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習 ideogramma NARA = imparare

DIARIO AMERICANO:
ALL’ASTD 2010
di Alberto Carpaneto
Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche,
intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori
traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo.
I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l‟approccio
peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.

DIARIO AMERICANO :
ALL’ASTD 2010
di Alberto Carpaneto

Le pagine che seguono sono il resoconto della mia esperienza


all’annual meeting dell’American Society of Training and Development.
La manifestazione, organizzata quest’anno a Chicago il 16-19 maggio,
è la più importante a livello internazionale nel campo della formazione
e dello sviluppo risorse umane. Alcune cifre: 8.000 partecipanti (di cui
2.000 in rappresentanza di decine di paesi diversi), 300 eventi e
conferenze, 350 espositori. Le dimensioni, il respiro internazionale, la
qualità degli interventi e l’ottima cura organizzativa spiegano il
successo di questo evento, che è un’incredibile opportunità, per chi fa
questo mestiere, di entrare in contatto con tendenze, novità e
testimoni del mondo “Human Resources”. Da più di dieci anni Mida è
presente regolarmente a questo appuntamento.
Le parole-chiave dell’edizione 2010 sono state il web 2.0 (il suo
impatto sull’apprendimento nelle organizzazioni) e l’efficacia formativa
(la necessità di rendere percepibile al top management i risultati della
formazione, di valutarne gli effetti sul business). Grande enfasi anche
sul tema della leadership e dei leader. L’annual meeting non è solo
contenuti professionali, ma un contatto ravvicinato con culture-paese,
mondi del business diversi, globalizzazione che avanza …
L’ASTD: istruzioni per l’uso

L’annual meeting

Che cos‟è l‟ASTD International Conference & Exposition?


E‟ un evento grandioso, probabilmente il più importante nel
settore, che raccoglie ogni anno per quattro giorni in una
città statunitense diversa (nel 2010 a Chicago) la comunità
professionale che opera in tutto il mondo nel campo della
formazione e dello sviluppo risorse umane …
E‟ una full immersion incredibile che permette il contatto con
persone, organizzazioni, lingue e volti, know-how ed
esperienze, proposte originali o scontate …
E‟ qualcosa che lascia senza fiato e con una sensazione
speciale, quella di condividere con chi è veramente diverso
da te (il manager sud-coreano che gestisce il personale di
un‟azienda ospedaliera, il docente irlandese che studia i
trend della formazione, l‟ufficiale della Guardia Costiera
americana che si occupa di sviluppo delle risorse umane)
una professione, una passione, un linguaggio comune …
E‟ un‟esperienza che vale la pena di fare almeno una volta
nella vita professionale di chi fa questo mestiere come
consulente, ricercatore, manager, professional …

Qualche numero per capire questa manifestazione, che è


internazionale ma allo stesso tempo profondamente

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americana nello stile, nell‟organizzazione e nella sua
filosofia: 8.000 partecipanti (in calo negli ultimi anni a
causa della crisi), decine e decine di paesi presenti (lo
zoccolo duro è ovviamente costituito dai partecipanti
nordamericani, circa i due terzi), speaker di 27 nazionalità
diverse, oltre 300 eventi di ogni genere (conferenze e
incontri, interventi formativi, colloqui con gli autori,
presentazioni di prodotti e metodologie, attività sociali,
global village e career center), oltre 350 espositori (società
di consulenza, software house, agenzie governative,
università e business school, case editrici di settore).

L‟agenda dell‟ASTD è stata rodata negli anni ed è basata su


tre format principali: general sessions, education sessions
ed Expo.
Ogni giorno si tiene una delle “general sessions”, cioè
plenarie oceaniche di tutti i partecipanti su temi di forte
presa, con interventi ottimamente condotti, con
un‟impeccabile cura multimediale (video, musica, dialogo
con il pubblico, interviste in diretta, ecc.), concisi e densi
(90 minuti in tutto).
Seguono durante tutta la giornata e a getto continuo le
“education sessions”, seminari a tema di poco più un‟ora,
animati da consulenti, testimoni aziendali, manager pubblici
e del terzo settore, docenti universitari sugli argomenti più
disparati (non è possibile neanche provare a elencarli per
filoni!).

