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APPUNTI CAMPI II

ANNO 2020/2021

Di Sofia Vitale
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 1
Ricordare: Elettronica che lavora alle frequenze ottiche.

Equazioni Fondamentali:
Andiamo a rinfrescare e ad approfondire le conoscenze di Campi 1.

La teoria elettromagnetica si basa sulle equazioni di Maxwell.

Abbiamo qui la forma locale:



𝜕𝐵 (𝑟 ,𝑡)
𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡) = − 𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟, 𝑡) = 𝜌(𝑟, 𝑡)
𝜕𝑡


⃗ (𝑟, 𝑡) = 𝜕𝐷(𝑟,𝑡) + 𝐽(𝑟, 𝑡)
𝛻⃗ × 𝐻 𝛻⃗ ⋅ 𝐵
⃗ (𝑟, 𝑡) = 0
𝜕𝑡

I vettori E, H, B, D e J sono scritti come vettori istantanei, quindi sono funzione


dello spazio e del tempo.

Le equazioni di Maxwell vengono fuori da diversi contributi dati da diversi


studiosi, il contributo più importante è stato quello di Maxwell che ha introdotto
il contributo di corrente di spostamento.

È un contributo che ha permesso di legare il campo elettrico al campo


magnetico, in maniera tale da poter descrivere la propagazione del campo
elettromagnetico nello spazio.

Questo trasporta energia da un punto all’altro nello spazio.


Energia vuol dire anche informazione.

Le equazioni di Maxwell comprendono grandezze vettoriali e scalari, attenzione


alle unità di misura, è importante che il primo membro risulti essere bilanciato
rispetto al secondo membro.

𝐸⃗ (𝑟, 𝑡) 𝑐𝑎𝑚𝑝𝑜 𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑖𝑐𝑜 [𝑉𝑚−1 ]

⃗ (𝑟, 𝑡) 𝑐𝑎𝑚𝑝𝑜 𝑚𝑎𝑔𝑛𝑒𝑡𝑖𝑐𝑜 [𝐴𝑚−1 ]


𝐻

⃗ (𝑟, 𝑡) 𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑖𝑐𝑜 [𝐶𝑚−2 ]


𝐷

⃗ (𝑟, 𝑡) 𝑖𝑛𝑑𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑚𝑎𝑔𝑛𝑒𝑡𝑖𝑐𝑎 [𝑊𝑏𝑚−2 ]


𝐵

𝐽(𝑟, 𝑡) 𝑑𝑒𝑛𝑠𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒𝑛𝑡𝑒 [𝐴𝑚−2 ]

𝜌(𝑟, 𝑡) 𝑑𝑒𝑛𝑠𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑎 [𝐶𝑚−3 ]

La forma differenziale delle equazioni vale per tutti i punti regolari dello spazio,
cioè che appartengono ad un volume regolare di spazio dove immaginiamo che
non ci siano sorgenti.

Rotore di E ed il rotore di H rappresentano le densità di vortici del campo


elettromagnetico, mentre le divergenze di B e di D rappresentano le densità di
sorgenti.

Quindi, dato un campo vettoriale in generale, questo può avere un’origine


vorticosa e sorgiva.

Le linee di forza del campo elettromagnetico possono partire e chiudersi nelle


sorgenti e ruotare attorno ai vortici.

Rotore di E ed il rotore di H rappresentano una misura della densità di origine


vorticosa, le divergenze di D e di B rappresentano una misura della densità delle
origini sorgive.

In generale si ha che campi vettoriali con solo vortici o caratterizzati da sole


sorgenti hanno proprietà diverse tra loro.

Per rendere simmetriche le equazioni di Maxwell si introducono termini


magnetici di densità di carica magnetica e di densità di corrente magnetica.

𝜕𝐵 (𝑟 ,𝑡)
𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡) = − − ⃗⃗⃗⃗
𝐽𝑚 (𝑟, 𝑡) 𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟, 𝑡) = 𝜌𝑒 (𝑟, 𝑡)
𝜕𝑡


⃗ (𝑟, 𝑡) = 𝜕𝐷(𝑟,𝑡) + ⃗⃗⃗
𝛻⃗ × 𝐻 𝐽𝑒 (𝑟, 𝑡) 𝛻⃗ ⋅ 𝐵
⃗ (𝑟, 𝑡) = 𝜌𝑚 (𝑟, 𝑡)
𝜕𝑡

Questi due termini nella realtà, nella fisica, sono nulli.

La natura ci da delle cariche elementari elettriche, ovvero gli elettroni, non ci da


il corrispettivo, ovvero le cariche magnetiche.

Se prendiamo una calamita e ne stacchiamo un pezzo, sempre più piccolo,


sempre più piccolo… la particella elementare del materiale che vi rimane
presenta sempre una carica positiva e negativa.

Ciò significa che non esistono in natura cariche magnetiche.

In natura esistono cariche positive e negative definite nello stesso punto, le quali
sommate danno luogo ad una carica magnetica netta NULLA.

Non parliamo soltanto di simmetria dal punto di vista matematico.

Dal punto di vista dell’elettromagnetismo ci sono problemi che possono essere


studiati in una forma equivalente, come se i campi elettromagnetici in analisi
fossero generati da sorgenti magnetiche piuttosto che elettriche.

Immaginiamo di avere una fenditura rettangolare realizzata su un piano


metallico opaco.

Siccome il piano è metallico, se andiamo ad incidere con un campo


elettromagnetico, si generano delle correnti (un moto di elettroni, liberi di
muoversi sulla superficie del metallo) in particolare sui bordi della fenditura.
Parliamo di correnti elettriche, di elettroni che si muovono.

Immaginiamo quindi che incida un’onda piana, per esempio,


perpendicolarmente alla fenditura, e di voler descrivere il campo generato
dall’altra parte dello schermo.
Occorre individuare le correnti eccitate dall’onda piana che si generano ai bordi
della fenditura, farle irradiare, e quindi possiamo ottenere il campo irradiato
dalla fenditura definito dall’altra parte dello schermo.

Ma è un metodo complesso, bisogna fare l’integrale di queste correnti una volta


che sono state individuate.

Si può pensare invece, e si dimostra, che queste sorgenti elettriche, quindi


queste correnti elettriche che circolano sui bordi della fenditura, sono
equivalenti ad una sorgente magnetica disposta all’interno della fenditura
stessa.

Quindi possiamo far irradiare questa sorgente magnetica per ottenere lo stesso
campo che avrebbero generato le correnti elettriche che circolano sul bordo
della fenditura stessa.

In questo modo il problema viene reso molto più semplice perché abbiamo la
radiazione da parte di un dipolo magnetico, che implica una trattazione analitica
più semplice.

C’è una dualità marcata nelle equazioni di Maxwell, perché per andare dalla
prima alla seconda basta sostituire le grandezze di natura elettrica a quelle di
natura magnetica, e viceversa a quelle di natura magnetica quelle di natura
elettrica, ma cambiando di segno.

La simmetria ci permette dunque di introdurre le proprietà di dualità.

Abbiamo che le prime due equazioni fondamentali (al rotore di E ed al rotore di


H), delle quattro di Maxwell, sono indipendenti.

⃗ (𝑟, 𝑡)
𝜕𝐵
𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡) = − − ⃗⃗⃗⃗
𝐽𝑚 (𝑟, 𝑡)
𝜕𝑡

⃗ (𝑟, 𝑡)
𝜕𝐷
𝛻⃗ × 𝐻
⃗ (𝑟, 𝑡) = + ⃗⃗⃗
𝐽𝑒 (𝑟, 𝑡)
𝜕𝑡
Possiamo individuare le due correnti di conduzione, in particolare quella legata
alle cariche magnetiche non esiste, però chiamiamole ambedue correnti di
conduzione.

Quelle che dipendono dalla derivata rispetto al tempo chiamiamole correnti di


spostamento elettrico e magnetico.

Le equazioni alle divergenze sono dipendenti da quelle ai rotori.

𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟, 𝑡) = 𝜌𝑒 (𝑟, 𝑡)

𝛻⃗ ⋅ 𝐵
⃗ (𝑟, 𝑡) = 𝜌𝑚 (𝑟, 𝑡)

Tutto ciò che abbiamo visto vale per punti regolari dello spazio dove non sono
presenti delle sorgenti impresse.

Laddove si prendessero in considerazione sorgenti impresse, occorre aggiungere


alle equazioni i termini di sorgente impressa.

⃗ (𝑟, 𝑡)
𝜕𝐵 𝑖
𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡) = − − ⃗⃗⃗⃗
𝐽𝑚 (𝑟, 𝑡) − ⃗⃗⃗⃗
𝐽𝑚 (𝑟, 𝑡)
𝜕𝑡
⃗ (𝑟, 𝑡)
𝜕𝐷 𝑖
𝛻⃗ × 𝐻
⃗ (𝑟, 𝑡) = + ⃗⃗⃗
𝐽𝑒 (𝑟, 𝑡) + ⃗⃗⃗
𝐽𝑒 (𝑟, 𝑡)
𝜕𝑡

𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟, 𝑡) = 𝜌𝑒 (𝑟, 𝑡) + 𝜌𝑒𝑖 (𝑟, 𝑡)

𝛻⃗ ⋅ 𝐵
⃗ (𝑟, 𝑡) = 𝜌𝑚 (𝑟, 𝑡) + 𝜌𝑚
𝑖 (𝑟
, 𝑡)

Considerando un campo elettromagnetico che si propaga nello spazio, in


generale deve esserci un modo per accoppiare il generatore al campo
elettromagnetico, perché l’energia generata dal generatore deve essere portata
su un’onda elettromagnetica, in maniera tale da poter essere trasportata nello
spazio libero.

Le sorgenti impresse sono il meccanismo di accoppiamento tra il generatore di


energia e l’onda elettromagnetica.

Immaginiamo di prendere in considerazione un cavo coassiale tipico collegato


ad un generatore di segnale che genera una certa energia, una certa potenza,
che viene incanalata e fatta propagare in maniera guidata all’interno di un cavo
coassiale.

A questo punto abbiamo un campo elettromagnetico generato all’interno del


cavo coassiale, però questa energia viene accoppiata con lo spazio libero.

E quindi abbiamo un campo elettromagnetico che si propaga nello spazio libero.

Quindi l’energia prodotta dal generatore viene, attraverso il cavo coassiale,


irradiata nello spazio libero.

In ogni punto dello spazio libero, dove non ci sono sorgenti, questo campo ha
legami tra E ed H descritti da equazioni che non prevedono i termini di sorgente
impressa.

In presenza del conduttore interno del cavo coassiale abbiamo una sorgente
impressa.

Se noi andiamo a valutare Maxwell nei punti in cui il conduttore interno del
coassiale emerge nello spazio libero, questo è il caso di una sorgente elettrica
impressa.

Se invece prendiamo il conduttore interno e lo andiamo a chiudere in una spira,


realizzando un loop di corrente, questo loop di corrente sarà una sorgente
impressa di tipo magnetico ed entrerà nell’ambito del rotore di E, che dovrà
contemplare il termine di sorgente impressa magnetica, quello di natura
elettrica è nullo.

Al contrario quando abbiamo questo tipo di eccitazione, ovvero un dipolo


elettrico che irradia nello spazio libero, avremo una sorgente impressa di tipo
elettrico e non di tipo magnetico.

Abbiamo detto cosa succede nei punti regolari dello spazio in cui è presente il
campo.

Se consideriamo una regione di spazio, quindi un volume regolare che è


circondato da una superficie regolare S, ovvero una superficie dove punto per
punto possiamo definire una normale, è possibile definire una formulazione
integrale di Maxwell.
⃗ (𝑟, 𝑡)
𝜕𝐵
∫𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆 = − ∫ ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆 − ∫𝐽⃗⃗⃗⃗𝑚 (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆
𝑆 𝜕𝑡 𝑆
𝑆

⃗ (𝑟, 𝑡)
𝜕𝐷
∫𝛻⃗ × 𝐻
⃗ (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆 = ∫ ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆 + ∫𝐽⃗⃗⃗𝑒 (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆
𝑆 𝜕𝑡 𝑆
𝑆

Per le equazioni ai rotori consideriamo una superficie regolare S aperta che si


appoggia su un contorno regolare C.

Se consideriamo questi punti dello spazio possiamo definire le equazioni di


Maxwell come indicato qui, in maniera integrale.

Se facciamo l’integrale di flusso a questa superficie S del primo e del secondo


membro delle equazioni ai rotori, applichiamo il teorema della circuitazione,
ricaviamo le due equazioni di Maxwell in forma integrale, che ci dicono che la
circuitazione del campo elettrico lungo il percorso C è legata alla variazione nel
tempo del flusso di B attraverso la superficie S che si appoggia sul contorno C.

La circuitazione del campo H è legata alla corrente di conduzione e alla corrente


⃗ (𝑟 ,𝑡)
𝜕𝐷
di spostamento, ovvero al flusso della densità di corrente di spostamento
𝜕𝑡
attraverso la superficie S.

Le equazioni alle divergenze prevedono degli integrali di volume nella forma


integrale.

L’integrale di volume della divergenza di un campo vettoriale si esemplifica


tramite il teorema di Gauss.

Tramite il teorema di Gauss consideriamo infatti il flusso del campo vettoriale


attraverso la superficie chiusa che racchiude quel volume.

⃗ (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆 = ∫ 𝜌𝑒 (𝑟, 𝑡) 𝑑𝑉 = 𝑄𝑒
∮𝐷
𝑆
𝑉

⃗ (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆 = ∫ 𝜌𝑚 (𝑟, 𝑡) 𝑑𝑉 = 𝑄𝑚
∮𝐵
𝑆
𝑉
Date le equazioni di Maxwell in forma integrale, possiamo capire cosa sono il
rotore e la divergenza.

Perché misurano rispettivamente le densità di vortici e le densità di sorgenti del


campo elettromagnetico?

Se consideriamo un campo che ha delle linee di forza chiuse su sé stesse.

Andiamo ad individuare un punto nello spazio, dove hanno origine queste linee
di forza chiuse su sé stesse.

Questo punto è un vortice del campo vettoriale, in particolare del campo


elettromagnetico.

Vediamo come è definito il rotore, questa è una quantità vettoriale e se


vogliamo eguagliarlo ad un flusso dobbiamo scrivere una quantità scalare al
primo e al secondo membro.

È definito come limite con S che tende a 0, dove S è l’area della superficie che è
racchiusa all’interno di un circuito C.

Andiamo a rendere il circuito C lungo il quale andiamo a valutare la circuitazione


via via sempre più piccolo.

Consideriamo dunque un percorso C chiuso e andiamo a valutare la


circuitazione, dove soltanto le componenti tangenziali del campo vettoriale, cioè
quelle che effettivamente ruotano, non quelle che escono da C, danno un
contributo.

Facciamo il limite dell’area racchiusa dal cerchio che tende a zero, quindi
mandiamo a 0 il raggio del cerchio, ciò vuol dire andare in un punto, che in
questo caso è il vortice.
1
𝑛̂ ⋅ 𝑟𝑜𝑡 𝐹 (𝑃, 𝑡) = 𝑙𝑖𝑚 ∮ 𝐹 (𝑃, 𝑡) ⋅ 𝑠̂ 𝑑𝑠
𝑠→0 𝑆 𝐶

Il rotore, che è legato a livello integrale alla circuitazione, misura la densità di


vortici di un campo vettoriale.
Per quanto riguarda invece la valutazione della divergenza, consideriamo un
campo vettoriale irrotazionale, ovvero che ha soltanto delle linee di forza
aperte.

La divergenza è una quantità scalare.

Andiamo a prendere un volume attorno al punto dello spazio da cui originano le


linee di forza aperte, parliamo di un volume racchiuso da una superficie regolare
S chiusa, che facciamo tendere a zero.

Andiamo dunque a ridurre il raggio della superficie che circonda il punto e


andiamo a valutare il flusso del campo vettoriale attraverso la superficie S.

Le linee di forza chiuse stavolta non danno contributo, perché una linea di forza
chiusa o è completamente contenuta all’interno, o all’esterno, oppure se entra
in un punto della superficie S, poi deve uscirne, quindi avremo due contributi
per il flusso di segno opposto che si cancellano tra di loro.

Nessuna linea di forza chiusa può essere intercettata dalla definizione di


divergenza.

Quando mandiamo questa superficie a zero andiamo a valutare il numero delle


linee di forza, il flusso che esce dal punto che sto considerando, su cui sto
facendo il limite.
1
𝑑𝑖𝑣 𝐹 (𝑃, 𝑡) = 𝑙𝑖𝑚 ∮ 𝐹 (𝑃, 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆
𝑉→0 𝑉 𝑆

Quindi stiamo andando a misurare la densità di sorgente di campo


elettromagnetico.

Legge di Faraday:
Vediamo la legge di Faraday, che ha avuto altri contributi da parte di Neumann,
Lenz con il segno meno.

Faraday derivò questa legge comprendendo che elettricità e magnetismo sono


legate tra loro.

La legge dell’induzione elettromagnetica nella forma locale è data da:


⃗ (𝑟, 𝑡)
𝜕𝐵
𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡) = −
𝜕𝑡
La variazione nel tempo del vettore induzione magnetica produce un campo
elettrico, cioè rotore di E, che è un’origine vorticosa.

Un modo, dunque, per produrre un campo elettrico che ha le linee di forza


chiuse è quello di far variare nel tempo un campo magnetico.

Nella forma integrale:

⃗ (𝑟, 𝑡)
𝜕𝐵
∮ 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑠̂ 𝑑𝑙 = − ∫ ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑠
𝜕𝑡
𝐶
𝑆

Possiamo introdurre il concetto di circuito C e di circuitazione.

Nella forma integrale si può leggere che la variazione di flusso dell’induzione


magnetica attraverso una superficie S è un’origine del campo elettrico, perché
si genera sul circuito C che sostiene la superficie S una forza elettromotrice
indotta (dalla variazione di flusso del campo magnetico).

La forza elettromotrice indotta genera una corrente elettrica sul circuito, cioè
sulla spira C, che produce a sua volta un campo magnetico che va a contrastare
la variazione di flusso che l’ha generata, ecco il perché del segno – che è stato
introdotto da Lenz secondo il principio di azione e reazione.

Esistono due modi in cui possiamo realizzare l’induzione elettromagnetica.

O possiamo tenere il circuito C fermo e far variare il campo magnetico, cioè


l’induzione magnetica, oppure possiamo mantenere l’induzione magnetica
costante nel tempo e far muovere il circuito.

Sono le induzioni di trasformazione e di movimento rispettivamente.

Tra i vari esempi, se nel circuito aggiungiamo un potenziometro, che andiamo a


variare manualmente nel tempo, avremo una corrente che cambia nel tempo,
quindi un campo magnetico che varia nel tempo che si accoppia a questo circuito
che fa accendere la lampadina (perché avviene il fenomeno dell’induzione
elettromagnetica).
Legge di Ampere – Maxwell:
La legge di Ampere era scritta inizialmente senza il termine di Maxwell, e questa
teneva in conto soltanto la corrente di conduzione.

⃗ (𝑟, 𝑡) = 𝜕𝐷(𝑟,𝑡) + ⃗⃗⃗
𝛻⃗ × 𝐻 𝐽𝑒 (𝑟, 𝑡)
𝜕𝑡


⃗ (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑠̂ 𝑑𝑙 = ∫ 𝜕𝐷(𝑟,𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆 + ∫ ⃗⃗⃗
∮ 𝐻 𝐽𝑒 (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆
𝐶 𝜕𝑡 𝑆
𝑆

Si diceva che l’origine vorticosa del campo magnetico fosse data da una corrente
di conduzione, ovvero da elettroni che si muovono.

D’altra parte, Maxwell ci dice che si, questo è vero, però allo stesso modo, con
la stessa importanza, con la stessa validità, il campo magnetico può essere
generato da una corrente di spostamento, ovvero da fotoni che si propagano
nello spazio libero, o in un materiale.

Il campo magnetico, quindi, viene generato non solo da una corrente di


conduzione, ma anche da una corrente di spostamento.

Vediamo quindi perché Maxwell ha dovuto introdurre il termine relativo alla


corrente di spostamento.

Supponiamo di dover applicare la legge di Ampere e supponiamo che questa sia


valida.

Abbiamo un circuito con una corrente 𝑖𝐶 variabile nel tempo, che risulta essere
bloccato da un condensatore, alimentato da tale corrente.

Andando a valutare la legge di Ampere, considerando due superfici diverse S1


ed S2, questa legge, che si basa sulla circuitazione, deve essere vera quale che
sia la superficie che si appoggia al circuito C.

Quindi deve essere vera sia per la superficie S1 sia per S2 (armature del
condensatore).

Maxwell ha notato che la legge di Ampere non vale sempre.

Facendo il calcolo del flusso di 𝐽𝑒 (𝑟, 𝑡) attraverso S2, questo vale 𝑖𝐶 .


Facendo lo stesso calcolo considerando S1, questo vale zero perché stiamo
considerando un condensatore ideale, dove c’è un isolante ideale dove gli
elettroni non si muovono.

Questo integrale dunque deve valere zero.

Se prendiamo in considerazione una superficie data dall’unione di S1 ed S2, che


è una superficie chiusa, la circuitazione deve fare zero.

⃗ (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑠̂ 𝑑𝑙 = ∫ ⃗⃗⃗
∮ 𝐻 𝐽𝑒 (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆 = 0
𝐶 𝑆1

⃗ (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑠̂ 𝑑𝑙 = ∫ ⃗⃗⃗
∮ 𝐻 𝐽𝑒 (𝑟, 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑆 = 𝑖𝐶
𝐶 𝑆2

Ma allora, se la circuitazione fa zero, c’è un termine (quello attraverso S2) che


mi da 𝑖𝐶 , che, sommato all’altro termine, deve fare zero perché sto
considerando una superficie chiusa.

Questo termine di flusso attraverso S1 deve avere le unità di misura di una


ⅆ𝑄
corrente, quindi deve essere del tipo − | .
ⅆ𝑡 𝑆1

Maxwell, quindi, disse che la carica non è legata agli elettroni, ma che è legata
al vettore D, ricordiamoci che la divergenza di D è uguale a 𝜌.

Quindi è possibile esprimere la variazione della carica nel tempo attraverso


⃗ (𝑟 ,𝑡)
𝜕𝐷
, e questa corrente ha le stesse dimensioni di una corrente di conduzione.
𝜕𝑡

Quindi c’era un termine mancante nell’equazione, noto come termine di


Maxwell.

ⅆ𝑄 ⃗ (𝑟 ,𝑡)
𝜕𝐷
− | + ∫ ⃗⃗⃗
𝐽𝑒 (𝑟1 𝑡) ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑠 = 0 → − ∫ ⋅ 𝑛̂ 𝑑𝑠 + 𝑖𝐶 = 0
ⅆ𝑡 𝑆1 𝑆2 𝜕𝑡
𝑆1
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 2

Parliamo delle equazioni di Maxwell.

Abbiamo visto la legge dell’induzione elettromagnetica, ora vediamo la legge di


Ampere.

La legge di Ampere è stata generalizzata da Maxwell con l’introduzione del


termine corrente di spostamento.

Abbiamo visto che se noi prendiamo un circuito percorso da una corrente


variabile nel tempo, e andiamo a mettere un condensatore lungo il circuito,
andando a considerare un percorso C sul quale si appoggiano due superfici S1 ed
S2, abbiamo che:

S1:

S2:

Maxwell ha visto che la circuitazione varia, non è sempre la stessa, se andiamo


a considerare la superficie S1 ed S2.

Secondo la legge di Ampere classica, la circuitazione di H ci da la corrente


concatenata al circuito C.

Nel caso della superficie S2 la corrente concatenata è ic, mentre quando


consideriamo S1, dal momento che all’interno del condensatore abbiamo un
dielettrico, un materiale isolante, dove non abbiamo elettroni in movimento, la
corrente di conduzione deve essere 0.

Abbiamo quindi due risultati diversi che ci fanno capire che la legge di Ampere
non vale sempre, c’è bisogno di una generalizzazione che renda la legge valida
sempre.

Ciò che ha fatto Maxwell è considerare l’unione delle due superfici, quindi una
superficie chiusa.

Quando si valuta la circuitazione lungo una linea chiusa abbiamo una corrente
che entra da un lato e una corrente che esce dall’altro, quindi l’integrale di
circuitazione deve essere 0.

L’integrale su S1 deve avere le stesse dimensioni di una corrente e deve avere


un segno opposto rispetto a ic in maniera tale che la somma faccia 0.

Inizialmente Maxwell ha espresso tale corrente come variazione della carica nel
tempo attraverso S1. Questa carica elettrica, che non è di conduzione, viene
descritta nel seguente modo:

Sappiamo che la divergenza di D è uguale a 𝜌 (…).

Dall’applicazione del teorema della divergenza abbiamo che (…).

La variazione viene espressa quindi come flusso di D attraverso S1.

In questa maniera la legge di Ampere è stata generalizzata (…).

È stato quindi introdotto il termine di corrente di spostamento che completa la


legge di Ampere, e ha fatto si che l’equazione che viene fuori (…) è la stessa che
regola i fenomeni ondosi (equazione delle onde) (…).

La terza e la quarta equazione di Maxwell sono note come leggi di Gauss per il
vettore spostamento elettrico e per il vettore induzione magnetica (…).

𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟⃗ , 𝑡) = 𝜌𝑒 (𝑟, 𝑡 ) 𝛻⃗ ⋅ 𝐵
⃗ (𝑟⃗⃗ , 𝑡) = 𝜌𝑚 (𝑟, 𝑡 )
∮𝐷 ⃗ (𝑟, 𝑡 ) ⋅ 𝑛̂ ⅆ𝑆 = 𝑄𝑒 ∮𝐵 ⃗ (𝑟, 𝑡 ) ⋅ 𝑛̂ ⅆ𝑆 = 𝑄𝑚
𝑆 𝑆
Il flusso ad una superficie chiusa regolare del vettore induzione magnetica fa
zero, perché in natura non esistono cariche magnetiche.

Ricordiamo sempre che alcuni problemi elettromagnetici possono essere


trattati in maniera equivalente introducendo delle grandezze magnetiche.

Le due equazioni alle divergenze non sono equazioni fondamentali, derivano


bensì dalle due ai rotori. In particolare, dimostriamo che la divergenza della
prima equazione di Maxwell dà luogo a (…).

𝜕𝛻⃗ ⋅ 𝐵
⃗ (𝑟 , 𝑡 )
𝛻⃗ ⋅ 𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) = −
𝜕𝑡
Il rotore misura la densità di vortici in un punto, ricordiamo che i vortici danno
vita a linee chiuse (…).

Vado a misurare la densità di sorgente in un punto che sorgente non è, bensì un


vortice (…).

Significa che la derivata temporale della divergenza di B vale zero, quindi vuol
dire che la divergenza di B è costante nel tempo.

𝜕
𝛻⃗ ⋅ 𝐵
⃗ = 0 → 𝛻⃗ ⋅ 𝐵
⃗ = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
𝜕𝑡
La divergenza di B implica l’individuazione di cariche magnetiche, che non
esistono in natura, quindi questa costante è nulla.

La stessa cosa si può dire per la divergenza di D.

Se consideriamo la divergenza del rotore di H, che fa 0 ancora una volta,


abbiamo che la divergenza di J è pari alla derivata di 𝜌 rispetto al tempo con il
segno opposto.

𝜕𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟, 𝑡 )
𝛻⃗ ⋅ 𝛻⃗ × 𝐻
⃗ (𝑟 , 𝑡 ) = + 𝛻⃗ ⋅ ⃗𝐽⃗𝑒 (𝑟, 𝑡 )
𝜕𝑡

𝜕𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟, 𝑡 ) 𝜕𝜌𝑒 (𝑟, 𝑡 )
𝛻⃗ ⋅ ⃗⃗⃗
𝐽𝑒 (𝑟, 𝑡 ) = − → 𝛻⃗ ⋅ ⃗𝐽⃗𝑒 (𝑟, 𝑡 ) = −
𝜕𝑡 𝜕𝑡
In forma integrale questa espressione è nota come equazione di continuità della
carica elettrica.

ⅆ𝑄𝑒
∮𝐽⃗⃗⃗𝑒 ⋅ 𝑛̂ ⅆ𝑆 = −
𝑆 ⅆ𝑡

(…)

Quindi se abbiamo delle correnti elettriche che fuoriescono dalla superficie S,


quindi abbiamo un flusso positivo, avremo una riduzione della carica elettrica
all’interno del volume.

Se invece abbiamo una corrente che entra all’interno del volume V, il flusso sarà
negativo e quindi avremo l’aumento della carica elettrica presente all’interno
del volume.

Introducendo l’equazione di continuità della carica elettrica, vediamo che se


prendiamo la divergenza del primo e del secondo membro della legge di
Ampere, avremo che (…).

Come determiniamo questa costante: quando D era 0, e non esisteva, anche la


sua sorgente doveva essere 0 (..).

Siccome è una costante nel tempo, evidentemente vale 0 sempre.

𝜕𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟, 𝑡 )
𝛻⃗ ⋅ 𝛻⃗ × 𝐻
⃗ (𝑟 , 𝑡 ) = + 𝛻⃗ ⋅ ⃗𝐽⃗𝑒 (𝑟, 𝑡 )
𝜕𝑡

𝜕𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟, 𝑡 ) 𝜕𝜌𝑒 (𝑟, 𝑡 )
− = 0 → 𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟, 𝑡 ) = 𝜌𝑒 (𝑟, 𝑡 ) + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
𝜕𝑡 𝜕𝑡
Questo vuol dire che dalla legge di Ampere si può derivare la legge di Gauss.

Condizioni al contorno

Ciò che abbiamo visto per quanto riguarda queste equazioni (…).

Nel momento in cui abbiamo a che fare con materiali diversi, nei punti dei singoli
materiali valgono le equazioni di Maxwell nella loro forma locale.
Sulla superficie di separazione non valgono più (…).

Per quanto riguarda le due leggi ai rotori, utilizziamo un circuito posto a cavallo
sull’interfaccia tra i due mezzi materiali diversi (…).

Definiamo dunque una terna ortogonale.

Creiamo dunque il circuito che ha un’altezza h e un’area pari ad A.

Dovremo scrivere rotore di E ed il rotore di H (…).

Scriviamo la prima equazione di Maxwell nella forma locale e facciamo il limite


con h che tende a 0 (…).

La valutazione deve essere fatta nel limite di h che tende a 0.

⃗ (𝑟, 𝑡 )
𝜕𝐵
𝑙𝑖𝑚 ∮ 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) ⋅ 𝑠̂ ⅆ𝑙 = − 𝑙𝑖𝑚 ∫ ⋅ 𝑡̂ ⅆ𝐴 − 𝑙𝑖𝑚 ∫ 𝐽𝑚 ⋅ 𝑡̂ ⅆ𝐴
ℎ→0 ℎ→0 𝜕𝑡 ℎ→0 𝐴
𝐶 𝐴

Per quanto riguarda la circuitazione del campo E, gli unici contributi che abbiamo
sono quelli dei due tratti orizzontali, e avremo una descrizione del campo
elettrico nel primo e nel secondo mezzo.

Questa circuitazione è pari al salto delle componenti tangenziali del campo


elettrico all’interfaccia.

𝑙𝑖𝑚 ∮𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) ⋅ 𝑠̂ ⅆ𝑙 = [−𝐸


⃗⃗⃗⃗2 (𝑟, 𝑡 ) + 𝐸⃗1 (𝑟, 𝑡 )] ⋅ 𝑠̂
ℎ→0 𝐶

Vediamo che succede al flusso attraverso A.

Calcolando il limite per h che tende a 0 anche l’area diventa nulla, quindi devo
calcolare il flusso attraverso una superficie che non c’è più, quindi sarà pari a 0.

⃗ (𝑟, 𝑡 )
𝜕𝐵
𝑙𝑖𝑚 ∫ ⋅ 𝑡̂ ⅆ𝐴 = 0
ℎ→0 𝜕𝑡
𝐴

Per quanto riguarda l’ultimo termine (…).


Qui abbiamo il limite per h che tende a 0 sempre di un flusso, abbiamo che Jm è
una densità superficiale di corrente magnetica, quindi nel limite con h che tende
a 0, questa la andremo a valutare su una linea, che è la linea di separazione tra i
due mezzi.

Quindi abbiamo una quantità infinita (…).

Se applichiamo una forza F su un’area A, la pressione sarà definita dal rapporto


𝐹𝑛
.
𝐴

𝑁
La pressione in meccanica è definita come 𝑚2.

Se applichiamo una pressione non su un’area, ma su una linea, la pressione


diventa infinita. Applicando la forza su un’area che via via si riduce, la pressione
aumenta, quando la applichiamo su una linea la pressione diventa infinita.

Ciò non ha niente a che vedere con il principio della conservazione dell’energia
(…).

A diventare infinita è la densità superficiale di corrente magnetica, perché viene


valutata, nel limite con h che tende a 0, su una linea piuttosto che su un’area.

Quindi stiamo valutando il limite di una forma indeterminata, che si risolve


andando a considerare una quantità finita sulla linea, che è la densità di corrente
magnetica non superficiale, ma lineare, quindi definita al metro.

𝑙
𝑙𝑖𝑚 ∫ 𝐽𝑚 ⋅ 𝑡̂ ⅆ𝐴 = 𝐽𝑚 ⋅ 𝑡̂
ℎ→0 𝐴

(WEBER AL SECONDO AL METRO QUADRO).

Possiamo arrivare quindi alla soluzione di questo limite dal punto di vista
matematico.

⃗⃗⃗⃗2 (𝑟, 𝑡 ) + 𝐸⃗1 (𝑟, 𝑡 )] ⋅ 𝑠̂ = − 𝐽𝑚


[−𝐸 𝑙
⋅ 𝑡̂

Utilizzando la relazione vettoriale tra i versori si ha:

(…)
Dal punto di vista fisico significa che (…), a meno che non ci sono delle densità
di correnti magnetiche lineari che viaggiano sulla superficie di separazione tra il
mezzo 1 ed il mezzo 2, in questo caso il salto è dato dalla densità lineare di
corrente magnetica che è presente all’interfaccia.

La stessa cosa è valida anche per l’altra legge (…).

Il salto delle componenti tangenziali del campo magnetico all’interfaccia è pari


a zero se non ci sono densità lineari di corrente magnetica all’interfaccia,
altrimenti è proprio pari a questa densità lineare di corrente magnetica
all’interfaccia.

Nella seconda equazione di Maxwell, ripetendo il procedimento allo stesso


modo, abbiamo (…).

Dal punto di vista fisico, il salto delle componenti tangenziali del campo
magnetico è zero (…), a meno che sulla superficie di separazione non ho degli
elettroni che si muovono (…).

Questo lo si ha quando uno dei due materiali è un metallo perfetto.

Sulla superficie di un metallo perfetto sono presenti degli elettroni liberi, quindi
sicuramente ci sarà una densità lineare di corrente elettrica.

Quindi avremo che (…), quindi alla densità di corrente elettrica lineare che è
presente all’interfaccia.

𝐻1 in un metallo perfetto è 0, quindi 𝑛 × 𝐻2 è uguale a 𝐽𝑒𝑙 lineare.

(…).

Andiamo a vedere le condizioni al contorno associate alle divergenze.

Poiché dobbiamo applicare il teorema di Gauss localmente nell’intorno


dell’interfaccia dobbiamo considerare un volume.

Conviene usare per semplicità di calcolo un volume cilindrico (…).

Andiamo a considerare il limite per h che tende a 0 in maniera tale da andare a


valutare (…) su un piccolo volume schiacciato in corrispondenza dell’interfaccia.
Nel limite con h che tende a 0, il flusso attraverso la superficie chiusa del
cilindretto del vettore D, (…) l’area attraverso cui vado a valutare il flusso sarà 0,
quindi il flusso sarà 0.

Il contributo sarà dato dalle superfici di base, le cui normali sono orientate nella
maniera opposta.

Al secondo membro dell’equazione di Maxwell abbiamo la densità di carica


𝐶
volumetrica elettrica, espressa in 𝑚3 (…).

Nel limite con h che tende a 0 il volume diventa una superficie, quindi la densità
volumetrica diventa infinita, perché la stiamo valutando su una superficie. Il
volume tende a 0, ro con e tende all’infinito, quindi abbiamo ancora una forma
indeterminata.

Introduciamo dunque la densità di carica elettrica superficiale (…).

Quindi possiamo dire che l’integrale esteso a V di 𝜌 con e nel limite con h che
tende a 0 (…).

Il salto delle componenti normali (…).

Vettori complessi

(…).

Le quantità vettoriali sono dette vettori istantanei, questo per intendere che le
grandezze vettoriali considerate variano nel tempo.

Per il campo elettromagnetico vale il principio della conservazione dell’energia,


perché abbiamo detto che trasporta energia attraverso la propagazione nello
spazio libero o in un mezzo materiale (…).

Le quantità strettamente legate ai campi, poiché vale il principio della


conservazione dell’energia, devono essere quantità finite.

Dal punto di vista matematico possiamo definire la trasformata secondo


Fourier rispetto al tempo e rispetto allo spazio.
(…).

Allo stesso modo, siccome 𝑓 (𝑟, 𝑡 ) dipende dal tempo e dallo spazio, possiamo
considerare anche uno spettro 𝑓 (𝑟, 𝑡 ), quindi un’anti-trasformata tra (…) e le
frequenze spaziali.

Dal punto di vista fisico, la rappresentazione tramite l’anti-trasformata di


Fourier (…), ci fa vedere che qualsiasi variazione nel tempo, dal momento che
𝑓 (𝑟, 𝑡 ) è una quantità finita, si può esprimere come (…), descritta tramite una
somma continua di contributi che variano frequenza per frequenza.

Questi contributi sono armonici, che variano nel tempo in maniera armonica.

Questo vuol dire che l’andamento di 𝑓(𝑟, 𝑡 ) può essere scomposto in una serie
di armoniche temporali, ciascuno con la sua ampiezza, di cui si va a fare la
somma tramite l’integrale da meno infinito e più infinito.

Allo stesso modo vale la scomposizione in termini di armoniche spaziali.

Rappresentando 𝑓(𝑟, 𝑡 ) tramite l’anti-trasformata spazio/frequenze spaziali,


vuol dire che andiamo a scomporre la variazione spaziale del campo
elettromagnetico (quantità finita), in una somma continua di componenti
spaziali (…).

Ciascuna di questa componente, per ogni k, ha la sua ampiezza, che è data


dallo spettro (…).

(…) è la rappresentazione di un’onda piana che viaggia nello spazio.

Questo vuol dire che posso scomporre qualsiasi (…) in una somma continua di
onde piante.

Posso quindi scomporre il campo elettromagnetico in uno spettro di onde


piante.

Per ogni k, ho un’onda piana diversa.

(…)
Il campo elettromagnetico è legato all’energia, il principio della conservazione
dell’energia ci fa capire che il campo elettromagnetico è una quantità finita,
quindi trasformabile secondo Fourier.

(…)

Lo studio di come si propaga e di come si comporta la singola onda piana


permette di derivare la propagazione dell’intero campo elettromagnetico,
perché si può esprimere come somma continua di onde piane.

(…)

Un andamento armonico puro non da informazioni, il suo spettro ci dice solo


dove è localizzata la portante.

Dobbiamo avere un certo spettro di informazioni per poter trasmettere


l’informazione.

Il segnale vocale è un segnale modulato (…).

La modulazione di un segnale nel tempo permette di ottenere e trasmettere


informazioni.

(…).

Quando x(t) varia in maniera armonica (…), il fasore di x(t) è una quantità
complessa X, che mi permette di rappresentare il segnale x(t) tramite un
numero complesso.

Tutte le grandezze variabili nel tempo, in qualsiasi ambito della fisica, sono
grandezze reali perché sono delle quantità fisiche.

Nel momento in cui consideriamo l’andamento armonico di x(t) è comodo


rappresentare x(t) con un numero, lo svantaggio è che il numero è complesso.
C’è una corrispondenza tra x(t) ed il fasore X, numero complesso.

Il termine di ampiezza è esattamente lo stesso, 𝜑 è la fase del segnale nel


dominio del tempo.
Per passare dal fasore alla quantità reale dobbiamo prendere il fasore X e
moltiplicarlo per l’esponenziale (…).

Questa rappresentazione permette di studiare una quantità reale che varia nel
dominio del tempo attraverso una sua rappresentazione sul piano complesso.

Quando parliamo di un vettore reale che dipende dal tempo, al posto del
fasore introduciamo un’estensione vettoriale del fasore, ovvero il vettore
complesso 𝐴(𝑟).

Si omette la dipendenza dal tempo quindi, che è quella armonica.

Il campo 𝐴(𝑟, 𝑡 ) è scomposto in tante componenti armoniche, e sto studiando


la singola componente armonica (…).

Una volta noto il vettore complesso, per tornare al vettore reale bisogna
procedere nel seguente modo (…).

Il vantaggio sta nel trascurare l’andamento temporale (…).

Il vettore 𝐴(𝑟) avrà una sua parte reale e una sua parte immaginaria (…).

In questo modo si esprime il vettore reale in termini del vettore complesso.

Questo ci permette di capire in quale piano si muove 𝐴(𝑟, 𝑡 ), dato dalla


combinazione lineare di due vettori parte reale e parte immaginaria.

Il vettore complesso A giace sul piano dove sono presenti Ar e Ai, i quali
individuano un piano.

L’estremo libero del vettore reale, quindi, cambia posizione in questo piano
definito da Ar e Ai.

Il piano di polarizzazione di un vettore reale è quello dove il vettore giace al


variare del tempo.

(…)

Eliminando la variabile tempo si trova che le componenti del vettore reale


𝐴(𝑟, 𝑡 ) al variare del tempo descrivono un luogo di punti che danno luogo ad
un’ellisse.
Esiste la polarizzazione circolare, quella per la quale la distanza tra il punto di
applicazione del vettore e l’estremo libero non cambia mai nel tempo, mentre
nel caso dell’ellisse questa distanza varia.

Le condizioni per le quali si ha una polarizzazione circolare si individuano nel


seguente modo: (…).

La distanza tra il punto di applicazione e l’estremo libero del vettore non varia
nel tempo, quindi occorre andare a valutare la derivata rispetto al tempo e porla
uguale a 0.

Le condizioni per cui questa espressione è sempre 0 sono le seguenti:

- Il primo termine è 0 se la parte reale del vettore complesso ha lo stesso


modulo della sua parte immaginaria.
- Il prodotto scalare dei due vettori deve essere 0 (…), quindi i due vettori
devono essere ortogonali nello spazio.

Consideriamo il caso della polarizzazione lineare, per la quale l’estremo libero


del vettore descrive un segmento di retta.

Ciò vuol dire che c’è almeno un istante nel periodo in cui la distanza tra il punto
di applicazione e l’estremo libero vale 0.

(…).

Divido i termini della distanza per il quadrato del coseno e ottengo un’equazione
di secondo grado rispetto alla tangente.

Questa equazione ammette radici reali per la tangente se il discriminante è nullo


o maggiore di zero (…).

Questa quantità non può essere maggiore di 0, è sempre negativa.

L’unico modo per avere una soluzione è il caso in cui questa quantità è uguale a
0.

Questa quantità è il modulo quadro del prodotto vettoriale tra la parte reale e
la parte immaginaria del vettore complesso.
Il prodotto vettoriale deve essere nullo, quindi vuol dire che i due vettori devono
essere sulla stessa direzione.

Questi andamenti rappresentano una variazione nel tempo fissando un punto


nello spazio.

Quindi il piano di polarizzazione è stato definito fissando r.

Il vettore di campo elettromagnetico 𝐴(𝑟, 𝑡 ) è una funzione sia di r che di t.

Per quanto riguarda la polarizzazione destra e sinistra, quando consideriamo le


due componenti del vettore 𝐴(𝑟, 𝑡 ) , supponendo di stare sul piano di
polarizzazione del vettore, indichiamo con psi l’angolo individuato rispetto ad u.

Se il vettore si muove in senso antiorario l’angolo aumenta, se si muove in senso


orario diminuisce (…).

Psi è l’angolo formato tra 𝐴(𝑟, 𝑡 ) e l’asse orizzontale u.

(…).

Se il determinante è maggiore di 0 il verso di rotazione è antiorario, altrimenti il


vettore A si sta avvicinando sull’asse orizzontale, se vale 0 vuol dire che non c’è
rotazione.

Il senso orario è associato alla polarizzazione destra, quello antiorario alla


polarizzazione sinistra.

(…)

Teoremi Fondamentali

Facciamo un richiamo sul teorema di Poynting.

Date le equazioni di Maxwell nel dominio del tempo, scriviamo il corrispettivo


nel dominio della frequenza effettuando la trasformata di Fourier delle
grandezze in gioco.

Enunciato del Teorema di Poynting:


“dato un volume regolare C di spazio occupato da un dato mezzo materiale e
circondato da una superficie regolare S, la potenza che viene fornita dalle
sorgenti impresse presenti all’interno di V è bilanciata dalla somma della
potenza dissipata in V, di quella immagazzinata in V e di quella che fuoriesce da
S”.

(…).

L’energia associata al campo elettromagnetico che non si è dissipata viene


immagazzinata dal campo elettromagnetico stesso.

Una parte dell’energia, visto che parliamo di una perturbazione ondosa, esce
dal volume.

(…) o viene dissipata nel volume perché ci sono delle condizioni in cui esiste
l’effetto Joule, oppure fuoriesce dal volume stesso nell’ambito della
propagazione perché fuoriesce il campo, e quindi anche l’energia ad esso
associata.

(…).
𝑤
Il vettore di Poynting è definito come 𝑚2.

Abbiamo tre termini importanti.

Il flusso del vettore di Poynting attraverso la superficie S che racchiude il


volume, abbiamo una coppia di termini data da due integrali di volume e poi
un terzo termine, poi osserviamo il secondo membro.

(…).

Quanti Watt escono dal volume, quindi la potenza che viene persa dal volume
per via del campo elettromagnetico che fuoriesce dal volume stesso.

(…) sono Joule, quindi sono energia.

Quindi parliamo di energia accumulata dal campo magnetico in propagazione e


dal campo elettrico. Quindi questi due termini descrivono un
immagazzinamento di energia sotto forma di campo elettrico e di campo
magnetico all’interno del volume V. In realtà parliamo di potenze perché
abbiamo la derivata.

Il terzo termine è di dissipazione, descrive l’effetto Joule che si genera


all’interno di un mezzo con conducibilità finita.

Questo vuol dire prendere in considerazione delle perdite per effetto Joule.

La potenza che viene fornita dalle sorgenti si divide in questi tre termini, quindi
viene dissipata, immagazzinata e viene persa dal volume V.

Il termine al secondo membro è dato dalla somma di due termini, ed è il


termine che definisce l’accoppiamenti di energia dalle sorgenti impresse al
campo elettromagnetico (termine di sorgente).

Le sorgenti impresse all’interno del volume V trasferiscono energia al campo


elettromagnetico.

(…).

Dobbiamo vedere come si realizza l’accoppiamento.

(…).

Queste due quantità non devono essere ortogonali altrimenti il prodotto


scalare è 0.

Meglio è se la sorgente impressa ed il campo sono diretti lungo la stessa


direzione in modo tale che il prodotto scalare è massimo.

(…) questo integrale viene massimizzato.

Supponiamo di avere una guida d’onda rettangolare, questa sostiene un modo


fondamentale, che è il modo TE10.

(…).

Questo è il modo fondamentale che esiste all’interno di una guida d’onda


rettangolare (…).
La sorgente deve essere di natura elettrica, perché questa accoppia energia al
campo elettrico.

(…).

Evidentemente dovrò utilizzare il cavo coassiale verticalmente, quindi dovrò


praticare un foro al centro sulla base della guida d’onda e mettere in questo
modo il cavo coassiale sotto la guida d’onda.

Questo in maniera tale che la sorgente abbia la stessa direzione del campo
elettrico, e questo, in particolare, è il punto dove il campo elettrico è massimo.

(…).

Lo stesso discorso è valido per le sorgenti impresse magnetiche.

(…).

Quindi il teorema di Poynting è un modo equivalente per rappresentare e


descrivere la conservazione dell’energia in elettromagnetismo.

Nel dominio della frequenza il risultato ed il concetto fisico sono gli stessi.

(…).
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 3

Teorema di Unicità:
Abbiamo visto il significato fisico di ogni termine che compare all’interno del
teorema di Poynting.

Abbiamo messo in evidenza il ruolo dell’ultimo termine, che è il termine


attraverso cui c’è un accoppiamento energetico tra le sorgenti impresse ed il
campo elettromagnetico.

Questo teorema è la rappresentazione del principio della conservazione


dell’energia in elettromagnetismo.

Esistono altri teoremi fondamentali.

Per quanto riguarda, per esempio, il Teorema di Unicità, questo ci dice che
conoscendo le condizioni al contorno, quindi le componenti tangenziali del
campo elettrico e/o del campo magnetico sul contorno del dominio dove
dobbiamo risolvere le equazioni di Maxwell, la soluzione è unica.

Questo se siamo nel dominio della frequenza.

Se siamo nel dominio del tempo dobbiamo considerare anche le condizioni


iniziali.

Quindi, note queste condizioni iniziali, la soluzione del problema di Maxwell


che possiamo derivare certamente è unica. L’unicità della soluzione è
importante.
Utilizzando il metodo scientifico noi vediamo un fenomeno, e poi lo andiamo a
modellare da un punto di vista matematico.

Una volta modellato da un punto di vista matematico, possiamo prevederne


l’evoluzione, quindi andremo a risolvere delle equazioni (integrali o
differenziali) che ci permettono di comprendere come un fenomeno, osservato
in un determinato istante, possa poi evolversi nel tempo e nello spazio.

Dobbiamo essere sicuri che l’evoluzione prevista sia poi quella che appare
fisicamente e sperimentalmente.

Quindi, se a monte sono verificate tutte le condizioni per cui è valido il


teorema di unicità, allora siamo sicuri che la soluzione è unica.

Su ciò si basano tutti i modelli di predizione e di valutazione del campo


elettromagnetico, in particolare parliamo dei metodi analitici (che usano delle
formule) e dei metodi numerici (che usano dei software).

Potenziali Elettrodinamici:
Immaginiamo di prendere in considerazione la derivazione del campo
elettromagnetico che viene generato da determinate sorgenti.

Dopo aver stabilito che ci sono delle sorgenti che hanno generato il campo
elettromagnetico, vogliamo vedere come questo si evolve nello spazio e nel
tempo. Le sorgenti possono essere di tipo elettrico o magnetico, quelle
magnetiche tipicamente sono equivalenti.

In presenza di sorgenti impresse i rotori di E e di H si scrivono così

𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟) = −𝑗𝜔𝜇0 𝐻
⃗ (𝑟) − 𝐽𝑚
𝑖 ( )
𝑟

𝛻⃗ × 𝐻
⃗ (𝑟) = 𝑗𝜔𝜀0 𝐸⃗ (𝑟) − 𝐽𝑒𝑖 (𝑟)

Le sorgenti impresse sono note nel problema che vogliamo affrontare.

A partire dalle sorgenti impresse dobbiamo ricavare il campo E ed il campo H,


cioè il campo elettromagnetico.
Un modo per affrontare questo problema è quello di utilizzare i potenziali
elettrodinamici, cioè il potenziale vettore magnetico A ed il potenziale vettore
elettrico F.

Introducendo il potenziale vettore magnetico A(r) come un vettore arbitrario,


questo è definito quando sono stati definiti vortici e sorgenti.

Dobbiamo definire in maniera arbitraria rotore e divergenza di A.

Assumiamo che la misura di densità di vortici di A sia pari ad H.

⃗ (𝑟) = 𝛻⃗ × 𝐴(𝑟)
𝐻

Si ha dunque che 𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟) = −𝑗𝜔𝜇0 𝛻⃗ × 𝐴(𝑟) = 𝛻⃗ × [−𝑗𝜔𝜇0 𝐴(𝑟)]

Allo stesso modo in cui due derivate sono uguali a meno di una costante, due
rotori, nel calcolo vettoriale, sono uguali tra loro a meno di un gradiente (di
una quantità scalare 𝛷).

Introduciamo il potenziale scalare elettrico 𝛷.

𝐸⃗ (𝑟) = −𝑗𝜔𝜇0 𝐴(𝑟) − 𝛻⃗ 𝛷

Introdotto il gradiente di 𝛷, andiamo al secondo ordine, quindi andiamo a


valutare la seconda equazione di Maxwell, che è rotore di H.
𝑖
𝛻⃗ × 𝛻⃗ × 𝐴(𝑟) = 𝜔 2 𝜀0 𝜇0 𝐴(𝑟) − 𝑗𝜔𝜀0 𝛻⃗𝛷 + ⃗⃗⃗
𝐽𝑒 (𝑟)

Sappiamo quanto vale rotore del rotore di A, che è 𝛻⃗𝛻⃗ ⋅ 𝐴(𝑟) − 𝛻⃗ 2 𝐴(𝑟).

Del vettore A, che è arbitrario, abbiamo definito soltanto i vortici, non abbiamo
detto quanto vale la divergenza di A.

Possiamo sceglierla noi nel modo più opportuno, visto che A è arbitrario, per
semplificare l’equazione differenziale al secondo ordine.

Abbiamo il termine noto di forzamento delle sorgenti impresse elettriche,


dobbiamo imporre che la divergenza di A sia pari a −𝑗𝜔𝜀0 𝛻⃗𝛷 (condizione di
Lorentz). Possiamo farlo, perché la divergenza è arbitraria.
Ci sono anche delle altre possibilità di scelta per la divergenza di A.

Quello che rimane è che A è completamente definito, quindi è un vettore


legato alle grandezze elettromagnetiche, ed è completamente definito perché
ne abbiamo definito il rotore e la divergenza.

Il rotore di A è legato al campo magnetico, la divergenza invece al campo


elettrico.

Il risultato finale è un’equazione di Helmholtz nel dominio della frequenza al


secondo ordine, dove abbiamo un termine noto, quindi è un’equazione non
omogenea, con un termine di forzamento (sorgenti impresse).
𝑖
𝛻⃗ 2 𝐴(𝑟) + 𝜔 2 𝜀0 𝜇0 𝐴(𝑟) = −𝐽⃗⃗⃗𝑒 (𝑟)

Una volta risolta questa equazione differenziale, abbiamo trovato quanto vale
A, quindi quanto vale questo potenziale vettore magnetico.

A questo punto, noto A, possiamo ricavare H, ed E.

⃗ (𝑟) = 𝛻⃗ × 𝐴(𝑟)
𝐻

1
𝐸⃗ (𝑟) = −𝑗𝜔𝜇0 𝐴(𝑟) + 𝛻⃗ 𝛻⃗ ⋅ 𝐴(𝑟)
𝑗𝜔𝜀0

Non risolviamo direttamente il sistema di Maxwell quindi, ma usiamo un


passaggio intermedio, visto che può risultare complicato maneggiare un
sistema di due equazioni vettoriali, quindi di sei equazioni scalari accoppiate
tra di loro.

Per ovviare a questo, si passa attraverso il potenziale vettore magnetico una


volta che sono state assegnate le sorgenti impresse.

Osserviamo che, una volta noto A, il campo elettrico ed il campo magnetico si


ottengono tramite operazioni di derivate spaziali. Il rotore di A è
un’applicazione di derivate alle componenti di A, così come anche il gradiente
della divergenza implica l’uso di derivate.

Che succede quando invece abbiamo sorgenti impresse magnetiche?


Possiamo usare lo stesso procedimento visto prima, ma in maniera duale.

Quindi il potenziale vettore elettrico che dobbiamo introdurre lo chiamiamo F,


è elettrico perché il rotore di F è legato al campo elettrico.

Conviene mettere il segno – perché bisogna rispettare la dualità, che abbiamo


visto già caratterizzare le equazioni di Maxwell.

𝐸⃗ (𝑟) = −𝛻⃗ × 𝐹 (𝑟)

1
⃗ (𝑟) = −𝑗𝜔𝜀0 𝐹 (𝑟) +
𝐻 𝛻⃗ 𝛻⃗ ⋅ 𝐹 (𝑟)
𝑗𝜔𝜇0

Che succede se sono presenti entrambe le sorgenti impresse?

Se siamo in un regime lineare, visto che le equazioni che governano il campo


sono lineari, se il mezzo in cui andiamo a studiare il problema è lineare, il
problema avrà una natura globale lineare, e quindi varrà il principio della
sovrapposizione degli effetti.

Possiamo considerare, una volta spente le sorgenti magnetiche e accese le


sorgenti elettriche, possiamo fare la valutazione del campo elettromagnetico, e
poi fare il contrario. Infine, sommiamo i due contributi ottenuti relativi alle
sorgenti elettriche e magnetiche.

Se consideriamo le sole sorgenti elettriche impresse, abbiamo solo il potenziale


vettore magnetico A, viceversa se abbiamo le sole sorgenti magnetiche
impresse, avremo solo il potenziale vettore elettrico F.

1
⃗ (𝑟) = 𝛻⃗ × 𝐴(𝑟) − 𝑗𝜔𝜀0 𝐹 (𝑟) +
𝐻 𝛻⃗𝛻⃗ ⋅ 𝐹 (𝑟)
𝑗𝜔𝜇0
1
𝐸⃗ (𝑟) = −𝑗𝜔𝜇0 𝐴(𝑟) + 𝛻⃗𝛻⃗ ⋅ 𝐴(𝑟) − 𝛻⃗ × 𝐹 (𝑟)
𝑗𝜔𝜀0

Funzione di Green per lo spazio libero:


Ricapitolando, l’introduzione dei potenziali elettrodinamici ci porta a risolvere
il sistema di equazioni di Maxwell in una maniera più semplice date le sorgenti
impresse. Arriviamo alla soluzione di un’equazione differenziale del tipo di
Helmholtz per il potenziale vettore in analisi, e poi ricaviamo il campo elettrico
o magnetico tramite operazioni di derivate spaziali (rotore e gradiente della
divergenza).

Entriamo un po’ più nel vivo della soluzione del problema elettromagnetico.
Abbiamo visto che il problema della soluzione dell’equazione di Maxwell si è
spostato nel problema della soluzione di un’equazione differenziale non
omogenea del tipo di Helmholtz.

Dobbiamo arrivare alla soluzione di questa equazione per il potenziale vettore


magnetico, per esempio, dove il forzamento è una sorgente impressa elettrica.
𝑖
𝛻⃗ 2 𝐴(𝑟) + 𝜔 2 𝜀0 𝜇0 𝐴(𝑟) = −𝐽⃗⃗⃗𝑒 (𝑟)

Proiettiamola sui tre assi cartesiani, quindi otteniamo un’equazione che è la


stessa equazione in una forma non vettoriale, componente per componente,
quindi abbiamo tre equazioni scalari ottenute proiettando la precedente sui tre
assi, e sono formalmente identiche. Ogni componente di 𝐴(𝑟) deve soddisfare
questa equazione:

𝛻 2 𝐴(𝑟) + 𝑘 2 𝐴(𝑟) = −𝐽𝑒𝑖 (𝑟)

A questo punto per risolvere questa equazione differenziale non omogenea,


dobbiamo prima passare alla soluzione dell’omogenea associata.

Dobbiamo prima risolvere quella con il forzamento pari a zero.

È importante il concetto di linearità, poiché sia il sistema, sia le equazioni di


Maxwell, sia il mezzo dove abbiamo la generazione e la propagazione del
campo elettromagnetico, sono di tipo lineare, vale la sovrapposizione degli
effetti.

Quindi, data una J impressa elettrica distribuita all’interno di uno spazio,


possiamo considerare questa sorgente come l’insieme di tanti punti.

Ciò che possiamo fare è andare a valutare la soluzione di questa equazione di


Helmholtz quando la sorgente, invece di occupare una regione estesa di spazio,
risolta essere puntiforme.
In questo caso l’equazione avrà come termine di forzamento un impulso
matematico spaziale.

Introduciamo dunque la Funzione di Green per lo spazio libero G, che


rappresenta la risposta all’impulso di sorgente impressa (risposta impulsiva
spaziale):

𝛻 2 𝐺 (𝑟, 𝑟 ′ ) + 𝑘 2 𝐺 (𝑟, 𝑟 ′ ) = −𝛿 (𝑟 − 𝑟 ′ )

Immaginando di avere un sistema di riferimento ortogonale cartesiano, 𝑟 è il


vettore di osservazione ed individua il generico punto dello spazio nel quale
vogliamo andare a valutare il campo elettromagnetico, ovvero il potenziale
vettore magnetico.

Invece 𝑟 ′ è il vettore di sorgente, che definisce i punti all’interno della regione


dove si ha la sorgente, e cambierà quando vogliamo andare a identificare tutti
questi punti all’interno della regione dove si ha la sorgente.

La componente scalare del potenziale vettore magnetico vista prima, diventa la


risposta all’impulso di sorgente (fai il disegno).

Questa risposta impulsiva spaziale la chiamiamo funzione di Green per lo


spazio libero.

È una risposta impulsiva di tipo spaziale, è la risposta all’impulso di sorgente,


non temporale del tipo h(t-t’), che è la risposta del sistema all’applicazione di
un segnale di ingresso in un determinato istante.

Questa è la risposta del sistema all’applicazione di una sorgente


elettromagnetica localizzata in un punto.

Essendo comunque una risposta impulsiva, valgono le stesse proprietà che


consideriamo per una risposta impulsiva temporale per esempio di un filtro.

Il problema quindi si è semplificato ulteriormente considerando la linearità.

Abbiamo che il forzamento è un impulso matematico, mentre al posto di A ci


metto G che è una risposta impulsiva spaziale.

Il procedimento per la soluzione del problema è il seguente.


Abbiamo detto che la funzione di Green per lo spazio libero definisce la
risposta dello spazio libero all’applicazione di una sorgente elettrica nel caso
specifico in un punto dello spazio.

Andiamo a considerare, visto che parliamo dello spazio libero (spazio senza
limitazioni dove non è presente nulla, infinitamente esteso, occupato da un
singolo mezzo materiale che può essere, per esempio, il vuoto), se mettiamo la
sorgente in un punto piuttosto che in un altro, la risposta non cambierà, non
cambia nessuna distanza relativa.

Posso quindi considerare anche il caso particolare in cui il punto di sorgente sia
centrato nell’origine degli assi, non cambia assolutamente nulla.

𝛻⃗ 2 𝐺 (𝑟) + 𝑘 2 𝐺 (𝑟) = −𝛿 (𝑟)

Assumiamo quindi il punto di applicazione dell’impulso di sorgente nell’origine


degli assi.

Andiamo a risolvere il problema, 𝑟 è una grandezza vettoriale, il vettore di


osservazione.

Se ci mettiamo in un sistema di riferimento sferico, 𝑟 avrà una componente


radiale, una componente secondo 𝜃̂ e una componente secondo 𝜑̂.

Io ho la sorgente in un punto che irradierà, produrrà un campo


elettromagnetico che si espande da quel punto.

Data la simmetria, non c’è ragione di vedere che il campo differisce in maniera
angolare.

Prendendo in un sistema di riferimento sferico dei piani 𝜃=costante o


𝜑=costante, visto che su quel piano non ci sono ostacoli all’espansione, che è
libera, della sorgente elettromagnetica, non mi aspetto delle variazioni,
andando a variare questi due piani che ho preso in considerazione.

Il risultato quindi è che, per questi motivi di simmetria, la funzione di Green,


quindi il potenziale vettore magnetico, dipende solo da 𝑟.

La distribuzione cambia solo al variare di 𝑟, quindi solo per sfere concentriche.


Data una sfera, sulla superficie sferica, il potenziale vettore magnetico, e quindi
la funzione di Green, non può variare, perché non ci sono ostacoli intorno alla
sorgente lungo determinate direzioni che possano determinare una variazione
angolare del campo prodotto.

Andando a togliere la dipendenza da 𝜃 e da 𝜑 esprimiamo in questo modo il


laplaciano.

1 ⅆ 2 ⅆ𝐺 (𝑟)
2
[𝑟 ] + 𝑘 2 𝐺 (𝑟) = −𝛿 (𝑟)
𝑟 ⅆ𝑟 ⅆ𝑟

Consideriamo quindi l’omogenea associata per la risoluzione dell’equazione


differenziale al secondo ordine, dopodichè si ricava l’integrale generale.

La soluzione dell’equazione omogenea

1 ⅆ 2 ⅆ𝐺 (𝑟)
2
[𝑟 ] + 𝑘 2 𝐺 (𝑟) = 0
𝑟 ⅆ𝑟 ⅆ𝑟

si ottiene considerando come incognita non la 𝐺 (𝑟), ma la funzione 𝐺′(𝑟) =


𝑟𝐺 (𝑟). Con questa posizione l’equazione diventa:

ⅆ 2 𝐺 ′ (𝑟)
+ 𝑘 2 𝐺 ′ (𝑟) = 0
ⅆ𝑟 2
Si tratta ancora una volta di un’equazione armonica con soluzione

𝐺 ′ (𝑟) = 𝑐1 ⅇ −𝑗𝑘𝑟 + 𝑐2 ⅇ 𝑗𝑘𝑟

La funzione di Green, quindi, nel suo integrale generale assume questa


espressione, abbiamo quindi due termini di onda sferica, che si attenuano in
maniera lineare con la distanza, uno di tipo progressivo e l’altro di tipo
regressivo.
𝑐1 −𝑗𝑘𝑟 𝑐2 𝑗𝑘𝑟
𝐺 (𝑟) = ⅇ + ⅇ
𝑟 𝑟
I coefficienti di integrazione c1 e c2 sono quantità in generale complesse che
bisogna determinare.
Se io ho una sorgente messa in un punto, la soluzione sarà data da delle onde
sferiche che si espandono a partire dalla sorgente, che viaggiano sia nel verso
delle r positive con ⅇ −𝑗𝑘𝑟 , sia nel verso delle r negative con ⅇ 𝑗𝑘𝑟 .

Abbiamo un’onda diretta e un’onda riflessa, esattamente come avviene in una


linea di trasmissione.

C1 e c2 devono essere ricavate tramite le condizioni al contorno.

Dal punto di vista intuitivo appare chiaro che, se ci troviamo nello spazio libero,
𝑒 𝑗𝑘𝑟
c2 deve essere 0, perché l’onda riflessa , se esiste, esiste perché l’onda
𝑟
generata dalla sorgente, che si espande in maniera sferica, ad un certo punto
incontra un ostacolo, e torna indietro verso la sorgente.

Ma se ostacoli non ce ne sono, come nel caso dello spazio libero, non esiste
un’onda riflessa.

Dal punto di vista fisico siamo quindi certi che c2 sia uguale a 0, dobbiamo
verificarlo da un punto di vista matematico, e per farlo consideriamo le
condizioni al contorno.

Sulla sfera di raggio r tendente all’infinito, la soluzione deve andare sempre


come 1/r, quindi deve attenuarsi in maniera lineare, ed il campo
elettromagnetico associato deve andare a 0.

Questo è il significato delle due condizioni matematiche che leggiamo qui

𝑙𝑖𝑚 [𝑟|𝐺 (𝑟)|] = 𝑙


𝑟→∞

ⅆ𝐺 (𝑟)
𝑙𝑖𝑚 𝑟 [ + 𝑗𝑘𝐺 (𝑟)] = 0
𝑟→∞ ⅆ𝑟

La prima ci dice che il primo limite deve dare luogo ad una quantità finita,
quindi G(r) deve andare in modulo come 1/r.

Il campo elettrico, ad esempio, tangenziale sulla superficie di raggio infinito


deve essere nullo.
Queste condizioni matematiche ci permettono di ottenere direttamente il
valore di c2, ovvero 0 perché non c’è nessuna onda riflessa.

ⅇ 𝑗𝑘𝑟
𝑐2
𝑟
Ci rimane adesso questo integrale generale, dove dobbiamo applicare la
condizione al contorno, quindi l’integrale particolare, per ricavare c1.

ⅇ −𝑗𝑘𝑟
𝐺 (𝑟) = 𝑐1
𝑟
Nel mezzo c’è lo spazio libero, l’unica condizione da imporre è che nell’origine
degli assi ci sia la sorgente.

Questa è l’unica condizione ulteriore che possiamo imporre, il che rappresenta


anche l’integrale particolare dell’equazione differenziale, perché è quello che
prevede la reintroduzione del termine di forzamento.

Dobbiamo dire che, se noi andiamo a prendere il sistema di riferimento sferico,


e sappiamo che nell’origine degli assi c’è la sorgente, questa sorgente è una
𝛿 (𝑟), che è uguale a questa espressione 𝛻⃗ 2 𝐺 (𝑟) + 𝑘 2 𝐺 (𝑟) a meno di un
segno.

Se prendiamo una sfera con un raggio r0 molto piccolo e lo facciamo tendere a


0, l’integrale di volume della sfera deve fare -1.

Stiamo infatti considerando l’integrale di un impulso matematico valutato nel


limite del punto in cui è centrato l’impulso, quindi l’integrale vale 1, -1 perché
abbiamo – 𝛿 (𝑟).
𝑟0 𝜋2𝜋

∭ [𝛻 2 𝐺(𝑟) + 𝑘 2 𝐺 (𝑟)]𝑟 2 𝑠𝑖𝑛𝜃ⅆ𝜃ⅆ𝜑ⅆ𝑟 = −1


000

Facendo i conti, quindi calcolando il primo integrale, ed il secondo integrale di


𝑘 2 𝐺 (𝑟)𝑟 2 , nel limite per r0 piccolo, avremo che 𝑙𝑖𝑚 [−4𝜋𝑐1 ⅇ −𝑗𝑟0 (1 + 𝑗𝑘𝑟0 )] =
𝑟0 →0
−1
1
In definitiva otteniamo 𝑐1 = 4𝜋.

Il risultato finale è che la funzione di Green per lo spazio libero vale 𝐺 (𝑟) =
′|
1 𝑒 −𝑗𝑘𝑟 1 𝑒 −𝑘|𝑟⃗−𝑟⃗
, ed introducendo nuovamente r’, otteniamo 𝐺 (𝑟 − 𝑟 ′ ) = 4𝜋 |𝑟 −𝑟 ′ |
.
4𝜋 𝑟

Ciò che conta è sempre e soltanto la differenza tra il vettore di sorgente ed il


vettore di osservazione o posizione, quindi la distanza che c’è il punto di
sorgente ed il punto in cui si va ad osservare il campo.

Poiché siamo nello spazio libero, poiché questo è infinito, non conta dov’è
posizionata la sorgente e quale sia il punto di osservazione, la risposta, ovvero
il valore di G, dipenderà soltanto dalla distanza tra il punto di sorgente e di
osservazione.

Lo spazio libero, quindi, è un sistema invariante per traslazioni spaziali.

Un filtro è un sistema lineare ed invariante per traslazione temporale, allora la


sua risposta impulsiva si può esprimere come h(t-t’) ed il segnale y(t) è legato a
x(t) attraverso l’operazione di convoluzione. Il legame tra l’ingresso e l’uscita è
espresso tramite convoluzione.

Se dobbiamo definire il potenziale vettore A, che si genera dalla sorgente


impressa elettrica applicata in una regione di spazio, non solo in un punto,
quindi abbiamo un volume dove è presente la sorgente impressa elettrica.

Abbiamo suddiviso il volume in tanti punti elementari, e per ciascuno di questi


punti di sorgente vale la risposta data dalla funzione di Green, e per la linearità
possiamo applicare il principio della sovrapposizione degli effetti.

Il potenziale vettore A sarà dunque dato dalla sovrapposizione integrale di tutti


i contributi, ciascuno pari alla funzione di Green G.

La funzione di Green, essendo la risposta impulsiva spaziale, permette di


concepire questo integrale, essendo il sistema lineare ed invariante rispetto a
traslazioni spaziali, come integrale di convoluzione.

𝐴(𝑟) = ∫ 𝐺 (𝑟 − 𝑟 ′ )𝐽𝑒𝑖 (𝑟 ′ ) ⅆ𝑉 ′
𝑉′
Questo è un integrale esteso solo al volume di sorgente V’, però la funzione di
sorgente impressa elettrica esiste solo in V’, fuori vale 0.

Nulla vieta di estendere questo integrale tra meno infinito e più infinito, in
tutto lo spazio, a questo punto appare chiaro che questo è un integrale di
convoluzione, perché si estende da meno infinito a più infinito.

Sostituiamo l’espressione per la funzione di Green che abbiamo ricavato ed


otteniamo il potenziale vettore tramite il seguente integrale di convoluzione
tra la funzione di Green e la sorgente impressa elettrica.

1 ⅇ −𝑘0 |𝑟−𝑟 | 𝑖 ′
𝐴(𝑟) = ∫ ′
𝐽𝑒 (𝑟 ) ⅆ𝑉 ′
4𝜋 |𝑟−𝑟 |
𝑉′

Una volta noto il potenziale vettore che questa sorgente impressa ha generato
in tutto lo spazio, tramite operazioni di derivazione nello spazio e nel tempo
possiamo calcolare direttamente il campo elettrico ed il campo magnetico.

I potenziali elettrodinamici permettono di risolvere in maniera più semplice le


equazioni di Maxwell, la funzione di Green rappresenta la soluzione dei
potenziali elettrodinamici, nel caso dello spazio libero, per una sorgente
puntiforme.

La funzione di Green non esiste solo per lo spazio libero.

Se non siamo nello spazio libero il problema elettromagnetico sarà un po’ più
complicato da risolvere. La funzione di Green va valutata per quel determinato
ambiente che stiamo considerando, può essere valutata analiticamente, altre
volte andrebbe valutata in maniera sperimentale (la sorgente va messa
all’interno di questo ambiente e deve essere valutata la risposta all’impulso).
Se il sistema è ancora lineare possiamo applicare la convoluzione e ricavare il
campo elettromagnetico corrispondente.

Dipolo di Hertz:
Parliamo del Dipolo di Hertz.
Rappresenta un’applicazione di questo integrale di convoluzione che abbiamo
visto.

Il dipolo di Hertz è una semplice sorgente impressa elettrica.

La sorgente puntiforme è ideale, non è reale, perché per poter produrre un


campo elettromagnetico serve il moto degli elettroni, i quali devono muoversi
avanti e indietro lungo una direzione preferenziale, non in maniera radiale.

Se un elettrone potesse muoversi, nel punto dove è localizzato, allo stesso


tempo, in maniera radiale, potremmo avere delle sorgenti puntiformi di campo
elettromagnetico, ma così non è (vedi il disegno).

L’impulso matematico centrato in un punto, la sorgente puntiforme, e quindi


una sorgente impressa che non ha una natura vettoriale, non esiste in
elettromagnetismo, esiste in altri ambiti della fisica.

Per esempio, in acustica, quindi se consideriamo la compressione di un mezzo,


come per esempio l’aria, prodotta da una sorgente, possiamo considerare
anche il caso di una sorgente puntiforme che, effettivamente, ha una
simmetria sferica.

La valutazione della funzione di Green, e quindi della simmetria sferica della


soluzione, è solo matematica, infatti non c’è nessun campo elettromagnetico
che può espandersi in maniera radiale come se fosse originato da una sorgente
puntiforme, perché gli elettroni devono andare in una certa direzione per
potersi muovere, e non possono muoversi contemporaneamente per tutto
l’angolo solido.

Parliamo di un cilindretto metallico di lunghezza l molto piccola rispetto alla 𝜆.

L’area della sezione trasversa del cilindretto è molto piccola rispetto, non solo
alla lunghezza d’onda, ma anche rispetto all’altezza del cilindretto l.

Gli elettroni liberi lungo questo cilindretto metallico potranno muoversi solo
lungo la direzione verticale, e non potranno muoversi in maniera radiale,
perché abbiamo assunto che la dimensione lineare caratteristica associata alla
sezione trasversa è molto piccola rispetto all’altezza del cilindro. Stiamo
parlando di un cilindretto molto sottile, al limite potrebbe muoversi in verticale
un elettrone soltanto.

L’altezza del cilindro può essere qualsiasi, purchè sia piccola rispetto alla
lunghezza d’onda. Che vuol dire piccola rispetto alla 𝜆?

In generale si ha che le dimensioni piccolo o grande, in elettromagnetismo, non


hanno senso in maniera assoluta, così come gli andamenti temporali brevi o
lunghi. Un andamento temporale può essere breve o lungo se confrontato con
il periodo o la frequenza. Allo stesso modo una dimensione lineare può essere
corta o lunga in riferimento alla lunghezza d’onda.

Immaginiamo che, idealmente, su questo cilindretto scorra una corrente


costante pari a I0.

Questa è la definizione matematica del dipolo di Hertz, ma non è possibile


avere su una struttura fisica come questa, un cilindretto metallico molto
sottile, una corrente costante. La corrente è il flusso del vettore densità di
corrente elettrica, e la densità di corrente elettrica è legata alla densità di
carica che si muove con una certa velocità.

Se considero le superfici di base del cilindro, il flusso di J elettrica attraverso le


superfici di base dipende dal numero di elettroni che escono. Ma nessun
elettrone esce, perché c’è un salto di potenziale con il vuoto intorno.

Quindi non escono, a meno di effetti fotoelettrici o altri fenomeni. Tutti gli
elettroni rimangono confinati all’interno del metallo.

Il flusso di J attraverso le due basi è sicuramente 0, quindi la corrente non può


essere costante in tutto il cilindro. Sicuramente in corrispondenza delle basi il
flusso va a 0.

Nella parte centrale gli elettroni saranno liberi di muoversi, tipicamente ci


aspettiamo un massimo. Infatti, l’andamento tipico per I0 è un andamento
sinusoidale, se l è molto piccolo rispetto a 𝜆 è triangolare.

Sicuramente non è questa la struttura fisica del dipolo di Hertz,


matematicamente può anche essere rappresentato così.
Il dipolo in realtà, realizzato sperimentalmente da Hertz per verificare la
validità delle equazioni di Maxwell, è caricato con due grandi sfere, una sopra e
una sotto, e al centro è posta l’alimentazione armonica, sinusoidale, del dipolo
stesso. Queste due sfere sono due grandi condensatori, che permettono alla
corrente di non andare a zero in corrispondenza della sezione terminale del
cilindretto. Introducendo questi condensatori Hertz ha fatto in modo che
l’andamento della corrente lungo i due bracci del dipolo non andasse a zero in
nessun punto, ma ha fatto in modo che fosse costante lungo tutto il dipolo.

Ecco perché si può supporre che la corrente che fluisce lungo il cilindro di
lunghezza l sia costante e perché questa rappresentazione assume un senso.

Perché questo oggetto produce delle onde elettromagnetiche e trasferisce


energia sottoforma di radiazione? Dalla fisica elementare ricordiamo che, se
noi abbiamo un elettrone fermo o che si muove di moto rettilineo uniforme,
questo non cede energia. Quindi ha la sua energia cinetica, se è fermo è 0, se si
1
muove di moto rettilineo uniforme è pari a 2 𝑚𝑣 2 .

L’elettrone perde energia se è sottoposto ad una decelerazione, la sua energia


cinetica viene trasformata in energia che viene irradiata nello spazio.

Laddove noi avremo in questo oggetto che abbiamo così definito un


rallentamento o un’accelerazione significativa dell’elettrone, è proprio lì che
abbiamo i fenomeni di radiazione. La forte decelerazione la si avrà in
corrispondenza delle basi del cilindro metallico, quindi da quei punti estremi
del cilindro metallico avrà origine la cessione dell’energia dal dipolo allo spazio
libero. Il meccanismo di radiazione, quindi, ha origine nelle due basi, dove
l’elettrone subisce la più significativa decelerazione, quindi perde energia.

Il generatore collegato con il dipolo fornisce energia agli elettroni, questi


acquistano un’energia cinetica e si muovono all’interno del cilindretto, urtano
in corrispondenza delle basi e lì abbiamo dei fenomeni di decelerazione.
L’energia cinetica viene quindi ceduta sottoforma di radiazione.

Tutta la teoria delle antenne è incentrata su questo principio fisico molto


elementare, cioè elettroni sottoposti a decelerazione cedono energia.
Quindi parliamo di una sorgente impressa dove gli elettroni viaggiano lungo
l’asse verticale, questo è l’elemento chiave che differenzia questa struttura da
una sorgente puntiforme. La densità di corrente la si ha in una determinata
direzione, per esempio lungo z se il dipolo è allineato lungo z. Il momento di
dipolo vale 𝐼0 𝑙. Rispetto a x, y e z la sorgente impressa è comunque
infinitesima. La si può pensare localizzata nell’origine degli assi, come se fosse
una sorgente puntiforme.

Il fatto che si tratti di un dipolo si vede nella direzione z che individua il moto
delle cariche, e quindi della densità di corrente elettrica impressa.

𝐽𝑒𝑖 (𝑟 ′ ) = 𝑧̂ 𝐼0 𝑙𝛿 (𝑥 ′ )𝛿 (𝑦 ′ )𝛿 (𝑧 ′ )

Nota la sorgente impressa, possiamo ricavare il potenziale vettore magnetico


generato da questa sorgente impressa tramite la soluzione dell’integrale di
convoluzione (assumendo che tutto sia nello spazio libero) che abbiamo visto
in precedenza, e noto il potenziale vettore possiamo ricavare campo elettrico e
magnetico sostenuto e generato dal dipolo di Hertz.

Dobbiamo fare l’integrale di convoluzione nella direzione di z.



1 ⅇ −𝑘0 |𝑟−𝑟 |
( )
𝐴 𝑟 = 𝑧̂ ∫ ′
𝐼0 𝑙𝛿 (𝑥 ′ )𝛿 (𝑦 ′ )𝛿 (𝑧 ′ ) ⅆ𝑉 ′
4𝜋 |𝑟 − 𝑟 |
𝑉′

L’integrale di un impulso matematico da luogo al valore della funzione


integranda campionata nel punto in cui è centrato l’impulso matematico.

ⅇ −𝑖𝑘0 𝑟
𝐴(𝑟) = 𝑧̂ 𝐼0 𝑙
4𝜋𝑟
Dobbiamo andare a campionare la funzione di Green nel punto di sorgente ed
otteniamo questa espressione per il potenziale vettore magnetico.

Il potenziale vettore magnetico è diretto lungo z, così come è diretta la


sorgente impressa elettrica, ovvero quella associata al dipolo di Hertz.
Possiamo scrivere quindi il campo E ed H sostenuti dal dipolo di Hertz nel
sistema di riferimento sferico ed otteniamo le tre componenti del campo
elettrico e magnetico.

Partiamo dal campo elettrico. Prima considerazione, laddove compaiono delle


distanze, queste compaiono legate sempre a k0, che è il numero d’onda nello
2𝜋
spazio libero (costante di propagazione nello spazio libero, pari a ).
𝜆0

Ogni dimensione lineare 𝑟 ha senso se viene riferita alla lunghezza d’onda.

La seconda considerazione che facciamo è che il campo elettrico non dipende


dalla variabile angolare 𝜑 per ragioni di simmetria.

