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Sesta meditazione

Introduzione (Landucci)

1. L’immaginazione
Il tema direttivo della sesta meditazione è la questione dell’esistenza o meno delle cose materiali.
Si sa già che è possibile (dall’accertamento della realtà delle essenze delle cose materiali nella
prima parte della meditazione 5). Si aggiunge ora che è anche probabile, perché per spiegare una
facoltà come l’immaginazionebisognerebbe poter postulare che, dal momento che immagina, la
mente umana si rivolga a qalche parte di un corpo a cui sia unita (il cervello), trovandovi o
proiettandovi figure di cose materiali (a seconda che siano immaginaz volontarie o involontarie). In
se stessa l’immaginazione è una forma di pensiero; ma non è costitutiva dell’essenza della mente:
anche senza immaginazione una mente rimane mente, al contrario di quello che succederebbe se
venisse meno l’intelletto. In questo caso non si potrebbe pensare. È questa accidentalità quindi
della forma immaginativa del pensiero a suggerire che essa dipenda da qualcosa che sia altro
della mente, però congiunto in ogni caso alla mente.

2. Sui sensi
La decisione sulla realtà delle cose materiali deve essere trasferita sui sensi, per vedere se essi la
attestano. Cartesio prende le cose alla larga, esponendo le credenze comuni sui sensi, le vecchie
opinioni acritiche contro le quali erano stati elaborati i dubbi della meditazione 1.

“in passato, dunque, sentivo”…è l’unico luogo in cui per un momento di quelle credenze sono
anche costruite le motivazioni. Perché spontaneamente gli uomini arrvano a persuadersi di “non
avere alcuna idea nell’intelletto senza averla avuta prima nei sensi?”. Questo era un luogo comune
degli scolastici. Cartesio spiega perché i suoi avversari pensassero questo: traducevano in termini
speculativi quello che in realtà è un atteggiamento naturale verso il mondo. Si sofferma qui per la
prima volta sull’aspetto pratico delle sensazioni: appetito, fame, sete…

Nella terza meditazione era stata posta la questione della somiglianza tra cose e percezioni: qui è
spiegata la ragione di una convinzione così radicata: è naturale credere che le idee delle cose
materiali assomiglino a queste cose stesse, e cioè le rappresentino come sono, per il buon motivo
che di tali cose non abbiamo conoscenza se non per mezzo di quelle idee.

Dopo la rievocazione dei dubbi della 1 med, si ha l’annuncio del processo per risolverli: “ma ora…
non ritengo di certo che sia da ammettere…”. Prima di passare a questo programma si passa
dalla dimostrazione della distinzione reale tra mente e corpo.

3. Distinzione reale della mente dal corpo


Reale qui significa sostanziale: se due o più cose possono esistere l’una senza l’altra, sono
distinte realmente, e cioè sono, ciascuna, una sostanza; perché è sostanza una cosa che per
esistere non ha bisogno di altro. Il criterio dunque è la separabilità: due o più cose sono ognuna
una sostanza se, separate, ognuna continuerebbe ad essere quel che era.

- “soltando una cosa che pensa”, la mente; depurata dalle funzioni tradizionalmente attribuite
all’anima in funzione del corpo (vegetativa, locomotiva, sensitiva)

- “soltanto una cosa estesa”, il corpo; ridotto a nient’altro che materia e movimento, ovvero
meccanismo, anche nel caso di corpi viventi.

Viene eliminato quindi un livello intermedio - la vita - fra il mero pensiero e la mera materia.
Questo è proprio il dualismo di cartesio.

Dimostrazione della distinzione reale fra mente e corpo:

(1) Dio ha il potere di fare tutto ciò che noi intendiamo chiaramente e distintamente come
possibile; 


(2) Ma intendiamo chiaramente e distintamente che alla nostra essenza non appartiene se
non di cose pensanti;


(3) E dio può far sì che, in quanto menti, noi si esista separatamente dai nostri eventuali corpi;

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.°. Dunque, le nostre menti sono distinte realmente dai corpi a cui siano eventualmente
unite

Così si mostra che la mente è distinta realmente e quindi separabile dal corpo e anche come sia
possibile una separazione effettiva tra essi, e cioè chi sia in grado di attuarla (Dio). Questo per
aprire una prospettiva sull’immortalità della mente.