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Infine, ci si può tuffare nell‟Expo, il salone professionale che
offre una vetrina sull‟offerta, per lo più nordamericana, di
servizi e prodotti “T&D” e la possibilità di vedere all‟opera
un‟incredibile macchina di marketing (stand di ogni forma e
tipo, premiazioni e concorsi, dimostrazioni dal vivo,
bookstore, oggettistica e gadget in abbondanza).

Per concludere, una nota su che cosa non bisogna aspettarsi


dall‟annual meeting. Non è un convegno scientifico o
culturale (ha una dichiarata anima commerciale e un taglio
molto applicativo e pragmatico), non è focalizzato in modo
specifico sullo sviluppo e gestione delle risorse umane
(qualche proposta c‟è, ma molte meno rispetto a tutto ciò
che è training), è lontano da un‟impostazione “eurocentrica”
(sul significato culturale dell‟ASTD e sulla scarsa presenza
del Vecchio Continente torno più avanti), non è “a tesi” e
non ha un titolo-guida (è un contenitore in cui trovano posto
tendenze e proposte diversificate e di attualità che ciascuno
liberamente può decifrare e interpretare come meglio
ritiene).

L’Associazione

Vale la pena di commentare rapidamente che cos‟è l‟ASTD,


un fenomeno associativo che stupisce chi proviene dall‟Italia
o dall‟Europa, ma che è molto diffuso nella società
americana, ricchissima di soggetti come questo: non-profit
nelle finalità e con un approccio imprenditivo e “marketing
oriented” nella gestione. L‟ASTD è un misto fra comunità

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professionale (fra l‟altro sostenuta da decine di volontari
presenti in massa a Chicago) e macchina da guerra
commerciale (che dà la forza finanziaria e organizzativa per
gestire un evento di queste proporzioni).

L‟ASTD non è solo naturalmente l‟annual meeting, ma molte


altre iniziative e attività: ha una linea editoriale, realizza
studi e ricerche, offre servizi di varia natura (fra cui un
catalogo formativo e un knowledge center). Ha una
dimensione realmente internazionale con membri di oltre
100 paesi e 30 sezioni locali all‟estero.

Per saperne di più:


www.astd.org
Il sito, oltre ad offrire naturalmente una visione d‟insieme
dell‟Associazione, mette a disposizione il programma
completo della International Conference & Exposition 2010,
tutti i materiali presentati e il profilo degli speaker
(www.astdconference.org).

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Il menù 2010: omaggio alla tradizione,
tendenze attuali, segnali deboli

L‟ASTD somiglia a quei ristoranti dove si può ordinare di


tutto, rischiando di perdersi tra le innumerevoli proposte di
uno sconfinato menù. L‟offerta di temi quest‟anno è stata
imponente: come segnalavamo prima, oltre 300 eventi.
Quale quadro di insieme ne emerge? Una buona quota degli
interventi ha riguardato contenuti consolidati e in qualche
modo tradizionali in una kermesse sullo sviluppo risorse
umane e formazione di questo livello (molti contributi sulla
didattica d‟aula, l‟interculturalità, l‟efficacia personale, la
formazione commerciale, l‟intelligenza emotiva, …). Un
nucleo forte di eventi ha invece disegnato il presente e le
sue tendenze dominanti. Una minoranza significativa di
sessioni ha affrontato argomenti meno in evidenza e forse
meno attuali (i segnali deboli), che tuttavia ci possono dire
qualcosa sul domani, sul mondo che verrà.

Due punti fermi: il web e l’efficacia formativa

Il web-learning è stato affrontato da ogni punto di vista in


oltre 35 education sessions (di gran lunga il tema più
gettonato di tutta l‟ASTD 2010): tools per la formazione a
distanza “classica” (aule virtuali, software di progettazione,

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training the trainer), mobile learning (palmari, smart phone,
terminali ad hoc), ambienti virtuali di apprendimento (3D,
Avatar, second life, ecc.), e-reading (Kindle e Ipad presenti
spesso fra le mani dei partecipanti e offerti come premio di
estrazioni fra i partecipanti, iniziative di trade-marketing,
promozioni di ogni genere, ecc.) e, per ultimo ma non da
ultimo, il social learning, ovvero le opportunità e le
implicazioni legate al diffondersi dei social network e
all‟affacciarsi sul mercato del lavoro della generazione
cresciuta con essi (i “millenials”). Due general sessions su
tre sono state dedicate a questo tema e ai suoi effetti
rispetto a modelli organizzativi e di management, tema su
cui tornerò fra poco.

