiameremo Bruno, tra i più giovani del
gruppo, è da un po’ di tempo sotto osservazione da parte
dell’azienda. Non solo i suoi risultati economici sono scarsi,
ma si è anche via via consumata la stima complessiva che
l’azienda ha verso di lui.
Sulla base della scheda di autoanalisi, Bruno si valuta un po’
più carente nell’area dei comportamenti organizzativi tipici
del ruolo, quali definire piani di visite ai clienti,
programmare, essere sistematici sia con i clienti attivi che
nella ricerca di nuovi contatti.
Mi racconta ad esempio, con un’espressione un po’ birichina,
che le sue giornate e i suoi piani commerciali subiscono
cambi di rotta a seconda degli umori della borsa e talvolta
anche in relazione al bello e cattivo tempo, cioè alla
situazione meteorologica.
Ad esempio, se al mattino, aprendo il computer verifica che
la borsa va benone, lo chiude e se ne va al suo circolo a
giocare a biliardo, giustificandomi la cosa col fatto che molti
suoi clienti li incontra proprio in questo circolo. Talvolta,

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quando la giornata é splendida, se ne va a fare una bella
passeggiata nel bosco.
Il “tarlo” che ci fosse anche in questo caso un modello che
agiva al di fuori della sua consapevolezza si insinua quasi
subito tra le mie fantasie di coach.
E così pongo anche a lui l’analoga domanda sul modello
letterario preferito nell’infanzia.
La risposta arriva, appena un secondo dopo, accompagnata
da un’espressione degli occhi e un tono di voce che
esprimono forte autocompiacimento: “Pinocchio”.
Il Pinocchio che invece di andare a scuola va nel paese dei
balocchi, il Pinocchio che racconta e si racconta un sacco di
storie per giustificarsi agli altri e a se stesso, che promette
di studiare e fare il bravo bambino ma ripetutamente viene
meno alle sue stesse promesse.
A quel punto mi torna in mente che nel colloquio con i
responsabili, rispetto a Bruno, mi avevano esplicitato che
stavano perdendo fiducia anche perché avevano
l’impressione che talvolta raccontasse bugie.
Come ho precisato in una nota precedente, le decisioni di
Copione, e analogamente i comportamenti copionali ad esso
connessi e i modelli comportamentali, rappresentano la
miglior strategia che ha il bambino per sopravvivere alle
richieste genitoriali. Sono quindi il risultato di un processo di
adattamento che media tra i bisogni del bambino e le
richieste dell’ambiente. Una volta diventati adulti, e in un
momento di presa di consapevolezza dei propri pattern
comportamentali, l’idea di abbandonare questi

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comportamenti può essere talvolta percepita come una
minaccia alla gratificazione dei nostri bisogni profondi o alla
nostra stessa sopravvivenza. E’ quindi importante che il
coach supporti la persona nell’individuazione di bisogni
profondi e nell’esplorazione di alternative possibili alla loro
soddisfazione usando le risorse di adulto anziché affidarsi
alla “soluzione magica del copione”.
In questo caso il lavoro successivo si è focalizzato su
un’analisi del personaggio Pinocchio. Ho invitato Bruno a
riconoscere gli aspetti che della personalità di Pinocchio più
lo affascinavano e quindi fossero per lui irrinunciabili e quali
potesse invece considerare oggi “obsoleti” e disfunzionali al
suo percorso professionale e, con una assunzione di
responsabilità personale, abbandonarli. Con Bruno il lavoro
si è fermato qui. Come coach avevo la piena consapevolezza
che né il contesto e soprattutto la brevità del percorso di
coaching ci consentivano di andare più a fondo.