Se prendiamo un piano 𝜑 uguale a costante prendiamo un piano che contiene


l’asse z lungo cui è allineato il dipolo di Hertz. Sul piano 𝜑 uguale a costante
avrò una certa sezione del dipolo, un rettangolo, cambiando 𝜑, quindi
ruotando il piano attorno a z, l’intersezione che si ottiene è sempre la stessa.

La soluzione del problema elettromagnetico, se la struttura è sempre la stessa,


sarà sempre la stessa, e questo per ogni 𝜑, quindi il campo elettromagnetico
del dipolo di Hertz non può dipendere da 𝜑, e questo per ragioni di simmetria.

Non può dipendere tutto dalla variabile angolare r, perché se tutto dipendesse
dalla sola variabile angolare r vuol dire che avremmo a che fare con una
sorgente puntiforme, ma la sorgente puntiforme non esiste. Si ha che, se gli
elettroni viaggiano lungo z, si avrà un campo elettrico diretto secondo z, che è
ortogonale alla direzione 𝜑.

Quindi sicuramente a monte potremmo dire che E con 𝜑 vale 0.

Dall’analisi fisica del problema ci si poteva aspettare questo risultato, non ci si


aspetta quindi componente di campo elettrico secondo 𝜑 se quest’ultimo
viaggia lungo z, che è ortogonale a 𝜑.

Se gli elettroni si muovono lungo z ed il campo elettrico è lungo z, se 𝜃 è


l’angolo compreso tra 𝑧̂ ed 𝑟̂ , questo campo elettrico avrà due componenti,
una secondo r e una secondo 𝜃, che rispettivamente presenteranno 𝑐𝑜𝑠𝜃 e
𝑠𝑖𝑛𝜃 (vedi disegno dei vettori con angolo 𝜃 compreso). Queste due
componenti variano quindi con il coseno ed il seno di 𝜃 rispettivamente.

Questa variazione potevamo scriverla già a monte, i calcoli confermano la


nostra attesa da un punto di vista fisico.

Come possiamo immaginare sia il campo H? Parliamo di elettroni che viaggiano


lungo l’asse z, una corrente elettrica lungo l’asse z genera un campo magnetico
circonferenziale, quindi l’attesa è che il campo magnetico avrà solo la
componente secondo 𝜑, e non può avere una componente lungo r o lungo 𝜃.

1 𝑘0
𝐻𝜑 (𝑟) = 𝑗𝐼0 𝑙 [1 + ] 𝑠𝑖𝑛 𝜃
𝑗𝑘0 𝑟 4𝜋

𝐻𝑟 (𝑟) = 0

𝐻𝜃 (𝑟) = 0

Il vettore di Poynting definisce la direzione lungo cui viaggia l’energia.

1
𝑆(𝑟) = 𝐸⃗ (𝑟) × 𝐻
⃗ ∗ (𝑟)
2
𝑊
È una densità di potenza 𝑚2 ed il suo flusso attraverso una superficie sferica di
raggio r definisce quanta potenza fuoriesce dalla superficie considerata.

Abbiamo le tre componenti e ci aspettiamo che quella secondo 𝜑 valga 0.

Valutiamo poi il flusso del vettore di Poynting attraverso la superficie sferica S


di raggio r. Abbiamo quindi il dipolo di Hertz messo al centro e andiamo a
prendere una generica superficie sferica di raggio r. Nella valutazione della
potenza che esce da questa generica superficie di raggio r, quindi, vediamo che
otteniamo una quantità complessa che varia al variare di r. Abbiamo una parte
reale positiva, la parte immaginaria è negativa.
𝜋2𝜋
2
|𝐼0 |2 (𝑙𝑘0 )2 𝜂0 1
𝑃(𝑟) = ∬ 𝑟̂ ⋅ 𝑆(𝑟)𝑟 𝑠𝑖𝑛 𝜃 ⅆ𝜃ⅆ𝜑 = [1 − 𝑗 ]
12𝜋 (𝑘0 𝑟)3
00
Una potenza reattiva di segno meno è una potenza reattiva di tipo capacitivo,
quindi abbiamo un immagazzinamento di energia sottoforma di campo
elettrico, ed è ovvio perché abbiamo considerato una sorgente elettrica
elementare. Se avessimo considerato un dipolo magnetico, ovvero una spira
metallica percorsa da corrente, avremmo avuto una potenza reattiva maggiore
di 0, quindi un accumulo di energia sottoforma di campo magnetico.

Andiamo a vedere nello specifico questi due termini. Ci interessa la potenza


reale. La potenza reattiva è un immagazzinamento di energia, se non ci sono
perdite questo immagazzinamento di energia nel periodo è 0. Ciò significa che
il campo elettromagnetico prende energia e la rilascia in maniera alternata nel
tempo, per cui la media nel periodo della potenza reale utilizzata dal campo è
0.

Il campo elettromagnetico in realtà è un veicolo nel caso ideale, quindi se non


ci sono perdite, per far propagare a distanza energia. I fenomeni di accumulo
sono fenomeni di tipo reattivo.

La potenza reale è sempre la stessa, non dipende da r, è costante quale che sia
|𝐼0 |2 (𝑙𝑘0 )2 𝜂0
la superficie di raggio r considerata, infatti 𝑃𝑅 = .
12𝜋

Abbiamo che la potenza reale che fuoriesce, quindi quella disponibile lungo
quella determinata direzione vale PR diviso l’area della superficie sferica, quindi
4𝜋𝑟 2 . La potenza che esce da tutta la superficie è sempre la stessa, ma la
superficie all’aumentare di r diventa sempre più grande, quindi vuol dire che la
quota parte di energia lungo una certa direzione diminuisce come 4𝜋𝑟 2 .

Questo vuol dire che a distanza dal dipolo la potenza reale che arriva lungo una
determinata direzione decresce come 1/𝑟 2 perché si sparge lungo una
superficie sferica che diventa sempre più grande a mano a mano che aumenta
r.

Se k0r è molto piccolo, quindi siamo a piccole distanze elettriche (piccole


distanze rispetto alla lunghezza d’onda) dal dipolo, il termine reattivo diventa
molto grande, e prevale su 1 che può essere trascurato.
Quindi, pur essendoci una piccola potenza reale, che è sempre la stessa,
domina una forma di accumulo di energia sottoforma di campo elettrico,
prevale quindi l’effetto reattivo. La potenza è prevalentemente reattiva.

Per grandi distanze elettriche dal dipolo di Hertz la potenza sarà reale, quindi
in zona lontana del dipolo di Hertz la potenza è puramente reale, costante.

Se k0r=1 la potenza reale e la potenza reattiva sono uguali tra di loro,


consideriamo quindi la cosiddetta sfera radiante, al cui interno prevale
l’accumulo di energia sottoforma di campo elettrico, al di fuori prevale la
radiazione (l’energia viene ceduta allo spazio libero).

Le componenti del campo elettrico e del campo magnetico, a piccole distanze


dalla sorgente, possono essere semplificate.
1
Abbiamo che le componenti E con r ed E con 𝜃 vanno come 𝑟 3 .

Il loro andamento è uguale a quello del dipolo statico. Ci troviamo quindi in


una regione di spazio, definita regione in regime quasi stazionario, all’interno
della sfera radiante dove la distribuzione di campo elettrico intorno al dipolo di
Hertz è uguale a quella che si ha nel caso del dipolo statico. La differenza è che
c’è una variazione armonica nel tempo.

Il dipolo di Hertz sostiene anche un campo magnetico diretto secondo 𝜑, cosa


che il dipolo statico non può fare.

Al di fuori della sfera radiante, quindi approssimando in zona lontana, la


componente secondo r del campo elettrico diventa circa 0, mentre E con 𝜑 è
esattamente 0, quella secondo 𝜃 va come 1/r, così come la componente lungo
𝜑 del campo magnetico. E con 𝜃 ed H con 𝜑 sono uguali tra loro, a meno di 𝜂0 .

Il rapporto tra le due componenti da proprio l’impedenza intrinseca del vuoto


𝜂0 o del mezzo all’interno del quale avviene la propagazione del campo.

Il campo del dipolo di Hertz in zona lontana è un’onda trasverso-


elettromagnetica nella direzione di r perché non ha né campo elettrico né
campo magnetico nella direzione di r, quindi il campo elettromagnetico è solo
trasversale alla direzione di r, ed inoltre è del tipo onda sferica perché va come
𝑒 −𝑗𝑘0 𝑟
, ed è un’onda sferica non uniforme perché sulle superfici equifase
𝑟
r=costante abbiamo una variazione di ampiezza descritta da 𝑠𝑖𝑛 𝜃.

Trattasi dunque di un’onda trasverso-elettromagnetica nella direzione di r di


tipo non uniforme.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 4

Equazione delle Onde:

Abbiamo parlato del dipolo di Hertz, dei potenziali elettrodinamici e della


funzione di Green. Date le sorgenti impresse riusciamo a ricavare il campo
elettromagnetico attraverso il potenziale vettore magnetico (nel caso di sorgenti
elettriche) e il potenziale vettore elettrico (nel caso di sorgenti magnetiche).

Data la linearità, possiamo sfruttare il principio della sovrapposizione degli


effetti. Se il mezzo è lineare ed invariante per traslazione, il potenziale vettore si
ottiene semplicemente come una convoluzione tra la funzione di Green per lo
spazio libero e le sorgenti impresse. La funzione di Green per lo spazio libero può
variare solo al variare del materiale che riempie lo spazio libero.

Se lo spazio non è più libero non possiamo considerare la funzione di Green per
lo spazio libero per valutare il potenziale vettore, per esempio, magnetico, e
quindi per ricavare il campo elettromagnetico generato da una sorgente messa
all’interno di questo ambiente. Dobbiamo quindi ricavare la funzione di Green
di quel determinato ambiente.

La valutazione, essendo un sistema complesso, non sarà fatta in maniera


analitica, ma attraverso un software di simulazione o per via sperimentale.

Cioè abbiamo eccitato una sorgente elettrica in un punto, puntiforme, un


impulso matematico, dopodichè andiamo a calcolare (se lo facciamo per via
numerica) o a misurare (se lo facciamo per via sperimentale) quanto valgono i
campi elettrico e magnetico in ogni punto dello spazio. Questa è la risposta
impulsiva.

Dal punto di vista numerico abbiamo creato una funzione e dobbiamo


interpolare i vari punti per ottenere un andamento nello spazio e nel tempo,
dopodichè quanto ottenuto lo inseriamo all’interno dell’integrale di
convoluzione con la sorgente impressa, che non è più puntiforme, ma distribuita
in una regione di spazio, e alla fine otteniamo il campo elettromagnetico
prodotto da una certa sorgente distribuita.

Quando abbiamo studiato il problema delle sorgenti, quindi dopo aver visto che
succede quando esistono delle sorgenti tramite le quali generiamo un campo
elettromagnetico, dobbiamo occuparci della sua propagazione. Dobbiamo
occuparci della soluzione delle equazioni di Maxwell quando non ci sono più le
sorgenti, stiamo studiando quindi soltanto la propagazione del campo.

Questa propagazione può essere sia di tipo libero (nello spazio libero) sia di tipo
guidato (in un sistema guidato, in una guida d’onda). Occupiamoci della
propagazione nello spazio libero tramite onde di diversa natura a seconda del
tipo di sorgente (e quindi a seconda del tipo di fronte d’onda che abbiamo).

In assenza di sorgenti, quindi stiamo studiando gli effetti di propagazione,


supponiamo di considerare il caso dello spazio libero.

Rotore di E ed il rotore di H nel dominio del tempo si scrivono in questo modo:



𝜕𝐻(𝑟,𝑡)
𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) = −𝜇0 𝜕𝑡 , con B pari a 𝜇0 𝐻
⃗.

⃗ (𝑟, 𝑡 ) = 𝜀0 𝜕𝐸⃗(𝑟,𝑡) , con D pari a 𝜀0 𝐸⃗ .


𝛻⃗ × 𝐻 𝜕𝑡

Per risolvere questo sistema di due equazioni indipendenti accoppiate,


dobbiamo andare al secondo ordine. Queste, infatti, sono equazioni che
contengono derivate spaziali al primo ordine. Per esempio, prendiamo il rotore
del rotore di E, e al secondo membro il rotore di H.
⃗ ×𝐻
𝜕𝛻 ⃗ (𝑟 ,𝑡) 𝜕 2𝐸
⃗ (𝑟 ,𝑡)
𝛻⃗ × 𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) = −𝜇0 = −𝜇0 𝜀0
𝜕𝑡 𝜕𝑡 2
Sostituendo con la seconda di Maxwell, otteniamo un’equazione differenziale
vettoriale del secondo ordine avente come incognita 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ). Possiamo quindi
risolvere questa equazione, ottenere il campo elettrico, e quindi poi ottenere
quello magnetico. Questo è il procedimento standard.

𝜕 2 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 )
𝛻⃗𝛻⃗ ⋅ 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) − 𝛻⃗ 2 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) = −𝜇0 𝜀0
𝜕𝑡 2
Ricordiamoci come esprimere il rotore del rotore di un campo vettoriale, e
ricordiamoci che, se non ci sono sorgenti, la divergenza di D vale 0, anche
divergenza di E in questo caso vale 0. Nello spazio libero D è pari a 𝜀0 𝐸⃗ , quindi
avremo che

𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ (𝑟, 𝑡 ) = 𝜀0 𝛻⃗ ⋅ 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) = 0 → 𝛻⃗ ⋅ 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) = 0

Il risultato, quindi, è che abbiamo eliminato il termine gradiente della divergenza


𝜕 2𝐸
⃗ (𝑟 ,𝑡)
e rimane la nota equazione delle onde 𝛻⃗ 2 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) − 𝜇0 𝜀0 = 0.
𝜕𝑡 2

Quando andiamo al secondo ordine perdiamo l’informazione. Immaginiamo di


avere una determinata funzione che andiamo a derivare. Perdiamo
informazione su quella costante che la funzione contiene. Derivando una
seconda volta si perde informazione sul termine lineare, e così via. Derivando, è
vero che semplifichiamo il problema, e in particolare, in questo caso, siamo
riusciti ad arrivare ad una risolvente del problema di Maxwell, però è vero che
perdiamo informazione.

𝜕 2 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 )
⃗ ( )
2⃗
{𝛻 𝐸 𝑟, 𝑡 − 𝜇0 𝜀0 𝜕𝑡 2 = 0
𝛻⃗ ⋅ 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) = 0

Per recuperare le informazioni in questo caso consideriamo l’imposizione che la


divergenza di E è uguale a 0. Quando andiamo a trovare la soluzione
dell’equazione delle onde, quindi, dobbiamo verificare che la soluzione trovata
soddisfi anche la seconda equazione del sistema. A questo punto siamo sicuri di
aver trovato la soluzione del problema di Maxwell originario, che era un
problema al primo ordine.
Quando vengono imposte le condizioni al contorno, per il teorema di unicità, la
soluzione trovata è unica. Abbiamo dunque l’equazione al secondo ordine, nota
come equazione delle onde, pari a

𝜕 2 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 )
𝛻⃗ 2 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) − 𝜇0 𝜀0 =0
𝜕𝑡 2
Andiamo a riconoscere le dimensioni di una velocità in metri al secondo
(abbiamo farad al metro, henry al metro, quindi otteniamo metri su secondi), e
1
𝑐0 = 1 è la velocità della luce nel vuoto.
(𝜀0 𝜇0 )2

1 𝜕 2 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 )
𝛻⃗ 2 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) − =0
𝑐02 𝜕𝑡 2

Abbiamo scritto l’equazione delle onde in una forma più compatta, adesso, il
passaggio successivo è prendere in esame il dominio della frequenza. Possiamo
osservare che, avendo assunto un andamento armonico del tipo ⅇ 𝑗𝜔𝑡 , quando
facciamo la derivata seconda rispetto al tempo vuol dire moltiplicare per j𝜔 due
volte, e quindi per −𝜔 2 , quindi otteniamo un’equazione che è diversa,
formalmente, dall’equazione delle onde che si scrive nel dominio del tempo,
otteniamo, infatti, l’equazione di Helmholtz, che descrive la propagazione delle
onde elettromagnetiche nel dominio della frequenza.

𝛻⃗ 2 𝐸⃗ (𝑟) + 𝜔 2 𝜇0 𝜀0 𝐸⃗ (𝑟) = 0, con 𝑘 2 = 𝜔 2 𝜇0 𝜀0 → 𝑘 = 𝜔√𝜇0 𝜀0 detta costante


di propagazione o numero d’onda, che è legato alla velocità della luce nel mezzo,
in questo caso il vuoto.

Questo vettore campo elettrico che compare nell’equazione è la trasformata di


Fourier del vettore istantaneo considerato prima.

Adesso dobbiamo cercare la soluzione di questa equazione delle onde, per


vedere che forma ha. Spesso il problema vettoriale si può scalarizzare. Questo
problema vettoriale può essere proiettato sulle tre componenti di un sistema di
riferimento ortogonale, e quindi per la singola componente arriviamo alle
1 𝜕2 𝑓(𝑟 ,𝑡)
seguenti espressioni scalari: 𝛻 2 𝑓(𝑟, 𝑡 ) − 𝑐 2 =0
0 𝜕𝑡 2
𝛻 2 𝑓 (𝑟) + 𝑘02 𝑓 (𝑟) = 0

Andiamo a vedere la soluzione dell’equazione di Helmholtz, la quale sappiamo


𝜔𝑡
come riportare nel dominio del tempo, ovvero moltiplichiamo per ⅇ 𝑗 , e
prendiamo la sua parte reale. Questo è il modo per passare dalla frequenza al
tempo.

L’equazione di Helmholtz può essere risolta nel dominio cartesiano, che è quello
più semplice, rettangolare, con le coordinate x, y e z.

In un sistema di coordinate cartesiane rettangolari il laplaciano si esprime nella


𝜕2 𝜕2 𝜕2
forma: 𝛻 2 = 𝜕𝑥 2 + 𝜕𝑦 2 + 𝜕𝑧 2 . La componente di campo elettrico incognita la
immaginiamo quindi funzione delle tre coordinate nel caso più generale.

Di conseguenza, l’equazione di Helmholtz assume la forma 𝛻 2 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) =


𝜕2 𝑓(𝑥,𝑦,𝑧) 𝜕2 𝑓(𝑥,𝑦,𝑧) 𝜕2 𝑓(𝑥,𝑦,𝑧)
+ + + 𝑘02 𝑓 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 0
𝜕𝑥 2 𝜕𝑦 2 𝜕𝑧 2

Possiamo utilizzare la fattorizzazione 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑋(𝑥)𝑌(𝑦)𝑍(𝑧).

Ricordiamoci che possiamo fare delle ipotesi di come è la soluzione, bisogna


verificare che l’assunzione fatta abbia un senso fisico, d’altra parte, se vale il
teorema di unicità, possiamo anche non porci il problema del senso fisico, visto
che la soluzione è unica, cioè è la soluzione reale del problema date quelle
condizioni al contorno.

Immaginiamo la funzione, per semplicità di calcolo, sia data dal prodotto di tre
funzioni della sola x, y e z.

1 𝑑 2 𝑋(𝑥) 1 𝑑 2 𝑌(𝑦) 1 𝑑 2 𝑍(𝑧)


( )+ ( )+ ( ) = −𝑘02
𝑋(𝑥) 𝑑𝑥 2 𝑌(𝑦) 𝑑𝑦 2 𝑍(𝑧) 𝑑𝑧 2

Riusciamo a separare l’equazione originaria in tre equazioni, la cui somma deve


fare −𝑘02 , che sono di tipo armonico.
1 ⅆ 2 𝑋(𝑥 ) 1 ⅆ 2 𝑌(𝑦) 1 ⅆ 2 𝑍( 𝑧 )
= −𝑘𝑥2 , = −𝑘𝑦2 , = −𝑘𝑧2 , a patto che 𝑘𝑥2 +
𝑋(𝑥) ⅆ𝑥 2 𝑌 (𝑦) ⅆ𝑦 2 𝑍(𝑧) ⅆ𝑧 2
𝑘𝑦2 + 𝑘𝑧2 = 𝑘02 .
La soluzione della generica equazione armonica si può porre o nella somma di
due funzioni esponenziali (quando parliamo di onde che si propagano) o nella
somma di funzioni seno e coseno (quando la distribuzione del campo
elettromagnetico non si propaga nello spazio, ma rimane confinata all’interno
di una determinata regione. Il problema si definisce in questo caso di natura
stazionaria).

𝑋(𝑥) = 𝑐1 ⅇ −𝑗𝑘𝑥𝑥 + 𝑐2 ⅇ 𝑗𝑘𝑥𝑥

𝑋(𝑥) = 𝑑1 𝑠𝑖𝑛(𝑘𝑥 𝑥) + 𝑑2 𝑐𝑜𝑠 (𝑘𝑥 𝑥)

Lo stesso vale per le altre funzioni Y(y) e Z(z). Le due formulazioni sono
esattamente equivalenti tra di loro, il loro uso dipende da come dobbiamo
imporre le condizioni al contorno.

Se utilizziamo quella sbagliata, ovvero quella che non è più conveniente, la


soluzione non è sbagliata, è semplicemente più complicato imporre le condizioni
al contorno da un punto di vista computazionale.

Quale delle due equazioni usiamo dipende quindi da come dobbiamo imporre
le condizioni al contorno. In un caso abbiamo più facilità nell’imporle, per
esempio quando consideriamo un problema di propagazione usiamo gli
andamenti esponenziali, quando abbiamo invece un problema confinato
abbiamo più facilità nell’utilizzare l’andamento di tipo seno e coseno.

Stiamo studiando un problema di propagazione, quindi la soluzione generica


della componente del campo è

𝑓 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = (𝑐1𝑥 ⅇ −𝑗𝑘𝑥 𝑥 + 𝑐2𝑥 ⅇ 𝑗𝑘𝑥 𝑥 )(𝑐1𝑦 ⅇ −𝑗𝑘𝑦 𝑦 + 𝑐2𝑦 ⅇ 𝑗𝑘𝑦 𝑦 )(𝑐1𝑧 ⅇ −𝑗𝑘𝑧 𝑧
+ 𝑐2𝑧 ⅇ 𝑗𝑘𝑧 𝑧 )

Per passare nel dominio del tempo prendiamo la soluzione, la moltiplichiamo


per ⅇ 𝑗𝜔𝑡 e ne prendiamo la parte reale. Questo per una singola componente.
Ricordiamoci che avevamo a che fare con un’equazione di Helmholtz da
risolvere la cui natura è vettoriale.

𝜕 2 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 )
𝛻⃗ 2 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) − 𝜇0 𝜀0 =0
𝜕𝑡 2
𝛻⃗ 2 𝐸⃗ (𝑟) + 𝜔 2 𝜇0 𝜀0 𝐸⃗ (𝑟) = 0

Possiamo scrivere, andando a risolvere l’equazione di Helmholtz così come


abbiamo fatto su ciascuna delle tre componenti cartesiane, la soluzione.

𝜕 2 𝐸𝑥 𝜕 2 𝐸𝑥 𝜕 2 𝐸𝑥
2
+ 2
+ 2
= −𝜔 2 𝜇0 𝜀0𝐸𝑥
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧

𝜕 2 𝐸𝑦 𝜕 2 𝐸𝑦 𝜕 2 𝐸𝑦
+ + = −𝜔 2 𝜇0 𝜀0 𝐸𝑦
𝜕𝑥 2 𝜕𝑦 2 𝜕𝑧 2

𝜕 2 𝐸𝑧 𝜕 2 𝐸𝑧 𝜕 2 𝐸𝑧
2
+ 2
+ 2
= −𝜔 2 𝜇0 𝜀0 𝐸𝑧
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧

Stiamo studiando la propagazione del campo elettromagnetico nello spazio


libero. Lo spazio libero è privo di ostacoli, quindi, siccome i due termini
esponenziali ⅇ −𝑗𝑘𝑥𝑥 ed ⅇ 𝑗𝑘𝑥 𝑥 definiscono un’onda diretta ed un’onda riflessa
(per tutti e tre gli assi questa cosa è valida), abbiamo che le onde riflesse sono
sempre 0 se siamo nello spazio libero, che, appunto, è privo di ostacoli.

Dobbiamo togliere tutti i termini di onda riflessa (tutti i coefficienti c2) e


rimangono i termini solo di onda diretta nella descrizione della singola
componente del campo elettrico, e quindi nella descrizione del campo totale.

𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐸0𝑥 ⅇ −𝑗𝑘𝑥 𝑥 ⅇ −𝑗𝑘𝑦 𝑦 ⅇ −𝑗𝑘𝑧 𝑧 = 𝐸0𝑥 ⅇ −𝑗𝑘⃗⋅𝑟

Abbiamo il prodotto scalare tra i due vettori di propagazione e posizione. Nel


dominio del tempo si ha 𝐸𝑥 (𝑟, 𝑡 ) = 𝑅ⅇ [𝐸0𝑥 ⅇ −𝑗𝑘⃗⋅𝑟 ⅇ 𝑗𝜔𝑡 ].

Quando andiamo a mettere insieme le tre soluzioni sui tre assi cartesiani, le
componenti di campo hanno lo stesso andamento funzionale, però hanno
un’ampiezza che, in generale, può essere differente.

𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐸0𝑥 ⅇ −𝑗𝑘⃗⋅𝑟

𝐸𝑦 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐸0𝑦 ⅇ −𝑗𝑘⃗⋅𝑟


𝐸𝑧 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐸0𝑧 ⅇ −𝑗𝑘⋅𝑟
La soluzione vettoriale può quindi essere scritta in questa forma, dove E con 0 è
un vettore che ha le seguenti componenti

𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐸⃗0 ⅇ −𝑗𝑘⃗⋅𝑟

⃗⃗⃗⃗
𝐸0 = 𝐸0𝑥 𝑥̂ + 𝐸0𝑦 𝑦̂ + 𝐸0𝑧 𝑧̂

Abbiamo quindi tre vettori principali che rappresentano, dal punto di vista
funzionale, la soluzione del campo elettromagnetico che si propaga nello spazio
libero, che sono 𝐸⃗0 , 𝑘⃗ ed 𝑟.

𝑟 = 𝑥𝑥̂ + 𝑦𝑦̂ + 𝑧𝑧̂ è un vettore reale, è un vettore posizione, quindi è reale.

𝐸⃗0 e 𝑘⃗ invece sono in generale delle quantità complesse, ovvero dei vettori a
componenti complesse, perché 𝑘⃗ viene fuori da kx, ky e kz, che sono le costanti
a cui uguagliamo le derivate seconde di X, Y e Z, quindi in generale, nel dominio
della frequenza sono quantità complesse, così come sono quantità complesse le
ampiezze che abbiamo nelle costanti di integrazione che otteniamo.

C1 è una costante di integrazione complessa, da trovare, ma complessa. Quindi


sono quantità complesse anche 𝐸0𝑥 , 𝐸0𝑦 ed 𝐸0𝑧 .

Anche 𝐸⃗0 quindi è un vettore con componenti complesse. 𝐸⃗0 e 𝑘⃗ non sono
vettori complessi, ovvero non sono dei vettori che descrivono, nel dominio della
frequenza, l’andamento armonico di un vettore nel dominio del tempo. Questi
sono vettori che hanno componenti complesse, ma non sono la trasformata di
Fourier di nessun altro vettore, non esiste il loro corrispettivo nel domino del
tempo. Individuati questi tre vettori è individuata la forma del campo
elettromagnetico che si può propagare nello spazio.

Il vettore ⃗⃗⃗⃗
𝐸0 è il vettore di polarizzazione, definisce la polarizzazione del vettore
𝐸0 ed il vettore di propagazione 𝑘⃗ sono delle quantità
istantaneo 𝐸⃗ (𝑟, 𝑡 ) . ⃗⃗⃗⃗
incognite. 𝐸0 è la costante di integrazione e viene da c1x, c1y e c1z. ⃗⃗⃗⃗
𝐸0 è una
grandezza arbitraria, che va definita, così come deve essere definito 𝑘⃗ . Questo
ci permette di capire qual è esattamente l’onda che viaggia all’interno della
⃗⃗⃗⃗0 e 𝑘⃗ abbiamo definito
regione di spazio considerata, capendo quindi chi sono 𝐸
in maniera univoca il problema. Questa cosa prevede la soluzione di un
problema agli autovalori, che vedremo più avanti.

Ora stiamo vedendo semplicemente la natura della soluzione.

𝑘𝑖 , che è una quantità complessa, può essere scritto come 𝛽𝑖 − 𝑗𝛼𝑖 , e facendo
ciò per ciascuna delle tre componenti, individuiamo il vettore di attenuazione 𝛼 ,
che descrive l’attenuazione dell’onda elettromagnetica durante la
propagazione, e il vettore di fase 𝛽 .

𝑘⃗ è il vettore di propagazione. La soluzione nel dominio della frequenza può


essere scritta nel seguente modo, sapendo che
⃗⃗
𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐸0𝑥 ⅇ −𝛼⃗⃗⋅𝑟 ⅇ −𝑗𝛽⋅𝑟
⃗⃗
𝐸𝑦 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐸0𝑦 ⅇ −𝛼⃗⃗⋅𝑟 ⅇ −𝑗𝛽⋅𝑟

⃗⃗
𝐸𝑧 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐸0𝑧 ⅇ −𝛼⃗⃗⋅𝑟 ⅇ −𝑗𝛽⋅𝑟
⃗⃗ ⃗⃗⃗
avremo dunque che 𝐸 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = ⃗⃗⃗⃗
𝐸0 ⅇ −𝛼⃗⃗⋅𝑟 ⅇ −𝑗𝛽⋅𝑟 = ⃗⃗⃗⃗
𝐸0 𝑓(𝑟)ⅇ −𝑗𝜙(𝑟)

Questa soluzione dell’equazione delle onde, nel dominio del tempo, che
descrive il campo elettromagnetico che si propaga ha una certa ampiezza, che
descrive come si distribuisce spazialmente il campo elettromagnetico, e un
termine di sola fase, ovvero che descrive la fase del campo elettromagnetico che
si propaga.

⃗⃗⃗⃗0 ⅇ −𝛼⃗⃗⋅𝑟 ⅇ −𝑗𝛽⃗⃗⋅𝑟 ⅇ −𝑗𝜔𝑡 ]


𝐸 (𝑥, 𝑦, 𝑧; 𝑡 ) = 𝑅ⅇ[𝐸

Ho una funzione di sola ampiezza 𝑓 (𝑟) e di sola fase 𝜑(𝑟) che occorre
determinare. Queste definiscono le caratteristiche dell’onda.

Un’onda si dice piana se le superfici equifase (cioè le superfici 𝜑(𝑟) = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡ⅇ)


sono delle superfici piane, un’onda è cilindrica se le superfici equifase sono
cilindriche, lo stesso per l’onda sferica se la superficie equifase è sferica.

Un’onda è uniforme quando l’ampiezza del campo è costante sulle superfici


equifase.
L’onda è non uniforme se l’ampiezza varia sui fronti d’onda, cioè sulle superfici
equifase. Riprendiamo il dipolo di Hertz.

Abbiamo visto che il campo elettromagnetico dipende da r e dipende da 𝜃. Nella


ⅇ −𝑗𝑘0𝑟
dipendenza da r, il termine è , allora che tipo di onda è? Il termine di
𝑟
ampiezza è del tipo 1/r. Il termine di fase è ⅇ −𝑗𝑘0 𝑟 . Quindi 𝑘0 𝑟 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡ⅇ
definisce i fronti d’onda, quindi r=costante, che nello spazio tridimensionale
definisce il luogo di punti che giacciono su una superficie sferica di raggio r.

Il campo elettromagnetico che stiamo considerando descrive un’onda sferica


che sui fronti d’onda, ovvero sulle superfici r=costante punto per punto, al
variare di 𝜃, stando sempre sulla superficie sferica, varierà la sua ampiezza.
1 1
Infatti, non ho solo 1/r, ma 𝑟 𝑐𝑜𝑠 𝜃, oppure 𝑟 𝑠𝑖𝑛 𝜃 a seconda della componente
considerata.

L’ampiezza varia sulle superfici sferiche, ovvero sui fronti d’onda. Quindi il
campo del dipolo di Hertz descrive un’onda sferica non uniforme. In questo caso
dobbiamo sempre far attenzione a com’è il fronte d’onda.

Il fronte d’onda in questo caso è 𝛽 ⋅ 𝑟, quindi avremo 𝜙 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝛽𝑥 𝑥 + 𝛽𝑦 𝑦 +


𝛽𝑧 𝑧 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡ⅇ. Abbiamo l’equazione di un piano nello spazio tridimensionale,
i fronti d’onda sono piani, quindi l’onda considerata è un’onda piana.

L’onda piana è uniforme se 𝛼 = 0, quindi se non c’è attenuazione, l’ampiezza è


costante. Ma non è l’unico caso di onda piana uniforme che possiamo
considerare. Ci possono essere onde che si attenuano, ma che sono uniformi.
ⅇ −𝑗𝑘0𝑟
L’onda sferica è infatti uniforme, abbiamo un’attenuazione, però il
𝑟
vettore di fase e di attenuazione sono collineari, quindi le superfici equiampiezza
coincidono con le superfici equifase. Se queste due superfici coincidono l’onda
è uniforme, perché sulle superfici equifase l’ampiezza sarà costante.

Perché 𝛽 lo chiamiamo vettore di fase? Sviluppiamo il gradiente di 𝜙⃗ . Il


gradiente è un vettore che definisce la massima variazione della fase, quindi ha
un’ampiezza proporzionale a quanto varia la fase nello spazio, ha la direzione
che è quella di massima variazione e verso pari a quello dell’incremento della
variazione.

𝛻⃗𝜙⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝛻⃗(𝛽𝑥 𝑥 + 𝛽𝑦 𝑦 + 𝛽𝑧 𝑧) = 𝛽𝑥 𝑥̂ + 𝛽𝑦 𝑦̂ + 𝛽𝑧 𝑧̂ = 𝛽

Questo gradiente della fase 𝜙⃗ uguale a 𝛽 ci chiarisce che 𝛽 è detto vettore di


fase, ed è ortogonale alle superfici equifase, perché è il gradiente della fase.
Definisce la direzione di propagazione dell’onda piana nel caso specifico.

Parliamo della velocità di fase. Quando vogliamo definire la velocità di fase


dobbiamo reintrodurre il tempo, quindi la fase va scritta nella sua forma
completa. Dobbiamo prendere tutta la fase nel dominio del tempo. La funzione
di fase nel dominio del tempo diventa

𝜙⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧; 𝑡 )=𝛽𝑥 𝑥 + 𝛽𝑦 𝑦 + 𝛽𝑧 𝑧 − 𝜔𝑡 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡ⅇ

La velocità di fase, per definizione, è la velocità alla quale deve muoversi un


osservatore esterno rispetto all’onda lungo una direzione perché veda variazioni
di fase dell’onda, quindi è la velocità a cui deve muoversi un osservatore esterno
per rimanere agganciato al fronte di fase. Quindi definisce la velocità di quel
fronte d’onda.

È una velocità definita in maniera convenzionale. Non è una quantità legata ad


una grandezza fisica, ma è una quantità matematica. Non dobbiamo quindi
stupirci se tale velocità sia in grado di superare la velocità della luce nel vuoto.

Questo è infatti il limite invalicabile per tutte le grandezze che trasportano


energia, ovvero per tutte le grandezze che definiscono una propagazione nello
spazio di energia.

La velocità dei fronti d’onda è dunque convenzionale, non è associata alla


propagazione di energia, quindi può anche essere superiore alla velocità della
luce. Per determinarla dobbiamo imporre che la fase non vari nel tempo e nello
spazio, dobbiamo valutarne quindi il differenziale (consideriamo le variazioni
nello spazio e nel tempo) e porlo uguale a 0.

𝑑𝜙⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧; 𝑡 )=𝛽𝑥 𝑑𝑥 + 𝛽𝑦 𝑑𝑦 + 𝛽𝑧 𝑑𝑧 − 𝜔𝑑𝑡 = 0


Dividiamo per dt, troviamo le tre componenti della velocità e scriviamo che
𝛽𝑥 𝑣𝑥 + 𝛽𝑦 𝑣𝑦 + 𝛽𝑧 𝑣𝑧 − 𝜔 = 0 → 𝛽 ⋅ 𝑣 = 𝜔
𝜔 𝑣𝛽
Esprimiamo quindi la velocità di fase come 𝑣𝜓 = = .
𝛽 𝑐𝑜𝑠 𝜓 𝑐𝑜𝑠 𝜓

L’angolo 𝜓 è l’angolo compreso tra i due vettori velocità e di fase. Quando 𝜓 è


uguale a zero vuol dire che sto valutando la velocità di fase lungo la direzione di
propagazione, ovvero del vettore 𝛽 , questa velocità è pari alla velocità della luce
nel vuoto.

𝜔 2𝜋𝑓
𝑣𝛽 = = = 𝑓𝜆 = 𝑐
𝛽 2𝜋
𝜆
Se 𝜓 è diverso da zero io voglio rimanere agganciato ai fronti d’onda viaggiando
in maniera obliqua rispetto al fronte d’onda. Per vedere sempre la fase costante,
quindi per rimanere agganciato all’onda, la velocità deve essere maggiore della
velocità della luce nel vuoto, altrimenti non rimarrei agganciato al fronte d’onda.
Quando 𝜓 è diverso da 0, 𝑐𝑜𝑠𝜓 è una quantità minore di 1, allora la velocità di
fase è maggiore della velocità della luce nel vuoto. Ciò ha senso! Questa quantità
infatti la definiamo noi, in modo arbitrario. Ciò che deve essere confinato, cioè
che deve essere entro la velocità della luce nel vuoto è la velocità di una quantità
fisica, per esempio la velocità d’energia deve essere strettamente minore uguale
a c con 0.

La velocità di gruppo è legata ad una certa definizione, che definisce alcune


assunzioni. Se siamo nel limite di queste assunzioni la velocità di gruppo coincide
con la velocità dell’energia e deve essere minore della velocità della luce.

Se siamo fuori dalle assunzioni, allora la velocità di gruppo diventa anch’essa


un’entità matematica, quindi può anche superare la velocità della luce.

Cerchiamo di capire il concetto di velocità di gruppo.

Se noi abbiamo una sinusoide, questa non porta informazioni, è un tono in


frequenza, ed è un tono che viaggia in maniera armonica nel tempo. Non c’è
nessuna modulazione, infatti l’informazione è associata ad una modulazione,
altrimenti l’informazione è solo “il segnale arriva, il segnale non arriva”.
L’informazione che carichiamo su quella portante è data dalla modulazione che
facciamo usando un altro segnale.

Il segnale modulato ha una certa larghezza di banda, in frequenza non è più un


tono, ma ha una certa occupazione spettrale, esiste dunque uno spettro di
densità di potenza di quel segnale, quindi un’energia ad esso associata. Se il
segnale si propaga, l’energia viaggia, e deve viaggiare ad una velocità che è
minore uguale alla velocità della luce nel vuoto.

Il pacchetto di onde, quando trasformiamo secondo Fourier il segnale, rimane


uno spettro che ha una certa occupazione in frequenza. Ecco perché chiamiamo
questa velocità “di gruppo”. Non consideriamo la velocità della singola
frequenza, ma consideriamo la velocità dello spettro di densità di potenza che
viaggia, cioè di tutta l’energia associata a quel segnale che sta viaggiando, quindi
del gruppo di frequenze che caratterizzano lo spettro di densità di potenza di
quel segnale. Quando la velocità di fase è opposta alla velocità di gruppo, mentre
i fronti d’onda viaggiano da sinistra verso destra, l’energia viaggia da destra
verso sinistra. È un concetto poco intuitivo, ma al giorno d’oggi con i
metamateriali è possibile che accada ciò.

Quando torniamo nel dominio del tempo, è la velocità alla quale si muove
questo pacchetto d’onde.

Se la velocità di gruppo è uguale a 0 l’energia non viaggia nello spazio, rimane


confinata, la fase invece viaggia (slow wave). I fronti d’onda viaggiano, ma
l’energia rimane confinata, altro concetto poco intuitivo.

Se la velocità di fase è nulla, anche i fronti d’onda non viaggiano.

Metamaterials and metasurfaces:

Il concetto di metamateriale nasce in elettromagnetismo. Negli anni dell’‘800


gli studi erano rivolti a scoprire com’è fatta l’interazione tra il campo
elettromagnetico ed i materiali naturali. Questa interazione si rende più
esplicita e più significativa alle frequenze ottiche, dove era più facile all’epoca,
in particolare, avere delle sorgenti luminose. L’interazione con il materiale è
tale che le separazioni tipiche di atomi o molecole, che costituiscono il
materiale, sono comparabili con la lunghezza d’onda della luce. Questo fa si
che l’interazione risulti essere significativa.

Se noi abbiamo un’onda elettromagnetica, meccanica, acustica, che interagisce


con un ostacolo, se è molto grande rispetto alla lunghezza d’onda, non c’è
interazione, perché l’onda sbatte e torna indietro. Se è molto piccolo rispetto
alla lunghezza d’onda, l’onda non vede l’ostacolo e l’interazione è nulla. Se le
dimensioni di separazione di atomi e molecole sono comparabili con la
lunghezza d’onda, c’è uno scambio, anche energetico, energetico tra campo
elettromagnetico e materiale investito da quest’ultimo. I primi studi
dell’interazione tra campo e materiali sono stati fatti alle frequenze ottiche
nell’’800 usando i materiali naturali.

Ci sono materiali quali i cristalli che permettono di cambiare lo stato di


polarizzazione della luce, in particolare la calcite introduce il fenomeno della
birifrangenza. C’è un’interazione un po’ più complessa tra luce e materiali, e si
è visto perché, per come sono fatti da un punto di vista microscopico, questi
materiali generano questi fenomeni interessanti.

Questi fenomeni possono essere interessanti nel campo delle


telecomunicazioni, dei sistemi radar, ma non c’è nessun materiale naturale che
abbia una struttura microscopica, delle dimensioni comparabili con le
lunghezze d’onda delle microonde, onde radio, e così via (cioè centimetri,
metri, millimetri). Allora si è pensato intorno agli anni ’40-’60 del secolo scorso
di realizzare dei materiali artificiali che imitassero in tutto e per tutto la natura.
Si sono realizzate delle molecole artificiali su scale diverse (più grandi) rispetto
a quelle che la natura offre in maniera tale che, andandole a mettere insieme
con la stessa struttura di un materiale naturale, l’interazione con il campo
elettromagnetico avvenisse ad una frequenza diversa.

Si è pensato per esempio di creare dei plasmi artificiali per studiare il


comportamento delle antenne in laboratorio.

Negli anni successivi si è visto che, quando si ha a che fare con un materiale
artificiale, questo può essere fatto in qualsiasi modo, mentre per quanto
riguarda i materiali naturali, definiti dalla tavola periodica, le loro combinazioni
devono seguire la loro natura chimico-fisica. Allo stesso modo una struttura
complessa in laboratorio deve essere monitorata e fatta crescere rispettando
la geometria cristallina.

Con i materiali artificiali non ci sono limiti sulla forma, sulla disposizione, sulla
geometria, sulla simmetria, sulla distribuzione degli atomi artificiali. L’atomo
artificiale può essere qualsiasi, il materiale che li ospita può essere qualsiasi.
Avendo a disposizione tutti questi gradi di libertà non offerti dalla natura, si è
potuto imitare la natura e ottenere materiali con proprietà che i materiali
naturali non garantiscono.

Quindi dal 2000 si parla di metamateriali, dove “meta” vuol dire “al di là”. Si
ottengono proprietà del tutto nuove, mai viste nella fisica (costante dielettrica
minore di zero, permeabilità magnetica minore di zero, indice di rifrazione
minore di zero). Oggigiorno questi materiali permettono di ottenere una
rifrazione negativa, per esempio. Quindi si esplorano ambiti nuovi della fisica.

Esiste una versione bidimensionale del metamateriale, chiamata


metasuperficie, più semplice da realizzare perché bidimensionale.

I materiali artificiali sono stati realizzati alle microonde per imitare i materiali
naturali su una scala diversa, i metamateriali sono stati scoperti alle
microonde, e le prime applicazioni sono state fatte nell’ambito dei dispositivi
elettromagnetici alle microonde (circuiteria a microonde, antenne, e così via).

Sono state individuate proprietà interessanti che hanno consentito il


miglioramento delle prestazioni di questi componenti. Sono stati trovati dei
limiti sulla larghezza di banda legati al materiale del dispositivo, non tanto da
come era il dispositivo.

Per esempio, noi sappiamo che le antenne lineari per poter irradiare in
maniera efficiente devono essere lunghe, per essere in condizione di risonanza,
𝜆
almeno 2, che una guida d’onda ha un cutoff, cioè la dimensione a orizzontale
𝜆
della guida d’onda rettangolare deve essere lunga almeno sennò nessun
2
modo può viaggiare, che una lente ottica riesce a risolvere dettagli che sono
più grandi della lunghezza d’onda (quelli più piccoli non riesce a portarli sul
piano focale). Tutto ciò descrive quello che si chiama limite della diffrazione, e
ci dice quanto il campo elettromagnetico a qualsiasi frequenza risulti essere
vincolato alla lunghezza d’onda.

Si è visto che questo limite è legato ai materiali tradizionali usati fino ad allora.

I metamateriali hanno permesso di concepire nuovi componenti mai visti


prima. I mantelli dell’invisibilità elettromagnetica, per esempio, si realizzano
tramite metamateriali. L’invisibilità è un concetto al di fuori della fantascienza,
ha delle fondamenta scientifiche solide che sono di estrema utilità in tanti
ambiti della fisica. Sono stati inventati dunque dispositivi completamente
nuovi. Sono state inventate, per esempio, le super-lenti che hanno una
risoluzione perfetta, le iper-lenti che permettono di trasformare le onde
evanescenti in onde che si propagano.

Il progresso dello studio in questo settore oggi ha portato a rendere questi


materiali o queste superfici, tunabili, riconfigurabili, programmabili, sempre
più intelligenti (cognitive, che hanno cognizione dell’ambiente in cui si
trovano).

Con i metamateriali è possibile manipolare, già a livello di materiale, il campo


elettromagnetico. Vi sono materiali ingegnerizzati in maniera opportuna che
non sono solo un mero supporto, ma implementano già delle funzionalità.
Queste superfici o materiali intelligenti, riprogrammabili, possono acquisire un
certo numero di funzionalità cosicchè esse stesse sono il supporto dove
integrare diversi dispositivi e quindi si realizza un intero sistema.

Questo concetto oggigiorno è ancora più articolato.

La metasuperficie è strutturata in multi-scala, fino al livello nano, così non solo


può interagire con tutto lo spettro elettromagnetico (la parte nano interagisce
con le frequenze ottiche, quella più grossolana interagisce con le
radiofrequenze), ma inoltre questo controllo nella fabbricazione che oggi
abbiamo utilizzando le nanotecnologie e tutte le scienze dei materiali permette
delle funzionalità multi-scala e multi-fisiche (parliamo di proprietà acustiche,
meccaniche, elastiche, termodinamiche, eccetera…).
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Prof: Filiberto Bilotti

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bilotti@uniroma3.it

Lezione 5 – Seconda parte

Relazioni di Kramers-Kronig:

Quando abbiamo i parametri costitutivi scritti nel dominio della frequenza,


queste sono delle quantità complesse, quindi dotate di una parte reale, che deve
essere pari, e di una parte immaginaria, che deve essere dispari, perché sono
trasformate di Fourier di funzioni reali. La parte reale e la parte immaginaria
sono legate attraverso l’applicazione del principio di causalità. La fisica
realizzabilità di un determinato materiale determina che la parte reale e la parte
immaginaria sono legate tra di loro.

Consideriamo un mezzo isotropo e stazionario, e consideriamo la sua risposta


impulsiva elettrica quando applichiamo il campo elettrico 𝑔𝐸 (𝑡 − 𝑡 ′ ) e la sua
versione nel dominio della frequenza 𝜀 (𝜔 ) . Quest’ultima è una funzione
complessa della variabile reale 𝜔, dal momento che è una funzione analitica,
quindi il suo comportamento rispetto ad omega è un comportamento regolare,
questa può essere prolungata analiticamente nel piano complesso.

Possiamo considerare la variabile 𝜔 non puramente reale, ma complessa del


tipo 𝜔 = 𝜔 ′ − 𝑗𝜔′′ . Le proprietà di 𝜀 (𝜔 ) ci permetteranno di comprendere
come sono legate la parte reale e la parte immaginaria di 𝜀 (𝜔 ) introducendo il
principio di causalità.
In particolare, scriviamo 𝜀 (𝜔 ) = 𝜀∞ + 𝜀𝑑 (𝜔 ), dove il primo contributo definisce
la risposta istantanea del materiale, che non dipende da 𝜔, mentre il secondo
contributo indica la epsilon dispersiva.

Facendo una posizione del genere abbiamo che

𝜀∞ = 𝑙𝑖𝑚 𝜀(𝜔 )
|𝜔|→∞
{
𝑙𝑖𝑚 𝜀𝑑 (𝜔 ) = 0
|𝜔|→∞

Il primo limite ci dice che, quando noi applichiamo un campo con frequenza via
via crescente e consideriamo il limite della frequenza che va all’infinito
(consideriamo il modulo di 𝜔 perché parliamo di una grandezza complessa), ciò
significa che il campo che illumina il materiale cambia infinite volte polarità in
un secondo, questo vuol dire considerare una frequenza infinita. Quindi, questo
vuol dire che le cariche che costituiscono l’intima struttura del materiale non
hanno tempo per iniziare a muoversi per determinare la separazione delle
cariche o per determinare delle correnti, perché la polarità cambia infinite volte
in un secondo. Il materiale non ha dunque tempo di rispondere all’applicazione
del campo, i fenomeni di ritardo non ci sono e quindi non c’è dispersione. Il
primo limite ci dice che 𝜀 (𝜔 ) vale la sua risposta istantanea nel limite del
modulo di 𝜔 che tende ad infinito.

Allo stesso modo, se facciamo tendere il modulo di 𝜔 all’infinito, la parte


dispersiva, quella legata ai ritardi, deve necessariamente andare a zero.

Usando queste posizioni possiamo scrivere 𝜀 (𝜔 ) come la somma di un


contributo istantaneo e di un contributo dispersivo.

Nel dominio del tempo vediamo che quando si fa l’anti-trasformata secondo


Fourier di 𝜀 (𝜔 ) avremo che
+∞
1 ′
𝑔𝐸 (𝑡 − 𝑡 ′ ) = ∫ 𝜀 (𝜔 )ⅇ 𝑗𝜔(𝑡−𝑡 ) ⅆ𝜔
2𝜋
−∞
+∞
1 ′
= 𝜀∞ 𝛿 (𝑡 − 𝑡 ′ ) + ∫ 𝜀𝑑 (𝜔 )ⅇ 𝑗𝜔(𝑡−𝑡 ) ⅆ𝜔
2𝜋
−∞
Quindi il primo termine è la risposta istantanea ed il secondo termine è
contenuto all’interno di un integrale che considera tutti i contributi fino
all’istante di applicazione del campo che sto considerando, quindi è il contributo
dei ritardi nella risposta.

Ciò che dobbiamo fare per valutare 𝑔𝐸 (𝑡 − 𝑡 ′ ) è valutare questo integrale,


questa dipende da qual è il segno di (t-t’), t’ è l’istante di applicazione del campo
elettromagnetico, t è l’istante in cui voglio andare a valutare la risposta dovuta
all’applicazione del campo applicato all’istante t’.

Il principio di causalità impone che per t-t’<0, quindi considerando istanti


precedenti all’applicazione del campo elettromagnetico, l’effetto non può
precedere la causa, quindi l’effetto deve essere necessariamente nullo per t-
t’<0, quindi l’integrale deve essere nullo. Per t-t’>0 invece l’integrale può dare
vita ad un contributo.

Ricordiamoci che 𝜔 = 𝜔 ′ − 𝑗𝜔 ′′ è una grandezza complessa, quindi quando noi


andiamo a moltiplicare 𝜔 per (t-t’) avremo che il termine esponenziale si separa
in un termine di sola ampiezza e in uno di sola fase.

Il termine di sola ampiezza è del tipo ⅇ 𝜔′′(𝑡−𝑡 ) , e per t-t’<0 hanno senso fisico
soltanto le 𝜔 ′′ > 0 . Questo perché se 𝜔 ′′ fosse minore di 0 avremo che
l’esponenziale avrebbe un argomento positivo, quindi vuol dire che diverge al
crescere del tempo, ciò fa si che l’integrale non vada mai a 0, ma andrà ad
infinito. Quindi dobbiamo considerare solo il caso di 𝜔 ′′ >0 quanto t-t’<0.

Al contrario, quando t-t’>0, il che vuol dire che siamo nel rispetto del principio
di causalità (sto considerando istanti successivi all’applicazione della causa), 𝜔 ′′
deve essere minore di 0 perché l’integrale non diverga e quindi dia luogo ad una
risposta impulsiva di tipo finito, come deve essere.

Andiamo a considerare questi due casi quando rappresentiamo 𝜀𝑑 (𝜔 ) sul piano


complesso, dove abbiamo sull’asse reale 𝜔 ′ , parte reale di 𝜔, mentre sull’asse
immaginario 𝜔 ′′ , che è la sua parte immaginaria. Abbiamo detto che per t-t’<0
devo valutare 𝜔 ′′ > 0, mentre per t-t’>0 devo valutare invece 𝜔 ′′ < 0.
Quindi se noi consideriamo il piano complesso, per t-t’<0 conta solo il semipiano
𝜔 ′′ > 0 . In questo semipiano la funzione 𝜀𝑑 (𝜔 ) non può avere singolarità,
perché se avesse delle singolarità, che manderebbero all’infinito 𝜀𝑑 (𝜔 ) ,
l’integrale per t-t’<0 non potrebbe andare a 0. Per t-t’<0, data la causalità,
l’integrale deve fare 0.

Quindi, per t-t<0, cioè per 𝜔 ′′ > 0 (unico semipiano che ha senso), la funzione
𝜀𝑑 (𝜔) non deve avere poli.

Per t-t’>0 il semipiano che dobbiamo considerare è 𝜔 ′′ < 0, dove la funzione


𝜀𝑑 (𝜔) avrà un suo andamento che va a dare un contributo all’integrale visto
prima.
𝜀𝑑 (𝜔 )
Se consideriamo una nuova funzione del tipo , nel semipiano 𝜔 ′′ > 0
𝜔−𝜔0
questa funzione si comporta esattamente come 𝜀𝑑 (𝜔), perché abbiamo detto
𝑑 𝜀 (𝜔 )
che 𝜀𝑑 (𝜔) in quel semipiano non ha poli, ma anche 𝜔−𝜔 , se 𝜔0 è un polo reale
0

(giace sull’asse reale), non avrà singolarità polari nel semipiano 𝜔 ′′ > 0.

Quindi se noi prendiamo in


considerazione il piano complesso le
𝜀𝑑 (𝜔)
due funzioni 𝜀𝑑 (𝜔 ) e si
𝜔−𝜔0
comporteranno esattamente allo
stesso modo nel semipiano 𝜔 ′′ > 0.

La differenza tra le due funzioni sta nel


polo che si trova in 𝜔0 , che abbiamo
assunto essere sull’asse reale 𝜔 ′ , quindi non rientra nel semipiano 𝜔 ′′ > 0 che
sto considerando. Invece che studiare le proprietà di 𝜀𝑑 (𝜔 ) in quel semipiano,
𝜀 (𝜔 )
𝑑
posso studiare le proprietà di 𝜔−𝜔 per 𝜔 ′′ > 0.
0

Lo faccio perché mi è utile in vista dell’applicazione del teorema di Cauchy.


Supponiamo di prendere in considerazione un percorso chiuso che passa

sull’asse reale, salta il polo e si richiude in questa circonferenza più grande.


Questa circonferenza la immaginiamo con un raggio che tende all’infinito e
quindi l’integrazione lungo l’asse reale 𝜔 ′ andrà da meno infinito a più infinito
per valutare questo contributo lungo l’asse.
𝜀 (𝜔 )
𝑑
Il teorema integrale di Cauchy ci dice che se facciamo l’integrale di 𝜔−𝜔 su un
0

percorso chiuso, come per esempio quello definito sopra, e all’interno del quale
non si hanno singolarità polari per la funzione, allora l’integrale esteso a questo
percorso chiuso C della funzione è nullo.

𝜀𝑑 (𝜔 )
∮ ⅆ𝜔 = 0
𝜔 − 𝜔0
𝐶

Posso scomporre questo integrale al percorso chiuso in tre contributi, il primo è


quello lungo la semicirconferenza più esterna, il secondo è associato alla
semicirconferenza piccola che circonda il polo in 𝜔0 , e il terzo contributo è
relativo all’asse reale. La somma di questi tre integrali deve andare a 0.

Considerando la semicirconferenza più grande nel limite in cui il raggio va ad


𝑑 𝜀 (𝜔 )
infinito, poiché già sappiamo che per definizione 𝑙𝑖𝑚 𝜀𝑑 (𝜔) = 0, allora 𝜔−𝜔 ,
|𝜔|→∞ 0

nel limite del |𝜔 | → ∞ è 0.


Il risultato di questo primo integrale, avendo l’integrando nullo, fa 0.

Considerare il secondo integrale relativo


alla semicirconferenza piccola che circonda
il polo centrato in 𝜔0 vuol dire considerare
l’applicazione del teorema dei residui.

Sappiamo che se noi andiamo a prendere


un percorso chiuso che circonda un polo, il
valore dell’integrale a questo percorso chiuso è dato dal residuo della funzione
di cui stiamo valutando l’integrale, calcolato nel polo. Se consideriamo una
semicirconferenza, quindi il polo circondato per metà, il risultato dell’integrale
di linea a questa semicirconferenza non sarà dato dal valore del residuo
calcolato nel polo, ma dal valore del residuo calcolato nel polo diviso 2.

Perciò il risultato non sarà pari a 𝑗2𝜋𝜀𝑑 (𝜔0 ), ma sarà pari a metà del residuo nel
punto di singolarità, ovvero 𝑗𝜋𝜀𝑑 (𝜔0 ).

Dobbiamo calcolare l’integrale lungo l’asse reale saltando il polo, questo da


meno infinito a più infinito. L’integrale deve essere fatto nel limite per cui noi
andiamo a saltare soltanto il polo, quindi il raggio della semicirconferenza
piccola tende a 0.

Nel calcolo dell’integrale della funzione consideriamo la somma di due


contributi, partendo da meno infinito ci fermiamo un po’ prima del polo e
ripartiamo un po’ dopo il polo fino ad arrivare a più infinito, e l’integrale può
essere scritto in una forma più compatta. Lo si fa utilizzando l’integrale a valore
principale secondo Cauchy, dove con valor principale si intende che, nella
valutazione dell’integrale da meno infinito a più infinito, dobbiamo saltare tutti
i poli dell’integrando, quindi dobbiamo saltare 𝜔0 .
+∞
𝜀𝑑 (𝜔′ )
𝑃 ∫ ′ ⅆ𝜔 ′
𝜔 − 𝜔0
−∞
Quindi avremo che l’integrale al percorso chiuso C sarà pari a
+∞
𝜀𝑑 (𝜔) 𝜀𝑑 (𝜔′ )
∮ ⅆ𝜔 = 0 + 𝑗𝜋𝜀𝑑 (𝜔0 ) − 𝑃 ∫ ⅆ𝜔 ′= 0.
𝜔−𝜔0 𝜔′ −𝜔0
𝐶 −∞

Le variabili che compaiono nella formula sono tutte reali (abbiamo valori di 𝜔
solo reali) e, pertanto, si può tornare alla formulazione in termini della sola
frequenza reale 𝜔.

Siccome la funzione può essere scritta come 𝜀 (𝜔 ) = 𝜀 ′ (𝜔) − 𝑗𝜀 ′′ (𝜔 ) = 𝜀∞ +


𝜀𝑑 (𝜔) , tutte le volte che compare 𝜀𝑑 (𝜔) possiamo scriverla come 𝜀 ′ (𝜔 ) −
𝑗𝜀 ′′ (𝜔 ) − 𝜀∞ . Quindi il risultato dell’applicazione del teorema integrale di
Cauchy al percorso chiuso C è il seguente
+∞
𝜀 ′ (𝜔0 ) − 𝑗𝜀 ′′ (𝜔0 ) − 𝜀∞
𝑗𝜋[𝜀 𝜔0) − 𝑗𝜀 ′′ (𝜔0 ) − 𝜀∞ ] − 𝑃 ∫
′(

ⅆ𝜔 ′ = 0
𝜔 − 𝜔0
−∞

I due termini che compaiono sono entrambi complessi, perciò affinchè


l’espressione sia uguale a 0, bisogna uguagliare la loro parte reale e la loro parte
immaginaria a 0. Manipolando un minimo le espressioni ottenute otteniamo le
cosiddette relazioni di Kramers-Kronig, che ci dicono che
+∞

′(
1 𝜀 ′′ (𝜔0 )
𝜀 𝜔0 ) − 𝜀∞ = − 𝑃 ∫ ′ ⅆ𝜔 ′
𝜋 𝜔 − 𝜔0
−∞

+∞

′′ (
1 𝜀 ′ (𝜔0 ) − 𝜀∞
𝜀 𝜔0 ) = 𝑃 ∫ ′
ⅆ𝜔 ′
𝜋 𝜔 − 𝜔0
−∞

La prima espressione ci dice che la parte reale di 𝜀 è legata alla parte


immaginaria di 𝜀 , allo stesso modo per la seconda abbiamo che la parte
immaginaria di 𝜀 è legata alla parte reale di 𝜀. Le relazioni di Kramers-Kronig ci
dicono come sono legate parte reale e parte immaginaria di tutti i parametri
costitutivi nel dominio della frequenza per un mezzo che sia fisicamente
realizzabile, quando cioè abbiamo applicato il principio di causalità.

Abbiamo che 𝜀 ′ (𝜔0 ) − 𝜀∞ e 𝜀 ′′ (𝜔0 ) sono legate tra loro da una trasformata di
Hilbert, cioè 𝜀 ′ (𝜔0 ) − 𝜀∞ è uguale alla trasformata di Hilbert di 𝜀 ′′ (𝜔0 ) , ma
anche 𝜀 ′′ (𝜔0 ) è uguale alla trasformata di Hilbert di 𝜀 ′ (𝜔0 ) − 𝜀∞ .

Per la trasformata di Hilbert, così come per Fourier, vale il teorema di Parseval
sulla potenza, quindi ricaviamo la seguente relazione che ci dice che
+∞ +∞

∫ |𝜀 ′ (𝜔 ) − 𝜀∞ |2 ⅆ𝜔 = ∫ |𝜀 ′′ (𝜔 )|2 ⅆ𝜔
−∞ −∞

Se la parte reale di 𝜀 , cioè 𝜀 ′ (𝜔 ) , è diversa rispetto al termine di risposta


istantanea 𝜀∞ , cioè se abbiamo dispersione, il primo modulo quadro diventa una
quantità strettamente maggiore di 0, quindi il primo membro risulterà essere
maggiore di 0. Per l’uguaglianza allora anche il secondo membro deve essere
maggiore di 0, ma 𝜀 ′′ (𝜔 ), la parte immaginaria di 𝜀, è legata ai fenomeni di
perdita del mezzo materiale.

Quindi se il mezzo è dispersivo necessariamente il mezzo deve avere perdite a


qualche frequenza.

Richiami Teorema di Poynting:

Ricordando il teorema di Poynting nel dominio della frequenza, c’era una


𝜔 2
quantità legata a 𝑗 4 𝜀|𝐸⃗ | , e questo termine era proporzionale all’energia che
veniva immagazzinata sottoforma di campo elettrico. Nel dominio della
frequenza abbiamo parlato di una potenza reattiva (c’è j, che individua un
termine di immagazzinamento). Quando consideriamo i termini di perdita per
2
effetto Joule, questi sono legati ad una potenza reale, infatti abbiamo 𝜎|𝐸⃗ | .

Se 𝜀 è una quantità complessa nel dominio della frequenza, e se 𝜀 = 𝜀 ′ − 𝑗𝜀 ′′ ,


𝜔 2
ciò vuol dire che 𝑗 4 𝜀 ′ |𝐸⃗ | è un termine reattivo, che tiene quindi conto
dell’energia immagazzinata, della potenza immagazzinata sottoforma di campo
𝜔 ′′ 2
elettrico. Abbiamo però ancora un termine pari a 𝜀 |𝐸⃗ | che si somma al
4
2
precedente. Questo termine è legato ad una potenza reale, come 𝜎|𝐸⃗ | , e
questo termine determinerà delle perdite. Ecco perché 𝜀 ′′ è legata alle perdite
nel materiale, mentre la parte reale 𝜀 ′ tiene conto degli effetti reattivi.

Il teorema di Parseval che deriva dalle relazioni di Kramers-Kronig si legge nel


seguente modo:

“Se il materiale è dispersivo, questo deve presentare delle perdite a qualche


frequenza”.

Se mai 𝜀 ′ (𝜔 ) avesse un valore negativo ad una frequenza, il materiale deve


essere dispersivo e non solo, siccome un valore negativo di 𝜀 ′ (𝜔 ) porterebbe
questo integrale, comunque, ad avere un contributo strettamente maggiore di
0, allora vuol dire che tale materiale, con 𝜀 ′ (𝜔 ) < 0, deve avere comunque delle
perdite.
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Lezione 6

Riepilogo relazioni costitutive:

Abbiamo espresso le relazioni costitutive tramite funzionali. Il vettore D e B


dipendono dal campo elettrico e dal campo magnetico, l’andamento funzionale
lo dobbiamo trovare. Sappiamo comunque che sono due contributi che si
sommano perché a livello microscopico abbiamo la somma di due interazioni.

Il funzionale non è una generica funzione di funzione, ma è una somma di effetti.

Abbiamo parlato di materiali che hanno una risposta data da un effetto di


accoppiamento magneto-elettrico, ma per la maggioranza dei mezzi materiali
possiamo assumere che la risposta elettrica dipenda dal campo elettrico e che
quella magnetica dipenda dal campo magnetico. L’anisotropia e l’isotropia
dipende da come è fatto il materiale, dal reticolo cristallino, se è un mezzo
solido, per i mezzi aeriformi è più facile che il comportamento sia isotropico. A
meno che non abbiamo mezzi aeriformi, tipo l’aria, che varia la densità al variare
della quota, in quel caso abbiamo un comportamento che può risultare diverso
lungo una delle tre direzioni. Quindi, non solo il mezzo è non omogeneo, ma
presenta un indice di rifrazione che cambia al variare delle coordinate, la
descrizione di epsilon avviene tramite un tensore e la sua rappresentazione su
carta sarà fatta tramite una matrice. Parleremo di un materiale uniassiale anche
se aeriforme e anche se non c’è un reticolo cristallino. Tipicamente dipende dalla
struttura del reticolo cristallino se il materiale presenta o meno anisotropia.
Abbiamo introdotto l’ipotesi di linearità che permette di applicare la
sovrapposizione degli effetti. Applicando il campo elettromagnetico E,H in una
certa regione del materiale ed in un determinato tempo, questi li indico con r’ e
t’ (associati alla causa, al campo elettromagnetico che illumina quel materiale).
Occorre fare la somma di tutti gli effetti che sono scaturiti da tutte le cause
istante per istante e applicate in una certa regione del materiale punto per
punto. La somma è integrale, posso estenderla da meno infinito a più infinito,
perché quello che conta è E(r’,t’) e H(r’,t’). Abbiamo visto che la risposta
all’impulso di campo elettrico e di campo magnetico dipendono sia dal punto
che dall’istante di applicazione del campo, sia da r e da t, dove r e t sono il punto
e l’istante di valutazione della risposta all’applicazione del campo.

Abbiamo introdotto la dispersione temporale e spaziale.

Le cariche di cui è costituita la materia hanno una certa massa e devono seguire
l’oscillazione del campo, che è un campo armonico, con una certa frequenza ed
oscilla un certo numero di volte al secondo in base alla frequenza (mostrano
un’inerzia alla variazione del campo). Ricordando l’espressione della forza di
Lorentz, quando cambia la polarità nel periodo del campo elettrico (cambia il
segno del campo), l’elettrone sembra muoversi in verso opposto, sempre lungo
la direzione del campo elettrico. C’è quindi un ritardo nella risposta da
considerare per via della massa dell’elettrone, e questo ritardo si ha
principalmente a frequenze molto alte (vicino all’infrarosso, frequenze ottiche).
Un materiale con dispersione temporale, o dispersivo, presenta un ritardo nella
risposta. Qualsiasi materiale presenta un ritardo nella risposta. In base ai tempi
in gioco possiamo considerare che questo ritardo può essere trascurabile o
meno, quando è trascurabile il mezzo è approssimabile come non dispersivo,
quindi non dobbiamo considerare la somma integrale su tutti i tempi precedenti
rispetto a quello in cui vogliamo osservare la risposta, perché questa può essere
vista come istantanea (altrimenti l’integrale si estenderà da meno infinito a t,
istante di osservazione).

La dispersione spaziale o non località comporta che, alla risposta in un punto,


contribuisce non solo il campo elettromagnetico applicato in quel punto, ma
anche quello applicato in altri punti del materiale. Se immaginiamo i legami tra
i singoli nodi di un reticolo cristallino, per esempio, (parliamo di legami fisico-
chimici) di un mezzo materiale solido, possiamo descriverli tramite uno schema
equivalente meccanico dato da una rete con tante sfere legate da molle. Se io
voglio andare a valutare il tipo di perturbazione creato da una forza in quel caso
su una di queste sfere (o nodo), questa non dipenderà solo dall’applicazione
della causa su quella sfera ma anche dai contributi che, tramite queste molle,
arrivano da altre sfere che appartengono al materiale. La stessa cosa a livello
elettromagnetico.

Si ha quindi una non località nella risposta. Alle volte per la simmetria del
reticolo o perché queste interazioni sono molto deboli, gli effetti di non località
si possono trascurare, quindi il materiale sarà locale, oppure possiamo dire che
non sarà spazialmente dispersivo.

La non località comporta sempre la dispersione (temporale) perché la


perturbazione si propaga con velocità finita. L’interazione dovuta a un nodo
diverso rispetto a quello che sto considerando, poiché è spazialmente separato
e poiché la velocità di propagazione della perturbazione è finita, comporterà un
ritardo nella risposta. Dispersione spaziale vuol dire sempre dispersione
temporale. Non è vero il viceversa.

Quando un mezzo è spazialmente non dispersivo la risposta è locale, quindi


l’integrale esteso a tutti i punti del materiale dove ho applicato il campo
elettromagnetico non va più svolto.

Se un mezzo è non dispersivo temporalmente e spazialmente le relazioni


costitutive nel dominio del tempo si esprimono tramite dei prodotti (diadici se
parliamo di un mezzo anisotropo) tra i parametri costitutivi (o tensori) ed i campi
elettrico e magnetico.

Considerando l’omogeneità e la stazionarietà di un mezzo, innanzitutto diciamo


che un materiale non può essere omogeneo in natura, infatti un materiale non
ha una struttura perfetta, non è sempre lo stesso punto per punto, non è
infinitamente esteso ma presenta un contorno, e al contorno o in prossimità del
contorno la forma del reticolo cristallino è deformata, comunque sia con buona
approssimazione possiamo assumere che i mezzi che considereremo siano
omogenei. Lo stesso vale per la stazionarietà, nessun materiale è stazionario in
natura perché le sue proprietà cambiano nel tempo per via di numerosi fattori,
tuttavia possiamo assumere che i materiali che consideriamo non abbiano
variazioni significative nel tempo, e quindi possiamo approssimarli come
stazionari.

L’omogeneità e la stazionarietà implicano l’invarianza per traslazioni del


sistema. Le relazioni costitutive che consideriamo saranno costituite da integrali
di convoluzione, singola o doppia a seconda del caso che stiamo considerando.

Nel dominio della frequenza vediamo che i mezzi dispersivi presentano


parametri costitutivi che dipendono dalla frequenza, la non località si traduce in
una dipendenza non solo dalla frequenza ma anche dal numero d’onda (un
materiale non locale è anche dispersivo). Se un mezzo è non locale abbiamo che
la risposta in un punto è determinata dai contributi che provengono dagli altri
punti. Quando siamo nel dominio spettrale (nel dominio di k), stiamo nel
dominio delle onde piane, stiamo scomponendo il campo, con una certa
distribuzione spaziale, in uno spettro di onde piane. A seconda della direzione di
arrivo dell’onda piana posso attivare, più o meno, alcune perturbazioni, quindi
alcuni contributi che vengono da nodi lontani rispetto a quello che sto
considerando nel reticolo cristallino. Si ha che la risposta di un materiale non
locale al campo elettromagnetico varia al variare dell’angolo di incidenza
dell’onda piana nel mezzo considerato.

Questi parametri costitutivi sono grandezze complesse nel dominio della


frequenza, con parte reale pari e parte immaginaria dispari, le quali dipendono
l’una dall’altra secondo quanto illustrato dalle relazioni di Kramers-Kronig.

Il principio della causalità è uno dei più importanti nella fisica, che ci dice che
l’effetto non può precedere la causa. Un mezzo causale è fisicamente
realizzabile, è un qualcosa che effettivamente esiste su cui possiamo fare
esperimenti.

Considerando la risposta impulsiva nel dominio del tempo (per qualsiasi


parametro costitutivo), si ha che nel dominio della frequenza questa si compone
di una parte di risposta istantanea e di una parte che tiene conto della
dispersione.

Nel dominio del tempo la risposta istantanea è moltiplicata per una delta, il
termine dispersivo è costituito da un integrale che deve essere nullo per t-t’<0,
quindi prima dell’applicazione del campo non deve esserci alcuna risposta,
quindi il parametro costitutivo deve essere 0.

L’integrando è costituito da un termine esponenziale, che non deve divergere


per t-t’<0, che moltiplica 𝜀𝑑 (𝜔) . Il prodotto dei due termini che fanno
l’integrando non deve divergere per t-t’<0.
𝜀 (𝜔 )
𝑑
Abbiamo fatto tutti i ragionamenti relativi alla funzione 𝜔−𝜔 fino ad ottenere le
0

relazioni di Kramers-Kronig, importanti per fabbricare un materiale tale da avere


una certa 𝜀′, e sappiamo che 𝜀′′ è legata ad 𝜀′. Se consideriamo un materiale
naturale, queste relazioni sono un dato di fatto. Il materiale naturale esiste e le
relazioni di Kramers-Kronig sono intrinsecamente verificate. Per un materiale
artificiale che creiamo noi bisogna stare attenti al fatto che 𝜀′′ , legata alle
perdite, è legata alla 𝜀′ che abbiamo progettato (vale per tutti i parametri
costitutivi questo ragionamento). Dobbiamo fare in modo, se usiamo un
materiale in un certo intervallo di frequenze, di progettarlo in maniera tale che
le perdite siano portate, ad esempio, ad altre frequenze rispetto a quelle di
impiego. A meno che non stiamo progettando un assorbitore, in tal caso le
perdite le desideriamo. Le relazioni di Kramers-Kronig definiscono, in base alla
causalità, il legame tra 𝜀′ ed 𝜀 ′ ′ , in particolare il loro legame è dato dalla
trasformata di Hilbert. Valendo il teorema di Parseval, se il materiale è
dispersivo, quindi se il primo integrale nel teorema di Parseval è strettamente
maggiore di 0, cioè se la risposta non è istantanea, anche il secondo integrale
deve essere positivo. Questo vuol dire che se il materiale è dispersivo deve per
forza presentare perdite a determinate frequenze.

Se volessi progettare materiali con 𝜀 ′ < 0 il materiale per forza deve essere
dispersivo (lo stesso vale per tutti i parametri costitutivi) e, poiché dispersivo,
deve avere perdite a qualche frequenza.
Linee di Trasmissione:

Si distingue in elettromagnetismo tra la propagazione libera, che avviene nello


spazio libero e tipicamente viene studiata tramite onde piane o uno spettro di
onde piane, e la propagazione guidata, che avviene in una struttura che guida e
mantiene confinato al suo interno il campo elettromagnetico. Quest’ultima si
può studiare tramite il formalismo delle linee di trasmissione.

Qualsiasi struttura guidante che permette la propagazione guidata del campo


elettromagnetico è una linea di trasmissione. Affinché si abbia una
propagazione guidata, il campo deve propagarsi, e quindi ci deve essere una
soluzione delle equazioni di Maxwell per l’onda che viaggia (e quindi deve
esserci un dielettrico all’interno del quale avviene la propagazione), e deve
esserci un meccanismo di guidaggio, che varia a seconda delle frequenze,
questo perché variano le proprietà dei materiali al variare della frequenza.

Le equazioni di Maxwell scritte nel dominio della frequenza presentano tutte le


dimensioni di lunghezza, area, volume, legate sempre alla lunghezza d’onda.
Esistono quindi delle proprietà di scala. Se consideriamo una guida d’onda che
lavora ad un 1GHz, rendendola più piccola di 100 volte e 1000 volte, può
essere fatta lavorare a 100 GHz e 1 THz rispettivamente. Le proprietà di scala
sono intrinseche nelle equazioni di Maxwell. Scalando le strutture rispetto alla
lunghezza d’onda è possibile ottenere la stessa struttura operante a qualsiasi
frequenza. Qual è il problema però?

Mentre le equazioni di Maxwell sono dotate di proprietà di scala, i materiali


sono dispersivi, non hanno proprietà di scala con la frequenza, cioè al variare
della frequenza cambiano le proprietà dei materiali. Mentre alle frequenze
delle microonde, alle radiofrequenze, anche fino alle onde millimetriche, noi
realizziamo un meccanismo di guidaggio che si basa sulla riflessione totale su
piani metallici, quindi realizziamo la propagazione guidata in guide d’onda
metalliche, il campo elettromagnetico non può uscire da queste strutture.

Se realizziamo la propagazione guidata in guide d’onda metalliche, questo


subisce riflessione totale speculare ogni volta che abbiamo un rimbalzo del
campo elettromagnetico su questa struttura metallica e così avviene la
propagazione guidata.

Non si può però avere una guida d’onda metallica operante alle frequenze
ottiche, perché a tali frequenze il metallo non è più un conduttore perfetto,
non è più un materiale che permette la riflessione totale, anzi può risultare
trasparente al campo elettromagnetico, quindi il campo può propagarsi e
attraversare il metallo. Cambia la natura del materiale a quelle frequenze.

Alle frequenze ottiche dobbiamo ricorrere ad un meccanismo che risulti essere


più efficiente, e, comunque sia, il metallo un po’ di guidaggio lo fa, non ha
abbandonato la sua struttura fisica di metallo, il metallo rimane metallo a
qualsiasi frequenza, ma il suo effetto schermante perde di efficacia. Bisogna
usare un meccanismo che si basa sul salto dielettrico, cioè sul cambiamento
repentino delle proprietà elettriche del materiale, e questo è quello che
avviene se consideriamo la fibra ottica.

La propagazione guidata della luce, quindi del campo elettromagnetico alle


frequenze ottiche, avviene in strutture completamente dielettriche, dove c’è
un salto di indice di rifrazione, dove abbiamo la propagazione nel materiale
dielettrico con densità maggiore (cioè indice di rifrazione, quindi costante
dielettrica, maggiore), e a circondare questo c’è un materiale con indice di
rifrazione minore. Ancora ci avvaliamo della riflessione totale, però è interna
tra due mezzi dielettrici. Affinché avvenga, il materiale da cui proviene il campo
deve essere più denso rispetto all’altro e si deve superare l’angolo limite.
Questo ci fa capire anche che, per avere un modo guidato, cioè confinato
all’interno di una fibra ottica o di una guida dielettrica, ad un certo punto ci
sarà un cutoff, perché non solo il materiale dove avviene il confinamento deve
essere più denso rispetto a quello esterno, ma la direzione di propagazione del
campo deve essere tale da far sì che si superi l’angolo limite (così avviene la
riflessione totale interna). Siccome l’angolo di incidenza varia con la frequenza
ci aspettiamo che ci sia un cutoff, cioè da una certa frequenza in poi il modo si
può propagare perché abbiamo anche la condizione sull’angolo limite.

Le linee di trasmissione saranno diverse a seconda della frequenza, quindi alle


microonde, radiofrequenze, fino alle onde millimetriche, usiamo il meccanismo
di guidaggio tramite conduttori metallici, nell’infrarosso e nel visibile usiamo il
meccanismo di guidaggio tramite riflessione totale interna passando da un
mezzo più denso ad un mezzo meno denso.

Alle microonde utilizziamo non solo le guide d’onda ma anche delle altre
strutture, che si chiamano linee di trasmissione e guide d’onda integrate, fatte
con lamine dielettriche con una striscia metallica sopra.

Anche la ionosfera e la Terra determinano una linea di trasmissione, possiamo


considerare ciò parlando di lunghezze d’onda molto lunghe (radiofrequenze).
La ionosfera è uno strato dell’atmosfera dove, per effetto dei raggi ultravioletti
del sole, si liberano elettroni dalle molecole gassose. Rimangono atomi ed
elettroni liberi. C’è una certa conducibilità elettrica che, a determinate
frequenze, può essere anche molto alta. Per effetto della curvatura terrestre,
quando non si riesce ad avere una linea di vista (line of sight) tra l’antenna
trasmittente e l’antenna ricevente, si può anche usare la propagazione del
canale ionisferico. Il segnale non andrà direttamente all’antenna ricevente
perché non c’è linea di vista per la curvatura terrestre, viene mandato sulla
ionosfera, dalla ionosfera riflessa a terra, la terra si comporta come un
conduttore perfetto e quindi otteniamo una guida d’onda realizzata con
materiali naturali. La ionosfera cambia la sua altezza. La notte, la ionosfera è
più alta, di giorno la ionosfera è più bassa. Perché di giorno il sole ha un potere
di penetrazione sugli strati più bassi dell’atmosfera e quindi la ionizzazione per
raggi UV avviene a strati più bassi.

Le linee di trasmissione sono usate anche come formalismo matematico per


descrivere la propagazione nelle strutture fisiche delineate fino ad adesso.

Abbiamo trovato un nuovo formalismo matematico, approssimando le


equazioni di Maxwell fino ad arrivare alle equazioni dei telegrafisti, e questo
formalismo ha una serie innumerevoli di applicazioni in elettromagnetismo,
anche quando non parliamo di guide d’onda.

Tutte le volte che possiamo approssimare Maxwell utilizziamo le equazioni dei


telegrafisti, e quindi lo stesso formalismo. Questo formalismo è legato a
strutture fisiche reali che usiamo per la propagazione guidata del campo, e può
essere usato per diversi tipi di problemi elettromagnetici che non hanno nulla a
che vedere con la propagazione guidata.