Una considerazione sulla fortuna delle altre tipologie di


formazione, oltre al “social learning”, così come è emersa
quest‟anno all‟ASTD. Il “formal training” (la formazione
interattiva d‟aula, ma anche la formazione esperienziale
come l‟outdoor, l‟uso formativo della musica, il teatro
d‟impresa, ecc.) costituisce lo zoccolo duro e il punto di
riferimento di questo mondo professionale, ma non è stato
l‟argomento di punta dell‟edizione 2010, come di quelle del
recente passato: non ci sono grosse novità e i basic del
mestiere ormai sono noti. Si è ritagliato un po‟ più di spazio
il teatro d‟impresa, ma l‟impressione è che l‟”entertainment
formativo” non sia più così attuale. All‟”informal training”
(con cui in ASTD si intende un ampio spettro di
metodologie: il coaching, il mentoring, la job rotation,

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l‟addestramento on the job, le comunità di pratica) è stata
dedicata una certa attenzione con una dozzina di session,
ma anche in questo caso con poche proposte di forte
interesse e novità.

In seconda posizione, per numero di eventi ed enfasi sulla


sua importanza, si è collocata la training efficacy (oltre 25
sessions dedicate, ancora di più se si considera l‟HPI, lo
Human Performance Improvement). La formazione deve
servire al business e alle strategie di impresa: come
renderla “aligned” a tutto ciò, come farla percepire utile e
efficace, quali indicatori consentono di valutarne risultati?
I riferimenti metodologici sono sempre gli stessi da anni: i 4
livelli di valutazione formativa secondo Donald Kirkpatrick
(presente con la propria società di consulenza) e il “Return
on Investment” di Jack Phillips (animatore d più incontri con
il suo ROI Institute).
L‟elemento di relativa novità è la ricerca di consenso e
legittimazione: le misure di efficacia della formazione non
sono una pratica per gli specialisti di training e gli HR
manager, devono risultare comprensibili e comunicabili ai
Ceo, ai comitati di direzione, alla linea. Le esperienze sul
campo incominciano ad esserci, come molti interventi hanno
messo in evidenza.
Leggiamo questo dato in termini di processo formativo:
l‟analisi dei bisogni e la progettazione formativa non
suscitano più interesse (pochissimi interventi sono stati
dedicati a queste fasi del processo di training), mentre il

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momento dell‟erogazione “tiene” (molte le session su
“facilitation & teaching”, ma pochi gli spunti interessanti o
innovativi); ciò che conta è la valutazione di efficacia, il
monitoraggio dei risultati formativi. Nessuno si chiede come
mai, nonostante tutto, le organizzazioni non investono più di
tanto in queste attività, in particolare nelle acclamatissime
valutazione dell‟impatto e analisi del ROI (come hanno
confermato diverse ricerche sullo stato della formazione
citate o presentate all‟ASTD: una fra tutte, la survey di
Cegos Group sui “Learning trends”).

Una breve riflessione conclusiva sullo spirito dei tempi: cosa


ci dice l‟ASTD, questa incredibile vetrina sulle tendenze in
atto nel mondo della consulenza e della formazione? Oggi
non è il momento di nuovi contenuti o temi. Ciò che è nuovo
è l‟attenzione al processo (valutazione dei risultati, after
traning) e al canale (i social network, il web 2.0), che per
definizione non hanno un oggetto specifico perché si
applicano a tutti … Stiamo vivendo una rivoluzione nella
tecnologia, nei mercati e nelle società che cambierà
profondamente le organizzazioni: come diceva un maestro
della sociologia della comunicazione, “il mezzo è il
messaggio”.

Management 2.0

I due interventi più rilevanti nell‟ambito delle general


sessions non a caso hanno esplorato le implicazioni del web
2.0 e delle nuove tecnologie ICT nella vita delle

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organizzazioni. Charlene Li (un‟esperta di social media e
business strategy che ha lavorato a lungo in Forrester
Research e che oggi ha una propria società di consulenza ed
è una opinion leader nel settore) ha parlato di leadership e
di management, mentre Daniel Pink (saggista e
conferenziere nell‟area del comportamento organizzativo con
un approccio basato sulla scientific psychology) ha
affrontato il tema della motivazione delle persone. L‟aspetto
interessante è che entrambi arrivano a conclusioni molto
simili, pur avendo background molto diversi.

