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Comprendere Henri Bergson. Materia e Memoria

Jimmy Kwizera1

Introduzione

Henri Bergson (1859-1941), filosofo francese, è uno dei filosofi che ebbero una
influenza notevole nel pensiero del Novecento. Egli mise in dubbio siano le filosofie
intellettualiste che pretendevano accedere al reale attraverso l’esercizio dell’intelletto,
siano le filosofie positiviste che postulavano la conoscenza scientifica come l’unica
valida. Ora, per Bergson, l’intelligenza ad essa sola non ci può far cogliere il reale.
Tanto essa è primitivamente non una facoltà speculativa ma addirittura una potenza
attiva. Intesa nella sua genesi evolutiva, essa consiste a fabbricare oggetti per l’uso
umano. Quindi è stato l’homo faber a generare l’homo sapiens.

Questa cornice ci aiuta a capire la problematica che Bergson affronta nell’opera


che ci occupa, Materia e memoria (1896). È un’opera piuttosto difficile ma brillante.
Bergson vi intraprende un’analisi della percezione e della memoria nell’intento di
risolvere i problemi sulla relazione tra corpo e mente. In queste pagine, mi propongo di
considerare soltanto la parte conclusiva dell’opera. Ciò mi aiuterà a fare un
collegamento tra i diversi concetti che Bergson sviluppa nella sua considerazione sulla
relazione mente-corpo. Dividerò la mia riflessione in due parti. Nella prima considererò
il corpo nella sua dimensione oggettiva mentre nella seconda abborderò la dimensione
soggettiva che mi permetterà poi di giungere alla relazione tra il corpo e lo spirito.

1
PhD in Filosofia presso la Pontificia Università della Santa Croce.
2

1. La dimensione oggettiva del corpo

Il problema di fondo della riflessione di Bergson nell’opera Materia e memoria è


il rapporto tra la materia specificata nel corpo e lo spirito coinvolto nella memoria.
L’unica via di conciliazione dei due sta nello specificare la funzione propria di ognuno
di loro. Bergson tratta prima della materia che viene specificata nel corpo umano
giacché la sua considerazione è di tipo psico-spiritualista e coinvolge nozioni
psicologiche tali la percezione, l’immagine, la rappresentazione, le affezioni e il ricordo.

Secondo Bergson, “il nostro corpo è uno strumento di azione” 2 e non di


rappresentazione. Non contribuisce “direttamente alla rappresentazione” 3 né nella
memoria, né nella percezione, né nella conoscenza. Nella percezione, le funzioni
riflesse del midollo spinale trasformano le vibrazioni ricevute dall'esterno e le facoltà
percettive del cervello mettono queste vibrazioni in rapporto all'azione. Nel ricordo
invece, il corpo conserva delle abitudini motorie capaci di mettere in gioco il passato e
così renderlo attuale.4 Quindi in ogni modo, sia nella percezione che nel ricordo, ciò
che si spiega tramite il cervello -e quindi il corpo- sono le azioni e non la percezione o
il ricordo in quanto rappresentazione.

Ma non è che una differenza così netta tra la funzione del corpo rispetto allo spirito
costruisce un muro invalicabile tra il corpo e lo spirito quanto alla percezione e alla
memoria? Lungi da quest’idea, al parere di Bergson, sottolineare la specificità di
ognuno di essi è l'unico mezzo di poterli unire. Infatti, tutti i problemi sollevati dal
rapporto tra il corpo e lo spirito derivano dal voler confonderli come se fossero dei
“duplicata l’uno dell'altro”,5 il che ha dato retta a dei riduzionismi sbagliati6.

2
BERGSON, H., Materia e memoria (1896), Laterza, Roma-Bari 2001, p. 189.
3
Ibid.
4
Bisogna escludere quindi la tendenza a pensare che il cervello serba dei ricordi.
5
Op. cit., p. 190
6
Bergson ne elenca 3: Il dualismo volgare che stabilisce una corrispondenza indovuta tra movimenti
cerebrali e rappresentazione: ì movimenti cerebrali sarebbero la causa o l’occasione della
rappresentazione; il materialismo che riduce la coscienza ai fenomeni cerebrali; l’idealismo che riduce
3

Per superare questi riduzionismi, bisogna riconsiderare il rapporto tra la percezione


e l'azione, tra il ricordo e il comportamento. Secondo Bergson, il mio corpo occupa una
posizione determinata nell'universo popolato da tanti altri corpi. Da quei corpi che
circondano il mio, vengono delle vibrazioni che scuotono il mio corpo tramite le
funzioni riflesse del midollo spinale. Allora quest’ultimo reagisce possibilmente al loro
influsso a seconda delle sue facoltà percettive. Si delinea quindi una possibile azione
del mio corpo su quei corpi esterni. In questo modo, “percepire consiste dunque nel
distaccare dall’insieme degli oggetti, la possibile azione del mio corpo su di essi. La
percezione allora è soltanto una selezione”7.