Anche la propagazione libera di un’onda piana si può studiare con il


formalismo matematico delle linee di trasmissione, non è una linea di
trasmissione fisica, ma la si può studiare con lo stesso formalismo, perché è
soggetta alle stesse approssimazioni di Maxwell che facciamo nel caso di una
guida d’onda.

Circuiti a costanti distribuite:

Possiamo definire i bipoli (resistenza, induttanza, capacità, ecc…) se siamo in


regime quasi stazionario, cioè se noi abbiamo che le dimensioni del circuito che
stiamo considerando sono molto piccole rispetto alla lunghezza d’onda. Se
questo è vero possiamo studiare ed esprimere i termini energetici associati a
quel circuito con circuiti a costanti concentrate, quindi con elementi circuitali a
costanti concentrate. La teoria dei circuiti si deriva rigorosamente dalle
equazioni di Maxwell, che governano il campo elettromagnetico dalla continua
fino ai raggi cosmici, passando per tutto lo spettro elettromagnetico.

Si dimostra che le leggi di Kirchhoff ai nodi e alle maglie derivano dalle


equazioni di Maxwell.

Alle frequenze ottiche il campo elettromagnetico si approssima per raggi.


Studiamo la propagazione del singolo raggio e studiamo il problema non di
natura vettoriale, ma di natura scalare.

A frequenze molto grandi siamo nel caso opposto rispetto alle condizioni quasi
stazionarie, la lunghezza d’onda in quel caso diventa molto piccola rispetto al
volume che sto considerando, allora si dimostra rigorosamente che le
equazioni di Maxwell descrivono la propagazione del raggio. La natura dei
fenomeni elettromagnetici è sempre la stessa.

Possiamo usare un modello più semplice ed approssimato per arrivare alla


stessa soluzione del problema elettromagnetico. Dimensioni molto grandi
rispetto alla lunghezza d’onda e dimensioni molto piccole rispetto alla
lunghezza d’onda prevedono delle semplificazioni. In una situazione
intermedia tra le due allora non si considerano approssimazioni.

La lunghezza d’onda a 50 Hz è 6000 km, abbiamo che intere città sono in


condizioni quasi stazionarie, e quindi se dobbiamo considerare i fenomeni
energetici che avvengono lo possiamo fare tramite resistenza, induttanza e
capacità.

Per lunghezze d’onda molto piccole (ad 1 GHz vale 30 cm, mentre a 10 GHz
vale 3 cm) le dimensioni dei dispositivi risultano essere comparabili con la
lunghezza d’onda, allora non siamo nell’ipotesi di costanti concentrate o raggi,
dobbiamo avvalerci del formalismo delle linee di trasmissione per studiare i
cosiddetti circuiti a costanti distribuite. La teoria dei circuiti a costanti
concentrate non vale più.

Nel caso più semplice una linea di trasmissione la si può immaginare come una
linea bifilare costituita da due conduttori metallici paralleli infinitamente
lunghi, uno di andata e uno di ritorno per la corrente, esattamente uguali tra
loro in prima approssimazione.

Quando si ha una corrente che scorre su un conduttore, tra i fenomeni fisici


che avvengono, se il conduttore ha perdite, abbiamo l’attenuazione dalla
corrente. Ciò dipende dal fatto che si ha una resistenza, se dovessimo fare uno
schema circuitale, collegata in serie lungo il filo.

La corrente che scorre sul conduttore genera un campo magnetico, quindi ci


saranno dei fenomeni di immagazzinamento energetico dovuti al campo
magnetico e degli effetti induttivi da tenere in considerazione. Questi effetti
avvengono considerando la corrente che scorre sul conduttore, pertanto nello
schema equivalente avremo un’induttanza collegata in serie. La corrente si
attenua per effetto di non idealità del conduttore ed immagazzina energia
sottoforma di campo magnetico. L’energia cinetica degli elettroni diventa
energia magnetica associata al campo magnetico nell’intorno del conduttore
stesso. Abbiamo due conduttori di andata e ritorno rispettivamente.

Su questi due conduttori affacciati, se prendo una certa sezione, le cariche


saranno opposte. Tra il conduttore superiore e quello inferiore si genera una
capacità, si genera una differenza di potenziale sulla sezione. Ci sarà un
fenomeno di tipo capacitivo e circuitalmente lo rappresento con un
condensatore che va dal conduttore superiore a quello inferiore. Tra i due
conduttori deve esserci un dielettrico, altrimenti non si avrà propagazione del
segnale su questa linea bifilare.

Se mai dovessi avere perdite nel dielettrico che separa i due fili, succederebbe
che c’è una corrente che passa da un conduttore all’altro, rompendo il
dielettrico. Quella è una corrente di perdita associata alla non idealità del
dielettrico. Se il dielettrico fosse un isolante puro non ci sarebbe corrente che
passa dal primo conduttore al secondo. Invece, se non è un isolante puro, il
materiale può sostenere una piccola conduzione, anche se debolmente, perché
ci sono elettroni liberi. Circuitalmente rappresento il tutto tramite una
conduttanza. Questo è lo schema che otteniamo.
Costanti primarie e secondarie:

Sto studiando una sezione infinitesima dz, molto piccola rispetto alla lunghezza
d’onda, sulla sezione infinitesima sto sicuramente in condizioni quasi
stazionarie, e allora ciò mi permette di utilizzare i bipoli concentrati che
conosciamo. G e C devono essere collegati in parallelo perché descrivono
fenomeni che avvengono tra un conduttore e l’altro, R ed L sono connessi in
serie. Il modo in cui si pongono i bipoli a costanti concentrate è arbitrario. Ma
se metto prima R ed L, poi G e C, in questo modo sarà più semplice studiare il
circuito ed ottenere le equazioni delle linee di trasmissione.

Quale che sia la topologia del circuito, il risultato sarà lo stesso. Posso pensare
di mettere il parallelo prima e la serie dopo, per esempio, oppure posso
rendere il circuito sempre più complesso.

R, L, G e C sono le costanti primarie della linea di trasmissione valutate per


unità di lunghezza, infatti sono relative al metro (Ohm/metro, Henry/metro,
Siemens/metro, Farad/metro). Questo è quello che vale sulla singola sezione
infinitesima.

Se non ci sono perdite, R e G sono 0, se non ci sono perdite nel conduttore


R=0, se non ci sono perdite nel dielettrico anche G non c’è, e quindi
consideriamo solamente L e C nel caso di una linea che non ha perdite. Si avrà
un’energia che viaggia senza perdite.

V(z) ed I(z) sono dette tensione e corrente di linea, e sono delle onde, quindi
rispetto ad un circuito a costanti concentrate c’è una differenza molto
importante.

Un circuito a costanti concentrate costituito, per esempio, da due fili metallici


messi a diverso potenziale, quella differenza di potenziale la si ha quale che sia
la sezione lungo tutto il primo filo ed il secondo filo considerata.

A costanti distribuite noi studiamo la propagazione del campo


elettromagnetico che esprimiamo tramite una tensione ed una corrente
equivalente. Stavolta, però, parliamo di onde che viaggiano, in tensione ed in
corrente, attraverso la linea bifilare. V(z) ed I(z) quindi cambieranno al variare
della sezione z che consideriamo. Se sezione per sezione cambiano R, L, G e C
(perché cambia la geometria e cambia il materiale lungo z) la linea si dice non
uniforme, se questi parametri costitutivi non cambiano parliamo invece di
linea uniforme, quindi tali parametri non saranno funzione di z.

Definiamo l’impedenza longitudinale e l’ammettenza trasversale, le chiamiamo


così perché dipendono dalla geometria e per ricordarci che queste grandezze
descrivono fenomeni fisici completamente distinti, non sono l’una l’inversa
dell’altra. L’impedenza longitudinale, infatti, descrive fenomeni di perdita sul
conduttore e fenomeni induttivi (accumulo di energia sottoforma di campo
magnetico), l’ammettenza trasversale descrive fenomeni di perdita nel
dielettrico e fenomeni di immagazzinamento di energia sottoforma di campo
elettrico.

𝑍(𝑧) = 𝑅(𝑧) + 𝑗𝜔𝐿(𝑧)

𝑌(𝑧) = 𝐺 (𝑧) + 𝑗𝜔𝐶 (𝑧)

Le costanti secondarie (wave parameters) sono definite con riferimento


all’onda, quindi sono parametri dell’onda che si propaga in quella struttura,
non sono legati a come fisicamente la struttura è.

Abbiamo la costante di propagazione k e l’impedenza caratteristica 𝑍0 . La


costante di propagazione è una quantità complessa in generale, se non ha
perdite diventa reale, lo stesso vale per l’impedenza caratteristica.

𝑘 (𝑧) = √−𝑍(𝑧)𝑌(𝑧) = √−[𝑅(𝑧) + 𝑗𝜔𝐿(𝑧)[𝐺(𝑧) + 𝑗𝜔𝐶 (𝑧)]

𝑘 (𝑧) = √−𝑍(𝑧)𝑌(𝑧) = 𝜔√𝐿(𝑧)𝐶 (𝑧)

𝑍(𝑧) 𝐿(𝑧)
𝑍0 (𝑧) = √ =√
𝑌(𝑧) 𝐶 (𝑧)

Le costanti secondarie si chiamano così perché derivano da quelle primarie.

L’impedenza caratteristica si misura in Ohm, l’ammettenza caratteristica è


l’inverso dell’impedenza caratteristica.
Le equazioni dei telegrafisti sono un sistema di equazioni differenziali al primo
ordine accoppiate nelle incognite I(z) e V(z). Queste si ottengono dal rotore di E
e dal rotore di H avendo applicato le opportune semplificazioni.

ⅆ𝑉 (𝑧)
= −𝑍(𝑧)𝐼 (𝑧)
ⅆ𝑧
ⅆ𝐼 (𝑧)
= −𝑌(𝑧)𝑉 (𝑧)
ⅆ𝑧
Questo sistema si risolve andando al secondo ordine ed otteniamo due
equazioni di secondo grado per l’onda di tensione e l’onda di corrente.

ⅆ 2 𝑉(𝑧) ⅆ𝐼(𝑧)
= −𝑍 (𝑧 ) ( ) = 𝑍𝑌𝑉(𝑧)
ⅆ𝑧 2 ⅆ𝑧

ⅆ𝐼 (𝑧) ⅆ𝑉 (𝑧)
= −𝑌(𝑧) ( ) = 𝑍𝑌𝐼(𝑧)
ⅆ𝑧 ⅆ𝑧

Otteniamo due equazioni formalmente uguali tra di loro, le soluzioni sono


soluzioni armoniche e mettono in evidenza la somma di due termini di onda
diretta ed onda riflessa rispettivamente.

𝑉 (𝑧) = 𝑉 + ⅇ −𝑗√−𝑍𝑌𝑧 + 𝑉 − ⅇ +𝑗√−𝑍𝑌𝑧

𝐼 (𝑧) = 𝐼 + ⅇ −𝑗√−𝑍𝑌𝑧 + 𝐼 − ⅇ +𝑗√−𝑍𝑌𝑧

Moltiplicando i termini per ⅇ 𝑗𝜔𝑡 possiamo vedere che, con l’avanzare del
tempo, il termine ⅇ −𝑗𝑘𝑧 è un’onda che viaggia nella direzione positiva di z,
mentre l’altro termine viaggia lungo le z negative con l’avanzare del tempo.

Abbiamo chiamato le costanti di integrazione 𝑉 + e 𝑉 − perché una è l’onda che


viaggia nella direzione positiva, l’altra negativa, dell’asse z.

Possiamo trovare la soluzione per V(z) e ricavare l’onda di corrente I(z) in


funzione di 𝑉 + e 𝑉 − .

Quindi avremo che


𝑉 (𝑧) = 𝑉 + ⅇ −𝑗√−𝑍𝑌𝑧 + 𝑉 − ⅇ +𝑗√−𝑍𝑌𝑧 = 𝑉 + ⅇ −𝑗𝑘𝑧 + 𝑉 − ⅇ +𝑗𝑘𝑧
1 ⅆ𝑉(𝑧) 𝑉 + −𝑗√−𝑍𝑌𝑧 𝑉 − +𝑗√−𝑍𝑌𝑧 𝑉 + −𝑗𝑘𝑧 𝑉 − +𝑗𝑘𝑧
( )
𝐼 𝑧 =− ( ) = ⅇ − ⅇ = ⅇ − ⅇ
𝑍 ⅆ𝑧 𝑍0 𝑍0 𝑍0 𝑍0

Notare che l’onda regressiva di corrente ha il segno meno, il che implica uno
sfasamento di 180 gradi.

Impedenza di ingresso:

L’impedenza di ingresso si ricava andando a valutare la cosiddetta impedenza


di linea, ovvero il rapporto tra l’onda di tensione e l’onda di corrente su una
generica sezione. L’impedenza di linea V/I cambierà al variare della tensione
che sto considerando, quindi avremo lungo z una trasformazione
dell’impedenza della linea di trasmissione sezione per sezione.

𝑉 (𝑧) 𝑉 + ⅇ −𝑗𝑘𝑧 + 𝑉 − ⅇ 𝑗𝑘𝑧


𝑍𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎 (𝑧) = = 𝑍0 + −𝑗𝑘𝑧
𝐼 (𝑧) 𝑉 ⅇ − 𝑉 − ⅇ 𝑗𝑘𝑧

Sulla sezione z=0 avremo


𝑉 (0) 𝑉+ + 𝑉−
𝑍𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎 (0) = = 𝑍0 +
𝐼 (0) 𝑉 − 𝑉−

Si definisce impedenza di ingresso di un tratto di linea di trasmissione di una


data lunghezza L caricata su una data impedenza di carico 𝑍𝐿 :

𝑍𝐿 + 𝑗𝑍0 𝑡𝑎𝑛(𝑘𝐿)
𝑍𝑖𝑛 = 𝑍0
𝑍0 + 𝑗𝑍𝐿 𝑡𝑎𝑛(𝑘𝐿)
Attraverso la valutazione dell’impedenza di linea su una generica sezione z
possiamo risolvere questo problema. Se noi abbiamo una linea di trasmissione
lunga L chiusa su un carico 𝑍𝐿 , l’impedenza di ingresso è data da quella
formula. Se abbiamo un problema relativo ad una rete di linee di trasmissione
collegate tra loro in serie o in parallelo, possiamo sostituire a ciascuna delle
linee la loro impedenza di ingresso. Ciò permette di semplificare il problema
perché da una rete di linee di trasmissione si passa ad un problema circuitale,
di elementi circuitali, e avremo varie impedenze di ingresso collegate in serie o
in parallelo.

L’impedenza di ingresso semplifica di molto i calcoli delle reti di linee di


trasmissione.

Adattamento nelle LdT:

Una linea si dice adattata se non c’è l’onda riflessa, quindi il termine con 𝑉 −
vale 0 (l’ampiezza delle onde inverse di tensione e corrente è nulla). Dunque, si
ha

𝑉 (𝑧) = 𝑉 + ⅇ −𝑗𝑘𝑧

𝑉 + −𝑗𝑘𝑧
𝐼 (𝑧) = ⅇ
𝑍0

Dal punto di vista fisico, l’impedenza caratteristica 𝑍0 è il rapporto tra l’onda di


tensione e l’onda di corrente quando questa è adattata, e questo vale per
qualsiasi sezione della linea si prende in considerazione. Se la linea è adattata il
rapporto tra V ed I vale l’impedenza caratteristica per ogni z.

Adattare una linea di trasmissione può voler dire, per esempio, considerare
una linea infinitamente lunga, con un generatore, senza discontinuità, senza
perdite, così l’onda riflessa è 0. Però è un caso accademico. Ovviamente è
un’idealità.

Dobbiamo trovare un modo per rendere una linea finita adattata.


Rendere una linea finita adattata vuol dire prendere in considerazione il
coefficiente di riflessione in tensione (rapporto tra l’onda riflessa e l’onda
incidente) ed in corrente (onda riflessa in corrente diviso onda incidente in
corrente).

𝑉 − 𝑒 𝑗𝑘𝑧 𝑉− 𝑉−
𝛤𝑉 (𝑧) = 𝑉 + 𝑒 −𝑗𝑘𝑧 = 𝑉 + ⅇ 𝑗2𝑘𝑧 = 𝑉 + ⅇ 2𝛼𝑧 ⅇ 𝑗2𝛽𝑧 = 𝛤𝑉 (0)ⅇ 2𝛼𝑧 ⅇ 𝑗2𝛽𝑧

𝑉 − 𝑒 𝑗𝑘𝑧 𝑉−
𝛤𝐼 (𝑧) = − 𝑉 + 𝑒 −𝑗𝑘𝑧 = − 𝑉 + ⅇ 𝑗2𝑘𝑧 =-𝛤𝑉 (𝑧)

L’onda incidente in corrente ha il segno -, quindi il coefficiente di riflessione in


corrente è sempre sfasato di 180 gradi rispetto a quello in tensione. Se la linea
è adattata, quindi non abbiamo l’onda riflessa, il coefficiente di riflessione vale
0, sia in tensione che in corrente.

Ricordando l’espressione del coefficiente di riflessione sulla generica sezione, si


ha

ⅇ −𝑗𝑘𝑧 + 𝛤 (𝑧)ⅇ 𝑗𝑘𝑧 1 + 𝛤 (𝑧)


𝑍𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎 (𝑧) = 𝑍0 = 𝑍0
ⅇ −𝑗𝑘𝑧 − 𝛤 (𝑧)ⅇ 𝑗𝑘𝑧 1 − 𝛤 (𝑧)

Invertendo la relazione si trova:


𝑍 (𝑧)−𝑍 𝑍 −𝑍
𝛤 (𝑧) = 𝑍𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎(𝑧)+𝑍0 e 𝛤𝑖𝑛 = 𝑍𝑖𝑛+𝑍0. Dal punto di vista matematico se
𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎 0 𝑖𝑛 0

l’impedenza di linea è pari all’impedenza caratteristica, la linea è adattata.

L’impedenza caratteristica per definizione è pari al rapporto tra V ed I quando


la linea è adattata. Il modo per adattare una linea di trasmissione è quello di
rendere l’impedenza di ingresso pari all’impedenza caratteristica, così facendo
la linea non avrà onda riflessa.

Dall’espressione dell’impedenza di ingresso otteniamo che, quando il carico ha


un’impedenza pari a 𝑍0 , questa sarà proprio pari a 𝑍0 . Una linea caricata
sull’impedenza caratteristica è tale che, sulla sezione di carico, il rapporto tra V
ed I vale 𝑍0 . E quindi la linea è adattata e non supporterà alcuna onda riflessa.
𝑍0 + 𝑗𝑍0 𝑡𝑎𝑛(𝑘𝐿)
𝑍𝑖𝑛 = 𝑍0 = 𝑍0
𝑍0 + 𝑗𝑍0 𝑡𝑎𝑛(𝑘𝐿)
Quindi un altro modo per adattare una linea di trasmissione è quello di avere
una Z di carico pari all’impedenza caratteristica.

Se la linea non è adattata, quindi presenta un disadattamento, vuol dire che ci


saranno sia l’onda diretta che l’onda riflessa. Ci sono due casi da considerare.

O l’ampiezza dell’onda riflessa è uguale a quella dell’onda incidente, e quindi


abbiamo a che fare con un’onda stazionaria (l’onda che torna indietro ha la
stessa ampiezza dell’onda che si propaga in maniera diretta, e la combinazione
delle due da luogo ad un’onda stazionaria) e vuol dire che si ha una riflessione
totale sul carico e la potenza torna tutta indietro. Se il carico usa parte della
potenza, cioè se la potenza che torna indietro è minore, quindi se l’ampiezza
dell’onda riflessa è minore rispetto a quella dell’onda incidente, avremo una
quota parte d’onda stazionaria e in parte il carico avrà utilizzato della potenza.

Un po’ di propagazione c’è su questa linea, però ci sarà anche una quota parte
d’onda stazionaria. Un modo per vedere quanto è adattata una linea di
trasmissione consiste nel fatto che noi possiamo vedere quanta percentuale di
onda stazionaria è presente sulla linea.

Considerare il rapporto di onda stazionaria vuol dire capire quanta percentuale


di onda stazionaria è presente nel circuito, se la percentuale è 0 la linea è
adattata, se ho il 100% allora si ha un’onda stazionaria, un completo
disadattamento della linea, e quindi riflessione totale.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 7

Adattamento nelle Linee di Trasmissione:

Parliamo dell’adattamento di impedenza di una linea di trasmissione. Una linea


può essere considerata adattata, cioè priva di onda riflessa, o quando la linea è
infinitamente lunga (caso accademico) oppure quando è caricata sull’impedenza
caratteristica.

Abbiamo definito l’onda di tensione di linea in questo modo, come somma di


due contributi, il primo è dato dalla porzione di onda stazionaria (termine in
coseno) presente sulla linea, mentre il secondo è dato dalla porzione di onda
viaggiante.

𝑉 (𝑧) = 𝑉 + ⅇ −𝑗𝑘𝑧 + 𝑉 − ⅇ 𝑗𝑘𝑧 = (𝑉 − + 𝛥𝑉 )ⅇ −𝑗𝑘𝑧 + 𝑉 − ⅇ 𝑗𝑘𝑧


= 𝑉 − (ⅇ −𝑗𝑘𝑧 + ⅇ 𝑗𝑘𝑧 ) + 𝛥𝑉ⅇ 𝑗𝑘𝑧 = 2𝑉 − cos(𝑘𝑧) + 𝛥𝑉ⅇ −𝑗𝑘𝑧

V+ lo abbiamo scritto come somma di due termini ancora complessi.

Andando a raccogliere i termini con V- otteniamo l’onda in tensione di una linea


di trasmissione scritta come la somma di due termini.

Quando abbiamo una linea adattata V- = 0, quindi non abbiamo onda riflessa e
quindi non c’è onda stazionaria sulla linea. 𝛥𝑉 − = 𝑉 + , quindi abbiamo un’onda
che si propaga nel verso positivo dell’asse z. Nel caso di una linea
completamente disadattata 𝛥𝑉 = 𝑉 + − 𝑉 − = 0 perché l’ampiezza di 𝑉 − è
uguale all’ampiezza di 𝑉 + , quindi abbiamo che non c’è nessun termine di onda
che si propaga e abbiamo il termine di ampiezza massima di onda stazionaria.
Se noi andiamo a vedere cosa succede all’onda che si propaga nel tempo e nello
spazio (𝛥𝑉ⅇ −𝑗𝑘𝑧 ), se siamo in condizioni di adattamento puro, non c’è nessuna
modulazione nell’ampiezza del segnale onda di tensione, questo significa che
l’ampiezza dell’onda sarà sempre la stessa.

Se rappresento graficamente
la variazione dell’onda nel
tempo, in ogni istante t,
abbiamo un’onda che viaggia
nel verso positivo dell’asse z senza attenuarsi. La presenza di una minima
porzione di onda stazionaria porta ad una modulazione dell’ampiezza di onda di
tensione, perché infatti abbiamo un termine pari a 2𝑉 − cos⁡(𝑘𝑧) . Parte
dell’energia rimane confinata in un’onda stazionaria, e quindi si avrà anche una
modulazione nell’ampiezza dell’onda che viaggia. Il risultato ci porta ad un
valore massimo della tensione che corrisponde allo 0 dell’onda stazionaria, e
però si avrà un valore minimo di tensione dell’onda che viaggia che corrisponde
ad un massimo dell’onda stazionaria. Su quella sezione z dove il coseno vale 1 si
avrà un’ampiezza massima della porzione di onda stazionaria.
Conseguentemente, per la conservazione dell’energia, sarà ridotta l’ampiezza
dell’onda che viaggia.

Quando invece non si ha porzione di onda stazionaria, quindi non si ha onda


riflessa, non si ha modulazione lungo z dell’ampiezza, abbiamo soltanto un’onda
che si propaga mantenendo sempre la stessa tensione di picco. In caso di
presenza di sola onda stazionaria non abbiamo più l’onda che viaggia (𝛥𝑉 = 0
sempre), quello che succede è che noi abbiamo un’onda stazionaria con
un’ampiezza massima, ma al variare del tempo questa ampiezza, se noi andiamo
a prendere un ventre dell’onda stazionaria, si ha che in corrispondenza al ventre,
al variare del tempo, l’ampiezza può variare in maniera armonica e da un
massimo può andare a 0 e poi ad un valore massimo ma negativo.

Valutando il rapporto di V massimo su V minimo, questo ci dice quanto la linea


è disadattata.
V massimo su V minimo vale infinito nel caso di un disadattamento totale, quindi
quando è presente solo l’onda stazionaria, V minimo vale 0 perché l’onda
stazionaria oscilla e il minimo valore del modulo dell’ampiezza è 0. Nel caso di
un adattamento totale della linea abbiamo che il picco dell’onda V(z) rimane
sempre costante se non ci sono attenuazioni in linea o in guida, perché parliamo
di una struttura che non ha perdite, e quindi il rapporto V massimo su V minimo
si mantiene sempre uguale ad 1. Nel caso di disadattamento non completo il
valore sarà compreso tra 1 ed infinito. Più vicino ad 1 è, più la modulazione di
ampiezza che si ha a causa dell’onda stazionaria sarà piccola, e minore sarà la
percentuale di onda stazionaria presente. Più disadattata è la linea, maggiore è
il contributo di V- e quindi maggiore è il contributo a questa modulazione di
ampiezza. Avremo una variazione dell’ampiezza dell’onda di tensione che sarà
tanto più significativa quanto più la linea è disadattata.

Il rapporto tra V massimo e V minimo definisce il rapporto di onda stazionaria,


cioè misura la percentuale di onda stazionaria presente nella linea, maggiore è
il valore, maggiore è la percentuale di onda stazionaria. Se abbiamo solo onda
stazionaria, il ROS ha il valore massimo, cioè più infinito. Se non è presente
l’onda stazionaria vuol dire che non c’è onda riflessa sulla linea, di nessuna
ampiezza, il ROS vale 1 e definisce il completo adattamento di impedenza.

Il ROS si può esprimere anche in termini di coefficiente di riflessione.

𝑉 𝑚𝑎𝑥 |𝑉 + | + |𝑉 − | 1 + |𝛤𝑖𝑛 |
𝑅𝑂𝑆 = = =
𝑉 𝑚𝑖𝑛 |𝑉 + | − |𝑉 − | 1 − |𝛤𝑖𝑛 |

È una modalità alternativa per definire l’adattamento di una linea. Il ROS


consente di misurare con facilità il rapporto d’onda stazionaria, ma non perché
si misura il rapporto tra V massimo e V minimo, quanto per il fatto che il rapporto
tra il modulo di V massimo ed il modulo di I minima definisce il modulo massimo
dell’impedenza. In generale si ha che l’impedenza su una sezione di una guida
d’onda si può misurare facilmente. Infatti, il modulo massimo dell’impedenza ed
il modulo minimo dell’impedenza sono legati al ROS

|𝑉 |𝑚𝑎𝑥
|𝑍|𝑚𝑎𝑥 = = 𝑍0 𝑅𝑂𝑆
|𝐼 |𝑚𝑖𝑛
|𝑉 |𝑚𝑖𝑛 𝑍0
|𝑍|𝑚𝑖𝑛 = =
|𝐼 |𝑚𝑎𝑥 𝑅𝑂𝑆

Visto che le misure di impedenza sono le più semplici che possiamo fare, in
questo modo riusciamo a misurare il disadattamento della linea andando a
stimare il ROS. È vero che abbiamo matematicamente due entità equivalenti,
cioè il modulo del coefficiente di riflessione ed il ROS, per definire l’adattamento
di una linea, una è più matematica e l’altra è il modo in cui fisicamente andiamo
a misurare il disadattamento di una linea.

Quando vogliamo conseguire l’adattamento di una linea di trasmissione priva di


perdite (per semplicità) ci sono alcuni tratti di linea caratteristici che vengono
utilizzati.

Se noi abbiamo una linea di trasmissione chiusa su un carico ZL, a seconda della
distanza dal carico, si legge un valore di impedenza. L’impedenza che sta sul
carico, andando a ritroso sulla linea, subisce una trasformazione, il valore
cambia nella sua parte reale ed immaginaria, e questo è dovuto al fatto che sulla
linea viaggiano un’onda in tensione ed un’onda in corrente.

2𝜋 𝜆
𝑍𝐿 + 𝑗𝑍0 𝑡𝑎𝑛 ( 𝑛 2) 𝑍𝐿
𝑍𝑖𝑛 = 𝑍0 𝜆 = 𝑍0 = 𝑍𝐿
2𝜋 𝜆 𝑍0
𝑍0 + 𝑗𝑍𝐿 𝑡𝑎𝑛 ( 𝑛 2)
𝜆
Ogni mezza lunghezza d’onda la linea è sempre uguale a sé stessa, e l’impedenza
che si vede è quella di carico ogni mezza lunghezza d’onda (come dimostrato in
formula). Per studiare le proprietà della linea quindi possiamo prendere una
sezione lunga mezza lunghezza d’onda. Quindi, per non cambiare le proprietà
della linea, si fanno linee lunghe multipli di mezza lunghezza d’onda.

Nel caso in cui si consideri un segmento di linea di trasmissione lungo un quarto


di lunghezza d’onda, consideriamo il cosiddetto trasformatore in quarto d’onda,
che si usa per problemi di disadattamento di impedenza con carico reale.

2𝜋 𝜆
𝑍𝐿 + 𝑗𝑍0 𝑡𝑎𝑛 ( 𝑛 4) 𝑗𝑍0 𝑍02
𝑍𝑖𝑛 = 𝑍0 𝜆 = 𝑍0 =
2𝜋 𝜆 𝑗𝑍𝐿 𝑍𝐿
𝑍0 + 𝑗𝑍𝐿 𝑡𝑎𝑛 ( 𝑛 4)
𝜆
Se noi abbiamo un carico reale 𝑅𝐿 ≠ 𝑍0 la linea è disadattata. Per adattarla
possiamo usare un tratto di linea lungo un quarto di lunghezza d’onda e che ha
un’impedenza caratteristica data da una media geometrica. 𝑍0 è l’impedenza
caratteristica della linea che dobbiamo adattare.
2
𝑍0,𝜆∕4 2
𝑍𝑖𝑛 = = 𝑍0 → ⁡ 𝑍0,𝜆∕4 = √𝑍0 𝑅𝐿
𝑅𝐿

Una linea disadattata, con carico reale diverso dall’impedenza caratteristica,


diventa dunque una linea che non presenta più l’onda riflessa dal punto in cui
noi andiamo a collegare il trasformatore in quarto d’onda andando a ritroso.

L’impedenza di ingresso valutata all’ingresso della linea, quindi, non troverà


contributi relativi al disadattamento e sarà pari all’impedenza caratteristica.

Il trasformatore in quarto d’onda funziona ad una frequenza sola. È vero che noi
parliamo di segnali monocromatici, che possono descrivere, usando la Fourier
trasformata, in particolare l’anti-trasformata, qualsiasi andamento nel tempo di
un segnale elettromagnetico, però, quando costruiamo un trasformatore a
quarto d’onda, bisogna considerare qual è il contenuto in frequenza del segnale.
Quello è lungo un quarto d’onda ad una determinata frequenza.

L’adattamento perfetto lo si ha alla frequenza per cui la lunghezza del


trasformatore è un quarto di lunghezza d’onda. Alle altre frequenze, intorno, in
maniera simmetrica, inizia ad essere presente una porzione di disadattamento,
infatti il ROS è 1 ad un quarto di lunghezza d’onda, mentre, sia prima che dopo,
in maniera simmetrica, il ROS cresce, diventa maggiore di 1.

Ci sono due metodi per ovviare a questo problema. Uno è quello di mettere in
cascata diversi trasformatori in quarto d’onda che lavorano su bande
leggermente diverse, su frequenze leggermente diverse tra loro, in maniera tale
che all’ultimo si riesce ad aumentare la banda all’interno della quale ho un buon
adattamento. L’altro metodo prevede l’uso di un tratto di linea con un profilo di
impedenza. Supponiamo quindi di avere un adattamento tra una linea con una
certa impedenza caratteristica 𝑍02 ed una linea con un’impedenza caratteristica
𝑍01 . Il modo per adattare a larga banda è quello di utilizzare una linea non
uniforme, cioè che ha un profilo di impedenza caratteristica. L’impedenza
caratteristica è una costante secondaria della linea.

Realizzare un profilo di impedenza caratteristica vuol dire realizzare un profilo


nei parametri
geometrici.

Il trasformatore non
è più a quarto d’onda
ma prevede
un’impedenza
caratteristica funzione di z in maniera tale che si adatti alle impedenze
caratteristiche delle due giunzioni. Il segnale, viaggiando, localmente vede una
variazione di impedenza caratteristica, andando da una sezione a quella
successiva, che è minima, quindi il disadattamento è minimo. Se il trasformatore
è abbastanza lungo questo è un modo di adattare bene l’impedenza da 𝑍01 a
𝑍02 su un intervallo di frequenze che è abbastanza largo.

A seconda del profilo abbiamo delle caratteristiche in banda che sono differenti,
perché in un caso il passaggio sarà più ripido e in un altro sarà più moderato, in
quest’ultimo caso riusciamo ad avere un adattamento di impedenza su una
banda più larga.

Come realizziamo un adattamento di impedenza quando questa è complessa?


In questo caso dobbiamo utilizzare gli stub, ovvero dei tratti di linea di
trasmissione che vengono collegati alla linea che vogliamo adattare o in serie o
in parallelo, e questi possono essere o a circuito aperto o in cortocircuito.

L’impedenza di ingresso dello stub che consideriamo, sia in un caso che


nell’altro, è reattiva, che poi, nel caso di uno stub chiuso in cortocircuito, è
𝜋 𝜋
induttiva per valori di 𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 < 2 , diventa invece capacitiva per 𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 > 2 , e
poi si ripetono periodicamente con la periodicità della funzione tangente.

Quindi, l’impedenza di ingresso di uno stub chiuso in corto circuito vale:

𝑆𝐶 𝑍𝐿 + 𝑗𝑍0,𝑠𝑡𝑢𝑏 𝑡𝑎𝑛(𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 )
𝑍𝑖𝑛 = 𝑍0,𝑠𝑡𝑢𝑏 = 𝑗𝑍0,𝑠𝑡𝑢𝑏 𝑡𝑎𝑛(𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 )
𝑍0,𝑠𝑡𝑢𝑏 + 𝑗𝑍𝐿 𝑡𝑎𝑛(𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 )

Uno stub chiuso su un circuito aperto presenta ancora un’impedenza di ingresso


𝜋
puramente reattiva, in questo caso però, quando 0 < 𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 < presenta
2
𝜋
un’impedenza reattiva capacitiva, invece per 2 < 𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 < 𝜋 è induttiva.

𝑂𝐶 𝑍𝐿 + 𝑗𝑍0,𝑠𝑡𝑢𝑏 𝑡𝑎𝑛(𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 ) 𝑍0,𝑠𝑡𝑢𝑏


𝑍𝑖𝑛 = 𝑍0,𝑠𝑡𝑢𝑏 =
𝑍0,𝑠𝑡𝑢𝑏 + 𝑗𝑍𝐿 𝑡𝑎𝑛(𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 ) 𝑗 𝑡𝑎𝑛(𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 )

A seconda del tipo di compensazione che dobbiamo fare usiamo stub chiusi o in
cortocircuito o in circuito aperto. Se l’obiettivo è compensare una parte
capacitiva, utilizzando quindi uno stub induttivo, viene meglio usare uno stub
chiuso in cortocircuito induttivo, che è molto più corto di uno stub in circuito
aperto induttivo, perché per quest’ultimo, per farlo induttivo, dobbiamo avere
𝜋
un 𝛽𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 > 2 . Quindi è più lungo rispetto allo stub induttivo chiuso in
cortocircuito. Andando come la tangente o come la cotangente (nel caso dello
stub in circuito aperto), si possono ottenere tutti i valori di reattanza da meno
infinito a più infinito, passando per lo 0. In generale noi usiamo lo stub in circuito
chiuso per ottenere una reattanza induttiva e uno stub in circuito aperto per
ottenere una reattanza capacitiva, però a volte a dettare la scelta dell’uno e
dell’altro è la struttura fisica della linea di trasmissione che sto considerando.

Se io ho una linea in microstriscia, quindi una lamina dielettrica fatta in questo


modo, con sotto un piano di massa metallico. Immaginiamo di andare a
realizzare sopra una pista metallica opportuna, e supponiamo che questo tratto
di linea deve essere uno stub (quindi questa è una metallizzazione). Questo tipo
di stub si presta bene nella sua implementazione a circuito aperto, perché vuol
dire che dobbiamo semplicemente troncare la linea senza andare a mettere
alcun carico al termine.

Se volessimo
invece realizzare
un circuito chiuso
dovremmo, al
termine della
linea, andare a
mettere un filo
metallico che
collega la striscia al
piano di massa,
quindi dal punto di vista realizzativo fisico è molto più complesso e la struttura
è meno robusta perché dovremmo praticare delle saldature. Allora, in questo
caso ci accontentiamo del fatto che lo stub sia più lungo, ma lo utilizziamo
sempre a circuito aperto. È difficile realizzare uno stub in cortocircuito, a meno
che i requisiti sulla compattezza del dispositivo siano dominanti rispetto alla sua
robustezza e alla sua ripetibilità, perché se dobbiamo fare delle saldature le
dovremo fare stub per stub.
Le modalità di collegamento sono in parallelo o in serie sulla linea principale.

Immaginiamo di avere una linea priva di perdite la cui impedenza caratteristica


è 𝑍0 , chiusa su un carico la cui impedenza è complessa.

Dobbiamo prima tornare indietro lungo la linea, in maniera tale da trasformare


quell’impedenza in modo da compensare la parte reale. Compensare la parte
reale vuol dire uguagliarla all’impedenza caratteristica della linea. Dopodiché
sulla sezione individuata andremo a leggere una certa parte immaginaria che
andremo a compensare con uno
stub. Questa è una considerazione
generica, a monte dobbiamo porci
il problema riguardo quale stub
utilizzare per adattare la linea (in
serie o in parallelo). Supponiamo
di stare in una struttura con delle
linee stampate, quindi delle linee,
delle piste metalliche che
vengono stampate su una lamina dielettrica con sotto il piano di massa.
Data la linea principale, immaginiamo che questa sia collegata ad un carico al
termine sulla sezione 2. Dobbiamo realizzare l’adattamento di impedenza.

Se la linea che dobbiamo adattare è questa (quella principale), a monte


utilizzeremo gli stub collegati in parallelo, il che vuol dire realizzare una pista di
lunghezza opportuna collegata in parallelo alla linea originale. Il collegamento in
serie su questo tipo di linea di trasmissione appare più complesso. Sempre due
morsetti abbiamo, anche nel caso di una linea bifilare. Le saldature che
dobbiamo fare sono sempre due, quindi o si fanno su due fili diversi, oppure
sullo stesso filo. A livello di schema intuitivo, generale, i due collegamenti
sembrano analoghi. Considerando una struttura reale, invece, uno dei due
collegamenti può risultare più conveniente dell’altro.

In base al tipo di collegamento con lo stub che vogliamo realizzare, lavoreremo


o con le impedenze (collegamento in serie) o con le ammettenze (collegamento
in parallelo). Quando torniamo a ritroso lungo la linea a partire dal carico,
dobbiamo tornare indietro fino a raggiungere una parte reale pari all’impedenza
caratteristica della linea se già immaginiamo di fare un collegamento in serie,
altrimenti non è quella la sezione in cui ci si deve fermare, ma bisogna fermarsi
su un’altra sezione, cioè dove la parte reale dell’ammettenza è pari a 1/Z 0, e le
due sezioni considerate sono due sezioni diverse.

Fatto questo, bisogna collegare lo stub, il cui collegamento viene fatto su quella
sezione e deve compensare la parte immaginaria dell’impedenza che viene letta
su quella sezione. Se su quella sezione viene letta un’impedenza capacitiva
bisogna fare un collegamento con uno stub induttivo e viceversa.

Vediamo un esempio
con uno stub in
parallelo. Inizialmente si
ha una linea
disadattata. 𝑍𝐿 ≠ 𝑍0
perché 𝑍0 è reale
mentre 𝑍𝐿 è una grandezza complessa. Bisogna tornare indietro di un tratto L1
dove valgono o la prima o la seconda, a seconda che io stia considerando il caso
del collegamento in serie o il collegamento in parallelo dello stub.
Quindi in un caso lavoro con le impedenze e nell’altro con le ammettenze
rispettivamente. Quindi in un caso L1 è quello per cui la parte reale
dell’impedenza vale 𝑍0 , nell’altro la parte reale dell’ammettenza vale 1/𝑍0 .
𝑍 +𝑗𝑍 tan(𝛽𝐿 )
Infatti, si ha che 𝑅ⅇ[𝑍0 𝑍𝐿 +𝑗𝑍0 tan(𝛽𝐿1 )] = 𝑍0 in un caso, e che
0 𝐿 1
1 𝑍0 +𝑗𝑍𝐿 tan(𝛽𝐿1 ) 1
𝑅ⅇ[𝑍 ] = 𝑍 nell’altro.
0 𝑍𝐿 +𝑗𝑍0 tan(𝛽𝐿1 ) 0

L1 sarà diverso, perché nel rapporto ci sono quantità complesse. Sono due
sezioni diverse che garantiscono il soddisfacimento della “condizione di
compensazione” della parte reale. Su quella sezione andiamo a leggere la
reattanza o la suscettanza a seconda che il collegamento sia in serie o in parallelo
e poi lo stub ci deve dare la stessa reattanza e la stessa suscettanza, ma con
segno opposto.

Quindi andiamo a progettare lo stub di una certa lunghezza 𝐿𝑠𝑡𝑢𝑏 , e dopo aver
trovato, se per esempio il collegamento è in parallelo, la parte reale
dell’ammettenza di ingresso a distanza 𝐿1 pari a 1/𝑍0 = 𝐺0 , su questa sezione
abbiamo che (𝐵𝐿1 è la suscettanza, componente immaginaria dell’ammettenza,
che leggiamo a distanza 𝐿1 ), introducendo l’ammettenza dello stub (che è una
suscettanza perché è tutta immaginaria e deve essere uguale ed opposta)
𝑂𝐶 𝑂𝐶
𝐺0 + 𝑗𝐵𝐿1 + 𝑌𝑖𝑛 = 𝐺0 , con 𝑌𝑖𝑛 = −𝑗𝐵𝐿1 .
𝑂𝐶
Consideriamo quindi uno stub in circuito aperto e la 𝑌𝑖𝑛 dello stub in circuito
aperto deve essere pari all’opposto del valore della suscettanza che si legge sulla
linea alla sezione L1, ed in questa maniera l’adattamento di impedenza è
conseguito.

Facciamo attenzione ai casi particolari.


Se si ha un carico imaginario sulla linea, dato per esempio dal parallelo tra
un’induttanza ed una capacità, dal punto di vista fisico mettiamo un risonatore
𝜔0
LC con una sua pulsazione di risonanza come carico della linea. Non ci sono
√𝐿𝐶
perdite di potenza lungo la linea, la potenza che viaggia lungo la linea viene
immagazzinata sul carico, perché abbiamo un risonatore. Abbiamo soltanto
energia reattiva in corrispondenza del carico, che non è legata ad una potenza
reale utilizzata dal carico. Immaginiamo quindi che il disadattamento sia
completo. Mi aspetto, applicando le formule, di ottenere un modulo del
coefficiente di riflessione che è pari a -1, cioè deve tornare tutto indietro. Mi
aspetto un’onda stazionaria su questa linea, mi aspetto che la potenza che
inserisco venga immagazzinata sulla linea, la linea non la usa, perché non ha
perdite, il carico non la usa, e quindi questa rimane immagazzinata all’interno
della linea sottoforma di onda stazionaria. Questo è quello che mi aspetto, lo
verifico tramite le formule opportune.

Per adattare questo carico, quando andiamo a mettere ZL come una quantità
immaginaria, puramente reattiva (caso di un circuito LC), l’impedenza di
ingresso, valutata su ogni sezione, a seguito anche del ragionamento fisico fatto
prima, quale che sia la sezione considerata della linea, l’impedenza di ingresso
sarà sempre immaginaria, sarà sempre reattiva. La linea sezione per sezione non
ha perdite, non usa quell’energia, il carico non la usa, e quindi sulla sezione il
rapporto tra V ed I sarà sempre un’impedenza di tipo reattivo, lo sfasamento è
dovuto al carico. A seconda del carico che si ha (condensatore, induttore, serie
o parallelo LC) la fase varierà, ma il modulo del coefficiente di riflessione sarà
sempre tale che tornerà tutto indietro. L’impedenza della linea sarà sempre
immaginaria.

Esiste la sezione in cui andiamo a compensare la parte reale e la poniamo pari a


Z0 nell’adattamento? No, non esiste, qualsiasi sezione andiamo a considerare, la
parte reale dell’impedenza è sempre 0.

Se c’è un carico tutto reattivo, chi la usa questa potenza? Nessuno. Per ottenere
l’adattamento della linea deve esserci qualcosa che usa questa potenza, e la
utilizza con una resistenza che è uguale all’impedenza caratteristica, in maniera
tale che la compensazione della parte reale viene comunque fatta. Dobbiamo
introdurre una perdita nella linea per poter realizzare un adattamento di
impedenza. Poi possiamo mettere lo stub per compensare la parte immaginaria.

(Risolvere il problema)

Carta di Smith:

La carta di Smith è uno strumento grafico usato per realizzare il calcolo di


numeri complessi. È uno strumento che permette la soluzione dei problemi di
linea di trasmissione per via grafica, però nei fatti è uno strumento grafico che
permette di effettuare operazioni con numeri complessi.

Quando andiamo a valutare la Z di ingresso e abbiamo un carico ZL complesso,


fare il calcolo a mano non è un’operazione così veloce. Con l’abaco di Smith noi
valutiamo direttamente questa impedenza di ingresso e andiamo a fare dei
calcoli con i numeri complessi in maniera molto semplice. Con l’abaco di Smith
l’inverso di un numero complesso si ottiene direttamente e possiamo leggere
quanto vale la parte reale e la parte immaginaria dell’inverso del numero
complesso che avevamo originariamente.

È uno strumento usato per studiare il coefficiente di riflessione su una linea di


trasmissione. Il coefficiente di riflessione in tensione su una linea di
trasmissione ha una parte reale ed una parte immaginaria e quindi ha un
modulo e una fase. Se il coefficiente di riflessione è riferito ad una linea che
non ha perdite, avremo un’ampiezza che è costante in propagazione e varierà
solo la fase. Quindi lungo la linea avremo solo ⅇ 𝑗2𝛽𝑧 come variazione della fase,
mentre l’ampiezza rimarrà costante.

𝑉 − ⅇ 𝑗𝑘𝑧 𝑉 − 2𝛼𝑧 𝑗2𝛽𝑧


𝛤𝑣 (𝑧) = + −𝑗𝑘𝑧 = + ⅇ ⅇ = 𝛤0𝑉 ⅇ 2𝛼𝑧 ⅇ 𝑗2𝛽𝑧
𝑉 ⅇ 𝑉
𝛤𝑣 (𝑧) può essere descritto facendo ricorso all’impedenza sulla singola sezione
della linea.

𝑍𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎 (𝑧) − 𝑍0
𝛤𝑣 (𝑧) =
𝑍𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎 (𝑧) + 𝑍0
Normalizzando all’impedenza caratteristica, che è una quantità reale, avremo
che il coefficiente di riflessione e l’impedenza normalizzata saranno pari a

𝑧̂ (𝑧) − 1
𝛤𝑣 (𝑧) =
𝑧̂ (𝑧) + 1

𝑍𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎 (𝑧)
𝑧̂ (𝑧) =
𝑍0

Possiamo individuare i luoghi di punti sul piano complesso del coefficiente di


riflessione 𝛤𝑣 (𝑧) = 𝑢(𝑧) + 𝑗𝑣(𝑧) a resistenza normalizzata costante e a
reattanza normalizzata costante.
1 + 𝑢(𝑧) + 𝑗𝑣(𝑧)
𝑧̂ (𝑧) = = 𝑟̂ + 𝑗𝑥̂
1 − 𝑢(𝑧) − 𝑗𝑣(𝑧)

I luoghi di punti sono delle circonferenze sul piano complesso del coefficiente
di riflessione (abbiamo due set di circonferenze a resistenza normalizzata
costante e a reattanza normalizzata costante), le cui equazioni si ottengono
uguagliando parte reale ed immaginaria

1 − 𝑢2 − 𝑣 2
𝑟̂ =
(1 − 𝑢2 ) + 𝑣 2

2𝑣
𝑥̂ =
(1 − 𝑢2 ) + 𝑣 2
Otteniamo quindi l’abaco di Smith. Andiamo ad individuare i centri e i raggi, e
poi, al variare di 𝑟̂ e di 𝑥̂, andiamo a graficare l’abaco di Smith.

Il cerchio più marcato è quello a resistenza normalizzata costante pari a zero


sul piano complesso del coefficiente di riflessione. Il modulo del coefficiente di
riflessione su questa circonferenza vale 1. Questa circonferenza contiene tutti i
punti che hanno una certa reattanza, quale che essa sia, quindi il modulo del
coefficiente di riflessione vale 1, la fase può variare, e varia a seconda del tipo
di reattanza che ho su quella sezione della linea. Tutti i punti interni a questa
circonferenza sono caratterizzati da avere un modulo del coefficiente di
riflessione minore di 1, quindi la parte interna ed il contorno di questa
circonferenza 𝑟̂𝑖𝑛 = 0 vengono usati per i problemi relativi a linee di
trasmissione o guide d’onda passive. Tutto quello che abbiamo fuori presenta il
modulo del coefficiente di riflessione maggiore di 1. Se mi sta tornando
indietro un’energia maggiore rispetto a quella inviata, lungo la linea (o al carico
della linea) si ha un dispositivo, un componente che sta iniettando energia nel
sistema, in maniera tale che quella che torna indietro può anche essere
superiore rispetto a quella che io ho inserito nel sistema stesso. La parte
esterna alla circonferenza 𝑟̂𝑖𝑛 = 0 è quindi quella che serve per studiare
dispositivi attivi. Quando vogliamo studiare generatori, oscillatori,
amplificatori, ecc… la parte dell’abaco di Smith fuori da quella circonferenza è
importante per il progetto di tutti i dispositivi a microonde e anche ottici che
prevedono iniezione di energia dall’esterno, quindi fenomeni di amplificazione
o di oscillazione. I punti sull’Abaco di Smith noti sono i seguenti:
Importante è il luogo dei punti a resistenza unitaria, su quei punti ottengo che
la parte reale dell’impedenza di ingresso uguale all’impedenza caratteristica. Il
punto centrale, ricordiamoci che parliamo del piano complesso del coefficiente
di riflessione, è tale che il modulo del coefficiente di riflessione vale 0. Quindi
vuol dire adattamento. È il punto dove la resistenza normalizzata vale 1, cioè la
resistenza di ingresso vale Z0 e la parte immaginaria è 0. Il luogo a reattanza
nulla è la retta orizzontale, quindi l’asse reale del piano complesso del
coefficiente di riflessione. Il punto di cortocircuito è 0 per la parte reale e 0 per
la parte immaginaria, il punto di circuito aperto è opposto a questo.

Il punto di adattamento perfetto è quello su cui dobbiamo tendere nell’abaco


di Smith.

Questo vale anche come abaco delle ammettenze, basta ruotarlo di 180 gradi.

Quando usato come abaco delle impedenze la parte sopra è a reattanza


induttiva, la parte sotto a reattanza capacitiva.

Per quanto riguarda il verso, quando noi andiamo verso il carico, vuol dire che
la fase del coefficiente di riflessione aumenta. Infatti, abbiamo che
all’aumentare di z, quindi andando verso il carico, assumendo che il verso
positivo dell’asse z sia verso il carico, aumenta la fase del coefficiente di
riflessione ⅇ 𝑗2𝛽𝑧 , quindi aumenta l’angolo (che formo con l’asse orizzontale).
Mi sto muovendo quindi in verso antiorario. Andando verso il generatore
invece, a partire dal carico, vado a diminuire z, quindi diminuisco la fase del
coefficiente di riflessione, sto diminuendo l’angolo, e quindi mi sto muovendo
in senso orario.

VEDITI GLI ESERCIZI A FINE VIDEO


Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 8

Propagazione delle onde piane in mezzi complessi:

Studiamo la propagazione delle onde piane in mezzi che non sono lo spazio
libero. Introdurremo un formalismo generale che permette di comprendere
come è fatta un’onda piana che viaggia in un mezzo di date relazioni
costitutive. Introduciamo il formalismo relativo al tensore di Kong. È un
tensore che permette di esprimere in maniera tensoriale un’espressione
vettoriale, ovvero il rotore di un determinato vettore A.

𝛻⃗ × 𝐴 = 𝛻⃗ ⋅ 𝐴

Questo formalismo si basa dunque su un


elemento tensoriale noto come tensore di
Kong. Le componenti 3x3 della matrice
che descrive questo tensore sono state
derivate andando ad uguagliare il rotore
di A al prodotto righe per colonne della matrice che rappresenta questo
tensore di Kong ed il vettore A.

Tutte le componenti
del tensore
inizialmente sono
incognite.
Moltiplichiamo la matrice per il vettore A.

Sviluppando l’espressione del rotore del vettore A, si ha invece

𝜕𝐴𝑧 𝜕𝐴𝑦 𝜕𝐴𝑥 𝜕𝐴𝑧 𝜕𝐴𝑦 𝜕𝐴𝑥


𝛻⃗ × 𝐴 = ( − ) 𝑥̂ + ( − ) 𝑦̂ + ( − ) 𝑧̂
𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑥 𝜕𝑦

Otteniamo un
tensore che non
è invertibile
perché sulla
diagonale ci
sono tutti 0, se
avesse senso
fare il
determinante di
tale matrice che lo rappresenta, otterremmo 0, e quindi non è rappresentato
da una matrice invertibile. Il tensore di Kong però può rendere le equazioni di
Maxwell più compatte, in particolare otterremo un’equazione di Helmholtz
generalizzata, che vale come soluzione del campo elettrico e del campo
magnetico per onda piana in un mezzo qualsiasi.

Si parte dalle equazioni di Maxwell scritte nel dominio della frequenza

𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟) = −𝑗𝜔𝐵⃗ (𝑟)


{
𝛻⃗ × 𝐻
⃗ (𝑟) = 𝑗𝜔𝐷
⃗ (𝑟)

Le relazioni costitutive, assumendo un mezzo bi-anisotropo, lineare,


stazionario ed omogeneo, sono scritte nel seguente modo:

𝜀, 𝜉, 𝜁 e 𝜇 sono dei tensori. Uno dei due addendi, per entrambi i vettori D e B,
dipende dall’accoppiamento magneto-elettrico.

Per risolvere le equazioni di Maxwell in assenza di sorgenti (in assenza di


forzamento) nella regione considerata, quindi il campo originato da un’altra
parte si sta propagando in un determinato mezzo, vediamo che il rotore di E ed
il rotore di H assumono una forma abbastanza complessa e abbiamo delle
equazioni fortemente accoppiate, più di quanto non lo siano nello spazio
libero. Ricaviamo il campo magnetico dalla prima equazione di Maxwell, lo
inseriamo nella seconda e questa diventa un’equazione nel solo campo
elettrico.

Abbiamo che dalla prima


equazione si portano i termini
con il campo elettrico a primo
membro, isoliamo la parte con
il campo magnetico, e per ricavare H bisogna moltiplicare scalarmente per 𝜇 −1 ,
1
non ha senso, essendo questo un tensore, ha senso qualora questa sia una
𝜇
quantità scalare. L’inverso del tensore è infatti una matrice alla meno uno. Il
prodotto diadico, quindi il prodotto che coinvolge le rappresentazioni delle
diadi tramite le matrici, è un prodotto nel quale conta il verso.

Se moltiplichiamo
scalarmente per 𝜇−1
a sinistra, nel primo
membro e nel
secondo membro,
otteniamo questa
espressione per H(r).
Dobbiamo quindi
moltiplicare scalarmente a sinistra il termine che contiene H per 𝜇 −1, avremo
che 𝜇−1 ⋅ 𝜇 fa la matrice identica, e quindi rimane solo il campo magnetico
moltiplicato per -j𝜔. Quindi abbiamo quella espressione per il campo
magnetico.

Questa quantità ottenuta per il campo magnetico la andiamo ad inserire nella


seconda equazione ed otteniamo questa espressione, che non è compatta,
solo nel campo elettrico, quindi abbiamo trovato una risolvente differenziale,
vettoriale, nel solo campo elettrico, la cui soluzione è abbastanza complessa se
lasciamo tutto così.

Introduciamo a tal proposito il formalismo del tensore di Kong. Ogni rotore di


qualcosa lo scriviamo come tensore di Kong scalar qualcosa. Il vantaggio,
quindi, consiste nel sostituire il prodotto vettoriale con un prodotto scalare, il
prezzo che paghiamo è quello di passare da un vettore ad una diade.

Ogni volta che troviamo rotore di, lo sostituiamo con tensore di Kong scalare.

Possiamo mettere in evidenza a primo membro, ma possiamo farlo pure a


secondo membro, il termine prodotto scalare per il campo E(r).

Una volta
fatto
questo,
andando a
raccogliere in maniera opportuna i termini, riusciamo ad ottenere
un’equazione vettoriale nel solo campo elettrico, che si può scrivere in una
forma compatta.

Questa è una sorta di generalizzazione dell’equazione di Helmholtz nel dominio


della frequenza che abbiamo visto uscire fuori avendo considerato lo spazio
libero.
In realtà, quando eliminiamo l’effetto di accoppiamento magneto-elettrico,
quindi non ci sono 𝑗𝜔𝜉 e 𝑗𝑤𝜁, quando 𝜀 da quantità tensoriale diventa una
quantità scalare, lo stesso quando 𝜇 da quantità tensoriale diventa scalare, e
1
quindi 𝜇−1 uno diventa 𝜇, a questo punto si vede chiaramente che otteniamo
l’equazione di Helmholtz moltiplicando per 𝜇. Cioè tensore di Kong scalar
tensore di Kong vuol dire rotore del rotore, quindi ho rotore del rotore di E
−𝜔 2 𝜇𝜀𝐸⃗ tutto uguale a 0. Abbiamo ottenuto nuovamente l’equazione di
Helmholtz perché il tensore di Kong scalar tensore di Kong scalar E diventa
rotore del rotore di E ed otteniamo l’equazione già ottenuta nello spazio
libero.

Con questo formalismo siamo riusciti a trovare


una risolvente per il campo elettrico che è
scritta in una forma compatta, per studiare la
propagazione del campo elettromagnetico in un mezzo qualsiasi, e per dualità
possiamo fare lo stesso per ottenere una equazione risolvente per il solo
campo magnetico. Otteniamo E dalla seconda equazione di Maxwell e lo
sostituiamo nella prima.

Anche qui,
possiamo
andare
dall’una all’altra per dualità. Nabla rimane nabla perché sono derivate spaziali,
𝜉 diventa meno −𝜁, 𝜇 diventa −𝜀, 𝜁 diventa −𝜉, 𝜀 diventa 𝜇 ed E diventa H.
Otteniamo, quindi, applicando la dualità questa equazione differenziale
risolvente. Visto che noi vogliamo studiare che tipo di onda piana può viaggiare
in questo tipo di mezzo materiale descritto da queste relazioni costitutive
generali, la soluzione va scritta in termini di onda piana. La soluzione campo
elettrico di quella equazione differenziale deve avere questa forma

𝐸0 ⅇ −𝑗𝑘⃗⋅𝑟 = ⃗⃗⃗⃗
𝐸⃗ (𝑟) = ⃗⃗⃗⃗ 𝐸0 ⅇ −𝑗(𝑘𝑥𝑥+𝑘𝑦 𝑦+𝑘𝑧 𝑧)

In questa forma ⃗⃗⃗⃗𝐸0 e 𝑘⃗ , cioè il vettore di polarizzazione e di propagazione, sono


incogniti. Ho detto qual è l’andamento funzionale della soluzione del tipo onda
piana, però bisogna trovare quali possibili vettori di polarizzazione e quali
possibili vettori di propagazione possono esistere in quel determinato mezzo,
una volta fatto ciò è possibile determinare l’onda piana che può esistere in
quel determinato mezzo. Ciò lascia intendere che non tutti i tipi di onde piane
possono propagarsi in quel determinato mezzo che sto considerando, ma solo
alcune, che sono le soluzioni di quelle equazioni viste prima che danno vita ad
un certo 𝑘⃗ ed ⃗⃗⃗⃗
𝐸0 .

Avendo assunto questo andamento funzionale per la soluzione del campo


elettrico (lo stesso vale per il campo magnetico), abbiamo che le derivate
spaziali diventano
𝜕 𝜕 𝜕
→ −𝑗𝑘𝑥 ; → −𝑗𝑘𝑦 ; → −𝑗𝑘𝑧
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
Il tensore di Kong stesso in realtà può essere scritto come -jk tensore, dove k
tensore è un tensore di Kong riferito all’onda piana (cioè al fatto che sto
considerando la propagazione per onda piana), e questo k tensore ha delle
componenti che contengono i numeri d’onda nelle tre direzioni del sistema
cartesiano.

Quando andiamo a prendere l’equazione risolvente vista prima e ci inseriamo


la soluzione per onda piana, otteniamo queste equazioni qui per il campo
elettrico e per il campo magnetico

Osserviamo che in
questa formulazione
non abbiamo più
un’equazione
differenziale perché
le derivate spaziali non ci sono più, abbiamo equazioni algebriche scritte in una
forma estremamente compatta.

Queste descrivono problemi algebrici omogenei, non c’è


il vettore dei termini noti, dal punto di vista fisico quindi
non abbiamo un forzamento perché abbiamo assunto che
la sorgente sia in una zona che non è quella che noi
stiamo esaminando. Stiamo parlando di un campo elettromagnetico che si
propaga in questa zona sottoforma di onda piana. Dobbiamo trovare il tipo di
𝐸0 e 𝑘⃗ per la forma dell’onda piana. Il
onda piana, quindi riuscire a scrivere ⃗⃗⃗⃗
problema algebrico omogeneo che stiamo considerando è un problema detto
“agli autovalori”. Trovare gli autovalori significa trovare il vettore di
propagazione, quindi
trovare le componenti
che ci danno quel
vettore dell’onda piana,
quindi ciò significa
trovare le direzioni di propagazione ammesse dell’onda piana. Trovare gli
⃗⃗⃗⃗0 , quindi trovare il vettore di polarizzazione.
autovettori significa trovare gli 𝐸
Per determinare gli autovalori dobbiamo assumere che il sistema omogeneo
abbia una soluzione diversa dalla soluzione banale ⃗⃗⃗⃗
𝐸0 = 0, che ci dice che tutto
il campo è nullo. Dobbiamo trovare le condizioni che ci dicono che esiste una
soluzione diversa rispetto a quella banale, e quindi imporre che il determinante
della matrice che descrive l’operatore tensoriale 𝐿𝐸 o 𝐿𝐻 sia nullo

𝑑ⅇ𝑡 𝐿𝐸∕𝐻 = 0

L’equazione corrispondente che lega le componenti del vettore di


propagazione (kx, ky e kz) alla frequenza prende il nome di relazione di
dispersione, e ci permette di trovare le direzioni delle onde piane ammesse in
quel determinato mezzo. Una volta trovate le direzioni ammesse, allora ha
senso chiedersi come è fatto il vettore di polarizzazione, quindi com’è
polarizzata l’onda piana che può esistere in quel mezzo.

Quindi dobbiamo trovare l’autovettore.

Quando sostituiamo gli autovalori nel sistema, questi sono tali per cui il
determinante di 𝐿𝐸 o 𝐿𝐻 è 0, quindi il sistema omogeneo che troviamo diventa
un problema con più soluzioni, con almeno infinito alla 1 soluzioni. Ammette
un’infinità di soluzioni perché noi andiamo a trovare le forme del vettore di
polarizzazione, andiamo a capire com’è polarizzata l’onda, ma non ne
possiamo valutare l’ampiezza, che diventa un grado di libertà. Questa può
essere definita solo quando conosciamo la potenza dell’onda piana che sta
viaggiando. Posso riuscire ad ottenere la direzione di propagazione ed il
vettore di polarizzazione a meno di una costante di ampiezza. La costante di
ampiezza si determina quando si ha la condizione sulla potenza dell’onda
piana. La soluzione di questo problema mi dice come sono fatte le onde piane
che possono esistere in quel mezzo.

Facciamo un primo esempio. Immaginiamo di avere un mezzo anisotropo


uniassiale, tipicamente un cristallo, come il quarzo. La natura del reticolo
cristallino ha un comportamento anisotropo e, lungo una determinata
direzione, la risposta del materiale è diversa rispetto a quella che ha sul piano
ortogonale a tale direzione. Assumiamo un sistema di riferimento che ci aiuti
nei calcoli, quindi, poiché noi abbiamo detto che il mezzo è anisotropo, lungo
una certa direzione ha un comportamento diverso rispetto a quello che ha sul
piano ortogonale, quindi ci conviene orientare il sistema di riferimento
cartesiano con l’asse z diretto secondo questo asse lungo cui ha un
comportamento diverso, e x e y rappresentano i versori del piano ortogonale a
questa direzione particolare.

Se ruotiamo il campione rispetto a questo sistema di riferimento, il tensore 𝜀


sarà completo, quindi avrà tutte e nove le componenti, e sta a noi semplificare
i calcoli. Visto che dal punto di vista fisico non cambia nulla, andando a ruotare
il cristallo in maniera tale che il reticolo cristallino sia adattato ad un sistema di
riferimento cartesiano (x, y, z) per cui posso mettere soltanto i valori sulla
diagonale, i calcoli si semplificano. I valori xx e yy saranno uguali tra loro,
perché sul piano ortogonale a z il comportamento è lo stesso. Indichiamo con
𝜀1 la componente del tensore di 𝜀, indicherò con 𝜀2 il termine 𝜀𝑧𝑧 .

I cristalli tipo quarzo sono


anisotropi per la sola 𝜀, la
risposta magnetica è isotropa.
Per questo tipo di relazioni
costitutive ci chiediamo quali
tipi di onde piane possano
propagarsi in un cristallo di quarzo con tali relazioni costitutive. Applichiamo lo
stesso procedimento matematico.
Abbiamo che k è il tensore di Kong scritto per onda piana. Per trovare gli
autovalori imponiamo che 𝑑ⅇ𝑡 𝐿𝐸 = 0, ottenendo la seguente espressione

2
𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦 2 + 𝑘𝑧2 2
𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦 2 𝑘𝑧2
2
𝜀1 𝜀2 𝑘0 ( − 𝑘0 ) ( + − 𝑘02 ) = 0
𝜀1 𝜀2 𝜀1

Il termine 𝜀12 𝜀2 𝑘02 è diverso da 0, poi abbiamo il prodotto di due termini tra
parentesi tonda uguale a 0, quindi o l’uno, o l’altro, o entrambi i termini
devono essere nulli per far si che l’espressione sia valida.

Ci sono due luoghi di punti da considerare nello spazio k per individuare le


direzioni di propagazione ammesse per l’onda piana in un cristallo con queste
relazioni costitutive, e questi due luoghi di punti soluzione sono
rispettivamente una sfera nello spazio k di raggio 𝑘0 √𝜀1, e la superficie di un
ellissoide nello spazio tridimensionale kx, ky e kz. Lungo kx e ky l’asse è lo
stesso e vale 𝑘0 √𝜀2, lungo z l’asse è 𝑘0 √𝜀1.

Tutti i luoghi di queste superfici descritte da queste due equazioni sono le


soluzioni del nostro problema.

Quando si ha a che fare con un’onda piana nello spazio libero possiamo
scrivere questa stessa espressione, dove 𝜀 però è uno scalare.

In questo caso, nell’ultimo termine


della matrice che descrive LE,
invece di scrivere 𝜀2 scriverò 𝜀1 . Questo è quello che avviene in un mezzo
isotropo, è l’unica differenza, che però è sostanziale. Quando andiamo a
risolvere per un mezzo isotropo il 𝑑ⅇ𝑡 𝐿𝐸 = 0 otteniamo
2
2
𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦 2 + 𝑘𝑧2
2
𝜀1 𝜀2 𝑘0 ( − 𝑘02 ) = 0
𝜀1

Quindi nel caso di un mezzo isotropo i k soluzione si trovano tutti quanti su una
superficie sferica. Quindi se prendiamo il sistema di riferimento (kx, ky, kz),
prendere una sfera in questo sistema vuol dire che tutti i punti della sfera sono
caratterizzati dallo stesso vettore k. Nel vuoto questo vettore vale sempre ⃗⃗⃗⃗
𝑘0 ,
nello spazio libero non ci sono simmetrie particolari e l’onda piana con il
vettore di propagazione pari a ⃗⃗⃗⃗
𝑘0 può propagarsi in qualsiasi direzione, cioè
lungo tutto l’angolo solido, perché non ci sono problemi di simmetria.

Nel caso di un cristallo anisotropo uniassiale invece la simmetria del reticolo dà


vita matematicamente a due soluzioni. Consideriamo l’ipotesi in cui 𝜀1 > 𝜀2 .

I due luoghi di punti che andiamo a


descrivere danno vita alle soluzioni
per 𝑘⃗ , quindi, supponendo di volere
una certa direzione di propagazione
dell’onda piana, ci chiediamo, esiste
un’onda piana che viaggia su
questo mezzo lungo quella
direzione? Si, ma non ne esiste una
sola come nel caso di un mezzo
isotropo, ma ne esistono due, date
dalle intersezioni con la superficie
dell’ellissoide e con la superficie della sfera.

Le due superfici che abbiamo disegnato risultano tangenti tra di loro in due
punti dello spazio (per due punti passa una retta). Lungo la direzione z, le due
soluzioni coincidono (dell’ellissoide e della sfera). Se io lancio in questo
materiale un’onda piana che è diretta secondo l’asse z, asse dove si hanno
delle proprietà particolari, o diverse, rispetto a quelle che si hanno sul piano
ortogonale, il campo elettrico ed il campo magnetico che giacciono sul piano
ortogonale, quindi sul piano x e y, vedono un mezzo isotropo, perché vedono
solo quello che c’è sul piano (il campo E ed H giacciono su un piano). Se l’onda
piana è diretta secondo z, il k sarà diretto secondo z, E ed H sono ortogonali.
Vedono un mezzo con una certa 𝜀1 . Cambiando la direzione di propagazione,
inclinandola rispetto all’asse z, le soluzioni diventano due, cioè l’onda che
viaggia, il campo elettromagnetico che viaggia, poiché il campo E ed H non
giacciono più solo sul piano xy, ma hanno anche una componente secondo z, fa
sì che E ed H entrino in relazione con l’anisotropia del materiale. Avrò due
onde piane soluzioni, una definita come ordinaria e una definita come
straordinaria. Quella ordinaria è la soluzione associata alla sfera, perché è
quella che io avrei in un mezzo isotropo, l’altra, associata all’ellissoide, prende
il nome di onda piana straordinaria.

Immaginiamo che l’onda piana viaggi in un reticolo cristallino che ha una


simmetria perfetta su un piano, e poi presenta una asimmetria nella direzione
ortogonale a questo piano. Il fronte d’onda viaggia ortogonalmente a z vede
sempre lo stesso mezzo, non appena il vettore di propagazione cambia
inclinazione rispetto all’asse z, quindi forma un angolo rispetto all’asse z, il
fronte d’onda vede l’anisotropia, perché vede sia il piano xy con una certa 𝜀,
però vede pure l’asse z con una certa 𝜀. Quello che succede da un punto di
vista fisico è che, invece di avere un’onda piana sola, dal punto di vista fisico,
quindi, ho due onde piane soluzioni. Nel caso di un mezzo isotropo, dello
spazio libero, ho sempre due soluzioni, una col k positivo e una col k negativo
per indicare il verso lungo le z positive e negative. Nel caso del mezzo
anisotropo ho due coppie di soluzioni, perché ho quella +𝑘0 √𝜀1, −𝑘0 √𝜀1 e poi
ho l’altra associata al valore 𝜀2.

L’asse z è un asse particolare che prende il nome di asse ottico.

Troviamo gli autovalori, quindi quanto valgono questi k, e gli autovettori. Per
trovare gli autovalori consideriamo il 𝑑ⅇ𝑡 𝐿𝐸 = 0, inseriamo la soluzione
dell’onda piana ordinaria, associata alla sfera, cioè 𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦 2 + 𝑘𝑧2 = 𝑘02 𝜀1 .
Sostituito il primo autovalore il 𝑑ⅇ𝑡 𝐿𝐸 è per forza nullo perché ho sostituito un
autovalore.

Per trovare gli autovettori, nel caso dell’onda ordinaria, dopo aver inserito i k
soluzione del luogo di punti della superficie sferica, il sistema che bisogna
risolvere per il vettore di polarizzazione è tale che la prima equazione e la
seconda sono dipendenti tra di loro.
Dal momento che sono le stesse, possiamo considerarne solo una. Ho un
sistema due per tre, che ammetterà un’infinità di soluzioni.

Le due
equazioni in
gioco sono
queste!

Facendo dei
passeggi
ottengo
un’equazione tutta in 𝐸0𝑧 .

1
−𝑘𝑧 𝐸0𝑧 + [𝜀2 𝑘02 − 𝑘𝑦2 − 𝑘𝑥2 ]𝐸0𝑧 = 0
𝑘𝑧

La soluzione di quella equazione ci dice che l’onda ordinaria deve avere una
componente del campo elettrico lungo z uguale a 0, cosa che ci aspettavamo
perché il campo elettrico non deve vedere l’anisotropia.

Ottengo un campo elettrico polarizzato nel piano xy, cosa che mi aspettavo,
perché sto parlando di un’onda ordinaria. Il campo elettrico dell’onda ordinaria
deve giacere ortogonalmente all’asse ottico, ce lo aspettavamo fisicamente e
lo abbiamo dimostrato matematicamente. Quindi esplicitiamo il legame tra le
altre due componenti. Ho un campo elettrico polarizzato nel piano xy, la
polarizzazione può essere qualsiasi, in generale non ha una polarizzazione
speciale, dipende da quanto valgono kx e ky. È in generale ellittica sul piano xy.
Per ottenere il campo magnetico prendiamo Maxwell una volta che abbiamo E,
e otteniamo H, è una conseguenza diretta.

Sostituiamo l’autovalore dell’onda straordinaria. Andiamo a prendere ciò che


stava nella seconda parentesi tonda, lo poniamo uguale a 0, e lo sostituiamo
dentro 𝐿𝐸 . Il determinante è nullo.

Quando andiamo ad ottenere le tre equazioni per gli autovettori, queste sono
un po’ più complesse. Ci sono due equazioni dipendenti.

Il campo elettrico avrà anche una componente secondo z sicuramente diversa


da 0, infatti tale componente si annulla se il numeratore va a 0, cosa che non
può accadere, lo 0 del numeratore corrisponde alla soluzione per onda
ordinaria. La soluzione per onda ordinaria è la superficie sferica con raggio
𝑘0 √𝜀1 .

𝑘𝑥 𝑘𝑦 𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 + 𝑘𝑧2 − 𝑘02 𝜀1


⃗⃗⃗⃗
𝐸0 = 𝐸0 [ 𝑥̂ + 𝑦̂ + 2 𝑧̂ ]
𝑘𝑧 𝑘𝑧 𝑘𝑥 + 𝑘𝑦2 + 𝑘𝑧2 − 𝑘02 𝜀2

Il campo elettrico dell’onda piana soluzione, quindi, è dato da


⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗ 𝑘𝑥 𝑘𝑦 𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 + 𝑘𝑧2 − 𝑘02 𝜀1
𝐸(𝑟) = 𝐸0 [ 𝑥̂ + 𝑦̂ + 2 2 2 2 𝑧̂ ] ⅇ −𝑗(𝑘𝑥𝑥+𝑘𝑦 𝑦+𝑘𝑧 𝑧)
𝑘𝑧 𝑘𝑧 𝑘𝑥 + 𝑘𝑦 + 𝑘𝑧 − 𝑘0 𝜀2
Fino ad ora abbiamo considerato un mezzo uniassiale assumendo la direzione
di propagazione dell’onda piana possibilmente esistente là dentro qualsiasi.
Ora la definiamo noi. Consideriamo un caso particolare, ovvero consideriamo
un cristallo di quarzo uniassiale e ci chiediamo se esistano delle onde piane
dirette secondo z. Per l’onda piana diretta secondo z esiste solo kz (kx e ky
sono nulli). Si riduce tutto a questa equazione di dispersione dove onda piana
ordinaria e straordinaria coincidono, perché ho chiesto la propagazione
secondo l’asse. Si ha che l’autovalore 𝑘𝑧 = 𝑘0 √𝜀1 , quindi abbiamo trovato il
valore di k che deve avere questa onda piana diretta secondo z.

2
𝑘𝑧2 2
𝑘𝑧2
2
𝜀1 𝜀2 𝑘0 ( − 𝑘0 ) ( − 𝑘02 ) = 0
𝜀1 𝜀1

Gli autovalori sono coincidenti e corrispondono alla propagazione della sola


onda ordinaria. Per determinare gli autovettori si considera la matrice che
descrive l’operatore 𝐿𝐸 .
La seconda matrice è sempre lo stesso operatore dopo aver sostituito la
soluzione che abbiamo trovato. Le prime due righe sono identiche e dicono che
le tre grandezze 𝐸0𝑥 , 𝐸0𝑦 , 𝐸0𝑧 possono essere tutte e tre non nulle. La terza riga
mi dice che 𝑘02 𝜀2 𝐸0𝑧 = 0 → 𝐸0𝑧 = 0. Il campo elettrico deve giacere sul piano
ortogonale alla direzione di propagazione, questo a maggior ragione quando la
direzione di propagazione è lungo l’asse ottico, e quindi si avrà una sola
soluzione. Il campo elettrico avrà una certa polarizzazione sul piano xy, il
campo magnetico pure giace sul piano xy. Ho trovato tutta l’onda piana.

𝐸⃗ (𝑟) = (𝑥̂𝐸0𝑥 + 𝑦̂𝐸0𝑦 )ⅇ −𝑗𝑘0 √𝜀1 𝑧

𝜀
⃗ (𝑟) = (−𝑥̂𝐸0𝑥 + 𝑦̂𝐸0𝑦 ) √ 1 ⅇ −𝑗𝑘0 √𝜀1 𝑧
𝐻
𝜂0

Lungo l’asse ottico, pertanto, si possono propagare solo onde ordinarie di tipo
TEM(z). Per il calcolo delle ampiezze bisogna sapere quanta potenza è
associata a quell’onda piana.

Questo cristallo, che, per questa particolare onda diretta secondo z, si


comporta non come un cristallo, ma come un mezzo isotropo avente costante
dielettrica relativa pari a 𝜀1 , si comporta come un cristallo quando, ad esempio,
la direzione di propagazione dell’onda piana è o secondo x o secondo y. Il
fronte d’onda vede pure l’asse z in questo caso, quindi mi aspetto l’esistenza
sia dell’onda piana che dell’onda straordinaria. Noi andiamo a prendere
l’equazione generale vista prima, ci andiamo a mettere kx=kz=0 per studiare la
direzione di propagazione secondo y, oppure ky=kz=0 per studiare la
propagazione secondo l’asse x. I luoghi di punti soluzione che stanno nelle due
parentesi tonde sono diversi tra loro, quindi ho due soluzioni per l’autovalore

𝑘𝑦 = 𝑘0 √𝜀1 onda ordinaria 𝑘𝑥 = 𝑘0 √𝜀1

𝑘𝑦 = 𝑘0 √𝜀2 onda straordinaria 𝑘𝑥 = 𝑘0 √𝜀2

Trovati i k, dobbiamo vedere come sono fatti gli autovettori. Prendiamo i k così
ottenuti e li andiamo a sostituire all’interno delle matrici che descrivono 𝐿𝐸 , il
cui determinante già sappiamo che è nullo, e troviamo le soluzioni per
𝐸0𝑥 , 𝐸0𝑦 , 𝐸0𝑧 . Troviamo che, se l’onda è diretta secondo y, il campo elettrico
sarà diretto secondo x e il campo magnetico secondo z nel caso dell’onda
ordinaria. Inoltre, il campo magnetico sarà diretto secondo z ed il campo
elettrico secondo y se considero l’onda ordinaria che viaggia secondo x.

Ce lo aspettiamo! Delle due onde, io sto studiando quella ordinaria, e mi


aspetto che il campo elettrico veda il mezzo con costante 𝜀1 , e che quindi non
sia diretto lungo la direzione del k. Se l’onda piana è diretta secondo y il campo
elettrico deve essere diretto lungo x, non secondo z, se fosse secondo z
vedrebbe l’onda straordinaria. Quindi aspetto che il campo elettrico non sia
diretto lungo la direzione del k, ma sia diretto nell’altra direzione del piano
ortogonale a z. Nell’onda che è diretta secondo x, mi aspetto il campo elettrico
diretto solo secondo y.

Nel caso dell’onda straordinaria, questa me la aspetto in maniera tale che il


campo sia diretto secondo z, perché deve vedere il mezzo con costante 𝜀2, e
così è.

Matematicamente, prendiamo le matrici che descrivono 𝐿𝐸 , sostituiamo la


soluzione per onda straordinaria, andiamo a risolvere il problema agli
autovettori, e troviamo quanto valgono 𝐸0𝑥 , 𝐸0𝑦 , 𝐸0𝑧 . Questa volta avremo che
𝐸0𝑥 = 𝐸0𝑦 = 0, quindi esiste solo 𝐸0𝑧 .

Questo
strumento
matematico
permette non
solo di
studiare la
propagazione
in un cristallo,
materiale
semplice e naturale, ma è un metodo generale che permette la soluzione del
problema di propagazione di un’onda piana in quale che sia il materiale.
Abbiamo dato la formulazione per un mezzo bi-anisotropo generale, quindi
vale anche per qualsiasi materiale artificiale possiamo realizzare.
Quindi il materiale supporta la propagazione di due onde piane (ordinaria e
straordinaria) che hanno numeri d’onda e velocità di fase diversi. Le velocità di
fase nel caso dell’onda ordinaria e straordinaria sono diverse tra di loro.

