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“LA PRIMA INFANZIA E LA

RELAZIONE SOCIALE”

PROF.SSA ANNA FALCO


Università Telematica Pegaso La prima infanzia e la relazione sociale

Indice

1 IL SÉ PRENATALE E ALLA NASCITA -------------------------------------------------------------------------------- 3


2 IL PRIMO ANNO DI VITA E IL MONDO SOCIALE ---------------------------------------------------------------- 4
2.1. LA MEMORIA SOMATICA ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
2.2. IL CERVELLO ALLA NASCITA ------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
2.3. L’ESPERIENZA SENO-MOTORIA IN UNA RELAZIONE POSITIVA PER UNO SVILUPPO GLOBALE SANO --------------- 6
2.4. ALCUNI STUDI SUL NEONATO E LE SUE RELAZIONI SOCIALI------------------------------------------------------------- 9
2.5. IL BAMBINO DALL’ EGOCENTRISMO ALL’INTERSOGGETTIVITÀ------------------------------------------------------- 11
2.6. COSA FARE PER AIUTARE IL NEONATO A STIMOLARE L’INTERSOGGETTIVITÀ -------------------------------------- 11
3 IL SECONDO E TERZO ANNO DI VITA ------------------------------------------------------------------------------ 13
4 IL QUARTO E QUINTO ANNO DI VITA ------------------------------------------------------------------------------ 16
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Il Sé prenatale e alla nascita

Il mondo sociale del neonato è molto ridotto. Egli è capace di relazione duale e solo intorno
ai 4 mesi comincia a essere capace di avere interazioni a tre. La cultura di appartenenza incide sul
progetto educativo materno; in questa primissima fase della vita, molti dei comportamenti
interpersonali sono dettati da esigenze innate, da limiti nelle abilità. Le risposte materne sono
importantissime nel condizionare lo sviluppo senso motorio, emotivo e cognitivo del neonato.

Diversi studi hanno evidenziato il fatto che, già nei primissimi mesi, il neonato sia già un essere
sociale, cioè alla ricerca di relazioni.

A) IL SÉ PRE-NATALE
LO SVILUPPO NEUROPSICOLOGICO

II neonato presenta un sistema nervoso non solo quantitativamente ma anche qualitativamente


diverso da quello di un adulto. Esiste una maturità ridotta dei sensi, della motricità, affettività e
cognizioni.

Lo sviluppo prenatale. Il piccolo già nel grembo materno sembrerebbe sensibile al contesto. In
qualche modo, gli ultimi studi parlerebbero di un feto-sociale. Il feto sviluppa, dopo circa tre
settimane, il midollo spinale, il cui compito è quello di mediare le risposte riflesse. Subito dopo,
inizia a formarsi l’encefalo. A circa sette settimane dalla fecondazione si forma il prosencefalo da
cui si formeranno gli emisferi cerebrali, l ’85% del peso cerebrale. Le ultime ricerche, quindi,
evidenzierebbero che il feto riceve numerose stimolazioni e che queste siano funzionali al suo
sviluppo1. Già a ventotto settimane circa, il feto sembrerebbe in grado di discriminare odori, sapori,
suoni, luminosità2. La sensibilità tattile sarebbe invece presente fin dall’inizio della vita fetale. Ciò è
ulteriormente confermato dal fatto che alla nascita il neonato preferisce il suono della voce materna,
attutito, come nella vita intrauterina, a quello di altri3. Il neonato di quattro giorni si orienta
preferibilmente verso l’odore del liquido amniotico rispetto a quello del latte artificiale4.

1
Oliverio,Oliverio Ferraris, 2004.
2
Hepper, 2002, in Lavelli, 2007.

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2 Il primo anno di vita e il mondo sociale

Il primo anno di vita è un momento di fondamentale importanza per lo sviluppo globale del
Sé umano. L’assenza del linguaggio verbale e il fatto che il pensiero sia ancora poco evoluto fanno
dell’esperienza senso-motoria quella più significativa per lo sviluppo globale del bambino. E’ il
corpo del bambino che interagisce con il corpo degli altri. La conoscenza è prevalentemente affidata
ai sensi.