Pinocchio, personaggio di Collodi

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Il capo progetto sfortunato
Il terzo caso in cui mi sono imbattuta è un personaggio dei
fumetti.
Il signor Corrado lo incontro in un percorso che prevede
momenti di aula e incontri di coaching e focalizzato sui temi
della leadership e della comunicazione interpersonale.
L’azienda si occupa di consulenza e supporto di tipo
economico finanziario alle imprese italiane che vogliono
sviluppare il proprio business nei mercati emergenti.
Alla soglia dei 50 anni è molto insoddisfatto del proprio
posizionamento in azienda. La sede presso cui svolge il ruolo
di coordinatore di un gruppo di progetto ha nel corso degli
anni perso rilevanza strategica. Utilizzando le categorie di
Maslow, la sua motivazione non va oltre i primi due gradini
dell’arcinota, e a mio avviso intramontabile, scala: bisogni
primari e di sicurezza.
In particolare ha smesso di investire energie positive in
termini di appartenenza, capacità ideative e realizzative, a
seguito di una decisione, improvvisa e non concordata,
presa dall’azienda circa due anni prima. Decisione che ha in
modo irreversibile determinato un ridimensionamento del
suo ruolo e un arresto di carriera.
E’ una ferita ancora aperta. Non perde infatti occasione per
criticare, facendo uso di ironia e sarcasmo, l’operato dei
dirigenti, lamenta di continuo di essere scarsamente
valorizzato e di non vedere riconosciuti i suoi meriti e i suoi
contributi. Non è però né il classico arrabbiato, né il classico

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lamentoso. Le modalità con cui mi racconta le cose sono
burlesche, mai aggressive o piagnucolanti.
Il percorso prevede l’utilizzo di uno strumento di diagnosi
dei comportamenti di leadership: Lea (Leadership
Effectiveness Analysis progettato dal Management Research
Group). E’ uno strumento molto efficace. Restituisce al
partecipante un feedback, articolato in ventidue
caratteristiche comportamentali, utile a mettere in evidenza
il profilo di leader agito nel proprio contesto organizzativo e
a individuare linee di sviluppo personalizzate e coerenti alle
aspettative del ruolo. L’analisi a 360° consente di mettere a
confronto i risultati del questionario self con quelli di tre
diverse categorie di osservatori: il proprio capo, i colleghi, i
collaboratori o colleghi funzionalmente guidati.
I risultati confermano il quadro che mi ero fatta. Corrado ha
rinunciato di fatto a svolgere il ruolo di coordinatore e a
investire energie nella realizzazione dei progetti e nella
guida delle persone. E’ ora molto più dedicato a costruire
buone relazioni con tutti più che a perseguire risultati.
Come coach sono alla ricerca di una chiave di lettura dei
suoi comportamenti per comprendere la natura del senso di
frustrazione determinato, secondo il suo punto di vista più
volte ribadito, da errori aziendali.
Come spesso accade nella lettura dei comportamenti, è
molto importante mettersi nell’ottica di rovesciare il nesso
causale: quello che ci succede lo facciamo succedere a
giustificazione di convinzioni autolimitanti e, come abbiamo
avuto modo di vedere nei due casi precedenti, è attraverso

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queste convinzioni che ci attribuiamo etichette
comportamentali indelebili. Mi concentro allora sui suoi
comportamenti d’aula, i suoi numerosi racconti, l’interazione
con gli altri partecipanti.
Arriva agli incontri, sia di gruppo che individuali, sempre in
grande anticipo e mi colpisce in particolare che dopo i saluti
iniziali in ogni occasione d’incontro mi racconta, tra il
frustrato e il divertito, le disavventure accadute dal risveglio
all’arrivo nella sede del corso descritte con una modalità
comunicativa verbale e non verbale un po’ fumettistica.
I racconti sono accompagnati da risatine, utilizza qualche
suono tipico del fumetto, il tutto accompagnato da un
atteggiamento che fa trasparire quel vittimismo indicatore di
uno spostamento esterno del locus of control che gli fa
attribuire i suoi guai alla sfortuna o a decisioni prese da altri,
suo malgrado.
Il sentirsi un po’ vittima, sfortunato, addirittura rassegnato,
é come ho già chiarito anche il motivo di fondo della
descrizione e dei ragionamenti relativi agli eventi
professionali.
Ad esempio: al momento di fare il piano di azione accampa
mille scuse, rinunciando di fatto ad assumersi la
responsabilità di prendere in mano la situazione per fare
accadere le cose.
E così, domanda dopo domanda, come nei casi precedenti
emerge, a poco a poco, il modello inconsapevole: in questo
caso, il personaggio misterioso é Paperino. L’antieroe per

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eccellenza, la cui sfortuna è quasi proverbiale come il suo
perenne stato di disoccupazione e pigrizia.
Corrado, nel momento in cui rende palese a se stesso e a
me questo modello di riferimento non solo lo riconosce, ma
esprime, come spesso accade, grande affezione. Come nel
caso precedente il lavoro fatto successivamente ci ha
portato a ragionare sul personaggio e in particolare, in
questo caso, sulle convinzioni autolimitanti, come ad
esempio il sentirsi sfortunato, avviando un processo di
spostamento all’interno del “locus of control”.
Siamo partiti da un esercizio di attivazione del desiderio per
individuare un progetto auto motivante da proporre
all’azienda, lo abbiamo definito in termini di obiettivi,
individuato tappe e comportamenti relazionali e organizzativi
necessari per arrivare alla meta.