4. In cosa i sensi dicono il vero:


a) esistenza delle cose materiali
I corpi esistono e lo si può dimostrare:

(1) Veracità di dio (premessa generale, di principio)


(2) Involontarietà delle sensazioni, e nostra inclinazione naturale a credere che derivino da
cose corporee (premessa specifica, fattuale)


.°. Dunque, esistenza reale dei corpi.

Se le sensazioni non provenissero dai corpi, non avremmo alcun modo di rendercene conto, il
nostro errore rimarrebbe incorreggibile e quindi, anziché un semplice eroore, sarebbe un vero e
proprio inganno. Una volta però che si sappia della veracità di dio, non può darsi che così
avvenga, allora siamo autorizzati ad escludere che le sensazioni siano prodotte, anziche da corpi,
da menti, oppure potrebbe essere dio o qualche altra creatura (genio maligno). Questa è la
soluzione del dubbio immaterialistico che era stato fatto dipendere dalla figura del dio ingannatore
e sempre ribadito. Nella terza meditazione erano stati presi in considerazione proprio i due
argomenti che ricompaiono nella presente dimostrazione: involontarietà e inclinazione naturale.
Ma erano stato rifiutati come non probanti.

Quel che non valeva allora, vale ora perché è considerato in congiunzione con la veracità di dio.
Questi due argomenti cioè non si garantiscono da soli ma hanno bisogno del supporot della
veracità di dio.

b) unione reale della mente con il corpo, negli uomini


Anche questa è vera perché insegnata dalla natura. Insegnato dalla natura ora significa garantito
dalla veracità. Ci ingannerebbe infatti se le nostre menti avessero con i nostri corpi solo un
rapporto del genere di quello che ha un marinaio con la barca; di utlizzazione e direzione
all’esterno. Il corpo invece lo sentiamo e lo sentiamo come nostro attraverso sentimenti ed
appetiti. Questi ssentimenti ed appetiti sono confusi di loro natura, ma è tale confusione che ci
attesta in modo chiaro e distinto che in noi la mente è unita ad un corpo. È risolto il dubbio: se io
non avessi il corpo?

Unione reale tra i due significa interazione causale tra loro. Qui è considerata l’azione che va da
corpo a mente; per direzione mente-corpo cartesio indica i movimenti volontari. La compatibilità
di questi due sarà uno dei punti più discussi. Il problema era se sia possibile una causalità tra
sostanze completamente eterogenee.

Le metafisiche del ‘600 saranno soluzioni di questo problema: occasionalismo di malebranche,


parallelismo di spinoza, immaterialismo e armonia prestabilita di leibniz: deriveranno tutte dal
rifiuto dell’unione reale, una volta accettata la distinzione reale

5. In cosa i sensi non dicono il vero: dissomiglianza fra i corpi e le sensazioni


È falso che i sensi insegnino come i corpi sono fatti, qual è la loro natura, quali proprietà hanno
realmente. Vero il realismo, ma non il realismo ingenuo. Gli esempi sono tre:

- Credenza nel vuoto (trad atomistica/epicurea)

- Credenza nell’oggettività delle qualità sensibili (i corpi siano in se stessi come noi li percepiamo)

- Credenza nell’uguaglianza tra le dimensioni reali degli astri e quelle apparenti (trad atomistica/
epicurea)

Il vuoto è una materia che è al di sotto della nostra soglia di percezione.

Le differenze che sentiamo nelle sensazioni (colori, suoni, calore) corrispondono si a differenze nei
corpi che percepiamo; c’è qualcosa che produce in noi quelle diversità di sensazioni. Quel
qualcosa però non è accessibile attarverso i sensi.