2.1. La memoria somatica

C’è una credenza molto pericolosa da sfatare, quella secondo cui il primo anno di vita non
sia molto significativo per lo sviluppo della persona, perché tanto il piccolo non “capisce nulla”.

Attenzione a questo “non capisce nulla”: la memoria di questo periodo non è legata al pensiero ma
al corpo. E’, quindi, una memoria molto più potente, nel senso che il piacere e il dolore, non sono
ricordati, ma incarnati. Se troppo spaventato, il bambino assumerà posture di tensione e respiro
bloccato. Questa memoria senso-motoria è molto più difficile da modificare perché i nostri vissuti
esperienziali si scrivono nei nostri muscoli e nelle viscere, non nei nostri pensieri . In questo senso,
il bambino, nel primo anno di vita, sarebbe un bambino sociale, poco cognitivo ma molto senso-
motorio. Respira come la madre, è teso e rilassato come le sue figure di riferimento, molto di più di
un adulto.

2.2. Il cervello alla nascita

La cosa interessante è che il cervello di un feto e un neonato hanno un numero notevole di


neuroni e assoni in più, rispetto a quello di un bambino più grande . Questo potrebbe spiegare gli
effetti dell’ambiente sul cervello. Sulla base dell’esperienza vengono eliminati i circuiti non

3
(Fifer, Moon, 1995, in Lavelli, 07).
4
Marlier, Schaal, Soussignan, (1998, in Lavelli 07)

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utilizzati. E’ come se avessimo una potenzialità maggiore di quella che esprimiamo. Più l’ambiente
crea stimoli più i circuiti si stabilizzano. Il sovrappiù neuronale, alla nascita, non consente funzioni
altamente differenziate. Ad esempio, si è visto che la visione nel neonato è altamente sfuocata; la
crescente selettività dipenderà dalle potature dei neuroni in sovranumero, che permetterà la
formazione di circuiti specifici. Quindi, esisterebbe una moltitudine non specializzata, che
aspetterebbe di essere indirizzata, pena il consolidamento di funzioni approssimative e poco
precise.

Queste ricerche evidenziano come la cultura sociale possa dirigere molte delle abilità che andremo
poi a sviluppare.

La migrazione dei neuroni nel feto avviene ad ondate. Si formano prima gli strati più interni della
corteccia e poi quelli più esterni. La formazione dei neuroni è un processo molto delicato
suscettibile a fattori ambientali. Così, le madri che assumono molto alcool possono danneggiare la
formazione del cervello del feto.

A proposito dell’influenza dell’ambiente sullo sviluppo cerebrale, mi viene in mente ciò che diceva
mia nonna e che allora mi sembrava strano. Lei, che è vissuta cento anni, (1906-2006), spesso
diceva, che i bambini di oggi, già alla nascita, sono diversi. Osservava che, ai suoi tempi, essi
apparivano “più addormentati, meno intelligenti”; i nostri bambini, invece, sono già vivaci,
sostenendo che nascessero già “maliziosi”. Alla luce delle nuove scoperte, sento di poter ipotizzare
che le osservazioni di mia nonna potessero essere giuste: probabilmente, i feti ed i neonati di oggi,
più stimolati di quelli di una volta, sono più reattivi, quindi, evidentemente più vivaci. Non
dimentichiamo che, fino agli anni 60, i neonati venivano fasciati in modo tale che non potessero
muovere le gambe! Gli studi di Piaget ed altri ricercatori dell’età evolutiva hanno dimostrato che la
prima forma di intelligenza è quella motoria e che questa condiziona quella cognitiva. Il bambino
moderno, forse, è più intelligente, come giustamente notava mia nonna, perché, tra le altre cose, può
muoversi di più.

Lo sviluppo della zona limbica e della corteccia cerebrale. Il neurologo H. Chugani (1998),
mediante la misurazione del metabolismo degli zuccheri effettuato con la PET, aveva rilevato che,
nel neonato, il metabolismo degli zuccheri era più elevato nella Corteccia senso-motoria e nel
Talamo (adibito alla sensibilità grossolana), insieme all’ Ippocampo implicato nei processi di
memorizzazione. Solo intorno ai tre mesi aumenterebbe il metabolismo del glucosio nella Corteccia

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Temporale, Occipitale e Parietale, utili allo sviluppo della funzione visiva, nel Cervelletto e Gangli
della Base, adibiti agli automatismi motori. Solo tra i sei e i dodici mesi, il metabolismo degli
zuccheri aumenterebbe nella Corteccia Frontale, devoluta alle funzioni cognitive più complesse.

