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IL CERVELLO CHE IMPARA

A partire dalla nascita veniamo catapultati in un mondo pieno di stimoli nuovi, dove
grazie ai nostri sensi, riusciamo ad entrare in contatto con questo e riusciamo a fare
esperienze che irrorano la nostra ingarbugliata rete di trame nervose del cervello, con
lo scopo principale di dare un senso alla realtà, e questa attività avviene in modo
spontaneo, perché siamo già fatti, cioè predisposti per riconoscere questi stimoli
fondamentali. Per esempio, un neonato è maggiormente attratto dalla voce della
madre, piuttosto che da un'altra, perché durante gli ultimi mesi di gestazione ha
memorizzato alcune caratteristiche della voce della madre, inoltre egli è geneticamente
predisposto a riconoscere un corpo umano in movimento, anziché uno statico e dopo
che la sua visione sarà più chiara e definita, le sue reazioni dinanzi ad un volto umano,
non dipendono più dall’istinto, ma dall’esperienza di riconoscere un volto noto,
piuttosto che uno comune. Tutte queste modifiche vengono legate ai cambiamenti che
si creano all’interno della struttura del cervello, cambiamenti quindi che dipendono non
solo da un programma genetico, ma dipendono anche e principalmente dalle
esperienze sia spontanee che indotte e sia positive che negative.
NEUROPEDAGOGIA= INCONTRO TRA NEUROSCIENZE E INSEGNAMENTO: cioè una
pedagogia strettamente intrinseca con lo sviluppo della mente e del cervello infantile.
Molti studi ci dimostrano come nella relazione tra bambino e adulto, le esperienze
interpersonali (soprattutto l’emozione) non solo sviluppano le capacità cognitive ma
regolano anche gli ormoni che condizionano la riscrittura genetica, permettendo così
che alcuni geni diventino espressivi, mentre altri silenziati, al contrario, la mancanza di
esperienze o la scarsità di cure educative, possono provocare effetti negativi sulle
SINAPSI (contatti tra le cellule nervose), diminuendone la complessità.
L’educazione ha dunque il compito di “dare forma” al cervello.
La neuro-pedagogia è fortemente legata al concetto di PLASTICITA’ NEURALE cioè al
fatto che il cervello umano può produrre continuamente neuroni e sinapsi condizionate
dall’ ESPERIENZA, cioè gli stimoli ambientali.
Un altro aspetto fondamentale della neuro-pedagogia è il RAPPORTO TRA SENSI E
MOTRICITA’ infatti durante lo sviluppo il cervello necessita di fare esperienze tattili e
motorie, oltre a quelle uditive e visive, che consentono la maturazione delle aree del
linguaggio e del pensiero complesso, perché la mente infantile si basa sull’interazione
diretta e sui tentativi da parte del bambino. Tutto questo venne descritto da Maria
Montessori (nel volume La mente del bambino), in quanto lei aveva notato, infatti come
le esperienze dirette e le impressioni, formassero la mente del bambino.
Oggi l’obiettivo è quello di utilizzare le conoscenze del cervello per apprendere e saper
usare le sue capacità e per stimolare le varie arie, es imparare a leggere usando le dita,
così i bambini imparano a riconoscere le parole molto più velocemente rispetto al
metodo tradizionale. Inoltre le moderne strategie neuro-pedagogiche sfruttano
l’associazione tra emozioni positive, apprendimento e memoria.

Molte ricerche ci mostrano che esiste un rapporto profondo tra esperienza precoce e
funzione cerebrale, e queste ricerche sono basate su meccanismi di tipo epigenetico.
L’EPIGENETICA fa riferimento a quei cambiamenti che condizionano il fenotipo (insieme
di tutte le caratteristiche visibili di un essere vivente) senza alterare il genotipo (insieme
delle caratteristiche genetiche di un organismo) cioè tutte quelle modifiche ereditabili
che cambiano l’espressione genetica senza alterare la sequenza del DNA.
Per comprendere lo studio della neuro-pedagogia è innanzitutto fondamentale capire
come si sviluppa il cervello e le funzioni che dipendono da esso a partire dalla sua
nascita.
La neuro-pedagogia non vuole di sicuro prendere il posto della pedagogia, ma vuole
mostrare ai genitori, ai docenti e agli educatori come le numerose esperienze
dipendono da come è fatto e come funziona il cervello e come queste conoscenze
possono essere utili per migliorare il processo formativo.

CAPITOLO 1

LO SVILUPPO DEL CERVELLO

Per stimolare il cervello è necessario conoscere come e quando si sviluppa, quali sono i
passi salienti delle sue trasformazioni. Molto spesso si parla del comportamento dei
bambini non prestando attenzione al fattore età: in realtà ogni età ha le sue
caratteristiche biologiche e ogni bambino ha una sua individualità. Molto importanti
oggi le tecniche di neuro imaging che ci hanno permesso di scoprire la divisione del
cervello in aree cerebrali diverse e la loro relazione e come gli stimoli sensoriali
agiscono sulla corteccia cerebrale. Anche il cervello come tutto il resto del corpo, nel
corso dello sviluppo va incontro a importanti modifiche che riguardano la quantità-il
volume cerebrale: alla nascita 60%, poi a 5 anni 75%, 6 anni 90% e circa 12 anni 100%; il
cervello cresce rapidamente ma il volume non ci dice qualcosa di chiaro sul potenziale
cerebrale: un neonato non dispone del 60% delle potenzialità comportamentali di un
adulto e nemmeno un ragazzo di 12 anni con il massimo del volume cerebrale si
comporta da adulto. Quali sono le caratteristiche che rendono il cervello di un ragazzino
immaturo? Per rispondere dobbiamo considerare il numero di neuroni o cellule
nervose; il cervello come tutti gli altri organi è formato da un tessuto particolare, il
tessuto nervoso il quale presenta cellule nervose con una particolare caratteristica,
quella di scambiarsi messaggi. La comunicazione nervosa si basa sul fatto che i neuroni
modificano le proprie caratteristiche elettriche quando si eccitano che fanno si che a
un’estremità del neurone vengono liberate molecole chimiche, attraverso cui i neuroni
comunicano-la qualità specifica della rete di neuroni è lo scambio di informazioni
seguendo itinerari che sono tracciati e consolidati dall’esperienza-per dar forma ai
circuiti nervosi occorre un duro lavoro di potatura attraverso cui si eliminano i neuroni e
le sinapsi in eccesso e i circuiti ridondanti
Questa pratica è molto importante perchè permette di consolidare i neuroni utili per
una specifica funzione. Una caratteristica importante del cervello di un neonato è che
ha tra il 30 e il 60 % di neuroni in più rispetto al cervello di un adulto-quindi poi pratica
di potatura; anche le fibre nervose nel cervello neonatale sono più numerose.
Un secondo aspetto molto importante del processo di maturazione riguarda le
sinapsi=punti di contatto tra neurone e neurone, essenziali per dare forma ai circuiti
nervosi; esse sono dinamiche e si formano dopo una particolare esperienza. Dopo la
nascita le sinapsi vanno incontro a due diversi processi: formazione di nuove sinapsi e
potatura di quelle in eccesso. In generale maturano più precocemente quelle aree in cui
si ha la decodificazione delle sensazioni o la produzione di movimenti che quelle da cui
dipendono le funzioni cognitive. Molti studi hanno dimostrato come il processo di
maturazione sia lento e si spinge oltre l’adolescenza, visibile nella corteccia frontale in
cui all’età di 20-22 anni sono presenti isolotti di cellule nervose non connesse tra loro
da fibre mature-il cervello raggiunge tardi la sua maggiore età ma ciò non dipende solo
dal programma genetico ma anche dalle esperienze che facciamo.

LO SVILUPPO DELL’IO

In che modo diveniamo noi stessi? Un aspetto fondamentale è la componente genetica,


le informazioni contenute nel DNA che rendono ognuno di noi unico. Ma l’idea che
ognuno di noi ha di sé non è solo biologica, è legata a un senso di unicità e al modo in
cui noi facciamo esperienze e guardiamo il mondo.
Da un punto di vista biologico, anzi dello psicobiologo, l’io dipende da una serie di
tappe dello sviluppo,in cui si hanno sia aspetti genetici e sia aspetti ambientali.
Nei primi mesi di vita il cervello del bambino assomiglia a quello dei primati: i suoi
neuroni e i suoi circuiti nervosi sono simili a quelli di uno scimpanzè o di un gorilla, ma
la corteccia cerebrale presenta caratteristiche uniche: negli esseri umani le aree
associative hanno uno spazio più grande, la corteccia frontale è più espansa e anche
diverse aree del cervello hanno uno sviluppo maggiore…man mano il cervello infantile
diventa più complesso. Tappe dello sviluppo:
1) 1-3 mesi nelle prime settimane di vita,la sopravvivenza del bambino dipende
dalle strutture situate al di sotto della corteccia-sonno e azioni alimentari. La
corteccia cerebrale non è matura alla nascita
2) 3-6 mesi alla nascita le caratteristiche esterne del cervello sono simili a quelle di
un cervello maturo ma molte connessioni tra i neuroni devono essere stabilite e
molte fibre nervose devono essere rivestite da una guiana isolante-mielina.
Intorno ai 3-6 mesi maturano le aree occipitali, temporali e parietali-grazie ad
esse il bambino controlla i muscoli del corpo, distingue i messaggi visivi e
riconosce quelli uditivi.
3) 9-10 mesi corteccia frontale inizia a maturare rapidamente e si sviluppano le
lunghe fibre nervose che connettono tra loro le varie parti della corteccia-
scambio di informazioni tra le aree volte al controllo e alla distinzione, dipende
ciò dal cablaggio di queste aree. È una fase in cui il bambino comincia ad imitare
l’adulto e fa uso di oggetti
4) 1-2 anni dal decimo a due anni il cervello del bambino si trasforma: le cellule
nervose producono sinapsi; circa il 150% rispetto a quelle che si hanno nel
cervello di un adulto-vengono prodotte a ogni età della vita ma nello sviluppo il
numero è enorme perché il cervello del bambino deve acquisire nuove parole,
imparare regole grammaticali, assortire eventi.
5) 2 anni buona parte delle strutture grammaticali sono stati acquisiti per cui le
sinapsi diminuiscono.
6) 3-4 anni a partire dalla fine del secondo anno si ha un processo di potatura
sinaptica, attraverso cui i ridondanti circuiti cerebrali di un bambino piccolo
assumono la forma che avranno nell’adulto-ridondanti circuiti perchè? Perché tra
il primo e il secondo anno vi era stata una massiccia produzione di sinapsi.
Neuroni e sinapsi sono rinforzati dalle esperienze che essi registrano
La maturazione del cervello non termina con l’infanzia: strutture come la corteccia
frontale si sviluppano per parecchi anni, in un adolescente questa presenta delle
chiazze corticali in cui si ha una riduzione della sostanza grigia e un aumento di quella
bianca.