Charlene Li, autrice del libro Open Leadership (www.open-


leadership.com), ha spiegato con passione e chiarezza
perché è utile nonché indispensabile abbracciare questo
nuovo paradigma manageriale. Un numero crescente di
organizzazioni oggi si confronta con un contesto in cui gli
individui (i suoi dipendenti, fornitori o clienti), grazie alla
possibilità di accedere, scambiare e produrre informazioni e
conoscenza sul web, possono esercitare una forte pressione
sulle aziende stesse (diffondendo con grande velocità e a un
numero enorme di persone informazioni sulla loro
“reputation”, sulla qualità dei loro prodotti, sulle strategie,
su quanto avviene al loro interno …).
L‟unica risposta possibile è abbandonare la filosofia
manageriale “command and control”, tipica delle
organizzazioni del secolo scorso, e costruire una più
autentica, coinvolgente e bilanciata relazione con le proprie
risorse umane, il mercato, gli stakeholders.

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Le caratteristiche di questa nuova modalità di scambio sono
la condivisione del maggior numero di informazioni e la
maggiore apertura dei processi decisionali verso l‟interno e
l‟esterno grazie all‟uso intensivo delle tecnologie web.
Il risultato, documentato da innumerevoli casi citati nella
conferenza e nel libro, è un concreto vantaggio nel business
per l‟azienda, ma anche più valore per i suoi clienti e per le
persone che lavorano al suo interno. I capisaldi dell‟open
leadership sono quattro (learn, dialog, support, innovate):
apprendere in modo sociale e condiviso, dialogare con
l‟esterno e l‟interno, dare supporto e aiuto, generare
innovazione.

Daniel Pink, autore di vari libri di successo in America fra cui


l‟ultimo è Drive. The surprising truth about what motivates
us (www.danpink.com) non si concentra sugli aspetti
tecnologici e sui modelli di governance aziendale, ma utilizza
l‟amplissimo bagaglio di ricerche psicologiche dedicate alla
motivazione intrinseca (per es. i lavori di J.R. Hackman e
G.R. Oldham e più recentemente di K. Thomas e altri).
Il percorso ha molti punti di contatto con le tesi di Charlene
Li: le organizzazioni di oggi sono cambiate (sono sempre più
caratterizzate da conoscenza diffusa e libero accesso
all‟informazione, da destrutturazione e cambiamento
continuo) e richiedono un patto psicologico con le persone
non più basato principalmente su logiche di “assegnazione e
controllo”, sul principio premio-punizione, su incentivazioni
retributive (cioè su fattori estrinseci di motivazione).

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La via per ottenere prestazioni di eccellenza e per avere
persone più soddisfatte è quella indicata dai fattori intrinseci
di motivazione. Pink ne individua tre: autonomy, mastery,
purpose. Ciascuno di noi lavora meglio e con più interesse,
se può esercitare discrezionalità e scegliere (autonomia), se
è posto nelle condizioni di affermare e affinare le proprie
competenze (senso di padronanza), se ha la possibilità di
elaborare il senso e il valore del proprio compito e della
propria appartenenza all‟organizzazione (scopo). Come
qualcuno ha detto, “People will work hard for a paycheck,
harder for a person, hardest for a reason …” (gli individui
danno molto per uno stipendio, ancora di più per una
persona, il massimo per una ragione …).
Pink ha un indubbio e duplice merito: ha saputo trattare
l‟argomento in modo leggero e brillante e si è basato allo
stesso tempo su un filone di studi seri e rigorosi. Il suo è un
raro caso di incontro fra la ricerca scientifica in campo
psicologico e il mondo del management. La situazione più
frequente, come lui stesso dichiara, è invece lo
“sfasamento” “between what science knows and what
business does”.

Leadership, dove sei?

Tema onnipresente in ogni edizione dell‟annual meeting è la


leadership, intesa in senso ampio (equivalente all‟uso
italiano del termine “management”). La leadership è stata al
centro di almeno 25 session. La quasi totalità delle proposte

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ha riguardato tecniche specifiche per essere un buon leader
(dare l‟esempio, la “listening leadership”, come avere
influenza sugli altri, ecc.), programmi per sviluppare la
leadership (molte testimonianze di aziende e organizzazioni
sui loro piani di formazione manageriale), pratiche di
successo dei leader più influenti (dai campioni dello sport
alla lezione ricavabile da Shakespeare …).
Non è emersa è una proposta sulla leadership a tutto tondo,
ambiziosa e nuova. Solo due interventi hanno puntato in
alto: Ken Blanchard con la “servant leadership” e Charlene
Li, di cui si è già detto, con il modello della “open
leadership”.