Immaginiamo di avere una luce incidente con una determinata polarizzazione,


quando incide su un cristallo uniassiale si generano due onde a partire dalla
singola onda piana che c’era fuori. Queste due onde viaggiano con due velocità
di fase diverse, quindi al termine del cristallo avranno diverse relazioni di fase.
Se vado ad orientare il cristallo in maniera opportuna, così da generare l’onda
piana ordinaria e l’onda piana straordinaria, e vado a separare in fase le due
𝜋
onde in maniera tale da ottenere, ad esempio, una separazione di , se
2
l’ampiezza dell’onda incidente si separa esattamente in due nell’onda piana e
straordinaria, ho tutte le condizioni per ottenere in uscita dal cristallo una
polarizzazione circolare. Questo perché ho due componenti ortogonali del
campo elettrico, con la stessa ampiezza e con una differenza di fase tra le due
𝜋
di . Il risultato è che esce un’onda piana polarizzata circolarmente. Quindi
2
questo cristallo uniassiale può essere usato come polarizzatore, per esempio
da lineare a circolare. Può anche cambiare lo stato di polarizzazione di un’onda
lineare, perché può entrare lineare verticale e uscire lineare orizzontale, per
esempio. Dipende quanto è lungo il cristallo, in base a ciò posso avere vari stati
di polarizzazione. Il cristallo di quarzo è stato particolarmente studiato in
natura, quindi nella sua interazione con il campo alle frequenze ottiche (luce),
sin dal XIX secolo.

Se abbiamo un’onda piana con vettore di propagazione che giace sul piano xz,
quindi che viaggia in maniera obliqua rispetto all’asse ottico, ci aspettiamo un
fronte d’onda che vede sia l’onda ordinaria che straordinaria.

2
𝑘𝑥2 + 𝑘𝑧2 𝑘𝑥2 𝑘𝑧2
2
𝜀1 𝜀2 𝑘0 ( − 𝑘0 ) ( + − 𝑘02 ) = 0
2
𝜀1 𝜀2 𝜀1

Studiamo l’onda piana ordinaria, la soluzione prevede che 𝑘𝑥2 + 𝑘𝑧2 = 𝑘02 𝜀1 , e
che 𝐸0𝑥 = 𝐸0𝑧 = 0. Quindi il campo elettrico non è diretto secondo z, è diretto
secondo y in maniera tale che, nell’avanzare, vede sempre il mezzo con
costante 𝜀1 .

Per l’onda
straordinaria,
riapplicando
il metodo,
vediamo che
c’è una
componente
lungo z per il
campo
elettrico. L’onda straordinaria presenta un campo elettrico che è diretto
secondo z perché deve interagire con l’anisotropia del materiale, inoltre il
campo magnetico è diretto lungo y. L’onda piana straordinaria è del tipo TM(x)
o TM(z), cioè trasverso-magnetica sia secondo x che secondo z.

Il fenomeno della birifrangenza è un fenomeno tipico che avviene con i cristalli


di quarzo. Se mettiamo il cristallo in maniera tale che gli assi cristallografici
siano posizionati in maniera opportuna, l’asse ottico deve andare nella
direzione che vogliamo, altrimenti, se mandiamo una luce secondo l’asse
ottico, il fenomeno della birifrangenza non avviene, perché abbiamo soltanto
un’onda. Invece, avendo un’onda ordinaria e straordinaria, la rifrazione
avviene secondo due direzioni differenti e quindi abbiamo il fenomeno della
birifrangenza.

Dal punto di
vista fisico,
questo si
spiega con il
fatto che
non stiamo
secondo
l’asse ottico.

Dal punto di vista dell’equazione di dispersione, abbiamo la luce che viaggia nel
vuoto e poi entra nel cristallo. Invece di considerare una sfera stiamo
considerando una circonferenza. Noi sappiamo che nel vuoto esiste una
soluzione sola, e le soluzioni sono solo i punti della circonferenza sul piano xz.
Abbiamo una certa direzione di propagazione dell’onda piana e abbiamo che
questa incide sulla superficie di separazione tra vuoto e calcite. Abbiamo che le
condizioni al contorno dicono che, se non ci sono densità di cariche elettriche e
magnetiche, densità di correnti elettriche o magnetiche lineari sulla superficie
di separazione, vediamo che le componenti tangenziali del campo elettrico e
del campo magnetico devono conservarsi. Tale conservazione impone
determinate condizioni per i moduli (?), per quanto riguarda le fasi dobbiamo
considerare il phase-matching. Cioè, bisogna considerare che il k tangenziale
sulla superficie di separazione deve conservarsi. Data una certa direzione di
propagazione dell’onda incidente, se è obliqua rispetto all’asse ottico, vuol dire
che abbiamo un certo kz lungo l’asse ottico. Questo kz deve conservarsi nel
secondo mezzo. Quindi, nel secondo mezzo, il k, che dovrà essere soluzione sia
della sfera che dell’ellissoide nel mezzo calcite, deve avere un kz che deve
conservarsi nel secondo mezzo, deve essere uguale a quello dell’onda
incidente perché è l’applicazione delle condizioni al contorno. Quindi troviamo
le due soluzioni per onda ordinaria ed onda straordinaria (viola ed arancione),
perché kz è fisso, quindi devo tracciare la retta verticale e vedere dove incontro
l’ellisse e la circonferenza nel problema bidimensionale. A questo punto trovo i
due k, e i due k ordinario e straordinario hanno due direzioni diverse. Questo è
il fenomeno della birifrangenza, che mi fa vedere due volte il testo scritto.

Esistono materiali, cristalli un po’ più complessi dal punto di vista della
simmetria del reticolo cristallino, che sono anisotropi secondo tre direzioni
diverse. Il passo del reticolo cristallino è diverso lungo le tre direzioni dello
spazio, quindi avrò tre elementi della diagonale del tensore di permittività
diversi tra loro.

La risoluzione dell’equazione di dispersione è molto complessa, non si può


porre in una forma canonica.
Non è possibile arrivare alla fattorizzazione come abbiamo fatto nel mezzo
uniassiale, se grafichiamo questo luogo di punti ci accorgiamo che sono ancora
due superfici che definiscono le soluzioni per i k ammessi di onda piana in
questo mezzo biassiale, queste due superfici non si toccano in una coppia di
punti come nel caso del mezzo uniassiale, ma sono tangenti tra di loro in due
coppie di punti. Quindi vuol dire che posso individuare due direzioni particolari
del cristallo in maniera tale che, se l’onda è diretta secondo queste due
direzioni, l’onda vede un mezzo isotropo. Ciascuna di queste due coppie di
punti definisce un asse ottico. Questi mezzi presentano quindi due assi ottici.
Sono due direzioni particolari dello spazio, non sono coordinate come abbiamo
visto prima. La soluzione dell’equazione di dispersione ci dà la soluzione
dell’onda piana e il vettore di polarizzazione può essere scritto nella sua forma
generalizzata. Dopodiché è possibile studiare i casi particolari.

Onde piane nella ferrite magnetizzata:

Studiamo che tipo di onde piane si possono propagare nella ferrite


magnetizzata. La ferrite è un mezzo ferromagnetico che viene magnetizzato in
maniera opportuna. Abbiamo un materiale ferromagnetico che andiamo a
magnetizzare lungo una direzione tramite un magnete permanente e
applichiamo un campo elettromagnetico variabile nel tempo in maniera
armonica. Poiché abbiamo una direzione privilegiata di magnetizzazione, la
propagazione delle onde in questo mezzo sarà una propagazione speciale, cioè
il mezzo è anisotropo, e lo è diventato perché è stato magnetizzato con un
magnete permanente che ha orientato i dipoli magnetici interni lungo una
particolare direzione.
Consideriamo la direzione di propagazione lungo l’asse di magnetizzazione.

Se immagino che l’onda piana viaggi lungo l’asse z, asse lungo cui ho
magnetizzato il materiale, si ha che l’espressione del tensore costitutivo 𝜇 ha
una forma diversa rispetto a quella del materiale uniassiale. Mentre la
propagazione secondo l’asse ottico in un mezzo uniassiale faceva vedere un
mezzo isotropo (𝜀1 , 𝜀1 ), qui non mi fa vedere un mezzo isotropo. Mi fa vedere
𝜇 e 𝜇 lungo la diagonale, ed esistono pure i termini xy ed yx. Quindi, quello che
io vedo è un materiale diverso perché da una parte vedo -jk lungo x, lungo y
vedo +jk. Quindi quando andiamo a trovare le soluzioni per la propagazione
lungo l’asse z di magnetizzazione, queste sono tali che i kz che ottengo sono
due. Non ho onde ordinarie e straordinarie, queste sono due onde. L’onda
ordinaria non c’è perché il materiale non è uniassiale, infatti i tensori che
considero vengono definiti girotropici. Il materiale viene definito girotropico
perché quando vado a trovare gli autovalori, dopo aver inserito gli autovalori,
trovo che il campo magnetico risulta essere polarizzato circolarmente. In un
caso è polarizzato circolarmente destro, mentre nell’altro è polarizzato
𝜋
circolarmente sinistro (perché ho stessa ampiezza, sfasamento di 2 perché c’è
la j, ma con segno meno tra le due componenti). I tensori girotropici
presentano dunque elementi fuori dalla diagonale. Se prendo un’onda piana e
la dirigo lungo l’asse di magnetizzazione (asse dove non ho gli elementi fuori
della diagonale), ottengo due onde soluzione, cioè un’onda polarizzata
circolarmente destra, e una polarizzata circolarmente sinistra. Questo è quello
che avviene in una ferrite magnetizzata lungo z. Gli elementi fuori dalla
diagonale con pedice z sono tutti 0, gli elementi per xy ed yx sono quelli al di
fuori dalla diagonale. Quando incido con un’onda piana diretta secondo la
direzione di magnetizzazione z, il campo magnetico giace solo sul piano xy e da
vita a due onde, che non sono ordinaria e straordinaria, ma sono polarizzate
circolarmente a destra e a sinistra, per questo il mezzo viene detto girotropico.
Entra una polarizzazione lineare e dentro si formano due polarizzazioni
circolari.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 9

Propagazione delle onde piane nella ferrite


magnetizzata:

Abbiamo visto la propagazione dell’onda piana all’interno della ferrite


magnetizzata.

Se prendiamo un materiale
ferromagnetico e andiamo ad
applicare un magnete
permanente in una direzione,
ad esempio lungo l’asse z,
andiamo a magnetizzare il
materiale nella direzione
dell’asse z. A livello
microscopico si ha che tutti i dipoli magnetici elementari presenti all’interno
del materiale ferromagnetico tenderanno ad allinearsi secondo l’asse z. Questa
struttura, qualora non lo fosse originariamente, diventa effettivamente un
materiale anisotropo e la permeabilità è descritta usando un tensore, la cui
rappresentazione
matriciale 3x3 è
quella indicata in
figura. Sto
magnetizzando la
ferrite lungo z, quindi l’elemento zz è pari ad 1. Dato il ferromagnete, che viene
magnetizzato secondo l’asse z tramite un campo statico o un magnete
permanente, andiamo ad incidere con un’onda, che ha quindi una certa
frequenza, sul materiale. Vogliamo studiare la risposta del materiale, lungo
l’asse z non ci aspettiamo alcuna risposta aggiuntiva del materiale perché tutti i
dipoli magnetici sono stati già orientati secondo l’asse z dal magnete
permanente. Quindi aggiungere una componente variabile nel tempo di campo
magnetico diretta secondo z non cambia la magnetizzazione del materiale.
Quindi, mettere un 1 li significa che il materiale si comporta, con il campo H
diretto secondo z, esattamente come lo spazio libero, cioè non ci sono degli
effetti magnetici che dobbiamo considerare. Diverso è se l’onda variabile nel
tempo che incide presenta un campo magnetico diretto secondo x o secondo
y. In quel caso, entrano in gioco questi quattro termini del tensore, che danno
vita a due onde piane che si possono propagare
nel mezzo quando l’onda incidente è diretta
secondo z. Abbiamo, infatti, due onde polarizzate
circolarmente a destra e a sinistra. Questo
tensore è definito “girotropico” secondo l’asse z
perché permette di ottenere queste due onde piane all’interno del materiale
polarizzate circolarmente a destra e a sinistra. Come abbiamo fatto a trovare le
onde che si possono propagare all’interno di una ferrite magnetizzata secondo
z? Siamo andati a prendere l’equazione delle onde generalizzata che si riduce
ad una Helmholtz anisotropa nel campo magnetico H, assumendo
propagazione per onda piana sostituiamo al tensore di Kong il tensore k ed
arriviamo a
questa
forma
compatta.
Per ottenere
gli
autovalori,
cioè i valori
di k che
sono
soluzione del problema elettromagnetico, dobbiamo andare a valutare il
𝑑𝑒𝑡 𝐿𝐻 = 0. Una volta trovati gli autovalori siamo andati a ricavare gli
autovettori. Quindi il 𝑑𝑒𝑡 𝐿𝐻 = 0, la soluzione di questa equazione ci dà gli
autovalori.

Non è possibile porla in una forma semplice, perciò, iniziamo a studiare i casi
particolari. La propagazione lungo l’asse di magnetizzazione, quindi il vettore k
è diretto secondo z. Quindi ha soltanto la componente 𝑘𝑧 e, in quel caso,
dovremmo porre 𝑘𝑥 = 𝑘𝑦 = 0, che andiamo ad inserire all’interno di 𝐿𝐻 ,
valutiamo il 𝑑𝑒𝑡 𝐿𝐻 = 0 ed otteniamo le soluzioni.

Viene fuori un’equazione di quarto grado. Abbiamo una coppia di soluzioni che
indichiamo con kz+ e l’altra coppia con kz-. Abbiamo che ciascuna delle due
avrà un + ed un -, in quanto definiscono la propagazione lungo il verso positivo
e negativo dell’asse z. Abbiamo soluzioni diverse tra di loro. Questi non sono
autovalori,
come
abbiamo
visto nel
caso dei mezzi uniassiali, di onda ordinaria ed onda straordinaria, perché
abbiamo che l’onda incidente è diretta secondo z, e quindi il campo H, che
giace ortogonalmente a z, vedrà l’anisotropia del materiale. In particolare,
andrà ad interagire sia con il termine 𝜇, che con il termine 𝜅 che sono nel
tensore costitutivo che abbiamo visto prima. Il termine 𝜇 ed il termine in 𝜅
𝜋
differiscono per una j, ovvero sono sfasati di 2 . Per valutare gli autovettori
andiamo a
prendere la
prima
soluzione, la
introduciamo
all’interno di
𝐿𝐻 e valutiamo
gli autovettori
per il campo H.
Facciamo lo stesso con la seconda soluzione. Abbiamo che nel primo caso
otteniamo un’onda polarizzata circolarmente, quindi il campo magnetico
associato alla soluzione + prevede una polarizzazione circolare. La j che
compare qui, che garantisce la polarizzazione circolare, dipende dal fatto che il
termine xy o yx del tensore valgono proprio 𝑗𝜅. Alla fine, l’onda piana nel
campo H, polarizzata circolarmente, che può propagarsi nella ferrite nel caso
del primo dei due autovalori, è quella che vediamo qui

⃗ (𝑟) = 𝐻0 (𝑥̂ + 𝑗𝑦̂)𝑒 −𝑗𝑘0 √𝜇1 +𝜅𝑧 . Introducendo la seconda soluzione, si ottiene
𝐻
ancora un campo H soluzione polarizzato circolarmente, e stavolta la
polarizzazione presenta verso opposto rispetto al caso precedente.
L’espressione generale dell’onda piana nel campo H che si propaga nel mezzo
ha solo componenti secondo x e y e, nel caso del secondo autovalore, è del
⃗ (𝑟) = 𝐻0 (𝑥̂ − 𝑗𝑦̂)𝑒 −𝑗𝑘0 √𝜇1 +𝜅𝑧 .
tipo 𝐻

Se avesse
una
componente
secondo z
quella
porzione
dell’onda si

propagherebbe come se fosse in un materiale ordinario, visto che secondo z


già è tutto magnetizzato dal magnete permanente, nel materiale non ci sono
effetti magnetici aggiuntivi. Quindi, se andiamo ad investire una ferrite
magnetizzata secondo l’asse di magnetizzazione si generano all’interno della
ferrite due onde piane polarizzate circolarmente, ma in verso opposto.

⃗ (𝑟) = 𝐻0 (𝑥̂ + 𝑗𝑦̂)𝑒 −𝑗𝑘0 √𝜇1 +𝜅𝑧


𝐻

⃗ (𝑟) = 𝐻0 (𝑥̂ − 𝑗𝑦̂)𝑒 −𝑗𝑘0 √𝜇1 +𝜅𝑧


𝐻
Se l’onda che incide sulla ferrite è diretta secondo y (sempre in una ferrite
magnetizzata lungo l’asse z), stiamo considerando due direzioni ortogonali tra
loro. Dal punto di vista fisico notiamo
che questo tipo di onda piana incidente,
quando ha il campo magnetico H diretto
secondo z, non vedrà degli effetti
magnetici. Quindi, quella parte
dell’onda si propaga come se fosse in un
mezzo ordinario. Al contrario, invece,
quando ho la componente di H che è diretta secondo z, quindi ortogonalmente
ad y, asse di propagazione dell’onda piana, ho il campo H che può essere o
diretto secondo z, in quel caso non vede effetti magnetici ulteriori (e quindi
quella parte dell’onda è come se si propagasse in un mezzo ordinario), ma un
campo H diretto secondo x invece vede l’anisotropia del materiale, quindi
quella parte dell’onda si comporterà come un’onda straordinaria. Infatti,
quando andiamo a valutare il determinante di LH=0, avendo imposto che 𝑘𝑥 =
𝑘𝑧 = 0, otteniamo due soluzioni, la prima è 𝑘𝑦𝑂 = 𝑘0 , e quindi l’autovalore di
un’onda ordinaria (per la quale ci aspettiamo che il campo H sia diretto
secondo z), e l’altra invece è un’onda straordinaria (per la quale ci aspettiamo
che il campo H abbia una componente secondo x).

Quando
andiamo a
sostituire
l’autovalore
dell’onda
ordinaria,
l’autovettore
che ne deriva
è quello di
un’onda, nel
campo H,
polarizzata
secondo z.
Quando inseriamo l’autovalore dell’onda straordinaria abbiamo un campo H
che ha le componenti sul piano trasverso a z, quindi vede tutta l’anisotropia del
materiale. Infatti, l’onda stavolta non è polarizzata linearmente, come nel caso
dell’onda
ordinaria, ma
è polarizzata
ellitticamente
perché 𝜅 ≠
𝜇1 . In
conclusione,
stavolta
andando ad
incidere con un’onda piana diretta ortogonalmente all’asse di magnetizzazione
della ferrite, si generano due onde, una ordinaria ed una straordinaria, con una
diversa polarizzazione (lineare secondo l’asse di magnetizzazione ed ellittica sul
piano trasverso rispetto a quello di polarizzazione rispettivamente).

⃗ (𝑟) = 𝑧̂ 𝐻0 𝑒 −𝑗𝑘0 𝑦
𝐻

𝜇12 −𝜅2
𝜅 −𝑗𝑘0 √ 𝜇1 𝑦
⃗𝐻 (𝑟) = 𝐻0 (𝑥̂ − 𝑗 𝑦̂) 𝑒
𝜇1

Propagazione delle onde piane in materiali chirali:

Il fatto di avere un mezzo isotropo rispetto ad un mezzo anisotropo ci fa


pagare in complessità da qualche altra parte. In particolare, il materiale è sì
isotropo, però deve esibire l’effetto di un accoppiamento magneto-elettrico,
altrimenti questo tipo di
propagazione di due
onde piane polarizzate
circolarmente non è
possibile. I materiali
chirali presentano delle
molecole con delle simmetrie particolari, tipo quelle delle mani, cioè delle
simmetrie speculari. Le molecole, così come avviene per le mani, non possono
essere sovrapposte per mera traslazione o rotazione sul piano, e l’unico modo
per sovrapporle è quello di effettuare una rotazione fuori dal piano. Questa
particolare simmetria da anche il nome al tipo di materiale, definito, appunto,
chirale. Nelle mani, anche se sono uguali tra di loro, distinguiamo però una
mano destra ed una mano sinistra, che hanno simmetrie opposte tra di loro.
Quindi una stessa molecola, che ha la stessa composizione chimica, può essere
assimilata alla mano destra e alla mano sinistra. È chiaro che lo stesso oggetto,
con la stessa
composizione
chimica, può
avere una
simmetria diversa, che è proprio specifica dei materiali chirali, perché è proprio
“a mano destra” e “a mano sinistra”. Esistono materiali dotati di molecole
chirali, che presentano però sia delle molecole chirali con simmetria a mano
destra, sia delle molecole chirali, uguali nella composizione chimica ed
atomica, con simmetria opposta a mano sinistra. Un materiale che presenta lo
stesso numero di molecole chirali a simmetria destra e sinistra non esibisce
alcun tipo di fenomeno di chiralità a livello macroscopico, perché le molecole si
compensano tra di loro essendo in egual numero, e tale materiale prende il
nome di materiale racemico. Tali materiali sono descritti, quando andiamo dal
microscopico al macroscopico, dalle relazioni costitutive di un materiale bi-
⃗ = 𝜀𝐸⃗ + 𝜓𝐻
𝐷 ⃗ ; 𝑐𝑜𝑛 𝜓 = −𝑗𝜉𝐶
isotropo. {
⃗ = 𝜒𝐸⃗ + 𝜇𝐻
𝐵 ⃗ ; 𝑐𝑜𝑛 𝜒 = 𝑗𝜉𝐶

I termini 𝜀 e 𝜓 sono delle quantità scalari, quindi non c’è l’anisotropia. Inoltre,
𝜓 e 𝜒 sono legati tra di loro. Il parametro di chiralità 𝜉𝐶 descrive quanto è
prevalente l’effetto di accoppiamento magneto-elettrico, quindi più 𝜉𝐶 è
elevato, più l’effetto di accoppiamento magneto-elettrico è importante. Dal
punto di vista delle onde piane che possono propagarsi in tali materiali,
possiamo scrivere l’equazione delle onde, per esempio per il campo elettrico,
sfruttando il tensore di Kong. Usiamo la matrice identità perché, quando
abbiamo a che fare con degli scalari, questo può essere anche espresso come
lo scalare
moltiplicato per
una matrice
identità per avere
una
rappresentazione
matriciale
all’interno
dell’espressione
di 𝐿𝐸 .
Introduciamo la propagazione per onda piana, quindi al tensore di Kong
sostituiamo k tensore, quindi in forma compatta abbiamo il solito sistema 𝐿𝐸 ⋅
𝐸⃗ (𝑟) = 0. Dobbiamo andare a valutare il 𝑑𝑒𝑡𝐿𝐸 = 0 per ottenere l’equazione
di dispersione. Quando abbiamo a che fare con materiali isotropi non serve
andare a risolvere il 𝑑𝑒𝑡𝐿𝐸 = 0 in questa forma così generale dove tutti gli
elementi sono diversi da 0 e particolarmente ricchi di termini, perché, se noi
consideriamo un mezzo isotropo, l’onda piana si comporta nello stesso modo
quale che sia la sua direzione di propagazione. Quindi, senza perdita di
generalità, possiamo assumere che l’onda piana che incide sul materiale si
propaga, per esempio, lungo l’asse z, non cambia niente se usiamo l’asse x o
l’asse y, matematicamente potrebbe cambiare qualche cosa, ma il risultato è lo
stesso. Consideriamo il caso semplice in cui l’onda piana sia diretta lungo z,
poniamo 𝑘𝑥 = 𝑘𝑦 = 0 e l’equazione di dispersione assume questa forma.
Assunto che
questa
quantità qui
non è 0, la
soluzione
discende dal
fatto che il
contributo
all’interno
della
parentesi quadra deve essere pari a 0. Questa è un’equazione in 𝑘𝑧 alla quarta
potenza, quindi abbiamo quattro soluzioni. Otteniamo un’equazione
biquadratica, le quattro soluzioni vengono fuori a 2 a 2 e definiscono la
propagazione nel verso positivo e negativo dell’asse z. Una la indichiamo con
𝑘𝑧+ = ±𝜔(√𝜇𝜀 + 𝜉𝑐 ) e una con 𝑘𝑧− = ±𝜔(√𝜇𝜀 − 𝜉𝑐 ). Trovati gli autovalori,
andiamo a sostituirli nel sistema e vediamo quali autovettori vengono fuori. Gli
autovalori sono, formalmente, gli stessi che abbiamo trovato nel caso della
ferrite magnetizzata, quindi non ci sorprende il fatto che il materiale si
comporti esattamente come una ferrite, dando quindi vita al suo interno a due
onde piane polarizzate circolarmente a destra e a sinistra. Quando sostituiamo
l’autovalore
con il segno +
otteniamo un
vettore di
polarizzazione
per il campo
elettrico
polarizzato
circolarmente,
quindi la soluzione per onda piana globale è quella che vediamo qui. Allo
stesso modo, quando sostituiamo il secondo dei due autovalori abbiamo che la
polarizzazione del campo elettrico è ancora circolare, ma di verso opposto, e
quindi la soluzione finale è quella che vediamo qui.

L’unica
differenza
importante
rispetto alla
ferrite è che
la ferrite
magnetizzata
presenta
queste due
onde piane polarizzate circolarmente solo quando la direzione dell’onda piana
incidente è secondo l’asse di magnetizzazione, perché quello è un mezzo
anisotropo. In questo caso invece possiamo considerare qualsiasi direzione di
propagazione dell’onda piana (noi abbiamo considerato l’asse z) senza perdita
di generalità otteniamo due onde piane polarizzate circolarmente di verso
opposto, quindi sfruttiamo l’isotropia del materiale.

Propagazione guidata del campo elettromagnetico:

Fino ad ora abbiamo studiato la propagazione libera. La propagazione guidata


del campo elettromagnetico può avvenire in due modi fondamentali, il primo
prevede un meccanismo di guidaggio interamente dielettrico, il secondo
prevede un meccanismo di guidaggio metallico. Iniziamo a studiare le strutture
di guidaggio dielettriche, quindi cominciamo con le guide planari. Studiamo il
campo elettromagnetico che si propaga lungo un determinato asse. Stiamo
studiando ancora un problema generale, non è un problema che riguarda
necessariamente una guida d’onda. Studiamo come diventano le equazioni di
Maxwell quando abbiamo la propagazione del campo in un mezzo lineare,
stazionario, isotropo, omogeneo e non dispersivo lungo un determinato asse.
Assumiamo che tale asse coincida con l’asse z di un sistema di riferimento
cartesiano. Assumiamo che il materiale abbia una risposta elettrica
caratterizzata da una 𝜀𝑟 , e non magnetica.

𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧) = −𝑗𝜔𝜇0 𝐻
⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧)

𝛻⃗ × 𝐻
⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧) = −𝑗𝜔𝜀0 𝜀𝑟 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧)

Il materiale è isotropo, omogeneo, stazionario e non dispersivo. Le equazioni di


Maxwell le scriviamo in questa forma e ora le andiamo a particolarizzare. Se ho
propagazione del campo lungo l’asse z, mi aspetto che la variabilità rispetto a z
sia del tipo 𝑒 ±𝑗𝑘𝑧 𝑧 . Mi aspetto che il campo viaggi nel verso positivo o negativo
dell’asse z.
Quindi, assumere
una
propagazione
secondo z vuol
dire assumere
che la
dipendenza da z sia in quella forma esponenziale. Avendo assunto una
propagazione nel verso positivo
dell’asse z, vediamo che quando
scriviamo le equazioni di Maxwell
nella forma scalare, quindi
sviluppiamo i rotori, compaiono
le derivate di alcune componenti
rispetto a z. Queste derivate fatte
rispetto a z diventano delle
semplici moltiplicazioni per 𝑗𝑘𝑧 .
Le componenti del campo E e del
campo H sono indicate come
funzioni della sola x e della sola y,
visto che la variabilità in z è
stata già assunta come
esponenziale, poi tali
esponenziali sono stati
semplificati. Le sei equazioni che abbiamo scritto in una forma semplificata,
avendo assunto la propagazione secondo z, permettono di ottenere le
componenti trasverse del campo elettromagnetico in funzione delle sole
componenti
longitudinali.
Otteniamo, infatti,
che Ex(x,y) può essere
espresso in funzione
di un termine che
dipende da Ez ed Hz,
lo stesso si può fare per Ey(x,y). 𝑘𝑡 è il numero d’onda trasverso, ed è tale che
𝑘𝑡2 = 𝑘 2 − 𝑘𝑧2 . Essendo 𝑘 2 = 𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 + 𝑘𝑧2 , abbiamo che 𝑘𝑡2 = 𝑘 2 − 𝑘𝑧2,
quindi è la parte trasversa del numero d’onda al quadrato. Lo stesso possiamo
fare per Hx(x,y) e Hy(x,y). Quando si assume la propagazione del campo
elettromagnetico
lungo un
determinato
asse, come l’asse
z, le componenti
trasversali sodi
tale campo
possono essere espresse in funzione delle componenti longitudinali Ez e Hz.
Abbiamo termini additivi che descrivono globalmente Ex, Ey, Hx e Hy. Il
risultato notevole che abbiamo ottenuto ora vale in qualsiasi sistema di
riferimento che preveda un asse principale di propagazione. Quindi possiamo
considerare non solo un sistema di riferimento cartesiano, ma in generale un
sistema di riferimento qualsiasi, espresso in coordinate curvilinee generalizzate
del tipo (q1, q2, z). Il discorso non vale per il sistema sferico nel quale non
possiamo individuare un asse di propagazione rettilineo secondo l’asse z, cosa
che abbiamo assunto fino ad ora per descrivere il campo elettromagnetico in
questa forma più semplice.

Ez ed Hz come si ottengono? Siamo andati dalle 6 equazioni scalari di Maxwell


(3 per il rotore di E e 3 per il rotore di H) alle 4 relazioni che ci danno Ex ed Ey
in funzione di Ez ed Hz, e Hx ed Hy in funzione di Ez ed Hz. Le altre due relazioni
che rimangono, avendo fatto sparire Ex, Ey, Hx ed Hy, sono queste qui

𝜕 2 𝐸𝑧 (𝑥, 𝑦) 𝜕 2 𝐸𝑧 (𝑥, 𝑦)
+ + 𝑘𝑡2 𝐸𝑧 (𝑥, 𝑦) = 0
𝜕𝑥 2 𝜕𝑦 2

𝜕 2 𝐻𝑧 (𝑥, 𝑦) 𝜕 2 𝐻𝑧 (𝑥, 𝑦)
2
+ 2
+ 𝑘𝑡2 𝐻𝑧 (𝑥, 𝑦) = 0
𝜕𝑥 𝜕𝑦

Delle 6 di Maxwell che avevamo ne vengono usate 4 per esprimere Ex, Ey, Hx
ed Hy in funzione di Ez ed Hz, le altre due che rimangono sono delle equazioni
che sono delle Helmholtz scalari, una per Ez e l’altra per Hz. Quando vogliamo
cercare la soluzione del campo elettromagnetico che si propaga lungo un asse
z in un mezzo di questo tipo dobbiamo risolvere queste equazioni di Helmholtz
per Ez ed Hz, formalmente uguali, quindi basta risolverne una per ottenere il
risultato dell’altra, troviamo Ez ed Hz dall’integrazione di queste due equazioni
differenziali, poi si ottengono per derivazioni semplici Ex, Ey, Hx ed Hy e quindi
risulta noto tutto il campo elettromagnetico soluzione delle equazioni di
Maxwell rotore di E e rotore di H.

Consideriamo che, per la linearità (le equazioni di Maxwell sono lineari, il


materiale è assunto come lineare, quindi il sistema è in generale lineare),
possiamo assumere che Ez=0, e cerchiamo la soluzione per Hz. Da Hz
otteniamo Ex, Ey, Hx ed Hy, poi possiamo assumere Hz=0, consideriamo solo
Ez, e troviamo la soluzione per Ez. Otteniamo le espressioni di Ex, Ey, Hx ed Hy
e andiamo a sommare le soluzioni in quanto, per la linearità, vale la
sovrapposizione degli effetti. Possiamo scomporre il problema in due problemi
per studiare la propagazione del campo elettromagnetico lungo un asse, uno è
quello delle onde TEz, che si ottengono quando consideriamo Ez=0, e l’altro è
quello delle onde TMz, che si ottengono quando andiamo a considerare Hz=0.
Il campo globale sarà dato dalla somma delle onde TE secondo z e delle onde
TM secondo z ottenute in questo modo.

La struttura che consideriamo adesso è alla base di una guida dielettrica


planare è una struttura bidimensionale infinitamente estesa lungo x.
Assumiamo che il campo elettromagnetico viaggi lungo z, lungo y si ha un
confinamento dovuto al fatto che questa lamina dielettrica ha un certo
spessore, e
lungo l’asse x
assumiamo
che questa
struttura sia
infinitamente
estesa (sia
verso le x
positivo sia
verso le x negative). Quando abbiamo strutture infinitamente estese non ci
sono dei limiti alla variazione spaziale del campo elettromagnetico lungo quella
direzione. Se noi andiamo a prendere dei piani x=costante, la struttura
elettromagnetica del problema è sempre la stessa. Noi andiamo a tagliare la
lamina dielettrica che abbiamo qui e sul piano zy noi andiamo ad ottenere
sempre la stessa struttura. Abbiamo una sezione di questa lamina dielettrica
che è sempre la stessa per qualsiasi valore di x quando la andiamo a tagliare
con il piano zy. La soluzione che otterremo non dipenderà da x, e questo
semplifica le 6 equazioni che abbiamo scritto prima, perché il campo
elettromagnetico non può dipendere da x, la variabilità è solo secondo y (lungo
z ho sempre una variabilità di tipo esponenziale). Le derivate rispetto a x sono
state assunte
tutte nulle
(quindi kx=0), e
le derivate che
compaiono ora
non sono più
parziali ma
totali, perché le
componenti del
campo
elettromagnetico dipendono solo da y. Il 𝑘𝑡2 = 𝑘𝑦2 , e questo vale per tutte e sei
le equazioni che abbiamo ottenuto. In questo caso specifico, in cui la struttura
è assunta come infinitamente estesa lungo un asse, abbiamo che le sei
componenti del campo elettromagnetico non sono tutte accoppiate tra di loro.
Questa ipotesi di estensione infinita secondo x porta le componenti ad essere
accoppiate tra di loro a tre a tre. Ex, Hy ed Hz sono legate tra di loro, e, allo
stesso modo, Hx, Ey sono legate ad Ez. Queste prime tre componenti sono
disaccoppiate rispetto a queste ultime tre. Per quanto riguarda il primo set,
basta risolvere Hz usando la soluzione dell’equazione di Helmholtz e da questa
per derivazione si ottiene Ex ed Hy. Lo stesso facciamo per quanto riguarda
l’altra equazione di Helmholtz. Risolvere per Ez vuol dire, per la linearità,
assumere che Hz=0. Quindi vuol dire che questo è il caso delle onde TMz.
Quindi trovare una soluzione per Hz vuol dire assumere che Ez=0, quindi
questo sarà il caso delle onde TEz. Quelle in rosso sono le onde TEz, quelle in
blu saranno le onde TMz. Ha senso parlare di trasverso elettrico e trasverso
magnetico solo se si fa riferimento ad una determinata direzione dello spazio.
Quindi dalle sei equazioni scritte prima osserviamo il legame a tre a tre tra
queste componenti.

È chiaro il problema. Noi abbiamo assunto la propagazione del campo lungo


una determinata direzione, ciò ha portato ad una semplificazione delle
equazioni di Maxwell ed il risultato ottenuto da questa ipotesi è stato quello di
esprimere le componenti trasverse in funzione di quelle longitudinali del
campo Ez e Hz e, valendo la linearità, possiamo considerare il caso di onde TMz
e di onde TEz separatamente. Abbiamo inoltre ipotizzato che la struttura
planare, con un certo spessore lungo y, risulti essere infinita secondo l’asse x,
ciò ci ha portato ad escludere la dipendenza da x del campo, quindi abbiamo
scomposto il problema in onde TMz e TEz, che hanno solo delle particolari
componenti di campo elettromagnetico. Le sei componenti non sono tutte
accoppiate tra di loro, ma sono legate tra loro a tre a tre. Possiamo studiare
questi due problemi separatamente coinvolgendo solo tre delle sei
componenti di campo elettromagnetico.

Guida planare asimmetrica:

La guida planare è costituita da una lamina dielettrica costituita da un


materiale lineare, isotropo, omogeneo, stazionario e non dispersivo, con
costante dielettrica 𝜀𝑟 e spessore 2d definito lungo l’asse y. L’asse x è uscente
o entrante dallo schermo, e la struttura lungo tale direzione è sempre la stessa,
perché è infinitamente estesa lungo x. La soluzione non dipende da x, quindi il
problema che devo studiare è un problema bidimensionale. Assumo che la
propagazione sia lungo l’asse z. Voglio ottenere una soluzione per il campo
elettromagnetico che viaggia all’interno della lamina dielettrica secondo z. Al di
sopra e al di sotto della lamina dielettrica ho due semispazi (o semipiani)
diversi tra di loro, avendo entrambi, rispettivamente, costanti dielettriche pasi
a 𝜀𝑝 e 𝜀𝑚 . Ho assunto che i due semipiani siano fatti da due materiali, ancora
lineari, isotropi, omogenei, stazionari e non dispersivi, con costanti dielettriche
diverse tra di loro e diverse rispetto a quella della lamina dielettrica.
Assumiamo
anche che la
costante
dielettrica
relativa sia
maggiore rispetto alle altre due, ciò vuol dire che il materiale della lamina
dielettrica, che garantisce il confinamento, è più denso. Ciò garantisce il
fenomeno della riflessione totale interna all’interfaccia. Occorre dunque che il
materiale da cui proviene il campo elettromagnetico deve essere più denso
rispetto a quello che si trova al di fuori dell’interfaccia, ed inoltre l’angolo di
incidenza deve superare l’angolo critico. Questa struttura prende il nome di
guida planare asimmetrica perché le costanti dielettriche relative ai due
semipiani sono diverse tra di loro, quindi non possiamo assumere l’asse z come
asse di simmetria della struttura. A questo punto consideriamo il caso delle
onde TMz, che prevedono la soluzione di un’equazione di Helmholtz per Ez pari
ⅆ 2 𝐸𝑧 (𝑦)
a +
ⅆ𝑦 2
𝑘𝑦2 𝐸𝑧 (𝑦) = 0, che si
esprimerà come
combinazione lineare
di coseni e seni o
come combinazione
lineare di
esponenziali. Trovato
Ez, si deriva rispetto ad y, si moltiplica per gli opportuni coefficienti che
permettono di ottenere Hx ed Ey. Infatti, la soluzione dell’equazione di
Helmholtz si può esprimere alternativamente in questo modo. Abbiamo
funzioni esponenziali, o seno e coseno, secondo y, la scrittura è equivalente,
ma a volte conviene usarne una, a volte un’altra. Se vogliamo scrivere il campo
nella sua variabilità secondo y all’interno dei due semispazi p ed m, che sono
infinitamente estesi, ci conviene esprimerlo tramite gli andamenti esponenziali
perché è più facile imporre le condizioni al contorno. Quando abbiamo un
andamento esponenziale, ad esempio, nel semispazio p, il termine 𝑒 +𝑗𝑘𝑦 𝑦 è un
termine che deve andare a 0, altrimenti, nel suo termine di ampiezza
(ricordiamo che 𝑘𝑦 è una quantità complessa), questo è un termine che si
amplifica all’aumentare di y, quindi all’infinito diventa di ampiezza infinita. Se
diventa di ampiezza infinita, anche l’energia è infinita, e quindi non soddisfa la
conservazione dell’energia. Nel semipiano p, qualora esprimessimo il campo
come somma di seno e coseno non potremmo imporre questa condizione al
contorno in maniera così diretta. Lo stesso vale per il semispazio m, dove il
termine 𝑒 −𝑗𝑘𝑦 𝑦 deve andare a 0 per evitare che, per le y negative, andando
all’infinito, l’ampiezza, e quindi l’energia, tenda all’infinito violando il principio
della conservazione dell’energia. Conviene esprimere il campo all’interno della
lamina sottoforma di seno e coseno, così le condizioni al contorno in y=d e in
y=-d possono essere scritte in una forma più semplice. Hx ed Ey si ottengono
andando a derivare Ez. Ez è una funzione di y e z, la variabilità secondo y è data
dalla soluzione della Helmholtz, la variabilità secondo z è data dalla forma
esponenziale perché assumiamo che il campo deve propagarsi lungo l’asse z.
Dopo aver scritto il campo elettromagnetico delle onde TMz nella loro forma
generale, questo va particolarizzato nelle tre regioni. Partiamo dalla lamina
dielettrica. Conviene nel caso del campo scritto all’interno della lamina scrivere
la soluzione per Ez sottoforma di seno e coseno.
𝑇𝑀 𝑇𝑀
𝐸𝑧ⅆ (𝑦, 𝑧) = [𝑐1ⅆ 𝑠𝑖𝑛(𝑘𝑦ⅆ 𝑦) + 𝑐2ⅆ 𝑐𝑜𝑠(𝑘𝑦𝑑 𝑦)]𝑒 −𝑗𝑘𝑧𝑑 𝑧

Siccome siamo in un mezzo dielettrico, quindi nella lamina di interesse dove


avverrà la propagazione, le costanti di integrazione sono indicate con il pedice
d. Parliamo di onde TMz, quindi come apice mettiamo TM. Il campo Ez è nella
lamina dielettrica, quindi lo scriviamo come 𝐸𝑧ⅆ (𝑦, 𝑧). Il ky è valutato
all’interno della lamina dielettrica. La stessa cosa vale per il kz, in quanto è
valutato all’interno della lamina. Avendo assunto la struttura infinitamente
estesa lungo x, avremo che kx=0, quindi avremo che 𝑘 2 = 𝑘𝑦2 + 𝑘𝑧2 , ed essendo
che 𝑘 2 = 𝑘02 𝜀𝑟 , questo sarà diverso nella lamina e nei due semispazi perché
cambia la costante dielettrica relativa. Questo significa che anche i ky ed i kz
saranno grandezze diverse per ciascuna regione. Hx si ottiene derivando Ez
𝜔𝜀0 𝜀𝑟
rispetto ad y e moltiplicando per il coefficiente 𝑗 , e avremo che Ey si
𝑘𝑦𝑑
𝑘
ottiene derivando Ez rispetto ad y e moltiplicando per il coefficiente −𝑗 𝑘 𝑧𝑑 .
𝑦𝑑

Questo è il campo all’interno della lamina dielettrica.

Il campo nel semispazio p conviene scriverlo come somma di due esponenziali,


perché il termine 𝑒 𝑗𝑘𝑦 𝑦 , per la conservazione dell’energia, deve andare a 0, e
quindi non lo considero, considero soltanto il termine 𝑒 −𝑗𝑘𝑦𝑝(𝑦−ⅆ) . Conviene,
per l’imposizione delle condizioni al contorno, assumere il sistema di
riferimento in y=d. La lamina dielettrica ha uno spessore 2d secondo y.
Volendo semplificare l’imposizione delle condizioni al contorno sulla superficie
y=d, conviene assumere un sistema di riferimento che parta proprio da d, in
maniera tale che, imponendo la condizione al contorno per y=d, l’esponenziale
𝑒 −𝑗𝑘𝑦𝑝(𝑦−ⅆ) vale 1. Quindi per questo motivo non scriviamo 𝑒 −𝑗𝑘𝑦𝑝𝑦 . Avendo
assunto questa soluzione per Ezp, possiamo ottenere anche Hxp ed Eyp.
𝑇𝑀 −𝑗𝑘𝑦𝑝 (𝑦−ⅆ ) −𝑗𝑘𝑧𝑝 𝑧
𝐸𝑧𝑝 (𝑦, 𝑧) = 𝑐1𝑝 𝑒 𝑒

𝑇𝑀
𝜔𝜀0 𝜀𝑝 −𝑗𝑘 (𝑦−ⅆ ) −𝑗𝑘 𝑧
𝐻𝑥𝑝 (𝑦, 𝑧) = 𝑐1𝑝 𝑒 𝑦𝑝 𝑒 𝑧𝑝
𝑘𝑦𝑝
𝑇𝑀
𝑘𝑧𝑝 −𝑗𝑘 (𝑦−ⅆ ) −𝑗𝑘 𝑧
𝐸𝑦𝑝 (𝑦, 𝑧) = 𝑐1𝑝 𝑒 𝑦𝑝 𝑒 𝑧𝑝
𝑘𝑦𝑝

Nel mezzo m abbiamo che il termine che si elimina a priori è il termine, perché
per le y negative la parte di ampiezza tende ad un’ampiezza infinita, quindi ad
un’energia infinita. Quindi abbiamo il termine con il segno +. Consideriamo
inoltre y+d, dovendo andare ad imporre la condizione al contorno per y=-d,
quindi per ottenere un argomento nullo, laddove io vado a porre le condizioni
al contorno scrivo y+d, cosicchè quando y=-d l’esponenziale vale 1. Derivando
rispetto ad y e moltiplicando per le espressioni opportune otteniamo Hx ed Ey
per il semispazio m.
𝑇𝑀 𝑗𝑘𝑦𝑚 (𝑦+ⅆ ) −𝑗𝑘𝑧𝑚 𝑧
𝐸𝑧𝑚 (𝑦, 𝑧) = 𝑐1𝑚 𝑒 𝑒

𝑇𝑀
𝜔𝜀0 𝜀𝑚 𝑗𝑘 (𝑦+ⅆ) −𝑗𝑘 𝑧
𝐻𝑥𝑝 (𝑦, 𝑧) = −𝑐1𝑚 𝑒 𝑦𝑚 𝑒 𝑧𝑚
𝑘𝑦𝑚

𝑇𝑀
𝑘𝑧𝑚 𝑗𝑘 (𝑦+ⅆ ) −𝑗𝑘 𝑧
𝐸𝑦𝑚 (𝑦, 𝑧) = 𝑐1𝑚 𝑒 𝑦𝑚 𝑒 𝑧𝑚
𝑘𝑦𝑚

Abbiamo scritto il campo elettromagnetico soluzione nella lamina, nel mezzo


m e nel mezzo p. Questo campo presenta delle incognite che devono essere
trovate, abbiamo infatti le varie costanti di integrazione “c” ed i singoli k nei tre
mezzi. Per arrivare ad una soluzione si impongono le condizioni al contorno.
Fino ad ora abbiamo risolto Maxwell nei tre mezzi, ora dobbiamo imporre le
condizioni al
contorno sulle
due interfacce,
quindi per y=-d e
per y=d.
Assumiamo che
non ci siano
sorgenti. Le
condizioni al
contorno sono: la
continuità delle
componenti
tangenziali del campo elettrico e del campo magnetico, e la continuità delle
componenti normali del vettore D e del vettore B. Componente normale di B
non c’è, perché Hy non è contemplato nelle onde TMz, quindi dobbiamo
imporre che la componente secondo y, quindi la componente normale di D sia
continua nell’interfaccia. La stessa cosa sul piano y=d, dobbiamo imporre che
le componenti tangenziali del campo elettrico e magnetico siano continue, e
dobbiamo imporre la continuità delle componenti normali del vettore D.
Quindi dobbiamo prendere le espressioni del campo elettromagnetico viste
prima, ed uguagliarle tra di loro imponendo una volta y=-d ed y=d. La terza
equazione, cioè quella che riguarda la continuità delle componenti normali del
vettore D, sia per un’interfaccia che per l’altra, queste due espressioni sono
dipendenti dalle altre. Quando abbiamo introdotto le condizioni al contorno, le
condizioni al contorno sulle componenti normali vengono dalla divergenza di D
e dalla divergenza di B, che a loro volta non sono equazioni di Maxwell
fondamentali, ma derivano da quelle ai rotori. Basta andare a considerare solo
le condizioni al contorno solo sulle componenti tangenziali per ottenere le
soluzioni per le costanti di integrazione (quindi le prime due per ogni
interfaccia). Nel caso dell’interfaccia y=-d andiamo a scrivere il campo nel
mezzo m e nella lamina dielettrica, e questo è quello che otteniamo per la
componente Ez ed Hx.

Il primo membro è uguale al secondo membro quando le ampiezze e le fasi


sono uguali tra di loro. Dobbiamo imporre che 𝑘𝑧𝑚 = 𝑘𝑧ⅆ , se questo non è
vero non possiamo dire che il primo membro è uguale al secondo (per
entrambe le equazioni). Ciò deve essere valido sulla superficie di separazione
y=-d, quale che sia z, cioè per ogni punto della superficie di interfaccia. I due
esponenziali per ogni z devono essere uguali tra di loro, questo lo si ha quando
𝑘𝑧𝑚 = 𝑘𝑧ⅆ . Possiamo quindi semplificare gli esponenziali e rimangono solo le
espressioni che dipendono da seno e coseno.

La stessa cosa facciamo per y=d, stavolta dovrà risultare che 𝑘𝑧𝑝 = 𝑘𝑧ⅆ quale
che sia z. Quindi avremo che i numeri d’onda in direzione longitudinale sono
tutti uguali, ovvero avremo che 𝑘𝑧𝑝 = 𝑘𝑧ⅆ = 𝑘𝑧𝑚 . Le componenti tangenziali
del vettore di propagazione si conservano sempre alle interfacce, quindi il 𝑘𝑧 è
sempre lo stesso sulle due interfacce della lamina dielettrica. Anche in questo
caso si semplificano gli esponenziali e rimangono i termini di ampiezza
nell’equazione. Abbiamo in conclusione un sistema di quattro relazioni nelle
quattro incognite date dalle costanti di integrazione “c”. I 𝑘𝑦 saranno diversi
tra di loro perché i k sono diversi tra di loro. In particolare, se i 𝑘𝑧 sono tutti
uguali tra di loro all’interno della radice quadrata, abbiamo che i 𝑘 2 sono
diversi
tra loro
perché i
tre
mezzi
sono
diversi.
Questo è un problema 4x4 nelle incognite “c”, ed è un problema omogeneo
agli autovalori, che ammette una soluzione banale, ovvero che tutte le costanti
siano nulle, il che non ci interessa, perché vorrebbe dire che tutte le onde TM
sono uguali a 0. Le quattro equazioni che abbiamo trovato possiamo
esprimerle in una forma matriciale.

Condizione necessaria e sufficiente perché ci siano soluzioni diverse da quella


banale è che il determinante della matrice dei coefficienti sia uguale a 0.
Dall’uguaglianza a 0 di questo determinante si ottiene la relazione di
dispersione, che ci dice quali sono i k possibili, in particolare i 𝑘𝑦 o i 𝑘𝑧 , visto
che sono legati tra di loro, possibili per le configurazioni di campo che possono
viaggiare lungo l’asse z all’interno della guida dielettrica. Valutiamo il
determinante della matrice dei coefficienti e lo eguagliamo a 0, manipolando
l’equazione arriviamo all’equazione di dispersione che si pone in questa forma.

(𝑘𝑦2𝑑 𝜀𝑝 𝜀𝑚 + 𝑘𝑦𝑚 𝑘𝑦𝑃 𝜀𝑟2 ) 𝑡𝑎𝑛(2𝑘𝑦𝑑 𝑑) = 𝑗𝑘𝑦ⅆ 𝜀𝑟 (𝑘𝑦𝑝 𝜀𝑚 + 𝑘𝑦𝑚 𝜀𝑝 )

Questa equazione lega la frequenza alla costante di propagazione 𝑘𝑧 , perché


dentro i 𝑘𝑦 che figurano qua dentro avremo sempre √𝑘 2 − 𝑘𝑧2 . Il 𝑘𝑧 è uguale
per ogni mezzo, mentre il k sarà diverso mezzo per mezzo. Questa equazione,
quindi, lega la constante di propagazione 𝑘𝑧 della configurazione di campo
elettromagnetico che viaggia nella guida dielettrica alla frequenza 𝑘02 = 𝜔 2 𝜇𝜀.
Di questa equazione dobbiamo cercare una soluzione. Quali sono le
configurazioni di campo elettromagnetico che ci interessano? Il nostro
obiettivo era avere un campo che si propagasse all’interno della lamina
dielettrica, quindi che avvenisse il fenomeno della riflessione totale interna in
corrispondenza delle due interfacce. Il materiale all’interno del quale avviene
la propagazione del campo deve essere più denso rispetto a quello relativo ai
due semipiani sopra e sotto, quindi 𝜀𝑝 , 𝜀𝑚 < 𝜀𝑟 . Inoltre, se abbiamo la
riflessione totale interna all’interfaccia superiore ed inferiore, dovremo avere
delle code evanescenti del campo nel primo mezzo e nel secondo mezzo.
Perché si abbia un modo guidato, che possa quindi propagarsi all’interno della
guida d’onda e avere delle code evanescenti nei due semispazi, dobbiamo
imporre delle condizioni matematiche sui 𝑘𝑦 . In particolare, il 𝑘𝑦𝑝 che definisce
il campo che esce all’interno del mezzo sovrastante, e il 𝑘𝑦𝑚 , che definisce il
campo nel mezzo sottostante alla lamina dielettrica, devono avere un
andamento esponenziale decrescente, quindi devono essere delle quantità
immaginarie, delle onde evanescenti.

𝑘𝑦𝑝 = √𝑘02 𝜀𝑝 − 𝑘𝑧2

A questo punto, se 𝑘02 𝜀𝑝 > 𝑘𝑧2 , avremo che 𝑘𝑦𝑝 è una quantità reale, e questo
non va bene, perché vogliamo che l’onda sia evanescente nel mezzo p per
avere un modo guidato. Dobbiamo assumere che 𝑘02 𝜀𝑝 < 𝑘𝑧2 , in maniera tale
che nel semispazio p io abbia una coda evanescente del campo. Possiamo fare
lo stesso ragionamento per il mezzo m. Quindi, fatte queste premesse,

esplicitiamo l’andamento evanescente di 𝑘𝑦𝑝 = −𝑗√𝑘𝑧2 − 𝑘02 𝜀𝑝 . Possiamo fare

lo stesso ragionamento per 𝑘𝑦𝑚 , ed in particolare avremo che 𝑘𝑦𝑚 =


−𝑗√𝑘𝑧2 − 𝑘02 𝜀𝑚 . 𝑘𝑦ⅆ deve essere una quantità reale perché all’interno del
mezzo non vogliamo attenuazione, anzi vogliamo che 𝑘02 𝜀𝑟 > 𝑘𝑧2 . Quindi
𝑘 𝑘
avremo che 𝑘𝑧 deve avere una variabilità, del tipo 𝑘𝑧 ≤ √𝜀𝑟 , in maniera tale che
0 0
𝑘
𝑘𝑦ⅆ = √𝑘02 𝜀𝑟 − 𝑘𝑧2 non sia evanescente, però 𝑘𝑧 ≥ max[√𝜀𝑚 , √𝜀𝑝 ] affinché
0

siano evanescenti le code del campo nei mezzi p ed m. Dalla fisica del
problema otteniamo quindi le condizioni matematiche che dobbiamo imporre
sull’equazione di dispersione per avere dei modi guidati all’interno della lamina
dielettrica. Le condizioni fisiche sono propagazione nella lamina dielettrica e
code evanescenti nei due semispazi p ed m. Per imporre ciò, per le code
evanescenti dobbiamo imporre che 𝑘02 𝜀𝑝 < 𝑘𝑧2 e che 𝑘02 𝜀𝑚 < 𝑘𝑧2 . Allo stesso
tempo non deve essere evanescente il campo nel mezzo dove si vuole la
propagazione, quindi dobbiamo imporre che 𝑘02 𝜀𝑟 > 𝑘𝑧2 , al più uguale. Tutto
questo avendo assunto che il mezzo dove si ha propagazione sia più denso
rispetto ai mezzi sopra e sotto. Sostituendo all’equazione di dispersione i vari
𝑘𝑦 , otteniamo l’equazione di dispersione per i modi guidati, cioè le soluzioni in
termini di 𝑘𝑧 sono i numeri d’onda, cioè le costanti di propagazione, di tutti e
soli i modi che si possono propagare all’interno della lamina dielettrica. Le
soluzioni in termini di 𝑘𝑧 dell’equazione di dispersione, si dimostra, sono in
numero finito, quindi non abbiamo un’infinità di modi che possono viaggiare
all’interno della lamina, ma, per un fissato spessore, il numero di modi di
configurazione del campo elettromagnetico che possono essere guidati
all’interno della lamina è un numero finito. Le soluzioni dell’equazione di
dispersione in termini di 𝑘𝑧 dipendono dalla frequenza (quindi da 𝜔), dallo
spessore d della lamina dielettrica e dai valori delle costanti dielettriche della
guida e dei due semispazi sopra e sotto. Inoltre, la soluzione di 𝑘𝑧 ottenibile
per una determinata frequenza non si ottiene in maniera semplice così come
abbiamo visto nel caso delle onde piane. Abbiamo che 𝑘𝑧 compare dentro la
radice che definisce ciascuno dei 𝑘𝑦 , inoltre questo 𝑘𝑧 sta dentro una
tengente, che è una funzione trigonometrica che ha una certa periodicità,
quindi in realtà i valori di 𝑘𝑧 soluzione si ripetono con una certa periodicità. È
impossibile esplicitare 𝑘𝑧 da questa equazione di dispersione perché si tratta di
un’equazione trascendente a più valori. Quello che possiamo fare è cercare di
trovare una soluzione per via grafica in termini di 𝑘𝑧 di questa equazione di
dispersione, quindi andiamo a mettere sull’asse orizzontale lo spessore della
lamina per una fissata terzina {𝜀𝑟 , 𝜀𝑝 , 𝜀𝑚 }, e andare a graficare 𝑘𝑧 in funzione di
d. Esprimiamo 𝑘𝑧 normalizzato rispetto a 𝑘0, in maniera tale da ottenere le
curve soluzioni dell’equazione di dispersione che poi valgano per qualsiasi
frequenza, e lo spessore della lamina viene normalizzato rispetto alla
lunghezza d’onda. Considerando la periodicità delle soluzioni, otteniamo
diverse curve che sono rappresentate da quell’equazione di dispersione, curve
che sono soluzione del problema di modi guidati di tipo TMz all’interno della
lamina dielettrica. Abbiamo visto che la variabilità del 𝑘𝑧 per cui possiamo
𝑘
avere soluzioni è tale che 𝑚𝑎𝑥[√𝜀𝑚 , √𝜀𝑝 ] ≤ 𝑘𝑧 ≤ √𝜀𝑟 . Osserviamo le diverse
0

curve che si ottengono, abbiamo le soluzioni che vanno da TM0, TM1, TM2,
TM3, e così via. Stiamo considerando sempre una terzina di {𝜀𝑟 , 𝜀𝑝 , 𝜀𝑚 } che
caratterizzano
fisicamente la
struttura. Ci
chiediamo, se
abbiamo uno
spessore
normalizzato
pari a 0,5,
quindi lo
spessore della
lamina pari a
mezza
lunghezza
d’onda, i modi che possono esistere all’interno della struttura ed i valori
corrispondenti delle costanti di propagazione si determinano tracciando una
linea verticale per rappresentare lo spessore normalizzato peri a 0,5, quindi
𝜆
𝑑 = 2, e si va a vedere se questo asse verticale incontra le varie curve, se le
incontra, vuol dire che abbiamo soluzione. Quindi può esistere per questo
spessore il modo TM0, che ha un certo valore di costante di propagazione
normalizzata. Il modo TM1 può esistere e viaggia con un certo valore di
costante di propagazione normalizzata. Non può esistere il modo TM2, e
nemmeno quelli successivi. Per questo spessore le soluzioni sono due. Per
spessori molto piccoli non abbiamo nessuna soluzione, quindi non abbiamo
alcun modo TMz che può viaggiare all’interno della guida planare asimmetrica.
Chiamiamo frequenza di cut-off, anche se in questo caso parliamo di spessore
normalizzato di cut-off, a partire dal quale il modo si può propagare. Abbiamo
valori per spessori normalizzati di cut-off per i modi TM0, TM1, TM2, e così via,
rispettivamente. A partire da tali valori questi modi possono viaggiare in guida.
Dobbiamo trovare il valore per 𝑚𝑎𝑥[√𝜀𝑚 , √𝜀𝑝 ], dopodiché dobbiamo imporre
la condizione di cut-off, che è la condizione per la quale il modo passa da modo
non guidato a modo guidato. Le condizioni per le quali si una un modo guidato
sono quelle per cui si ha attenuazione all’interno dei due mezzi. Se 𝜀𝑚 > 𝜀𝑝 , al
variare di kz,
dobbiamo
vedere
quale tra
queste due
espressioni
finisce prima
di essere
una
grandezza immaginaria, quindi finisce prima di rappresentare un’onda
evanescente. Quello è il limite. Se 𝜀𝑚 > 𝜀𝑝 , la condizione 𝑘𝑦𝑚 = 0 è la
condizione di cut-off, perché nel semispazio m il modo non è più evanescente,
quindi non è più guidato, ma siccome 𝜀𝑚 > 𝜀𝑝 , il modo continua ad essere
evanescente nel mezzo p. Però questa condizione è una condizione di non
guidaggio del modo, perché nel mezzo p il modo si attenua esponenzialmente,
mentre nel mezzo m non risulta attenuato esponenzialmente, ma risulta
costante, quindi il modo non è più totalmente guidato all’interno della lamina.
Se, invece, 𝜀𝑚 < 𝜀𝑝 , avremmo avuto 𝑘𝑦𝑝 = 0, cioè il cut-off sarebbe stato
determinato dal non confinamento nel semispazio positivo invece che nel
semispazio negativo. Imponendo 𝑘𝑦𝑚 = 0, nell’ipotesi in cui 𝜀𝑚 > 𝜀𝑝 ,
l’equazione di dispersione assume una forma dalla quale possiamo esplicitare
quanto vale lo spessore della lamina in corrispondenza al cut-off. Il termine 𝑘0𝑐
introdotto è quello al quale abbiamo il cut-off. Esplicitando rispetto a d,
l’argomento della tangente sarà pari all’arcotangente del rapporto presente al
secondo membro, però dobbiamo fare attenzione alla molteplicità 𝑚𝜋 che
dobbiamo considerare perché stiamo valutando una funzione periodica. Da
𝜔0𝑐 2𝜋𝑓𝑐
queste ricaviamo le frequenze di cut-off. Sapendo che 𝑘0𝑐 = = . Se
𝑐0 𝑐0
esplicitiamo rispetto ad 𝑓𝑐 , andando a sostituire 𝑘0𝑐 , otteniamo le frequenze di
cut-off per i modi TMz, a partire dalle quali tali modi possono viaggiare
all’interno della lamina, al variare dell’indice m.

Se la frequenza è minore del cut-off del primo modo, cioè quello che si ottiene
per m=0, non esiste alcuna soluzione, quindi non si hanno modi guidati
all’interno della lamina dielettrica. Tutto quello che abbiamo visto nel caso
delle onde TMz si ripete nel caso delle onde TEz. Quindi dobbiamo prendere le
altre tre componenti di campo a partire da Hz, poi si ricavano Ex ed Hy
derivando rispetto ad y e moltiplicando per i soliti coefficienti. All’interno della
lamina dielettrica usiamo le espressioni che dipendono dal seno e dal coseno,
mentre il campo elettromagnetico delle onde TEz nei due semispazi dipende
da un andamento esponenziale, che si scrive con il segno – nel semispazio
positivo, con il segno + nel caso del semispazio negativo. Usiamo y=-d e y=d per
facilitare l’imposizione delle condizioni al contorno. In particolare, la terza
condizione, sulla continuità delle componenti normali del vettore B, per y=-d e
per y=d, è sovrabbondante rispetto alle altre due sulla continuità delle
componenti tangenziali del campo elettrico e magnetico all’interfaccia.
Imponendo le condizioni si trova che i numeri d’onda
longitudinali sono tutti uguali tra di loro, questo ci
permette di semplificare tutti gli esponenziali e di
andare ad ottenere un sistema omogeneo 4x4 nelle
incognite “c” per i modi TEz. La soluzione del problema
è con queste espressioni che abbiamo scritto per i vari
k. Il determinante della matrice dei coefficienti deve
essere uguale a 0 come condizione necessaria e
sufficiente per avere soluzioni diverse dalla soluzione banale. Otteniamo
l’equazione di dispersione, e anche qui imponiamo che i modi siano guidati.

Dobbiamo avere che 𝑘𝑦𝑝 e 𝑘𝑦𝑚 siano delle quantità immaginarie.

Si trovano anche qui le curve di dispersione per i vari modi TE0, TE1, TE2, TE3,
e si
trovano le
frequenze
di taglio
ripetendo
il discorso
che
abbiamo
visto
prima.
Per m=0 otteniamo la frequenza di taglio del primo modo TE, e se la frequenza
è minore di quella del taglio ottenuto per il primo modo TE, non esistono modi
guidati di tipo TE che possono propagarsi all’interno della struttura.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 10

Guida planare asimmetrica: analisi dei modi

Abbiamo studiato il
problema della
propagazione dei modi
in una guida d’onda
asimmetrica planare
dielettrica, quindi
avevamo assunto una
direzione di
propagazione secondo z, una struttura infinitamente estesa lungo x e limitata
trasversalmente secondo l’asse y, con uno spessore pari a 2d.

Le prime ipotesi, cioè la propagazione secondo z, e l’estensione infinita della


struttura lungo x, avevano portato a delle semplificazioni importanti. La prima
ipotesi permetteva di ottenere le componenti trasversali del campo
elettromagnetico espresse in funzione delle componenti longitudinali, la
seconda ipotesi ha permesso di separare un set di onde TE da un set di onde
TM, che potevano essere studiate e risolte individualmente. Abbiamo visto il
caso delle onde TM, e siamo arrivati a determinare, imponendo le condizioni al
contorno, quali fossero le condizioni per cui la configurazione di campo che
viaggia all’interno della lamina sia confinata all’interno della lamina dielettrica
stessa ed abbia delle code evanescenti nei due semispazi superiore e inferiore.
Avendo fatto ciò, abbiamo imposto che k y sia immaginario puro nei due
semispazi e puramente reale all’interno della lamina dielettrica, il risultato è
stato ottenere una soluzione dell’equazione di dispersione per i modi guidati
della struttura, cioè quelle configurazioni di campo che, propagandosi
all’interno della lamina dielettrica, risultano confinate all’interno della stessa.
Abbiamo visto che una soluzione dell’equazione di dispersione che ci dà le
costanti di propagazione dei modi guidati della struttura, non si risolve per
forma chiusa, bensì per via grafica. Abbiamo effettuato il grafico implicito
rispetto a 𝑘𝑧 normalizzato a 𝑘0 e allo spessore d normalizzato rispetto a 𝜆0 , ed
ottenuto le curve per i modi TMz.

Sottolineiamo adesso una differenza che c’è tra le onde TM z ed i modi TMz. La
differenza sostanziale è quanto segue: le onde TMz sono soluzioni delle
equazioni di Maxwell imponendo le condizioni al contorno, i modi TM z sono
particolari onde TMz che risultano essere confinate all’interno della struttura.
Quindi quando abbiamo imposto ulteriormente il fatto che la soluzione del
campo elettromagnetico, che si propaga lungo z nella lamina, sia confinata alla
lamina, cioè abbia delle code evanescenti nei due semipiani superiore e
inferiore, allora abbiamo trasformato quell’onda in modo guidato. Quindi
quello è un modo guidato della struttura, perché ha un ky che è immaginario
nei due semispazi, e invece è reale all’interno della lamina.

Si dimostra che i modi all’interno della lamina dielettrica sono in numero


finito, quando abbiamo fissato lo spessore, e abbiamo visto che definendo le
frequenze di taglio è possibile avere degli spessori per i quali non abbiamo
alcun modo guidato del tipo TMz a qualsiasi frequenza.

Questo è il grafico delle curve di dispersione dei modi TM z, abbiamo indicato i


primi 4, gli spessori normalizzati di taglio sono riferiti a questi punti per il modo
TM0, TM1, TM2, TM3. Dallo spessore normalizzato si può andare alla frequenza
di taglio, perché è normalizzato a λ0, e quindi da λ0 possiamo ricavare poi
quanto vale la frequenza di taglio relativa.
Abbiamo trovato la frequenza di taglio per i modi TM secondo z espressa da
questa formula, che coinvolge la periodicità dell’arcotangente rispetto ai
multipli di mπ.
Quindi, al variare
di m, da 0 in poi,
otteniamo la
frequenza di
taglio per i vari modi m=0, m=1, m=2, e così via. Nell’argomento
dell’arcotangente figura questo rapporto tra la costante dielettrica relativa ε r
della lamina dielettrica ed il valore di ε nel semispazio superiore.

Abbiamo assunto εr maggiore di εm e εp perché avvenga la riflessione totale


interna all’interfaccia tra la lamina ed i semispazi, quindi questo rapporto è
maggiore di 1.

Abbiamo detto che per una


frequenza minore della frequenza
che corrisponde al taglio m=0, non
abbiamo modi esistenti in guida
d’onda.

È possibile, una volta trovati gli


autovalori, quindi una volta
trovati i kz soluzione del
problema, ad esempio
immaginiamo di avere una lamina
di spessore normalizzato pari a
0,5, quindi a mezza lunghezza
d’onda, le soluzioni dei vari rami
dell’equazione di dispersione
sono 2. Abbiamo un modo TM0
che ha un certo kz normalizzato,
che è dato da questo punto, ed il modo TM1 che ha il kz normalizzato con
questo valore. Esistono solo questi due modi per questo spessore, non ci sono
altri modi, per spessori maggiori entrano in gioco anche il TM2, il TM3, e così
via.

Fissata la frequenza, per ogni kz soluzione dell’equazione di dispersione, quindi


per ogni autovalore, è possibile derivare l’autovettore corrispondente, cioè è
possibile derivare le componenti del campo elettromagnetico Ez, Hx ed Ey, che
sono le tre componenti dei modi TMz, quindi a partire dai singoli k che
troviamo dalla soluzione dell’equazione di dispersione per un determinato
spessore, possiamo poi ottenere gli autovettori, quindi le componenti di
campo associate al modo TM0, per esempio, e al modo TM1, che sono gli unici
che possono esistere qua dentro.

Consideriamo
invece anche il
caso dei modi TEz,
quindi le
componenti delle
onde TEz sono Hz,
Ex ed Hy, le
scriviamo all’interno della lamina dielettrica e all’interno dei due semipiani,
abbiamo quello positivo, dove assumiamo 𝑒 −𝑗𝑘𝑦𝑝(𝑦−𝑑) e l’argomento avrà

anche il riferimento spostato in y=+d, quindi scriveremo (y-d) ad argomento, e


poi abbiamo quello negativo, dove assumeremo 𝑒 𝑗𝑘𝑦𝑚(𝑦+𝑑) ed il riferimento è
portato in y=-d, quindi scriviamo y+d ad argomento.
Imponiamo le
condizioni al
contorno sulle
due interfacce
y=-d e y=+d, la
terza
condizione,
relativa alle
componenti
normali,
possiamo trascurarla perché è una combinazione lineare delle due precedenti
e dipendente dalle due precedenti, relative invece alla continuità delle
componenti
tangenziali del
campo E e del
campo H, e
imposte le
condizioni al
contorno,
troviamo le
solite relazioni
tra i k, quindi il
kz all’interno della lamina dielettrica è uguale al k z del semispazio inferiore, ed
è uguale al kz nel semispazio superiore, quindi i kz sono tutti uguali tra di loro
perché sono i numeri d’onda tangenziali. Quest’uguaglianza ci permette di
semplificare le
funzioni
esponenziali che
abbiamo nelle
quattro relazioni
ottenute nelle
condizioni al
contorno, e a
questo punto si
𝑇𝐸 𝑇𝐸 𝑇𝐸 𝑇𝐸
risolve il sistema omogeneo nelle incognite 𝑐1𝑚 , 𝑐1𝑑 , 𝑐2𝑑 e 𝑐1𝑝 , questo sono le
quattro incognite che compaiono in questo sistema 4x4. È un sistema
omogeneo, che si pone in questa forma, dove abbiamo il vettore delle
incognite, con tutte le costanti di integrazione che dobbiamo determinare,
abbiamo la matrice dei coefficienti del sistema, ed il termine noto che è nullo.

Quindi è un problema omogeneo, abbiamo che il determinante della matrice


dei coefficienti uguale a 0 ci da la condizione necessaria e sufficiente affinchè il
sistema possa avere una soluzione diversa dalla soluzione banale, e quindi
abbiamo ottenuto l’equazione di dispersione prendendo il determinante della
matrice dei coefficienti uguale a 0.

Questa equazione di dispersione ci da tutte le possibili soluzioni matematiche


del problema, ma noi vogliamo studiare le soluzioni in termini di modi guidati.
Quindi, anche nel caso dei modi TE, dobbiamo imporre che k yp e kym siano
immaginari puri, in maniera tale che l’onda si attenui esponenzialmente nei
due
semipiani,
mentre
invece deve
essere reale
𝑘𝑧
all’interno della lamina dielettrica. Avendo fatto questo, troviamo che non
𝑘0
può avere qualsiasi valore, cioè la costante di propagazione dei modi guidati
deve essere compresa tra un valore massimo pari a √𝜀𝑟 , ed un valore minimo

pari a 𝑚𝑎𝑥[√𝜀𝑚 , √𝜀𝑝 ]. Il tutto avendo assunto che .

Avendo fatto questo, anche qui


troviamo le curve di dispersione
per i modi TEz, e per i vari modi
TE0, TE1, TE2, TE3 e così via,
valgono le stesse considerazioni
che abbiamo visto prima.

Anche qui possiamo ricavare le


frequenze di taglio, e le
otteniamo andando a imporre
kym o kyp, a seconda di che è il
minore tra εm e εp, uguale a 0, in maniera tale che quindi, a partire da quella
condizione in poi, il campo non è più evanescente nel semispazio, e quindi non
è più confinato all’interno della lamina dielettrica, e quindi non esiste più come
modo guidato.

Questo
ci porta ad ottenere, analogamente a come abbiamo fatto per i modi TMz, le
frequenze di taglio per i modi TEz. Osserviamo che l’espressione è esattamente
la stessa che abbiamo
trovato per i modi TMz,
𝜀𝑟
tranne per il rapporto che
𝜀𝑝
compariva all’interno
dell’argomento dell’arcotangente a moltiplicare questo rapporto tra le radici.
Quindi l’espressione è la stessa a meno di quel termine. Questo determina la
differenza tra le frequenze di taglio dei modi TE e dei modi TM. L’argomento
dell’arcotangente dei modi TM è leggermente maggiore rispetto all’argomento
𝜀𝑟
dell’arcotangente che si ha nei modi TE, per via di questo , questo comporta
𝜀𝑝

che la frequenza di taglio dei modi TM è leggermente maggiore rispetto a


quella dei modi TE corrispondente. Quindi quando andiamo a graficare lo
spettro completo dei modi,
quindi l’equazione di
dispersione di una determinata
guida planare asimmetrica,
quindi consideriamo sia i modi
TEz sia i modi TMz, abbiamo
che, a parità di indice, la
frequenza di taglio dei modi
TM è sempre maggiore rispetto
a quella dei modi TE per via di
𝜀𝑟
questo che compare
𝜀𝑝

all’interno dell’espressione della frequenza di taglio dei modi TM.

Vediamo come sono fatte le componenti di campo. Una volta trovati i kz


soluzione per un certo spessore della lamina dielettrica, come abbiamo fatto
per le onde piane, noti gli autovalori, dobbiamo trovare gli autovettori. Gli
autovettori, nel caso dell’onda piana, erano le componenti del vettore
polarizzazione, nel caso specifico invece sono le componenti del campo dei
modi TE o TM.

Nel caso dei


modi TM le
due
componenti
trasversali
del campo
elettromagnetico sono Ez e Hx. Quando esiste il modo TM0, questo modo ha
Ez con questa configurazione di campo e Hx che ha quest’altra configurazione.
Il modo m=0 ha una configurazione che è di tipo pari per Hx e un’andamento di
tipo dispari rispetto all’asse z per Ez. Quando aumentiamo l’indice del modo
vediamo che le configurazioni pari e dispari si alternano. Per Ez abbiamo
configurazione dispari per m=0, configurazione pari per m=1, configurazione
dispari per m=2, e così via.

In maniera alternata, ma opposta, vediamo invece Hx. Osserviamo che il


numero di picchi che abbiamo del campo elettromagnetico nella componente
Ez è associato all’indice del modo, per m=1 infatti abbiamo un solo picco, per
m=2 ne abbiamo 2, per m=3 ne abbiamo
3, quindi se andiamo a valutare
l’intensità del campo, abbiamo che
questa avrà tre spot in corrispondenza
del modo m=3. Per m=4 abbiamo 4
picchi, e così via.

Quindi, un modo per capire qual è l’indice del modo guidato che si sta
propagando all’interno della guida d’onda consiste nel valutare l’intensità del
campo elettrico Ez e andare a vedere quanti spot luminosi abbiamo nella
guida.

Le
configurazioni
dei modi TEz
sono duali.
Quindi,
stavolta,
quello che era
il ruolo di Ez
nei modi
TMz, ce l’ha Hz nei modi TEz. È Hz che avrà configurazioni per m=0, pari per
m=1 e così via, esattamente analoghe a quelle che abbiamo visto per Ez nel
caso dei modi TM. E poi Ex si comporta come Hx che abbiamo visto prima. Una
cosa che è importante sottolineare è la seguente, ovvero, rispetto a questo
grafico, le configurazioni sembrano dispari e pari, ma non sono esattamente
così. Trattandosi di una guida asimmetrica, noi abbiamo la lamina dielettrica
che ha un certo valore di indice di rifrazione o di permittività relativa, infatti
noi abbiamo scelto ε𝑟 =3, che è maggiore rispetto al valore di ε nei due
semispazi εp ed εm, che sono numeri diversi tra loro, pari ad 1 e 2, ma, pur
essendo l’uno il doppio dell’altro, non sono poi così diversi tra loro, così come
non sono così diversi rispetto al valore di εr. Se la variazione di queste tre ε
fosse più significativa, noi avvertiremmo invece, anche
graficamente, una asimmetria delle configurazioni dei campi
Hz, Ex, Ez ed Hx per i modi TE e per i modi TM rispetto all’asse
z, e questo è dovuto proprio all’asimmetria dei due
semispazi.

Osserviamo che, secondo quanto riportato in figura, noi abbiamo una costante
dielettrica pari a 2, 3 ed 1, e la simmetria della configurazione dei campi per
m=0, per m=1, per m=2, e così via, non è così marcata, e
graficamente non è apprezzabile. Se avessimo, invece, una
situazione del genere, allora la configurazione del campo non
sarebbe più questa, ma sarebbe molto meno confinata, cioè
la curva evanescente sarebbe abbastanza morbida nel
semispazio positivo, mentre risulterebbe essere molto
stretta nel semispazio negativo. Questo è dovuto al fatto che il salto d’indice
così importante determina una asimmetria della configurazione del campo,
quindi non sarà più a quasi-simmetria dispari o a quasi-simmetria pari così
come abbiamo evidenziato precedentemente in figura.

È importante sottolineare il fatto che stiamo parlando di una guida d’onda


asimmetrica, quindi il campo, anche se può sembrare simmetrico, perché
abbiamo utilizzato salti di indice non significativi, è in realtà tale che le
configurazioni sono asimmetriche.

Dopo aver visto le configurazioni di campo, andiamo a fare un’altra


osservazione. Le componenti Ez e Hz sembrano avere la stessa distribuzione,
così come Ex e Hx, per i vari indici m=0, m=1, e così via. In realtà le componenti
sono simili, ma non uguali, per i modi TEz e TMz, e ce ne rendiamo conto dalle
considerazioni che facciamo ora.

Se facciamo uno
zoom
dell’andamento
di Hx, nel caso
m=0, vediamo
che Hx ha in
realtà questo
andamento, che
mostra una
continuità della componente Hx nell’attraversare l’interfaccia della lamina
dielettrica.

Quindi, nell’attraversamento dell’interfaccia, Hx deve essere continua, perché


abbiamo imposto le condizioni al contorno di continuità della componente Hx.
Anche Ex deve essere continua nell’attraversare l’interfaccia. Mentre la
derivata di Hx è discontinua nell’attraversare l’interfaccia, la derivata di Ex
rimane invece continua nell’attraversare l’interfaccia.

Quindi, in realtà, benchè le componenti di campo siano continue, le derivate,


in un caso subiscono una discontinuità (nel caso di Hx), mentre invece nel caso
di Ex non subiscono discontinuità.

Non ce ne accorgiamo dal grafico, perché se guardiamo il


grafico in maniera assoluta e da lontano, non ci rendiamo
conto che nel caso dei modi TM, qui, Hx ha la derivata
discontinua, pur essendo Hx continua, mentre invece Ex ha
anche la derivata continua.

Ce ne rendiamo conto se andiamo a scrivere le equazioni di Maxwell, e quindi


andiamo a vedere, effettivamente, quali sono gli andamenti. Quando noi
vogliamo scrivere che Hz è continua all’interfaccia, osserviamo che Hz si può
1 𝑑𝐸𝑥
scrivere come . Quindi posso scrivere che la continuità di Hz è legata
𝑗𝜔𝜇 𝑑𝑦
alla
derivata di
Ex rispetto
a y. Allo
stesso
modo
posso scrivere che la continuità di Ez è legata alla derivata di Hx fatta rispetto
a y.

Andiamo ad imporre le condizioni al contorno nei due casi e vediamo che


succede.

Parliamo della
continuità
della
componente
Hz
all’interfaccia
y=-d e y=d. Hz
si può
scrivere in funzione della derivata di Ex rispetto a y, quindi lo scriviamo
all’interno della lamina dielettrica, all’interno del semispazio inferiore (pedice
“xm”), e nella seconda equazione scriviamo Ex all’interno della lamina
dielettrica (pedice “xd”) e nel semispazio superiore (pedice “xp”), uno valutato
in y=-d e l’altro valutato in y=d.

Osserviamo che la continuità delle componenti Hz, poiché possiamo


1
semplificare a primo e a secondo membro, impone anche la continuità
𝑗𝜔𝜇
delle derivate di Ex fatte rispetto a y, quindi la derivata di Ex è continua
nell’attraversare l’interfaccia, cosa che abbiamo prima visto graficamente
quando siamo andati a prendere lo zoom in corrispondenza delle interfacce.
Quindi non solo Ex è continua, ma ha anche la derivata continua.
Per
quanto
riguarda
Hx,
abbiamo
che Hx si
usa per
esprimere Ez, quindi la continuità di Ez possiamo scriverla anche in questa
forma. Stavolta non posso semplificare direttamente tutto quello che ho a
primo membro e a secondo membro, perché posso semplificare solo 𝑗𝜔𝜀0 ,
mentre a primo membro rimane ε d e a secondo εm nella prima condizione al
contorno, e εd e εp nella seconda condizione al contorno. Quindi vuol dire che
le derivate di Hx fatte rispetto a y non possono essere continue
nell’attraversare l’interfaccia, perché abbiamo la presenza di valori di ε diversi
tra loro nella guida asimmetrica, quindi anche le derivate dovranno essere
diverse. Le derivate di Hx sono discontinue nell’attraversare l’interfaccia,
mentre Hx è comunque sempre continua perché è la componente
tangenziale.