DIVENIRE CONSAPEVOLI

I neonati hanno una visione sfocata e percepiscono solo stimoli grandi, per esempio la
sagoma di un volto umano, in seguito la visione è più a fuoco e premette di reagire a
stimoli piccoli, come la bocca o gli occhi di qualcuno. La capacità della visione dipende
dalla formazione di circuiti visivi selettivi, data dalla potatura delle sinapsi che
disperdono l’informazione in rivoli secondari. Vedere però non vuol dire comprendere
ed essere consapevoli del significato di ciò che si è percepito-cervello fotografa la realtà
senza comprendere il senso. Molto interessante è la capacità di riconoscersi allo
specchio. Un bambino al di sotto di un anno di vita è attratto dalla propria immagine
riflessa ma non comprende effettivamente che quel volto è il suo-bisogna aspettare i
18-24 mesi. Per dimostrare questa capacità è stato ideato il test della macchia rossa da
Gallup; si disegna un pallino rosso sulla fronte del bambino che si specchia: se questo
vuole toccare la pallina cercando di toccarla nello specchio, allora non riconosce la
propria immagine, se questo vuole toccare la pallina e la tocca nella sua fronte allora
conosce la sua immagine riflessa ed è autocosciente-legato a un maggior livello di
maturazione della corteccia frontale cerebrale. In realtà i bambini possiedono
meccanismi interni che consentono loro di percepire il mondo in maniera simile agli
adulti… Le aree del cervello legate alla visione si attivano nelle persone adulte quando
la foto che ritrae il volto viene mostrata per 300 millesimi di secondo: il segnale è
portato dalla corteccia visiva-posteriore al cervello alla corteccia prefrontale; se il
segnale è presente allora la persona ha consapevolezza di ci1o che ha visto. Per i
bambini non è cosi, il segnale è presente se l’immagine viene mostrata per 900
millisecondi, nei bambini più grandi è presente quando l’immagine è mostrata per 500-
750 millisecondi-se si mostra al bambino qualcosa che lo attrae allora questo è
presente. PRESENZA DI SEGNALE= indicatore di pensiero cosciente, l’immagine è
memorizzata per un breve periodo nella memoria di lavoro del cervello. Molto
importante quando il bambino tra i 3 e 4 anni comincia a distinguere se dagli altri o
oggetti a cui attribuisce una mente. Se un bambino a 3 anni vede mettere in un
sacchetto da un adulto delle palline nella scatola dei colori, alla domanda se l’orsetto
che è con lui sa che la scatola contiene delle palline risponderà positivamente. Se si fa
lo stesso test su un bambino di 4 anni, questo risponderà che l’orsetto era assente
durante il test, quindi mente del bambino diversa da quella dell’orsetto. Vi sono diverse
teorie sul rapporto tra lo sviluppo della mente e capacità di attribuire agli altri uno stato
mentale autonomo. C’è chi sostiene che vi siano 4 stadi in cui il bambino passa dal
capire che i fatti hanno origine e avvengono per volontà di qualcuno, dal capire che gli
altri stanno guardando oggetti diversi da quelli che guarda lui, da ascoltare l’atra
persona e prestare attenzione a una vera e propria teoria della mente. Un’altra teoria
molto importante da invece importanza al ruolo del linguaggio: prima bambino
scienziato, poi psicologo e infine linguista, con il linguaggio conosce da forme di
conoscenza inconsce a forme consce.

I MOVIMENTI COSTRUISCONO LA MENTE

Percepire=costruirsi una rappresentazione del mondo esterno-distanza di una persona


dal nostro campo visivo; agire=compiere movimenti, stabilire inizialmente una mappa
della realtà attraverso coordinate che dipendono da una serie di parametri sensoriali e
spaziali che sono analizzati da diverse strutture cerebrali: aree sensoriali della corteccia
che valutano distanze, pesi, profondità; mentre l’ippocampo (sistema libico-struttura
sottocorticale valuta posizioni, riferimenti spaziali. Vi è quindi una gerarchia di strutture
che pianificano il movimento: i sensi analizzano la realtà e il contesto, corteccia
premotoria raffigura il movimento e quella motoria lo effettua aiutata da altre strutture
come il cervello e i gangli di base. Le funzioni motorie però vanno incontro a un
processo di maturazione che non comporta soltanto un progressivo affinamento delle
capacità di muoversi e manipolare l’ambiente ma trascina anche le funzioni linguistiche.
In che modo avviene questo sviluppo? Lo studio del comportamento di un neonato
indica una forte sincronia tra lo sviluppo del cervello e sviluppo della mente e sottolinea
la presenza di un programma genetico, ma anche di adattare e modificare le proprie
caratteristiche strutturali; il sistema nervoso presenta un preciso disegno genetico e una
specifica interazione tra geni e ambiente. Un aspetto fondamentale del processo di
maturazione cerebrale è lo sviluppo motorio. Nel corso del suo processo evolutivo, ha
bisogno di fare esperienze tattili e motorie perché si sviluppano quelle aree
sensomotorie che sono il punto di partenza per la maturazione delle aree superiori,
quelle del linguaggio e del pensiero complesso. Nella fase iniziale, la mente infantile è
basata sull’interazione diretta e su un programma genetico che ha tempi lenti piuttosto
che rapidi-la mente tiene conto del corpo. La cosiddetta sincronia interattiva nei
neonati è il primo segno: bambini di poche settimane di vita producono con il corpo
una serie di micromovimenti in risposta al linguaggio umano-una specie di danza ,
questa non compare quando questo sente altri suoni e questo indica da un lato una
sensibilità innata alla voce umana e dall’altro dimostra come il linguaggio non sia un
fatto puramente mentale ma coinvolge il corpo. Anche chi parla accompagna il
linguaggio con dei micromovimenti che rendono le verbalizzazioni significative. All’inizio
il piccolo ha un ruolo prevalentemente passivo e si limita a notare una serie di
movimenti e azioni che sono causa di eventi riguardanti il suo benessere. Ogni
movimento della mamma ha conseguenze positive su di lui: carezze, gesti, parole-
generano nella mente del bambino nessi temporali e nessi causali che sono alla base di
movimenti e significati linguistici. Ben presto sarà il neonato con i suoi movimenti
precisi a produrre azioni che modificano l’ambiente che ci circonda, ecce cc. A queste
procedure motorie si uniscono le complesse successioni muscolari che imitano le
espressioni facciali dell’adulto. I movimenti degli arti e la mimica formano un nucleo
iniziale di schemi motori, memorie muscolari intorno a cui vi sono altre memorie-sono
le cosiddette memorie procedurali, in quanto implicano una serie di procedure che
fungono da partenza per gli apprendimenti linguistici. Il neonato apprende
gradualmente dalla logica interna dei movimenti e delle azioni i principi di sequenzialità
e di causalità, essenziali per strutturare il linguaggio. È sbagliato quindi vedere il corpo
come un’entità inferiore rispetto a quella mentale-il pensiero è correlato con l’attività di
aree della corteccia responsabili di movimenti reali. Il nostro cervello è un immenso
archivio di repertori motori, complessi schemi custoditi dai gangli di base e dal
cervelletto, quelli che Lurjia chiama “melodie cinetiche”. Oggi con le tecniche di neuro
imaging, tipo la PET si può conoscere la struttura deli schemi motori, se si chiede a una
persona di pensare di muovere la mano, come se volesse afferrare un oggetto, la sua
corteccia premotoria diviene attiva. Un altro elemento molto importante è l’esistenza di
neuroni a specchio-scoperti da Gallese, Rizzolatti, Fogassi-localizzati nell’area
premotoria (area F5): se una scimmia afferra un oggetto, nella scimmia che la osserva si
attivano quei neuroni della propria corteccia premotoria che prepara i neuroni della
motoria al movimento, così accade per un bambino che vede fare una capriola all’altro
bimbo. I neuroni sono molto importanti anche nell’intelligenza linguistica, quando un
bambino piccolo impara a imitare i suoni degli adulti: motricità e neuroni portano agli
apprendimenti concreti e poi a concetti astratti. Vi sono altri neuroni, localizzati nel
solco temporale superiore, che entrano in sintonia con le azioni degli altri.