Studi effettuati con la Risonanza Magnetica hanno evidenziato che le zone di Sostanza Bianca
aumenterebbero non in tutte le zone negli stessi tempi. La Sostanza Bianca, rispetto alla Grigia,
perfezionerebbe il calibraggio cerebrale (maggiore mielinizzazione). La mielinizzazione
dell’encefalo giunge a maturazione intorno ai diciotto anni. Per alcune aree dei lobi frontali si arriva
a circa ventidue anni (Giedd e coll. 1999). Sembra infatti che nei bambini l’impulsività sia dovuta
ad uno sviluppo non ancora adeguato della corteccia frontale, funzionale al loro controllo.

2.3. L’esperienza seno-motoria in una relazione positiva per uno


sviluppo globale sano

L’esperienza senso-motoria sembra essere la più significativa nel periodo neonatale. Essa
condiziona lo sviluppo dell’intelligenza emotiva e cognitiva. Non nel senso che le seconde si
sviluppino dalla prima; infatti, ognuna delle tre ha una propria autonomia. Esiste, però, un
condizionamento reciproco, che vede l’esperienza senso-motoria all’interno della relazione, nelle
primissime fasi della vita, come il livello capace di dare una connotazione positiva e negativa a tutta
l’esperienza del neonato. Questa caratterizzazione “piacevole-spiacevole”, determinata dalle
primissime esperienze somatiche, condiziona lo sviluppo corporeo, emotivo, fantastico e cognitivo,
a livello intrapsichico e interpersonale.

Non esiste sviluppo sano, se non all’interno di una relazione sana. Nel neonato, probabilmente,
esiste un’aspettativa innata di percezioni serene e calde, che non sono ancora pensieri, cui si lega il
piacere. Queste percezioni si integrano con l’aspetto della sensibilità muscolare (propriocezione).
La percezione di un viso rilassato e di un tono di voce sereno, combinate con l’esperienza di un
contatto con un corpo normalmente tonico e forte, aiutano il bambino a riprodurre un tono
muscolare simile e gli permettono di costruire rappresentazioni mentali della madre positive: il
volto della madre percepito visivamente si lega ad un’esperienza di piacere.

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Allo stesso modo, quando il neonato è affamato e piange, se la madre arriva sufficientemente in
tempo, il piccolo fa un’esperienza positiva di gratificazione. Se al contrario la mamma tarda
eccessivamente il bambino si dispera, poi si deprime. La tensione conseguente ad una continua
frustrazione darà luogo ad un atteggiamento somatico costantemente teso. Troveremo un corpo in
relazione sempre in tensione. Un po’ più grandicello, quando dovrà afferrare e poi gattonare, la
tensione corporea nata nei mesi precedenti, non permetterà ai muscoli di muoversi agilmente, sia
quando inizierà ad afferrare, che scalciare e poi camminare. Questi bambini avranno poca
sensibilità corporea, quindi urteranno facilmente, si faranno male, non perché siano distratti ma
perché hanno sviluppato una tensione cronica che non permette alla sensibilità interna di rendere
fluidi e armonici i movimenti. La poca agilità nei primissimi mesi rende impacciata l’esplorazione.
Il bambino in questo periodo impara esplorando soprattutto con i sensi, guarda, prende, porta alla
bocca, ecc. Questa esplorazione permette la conoscenza del mondo, quindi, la formazione dei primi
concetti. E’ evidente che a causa di una tensione corporea eccessiva potrebbe essere bloccata
l’esplorazione, quindi, anche la formazione del pensiero razionale seguirebbe strade diverse.

