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A partire dalla nascita veniamo catapultati in un mondo pieno di stimoli nuovi, dove
grazie ai nostri sensi, riusciamo ad entrare in contatto con questo e riusciamo a fare
esperienze che irrorano la nostra ingarbugliata rete di trame nervose del cervello, con
lo scopo principale di dare un senso alla realtà, e questa attività avviene in modo
spontaneo, perché siamo già fatti, cioè predisposti per riconoscere questi stimoli
fondamentali. Per esempio, un neonato è maggiormente attratto dalla voce della
madre, piuttosto che da un'altra, perché durante gli ultimi mesi di gestazione ha
memorizzato alcune caratteristiche della voce della madre, inoltre egli è geneticamente
predisposto a riconoscere un corpo umano in movimento, anziché uno statico e dopo
che la sua visione sarà più chiara e definita, le sue reazioni dinanzi ad un volto umano,
non dipendono più dall’istinto, ma dall’esperienza di riconoscere un volto noto,
piuttosto che uno comune. Tutte queste modifiche vengono legate ai cambiamenti che
si creano all’interno della struttura del cervello, cambiamenti quindi che dipendono non
solo da un programma genetico, ma dipendono anche e principalmente dalle
esperienze sia spontanee che indotte e sia positive che negative.
NEUROPEDAGOGIA= INCONTRO TRA NEUROSCIENZE E INSEGNAMENTO: cioè una
pedagogia strettamente intrinseca con lo sviluppo della mente e del cervello infantile.
Molti studi ci dimostrano come nella relazione tra bambino e adulto, le esperienze
interpersonali (soprattutto l’emozione) non solo sviluppano le capacità cognitive ma
regolano anche gli ormoni che condizionano la riscrittura genetica, permettendo così
che alcuni geni diventino espressivi, mentre altri silenziati, al contrario, la mancanza di
esperienze o la scarsità di cure educative, possono provocare effetti negativi sulle
SINAPSI (contatti tra le cellule nervose), diminuendone la complessità.
L’educazione ha dunque il compito di “dare forma” al cervello.
La neuro-pedagogia è fortemente legata al concetto di PLASTICITA’ NEURALE cioè al
fatto che il cervello umano può produrre continuamente neuroni e sinapsi condizionate
dall’ ESPERIENZA, cioè gli stimoli ambientali.
Un altro aspetto fondamentale della neuro-pedagogia è il RAPPORTO TRA SENSI E
MOTRICITA’ infatti durante lo sviluppo il cervello necessita di fare esperienze tattili e
motorie, oltre a quelle uditive e visive, che consentono la maturazione delle aree del
linguaggio e del pensiero complesso, perché la mente infantile si basa sull’interazione
diretta e sui tentativi da parte del bambino. Tutto questo venne descritto da Maria
Montessori (nel volume La mente del bambino), in quanto lei aveva notato, infatti come
le esperienze dirette e le impressioni, formassero la mente del bambino.
Oggi l’obiettivo è quello di utilizzare le conoscenze del cervello per apprendere e saper
usare le sue capacità e per stimolare le varie arie, es imparare a leggere usando le dita,
così i bambini imparano a riconoscere le parole molto più velocemente rispetto al
metodo tradizionale. Inoltre le moderne strategie neuro-pedagogiche sfruttano
l’associazione tra emozioni positive, apprendimento e memoria.
Molte ricerche ci mostrano che esiste un rapporto profondo tra esperienza precoce e
funzione cerebrale, e queste ricerche sono basate su meccanismi di tipo epigenetico.
L’EPIGENETICA fa riferimento a quei cambiamenti che condizionano il fenotipo (insieme
di tutte le caratteristiche visibili di un essere vivente) senza alterare il genotipo (insieme
delle caratteristiche genetiche di un organismo) cioè tutte quelle modifiche ereditabili
che cambiano l’espressione genetica senza alterare la sequenza del DNA.
Per comprendere lo studio della neuro-pedagogia è innanzitutto fondamentale capire
come si sviluppa il cervello e le funzioni che dipendono da esso a partire dalla sua
nascita.
La neuro-pedagogia non vuole di sicuro prendere il posto della pedagogia, ma vuole
mostrare ai genitori, ai docenti e agli educatori come le numerose esperienze
dipendono da come è fatto e come funziona il cervello e come queste conoscenze
possono essere utili per migliorare il processo formativo.