Paperino, personaggio della Walt Disney

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L’organizzatrice irregolare
Il quarto caso è forse il più interessante da approfondire. Il
percorso di coaching è finalizzato a fare il punto sulle
competenze manageriali di una coachee, che chiameremo
Diana.
Dal colloquio iniziale con la direzione del personale emerge
in modo evidente che alcuni comportamenti di questa
manager non sempre sono ritenuti consoni al contesto e al
ruolo. Come nel primo caso, sono stati osservati in più
occasioni, anche esterne, comportamenti sopra le righe,
talvolta plateali.
Ha circa quarant’anni. E’ sposata con due figlie di circa
quattro e sei anni, laureata, è responsabile
dell’organizzazione di eventi promozionali di una casa
editrice. Dirige da circa 10 anni un team di circa 6 persone.
Nel colloquio di contratto con lei riscontro piena disponibilità
ad iniziare il percorso di coaching.
Ama moltissimo il suo lavoro ed è soddisfatta dei suoi
risultati, convinzione rinforzata anche dai numerosi segnali
di riconoscimento che riceve dall’esterno. Si definisce
autonoma, pragmatica, orientata al fare, si considera
un’instancabile problem solver, è consapevole di essere
molto capace dal punto di vista organizzativo, trova piena
soddisfazione nel “passare dal caos ad un evento
organizzato in modo perfetto”, sa tessere ottime relazioni
con gli interlocutori esterni, è molto legata al suo team in cui
riscontra un ottimo clima.
Utilizzando anche in questo caso la griglia degli Stati dell’Io

Mida SpA – Deep Coaching, di Alessandra Vesi 21


come analisi del suo stile di relazione identifico, dal suo
narrarsi e dagli autocasi, dal suo modo di razionalizzare e
riflettere sulle cose, ma anche dalla mia osservazione diretta
(telefonate di lavoro a cui assisto), un potente Adulto e un
Bambino Libero molto energizzato (ed energizzante).
E’ evidente che il suo approccio relazionale ha come leve,
del tutto consapevoli, l’entusiasmo, la gioia, la passione, la
giocosità, la seduzione da cui, persino come coach, faccio
fatica a sfuggire.
L’insieme di tutti i suoi pregi, a cominciare dall’autonomia,
dalla passione, dall’assertività, come pure l’essere veloce nel
risolvere situazioni, e talvolta l’essere travolgente, diventano
nelle relazioni con i responsabili delle altre funzioni aziendali
motivo di disagio per gli altri. Lei stessa dice “gli altri si
sentono schiacciati”.
Da qui quindi partiamo per definire un obiettivo e un piano
di azione. E qui cominciano i ma, anzi i “Sì … ma!” 9.
Esploriamo diverse piste, facciamo diverse ipotesi, troviamo
soluzioni operative …, ma scattano sempre argomenti a
giustificazione del fatto che le sue modalità portano
all’azienda risultati incontestabili e che forse sono i colleghi
delle altre funzioni a doversi attivare di più, reagire con
maggiore prontezza, essere … eccetera eccetera.

9
Con l’espressione Giochi psicologici l’Analisi Transazionale descrive alcune
situazioni relazionali in cui i due interlocutori tendono a ripetere uno stesso
schema relazionale. Uno dei più frequenti è proprio il “Perché non …, sì …
ma”. Uno dei giocatori si rivolge ad un interlocutore per avere consigli o
supporto rispetto alla soluzione di un problema, ma poi rifiuta
sistematicamente tutti i suggerimenti per cui ad un certo punto si verifica
uno stato di disagio o esasperazione di entrambi gli interlocutori.