Una madre/genitore eccessivamente frustrante, oltre a creare schemi senso-motori rigidi,


alimenterebbe, probabilmente, nel bambino sentimenti di paura e di rabbia. Il bambino potrebbe
essere, a sua volta, molto nervoso e aggressivo. Si suppone che una madre di questo tipo non sappia
contenere tale agitazione, per cui può diventare o più aggressiva o più assente; il bambino, a sua
volta, potrebbe essere sempre più agitato e, probabilmente, sul piano emotivo, ma anche cognitivo,
potrebbe manifestare due diversi comportamenti: a) inibire i bisogni e quindi le emozioni e i
pensieri piacevoli ad esso collegati; b) essere sopraffatto da emozioni e pensieri troppo distruttivi.
Nell’uno e nell’altro caso i pensieri e le emozioni, o per cattiva capacità di contenimento o perché
bloccati, sono disfunzionali. La prima modalità reca al bambino molto dolore; la seconda lo rende
spento e poco reattivo.

Quindi, il passaggio da un movimento semplice ad uno più complesso richiede, già in un’età
precoce, il miglioramento del trofismo e del tono muscolare, nonché della sensibilità interna ed
esterna, che aiutano il neonato negli accomodamenti tra sistema muscolare e ambiente. Allo stesso
modo, un buon funzionamento dinamico facilita la crescita e l’elasticità muscolare. Quando questo
sistema di funzionamento a feedback si interrompe in qualche punto, tutto il comportamento
motorio subisce un danno. Man mano che il bambino cresce, le strategie motorie di comportamento
vengono integrate con le strategie cognitive di evitamento di situazioni pericolose. Più il bambino è

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dinamico nei movimenti, più ha la necessità, per salvaguardarsi, di mettere in atto strategie
cognitivo-motorie per evitare situazioni pericolose.

Un’alternanza armoniosa, in cui la gratificazione sia superiore alla frustrazione, aiuta il bambino a
stabilizzare gli schemi senso motori delle emozioni, la qual cosa consente un’espressione e un
controllo emotivo. Tensione e rilassamento, se armonizzati, permettono movimenti elastici. Più sa
muoversi, più ha voglia di muoversi. Quindi, il piccolo ha molte più possibilità di trasformare la sua
esperienza senso-motoria (percezioni) in pensieri figurativi (concetti). Questi, a loro volta, lo
eccitano, spingendolo ad esplorare di più. In questa esplorazione il piccolo prova tutte le emozioni
legate alla frustrazione (paura, tristezza e rabbia). Tale processo ricorsivo permette la
complessificazione delle strutture iniziali minime e frammentate. Al contrario, se la relazione è
troppo frustrane, il rischio è che si inneschi una ricorsività negativa che influisce sulla crescita
globale del bambino.

Ecco un esempio per chiarire quanto finora detto. Mio figlio intorno agli otto mesi e mezzo
camminava poggiandosi lungo il divano. Mio marito aveva spostato la pianta più in là in modo che
non fosse raggiungibile, visto che il bambino la rompeva. Davide, arrivato alla sponda estrema del
divano, cercava di raggiungere il suo obiettivo, allungando prima un braccio e poi l’altro. Nel fare
questo e, trovando quindi il modo di avvicinarsi di più, fece un piccolo saltello, riuscendo ad
afferrare il bordo del vaso. Mi aveva colpito la strategia per tentativi ed errori con cui si era
avvicinato alla pianta, fino al punto in cui aveva potuto valutare che la distanza spaziale, combinata
con la sua capacità motoria, gli permetteva di fare un piccolo salto senza cadere. Oltre ad una
buona capacità di organizzare i suoi muscoli nel tempo e nello spazio, Davide aveva una paura
realistica che non lo portava a buttarsi, ma a sperimentare il movimento giusto, per raggiungere lo
scopo senza farsi male. In questo accomodamento motorio si evidenzia anche un tentativo di
strategia cognitiva, cioè la capacità, vedendo (vista) e sentendo (tatto), di valutare la distanza e
capire se poteva raggiungere o meno il suo obiettivo. Qualche giorno dopo, notai che la stessa cosa
veniva fatta con una strategia diversa, più complessa e meno rischiosa. Aveva smesso di camminare
appoggiandosi e aveva preso a gattonare per raggiungere il vaso. Una volta raggiunto lo scopo, si
era rialzato e aveva preso a impasticciare con la terra, soddisfatto. Era riuscito ad integrare due
movimenti, quindi, più schemi motori e cognitivi.