CAPITOLO 1
Per stimolare il cervello è necessario conoscere come e quando si sviluppa, quali sono i
passi salienti delle sue trasformazioni. Molto spesso si parla del comportamento dei
bambini non prestando attenzione al fattore età: in realtà ogni età ha le sue
caratteristiche biologiche e ogni bambino ha una sua individualità. Molto importanti
oggi le tecniche di neuro imaging che ci hanno permesso di scoprire la divisione del
cervello in aree cerebrali diverse e la loro relazione e come gli stimoli sensoriali
agiscono sulla corteccia cerebrale. Anche il cervello come tutto il resto del corpo, nel
corso dello sviluppo va incontro a importanti modifiche che riguardano la quantità-il
volume cerebrale: alla nascita 60%, poi a 5 anni 75%, 6 anni 90% e circa 12 anni 100%; il
cervello cresce rapidamente ma il volume non ci dice qualcosa di chiaro sul potenziale
cerebrale: un neonato non dispone del 60% delle potenzialità comportamentali di un
adulto e nemmeno un ragazzo di 12 anni con il massimo del volume cerebrale si
comporta da adulto. Quali sono le caratteristiche che rendono il cervello di un ragazzino
immaturo? Per rispondere dobbiamo considerare il numero di neuroni o cellule
nervose; il cervello come tutti gli altri organi è formato da un tessuto particolare, il
tessuto nervoso il quale presenta cellule nervose con una particolare caratteristica,
quella di scambiarsi messaggi. La comunicazione nervosa si basa sul fatto che i neuroni
modificano le proprie caratteristiche elettriche quando si eccitano che fanno si che a
un’estremità del neurone vengono liberate molecole chimiche, attraverso cui i neuroni
comunicano-la qualità specifica della rete di neuroni è lo scambio di informazioni
seguendo itinerari che sono tracciati e consolidati dall’esperienza-per dar forma ai
circuiti nervosi occorre un duro lavoro di potatura attraverso cui si eliminano i neuroni e
le sinapsi in eccesso e i circuiti ridondanti
Questa pratica è molto importante perchè permette di consolidare i neuroni utili per
una specifica funzione. Una caratteristica importante del cervello di un neonato è che
ha tra il 30 e il 60 % di neuroni in più rispetto al cervello di un adulto-quindi poi pratica
di potatura; anche le fibre nervose nel cervello neonatale sono più numerose.
Un secondo aspetto molto importante del processo di maturazione riguarda le
sinapsi=punti di contatto tra neurone e neurone, essenziali per dare forma ai circuiti
nervosi; esse sono dinamiche e si formano dopo una particolare esperienza. Dopo la
nascita le sinapsi vanno incontro a due diversi processi: formazione di nuove sinapsi e
potatura di quelle in eccesso. In generale maturano più precocemente quelle aree in cui
si ha la decodificazione delle sensazioni o la produzione di movimenti che quelle da cui
dipendono le funzioni cognitive. Molti studi hanno dimostrato come il processo di
maturazione sia lento e si spinge oltre l’adolescenza, visibile nella corteccia frontale in
cui all’età di 20-22 anni sono presenti isolotti di cellule nervose non connesse tra loro
da fibre mature-il cervello raggiunge tardi la sua maggiore età ma ciò non dipende solo
dal programma genetico ma anche dalle esperienze che facciamo.
LO SVILUPPO DELL’IO
DIVENIRE CONSAPEVOLI
I neonati hanno una visione sfocata e percepiscono solo stimoli grandi, per esempio la
sagoma di un volto umano, in seguito la visione è più a fuoco e premette di reagire a
stimoli piccoli, come la bocca o gli occhi di qualcuno. La capacità della visione dipende
dalla formazione di circuiti visivi selettivi, data dalla potatura delle sinapsi che
disperdono l’informazione in rivoli secondari. Vedere però non vuol dire comprendere
ed essere consapevoli del significato di ciò che si è percepito-cervello fotografa la realtà
senza comprendere il senso. Molto interessante è la capacità di riconoscersi allo
specchio. Un bambino al di sotto di un anno di vita è attratto dalla propria immagine
riflessa ma non comprende effettivamente che quel volto è il suo-bisogna aspettare i
18-24 mesi. Per dimostrare questa capacità è stato ideato il test della macchia rossa da
Gallup; si disegna un pallino rosso sulla fronte del bambino che si specchia: se questo
vuole toccare la pallina cercando di toccarla nello specchio, allora non riconosce la
propria immagine, se questo vuole toccare la pallina e la tocca nella sua fronte allora
conosce la sua immagine riflessa ed è autocosciente-legato a un maggior livello di
maturazione della corteccia frontale cerebrale. In realtà i bambini possiedono
meccanismi interni che consentono loro di percepire il mondo in maniera simile agli
adulti… Le aree del cervello legate alla visione si attivano nelle persone adulte quando
la foto che ritrae il volto viene mostrata per 300 millesimi di secondo: il segnale è
portato dalla corteccia visiva-posteriore al cervello alla corteccia prefrontale; se il
segnale è presente allora la persona ha consapevolezza di ci1o che ha visto. Per i
bambini non è cosi, il segnale è presente se l’immagine viene mostrata per 900
millisecondi, nei bambini più grandi è presente quando l’immagine è mostrata per 500-
750 millisecondi-se si mostra al bambino qualcosa che lo attrae allora questo è
presente. PRESENZA DI SEGNALE= indicatore di pensiero cosciente, l’immagine è
memorizzata per un breve periodo nella memoria di lavoro del cervello. Molto
importante quando il bambino tra i 3 e 4 anni comincia a distinguere se dagli altri o
oggetti a cui attribuisce una mente. Se un bambino a 3 anni vede mettere in un
sacchetto da un adulto delle palline nella scatola dei colori, alla domanda se l’orsetto
che è con lui sa che la scatola contiene delle palline risponderà positivamente. Se si fa
lo stesso test su un bambino di 4 anni, questo risponderà che l’orsetto era assente
durante il test, quindi mente del bambino diversa da quella dell’orsetto. Vi sono diverse
teorie sul rapporto tra lo sviluppo della mente e capacità di attribuire agli altri uno stato
mentale autonomo. C’è chi sostiene che vi siano 4 stadi in cui il bambino passa dal
capire che i fatti hanno origine e avvengono per volontà di qualcuno, dal capire che gli
altri stanno guardando oggetti diversi da quelli che guarda lui, da ascoltare l’atra
persona e prestare attenzione a una vera e propria teoria della mente. Un’altra teoria
molto importante da invece importanza al ruolo del linguaggio: prima bambino
scienziato, poi psicologo e infine linguista, con il linguaggio conosce da forme di
conoscenza inconsce a forme consce.