CAPITOLO 2

LE RADICI DEL LINGUAGGIO

Gli esseri umani parlano e comprendono le parole che ascoltano grazie ai centri del
linguaggio situati nell’emisfero sinistro. Il linguaggio non si basa solo sulle aree del
linguaggio, motorie o sensoriali: esso dipende da una rete di interazioni con gli altri
sistemi e aree del cervello specializzate nella rappresentazione di oggetti, nella
percezione, nella motricità: le aree prettamente linguistiche e quelle che si riferiscono
al corpo, all’ambiente e al contesto. Tramite un esperimento è stato scopeto che
tamburellare con il dito medio della mano destra è più difficile in quanto si verifica una
competizione tra risorse linguistiche e motorie dell’emisfero sinistro. I punti di contatto
tra azioni motorie e linguaggio non si limitano a questo aspetto: il linguaggio è
caratterizzato da sequenze logiche, da parole, che devono venire prima o che devono
fare seguito alle altre. Se consideriamo il linguaggio come una serie di operazioni,
possiamo vedere come questo rispecchi metafore e analogie basate su funzioni del
corpo: le operazioni motorie e le esperienze corporee basate su parametri su, giù,
dentro, fuori si sono tradotte in schemi generali e convenzioni linguistiche: sale la
tensione, crollano i prezzi, ecc… Il linguista Noam Chomsky sostengono che il linguaggio
sia innato, in quanto tutti noi facciamo le stesse esperienze fondamentali basate sulle
percezioni, movimenti e azioni simili. Il linguaggio però è il prodotto pure
dell’affinamento e potenziamento di una serie di attività cognitive già coinvolte nelle
funzioni sensoriali; impariamo a parlare perchè in passato abbiamo imparato a
scheggiare una pietra, ecc-parte di un continuum che dai gesti si estende fino alla
comunicazione verbale.
Il linguaggio si origina a partire dai movimenti; lo sviluppo delle memorie motorie nel
corso dell’infanzia indica che la memoria non è solo un fatto mentale ma anche
corporeo, basato su procedure non esplicitabili.
Un secondo aspetto riguarda la comunicazione pre-grammaticale e pre-lessicale del
bambino nel primo anno di vita: prima il neonato piange o perché ha fame o perché ha
sonno; dai primi 3 mesi si accorge che il pianto attrae l’attenzione della mamma o del
papà-a partire dal secondo anno il pianto come mezzo di comunicazione e richiamo
diminuisce. Nel corso del primo anno di vita emerge un repertorio iniziale di mimiche e
gesti e vocalizzi. Per quanto riguarda l’imitazione questa inizia con il balbettio dei 3
mesi; poi ai 6 mesi imita semplici suoni pronunciati dagli altri, a 11 mesi il bambino può
pronunciare ma-ma, pa-pa; a un anno il bambino imita suoni specifici.

PARLARE E SCRIVERE

Da più di un secolo e mezzo neurologi e fisiologi studiano le basi cerebrali del


linguaggio, il ruolo della corteccia e delle strutture sottocorticali e le predisposizioni che
ci dico0no che l’emisfero sinistro sia quello linguistico. Gli studi sulla scrittura invece
sono più recenti e riguardano i problemi legati alla comprensione e interpretazione
della parola scritta e i meccanismi attraverso cui il cervello interpreta i segni. L a
differenza tra linguaggio orale e scritto a volte viene trascurata: nella scrittura,
l’importanza delle parole cresce in funzione della mancanza di alcuni elementi
preverbali e non verbali; non si ha la voce dello scrittore, né la mimica facciale, né
sorrisi, sguardi-La scrittura quindi si basa su una serie di modalità espressive e
informazioni: sono importanti l’accostamento delle parole, il ritmo, e le metafore che
stimolano l’immaginazione e generano immagini visive. Questa differenza la notiamo
quando ci viene sottoposto una bozza di quello udito dagli ascoltatori, trascritto in
modo disorganico-una delle prime differenze è che io linguaggio scritto deve essere
insegnato esplicitamente ed è meno padroneggiabile di quello parlato, ma da un punto
di vista cerebrale?
Per quanto riguarda il linguaggio parlato vi sono diverse strutture nervose che hanno un
ruolo importante: le prime due sono l’area di Broca, nella corteccia frontale e i
cosiddetti gangli di base che costituiscono le memorie dei movimenti linguistici: labbra,
glottide, ecc. La terza struttura è quella di Wernicke, situata nel lobo parietale del
cervello, da cui dipende la comprensione del significato delle parole- queste situate
nell’emisfero sinistro, mentre nell’emisfero destro si ha connotazione emotiva che si
conferisce alle parole. Per quanto riguarda il linguaggio scritto, il lobo parietale della
corteccia si attiva sia in risposta a stringhe di lettere con significato, sia con quelle senza
significato. Scrivere una parola significa tracciare dei segni verso il basso, l’alto- anche la
lettura ha un meccanismo simile; il riconoscimento della parola scritta, cioè il suo
abbinamento con la pronuncia orale è più facile in lingue come l’italiano, lo spagnolo e
il finlandese-stretta corrispondenza tra lettere e suoni, mentre nell’inglese è difficile
queste-questi meccanismi possono essere spiegati attraverso la via diretta tra lettura e
rappresentazione delle parole grazie al lessico mentale.

DAL RICONOSCIMENTO DEL LINGUAGGIO MATERNO ALLE PRIME PAROLE

A pochi giorni dalla nascita un neonato francese si attacca al seno materno quando
sente parlare francese anziché tedesco o inglese-i neonati vengono al mondo con una
preferenza per la lingua parlata dalla madre, lingua cvhe hanno ascoltato nel corso del
loro sviluppo intrauterino. I bebè sono anche sensibili appa prosodia, la combinazione
di ritmo, accento e intonazione del linguaggio soprattutto del linguaggio della madre.
Gli studi in questo settore sono stati condotti da due ricercatori dell’univeristà di
California quando notarono che se si allevano dei topolini in ambiente caratterizzato da
un rumore bianco continuo, gli animali presentavano delle anomalie strutturali e
fisiologiche dal punto di vista acustico-perché la loro corteccia uditiva non si era
sviluppata. Negli esseri umani, i nuclei uditivi del tronco encefalico sviluppano le loro
connessioni con la corteccia se ricevono stimoli acustici-alla ventisettesima settimana, il
feto cambia posizione se sente una melodia sulla pancia della mamma,
successivamente reagisce ai suoni forti e ai cambi di altezza. I suoni continui che variano
progressivamente, le melodie tipiche delle ninne-nanne e del cosiddetto maternese
sono stimoli ideali per far maturare le competenze uditive prima di un feto, poi di un
neonato. Ritorniamo alla voce materna, vedendo come il bambino sia più sensibile alla
voce materna che a quella degli estranei, sintomo che ha memorizzato alcune
caratteristiche del timbro vocale materno. Un’altra caratteristica della reattività infantile
al linguaggio concerne la capacità di differenziare parole da parole senza senso o da
sequenze di fonemi: attività cerebrale diversa se ascolta parole con senso e parole
senza senso. Il bambino quando riconosce il significato delle parole? Prima si pensava
non prima dei 10-12 mesi, oggi invece molte ricerche indicano come in un’età media
intorno ai 7 mesi cominciano i bambini già a riconoscere il significato delle parole,
parole usate e nominate spesso dai genitori. Fu fatto un esperimento: il lattante posto a
sedere sulle ginocchia del genitore, il quale era bendato per evitare possibili
suggerimenti involontari legati alla posizione dell’oggetto proiettato su uno schermo sul
quale comparivano oggetti come una mela; a questo punto il ricercatore suggeriva la
frase da dire al lattante: prendi la mela, dov’è la mela?- ebbene si all’età di 6 mesi il
bambino fissava l’oggetto nominato dal genitore. Vi è quindi una chiara dissociazione
tra l’età in cui pronunciano le parole e l’età in cui le comprendono- nell’arco di sto
tempo i piccoli sviluppano la capacità di parlare, grazie alla maturazione di aree
linguistiche situate sull’emisfero sinistro. Lo sviluppo del linguaggio è variabile: intorno
ai 12 mesi prime parole, dai 12 ai 18 mesi 50 parole nuove che si riferiscono agli oggetti,
dai 24 ai 2 anni si ha l’acquisizione di nuovi vocaboli aumenta: 7-9 parole al giorno. Cosa
succede al cervello? Le onde elettriche registrate in risposta alle parole che un bambino
riconosce diventano laterizzate, cioè si fissano nell’emisfero sinistro.

ESPERIENZE VISIVE E VERBALI

Il nostro cervello è molto preparato per elaborare l’informazione visiva: circa metà delle
sue strutture è addetta alla visione. Le competenze visive sono più espanse
nell’infanzia: un bambino ha la capacità di registrare informazioni visive sotto forma di
immagini grazie alla massiccia memoria iconica di cui è dotato il cervello, questo non
accade per l’informazione uditiva. Rappresentare la realtà in immagini aiuta a
memorizzare e a imparare meglio: le esperienze visive sono 3-4 volte più efficaci di
quelle uditive e quelle audio-visive 2 volte più efficaci di quelle visive. L’esperienza visiva
viene rielaborata e classificata sulla base delle sue caratteristiche e di esperienze
precedenti. Perché ciò avvenga la nostra mente deve affrontare una nuova
informazione con una serie di esperienze più o meno simili che hanno lasciato una
traccia nella nostra memoria. Ad esempio, un bambino piccolo che non è ancora in
grado di leggere e scrivere ma al quale viene mostrato il suo nome “ANDREA”, scritto su
un cartoncino. Il bambino analizza l’immagine e in seguito sarà in grado di coglierne le
caratteristiche e di individuare la stessa parola, purchè scritta con gli stessi caratteri
maiuscoli; se gli mostrassimo il suo nome scritto Andrea non lo riconoscerebbe, in
quanto ha memorizzato il suo nome scritto sotto forma di un insieme di segni. Se gli
mostriamo un insieme di segni simile ANDRÒ, lui continuerà a leggere ANDREA o
guarderà sconcertato sperando di aver indovinato, lo stesso accade per la lettera A, che
il bambino memorizzerà ma poi alla visione della V rimarrà sconcertato.
Per le esperienze di tipo verbale, una parola si fissa legandola a delle associazioni di tipo
visivo: forza-leone, equilibrio-giocoliere, rendono il messaggio più efficace. Questo
apprendimento per associazione ha aspetti positivi e aspetti negativi; positivi perchè
aiutano ad apprendere e memorizzare meglio, negativi perché portano alla non
distinzione tra reale o no.