Con considerazioni analoghe dimostriamo che, per quanto


riguarda le componenti Ez e Hz, in corrispondenza delle
interfacce superiore ed inferiore, la derivata di Ez e la
derivata di Hz cambia segno, quindi cambia segno la
pendenza della curva che definisce Ez e Hz (come descritto
in figura, vediamo che prima è decrescente e poi diventa crescente).

Dimostriamolo da un punto di vista matematico.

Nel caso dei modi TM, consideriamo la continuità di Hx, che dipende dalla
derivata di Ez
rispetto a y.

L’espressione
che definisce
Hx deve
essere continua nell’attraversare le due interfacce.

Anche qui possiamo semplificare.


𝜺𝒅
Osserviamo, però, che abbiamo da
𝒌𝟐𝒚𝒅
𝜺𝒎
una parte, e dall’altra. Se le
𝒌𝟐𝒚𝒎

derivate devono cambiare di segno,


vuol dire che queste quantità qui
devono avere segni opposti, se avessero lo stesso segno anche le derivate
avrebbero lo stesso segno. Lo stesso discorso vale anche per la seconda
interfaccia.

In un modo guidato 𝑘𝑦𝑑 deve essere una quantità reale, mentre 𝑘𝑦𝑚 deve
essere una quantità immaginaria pura, perché così il modo si attenua
esponenzialmente nei due semispazi, infatti anche 𝑘𝑦𝑝 deve essere
immaginario puro.

Già da questa considerazione


vediamo la differenza del segno,
perché 𝑘𝑦𝑑 al quadrato è una
quantità reale e positiva, quindi il
termine che moltiplica la derivata di
Ezd rispetto a y è un termine
positivo. Da quest’altra parte
abbiamo che 𝑘𝑦𝑝, quantità
immaginaria, al quadrato diventa una quantità negativa, quindi vuol dire che il
termine che
moltiplica la
derivata sarà
negativo. Le
derivate al
primo e al
secondo
membro
devono avere
il segno opposto, in maniera tale da mantenere soddisfatta l’uguaglianza che è
quella delle componenti tangenziali di Hx. Infatti, dal punto di vista
matematico, vediamo che queste sono delle quantità puramente immaginarie,
quindi al quadrato danno vita a dei segni negativi, e quindi la derivata di Ez
deve cambiare segno nell’attraversare l’interfaccia.

Se nella lamina Ez ha un certo andamento, poi la componente Ez,


fuori dalla lamina dielettrica, deve avere una pendenza opposta.

All’interfaccia, quindi, abbiamo un cambiamento di segno della


derivata di Ez. Ez è continua, la derivata, invece, non solo cambia,
ma cambia anche di segno, quindi se prima la funzione è crescente, dopo è
decrescente, e questo permette di ottenere questo andamento evanescente
nei due semispazi.

La stessa
cosa si può
dimostrare
nel caso dei
modi TE
per quanto
riguarda le
derivate di
Hz fatte rispetto a y, anche qui cambiano segno nell’attraversare l’interfaccia, e
ciò lo si può dimostrare andando a imporre le condizioni al contorno della
continuità della componente Ex alle due interfacce. Anche qui troveremo che
l’uguaglianza corrisponde al fatto che ci siano delle derivate di Hz fatte rispetto
a y che cambino segno in corrispondenza alle interfacce.

Guida planare simmetrica

Dopo aver visto tutto ciò che riguarda le guide planari asimmetriche, ora
rendiamo il problema un minimo più semplice. La guida planare simmetrica è
una lamina dielettrica di spessore 2d e di costante dielettrica relativa εr che è
inserita all’interno di un determinato mezzo con costante dielettrica relativa
εm. I due semispazi, quindi, sono uguali tra di loro non solo come dimensioni,
ma anche elettricamente, cioè hanno le stesse proprietà elettromagnetiche.

Per studiare
questa
guida,
possiamo
prendere il
caso della
guida
planare asimmetrica e possiamo andare a imporre che ε𝑝 = ε𝑚 .
Matematicamente torna tutto, quindi le espressioni generali, sia
dell’equazione di dispersione, sia del campo elettromagnetico che abbiamo
trovato nel caso della guida planare asimmetrica, si particolarizzeranno al caso
della guida simmetrica.

Possiamo, inoltre, ripetere pedissequamente quello che abbiamo visto fin’ora,


applicato però al caso della guida simmetrica, oppure abbiamo una terza via,
cioè possiamo utilizzare le condizioni di simmetria di questa guida per
renderne lo studio molto più semplice (lo facciamo con Matematika).

La prima via è quella più immediata, basta prendere le formule viste fino ad
ora, imponendo che ε𝑝 = ε𝑚 . Vediamo adesso la seconda strada per studiare
questa guida simmetrica.

Se vogliamo studiare una guida planare simmetrica senza aver studiato prima
quella asimmetrica dobbiamo scrivere le componenti delle onde TM, le
componenti delle onde TE, e dobbiamo imporre le condizioni al contorno.

Dobbiamo
scrivere le
componenti
delle onde
TM
all’interno
della
lamina, all’esterno della lamina, e l’unica differenza rispetto al caso
precedente è che gli esponenziali hanno gli stessi k y, ovvero abbiamo sempre
kym, sia nel semispazio positivo che nel semispazio negativo, i segni però
devono cambiare perché una volta consideriamo il semispazio positivo e una
volta il semispazio negativo. I riferimenti li assumiamo sempre in y=d nel
semispazio positivo e in y=-d nel semispazio negativo.

Quando andiamo a imporre le condizioni al contorno e valutiamo l’equazione


di dispersione, otteniamo un’equazione di dispersione molto semplice, e
assume la stessa forma che otterremmo imponendo che tutte le grandezze a
pedice p siano uguali a quelle a pedice m dall’equazione di dispersione
generale che abbiamo trovato per i modi TMz di una guida asimmetrica.

I ky nei semispazi, da due diventano solo uno, quindi dobbiamo imporre che
solo kym sia una quantità immaginaria per ottenere un modo guidato, e
inoltre la variabilità di kz per i modi guidati non ha più un elemento di
incertezza che era quello del max [√𝜀𝑚 , √𝜀𝑝 ], perché qui abbiamo un valore
solo della costante dielettrica, quindi kz/k0 deve essere compreso tra quei due
valori che vediamo scritti in figura, avendo assunto che la lamina dielettrica sia
più densa del mezzo circostante, in modo da avere la riflessione totale interna
e quindi il guidaggio del campo elettromagnetico nella lamina stessa.

La condizione
di cut-off è
facilmente
individuabile.
Abbiamo che
la 𝜀 è unica,
quindi
dobbiamo
solo imporre
che kym=0. Così facendo troviamo che 𝑘𝑧2 = 𝑘02 𝜀𝑚 , il che ci permette di
ottenere il cut-off dei modi.

Andiamo a scrivere la frequenza di taglio che otteniamo da questa espressione,


cioè aver imposto che 𝑘𝑧2 = 𝑘02 𝜀𝑚 porta a dire che 𝑘𝑦𝑑 = 𝑘0 √𝜀𝑟 − 𝜀𝑚 . Da
questa espressione, dentro k0 c’è la frequenza, arriviamo a determinare, come
abbiamo visto nel caso della guida asimmetrica, le frequenze di cut-off.

Per i modi TM abbiamo che il modo m=0, che si ottiene andando a mettere
m=0 qui, ha una frequenza di taglio che è nulla. In una guida perfettamente
simmetrica il modo TM0 può esistere sempre, quale che sia il suo spessore
normalizzato. L’altra cosa importante che troviamo è che le frequenze di taglio
𝑐0
dei modi successivi sono dei multipli di . Quindi le frequenze di taglio
4𝑑 √𝜀𝑟−𝜀𝑚

dei modi TM nel caso di una guida simmetrica partono da 0 e sono tutte
multiple di questa quantità qui.
Anche nel caso
dei modi TM di
una guida
simmetrica
possiamo andare
a graficare gli
andamenti dei
singoli modi, e
osserviamo che il
modo TM0 non
ha cut-off, quindi anche per uno spessore normalizzato nullo, il modo TM 0
esiste sempre. Andando a prendere uno spessore generico andiamo a trovare
tutte le soluzioni possibili per kz, e quindi tutti i modi che possono viaggiare
all’interno della struttura.

Lo stesso
studio
possiamo
farlo
anche
nel caso
dei modi
TEz,
andiamo quindi a scrivere le componenti di campo nella lamina dielettrica, poi
andiamo a scrivere le componenti di campo nel semispazio positivo e nel
semispazio negativo. I ky nei due semispazi sono gli stessi perché hanno lo
stesso dielettrico.

Anche qui otteniamo l’equazione di dispersione dei modi TEz, che assume la
forma
2 2
(𝑘𝑦𝑑 − 𝑘𝑦𝑚 ) tan(2𝑘𝑦𝑑 𝑑) = 𝑗2𝑘𝑦𝑑 𝑘𝑦𝑚

Imponiamo che il modo sia guidato, quindi che abbia una coda evanescente nei
due semispazi, e che si propaghi, quindi che 𝑘𝑦𝑑 sia reale all’interno della

lamina dielettrica, e questo corrisponde al trovare la stessa variabilità per


kz/k0. Otteniamo le frequenze di taglio che, nel caso dei modi TE, sono
esattamente uguali a quelle dei modi TM.
Quindi il modo
per m=0 non ha
cut-off, e i modi
successivi
hanno delle
frequenze di
taglio multiple
di questa
quantità
elementare, e
sono esattamente uguali a quelle dei modi TM.

Quando andiamo a
valutare lo spettro
completo dei modi
TEz e TMz che
possono esistere che
possono esistere
all’interno della
struttura, vediamo
che i modi TE e TM
con lo stesso indice hanno la stessa frequenza di taglio.

E quindi hanno lo stesso spessore normalizzato di taglio a partire dal quale


possono propagarsi. Questo è lo spettro modale completo di una guida planare
simmetrica.
Possiamo, ottenuti
i k soluzione,
ricavare le
componenti, e
quindi gli
autovettori, cioè le
componenti del
campo
elettromagnetico dei modi TEz e TMz. Osserviamo che queste componenti Ez e
Hx sembrano molto simili a quelle di una guida asimmetrica, ma queste sono
REALMENTE curve simmetriche rispetto all’asse z, quindi, indipendentemente
dal salto di indice di rifrazione, o di permittività, che si ha tra la lamina e il
mezzo esterno, in realtà questi andamenti sono esattamente simmetrici.
Quindi Ez, per m=0, è esattamente a simmetria dispari, per m=1 è esattamente
a simmetria pari, quale che sia il valore della costante dielettrica della lamina
rispetto a quella dei due semispazi.

Diverso era il caso per la guida asimmetrica, dove gli andamenti sembravano
simmetrici ma non lo erano, lo sembravano per la scelta dei parametri che
avevamo fatto, che non erano così diversi tra loro, ma quando la asimmetria
della struttura risulta essere più evidente, quindi i valori delle costanti
dielettriche dei due semispazi risultano essere più diversi tra loro, allora
troviamo una maggiore asimmetria nella distribuzione del campo
elettromagnetico nella struttura. Nella guida simmetrica le configurazioni di
campo sono sempre esattamente o a simmetria pari o a simmetria dispari.

La particolare simmetria che ha la lamina dielettrica simmetrica permette di


utilizzare un terzo modo, che vedremo meglio nelle esercitazioni, per ricavare
lo spettro modale, e quindi i modi che si possono propagare all’interno della
struttura. In particolare il piano y=0 è un particolare piano di simmetria per la
struttura. Il piano y=0 è un piano che, se noi andiamo a considerare quello che
c’è sopra e quello che c’è sotto al piano, la struttura si presenta esattamente
uguale a sé stessa. Questo piano di simmetria della struttura permette di
semplificare lo studio dello spettro dei modi di una guida planare simmetrica,
perché possiamo studiare questa struttura andando ad analizzare due
strutture elementari, una a simmetria pari e una a simmetria dispari.

Questo è un modo di analizzare problemi elettromagnetici abbastanza classico.


Quando noi abbiamo delle strutture che presentano particolari simmetrie, in
realtà questa struttura può essere scomposta in un certo numero di strutture
più semplici, che coinvolgono metà dell’analisi, in maniera tale che andiamo a
scomporre il problema in n problemi, o due problemi in questo caso visto che
parliamo di una simmetria che separa due regioni, elettromagnetici più
semplici, ciascuno di soluzione quasi immediata. Andando a mettere insieme le
soluzioni dei problemi elettromagnetici che abbiamo individuato otteniamo la
soluzione globale in maniera più semplice.

Le strutture che dobbiamo studiare nel caso di una guida simmetrica sono le
seguenti. Abbiamo il piano y=0 che è un piano di simmetria, quindi se
consideriamo la struttura superiore per y>0, questa è esattamente uguale alla
struttura inferiore per y<0. Da come sono gli andamenti del campo, abbiamo
visto che alcuni, con un certo indice, sono a simmetria pari, altri con un altro
indice sono a simmetria dispari, e possiamo considerare metà struttura che
supporta solo modi pari, e metà struttura che supporta solo modi dispari.

Il conduttore magnetico ideale ha una certa simmetria rispetto al campo


elettrico, il conduttore elettrico ideale ha una simmetria opposta.

Concentriamoci adesso sulla seconda struttura, quella di una lamina dielettrica


con un conduttore elettrico ideale in basso, perché questa struttura, al di là del
fatto che è metà struttura che permette di studiare una guida planare
simmetrica, di per sé rappresenta una guida d’onda particolarmente utilizzata
alle microonde.

È la struttura sulla quale vengono realizzate le piste di tutte le schede


elettroniche. Quindi abbiamo tipicamente una lamina dielettrica di metronite
(?) dove abbiamo un piano di massa metallico che sostiene questa struttura, e
sopra vengono praticate o disegnate delle piste metalliche che servono a
guidare il segnale elettromagnetico in queste schede.

Guida d’onda caricata con piano di massa metallico

Per studiare il problema elettromagnetico associato a questa guida d’onda che


prende il nome di guida d’onda integrata, che si usa per i circuiti integrati,
assumiamo lo spessore della lamina dielettrica pari a d, in y=0 abbiamo un
piano elettrico perfetto, e poi abbiamo un semispazio unico solo per le y>0.

Dobbiamo
scrivere il
campo
all’interno
della
lamina
dielettrica
e nel
semispazio
superiore,
quindi dobbiamo individuare solo due regioni questa volta. Scriviamo il campo
nelle due regioni e le condizioni al contorno che dobbiamo imporre sono
ancora due.

Una la imponiamo alla prima interfaccia, tra il dielettrico della lamina


dielettrica ed il dielettrico del semispazio sovrastante, e l’altra sul metallo, e
questa condizione al contorno da imporre prevede non la continuità delle
componenti tangenziali del campo elettromagnetico, ma impone che le
componenti tangenziali del campo elettrico siano nulle.
Andiamo a
prendere, nel
caso delle onde
TMz, le
componenti
nella lamina
dielettrica, che
sono le stesse
che abbiamo
visto nel caso delle guide planari precedenti.

Dobbiamo
scrivere le
componenti
che sono nel
semispazio
superiore,
quindi con il
riferimento
traslato in +d.

Però non dobbiamo scrivere le componenti di campo nel semispazio


inferiore.

In y=0
dobbiamo
imporre
che le

componenti tangenziali del campo elettrico siano uguali a 0 e all’interfaccia


y=d le componenti tangenziali del campo elettromagnetico devono essere
continue.

Allo stesso modo, quando imponiamo queste condizioni al contorno, troviamo


che i numeri d’onda tangenziali devono essere uguali tra di loro, quindi
troviamo che kzd=kzp. Osserviamo che le condizioni al contorno, grazie alla
condizione al contorno sulla parete elettrica perfetta, portano subito a
𝑇𝑀
eliminare un’equazione, perché basta imporre 𝑐2𝑑 = 0. Il problema che si
dovrà
risolvere
sarà
dunque
un
problema
2x2 dove
abbiamo
le due
incognite
𝒄𝑻𝑴 𝑻𝑴
𝟏𝒅 e 𝒄𝟏𝒑 .

Prendendo
questo
determinante
ed
uguagliandolo
a 0 otteniamo
questa
equazione di
dispersione
molto
semplice.
Anche qui kyp
deve essere
una quantità
immaginaria
pura, mentre
kyd deve
essere una
quantità
reale.
Andando a imporre che il ky nel semispazio sovrastante alla lamina sia
immaginario puro per avere un’attenuazione esponenziale del campo,
troviamo che kz/k0 ha la stessa variabilità che abbiamo visto nella lamina
simmetrica, e si ricavano le
frequenze di cut-off che si esprimono
in questo modo qui. Anche qui esiste
un modo fondamentale per m=0, ovvero il modo TM0.

Come abbiamo visto per le guide simmetriche e asimmetriche, si può ricavare


la curva dei modi, e si può andare a stabilire, per un determinato spessore
normalizzato, quali siano i modi che viaggiano all’interno della struttura.

La stessa
cosa si può
fare nel caso
delle onde
TEz, quindi
andiamo a
scrivere le tre
componenti
di campo
nella lamina dielettrica, andiamo a scrivere le tre componenti nel semispazio
superiore ed imponiamo le condizioni al contorno.
Stavolta la
componente
tangenziale
del campo
elettrico che si
deve annullare
sull’interfaccia
y=0 è Ex,
imponiamo la
condizione al contorno sulla continuità delle componenti tangenziali del campo
elettromagnetico su y=d.

Anche
qui
troviamo
che kzd e
kzp
devono
essere
uguali tra
di loro e
otteniamo un sistema 2x2 per via della prima condizione al contorno sulla
lamina metallica. Otteniamo un’equazione di dispersione leggermente
differente rispetto a quella che abbiamo visto prima

𝒋𝒌𝒚𝒅
𝐭𝐚𝐧(𝒌𝒚𝒅𝒅) =
𝒌𝒚𝒑

Anche qui imponiamo le soluzioni per cui k y è immaginario.

Anche qui kz/k0 ha la stessa variabilità che abbiamo visto prima e le frequenze
di cut-off sono un po’ diverse rispetto a quelle che abbiamo visto prima. A
denominatore, infatti, abbiamo 4d e non 2d, e n=(m+1).
Per m=0 quindi la frequenza di cut-off non è 0.

Quindi, nel caso dei modi TE, il modo con indice più basso è un modo che ha
cut-off, e quindi non può esistere in una guida infinitamente sottile.

Il modo
fondamentale di
questa guida
planare appoggiata
su un piano di
massa metallico è il
modo TM0. Il primo
modo TE, ovvero il
TE1 ha un cut-off
diverso da 0, e lo spettro modale completo è caratterizzato da un’alternanza di
modi TM e TE, partendo dal modo TM0, che è il modo che non ha cut-off.

Abbiamo descritto
lo spettro modale,
che permette di
ottenere poi i kz
delle costanti di
propagazione dei
modi che esistono
per un dato spessore normalizzato, e abbiamo che il TM 0 c’è sempre.

Una volta trovati i kz, troviamo anche le relative configurazioni di campo.

La cosa
importante
che dovremo
andare a
considerare è
che, quando
abbiamo una
lamina
dielettrica
che si
appoggia su un piano di massa metallico, quindi immaginiamo che sotto ci sia
una metallizzazione, il modo TM0 c’è sempre, quale che sia lo spessore d della
lamina dielettrica che noi andiamo a considerare.

Quindi se vogliamo utilizzare questa lamina


dielettrica per realizzare un meccanismo di
guidaggio del campo elettromagnetico tramite
piste, quindi tramite delle linee in microstriscia,
che abbiamo visto negli esempi con le linee di
trasmissione, per far propagare il campo tra la pista metallica ed il ground di
massa metallico alla base della struttura, dobbiamo tener conto che, oltre ad
avere il modo guidato che desideriamo, che è associato alla pista metallica che
deve guidare il campo elettromagnetico da un punto a un altro di questa
lamina dielettrica, il modo TM0 esisterà comunque.

Quando noi andiamo ad accoppiare energia alla struttura con il modo che
desideriamo, tramite, per esempio, un coassiale, che permette di far
viaggiare il campo lungo la linea di trasmissione, andiamo ad eccitare anche il
modo TM0, che si propagherà nella guida d’onda andando a sottrarre energia
al modo che desideriamo, che è quello che propaga energia lungo questa
pista metallica.
L’efficienza globale di questo tipo di guide d’onda è in realtà ridotta per via del
fatto che esiste questo modo TM0 che non ha cut-off, e queste si chiamano
perdite per onda superficiale nelle strutture in microstriscia.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 11

Esercitazione – Introduzione a Wolfram Mathematica

Introduciamo alcune funzionalità elementari del software Mathematica.

È un tool per la risoluzione di formule ed equazioni matematiche, che si utilizza


non solo nell’ambito elettromagnetico, ma può essere usato per qualsiasi
ambito scientifico.

Wolfram Mathematica serve a risolvere equazioni e andare a creare una


modellizzazione analitica di qualche problema.

Questo software si differenzia, ad esempio, rispetto a Matlab (altro software


per il calcolo matematico), per via del fatto che Mathematica consente di
effettuare il calcolo simbolico, mentre Matlab è specializzato in calcolo
numerico. Simbolico significa considerare equazioni e formule in cui sono
presenti delle variabili, numerico vuol dire che abbiamo numeri, e quindi dati
definiti. Quando abbiamo a che fare con una grande mole di dati usiamo
tipicamente Matlab.

Questa è la suddivisione storica. Con il passare del tempo queste differenze si


sono assottigliate in quanto anche Mathematica consente di effettuare il
calcolo numerico e anche Matlab consente di effettuare il calcolo simbolico,
comunque sia il core di entrambi i software rimangono rispettivamente
indirizzati per il calcolo simbolico ed il calcolo numerico.
Prendiamo un foglio di lavoro completamente bianco, su quest’ultimo
dobbiamo inserire delle equazioni che dobbiamo elaborare, con il linguaggio
specifico di Mathematica.

Consideriamo un esempio banale di calcolo numerico.

Se scriviamo 2 + 2 e premiamo
shift invio, otteniamo 4. Abbiamo
l’indicazione In[1] che è l’input
dell’operazione 1, e l’output che
indichiamo con Out[1].

Shift invio consente di eseguire l’operazione che abbiamo selezionato con il


cursore.

Se vogliamo eseguire tutte le operazioni presenti sul foglio di lavoro, andiamo


su Evaluation e premiamo Evaluate Notebook.

Possiamo fare semplici operazioni di calcolo numerico. Usiamo questi esempi


anche per andare ad introdurre un aspetto grafico. Noi possiamo inserire
stringhe di formule ed equazioni, e non solo, possiamo inserire anche dei
commenti al nostro codice.
Mathematica è un software
che utilizza un linguaggio di
programmazione
matematico, e se il codice è
molto complesso, o
pesante, può essere
opportuno inserire delle
linee di commento tramite
delle parentesi tonde, due
asterischi, Mathematica
riconosce che vogliamo
scrivere linee di commento
in questo modo ( * esempio
di operazione di
moltiplicazione * ) e quindi Mathematica non eseguirà quell’input, che non è
nient’altro che una linea di commento.

Possiamo inserire anche dei commenti all’operazione che troviamo anche


sull’output. Immaginiamo di avere su una linea di input del tipo 2+2, se
premiamo semplicemente invio noi andiamo a capo e possiamo inserire
un’altra operazione, per esempio 3*2, possiamo inserirne un’altra ancora.

Se premiamo shift invio il software esegue tutte le operazioni, quindi abbiamo


accorpato in un unico input più operazioni. Può essere utile commentare le
singole operazioni, ovvero inserendo tra virgolette un commento
all’operazione del tipo “esegue la somma tra due numeri”. Vediamo che la
scritta è in grigio, non è verde come nel caso precedente. Inseriamo altri due
commenti tra virgolette all’inizio delle due righe di codice, e se premiamo shift
invio il commento viene riportato all’inizio di ogni risultato.

È un’operazione utile per semplificare codici complessi con i rispettivi output.

Questi sono aspetti meramente grafici, da un punto di vista del calcolo non
abbiamo fatto nulla.

Tra questi risultati, soffermiamoci sull’operazione di divisione, la quale viene


restituita in forma frazionaria come output. Di default Mathematica lo
restituisce in questo modo, ma possiamo forzarlo a restituire un risultato
numerico nel seguente modo: 5/6 // N. L’output è 0,83 periodico, quindi
otteniamo un risultato numerico (N sta per numerico, e N per Mathematica è
un operatore che consente di avere un risultato numerico).

// è un comando che serve a cambiare alcune opzioni sul risultato, in generale,


dell’operazione in analisi.

Mathematica fa distinzione tra lettere minuscole e maiuscole, soprattutto le


maiuscole sono operatori. Se il colore delle lettere è blu allora vuol dire che
possiamo considerare quella lettera come variabile, altrimenti è un operatore.

Dal punto di vista grafico, un’altra cosa che può aiutare ad organizzare ad
organizzare il lavoro è la suddivisione del codice in sezioni. Noi possiamo
chiamare questi primi esempi “Esempi di calcolo numerico”. Questa dicitura è
in blu, e il blu
corrisponde a
variabili, a
simboli. In questo
caso, per ora,
abbiamo una
variabile che si
chiama Esempi,
perché, se non
inseriamo spazi,
questa parola è
tutta una
variabile, e lo stesso vale per le altre parole inserite. Noi vogliamo
un’intestazione a questa sezione di lavoro, quindi possiamo andare
direttamente su Format, Style e abbiamo la possibilità di dire che quel
contenuto all’interno di quella parentesi non sia un input del tipo operazione,
equazione espressione, ma bensì un titolo.

Quindi cambia il tutto dal punto di vista estetico, perciò quando eseguiamo il
codice, per questo titolo non ci sarà un output associato. Questa sezione può
essere compattata in corrispondenza di quel titolo, e questo è utile perché
consente di organizzare in maniera più pulita il
calcolo.

Altra operazione fondamentale è l’elevamento a


potenza, che è del tipo 3^4, e se premiamo shift
invio otteniamo 81.

Queste operazioni elementari possiamo scriverle in


maniera più elegante dal punto di vista estetico
usando la Palette, se andiamo su Basic Math
Assistant possiamo scrivere meglio l’elevamento a
potenza. Per ognuno degli operatori che vediamo scritto qui esiste uno short-
cut che possiamo sfruttare utilizzando la tastiera.

Abbiamo una serie infinita di operazioni, di operatori, più o meno avanzati.


Possiamo fare, ad esempio, l’operazione di integrazione sia tramite il simbolo,
sia tramite l’operatore. Possiamo fare la radice quadrata non solo tramite la
radice vera e propria, ma anche tramite l’operatore Sqrt[25].

Questi sono dei simboli che servono per implementare determinate


operazioni. Tutti gli operatori si scrivono come “operatore[contenuto]”.

Possiamo inserire tramite l’assistente anche le lettere greche. Premendo “esc”


lettera latina “esc”, Mathematica fa lo switch tra la lettera latina e la
corrispondente lettera greca.

Vediamo che, per esempio, alfa e lambda sono blu, mentre pi greco è nero
perché da Mathematica viene interpretato come 3,14. Se inseriamo la lettera
pi greco tramite l’assistente matematico, o tramite la short-cut, viene scritta in
blu, in quanto il software associa a questa lettera una variabile, a cui noi
associamo, eventualmente, un numero.

Tramite l’assistente possiamo inserire parentesi graffe,


tonde, eccetera. Abbiamo operazioni complesse, ad esempio
abbiamo la possibilità di inserire seni, logaritmi, seni
iperbolici, e così via.

L’argomento del seno è due che moltiplica pi greco, senza il simbolo *, ma


abbiamo uno spazio. Le operazioni di moltiplicazione, in Mathematica, si
effettuano banalmente mettendo uno spazio tra i due numeri. Supponiamo di
voler dare un nome all’equazione, dobbiamo scrivere Equazione1 e non
Equazione 1, quell’1 diventa nero, quindi il software interpreta questo codice
come una moltiplicazione tra la variabile equazione ed il numero 1.

Possiamo anche usare i pedici e gli apici, ma è sconsigliato quando dobbiamo


definire simboli e variabili.
Per la parte numerica abbiamo esplorato un pochino tutto, passiamo a questo
punto alla parte simbolica. Consideriamo il calcolo simbolico, quindi
inizializziamo una nuova sezione con tasto destro, style e nuovo titolo.

Il calcolo
simbolico
consiste
nell’effettuare
operazioni
matematiche
tramite
simboli e numeri, del tipo x + 2. Per chiedergli quanto vale x + 2 quando x=4,
usiamo la dicitura x + 2 //. X -> 2. La freccetta è l’operazione di assegnazione,
se premiamo shift invio l’output è 4. Assegnare ad un simbolo un valore
numerico si fa in questo modo.

Se avessimo più variabili, del tipo x + 2 * y //. {x->2, y->5}, dobbiamo


racchiudere le assegnazioni tra parentesi graffe.

Questo delle assegnazioni è uno step fondamentale, perché possiamo definire


le funzioni a priori e possiamo andare a vedere diversi risultati a seconda delle
diverse assegnazioni. Possiamo usare equazioni simboliche, effettuare
operazioni fra le stesse, inserire le eventuali assegnazioni per ottenere un
risultato numerico.

È sottinteso che alla fine dell’equazione ci sia un == 0.

Qualora scrivessimo {x + 2 = 0} //. {x->2} e premessimo shift invio, questa


viene riconosciuta dal software come un’assegnazione del tipo “0 si chiama
x+2”. L’uguale, da solo, in Mathematica, significa assegnare ala variabile un
certo valore, una certa espressione. Se scriviamo equazione = x + 2, abbiamo
che equazione è diventato nero perché il software ha associato alla variabile
equazione x + 2, perché questa variabile ha un contenuto informativo pari a
x+2.

Quindi, se scriviamo equazione //. {x->2} e premiamo shift invio, come output
otteniamo 4. Il doppio uguale indica un’identità e non un’assegnazione.
Come si definiscono le funzioni.

Queste si indicano indicando prima il simbolo, parentesi quadre, inseriamo la


variabile della funzione inserendo il simbolo della variabile con il trattino
basso.

Adesso abbiamo detto a Mathematica che la funzione che stiamo


considerando è f[x_], il cui contenuto è, per esempio, 3+2*x. Indichiamo il
tutto come f[x_] := 3+2*x, e vediamo che le x diventano verdi. Se premiamo
shift invio non ci viene restituito l’output, ma il software ha acquisito la
funzione. Infatti, se scriviamo f[3] e premiamo shift invio otteniamo il valore
della funzione quando ad x assegniamo 3.

Possiamo scrivere anche funzione = 3 + 2 * x; e se premiamo shift invio il


software non ci restituisce l’output, perché abbiamo messo il ; alla fine.

Scriviamo ora “funzione //. {x->3}, e se premiamo shift invio, otteniamo 9.


Abbiamo fatto un’assegnazione esplicita, la prima, invece, era inglobata
all’interno della funzione stessa. Sono due modalità operative di linguaggio
diverse, che possono essere più o meno comode a seconda del codice con cui
abbiamo a che fare.

Come risolviamo le equazioni? Immaginiamo di avere un’equazione del tipo x +


4 == 7;

Per risolvere equazioni di questo tipo usiamo l’operatore Solve[x+4==7, x],


quindi andiamo ad indicare l’equazione e la variabile rispetto alla quale
vogliamo risolvere l’equazione. Se premiamo shift invio otteniamo x->3, quindi
l’operatore Solve[] è l’operatore principale di Mathematica, perché consente di
risolvere operazioni matematiche.

In questo caso abbiamo un


doppio risultato
immaginario. La
convenzione che usa
Mathematica per l’unità immaginaria i è quella immaginaria. Sappiamo che c’è
una differenza con la j che viene usata a livello ingegneristico, che è relativa al
segno. Il termine di fase può essere scritto come e^jkz o e^-jkz facendo
riferimento ad un’onda che si propaga lungo il verso delle z positive, la
differenza dipende dalle convenzioni sull’unità immaginaria.

Questo può creare delle problematiche quando esportiamo i risultati da un


linguaggio ad un altro, perché se la convenzione fosse diversa, i risultati
potrebbero essere sballati.

Il numero complesso può essere definito nel modo che segue. Immaginiamo di
definire una variabile complessa del tipo Complexnumer = 4 + I 7. Se
premiamo shift invio otteniamo 4 + 7 i. La i è rappresentata in maniera diversa,
la I grande maiuscola + l’unità immaginaria, la i piccola è una variabile.

La parte reale di un numero complesso si estrae nel modo che segue:


Re[Complexnumber].

La parte immaginaria si estrae con Im[Complexnumber].

Altro operatore che possiamo usare per i numeri immaginari è


Abs[Complexnumber] // N se vogliamo il valore esatto del modulo, che in
questo caso viene 8,06. A conferma che si tratta del modulo, possiamo scrivere
Sqrt[Re[Complexnumber]^2+Im[Complexnumber]^2]//N, e se premiamo shift
invio otteniamo 8,06, che è il modulo.

Possiamo scrivere il tutto in maniera più elegante utilizzando le espressioni


matematiche di base tramite l’aiuto dell’assistente matematico.

Immaginiamo di avere l’espressione di un’onda piana, che indichiamo con

. Vogliamo valutare il valore, in ampiezza ed in


fase, ad una certa distanza z. Possiamo fare una sostituzione che ci richiederà
di scrivere Planewave //. {A->10, k->(2π)/lamb,z->2lamb}. Se premiamo shift
invio otteniamo 10 perché lamb si semplifica sul termine di fase.

Abbiamo una sostituzione di tre elementi. Per poterci semplificare la vita,


soprattutto nel caso in cui volessimo valutare un set di onde piane che
vogliamo valutare a distanze differenti, queste tre sostituzioni che abbiamo
visto dovremmo farle su tutto il set di onde piane. Possiamo definire
un’operazione di sostituzione Sost = {A->10, k->(2π)/lamb,z->2lamb}. Se
premiamo shift invio il software ha associato alla variabile Sost l’operazione di
sostituzione.

Se scriviamo, quindi, Planewave //. Sost // {z->lamb/3}//N il risultato è lo


stesso. Quindi possiamo definire delle variabili, delle espressioni, non come
delle equazioni, ma come delle operazioni di sostituzione, e questo è comodo
quando, su diversi set di equazioni e di funzioni, dobbiamo fare le stesse
sostituzioni.

È comodo, ad esempio, quando abbiamo a che fare con le equazioni dei


telegrafisti, in cui compaiono termini che sono funzioni di altre variabili.

Invece di fare sostituzioni ripetute ed appesantire il codice, inserendo


all’interno di un’unica operazione, ovvero la sostituzione, più assegnazioni.

Passiamo alla sezione sui grafici.

Scriviamo un nuovo titolo e chiudiamo le altre due sezioni.

Mathematica
consente di andare
a rappresentare
delle funzioni
tramite grafici o
plot.

L’operazione di
rappresentazione di
una funzione
tramite un grafico è
l’operazione Plot[].
All’interno
dobbiamo inserire l’espressione, come 3x+5, poi dobbiamo dare degli estremi
di rappresentazione per x, infatti dopo la virgola dobbiamo mettere tra
parentesi graffe la variabile di rappresentazione e gli estremi entro i quali
vogliamo graficare la funzione. Cambiando gli estremi possiamo analizzare la
funzione in un range più o meno ampio. Possiamo inserire nello stesso grafico
più funzioni valutate con la
stessa variabile e valutate
nello stesso range di
variabilità della x. Se
premiamo shift invio
otteniamo le varie curve con
colori diversi.

Con questa stringa di codice


possiamo ottenere
l’espressione associata ad
ogni curva rappresentata.

Abbiamo la funzione Table,


che consente di tabulare
un’espressione. La sintassi è
del tipo Table[x, {x, 10}] e
come output otteniamo
l’elenco di tutti i numeri da
1 a 10. Abbiamo quindi un
array di numeri.

Immaginiamo di avere a che fare con le funzioni di Bessel, che sono delle
funzioni che hanno una variabile, ma hanno anche un grado. Per rappresentare
una funzione che ha un grado nel plot, possiamo fare la seguente operazione.
Innanzitutto grafichiamo una funzione di Bessel di prima specie, quindi
scriviamo Plot[BesselJ[n, x], {x, 0, 10}], per dire che parliamo di funzioni con
grado n e variabile x che varia da 0 a 10. La x è l’argomento della funzione di
Bessel, n rimane blu. Se al posto di n=0, e premiamo shift invio, otteniamo il
grafico della funzione BesselJ di ordine 0.

Se volessi rappresentare più funzioni di Bessel nello stesso grafico, dovremmo


lasciare n lì e inserire il Table.
Il Table diventa
l’argomento del
Plot. Noi
sappiamo che il
Plot deve
andare per x che
va da 0 a 10,
quindi scriviamo
il tutto in questo
modo. Scriviamo
l’espressione
Evaluate,
altrimenti il software non assegnerebbe una funzione ben precisa al Table.
Abbiamo quindi la tabulazione delle funzioni di Bessel dal grado uno al quarto,
abbiamo la scrittura, sottoforma di array, di un set di quattro funzioni di
Bessel, e le rappresentiamo per l’argomento delle funzioni di Bessel che va da
0 a 10.

Esiste anche la
funzione Plot3D.
Possiamo far variare
sia la x che la y, quindi
possiamo scrivere una
funzione in due
variabili, e dobbiamo
inserire il range di
variabilità della x e
della y.

Se esprimiamo
l’argomento del seno
in radianti, noi
possiamo fare in modo di esprimerlo in gradi, scrivendo, ad esempio Cos[45
Degree].
Consideriamo il calcolo dell’impedenza di ingresso di un tratto di linea di
trasmissione chiusa su un certo carico.

Noi conosciamo la formula dell’impedenza di ingresso. L è la distanza tra il


carico ed il punto in cui vogliamo osservare
l’impedenza lungo la linea. Andiamo a graficare
l’andamento della Zin, normalizzata
all’impedenza caratteristica lungo la linea, quando, ad esempio, Z L è chiusa su
un cortocircuito, facendo variare l da 0 a λ.

Definiamo la variabile ZinNorm = Zin/Z0; e andiamo a definire una


Sostituzione in cui normalizziamo tutto rispetto alla lunghezza d’onda, ed

eseguiamola. Avremo quindi che .

Facciamo valutare al software la


ZinNorm con quella Sostituzione,
e facciamogli riscrivere
l’espressione in maniera più
compatta, questo tramite l’operazione di FullSimplify. Facciamogli graficare
l’espressione In[107] per l che va da 0 a λ0. Abbiamo un numero complesso la
cui parte reale è nulla, noi non possiamo rappresentare tramite un grafico 2D
un numero
complesso,
possiamo
rappresentarne,
però, la sua
parte
immaginaria.

In l=0
l’impedenza Zin
è 0, perché siamo attaccati al cortocircuito, dopo una lambda torna ad essere
0, ma anche dopo lambda mezzi. In lambda quarti abbiamo il valore opposto,
ovvero infinito.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 12

Plasmoni di superficie

Per quanto riguarda i plasmoni di


superficie, che sono dei modi che
viaggiano confinati all’interfaccia tra
due materiali diversi, vediamo come
possono essere analizzati e come
possono essere generati. Lo schema
che consideriamo è quello che
vediamo in figura, dove abbiamo due materiali, uno con costante dielettrica
𝜀𝑟𝑚 e l’altro con permittività 𝜀𝑟𝑑 . Assumiamo che questi siano due semispazi
infinitamente estesi lungo le z positive e negative rispettivamente, assumiamo
che l’intera struttura sia infinitamente estesa secondo y, quindi le derivate
rispetto a y sono nulle, e consideriamo la propagazione del campo
elettromagnetico secondo la direzione dell’asse x.

L’obiettivo è vedere se esiste, e sotto quali condizioni, un’onda che si


propaga confinata all’interfaccia.

Abbiamo studiato fino ad ora un campo elettromagnetico che si propaga


all’interno di una lamina dielettrica, ora vogliamo studiare una particolare
configurazione di campo elettromagnetico che si può propagare all’interfaccia
tra due materiali diversi. Una tale configurazione del campo elettromagnetico
si propaga secondo x e si attenua esponenzialmente nel semispazio delle z
positive e nel semispazio delle z negative.

Possiamo assumere che siano presenti soltanto due lamine piuttosto che due
semispazi, con permittività 𝜀𝑟𝑚 e 𝜀𝑟𝑑 , dal momento che immaginiamo lungo z
un’attenuazione di tipo esponenziale. Dopo poche lunghezze d’onda il campo
è sufficientemente attenuato nelle z positive e nelle z negative in maniera tale
che possiamo considerarlo, in buona approssimazione, nullo. Se invece di avere
un semispazio abbiamo una lamina dielettrica con uno spessore finito, purchè
lo spessore sia tale per avere una buona approssimazione dell’azzeramento
della coda evanescente nelle z positive e negative, possiamo considerare una
struttura realistica e non una struttura ideale data da due semispazi.

Dobbiamo studiare il campo elettromagnetico in questa struttura.

Se assumiamo propagazione secondo un’asse, la variabilità secondo quell’asse


sarà del tipo esponenziale. Assumiamo soltanto l’onda diretta e immaginiamo
che l’andamento del campo elettrico e del campo magnetico nel mezzo m sia
del tipo

⃗⃗⃗⃗⃗
𝐸𝑚 (𝑥, 𝑧) = ⃗⃗⃗⃗
𝐸0 𝑚 (𝑧)ⅇ −𝑗𝑘𝑥𝑚 𝑥

⃗⃗⃗⃗⃗⃗ ⃗⃗⃗⃗0 (𝑧)ⅇ −𝑗𝑘𝑥𝑚 𝑥


𝐻𝑚 (𝑥, 𝑧) = 𝐻 𝑚

Non abbiamo una variabilità secondo y perché la struttura è infinitamente


estesa secondo y. Se assumiamo un asse lungo cui la struttura è infinitamente
estesa non abbiamo variazioni del campo lungo tali direzioni, quindi
assumiamo che il campo elettromagnetico sia funzione delle altre due
coordinate.

L’ampiezza complessa del campo elettrico e del campo magnetico all’interno


del mezzo m dipende solo da z, visto che secondo x abbiamo una variabilità di
tipo esponenziale.

In maniera analoga possiamo scrivere il campo elettromagnetico all’interno del


mezzo d, e le considerazioni precedentemente fatte si estendono anche a

⃗⃗⃗⃗
𝐸𝑑 (𝑥, 𝑧) = ⃗⃗⃗⃗
𝐸0 𝑑 (𝑧)ⅇ −𝑗𝑘𝑥𝑑𝑥
⃗⃗⃗⃗⃗ ⃗⃗⃗⃗0 (𝑧)ⅇ −𝑗𝑘𝑥𝑑𝑥
𝐻𝑑 (𝑥, 𝑧) = 𝐻 𝑑

Su z=0 definiamo l’interfaccia lungo cui


vogliamo che si propaghi il campo
elettromagnetico. Avendo immaginato come
deve essere la soluzione del campo
elettromagnetico in questa struttura dobbiamo scrivere le equazioni di
Maxwell e specializzarle al caso in questione. Sviluppiamo rotore di E e rotore
di H, la derivata secondo y è posta uguale a 0, la derivata secondo x è una
semplice moltiplicazione per −𝑗𝑘𝑥 , dal momento che abbiamo assunto che
l’unica variabilità secondo x è quella data dalla propagazione. La derivata
secondo z diventa di tipo totale. Facendo i calcoli, otteniamo sei equazioni
scalari. Le
raccogliamo a
tre a tre, così
come abbiamo
fatto per il
caso delle
guide planari.

Assumiamo propagazione lungo un asse, assumiamo che la struttura sia


infinitamente estesa lungo l’altro asse, e in queste condizioni generali le
equazioni di Maxwell, quando vengono scalarizzate, danno vita a due set
indipendenti di equazioni differenziali scalari al primo ordine. Abbiamo un set
che chiameremo TEx, che contiene Ey, Hx e Hz, e non esiste quindi la
componente di campo elettrico nella direzione di propagazione. Le altre tre
equazioni
contengono le
altre tre
componenti Ex,
Ez e Hy, e non
contengono la
componente H
nella direzione x di propagazione, quindi queste altre componenti possiamo
chiamarle TMx.

A sinistra abbiamo le
TEx, a destra le TMx.
Andiamo a cercare la
soluzione prima nel
caso TE e poi nel caso
TM.

Nel caso delle onde


TEx, vediamo che l’equazione al secondo ordine
che permette di ottenere Ey è un’equazione di
Helmholtz (cosa che ci aspettiamo), risolvendo
la quale ci permette di ottenere il campo 𝐻𝑥 =
1 𝑑𝐸𝑦 𝑘𝑥
e il campo 𝐻𝑧 = 𝐸𝑦 .
𝑗𝜔𝜇 𝑑𝑧 𝜔𝜇

Nel caso delle onde TMx, per dualità,


consideriamo la Helmholtz nell’incognita Hy, e
una volta trovata Hy otteniamo il campo 𝐸𝑥 =
1 𝑑𝐻𝑦 𝑘𝑥
− e 𝐸𝑧 = − 𝐻𝑦 .
𝑗𝜔𝜀 𝑑𝑧 𝜔𝜀

Iniziamo dal caso delle onde TMx, e andiamo a ricavare l’equazione di


dispersione per valutare, se esistono, quali tipi di modi possono viaggiare
all’interfaccia tra due materiali di diversa natura. Il campo elettromagnetico
viene scritto come soluzione di Hy, che scriviamo in termini esponenziali dalla
soluzione dell’equazione al secondo ordine che abbiamo visto prima. La
soluzione sarà data dalla somma di due termini esponenziali, consideriamo
solo il termine per l’onda diretta, come abbiamo fatto per le guide planari
quando andavamo a considerare i due semispazi, cioè le strutture
infinitamente estese.

Infatti noi abbiamo un’interfaccia sistemata in z=0, un mezzo m e un mezzo d.


Potremmo anche considerare un esponenziale con argomento positivo e uno
con argomento negativo in ciascuno dei due semispazi, però già sappiamo che,
essendo semispazi, non c’è un’onda riflessa rispetto a z perché la struttura è
infinitamente estesa sia per le z positive che per le z negative, il risultato è
che andiamo a considerare soltanto un’onda diretta nei due semispazi, e
quindi nel mezzo m avremo ⅇ −𝑗(𝑘𝑥𝑚𝑥+𝑘𝑧𝑚𝑧) e nel semispazio d avremo invece
ⅇ −𝑗(𝑘𝑥𝑑𝑥−𝑘𝑧𝑑𝑧) . Il campo poi si propaga nella direzione dell’asse x come
ⅇ −𝑗𝑘𝑥𝑚𝑥 nel mezzo m e come ⅇ −𝑗𝑘𝑥𝑑𝑥 .

Dopo aver
trovato la
soluzione
per Hy
otteniamo Ez
e Ex, quindi
possiamo
scrivere tutto
il campo
elettromagnetico nel mezzo m (z positive) e nel mezzo d (z negative).

Dobbiamo imporre le condizioni al contorno, che sono quelle all’unica


interfaccia che è presente qui, ovvero quella tra i due semispazi. Dobbiamo
imporre che le componenti tangenziali del campo elettrico e del campo
magnetico siano continue, così come la componente normale del vettore D
(seconda equazione) sia continua nell’attraversare l’interfaccia.

Quando andiamo a scrivere queste relazioni, vediamo dall’ultima una


condizione importante che deve verificarsi, che abbiamo visto già nel caso
delle guide planari, ovvero il numero d’onda nella direzione di propagazione
deve essere lo stesso nei due mezzi che compongono la struttura, quindi
kxm=kxd. Possiamo semplificare gli
esponenziali, ottenendo delle
relazioni opportune dalle prime
due equazioni.

Il risultato è che la condizione al


contorno scritta per la
componente normale del vettore D (seconda relazione) è dipendente dalle
altre che abbiamo scritto. Dall’ultima relazione otteniamo che kxm=kxd, che
impone che cm=cd, e la prima equazione (o la seconda perché sono dipendenti),
danno vita all’ultima condizione che rimane.

Dal momento
che i ky sono
nulli perché la
struttura è
infinitamente
estesa secondo
y, otteniamo
queste ultime
due relazioni. A
questo punto dobbiamo scrivere l’equazione di dispersione che, stavolta, non
si ottiene attraverso alcun determinante della matrice dei coefficienti, perché
il problema è un problema con un’interfaccia sola, le condizioni al contorno
vengono imposte su questa singola interfaccia. Stavolta la relazione di
dispersione si materializza in una delle condizioni al contorno direttamente (la
prima).

Dobbiamo imporre che la configurazione di campo cercata sia un modo


guidato, in particolare sia un modo guidato all’interfaccia tra i due diversi
materiali. Si impone dunque che k zm e kzd diano luogo a delle code evanescenti
per le z positive e per le z negative. Dobbiamo imporre che kzm e kzd siano delle
quantità immaginarie pure. Da questa relazione e dalle ultime due, che legano
kzm al k quadro e kzd al k quadro nei due m e d, otteniamo tre equazioni nelle
tre incognite kzm kzd e kx, che è la costante di propagazione del modo confinato
all’interfaccia.

Queste sono le
espressioni che si
ottengono, che sono
delle funzioni della
costante dielettrica
del mezzo d e del
mezzo m. L’obiettivo
è quello di avere
un’onda confinata all’interfaccia, quindi kzd e kzm devono essere delle quantità
immaginarie pure. Per imporre questa condizione dobbiamo considerare la
radice che è presente nelle espressioni di k zd e kzm. In questa radice abbiamo
√𝜀𝑟𝑑 + 𝜀𝑟𝑚 , se questa quantità 𝜀𝑟𝑑 + 𝜀𝑟𝑚 risultasse negativa la radice darebbe
vita ad un valore immaginario. Quindi k zd e kzm risulterebbero immaginari.
Affinché 𝜺𝒓𝒅 + 𝜺𝒓𝒎 < 𝟎, le due costanti dielettriche dei due diversi materiali
non possono essere entrambe positive, ovvero, ad esempio, 𝜀𝑟𝑚 dovrebbe
essere minore di 0. Dire che 𝜀𝑟𝑚 < 0 non basta, infatti deve valere che, in
modulo, 𝜀𝑟𝑚 deve essere maggiore di 𝜀𝑟𝑑 . Se questo è vero, avremo che la
quantità negativa data da 𝜀𝑟𝑚 sarà maggiore, in modulo, rispetto ad 𝜀𝑟𝑑 e
quindi avremmo che 𝜺𝒓𝒅 + 𝜺𝒓𝒎 < 𝟎, quindi la radice darà vita ad un numero
immaginario. Quindi avremmo che kzd e kzm sono delle quantità immaginarie, e
quindi abbiamo ottenuto la condizione perché ci siano dei modi evanescenti
nelle z positive e negative, e quindi il campo possa essere confinato
all’interfaccia. Allo stesso tempo, mentre valgono queste condizioni, il kx, cioè
la costante di propagazione nella direzione in cui si vuole la propagazione del
campo elettromagnetico, deve essere una quantità reale, perché vogliamo
un’attenuazione esponenziale per le z positive e negative, ma vogliamo che il
campo si propaghi nella direzione dell’asse x.

Avendo posto 𝜀𝑟𝑚 < 0, ma in modulo maggiore di


𝜀𝑟𝑑 , fa sì che questo denominatore sia negativo,
però è negativo anche il numeratore. L’argomento
della radice è un argomento positivo, quindi kx è
reale. Abbiamo ottenuto una condizione necessaria e sufficiente perché si
possa propagare un modo confinato all’interfaccia tra due mezzi distinti.
𝜺𝒎 < 𝟎
Quindi se { 𝜺𝒅 > 𝟎 , abbiamo ottenuto che kzd e kzm sono delle quantità
|𝜺𝒎 | > 𝜺𝒅
immaginarie, quindi abbiamo dei modi evanescenti nei due semispazi, e kx è
una quantità reale, e quindi il modo si può propagare nella direzione dell’asse x
rimanendo confinato, schiacciato, sull’interfaccia tra questi due materiali
diversi. Quindi quello che si verifica è
questo, abbiamo delle code evanescenti
lungo z e il campo elettromagnetico che si
propaga nella direzione delle x
all’interfaccia tra i due materiali diversi.

Questo modo guidato è un modo guidato che assume il termine di plasmone di


superficie, è comune definirlo come “surface plasmon polariton”.

I metalli nobili (oro, argento, eccetera) alle frequenze ottiche presentano una
permittività negativa, che può essere anche di valori significativi (del tipo -10, -
12), quindi abbastanza grandi da poter verificare la condizione di surface
plasmon polariton con qualsiasi dielettrico che poniamo come altro materiale.

La costante dielettrica di un metallo nobile, vedremo, che si esprime attraverso


il modello di Drude, cioè andando a vedere cosa succede a livello microscopico,
quando noi abbiamo un metallo nobile ed incide un campo elettromagnetico,
andando a studiare la risposta microscopica e poi andando a mettere insieme
tutte le varie risposte microscopiche, per ottenere quella macroscopica del
materiale, vedremo che la epsilon di un metallo nobile ha un andamento che
dipende dalla frequenza (materiale dispersivo) con una parte reale e una sua
parte immaginaria, che sono descritte da una funzione matematica chiamata
Modello di Drude. I plasmi, che sono materiali che presentano degli elettroni
liberi esattamente tanto quanto i metalli nobili, che sono delle strutture
cristalline dove gli elettroni liberi sono in compartecipazione con tutti gli atomi,
sono allo stato gassoso, quindi materiali allo stato gassoso dove le molecole
del gas vengono ionizzate (come nella ionisfera) e vengono sottratti gli
elettroni, che diventano liberi e in compartecipazione con tutti gli atomi. Al di
là del reticolo cristallino, il comportamento dal punto di vista degli elettroni
liberi è lo stesso tra un plasma (gas ionizzato) e un metallo nobile.

I metalli nobili si definiscono anche materiali plasmonici, perché si comportano


come un plasma, perché presentano elettroni liberi. Di qui anche il nome di
plasmone di superficie, è un particolare modo guidato che può esistere, può
propagarsi, all’interfaccia tra un materiale plasmonico (con epsilon minore di
zero, come un metallo o un plasma) ed un materiale dielettrico tradizionale
(come l’aria).

Dobbiamo dire che, di solito, questi modi confinati all’interfaccia tra metallo e
dielettrico vengono descritti con il termine “polaritone”, perché il “polaritone”
si riferisce allo stato di accoppiamento che scaturisce dall’interazione tra uno
stato di eccitazione della materia ed il campo elettromagnetico, ad esempio
alle frequenze della luce, un fotone. Noi abbiamo un’eccitazione della materia
che è dovuta all’interazione con il campo elettromagnetico, e questo dà vita ad
un’onda che si propaga alla superficie di interfaccia tra due materiali diversi.
Quello che succede è che, quando
abbiamo un campo
elettromagnetico in configurazione
TMx, quindi abbiamo che Hx=0, e
abbiamo le componenti Ez ed Ex
per il campo elettrico, ebbene,
questa configurazione di campo qui
è in grado di sostenere un’eccitazione collettiva degli elettroni. Immaginiamo
che questo in celeste sia il metallo, costituito al suo interno da elettroni liberi,
nel momento in cui abbiamo un campo elettrico verticale, in un semiperiodo
gli elettroni vengono richiamati in superficie, perché vengono attratti dal
campo elettrico nella direzione dell’asse z, nel semiperiodo successivo cambia
la polarità, e quindi vengono allontanati dalla superficie stessa. Nei due
semiperiodi, nel tempo, sulla superficie, solo per effetto del campo E verticale,
ci aspetteremmo un’eccitazione degli elettroni, per cui abbiamo ora una
concentrazione degli elettroni e ora una concentrazione delle lacune sulla
superficie del metallo. Ma, oltre alla componente secondo z, abbiamo anche
una componente secondo x del campo elettrico, quindi, mentre abbiamo
un’eccitazione degli elettroni lungo l’asse z che dà vita al moto descritto prima,
abbiamo una componente del campo E secondo x che descrive un fenomeno
analogo anche nella direzione dell’asse x. Quando andiamo a combinare
l’effetto del campo elettrico secondo z e secondo x è che gli elettroni, che sono
liberi e presenti all’interno del metallo, spazialmente, in ogni istante di tempo,
descrivono questa configurazione che vediamo qui, cioè un’alternanza di
concentrazione di elettroni, una concentrazione di lacune, elettroni, lacune, e
questo si ripete su tutta la
superficie del metallo. Il concetto di
polaritone fa intendere il fatto che
abbiamo un’interazione tra campo
elettromagnetico e materia, cioè tra
fotoni ed elettroni, e questa
interazione è tale da generare un
modo di campo elettromagnetico che si può propagare confinato
all’interfaccia tra il metallo e il dielettrico sovrastante che può essere anche
l’aria.

Quindi abbiamo un surface plasmon polariton proprio per questo,


un’interazione tra materia e campo elettromagnetico, tra fotoni ed elettroni
presenti nel metallo, e questa interazione dà vita ad una propagazione del
campo confinato lungo l’asse x all’interfaccia tra il metallo e il dielettrico
sovrastante. Questo ce lo aspettiamo già dal punto di vista fisico da questa
lettura semplice, ma quando andremo a studiare i modi TE secondo x, questi
non hanno la componente secondo x del campo E, e quindi questi modi TEx
non potranno sostenere un surface plasmon polariton, perché manca la
componente del campo elettrico orizzontale che, insieme a quella verticale, è
necessaria per determinare questa distribuzione spaziale degli elettroni che
sostiene la propagazione di questo campo elettromagnetico, del surface
plasmon polariton. Dal punto di vista matematico non troveremo una
soluzione dell’equazione di dispersione per le onde TEx quando andiamo a
considerare un campo elettromagnetico evanescente secondo z e che si
propaga nella direzione dell’asse x all’interfaccia tra i due mezzi.

Torniamo alla soluzione che abbiamo trovato.


Immaginiamo di avere uno spazio infinitamente esteso
occupato da un metallo nobile, che presenta una
permittività, secondo il modello di Drude, che segue questo
andamento. C’è un intervallo di frequenze in cui il metallo nobile si comporta
con una epsilon minore di 0, e quindi può sostenere un surface plasmon
polariton. Se immaginiamo uno spazio infinitamente esteso occupato da un
metallo nobile, ci chiediamo, è possibile avere una propagazione di onde piane
in un tale mezzo infinitamente esteso, supponiamo, isotropo, omogeneo e
stazionario? La possibilità di avere un’onda piana che si propaga in un metallo
nobile infinitamente esteso è legata al valore di epsilon, perché, laddove
epsilon è positiva, noi abbiamo una costante di propagazione 𝑘 = 𝜔 √𝜇0 𝜀 reale
(la permeabilità magnetica è positiva), quindi le onde piane si possono
propagare se stiamo sopra 𝜔𝑃 . Se stiamo sotto 𝜔𝑃 otteniamo una costante di
propagazione immaginaria e quindi non abbiamo onde piane che si possono
propagare in un mezzo infinitamente esteso occupato da un metallo nobile.

Questo si riflette
quando andiamo a
studiare le onde
piane in un mezzo
volumetrico
infinitamente esteso
fatto da un metallo
nobile. La soluzione
che si ottiene è quella di una superficie sferica. Questa avrà soluzione quando
𝜀𝑟𝑚 > 0.

Questa è la funzione che


abbiamo graficato prima,
e che definisce
esattamente l’andamento
del modello di Drude. Per
ora è importante
comprendere che un’onda
piana in un mezzo che è un metallo nobile può esistere solo per frequenze
maggiori della frequenza di plasma, cioè quando la epsilon è positiva, questa
particolare onda piana si chiama PLASMONE DI VOLUME, perché occupa tutto
il volume del metallo, ed è diversa rispetto al plasmone di superficie. Quando
andiamo a prendere il kx che abbiamo trovato in precedenza, e andiamo a
mettere al posto di 𝜀𝑟𝑚 il modello di Drude, andiamo a dettagliare
l’espressione del kx, cioè della costante di propagazione di un surface plasmon
polariton in ragione della frequenza.

Otteniamo l’equazione di dispersione, che ci dice, frequenza per frequenza,


quanto vale la costante di propagazione del surface plasmon polariton che può
esistere all’interfaccia tra questi due materiali.

Se consideriamo il
risultato dal punto di
vista grafico, andiamo a
vedere come si leggono
il grafico rosso e blu.
Abbiamo inoltre che 𝜀𝑚
presenta questo andamento.

Se noi abbiamo il metallo, e andiamo ad aumentare mano a mano la


frequenza, arriviamo a questo grafico del modello di Drude, che ci da la 𝜀𝑚 ,
funzione di ω. Abbiamo una frequenza ω𝑝 rispetto alla quale abbiamo che la
𝜀𝑚 risulta positiva. Abbiamo anche un altro valore, che indichiamo con ω𝑠𝑝 (sp
sta per surface plasmon) per cui, tra 0 e questo valore ω𝑠𝑝 , noi abbiamo non
solo una 𝜀𝑚 negativa, ma è anche, in modulo, maggiore di 𝜀𝑑 .

Per tutto questo


intervallo di
frequenze,
quindi, può
esistere un
surface plasmon
polariton
all’interfaccia
tra il metallo e il
dielettrico. La curva rossa mostra un asintoto orizzontale in corrispondenza di
ω𝑠𝑝 , che è il valore per il quale noi abbiamo che il modulo di 𝜺𝒎 risulta essere
uguale al modulo di 𝜺𝒅 . Da quel valore di omega in poi non esiste più un
surface plasmon polariton.

Tra ω𝑠𝑝 e ω𝑝 non ci può essere nessun fenomeno di propagazione associato


ad un metallo nobile, perché in questo intervallo di frequenze qui abbiamo
che il plasmone di superficie non può esistere, perché abbiamo che 𝜀𝑚 è
negativa, ma non è così negativa da superare in modulo 𝜀𝑑 . D’altra parte, non
può esistere neanche un plasmone di volume, quindi un’onda piana che
viaggia all’interno del metallo nobile, perché la 𝜀𝑚 è comunque negativa. In
questo intervallo di frequenze quindi non si ha propagazione, cioè non si ha
nessuna soluzione dell’equazione di dispersione che interessa un metallo
nobile.

Ritorniamo ad avere soluzioni, quindi valori di kx che definiscono una


propagazione, solo quando 𝜔 > 𝜔𝑝 , in quel caso non esisterà un surface
plasmon polariton, perché 𝜀𝑚 deve essere negativa. Abbiamo una 𝜺𝒎 positiva
e potrà esistere soltanto un’onda piana che si propaga in tutto il metallo
nobile, quindi parliamo di un plasmone di volume (curva blu).

Questo grafico mette insieme i due aspetti che abbiamo visto fin’ora, quello
del surface plasmon polariton, che può esistere fino a 𝜔𝑠𝑝 , perché la
permittività del metallo è negativa, a tal punto da superare in modulo il valore
della costante dielettrica del mezzo sovrastante. Tra 𝜔𝑠𝑝 e 𝜔𝑝 non c’è nessun
fenomeno di propagazione, perché non esiste più un surface plasmon, e
perché non esistono neanche onde piane che si possono propagare nel
metallo, perché la epsilon è negativa, ma DEBOLMENTE NEGATIVA. Comunque
sia, essendo negativa, non permette la propagazione di onde piane. Questo
intervallo tra 𝜔𝑠𝑝 e 𝜔𝑝 è prende il nome di band-gap, ovvero una regione di
frequenza proibita alla propagazione. Abbiamo che per 𝜔 > 𝜔𝑝 non esistono
surface plasmon polariton, ma possono esistere onde piane che si propagano
nel volume nel metallo.
La retta che vediamo è del
tipo 𝝎 = 𝒄𝒌𝒙 , dove 𝑐 =
1
. Questa retta definisce
√𝜇𝜀
la propagazione dell’onda
piana nel mezzo dielettrico
sovrastante al metallo.

Abbiamo quindi tre curve,


quella nera, che definisce la
propagazione delle onde
piane nel dielettrico
sovrastante al metallo, quella blu che descrive la propagazione delle onde
piane nel metallo, e la curva rossa che definisce i plasmoni di superficie che si
possono propagare all’interfaccia tra metallo e dielettrico sovrastante.

Per una fissata frequenza,


quindi per un fissato omega, il
kx dell’onda piana che si può
propagare nel mezzo
dielettrico è sempre minore del
kx del surface plasmon
polariton. Quest’ultimo quindi
ha una costante di
propagazione che è sempre
maggiore rispetto a quella
dell’onda piana nel vuoto.
Questo significa che la velocità di fase del surface plasmon polariton sarà
sempre minore della velocità di fase dell’onda piana nel vuoto. Siccome dal
kx noi definiamo anche la lunghezza d’onda di propagazione, avremo anche
che la lunghezza d’onda associata al surface plasmon polariton nella direzione
di propagazione sarà sempre più piccola rispetto alla lunghezza d’onda nel
vuoto (o nel dielettrico). Immaginiamo, ad esempio, che la lamina metallica sia
messa in presenza di sola aria (quindi il dielettrico è il vuoto). In questo caso la
retta nera descrive la propagazione dell’onda piana nel vuoto. Allora quando
noi andiamo a valutare la lunghezza d’onda, questa è quella del vuoto. La
lunghezza d’onda con la quale viaggia un surface plasmon polariton, quindi la
periodicità spaziale con cui viaggia un surface plasmon polariton all’interfaccia
tra il metallo e il vuoto è sempre inferiore rispetto alla lunghezza d’onda nel
vuoto. La velocità di fase è minore, quindi la lunghezza d’onda nella direzione
di propagazione che è minore rispetto a quella del vuoto. Supponiamo di
operare ad una frequenza, quindi ad una omega, che sia molto vicina a 𝜔𝑠𝑝 ,
vediamo che la soluzione per kx, quindi il kx del plasmone, è molto più grande
se confrontato con il kx dell’onda piana nel vuoto. Questo vuol dire che la
lunghezza d’onda sarà molto più piccola rispetto a quella del vuoto, ma quella
del vuoto è la lunghezza d’onda che è legata alla frequenza della sorgente. Se
noi abbiamo una sorgente lumonosa, sappiamo che le sorgenti luminose
hanno delle frequenze attorno alle centinaia di THz. Quindi, questo
corrisponde ad una lunghezza d’onda dell’ordine delle centinaia di
nanometri. Le lunghezze d’onda nel visibile hanno un’ordine di grandezza
nell’ordine delle centinaia di nanometri. Poiché l’interazione con la materia
avviene quando le dimensioni dell’oggetto, del corpuscolo che stiamo
studiando, sono comparabili con la lunghezza d’onda, perché, già lo abbiamo
detto, se noi abbiamo oggetti che sono molto più grandi della lunghezza
d’onda, il campo elettromagnetico interagisce con una riflessione rispetto a
questo oggetto. Se noi abbiamo un oggetto molto piccolo rispetto alla
lunghezza d’onda, il campo elettromagnetico non vede questo oggetto. Se noi
usiamo la lunghezza d’onda della radiazione visibile (centinaia di nanometri) e
l’oggetto è delle dimensioni di 5, 10 nm, abbiamo che questo oggetto sarà
molto piccolo rispetto alla radiazione luminosa, quindi un fascio laser non
potrà interagire con questo oggetto. Non lo vediamo, non si può fare l’imaging
di questo oggetto perché non c’è un’interazione importante con il campo
elettromagnetico. Supponiamo invece di usare comunque una sorgente laser,
visibile, quindi utilizzassimo una lunghezza d’onda nel vuoto di centinaia di
nanometri, questa può essere in grado di generare all’interfaccia tra un
metallo e il vuoto, un surface plasmon polariton che, a parità di frequenza, può
avere una lunghezza d’onda che è di dimensioni comparabili con quelle
dell’oggetto. Quindi parliamo di dimensioni di decine di nanometri, in maniera
tale che il campo elettromagnetico possa interagire con questo oggetto e
vederlo.

La possibilità di generare plasmoni di superficie consente di osservare ciò che è


molto più piccolo della lunghezza d’onda della luce visibile, pur utilizzando
delle frequenze, delle sorgenti, che sono sempre della luce visibile.

Alla stessa frequenza, quindi per lo


stesso omega (vedi il grafico di
dispersione), abbiamo due lunghezze
d’onda differenti, una è quella dell’onda
piana nello spazio libero (lunghezza
d’onda assoluta del campo
elettromagnetico), l’altra è la lunghezza
d’onda in propagazione del surface
plasmon polariton, che è molto più
piccola, quindi il k è molto più grande, alla stessa frequenza, rispetto a quella
che abbiamo nello spazio libero.

Possiamo usare le sorgenti che usiamo tipicamente nel visibile, quali le


sorgenti laser, per poter andare a interagire con oggetti di dimensioni
nanometriche, e l’interazione consente di realizzare un sistema di imaging
che permette di catturare l’immagine di quell’oggetto ad elevatissima
risoluzione. Attraverso la plasmonica riusciamo quindi a superare il limite
della diffrazione, che ci dice che i sistemi ottici tradizionali non riescono a
vedere dettagli che sono più piccoli della lunghezza d’onda. Mentre abbiamo
visto che, a parità di frequenza, riusciamo a generare un modo guidato, che ha
una lunghezza d’onda molto minore rispetto a quella dell’onda piana nel
vuoto, e quindi
permette di
interagire con
oggetti che sono di
dimensioni
nanometriche o di
decine di nanometri.
Vediamo che succede nel caso TE(x). Scriviamo il campo Eym dato dalla
soluzione dall’equazione al secondo ordine, da cui ricaviamo Hxm e Hzm.
Scriviamo in maniera analoga Eyd, da cui ricaviamo Hxd e Hzd.

Imponiamo le condizioni
al contorno in z=0 e
otteniamo queste tre
condizioni. Queste ci
dicono che i numeri
d’onda nella direzione di
propagazione devono
essere uguali tra loro,
questo impone una certa relazione tra le ampiezze incognite, ma osserviamo
questa prima condizione, che è la nuova equazione di dispersione. Questa deve
essere soddisfatta assieme alle ultime due equazioni.

Riprendiamo la
condizione che ci dice
che i kx in
propagazione
kxm=kxd=kx per
l’imposizione delle
condizioni al contorno.
Se anche i kz devono
essere uguali, allora i due mezzi non possono essere diversi tra di loro. Poiché
a monte abbiamo detto che i due mezzi sono diversi, visto che sono
2 = 𝑘 2 è una soluzione
caratterizzati da una diversa costante dielettrica, 𝑘𝑧𝑚 𝑧𝑑
impossibile per il nostro problema fisico. È una soluzione matematica che non
corrisponde al problema fisico che stiamo studiando. I modi TE(x) confinati
all’interfaccia non possono esistere, e questa è la giustificazione matematica.
La giustificazione fisica consiste nel fatto che nei modi TE(x) non esiste la
componente orizzontale del campo elettrico, e quindi l’eccitazione collettiva
degli elettroni all’interfaccia del metallo non può avere questa distribuzione
spaziale, che è quella che caratterizza la lunghezza d’onda di un surface
plasmon polariton, che è determinata dalla periodicità spaziale con cui si
ripetono gli accumuli o le assenze di elettroni all’interfaccia di un metallo
nobile. È utile capire come si può eccitare un plasmone superficiale sulla
superficie metallo-vuoto. Possiamo immaginare di avere un semispazio
metallico interfacciato con il vuoto. Supponiamo di voler eccitare un surface
plasmon polariton all’interfaccia tra i due semispazi, siamo nella condizione per
cui 𝜀𝑚 è negativa e, in modulo, maggiore della costante dielettrica del vuoto.
Facciamo incidere un’onda piana proveniente dal vuoto sul metallo, mi trovo
alle frequenze ottiche per cui 𝜀𝑚 è negativa e, in modulo, maggiore della
costante dielettrica del vuoto, può esistere un surface plasmon polariton, ma
lo eccito o no? Riusciamo a trasferire energia tra questa onda piana e il surface
plasmon polariton?

La risposta è no. Perché quando andiamo a


vedere la curva di dispersione, abbiamo la
curva in bordeaux che rappresenta
l’equazione di dispersione di un surface
plasmon polariton tra il metallo e il vuoto.
Considerando la retta relativa all’onda
piana nel vuoto e questa curva, ci
chiediamo, si toccano queste curve? Ovvero, esiste un kx dell’onda piana che
può trasferire energia al kx del surface plasmon polariton? Imponendo le
condizioni al contorno, questo accoppiamento energetico avviene solo nelle
condizioni per cui i kx sono gli stessi, perché questo è quello che ci dice la
condizione al contorno che andiamo a scrivere in corrispondenza
dell’interfaccia.

Se i due kx sono uguali si rispetta la condizione al contorno


e quindi possiamo trasferire energia dall’onda piana al
plasmone. Ma possono essere i due kx uguali? L’equazione
di dispersione ci dice di no. Perché quale che sia la
frequenza per cui può esistere un surface plasmon polariton, abbiamo che il kx
del surface plasmon polariton è sempre maggiore del kx dell’onda piana nel
vuoto. Hanno lo stesso valore per omega nullo, che non consideriamo, mentre
per qualsiasi frequenza i kx sono diversi tra loro. Quindi non si può eccitare un
plasmone di superficie solo lanciando un’onda piana come abbiamo visto qui,
perché non potrà esserci un accoppiamento
energetico tra questa e il surface plasmon
polariton. La condizione al contorno non
sarà verificata mai. Il modo per eccitare un
surface plasmon polariton è quello di usare
un prisma di vetro. Immaginiamo di avere
una lamina metallica con una certa 𝜀𝑚 e un certo spessore d, che può essere
molto piccolo rispetto alla lunghezza d’onda. Lanciamo un’onda TM(x) dal
vuoto, quest’onda entra nel vetro, il quale ha una costante dielettrica relativa
maggiore rispetto a quella del vuoto. Se l’onda piana nel vuoto è descritta da
questa equazione di dispersione 𝜔 = 𝑐0 𝑘𝑥 , con 𝑘𝑥 = 𝜔 √𝜇𝜀, se adesso avviene
che la epsilon è maggiore, quindi a parità di frequenza il kx è maggiore,
abbiamo che la retta che descrive l’onda piana che può esistere nel vetro avrà
una pendenza minore rispetto a quella che abbiamo nel vuoto. Questa retta
verde incontra la curva di dispersione del surface plasmon polariton
all’interfaccia tra il metallo e il vuoto in un particolare valore di kx. Se usiamo
il vetro, esiste un valore di kx per cui l’onda piana nel vetro ha lo stesso kx del
surface plasmon polariton che esiste tra il metallo e il vuoto, quindi questa
onda piana nel vetro può eccitare questo surface plasmon polariton tra
metallo e vuoto. Però, l’interfaccia tra il metallo e il vuoto non è l’interfaccia
diretta che incontra il vetro. Quindi, quest’onda piana che arriva dal vuoto,
entra nel vetro e subisce un’interazione con l’interfaccia metallo vetro, è tale
da non poter mai creare un surface plasmon polariton tra il metallo e il vetro.
Così come avviene per il vuoto, le due curve verdi non si incontrano, quindi su
questa prima interfaccia non si può generare un surface plasmon polariton,
l’obiettivo è quello di generare un surface plasmon polariton sull’altra
interfaccia. Quindi l’energia elettromagnetica che trasferisco dall’onda piana
deve andare da questa prima interfaccia alla seconda interfaccia tra metallo e
vuoto, e qui, perché c’è un punto di intersezione tra le due curve, si può
generare un surface plasmon polariton. Per realizzare questo accoppiamento,
questo si può generare attraverso le onde evanescenti. Dovremmo generare
un’onda evanescente, che nasce all’interfaccia tra il vetro e il metallo, lo
spessore d della lamina metallica deve essere piccolo rispetto alla lunghezza
d’onda, in maniera tale che questa coda evanescente non si attenui tutta sulla
seconda interfaccia, dove, a questo punto, arriva energia e può propagarsi un
surface plasmon polariton in direzione dell’asse x. Per creare l’onda
evanescente l’incidenza deve essere tale da superare l’angolo critico
sull’interfaccia tra il vetro e il metallo, dove abbiamo una riflessione totale
interna, che a sua volta genera una riflessione speculare nel vetro, e una coda
evanescente del
metallo, che va ad
eccitare sullo
spessore d, molto
sottile, un surface
plasmon polariton
sull’altra interfaccia.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 13

Esercitazione sulle Linee di Trasmissione e sulle Guide


Planari attraverso il software Mathematica

Esercizio n.1: è data una linea di trasmissione priva di perdite [impedenza


𝜔
caratteristica 𝑍0 = 50 Ohm e costante di propagazione 𝑘 = 𝛽 = , con 𝑐 = 3 ∗
𝑐
10 8𝑚 ] di lunghezza L = 2 m. La linea è alimentata da un generatore
𝑠
sinusoidale di frequenza pari ad 1 GHz di ampiezza 𝑉0 = 10𝑉 ed è caricata su
un’impedenza 𝑍𝐿 = 50𝛺. Si chiede di:

1. Determinare l’espressione e disegnare il grafico dell’onda di tensione e


dell’onda di corrente sulla linea al variare del tempo;
2. Ripetere il problema nel caso di impedenza di carico pari a 𝒁𝑳 = 𝟓𝟎 −
𝒋𝟏𝟎𝟎𝜴.

Si chiede inoltre di:

1. Determinare il coefficiente di riflessione in tensione ed il rapporto


d’onda stazionaria all’ingresso della linea di trasmissione nei due casi;
2. Determinare l’espressione e disegnare il grafico dell’onda di tensione e
dell’onda di corrente sulla linea al variare del tempo nel caso di
generico 𝒁𝑳 = 𝑹𝑳 + 𝑰𝑿𝑳 .
Quando abbiamo a che fare con un problema di linee di trasmissione
dobbiamo scrivere le espressioni della tensione e della corrente su ciascuna
linea. Qui abbiamo una linea sola, quindi scriviamo V(z) come somma di
un’onda diretta e di un’onda riflessa (usiamo Vp e Vm per evitare di inserire i
segni + e – che potrebbero dar fastidio nella valutazione al software).
Chiamiamo l’onda di tensione, data dalla somma dell’onda diretta e dell’onda
riflessa, VV[z_] funzione di z con l’underscore. Questa assegnazione, che
prevede l’uso dell’underscore, significa che la funzione viene valutata
nell’argomento che viene indicato al posto di z. Chiamiamo la corrente II
perché la sola I è l’unità immaginaria, e non possiamo fare assegnazioni su
costanti protette dal sistema, allora, per analogia, chiamiamo VV anche l’onda
di tensione. Con shift invio andiamo a valutare questa espressione, il punto e
virgola che mettiamo al termine serve ad evitare che venga rappresentato
l’output. L’output è, in questo caso, dato dall’assegnazione, quindi per non
appesantire il problema evitiamo di effettuare la visualizzazione dell’output.

Se mettiamo qualsiasi valore di z all’interno della parentesi quadra viene


fatta automaticamente la valutazione. A questo dunque serve l’introduzione
dell’underscore, per far sì che il software faccia automaticamente la
valutazione. Una volta scritta la tensione e la corrente di linea sulla linea di
trasmissione notiamo che
Vp e Vm sono delle
incognite, mentre tutto il
resto è assegnato. Per
ricavarle dobbiamo
imporre le condizioni al contorno. Le condizioni al contorno che possiamo
imporre sono solo due. Possiamo considerare un’equazione sulla sezione
iniziale della linea (z=0) e un’altra sulla sezione del carico della linea (z=L).
Dobbiamo dire che, sulla sezione iniziale, l’onda di tensione valutata in 0 è
proprio uguale all’ampiezza complessa che in realtà è stata assegnata come
reale dell’alimentazione. L’equazione la chiamiamo Eq1 = VV[0]=V0.

Abbiamo che == non è un’assegnazione, come lo è =, è invece il simbolo di


uguaglianza che si usa nelle equazioni. Questa è la prima delle due equazioni
che vengono dalle condizioni al contorno. Sul carico dobbiamo scrivere che la
tensione sulla sezione di carico L è uguale alla corrente sulla sezione di carico
L moltiplicata per l’impedenza di carico 𝒁𝑳. Facciamo la valutazione
dell’equazione 2. Dobbiamo risolvere il sistema 2x2 in maniera tale da trovare
le soluzioni per Vp e Vm.

Tramite la funzione Solve con i due argomenti risolviamo le equazioni per Vp e


Vm. La funzione Solve ha come argomenti le equazioni che devono essere
risolte, quindi Eq1 ed Eq 2, e come secondo argomento ha il vettore delle
incognite, ovvero Vp e Vm. Abbiamo quindi Solve[Eq1 && Eq2, vettore delle
incognite].

Chiediamo a Matematika di effettuare una semplificazione completa tramite


//FullSimplify//, che è una funzione che semplifica il più possibile le
espressioni di Vp e Vm che escono fuori dalla soluzione, e, infine, la soluzione
viene indicata come una matrice 2x2. Noi preferiamo che la soluzione venga
indicata semplicemente come un array, per questo usiamo Flatten, che vuol
dire “appiattisci”, il che toglie una dimensione alla struttura della soluzione
che, inizialmente, era strutturata come una matrice. Tutti gli elementi
vengono messi in riga per formare un vettore.

Il vettore soluzione chiamiamolo SolV, quindi facciamo un’assegnazione del


tipo SolV=Solve[…]. Otteniamo la soluzione per Vp e Vm.

Togliendo
Flatten
abbiamo due parentesi graffe sia a sinistra che a destra, questo vuol dire che
abbiamo aggiunto una dimensione alla struttura della soluzione, una sola
parentesi graffa indica che stiamo parlando di un vettore.

È più facile individuare l’elemento di un vettore piuttosto che l’elemento


della matrice, dove dovremmo andare a mettere due indici, e con SolV[[1]]
indichiamo il primo elemento dell’array della soluzione, che possiamo
individuare facilmente non avendo a che fare con una matrice, e con 2
andiamo invece a considerare Vm.

Avendo trovato Vp e Vm sostituiamo le


espressioni all’interno di quelle della
tensione e della corrente che abbiamo
scritto prima in maniera generale.
Prendiamo VV[z], che è l’espressione
dell’onda di tensione sulla generica sezione z, e sostituiamo Vp e Vm nel modo
che segue: VV[z]//.SolV//FullSimplify. In questo modo la soluzione viene
sostituita (tramite //.) all’interno dell’espressione generale dell’onda di
tensione valutata nella generica sezione z. Otteniamo l’espressione più
semplificata possibile per l’onda di tensione espressa tramite coseno e seno. È
la forma più semplificata possibile che possiamo ottenere. Questa è l’onda di
tensione che descrive esattamente la linea che stiamo considerando, con quel
generatore di 10 V di ampiezza, e con quel carico ZL.