CAPITOLO 2
Gli esseri umani parlano e comprendono le parole che ascoltano grazie ai centri del
linguaggio situati nell’emisfero sinistro. Il linguaggio non si basa solo sulle aree del
linguaggio, motorie o sensoriali: esso dipende da una rete di interazioni con gli altri
sistemi e aree del cervello specializzate nella rappresentazione di oggetti, nella
percezione, nella motricità: le aree prettamente linguistiche e quelle che si riferiscono
al corpo, all’ambiente e al contesto. Tramite un esperimento è stato scopeto che
tamburellare con il dito medio della mano destra è più difficile in quanto si verifica una
competizione tra risorse linguistiche e motorie dell’emisfero sinistro. I punti di contatto
tra azioni motorie e linguaggio non si limitano a questo aspetto: il linguaggio è
caratterizzato da sequenze logiche, da parole, che devono venire prima o che devono
fare seguito alle altre. Se consideriamo il linguaggio come una serie di operazioni,
possiamo vedere come questo rispecchi metafore e analogie basate su funzioni del
corpo: le operazioni motorie e le esperienze corporee basate su parametri su, giù,
dentro, fuori si sono tradotte in schemi generali e convenzioni linguistiche: sale la
tensione, crollano i prezzi, ecc… Il linguista Noam Chomsky sostengono che il linguaggio
sia innato, in quanto tutti noi facciamo le stesse esperienze fondamentali basate sulle
percezioni, movimenti e azioni simili. Il linguaggio però è il prodotto pure
dell’affinamento e potenziamento di una serie di attività cognitive già coinvolte nelle
funzioni sensoriali; impariamo a parlare perchè in passato abbiamo imparato a
scheggiare una pietra, ecc-parte di un continuum che dai gesti si estende fino alla
comunicazione verbale.
Il linguaggio si origina a partire dai movimenti; lo sviluppo delle memorie motorie nel
corso dell’infanzia indica che la memoria non è solo un fatto mentale ma anche
corporeo, basato su procedure non esplicitabili.
Un secondo aspetto riguarda la comunicazione pre-grammaticale e pre-lessicale del
bambino nel primo anno di vita: prima il neonato piange o perché ha fame o perché ha
sonno; dai primi 3 mesi si accorge che il pianto attrae l’attenzione della mamma o del
papà-a partire dal secondo anno il pianto come mezzo di comunicazione e richiamo
diminuisce. Nel corso del primo anno di vita emerge un repertorio iniziale di mimiche e
gesti e vocalizzi. Per quanto riguarda l’imitazione questa inizia con il balbettio dei 3
mesi; poi ai 6 mesi imita semplici suoni pronunciati dagli altri, a 11 mesi il bambino può
pronunciare ma-ma, pa-pa; a un anno il bambino imita suoni specifici.
PARLARE E SCRIVERE
A pochi giorni dalla nascita un neonato francese si attacca al seno materno quando
sente parlare francese anziché tedesco o inglese-i neonati vengono al mondo con una
preferenza per la lingua parlata dalla madre, lingua cvhe hanno ascoltato nel corso del
loro sviluppo intrauterino. I bebè sono anche sensibili appa prosodia, la combinazione
di ritmo, accento e intonazione del linguaggio soprattutto del linguaggio della madre.