L’agilità fisica e mentale richiedono una buona fiducia in sé, quindi, la capacità di gestire la paura,
legata alla sperimentazione di cose nuove. Una paura realistica, che rende il bambino prudente, è

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giusta. Avere sperimentato con successo un strategia motoria lo aveva eccitato e reso più sicuro
predisponendolo a riprovarci.

La prima volta che Davide si cimentò in questa esperienza era presente anche mio padre, che,
preoccupato, corse per aiutarlo. Lo fermai, rassicurandolo del fatto che ero a pochi centimetri per
intervenire, ma che, nello stesso tempo, era importante lasciarlo sperimentare. Essere presenti, con
attenzione, è giusto, facilitare troppo, invece, significa impedire al bambino di fare esperienza e,
quindi, di sforzarsi per trovare strategie corporeo-cognitive minime, che rappresentino il punto di
partenza per lo sviluppo dell’intelligenza globale più complessa.

2.4. Alcuni studi sul neonato e le sue relazioni sociali

Il bisogno di relazione sembra innato. Da esperimenti condotti, si è visto che intorno alle 6
settimane cambia il modo di piangere del neonato che diviene più modulato da fattori ambientali5.
Alla nascita il Sé è organizzato prevalentemente secondo comportamenti istintivi- riflessi, ma tali
atteggiamenti rispondono già ad un’esigenza relazionale: i bambini cercano il seno, rivolgono lo
sguardo, hanno aspettative ecc. L’altro comunque non è molto differenziato da se stesso.

Oltre che volti umani, i neonati prefersicono i volti con gli occhi aperti rispetto a quelli con gli
occhi chiusi, indice, questo, di una ricerca di relazione precoce. La capacità del neonato di tre
quattro ore a prediligere il volto materno sembra essere possibile grazie a una percezione
intermodale in cui egli associa il volto al timbro della voce della madre6.

In altri esperimenti7, si è visto che neonati di due giorni riuscivano non solo a ripetere
un’espressione per imitazione, ma a ripetere lo stesso gesto anche successivamente a quando lo
sperimentatore lo aveva interrotto. Ciò sarebbe a supporto dell’ipotesi che il neonato, già alla
nascita, cercherebbe attivamente una risposta da parte dell’interlocutore.

5
Baar (1990), Hopokins 2000 (in Lavelli )
6
Batki ed altri, 2000; Sai, 2005, (in Lavelli 2007).
7
Molnar, 2004, (in Lavelli 2007)

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Sembrerebbe che lattanti di 3-4 settimane orientino la testa e lo sguardo sugli occhi
dell’interlocutore. Quindi già dal primo mese di vita i neonati reagiscono all’approccio di un adulto
orientando la testa sugli occhi e la bocca di questi. Esisterebbero dei meccanismi che regolano la

comunicazione del lattante sin dal primo mese di vita8. E’ stato provato che il neonato sorride più
facilmente quando la madre sorride che non quando la madre non sorride9 .

Con uno studio longitudinale con lattanti tra le 3 e le 25 settimane, è stato evidenziato che a partire
dalle 7 settimane, momento in cui comincia la codifica dei suoni sillabici, il lattante emette più
suoni sillabici in presenza di figure animate, soprattutto quando l’interlocutore parla attivamente,
piuttosto che quando assume atteggiamenti passivi. Segno questo di come anche lo sviluppo del
linguaggio abbia una componente relazionale10. In alcuni esperimenti si è notata un’esagerazione
dei movimenti, del tono vocale, delle espressioni facciali quando un adulto parla con un lattante.
Esiste una sorta di baby-talk cioè un linguaggio particolare con cui gli adulti si rivolgono ai
bambini. Questi studi concordano con la teoria sociogenetica del condizionamento reciproco tra
lattante e figure di riferimento, nel modulare la crescita umana.

Studi condotti 11su bambini di 6 mesi hanno mostrato una correlazione tra le risposte del neonato e
il cambiamento degli sguardi della madre. Il bambino passa dalla gioia, alla protesta al ritiro passivo
quando la madre da attenta diviene inespressiva.

Alcuni esperimenti hanno evidenziato che inizialmente è il comportamento del bambino ad


innescare il riso nell’adulto; invece, nella seconda metà del primo, anno sono i comportamenti
paradossali dell’adulto ad attivare il riso nel lattante, come ad esempio quando la figura di
riferimento si porta il biberon alla bocca 12.