In realtà la “open leadership” è soprattutto una filosofia


manageriale e organizzativa e meno un modello
comportamentale di leadership. I capitoli del libro dedicati a
questo ultimo aspetto sono i meno riusciti: le due
caratteristiche del nuovo leader nascono da una matrice in
cui si incrociano ottimismo-pessimismo e individualismo-
socialità: non è oggettivamente molto …

Ken Blanchard, autore di One Minute Manager, ideatore


della Situational Leadership Theory insieme a P. Hersey e
oggi “Chief Spiritual Officer” della omonima società di servizi
consulenziali (www.kenblanchard.com), da alcuni anni ha
proposto il modello del “servant leader”. L‟idea di fondo è
che l‟orientamento al servizio dà reale potere: mettersi al
servizio dei collaboratori, aiutarli a realizzare se stessi nel
lavoro è il modo paradossale per esercitare profonda

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influenza e ottenere prestazioni superiori. Siamo di nuovo
molto lontani dal modello “command and control” e vicini
alla convinzione che si possa generare valore nelle
organizzazioni in tutti i sensi attraverso un salto di qualità
nell‟intensità, franchezza, trasparenza e non strumentalità
delle relazioni professionali.
La “servant leadership” si basa su cinque priorità e
comportamenti: See the future (creare una visione), Engage
people (coinvolgere le persone), Reinvent continuosly
(creare flessibilità operativa), Value result and relationship
(bilanciare l‟orientamento ai risultati e alle persone),
Embody values (testimoniare i valori). Nella conferenza di
quest‟anno Blanchard si è spinto oltre, scegliendo come
titolo “Bringing Love to Leadership”, una riflessione sul
termine amore nel mondo degli affari sostenuta dalla
testimonianza intensa e convincente della past-president di
South West Airlines, la compagnia aerea americana.

Per concludere su leadership e dintorni, colpisce e


incuriosisce non solo quello che si è visto, ma quello che non
c‟è stato: non si è parlato né di talento o talenti (1-2
sessioni hanno riguardato la gestione degli alti potenziali e
come trattenerli), né di “followership” (il complementare
della leadership, cui è stata dedicata una sessione sui “B
players” e poco altro), né di etica manageriale (un unico
incontro sul tema!).

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In cerca di segnali deboli: open organization, strategy
& sense making …

L‟annual meeting non è solo una carrellata di tendenze


dominanti e argomenti di richiamo, è anche ricco di temi
minoritari e apparentemente secondari, che ci possono dire
qualcosa sul prossimo futuro.

Uno di questi è sicuramente il tema della “open


organization”, posta al centro dell‟intervento in plenaria di
Charlene Li sulla leadership, ma in realtà filo rosso nascosto
di altre session. La permeabilità delle organizzazioni, il loro
essere snodi di una rete più vasta che le ingloba, la perdita
di auto-referenzialità sono elementi che sembrano indicare
la direzione del cambiamento in corso.
“Openness” può vuol dire molte cose: per l‟American Cancer
Society significa un modello ibrido di formazione del
personale (con momenti di formazione interna ed
all‟esterno, come visite di studio, periodo di esperienza
professionale altrove, ecc.); per Cardtronics (azienda di
Houston attiva nel software e terminali per operazioni
bancarie) e molte altre aziende significa creare un board
misto con le università e una partnership stabile con centri
di ricerca pubblica; per l‟Agenzia di protezione ambientale
del Governo federale significa offrire gratuitamente know-
how formativo a comunità e organizzazioni (seguendo la
tendenza al volontariato aziendale che incomincia ad
affermarsi anche in Italia come pratica di social
responsibility); per innumerevoli società (fra tutte la

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citatissima Mozilla, il produttore di fire wall) significa
costruire modalità inedite di scambio con le comunità
professionali e i clienti (codesign dei prodotti e sviluppo
opensource, training gratuito offerto agli end-user,
definizione di standard condivisi, ecc.).