Gli studi in questo settore sono stati condotti da due ricercatori dell’univeristà di
California quando notarono che se si allevano dei topolini in ambiente caratterizzato da
un rumore bianco continuo, gli animali presentavano delle anomalie strutturali e
fisiologiche dal punto di vista acustico-perché la loro corteccia uditiva non si era
sviluppata. Negli esseri umani, i nuclei uditivi del tronco encefalico sviluppano le loro
connessioni con la corteccia se ricevono stimoli acustici-alla ventisettesima settimana, il
feto cambia posizione se sente una melodia sulla pancia della mamma,
successivamente reagisce ai suoni forti e ai cambi di altezza. I suoni continui che variano
progressivamente, le melodie tipiche delle ninne-nanne e del cosiddetto maternese
sono stimoli ideali per far maturare le competenze uditive prima di un feto, poi di un
neonato. Ritorniamo alla voce materna, vedendo come il bambino sia più sensibile alla
voce materna che a quella degli estranei, sintomo che ha memorizzato alcune
caratteristiche del timbro vocale materno. Un’altra caratteristica della reattività infantile
al linguaggio concerne la capacità di differenziare parole da parole senza senso o da
sequenze di fonemi: attività cerebrale diversa se ascolta parole con senso e parole
senza senso. Il bambino quando riconosce il significato delle parole? Prima si pensava
non prima dei 10-12 mesi, oggi invece molte ricerche indicano come in un’età media
intorno ai 7 mesi cominciano i bambini già a riconoscere il significato delle parole,
parole usate e nominate spesso dai genitori. Fu fatto un esperimento: il lattante posto a
sedere sulle ginocchia del genitore, il quale era bendato per evitare possibili
suggerimenti involontari legati alla posizione dell’oggetto proiettato su uno schermo sul
quale comparivano oggetti come una mela; a questo punto il ricercatore suggeriva la
frase da dire al lattante: prendi la mela, dov’è la mela?- ebbene si all’età di 6 mesi il
bambino fissava l’oggetto nominato dal genitore. Vi è quindi una chiara dissociazione
tra l’età in cui pronunciano le parole e l’età in cui le comprendono- nell’arco di sto
tempo i piccoli sviluppano la capacità di parlare, grazie alla maturazione di aree
linguistiche situate sull’emisfero sinistro. Lo sviluppo del linguaggio è variabile: intorno
ai 12 mesi prime parole, dai 12 ai 18 mesi 50 parole nuove che si riferiscono agli oggetti,
dai 24 ai 2 anni si ha l’acquisizione di nuovi vocaboli aumenta: 7-9 parole al giorno. Cosa
succede al cervello? Le onde elettriche registrate in risposta alle parole che un bambino
riconosce diventano laterizzate, cioè si fissano nell’emisfero sinistro.
Il nostro cervello è molto preparato per elaborare l’informazione visiva: circa metà delle
sue strutture è addetta alla visione. Le competenze visive sono più espanse
nell’infanzia: un bambino ha la capacità di registrare informazioni visive sotto forma di
immagini grazie alla massiccia memoria iconica di cui è dotato il cervello, questo non
accade per l’informazione uditiva. Rappresentare la realtà in immagini aiuta a
memorizzare e a imparare meglio: le esperienze visive sono 3-4 volte più efficaci di
quelle uditive e quelle audio-visive 2 volte più efficaci di quelle visive. L’esperienza visiva
viene rielaborata e classificata sulla base delle sue caratteristiche e di esperienze
precedenti. Perché ciò avvenga la nostra mente deve affrontare una nuova
informazione con una serie di esperienze più o meno simili che hanno lasciato una
traccia nella nostra memoria. Ad esempio, un bambino piccolo che non è ancora in
grado di leggere e scrivere ma al quale viene mostrato il suo nome “ANDREA”, scritto su
un cartoncino. Il bambino analizza l’immagine e in seguito sarà in grado di coglierne le
caratteristiche e di individuare la stessa parola, purchè scritta con gli stessi caratteri
maiuscoli; se gli mostrassimo il suo nome scritto Andrea non lo riconoscerebbe, in
quanto ha memorizzato il suo nome scritto sotto forma di un insieme di segni. Se gli
mostriamo un insieme di segni simile ANDRÒ, lui continuerà a leggere ANDREA o
guarderà sconcertato sperando di aver indovinato, lo stesso accade per la lettera A, che
il bambino memorizzerà ma poi alla visione della V rimarrà sconcertato.
Per le esperienze di tipo verbale, una parola si fissa legandola a delle associazioni di tipo
visivo: forza-leone, equilibrio-giocoliere, rendono il messaggio più efficace. Questo
apprendimento per associazione ha aspetti positivi e aspetti negativi; positivi perchè
aiutano ad apprendere e memorizzare meglio, negativi perché portano alla non
distinzione tra reale o no.
IL CERVELLO BILINGUE
È assai più facile imparare precocemente una seconda lingua, anche per quanto
riguarda la pronuncia; per esempio un giapponese adulto che ha difficoltà a distinguere
il suono r da l, sa pronunciare bene entrambi se da bambino ha imparato sia la lingua
madre che l’inglese. IL bilinguismo nei bambini si ha perché nel loro cervello la stessa
area della corteccia-linguaggio -fronto-parietale sinistro, si attiva per entrambe le
lingue: in quelli che apprendono tardivamente, una seconda lingua si attiva in due
diverse regioni: per un adulto è difficile acquisire nuove competenze fonetiche perché
le sue mappe del linguaggio interferiscono tra di loro. Un bambino piccolo quando
comincia a parlare, deve mobilitare entrambi gli emisferi: poi, lentamente, l’emisfero
sinistro prende il sopravvento e il destro non manipola più il linguaggio-per la prima
lingua; se deve apprendere due lingue nello stesso tempo conviene che i genitori non
utilizzino entrambe le lingue ma solo una delle due. Quando il bambino apprende
precocemente la prima lingua e la seconda intorno ai 3 anni, esse reagiscono agli errori
grammaticali con l’attivazione dell’emisfero sinistro, quelli che apprendono
tardivamente, reagiscono con l’attivazione dell’emisfero destro-compartecipazione di
un emisfero che non è linguistico, in quanto non è molto competente per quanto
riguarda le funzioni linguistiche.