IL CERVELLO BILINGUE

È assai più facile imparare precocemente una seconda lingua, anche per quanto
riguarda la pronuncia; per esempio un giapponese adulto che ha difficoltà a distinguere
il suono r da l, sa pronunciare bene entrambi se da bambino ha imparato sia la lingua
madre che l’inglese. IL bilinguismo nei bambini si ha perché nel loro cervello la stessa
area della corteccia-linguaggio -fronto-parietale sinistro, si attiva per entrambe le
lingue: in quelli che apprendono tardivamente, una seconda lingua si attiva in due
diverse regioni: per un adulto è difficile acquisire nuove competenze fonetiche perché
le sue mappe del linguaggio interferiscono tra di loro. Un bambino piccolo quando
comincia a parlare, deve mobilitare entrambi gli emisferi: poi, lentamente, l’emisfero
sinistro prende il sopravvento e il destro non manipola più il linguaggio-per la prima
lingua; se deve apprendere due lingue nello stesso tempo conviene che i genitori non
utilizzino entrambe le lingue ma solo una delle due. Quando il bambino apprende
precocemente la prima lingua e la seconda intorno ai 3 anni, esse reagiscono agli errori
grammaticali con l’attivazione dell’emisfero sinistro, quelli che apprendono
tardivamente, reagiscono con l’attivazione dell’emisfero destro-compartecipazione di
un emisfero che non è linguistico, in quanto non è molto competente per quanto
riguarda le funzioni linguistiche.

LA DISLESSIA

Il linguaggio è un sistema composto da una serie di moduli gerarchizzati: a un livello più


alto abbiamo le caratteristiche semantiche, sintattiche e discorsive; ai livelli più bassi i
moduli fonologici, responsabili del riconoscimento e dell’elaborazione degli elementi
sonori di base che formano il linguaggio. I fonemi=unità di base attraverso cui
componiamo le parole e fanno parte di quelle caratteristiche o regole del linguaggio che
sono inscritte nel nostro cervello. I fonemi sono mattoni naturali della lingua parlata e
ognuno di noi, nel riconoscere una parola, ne riconosce le singole unità in modo
automatico, naturale-linguaggio=caratteristica naturale della mente. La scrittura invece
comporta un apprendimento che comporta di trasformare i codici vocali in codici scritti
o grafemi per far ciò i bambini devono capire che scrittura=fonologia-il bambino deve
trasformare il linguaggio in simboli visivi, processo complesso. Tra i 4 e 6 anni i bambini
diventano consapevoli della struttura fonologica delle parole parlate; in una certa
percentuale questa consapevolezza non si verifica, in quanto nel loro cervello il modulo
fonologico non funziona. Il bambino quindi ha problemi nelle letture di parole banali
come Mano, letta pane, se però viene mostrata la figura della mano, questi la sanno
riconoscere. I problemi di dislessia hanno origine nell’emisfero sinistro, che presenta
aree specifiche per le diverse funzioni linguistiche: una parte della corteccia del lobo
occipitale identifica le lettere scritte, la parte media del lobo parietale identifica il
significato e i processi fonologici sono nella parte inferiore della corteccia frontale-ciò si
verifica nei maschi, mentre nelle donne i processi fonologici hanno luogo sia nella
corteccia frontale inferiore di sinistra sia in quella di destra, cioè sono bilaterali, per
questo nelle donne vi 1e meno incidenza di dislessia. Un bambino dislessico presenta
notevoli difficoltà a scuola, per cui vi sono dei programmi del computer che lo
riabilitano a leggere e scrivere: essi devono scomporre la parola in fonemi e non
vederla come un insieme di forme prive di significato come faceva Leonardo da vinci.
Era dislessico pure Einstein eppure questo aveva una notevole capacità visivo-motoria e
anche da adulto fu capace di convertire alcuni concetti astratti in entità materiali.

L’IO COME RACCONTO


La nostra individualità non si basa sul puro e semplice accumulo di esperienze ma
anche sul mondo con cui queste vengono collegate tra loro; l’ìo è il prodotto di una
storia che ci raccontiamo e attraverso cui noi attribuiamo significati ai fatti che si
susseguono nella nostra vita. L’apprendimento del linguaggio ha un ruolo basilare nello
sviluppo dell’io. Ovviamente per apprendere il linguaggio bisogna essere esposti al
linguaggio degli adulti, che potenzia pure lo sviluppo dell’intelligenza, come ci indicano
quegli studi che dicono che le competenze cognitive e sociali di un bambino dipendono
dalla quantità di linguaggio che si ha tra i 6 mesi e 3 anni=rapporto con l’adulto che
sappia cogliere i momenti di attenzione del bambino, che sappia esprimersi con le
parole e con un’opportuna mimica facciale. Il linguaggio infantile dipende dalla capacità
di comunicazione sociale del bambino, dalla sua capacità di notare e riprodurre le
espressioni facciali dell’adulto, utilizzando un patrimonio di espressioni facciali innate-
dal progredire della capacità comunicativa del bambino emerge l’IO AUTOBIOGRAFICO
E NARRATIVO, un io basato sulla costruzione di storie che il bambino si racconta. Molti
studiosi ritengono che la capacità di raccontarsi storie sia una capacità innata come
quella di certi animai che si costruiscono il nido, intrecciano tele, ecc. Daniel Dennett
afferma che il cervello tesse storie sulla nostra identità come il ragno tesse la tela senza
essere cosciente di farlo: l’io e la coscienza sono il prodotto di storie che la nostra
mente ha elaborato-così come le storie che caratterizzano le diverse culture: i miti per
dare un senso alla vita. Le storie che ci raccontiamo possono essere narrate da due
punti di vista diversi del nostro io: da un punto di vista esterno, lo spettatore e da uno
interno l’attore-dal punto di vista esterno ha connotazioni diverse di quello interno.
Inoltre le storie narrate da entrambi i punti di vista possono variare nel tempo con
omissioni, aggiunte, ecc

CAPITOLO 3

SVILUPPARE L’ATTENZIONE

Qualche anno fa due psicologi dello sviluppo dell’Università del Colorado, Friedman e
Miyake hanno proposto un modello delle funzioni esecutive che si basa su
inibizione=capacità di sopprimere informazioni non pertinenti interne e sterne, la
flessibilità=capacità di passare da un’operazione mentale all’altra,
l’aggiornamento=modifiche del contenuto della memoria di lavoro o a breve termine-
tre componenti fino ai 5 anni non differenziate, poi autonome. La quantità di
informazioni manipolate aumenta progressivamente a partire dai 5-6 anni; sino ai 7
anni i bambini non utilizzano la ripetizione subvocale, mentre in seguito cominciano a
farlo muovendo le labbra. Anche il doppio codice verbale e visivo entra in funzione
all’età di 7 anni. Per fare esperienze significative, memorizzare, apprendere è necessario
selezionare alcuni fra i tanti stimoli che bombardano la nostra mente e in particolare la
mente di un bambino piccolo. L’attenzione di un bambino piccolo è di brevissima
durata, spesso poche decine di secondi è il tempo in cui il bambino fa u esperienza di
ciò che c’è di nuovo. La labilità dell’attenzione è legata all’immaturità della corteccia
frontale che ha il compito di reprimere gli stimoli irrilevanti. Anche le modalità di
sviluppo dell’attenzione sono diverse nel corso della storia. Se un bimbo piccolo si
distrae da un compito, è difficile che questo torni a concentrarsi nuovamente su di esso.
Anche nei bambini di 6-7 anni l’attenzione è di circa 15 minuti, mentre un ragazzo di 15-
16 anni è in grado di prestare attenzione per circa 30-45 minuti. Per favorire
l’apprendimento bisogna utilizzare sperienze di breve durata e alternare argomenti e
codici sensoriali; bisogna favorire l’assunzione di un ruolo attivo, spingendo il bambino a
individuare ciò che di più lo attrae nella pagina di un libro. Un fattore che si
contrappone all’attenzione è l’ansia: se un bambino è preoccupato, se vi sono tensioni
familiari, ecc l’attenzione diminuisce, la mente è sempre rivolta ad altri pensieri o si
trova in uno stato di confusione; un altro fattore è la distrazione di televisori e
videogiochi, i genitori devono coinvolger i figli con una specie di contratto in cui si
stabilisce quali ore dedicare allo studio, quali alla letteratura e quali ad altre attività.

RICONOSCERE E RIEVOCARE

La prima forma di memoria che si sviluppa in un bambino piccolo è la memoria di


riconoscimento. All’età di 5-6 mesi può riconoscere un evento familiare, ma l’evento
deve essere presente per stimolarne la memoria, dato che egli ancora non è in grado di
rievocare: il volto del fratellino è riconosciuto quando è di fronte, ma lo schema di quel
volto non può essere recuperato nella memoria se il fratellino è assente-diventa più
stabile tra gli 8-12 mesi, quando si passa da una forma precaria a una forma stabile-
memoria di lavoro che permette di ricordare un evento per tempi più lunghi( questa fa
la sua comparsa tra i 5-6 mesi. Il processo di rievocazione è stato studiato mediante dei
test a cui sono stati sottoposti dei bambini dagli 8 ai 12 mesi di età: lo psicologo Jerome
Kagan nascondevano un oggetto attraente in presenza del bambino sotto uno di due
panni diversi e facevano poi aspettare il bambino per tempi variabili da 1 a 7 secondi
prima di consentirgli di cercare il giocattolo-una volta al mese nel corso della crescita,
miglioramenti continui, a 18 mesi gli errori erano rarissimi. La psicologa Emily Bushnell,
utilizzando uno specchio faceva in modo che i bambini percepissero al tatto un oggetto
diverso da quello che stavano vedendo; altre volte invece potevano toccare ko stesso
oggetto-mentre i bambini di 8 mesi non erano sorpresi, i bambini di 12 mesi lo erano
nel toccare due cose diverse. La capacità di rievocare quindi è frutto di trasformazioni
strutturali che si verificano nel sistema nervoso centrale, sia a livello dell’ippocampo, un
nucleo che ha il compito di collegare tra loro i diversi aspetti di un ricordo, sia a livello
della corteccia frontale. Mentre la memoria di riconoscimento compare precocemente,
la memoria semantica compare molto tardi.