22 Mida SpA – Deep Coaching, di Alessandra Vesi


Facciamo allora un passo indietro e andiamo a ripercorrere
alcuni passaggi del nostro dialogo e, mediante domande,
approfondimenti e riflessioni, si cristallizza in mezzo a noi il
modello letterario di riferimento. E’ la coachee stessa che ad
un certo punto mi dice “Sai, io sono proprio come Pippi
Calzelunghe”.
Non conoscendo bene il personaggio mi faccio raccontare da
lei un po’ di cose. Inoltre mi documento e scopro che …

Pippi rappresenta tutto ciò che un bambino non può essere e non
può fare e vorrebbe avere. Vive da sola nella propria casa insieme
con un cavallo e una scimmia. Non ha genitori che possono
guidarla e controllarla e ... non ha paura di niente e di nessuno. È
la bambina più indipendente del mondo. Ha un bauletto pieno di
monete d'oro, e quindi nessun problema di sostentamento, ed è
più forte del più forte poliziotto. Sempre sola gestisce la casa e il
denaro che le serve per vivere e affronta il quotidiano con la
spontaneità e la vitalità che solo i bambini riescono ad avere. Pippi
però non è un personaggio del tutto reale, ma una sapiente fusione
tra realtà e fantasia: la bambina infatti è straordinaria, ha la forza
di sollevare un cavallo e dice di aver girato il mondo, è generosa e
sempre in atteggiamento positivo verso la vita e il prossimo. Vive
secondo le sue regole, non frequenta la scuola e si rifiuta di essere
accudita nella Casa degli Orfani.
Ma la sua trasgressione non è mai irrispettosa delle regole altrui.
Pippi è estremamente gentile con i poliziotti che tentano di
prelevarla, con la Signora Prusselius, la maestra del paese. Non ha
l’aria di essere una rivoluzionaria, ma ha una forza positiva e vitale

Mida SpA – Deep Coaching, di Alessandra Vesi 23


che sembra contagiare chi le sta attorno. Pippi rappresenta una
invincibile forza della vita e insieme il desiderio di libertà che ogni
uomo, adulto o bambino, nasconde dentro di sé. La sua vita è una
continua trasgressione "gentile" alle regole degli adulti che Pippi,
sorridendo, rimanda agli adulti, chiamandosene fuori in quanto
bambina.

Questa descrizione è veramente straordinaria per


verosimiglianza con alcuni tratti e caratteristiche peculiari di
Diana.
Approfondisco la conoscenza di Pippi Calzelunghe anche
attraverso la visione del film “Una festa movimentata” che
Diana mi porta dicendomi con entusiasmo che è un pezzo
divertentissimo, che lei ama guardare insieme alle sue figlie.
L’episodio racconta le prodezze di Pippi invitata a una festa a
casa di due amici. La madre degli amichetti ha organizzato
un ricevimento per le proprie amiche. Siamo negli anni
sessanta, in una casa della media borghesia, pettinature e
abiti sono tipici di quell’epoca e di quella classe sociale; lo
stile di relazione e la conversazione tra le invitate sono
alquanto formali. Pippi irrompe come una meteora e ne
combina di tutti i colori.
Nella scena finale, uscita dalla festa, sta camminando da
sola in un viottolo di campagna e parlando a voce alta
racconta alla mamma, morta, gli accadimenti. E’ evidente
come in questa scena finale il monologo sia caratterizzato da
ripetute auto giustificazioni rispetto a quanto è accaduto e

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sia l’espressione di un dialogo interno caratterizzato dal
gioco “Sì … ma!”.

Ecco i pensierini di Pippi sotto la pioggia che ho trascritto dal


film.

“Sono stata proprio sfortunata.


Non diventerò mai una ragazzina bene educata come tutte le altre.
Sembra impossibile ma c’è qualcosa che non va per il suo verso.
Ma ormai è andata e devo averla fatta grossa.
Però sono contenta di aver messo una bella paura alla signorina
Prusselius.
Sai mamma, vuole per forza mettermi in collegio.
E io non voglio!
Io non credo che mi ci ritroverei in un collegio. Non lo pensi anche
tu mamma?
Mi dispiace di averle pizzicato il naso con le pinzette dello zucchero.
Ma lei non fa che ficcare il naso in faccende che non la riguardano.
E poi non l’ho fatto apposta a scivolare e a dare uno spintone a una
signora facendo cadere il caffè addosso ai vestiti di tre signore …
Può capitare a tutti di scivolare, no?!
Ma adesso i loro bei vestiti nuovi sono pieni di macchie …
Forse darò ad ognuna delle signore un pezzo d’oro, così potranno
comprarsi degli altri vestiti.
Il peggio è che la mamma di Tommy e di Anika si è arrabbiata
quando mi sono appesa al lampadario.
Ma in quel momento mi ero dimenticata di essere in casa d’altri!
Credevo di essere …