LA DISLESSIA
CAPITOLO 3
SVILUPPARE L’ATTENZIONE
Qualche anno fa due psicologi dello sviluppo dell’Università del Colorado, Friedman e
Miyake hanno proposto un modello delle funzioni esecutive che si basa su
inibizione=capacità di sopprimere informazioni non pertinenti interne e sterne, la
flessibilità=capacità di passare da un’operazione mentale all’altra,
l’aggiornamento=modifiche del contenuto della memoria di lavoro o a breve termine-
tre componenti fino ai 5 anni non differenziate, poi autonome. La quantità di
informazioni manipolate aumenta progressivamente a partire dai 5-6 anni; sino ai 7
anni i bambini non utilizzano la ripetizione subvocale, mentre in seguito cominciano a
farlo muovendo le labbra. Anche il doppio codice verbale e visivo entra in funzione
all’età di 7 anni. Per fare esperienze significative, memorizzare, apprendere è necessario
selezionare alcuni fra i tanti stimoli che bombardano la nostra mente e in particolare la
mente di un bambino piccolo. L’attenzione di un bambino piccolo è di brevissima
durata, spesso poche decine di secondi è il tempo in cui il bambino fa u esperienza di
ciò che c’è di nuovo. La labilità dell’attenzione è legata all’immaturità della corteccia
frontale che ha il compito di reprimere gli stimoli irrilevanti. Anche le modalità di
sviluppo dell’attenzione sono diverse nel corso della storia. Se un bimbo piccolo si
distrae da un compito, è difficile che questo torni a concentrarsi nuovamente su di esso.
Anche nei bambini di 6-7 anni l’attenzione è di circa 15 minuti, mentre un ragazzo di 15-
16 anni è in grado di prestare attenzione per circa 30-45 minuti. Per favorire
l’apprendimento bisogna utilizzare sperienze di breve durata e alternare argomenti e
codici sensoriali; bisogna favorire l’assunzione di un ruolo attivo, spingendo il bambino a
individuare ciò che di più lo attrae nella pagina di un libro. Un fattore che si
contrappone all’attenzione è l’ansia: se un bambino è preoccupato, se vi sono tensioni
familiari, ecc l’attenzione diminuisce, la mente è sempre rivolta ad altri pensieri o si
trova in uno stato di confusione; un altro fattore è la distrazione di televisori e
videogiochi, i genitori devono coinvolger i figli con una specie di contratto in cui si
stabilisce quali ore dedicare allo studio, quali alla letteratura e quali ad altre attività.
RICONOSCERE E RIEVOCARE
TIPOLOGIE DI MEMORIE
Negli ultimi anni i psicobiologi hanno delineato meglio diversi aspetti della memoria,
indicandone due diverse forme:
Memoria di tipo procedurale o implicita: formazione di abitudini, nelle routine
motorie - A
Memoria di tipo dichiarativo o esplicita: informazioni comunicabili- B
1. B divisa in: memoria episodica- es: ricordo di una trama di un film; questa si basa
su un legame non-cognitivo tra uno stimolo e una risposta e può non implicare la
coscienza
2. Memoria semantica- es: i nomi dei personaggi di quel film; questa fa capo a
processi cognitivi coscienti.
Gran parte della vita si basa su memorie di tipo dichiarativo, memorie costruite nel
tempo per edificare un edificio di conoscenze in cui ci è difficile rintracciare le origini
delle singile esperienze e ricordi. Un’ulteriore differenza tra i due tipi di memorie
consiste nel fatto che quella di tipo associativo-procedurale è ai livelli inferiori della
filogenesi e si presenta precocemente sin dalle prime fasi dello sviluppo umano; al
contrario la memoria di tipo dichiarativo compare più tardi nel corso della filogenesi e si
sviluppa più tardi. I sistemi delle memorie sono molteplici e svolgono funzioni ben
diverse- alcuni compiti possono essere appresi e risolti nell’ambito di una
rappresentazione per immagini, mentre altri richiedono una rappresentazione di tipo
simbolico-astratto, vale anche per altre specie animali.
Esiste un’altra suddivisione:
I. Memoria a breve termine, una sorta di lista della spesa che viene dimenticata
quando se ne fa uso.
II. Memoria a lungo termine
La memoria a breve termine ha capacità di 6-7 elementi di informazione; per esempio
davanti a un numero 6773561, piuttosto che ricordarlo così magari si ricorda più
facilmente così 67-73-561 ma solo per breve durata; se questo pero viene ripetuto più
volte passa dalla memoria a lungo termine, a cui affidiamo ricordi quali un episodio
della nostra vita, il volto di una persona nota, l’apprendimento di concetti.