TIPOLOGIE DI MEMORIE

Negli ultimi anni i psicobiologi hanno delineato meglio diversi aspetti della memoria,
indicandone due diverse forme:
 Memoria di tipo procedurale o implicita: formazione di abitudini, nelle routine
motorie - A
 Memoria di tipo dichiarativo o esplicita: informazioni comunicabili- B
1. B divisa in: memoria episodica- es: ricordo di una trama di un film; questa si basa
su un legame non-cognitivo tra uno stimolo e una risposta e può non implicare la
coscienza
2. Memoria semantica- es: i nomi dei personaggi di quel film; questa fa capo a
processi cognitivi coscienti.
Gran parte della vita si basa su memorie di tipo dichiarativo, memorie costruite nel
tempo per edificare un edificio di conoscenze in cui ci è difficile rintracciare le origini
delle singile esperienze e ricordi. Un’ulteriore differenza tra i due tipi di memorie
consiste nel fatto che quella di tipo associativo-procedurale è ai livelli inferiori della
filogenesi e si presenta precocemente sin dalle prime fasi dello sviluppo umano; al
contrario la memoria di tipo dichiarativo compare più tardi nel corso della filogenesi e si
sviluppa più tardi. I sistemi delle memorie sono molteplici e svolgono funzioni ben
diverse- alcuni compiti possono essere appresi e risolti nell’ambito di una
rappresentazione per immagini, mentre altri richiedono una rappresentazione di tipo
simbolico-astratto, vale anche per altre specie animali.
Esiste un’altra suddivisione:
I. Memoria a breve termine, una sorta di lista della spesa che viene dimenticata
quando se ne fa uso.
II. Memoria a lungo termine
La memoria a breve termine ha capacità di 6-7 elementi di informazione; per esempio
davanti a un numero 6773561, piuttosto che ricordarlo così magari si ricorda più
facilmente così 67-73-561 ma solo per breve durata; se questo pero viene ripetuto più
volte passa dalla memoria a lungo termine, a cui affidiamo ricordi quali un episodio
della nostra vita, il volto di una persona nota, l’apprendimento di concetti.

Da quali reti neurali dipendono i vari aspetti della memoria?


Le memorie procedurali hanno al centro un circuito che parte dalla corteccia motoria,
va ai gangli della base e da essi ritorna alla corteccia motoria-queto circuito è alla base
delle memorie che riguardano abitudini e abilità elementari; un secondo circuito che
riceve dalla corteccia motoria primaria e dalle aree della corteccia associativa
sensoriale, raggiunge invece il cervelletto, da qui le informazioni sono convogliate al
talamo e da questo nucleo tornano alle aree motorie della corteccia frontale e
parietale-riflessi automatici. Per quanto riguarda la memoria di tipo dichiarativo, gli
studi compiuti da Squire e Zola-Morgan su pazienti colpiti da differenti tipi di lesioni
cerebrali hanno dimostrato che essa è danneggiata dalle lesioni della corteccia
temporale media-caso clinico Scoville e Milner, hanno studiato una paziente colpita da
una forma di amnesia retrograda e anterograda e hanno visto da un’analisi dettagliata
come le lesioni dell’ippocampo e della corteccia temporale inferiore erano i
responsabili del mancato accesso ai ricordi del passato e della mancata codificazione di
quelli nuovi-la regione temporale è connessa all’amigdala e all’ippocampo e
quest’ultimo con il diencefalo tramite il fornice in una sorta di circuito della memoria di
cui fa parte tutta la corteccia cerebrale-strutture implicate nella cosiddetta memoria
esplicita. Le sensazioni e le esperienze per essere trasformate in memorie esplicite,
devono passare per le strutture del lobo temporale mediale. Questi circuiti sono attivati
simultaneamente e in parallelo. In quelle esperienze e apprendimenti in cui entrambi i
sistemi di memoria possono fornire una soluzione adeguata, però il sistema
ippocampale si fa carico delle forme di apprendimento rapido che sono utili per
controllare il comportamento adeguato; questo circuito cede il suo ruolo al sistema
della memoria controllato dai gangli della base e del caudato, quando si tratta di forme
di apprendimento più lente-se un circuiti si rivela inadeguato a quella soluzione per
selezione naturale si ha un altro circuito che agisce in parallelo.
La memoria dichiarativa quindi si riferisce ai significati e concetti per i quali non è
importante ricordare il momento; anche quella dichiarativo-semantica e suddivisa in
compartimenti e competenze. Quando noi facciamo la distinzione tra animali e piante e
oggetti, dei primi facciamo un uso visivo, dei secondi li usiamo-due categorie diverse
nella memoria; più facile memorizzare ciò che ha a che fare con la motricità e con
l’azione diretta.

MIGLIORARE LA MEMORIA
Alcuni di noi sono favoriti dal fatto di avere una buona memoria, di ricordare quanto
hanno appena visto e letto ma possibilmente non scindono questa dalla comprensione
del significato dell’esperienza. La memoria va trattata come un muscolo, ricorrendo
all’esercizio e alla ripetizione. Nel passato questa strategia veniva seguita dagli studenti
fin dalla scuola elementare- venivano mandati a mente intere poesie e interi brani, vi
erano poi esercizi specifici su come imparare quelle nozioni importanti. La pratica delle
ripetizioni può presentare i suoi vantaggi, ma ha i limiti di tutti gli apprendimenti a
pappagallo: se si limita a rileggere o a ripetere ciecamente, essa può essere scissa da
una reale comprensione. Per potenziare la memoria invece si usano alcune strategie
tradizionali, già seguite da oratori come Cicerone che dovevano ricordare citazione
basate su associazioni tra ricordi consolidati e materiale da imparare ex novo-
Riedizione dell’antica arte della memoria- Rinascimento fino al 700. Si tratta del
materiale da mandare a memoria, per esempio date storiche a dei luoghi ben noti,
come le diverse stanze della casa in cui si vive-in ogni stanza che si percorre si sistema
una piccol porzione di materiale da memorizzare, una data appunto. Queste
associazioni mentali possono migliorare l’apprendimento. Per esempio se non
ricordiamo il nome di una persona possiamo ricorrere alle sembianze, all’incontro con
quella persona ecc.. Gli studiosi indicano come memorie=processo mentale complesso
che dipende da un complesso processo di costruzione di categorie, generalizzazioni e di
significati. Per cui se si vuole imparare una materia, bisogna ricorrere alla mappa
concettuale che varia da individuo a individuo in base alla logica ecc..

MIGLIORARE LE FUNZIONI ESECUTIVE

Per potenziare il processo di memorizzazione bisogna curare il processo di percezione e


quind quello di attenzione. Uno studio sull’attenzione prestata dai visitatori di un museo
di opere d’arte, ci dice che il visitatore medio spende circa 6 secondi per guardare un
dipinto. L’impressione è fugace e la memoria è la sensazione di un impreciso
coinvolgimento emotivo. Qualcosa di simile avviene quando ci fermiamo al semaforo di
un incrocio stradale. La maggior parte delle persone non analizza le situazioni in modo
sistematico e si affida in prevalenza a processi inconsci che possono distorcere la
percezione delle realtà- se vogliamo sviluppare vere capacità di concentrazione e
memoria, dobbiamo imparare ad analizzare correttamente i messaggi, soprattutto
quelli visivi. L’attenzione selettiva implica un coinvolgimento dei sensi mediante cui
viene percepito il messaggio visivo. Essa si basa sull’inidividuazione dell’aspetto
fondamentale del messaggio e delle emozioni che quest’ultimo suscita e infine
sull’interpretazione razionale. Un esercizio utile che sviluppa l’attenzione selettiva è la
capacità di analisi e sintesi, come può essere quella di un quadro come la Gioconda: in
primo luogo si può vedere in basso a sinistra una strada tortuosa, mentre in alto alle
spalle del soggetto, vi sono accenni di colline e rilievi montuosi- si colgono alcuni aspetti
significativi del dipinto: il messaggio principale affidato al soggetto, la struttura
progettuale, gli elementi significativi che accompagnano il messaggio. Si può passare
ora a un’esplorazione soggettiva: abbandonarsi alle associazioni-quale persona ci
ricorda, con chi eravamo a guardare il quadro. Questi due tipi di esplorazione visiva
sono volti a sviluppare la capacità di attenzione e quindi di memoria. Genitori e
insegnanti a volte si lamentano della scarsa capacità di concentrazione dei loro figli o
dei loro allievi: oggi i neuroscienziati suggeriscono alcune strategie per concentrarsi a
casa e a scuola, grazie agli studi effettuati sul funzionamento del cervello. Al centro di
questa rivoluzione neuro-cognitiva vi sono le funzioni esecutive=insieme di processi
cognitivi che consentono di esercitare forme di autocontrollo, di focalizzare l’attenzione-
cominciano a emergere intorno al settimo mese di vita, quando il lattante comincia ad
assumere il controllo di alcune semplici azioni. Tale capacità dipende dalla maturazione
dell’area cingolata, situata nella parte interna dei due emisferi cerebrali; le funzioni
esecutive fanno parte di processi cognitivi a livello elevato: dipendono dai lobi frontali e
sono alla base di ogni tipo di comportamento diretto verso un fine. È possibile
potenziarle in ambito scolastico? Si con alcune strategie-30 minuti di attività fisica e
aerobica prima di iniziare le attività scolastiche, associazioni tra rappresentazioni
motorie e apprendimento attraverso la tecnica “apprendimento recitato”( Centro di
Neurobiologia e Apprendimento dell’Università di Ulm)-per esempio per imparare una
seconda lingua o eseguire un brano musicale.