Faccio la stessa cosa per la corrente, e abbiamo risolto la prima parte


dell’esercizio che ci chiedeva di determinare l’espressione delle onde di
tensione e di corrente su questa particolare linea.
Dobbiamo anche fare il grafico di queste espressioni. Questo implica
introdurre delle quantità numeriche perché non possiamo graficare
espressioni contenenti solo quantità simboliche. Dobbiamo quindi sostituire i
dati del problema nel modo che segue: abbiamo il vettore 𝑺𝒐𝒔𝒕𝟏 = {𝑳 →
𝝎
𝟐, 𝒁𝟎 → 𝟓𝟎, 𝒌 → , 𝝎 → 𝟐𝝅𝒇, 𝒄 → 𝟑 ∗ 𝟏𝟎𝟖 , 𝒇 → 𝟏 ∗ 𝟏𝟎𝟗 , 𝑽𝟎 → 𝟏𝟎, 𝒁𝑳 →
𝒄
𝟓𝟎}. Abbiamo che f vale 1 ∗ 109 𝐻𝑧, cioè 1 GHz. Abbiamo usato tutte unità di
misura coerenti tra di loro.

I parametri numerici li abbiamo messi all’interno di un vettore, che chiamiamo


Sostituzione 1. Otteniamo una rappresentazione della tensione e della
corrente in maniera più semplice avendo inserito i dati numerici. Prendiamo
VV[z] che abbiamo valutato all’inizio, sostituiamo SolV, quindi Vp e Vm che
abbiamo derivato prima, poi dobbiamo metterci i valori numerici, quindi
Sostituzione 1, dopodichè facciamo il FullSimplify. Facciamo la stessa cosa per
la corrente e otteniamo una Vz1 ed una Iz1.

Se togliamo il punto e virgola vediamo che sulla linea, avendo un carico pari
all’impedenza caratteristica, abbiamo solo l’onda diretta per la tensione e la
corrente visibile nell’output, quindi tutto torna.

Ora dobbiamo graficare queste onde di tensione e corrente non nello spazio,
quindi non dobbiamo fare un semplice plot in z, ma dobbiamo fare la
valutazione al variare del tempo come richiesto dal problema. Quando siamo
nel dominio della frequenza, cioè studiamo i fasori, assumiamo
un’eccitazione armonica. Dobbiamo prendere la funzione Vz1 con la sola onda
diretta nel caso 1, la moltiplichiamo per l’esponenziale ⅇ −𝑗𝜔𝑡 e ne prendiamo
la parte reale. In questo modo abbiamo valutato l’onda di tensione che varia
sia nello spazio che nel tempo. Ora ho due variabili, una nel tempo e una nello
spazio. L’idea è quella di non creare un grafico tridimensionale dove facciamo
variare z e t in tutti i modi possibili. L’idea è quella di avere un andamento che
viene animato nel tempo, quindi una funzione graficata su un piano, ad
esempio in funzione dell’asse z, e poi, al variare del tempo, questa funzione si
aggiorna ogni volta, in maniera tale che poi, facendo un’animazione al variare
degli istanti temporali successivi, vediamo come si muove questa curva nel
tempo. Al tempo andiamo a sostituire (con //.) un’istante temporale che varia
𝑛 2𝜋
di volta in volta, e lo indichiamo nel modo che segue //.𝑡 → ( ) . Il periodo
10 𝜔
2𝜋
lo indichiamo con . Se andiamo a variare n tra 0 e il valore massimo 10,
𝜔
essendo n un indice intero, noi abbiamo preso il periodo, lo abbiamo diviso in
dieci parti e abbiamo considerato, di volta in volta, un istante che è 0, 1/T, 2/T,
2𝜋
fino ad arrivare alla valutazione per T= .
𝜔

Gli istanti temporali in cui andiamo a campionare l’onda di tensione al


variare di z sono ogni decimo di periodo. Andiamo a fare lo stesso per l’onda
di corrente, e vediamo che l’onda di corrente l’abbiamo moltiplicata per un
numero, questo perché, come abbiamo visto prima, nel caso di una linea
adattata è più piccola dell’ampiezza dell’onda di tensione di Z0= 50 Ohm,
quindi in termini di ampiezza la corrente è più piccola.

L’abbiamo moltiplicata per un numero, ovvero 25, per apprezzarne


l’andamento nel tempo insieme all’onda di tensione.

Animiamo entrambe le onde, come primo argomento della funzione Plot


mettiamo un’array che contiene due funzioni, ovvero l’onda in tensione e
l’onda in corrente. Il grafico dobbiamo farlo
al variare di z per tutta la lunghezza della
linea, quindi le onde varieranno nel tempo
per z che va da 0 a 2. PlotRange ci dice qual
l’area in cui andiamo a realizzare il grafico
lungo l’asse delle y. Quindi il grafico varierà
tra -10 e 10 lungo y, dove 10 è l’ampiezza
massima della tensione visto che abbiamo
un generatore con ampiezza 10 V.

Dobbiamo effettuare questo grafico per ogni istante temporale in cui


abbiamo suddiviso il periodo. Nella funzione Animate mettiamo il Plot, quindi
l’insieme dei grafici che dobbiamo fare, come secondo argomento n, che
definisce gli istanti temporali, che va da 0 a 10. AnimarionRate ci dice quanto
veloce va il grafico, quindi l’animazione, e AnimationRunning→False ci dice
che l’animazione non parte automaticamente quando andiamo a valutare
questa riga di codice, se non mettiamo nulla ad AnimationRunning
l’animazione parte automaticamente.

Apprezziamo tre aspetti, il primo è che l’onda di tensione e l’onda di corrente


viaggiano in fase tra di loro, l’ampiezza massima dell’onda di tensione e di
corrente non varia nel tempo, ed inoltre notiamo che l’onda viaggia da
sinistra verso destra, senza ripple, e questo è quello che ci aspettiamo nel
caso di una linea adattata, perché abbiamo solo onda diretta e non c’è
nessuna onda riflessa, l’andamento sinusoidale viaggia da sinistra verso
destra e non subisce oscillazioni.

Se invece introduciamo un carico disadattato. Consideriamo una seconda


𝝎
sostituzione 𝑺𝒐𝒔𝒕𝟐 = {𝑳 → 𝟐, 𝒁𝟎 → 𝟓𝟎, 𝒌 → , 𝝎 → 𝟐𝝅𝒇, 𝒄 → 𝟑 ∗ 𝟏𝟎𝟖 , 𝒇 →
𝒄
𝟏 ∗ 𝟏𝟎𝟗 , 𝑽𝟎 → 𝟏𝟎, 𝒁𝑳 → 𝟓𝟎 − 𝑰𝟏𝟎𝟎}.

I dati
sono
analoghi
a quelli
della

sostituzione 1, tranne l’impedenza di carico. Sostituiamo i dati numerici


all’interno dell’espressione dell’onda di tensione e di corrente quando
abbiamo risolto per Vp e Vm. Gli andamenti sono più complessi rispetto a
quelli di prima perché in questo caso abbiamo anche la presenza dell’onda
riflessa.

Se togliamo il FullSimplify, che va a compattare l’espressione, notiamo l’onda


ⅇ +𝑗 ed ⅇ −𝑗 che viaggiano nella direzione positiva e negativa, quindi si vedono
più chiaramente.
Prendiamo Vz2, la moltiplichiamo per ⅇ −𝑗𝜔𝑡 ,
prendiamo la parte reale, suddividiamo gli istanti
temporali, insomma facciamo quello che abbiamo
fatto prima, ed osserviamo che, nel caso di una
linea disadattata, anche se debolmente, le onde
viaggiano da sinistra verso destra.

Abbiamo una forte oscillazione dell’ampiezza massima dell’onda in tensione


e dell’onda in corrente. Questo è indice di un disadattamento della linea.
Quando abbiamo introdotto il rapporto d’onda stazionaria, che si esprime
come rapporto tra Vmax e Vmin, se la linea è adattata Vmax non varia, è uguale a
Vmin e il rapporto d’onda stazionaria è 1. Maggiore è la differenza tra Vmax e
Vmin, quindi maggiore è l’oscillazione, più è grande il termine d’onda
stazionaria rispetto al termine di onda viaggiante, maggiore è il
disadattamento e di conseguenza maggiore è il ROS. In maniera poco
apprezzabile l’onda viaggia comunque da sinistra verso destra, a testimonianza
del fatto che c’è comunque una porzione di onda che viaggia. Non si tratta di
un’onda stazionaria, ventri e nodi non sono esattamente sempre nella stessa
posizione. C’è un forte disadattamento. ma abbiamo comunque una piccola
porzione di onda diretta che viaggia lungo z. L’onda di tensione e di corrente
non sono in fase, e ciò dipende dal carico. Avendo un carico che introduce
nella riflessione un determinato sfasamento che dipende dal tipo di carico che
è di natura complessa, l’onda di tensione e l’onda di corrente, in tutti i punti
della linea, saranno non in fase tra loro, che è quello che si osserva specie se lo
confrontiamo con il caso della linea adattata.

Risolviamo il resto dell’esercizio. La valutazione del coefficiente di riflessione


all’ingresso della linea e del ROS nel caso 1 e nel caso 2 prevedono la
valutazione dell’impedenza di ingresso (usiamo la formula) e la sostituzione dei
dati relativi al primo quesito dell’esercizio. L’impedenza di ingresso nel primo
caso è pari a 50 Ohm perché la linea è caricata sull’impedenza caratteristica.
Il coefficiente di riflessione è nullo e il ROS=1.
Nel secondo caso l’impedenza è diversa
dall’impedenza caratteristica, e il
coefficiente di riflessione è complesso la
cui ampiezza è pari a 0,707. Nel caso in cui
sia pari a 0 abbiamo adattamento
perfetto, se vale 1 parliamo di
disadattamento perfetto, quindi se
l’ampiezza è 0,707 siamo molto più verso
il caso di disadattamento perfetto. Vediamo infatti che debolmente si
apprezzava il viaggiare dell’onda da sinistra verso destra e la porzione di
onda stazionaria è significativa. L’ampiezza massima e l’ampiezza minima della
tensione ci consentono di valutare il ROS, che è pari a 5,8, infatti in questo caso
l’ampiezza massima dell’onda in tensione è circa sei volte più grande di quella
minima lungo la linea al variare del tempo, sintomo di un disadattamento
importante. Già qualche unità di ROS, benché possa variare da 0 a infinito, ci
fa capire che la linea è molto disadattata. La dinamica è molto più vicina alle
unità di ROS anche per disadattamenti significativi. Valori tipici, che poi si
usano a seconda delle applicazioni, di ROS ammessi per avere un buon
adattamento sono 1,1; 1,2; 1,3; 1,5 e così via, dipende dal tipo di applicazione.
Se infatti abbiamo potenze basse in gioco, il fatto che ne torni indietro una
determinata porzione magari non crea problemi, quindi, ad esempio, non si va
a bruciare il generatore, ma se parliamo di centinaia di kW, la potenza che
torna indietro, per via di una piccola porzione di disadattamento, non è
trascurabile e il generatore stesso si può rovinare (in questo caso i valori di ROS
saranno molto più stringenti). Anche una piccola porzione di disadattamento
potrebbe danneggiare il generatore in tal caso. Vediamo l’ultima parte
dell’esercizio e consideriamo un’impedenza di carico ZL generica. Consideriamo
𝝎
una sostituzione 𝑺𝒐𝒔𝒕𝒁𝑳 = {𝑳 → 𝟐, 𝒁𝟎 → 𝟓𝟎, 𝒌 → , 𝝎 → 𝟐𝝅𝒇, 𝒄 → 𝟑 ∗
𝒄
𝟏𝟎𝟖 , 𝒇 → 𝟏 ∗ 𝟏𝟎𝟗 , 𝑽𝟎 → 𝟏𝟎, 𝒁𝑳 → 𝑹𝑳 + 𝑰𝒁𝑳}. Stavolta il grafico non viene
fatto se usiamo semplicemente Animate, perché ZL è una quantità simbolica,
servono valori numerici per ZL. Sostituiamo questa espressione all’interno
dell’onda in tensione e dell’onda in corrente, dopo aver sostituito V+ e V-, e
andiamo a fare il grafico. Se usiamo la funzione Manipulate da applicare sulle
animazioni, possiamo controllare dall’esterno tramite una barra i valori
numerici per RL ed XL, quindi in base a dove mettiamo la barra possiamo
andare a vedere il grafico che ne deriva. RL lo facciamo variare tra 0 e 100, ed
XL da -100 a
100. La parte
immaginaria
può essere
sia negativa
che positiva,
con
l’attraversamento per lo 0. Nel Manipulate usiamo RRL ed XXL, perché nelle
valutazioni che fa Mathematica, RL stava nelle assegnazioni precedenti e non
viene visto nel Manipulate come il valore che dobbiamo far variare, quindi
dobbiamo fare un’assegnazione all’interno del Manipulate del tipo RL->RRL, il
quale facciamo variare da 0 a 100, e lo stesso facciamo per XL. RL e XL stanno
dentro l’espressione di VzZL e IzZL, e se non avessimo fatto questa
assegnazione ulteriore, lui, non trovando RL e XL in maniera esplicita in quello
che abbiamo scritto dentro al Manipulate, non avrebbe fatto il grafico.
Esplicitando questa assegnazione, il software trova RRL e XXL nel Manipulate, e
li può far variare per ottenere le barre con il cursore. Andiamo a fare una
valutazione.

Domande d’esame: abbiamo questa linea di


trasmissione con un carico generico e andiamo a
vedere che cosa succede in diversi casi specifici di
carico. Se abbiamo un carico solo reale e pari
all’impedenza caratteristica, qual è l’attesa?
L’attesa è quella di una linea adattata. Le due
onde di corrente e tensione devono viaggiare da
sinistra verso destra senza subire oscillazione esattamente in fase tra di loro.
C’è una piccolissima oscillazione e sfasamento, forse perché non abbiamo
centrato esattamente 50 e non abbiamo centrato esattamente XXL=0.
Che succede se manteniamo la parte
immaginaria pari a 0 ed introduciamo una parte
reale pari a 100 Ohm? Abbiamo un
disadattamento. Osserviamo una porzione di
onda riflessa, quindi un’oscillazione nel tempo
dell’ampiezza massima delle onde di tensione e
di corrente tra un valore minimo ed un valore
massimo. Se osserviamo l’impedenza di ingresso su una sezione qualsiasi della
linea, questa non sarà più pari all’impedenza caratteristica, ma avrà un valore
che troviamo tramite la formula nota. Quindi sarà in generale una quantità
complessa. La tensione e la corrente saranno sfasate tra di loro visto che il
loro rapporto non è più pari all’impedenza caratteristica, non avrò una
quantità reale, ma una quantità complessa che varia sulla linea. Abbiamo un
disadattamento importante, ma l’onda viaggia comunque da sinistra verso
destra, quindi non abbiamo un disadattamento significativo. Tensione e
corrente sono sfasate tra di loro, cosa che ci aspettiamo visto che il loro
rapporto non è più sempre pari all’impedenza caratteristica.

Se andiamo ad agire sulla parte immaginaria,


vediamo che succede se reattanza e resistenza
sono nulle. Il carico è diventato un
cortocircuito. Ci aspettiamo che tutta la
potenza che facciamo propagare sulla linea
torni indietro, quindi ci aspettiamo una
riflessione totale sulla sezione del carico, e ci
aspettiamo che l’onda riflessa abbia un’ampiezza pari a quella dell’onda
incidente. La percentuale di onda stazionaria sarà massima, nessuna frazione
di onda viaggiante, e quindi abbiamo un’onda puramente stazionaria sulla
linea, abbiamo un disadattamento completo. Il picco della tensione ed il picco
della corrente andranno da un valore massimo ad un valore nullo, quindi
avremo la massima oscillazione possibile per la tensione e per la corrente che
ci dà un ROS=infinito. L’onda non viaggia, abbiamo un’onda puramente
stazionaria, e l’ampiezza delle due onde va da un valore massimo ad un valore
minimo pari a 0. Per quanto riguarda lo sfasamento che ci aspettiamo, in
corrispondenza del massimo della tensione abbiamo il minimo della corrente,
ed è la variazione di fase tipica che abbiamo quando è presente un
cortocircuito. Poniamo RRL e XXL entrambe a 100 Ohm abbiamo una piccola
percentuale di onda che viaggia lungo la linea, si tratta sempre una linea
disadattata, e abbiamo ancora uno sfasamento tra tensione e corrente.

Se poniamo RL=0 ed introduciamo solo un carico


reattivo XLL=j100, e la linea non ha perdite, il
carico non usa la potenza reale che gli arriva,
quindi quello che succede è che abbiamo un
immagazzinamento dell’energia da parte del
carico capacitivo in un semiperiodo, e poi viene
rilasciata nel semiperiodo successivo. La media
nel tempo della potenza reale utilizzata dal carico è dunque nulla. Se il carico
non usa potenza, torna tutto indietro, abbiamo un’onda riflessa che ha la
stessa ampiezza dell’onda incidente e quindi abbiamo un’onda stazionaria
sulla linea. Il carico è puramente reattivo, non utilizza nulla, tutta la potenza
torna indietro, abbiamo un’onda riflessa con la stessa ampiezza dell’onda
incidente. Abbiamo sempre uno sfasamento tra tensione e corrente.

NOTA BENE: La differenza tra la riflessione totale data da un cortocircuito (per


la tensione c’è uno sfasamento della tensione di 180° introdotto dalla
riflessione) e da un circuito aperto (la riflessione della tensione è in fase con
l’onda incidente) e quella di un carico reattivo (c’è uno sfasamento di tensione
che è dovuto alla fase determinata da ZL. Il coefficiente di riflessione ha sempre
un’ampiezza 1, come nel caso di circuito aperto e di cortocircuito, ma la fase
non è né 0° né 180°, è un numero compreso tra questi determinato dal valore
del carico reattivo che abbiamo) è data dallo sfasamento introdotto tra l’onda
di tensione e l’onda di corrente.

Esercizio n2: Consideriamo l’analisi modale di una guida d’onda planare


asimmetrica. Vediamo come ottenere le curve di dispersione per i vari modi
TM e TE. L’obiettivo è quello di ottenere lo spettro modale completo.
Studiamo prima i modi TM. Scriviamo le espressioni del campo
elettromagnetico nelle tre regioni, ovvero la lamina dielettrica ed i semispazi
superiore p e inferiore m.
Dobbiamo ottenere tutto a
partire da Ez, che all’interno
della lamina scriviamo come
combinazione di una
funzione seno e coseno, nel
semispazio superiore lo
scriviamo come
esponenziale che descrive
un’onda diretta che viaggia
lungo le y positive, avendo fissato il riferimento in y=d, nel semispazio
inferiore lo scriviamo come un’onda diretta, che viaggia nel semispazio
negativo dell’asse y, lungo le y negative, avendo fissato il riferimento in y=-d.
Le costanti “c” di ampiezza nelle tre regioni le chiamiamo in maniera
differente. Le componenti Hx ed Ey dei modi TM si ottengono derivando Ez e
moltiplicando per coefficienti che discendono dalle equazioni di Maxwell. Per
derivare scriviamo D[EEzd,y], dove D[EEzd,y] indica l’espressione di
derivazione rispetto ad y. Il pedice z sta per indicare la componente secondo z,
e d indica che stiamo all’interno della lamina dielettrica, con p indichiamo che
siamo nel semispazio p e con m che siamo nel semispazio m. I ky saranno tutti
diversi tra loro. Facciamo le varie valutazioni che ci permettono di ottenere il
campo scritto nelle tre regioni, ovvero la lamina dielettrica e i due semispazi.
Dal punto di vista procedurale, dobbiamo imporre le condizioni al contorno
indipendenti, ovvero, se consideriamo quelle indipendenti, la continuità delle
componenti tangenziali del campo elettrico e magnetico alle due interfacce.
Scriviamo quattro equazioni del tipo 𝐸𝑞1𝑇𝑀 = 𝐸𝐸𝑧𝑝 − 𝐸𝐸𝑧𝑑//.𝑦 → 𝑑
ottenendo un sistema 4x4, con quattro incognite. Consideriamo la costruzione
della matrice dei coefficienti del sistema il cui determinante ci da l’equazione
di dispersione.
Definiamo un vettore,
che chiamiamo
IncogniteTM, in cui
andiamo a mettere le
incognite del problema,
ovvero le quattro costanti di integrazione, e costruiamo un vettore per le
equazioni, che chiamo EquazioniTM, che contengono, appunto, le condizioni al
contorno. Per trovare i coefficienti, prima impostiamo che la matrice dei
coefficienti, che chiamiamo SistemaTM sia una matrice 4x4 (ciò lo imponiamo
con il comando
Table) e la
inizializziamo
con tutti 0. La
matrice dei
coefficienti
inizialmente è
data da tutti zeri. Prendiamo l’equazione 1, troviamo i coefficienti e andiamo a
definire la prima riga della matrice dei coefficienti, e facciamo lo stesso per le
altre equazioni in maniera tale da determinare le altre righe. Per trovare il
coefficiente di un termine in un’equazione usiamo la funzione Coefficient.
Questa è una funzione tramite cui prendiamo il coefficiente che troviamo nel
termine generico del vettore EquazioniTM relativo alla generica incognita.
Facendo variare i tra 1 e 4 e j tra 1 e 4, andiamo ad alimentare la matrice, che
inizialmente aveva tutti i zeri, nella posizione i e j con il coefficiente che
nell’equazione i ha l’incognita j, e con questo doppio ciclo otteniamo la
matrice che viene dalle 4 equazioni delle condizioni al contorno individuando i
coefficienti delle singole incognite.
Dopo aver trovato la matrice dei coefficienti, abbiamo visto che il problema è
omogeneo, e si ha una soluzione diversa da quella banale solo quando il
determinante della matrice dei coefficienti è uguale a 0. Questo ci fa ottenere
l’equazione di dispersione. Nel semplificare l’espressione per il calcolo del
determinante appaiono espressioni che dipendono da esponenziali, quindi con
ExpToTrig facciamo il passaggio da funzioni esponenziali nelle funzioni
trigonometriche corrispondenti. Chiediamo di semplificare un’altra volta, e
tramite Factor, fattorizziamo quello che otteniamo. Se moltiplichiamo
l’espressione che otteniamo per l’inverso del coefficiente che è stato messo in
evidenza, otteniamo la parte tra parentesi, che è proprio l’equazione di
dispersione.
L’equazione di
dispersione, per avere
dei modi guidati, deve
avere dei ky
opportuni. Ky nei due
semispazi deve essere
una quantità immaginaria, all’interno della lamina invece deve essere reale.
Conviene rappresentare le curve di dispersione avendo un kz normalizzato
rispetto a k0. Dobbiamo normalizzare anche lo spessore della lamina rispetto
2𝜋
alla lunghezza d’onda, e lo esprimiamo ponendo 𝑑 → 𝐷𝐷 . Abbiamo che
𝑘0
2𝜋 𝑑
= 𝜆0 → 𝐷𝐷 = . Mettiamo queste espressioni nell’equazione di
𝑘0 𝜆0
dispersione assumendo che k0>0, quindi assumendo che k0 sia una quantità
reale e maggiore di 0. Ancora non abbiamo introdotto il valore delle costanti
dielettriche dei tre mezzi. Poniamo, ad esempio 𝜀𝑟 = 5; 𝜀𝑝 = 1; 𝜀𝑚 = 3 per
introdurre asimmetria e per tener conto del fatto che la lamina deve avere una
costante dielettrica maggiore rispetto a quella degli altri mezzi. La variabilità di
kz normalizzato la si ottiene andando ad imporre le condizioni matematiche sui
ky. Individuiamo il massimo ed il minimo di kz normalizzato, e dobbiamo fare il
grafico, che rappresenta una
valutazione implicita dell’equazione
di dispersione. Sostituiamo i dati
numerici all’interno dell’equazione
di dispersione, e vediamo che presenta due variabili, ovvero kz normalizzato e
lo spessore normalizzato. Quindi dobbiamo fare un grafico implicito di questa
funzione, dove sulle ascisse riportiamo DD, e sulle ordinate riportiamo KKz.
Questa equazione può essere risolta per DD, perché, se andiamo a mettere
EDTMSost //. Dati == 0, cioè andiamo a imporre l’uguaglianza a 0, possiamo
esplicitare DD come l’arcotangente di qualcosa. La soluzione rispetto a DD è
una soluzione che il software da in termini di arcotangente di qualcosa, il che
ci permette di graficare la soluzione in maniera esplicita.

La soluzione
che otteniamo
non è una
soluzione che
fornisce
direttamente
l’arcotangente.
Abbiamo le
soluzioni in termini di periodicità della tangente, e, in particolare, abbiamo una
costante πC[1], con C[1] che deve essere una quantità intera.

Possiamo dire al software di sostituire C[1] con m, per avere mπ, e chiediamo
di introdurre il fatto che m appartiene agli interi. Infatti, il software, di default,
assume ogni quantità come complessa. Dobbiamo dire noi a Mathematica che
la quantità che stiamo considerando è un numero intero. La soluzione
dell’equazione di dispersione varia al variare di m, quindi dobbiamo scrivere la

soluzione come una funzione di m. Al variare di m quindi otteniamo soluzioni


differenti. Andiamo a costruire tutte le funzioni che, al variare di m,
restituiscono lo spessore normalizzato, soluzione dell’equazione di dispersione.
Dobbiamo fare il grafico di SolDTM, per ogni m.
Chiediamo di fare un grafico, bidimensionale, con DD che varia da 0 a 1 (scelta
mia), quindi lo spessore vero varia tra 0 e una lunghezza d’onda. KKz deve
variare tra il suo minimo e il suo massimo. Il PlotRange, cioè l’asse delle y, deve
essere tra il minimo e il massimo di kz normalizzato. Il riquadro all’interno del
quale vogliamo fare il grafico deve essere spesso, e anche il plot lo vogliamo
spesso. Facciamo questa valutazione, quindi il grafico delle singole curve
dell’equazione di dispersione, al variare di m.

Se scorriamo sulle curve il software ci fa vedere la corrispondente equazione di


dispersione. Quella del primo modo
presenta un termine del tipo mπ, e non ce lo
aspettiamo per m=0. Sotto le curve succede
qualcosa di abbastanza strano. Se vediamo la
curva in blu, questa è quella per m=0. Questa
è una difficoltà comune che si incontra con
Mathematica quando vogliamo considerare
delle funzioni che hanno valori multipli.
L’arco la cui tangente ha questo valore che sta scritto dentro l’argomento, in
realtà, non ha una soluzione unica, ma dipende dalla periodicità mπ che
abbiamo aggiunto. In base a quanto vale l’argomento, in realtà, già nella
valutazione dell’arcotangente stessa la soluzione si può spostare da una curva
all’altra. Se noi, ad esempio, vogliamo definire l’arco la cui tangente vale
infinito, ci arriviamo con due valori distinti a sinistra e a destra dell’infinito.
L’errore nella valutazione che troviamo da queste curve oscillanti in basso, e il
fatto di non trovare la curva per m=0 disegnata, può dipendere dal fatto che
quando l’arcotangente ha un argomento infinito, Mathematica decide, sempre
allo stesso modo, che non è poi quello che convenzionalmente noi utilizziamo.

Per effettuare la corretta


determinazione del brench,
ovvero quando per un punto
abbiamo soluzioni multiple, andiamo a vedere che cosa determina l’argomento
dell’arcotangente infinito. L’argomento dell’arcotangente pari ad infinito lo si
ha quando il denominatore vale 0. Per quel valore di kz per cui il denominatore
va a 0 e l’argomento diventa infinito, Mathematica sbaglia la valutazione
dell’arcotangente. Noi dobbiamo dare a Mathematica una soluzione data da
una definizione “a pezzi” della funzione. L’espressione di DD è questa.

Se consideriamo valori
di kz che sono prima del
valore per cui il
denominatore è nullo e
quindi l’argomento va
ad infinito, il software considera la soluzione tradizionale. Se ci troviamo per
valori di kz uguali o superiori a quello per cui abbiamo lo zero del
denominatore dell’argomento dell’arcotangente, allora, invece che m, il
software mette m+1. Così abbiamo tolto l’ambiguità sul segno che
Mathematica trova quando attraversa il punto di zero del denominatore
dell’argomento dell’arcotangente. Quindi, per arrivare a questa valutazione o
espressione della funzione “per pezzi”, abbiamo prima preso il denominatore,
lo abbiamo selezionato tramite il software, e abbiamo visto dove si annulla.

Così selezioniamo
l’arcotangente.
Dobbiamo valutare
dove il denominatore
vale zero, e dobbiamo trovare il valore di kz per cui questo avviene. Ripetiamo
il grafico di prima, per la funzione soluzione che abbiamo definito prima. Dopo
aver descritto il grafico modale, dobbiamo graficare il campo. Le incognite “c”
devono essere esplicitate, quindi devono diventare numeri. Ricordiamo che il
sistema è 4x4 omogeneo, e quando andiamo a
sostituire i kz soluzione dell’equazione di
dispersione, il sistema ha determinante nullo.
Quindi dobbiamo trovare gli autovettori. Abbiamo
imposto un valore a cd1TM, e siamo andati a
risolvere il resto delle equazioni per le altre
incognite. In questa maniera, quindi, troviamo le
espressioni delle quattro costanti di integrazione, che sono soluzione del
problema. Inseriamo i dati numerici, kz e D sono quelli che vengono fuori
dall’equazione di dispersione, e a quel punto possiamo fare il grafico dopo aver
ottenuto le espressioni delle componenti di campo Ezd, Ezp, e Ezm avendo
sostituito i dati. Facciamo lo stesso per Hx. Quando andiamo a fare il grafico,
dobbiamo trovare il massimo del valore del campo, perché è utile non
esprimere l’andamento dei
modi in termini assoluti, ma
farlo in termini normalizzati
al massimo, in maniera tale
che il picco del campo valga
sempre 1 in corrispondenza
del massimo. Possiamo
graficare tutti i modi insieme, senza che queste presentino ampiezze diverse
tra di loro, quindi normalizziamo. Per un kz fissato andiamo a fissare il modo
m=0. Possiamo fare lo stesso per Hx. Possiamo fare il grafico del campo per un
determinato spessore fissato. Fissato lo spessore si determina direttamente il
valore di kz per cui è soddisfatta l’equazione di dispersione. Ci ricordiamo che
se tracciamo una retta verticale per un determinato spessore, vediamo che
possiamo incontrare delle curve modali, e per
ciascuna di esse, il valore di kz corrispondente,
per un fissato spessore, sarà diverso. Questo kz
dobbiamo sostituirlo nell’espressione dei
campi. Il grafico del campo è fatto come
abbiamo visto prima,
da m che va da 1 al valore massimo. Qui riportiamo
l’andamento di Ez (quello verde è per m=0) e di Hx.
Facciamo tutto il ragionamento anche per i modi TE
e andiamo a graficare lo spettro modale completo.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 14

Lo Spettro Elettromagnetico: Applicazioni

Parliamo di guide d’onda metalliche, che, a differenza delle guide d’onda che
abbiamo analizzato fino ad ora (che sono delle guide planari), queste
presentano pareti metalliche.

Per poter parlare di queste guide c’è bisogno di definire uno strumento
matematico, comune a tutti questi tipi di guide, che permette di decomporre il
campo elettromagnetico nella sua parte trasversa e nella sua parte
longitudinale. Introduciamo adesso le applicazioni delle microonde, quindi
un’informazione relativamente allo spettro elettromagnetico e alle applicazioni
che abbiamo oggi a disposizione in ciascuna porzione dello spettro.
È importante capire dove i diversi servizi, e le diverse applicazioni, si collocano
all’interno dello spettro elettromagnetico per capire a che frequenza siamo, e
anche per dare un’indicazione su qual è il livello della potenza che viene gestito
dal sistema.

Lo spettro elettromagnetico lo conosciamo dalla continua fino ai raggi cosmici.


Sappiamo che lo spettro elettromagnetico, per quanto riguarda le applicazioni
nell’ambito dell’elettronica e delle telecomunicazioni, si divide nello spettro
radio e nello spettro ottico. Lo spettro radio non contiene solo le
radiofrequenze, ma anche le microonde, fino ad arrivare alle onde
millimetriche (va dai 3 kHz fino ai 300 GHz).

Lo spettro ottico non contiene solo la radiazione visibile, ma da 300 GHz in


poi, vede prima la radiazione infrarossa (che si suddivide in lontano, medio e
vicino infrarosso), poi abbiamo le frequenze del visibile, l’ultravioletto, i raggi
X, i raggi gamma, e poi i raggi cosmici.

Questo è lo spettro elettromagnetico nelle due componenti principali che


vengono utilizzate nell’ambito dell’ingegneria elettronica.

Le bande LF, MF, HF, VHF sono quelle inferiori a 300 MHz, e sono le bande di
interesse per le applicazioni radio, e tipicamente sono quelle che vengono
chiamate radio-frequenze. Dai 300 MHz ai 300 GHz abbiamo le frequenze che,
in generale, vengono definite microonde (non contengono solo le microonde,
ma contengono anche le onde millimetriche). Abbiamo un’ulteriore
classificazione all’interno dello spettro delle microonde da 300 MHz a 300
GHz, che è stata ufficialmente definita dalla IEEE (Institute of Electrical and
Electronics Engineers, che è l’istituto mondiale che si occupa della
standardizzazione delle frequenze radio, e di qualsiasi tipo di standardizzazione
che riguarda i dispositivi ed i sistemi elettronici), andiamo a vedere quali sono
le applicazioni tipiche per ciascuna banda di frequenze.

Abbiamo la banda UHF, che va da 300 MHz fino


ad 1 GHz.

La banda L, S e C coprono un intervallo di


frequenze da 1 a 8 GHz.

Abbiamo la banda X, centrata attorno ai 10 GHz


(va da 8 a 12 GHz), le tre bande K (K under, K e K
above), che coprono intervalli dai 12 ai 40 GHz.
Poi abbiamo la banda V e la banda W, che
presentano applicazioni molto specifiche e
particolari, e poi tutto il resto delle onde
millimetriche, che vanno dai 110 ai 300 GHz.

Le microonde comprendono tutto questo spettro che abbiamo indicato.

Dal punto di vista operativo, ancora fino ad 1 GHz sono considerate


radiofrequenze, e sopra i 100 GHz sono considerate onde millimetriche. Dai
300 MHz ai 300 GHz abbiamo numerose applicazioni.

Comunicazioni radio

Abbiamo le
comunicazioni
radio, link punto-
punto, ma anche il
broadcasting radio
e tv, che viene
realizzato con delle
antenne poste, in
genere, su alture,
su cui vengono installate potenze elevate (dell’ordine delle centinaia di kW),
che permettono di ricoprire in maniera omnidirezionale vaste aree
geografiche. Possiamo trasmettere un segnale radio o un segnale tv (analogico
e digitale) in maniera distribuita sul territorio.

Comunicazioni mobili

Le comunicazioni
mobili o wireless,
a partire dai
sistemi di prima
generazione, fino
a quelli attuali
della quinta
generazione,
sono sistemi che
lavorano alle frequenze delle microonde, e si basano, come le comunicazioni
radio che abbiamo illustrato prima, sulla propagazione del campo
elettromagnetico in un ambiente che può essere sia outdoor (vicino allo spazio
libero), o in un ambiente complesso (struttura cittadina complessa o gli
ambienti indoor).

La sfida delle
comunicazioni
mobili è quella di
essere sempre di
più integrate,
veloci e a latenza 0,
il che ci proietta nei
sistemi 5G e anche
oltre il 5G.
Entriamo nel vivo dell’internet of things e di un’industria intelligente.
Comunicazioni satellitari

Ancora per
quanto riguarda
lo spettro delle
microonde
abbiamo le
comunicazioni
satellitari, che
possono avvenire
tra satelliti e
satelliti, satelliti e
stazioni a terra, satelliti e velivoli, o veicoli, in movimento a terra. Le
comunicazioni satellitari sono importanti anche non solo come link punto-
punto, ma anche come broadcasting, cioè come diffusione su vaste aree del
segnale, per esempio, televisivo digitale, come avviene per le piattaforme di tv
satellitare.

Comunicazioni spaziali

Abbiamo le
comunicazioni
spaziali, che sono
tipiche dei
collegamenti tra
satelliti, ma
parliamo anche di
comunicazioni che
coinvolgono, ad
esempio, la
stazione spaziale internazionale piuttosto che vari veicoli spaziali quando sono
in missione.
Sistemi di comunicazione integrati – scenario militare

Si individuano
sistemi di
comunicazione
che riguardano
scenari in
ambito militare
e civile, e questo
è un esempio di
complessità in
ambito militare,
dove le comunicazioni che vengono gestite, e corrispondono all’integrazione di
diversi sistemi a disposizione, creano un ambiente complesso, integrato e
globalmente connesso.

Sistemi di comunicazione integrati – scenario civile

La stessa cosa
possiamo
immaginare in un
ambito civile,
dove andiamo
dalle
comunicazioni
veicolari, alle
macchine
intelligenti a guida
autonoma, fino agli edifici intelligenti. Il tutto nel rispetto dell’ambiente, ci si
concentra nella riduzione del consumo energetico, cercando il più possibile di
usare il wireless power transfer, quindi il trasferimento della potenza tramite
segnali wireless disponibili nell’ambiente per cercare di avere il più possibile
dispositivi che non hanno consumo, e che quindi non necessitano di
approvvigionamento energetico da parte della rete.

Radio-navigazione satellitare

Nell’ambito delle
microonde non
abbiamo soltanto
servizi e sistemi di
comunicazione,
ma anche servizi
e sistemi di radio-
navigazione o di
radio-localizzazione satellitari, come il sistema GPS. Anche qui esistono delle
bande di frequenze delle microonde dedicate a questo tipo di sistemi, che sono
oggi sempre più precisi ed estendono la loro funzionalità anche in ambito
indoor.

Identificazione a radio-frequenza

La localizzazione in ambiente indoor si lega ad un altro concetto, che è quello


dell’identificazione a radiofrequenza, che viene utilizzata in scenari
essenzialmente indoor, ma anche di tipo outdoor.

Radar per la difesa

Non abbiamo soltanto servizi di comunicazione e localizzazione, navigazione,


identificazione nell’ambito delle microonde, ma abbiamo tutti i sistemi radar.
Operano alle microonde anche i radar per la difesa. Abbiamo sistemi installati
su veicoli e su piattaforme fisse.
Sistemi radar per il traffico aereo

I sistemi radar vengono utilizzati anche in scenari civili, importanti sono i


sistemi radar per il controllo del traffico aereo che, appunto, vengono usati sia
per la gestione del traffico aeroportuale, sia anche ad un livello più alto, per
seguire le rotte dei singoli aerei.

Radar anticollisione

Un particolare sviluppo lo
stanno avendo i radar
anticollisione, che lavorano
dai 60 GHz in poi fino alle onde
millimetriche, che permettono
di evitare le collisioni tra veicoli, il che è importante per sistemi futuri di guida
autonoma.

Telerilevamento

I sistemi radar vengono


tipicamente utilizzati
per il telerilevamento,
quindi per acquisire
immagini di regioni,
terreni, foreste, calotte,
ghiaccio, manto nevoso, e così via. I sistemi radar vengono quindi utilizzati
tipicamente l’osservazione della terra, ma non solo, nell’ambito delle
frequenze dello spettro delle microonde troviamo anche sistemi radar usati
per individuare precipitazioni o condizioni meteo avverse.
Radioastronomia
Esistono delle
applicazioni dello
spettro delle
microonde che
sono legate alla
radioastronomia,
cioè
all’osservazione,
alla captazione di
segnali che provengono dallo spazio e che permettono di avere informazioni
sulla formazione delle galassie.

Ground Penetrating Radar

Per quanto riguarda


i radar, nell’ambito
delle frequenze
delle microonde,
abbiamo il
cosiddetto GPR, che
permette di
osservare quanto
c’è al di sotto del
terreno, e questi sistemi vengono montati su carrellini per ispezionare il
sottosuolo, su velivoli, oppure possono essere integrati in dispositivi
indossabili.

Trough-wall imaging
Un concetto simile di sistema radar è quello che viene usato per vedere
attraverso i muri e gli ostacoli, usato in ambiti militari, protezione civile ed altri
ambiti civili.
Armi a microonde

Possiamo usare la potenza delle microonde per realizzare armi come cannoni
alle microonde, pistole alle microonde (micro-wave gun).

Imaging a
microonde e
diagnostica
medica

Abbiamo il mondo
dell’imaging nelle
frequenze delle
microonde, possiamo far riferimento a scanner aeroportuali (che lavorano alle
onde millimetriche), fino agli scanner alle microonde per l’alta diagnostica
medica. Le microonde non vengono usate soltanto per vedere il corpo umano,
infatti possiamo considerare l’applicazione delle microonde in tutti gli ambiti di
radioterapia, anche come terapia medica. Si applicano le microonde nelle zone
malate, in maniera confinata, con delle opportune lenti, per poter distruggere
le cellule malate.

Sensoristica a microonde

Oltre al mondo dell’imaging c’è anche il mondo della sensoristica, quindi


abbiamo sensori per il rilevamento del movimento, della posizione, sistemi
antintrusione, sensori per analizzare materiali, per misurarne le proprietà,
sensori per valutare la qualità del cibo.

Trattamento del cibo


Il trattamento del cibo a microonde è un altro aspetto che mostra quanto
ampio sia il range di applicazioni che si servono dello spettro delle microonde,
abbiamo i forni a microonde, e, in ambito industriale, abbiamo strumenti per
cuocere, precuocere, sterilizzare, pastorizzare, essiccare il cibo.

Altre applicazioni industriali

Usiamo le microonde anche per altre applicazioni quali il trattamento della


gomma e della plastica (riscaldamento e vulcanizzazione della gomma vengono
tipicamente realizzati tramite le microonde), essiccare materiali come
inchiostri, tessuti, pelli, tabacco sfruttando la reattività dell’acqua alle
frequenze delle microonde. Si possono riscaldare anche composti chimici o
soluzioni per aumentare la velocità di reazione chimica e si possono usare le
microonde anche per realizzare un trattamento termico su diversi tipi di
materiali.

Queste sono le applicazioni principali, alcune delle quali, in una struttura ad


albero molto ramificata, danno vita poi ciascuna ad una serie di sotto-
applicazioni, devono essere alloggiate nell’ambito dello spettro delle
microonde, che è una risorsa che deve essere usata in maniera razionale.
Infatti, a tale scopo sono state date delle licenze, che sono assegnate ai diversi
provider di servizi in base al tipo di applicazione.

Considerando le bande tipiche delle microonde, vediamo quali sono i principali


servizi che sono ospitati in ciascuna di queste bande.

Banda L: 1-2 GHz

Nella banda L risiede senz’altro la telefonia mobile del tipo UMTS, cioè quella
di terza generazione, ma anche i sistemi GSM, quelli di seconda generazione
nella loro seconda fase (operavano a 1800 MHz in Europa, a 1900 MHz i sistemi
PCS negli Stati Uniti). A queste frequenze della banda L abbiamo anche la
telefonia satellitare che abbiamo, ad esempio, nelle navi e negli aerei quando
non abbiamo a disposizione una rete mobile terrestre. In questa banda di
frequenze abbiamo anche i sistemi di navigazione satellitare GPS e Galileo.
Abbiamo le bande note come L1 e L2, a 1100 e 1500 MHz, che permettono ai
dispositivi wireless indossabili (smartphone o smartwatch), ai sistemi di
navigazione installati sugli autoveicoli, di funzionare in queste due bande di
frequenze.

Altre applicazioni che risiedono nella banda L sono quelle della sorveglianza
degli aerei (1000-1100 MHz), abbiamo delle frequenze che possono essere
utilizzate dai radioamatori (1200-1300 MHz), e abbiamo applicazioni
importanti nella radio-astronomia che riguardano la linea dell’idrogeno, a circa
1,4 GHz, che emette, quando abbiamo una variazione spontanea all’interno
della molecola, una radiazione con lunghezza d’onda di 21 cm.

Banda S: 2-4 GHz

È una banda di frequenze al cui interno, da un lato, vi risiede parte della


telefonia mobile, quindi abbiamo la porzione a frequenza più alta del sistema
3G, UMTS, ma anche il 4G, l’LTE che lavora a 2600 MHz. All’interno della banda
S abbiamo la famosa frequenza di 2,4 GHz e di 3,5 GHz che sono due frequenze
libere, in cui è possibile avere delle radiazioni elettromagnetiche da parte di
dispositivi personali, senza l’utilizzo di alcuna licenza (il wi-fi lavora a 2,4 GHz,
quindi la banda libera dove è possibile installare sistemi di questo tipo è la
banda di 2400 MHz). Su questa banda abbiamo anche il funzionamento del
Bluetooth, a 3500 MHz funziona, tipicamente, il WiMax.

In questa banda lavorano tipicamente anche i radar meteo, e alla stessa


frequenza libera del wi-fi lavorano anche i forni a microonde. I generatori di
microonde che sono installati all’interno di un forno a microonde per generare
la radiazione a microonde sono settati per operare nella frequenza libera di 2,4
GHz. Comunemente, se il forno a microonde non è ben schermato, è possibile
avere delle interferenze con i dispositivi wireless che funzionano in wi-fi a casa.
All’interno della banda S lavorano le comunicazioni satellitari e spaziali, inoltre
a 2,4 GHz lavorano i sistemi di telefonia cordless che abbiamo a casa. La banda
S oggi è importante perché in questa risiede la sperimentazione dei sistemi
mobili 5G in Europa, stiamo tra i 3,4 ed i 3,8 GHz (questa è la banda che è stata
identificata come banda pioniera) insieme alle bande K, che lavorano tra i
24,25-27,25 GHz, e una banda a 700 MHz che si è resa disponibile dal
superamento dei sistemi analogici televisivi e radio.
Banda C: 4-8 GHz

È una banda importante perché contiene i sistemi wireless, i telefoni cordless, i


wi-fi di casa, che operano a 5,2 GHz. A questa frequenza la capacità del canale
è maggiore, quindi possiamo ottenere comunicazioni a velocità ben maggiore.
Le prime comunicazioni satellitari avvenivano a questa banda, poi si sono
spostate nelle bande K, e permangono ancora in queste bande comunicazioni e
servizi satellitari (quali, ad esempio, la tv satellitare) in paesi con precipitazioni
tropicali. A causa dell’attenuazione aggiuntiva dovuta alle precipitazioni, quindi
all’interazione del campo elettromagnetico con le goccioline d’acqua, è
necessaria una lunghezza d’onda maggiore, quindi una frequenza minore se
confrontate con quelle di uso tipico (che vedremo nelle bande K), per avere
una maggiore penetrazione del campo elettromagnetico all’interno delle
precipitazioni, il tutto per garantire un buon funzionamento delle
comunicazioni e dei servizi satellitari. L’attenuazione dovuta alla pioggia, che si
va ad aggiungere a quella dello spazio libero che abbiamo dal satellite, che è
molto lontano, fino all’antenna a parabola che usiamo per la ricezione del
segnale televisivo-satellitare, fa sì che il rapporto segnale su rumore della
comunicazione sia talmente deteriorato che il segnale utile non è più
disponibile, cosa che in paesi con precipitazioni tropicali è all’ordine del giorno.
Conviene quindi far operare le comunicazioni ed i servizi satellitari su una
banda che ha una lunghezza d’onda maggiore, in modo tale da assicurare una
maggiore penetrazione.

Banda X: 8-12 GHz

È la banda centrata intorno ai 10 GHz ed è quella che, principalmente, viene


usata per tutte le applicazioni militari, quindi parliamo di sistemi radar militari,
comunicazioni satellitari tipicamente in ambito militare, controllo del traffico
aereo. Anche alcune reti di comunicazioni terrestre, in particolare le
comunicazioni punto-punto avvengono in banda X. Se noi abbiamo un sistema
mobile di quinta, quarta, terza generazione, questi funzionano in modo tale
che le stazioni radio-base sono collegate fra di loro a forma di rete con una
centrale che prende il nome di mobile switching center. La comunicazione tra
le diverse stazioni radio-base che servono il territorio ed il mobile switching
center può avvenire tramite, ad esempio, fibre ottiche, quindi in maniera
cablata, oppure tramite collegamento punto-punto, e questo avviene,
tipicamente, utilizzando la banda X.

Bande K: 12-40 GHz

Le bande K sono tipicamente utilizzate per l’ambito satellitare. In particolare,


abbiamo la banda Ku, che va dai 12 ai 18 GHz, che viene utilizzata tipicamente
per broadcast da satellite (televisione satellitare, telecomunicazioni satellitari,
ecc). Ora le applicazioni in banda Ku ultimamente si stanno spostando in banda
Ka, che va dai 27 ai 40 GHz, quindi, più che raddoppiando la frequenza,
abbiamo a disposizione un maggior numero di canali, quindi possiamo
allargare la banda dei segnali ed ottenere non solo una maggiore capacità, ma
anche una maggiore velocità di trasmissione. La banda Ka viene usata
anch’essa per le comunicazioni ed il broadcast satellitare, e per i radar meteo.
La banda K, dai 18 ai 27 GHz, viene utilizzata per i radar per il controllo della
velocità ed anticollisione. L’ultima porzione della banda K e la banda Ka
vengono utilizzate per le comunicazioni mobili dei sistemi 5G.

Banda V: 40-75 GHz

È una banda molto interessante, perché viene utilizzata per particolari


applicazioni in ambito civile e militare. La frequenza di interesse è quella dei
60 GHz, che è legata al massimo dell’attenuazione che l’ossigeno offre al
campo elettromagnetico. A 60 GHz possiamo realizzare reti wireless che
presentano una bassissima interferenza, perché sono, in qualche modo, auto-
confinate. L’area in cui questi sistemi operano è ben definita perché c’è una
forte attenuazione del segnale dovuta all’interazione con l’ossigeno. Dal punto
di vista molecolare, l’ossigeno interagisce con il campo elettromagnetico in
maniera significativa proprio a 60 GHz, laddove abbiamo un picco di
attenuazione. A questa frequenza operano le comunicazioni inter-satellitari,
così non ci può essere nessuna interferenza con i segnali che escono dalla
superficie terrestre, inoltre, a 60 GHz, ci sarà una sorta di wi-fi del futuro, dove
possiamo avere comunicazioni terrestri ad elevatissimo data-rate. Parliamo di
sistemi che saranno non licenziati, quindi parliamo di bande libere, e a corto
range. L’importanza della banda V risiede nei 60 GHz in tutte le possibili
applicazioni e potenzialità che abbiamo a questa frequenza.

Banda W: 75-110 GHz

Viene utilizzata tipicamente in ambito militare per applicazioni radar e sistemi


d’arma.

Le onde millimetriche hanno una particolare interazione con il corpo umano, e


possono essere utilizzate nei sistemi di imaging, anche, ad esempio, per la
realizzazione degli scanner (ad esempio parliamo di scanner aeroportuali e
body-scanner). Sono scanner che lavorano alle frequenze delle onde
millimetriche. Abbiamo, alle frequenze delle onde millimetriche, applicazioni
in radioastronomia e nell’ambito del telerilevamento.

Analisi Modale di Guida d’onda Planare Simmetrica

Vediamo come è possibile studiare una guida planare simmetrica tramite i


modi pari ed i modi dispari.

Quando
vogliamo
considerare i
modi pari di
una guida
d’onda
simmetrica
dobbiamo
scrivere il
campo elettromagnetico all’interno della lamina dielettrica, ma solo la sua
parte pari, ovvero la parte del coseno, che è quella pari.

La parte del seno, invece, verrà lasciata per lo studio dei modi dispari.

Scrivendo solo il coseno, abbiamo che Hx ed Ey si ottengono con le solite


espressioni, ovvero derivando Ez rispetto ad y.
Scriviamo il campo elettromagnetico nel semispazio superiore, utilizzando k ym
e potendo il riferimento su y=d (parliamo di y-d).

Imponiamo le condizioni al contorno della continuità delle componenti


tangenziali in y=d. Quando noi studiamo modi pari e modi dispari, in realtà
studiamo
metà
struttura,
quindi la
struttura va
da 0 a d. In questo modo, quando andiamo a costruire l’equazione di
dispersione, questa assume una forma semplice, perché il sistema da risolvere
è un sistema 2x2, e quindi arriviamo a definire l’equazione di dispersione per i
modi pari.
Considerando solo i modi dispari consideriamo solo la variabilità secondo il
seno per Ez, e di conseguenza otteniamo Hx ed Ey all’interno della lamina.
Scriviamo il campo elettromagnetico nel semispazio superiore, e, procedendo
in maniera analoga, imponendo le condizioni al contorno, otteniamo
un’equazione di
dispersione molto
semplice. Dobbiamo
risolvere l’equazione di
dispersione per i modi
pari e per i modi dispari,
li mettiamo insieme, ed otteniamo l’interno spettro modale dell’intera guida
simmetrica, cioè la somma dei modi a simmetria pari e dei modi a simmetria
dispari.

Individuate le sostituzioni, che sono sempre le solite, ovvero nella lamina


dielettrica il ky è reale, mentre fuori si deve attenuare in maniera esponenziale
(quindi è puramente immaginario), normalizziamo il kz al k0, lo spessore alla
lunghezza d’onda, e andiamo ad inserire i dati numerici per la costante
dielettrica del substrato e per il semispazio sovrastante, che può essere, ad
esempio, l’aria. Individuiamo il minimo ed il massimo di variabilità del kz
normalizzato, che va dalla radice di 𝜀𝑚 alla radice di 𝜀𝑟 , ed effettuiamo il
grafico prima per lo spettro dei modi pari, poi, andando a risolvere l’equazione
di dispersione nel caso dei modi dispari, dei modi dispari, e li andiamo a
mettere insieme. Esiste un modo TM fondamentale, che ha una frequenza di
taglio che è nulla. E così si trovano gli andamenti dei campi esattamente per
come abbiamo visto per gli altri tipi di guide. L’andamento dei modi pari è di
tipo pari, l’andamento dei modi dispari è di tipo dispari. Questo è il caso dei
modi TM, e possiamo fare lo stesso anche nel caso dei modi TE. Per i modi TE
abbiamo Hz, che scriviamo nella sua parte pari, solo con il coseno, poi la sua
parte dispari, solo con il seno, e poi rifacciamo i calcoli che abbiamo visto
prima.

La guida planare simmetrica si può studiare in diversi modi, o prendiamo


l’analisi fatta nel caso della guida asimmetrica ed imponiamo che il semispazio
superiore e inferiore abbiano le stesse proprietà elettromagnetiche (ciò
semplifica l’equazione di dispersione). Oppure possiamo ripetere il
procedimento completo che abbiamo visto per la guida asimmetrica, e rifarlo
per la guida simmetrica. Possiamo inoltre pensare che, in una guida
simmetrica, proprio grazie alla simmetria rispetto al piano y=0, possiamo
individuare due strutture, che supportano rispettivamente solo modi pari e
solo modi dispari. La struttura che supporta i modi pari è metà struttura chiusa
da una parete magnetica perfetta, la struttura che supporta soltanto i modi
dispari è metà struttura che è chiusa sotto con una parete elettrica perfetta.
Avendo fatto ciò, possiamo studiare il caso dei modi pari e dei modi dispari in
maniera indipendente, ottenendo equazioni di dispersione estremamente
semplificate che vengono fuori da un sistema 2x2. Otteniamo quindi i modi TE
e TM a simmetria pari e a simmetria dispari.

Lo spettro modale della guida simmetrica è dato dalla sovrapposizione dei


modi TE e TM sia di tipo pari che di tipo dispari. I modi dispari rappresentano i
modi di una guida planare chiusa su un piano metallico. Quando studiamo la
lamina dielettrica chiusa sotto da un piano metallico, questa struttura è la
metà dispari di una guida simmetrica, quindi lo studio che abbiamo fatto per i
modi TM e per i modi TE dispari per la guida simmetrica sono anche le
soluzioni dei modi che possono esistere su una guida planare chiusa su un
piano di massa.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 15

Formalismo di Schwinger e Marcuvitz

Parliamo di un formalismo matematico generale, che è particolarmente utile


per lo studio delle strutture guidanti.

Assumiamo, nel formalismo cosiddetto di Schwinger e Marcuvitz, che esista


una direzione dello spazio lungo cui abbiamo la propagazione del campo
elettromagnetico. Nel caso delle guide d’onda che studieremo, la direzione
preferenziale che andremo ad individuare è proprio l’asse della guida d’onda
lungo cui avviene la propagazione del campo elettromagnetico.

Per prima cosa, separiamo la parte longitudinale da quella trasversale dei


campi vettoriali che abbiamo nelle equazioni di Maxwell. Le equazioni di
Maxwell ai rotori si scrivono come

𝜕𝐵⃗ (𝑟 , 𝑡)
𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟 , 𝑡) = − 𝛻⃗ × 𝐸⃗ (𝑟 ) = −𝑗𝜔𝜇𝐻 ⃗ (𝑟 )
𝜕𝑡 →
⃗ (𝑟 , 𝑡)
𝜕𝐷 𝛻⃗ × 𝐻⃗ (𝑟 ) = 𝑗𝜔𝜀𝑐 𝐸⃗ (𝑟 )
𝛻⃗ × 𝐻
⃗ (𝑟 , 𝑡) =
𝜕𝑡
Consideriamo un mezzo dielettrico lineare, isotropo, omogeneo, stazionario e
non dispersivo. Assumendo z come asse di propagazione, che è l’asse della
guida d’onda, separiamo il campo elettrico ed il campo magnetico in un
vettore che è solo longitudinale, ed in un vettore che giace sul piano trasverso
a z.
𝐸⃗ (𝑟 ) = 𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) + 𝑧̂ 𝐸𝑧 (𝑟 )
{
𝐻⃗ (𝑟 ) = 𝐻 ⃗ 𝑡 (𝑟 ) + 𝑧̂ 𝐻𝑧 (𝑟 )

Nelle equazioni di Maxwell, oltre ai campi vettoriali E ed H, compare anche


l’operatore di rotore. Il nabla è una quantità differenziale, esprime delle
derivate rispetto alle coordinate spaziali, però ha anche una natura vettoriale.

𝜕
𝛻⃗ = 𝛻⃗𝑡 + 𝑧̂
𝜕𝑧
Questo vuol dire che dobbiamo separare anche la componente longitudinale e
quella trasversa del vettore nabla. Abbiamo il rotore trasverso 𝛻⃗𝑡 , ed è un
operatore vettoriale che agisce solo sulle coordinate trasverse e che giace sul
piano trasverso alla direzione di propagazione. La parte longitudinale contiene
solo le derivate rispetto a z.

Scriviamo i rotori di E ed H in questo modo, decomponendo il vettore nabla, il


campo elettrico ed il campo magnetico, ed iniziamo a sviluppare tutte queste
espressioni.

𝜕
(𝛻⃗𝑡 + 𝑧̂ ) × [𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) + 𝑧̂ 𝐸𝑧 (𝑟 )] = −𝑗𝜔𝜇𝐻
⃗ 𝑡 (𝑟) + −𝑧̂ 𝑗𝜔𝜇𝐻𝑧 (𝑟)
𝜕𝑧
𝜕
(𝛻⃗𝑡 + 𝑧̂ ) × [𝐻𝑡 (𝑟) + 𝑧̂ 𝐻𝑧 (𝑟 )] = 𝑗𝜔𝜀𝑐 𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) + 𝑧̂ 𝑗𝜔𝜀𝑐 𝐸𝑧 (𝑟)
𝜕𝑧
Andando a sviluppare ci rendiamo conto che possiamo scrivere il tutto in una
forma più compatta.

𝜕
(𝛻⃗𝑡 + 𝑧̂ ) × [𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) + 𝑧̂ 𝐸𝑧 (𝑟)]
𝜕𝑧
⃗⃗⃗𝑡 (𝑟 )
𝜕𝐸 𝜕𝐸𝑧 (𝑟 )
= ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 × 𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) + ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 × 𝑧̂ 𝐸𝑧 (𝑟 ) + 𝑧̂ × + 𝑧̂ × 𝑧̂
𝜕𝑧 𝜕𝑧
⃗ 𝑡 (𝑟 ) + −𝑧̂ 𝑗𝜔𝜇𝐻𝑧 (𝑟)
= −𝑗𝜔𝜇𝐻
𝜕𝐸𝑧(𝑟 )
Abbiamo un termine nullo (𝑧̂ × 𝑧̂ ) perché nasce da un prodotto vettoriale
𝜕𝑧
tra due vettori che sono collineari, cioè sono tutti e due diretti secondo z.
Semplificando, otteniamo questi tre termini a primo membro, e questi due a
secondo membro.

⃗⃗⃗𝑡 (𝑟 )
𝜕𝐸
⃗⃗⃗
𝛻𝑡 × 𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) + ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 × 𝑧̂ 𝐸𝑧 (𝑟 ) + 𝑧̂ × ⃗ 𝑡 (𝑟) + −𝑧̂ 𝑗𝜔𝜇𝐻𝑧 (𝑟)
= −𝑗𝜔𝜇𝐻
𝜕𝑧

Possiamo ulteriormente sviluppare ⃗⃗⃗


𝛻𝑡 × 𝑧̂ 𝐸𝑧 (𝑟). Possiamo sfruttare l’identità
vettoriale che descrive l’espansione del 𝛻⃗ × 𝜙𝐴 = 𝜙𝛻⃗ × 𝐴 − 𝐴 × 𝛻⃗𝜙, quindi
otteniamo questa scomposizione ⃗⃗⃗ ⃗⃗⃗𝑡 × 𝑧̂ − 𝑧̂ × ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 × 𝑧̂ 𝐸𝑧 (𝑟 ) = 𝐸𝑧 (𝑟)𝛻 𝛻𝑡 𝐸𝑧 (𝑟).

Il primo termine è nullo perché z versore è costante con le coordinate


trasversali, quindi quando andiamo a derivare, le derivate sono tutte nulle,
quindi questo termine possiamo eliminarlo. Possiamo quindi sostituire al
rotore trasverso di 𝑧̂ 𝐸𝑧 (𝑟 ) solo l’ultimo termine. L’equazione si riduce a
questa.
⃗⃗⃗𝑡 (𝑟 )
𝜕𝐸
⃗⃗⃗
𝛻𝑡 × 𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) − 𝑧̂ × ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 𝐸𝑧 (𝑟 ) + 𝑧̂ × ⃗ 𝑡 (𝑟) + −𝑧̂ 𝑗𝜔𝜇𝐻𝑧 (𝑟)
= −𝑗𝜔𝜇𝐻
𝜕𝑧

Osserviamo che il termine ⃗⃗⃗ 𝛻𝑡 × 𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) giace nella direzione dell’asse z, perché è
il prodotto vettoriale tra due vettori che giacciono sul piano trasverso. Il
secondo termine giace sul piano trasverso a z perché il primo vettore giace
lungo z ed il secondo vettore è trasverso. Anche il terzo termine giace sul piano
trasverso a z. Uguagliando primo e secondo membro ci rendiamo conto che il
termine 𝐻⃗ 𝑡 (𝑟 ) è trasverso rispetto all’asse z, mentre il secondo termine è
diretto lungo z. Possiamo quindi considerare l’uguaglianza della parte
longitudinale con quella trasversale.

⃗⃗⃗
𝛻𝑡 × 𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) = −𝑧̂ 𝑗𝜔𝜇𝐻𝑧 (𝑟)

⃗⃗⃗𝑡 (𝑟 )
𝜕𝐸
−𝑧̂ × ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 𝐸𝑧 (𝑟) + 𝑧̂ × ⃗ 𝑡 (𝑟)
= −𝑗𝜔𝜇𝐻
𝜕𝑧
Quindi la singola equazione di Maxwell rotore di E si traduce in queste due
equazioni, la prima ha elementi diretti lungo l’asse z, la seconda sul piano
trasverso all’asse z.
La stessa cosa possiamo farla, per dualità, con il rotore di H, dove la prima
equazione ha elementi che sono diretti secondo l’asse z, mentre la seconda ha
elementi che giacciono sul piano trasverso a z.

⃗⃗⃗
𝛻𝑡 × 𝐻𝑡 (𝑟 ) = 𝑧̂ 𝑗𝜔𝜀𝑐 𝐸𝑧 (𝑟)

⃗⃗⃗⃗𝑡 (𝑟 )
𝜕𝐻
−𝑧̂ × ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 𝐻𝑧 (𝑟) + 𝑧̂ × = 𝑗𝜔𝜀𝑐 𝐸⃗𝑡 (𝑟 )
𝜕𝑧
Questo, quindi, è il risultato della decomposizione del campo elettromagnetico
nella parte longitudinale e nella parte trasversale, che coinvolge anche il
vettore nabla.

Fattorizziamo la soluzione del problema elettromagnetico in una parte che


dipende dalle coordinate trasversali ed in una parte che dipende da z.

𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) = ⃗⃗⃗
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍𝑒 (𝑧)
{
⃗ 𝑡 (𝑟 ) = ℎ⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍ℎ (𝑧)
𝐻

Non andiamo a perdere molto in generalità perché troveremo una soluzione


che poi, applicando le condizioni al contorno, e quindi applicando il teorema di
unicità, siamo sicuri essere una soluzione unica. La fattorizzazione la andiamo
ad eseguire per le componenti trasverse del campo elettrico e del campo
magnetico. Abbiamo che le coordinate trasversali possono essere qualsiasi, le
scriviamo in un sistema di riferimento ortogonale curvilineo generalizzato. La
variabilità secondo z la descriviamo in quel modo lì, ed il pedice ci ricorda che
quella è la dipendenza di z associata al campo E trasverso, oppure al campo H
trasverso. Per differenziare la parte del campo trasverso che dipende dalle
coordinate trasversali q1 e q2 usiamo la lettera minuscola. Lo stesso facciamo
per il campo magnetico, e la dipendenza da z, che indichiamo con 𝑍ℎ (𝑧), sarà
diversa.

Prendiamo questa espressione ed inseriamola nelle quattro equazioni


vettoriali che abbiamo trovato in precedenza.

⃗⃗⃗
𝛻𝑡 × 𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) = −𝑗𝜔𝜇𝐻𝑧 (𝑟 )𝑧̂
⃗⃗⃗𝑡 (𝑟 )
𝜕𝐸
−𝑧̂ × ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 𝐸𝑧 (𝑟) + 𝑧̂ × ⃗ 𝑡 (𝑟)
= −𝑗𝜔𝜇𝐻
𝜕𝑧
⃗⃗⃗𝑡 × ⃗⃗⃗
𝑍𝑒 (𝑧)𝛻 𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝑗𝜔𝜇𝐻𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧)𝑧̂

ⅆ𝑍𝑒 (𝑧)
𝑧̂ × ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 𝐸𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧) − 𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑗𝜔𝜇ℎ⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍ℎ (𝑧)
𝑧̂ × ⃗⃗⃗
ⅆ𝑧
Osserviamo che 𝑍𝑒 (𝑧) può essere portato fuori dal simbolo di nabla trasverso
perché non dipende dalle coordinate trasversali, ovvero quelle su cui opera il
nabla trasverso. Al secondo membro non abbiamo definito ancora come varia
𝐻𝑧 in funzione di z, abbiamo detto solo la variabilità di 𝐸⃗𝑡 ed ⃗⃗⃗⃗
𝐻𝑡 , quindi lo
scriviamo in funzione delle tre coordinate q 1, q2 e z. Nella seconda equazione
abbiamo 𝐸𝑧 , su cui ancora non abbiamo detto nulla, quindi lo scriviamo in
funzione di q1, q2 e z. 𝐸⃗𝑡 lo abbiamo separato nella parte trasversa e nella parte
che dipende da z, e la parte che dipende da Z è l’unica soggetta all’operazione
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) che dipende solo da q 1 e
di derivazione, che è totale. Rimane poi 𝑧̂ × ⃗⃗⃗
q2, dopodiché fattorizziamo il campo magnetico trasverso a secondo membro.

Quanto abbiamo fatto per la prima equazione di Maxwell, lo facciamo anche


per la seconda.

Ricapitolando, abbiamo individuato due step fondamentali:

- Separare il campo elettromagnetico nella parte longitudinale e la parte


trasversale, coinvolgendo anche il vettore nabla.
- Fattorizzare il campo trasverso in una parte che dipende dalle
coordinate trasversali q1 e q2 e in una parte che dipende dalla coordinata
longitudinale z.
Avendo applicato queste due ipotesi, andiamo a considerare le onde TE(z),
TM(z) e TEM(z), in quanto le strutture guidanti che consideriamo supportano in
particolar modo queste onde guidate. Se parliamo di strutture più complesse,
queste supportano anche dei modi ibridi. Noi consideriamo strutture guidanti
più semplici.

Ricordiamoci che TE vuol dire che Ez è nullo, TM vuol dire che Hz è nullo, TEM
vuol dire che sia Ez che Hz sono nulli.

Onde TE(z)

Considerando le onde TE(z) e le equazioni che abbiamo descritto prima,


laddove compare Ez, questo deve essere posto uguale a 0. Questa è la
variazione significativa che abbiamo nella scrittura di queste equazioni.

⃗⃗⃗𝑡 × ⃗⃗⃗
𝑍𝑒 (𝑧)𝛻 𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝑗𝜔𝜇𝐻𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧)𝑧̂

ⅆ𝑍𝑒 (𝑧)
− 𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑗𝜔𝜇ℎ⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍ℎ (𝑧)
𝑧̂ × ⃗⃗⃗
ⅆ𝑧
⃗⃗⃗𝑡 × ⃗⃗⃗
𝑍ℎ (𝑧)𝛻 ℎ𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 0

ⅆ𝑍ℎ (𝑧)
̂ × ⃗⃗⃗
−𝑧 𝛻𝑡 𝐻𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧) + 𝑧̂ × ⃗⃗⃗
ℎ𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑗𝜔𝜀𝑐 𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍𝑒 (𝑧)
ⅆ𝑧
Vediamo se possiamo capire com’è fatta la dipendenza da z di Hz. Nella prima
equazione abbiamo la fattorizzazione tra una funzione che dipende dalla sola z,
e una funzione che dipende dalle coordinate q1 e q2. Abbiamo quindi che Hz,
dovendo essere il primo membro uguale al secondo membro, sarà anch’esso
fattorizzabile in una parte che dipende solo da z, che è proprio uguale a 𝑍𝑒 (𝑧),
e in una parte trasversale. Possiamo scrivere che 𝐻𝑧 = ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍𝑒 (𝑧).
Operando questa fattorizzazione vediamo che i termini 𝑍𝑒 (𝑧) si semplificano al
primo e al secondo
membro. Quindi,
per le componenti
di campo
elettromagnetico
che compaiono
nelle onde TE,
queste sono le
fattorizzazioni.

Quelle per ⃗⃗⃗


𝐸𝑡 ed 𝐻⃗ 𝑡 sono quelle che abbiamo introdotto prima, mentre dalla
prima equazione abbiamo scoperto che Hz ha la stessa variabilità di E trasverso
rispetto a z. Aver introdotto questa ipotesi, se andiamo a vedere la seconda
𝑑𝑍𝑒 (𝑧)
equazione, ci porta a dire che e 𝑍ℎ (𝑧) sono legati tra loro, affinché primo
𝑑𝑧
e secondo membro siano uguali tra loro, anche le dipendenze da z devono
essere uguali. In particolare, abbiamo una relazione di proporzionalità del tipo
𝑑𝑍𝑒 (𝑧)
= −𝑗𝑘𝑧 𝑍ℎ (𝑧). La costante di proporzionalità è arbitraria, scegliamo
𝑑𝑧
quella che matematicamente ci conviene di più. L’importante è che sia chiaro
𝑑𝑍𝑒 (𝑧)
che deve essere uguale, a meno di una costante moltiplicativa, a 𝑍ℎ (𝑧).
𝑑𝑧

Dalla quarta
equazione ci
rendiamo conto
che questa
espressione ci
dice che anche la
𝑑𝑍ℎ (𝑧)
è legata a
𝑑𝑧
𝑑𝑍ℎ (𝑧)
𝑍𝑒 (𝑧) da una relazione di proporzionalità del tipo = −𝑗𝑘𝑧 𝑍𝑒 (𝑧). Anche
𝑑𝑧
qui la costante di proporzionalità è arbitraria, la scegliamo uguale a quella che
abbiamo trovato in precedenza.

ⅆ𝑍𝑒 (𝑧)
= −𝑗𝑘𝑧 𝑍ℎ (𝑧)
ⅆ𝑧
ⅆ𝑍ℎ (𝑧)
= −𝑗𝑘𝑧 𝑍𝑒 (𝑧)
ⅆ𝑧
Queste due equazioni, messe a sistema, rappresentano le equazioni delle linee
di trasmissione, dove 𝑍𝑒 (𝑧) svolge il ruolo di una tensione, mentre 𝑍ℎ (𝑧)
svolge il ruolo di una corrente. Derivando rispetto a z il legame trovato tra
𝑑 2 𝑍𝑒 (𝑧) 𝑑𝑍ℎ (𝑧)
𝑍𝑒 (𝑧) e 𝑍ℎ (𝑧) si ottiene = −𝑗𝑘𝑧 = − − 𝑘𝑧2 𝑍𝑒 (𝑧) , la cui soluzione
𝑑𝑧 2 𝑑𝑧
si esprime come 𝑍𝑒 (𝑧) = 𝑐1 𝑒 −𝑗𝑘𝑧𝑧 + 𝑐2 𝑒 𝑗𝑘𝑧 𝑧
.

Possiamo esprimere questi due contributi come somma di due onde diretta e
1 𝑑𝑍𝑒 (𝑧)
riflessa, avremo un segno meno per l’onda riflessa di 𝑍ℎ (𝑧) = − =
𝑗𝑘𝑧 𝑑𝑧
𝑐1 𝑒 −𝑗𝑘𝑧 𝑧 − 𝑐2 𝑒 𝑗𝑘𝑧𝑧 perché questa svolge il ruolo di una corrente (cosa che
accade anche nel caso della corrente in una linea di trasmissione). La
dipendenza rispetto a z quindi deve essere una dipendenza che definisce la
propagazione di queste onde TE nella direzione dell’asse z. Nella direzione
dell’asse z ci può essere un’onda che viaggia lungo il verso positivo dell’asse z e
un’altra che viaggia nel verso negativo dell’asse z.

Per ogni onda TE(z) possiamo definire una linea di trasmissione che ne descrive
la propagazione lungo z.

Una volta eliminata la dipendenza da z, che avevamo in 𝑍𝑒 e 𝑍ℎ , rimangono da


risolvere le quattro equazioni scritte solo nelle coordinate trasversali in q1 e
q2. La soluzione
di questo
sistema è una
soluzione
abbastanza
complessa, per
poter scrivere le soluzioni di tutte le componenti del campo elettromagnetico
𝑒𝑡 ed ℎ⃗𝑡 , ci conviene partire dalla soluzione per ℎ𝑧 , che
delle onde TE, cioè ℎ𝑧 , ⃗⃗⃗
si ottiene tramite la soluzione dell’equazione di Hemlholtz scritta per
𝐻𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧) nel caso generale.
𝜕2 𝐻𝑧 (𝑞1 ,𝑞2 ,𝑧)
𝛻𝑡2 𝐻𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧) + = −𝑘 2 𝐻𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧)
𝜕𝑧 2
Siccome la dipendenza da z già la conosciamo per 𝐻𝑧 , che è proprio uguale a
𝑍𝑒 (𝑧), possiamo introdurla dentro l’equazione scritta in precedenza.

Arriviamo a questa equazione di Helmholtz sul piano trasverso, che coinvolge


soltanto le coordinate trasversali, la cui soluzione ci dà Hz, una volta noto il
quale possiamo determinare 𝑒𝑡 ed ℎ⃗𝑡 per le onde TE. Sappiamo che il k nella
direzione longitudinale (kz) al quadrato è tale che 𝑘 2 = 𝑘𝑧2 + 𝑘𝑡2, quindi
l’equazione contiene il k sul piano trasverso al quadrato 𝑘𝑡2.
2
⃗⃗⃗
𝛻𝑡 ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝑘𝑡2 ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 )

𝑘𝑡2 = 𝑘 2 − 𝑘𝑧2

Abbiamo che 𝑘𝑡2 dipende da come è caricata la guida d’onda, cioè dal
dielettrico che riempie la guida d’onda, ed è legato anche alla costante di
propagazione del modo che viaggia all’interno della guida d’onda, infatti
abbiamo che 𝑘𝑡2 = 𝜔2 𝜇𝜀𝑐 − 𝑘𝑧2. Dopo aver risolto l’equazione di Helmholtz,
cosa che sappiamo fare nei diversi sistemi di riferimento (quindi rettangolare o
cilindrico), introduciamo la soluzione per ℎ𝑧 nelle altre equazioni che abbiamo
(riprendiamo il sistema precedente), e possiamo ricavare 𝑒𝑡 ed ℎ⃗𝑡 .

Moltiplichiamo il primo ed il secondo membro della prima equazione,


𝑒𝑡 ed ℎ⃗𝑡 . Per
vettorialmente, per 𝑧̂ × per trovare una relazione che lega ⃗⃗⃗
risolvere la prima equazione abbiamo usato l’espansione 𝐴 × 𝐵 × 𝐶 =
𝐵(𝐴 ⋅ 𝐶) − 𝐶(𝐴 ⋅ 𝐵). Nel secondo passaggio notiamo che il primo termine è
nullo perché
abbiamo il
prodotto
scalare tra
due vettori
ortogonali
tra loro, il termine seguente contempla 𝑧̂ ⋅ 𝑧̂ = 1, e quindi esprimiamo in quel
modo 𝑒𝑡 in funzione di ℎ⃗𝑡 . Introdotta questa 𝑒𝑡 nella seconda, otteniamo
l’espressione di 𝑒𝑡 in funzione di ℎ𝑧 .
𝜔𝜇
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑗 𝑧̂ × 𝛻⃗𝑡 ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 )
𝑘𝑡2

Ripetiamo lo stesso ragionamento per determinare

𝑘𝑧
ℎ⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝑗 𝛻⃗ ℎ (𝑞 , 𝑞 )
𝑘𝑡2 𝑡 𝑧 1 2

In definitiva, nel caso delle onde TE(z), 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 0. Dobbiamo risolvere


2
l’equazione di Helmholtz ⃗⃗⃗ 𝛻𝑡 ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝑘𝑡2 ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) sul piano trasverso.
Ricavata ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ), ne calcoliamo il gradiente, e tramite il gradiente otteniamo
𝜔𝜇
direttamente 𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑗 𝑧̂ × 𝛻⃗𝑡 ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) ed ℎ⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) =
𝑘𝑡2
𝑘𝑧
−𝑗 ⃗
𝛻 ℎ (𝑞 , 𝑞 ).
𝑘𝑡2 𝑡 𝑧 1 2

Onde TM(z)

Ripetiamo la stessa cosa nel caso delle onde TM(z), dove abbiamo che H z=0.

Dalla prima equazione troviamo che 𝐸𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧) ha una dipendenza da z che


va come 𝑍ℎ (𝑧). Possiamo semplificare quindi i termini in 𝑍ℎ (𝑧) nell’equazione
𝑍ℎ (𝑧)𝛻⃗𝑡 × ℎ⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑗𝜔𝜀𝑐 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍ℎ (𝑧)𝑧̂ . Scriviamo le fattorizzazioni
⃗⃗⃗ 𝐻𝑡 (𝑟 ) = ⃗⃗⃗
𝐸𝑡 (𝑟 ) = 𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍𝑒 (𝑧), ⃗⃗⃗⃗ ℎ𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍ℎ (𝑧) ed 𝐸𝑧 (𝑟 ) =
𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍ℎ (𝑧).

Prendiamo la seconda equazione del sistema che abbiamo in alto in figura ed


𝑑𝑍ℎ (𝑧) 𝑑𝑍𝑒 (𝑧)
eguagliamo le parti in z, troviamo che = −𝑗𝑘𝑧 𝑍𝑒 (𝑧) e che =
𝑑𝑧 𝑑𝑧
−𝑗𝑘𝑧 𝑍ℎ (𝑧), con questa costante di proporzionalità −𝑗𝑘𝑧 che ci conviene
utilizzare, ricordiamo che è arbitraria. Anche qui, andiamo al secondo ordine,
quindi derivando rispetto a z il legame trovato tra 𝑍𝑒 (𝑧) e 𝑍ℎ (𝑧) si ottiene
𝑑 2 𝑍𝑒 (𝑧) 𝑑𝑍ℎ (𝑧)
= −𝑗𝑘𝑧 =
𝑑𝑧 2 𝑑𝑧
−𝑘𝑧2 𝑍𝑒 (𝑧).Otteniamo la
soluzione per 𝑍𝑒 (𝑧), che
assume il ruolo di una
tensione e per 𝑍ℎ (𝑧) che, invece, assume il ruolo di una corrente. Eliminando
le dipendenze da z rimangono queste quattro equazioni vettoriali.

Anche qui, ci conviene partire dall’ultima equazione, ovvero dalla Helmholtz


per 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ), risolverla ed ottenere ⃗⃗⃗
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) ed ℎ𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ). Partiamo dalla
Helmholtz scritta nel caso generale, introduciamo le dipendenze dalla variabile
z, ottenendo che

Abbiamo una Helmholtz scritta nelle sole coordinate trasversali, sapendo che
𝑘𝑡2 = 𝜔2 𝜇𝜀𝑐 − 𝑘𝑧2 dipende dal dielettrico e dalla costante di propagazione
dell’onda lungo z. Quindi avremo un’equazione di Helmholtz sul piano
2
trasverso del tipo ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝑘𝑡2 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) dove l’autovalore è dato
stavolta da 𝑘𝑡2. Una volta trovata la soluzione per 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ), ricaviamo ⃗⃗⃗
𝑒𝑡 ed
⃗⃗⃗
ℎ𝑡 . Ripetiamo i passaggi fatti nel caso precedente, quindi moltiplichiamo
vettorialmente primo e secondo membro per z versore in maniera tale da
𝜔𝜀
esplicitare, dopo alcuni conti, ℎ⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑐 𝑧̂ × ⃗⃗⃗
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ).
𝑘𝑧

𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) si ottiene dalla


Il campo elettrico trasverso ⃗⃗⃗

Quindi, in definitiva, nel caso delle onde TM(z) abbiamo che ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 0.
Risolviamo l’equazione di Helmholtz per 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) sul piano trasverso. Trovato
𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) ne valutiamo il gradiente, una volta noto il quale, otteniamo ⃗⃗⃗
𝑒𝑡 ed
⃗⃗⃗
ℎ𝑡 . Questo è il modo generale per risolvere le onde TM(z) all’interno di una
struttura guidante che ammette un’asse di propagazione secondo z.

A seconda del tipo di guida d’onda che andiamo a considerare, che sia
rettangolare, circolare, un cavo coassiale, andremo a particolarizzare
𝑒𝑡 ed ⃗⃗⃗
l’equazione di Helmholtz e troviamo le espressioni ⃗⃗⃗ ℎ𝑡 in funzione di ez per
quella particolare guida. Ma questo è un formalismo generale, la sezione della
guida d’onda può essere qualsiasi.