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Non perciò possiamo dire che siamo di fronte a degli “errori dei sensi” perché tutto mi sembra
insegnato dalla natura.

Davvero le percezioni qualitative non sono affatto insegnamenti della natura, non hanno nessuna
verità, di alcun genere? Se fosse così perché dio ci ha fatti in modo da percepire le sensazioni
proprio in quel modo? Una volta però introdotta la nozione di insegnamenti della natura, la nostra
natura ne risulta finalizzata: quel che dio ci dà ce lo dà perché sia utile. Anche le percezioni
qualitative hanno una funzione, che è pratica: ci istruiscono sull’utile e il dannoso in quanto siamo
composti di mente e corpo.

6. Gli “errori della natura”


E in quei casi in cui le informazioni fornite dai sensi sono in contrasto con la nostra
conservazione? Se le sensazioni ci sono date da dio per il nostro vantaggio perché a volte
ingannano? Di nuovo una questione di teodicea. Questa però è diversa.

Là erano a tema i nostri errori conoscitivi, quindi qualcosa che compivamo noi, mentre qui
qualcosa che gli uomini subiscono perché quelli considerati ora sono veri e propri errori della
natura. Qui è una comparazione statistica tra casi normali e disgraziati.

Questo offre a cartesio una occasione di presentare uno squarcio della sua fisiologia
meccanicistica e la tesi dell’animale macchina.

7. Sogno e veglia
L’ultima pagina presenta una brusca soluzione dell’unico dubbio che non ha ricevuto risposta: il
dubbio del sogno. Per distinguere la veglia dal sonno c’è un criterio: la continuità spazio
temporale delle nostre percezioni.

È venuto meno la motivazione per il quale era stato introdotto, quindi l’enfasi qui è poca. Sono
stati già risolti i dubbi che portava, l’esistenza delle cose materiali e il corpo proprio del
meditatore.

Introduzione (Scribano)

6. LA MENTE E IL CORPO
Una volta conosciuta chiaramente e distintamente la natura dei corpi, si sa che i corpi possono
esistere, dal momento che Dio “ha la potenza di produrre tutte le cose che io sono capace di
concepire con distinzione”. La sesta meditazione è dedicata a dimostrare che i corpi esistono e,
in particolare, che esiste il corpo che chiamo mio e che, malgrado abbia una unione intima con la
mente, da essa è realmente distinta.

6.1 La distinzione reale


Due ulteriori acquisizioni rendono possibile compiere la dimostrazione della distinzione reale tra
mente e corpo:

- La veracità divina: garantisc che se si concepiscono chiaramente e distintamente la mente e il


corpo come due sostanze separate, esse lo sono in effetti

- la conoscenza della natura del corpo: offre una verifica di quelle che sapevamo già dopo la
conoscenza della natura della mente, ottenuta nella seconda meditazione. Sappiamo ora,
conosciuta la natura del corpo, che la mente è concepita come cosa completa senza il corpo e
inoltre che il corpo è concepito come cosa completa senza la mente

Come il pensiero è l’attributo che fa conoscere la capacità dell’io di dsussistere


indipendentemente da altro, così l’estensione è l’attributo che fa conoscere il orpo capace di
sussistere indipendentemente dalla mente.

E poiché la veracità divina garantisce la verità delle idee chiare e distinte, posso affermare che
non solo per la mia conoscenza, ma anche nell’ordine delle cose, la mente e il corpo sono due
sostante distinte.

E poiché posso concepire distintamente la mente come una sostanza senza il corpo e viceversa,
posso essere certo che, nonostante la loro unione di fatto, la mente e il corpo possono essere
separati “almeno dall’onnipotenza di Dio” e quindi che la loro unione di fatto non impedisce che
essi rimangano due sostanze realmente distinte l’una dall’altra.

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L’argomento teologico per attestare la distinzione reale tra mente e corpo è costruito così:

L’onnipotenza divina può fare tutto quel che io concepisco chiaramente e distintamente;


Concepisco chiaramente e distintamente la mente e il corpo come due sostanze distinte;


Dunque, la mente e il corpo possono essere separati almeno dalla potenza divina.