MIGLIORARE LA MEMORIA
Alcuni di noi sono favoriti dal fatto di avere una buona memoria, di ricordare quanto
hanno appena visto e letto ma possibilmente non scindono questa dalla comprensione
del significato dell’esperienza. La memoria va trattata come un muscolo, ricorrendo
all’esercizio e alla ripetizione. Nel passato questa strategia veniva seguita dagli studenti
fin dalla scuola elementare- venivano mandati a mente intere poesie e interi brani, vi
erano poi esercizi specifici su come imparare quelle nozioni importanti. La pratica delle
ripetizioni può presentare i suoi vantaggi, ma ha i limiti di tutti gli apprendimenti a
pappagallo: se si limita a rileggere o a ripetere ciecamente, essa può essere scissa da
una reale comprensione. Per potenziare la memoria invece si usano alcune strategie
tradizionali, già seguite da oratori come Cicerone che dovevano ricordare citazione
basate su associazioni tra ricordi consolidati e materiale da imparare ex novo-
Riedizione dell’antica arte della memoria- Rinascimento fino al 700. Si tratta del
materiale da mandare a memoria, per esempio date storiche a dei luoghi ben noti,
come le diverse stanze della casa in cui si vive-in ogni stanza che si percorre si sistema
una piccol porzione di materiale da memorizzare, una data appunto. Queste
associazioni mentali possono migliorare l’apprendimento. Per esempio se non
ricordiamo il nome di una persona possiamo ricorrere alle sembianze, all’incontro con
quella persona ecc.. Gli studiosi indicano come memorie=processo mentale complesso
che dipende da un complesso processo di costruzione di categorie, generalizzazioni e di
significati. Per cui se si vuole imparare una materia, bisogna ricorrere alla mappa
concettuale che varia da individuo a individuo in base alla logica ecc..
STIMOLARE IL CERVELLO
La vecchiaia può apparire come una fase negativa, caratterizzata da acciacchi, memoria
zoppicante, problemi neurologici. Un punto fondamentale è conoscere come
funzionano il corpo e la mente di un adulto e di un anziano e quindi seguire una serie di
strategie adatta a prevenire quei segni. L’invecchiamento cerebrale non è ineluttabile:
nel corso degli ultimi anni le neuroscienze hanno indicato come il cervello sia un organo
plastico, anche nell’età avanzata e come abbia bisogno di stimoli continui per
conservare la plasticità. Gli studi sulla terza età inducono a seguire una dieta
appropriata che ostacoli l’accumulo di quei radicali liberi i quali, ossidando le cellule
nervose, riducono l’efficienza del cervello, sia la scelta di uno stile di vita che ritardi quei
fenomeni involutivi del corpo e delle mente. La struttura e le funzioni del cervello si
modificano in rapporto all’ambiente e alle nostre esperienze: in positivo se queste sono
stimolanti, in negativo se il cervello manca del cibo di cui ha bisogno-è fondamentale
tener viva la mente. Uno dei segnali più evidenti dell’invecchiamento cerebrale riguarda
la memoria: le sue manifestazioni si hanno a partire dai 50-60 anni, quando questa
capacità della mente comincia a darci qualche dispiacere nel momento in cui vogliamo
ricordare qualcosa. I primi segnali riguardano i nomi, i cognomi, i numeri di telefono…
perché il nome e il cognome non sono connotativi-non si riferiscono alle proprietà della
persona. La memoria zoppica anche in condizioni di stress. Pur conservando le memorie
semantiche relative al suo passato, una perosna avanti negli anni memorizza con
minore efficienza eventi nuovi: questa carenza dipende da tre fattori: riduzione della
capacità di attenzione, una minore capacità del cosiddetto magazzino della memoria a
breve termine e infine la minor efficienza del cervello a formare nuove sinapsi.
Partiamo dall’attenzione-si può potenziare l’attenzione senza aspettare di essere
anziani: a partire dalla maturità le capacità di concentrazione e memoria possono
essere migliorate sviluppando un atteggiamento attivo-attenzione selettiva:
coinvolgimento dei sensi, individuazione dell’aspetto fondamentale del messaggio e
sull’interpretazione razionale. Il calo della memoria però è l’aspetto più evidente nella
terza età. Il passaggio dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, il
cosiddetto consolidamento, richiede pi1u tempo nell’anziano, in quanto si basa sulla
formazione di nuove sinapsi. A partire dall’età adulta, la produzione di nuove sinapsi
avviene a ritmo più lento. Anche la memoria di lavoro è meno efficiente. Le
trasformazioni che si verificano negli anni a carico della memoria sono un segnale che il
cervello si sta modificando. Con la vecchiaia si ha una perdita di neuroni a livello
dell’ippocampo-un nucleo nervose che consolida le esperienze e le riporta alla mente.
L’ippocampo gioca un ruolo importante non solo nel rintraccio dei ricordi ma anche
nelle memorie spaziali. Il lobo frontale è implicato nella gestione dell’informazione e
nel corso della vita il volume del suo magazzino si riduce. Il cervello dell’anziano si
comporta come un computer dotato di una scarsa memoria di accesso o RAM. Per la
gestione dell’informazione i neurologi consigliano di imparare a memoria un qualcosa,
poesie, testi, pezzi di frasi, ecc. ATTENZIONE però se viene sovraccaricato il cervello può
sentirsi confuso o fare confusione.