Onde TEM(z)

Un po’ diverso è il caso delle onde TEM(z), dove sia la componente Ez che Hz
sono nulle. Abbiamo che le prime equazioni dei due sistemi sono uguali a 0.
Dobbiamo vedere come
dobbiamo operare, non
possiamo trovare la
Helmholtz per Ez ed Hz.
Dobbiamo escogitare un
modo diverso per
arrivare alla soluzione di
tutte le componenti del
𝑒𝑡 ed ⃗⃗⃗
campo, che sono solo, stavolta, ⃗⃗⃗ ℎ𝑡 .

La dipendenza da z può essere studiata nello stesso modo che abbiamo visto in
precedenza, quindi anche qui possiamo scrivere le due equazioni del tipo
𝑑𝑍ℎ (𝑧) 𝑑𝑍𝑒 (𝑧)
= −𝑗𝑘𝑧 𝑍𝑒 (𝑧) e = −𝑗𝑘𝑧 𝑍ℎ (𝑧). Semplificata la dipendenza da z, le
𝑑𝑧 𝑑𝑧
quattro equazioni che
mettiamo a sistema sono
quelle indicate qui.
Scriviamo la dipendenza di
et da ht che ricaviamo dalla
seconda equazione e dalla
quarta equazione. Dalla
seconda equazione
deriviamo ⃗⃗⃗
𝑒𝑡 in funzione di
⃗⃗⃗
ℎ𝑡 , dalla quarta avremo
sempre ⃗⃗⃗𝑒𝑡 ed ⃗⃗⃗
ℎ𝑡 . Abbiamo due
espressioni diverse, perché
sono diversi i contributi che
moltiplicano il prodotto vettoriale tra h trasverso e z versore. Quindi, affinché
𝜔𝜇 𝑘𝑧
𝑒𝑡 sia espresso in maniera univoca, dobbiamo uguagliare
⃗⃗⃗ = , da cui
𝑘𝑧 𝜔𝜀𝑐
ricaviamo, facendo il minimo comune multiplo, che 𝑘𝑧2 = 𝜔 𝜇𝜀𝑐 = 𝑘 2 → 𝑘𝑡2 =
2

0, quindi, se questo è vero, non abbiamo una variabilità del campo


elettromagnetico sulla sezione trasversale. Il 𝑘𝑧 definisce la variabilità
longitudinale del campo.

I k sono dei numeri d’onda, quindi sono delle frequenze spaziali, e descrivono
come varia il campo spazialmente, nelle varie armoniche spaziali, nelle varie
direzioni. Tutte le onde TEM(z), sul piano ortogonale a z, non devono avere una
variabilità del campo, che quindi varierà soltanto secondo z.

Arriviamo alla soluzione per ⃗⃗⃗ 𝑒𝑡 ed ⃗⃗⃗


ℎ𝑡 . Poiché 𝛻⃗𝑡 × 𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 0 →
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝛻⃗𝑡 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ). È come se avessimo l’uguaglianza tra il rotore
trasverso di e trasverso ed il rotore trasverso di 0, quindi gli argomenti su cui
opera il rotore sono uguali tra loro a meno di un gradiente, in questo caso, di
una funzione scalare, che è funzione delle coordinate trasversali q1 e q2.
Definiamo la divergenza trasversa di e trasverso.

A tale scopo, decomponiamo la 𝛻⃗ ⋅ 𝐷 ⃗ . Si ha che 𝐸𝑧 = 0 perché consideriamo le


onde TEM(z).
Quindi
abbiamo
ottenuto che
𝛻⃗ ⋅ 𝐷
⃗ = 𝛻⃗𝑡 ⋅ ⃗⃗⃗
𝐸𝑡 = 0. Abbiamo che ⃗⃗⃗
𝑒𝑡 ha rotore uguale a 0 e divergenza uguale a
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝛻⃗𝑡 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ),
0, quindi è un campo statico, quindi, se scriviamo ⃗⃗⃗
se consideriamo la divergenza del primo e del secondo membro avremo che
2
⃗⃗⃗ 𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = ⃗⃗⃗
𝛻𝑡 ⋅ ⃗⃗⃗ 𝛻𝑡 ⋅ [−𝛻⃗𝑡 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 )] = −𝛻
⃗⃗⃗𝑡 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) = 0, e quindi avremo la
2
seguente equazione di Laplace che ci dice che ⃗⃗⃗ 𝛻𝑡 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) = 0. Quindi, nel
caso delle onde TEM(z), otteniamo prima questa funzione scalare non come
soluzione di un’equazione di Helmholtz, ma come soluzione di un’equazione di
Laplace, essendo a tutti gli effetti, sul piano trasverso, un problema statico.
Questa soluzione ci restituisce 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ), valutandone il gradiente trasverso,
𝑒𝑡 , da cui otteniamo ⃗⃗⃗
otteniamo ⃗⃗⃗ ℎ𝑡 .

La stessa cosa potevamo fare considerando che ⃗⃗⃗


ℎ𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝛻⃗𝑡 𝛹(𝑞1 , 𝑞2 ).

𝑒𝑡 ed ⃗⃗⃗
Quindi, in definitiva, le componenti ⃗⃗⃗ ℎ𝑡 , nel caso di un’onda TEM(z), si
ottengono come segue. Si prende l’equazione di Laplace per una funzione
scalare che può essere legata al campo elettrico o al campo magnetico, si trova
la soluzione per 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) o 𝜓(𝑞1 , 𝑞2 ), se ne fa il gradiente per ricavare ⃗⃗⃗
𝑒𝑡 ,
𝜀
oppure ⃗⃗⃗
ℎ𝑡 , e poi da questi si ricava ⃗⃗⃗
ℎ𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = √ 𝑐 𝑧̂ × ⃗⃗⃗
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ), oppure
𝜇

𝜇
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) = √ ℎ⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) × 𝑧̂ .
⃗⃗⃗
𝜀𝑐

Ripetiamo dal punto di vista concettuale i passi importanti di questo


formalismo:
- Consideriamo una direzione, che è quella dell’asse z, lungo cui avverrà la
propagazione all’interno della struttura.
- Decomponiamo il campo elettromagnetico, quindi E ed H, in una parte
trasversale ed in una parte longitudinale, lo stesso facciamo per
l’operatore vettoriale nabla.
- Sviluppiamo le equazioni di Maxwell avendo fatto questa
decomposizione, ottenendo a valle due equazioni i cui elementi
giacciono sul piano trasverso a z e lungo z sia per rotore di E, che per il
rotore di H.
- Fattorizziamo la soluzione per le componenti trasverse 𝐸⃗𝑡 (𝑟 ) ed 𝐻⃗ 𝑡 (𝑟) in
una parte che mantiene la natura vettoriale e che è funzione di q1 e q2,
ed in una parte che dipende da z.
- Avendo imposto questa fattorizzazione occorre inserire quanto ottenuto
nelle quattro equazioni che compongono il sistema in analisi. Le
considerazioni fatte ci hanno portato a queste relazioni dove le
dipendenze dalle coordinate spaziali q1, q2 e z non sono ancora
esplicitamente fattorizzate per Ez e Hz.

- Abbiamo considerato il caso delle onde TE(z) e abbiamo trovato come


Ze(z) è legato a Zh(z), e abbiamo trovato la fattorizzazione per 𝐻𝑧 (𝑟 ) =
ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 )𝑍𝑒 (𝑧). Abbiamo trovato il legame tra Ze(z) e Zh(z), che è del
tipo linea di trasmissione che descrive la propagazione di queste onde TE
lungo z tramite un’onda diretta e un’onda riflessa. La parte trasversale,
invece, la dobbiamo ancora risolvere, e la si trova a partire dalle
equazioni di Helmholtz in 𝐻𝑧 . Prima la si scrive nella forma generale, e
poi si dimostra che si riduce a questa equazione sul piano trasverso
𝛻⃗𝑡2 ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝑘𝑡2 ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ).
- Una volta trovato 𝐻𝑧 tramite la soluzione dell’equazione di Helmholtz
𝑒𝑡 ed ⃗⃗⃗
abbiamo anche ⃗⃗⃗ ℎ𝑡 .
- Lo stesso abbiamo fatto nel caso TM. Quindi abbiamo trovato la
fattorizzazione per Ez, che dipende da 𝑍ℎ (𝑧), il legame che c’è tra Ze e Zh,
ancora una volta, del tipo linea di trasmissione, quindi anche le onde
TM(z) si propagano secondo z esattamente allo stesso modo. La
soluzione per le varie componenti di campo passa per la soluzione
dell’equazione di Helmholtz di Ez. Quest’ultima si traduce in
un’equazione di Helmholtz sul piano trasversale, che ha come
autovalore 𝑘𝑡2. Trovata la soluzione per ez, possiamo valutare il gradiente
𝑒𝑡 , e poi troviamo ⃗⃗⃗
di ez per ottenere ⃗⃗⃗ ℎ𝑡 . Abbiamo trovato tutto il campo
delle onde TM(z).
- Abbiamo considerato il caso delle onde TEM(z). Troviamo anche qui che:
Anche in questo
caso abbiamo la
propagazione
lungo l’asse z di un’onda diretta e di un’onda riflessa. La parte
trasversale ci porta a fare una considerazione importante. Ottenendo ⃗⃗⃗ 𝑒𝑡
dalla seconda e dalla quarta equazione, ed uguagliando le due
espressioni, troviamo che 𝑘𝑡2 = 0, ovvero non abbiamo variabilità
spaziale lungo il piano trasverso a z. Abbiamo espresso ⃗⃗⃗ 𝑒𝑡 tramite una
funzione scalare, ugualmente abbiamo fatto per ⃗⃗⃗ ℎ𝑡 , quindi, una volta
risolta l’equazione di Laplace per la funzione scalare in analisi, otteniamo
e trasverso ed h trasverso direttamente.

Impedenza d’onda

Si definisce impedenza
d’onda la quantità che
lega il campo elettrico
trasverso al campo
magnetico trasverso
𝜔𝜇
𝑍𝑇𝐸 = . Ha
𝑘𝑧
le dimensioni
di
un’impedenza.
Per valutarne il
significato
fisico consideriamo la propagazione di un’onda TE lungo z. Assumendo la
presenza della sola onda diretta, il legame tra i campi trasversi risulta scritto in
𝜔𝜇
questa forma qui, dove abbiamo che rappresenta la proporzionalità che c’è
𝑘𝑧
tra tutto Et e tutto
Ht.

L’impedenza della
sola onda diretta
sarà data quindi da
+ 𝜔𝜇
𝑍𝑇𝐸 = .
𝑘𝑧
Possiamo
considerare in una
guida d’onda anche
il caso della
presenza della sola onda riflessa, e troviamo, rifacendo il calcolo come
− 𝜔𝜇
abbiamo visto prima, che 𝑍𝑇𝐸 =− , questo perché Zh presenta il segno – per
𝑘𝑧
l’onda riflessa. Questa impedenza d’onda TE + e - dipende dal materiale che
utilizziamo per riempire la guida, dipende dalla frequenza e dipende da k z, e kz
dipende da 𝑘𝑡2, quindi dalla variabilità nella direzione trasversa, che a sua volta
dipende da com’è fatta la sezione trasversa della guida che stiamo
+ −
considerando. Per ogni guida 𝑍𝑇𝐸 e 𝑍𝑇𝐸 varieranno in ragione di come varia 𝑘𝑧
rispetto a 𝑘𝑡2.

𝑘𝑧
𝑒𝑡 e ⃗⃗⃗
Nel caso delle onde TM, il rapporto tra ⃗⃗⃗ ℎ𝑡 si esprime come 𝑍𝑇𝑀 = .
𝜔𝜀𝑐
Anche qui possiamo assumere il caso della sola onda diretta.

+ + 𝜇 2 , ovvero all’impedenza
Se facciamo il prodotto tra 𝑍𝑇𝐸 𝑍𝑇𝑀 = = 𝜂𝑚
𝜀𝑐
intrinseca del materiale che riempie la guida al quadrato, stessa cosa se
− − 𝜇 2 .
consideriamo 𝑍𝑇𝐸 𝑍𝑇𝑀 = = 𝜂𝑚
𝜀𝑐

Nel caso delle onde TEM(z) abbiamo che queste due quantità devono essere
uguali tra loro, e affinché ciò accada dobbiamo avere che k z=k=𝜔√𝜇𝜀𝑐 . Non
abbiamo il 𝑘𝑡2. Quando abbiamo la sola onda diretta all’interno di una guida
d’onda che supporta il modo TEM(z), questo si propaga nella guida avendo la
stessa impedenza di un’onda piana che viaggia in un mezzo infinitamente
esteso. Quindi anche qui possiamo considerare la presenza della sola onda
+ 𝜇
𝑍𝑇𝐸𝑀 =√
𝜀𝑐
diretta e della sola onda riflessa, trovando che .
− 𝜇
𝑍𝑇𝐸𝑀 = −√
{ 𝜀𝑐
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 16

Guide d’onda metalliche

Abbiamo introdotto uno strumento matematico che permette di ottenere la


soluzione del problema elettromagnetico in una guida d’onda. Consideriamo
un particolare tipo di struttura guidante al quale applicare questo formalismo.
Abbiamo strutture metalliche, guide d’onda costituite da un tubo metallico,
che ha una direzione preferenziale che facciamo coincidere con l’asse z.

Il tubo è riempito da un opportuno materiale dielettrico, ed il tubo viene


assunto uniforme, quindi la sezione trasversa, che può avere una forma
arbitraria, rimane sempre uguale a sé stessa.
Abbiamo una struttura a simmetria cilindrica, quindi un asse di simmetria della
struttura e di riferimento lungo cui avverrà la propagazione, e la sezione
trasversa, che ha una forma qualsiasi, e su questa possiamo considerare un
sistema di riferimento generalizzato con i versori q1 e q2 ortogonali tra di loro.

Considerando il mantello metallico idealmente conduttore, quindi stiamo


parlando di un conduttore elettrico perfetto PEC, andiamo ad imporre le
condizioni al contorno, ovvero quella relativa all’annullamento della
componente tangenziale del campo elettrico sul mantello.

È ridondante ma possiamo anche imporre che


la componente normale del campo magnetico
si annulli sul contorno stesso.

Poiché parliamo di una guida uniforme,


possiamo limitarci ad imporre le condizioni al
contorno non su tutto il mantello cilindrico, ma
solo sul contorno della singola sezione. Quindi
individuiamo i tre versori di riferimento sul contorno, quindi la normale al
contorno, il versore tangente al
contorno, ed il versore dell’asse z,
le condizioni al contorno sul
contorno della sezione saranno le
seguenti.

Giusto per avere un quadro di riferimento completo, il che può essere utile per
strutture di guida d’onda particolarmente complesse, può valer la pena alle
volte trasformare il problema elettromagnetico che abbiamo in un problema
equivalente, dove si possono introdurre delle simmetrie pari, legate alla
presenza di conduttori magnetici ideali (PMC).

Nel caso di un conduttore magnetico


ideale valgono le condizioni al
contorno duali, quindi si devono
annullare le componenti tangenziali
del campo magnetico, oppure possiamo dire che la componente normale del
campo elettrico deve annullarsi.

Non esistono in natura conduttori magnetici ideali, questi vengono introdotti


in elettromagnetismo per descrivere particolari situazioni di simmetria pari,
quindi a volte può essere utile chiudere un lato di una guida d’onda con un
conduttore magnetico ideale per studiare la metà, o un quarto, della struttura.
Questo è utile per la trattazione analitica di una guida d’onda.

Specializziamo le condizioni al contorno scritte in forma generale al caso delle


tre principali configurazioni di campo TE(z), TM(z) e TEM(z).

È bene scrivere le condizioni al


contorno in termini di hz, e
data questa equazione
differenziale di Helmholtz che
dobbiamo risolvere nella
sezione trasversa, una volta
determinato hz troviamo
⃗⃗⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ).
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) ed ℎ
⃗⃗⃗

Imponiamo quindi le tre condizioni al contorno, la seconda è sempre


soddisfatta perché 𝐸𝑧 = 0 per le onde TE(z).

La prima vuol dire che dobbiamo considerare il campo elettrico, che ha solo la
componente trasversa, la quale è proporzionale al gradiente trasverso di
ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) che moltiplica vettorialmente il versore z, il tutto deve essere
moltiplicato scalarmente per 𝜏̂ , valutato sul contorno e posto uguale a 0.

Quando abbiamo un prodotto vettoriale ed un prodotto scalare, possiamo


scambiare i due prodotti, fatto ciò, otteniamo 𝑧̂ × 𝜏̂ , che è proporzionale a n
versore, quindi questa condizione al contorno si scriverà come

𝛻𝑡 ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) ⋅ 𝑛̂|𝑐
L’ultima condizione al contorno è ridondante. Consideriamo la componente
trasversa del campo magnetico, perché quella in direzione di z è ortogonale ad
n, quindi non da contributo.

Anche qui abbiamo la stessa condizione al contorno che abbiamo visto nel caso
precedente, a dimostrazione del fatto che l’ultima condizione al contorno è
ridondante. In definitiva, poiché la seconda è sempre soddisfatta, per avere
l’annullamento delle componenti tangenziali del campo elettrico, c’è bisogno
che il gradiente trasverso di ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) nella componente secondo n sul
contorno deve essere uguale a 0.

La componente secondo n versore del vettore gradiente trasverso di ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 )


non è nient’altro che la derivata normale di ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) fatta sul contorno,
quindi dobbiamo imporre questa condizione al contorno nel caso delle onde
TE(z)

𝜕ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 )
| =0
𝜕𝑛 𝑐

Nel caso delle onde TM(z) abbiamo che ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 0, ma su ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) non
abbiamo condizioni al contorno, quindi dobbiamo trovare delle condizioni al
contorno da esprimere in
termini di 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) da
affiancare all’equazione di
Helmholtz sulla sezione
trasversa per 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) in
maniera tale da poter
risolvere l’equazione
differenziale con le relative
condizioni al contorno.

La seconda condizione impone che 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 0, quindi se la seconda è


soddisfatta, sarà soddisfatta anche la prima, perché sarà nullo anche il
gradiente trasverso di 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ).

L’ultima condizione è ridondante, anche qui possiamo scambiare punto con


croce, abbiamo che 𝑧̂ × 𝑛̂ ∝ 𝜏̂ , e quindi abbiamo la scrittura della prima
condizione al contorno ancora una volta. La più stringente tra le due è la
seconda equazione che ci dice che 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) = 0 sul contorno. Questa è
l’espressione delle condizioni al contorno nel caso delle onde TM(z).

Nel caso delle onde TEM(z) le


componenti del campo sono
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) ed ℎ⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ), essendo
⃗⃗⃗
nulle Ez ed Hz. Vediamo che
𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) è proporzionale al
⃗⃗⃗
gradiente trasverso di 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ),
che è la soluzione dell’equazione di Laplace, mentre ℎ⃗𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ) è proporzionale
ad 𝑒𝑡 (𝑞1 , 𝑞2 ).

La seconda condizione al contorno è sempre soddisfatta perché E z=0.

La prima condizione al contorno ci dice che 𝛻𝑡 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) ⋅ 𝜏̂ |𝑐 = 0, la stessa


condizione si ottiene andando a considerare il fatto che la componente
normale del campo H è uguale a 0 sul contorno, e la otteniamo scambiando il
punto con la croce.

La componente tangenziale del vettore gradiente trasverso di 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) deve


essere uguale a 0, quindi la derivata fatta rispetto a 𝜏 del potenziale scalare
𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) deve essere uguale a 0. Questa è la condizione nel caso delle onde
TEM(z).

Questa condizione significa che, se andiamo a considerare il contorno della


guida d’onda, e andiamo a valutare 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) lungo il contorno, la derivata
della funzione 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) lungo il contorno deve essere nulla, questo vuol dire
che la funzione 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) deve essere costante sul contorno.

Una soluzione dell’equazione di Laplace in un determinato dominio presenta


un’importante proprietà, cioè i massimi ed i minimi risiedono sulla frontiera
del dominio di definizione. La funzione, quindi, dovrà presentare dei massimi e
dei minimi sul contorno.
Ma sul contorno, in base alla condizione al contorno, la funzione 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 )
deve essere costante. Questo significa che imporre che 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
sul contorno, poiché lungo il contorno abbiamo i massimi ed i minimi della
funzione essendo 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) la soluzione dell’equazione di Laplace, su tutta la
sezione 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒. L’imposizione della condizione al contorno sul
contorno, implica che 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒, ma se 𝜙(𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒, il
campo elettrico trasverso è nullo, perché proporzionale al gradiente della
funzione, e anche il campo magnetico trasverso sarà nullo.

Tutto il campo elettromagnetico è nullo, quindi una guida metallica, che ha un


mantello metallico perfettamente conduttore, non permette la propagazione
di modi trasverso-elettromagnetici nella direzione z.

Il risultato finale di ciò è che in una guida a profilo semplicemente connesso


non possono esistere modi TEM(z).

Profilo semplicemente connesso vuol dire che, quando disegniamo il profilo


della sezione della guida d’onda, non stacchiamo la penna dal foglio, usiamo un
unico tratto. Questo vuol dire che la guida d’onda ha profilo semplicemente
connesso dal punto di vista geometrico.

Una guida d’onda che presenta un conduttore interno ed un conduttore


esterno è una guida d’onda a profilo a connessione multipla (come, ad
esempio, il cavo coassiale), perché abbiamo dovuto staccare la penna dal foglio
per disegnare il conduttore interno della guida d’onda.

Quanto noi abbiamo visto non vale nel caso di una guida d’onda a connessione
multipla.

Se noi abbiamo, ad esempio, una guida d’onda rettangolare, che abbiamo


disegnato con un unico tratto della penna sul foglio, questa guida ha un profilo
della sezione semplicemente connesso da un punto di vista geometrico, quindi
questa struttura non supporta modi TEM(z). Lo stesso vale per una guida
circolare ed una guida ellittica.
Se anche il profilo della guida è dal punto di vista geometrico semplicemente
connesso, può darsi che la guida non sia semplicemente connessa da un punto
di vista elettrico.

Se abbiamo una guida d’onda rettangolare costituita da due lati che sono
conduttori elettrici ideali e altri due che sono conduttori magnetici ideali, in
questo tipo di guida che è, dal punto di vista geometrico, a profilo
semplicemente connesso, non lo è da un punto di vista elettrico.

Questo vuol dire che possono esistere dei modi TEM(z).

Nel caso delle guide d’onda che stiamo studiando, quindi a profilo
semplicemente connesso, con un profilo metallico che circonda il dielettrico
all’interno del quale avviene la propagazione, esistono solo onde TE(z) e TM(z).

𝜕ℎ𝑧 (𝑞1 ,𝑞2 )


Nel caso TE(z) all’equazione di Helmholtz dobbiamo affiancare la | =
𝜕𝑛 𝑐
0, e nel caso dell’equazione di Helmholtz per le onde TM(z) dobbiamo
associare la 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 )|𝑐 = 0.

Teorema degli autovalori

Introduciamo il teorema
degli autovalori. Il problema
differenziale che dobbiamo
risolvere sia nel caso TE che
nel caso TM è un problema
agli autovalori, ovvero
stiamo cercando un valore di
𝑘𝑡2 (autovalore) per cui il
sistema ammette delle soluzioni, e gli autovettori saranno dati da ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) ed
𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ).

A monte dobbiamo dire che 𝑘𝑡2 = 𝑘 2 − 𝑘𝑧2, quindi dipenderà da come è fatta la
guida d’onda, cioè dalla sezione trasversa della guida d’onda perché la
soluzione per 𝑘𝑡2 si ottiene imponendo la condizione al contorno, che è valida
sul contorno.

Quindi, al variare del contorno, la condizione al contorno cambierà, cioè il


modo in cui si esplicita la condizione al contorno cambierà, quindi anche 𝑘𝑡2
cambierà. 𝑘𝑡2 sarà una funzione della geometria della sezione trasversa della
guida, sarà una funzione del materiale che riempie la guida, perché 𝑘𝑡2 = 𝑘 2 −
𝑘𝑧2, e dentro k quadro abbiamo i parametri costitutivi della guida. Infine, 𝑘𝑡2
dipenderà dalla costante di propagazione, o determinerà la costante di
propagazione 𝑘𝑧2 di ciascuno dei modi che esistono all’interno della guida
d’onda.

Nel momento in cui risolviamo questo problema differenziale con le condizioni


al contorno, quindi troviamo gli autovalori e gli autovettori per i due set di
onde TE e TM, le onde TE(z) e TM(z) diventano modi di propagazione, o modi
guidati.

I modi guidati sono soluzione del problema differenziale di Helmholtz sulla


sezione trasversa con le condizioni al contorno, cioè del problema agli
autovalori che abbiamo così individuato.

Il teorema degli autovalori dice che gli autovalori 𝑘𝑡2 sono quantità reali e
positive.

Per dimostrare ciò usiamo il Lemma di Green e lo applichiamo a due funzioni


scalari generiche X ed Y sulla superficie S della sezione trasversa di una guida
d’onda circondata da un contorno c.
Scriviamo il Lemma di Green nella sua versione standard

Quando noi abbiamo il gradiente trasverso di una funzione scalare Y


moltiplicata scalarmente per n versore, vuol dire che andiamo a prendere la
derivata normale di Y, e quindi possiamo riscrivere il Lemma di Green in questa
forma semplificata.

Applichiamo nel caso TE e nel caso TM il Lemma di Green alle autosoluzioni,


quindi ad ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) ed 𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ).

Facciamolo prima nel caso dei modi TE(z), dove il Lemma di Green assume
questa forma

L’integrale al contorno c di questa quantità è nullo perché, per la condizione al


𝜕ℎ𝑧
contorno, = 0 sul contorno. Abbiamo che 𝛻𝑡 ℎ𝑧∗ ⋅ 𝛻𝑡 ℎ𝑧 = |𝛻𝑡 ℎ𝑧 |2, d’altra
𝜕𝑛
parte abbiamo che 𝛻𝑡2 ℎ𝑧 = −𝑘𝑡2, perché abbiamo visto che 𝛻𝑡2 ℎ𝑧 − 𝑘𝑡2 ℎ𝑧 = 0
dal problema agli autovalori che dobbiamo risolvere sulla sezione. Quindi a
𝛻𝑡2 ℎ𝑧 sostituiamo −𝑘𝑡2 ℎ𝑧 , ma facendo questo otteniamo che la somma
algebrica di questi due termini ∫𝑆|𝛻𝑡 ℎ𝑧 |2 ⅆ𝑆 − 𝑘𝑡2 ∫𝑆|ℎ𝑧 |2 ⅆ𝑆 = 0.

Il risultato finale è che possiamo esprimere tramite un rapporto tra due


quantità reali e positive 𝑘𝑡2 nella maniera che segue
∫𝑆|𝛻𝑡 ℎ𝑧 |2 ⅆ𝑆 ∗
𝑘𝑡2 = 2
= 𝑘𝑡2
∫𝑆|ℎ𝑧 | ⅆ𝑆

A numeratore abbiamo l’integrale di un modulo quadro, stessa cosa al


denominatore, quindi abbiamo due quantità reali. Abbiamo che 𝑘𝑡2 deve essere
una quantità reale e positiva, perché se fosse nulla il numeratore sarebbe
𝑒𝑡 = ℎ⃗𝑡 = 0. Quindi avremmo tutto il campo
nullo, 𝛻𝑡 ℎ𝑧 = 0 vuol dire ⃗⃗⃗
elettromagnetico nullo ed un h z costante, non è questa la soluzione che
cerchiamo. Il caso 𝑘𝑡2 = 0 è dunque da escludere.

Osserviamo che 𝑘𝑡2 ha anche un valore finito, infatti anche h z al denominatore


non può essere nullo, perché se lo fosse, già è nullo e z, avremmo il caso
trasverso-elettromagnetico. Non esistono modi guidati in questo tipo di
strutture a profilo metallico semplicemente connesso.

Quindi 𝑘𝑡2 è una quantità reale e positiva. La stessa cosa si può dimostrare in
maniera duale nel caso dei modi TM(z).

Abbiamo la stessa espressione duale per


2
∫𝑆|𝛻𝑡 𝑒𝑧 |2 ⅆ𝑆 ∗
𝑘𝑡 = 2
= 𝑘𝑡2
∫𝑆|𝑒𝑧 | ⅆ𝑆

Abbiamo anche le stesse considerazioni che abbiamo fatto prima circa 𝛻𝑡 𝑒𝑧 =


0 o 𝑒𝑧 nullo.

Il fatto che gli autovalori nel caso dei modi TE(z) e TM(z) siano delle quantità
reali e positive ha diverse conseguenze importanti. È da considerare però che il
fatto che 𝑘𝑡2 sia una quantità reale e positiva vale strettamente nel caso in cui
le guide d’onda siano perfettamente conduttrici. Se abbiamo delle condizioni al
contorno che si applicano a pareti non ideali, allora il 𝑘𝑡2 è in generale una
quantità complessa.

La prima conseguenza che discende dal fatto che gli autovalori sono quantità
reali e positive è che le autofunzioni sono delle funzioni puramente reali.
Questo vuol dire che la variabilità spaziale delle autofunzioni non interessa i
termini di fase dell’onda.

Ragioniamo per assurdo e supponiamo che le autofunzioni siano delle quantità


complesse del tipo 𝑇(𝑞1 , 𝑞2 ) = 𝑇𝑅 (𝑞1 , 𝑞2 ) + 𝑗𝑇𝐼 (𝑞1 , 𝑞2 ), funzione di q1 e q2.

Andiamo a scrivere il problema differenziale vediamo che questo si può


separare, essendo 𝑘𝑡2 una quantità reale e positiva, in due problemi, che si
ottengono uguagliando la parte reale del primo membro a quella del secondo
membro e la parte immaginaria del primo membro a quella del secondo
membro.

𝛻𝑡2 𝑇𝑅 (𝑞1 , 𝑞2 ) + 𝑗𝛻𝑡2 𝑇𝐼 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝑘𝑡2 𝑇𝑅 (𝑞1 , 𝑞2 ) − 𝑗𝑘𝑡2 𝑇𝐼 (𝑞1 , 𝑞2 ) →

𝛻𝑡2 𝑇𝑅 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝑘𝑡2 𝑇𝑅 (𝑞1 , 𝑞2 )

𝛻𝑡2 𝑇𝐼 (𝑞1 , 𝑞2 ) = −𝑘𝑡2 𝑇𝐼 (𝑞1 , 𝑞2 )

È facile separare parte reale e parte immaginaria ed uguagliarle tra di loro


essendo 𝑘𝑡2 una quantità reale e positiva. Possiamo separare anche le
condizioni al contorno relative alla parte reale e relative alla parte
immaginaria, i problemi differenziali che troviamo sulla sezione per la parte
reale e la parte immaginaria delle due soluzioni sono esattamente gli stessi,
quindi 𝑇𝑅 (𝑞1 , 𝑞2 ) e 𝑇𝐼 (𝑞1 , 𝑞2 ), ovvero la parte reale e la parte immaginaria
delle autofunzioni, sono proporzionali tra di loro. Questo significa che, a meno
di una costante moltiplicativa complessa, in realtà le autofunzioni sono
funzioni di q1 e q2 reali.

Questo porta ad una considerazione importante, ovvero quando


reintroduciamo la dipendenza da z, e quindi andiamo a considerare il caso di
sola onda diretta, l’autofunzione 𝐴(𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧) = 𝑇(𝑞1 , 𝑞2 )𝑒 −𝑗𝑘𝑧𝑧 , quindi
abbiamo l’autofunzione soluzione 𝑇(𝑞1 , 𝑞2 ) dell’equazione di Helmholtz sul
piano complesso, che è una quantità puramente reale, a meno di un
coefficiente moltiplicativo complesso, ma l’andamento funzionale secondo q1
e q2 è una funzione reale. Il termine di fase è 𝑒 −𝑗𝑘𝑧𝑧 , in una guida metallica
ideale i modi TE(z) e TM(z) rappresentano delle onde piane non uniformi.

Se le autofunzioni sono reali, queste non influenzano il termine di fase, che è


solo del tipo 𝑒 −𝑗𝑘𝑧𝑧 . Considerando la fase costante otteniamo z=costante,
quindi i fronti d’onda sono piani ortogonali all’asse z. Varierà l’ampiezza sul
fronte d’onda, che dipende da 𝑇(𝑞1 , 𝑞2 ), quindi i modi TE(z) e TM(z) sono da
considerarsi delle onde piane non uniformi che viaggiano all’interno della
struttura lungo l’asse z.

Costante di propagazione e frequenza di cut-off

Introduciamo la costante di propagazione del modo guidato e la frequenza di


cut-off del modo guidato. Se consideriamo gli andamenti funzionali secondo z,
abbiamo visto che le autofunzioni non danno contributo al termine di fase,
allora gli andamenti secondo z definiscono già gli andamenti di fase, quindi gli
andamenti di propagazione del campo.

Abbiamo che 𝑘𝑧2 + 𝑘𝑡2 = 𝑘 2 = 𝜔2 𝜇𝜀𝑐 .

Siccome, in generale, il dielettrico che riempie la guida è una quantità


complessa, e 𝑘𝑡2 è una quantità reale e positiva, allora 𝑘𝑧2, e quindi il 𝑘𝑧 sarà, in
generale, una quantità complessa. Quindi 𝑘𝑧 = 𝛽𝑧 − 𝑗𝛼𝑧 sarà scomponibile in
un termine di effettiva fase, reale, ed un termine immaginario che, invece,
tiene conto delle perdite all’interno del materiale dielettrico. Se invece noi
abbiamo che il materiale dielettrico, che riempie la guida, non ha perdite, non
abbiamo perdite né nel mantello conduttore, che è assunto ideale, né nel
materiale dielettrico, quindi avremo che, quando abbiamo propagazione, 𝑘𝑧 =
√𝜔2 𝜇𝜀 − 𝑘𝑡2 è una quantità reale, essendo la costante dielettrica puramente
reale.

Nel caso di una guida ideale, con mantello ideale e con dielettrico che riempie
la guida ideale, 𝑘𝑧 non può essere una quantità complessa. 𝑘𝑧 è una quantità
reale se 𝑘 2 ≥ 𝑘𝑡2, oppure immaginaria se 𝑘 2 < 𝑘𝑡2.
Succede che quando 𝑘𝑧 è reale (𝜔2 𝜇𝜀 > 𝑘𝑡2) abbiamo la propagazione del
modo, quando 𝑘𝑧 = 0 (𝜔2 𝜇𝜀 = 𝑘𝑡2 ) abbiamo la condizione intermedia di
transizione verso la propagazione, quando 𝑘𝑧 è immaginario (𝜔2 𝜇𝜀 < 𝑘𝑡2 )
abbiamo a che fare con un modo evanescente.

Si vede come, al variare della frequenza, il 𝑘𝑧 può essere, a basse frequenze,


puramente immaginario, ad una certa frequenza vale 0, mentre aumentando la
frequenza il 𝑘𝑧 diventa una quantità reale.

La condizione di transizione 𝑘𝑧 = 0 definisce la condizione di cut-off per


ciascuno dei modi della guida d’onda. Quindi considerando 𝑘𝑧 = 0 possiamo
ricavare le frequenze di cut-off dei singoli modi. Infatti, per 𝑘𝑧 = 0 abbiamo
una particolare pulsazione di cut-off tale che

𝑘𝑡 𝑐
𝜔𝑐2 𝜇𝜀 = 𝑘𝑡2 → 𝜔𝑐 = → 𝑓𝑐 = 𝑘
√𝜇𝜀 2𝜋 𝑡

Per ogni modo di propagazione, cioè per ogni soluzione del problema agli
autovalori, cioè per ogni autovalore 𝑘𝑡 , abbiamo una determinata frequenza di
taglio a partire dalla quale il modo può propagarsi all’interno della guida
d’onda.

Abbiamo che
per 𝜔 < 𝜔𝑐 il
𝑘𝑧 è
puramente
immaginario,
quindi abbiamo
soltanto 𝛼𝑧 ,
che diventa 0
per 𝜔 > 𝜔𝑐 in
una guida ideale, quindi non abbimao più attenuazione, ma a partire da 𝜔𝑐
abbiamo propagazione.

Facciamo una considerazione opposta rispetto a quella che abbiamo fatto nel
caso dei plasmoni di spuerficie. Osserviamo che, se noi fissiamo una certa
frequenza 𝜔 notiamo che, rispetto alla retta che definisce la propagazione
dell’onda piana nel mezzo che riempie la guida, la costante di propagazione del
modo guidato risulta sempre minore rispetto a quella dell’onda piana nel
vuoto.

La costante di propagazione, frequenza


per frequenza, di un modo guidato, è
sempre minore della costante di
propagazione di un’onda piana che
viaggia all’interno del mezzo che
riempie la guida. Quindi la lunghezza
d’onda del modo guidato sarà maggiore
rispetto a quella di un’onda piana che
viaggia all’interno del mezzo che riempie la guida.

Questi grafici mostrano chiaramente come la guida d’onda rappresenti, per


ogni modo, una struttura filtrante passa-alto. Prima di una certa frequenza il
modo non può viaggiare, a partire dal taglio in poi il modo può iniziare a
propagarsi all’interno della guida d’onda. Notiamo che l’attenuazione è
presente anche nel caso in cui la guida in analisi sia ideale. L’attenuazione
corrisponde semplicemente al fatto che il modo è sotto cut-off, quindi,
considerata la frequenza in gioco, considerata la geometria della struttura,
quella particolare configurazione del campo elettromagnetico, cioè quel modo,
non è in grado di propagarsi all’interno della guida d’onda stessa.
2𝜋
Introduciamo la lunghezza d’onda del modo guidato 𝜆𝑔 = .
𝛽𝑧

Se abbiamo una costante di propagazione in guida sempre minore rispetto a


quella dell’onda piana che viaggia nel dielettrico che riempie la guida, avremo
che 𝜆𝑔 > 𝜆 dell’onda piana che viaggia nel mezzo che riempie la guida.

2𝜋 2𝜋 𝜆
𝜆𝑔 = = =
𝛽𝑧 𝑘𝑡 2 2

𝑘 1−( )
𝑘 √1 − ( 𝜆 )
𝜆𝑡
Velocità di fase

Introduciamo ora la velocità di fase associata a ciascun modo guidato nella


struttura. Consideriamo il caso generico TE(z) e TM(z) perché l’andamento
funzionale è lo stesso nei due casi.

Abbiamo una singola componente del campo elettromagnetico che, nel caso
della presenza di sola onda diretta, si esprime come il prodotto di
un’autofunzione per 𝑒 −𝑗𝑘𝑧𝑧 .

𝐴(𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧) = 𝑇(𝑞1 , 𝑞2 )𝑒 −𝑗𝑘𝑧 𝑧

Nel dominio del tempo avremo che


𝐴(𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧; 𝑡) = 𝑅𝑒[𝑇(𝑞1 , 𝑞2 )𝑒 −𝑗𝑘𝑧𝑧 𝑒 𝑗𝜔𝑡 ]

Andiamo a vedere il termine di fase 𝑒 −𝑗𝑘𝑧𝑧 𝑒 𝑗𝜔𝑡.

La velocità di fase è quella alla quale deve muoversi un osservatore esterno per
rimanere agganciato ai fronti d’onda, quindi per vedere sempre la stessa fase.

Quindi dobbiamo imporre che 𝜔𝑡 − 𝛽𝑧 𝑧 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 → 𝜔 ⅆ𝑡 − 𝛽𝑧 ⅆ𝑧 = 0.

Otteniamo quindi che la velocità di fase è pari a

ⅆ𝑧 𝜔 1 𝑐
𝑢𝑧 = = = =
ⅆ𝑡 𝛽𝑧 𝜔𝑐 2 2
√ 𝜇𝜀 √1 − ( ) √1 − (𝜔𝑐 )
𝜔 𝜔

Se la andiamo a
graficare vediamo
che non c’è velocità
di fase prima di 𝜔𝑐 ,
la velocità di fase
inizia quando inizia
la propagazione e,
all’inizio, nell’intorno del cut-off, la velocità di fase assume valori infiniti,
quando 𝜔 → ∞, il valore limite ha un asintoto orizzontale pari alla velocità
della luce nel mezzo che riempie la guida.
La velocità di fase di un modo guidato è sempre maggiore della velocità della
luce nel mezzo.

Questo lo si può vedere avendo considerato che la propagazione del singolo


modo guidato in una guida d’onda è assimilabile a delle onde piane non
uniformi.

Se consideriamo la sezione longitudinale della guida, la propagazione sarà in


questa forma, e abbiamo detto che il singolo modo rappresenta una onda
piana non uniforme. Quindi abbiamo delle riflessioni totali all’interfaccia, e
quindi il modo trasporta in maniera netta energia lungo l’asse z della guida.

Per ogni modo, visto che 𝑘𝑡2 è una


quantità reale e positiva, e anche 𝑘𝑡
sarà reale e positivo, abbiamo che
l’onda piana che lo rappresenta avrà
un’incidenza obliqua sul mantello della guida d’onda, perché 𝑘𝑡 esiste sempre.

Quello che succede è che, se vogliamo confrontare il caso di un modo guidato


rispetto al caso di un’onda piana che viaggia nella direzione z, l’onda piana
percorre lo stesso spazio lungo z, quindi descrive lo stesso spazio lungo z,
andando a fare un percorso minimo, che ci fa andare da z1 a z2.

Il modo guidato, a causa del fatto che ha un’incidenza obliqua sul mantello, per
andare da z1 a z2 percorre un tratto maggiore. Quindi, quando andiamo a
considerare, a confrontare, le fasi tra l’onda piana ed il modo guidato, e ne
imponiamo l’uguaglianza sulla sezione z1 e z2, le due fasi, dell’onda piana e del
modo guidato, saranno uguali solo se
l’onda rappresentata dal modo
guidato sarà andata più veloce visto
che deve percorrere un tratto
maggiore.

Le fasi sono confrontabili tra l’onda piana ed il modo guidato solo se la velocità
di fase del modo guidato sarà maggiore della velocità dell’onda piana che
viaggia nel mezzo.
𝑐
Abbiamo visto che 𝑓𝐶 = 𝑘𝑡 . Per ogni modo abbiamo un 𝑘𝑡 , quindi esiste una
2𝜋
sola frequenza di cut-off. Quando il modo si trova al cut-off abbiamo che 𝑘𝑧 =
0.

L’onda piana non uniforme che descrive il modo guidato al cut-off, se 𝑘𝑧 = 0,


deve incidere normalmente sul mantello, e la riflessione speculare che si ha in
corrispondenza sul mantello è ancora a 90°. Abbiamo un campo che incide e
torna indietro lungo la stessa verticale, quindi oscilla fortemente sulla sezione
dove viene generato dalle sorgenti, e quindi non si propaga, rimane confinato.

Un modo che si trova esattamente al cut-off, affinché


possa avere la stessa fase di un’onda piana che viaggia nel
materiale andando da z1 a z2, deve andare ad una velocità
di fase infinita.

Se invece ci troviamo ad una frequenza leggermente


superiore al cut-off avremo un certo 𝑘𝑧 il cui valore è
piccolo, questo vuol dire che i rimbalzi sono molto fitti,
quindi il percorso che dovrà fare il modo guidato all’interno della struttura per
andare da z1 a z2 sarà molto più grande, la velocità di fase del modo sarà
dunque molto alta quando siamo nell’intorno del cut-off.

All’aumentare della frequenza aumenta 𝑘𝑧 rispetto a 𝑘𝑡 , quindi l’onda piana


che descrive il modo avrà un 𝑘𝑧 che inizia a diventare dominante rispetto a 𝑘𝑡 .

Abbiamo che all’aumentare di 𝜔 aumenta anche 𝑘𝑧 = √𝜔2 𝜇𝜀 − 𝑘𝑡2, quindi


avremo che 𝜔2 𝜇𝜀 sarà dominante rispetto a 𝑘𝑡 , quindi avremo che il modo
viaggerà come un’onda piana sempre più tendente, all’aumentare della
frequenza, ad essere inclinata lungo l’asse z. Non sarà mai diretta lungo z
perché in quel caso avremmo un 𝑘𝑡 = 0, e 𝑘𝑡 = 0 corrisponde al caso dei modi
TEM(z), quindi non può essere, è un caso limite.

Il modo avrà un andamento sempre più simile a quello di un’onda piana che
viaggia nel mezzo. Infatti, la velocità di fase, da valori molto grandi che aveva in
corrispondenza del cut-off, diventa comparabile con la velocità della luce nel
mezzo.
Velocità dell’energia

La velocità di fase può essere maggiore della velocità della luce nel mezzo, e
questa cosa non contravviene al principio secondo il quale la velocità della luce
è la massima raggiungibile. Parliamo infatti della velocità di fase, che è una
velocità fittizia che abbiamo definito considerando il fatto di essere agganciati
ad un fronte d’onda.

Non definisce la velocità di propagazione di una quantità fisica come è invece


l’energia.

La velocità dell’energia, e poi la velocità di gruppo in particolari ipotesi, devono


essere invece velocità che sono minori o al più uguali alla velocità della luce nel
mezzo.

Per definire la velocità dell’energia consideriamo un tratto infinitesimo lungo z


della nostra guida d’onda, che ha una lunghezza infinitesima pari a dz, e l’area
della sezione trasversa la indichiamo con S.

Andiamo a scrivere il teorema di Poynting


in questo volume. Immaginiamo che non ci
siano sorgenti all’interno del tratto che
stiamo considerando, l’energia, se
abbiamo anche il caso di un’onda diretta
che viaggia, entra in una sezione ed esce in quella successiva. Immaginiamo
che la struttura non abbia perdite, quindi immaginiamo che il dielettrico ed il
mantello metallico siano ideali, quindi il bilanciamento dell’energia all’interno
di questa sezione è il seguente.
𝐽
Intanto andiamo a scrivere la densità di energia media (che misuriamo in )
𝑚3
che viene immagazzinata nel generico punto del volume che stiamo
considerando.
Poi definiamo la potenza media (che misuriamo in watt) che attraversa la
generica sezione S della guida

1
𝑃𝑧 (𝑧) = 𝑅𝑒 [∫ 𝐸⃗ (𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧) × 𝐻
⃗ ∗ (𝑞1 , 𝑞2 , 𝑧) ⋅ 𝑛̂ ⅆ𝑆 ]
2
𝑆

Considerando quali sono gli unici termini energetici del teorema di Poynting, la
variazione dell’energia lungo z sarà data da

Abbiamo watt per secondi, quindi abbiamo definito i Joule che attraversano il
tratto dz della guida. Valendo il teorema di Poynting, e non essendoci termini
di sorgente, non essendoci attenuazione, l’energia che attraversa la sezione dz
deve essere uguale all’energia che viene immagazzinata all’interno del volume
infinitesimo che stiamo considerando. Quindi abbiamo un integrale esteso al
volume del cilindretto che stiamo considerando di W in dV. Abbiamo che dV
può essere scomposto in dS e dz e possiamo definire la densità di energia al
metro quadro, che chiameremo densità superficiale di energia 𝑊𝑧 .

Siamo arrivati quindi ad un’espressione che è del tipo 𝑃𝑧 ⅆ𝑡 = 𝑊𝑧 ⅆ𝑧 → 𝑢𝐸 =


ⅆ𝑧 𝑃𝑧
=
ⅆ𝑡 𝑊𝑧

Quindi questa è la velocità alla quale l’energia procede all’interno della guida.
L’energia viaggerà più velocemente all’interno della guida d’onda
all’aumentare di 𝑃𝑧 rispetto a 𝑊𝑧 , quindi tanto più il passaggio di potenza da
una sezione a quella successiva sarà grande rispetto all’accumulo e al rilascio
(quindi agli effetti reattivi) che avvengono all’interno del volume z.
Questo lo abbiamo visto anche quando abbiamo studiato i problemi delle linee
di trasmissione, in particolare negli esercizi, abbiamo visto che gli effetti
reattivi dovuti al disadattamento rallentavano il procedere dell’energia
all’interno della struttura. Maggiori sono gli effetti di immagazzinamento
rispetto al trasporto di energia da una sezione all’altra, minore sarà la velocità
dell’energia.
A questo
punto
possiamo
scrivere 𝑃𝑧 e
𝑊𝑧 in termini
di campo
elettrico e campo magnetico, E ed H, per le strutture guidanti, li abbiamo
ricavati dal formalismo di Schwinger e Marcuvitz, risolviamo l’integrale al
numeratore e l’integrale al denominatore. Nel caso dei modi TE(z) e TM(z) si
ottiene la stessa soluzione, ed otteniamo che la velocità dell’energia è
inversamente
proporzionale alla velocità
di fase secondo questa
relazione. Quindi sarà
sempre inferiore alla
velocità della luce nel
dielettrico che riempie la guida, anche perché vale la condizione per cui il
prodotto tra la velocità di fase e la velocità dell’energia del singolo modo è una
quantità costante e pari a 𝑐 2. Al cut-off l’energia non viaggia all’interno della
struttura
perché
abbiamo i
rimbalzi,
verticalmente,
del modo sulla
sezione, quindi
il campo rimane
confinato sulla
sezione e l’energia rimane confinata. Dopo il cut-off la velocità dell’energia
aumenta perché minori sono i rimbalzi che vengono eseguiti dal modo sul
mantello metallico, e la velocità dell’energia tende alla velocità della luce nel
mezzo che riempie la guida al tendere di 𝜔 → ∞ .

La velocità dell’energia è sempre minore della velocità della luce nel materiale
che riempie la guida, ed è come deve essere perché parliamo di una quantità
fisica che si sta muovendo, e la sua velocità deve essere minore o uguale alla
velocità della luce.

Velocità di gruppo

La velocità di gruppo la definiamo con riferimento ad un segnale modulato. Il


contenuto informativo passa attraverso la modulazione, un tono sinusoidale
non porta informazioni, se non ci rivela la presenza o l’assenza del segnale. La
modulazione trasferisce informazione, il tono sinusoidale rappresenta
semplicemente la portante, mentre il contenuto informativo è dato dal segnale
modulante, che ha una certa variazione nel tempo che lo porta ad avere un
certo spettro che noi assumiamo essere limitato in banda. Immaginiamo di
considerare un segnale 𝑠(𝑡) = 𝑚(𝑡) 𝑐𝑜𝑠(𝜔0 𝑡), dove 𝜔0 è la pulsazione della
portante, m(t) è il segnale modulante con il suo spettro 𝑀(𝜔) esteso da −𝜔𝑚
e 𝜔𝑚 . La sua banda 2𝜔𝑚 assumiamo che sia molto minore rispetto alla
pulsazione 𝜔0 , quindi s(t) avrà uno spettro molto stretto centrato in 𝜔0 .
Abbiamo che 𝑆(𝜔) si ottiene come convoluzione in frequenza tra 𝑀(𝜔) e una
coppia di impulsi centrati in −𝜔0 e 𝜔0 del coseno di 𝜔0 𝑡.

Quindi abbiamo che


+∞

𝑆(𝜔) = ∫ 𝑚(𝑡) cos(𝜔0 𝑡) 𝑒 −𝑗𝜔𝑡 ⅆ𝑡


−∞
+∞
ⅇjω0t + ⅇ−jω0t −𝑗𝜔𝑡
= ∫ 𝑚(𝑡) 𝑒 ⅆ𝑡
2
−∞
+∞
1
= ∫ 𝑚(𝑡)𝑒 −𝑗(𝜔−𝜔0)𝑡 ⅆ𝑡
2
−∞
+∞
1 1
+ ∫ 𝑚(𝑡)𝑒 −𝑗(𝜔+𝜔0)𝑡 ⅆ𝑡 = [𝑀(𝜔 − 𝜔0 ) + 𝑀(𝜔 + 𝜔0 )]
2 2
−∞

Se questo è il segnale di ingresso che noi lanciamo all’interno della guida


d’onda, che immaginiamo essere ideale, ed immaginando che tutte le
componenti dello spettro siano superiori alla frequenza di cut-off del modo che
stiamo valutando, e che questo segnale percorra una lunghezza pari ad L
all’interno della guida. Vogliamo valutare il segnale di uscita in funzione del
tempo, e le informazioni sul segnale di uscita ci daranno delle indicazioni su
come la guida ha operato sul segnale. Abbiamo che, secondo l’anti-trasformata
di Fourier
+∞
1
𝑠𝑜𝑢𝑡 (𝑡) = ∫ 𝑆𝑜𝑢𝑡 (𝜔)𝑒 𝑗𝜔𝑡 ⅆ𝜔
2𝜋
−∞

Abbiamo che 𝑆𝑜𝑢𝑡 (𝜔) può essere ricavato e possiamo valutare il segnale di
uscita. Lo spettro 𝑆𝑜𝑢𝑡 (𝜔) è lo spettro di un segnale reale, quindi ha parte
reale pari e parte immaginaria dispari, quindi possiamo pensare di scrivere
+∞
1 1
𝑠𝑜𝑢𝑡 (𝑡) = 2𝑅𝑒[ ∫ 𝑀(𝜔 − 𝜔0 )𝑒 −𝑗𝛽𝑧(𝜔)𝐿 𝑒 𝑗𝜔𝑡 ⅆ𝜔]
2𝜋 2
0

Lo spettro del segnale di uscita che dobbiamo prendere solo da 0 a più infinito
1
sarà dato dallo spettro del segnale di ingresso, quindi 𝑀(𝜔 − 𝜔0 ) e poi
2
dobbiamo considerare l’effetto della propagazione in guida, assumiamo che la
guida sia ideale, tutto sopra al cut-off, quindi non abbiamo attenuazioni.
La guida, per il percorso L, introduce una funzione di trasferimento che è data
da 𝑒 −𝑗𝛽𝑧 (𝜔)𝐿 , e quindi questa è l’espressione di

1
𝑆𝑜𝑢𝑡 (𝜔) = 𝑀(𝜔 − 𝜔0 )𝑒 −𝑗𝛽𝑧(𝜔)𝐿
2
𝑀(𝜔 − 𝜔0 ) è limitato in banda ed ha uno spettro molto stretto intorno ad 𝜔0 ,
quindi possiamo non estendere l’integrale da meno infinito a più infinito, ma
possiamo considerare che

In questo piccolo intervallo rispetto ad 𝜔0 possiamo sviluppare 𝛽𝑧 (𝜔) in serie


di Taylor nell’intorno di 𝜔0 , quindi avremo che, se ci fermiamo al primo ordine

Introduciamo questa espressione al posto di 𝛽𝑧 (𝜔) e otteniamo che

Abbiamo dei termini che non dipendono da 𝜔, che possiamo portare fuori
dall’integrale, ed una volta eseguite le opportune manipolazioni otteniamo la
seguente espressione per il segnale di uscita

′ ′
𝑠𝑜𝑢𝑡 (𝑡) = 𝑅𝑒[𝑒 −𝑗𝛽𝑧 (𝜔0)𝐿+𝑗𝜔0𝛽𝑧(𝜔0)𝐿 𝑚(𝑡 − 𝛽𝑧′ (𝜔0 )𝐿)𝑒 −𝑗𝜔0[𝛽𝑧(𝜔0)𝐿−𝑡] ]
= 𝑚(𝑡 − 𝛽𝑧′ (𝜔0 )𝐿)cos⁡[𝜔0 𝑡 − 𝛽𝑧 (𝜔0 )𝐿]

Nell’attraversare la guida la portante subisce uno sfasamento mentre il segnale


modulante viaggia senza distorsione (non viene perturbato in ampiezza e
subisce un ritardo pari a 𝛽𝑧′ (𝜔0 )𝐿). Siccome m(t) rappresenta l’informazione
associata al segnale, abbiamo che il segnale ha percorso all’interno della guida
d’onda un tratto di lunghezza L impiegando un tempo pari allo shift temporale
del segnale di uscita, ovvero pari a 𝛽𝑧′ (𝜔0 )𝐿. Quindi la velocità a cui ha
viaggiato il pacchetto d’onde associato al segnale modulante, quindi alla quale
viaggia tutto lo spettro di frequenze associato al segnale modulante, è
costituita dalla velocità di gruppo pari a

Se esplicitiamo la derivata abbiamo che la velocità di gruppo è legata alla


𝑐 2 𝛽𝑧(𝜔) 𝑐2
velocità di fase dalla relazione 𝑢𝑔 = = . La velocità di gruppo ricalca
𝜔 𝑢𝑧
la velocità dell’energia. Nel definire la velocità di gruppo abbiamo considerato
l’ipotesi che lo spettro del segnale modulante fosse molto stretto rispetto alla
portante, e quindi che 2𝜔𝑚 ≪ 𝜔0. Questo ha consentito di effettuare lo
sviluppo in serie di Taylor di 𝛽𝑧 (𝜔) e di arrivare all’espressione del segnale di
uscita per poi ricavare la velocità di gruppo. Se non sono rispettate le
condizioni di banda stretta del segnale modulante definiremo una velocità di
gruppo che non è detto che sia necessariamente minore della velocità della
luce nel mezzo. La velocità di gruppo, quando non sono rispettate le ipotesi
rispetto alle quali è stata introdotta, può anche essere maggiore della velocità
della luce nel mezzo.

Attenuazione

Facciamo riferimento all’attenuazione. Fino ad ora abbiamo considerato


soltanto conduttori e dielettrici ideali. Abbiamo visto che il k z è una quantità o
puramente reale o puramente immaginaria (rispettivamente se stiamo sopra o
sotto il cut-off). Studiamo l’effetto di materiali non ideali, quindi consideriamo
strutture guidanti reali costituite da buoni conduttori e buoni dielettrici, queste
presentano un fenomeno di attenuazione lungo la propagazione.

Il kz sarà in generale una quantità complessa. Avremo perdite sottoforma di


energia che se n’è andata in riscaldamento ed effetto Joule. Le perdite,
analiticamente, sono tenute in conto dalla legge di Ampere, dove abbiamo che
𝜎
⃗ = 𝑗𝜔𝜀𝑐 𝐸⃗ = 𝑗𝜔𝜀𝐸⃗ + 𝜎𝐸⃗ ; con 𝜀𝑐 = 𝜀 +
𝛻×𝐻
𝑗𝜔

Un buon conduttore è caratterizzato da un’elevata conducibilità, quindi


avremo che 𝜎 ≫ 𝜔𝜀, mentre un buon dielettrico è caratterizzato da una bassa
conducibilità, quindi 𝜎 ≪ 𝜔𝜀. Questa definizione deve tenere conto della
frequenza. Un buon conduttore ed un buon dielettrico sono tali non a qualsiasi
frequenza, ma deve valere che 𝜎 ≫ 𝜔𝜀 nel caso di un buon conduttore, e che
𝜎 ≪ 𝜔𝜀 nel caso di un buon dielettrico.

Nelle frequenze delle microonde che noi utilizziamo tipicamente, quindi fino
alle decine di GHz, ma anche fino cento GHz, abbiamo che sono buoni
conduttori quelli che hanno una conducibilità elettrica tra 𝜎⁡~⁡108 − 1010 e
sono buoni dielettrici quelli che hanno una conducibilità 𝜎⁡~⁡10−10 − 10−17.
Anche per queste frequenze così alte buoni conduttori rimangono tali ed i
buoni dielettrici rimangono tali. Quando noi abbiamo una guida d’onda reale il
contributo principale all’attenuazione è dovuto alle perdite ohmiche nel
mantello non perfettamente conduttore. Il materiale dielettrico può essere
sempre sostituito dall’aria, infatti la maggior parte delle guide d’onda sono
guide non caricate, quindi sono dei tubi vuoti, dove abbiamo aria all’interno,
quindi le perdite, quando andiamo a studiare le attenuazioni, sono associate al
mantello metallico non ideale. Se il mantello metallico è non ideale, scorrono
delle correnti sul mantello, ma non solo sulla superficie del mantello, cosa che
si ha anche nel caso ideale, quindi avremo che ⃗⃗𝐽𝑠 = 𝑛̂ × (𝐻⃗2−𝐻 ⃗ 1 ), dove
abbiamo il salto delle componenti tangenziali del campo magnetico. Abbiamo
che all’interno del mantello di un certo spessore abbiamo un campo elettrico
ed un campo magnetico che sono diversi da 0, quindi avremo che ⃗⃗𝐽𝑠 =
⃗2−𝐻
𝑛̂ × (𝐻 ⃗ 1 ), ed esisterà una componente tangenziale del campo elettrico
diversa da 0, la cui presenza ha diverse conseguenze. Se sul mantello della
guida, di cui consideriamo una sezione longitudinale, abbiamo un campo
magnetico ed elettrico tangenziale, avremo un vettore di Poynting normale,
quindi una potenza che entra all’interno del mantello, e questo è dovuto al
fatto che esiste una componente tangenziale del campo elettrico. Quest’ultima
è legata alla componente tangenziale del campo magnetico, su un conduttore
reale, dalla condizione di Leontovic, la quale ci dice che il legame è descritto
dall’impedenza 𝑍𝑚 , che è l’impedenza intrinseca del conduttore metallico. Se
indichiamo con “g” la conducibilità avremo che, visto che 𝜔𝜀 ≪ 𝑔 perché
parliamo di un buon conduttore, perciò avremo la seguente espressione

𝜇 𝑗𝜔𝜇 𝑗𝜔𝜇
𝐸⃗𝜏 = 𝑍𝑚 𝐻
⃗ 𝜏 × 𝑛̂ = √ ⃗ 𝜏 × 𝑛̂ = √
𝐻 ⃗ 𝜏 × 𝑛̂ ≈ √
𝐻 ⃗ × 𝑛̂
𝐻
𝜀𝑐 𝑗𝜔𝜀 + 𝑔 𝑔 𝜏

𝑗𝜔𝜇
≈ (1 + 𝑗)√ ⃗ × 𝑛̂
𝐻
2𝑔 𝜏

Abbiamo considerato uno sviluppo in serie di McLaurin fino al primo ordine, il


che ci ha portato ad ottenere l’ultima espressione, visto che g è molto grande,
quindi è come se avessimo avuto un termine dato da √𝑥 nell’intorno di x che
tende a 0 nella penultima espressione.

Il campo elettrico tangenziale, che ora è diverso da 0, ed il campo magnetico


tangenziale, sono legati tra loro attraverso quella espressione.

La condizione di Leontovic permette di ricavare la componente tangenziale del


campo elettrico quando è nota la componente tangenziale del campo
magnetico. Abbiamo che il vettore di Poynting avrà una comonente normale al
mantello, quindi una fuoriuscita dell’energia che poi viene dissipata all’interno
del mantello stesso. La potenza
reale dissipata nel mantello equivale
alla diminuzione della potenza che
attraversa le sezioni z successive
sulla mia guida distanti tra loro di
una quantità pari a dz. Siccome il
campo va come 𝑒 −𝛼𝑧 in termini di attenuazione, la potenza va come 𝑒 −2𝛼𝑧 ,
quindi quando consideriamo – la derivata rispett a z, questa è pari a quella
espressione. Questo ci permette di esprimere 𝛼𝑧 come rapporto tra la potenza
dissipata e 2P(z).

Maggiore è la potenza dissipata rispetto a quella che attraversa le sezioni


normali della guida d’onda distanti dz, maggiore sarà l’attenuazione.

Idealmente l’attenuazione è nulla se non si hanno dissipazioni, quindi se non


abbiamo componente tangenziale del campo elettrico, quindi se abbiamo una
conducibilità infinita nel mantello.
Scriviamo la potenza dissipata, invece di scriverla come integrale della
conducibilità per il modulo quadro del campo elettrico tangenziale, come un
qualcosa che è legato al modulo quadro del campo magnetico tangenziale,
avendo considerato la condizione di Leontovic. Al denominatore dobbiamo
calcolare il flusso del vettore di Poynting, però anche qui, esistendo un legame
tra il campo elettrico ed il campo magnetico, posso esprimere tutto in funzione
della componente tangenziale del campo magnetico. La costante di
attenuazione nel caso dei modi TE(z) e TM(z) si esprime quindi attraverso
questa formula. Dobbiamo considerare quale componente tangenziale del
campo magnetico mettere dentro l’integrale. Nel caso di un conduttore ideale
sappiamo come si esprime, nel caso di una guida reale, in realtà, la
componente tangenziale del campo magnetico sul contorno dipende anche da
quanto vale 𝐸⃗𝜏 , quindi non è definita a monte così come abbiamo definito 𝐻 ⃗𝜏
nel caso di una guida ideale. Su un conduttore elettrico perfetto abbiamo che
la componente tangenziale del campo magnetico è massima, quindi nel caso di
un buon conduttore, non ci aspettiamo che 𝐻 ⃗ 𝜏 possa variare di molto. Mentre
ci aspettiamo una variazione on-off per quanto riguarda 𝐸⃗𝜏 , il quale, nel caso di
un conduttore ideale, vale 0, mentre nel caso di un buon conduttore vale 𝐸⃗𝜏 ,
abbiamo che 𝐻 ⃗ 𝜏, nel caso di un buon conduttore, avrà un valore che non si
discosterà tanto da quello che ha nel caso ideale. In questa formula per la
costante di attenuazione nel caso di un mantello non ideale, consideriamo lo
⃗ 𝜏 che abbiamo nel caso ideale.
stesso 𝐻
Utilizziamo l’espressione del campo magnetico tangenziale sulla sezione di una
guida d’onda ideale e valutiamo l’attenuazione 𝛼𝑧 . Avremo che, nel caso dei
modi TE(z), si ottiene che la costante di attenuazione si esprime tramite due
contributi additivi

Nel caso dei modi TE(z) vediamo che 𝛼𝑧 è caratterizzato dalla somma di due
contributi, dove cambia il numeratore. Il secondo termine è legato alla
componente longitudinale del campo magnetico, ma la componente
longitudinale del campo magnetico produce delle correnti circonferenziali,
quindi correnti che sul mantello hanno una direzione circonferenziale. Quindi,
questo secondo termine è l’attenuazione dovuta al campo magnetico
longitudinale, quindi alle correnti circonferenziali che scorrono sul mantello. Il
secondo termine tiene conto del campo magnetico circonferenziale sul
𝜕ℎ𝑧
mantello, essendo legato a , e quindi delle correnti longitudinali che
𝜕𝑠
scorrono sul mantello. Avremo quindi che 𝛼𝑧 = 𝐿(𝜔) + 𝐶(𝜔), dove questi
sono termini che tengono conto delle correnti longitudinali e circonferenziali
che scorrono sul mantello.

Abbiamo che il primo termine 𝐿(𝜔) è legato al campo magnetico diretto


secondo il contorno che produce delle correnti in direzione dell’asse della
guida, e lo esprimiamo nel modo che segue.

Questo è l’andamento dell’attenuazione dovuta alle correnti longitudinali, che


va a 0 al cut-off e poi aumenta all’aumentare di omega.

Quando stiamo al cut-off i modi sono delle onde piane che incidono
ortogonalmente sul mantello, quindi, all’aumentare di omega dopo il cut-off,
abbiamo invece un k che cambia, quindi incide in maniera obliqua perché
abbiamo un kz che inizia a diventare, da nullo, sempre più significativo.
Abbiamo che 𝐿(𝜔) è legato alle correnti longitudinali, quindi al campo
magnetico circonferenziale.

Se siamo al cut-off, abbiamo che il campo H è lungo l’asse z, quindi vuol dire
che è massimo il campo magnetico longitudinale, il che vuol dire che correnti
longitudinali non se ne hanno perché non c’è un campo magnetico
circonferenziale. All’aumentare della frequenza abbiamo che H avrà una
componente secondo z, che diminuisce sempre di più, e una componente
trasversa, che sostiene il campo h z circonferenziale, quindi che sostiene le
correnti longitudinali. Se siamo a frequenze molto alte, la parte lungo z del
campo H diventa sempre più piccola, mentre aumenta in maniera singnificativa
quella trasversa, ovvero quella che sostiene
le correnti longitudinali, quindi
l’attenuazione dovuta alle correnti
longitudinali andrà da 0 ad 𝜔𝑐 (al cut-off il
campo magnetico è diretto tutto secondo z,
quindi non abbiamo attenuazione dovuta a correnti longitudinali).
All’aumentare della frequenza il k tende a diventare sempre più orizzontale,
quindi il campo H prevede una riduzione della componente secondo z, però un
aumento della componente circonferenziale di h che sostiene le correnti
logitudinali, quindi l’attenuazione delle correnti longitudinali aumenta.

Nel caso delle correnti circonferenziali l’attenuazione è massima in


corrispondenza al cut-off, dopodichè scende e va a 0. L’attenuazione dovuta
alle correnti circonferenziali è massima quando p massimo il campo magnetico
longitudinale hz che sostiene le correnti circonferenziali. E quindi h z sarà
massimo al cut-off, dopodiché, all’aumentare della frequenza, il vettore k
tende a diventare orizzontale, diminuisce quindi la componente h z, ovvero il
valore di questo integrale al numeratore. Quindi 𝐶(𝜔) tende a 0 all’aumentare
di omega.

Sommando i due contributi si ottiene l’andamento tipico dell’attenuazione in


funzione della frequenza. In
prossimità del cut-off predomina il
contributo delle correnti
circonferenziali, poi abbiamo un
minimo (perché un contributo
diminuisce e l’altro aumenta), e poi,
ad alta frequenza, predomina il
contributo dovuto alle correnti
longitudinali che si generano sul
mantello. Conviene lavorare laddove abbiamo un minimo di attenuazione, che
si ha intorno a 1,2 − 1,8𝜔𝑐 . Nel caso dei modi TM(z) abbiamo che hz=0, quindi
abbiamo a che fare con sole correnti longitudinali, e l’andamento è molto
simile a quelli visto prima.
Abbiamo un minimo all’interno del quale cerchiamo di far lavorare la guida
d’onda.

Anche nel caso dei modi TEM(z), che non esistono nelle guide d’onda a profilo
semplicemente connesso, si dimostra che il contributo all’attenuazione è
dovuto alle sole correnti longitudinali, perché, anche qui, h z=0.

Ortogonalità tra modi

Questa è un’ulteriore conseguenza che deriva dal fatto che gli autovalori sono
delle quantità reali e positive. Ogni modo in una guida d’onda trasporta
energia indipendentemente dagli altri. Questo vuol dire che, se noi andiamo a
valutare la potenza trasportata in guida, questa è data dalla somma delle
potenze trasportate dai singoli modi, e questa è la proprietà di ortogonalità.
Andiamo a prendere due soluzioni linearmente indipendenti di campo
elettromagnetico
in guida d’onda.
Abbiamo quindi i
campi EM (E1, H1)
ed (E2, H2)
associati a due
modi, e questi
soddisfano indipendentemente le equazioni di Maxwell. Per la linearità il
campo somma dei due campi è ancora soluzione delle equazioni di Maxwell.
Scriviamo la potenza che attraversa la generica sezione z della guida ed
otteniamo un primo termine che è la potenza trasportata dal primo modo,
quindi abbiamo il flusso del vettore di Poynting attraverso la sezione trasversa
della guida associato al primo modo. Abbiamo un secondo termine, analogo,
che descrive la potenza trasportata dal secondo modo, il terzo termine, invece,
è un termine di accoppiamento tra i modi. Si dimostra che, grazie al fatto che
𝑘𝑡2 è una quantità reale e positiva, che quest’ultimo termine è nullo, quindi i
modi sono ortogonali.

Per dimostrarlo si parte dall’introdurre la quantità 𝛻⃗ ⋅ (𝐸


⃗⃗⃗⃗1 × 𝐻
⃗ 2∗ + ⃗⃗⃗⃗ ⃗ 1∗ ),
𝐸2 × 𝐻
che si sviluppa, e si riconosce che questa quantità è immaginaria o nulla.

I due modi generici sono in generale due modi ortogonali.

Esistono particolari modi in una guida d’onda che sono modi degeneri. Sono
due, o più modi, che hanno distribuzioni di campo elettromagnetico
completamente diverse tra loro, ma presentano la stessa costante di
propagazione 𝑘𝑧 . Avere un k longitudinale uguale permette di accoppiare
energia, era il motivo per cui, ad esempio, un’onda piana non poteva
accoppiarsi con un surface plasmon polariton, perché non si riusciva ad
ottenere il matching tra i due kx. Per portare energia da un modo all’altro il k x
del surface plasmon polariton era uguale a quello dell’onda piana che viaggiava
nel vetro nella configurazione di (???). Questo ci dice che, quando i k
longitudinali sono gli stessi, ci può essere un accoppiamento, quindi un
passaggio di energia da un modo all’altro. I modi sono accoppiati, si
trasferiscono energia a vicenda e, quindi, si parlano tra di loro. La condizione
affinché ciò accada è che i modi siano degeneri, quindi devono avere la stessa
costante di propagazione secondo z. Bisogna evitare modi degeneri in una
guida d’onda, perché si scambiano tra di loro e non vale più la proprietà di
ortogonalità.

Quando andiamo a studiare il campo elettromagnetico all’interno di una guida


d’onda generica dobbiamo far riferimento al fatto che il campo
elettromagnetico, che può avere una distribuzione qualsiasi al suo interno,
sarà dato dalla somma dei modi TE + la somma dei modi TM + eventualmente,
se esiste, la
somma dei
modi TEM.
Questo è un
procedimento
noto come espansione modale del campo elettromagnetico, quindi posso
scrivere il campo elettromagnetico in una struttura come somma di infiniti
modi. Abbiamo che il campo EM si scriverà come somma di infiniti modi anche
nel caso della sola esistenza del modo fondamentale, che sarà il contributo
dominante, se esiste solo quello, mentre l’ampiezza degli altri modi sarà
trascurabile rispetto a quella del modo che stiamo considerando, e quindi non
sarà non nulla.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 17

Guide d’onda rettangolari metalliche

Il formalismo di Schwinger e Marcuvitz che abbiamo introdotto e tutte le


proprietà delle guide d’onda che abbiamo visto andranno particolarizzate al
caso di due guide in particolare, ovvero quella con profilo rettangolare e quella
con profilo circolare.

Nel caso della guida rettangolare andiamo a vedere come si scrivono i modi
TE(z) e TM(z), sapendo già a monte che questa struttura, essendo a profilo
semplicemente connesso, non supporta modi TEM(z).

La sezione trasversale a cui


facciamo riferimento è questa,
dove abbiamo considerato la
sezione della guida sul piano x, y.
Il vertice in basso a sinistra
coincide con l’origine degli assi, la
dimensione lungo l’asse x è pari
ad “a”, quella lungo l’asse y è pari a “b”. Per i modi TE(z) e TM(z) dobbiamo
risolvere i problemi agli autovalori dati dalle equazioni di Helmholtz sul piano
trasverso per
ℎ𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ) ed
𝑒𝑧 (𝑞1 , 𝑞2 ), con condizioni al contorno su una parete elettrica perfetta.

Particolarizziamo l’equazione di Helmholtz nel caso di una guida d’onda


rettangolare. Il Laplaciano trasverso lo scriviamo in coordinate cartesiane,
quindi q1 e q2 adesso vengono specializzate al caso delle coordinate trasverse
di un sistema rettangolare cartesiano x, y.

Questa equazione di Helmholtz per i modi TE(z) deve essere risolta con le
condizioni al contorno, le quali sono diverse a seconda se consideriamo i due
lati orizzontali della guida o i due lati verticali, perché cambia la normale.

Ad esempio, sui lati orizzontali, cioè per y=0 e y=b, al variare di 0 ≤ 𝑥 ≤ 𝑎 la


𝜕ℎ𝑧(𝑥,𝑦)
normale è diretta secondo y, quindi avremo sui due bordi orizzontali =
𝜕𝑦
0.

Andiamo a risolvere l’equazione di Helmholtz sul piano trasverso assieme a


questa condizione al contorno. Assumiamo che la soluzione sia fattorizzabile in
un prodotto tra due funzioni X(x)Y(y). Dividendo per ℎ𝑧 (𝑥, 𝑦) = 𝑋(𝑥)𝑌(𝑦), che
è sicuramente una quantità diversa da 0, perché se ℎ𝑧 fosse 0, sarebbe 0 anche
il gradiente trasverso di ℎ𝑧 , e quindi tutto il campo elettromagnetico associato
ai modi TE(z).

Abbiamo ottenuto la
somma di una funzione
della sola x con una
funzione della sola y, il
tutto uguale a
costante, e la costante
è pari a −𝑘𝑡2. Parliamo di costante rispetto alle coordinate spaziali x ed y.
Affinché ciò sia verificato, le due funzioni della sola x e della sola y devono
essere delle costanti, che chiameremo, per comodità, −𝑘𝑥2 e −𝑘𝑦2.

Dobbiamo fattorizzare le condizioni al contorno. Avevamo la derivata normale


di hz fatta rispetto a x=0 in x=0 e x=a, questo vuol dire portare fuori dal segno
di derivata, che diventa totale, Y(y).

Quindi portiamo fuori dal segno di derivata, che diventa totale, Y(y), ma,
dovendo valere ciò per x=0 e x=a per ogni 0 < 𝑦 < 𝑏, quindi sui due bordi
verticali della sezione della guida d’onda, Y(y) non può valere 0, quindi si può
ⅆ𝑋(𝑥)
eliminare. La condizione al contorno rimane semplicemente = 0.
ⅆ𝑥

Allo stesso modo sui due lati orizzontali della sezione trasversale della guida
d’onda, per y=0 e y=b avevamo la derivata rispetto ad y, possiamo considerare
una derivazione totale di Y(y), quindi portare fuori X(x) dal segno di derivata,
che non può essere uguale a 0. Tutto ciò deve valere in y=0 e y=b quale che sia
x compreso tra 0 ed a, quindi X(x) non può essere uguale a 0 e la condizione al
ⅆ𝑌(𝑦)
contorno rimane = 0 sui due bordi orizzontali.
ⅆ𝑦

1 ⅆ 2 𝑋(𝑥)
= −𝑘𝑥2
𝑋(𝑥) ⅆ𝑥 2
1 ⅆ 2 𝑌(𝑦)
2
= −𝑘𝑦2
{ 𝑌(𝑦) ⅆ𝑦
Abbiamo la prima delle due funzioni che uguagliamo a −𝑘𝑥2, la seconda che
uguagliamo a −𝑘𝑦2, e quindi abbiamo ottenuto una prima espressione generica
per 𝑘𝑡2 = 𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2. La somma di queste due funzioni deve dare vita ad una
costante.

È l’autovalore del problema, a partire dal quale si possono ottenere gli


autovettori, cioè le componenti di ℎ𝑧 nel caso TE, 𝑒𝑧 nel caso TM, e da queste
tutto il campo elettromagnetico associato al modo guidato. Dobbiamo quindi
trovare quanto valgono 𝑘𝑥2 e 𝑘𝑦2 per poter determinare 𝑘𝑡2.

Quindi ci chiediamo quali sono gli integrali generali per le due equazioni
differenziali al secondo ordine in X(x) grande ed Y(y). Dobbiamo distinguere
due casi per determinare gli integrali generali delle due equazioni differenziali
alle derivate totali, ovvero abbiamo il caso in cui 𝑘𝑥 ≠ 0 e 𝑘𝑥 = 0, stessa cosa
per 𝑘𝑦 .

Nel caso in cui 𝑘𝑥 sia diverso da 0 la soluzione è quella armonica tradizionale,


quindi conviene scrivere la soluzione come combinazione lineare di funzioni
seno e coseno per 𝑘𝑥 ≠ 0. Questo perché abbiamo delle onde che sono
confinate all’interno di una struttura ben definita, quindi non sono onde che
viaggiano nello spazio libero o lungo un asse, in quel caso sarebbe conveniente
esprimere il tutto in termini esponenziali. Dal momento che studiamo la
variabilità secondo x e secondo y sul piano trasversale dove abbiamo una
struttura delimitata e finita, abbiamo che, essendo p1 e p2 delle costanti di
integrazione

𝑋(𝑥) = 𝑝1 𝑠𝑖𝑛(𝑘𝑥 𝑥) + 𝑝2 𝑐𝑜𝑠(𝑘𝑥 𝑥)

Nel caso in cui 𝑘𝑥 = 0 abbiamo la combinazione lineare di due costanti, perché


l’equazione diventa semplicemente del tipo derivata seconda uguale a 0,
quindi ammette una soluzione lineare per X(x) del tipo

𝑋(𝑥) = 𝑝1 𝑥 + 𝑝2

In maniera analoga avremo che

𝑌(𝑦) = ⅆ1 𝑠𝑖𝑛(𝑘𝑦 𝑦) + ⅆ2 𝑐𝑜𝑠(𝑘𝑦 𝑦) ; 𝑘𝑦 ≠ 0


{
𝑌(𝑦) = ⅆ1 𝑦 + ⅆ2 ; 𝑘𝑦 = 0
Trovate X(x) e Y(y) dobbiamo scrivere le condizioni al contorno, dobbiamo
applicare le condizioni al contorno.

Per 𝑘𝑥 non nullo avremo che la derivata di X(x) su dx valutata per x=0 sarà tale
che
ⅆ𝑋(𝑥)
| = 0 → 𝑘𝑥 [𝑝1 cos(𝑘𝑥 𝑥) − 𝑝2 sin(𝑘𝑥 𝑥)]𝑥=0 = 𝑘𝑥 𝑝1 = 0
𝑎𝑥 𝑥=0

Avendo supposto 𝑘𝑥 non nullo, abbiamo che l’unica quantità che può essere
nulla è la costante di integrazione p1. Andando a mettere p1=0 in X(x) e
andandone a fare la derivata rispetto a x rimane soltanto

ⅆ𝑋(𝑥)
| = 0 → −𝑘𝑥 [𝑝2 sin(𝑘𝑥 𝑥)]𝑥=𝑎 = −𝑘𝑥 𝑝2 𝑠𝑖𝑛(𝑘𝑥 𝑎) = 0
ⅆ𝑥 𝑥=𝑎

Abbiamo che 𝑘𝑥 non può essere 0, p2 non può essere 0, perché essendo già
p1=0, sarebbe 0 tutto X(x), quindi sarebbe 0 tutto hz e quindi tutto il campo
elettromagnetico. L’unica quantità che può essere nulla è il 𝑠𝑖𝑛(𝑘𝑥 𝑎), che vale
𝑚𝜋
0 quando 𝑘𝑥 = , con m=1,2... quindi è un numero intero maggiore di 0.
𝑎

Abbiamo quindi due risultati importanti, il primo è che deriviamo quanto vale
𝑚𝜋
𝑋(𝑥) = 𝑝2 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑥), ed inoltre abbiamo individuato quanto vale una parte
𝑎
𝑚𝜋
del 𝑘𝑡2, ovvero 𝑘𝑥 = . È legato alla dimensione orizzontale della guida
𝑎
d’onda e varia al variare di m. Al variare del 𝑘𝑥 varierà anche il 𝑘𝑡2, e quindi
varierà il tipo di modo che stiamo considerando.