“non importa quale potenza operi tale separazione per obbiglarmi a giudicarli differenti”,
aggiunge. Richiama qui a diverse modalità di potenza divina: parla della distinzione tradizionale
tra una potenza assoluta e una potenza ordinata di dio.

- Potenza assoluta di dio: quel che dio può fare, considerando la sua potenza in quanto tale,
indipendentemente dagli altri attributi

- Potenza ordinata di dio: quel che dio può fare considerando l’insieme della potenza di dio e dei
suoi decreti, ovvero la potenza assieme alla volontà

I decreti divini infatti limitano l’esercizio della potenza di dio, nel senso che alcune cose che dio
potrebbe fare di assoluta potenza (ad esempio che gli uomini non muoiano), è impossibile che dio
le faccia, in considerazione della scelta con la quale ha stabilito diversamente. Naturalmente però
le scelte di dio no gli tolgono l’attributo naturale della sua potenza.

Il segno distintivo della distinzione reale tra le due sostanze è concepirle senza contraddizione
l’una verso l’altra: questo modo di concepirle equivale alla capacità di dio di separarle, dal
momento che dio può fare tutto ciò che appare possibile alla mente umana. È tuttavia possibile
che, di potenza ordinata, dio abbia stabilito che la mente e il corpo siano uniti in modo da non
poter esistere l’uno senza l’altro per tutta la durata della vita umana e quindi sarà impossibile
anche a dio, di potenza ordinata, far esistere il corpo senza l’anima e viceversa, finché l’uomo e in
vita.

6.2 L’immortalità dell’anima


La convinzione che le meditazioni dimostrino l’immortalità dell’anima è presente nel titolo della
prima edizione latina. Però cartesio fa togliere il riferimento e lascia solo che dica che dimostrerà
la distinzione reale. Inoltre, nel titolo della 2 meditazione, fa ggiungere che lo spirito umano “è più
facile a conoscersi che il corpo”.

Nel riassunto delle meditazioni cartesio dice che una sola delle premesse necessarie per provare
l’immortalità dell’anima è nella seconda meditazione (“il concetto chiaro e lucido dell’anima”. Ma
non basta: dice che “è richiesto, inoltre, di sapere che tutte le cose che noi concepiamo
chiaramente e distintamente sono vere, avere un concetto distinto della natura corporea..” (pag
14)..

A tutte queste premesse devono aggiungersi altre teorie che non compaiono nelle meditazioni
perché “dipendono dalla spiegazione di tutta la fisica”. Sapere che le sostanze sono incorruttibili.
Gli accidenti degli enti finiti si modificano, sì, ma solo la sostanza può essere annientata dalla
volontà di Dio.

Il mondo materiale è composto di una sola sostanza, la sostanza indefinitamente estesa. Il corpo
umano, come ogni corpo, non è una sostanza, ma solo una particolare configurazione della
materia, e quindi un accidente della sostanza estesa. Nella morte quindi non si verifica
l’annientamente di nessuna sostanza. L’universo spirituale, invece, è composto da una pluralità di
sostanze tante quanto sono gli uomini. La morte non implica l’annientamento della sostanza
pensante. La mente “è immortale per sua natura”.

Quindi per stabilire l’immortalità dell’anima, la distinzione mente corpo è troppo e troppo poca.
Però cmq la distinzione è sufficiente a dare speranza agli uomini riguardo a questo.

6.3 L’esistenza delle cose materiali


La domanda sull’esistenza di una cosa è preliminare a sapere che cosa quella cosa sia. Per
questo cartesio ha rintraciato l’esistenza dell’io all’interno della sua natura; ha dimostrato
l’esistenza di dio a partire dalla consocenza della sua essenza; delle cose materiali invece
sappiamo tutto eccetto se esistano o meno.

Le ultime pagine delle meditazioni sono dedicate a questo problema.