La presenza del gioco guidato tra i 4 e i 6 mesi sembra confermare l’ipotesi che è il rapporto
interpersonale con la madre ad aprire la strada alla relazione con il mondo e tutto ciò che vi
appartiene13. Dai quattro mesi in poi il neonato inizia a fare delle cose “con” in modo più

8
Trevarthen 1979, (in Lavelli)
9
Messinger, Fogel, Dikson 2001, (in Lavelli).
10
Lagerstee 1991b, (in Lavelli)
11
Weinbweg e Tronik 1994, (in Lavelli)
12
Fogel, Nwokah, Karns, 1993.
13
Fogel, Dedo, McEwen, 1992; Fogel, Messinger, Dickson, Hsu, 1999; (in Lavelli 2007)

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differenziato. La capacità manipolativa gli consente di utilizzare non solo la relazione faccia a
faccia ma anche fare delle cose con.

Tra i 7 e gli 8 mesi il neonato è capace di sensibilità mirata verso espressioni del partner perciò
comincia a coinvolgersi attivamente nel gioco sociale con l’adulti (Bruner, 1983). Questa crescente
differenziazione e selettività culmina tra gli otto e i nove mesi con comportamenti di circospezione
rispetto alle figure estranee. Cambia, notevolmente, il modo di relazionarsi. Prima andava con tutti
ora solo con chi conosce. In questo periodo, via via che i suoi comportamenti diventano più
finalizzati, secondo una prevedibilità dei rapporti di causa ed effetto, anche l’interazione con l’altro
diventa una danza di stimoli e risposte maggiormente discriminata.

2.5. Il bambino dall’ egocentrismo all’intersoggettività

Il primo anno vede il bambino massimamente egocentrico. Cosa significa egocentrico? non
certamente che non è capace di relazione, ma che tutto quanto avviene dentro e fuori di lui è inteso
soprattutto a soddisfare i propri bisogni. E’ solo in questa accezione che intendo il bambino
autocentrato. Autocentrato non significa egoista. Questo concetto richiede competenza decisamente
superiori a quelle del bambino di questo periodo. Soprattutto una differenziazione maggiore Sé-
altro e una capacità di valutazione di quello che fa male all’altro .

2.6. Cosa fare per aiutare il neonato a stimolare l’intersoggettività

In questo periodo, il bambino/individuo pone le basi, per creare una soggettività e riconoscerla e
una intersoggettività. La madre è la fonte da cui prende gli stimoli utili a tale scopo. Il bambino non
è la madre, ma ne è molto condizionato, soprattutto, come abbiamo visto, dai vissuti senso-motori
ed emotivi di questa. Se la madre è calda e accudente il piccolo impara a rilassarsi a vivere la
relazione come momento positivo e gratificante. Al contrario se la madre è sempre tesa il bambino
tenderà ad evitarla, quindi assumerà un comportamento ritirato .

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Il bambino di questo periodo ama essere stimolato, ma anche visto. Ci sono genitori che stimolano
troppo, incuranti della stanchezza e disagio del piccolo. Altri stimolano troppo poco, abituando il
neonato alla pigrizia.

Il piccolo del primo anno è prevalentemente senso-motorio. Quindi tutti i giochi che stimolano i
cinque sensi sono per lui molto graditi. L’ideale sarebbe non trascurarne nessuno: stimolatelo
quindi a vedere, ascoltare, toccare, odorare, gustare.

Stimolare molto o poco dipende anche dalla cultura di appartenenza delle famiglie oltre che dal
carattere delle persone. Dalla cultura dipende anche il tipo di stimolo. La mia baby-sitter filippina
stimolava secondo una modalità prevalentemente senso-motoria, cullava, toccava delicatamente e
anche quando parlava modulava la voce come se cantasse. La baby-sitter ucraina, invece, parlava
molto a mio figlio, prediligendo, quindi, una stimolazione più cognitiva che emotiva , oppure lo
spingeva molto a fare più che a stare come invece faceva la prima.

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3 Il secondo e terzo anno di vita

Identità. Dopo il primo anno, il bambino inizia a percepirsi come unità e riconosce le
proprie parti del corpo. Quindi, è più differenziato rispetto all’altro. Dopo i due anni, inizia ad
adoperare il pronome personale “IO”, quindi si riconosce anche cognitivamente come unità, diversa
dall’altro. Una cosa è intuirsi come unità (primo anno), altra è saperlo (secondo anno).