Questa posizione bergsoniana ha come conseguenza che la realtà non si può


esaurire nella percezione. Tanto “le immagini oltrepassano la percezione da tutte le
parti”8. La percezione ne coglie soltanto una parte, quella che serve all'azione. Così, la
relazione tra la realtà et la percezione è una relazione mereologica9. “Ma per stabilire
così, tra la percezione e la realtà, il rapporto della parte con il tutto, bisognava lasciare
alla percezione il suo vero compito che è di preparare l’azione”10. Ciò rende conto del
fenomeno dell'attenzione, del limite della coscienza e anche della perdita di memoria
(amnesia). Infatti, non si può percepire tutto allo stesso momento. Si percepisce soltanto
ciò che serve all’azione del corpo. Nemmeno si può ricordare o mettere l’attenzione su
tutto. A volte tra molte cose, uno si ricorda e mette l’attenzione su ciò che gli interessa
o gli dà fastidio11.

tutta la realtà alla coscienza (persino la realtà materiale).


7
Op. cit., p. 192. Bergson intende una selezione degli oggetti su cui il mio corpo avrebbe presa. Si
eliminano quanto non serve all'azione del mio corpo.
8
Ibid.
9
Vuol dire una relazione tutto-parte. La realtà è la totalità delle immagini di cui la percezione coglie
soltanto una parte.
10
Ibid.
11
Nella teoria della musica cinematografica per esempio, si mette una musica particolarmente acuta o
dissonante per attirare l’attenzione su una determinata scena. Quando l’udito viene particolarmente
colpito, l’attenzione si mette particolarmente sulla scena.
4

2. La dimensione soggettiva del corpo: le affezioni e la memoria

La percezione a livello oggettivo “delinea la possibile azione del nostro corpo sugli
altri corpi”12. Però si tratta di una azione possibile nel senso che è virtuale, cioè la cui
rilevanza dipende dalla distanza tra l'oggetto esterno e il mio corpo. Man mano che la
distanza sminuisce, l'azione del mio corpo tende ad essere reale. E quando è il proprio
corpo che agisse su sé stesso, la distanza è nulla e la percezione diventa affezione.
L’esempio viene dato sul dolore che non è altro che quel “sforzo attuale della parte lesa
per rimettere a posto le cose, sforzo locale, isolato, per ciò stesso condannato
all’insuccesso in un organismo che è adatto soltanto agli effetti d’ insieme”13. Bergson
tiene peraltro a precisare che tra l'affezione sentita e l'immagine percepita, c'è una
differenza di natura e non soltanto di grado. “Tra l’affezione sentita e l’immagine
percepita c’è questa differenza, che l’affezione è nel nostro corpo, l’immagine fuori dal
nostro corpo.”14

Quanto alla memoria, contro la teoria della coscienza-epifenomeno 15 , Bergson


ribadisce che lo stato celebrale non è l'equivalente della percezione. Nella percezione
soggettiva, c'è da considerare l’estensione come aspetto soggettivo del corpo e la durata
che è la vita stessa della mia coscienza come aspetto soggettivo della percezione. Perciò,
il mio corpo è un’immagine così come tutto l’universo materiale. In questo modo, dice
Bergson, “otteniamo soprattutto di far cadere l’insormontabile barriera che il realismo
elevava tra le cose estese e la percezione che ne abbiamo” 16 . L'universo materiale
“definito come totalità delle immagini, è una specie di coscienza” 17 . Ma allora la
coscienza individuale non è soltanto coscienza ma anche memoria. Nel tempo della vita,
la memoria prolunga e conserva il passato in un presente che se ne arricchisce.

12
Op. cit., p. 195
13
Op.cit., p. 196
14
Ibid.
15
Che riduce la coscienza alle sue manifestazioni esterne come se essa fosse qualcosa di materiale.
16
Op. cit., p. 194
17
Op. cit., p. 197
5

Ma qual è la differenza tra percezione e memoria? Mentre “nella percezione, in


effetti, l'oggetto percepito è un oggetto presente, un corpo che modifica il nostro”18, la
memoria ovvero il ricordo “è la rappresentazione di un oggetto assente”19. Perciò, la
memoria non può essere considerata come una percezione indebolita e serbata nel
cervello. Infatti, dire che il ricordo è una percezione indebolita tornerebbe a dire che
esso è il tornare alla percezione passata che l'a occasionata come se il cervello fosse un
serbatoio delle immagini. In questo caso, ogni buco di memoria corrisponderebbe ad
una lesione del cervello. Infatti, “la verità è che la memoria non consiste assolutamente
in una regressione del presente nel passato ma in un progresso del passato nel
presente”20. Praticamente, bisogna dire che si parte direttamente dal passato cogliendo
uno stato virtuale che si materializza pian piano fino ad essere uno stato presente e reale.