STIMOLARE IL CERVELLO

“Tenete in efficienza il vostro cervello, ringiovanitelo”- questo messaggio propone una


risposta scientifica a quanti temono di non poter far fronte alle richieste dello studio o
di un ambiente in cui la competizione è forte: lo studente che si lamenta, il manager
stressato, l’adulto o l’anziano con problemi di memoria. Oggi vi sono consoles che
gestiscono software di brain training e che assicurano un metto miglioramento della
memoria e dell’apprendimento. Ma quanto sono vere ste proposte?
Iniziamo a parlare del concetto di plasticità cerebrale e della sua stimolazione
nell’ambito di un ambiente arricchito. Qui dobbiamo citare Maria Montessori più
celebrata all’Estero che nel nostro paese. Lei propose una serie di tecniche e procedure
per migliorare l’attenzione e le funzioni cognitive infantili, soprattutto nel caso di
bambini con deficit comportamentali: si trattava di stimolare i sensi e le capacità
sensomotorie dei bambini per facilitare il recupero. Tecniche simili vennero estese pure
ai bimbi che non presentavano problemi. Le intuizioni della Montessori vennero poi
riprese intorno agli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, da diversi neuroscienziati,
primo fra tutti Rosenzweig: furono fatti esperimenti su animali da laboratorio allevati in
un ambiente ricco di stimoli sensomotori o in un ambiente povero. Gli animali cresciuti
in un ambiente arricchito presentavano capacità cognitive più vivaci-Il presidente
Kennedy varò il programma Headstart per stimolare cognitivamente i bambini in
ambienti ad alto rischio. Tutte queste ricerche furono a favore della plasticità cerebrale
ed ecco che un neuroscienziato giapponese Kawashima propose una serie di esercizi
per migliorare il proprio potenziale-furono usati pure per cercare di prevenire
l’Alzheimer.

NEUROPEDAGOGIA DELLA TERZA ETÀ

La vecchiaia può apparire come una fase negativa, caratterizzata da acciacchi, memoria
zoppicante, problemi neurologici. Un punto fondamentale è conoscere come
funzionano il corpo e la mente di un adulto e di un anziano e quindi seguire una serie di
strategie adatta a prevenire quei segni. L’invecchiamento cerebrale non è ineluttabile:
nel corso degli ultimi anni le neuroscienze hanno indicato come il cervello sia un organo
plastico, anche nell’età avanzata e come abbia bisogno di stimoli continui per
conservare la plasticità. Gli studi sulla terza età inducono a seguire una dieta
appropriata che ostacoli l’accumulo di quei radicali liberi i quali, ossidando le cellule
nervose, riducono l’efficienza del cervello, sia la scelta di uno stile di vita che ritardi quei
fenomeni involutivi del corpo e delle mente. La struttura e le funzioni del cervello si
modificano in rapporto all’ambiente e alle nostre esperienze: in positivo se queste sono
stimolanti, in negativo se il cervello manca del cibo di cui ha bisogno-è fondamentale
tener viva la mente. Uno dei segnali più evidenti dell’invecchiamento cerebrale riguarda
la memoria: le sue manifestazioni si hanno a partire dai 50-60 anni, quando questa
capacità della mente comincia a darci qualche dispiacere nel momento in cui vogliamo
ricordare qualcosa. I primi segnali riguardano i nomi, i cognomi, i numeri di telefono…
perché il nome e il cognome non sono connotativi-non si riferiscono alle proprietà della
persona. La memoria zoppica anche in condizioni di stress. Pur conservando le memorie
semantiche relative al suo passato, una perosna avanti negli anni memorizza con
minore efficienza eventi nuovi: questa carenza dipende da tre fattori: riduzione della
capacità di attenzione, una minore capacità del cosiddetto magazzino della memoria a
breve termine e infine la minor efficienza del cervello a formare nuove sinapsi.
Partiamo dall’attenzione-si può potenziare l’attenzione senza aspettare di essere
anziani: a partire dalla maturità le capacità di concentrazione e memoria possono
essere migliorate sviluppando un atteggiamento attivo-attenzione selettiva:
coinvolgimento dei sensi, individuazione dell’aspetto fondamentale del messaggio e
sull’interpretazione razionale. Il calo della memoria però è l’aspetto più evidente nella
terza età. Il passaggio dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, il
cosiddetto consolidamento, richiede pi1u tempo nell’anziano, in quanto si basa sulla
formazione di nuove sinapsi. A partire dall’età adulta, la produzione di nuove sinapsi
avviene a ritmo più lento. Anche la memoria di lavoro è meno efficiente. Le
trasformazioni che si verificano negli anni a carico della memoria sono un segnale che il
cervello si sta modificando. Con la vecchiaia si ha una perdita di neuroni a livello
dell’ippocampo-un nucleo nervose che consolida le esperienze e le riporta alla mente.
L’ippocampo gioca un ruolo importante non solo nel rintraccio dei ricordi ma anche
nelle memorie spaziali. Il lobo frontale è implicato nella gestione dell’informazione e
nel corso della vita il volume del suo magazzino si riduce. Il cervello dell’anziano si
comporta come un computer dotato di una scarsa memoria di accesso o RAM. Per la
gestione dell’informazione i neurologi consigliano di imparare a memoria un qualcosa,
poesie, testi, pezzi di frasi, ecc. ATTENZIONE però se viene sovraccaricato il cervello può
sentirsi confuso o fare confusione.

CONTRASTARE IL DECLINO COGNITIVO

A partire dai 70 anni non è infrequente la comparsa di un declino cognitivo che


rappresenta spesso lo stadio preclinico della malattia di Alzheimer. Poiché al momento
non ci sono farmaci per contrastarla, diversi gruppi di ricerca si sono concentrati su
forme di ginnastica mentale che possono bloccare o ritardare l’insorgere di uno stato
morboso. I risultati di una recente ricerca presso L’Università del Texas a Dallas center
for Brain Health e l’Università dell’Illinois a Champaign indicano che un’opportuna
ginnastica mentale può essere utile. La ricerca ha coinvolto un gruppo di persone di età
media intorno ai 65 anni che ha ricevuto per 1-2 mesi due sedute settimanali di meno
di un’ora. In queste sedute veniva potenziata l’attenzione strategica, cioè la capacità di
bloccare distrazioni e dettagli irrilevanti e di concentrarsi su ciò che è importante,
quindi il ragionamento integrato, la facoltà di cogliere il succo da un testo scritto-
risultati: miglioramento funzioni cognitive delle persone e rallentamento in modo
significativo dell’insorgenza della malattia. Bisogna conoscere l’attenzione semplice e
pura e l’attenzione selettiva. La maggior parte delle persone non analizza le situazioni in
maniera sistematica e si affida a quei processi che distorgono la realtà-s si vuole
superare questo, bisogna imparare ad analizzare correttamente i messaggi, per
migliorare il modo il convengono registrati i ricordi, bisogna incrementare l’attenzione
selettiva-coinvolgimento dei sensi e individuazione dell’aspetto fondamentale del
messaggio. La memoria=muscolo da addestrare e ricerche studi hanno dimostrato che
dopo due mesi di allenamenti vi sono stati miglioramenti. Un’altra ricerca condotta
dalla Mayo Clinic e dall’Università della Southern California ha mostrato come esercizi
computerizzati migliorino l’attenzione e la memoria.

UN DECALOGO IDEALE PER LA VECCHIAIA

Una fitness per la terza età punta al benessere psicofisico, a una psicologia della salute
che passi attraverso appropriati stili di vita, adatti a mantenere le capacità del corpo e a
stimolare il cervello. Il decalogo è:
1. Cervello è plastico: se non lo si stimola, lo si perde.
2. A partire dalla mezza età, bisogna occuparsi della fitness mentale e fisica
3. Bisogna mantenere vivo il cervello quando comincia a perdere colpi
4. Impariamo a rilassarci, lo stress ha effetti negativi sul sistema nervoso
5. Variamo la prassi quotidiana-cambiamenti nella nostra vita
6. Cominciamo con un hobby che ci appassiona
7. Efficienza della mente dall’efficienza del corpo
8. Junk food non fa bene al corpo e alla mente
9. L’isolamento sociale è un fattore di rischio per l’anziano
10.Esercizi di fitness mentale
Si dovrebbe attuare questo decalogo fin dagli anni primi della maturità, quando si
ritiene che non si deve pensare al futuro; mentre chi ha sofferto di qualche malattia
durante gli anni della gioventù è più esposto alle dèfaillances e quindi si preoccupa del
proprio futuro

CAPITOLO 4

Immaginate di trovarvi in riva al mare, seduti su uno scoglio, su una spiaggetta


silenziosa; vi è quasi il tramonto, il mare è calmo e una brezza leggera fa sentire un
odore salmastro dell’acqua e la temperatura è ideale. Ora invece siamo in uno scenario
totalmente diverso-nuova città, è sera e si ci trova in quartiere di uffici, non c’è un bar
aperto e i lampioni ancora sono spenti. All’improvviso sul marciapiede compare una
figura maschile: uomo fissa e comincia quando si accelera a seguire come se volesse
prendervi. Si nota una differenza di reazioni del corpo. Nel primo caso una sensazione
piacevole e rilassante, nel secondo caso i muscoli sono tesi. La mente, influenzata dalla
situazione ha inviato al corpo messaggi appropriati, di pace o di tensione: La mente fa si
che il cervello da cui dipende influenzi le due branche di cui è composto il sistema
autonomo, il quale è diverso da quello volontario, in quanto è indipendente dalla nostra
volontà e produce attraverso una serie di nuclei situati nell’encefalo delle reazioni
automatiche del corpo: sistema simpatico fa sì che il cuore acceleri il ritmo, la pressione
arteriosa salga, che i peli si drizzino, che le pupille si dilatino. Il sistema parasimpatico
produce un rallentamento del ritmo cardiaco, la pressione arteriosa decresce, i peli si
distendono, le pupille si restringono-le differenze nella tensione muscolare sono un
indice di attivazione del sistema nervoso vegetativo: il tono parasimpatico predomina
negli stai di rilassatezza, il simpatico in stati di tensione; la mente può influenzare il
corpo. In uno stato di tensione muscolare forte, i muscoli tesi sono la schiena e il collo
perchè questi sono coinvolti nelle reazioni di trasalimento, risposte di paura-attivazione
sempre del sistema simpatico.