Empatia. Il bambino dopo il I anno, inizia a comprendere che le sue azioni provocano risposte
emotive nell’altro: nasce l’empatia. Intorno ai due anni, la capacità empatica comincia a proporsi
come una modalità di “prendersi cura di”, se la cosa non richiede una frustrazione: ad esempio il
piccolo può chiedere che venga data una caramella ad un amichetto, ma non rinuncia alla propria.
Intorno ai due anni e mezzo, invece, può sopportare una frustrazione cedendo qualcosa di suo a
qualcuno che glielo chiede.

Emozioni. Intorno ai 18 mesi, la comparsa delle emozioni sociali, come la vergogna, la colpa,
l’imbarazzo, legate alla socializzazione e al contesto culturale, ne fanno un individuo sociale. La
competizione nasce un po’ più tardi dopo i tre anni.

Relazioni sociali. In questo periodo, i rapporti con gli altri sono più schivi. Il bambino di un anno
corre da tutti basta che gli si dà un po’ di attenzione. A diciotto mesi il piccolo diventa più selettivo,
così come l’attenzione in genere.
Ora è sufficientemente capace di capire che le sue azioni (fisiche) possono fare bene o male ad un
altro.
Intorno ai due anni, la relazione diviene sempre più desiderata ed allargata ad altre persone. Nasce
la categoria degli amici. Il bambino di questa età non è ancora capace di organizzare un gioco con
un coetaneo. Per tale ragione può giocare con bambini più grandi o con adulti. Due bambini di due
anni nella stesa stanza giocano separatamente, al massimo litigano perchè non riescono ad
organizzare un gioco comune. Questo tipo di difficoltà sociale dipende dal fatto che mancano
competenze cognitive ed emotive adeguate. Questa osservazione va ha sostegno dell’ipotesi
sociogenetica che le relazioni sociali risentono del livello di sviluppo del bambino.

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Nel primo e secondo anno il piccolo sperimenta molto la propria autonomia sul piano motorio e
inizia a cimentarsi con il linguaggio. L’esplorazione motoria e sensoriale è quella che lo eccita di
più. Toccano, rompono, portano tutto alla bocca, poi odorano. Se volete renderli felici lasciate che
esplorino l’ambiente autonomamente con tutti i sensi. Si divertono e diventano più intelligenti.

A due e tre anni, sapendo stare più in relazione, amano giochi più complessi ma sempre
prevalentemente imitativi. Se un gioco è di loro gradimento vi chiedono di ripeterlo tutti i giorni e
anche più volte al giorno. In questo periodo non è importante che creino, ma che sappiano stare
piacevolmente in relazione ed inizino a rispettare semplici regole sociali.

Pensiero, linguaggio e relazione. A un anno, subentra il linguaggio verbale, la relazione può


avvalersi anche di questo tipo di comunicazione, migliorando la differenziazione e l’identità del
bambino. L’ipotesi sociale fa riferimento alle capacità del bambino di comunicare prima di saper
parlare utilizzando gesti e vocalizzi. Bruner (1983), ispirandosi a Vygotskij, sostiene che i piccoli
apprendono il linguaggio all’interno di relazioni importanti grazie a giochi routinari che includono
parole e gesti comunicativi.
Intorno ai due anni si acquisisce la capacità di riflettere su .Percepisce la stabilità degli oggetti, per
cui, ora, può avere rappresentazione mentali di oggetti e persone indipendentemente dalla
esperienza sensoriale diretta (Piaget). Questa nuova capacità influenza molto le relazioni sociali,
perché l’altro esiste nel suo agire al di là dell’ essere presente .
Intorno ai tre anni si presentano i primi ragionamenti. I piccoli argomentano bene e vi sfidano
ragionando. E’ l’inizio della competizione sul piano logico-verbale, con un bisogno maggiore di
affermare la propria identità

Il piccolo dice ma non sempre capisce.