Mida SpA – Deep Coaching, di Alessandra Vesi 25


E poi non l’ho fatto apposta a mettere il viso nella torta di panna.
E dopo mentre mi pulivo con un lembo della tovaglia una delle
signore alzandosi mi ha urtata e io ho trascinato tutto in terra. E
siccome mi sono sentita la coscienza sporca e volevo riparare la
prima cosa che ho pensato di fare è di raccogliere tutti i cocci con
l’aiuto del tappeto e di buttare il tutto fuori della finestra.
Che disastro!
Però mamma, credimi, non pensare che non me ne importi niente.
In realtà un po’ me ne vergogno … lo giuro.
Ora che è tutto passato mi prenderei a schiaffi.
Ma ho un’idea.
Tutte le mattine farò un’ora di esercizio per diventare una bambina
ben educata.
Sarà poi utile?
Se devo essere sincera le signorine educate si annoiavano molto.
Non sanno più né giocare, né divertirsi.
Non fa per me diventare una signorina bene educata mamma!
Mi piacerebbe di più diventare un famosissimo pirata.”

E se ne va felice cantando e danzando sotto la pioggia.

Il pezzo di biografia reale che affiora nel racconto di Diana


evocato da Pippi è davvero simile alla storia fantastica. Priva
di una figura genitoriale, senza una pressione educativa e
regolativa da parte dell’altra, ha passato lunghe giornate in
solitudine con sofferenza.
Come coach prendo atto di quanto questo modello letterario,
vero mito di Diana, abbia rappresentato per lei un forte

26 Mida SpA – Deep Coaching, di Alessandra Vesi


ancoraggio alla vita e le abbia trasmesso una forza e una
energia rara che ora esprime a livello professionale in modo
originale. Esploriamo varie direzioni verso cui orientare il
piano di azione. Constato, esplicitandolo anche a lei, che il
suo “Sì ... ma” é veramente potente, cristallizziamo i piccoli
miglioramenti fatti per incrementare la collaborazione verso
le altre funzioni, e decidiamo di concludere il percorso.

Un francobollo tedesco del 2001 raffigurante Pippi Calzelunghe

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Conclusioni

Il racconto dei casi termina qui.


Dietro le storie raccolte in questi e altri casi di coaching ci
sono visioni del mondo, di sé o degli altri; storie relazionali
sviluppatesi nella prima infanzia; culture famigliari a cui
abbiamo aderito o a cui ci siamo ribellati; padri o madri, per
varie ragioni, o troppo presenti o troppo assenti.
Come abbiamo visto, il compito del coach non è quello di
lavorare sul passato, ma di supportare la persona nel
riconoscimento di pattern comportamentali che possono
influenzare i comportamenti e i successi professionali
auspicati dalla persona stessa e di attivare un processo
autonomo di ri-decisione rispetto al comportamento
copionale.
Generazioni e generazioni di bambini si sono appassionati,
hanno voluto bene, si sono divertiti o hanno pianto, catturati
dalle avventure narrate nei testi letti durante la loro
infanzia.
Personaggi come Gian Burrasca, Pinocchio, Paperino e Pippi
Calzelunghe sono stati creati e le loro storie sono state
scritte o con indubbi intenti educativi o al fine di divertire.
Basti pensare che Pippi Calzelunghe, tradotto in moltissime
lingue, è uno dei libri più letti soprattutto nel nord Europa,