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L’esistenza dei corpi è dimostata da cartesio attraverso le idee fattizie della sensazione. Il primo
tentativo attraverso l’immaginazione si rivela incerto. L’immaginazione è in grado di tradurre in
immagini mentali i concetti delle figure geometriche di origine intellettuale e in generale le idee del
puro intelletto. Inoltre, utilizzando la memoria, ha la capacità di tradurre in immagini mentali il
materiale che le proviene dalla sensibilità. Da un lato quindi rimanda al puro intelletto e quindi
sembra inadatta a convincere dell’esistenza dei corpi, dall’altro rimanda alla sensazione ed è a
questa facoltà che è il caso rivolgersi.

Nella terza meditazione cartesio aveva tentato di uscire dai confini del proprio pensiero attraverso
le idee fattizie e aveva respinto come non convincenti tutte le ragioni che, spontaneamnete, lo
portavano a ritenere che alle idee avventizie corrispondesse qualcosa di esterno al pensiero che
le causasse. ora, una volta accertata la veracità divina, cartesio riesamina quelle ragioni. Allora, la
passività della mente nella percezione delle idee avventizie, non era sembrata probante poiché la
mente avrebbe potuto possedere una facoltà nascosta, di cui non fosse consapevole, che
cuasasse quelle idee. Ma ora che un dio verace garantisce che quello che percepisco
chiaramente e distintamente come natura dell’io lo è veramente, io non posso dubitare che, se
possedessi una facoltà di questo genere, ne sarei consapevole, poiché niente si svolge nel
pensiero di cui io non sia cosciente. La passività della sensazione dunque implica la presenza di
una potenza attiva che causi le sensazioni e questa potenza, se non può appartenere all’io in
quanto sostenza pensante, deve essere o in dio o nei corpi esterni a me.

Quale delle due possibilità?

Per rispondere si serve di una ragione che nella meditazione 3 non era sembrata sufficiente a
dimostrare l’esistenza dei corpi esterni: la forte propensione a credere nella loro esistenza, come
causa delle idee avventizie. Qui questa ragione è ripresa e dichiarata sufficiente per scartare
l’ipotesi che le idee della sensazione siano causate da dio. Se fosse così, dio avrebbe dato
all’uomo una propensione invincibile ed ingannevole a credere nell’esistenza dei corpi e quindi dio
sarebbe ingannatore. Esistono quindi corpi fuori dalla mente!

In nome dello stesso principio, cartesio dichiara superato anche il dubbio del sogno: ci sono segni
certi che ci fanno distinguere sonno da veglia, come la coerenza e la costanza delle immagini
della veglia…

Ok, i corpi esterni esistono, ma non è detto che questi corpi siano simili alle sensazioni che ce li
rappresentano. La propensione che ci porta a pensare che esista una somiglianza tra idee dei
corpi e corpi stessi è un pregiudizio assunto nel tempo e non una tendenza naturale.

Ciò che dio garantisce non è la verità della chiarezza e della distinzione in quanto tale, ma il fatto
che non sia possibile non ritenere vere le idee chiare e distinte. La garanzia divina è invocata ogni
volta che la propensione a credere è altrettanto invincibile quannto lo è nel caso delle idee chiare
e distinte. Ovvero, dio sarebbe ingannatore se, avendo dato all’uoo una invincibile tendenza a
credere nelle veirtà di qualcosa, quel qualcosa poi fosse falso. Per ciò cartesio dice che è
convinto che “tutto ciò che la natura mi insegna… contiene qualche verità”. Così cartesio può
stabilire che esistono corpi esterni e che un corpo è unito in modo particolare alla mente, e
questo è il mio corpo, lo sento mio.

6.4 L’unione sostanziale


Il fatto che il corpo sia unito in modo peculiare alla mente pone il problema del tipo di unione tra le
due sostanze.

Cartesio su questo tema fa i conti con due modelli, quello aristotelico e quello platonico.