Una fitness per la terza età punta al benessere psicofisico, a una psicologia della salute
che passi attraverso appropriati stili di vita, adatti a mantenere le capacità del corpo e a
stimolare il cervello. Il decalogo è:
1. Cervello è plastico: se non lo si stimola, lo si perde.
2. A partire dalla mezza età, bisogna occuparsi della fitness mentale e fisica
3. Bisogna mantenere vivo il cervello quando comincia a perdere colpi
4. Impariamo a rilassarci, lo stress ha effetti negativi sul sistema nervoso
5. Variamo la prassi quotidiana-cambiamenti nella nostra vita
6. Cominciamo con un hobby che ci appassiona
7. Efficienza della mente dall’efficienza del corpo
8. Junk food non fa bene al corpo e alla mente
9. L’isolamento sociale è un fattore di rischio per l’anziano
10.Esercizi di fitness mentale
Si dovrebbe attuare questo decalogo fin dagli anni primi della maturità, quando si
ritiene che non si deve pensare al futuro; mentre chi ha sofferto di qualche malattia
durante gli anni della gioventù è più esposto alle dèfaillances e quindi si preoccupa del
proprio futuro
CAPITOLO 4
INTELLIGENZA EMOTIVA
GESTIRE EMOZIONI
Nel suo celebre libro “Ragione e sentimento” Jane Austen si ha il contrasto tra
razionalità e emozione in rapporto alle scelte d’amore delle due sorelle: la prima,
impulsiva, che fa scelte sbagliate, mentre la seconda, logica e razionale, sceglie il marito
giusto…
Goleman ha affrontato per anni la differenza tra mente razionale e mente emozionale,
vedendo la prima come una modalità di comprensione cosciente e la seconda come un
sistema di conoscenza impulsiva e potente. La nozione di intelligenza emotiva implica
poi una distinzione tra competenze personali e competenze sociali: le prime si
riferiscono alla capacità di cogliere gli aspetti emozionali della vita, mentre le seconde si
riferiscono alla modalità con cui noi capiamo e comprendiamo gli altri. Gestire le
emozioni è fondamentale per le relazioni interpersonali. Per entrare in sintonia con
un’altra persona bisogna avere conoscenza e padronanza di sé-questo avviene fin
dall’infanzia, i bambini sviluppano capacità che comprendono: la fiducia in sé stessi, la
curiosità-scoperta=attività positiva, intenzionalità, l’autocontrollo-controllo delle
proprie azioni, la connessione-relazione con gli altri, il desiderio di scambiarsi idee e
concetti con gli altri, la capacità di cooperare in gruppo.
Recenti studi di neuro imaging indicano che a partire dall’infanzia, la capacità di
riconoscere un sentimento nel momento in cui si presenta è una forma di
autoconsapevolezza volta verso la propria esperienza, questo porta all’attivazione
simultanea di aree cerebrali implicate nell’emozione e nell’analis cognitiva-i nostri
sentimenti non sempre raggiungono all’autoconsapevolezza. Questa capacità implica lo
sviluppo di capacità di riconoscere precocemente la propria emotività a livello
fisiologico-sensazioni, verbale-saper dire cosa si prova mediante parole, cognitivo-saper
elaborare e riconoscere pensieri e sentimenti. Nei momenti difficili come in quelli
positivi, emozioni e sentimenti devono essere in equilibrio-ci1o determina il benessere
dell’individuo. Se però i sentimenti e le emozioni sono eccessive e estreme, queste
minano la stabilità.
Si parla di analfabetismo affettivo come dell’incapacità di porsi in relazione con il
prossimo o di prefigurare le conseguenze delle proprie azioni e ciò porta
all’egocentrismo che blocca i diversi aspetti della vita sociale. Un’inchiesta svolta in
Gran Bretagna su bambini delle scuole elementari e medie ha dimostrato che essi
conoscono al massimo una decina di parole relative alle emozioni e all’affettività-anche
a livello scolastico questi bambini hanno un vocabolario ristretto.
A livello scolastico si punta a un ampliamento del repertorio linguistico e delle capacità
degli studenti di parlare con se stessi e con gli altri-cioè cercare il proprio stato d’animo;
questo non è sempre facile, soprattutto in soggetti che non sanno parlare o non sono in
contatto con le proprie emozioni-non solo nella cultura nordeuropea o quella
statunitense ma anche nel nostro paese.
CAPITOLO 5
Daniel Dennett-filosofo della mente contemporaneo-, definisce gli esseri umani come
macchine cognitive, nel senso che traggono vantaggio da strumenti esterni, come le
tecnologie di comunicazione, manipolando la realtà e agendo sul pensiero. Sono quindi
gli esseri umani a crearsi un contesto cognitivo da cui trarre vantaggi. MA… La mente
coincide con il cervello? E se è si le neuroscienze ci danno un quadro completo della
mente umana? Queste non sono altro che domande mal poste in quanto secondo Clark
una delle caratteristiche più importanti e fondamentali della mente è la sua estensione.