C‟è dell‟altro: l‟ASTD ha proposto interventi sulle soft skills


(intelligenza emotiva, assertività, gestione dei team,
negoziazione) in numero equivalente rispetto a un‟area di
competenze ampia che ruota intorno alle capacità di
strategia e di vision. Anche qui gli approcci erano
eterogenei: dai seminari sullo “strategic thinking” (come
sviluppare dal punto di vista cognitivo la visione di insieme e
la strategia) ai contributi sull‟importanza di avere una vision
chiara e di saperla comunicare; da chi ha sostenuto
l‟importanza di ripensare valori e mission soprattutto di
fronte al cambiamento (vedi il caso Time Warner Cable e
l‟intervento dei consulenti di Blanchard, intitolato “Who Kills
Change?”), alle pratiche di “alignment” (tutte giocate sulla
capacità di trasmettere e far condividere obiettivi e valori);
da chi ha utilizzato lo storytelling per focalizzare i valori core
(è il caso molto interessante di un‟azienda ospedaliera della
Corea del Sud con 6.000 dipendenti), alla proposta di un
modello (abbastanza scontato) per sviluppare la “business
acumen” (nell‟inventario delle competenze creato dall‟ASTD
è la capacità di avere una visione del business e
dell‟organizzazione a 360°).

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L‟impressione di fondo è che forse stiamo assistendo ad una
lenta trasformazione dei modelli di competenza
manageriale: dall‟enfasi sulle skills gestionali (competenze
tecniche, pianificazione, controllo, project management)
tipiche degli anni „70-„80, si è passati alla “scoperta” delle
competenze relazionali (l‟intelligenza emotiva degli anni ‟90
e dell‟inizio del millennio), per arrivare oggi a riconoscere
valore alla capacità di generare senso, di pensare il futuro e
il cambiamento, di avere una visione olistica
dell‟organizzazione.

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Una mappa del mondo:
culture-paese e geo-business

Aggirandosi negli spazi enormi del Centro Congressi di


Chicago che ha ospitato l‟ASTD 2010, non si è assistito solo
a una sequenza continua e ritmata di eventi e conferenze,
ma si è entrati in un caleidoscopio di culture-paese,
antropologie diverse, approcci molteplici al business.
L‟impressione è stata quella di veder srotolare davanti ai
propri occhi una mappa del mondo (una delle tante possibili
mappe del mondo), quella dell‟economia globale, con le sue
regioni, le sue rotte, i suoi approdi …

All American Style

Chicago è nel Midwest, il cuore manifatturiero degli USA da


sempre e lì ho potuto osservare da vicino il modo americano
di fare business e lavorare.
Innanzitutto mi ha colpito la mancanza di riferimenti alla
crisi economica in atto. Se ne è avvertita la presenza
(partecipanti ed espositori in calo, clima non trionfalistico,
ricerche che confermano la contrazione dei budget per il
training) ma è una presenza sullo sfondo, quasi mai
tematizzata esplicitamente nei seminari e conferenze.

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Non credo che la ragione stia nei primi segnali di ripresa
dell‟economia americana (testimoniata sia dai dati
congiunturali sia dalla percezione che se ne ricava parlando
con consulenti, imprenditori e persone incontrate
casualmente), ma nella cultura di questo Paese. Non c‟è
desiderio di interrogarsi sulle cause e sugli effetti della crisi
più grave degli ultimi 60 anni, ma pragmaticamente di
uscirne.
L‟approccio è lontano da quello europeo, che è molto più
riflessivo, forse più profondo, e comunque incline a
tematizzare la crisi. Non è un caso se argomenti come la
sostenibilità, l‟etica degli affari, l‟imminente green economy
siano stati al margine del dibattito (3-4 incontri su oltre 300
eventi!). Lo spirito americano è veramente come lo si
immagina: guardare avanti, aver veramente fiducia nel
futuro, credere fino in fondo a questo modello di sviluppo …

Bisogna inoltre riconoscere il talento americano


nell‟intrattenere e fare spettacolo: non solo tutto è stato
organizzato con efficienza e pensato in funzione dei
partecipanti, ma ogni cosa è stata curata dal punto di vista
comunicativo, mirando a creare un clima informale e
coinvolgente.
Siamo molto lontani dal formalismo di molti convegni
italiani. Le conferenze e seminari erano condotte in modo
molto gradevole, facili da seguire, spesso divertenti e
sempre molto interattive (domande al pubblico e non solo
domande dal pubblico, questionari e sondaggi in diretta con

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televoto, momenti di lavoro individuale o con il proprio
vicino di posto, poche slides e molte risate ...)

Le economie emergenti … e l’Europa?