- Modello aristotelico: la mente è forma del corpo, mente e corpo formano una sola sostanza

- Modello platonico: mente e corpo sono due sostanze distinte, la sede dell’io è l’anima che “usa
e si serve del corpo” (Arnauld)

Cartesio attinge sia da platone che da aristotele. Il modello platonico gli offre una fondazione
antropologica all’innatismo e per sconfiggere l’empirismo. La distinzione reale infatti rende
possibile una conoscenza chiara e distinta di origine non sensibile e fornisce una giustificazione
antropologica dell’innatismo. Tuttavia il modello platonico non riesce a spiegare come mai la
mente, oltre a possedere un bagaglio di idee innate chiare e distinte, ospiti le idee oscure e
confuse di origine sensibile. Se platone avesse ragione, la mente non dovrebbe, a rigore,
nemmeno incorrere in errore giudicando del mondo esterno. Il modello platonico quindi prova
troppo e fa della mente umana una mente angelica.

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Per spiegare la presenza delle idee oscure e confuse della sensibilità, si deve ricorrere al modello
aristotelico, quello dell’unione sostanziale dell’anima col corpo.

“La natura mi insegna anche, per mezzo di queste sensazioni di dolore, fame sete…”(pag 75)

La via che cartesio percorre è quella d assumere sia il modello platonico che quello aristotelico
dell’unione sostanziale.

La mente e il corpo sono due sostanze realmente distinte, quindi platone ha ragione contro
aristotele, quindi le idee intellettuali hanno tutte origin non sensibile; ma Platon ha torto contro
aristotele, perché il tipo di unione tra la mente e il corpo non è quella platonica (quella del
nocchiero e della nave). Assomiglia piuttosto a quella ipotizzata dal modello aristotelico: essi sono
uniti in modo da formare una vera e propria terza sostanza. Aristotele ha visto solo l’unione,
platone solo la distinzione.

Ipotizzando invece che tra mente e corpo dio abbia istituito una unione così stretta da formare
una vera e propria terza sostanza, si spiega agevolmente come mai i messaggi geometrico-
matematici che il corpo riceve dall’esterno, modificando la propria forma e movimento a seconda
dell’urto, si traducano in sensazioni totalmente diverse dalla loro causa.

È però difficile da concettualizzare. Cartesio arriverà fino ad ammettere la contradditorietà della


tesi dell’unione sostanziale rispetto alla teoria della distinzione reale. La prima è risultato di una
conoscenza chiara e distinta, l’altra è un insegnamento della natura.

Per cartesio l’unione sostanziale della mente col corpo è necessaria pr spiegare le idee oscure e
confuse che provengono dalla sensibilità.

Ma questo tipo di unione non confligge con la veracità divina? Sembra che dio in questo modo
non abbia lavorato nell’interesse della verità, come se avesse reso la ricerca della verità il più
difficile possibile.

La verità della conoscenza sensibile, rivendicata dagli aristotelici contro platone, sembrerebbe più
consona alla veracità di dio, che, in questo caso avrebbe finalizzato l’unione anima corpo alla
conoscenza del vero. Cartesio vuole proporre una soluzione alternativa a quella aristotelica.

Questo lo spinge ad accettare la sfida della spiegazione finalistica dell’unione animac-corpo.


Ricorderemo che l’’ipotesi che dio si fosse proposto il meglio era una premessa che cartesio
aveva assunto nella meditazione 4, cercando di spiegare il fenomeno dell’errore.

Ora la domanda sulla finalità dell’unione anima-corpo è priva di qualsiasi cautela e il finalismo è
assunto come una prospettiva legittima. Però qui è legittimo indagare i fini di dio.

Quello che prova che la mente non ha un rapporto estrinseco con il corpo sono le emozioni e i
sentimenti indotti nella mente da peculiari modificazioni del corpo: “la natura mi insegna anche…”
(pag 75).

La trasformazione di alcune modificazioni del mio corpo in questi particolari sentimenti è stata
istituita dalla natura “per giustificare al mio spirito quali sono le cose dannose o utili al mio corpo”.
Se dio avesse usato il modello platonico, non avremmo fame o sete o dolore.