La mente infatti non soltanto esteriorizza tramite linguaggio complessi concetti che a
loro volta formano il pensiero, ma sfrutta anche le tecnologie, da quelle semplici, come
penna e quaderno a quelle più complesse, smartphone o un computer. Questi
strumenti amplificano il potenziale della mente e agiscono a loro volta su di essa,
plasmandola, dandole nuove forme e capacità. Partiamo dal linguaggio, strumento
attraverso cui comunichiamo con le altre persone. Il linguaggio ci aiuta a definire diversi
aspetti della realtà e modifica la percezione e favorisce l’elaborazione di un sistema di
associazioni -diviene secondo Bruner un amplificatore del pensiero. In alcuni casi il
linguaggio parlato non è sufficiente, ma occorre pure la scrittura anche per
materializzare un concetto-foglietto di carta=strumento attraverso il quale la nostra
mente supera i propri confini, diviene estesa. Le relazioni tra mente e corpo sono
troppo evidenti: è per mezzo del nostro corpo che esploriamo la realtà, ce la
rappresentiamo, la modifichiamo ed è per mezzo di una serie di strumenti che gli esseri
umani hanno creato. Nel nostro rapporto con la realtà ha influito pure la
rappresentazione simbolica-pantomima e suoni prelinguistici, in seguito raffigurazioni
stilizzate di animali; in entrambi i casi sono stati varcati i confini della mente. Molti
scienziati cognitivi infatti studiano la mente non solo attraverso il rapporto con il
cervello e con il corpo ma anche attraverso l’interazione con gli strumenti esterni- non
1e solo il cervello a immagazzinare l’informazione, ma oggi vi sono mezzi esterni come
post-it che plasmano la memoria e ci aiutano a risolvere attraverso parole e simboli
problemi complessi. Cervello=parte di un processo esteso in senso spaziale e temporale
da cui dipende la qualità del pensiero
Le tecnologie cognitive non riguardano solo il linguaggio ma anche altri aspetti della
mente, cioè la produzione di immagini mentali. Generare immagini mentali sono
attività che richiedono un notevole impegno mentale; per la mente l’analisi di una
figura complessa, come emerge dalla Pet richiede un lavoro enorme e una fitta
mobilitazione di aree e reti nervose. Un artista infatti può raffigurarsi in mente
l’immagine del tema che vuole portare ma avrà difficoltà quando andrà a lavorarci.
L’immaginazione e la costruzione di un disegno sono diverse: nel disegno la realtà viene
esteriorizzata e la mente passa a una rappresentazione estesa. Immaginate uno di quei
pavimenti in cui le mattonelle di varie forme e colori formano un particolare disegno,
magari una figura geometrica più piccola dentro una più grande-è facile individuare
questo disegno sul pavimento ma è molto difficile immaginarle mentalmente e creare
nuove forme; ecco che si ricorre al bozzetto, che per l’artista è un processo creativo
basato su errori e prove e un modo per esteriorizzare le immagini, variarne e la
struttura. Il confine tra immagine mentale e immaginazione è tenue per un bambino,
per questo un sasso può trasformarsi in una macchina, uno stecco in un treno, ecc. Oggi
però i nuovi media propongono una distinzione tra immaginario=specie di viaggio
organizzato-passivo e immaginazione=percorso che va costruito-stimola l’attività
creativa della mente. Il confine tra vero e falso oggi con i media è sfumato, la
televisione può far diventare ciò che è vero falso e ciò che è falso vero-confusione che si
genera anche nell’adulto, però mentre questo resta impressionato dalle immagini di
guerra -guerra del golfo-; un bambino può essere turbato da quelle immagini e può
spingersi a pensare che siano cose veramente esistite e che esistono ancora. Oggi il
massiccio flusso di informazioni che mandano bucano la nostra attenzione-idem per le
emozioni, idem per i messaggi a sfondo sessuale. Oggi le immagini in televisione sono
prefabbricate, diverse da quelle che danno sui libri, spiazzando completamente la
capacità immaginativa dei bambini.
I LINGUAGGI DELL’ASSENZA
È possibile che la televisione, i videogiochi e le nuove tecnologie della comunicazione
influiscano sulla psiche delle nuove generazioni-ci sono stati molti studi condotti da
psicologi, pedagogisti sui cosiddetti “linguaggi dell’assenza”, legati al vedere, al
comunicare, all’attingere informazioni. Oggi emergono però altri problemi di tipo fisico:
un’inchiesta in Giappone da parte del Ministero dell’Educazione ha visto come i
bambini videodipendenti fossero grassi e pigri e miopi-rammolliti dai video. In un
documento prodotto in Francia, si afferma che l’età inadatta alla televisione sia fino ai 3
anni-età in cui si ha l’agire sulla realtà, in questo contesto il bambino diviene spettatore,
riducendo la sua capacità di attore. Se il bambino sta davanti al televisore o al computer
non lo fa perché ha qualche capacità tecnologica, ma solo perché è attratto dalla
dimensione tattile dei tasti, dal far succedere qualcosa-la console infatti è bandita fino
all’età di 6-7 anni. Un altro aspetto dei videogiochi e più generale della televisione e del
computer riguarda la concentrazione infantile-riguarda il tempo di esposizione.
Christakis e Zimmerman hanno indicato come un bambino piccolo che consumi un’ora
di televisione al giorno avrà il rischio di deficit dell’attenzione, nel corso delle scuole
elementari-idem per i bambini delle elementari, avranno il 50% di probabilità di deficit
dell’attenzione- l’attenzione che si ha davanti uno schermo non 1e uguale all’attenzione
che si ha a scuola, in quanto questa si sceglie e si decide.
UN MONDO VIRTUALE