A proposito di dove va il mondo e di quali equilibri globali si


stanno definendo, pochi numeri dell‟ASTD 2010 dicono
molto: a parte la componente nordamericana, tra i primi
paesi presenti c‟era la Corea (390 partecipanti), il Kuwait
(120), il Giappone (100), il Brasile (90). Colpisce la
presenza asiatica (oltre un terzo degli ospiti internazionali
proveniva da quell‟area), a conferma che le economie del
Far East, in forte espansione e alle prese con crescenti
esigenze di formazione della classe dirigente e del ceto
manageriale, cercano in America modelli e know-how,
riconoscendo agli USA un ruolo guida, almeno per quanto
riguarda tutto ciò che è business e azienda.
E‟ un interesse fortemente ricambiato: all‟ASTD si è
percepito chiaramente che l‟Asia è il partner commerciale e
il nuovo mercato di riferimento per l‟economia americana; lì
si concentrano attenzioni strategiche e investimenti, non
certo in Europa …

Anche da questo punto di vista l‟ASTD offre un‟esperienza


particolare per un europeo: fa capire l‟economia globalizzata
molto meglio di tante letture e molti articoli; ti mette
davanti agli occhi un‟istantanea del mondo molto poco
eurocentrica, ma certamente più veritiera e attuale.

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Parliamo allora dell‟Europa, partendo ancora una volta da
alcuni dati sull‟ASTD: se escludiamo la presenza abbastanza
significativa dei paesi dell‟Europa settentrionale (Danimarca,
Olanda e Paesi scandinavi), all‟ASTD erano presenti 8
francesi, 29 tedeschi, 13 italiani e una manciata di
britannici! Pochissimi anche gli interventi e le conferenze di
speaker europei.
Non credo che una rappresentanza così limitata da parte
delle 4 economie maggiori del Vecchio Continente dipenda
solo o principalmente dalla crisi, ma da qualcosa di ben più
strutturale: l‟Europa, a torto o a ragione, non è interessata
ai valori e alle logiche del mondo del business statunitense
(che è oggettivamente molto diverso), pur continuando a
nutrire, credo, una forte fascinazione e interesse per la
produzione culturale, l‟innovazione tecnologica e la
democrazia degli USA. Anche l‟America sta allentando
sempre più il legame economico con l‟Europa, rivolgendosi a
paesi emergenti come la Cina (presente con 59
partecipanti), l‟India, il Sud America (i brasiliani erano oltre
90).
Rimane da capire quale sarà allora il nostro spazio in questo
nuovo contesto mondiale in cui giochiamo, ormai è evidente
da tempo, il ruolo degli inseguitori.

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Alberto Carpaneto

Consulente e ricercatore.
Sono arrivato ad occuparmi di sistemi di management delle
persone attraverso un percorso personale e professionale in cui si
sono intrecciati: un profondo interesse per le “humanities” (ho una
laurea in filosofia con lode conseguita presso l‟Università di Torino),
un‟esperienza quadriennale in azienda (ho lavorato nell‟area del
personale di una banca italiana e di una multinazionale) e una
formazione psicologica individuale e di gruppo.
Per me fare consulenza significa fare innovazione: è innanzitutto
un‟attività sul campo, in cui do e ricevo molto nei progetti realizzati
con le organizzazioni clienti e con le persone, ed è un‟attività
successiva di studio e ricerca, che realizzo da alcuni anni con il
Dipartimento di Psicologia e il Centro di Scienze cognitive
dell‟Università di Torino. Dal 1992 i miei campi di intervento
principali sono: le strategie e l‟analisi dei sistemi HR, il
management della formazione, la gestione e sviluppo delle
performance, i sistemi premianti e la gestione della carriera, il
knowledge management, l‟ascolto organizzativo.
Negli anni ho maturato una certa esperienza nella gestione dei
cambiamenti complessi, in cui è determinante integrare gli aspetti
“hard” (metodologie di intervento, project management, soluzioni
informatiche) con l‟anima “soft” delle organizzazioni
(comunicazione interna, codesign, ascolto e coinvolgimento degli
attori interni).

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Diario americano: all‟ASTD 2010 by Alberto Carpaneto


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In copertina
L’ideogramma NARA 習 deriva dalla fusione tra l’ideogramma “stesso” 自,
con l’ideogramma di ali 羽 (chiaramente pittografico) e potrebbe essere
tradotto come raffigurazione di “volare con le proprie ali” o, come diremmo
noi, farcela con le proprie forze.

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