INTELLIGENZA EMOTIVA

I rapporti tra emozione e cognizione dipendono da quelli tra la corteccia cerebrale e il


sistema limbico, associati da connessioni nervose. La corteccia cerebrale ja il compito di
integrare le reazioni dei nuclei del sistema limbico convolti nell’emozione e di
paragonarle a quelle degli eventi simili: in tal modo le informazioni del presente
vengono allacciate a quelle del passato, il che da una dimensione temporale alla
memoria- l’emozione dà una dimensione calda ai ricordi, facendoli diventare eventi
significativi individuali con spetti positivi cosi come nelle persone ottimiste e negativi
così come nelle persone depresse. I modi in cui le emozioni influenzano le funzioni
cognitive sono molteplici e non dipendono solo dalle interazioni tra sistema limbico e
corteccia ma dalle modifiche del nostro corpo a causa delle emozioni, le quali fanno
memorizzare le esperienze. Sostanze come l’endorfina, che esercita un’azione
antidolorifica simile a quella della morfina e che viene liberata dal cervello in risposta a
stimoli sia dolorifici e sia emotivi altera le funzioni delle sinapsi nelle reti nervose che
registrano le esperienze. L’emozione non interviene soltanto in modo diretto sulla
memoria ma anche in modo indiretto. È stato visto come negli animali sottoposti a
esperienze ricche di componenti emotive la memorizzazione viene potenziata in quanto
il nervo vago indica al cervello che a livello periferico sono state liberate sostanze come
l’adrenalina, prodotta dalle ghiandole surrenali-circolo vizioso: mente reagisce con
emozione, il cervello agisce sul corpo, portandolo a produrre sostanze come appunto
l’adrenalina, la quale stimola recettori nervosi    he attraverso il nervo vago, giungono a
cervello e lo inducono a produrre mediatori nervosi che modulano i processi della
memoria. Tentiamo quando parliamo di emozione e delle sue basi nervose di dividere
la vita animale da quella razionale-Cartesio. In realtà grazie al rapporto tra sistema
limbico e corteccia cerebrale, l’emozione esercita un effetto assai sottile sul modo in cui
valutiamo la realt1a e prendiamo decisioni-connessi da vie nervose, se queste vengono
lese si possono avere modifiche nella vita sociale e nel prendere decisioni. Problemi che
dipendono da una perdita di intelligenza emotiva- Goleman; queste persone non
sentono cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. In poche parole, le nostre azioni e le nostre
decisioni implicano una componente emotiva.

GESTIRE EMOZIONI
Nel suo celebre libro “Ragione e sentimento” Jane Austen si ha il contrasto tra
razionalità e emozione in rapporto alle scelte d’amore delle due sorelle: la prima,
impulsiva, che fa scelte sbagliate, mentre la seconda, logica e razionale, sceglie il marito
giusto…
Goleman ha affrontato per anni la differenza tra mente razionale e mente emozionale,
vedendo la prima come una modalità di comprensione cosciente e la seconda come un
sistema di conoscenza impulsiva e potente. La nozione di intelligenza emotiva implica
poi una distinzione tra competenze personali e competenze sociali: le prime si
riferiscono alla capacità di cogliere gli aspetti emozionali della vita, mentre le seconde si
riferiscono alla modalità con cui noi capiamo e comprendiamo gli altri. Gestire le
emozioni è fondamentale per le relazioni interpersonali. Per entrare in sintonia con
un’altra persona bisogna avere conoscenza e padronanza di sé-questo avviene fin
dall’infanzia, i bambini sviluppano capacità che comprendono: la fiducia in sé stessi, la
curiosità-scoperta=attività positiva, intenzionalità, l’autocontrollo-controllo delle
proprie azioni, la connessione-relazione con gli altri, il desiderio di scambiarsi idee e
concetti con gli altri, la capacità di cooperare in gruppo.
Recenti studi di neuro imaging indicano che a partire dall’infanzia, la capacità di
riconoscere un sentimento nel momento in cui si presenta è una forma di
autoconsapevolezza volta verso la propria esperienza, questo porta all’attivazione
simultanea di aree cerebrali implicate nell’emozione e nell’analis cognitiva-i nostri
sentimenti non sempre raggiungono all’autoconsapevolezza. Questa capacità implica lo
sviluppo di capacità di riconoscere precocemente la propria emotività a livello
fisiologico-sensazioni, verbale-saper dire cosa si prova mediante parole, cognitivo-saper
elaborare e riconoscere pensieri e sentimenti. Nei momenti difficili come in quelli
positivi, emozioni e sentimenti devono essere in equilibrio-ci1o determina il benessere
dell’individuo. Se però i sentimenti e le emozioni sono eccessive e estreme, queste
minano la stabilità.
Si parla di analfabetismo affettivo come dell’incapacità di porsi in relazione con il
prossimo o di prefigurare le conseguenze delle proprie azioni e ciò porta
all’egocentrismo che blocca i diversi aspetti della vita sociale. Un’inchiesta svolta in
Gran Bretagna su bambini delle scuole elementari e medie ha dimostrato che essi
conoscono al massimo una decina di parole relative alle emozioni e all’affettività-anche
a livello scolastico questi bambini hanno un vocabolario ristretto.
A livello scolastico si punta a un ampliamento del repertorio linguistico e delle capacità
degli studenti di parlare con se stessi e con gli altri-cioè cercare il proprio stato d’animo;
questo non è sempre facile, soprattutto in soggetti che non sanno parlare o non sono in
contatto con le proprie emozioni-non solo nella cultura nordeuropea o quella
statunitense ma anche nel nostro paese.

L’AGGRESSIVITÀ DEL BAMBINO

L’aggressività di un adulto ha radici che affondano nell’infanzia, quando un buon


attaccamento alle figure genitoriali, il poter essere autonomi mancano e la violenza
diviene un modo per esprimere il marcato appagamento di bisogni primari e il disagio
interiore. Un bambino aggressivo presenta altri problemi: si isola, sottrae gli oggetti,
commette atti vandalici. A quale età si manifestano questi comportamenti? Intorno ai 1-
2 anni un piccolo può colpire, strillare, e anche mordere ma non vengono visti come
sbagliati, vengono visti così se continuano all’età di 3-4 anni, età in cui si ritiene che il
piccolo abbia maggiore controllo di sé anche la corteccia cerebrale soprattutto quella
frontale è ben lontana dal raggiungere la completezza e il comportamento è esercitato
dal ruolo esercitato dai centri emotivi, che possono scatenare emozioni violente. All’età
di 5-6 anni si può distinguere tra un bambino che si abbandona a una violenta
esternalizzazione delle proprie emozioni e passa al cosiddetto acting out e un bambino
che vuole la propria individualità. La stanchezza, la mancanza di sonno, le tensioni
familiari, sono cause scatenanti dell’aggressività; i giochi di movimento e le attività
motorie favoriscono l’empatia; al contrario un bambino che non ha modo di esplorare
l’ambiente e di giocare con gli altri può avere comportamenti aggressivi-non bisogna
punire questi atti con la violenza ma bisogna rispondere con la calma.

GIOCHI DI MOVIMENTO E GIOCHI VIRTUALI


Gioco e apprendimento sono intrecciati: giocare è utile sia per gli apprendimenti
aspecifici, cioè la promozione delle funzioni cognitive e sia per gli apprendimenti
specifici, cioè imparare nozioni, concetti. Negli anni dell’infanzia l gioco è importante
perché un bambino impara a padroneggiare i propri movimenti e dai 2 ai 6-7 anni passa
alla fase del gioco simbolico, che porta a sviluppare la fantasia: il bambino fa finta che e
quindi gioca a fare la mamma, il papà, ecc-in questi giochi il ruolo dell’adulto deve
essere minimo. Il gioco di ruolo inizia tra i 6-7 anni e dura tutta la vita; giocando a
mosca cieca, a guardie e ladri si passa a un’attività di gruppo, si sviluppa l’empatia, si
imparano le regole di gruppo, sia i ruoli della realtà. Man mano che si cresce i giochi di
ruolo si basano su regole precise; i Power Rangers, dove ci sono ruoli che vengono
assegnati- gli adulti possono fornire alcuni modelli di giochi di ruolo; si può cercare
anche di conferire attraverso i giochi del viaggio o del pilota che deve parlare in inglese
apprendimenti specifici, come l’impararsi una seconda lingua come l’inglese. Inoltre
queste giochi possono essere svolti in occasione di viaggi in automobile in quanto i
bambini tendono ad annoiarsi e sono sensibili alla possibilità di distrarsi e di giocare con
i genitori. Oggi quali sono le attività praticate dai bambini? Daphne Bavelier, una
ricercatrice che da tempo studia l’effetto dei videogiochi sulla mente dei bambini e
ragazzi, ha notato che gran parte dei videogiochi basati su abilita visuomotorie mette in
gioco quei meccanismi che sono legati ad antichi comportamenti: caccia, inseguimento
della preda- il tutto potenziato dal rinforzo del punteggio o del premio finale. Qui
ritorna l‘attività della corteccia frontale che per eseguire questi compiti, spegne altre
funzioni del cervello per poter meglio praticare un compito che assorbe molte energie.
Cosa implica un’attivazione emotiva giorno dopo giorno? Secondo lo psicologo
Anderson, che ha svolto numerose ricerche sugli effetti dei videogiochi sul
comportamento infantile e adolescenziale, un sovraccarico di immaginario ricco di
emozione può avere effetti antisociali: il gioco Mortal Combat induce delle modifiche
della personalità. I giochi di movimento hanno un ruolo essenziale nella costruzione
della socializzazione e nella cosiddetta intelligenza emotiva. Un gioco di gruppo all’aria
aperta comporta sensazioni, percezioni, emozioni. Nel corso dello sviluppo del cervello,
questo ha bisogno di esperienze motorie e tattili: giocare con la sabbia e con l’acqua,
fare costruzioni di cubi che concorrono alla maturazione delle aree cerebrali che
attivano le aree superiori del pensiero complesso e del linguaggio vs realtà virtuale, che
offre una dimensione bidimensionale. Oggi Maria Montessori nel suo volume della
Mente del Bambino, afferma che le esperienze dirette non si limitano ad entrare nella
mente del bambino, ma la formano-bambino crea la carne mentale, usando tutte le
cose che sono nel suo ambiente- Mente Assorbente.