28 Mida SpA – Deep Coaching, di Alessandra Vesi


Germania in primis, e ha sicuramente rappresentato un
modello positivo, in particolare per i lettori di genere
femminile.
Per milioni di lettori quindi rimangono testi a cui ciascuno di
noi ripensa qualche volta con quel sottile senso di nostalgia
che caratterizza spesso le rievocazione di episodi
dell’infanzia. Per alcuni di questi appassionati lettori il
personaggio può essere invece diventato una risorsa, cioè
un’ancora utile a dare senso alla propria solitudine o alla
propria ribellione, modelli di comportamento funzionali
quindi ad affrontare la realtà, bella o brutta che fosse,
dell’infanzia o della preadolescenza. Una realtà, come
dicevamo all’inizio, fatta di richieste, di stimoli, di
accadimenti, che hanno provocato in noi decisioni finalizzate
alla nostra sopravvivenza proprio come le marachelle
architettate da Gian Burrasca per sopravvivere alle
convenzioni famigliari e alla dura realtà del collegio.
Possono essere modelli più o meno consapevoli, ma appena
si palesano nel dialogo tra coach e coachee e vengono
riconosciuti dal coachee, diventano modelli da cui è difficile
separarsi perché sono diventati parte della nostra identità. E
anche se appartengono al passato e ne capiamo l’utilità nel
là e allora, e ne riconosciamo la disfunzionalità nel qui ed
ora professionale, facciamo fatica a pensarci in modo
diverso, a dire addio a ciò che ha rappresentato per noi
un’ancora di salvezza o di ispirazione.
Come abbiamo visto il mio approccio è quello di proporre
alla persona una riflessione per distinguere ciò che delle

Mida SpA – Deep Coaching, di Alessandra Vesi 29


caratteristiche del personaggio vuole tenere e ciò che può
abbandonare, sulla base del criterio della funzionalità. Come
abbiamo visto il personaggio Pippi ha tantissime
caratteristiche positive come l’autonomia, l’energia, il
coraggio. Sarà una decisione del coachee individuare e
decidere di abbandonare invece ciò che rappresenta, oggi,
un comportamento auto sabotante o disfunzionale al
raggiungimento dei suoi obiettivi professionali, come ad
esempio uscire da una, se pur splendida, solitudine e
trovare altrettanta gratificazione nel “giocare” con gli altri
adulti, cioè collaborare di più a livello interfunzionale.

In chiusura aggiungo due note personali.


Il percorso di ricerca di modelli letterari connessi a pattern
comportamentali è stato anche il mio percorso di ricerca e
potenziamento.
Nel riflettere su questi temi ho rintracciato con chiarezza il
modello ispiratore della mia infanzia e adolescenza: la bella
addormentata nel bosco, mia favola preferita.
L’archetipo femminile che rappresenta il personaggio di
questa favola mi ha accompagnata, con tutte le ovvie
negatività, fino alla tarda adolescenza quando ho incontrato
a teatro il personaggio di Antigone e ne sono rimasta
folgorata: una donna che lotta fino alla morte anteponendo
le ragioni del cuore alle regole della polis.
E’ il personaggio che mi ha accompagnato per un bel pezzo
di vita e che ora sto, pur riconoscente, io stessa salutando
perché - arrivata ormai al termine della mia vita

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professionale - comincio ad avere bisogno di una diversa
visione di me stessa per affrontare il mio futuro.
Infine ringrazio i miei coachee perché da loro ho imparato
molto sui comportamenti copionali e spero che leggendo
questa riflessione possano riconoscere tappe del loro
percorso di crescita professionale.

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Alessandra vesi

Consulente, formatrice, coach, counsellor certificato in


Analisi Transazionale.
Mi occupo da anni del potenziamento delle persone
attraverso la progettazione e la realizzazione di percorsi di
formazione di gruppo e individualizzati. Ho approfondito i
temi legati alla relazione interpersonale, alla competenza
emotiva, alla leadership, allo sviluppo delle competenze
manageriali finalizzate alla gestione dei collaboratori. Da
anni mi dedico a proposte formative che privilegiano il
raggiungimento delle proprie mete professionali, in ottica di
self empowerment.
Ho sviluppato esperienza in seminari Formazione Formatori.
Progetto e conduco interventi formativi con l’utilizzo della
metodologia esperienziale in outdoor.
La mia esperienza mi ha portato, in particolare, a conoscere
alcuni settori come il mondo della Grande Distribuzione
Organizzata e del Retail, le aziende che si occupano di
telecomunicazioni, di servizi assicurativi e bancari, il
farmaceutico, la pubblica amministrazione e la sanità.
Sono coautrice del libro: L’Analisi Transazionale e la
formazione degli adulti, F. Angeli, 2003.

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In copertina
Il termine Ki è presente sia nella lingua giapponese che in quella cinese.
Il KI esprime il concetto di energia fondamentale dell'universo, di cui fanno
parte la natura e le funzioni della mente umana. Nell'antica Cina era visto
come la forza che originava tutte le funzioni fisiche e psicologiche. La
possibile traduzione dell'ideogramma KI, è Essenza Individuale, cioè quella
peculiare caratteristica che distingue ogni essere da tutti gli altri.

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