La finalità che ha guidato l’operato divino ad unire in un certo modo la mente e il corpo è stata
esclusivamente pratica e per questo si può dire che dio è stato verace anche qui. Questi
sentimenti dunque dicono il vero, anche esclusivamente nell’ambito pratico. “ora, no vi è niente
che questa naytura mi insegni più esplicitamente e più sensibilmente….” (pag 75).

Questa unione finalizzata alla miglior conservazione del composto anima-corpo ha avuto una
ricaduta negativa sul piano speculativo, perché ha fatto in modo che tutto ciò che passa per il
corpo venga traslitterato dalla mente in un altro linguaggio. Solo che in questo ambito l’uom è
stato dotato di una facoltà, l’intelletto puro, in grado di contrastare quella che è una tendenza ad
oggettivre le sensazioni e a pensare che i colori siano davvero negli oggetti. È una tendenza che
non è naturale, ma acquisita durante l’infanzia e che quindi è possibile contrastare. “ora, questa
natura mi insegna sì a fuggire le cose che cagionano in me il sentimento del dolore..” (pag 76-77).

L’uso dei sensi per fini speculativi (e quindi l’ipotesi di una loro finalità conoscitiva, ipotizzata dagli
aristotelici) è frutto di una tendenza a “pervertire e confondere l’ordine della natura…” (pag 77).

6.5 Gli errori di natura


La fondazione della scienza sulla veracità divina comporta una visione ottimistica della natura e
dei suoi insegnamenti “tutto ciò che la natura mi insegna contiene qualche verità”. L’errore è
qualcosa di acquisito, di innaturale. Il neonato ha una visione spontaneamente meccanicistica del
mondo: non attribuisce agli oggetti esterni colori e suoni..”. La battaglia ocntro i pregiudizi
acquisiti non è una battaglia contro la natura. Questa visione ottimista della natura impone anche

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la soluzione alla naturale unione dell’anima e del corpo: anch’essa contiene un messaggio vero,
seppur nel campo della pratica.

Tuttavia la tesi secondo la quale l’unione dell’anima con il corpo ha una finalità pratica e quindi, i
sentimenti che il corpo provoca alla mente sono veraci, comporta l’aprirsi di un problema residuo.

La veracità divina ha garantito le idee chiare e distinte; dio non è responsabile dell’errore
speculativo perché questo è sempre correggibile; non è accusabile di aver reso le cose difficili
all’uomo nella ricerca della verità, perché il suo fine nell’unione anima-corpo era un fine pratico.

Se tutto questo è vero, i sentimenti dovrebbero essere veraci sempre. Ma invece ci sono
comportamenti che sono dannosi per l’uomo e che l’uomo fa lo stesso. Esempio di idropisia.

Cartesio a questo non risponde invocando l’ottica illimitata dell’uomo come nella meditazione 4.
Nella quarta meditazione dio perseguiva il suo fine grazie alla presenza dell’errore nel mondo,
perciò quel che noi chiamiamo male non lo è di fatto agli occhi di dio. Nella sesta dio non
raggiunge sempre lo scopo prefissato e per questo, quando questi casi si verificano, essi sono
veri e propri errori della natura.

Per cartesio dio non è colpevole nemmeno in questi casi. Dio infatti non poteva fare altrimenti:
una volta costruita la macchina umana con le sue leggi che regola la trasmissione di impulsi
nervosi dalla periferia del corpo al cervello, e stabilito che ad un certo movimento del cervello
corrisponde una sensazione specifica, dio non può modificare le sue decisioni. La sua
immutabilità, in conflitto stavoltà con la sua veracità glielo impedisce. Quindi quando il corpo è
mal disposto, il sentimento provoca danno e non benficio.

Per la prima volta un filosofo ha ammesso che il male che l’uomo sperimenta in natura è dovuto
all’ottica limitata della mente, è un male reale. Ha dovuto ipotizzare una finalità pratica
controllabile anche per la mente umana dell’unione mente-corpo: l’ha fatto per poter fondare la
verità della scienza.

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