Altrimenti, se il ricordo fosse una percezione indebolita, vorrebbe dire che la


percezione sarebbe come un ricordo più intenso. Ciò porterebbe ad una confusione tra
la realtà dell'oggetto percepito e l'idealità dell'oggetto concepito, stabilendo tra di loro
soltanto una differenza di grado. Tale è la posizione di John Locke che stabilisce tra le
idee semplici e le idee complesse una differenza di grado 21 . La stessa posizione si
ritrova in David Hume quando considera le idee come delle impressioni indebolite
rispetto alle percezioni sensibili22. La materia diventa allora una costruzione dei nostri
stati mentali, una sorta di allucinazione vera. Questa posizione porta a delle aporie
assurde come quella di confondere la percezione di un suono leggero con il ricordo di
un rumore intenso! La posizione di Bergson al riguardo è del tutto chiaro. C’è una
differenza di natura tra il ricordo e la percezione. Questa differenza di natura è basata

18
Ibid.
19
Ibid.
20
Op. cit., p.200
21
Secondo Locke, nella teoria dell’associazionismo, la mente è passiva quanto alle idee semplici che
derivano immediatamente dai sensi mentre è attiva quanto alle idee complesse che associa per contiguità
e somiglianza. Cf. LOCKE, J., Saggio sull’intelletto umano (a cura di V. Cicero e M.G. D’Amico),
Bompiani, Milano, 2006, pp. 277-283
22
Cf. D. HUME, Trattato sulla natura umana (a cura di Paolo Gugliermoni), Bompiani, Milano, 2001,
pp. 52-57
6

sulla differenza tra il passato e il presente: “Ma la verità è che il nostro presente non
deve essere definito come ciò che è più intenso: esso è ciò che agisce su di noi e ciò che
ci fa agire” 23 mentre “il nostro passato è, al contrario, ciò che non agisce più, ma
potrebbe agire, ciò che agirà inserendosi in una sensazione presente da cui trarrà la
vitalità”24. Tuttavia, Bergson segnala che nel rendere presente il ricordo, esso “cessa
d’essere ricordo, ridiventa percezione”25.

Ma perché allora si è da sempre misconosciuta una verità metafisica così evidente?


Secondo, il filosofo francese, la ragione è che “si dimentica la destinazione pratica dei
nostri attuali stati psicologici”26. Se si prende la percezione presente come qualcosa di
natura speculativa, il ricordo passato non può che esserlo ugualmente. Ora, il presente
rispetto al passato non è semplicemente ciò che è più intenso, come l’abbiamo appena
accennato, ma ciò che agisce su di noi e ci fa agire sulla realtà che ci circonda. Ben più,
si ha sempre considerato il ricordo come effetto dello stato cerebrale come se il cervello
fosse il serbatoio dei ricordi. Ora, il ricordo non è causato dal nostro corpo (stato
cerebrale). Il corpo lo prolunga semplicemente e gli dà l'occasione materiale di
diventare percezione. Altrimenti, il puro ricordo non c'entra niente con il corpo. Esso è
la pura manifestazione dello spirito.

Siamo dunque di fronte ad un dualismo avverato nel senso che con la percezione
siamo nel campo del corpo mentre con la memoria siamo in quello dello spirito. Con
questa conclusione, Bergson non ha paura di essere dualista. Anzi, ribadisce che il suo
dualismo è l'unica via di chiarimento per la relazione tra Materia e Memoria.

23
BERGSON, H., Op. cit., p.201
24
Ibid.
25
Ibid.
26
Ibid.
7

Conclusione

Nella sua posizione dualista di mettere a fuoco la differenza di natura che esiste tra
le funzioni del corpo e quelle dello spirito, Bergson è convinto di risolvere il problema
di fondo della sua riflessione, cioè la relazione tra la materia e la memoria, gettando la
luce sull'azione reciproca tra il corpo e lo spirito. 27 Così, nel congiungere il puro
ricordo che riguarda prettamente lo spirito e la pura percezione che riguarda la materia,
si può affermare con lui che la pura percezione è un limite che occupa un certo spessore
della durata. Ma prolungando il passato nel presente -nel tempo della vita-, essa
partecipa alla memoria. In questo modo, la percezione nella sua forma concreta è come
una sintesi del puro ricordo e della pura percezione e cioè dello spirito e della materia.
Quindi nella percezione in forma concreta c'è un'azione congiunta tra l'anima e il corpo.
Così si supera ogni dualismo volgare28 dovuto alla confusione tra le funzioni del corpo
e quelle dello spirito.

Bibliografia

BERGSON, H., Materia e memoria (1896), Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 189-208
HUME, D., Trattato sulla natura umana (a cura di Paolo Gugliermoni), Bompiani,
Milano, 2001, pp. 52-57
LOCKE, J., Saggio sull’intelletto umano (a cura di V. Cicero e M.G. D’Amico),
Bompiani, Milano, 2006, pp. 277-283

27
In questa prospettiva, si può qualificare la teoria di Bergson come un’anticipazione del cosiddetto
body-mind problem, una problematica che alimenta attualmente il dibattito contemporaneo della filosofia
della mente. La problematica sta guadagnando una rilevanza ancora più crescente con gli sviluppi delle
scienze computazionali e robotiche.
28
Bergson parla del dualismo volgare perché non ha paura di accettare che pure la sua teoria è dualista.

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