Esiste uno stereotipo culturale nella nostra società secondo il quale, quando qualcuno dice
verbalmente una cosa in modo logicamente corretto l’ha anche compresa. Niente di più sbagliato
per il bambino di quest’età che molto frequentemente ripete in modo imitativo senza avere di fatto
compreso veramente quanto sta dicendo. Mio figlio era bravissimo a dire al cuginetto “Non si tocca
pianta”, imitando quanto veniva detto a lui. Di fatto pochi secondo dopo lo trovavo a spezzare le

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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foglie della pianta, cosa, tra l’altro, che gli piaceva tantissimo. Un giorno mia madre assistendo alla
scena che si ripeteva spesso, andò verso mio figlio dicendogli arrabbiata “Ah! Fai il furbo. Sai che
non si deve rompere al pianta e mi prendi in giro….” Davide non prendeva in giro nessuno,
semplicemente ripeteva, senza aver compreso. Lo aiutai cercando di spiegargli che le foglie della
piante erano come le sue dita. Premendo piano sul suo dito gli feci sentire un po’ di dolore, quindi
anche la pianta avrebbe sofferto. Cominciò così ad avvicinarsi alla pianta e poi trattenersi dicendo
“Pianta bua, mamma pianta bua, piange!”.

Questi pregiudizi sono pericolosi perché possono portare a ritenere responsabile un bambino per
cose che non comprende. Non bisogna punire quando il bambino non sa fare, ma solo quando non
vuole fare (nel senso di rispettare le regole adatte alla sua età).

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4 Il quarto e quinto anno di vita

Identità. Una maggiore capacità di reggere la frustrazione e anche la possibilità di ragionare


meglio, prevedendo, consentono al bambino di 3-4 anni di pervenire a compromessi argomentando
e sostenendo i propri punti di vista alla ricerca di un’identità più stabile.

Anche un anno e mezzo prima possono accettare piccoli compromessi, ma l’accettazione è


abbastanza passiva se la proposta dell’adulto contiene la frustrazione del piccolo. Il bambino si
affida di più. Dopo i due anni il confronto comincia ad essere più impegnativo, la competizione sul
piano logico-verbale è decisamente più forte.

La teoria della mente. Secondo questa teoria il bambino al di sotto dei cinque anni, se pone
l’oggetto in una scatola in presenza di un Tu e poi lo sposta quando il Tu è assente, è convinto che il
Tu si aspetti di trovarlo nella seconda posizione (che non ha visto). Ciò significa che egli attribuisce
all’altro le proprie percezioni, sebbene sia evidente che l’altro, non presente, non le possa percepire.
Intono ai cinque anni invece il bambino è in grado di comprendere che possono esistere valutazioni
diverse dalla sua, rispetto alla stessa situazione. Questo rappresenta un grosso passo in avanti nel
superamento dell’egocentrismo.

Ad esempio, dissi a Davide, quando aveva circa quattro anni che la pizza era finita, alzando la carta
che la nascondeva disse: “Tu pensi che è finita, io penso che non è finita. Guarda!”

Intorno ai cinque anni il bambino prende consapevolezza della morte. Prima ne parla ma come se
non ne cogliesse il significato profondo. Mio figlio, in seguito ad un lutto familiare importante, a 5
anni, realizzò cosa fosse la morte, entrò in un angoscia fortissima. Ancora oggi che ha quasi tredici
anni, non ricordo un momento di angoscia così forte in Davide come quando avvenne questo
insight. Per tre giorni non parlammo d’altro .

Il bambino ora è molto più capace di ragionare quindi anche di creare. E’ il momento della
creatività. Ora comincia a divertirsi a creare semplici giochi che vi propone. Non siate molto critici
rispetto alla loro qualità, è invece importante non inibirli nella creatività perché questo tipo di
sperimentazione nel tempo farà loro produrre anche cose qualitativamente interessanti.

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Il bambino di questo periodo comprende quello che dice. Anzi se c’è qualcosa di non chiaro cerca
di andare fino in fondo, vi inonda di perché, sottolinea tutte le contraddizioni, ricorda quello che
avete detto ieri e non avete mantenuto. Quindi ha più senso punirlo quando trasgredisce cosa che
verbalmente ha dimostrato di sapere.

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Angeli, Milano, (1984).

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 Vygotskij L. S., “Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche e altre storie”, Giunti

Barbera, Milano, (1974).

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