GIOCHI DIDATTICI E STILI DI PENSIERO

Edutainment=neologismo inglese-fusione tra education e entertainment-= situazioni in


cui si ha l’apprendimento ludico basato sull’utilizzo di video-giochi, software educativi; o
anche concetto psicopedagogico=stili di gioco e scelte praticate da un ragazzo che
possono dire molto sulla personalità e sullo stile d pensiero proprio. Stile di
pensiero=modo di pensare preferito che caratterizza tutti i nostri processi cognitivi e
metacognitivi-le persone con strategie diverse possono arrivare a livelli simili di
conoscenza, sono il prodotto di diversi fattori, quali: abilità individuali, personalità e
temperamento-introversione estroversione, motivazione e la percezione-il modo in cui
noi percepiamo e rappresentiamo l’ambiente. Gli oggetti si classificano sulla base di stili
e atteggiamenti diversi: concettuale-inferenziale, tematico-relazionale, analitico-
descrittivo. In linea di massima questi programmi digitali possono essere utili se non
inquadrano un particolare pensiero in un contesto rigido.

CAPITOLO 5

Daniel Dennett-filosofo della mente contemporaneo-, definisce gli esseri umani come
macchine cognitive, nel senso che traggono vantaggio da strumenti esterni, come le
tecnologie di comunicazione, manipolando la realtà e agendo sul pensiero. Sono quindi
gli esseri umani a crearsi un contesto cognitivo da cui trarre vantaggi. MA… La mente
coincide con il cervello? E se è si le neuroscienze ci danno un quadro completo della
mente umana? Queste non sono altro che domande mal poste in quanto secondo Clark
una delle caratteristiche più importanti e fondamentali della mente è la sua estensione.
La mente infatti non soltanto esteriorizza tramite linguaggio complessi concetti che a
loro volta formano il pensiero, ma sfrutta anche le tecnologie, da quelle semplici, come
penna e quaderno a quelle più complesse, smartphone o un computer. Questi
strumenti amplificano il potenziale della mente e agiscono a loro volta su di essa,
plasmandola, dandole nuove forme e capacità. Partiamo dal linguaggio, strumento
attraverso cui comunichiamo con le altre persone. Il linguaggio ci aiuta a definire diversi
aspetti della realtà e modifica la percezione e favorisce l’elaborazione di un sistema di
associazioni -diviene secondo Bruner un amplificatore del pensiero. In alcuni casi il
linguaggio parlato non è sufficiente, ma occorre pure la scrittura anche per
materializzare un concetto-foglietto di carta=strumento attraverso il quale la nostra
mente supera i propri confini, diviene estesa. Le relazioni tra mente e corpo sono
troppo evidenti: è per mezzo del nostro corpo che esploriamo la realtà, ce la
rappresentiamo, la modifichiamo ed è per mezzo di una serie di strumenti che gli esseri
umani hanno creato. Nel nostro rapporto con la realtà ha influito pure la
rappresentazione simbolica-pantomima e suoni prelinguistici, in seguito raffigurazioni
stilizzate di animali; in entrambi i casi sono stati varcati i confini della mente. Molti
scienziati cognitivi infatti studiano la mente non solo attraverso il rapporto con il
cervello e con il corpo ma anche attraverso l’interazione con gli strumenti esterni- non
1e solo il cervello a immagazzinare l’informazione, ma oggi vi sono mezzi esterni come
post-it che plasmano la memoria e ci aiutano a risolvere attraverso parole e simboli
problemi complessi. Cervello=parte di un processo esteso in senso spaziale e temporale
da cui dipende la qualità del pensiero

IMMAGINI, IMMAGINAZIONE, IMMAGINARIO

Le tecnologie cognitive non riguardano solo il linguaggio ma anche altri aspetti della
mente, cioè la produzione di immagini mentali. Generare immagini mentali sono
attività che richiedono un notevole impegno mentale; per la mente l’analisi di una
figura complessa, come emerge dalla Pet richiede un lavoro enorme e una fitta
mobilitazione di aree e reti nervose. Un artista infatti può raffigurarsi in mente
l’immagine del tema che vuole portare ma avrà difficoltà quando andrà a lavorarci.
L’immaginazione e la costruzione di un disegno sono diverse: nel disegno la realtà viene
esteriorizzata e la mente passa a una rappresentazione estesa. Immaginate uno di quei
pavimenti in cui le mattonelle di varie forme e colori formano un particolare disegno,
magari una figura geometrica più piccola dentro una più grande-è facile individuare
questo disegno sul pavimento ma è molto difficile immaginarle mentalmente e creare
nuove forme; ecco che si ricorre al bozzetto, che per l’artista è un processo creativo
basato su errori e prove e un modo per esteriorizzare le immagini, variarne e la
struttura. Il confine tra immagine mentale e immaginazione è tenue per un bambino,
per questo un sasso può trasformarsi in una macchina, uno stecco in un treno, ecc. Oggi
però i nuovi media propongono una distinzione tra immaginario=specie di viaggio
organizzato-passivo e immaginazione=percorso che va costruito-stimola l’attività
creativa della mente. Il confine tra vero e falso oggi con i media è sfumato, la
televisione può far diventare ciò che è vero falso e ciò che è falso vero-confusione che si
genera anche nell’adulto, però mentre questo resta impressionato dalle immagini di
guerra -guerra del golfo-; un bambino può essere turbato da quelle immagini e può
spingersi a pensare che siano cose veramente esistite e che esistono ancora. Oggi il
massiccio flusso di informazioni che mandano bucano la nostra attenzione-idem per le
emozioni, idem per i messaggi a sfondo sessuale. Oggi le immagini in televisione sono
prefabbricate, diverse da quelle che danno sui libri, spiazzando completamente la
capacità immaginativa dei bambini.

I LINGUAGGI DELL’ASSENZA
È possibile che la televisione, i videogiochi e le nuove tecnologie della comunicazione
influiscano sulla psiche delle nuove generazioni-ci sono stati molti studi condotti da
psicologi, pedagogisti sui cosiddetti “linguaggi dell’assenza”, legati al vedere, al
comunicare, all’attingere informazioni. Oggi emergono però altri problemi di tipo fisico:
un’inchiesta in Giappone da parte del Ministero dell’Educazione ha visto come i
bambini videodipendenti fossero grassi e pigri e miopi-rammolliti dai video. In un
documento prodotto in Francia, si afferma che l’età inadatta alla televisione sia fino ai 3
anni-età in cui si ha l’agire sulla realtà, in questo contesto il bambino diviene spettatore,
riducendo la sua capacità di attore. Se il bambino sta davanti al televisore o al computer
non lo fa perché ha qualche capacità tecnologica, ma solo perché è attratto dalla
dimensione tattile dei tasti, dal far succedere qualcosa-la console infatti è bandita fino
all’età di 6-7 anni. Un altro aspetto dei videogiochi e più generale della televisione e del
computer riguarda la concentrazione infantile-riguarda il tempo di esposizione.
Christakis e Zimmerman hanno indicato come un bambino piccolo che consumi un’ora
di televisione al giorno avrà il rischio di deficit dell’attenzione, nel corso delle scuole
elementari-idem per i bambini delle elementari, avranno il 50% di probabilità di deficit
dell’attenzione- l’attenzione che si ha davanti uno schermo non 1e uguale all’attenzione
che si ha a scuola, in quanto questa si sceglie e si decide.

UN MONDO VIRTUALE

Oggi si ha una generazione di post-adolescenti, giovani seduti di fronte a un telefono e a


un computer esaurendo dinamiche sociale e sessuali-non si ha né tempo e né voglia di
incontrare persone. Nel film del 1995 Hello Denise! Diretto da Hal Salwen si dimostra
come la vita virtuale sia più facilmente raggiungibile di quella reale, meno problemi-
tratti di giovani adulti che dipendono dalle tecnologie dell’assenza ma manifestano
anche un nuovo modo di guardare il mondo e cogliere segnali-i media fanno presa sulla
mente infantile, i bambini appena possono esplorano l’ambiente e sono attratti dalle
sfide, dagli indovinelli-acquisizione di fiducia in se stessi-giocano un ruolo importante
pure i media e la televisione usati in giuste quantità, se c’è eccesso si rimane
intrappolati in un modo senza concretezza.

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