Quando 𝑘𝑥 = 0 abbiamo l’espressione 𝑝1 𝑥 + 𝑝2 = 0. Abbiamo che dalla prima


condizione troviamo che

ⅆ𝑋(𝑥)
| = 0 → 𝑝1 = 0 → 𝑋(𝑥) = 𝑝2
ⅆ𝑥 𝑥=0,𝑎

Dalla seconda condizione troviamo la stessa soluzione per p1, quindi abbiamo
che X(x) è semplicemente uguale a p2. Questa soluzione è compatibile con
quella trovata prima, perché quando imponiamo che 𝑘𝑥 = 0, quindi
assumiamo, ad esempio, che m=0, abbiamo che X(x)=p2.
𝑚𝜋
𝑋(𝑥) = 𝑝2 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑥)| = 𝑝2
𝑎 𝑚=0

La variabilità del 𝑘𝑥 per considerare insieme le due soluzioni, parte da m=0.


L’espressione per X(x) per entrambi i valori di 𝑘𝑥 è questa qui 𝑋(𝑥) =
𝑚𝜋
𝑝2 cos ( 𝑥).
𝑎

Considerazioni del tutto analoghe valgono per la variabilità secondo y, dove


ⅆ𝑌(𝑦)
dobbiamo scrivere le condizioni al contorno = 0 in y=0 e y=b, e, anche
ⅆ𝑦
ⅆ𝑌(𝑦)
qui, studiamo prima il caso di 𝑘𝑦 ≠ 0. Avremo che | →
ⅆ𝑦 𝑦=0
𝑘𝑦 [ⅆ1 𝑐𝑜𝑠(𝑘𝑦 𝑦) − ⅆ2 𝑠𝑖𝑛(𝑘𝑦 𝑦)]𝑦=0 = 𝑘𝑦 ⅆ1 = 0. Abbiamo che d1 è uguale a 0
perché 𝑘𝑦 non può essere nullo. Dalla seconda troviamo che

ⅆ𝑌(𝑦)
| → −𝑘𝑦 [ⅆ2 𝑠𝑖𝑛(𝑘𝑦 𝑦)]𝑦=𝑏 = −𝑘𝑦 ⅆ2 sin(𝑘𝑦 𝑏) = 0
ⅆ𝑦 𝑦=𝑏

𝑛𝜋
Da questa ricaviamo che 𝑘𝑦 = , con n che parte da 1. Quindi, a questo punto
𝑏
è noto tutto il 𝑘𝑡2. Abbiamo che Y(y) ha un’espressione pari a 𝑌(𝑦) =
𝑛𝜋
ⅆ2 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑦), che racchiude anche il caso di 𝑘𝑦 = 0. Infatti, se ky fosse nullo,
𝑏
in maniera esattamente duale a quella vista prima, applicando le condizioni al
contorno sui due lati orizzontali, troveremmo d1=0, e quindi Y(y)=d2 che
otterremmo nel caso in cui n=0 da questa espressione più generale 𝑌(𝑦) =
𝑛𝜋
ⅆ2 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑦). Possiamo assumere che la soluzione per k y nullo e non nullo è
𝑏
sempre questa, ma dobbiamo far partire l’indice n da 0.

Abbiamo trovato l’espressione per ℎ𝑧 (𝑥, 𝑦), che è la soluzione dell’equazione


di Helmholtz sul piano trasverso, cioè una costante p 2d2 per il prodotto di due
coseni che variano al variare degli indici m ed n (la cui variabilità parte da 0)
𝑚𝜋 𝑛𝜋
ℎ𝑧 (𝑥, 𝑦) = 𝑝2 ⅆ2 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑥) 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑦)
𝑎 𝑏
𝑚𝜋 2 𝑛𝜋 2
Abbiamo che 𝑘𝑡2 = ( ) + ( ) . Anche se m ed n possono singolarmente
𝑎 𝑏
essere nulli, non possono essere nulli entrambi. Se entrambi gli indici sono nulli
il primo coseno ed il secondo coseno diventano entrambi uguali ad 1, quindi
𝑒𝑡 ed ⃗⃗⃗
ℎ𝑧 (𝑥, 𝑦) = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 sulla sezione trasversa, questo renderebbe nullo ⃗⃗⃗ ℎ𝑡 ,
e quindi renderebbe nullo il campo elettromagnetico che si propaga nel caso
del modo TE(z) che stiamo considerando.

Al variare dei due indici m ed n, varierà l’autovalore soluzione del problema


agli autovalori, cioè varierà il 𝑘𝑡2. Gli autovalori possono quindi assumere
un’infinità numerabile di valori. Per ogni coppia di indici [m,n] ammessi (che
indichiamo tra parentesi quadre nel caso dei modi TE(z)), si ha un autovalore
che corrisponde ad un’autosoluzione per h z, e quindi ad un modo guidato del
tipo TE nella guida d’onda rettangolare. Per ottenere le componenti del campo
elettromagnetico dei modi TE(z) dobbiamo valutare 𝛻𝑡 ℎ𝑧 (𝑥, 𝑦).

Valutiamo il gradiente
trasverso di hz, ricaviamo
𝑗𝜔𝜇
𝑒𝑡 (𝑥, 𝑦) =
⃗⃗⃗ 𝑧̂ ×
𝑘𝑡2

𝛻𝑡 ℎ𝑧 (𝑥, 𝑦) ed ℎ⃗𝑡 (𝑥, 𝑦) =


𝑘𝑧
−𝑗 𝛻 ℎ (𝑥, 𝑦). Quindi il
𝑘𝑡2 𝑡 𝑧
campo elettromagnetico
dei modi TE è completamente noto all’interno della guida d’onda rettangolare.
Dobbiamo introdurre la dipendenza da z, perché fino ad ora abbiamo
considerato solo la soluzione del problema sulla sezione trasversa, quindi vale
per ogni z. La dipendenza da z è per il campo elettrico trasverso del tipo 𝑍𝑒 (𝑧),
che ha il contributo di un’onda diretta e di un’onda riflessa, quindi avremo,
tenendo conto dell’espressione che abbiamo trovato prima, che
Abbiamo che h trasverso dipende da 𝑍ℎ (𝑧), quindi dobbiamo considerare un
segno – quando andiamo a valutare il termine di onda riflessa.

Abbiamo che Hz varia come il campo elettrico trasverso secondo z, quindi varia
secondo 𝑍𝑒 (𝑧) nel modo che segue 𝐻𝑧 (𝑥, 𝑦, 𝑧) =
𝑚𝜋 𝑛𝜋
𝐴𝑚𝑛 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑥) 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑦) [𝑐1 𝑒 −𝑗𝑘𝑧 𝑧 + 𝑐2 𝑒 𝑗𝑘𝑧𝑧 ]
𝑎 𝑏

Il campo elettromagnetico di tutti i modi TE(z) è completamente definito. Noto


quindi il 𝑘𝑡2 per ogni modo, possiamo trovare la costante di propagazione
[𝑚,𝑛] 2 𝑚𝜋 2 𝑛𝜋 2
𝑘𝑧 = √𝑘 2 − 𝑘𝑡[𝑚,𝑛] = √𝜔2 𝜇𝜀𝑐 − ( ) − ( ) . Al variare di m ed n
𝑎 𝑏

otteniamo la singola costante di propagazione del modo guidato che stiamo


considerando. La costante di propagazione varia con la frequenza e dipende
dal materiale che utilizziamo per riempire la guida, inoltre dipende dalla
geometria rettangolare della sezione della guida (dalla geometria rettangolare
e dalle sue dimensioni a e b) e varia a seconda del modo che stiamo
considerando (quindi al variare di m ed n). A partire da questa costante
possiamo ottenere le frequenze di cut-off, la velocità di fase, la velocità di
gruppo e così via. Il cut-off lo si ottiene imponendo che kz=0, perché è la
condizione limite tra
propagazione ed
attenuazione,
sottoforma di onda
evanescente, del modo,
quindi imponendo che
𝑘 2 = 𝑘𝑡2 ad una
determinata pulsazione
di cut-off 𝜔𝑐 , ricaviamo il valore delle frequenze di cut-off dei singoli modi.
Quindi, imponendo che 𝑘 2 = 𝑘𝑡2 alla pulsazione di cut-off 𝜔𝑐 , troviamo la
frequenza di taglio corrispondente ad ogni coppia di indici m ed n. La
frequenza di taglio è una funzione del mezzo che usiamo per riempire la guida,
della geometria, quindi delle dimensioni trasverse della guida a e b, e varia al
variare del modo che stiamo considerando.

Questo vale per i modi TE, ma vale anche per i modi TM secondo z, questi sono
ordinabili a partire dal valore più piccolo fino al valore più grande della
frequenza di cut-off. Questi modi sono un’infinità numerabile.

Nel caso dei modi TM(z) dobbiamo ripetere gli stessi procedimenti. Le
differenze rispetto ai modi TE(z) non sono nell’andamento funzionale
dell’equazione di Helmholtz, che è la stessa che abbiamo visto nel caso dei
modi TE, ma nelle differenti condizioni al contorno che dobbiamo imporre,
infatti, stavolta non è la derivata dell’autosoluzione ad essere uguale a 0 sui
bordi, ma l’autosoluzione deve essere uguale a 0 sui bordi. Questo introduce
alcune
differenze.

Fattorizziamo la
soluzione,
possiamo
dividere per ez
che abbiamo
assunto essere diverso da 0 sulla sezione, mentre poi imporremo ez uguale a 0
solo sul contorno. Anche qui otteniamo una funzione della sola x + una
funzione della sola y uguale a −𝑘𝑡2.

1 ⅆ 2 𝑋(𝑥) 1 ⅆ 2 𝑌(𝑦)
2 + 2 = −𝑘𝑡2
𝑋(𝑥) ⅆ𝑥 𝑌(𝑦) ⅆ𝑦

Imponiamo le condizioni al contorno, che diventano molto semplici, ovvero

Anche qui chiamiamo 𝑘𝑥2 e 𝑘𝑦2 le due costanti


a cui uguagliamo la funzione della sola x e la
funzione della sola y che ritroviamo
nell’equazione di
Helmholtz dopo la
fattorizzazione, per cui
avremo che 𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 =
𝑘𝑡2. Le soluzioni le
esprimiamo come
abbiamo visto per i
𝑘𝑥 ≠0
𝑘𝑥 =0
modi TE(z) nel caso in cui 𝑘 ≠ 0.
𝑦
𝑘𝑦 =0

Andiamo ad imporre le condizioni al contorno. Queste non sono le derivate di


queste funzioni uguali a 0 sul contorno, ma semplicemente la funzione stessa.
Quindi, stavolta, troveremo che

La costante p1 non può essere nulla perché si annullerebbe X(x) e, quindi, e z.


𝑚𝜋
Abbiamo che 𝑠𝑖𝑛(𝑘𝑥 𝑎) = 0, e quindi 𝑘𝑥 = , 𝑚 = 1,2, ⋯ numero intero.
𝑎
𝑚𝜋
Abbiamo che la soluzione è pari a 𝑋(𝑥) = 𝑝1 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑥), gli m sono degli indici
𝑎
interi, quindi partono da 1 in poi, non possiamo considerare il caso m=0
accettabile. Se kx fosse nullo avremmo p2=0 dalla prima condizione e p1=0
dalla seconda condizione. Questa è una condizione matematicamente
compatibile, che possiamo ottenere nel caso in cui m=0, ma, dal punto di vista
fisico, non è una soluzione accettabile. Quando p1 e p2 sono entrambi nulli,
allora tutto X(x)=0, quindi tutto ez=0, e quindi sarebbe nullo tutto il campo
elettromagnetico. Non è possibile accettare, in questo caso, k x=0, quindi gli m
sono degli indici interi, ovvero partono da 1 in poi e non possiamo considerare
il caso m=0 accettabile.

Ripetiamo la stessa cosa per Y(y), e non cambia nulla perché otteniamo anche
𝑛𝜋
qui 𝑘𝑦 = , 𝑛 = 1,2, ⋯ e abbiamo che ky nullo impone sia d2=0 dalla prima
𝑎
condizione, sia d1=0, quindi tutto Y(y)=0, il che non è accettabile. Quindi,
anche se matematicamente compatibile, la soluzione d1=0, che si può ottenere
𝑛𝜋
mettendo n=0 in 𝑌(𝑦) = ⅆ1 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑦), non risulta essere accettabile perché
𝑏
d1 e d2 entrambi nulli corrispondono ad un campo ez nullo, e quindi a tutto il
campo elettromagnetico nullo. Mettendo insieme le soluzioni trovate con le
𝑚𝜋 𝑛𝜋
relative condizioni si ottiene 𝑒𝑧 (𝑥, 𝑦) = 𝑝1 ⅆ1 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑥) 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑦), con m che
𝑎 𝑏
𝑚𝜋 2 𝑛𝜋 2
parte da 1 ed n che parte da 1, e il 𝑘𝑡2 = ( ) + ( ) . Abbiamo che 𝑌(𝑦) =
𝑎 𝑏
𝑛𝜋
ⅆ1 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑦), gli indici n sono degli indici interi e possono partire da 1 in poi.
𝑏
Nel caso dei modi TM nessuno dei due indici può essere nullo, nel caso dei
modi TE possono essere nulli, ma non contemporaneamente.

La coppia di indici che descrivono i modi TM(z) vengono espressi come (m,n),
quindi tra parentesi tonde per differenziarli rispetto a quelli dei modi TE, e
anche qui ad un autovalore corrisponde un autosoluzione, e quindi
corrisponde un modo guidato. Quindi, ricavata 𝑒𝑧 (𝑥, 𝑦), ricaviamo il gradiente
ⅆ𝑒𝑧(𝑥1 𝑦) ⅆ𝑒𝑧(𝑥,𝑦)
trasverso 𝛻𝑡 𝑒𝑧 (𝑥, 𝑦) = 𝑥̂ + 𝑦̂ =
ⅆ𝑥 𝑎𝑦
𝑚𝜋 𝑚𝜋 𝑛𝜋 𝑛𝜋 𝑚𝜋 𝑛𝜋
𝑥̂𝑝1 ⅆ1 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑥) 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑦)+𝑦̂𝑝1 ⅆ1 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑥) 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑦), da cui
𝑎 𝑎 𝑏 𝑎 𝑎 𝑏
ricaviamo
𝑒𝑡 (𝑥, 𝑦)
⃗⃗⃗
ed
ℎ⃗𝑡 (𝑥, 𝑦).
Abbiamo
quindi le

espressioni del campo elettromagnetico in funzione di x e y, introduciamo ora


la dipendenza da z. Per il campo E trasverso consideriamo la dipendenza da z
secondo Ze(z), mentre per il campo magnetico trasverso secondo Z h(z), quindi
abbiamo il segno meno. Inoltre, ci ricordiamo che la componente longitudinale
del campo elettrico ha una dipendenza da z del tipo Z h(z), quindi avremo che
𝑚𝜋 𝑛𝜋
𝐸𝑧 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐵𝑚𝑛 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑥) 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑦) [𝑐1 𝑒 −𝑗𝑘𝑧 𝑧 − 𝑐2 𝑒 𝑗𝑘𝑧𝑧 ].
𝑎 𝑏

Anche qui, nel caso dei modi TM, possiamo trovare la costante di propagazione
(𝑚,𝑛) 2 𝑚𝜋 2 𝑛𝜋 2
del generico modo 𝑘𝑧 = √𝑘 2 − 𝑘𝑡(𝑚,𝑛) = √𝜔2 𝜇𝜀𝑐 − ( ) − ( ) . La
𝑎 𝑏

costante di propagazione risulta in generale una quantità complessa funzione


del numero d’onda trasverso (che dipende dalla sezione trasversale della guida
e dal modo) e del
materiale che riempie la
guida. Il cut-off si trova
nello stesso modo, le
frequenze di cut-off sono
uguali a quelle che
abbiamo visto per i modi
TE, solo che m ed n non
possono essere nulli.
Quindi, anche nel caso dei modi TM(z), abbiamo che questi sono ordinabili in
base alla frequenza di taglio, a partire dal valore più piccolo fino al valore più
grande.
Dopo aver trovato tutti i modi TE e
TM che sono presenti all’interno
della guida d’onda, ricordandoci che
non esistono i modi TEM, quindi,
nell’espansione modale, è sufficiente
fare la sommatoria a tutti i modi
TE(z) e TM(z) per ottenere qualsiasi
rappresentazione di campo elettromagnetico effettivamente esistente
all’interno di queste strutture, andiamo a considerare il modo fondamentale o
modo dominante di una guida d’onda. Questo presenta la frequenza di cut-off
più bassa, quindi è quello che può esistere a più bassa frequenza. Assumendo
che la dimensione a>b, se non fosse vero dovremmo ruotare il sistema di
riferimento per riportare la dimensione maggiore su x e la dimensione minore
su y, oppure possiamo fare delle considerazioni duali rispetto a quelle che
andremo a fare da qui in poi. Per a>b vediamo tra le varie frequenze di cut-off
dei modi TE e TM qual è quella più bassa.

Emerge che i
modi TM,
dovendo far
partire gli
indici m ed n
entrambi da
1, sono di ordine superiore, perché il valore più basso di f c si ottiene per
m=n=1. Nel caso dei modi TE abbiamo che uno dei due indici può essere 0,
quindi possiamo considerare i modi TE(0,1) e i modi TE(1,0) e vedere quale dei
𝑐
due ha fc più bassa. Il modo TE(1,0) ha 𝑓𝑐 = , mentre il modo TE(0,1) ha 𝑓𝑐 =
2𝑎
𝑐
. Avendo assunto che a>b, il modo fondamentale è quello TE(1,0) poiché ha
2𝑏
una frequenza di taglio il cui valore è più piccolo, invece se b>a sarebbe stato il
modo TE(0,1) il modo fondamentale. Il modo fondamentale di una guida
d’onda rettangolare, quando a>b, è il modo TE(1,0), e tutti gli altri modi sono di
ordine superiore. Il modo fondamentale TE(1,0) si ricava a partire dalle
espressioni generali viste prima ed imponendo che m=1 ed n=0. Così facendo
otteniamo questi
andamenti. Esistono
solo tre componenti
del campo
elettromagnetico del
modo TE(1,0). Hz è
quella principale, a
partire dalla quale otteniamo il campo elettromagnetico trasverso, il campo E
ha solo la componente secondo y, il campo H ha solo la componente secondo
x.

Il fatto che n=0 ci dice che non c’è una variabilità secondo y sul piano trasverso,
cioè il numero d’onda trasverso associato ad y, quindi ky=0, quindi il campo
elettromagnetico non potrà variare secondo y, cioè il campo elettromagnetico
non dipende da y. Sul piano trasverso l’unica dipendenza che troviamo è quella
𝜋
da x. La dipendenza da x, essendo m=1, sarà del tipo 𝑥, cosa che emerge
𝑎
chiaramente all’interno delle espressioni del seno e del coseno. Quindi, se
vogliamo
andare a
prendere la
geometria
della guida
d’onda e
volessimo
andare a
vedere come
sono fatte le
componenti del modo fondamentale TE(1,0), le troveremmo così. Abbiamo che
il campo elettrico ha solo la componente secondo y, quindi è puramente
𝜋𝑎
verticale, varia come 𝑠𝑖𝑛 ( ), sarà nullo sui due bordi verticali, come deve
𝑥
essere, perché è una componente tangenziale, ha un massimo al centro ed una
variabilità di una mezza lunghezza d’onda. Abbiamo che H z sarà massimo sui
bordi verticali, perché è il campo magnetico tangenziale ad una parete elettrica
perfetta, quindi andrà da un massimo di segno più ad un massimo di segno
meno, con l’attraversamento per lo 0. Inoltre, H con x (che è indicata con H con
t), è la componente normale ai bordi verticali, e deve andare a 0 ai bordi
perché è la componente normale del campo magnetico su una superficie
elettrica perfetta, e quindi avrà una variabilità come quella di E con y, come
𝜋𝑎
𝑠𝑖𝑛 ( ), quindi avrà un massimo centrale e andrà a 0 ai due bordi verticali
𝑥
della guida d’onda.

Le varie componenti del campo elettromagnetico si possono ottenere anche in


maniera abbastanza intuitiva, quindi, non solo possono essere derivate a
partire dal formalismo di Schwinger e Marcuvitz, ma si ricavano anche a partire
dalle condizioni al contorno. Atteso che la dipendenza secondo x e secondo y è
𝑚𝜋 𝑛𝜋
del tipo 𝑥 ed 𝑦, evidentemente se andiamo a considerare, ad esempio, E
𝑎 𝑏
con y, che è verticale sulla sezione della guida, questo deve andare a 0 in x=0 e
x=a. Quindi, in realtà, la componente E con y avrà una variabilità del tipo 𝐸𝑦 ∝
𝑚𝜋
𝑠𝑖𝑛 ( 𝑥), vediamo che deve andare a 0 in x=0 e x=a. Rispetto alla variabile y
𝑎
vediamo che, sui
due bordi
orizzontali, E
con y è la
componente
normale, e la
componente
normale del
campo elettrico su un conduttore elettrico perfetto è massima. Quindi, rispetto
ad y, dovendo E con y avere il massimo in corrispondenza dei due bordi
orizzontali, quindi per y=0 e y=b, avremo che l’andamento deve essere come il
𝑚𝜋 𝑛𝜋
coseno. Quindi avremo che 𝐸𝑦 ∝ 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑥 ) cos ( 𝑦). Per y=0 e y=b
𝑎 𝑏
abbiamo il massimo, e una variabilità quanto y oscilla tra 0 e b.

Abbiamo che Ex, se andiamo a vedere la dipendenza da x, è la componente


normale del campo elettrico sui due bordi verticali, quindi sarà massima per
x=0 e x=a, e avremo un andamento secondo x che sarà del tipo 𝐸𝑥 ∝
𝑚𝜋
𝑐𝑜𝑠 ( 𝑥 ), questo perché sui due bordi verticali x=0 e x=a la componente
𝑎
normale E con x rispetto a questi bordi deve essere massima.

Sui due bordi orizzontali Ex è la componente tangenziale, quindi in y=0 e y=b


deve annullarsi e l’andamento deve essere di tipo seno, in maniera tale che
𝑚𝜋 𝑛𝜋
questa componente sia 0 in y=0 e y=b, perciò 𝐸𝑥 ∝ 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑥 ) sin ( 𝑦).
𝑎 𝑏
Abbiamo ricavato questi andamenti senza considerare il procedimento
rigoroso matematico formale, la cui applicazione ci dà la sicurezza della
soluzione. Abbiamo che la componente orizzontale Hx sul bordo x=0 e x=a
rappresenta la componente normale del campo magnetico, la quale è nulla su
una superficie PEC, quindi l’andamento secondo x sarà del tipo 𝐻𝑥 ∝
𝑚𝜋
𝑠𝑖𝑛 ( 𝑥). Per quanto riguarda l’andamento secondo y, abbiamo che H con x
𝑎
è la componente tangenziale sul bordo y=0 e y=b, la componente tangenziale
del campo magnetico, su una superficie elettrica perfetta, è massima, quindi
𝑚𝜋 𝑛𝜋
avrà un andamento del tipo coseno. Quindi 𝐻𝑥 ∝ 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑥) cos ( 𝑦).
𝑎 𝑏

Se consideriamo
ez, questa è la
componente
tangenziale
rispetto ai due
bordi verticali
x=0 e x=a, che
deve andare a 0,
ma lo è anche sui due bordi orizzontali y=0 e y=b, quindi avremo che 𝑒𝑧 ∝
𝑚𝜋 𝑛𝜋 𝑚𝜋 𝑛𝜋
𝑠𝑖𝑛 ( 𝑥) 𝑠𝑖𝑛 ( 𝑦). Per ℎ𝑧 ∝ 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑥) 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑦), perché la componente
𝑎 𝑏 𝑎 𝑏
tangenziale del campo magnetico dovrà essere massima sul contorno. Su x=0 e
su x=a questa è la componente tangenziale del campo magnetico, quindi deve
essere massima, la variabilità rispetto a x sarà quindi del tipo coseno. Lungo y,
abbiamo che per y=0 e y=b questa è la componente tangenziale su un mantello
che è idealmente conduttore, quindi abbiamo ancora un andamento descritto
dal coseno. Se consideriamo la componente hz abbiamo che sui bordi x=0 e x=a
è la componente tangenziale del campo magnetico, che deve essere massima,
𝑚𝜋
quindi la variabilità rispetto a x dipenderà dal 𝑐𝑜𝑠 ( 𝑥), abbiamo inoltre che
𝑎
hz è ancora la componente tangenziale sui bordi y=0 e y=b, parliamo di un
mantello idealmente conduttore, e tale componente tangenziale sarà
massima, quindi avremo ancora una dipendenza dal coseno.

Consideriamo una dipendenza dal seno quando la condizione al contorno è una


condizione di 0, dal coseno quando la condizione al contorno è una condizione
di massimo. La componente tangenziale del campo elettrico al mantello deve
essere nulla sul mantello, quindi la variabilità sarà del tipo seno. Se il campo E è
normale al mantello, questo sarà massimo se la superficie è una superficie
elettrica perfetta, quindi avremo un andamento del tipo coseno. Il campo
elettrico tangenziale è massimo su una superficie elettrica perfetta, mentre il
campo magnetico normale è 0 su una superficie elettrica perfetta.

Il tutto corrisponde a quanto abbiamo ricavato prima matematicamente.

Larghezza di banda o intervallo di mono-modalità

Introduciamo il concetto di larghezza di banda o di intervallo di mono-


modalità, ed è l’intervallo di frequenze dove esiste solo il modo fondamentale.
È un intervallo di frequenze compreso tra il cut-off del modo fondamentale ed
il cut-off del primo modo di ordine superiore. È importante che nella guida ci
sia un solo modo, infatti i modi viaggiano con velocità di gruppo diverse tra di
loro, quindi se mandiamo un impulso, un segnale all’interno della guida,
esistono più modi. Se questi modi vengono eccitati la potenza si distribuisce su
più modi che viaggiano, però, a velocità diversa, sia di fase che di gruppo,
all’interno della guida. Il segnale che otteniamo, l’impulso che otteniamo, a
valle della guida, avrà una forma distorta.

Per evitare un segnale la cui forma d’onda è distorta in uscita, dobbiamo


lavorare in un intervallo di mono-modalità. Noto qual è in una guida d’onda
rettangolare il cut-off del modo fondamentale, dobbiamo trovale il cut-off del
primo modo di ordine superiore.
[1,0] 𝑐
𝑓𝑐 =
2𝑎
[2,0] 𝑐
Nel caso dei modi TE(z), per i primi indici, abbiamo che 𝑓𝑐 = .
𝑎
I modi TM
[0,1] 𝑐
𝑓𝑐 =
{ 2𝑏
[1,1]
hanno gli indici che partono entrambi da 1, e vediamo che 𝑓𝑐 =
𝑐 (1,1)
2𝑎𝑏
√𝑎 2 + 𝑏2 = 𝑓𝑐 . I modi 1,1 presentano una frequenza di taglio che è
sicuramente maggiore rispetto al modo TE[2,0] e TE[0,1]. Vediamo tra questi
due qual è il primo modo di ordine superiore. Possiamo scegliere noi in base
alle dimensioni della guida. Mettiamoci sull’asse delle frequenze ed
𝑐
individuiamo il modo fondamentale, che ha una 𝑓𝑐 = . Quando è definita la
2𝑎
dimensione a, e quindi è definito il cut-off del modo fondamentale, rimane
automaticamente definito il cut-off del modo TE[2,0], la cui frequenza è doppia
rispetto a quella del modo fondamentale. Variare b ci permette di inserire il
modo TE[0,1] o prima di c/a, o dopo c/a.

Il modo TE[0,1]
deve essere
𝑐
tale che
2𝑏
𝑐
cada dopo di ,
𝑎
perché se cade
prima riduce la larghezza di banda, che di conseguenza sarà quella definita tra
il modo TE[1,0] ed il modo TE[2,0]. Conviene far sì che il primo modo di ordine
superiore sia il modo TE[2,0] per avere una larghezza di banda maggiore.
𝑐 𝑐 𝑎
Avremo che ≤ → 𝑏 ≤ . Per avere una larghezza di banda più ampia
𝑎 2𝑏 2
possibile, quindi il massimo intervallo di mono-modalità, la dimensione b deve
soddisfare queste condizioni. Possiamo scegliere una guida rettangolare molto
schiacciata, o una guida in cui b sia molto prossimo alla metà di a. Tra le due
soluzioni, atteso che la larghezza di banda, sia in un caso che nell’altro, sarà la
stessa, perché il primo modo di ordine superiore in tutte e due queste
strutture, sarà comunque il TE[2,0], scegliamo la seconda, quindi b deve essere
il più possibile vicino ad a/2.

A parità di a, avremo un flusso di potenza maggiore. L’area della sezione è


maggiore quando b è più vicino ad a/2, quindi quando andiamo a fare il flusso
del vettore di Poynting attraverso questa superficie maggiore, avremo una
potenza trasmessa da una sezione all’altra della guida d’onda, che sarà
maggiore, questo a parità del valore del campo elettrico e magnetico.

Abbiamo un maggiore trasferimento di potenza da una sezione a quella


successiva, quindi a parità della potenza erogata dal generatore, avere una
sezione maggiore corrisponde ad avere una potenza maggiore che viene
trasmessa da una sezione all’altra della guida. Conviene avere a leggermente
inferiore ad a/2 per massimizzare la larghezza di manda per il modo
fondamentale e per avere un trasferimento di potenza maggiore.

Guide d’onda rettangolari: Esempio WR-90

Consideriamo una guida d’onda che lavora in banda X, che è chiamata WR-90,
dove 90 indica la dimensione orizzontale in pollici della guida. Abbiamo che
a=0,9 pollici e questa guida prende il nome di WR-90. Abbiamo che b=0,4
pollici, quindi è un po’ più piccola della metà di a, in maniera tale da riuscire a
massimizzare il trasferimento di potenza. Abbiamo il modo fondamentale TE10
che ha una 𝑓𝑐 = 6,557 𝐺𝐻𝑧, il secondo modo TE[2,0] ha una una 𝑓𝑐 =
13,114 𝐺𝐻𝑧, quindi doppia rispetto al TE[1,0].
In teoria la larghezza di banda,
quindi il regime di mono-
modalità di questa guida,
andrebbe da 6,5-13,1 GHz.

Abbiamo inoltre modi che


hanno lo stesso cut-off, ma
avere lo stesso cut-off vuol dire
avere lo stesso 𝑘𝑡2. Questo vuol
dire che hanno lo stesso kz, ma sono modi diversi. Questi modi si chiamano
modi degeneri, perché hanno diverse configurazioni di campo, ma hanno lo
stesso 𝑘𝑧 , hanno la stessa costante di propagazione. Dobbiamo far sì che modi
degeneri non si propaghino mai in una guida perché c’è un accoppiamento
energetico tra di loro, che è particolarmente forte nelle attenuazioni, quindi
nelle perdite che si hanno. Dal punto di vista pratico l’intervallo di mono-
modalità che consideriamo quando usiamo la guida in laboratorio risulta
compresa tra 1,2𝑓𝐶[1,0] 𝑒 1,9𝑓𝐶[1,0] . Non lavoriamo direttamente a partire dalla
frequenza di taglio del modo fondamentale. Abbiamo visto che intorno al cut-
off, se parliamo in termini di attenuazione, abbiamo delle attenuazioni che
sono molto significative, perché la direzione di propagazione del modo in guida
è quasi norale rispetto al mantello se consideriamo la sezione longitudinale
della struttura, e quindi la non idealità del conduttore ha un peso importante.

Quindi l’attenuazione è molto significativa proprio subito dopo il cut-off di un


modo. Se andiamo a valutare il 𝛽𝑧 (𝜔), questo presenta un andamento non
lineare nell’intorno del cut-off, perché al cut-off ha tangente che è verticale,
dopodichè, all’aumentare di omega, la curva si linearizza. Questo rappresenta
un minore effetto dispersivo della guida. Quindi, in definitiva, la guida d’onda
reale avrà un minimo di frequenza operativa che non è direttamente il cut-off
del modo fondamentale, quindi, per la WR-90 che utilizziamo in laboratorio e
che lavora in banda X, la larghezza di banda effettivamente utilizzabile è 8,2-
12,4 GHz. L’estremo superiore del range di unimodalità è determinato dal cut-
off del primo modo di ordine superiore, però, per via di imperfezioni che si
possono generare in guida, anche per via della non idealità, ad esempio, del
mantello che costituisce la guida, non conviene lavorare fino a due volte il
taglio del modo fondamentale, conviene fermarsi un po’ prima, intorno a 1,9fc.

Evitiamo i modi degeneri perché c’è un accoppiamento e c’è un


accoppiamento anche nelle attenuazioni.

Andiamo a graficare il diagramma di dispersione dei modi in una guida d’onda,


ovvero la curva che rappresenta il legame tra la costante di propagazione (in
parte reale ed immaginaria) e la frequenza (o più spesso la pulsazione).
Abbiamo che il kz del generico modo si esprime come segue

Al variare di m ed n andiamo a disegnare il grafico.

Il modo fondamentale è
rappresentato dalla curva in
marroncino. Sull’asse verticale
abbiamo la pulsazione, il
modo inizia a propagarsi a
(1,0)
partire dal taglio 𝜔𝑐 . Per
𝜔 → ∞ vediamo che la curva
tende alla retta che definisce
la propagazione di un’onda
piana che viaggia nel mezzo
che riempie la guida. Sotto al
cut-off, quindi per 𝜔 <
(1,0)
𝜔𝑐 abbiamo la curva di
attenuazione che abbiamo
già visto nel caso generale
descritta nelle volte scorse.
Questa curva di dispersione
vale per il modo fondamentale, ma vale anche per tutti gli altri modi. Fissiamo
la frequenza, quindi tracciamo la retta orizzontale, e vediamo in quali punti si
incontrano le curve di dispersione dei singoli modi. Supponiamo di andare a
prendere una frequenza più alta ed una intermedia.

All’aumentare della frequenza, sopra al cut-off del modo fondamentale,


aumenta il numero di modi, ma è importante notare che la densità di modi
aumenta in maniera significativa a mano a mano che aumenta la pulsazione.
Inoltre, a qualsiasi frequenza, esistono tutti gli infiniti modi della guida, alcuni
modi avranno un 𝑘𝑧 reale, e quindi si propagheranno, altri modi invece
saranno evanescenti e quindi si attenueranno. Il campo totale, in virtù
dell’espansione modale, data dalle proprietà di ortogonalità e completezza dei
set di moti TE e TM, è data dalla somma di tutti i modi TE e tutti i modi TM, il
contributo sarà attenuato ma non nullo, quindi dobbiamo considerare la
somma di tutti gli infiniti modi TE e TM per definire il campo all’interno della
guida.

Se osserviamo la retta tratteggiata, questa incontra la curva del modo


fondamentale, essendo sopra al cut-off, nel ramo 𝛽𝑧 . Quindi abbiamo
propagazione del modo fondamentale e attenuazione degli altri modi di ordine
superiore. Il modo che ha l’attenuazione minore è il primo modo di ordine
superiore, cioè il TE(2,0). Dobbiamo vedere a partire da quale distanza, dal
momento in cui noi andiamo a generare i modi in guida, per esempio,
mettendo un generatore che li eccita, possiamo considerare che sia presente il
modo fondamentale. Il modo fondamentale non è solo l’unico modo che si
propaga, rappresenta il modo dominante, possiamo trascurare nella
sommatoria degli infiniti modi tutti gli altri modi. Ciò è possibile quando
possiamo trascurare il modo TE(2,0), quando lo possiamo trascurare possiamo
trascurare tutti gli altri, perché hanno un’attenuazione maggiore.
(1,0)
L’attenuazione del modo TE(2,0) è un’attenuazione dell’ordine del 𝑘𝑡 , cioè
2𝜋
dell’ordine di . Quindi se noi lungo l’asse z consideriamo una distanza dal
𝑎
generatore, che ha generato tutti gli infiniti modi all’interno della guida, pari,
per esempio, ad a, quindi se prendiamo delle sorgenti messe sulla sezione
iniziale della guida, immediatamente dopo la sorgente, esisteranno tutti gli
infiniti modi. Supponiamo che le sorgenti siano ad una frequenza tale che si
possa propagare solo il modo fondamentale. Quando abbiamo considerato una
distanza a dalle sorgenti, l’ampiezza del secondo modo, considerando che
l’ampiezza di tutti gli altri modi di ordine superiore sarà sicuramente inferiore
2𝜋
perché hanno un’attenuazione maggiore, sarà tale che, se prendiamo 𝑒 − 𝑎 𝑎 ,
dove “a” è il tratto percorso lungo z, l’ampiezza è pari a 2 millesimi rispetto a
quella che il primo modo di ordine superiore aveva in corrispondenza alle
sorgenti.
(2,0) 2𝜋
𝐴𝑒 −𝛼𝑧 𝑧 = 𝐴𝑒 − 𝑎 𝑎 < 0,002𝐴

Siccome ha un’attenuazione questo modo, perché è un


modo evanescente, che non viaggia in guida, è un modo che
si attenua, la sua ampiezza passa da A a due millesimi di A
dopo aver percorso un tratto in guida lungo z un tratto pari
alla dimensione a della guida. Possiamo considerarlo come trascurabile visto
che la sua ampiezza passa da A a due millesimi di A, ma se trascuro il modo
TE(2,0) posso trascurare tutti gli altri in virtù del fatto che gli altri hanno
un’attenuazione maggiore.

Il campo elettromagnetico in guida viene espresso come somma di infiniti


modi, senza trascurare i modi che non viaggiano, quindi anche i modi
evanescenti, e ciò avviene in corrispondenza di una sezione dove abbiamo le
sorgenti, ad esempio, della guida, oppure in tutte quelle sezioni dove abbiamo
una discontinuità. Una discontinuità qualsiasi in guida eccita tutti gli infiniti
modi della struttura. Se mi trovo ad una distanza “a” dalla discontinuità, posso
assumere che tutti i modi di ordine superiore sono sufficientemente attenuati
rispetto al modo fondamentale, quindi possiamo considerare l’esistenza del
solo modo fondamentale, se le sorgenti sono nel range di uni-modalità in
guida, e quindi il modo fondamentale sia il modo dominante.

Supponiamo di avere una discontinuità in guida costituita da un’iride, che si


usa per effettuare filtraggio in guida, abbiamo che subito
dopo la discontinuità, e subito prima, bisogna considerare
infiniti modi, cioè i modi evanescenti non sono trascurabili.
Però ad una distanza “a” prima, e ad una distanza “a” dopo, posso assumere
che i modi evanescenti siano attenuati a tal punto da poter supporre che esista
solo il modo fondamentale. Quindi possiamo assumere che esista solo il modo
1,0 in guida sia a destra che a sinistra. Nell’intorno della discontinuità il campo
elettromagnetico sarà dato dalla sommatoria degli infiniti modi perché, anche
se sono evanescenti, la loro ampiezza è non trascurabile.

Costante dielettrica efficace

Noi sappiamo che, se abbiamo una certa sorgente che lavora ad una certa
frequenza 𝑓0 , a questa corrisponde una lunghezza d’onda assoluta legata alla
lunghezza d’onda del vuoto 𝜆0 . Immaginiamo di avere un campo
elettromagnetico, un’onda piana che viaggia all’interno di un dielettrico, la sua
periodicità spaziale sarà diversa dalla lunghezza assoluta associata alla
𝜆0
frequenza della sorgente, perché è pari a 𝜆 = .
√𝜀𝑟

In guida d’onda, quindi ora non parliamo di onda piana, noi abbiamo definito
𝜆𝑔 , cioè la lunghezza d’onda guidata, quindi la periodicità spaziale del modo
che viaggia all’interno della guida d’onda, con la lunghezza d’onda 𝜆𝑔 . Sarà
quindi una funzione del modo e nella guida d’onda rettangolare sarà funzione
dei due indici m ed n. Quanto vale la lunghezza d’onda guidata?
2𝜋 2𝜋
Questa si ottiene dal fatto che avremo un 𝑘𝑧𝑚,𝑛 = tale che 𝜆𝑔𝑚,𝑛 = .
𝜆𝑚,𝑛
𝑔 𝑘𝑧

Quindi, per i diversi kz, abbiamo una certa lunghezza d’onda guidata, che
varierà al variare del modo. Se dividiamo la lunghezza d’onda associata alla
frequenza della sorgente per la lunghezza d’onda del modo guidato, e ne
facciamo il quadrato, otteniamo una costante dielettrica relativa, che però non
corrisponde a nessun mezzo materiale, non coincide con la costante dielettrica
del mezzo dielettrico che riempie la guida, bensì è idealmente associata al
modo. Se vogliamo, non ha nulla a che fare con il valore della epsilon del
materiale che riempie la guida, sarà una funzione della 𝜀 del materiale, ma non
ha lo stesso significato fisico.
La costante
dielettrica
efficace del
modo
fondamentale
è pari a
1,0
𝜀𝑟,𝑒𝑓𝑓 = 𝜀𝑟 −
𝜋2 𝑎2
.
𝑘02

𝜔𝑐2
Alla frequenza di cut-off, ovvero quando al posto di 𝑘02 → , abbiamo che la
𝑐02
costante dielettrica efficace è nulla. Al cut-off è come se un’onda piana
viaggiasse all’interno di un mezzo con permittività nulla. Per frequenze
maggiori del cut-off abbiamo che la costante dielettrica efficace risulterà
essere una quantità maggiore di 0, mentre per frequenze minori al cut-off tale
costante dielettrica risulta essere negativa. Atteso che il 𝛽 dell’onda piana vale
𝜔√𝜇𝜀, quando la epsilon è negativa, abbiamo che l’onda piana si attenua,
perché la radice ha uno j, quindi abbiamo una quantità immaginaria. Sotto al
cut-off non abbiamo propagazione, ma modi evanescenti, al di sopra del cut-
off avremo propagazione semplice del modo. Al cut-off, quando il kz=0,
abbiamo che la costante dielettrica efficace vale 0.

La costante dielettrica efficace è quel valore di 𝜀𝑟 che descrive un materiale


equivalente che, per l’onda piana, presenta lo stesso kz, quindi presenta le
stesse proprietà di propagazione in una guida d’onda. Quindi questa costante
2
𝑚,𝑛 𝜆0
si esprime come 𝜀𝑟,𝑒𝑓𝑓 =( ) , questa espressione è uguale a 0 al cut-off,
𝜆𝑚,𝑛
𝑔

minore di 0 sotto al cut-off e maggiore di 0 quando il modo viaggia, quindi


sopra al cut-off del modo stesso.

Abbiamo visto com’è fatto il modo fondamentale in una guida d’onda


rettangolare, ed il modo classico per eccitare il modo fondamentale è quello di
usare un cavo coassiale con il conduttore esterno che viene messo in contatto
elettrico con il mantello della guida, poi si pratica un piccolo foro sul mantello,
ed il conduttore interno, senza che tocca il mantello della guida, del coassiale,
entra all’interno della struttura. Per avere l’accoppiamento, quando abbiamo
delle sorgenti impresse, all’interno dell’integrale che rappresenta la potenza
trasferita dalle sorgenti al campo elettromagnetico, abbiamo il prodotto
scalare tra il vettore densità di corrente elettrica impressa ed il campo elettrico
del modo a cui vogliamo trasferire energia. Il conduttore elettrico del coassiale
deve essere collineare con il campo elettrico del modo al quale vogliamo
trasferire energia, ed è meglio eccitare la guida d’onda in una configurazione
tale che il campo elettrico intercettato raggiunga il suo massimo. Se volessimo
eccitare il modo fondamentale di una guida d’onda usando un cavo coassiale
che è orientato ortogonalmente, non avremmo generazione del modo
fondamentale, non avremmo trasferimento di energia dal generatore al modo,
perché la sorgente impressa ed il campo elettrico sono ortogonali tra loro ed il
prodotto scalare risulta essere nullo. Anche se la frequenza del generatore è
superiore al cut-off del modo, quindi il modo può idealmente propagarsi in
guida, non si propaga perché non c’è accoppiamento di energia tra il
generatore, quindi il coassiale, ed il modo. Il fatto di avere una frequenza del
generatore superiore al cut-off non implica necessariamente che quel modo si
propagherà in guida, perché bisogna accoppiare quell’energia dalla sorgente al
modo perché ciò possa avvenire. Se volessi andare ad eccitare la guida d’onda
tramite un loop magnetico, cioè una sorgente magnetica impressa, il che vuol
dire prendere il conduttore interno del coassiale e rigirarlo a spira, la sorgente
magnetica impressa, sempre dall’integrale che descrive la potenza trasmessa
dalle sorgenti al campo elettromagnetico, deve essere tale che il dipolo
magnetico che genera sia collineare con il campo magnetico, quindi abbiamo
due possibilità. Facendo in questo modo lo abbiamo messo nella stessa
direzione di Hz, laddove Hz è massimo. Questa è una soluzione buona, al pari
della soluzione del coassiale messo centralmente rispetto all’asse x, quindi su
x=a/2, per eccitare il modo fondamentale.

Supponiamo di avere una frequenza tale che possano esistere tre modi
viaggianti all’interno della struttura, quale tra questi modi venga selezionato
per la propagazione, dipende dalla modalità di eccitazione, quindi da come
andiamo ad accoppiare energia su questi modi.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 18

Guide d’onda circolari

Dopo aver visto


l’applicazione del
formalismo di Schwinger e
Marcuvitz al caso delle
guide d’onda rettangolari,
andiamo a considerare il
caso di una sezione
circolare della guida d’onda.
La geometria alla quale facciamo riferimento è costituita da un tubo metallico
di sezione circolare, il metallo è assunto idealmente conduttore, l’asse z
coincide con l’asse di simmetria della struttura guidante, il raggio della sezione
trasversale lo indichiamo con “a”, ed individuiamo i due versori sul piano
trasverso 𝜃̂ e 𝑟̂ .
Utilizziamo un
sistema di coordinate
cilindriche in maniera
tale da semplificare
l’imposizione delle
condizioni al
contorno. Dobbiamo risolvere l’equazione di Helmholtz sul piano trasverso in
hz per lo onde TE ed in ez per le onde TM, con le relative condizioni al contorno.
I due problemi che dobbiamo affrontare sono quello che vediamo a sinistra per
le onde TE(z), e quello che vediamo a destra per le onde TM(z).

Osserviamo che hz ed ez hanno le due coordinate trasverse del sistema


cilindrico r e theta.
Iniziamo dalle onde
TE(z) e andiamo a
fattorizzare la
soluzione. Prima di
fare ciò, scriviamo il
Laplaciano trasverso in
coordinate cilindriche generalizzate, dopodiché, in coordinate cilindriche,
abbiamo che i coefficienti metrici sono dati da h1=1 ed h2=r. Scriviamo
l’equazione di Helmholtz sul piano trasverso in questa forma, utilizzando il
Laplaciano trasverso
che abbiamo visto
ora, e fattorizziamo
la soluzione in
questo modo

𝜕 2 𝑇(𝑟, 𝜃) 1 𝜕𝑇(𝑟, 𝜃) 1 𝜕 2 𝑇(𝑟, 𝜃)


2
+ + 2 2
= −𝑘𝑡2 𝑇(𝑟, 𝜃)
𝜕𝑟 𝑟 𝜕𝑟 𝑟 𝜕 𝜃
𝑇(𝑟, 𝜃) = 𝑅(𝑟)𝛩(𝜃)

L’andamento secondo z è sempre del tipo onda diretta + onda riflessa, quindi
del tipo 𝑒 −𝑗𝑘𝑧𝑧 + 𝑒 +𝑗𝑘𝑧𝑧 .

Introdotta la
fattorizzazione,
dividendo per la
funzione
incognita, che
non può essere nulla, e moltiplicando per r al quadrato otteniamo questa
espressione, costituita da quattro termini. Tre di essi dipendono dalla sola
variabile r, mentre uno dipende dalla sola variabile angolare. La somma dei
termini che dipendono dalla sola r deve dare vita ad una costante che è la
stessa che è associata al termine unico che dipende dalla sola variabile θ.
Chiamiamo questa
costante 𝝂𝟐 sia al
primo che al secondo
membro. Risolviamo
separatamente le due
equazioni differenziali alle derivate totali al secondo ordine che abbiamo,
partendo dalla seconda, che è più semplice. La seconda equazione è
un’equazione armonica che, quando ν quadro è diverso da zero, ammette
come soluzione

𝜣(𝜽) = 𝑨𝟏 𝒔𝒊𝒏(𝝂𝜽) + 𝑨𝟐 𝒄𝒐𝒔(𝝂𝜽)

Poiché la soluzione ha una variabilità secondo θ che è multipla di 2π, deve


valere che 𝛩(𝜃) = 𝛩(𝜃 + 2𝑙𝜋), con
l=1,2,3… Da cui deve risultare che
𝛩(𝜃) = 𝐴1 𝑠𝑖𝑛(𝜈𝜃) + 𝐴2 𝑐𝑜𝑠(𝜈𝜃)
= 𝛩(𝜃)
= 𝐴1 𝑠𝑖𝑛(𝜈(𝜃 + 2𝑙𝜋))
+ 𝐴2 𝑐𝑜𝑠(𝜈(𝜃 + 2𝑙𝜋))

Possiamo scrivere l’espansione del seno della somma e del coseno della
somma degli argomenti, ottenendo questa espressione qui
Uguagliando primo
e secondo membro
troviamo quanto
vale 𝜈. Possiamo
uguagliare il primo
membro al secondo
membro. Abbiamo
che cos(2𝜈𝜋𝑙) = 1
e sin(2𝜈𝜋𝑙) = 0,
ma poiché l è una quantità intera, 𝜈 deve essere una quantità intera n che vale
0,1,2 e via discorrendo.

Abbiamo un andamento lineare per 𝛩(𝜃). Dovendo essere la soluzione


periodica di periodo 2𝑙𝜋 avremo che 𝛩(𝜃) = 𝛩(𝜃 + 2𝑙𝜋) → 𝐴1 𝜃 + 𝐴2 =
𝐴1 𝜃 + 𝐴1 2𝑙𝜋 + 𝐴2 → 𝐴1 = 0 nel caso in cui 𝜈 = 0. Se A1 è uguale a 0 avremo
che, quando 𝜈 = 0, 𝛩(𝜃) deve essere una quantità costante pari a A 2.

Tale soluzione è un caso particolare di quella trovata in precedenza, che


risulta valida per qualsiasi valore di n, anche nullo:

𝜣(𝜽) = 𝑨𝟏 𝒔𝒊𝒏(𝒏𝜽) + 𝑨𝟐 𝒄𝒐𝒔(𝒏𝜽) con n=0,1,2…

Dall’aver imposto
che la soluzione è
periodica di periodo
2lπ, abbiamo
trovato che ν è
intero e vale “n”, e può essere un numero che va da 0 in poi. Dobbiamo
risolvere l’equazione nella sola variabile r, intanto a 𝜈 → 𝑛. Quando
sostituiamo n è facile fare in modo che questa equazione differenziale al
secondo ordine si riconduca ad un’equazione di Bessel. Quindi, questa
equazione si può manipolare per ottenere un’equazione di Bessel.
Consideriamo un cambio di variabile del tipo 𝑥 = 𝑘𝑡 𝑟. Vuol dire che la derivata
ⅆ𝑹(𝒓) ⅆ𝑹(𝒓) ⅆ𝒙 ⅆ𝑹(𝒓)
prima di R fatta rispetto a r, = ( ) = 𝒌𝒕 e abbiamo che
ⅆ𝒓 ⅆ𝒙 ⅆ𝒓 ⅆ𝒙
ⅆ𝟐 𝑹(𝒓) ⅆ𝟐 𝑹(𝒓)
( ) = 𝒌𝟐𝒕 .
ⅆ𝒓𝟐 ⅆ𝒙𝟐

Introducendo questa espressione all’interno dell’equazione che abbiamo visto


prima otteniamo che l’equazione si riduce esattamente ad un’equazione di
Bessel, dove è importante che n sia un numero intero.

𝑑 2 𝑅(𝑥) 1 𝑑𝑅(𝑥) 𝑛2
+ + (1 − 2 ) 𝑅(𝑥) = 0
𝑑𝑥 2 𝑥 𝑑𝑥 𝑥

La soluzione dell’equazione di Bessel è data da una combinazione lineare di


funzioni di Bessel di prima specie Jn e di seconda specie Yn con due coefficienti
B1 e B2 a moltiplicare

𝑅(𝑥) = 𝐵1 𝐽𝑛 (𝑥) + 𝐵2 𝑌𝑛 (𝑥)

Le soluzioni in termini di funzioni di Bessel di seconda specie divergono quando


l’argomento è nullo. Per x=0, quindi per R=0 (visto che kt non può essere nullo,
perché kt è nullo solo per i modi TEM che non possono esistere in questa guida
circolare perché ha profilo semplicemente connesso), il fatto che la funzione
𝑌𝑛 (𝑥) in un punto del dominio, cioè al centro della guida d’onda, vada ad
infinito, ci crea un problema perché il campo elettromagnetico non può essere
infinito, altrimenti avrebbe energia infinita. Quindi non può trasportare energia
infinita in quanto ciò va contro il principio della conservazione dell’energia. La
soluzione in termini di Yn è una soluzione che non possiamo accettare, quindi
occorre imporre che B2=0.

Questo vuol dire che 𝑅(𝑥) = 𝐵1 𝐽𝑛 (𝑥).


Scriviamo quindi la generica soluzione dell’equazione di Helmholtz sulla
sezione trasversa della guida.

A1 e A2 sono due costanti arbitrarie, quindi possiamo scrivere le due ampiezze


𝐴 = −𝑝 𝑠𝑖𝑛 𝜑
come { 1 . Le incognite sulle ampiezze vengono descritte in questa
𝐴2 = 𝑝 𝑐𝑜𝑠 𝜑
forma, che può rendere più compatta questa espressione.

Questa è la soluzione generica sia per h z per le onde TE, sia per ez per le onde
TM, e ora dobbiamo andare ad imporre le condizioni al contorno per
ottenere le due soluzioni separatamente. Nel caso delle onde TE(z) il
problema da risolvere è il seguente

Dovendo essere ciò valido per ogni θ, cioè sulla circonferenza che descrive il
mantello, quindi per r=a, ciò deve essere valido per ogni angolo 𝜃, quindi
𝑐𝑇𝐸 𝑐𝑜𝑠(𝑛𝜃 + 𝜑) non può essere nulla, ad essere nulla deve essere la derivata
ⅆ𝑱𝒏(𝒌𝒕𝒓)
| . Questa condizione al contorno può essere descritta in una forma
ⅆ𝒓 𝒓=𝒂
più compatta del tipo 𝑱′𝒏 (𝒌𝒕 𝒂) = 𝟎. Dalla soluzione di questa equazione, che
non è possibile esplicitare perché la derivata prima della Bessel J avrà
un’infinita numerabile di zeri, e per ogni zero, avremo un valore di 𝑘𝑡 via via
differente. Quindi il 𝑘𝑡 è valutato per via numerica. Esistono delle tabelle che ci
forniscono già gli zeri delle derivate prime delle funzioni di Bessel di prima
specie di ordine n in maniera tale da poter vedere quali sono i valori di kt che
soddisfano la condizione al contorno.

Esiste un’infinità numerabile di zeri per ciascuna derivata prima della funzione
Bessel J di ordine n, e abbiamo che l’m-esimo zero da vita all’m-esimo valore
del kt, quindi il valore di kta che annulla la derivata prima lo indichiamo come

𝜉𝑛𝑚 = 𝑘𝑡𝑛𝑚 𝑎. Il primo indice n dipende dall’ordine della funzione di Bessel che
sto considerando, ed il secondo m definisce quale zero sto considerando per
quella derivata prima della funzione Bessel J, quindi l’m-esimo zero.

Abbiamo che a è il raggio, quindi una quantità positiva, abbiamo che, dal
teorema degli autovalori, 𝒌𝒏𝒎
𝒕 è una quantità positiva, quindi 𝝃′𝒏𝒎 è una
quantità positiva.

Abbiamo che, al variare


dell’indice m, si
ottengono gli autovalori
(ordinati per valori
dell’argomento crescenti).

Avendo imposto la condizione al contorno, la componente h z per il generico


modo TE (che indichiamo tra parentesi quadrate), si scriverà come

[𝒏𝒎] 𝑻𝑬
𝝃′[𝒏𝒎]
𝒉𝒛 (𝒓, 𝜽) = 𝑨𝒏𝒎 𝑱𝒏 ( 𝒓) 𝐜𝐨𝐬 (𝒏𝜽 + 𝝋)
𝒂

Una volta noto hz, che si può scrivere in modo completo, andando a valutare la
dipendenza da z, possiamo valutare le componenti trasverse del campo
elettrico e del campo magnetico, in particolare queste hanno una componente
secondo 𝑟̂ e secondo 𝜃̂.

Il campo elettrico
trasverso si ottiene
andando a valutare
il gradiente
trasverso di hz in
coordinate
cilindriche, in particolare abbiamo che la dipendenza da 𝑟̂ va come Jn, la
componente secondo 𝜃̂ va come la derivata della funzione di Bessel di ordine
n.

Per quanto riguarda


il campo magnetico
trasverso, questo è
proporzionale al
gradiente trasverso
di hz, lo si scrive in
coordinate cilindriche, e abbiamo che la componente secondo 𝑟̂ va come J’n, la
componente secondo 𝜃̂ va come la Bessel J.

È chiaro che questo è il modo formale per ottenere le soluzioni e le espressioni


per il campo e trasverso ed h trasverso, però, come abbiamo fatto nel caso
delle guide d’onda rettangolari, per i modi TE e TM di una guida circolare,
possiamo arrivare anche qui in maniera intuitiva a definire gli andamenti
funzionali delle singole componenti del campo elettrico e magnetico. Se
vogliamo, ad esempio, andare a valutare la componente 𝐸𝜃 , sul contorno della
guida circolare, questa è una componente tangenziale, quindi rappresenta il
campo elettrico tangenziale sul contorno.

Il campo elettrico tangenziale sul contorno deve essere nullo, e, poiché deve
𝜉′
essere nullo, e poiché ad argomento delle funzioni di Bessel abbiamo , ci
𝑎
aspettiamo che l’andamento funzionale sia del tipo 𝑬𝜽 ∝ 𝑱′𝒏 . Infatti, dalla
derivazione formale del gradiente trasverso, la componente va come J’ n,
perché per r=a, quindi andando proprio sul contorno, a ed a si semplificano e
rimane 𝐽𝑛′ (𝜉 ′ ), ma 𝝃′ è uno zero della J’, quindi questa funzione va
sicuramente a zero. Quindi la componente tangenziale del campo elettrico,
dovendo andare a zero sul contorno, deve avere un andamento funzionale del
tipo J’. La componente 𝐸𝑟 normale non deve essere nulla
sul contorno della guida circolare, e questa avrà un
andamento funzionale del tipo 𝐸𝑟 ∝ 𝐽𝑛 . Infatti, la
componente secondo r del campo elettrico trasverso varia
come una Jn, non come una J’n, che è solo per la componente secondo θ, che si
deve annullare sul contorno. Se consideriamo invece la componente del
campo H secondo r, questa è la componente normale al contorno, e questa
deve andare a 0, perché è la componente normale del campo magnetico su
una superficie elettrica perfetta, quindi per r=a questa componente deve
essere zero e l’andamento funzionale deve essere del tipo 𝑯𝒓 ∝ 𝑱′𝒏 . La
derivazione matematica ci porta allo stesso risultato. Infatti, per r=a, abbiamo
che la componente secondo r versore presenta un contributo del tipo

′ 𝜉[𝑛𝑚]
𝐽𝑛 ( 𝑟), che, per r=a, a ed a si semplificano, il che vuol dire valutare la J’n
𝑎
nei suoi zeri, e quindi diventa zero. Ci aspettiamo invece che la componente
𝑯𝜽 ∝ 𝑱𝒏, essendo la componente tangenziale sul contorno, infatti non deve
andare a zero, anzi deve essere massima.

Noto che l’argomento della funzione Bessel J e la derivata di Bessel J deve


𝜉′
essere del tipo 𝑟, a questo punto avremo Bessel J quando sul contorno la
𝑎
componente non deve andare a zero, e avremo la derivata di Bessel J
quando, sul contorno, quella componente deve andare a zero, un po’ come
abbiamo visto nella scelta di seno o coseno nel caso di una guida d’onda
rettangolare. La componente Hz sul contorno è la componente tangenziale del
campo magnetico, che non deve essere nulla, quindi ci aspettiamo che

Una volta noto il campo elettromagnetico dei modi TE, andiamo a valutare la
costante di propagazione. Abbiamo che la costante di propagazione per i modi
TE(z) vale

Otteniamo le
frequenze di
taglio dei singoli
modi
uguagliando a 0
la costante di

propagazione. Questo 𝜉[𝑛𝑚] è estremamente importante, perché è
proporzionale a kt, e alla frequenza di cut-off.

Le frequenze di taglio dei modi TE sono ordinabili in ragione di quanto valgono



gli 𝜉[𝑛𝑚] , cioè gli zeri delle derivate delle funzioni di Bessel Jn.

Abbiamo gli andamenti


delle funzioni di Bessel
di ordine 0 (curva blu),
1 (la rossa) e 2 (la
verde). Dobbiamo
andare a vedere dove le
derivate sono nulle,
quindi dove abbiamo i
massimi ed i minimi delle funzioni. Dobbiamo andare a vedere qual è il primo
massimo o minimo di queste funzioni per individuare qual è il primo modo TE,
e quali sono quelli successivi.

Abbiamo che il primo estremo lo


abbiamo per la J0, però per l’argomento
che vale zero, ma l’argomento che vale
zero vuol dire kt=0, quindi questo
massimo non dobbiamo considerarlo. Il
massimo o il minimo successivo è il
massimo della funzione 𝐽1 , quindi questo

lo indicheremo come 𝜉11 . È. Infatti, il
primo zero della derivata della funzione
di Bessel J1.

Il successivo è associato alla funzione di Bessel J di ordine 2 che chiamiamo



𝜉2,1 , abbiamo quindi il massimo della funzione di Bessel J2, cioè il primo zero
della derivata della funzione di Bessel J 2.

Abbiamo il primo zero associato alla funzione di


Bessel di ordine 0, perché non potevamo
considerare il primissimo con kt=0, quindi
abbiamo il primo zero della derivata della Bessel
0 in terza posizione, e così via possiamo
considerare tutti i valori di 𝝃′𝒏,𝒎 che
rappresentano gli autovalori, cioè che sono legati
ai kt che ci danno gli autovalori dei singoli modi TE.

Se consideriamo gli zeri delle derivate prime


delle funzioni di Bessel dei vari ordini di prima
specie, vediamo che il modo fondamentale è il
modo 1,1 e ha uno 𝜉 ′ = 1,841.

Nel caso TM(z) la condizione al contorno è molto più semplice perché abbiamo
che ez=0. Dovendo essere ciò valido per ogni θ, corrisponde a dire che la Jn,
con argomento ktr, valutata in r=a, deve essere zero.
Non deve essere nulla
la derivata prima, ma
la funzione di Bessel
di ordine n di prima
specie deve essere
nulla, quindi le
soluzioni le
indichiamo come
𝝃𝒏𝒎, e diremo che l’m-esimo zero della funzione di Bessel si indica come
𝝃𝒏,𝒎 = 𝒌𝒏𝒎
𝒕 𝒂. 𝜉𝑛,𝑚 è una quantità estremamente positiva perché k t e a non
possono essere zero, ma sono
delle quantità positive.

Aggiungiamo anche qui la


dipendenza da z, quindi i
termini di onda diretta e
riflessa, valutiamo il
gradiente trasverso di ez per
ottenere le
componenti
secondo r e θ del
campo elettrico e
magnetico. Le
considerazioni che
dobbiamo fare sono analoghe a quelle che abbiamo visto prima.

Se dobbiamo considerare la componente E z per i modi TM,


questa è una componente tangenziale sul contorno, quindi deve
andare a 0 sul contorno, e siccome gli zeri sono valutati non sulla
derivata prima, ma sulla funzione di Bessel di ordine n, abbiamo
che 𝐸𝑧 ∝ 𝐽𝑛 , come abbiamo visto prima.
Se consideriamo la componente 𝐻𝜃 , che è la componente
tangenziale sul contorno, questa non deve andare a zero sul
contorno, quindi deve essere tale che 𝐻𝜃 ∝ 𝐽𝑛′ . Deve andare a
zero la componente normale del campo magnetico sul
contorno, quindi 𝐻𝑟 ∝ 𝐽𝑛 . E così via anche per le componenti
del campo elettrico.

Come abbiamo fatto per i modi TE, anche per i modi TM individuiamo il
(𝑛,𝑚) 2 𝜉𝑛,𝑚 2
𝑘𝑧 = √𝑘 2 − 𝑘𝑡(𝑛,𝑚) = √𝜔2 𝜇𝜀 − ( ) . L’espressione stavolta è diversa,
𝑎

cioè mentre nel caso della guida rettangolare i modi TE e i modi TM avevano lo
stesso kt quadro, qui invece è diverso. Otteniamo quindi diverse espressioni
per le frequenze di cut-off andando ad
uguagliare a zero l’espressione di kz che
abbiamo descritto prima, perché abbiamo
𝜉 e non 𝜉 ′.

Andiamo a valutare gli zeri delle varie funzioni


di Bessel, stavolta il primo zero è associato alla
J0, il secondo zero è associato alla J1, il terzo
zero alla J2, e via discorrendo individuiamo
tutto lo spettro modale TM.

Al variare dell’ordine della funzione di Bessel e


al variare
dell’m-esimo zero che abbiamo, possiamo
creare una tabella, e abbiamo che il valore 1,8
che avevamo ottenuto nel caso dei modi TE,
qui è superato da tutti i modi TM. Significa che il modo fondamentale è il
modo TE[1,1].

Qui abbiamo lo spettro modale completo, andando a mettere insieme i modi


TE e i modi TM di una guida circolare, è quello che vediamo qui.

Scriviamo il modo fondamentale 1,1 che ha un certo intervallo di mono-


modalità, e vediamo che

Vediamo che il modo TE11


ha Hz e ha questa
espressione che vediamo
qui. Il campo elettrico
trasverso ha una
componente secondo r
versore e una componente
secondo θ versore, così come il campo magnetico trasverso. Tali espressioni,
ovviamente, derivano da quelle precedenti ponendo n=1 e m=1. Andando ad
effettuare il grafico delle linee di forza del campo elettromagnetico (campo
elettrico con il tratto continuo ed il campo magnetico è, invece, tratteggiato),
abbiamo le configurazioni delle linee di forza del modo fondamentale TE11
sulla sezione trasversa.
Abbiamo che 𝐴𝑇𝐸 11 e 𝜑, che
sono incogniti, e vengono
determinati dalla
condizione di eccitazione.
Abbiamo che 𝐴𝑇𝐸 11 viene
individuata dalla potenza
che le sorgenti trasferiscono al modo, mentre 𝜑 tiene conto della direzione
lungo cui avviene l’eccitazione. Se noi andassimo a mettere il cavo coassiale
attraverso cui andiamo ad iniettare energia al campo elettrico del modo
fondamentale in questa
direzione, genereremmo il modo
TE11 in questo modo.
Cambiando l’orientamento in
maniera tale che 𝝋 = 𝝋𝟎 ,
andremmo a creare lo stesso
modo fondamentale, con la
stessa configurazione, però con un diverso 𝝋.

Quindi 𝜑 dipende dalla condizione di eccitazione, non dall’ampiezza, ma


dipende da dove andiamo a mettere la sorgente per generare il campo in guida
d’onda. Abbiamo che 𝜑 può assumere un valore qualsiasi, pari a qualsiasi
angolo nei 360°. Significa che il modo TE11 è fatto da un set di modi, tutti
TE11, tutti degeneri tra di loro, perché hanno lo stesso kz, però, basta una
piccola frazione di angolo 𝜑 di differenza per cambiare la polarizzazione del
modo. Quindi, la presenta di imperfezioni o deformazioni in guida può dare
luogo alla perdita di informazione codificata nella polarizzazione del modo, e
questo, ovviamente, rappresenta un problema, perché l’informazione è
codificata sulla polarizzazione, oppure, se vogliamo, quando realizziamo un
canale in una guida d’onda, l’energia non solo deve essere incanalata, ma deve
essere fatta uscire per ottenere l’informazione a valle. Lanciamo in guida
d’onda circolare il modo fondamentale TE11 in polarizzazione verticale,
andremo a mettere lo stesso conduttore interno del coassiale per fare uscire
l’energia al termine della guida, quindi per accoppiare il modo con il coassiale,
e quindi fare uscire l’energia al termine della nostra guida. Il cavo coassiale
deve essere inserito in polarizzazione verticale, esattamente come abbiamo
fatto all’ingresso.

Se, per qualche imperfezione della struttura o per qualche deformazione in


guida, il modo fondamentale non ha più quella polarizzazione, non otteniamo
più l’adattamento completo in termini di polarizzazione con il cavo coassiale
che utilizziamo in fondo alla guida per riprendere l’energia iniettata nella
guida stessa. Questa instabilità di polarizzazione del modo fondamentale TE11
in guida d’onda, che è soggetta a qualsiasi problematica di simmetria che noi
abbiamo sulla sezione trasversale della guida lungo l’asse della guida stessa,
quindi anche piccole imperfezioni o deformazioni della guida dovuti a effetti
termici o di pressione, possono far variare la polarizzazione del campo, e
questo può rappresentare un problema. Tipicamente, quando si lavora sul
modo fondamentale, si usano le guide d’onda a sezione ellittica (dal punto di
vista applicativo e pratico, poiché gli assi dell’ellisse definiscono direzioni di
polarizzazione privilegiate e ben definite, non abbiamo modi degeneri fra di
loro). Abbiamo che al variare di 𝜑 abbiamo configurazioni di campo diverse
perché non stiamo più sull’asse dell’ellisse.

Se noi abbiamo una guida d’onda a sezione ellittica, gli assi definiscono due
polarizzazioni privilegiate e, al variare di 𝜑, abbiamo modi diversi.

Troviamo interesse pratico anche nei cosiddetti modi circolari elettrici TE0m.
Fanno riferimento alle funzioni di Bessel di ordine 0.

Sono modi importanti perché sono dei modi TE, quindi il campo magnetico ha
una componente longitudinale Hz, ma sulla sezione trasversa il campo
elettrico è
puramente
circonferenziale ed il
campo magnetico è
puramente radiale.
La configurazione di campo tipica
è quella che vediamo qui, cioè il
campo elettrico è sempre
circonferenziale, e invece il campo
magnetico è sempre normale. Se
abbiamo una guida non ideale, cioè
con il mantello che non è un
conduttore perfetto, abbiamo che sul mantello, visto che sulla sezione
trasversa il campo magnetico è solo normale, radiale, non ci sarà mai un
campo magnetico circonferenziale e quindi non ci saranno mai correnti
longitudinali. Poiché c’è il campo magnetico longitudinale Hz, sul mantello
esistono solo correnti circonferenziali.

Nel caso TE, l’attenuazione


dovuta alle correnti
circonferenziali sul mantello,
cioè quelle create dal campo
magnetico longitudinale, ha
un andamento che decresce
con la frequenza, e per
frequenze abbastanza alte, questa attenuazione può andare a 0. Quindi i
modi circolari elettrici, ovvero i modi TE0m, sono interessanti perché
l’attenuazione diminuisce all’aumentare della frequenza, sono modi
tipicamente a bassa attenuazione e possono essere utilizzati per collegamenti
a grandi distanze. Notiamo che i modi circolari elettrici, anche il semplice TE01,
non sono i modi fondamentali della guida d’onda, quindi, quando eccitiamo un
modo circolare elettrico, bisogna fare in modo di non eccitare il modo
fondamentale TE11. Un modo per mantenere il modo fondamentale sotto al
cut-off è quello di realizzare la parte interna della guida d’onda con una
sezione, un profilo, ad elica metallica, che permette di eliminare la
condizione al contorno di esistenza del modo TE11, così questo non può
viaggiare all’interno della guida. Si attenuano tutti i modi che ci sono prima del
modo TE01, il modo TE01 può essere l’unico a viaggiare in questa guida, e, a
partire dalla sua frequenza di cut-off fino alla frequenza di cut-off del modo
immediatamente successivo, abbiamo una banda di uni-modalità. Il vantaggio
importante è quello dell’attenuazione che è molto bassa perché è sostenuta
solo dalle correnti circonferenziali sul mantello.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Filiberto Bilotti

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Lezione 19

Guide coassiali

Dopo aver visto le guide rettangolari e le guide circolari, consideriamo le guide


coassiali, quindi facciamo riferimento ad una struttura dove abbiamo più
conduttore. Le guide d’onda rettangolari e circolari, poiché la sezione ha un
profilo semplicemente connesso, queste non supportano modi TEM(z) nella
direzione dell’asse della guida d’onda. Le guide a più conduttori (essendo guide
a profilo non semplicemente connesso) possono supportare anche modi
TEM(z).

Le guide a più conduttori esistono sia in una versione a profilo aperto, sia in
una versione a profilo chiuso (intendendo un tubo metallico, che rappresenta il
conduttore esterno, e poi abbiamo uno, o più conduttori all’interno, come
avviene nel cavo coassiale semplice). Le guide a profilo aperto si estendono a
tutto lo spazio, e sono le linee in microstriscia e le linee co-planari. Se noi
abbiamo guide d’onda che presentano due conduttori che sono immersi
all’interno di un unico dielettrico, abbiamo la possibilità di eccitare all’interno
di questa struttura, con due conduttori ed un unico dielettrico, un modo
TEM(z). Se abbiamo che la guida d’onda è costituita da n conduttori immersi in
un unico dielettrico, allora il numero dei modi TEM(z) che può generarsi cresce,
e, in particolare, è pari ad n-1, dove n è il numero di conduttori. Nel caso di
due conduttori, il cavo coassiale presenta due conduttori indipendenti, ovvero
il conduttore o mantello esterno ed il conduttore interno, quindi abbiamo due
conduttori e i modi TEM che si possono generare è pari a 1. Un’altra
considerazione importante che facciamo a monte è che, quando sono presenti
due o più dielettrici, quindi il campo interessa due p più dielettrici, questo
avviene nelle linee aperte (tipicamente microstriscia, o guida co-planare), non
abbiamo propagazione di modi TE, TM, o TEM, ma descriviamo il campo
elettromagnetico in queste strutture attraverso la propagazione di modi
ibridi. I modi ibridi sono caratterizzati da entrambe le componenti Ez e Hz.

Fino ad ora abbiamo visto che nel caso delle guide d’onda a profilo
semplicemente connesso il campo si può esprimere come somma di modi TE
(Ez=0) e TM (Hz=0), in guide con più conduttori esistono anche i modi TEM che
hanno Ez e Hz nulli, se abbiamo delle guide dove il campo interessa due o più
dielettrici, allora, in quel caso, i modi in cui andiamo a scomporre il campo
elettromagnetico sono modi ibridi, ovvero che presentano quindi sia Ez che Hz.

Abbiamo degli
esempi di guide
d’onda a più
conduttori aperte e
chiuse.
Consideriamo, per
esempio (in alto a
sinistra), la guida in
microstriscia, dove abbiamo un supporto dielettrico caricato su un piano di
massa metallico e sulla lamina dielettrica abbiamo una metallizzazione su cui
viaggia il segnale. Questa struttura non è una struttura chiusa, il campo non
occuperà soltanto il dielettrico, ma interesserà anche la regione, che è un
semispazio, di aria che è presente sopra la struttura. Abbiamo a che fare con
due dielettrici, quindi il campo interessa il dielettrico del substrato, presente
tra la linea ed il piano di massa, ed interessa anche il semispazio di aria
superiore. Quindi avremo dei modi ibridi. Si dimostra che il modo
fondamentale è un modo quasi TEM. La stessa cosa vale per la guida
rappresentata a destra, nota come guida co-planare, dove il segnale viaggia
nella linea centrale mentre le due linee laterali sono il piano di massa, quindi
non è presente metallizzazione sotto la lamina dielettrica. La metallizzazione
relativa al segnale è rappresentata dalla linea intermedia.

Abbiamo sotto tre esempi di guide d’onda a più


conduttori, ma chiuse, quella in basso a destra è
nota come strip-line, e in questa configurazione
abbiamo una linea in microstriscia che viene
raddoppiata nella parte superiore in maniera
simmetrica. In questa configurazione abbiamo due metallizzazioni, una sorta
di guida a piatti piani e paralleli che racchiudono la guida d’onda e quindi
confinano il campo, e poi abbiamo un conduttore centrale lungo il quale
viaggia il segnale. I conduttori superiore e inferiore costituiscono una sorta di
mantello della guida d’onda, e abbiamo il segnale che viaggia nella striscia che
è presente all’interno, nel mezzo della struttura. Il cavo coassiale è una
struttura molto simile a quella della strip-line, ma non in versione planare,
bensì cilindrica, ovvero abbiamo che il conduttore interno è cilindrico, e quello
esterno è anche lui un conduttore cilindrico, che spesso viene realizzato a mo’
di garza piuttosto che a mo’ di conduttore solido. La figura centrale è costituita
da un coassiale, però multi-conduttore, quindi
abbiamo più conduttori interni, ciascuno è legato ad
un modo TEM diverso, e poi abbiamo la garza esterna
che rappresenta il conduttore di massa di questa
struttura multi-conduttore.

Studiamo il cavo coassiale e andiamo a valutare, dal punto di vista


elettromagnetico, e a scrivere quali
sono le componenti dei modi TE e
TM, ma soprattutto del modo
TEM(z) nella direzione di z che
esiste nel cavo coassiale. Il raggio
del conduttore interno del
coassiale lo indichiamo con a, con
b indichiamo il raggio del conduttore esterno. Immaginiamo che il mantello, il
conduttore interno, il dielettrico che riempie la guida, siano ideali, e facciamo
riferimento ad un sistema di coordinate cilindriche, quindi con le note regole di
trasformazione tra le coordinate cartesiane e le coordinate cilindriche. Quando
vogliamo studiare l’unico modo TEM(z) ammesso in questa struttura
dobbiamo risolvere l’equazione di Laplace sulla sezione trasversa per il
potenziale scalare (elettrico o
magnetico) e dobbiamo
applicare le relative condizioni
al contorno.

Abbiamo che l’equazione di


Laplace sul piano trasverso ci dice che 𝜵𝟐𝒕 𝝓(𝒓, 𝜽) = 𝟎 e le condizioni al
contorno stavolta, a differenza del caso delle guide d’onda rettangolari e
circolari quando sono coinvolti modi TE e TM, non sono condizioni di zero, cioè
non sono Ez=0 e derivata normale di Hz uguale a 0, ma c’è un valore che viene
assegnato al potenziale sul conduttore interno e sul conduttore esterno.
𝝓(𝒂, 𝜽) = 𝝓𝒂
Quindi abbiamo che { .
𝝓(𝒃, 𝜽) = 𝝓𝒃

L’equazione di Laplace sul piano trasverso la scriviamo in coordinate


cilindriche, quindi il Laplaciano lo esprimiamo in coordinate cilindriche.
Fattorizziamo la soluzione in una funzione della sola r e in una funzione della
sola 𝜃, dividendo ambo i membri per 𝑅(𝑟)𝛩(𝜃) e moltiplicando per r al
𝒓𝟐 ⅆ𝟐 𝑹(𝒓) 𝒓 ⅆ𝑹(𝒓) 𝟏 ⅆ𝟐 𝜣(𝜽)
quadrato otteniamo che + + = 𝟎. I primi due
𝑹(𝒓) ⅆ𝒓𝟐 𝑹(𝒓) ⅆ𝒓 𝜣(𝜽) ⅆ𝟐 𝜽
termini dipendono dalla sola r mentre gli ultimi due termini dipendono da 𝜃.

Andiamo a
considerare le
due equazioni e
a risolverle
separatamente.
Conviene partire
dall’equazione in
𝜣(𝜽), che ha le
due soluzioni
che abbiamo già visto, del tipo
𝜣(𝜽) = 𝑨𝟏 𝐬𝐢𝐧(𝝂𝜽) + 𝑨𝟐 𝐜𝐨𝐬(𝝂𝜽) per 𝝂 ≠
𝟎

𝜣(𝜽) = 𝑨𝟏 𝜽 + 𝑨𝟐 per 𝝂 = 𝟎.

Conviene questa volta applicare subito le


condizioni al contorno, visto che non sono
condizioni di zero, ma sono condizioni dove il potenziale sul conduttore interno
è uguale a 𝜙𝑎 , e il potenziale sul conduttore esterno uguale a 𝜙𝑏 , dovendo
essere ciò valido per ogni 𝜃 su ciascuna delle superfici del conduttore interno e
𝝓(𝒂, 𝜽) = 𝑹(𝒂)𝜣(𝜽) = 𝝓𝒂
del conduttore esterno, allora avremo che { ,e
𝝓(𝒃, 𝜽) = 𝑹(𝒃)𝜣(𝜽) = 𝝓𝒃
deve valere che 𝛩(𝜃) = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒. Non può essere considerata la soluzione
per 𝝂 ≠ 𝟎, perché quando 𝜈 ≠ 0, evidentemente avremo una variabilità di
𝛩(𝜃) secondo la variabile 𝜃 tramite seno e coseno, quindi l’unica soluzione
possibile è quella per 𝑣 = 0, dove dobbiamo considerare che anche A1=0,
quindi 𝛩(𝜃) = 𝐴2 = cost. Quindi avere imposto che il potenziale scalare non
dipende dalla coordinata angolare sul contorno della guida, comporta anche
dire che il potenziale scalare non dipende dalla variabile angolare su tutta la
sezione. Il potenziale scalare sarà dunque una funzione della sola variabile
radiale r.

Questa è l’equazione che


assume una certa
importanza in questa
analisi.

Può essere scritta nella


forma ridotta che vediamo
qui. La soluzione è del tipo
logaritmo, e ci dice che
𝑅(𝑟) = 𝐵1 𝑙𝑛(𝑟) + 𝐵2. Su questo dobbiamo applicare le condizioni al
contorno, quindi l’espressione totale del potenziale scalare

𝜱(𝒓, 𝜽) = 𝑹(𝒓)𝜣(𝒓) = 𝑨𝟐 [𝑩𝟏 𝒍𝒏(𝒓) + 𝑩𝟐 ] = 𝑪𝟏 𝒍𝒏(𝒓) + 𝑪𝟐 = 𝜱(𝒓)


C1 e C2 si ottengono imponendo le condizioni al contorno, abbiamo infatti che
per r=a, cioè sulla superficie del conduttore interno, il potenziale deve valere
𝜙𝑎 , e su r=b il potenziale scalare deve valere 𝜙𝑏 . Il sistema è di tipo 2x2, non
omogeneo e di facile soluzione.

𝝓(𝒂, 𝜽) = 𝝓𝒂 = 𝑪𝟏 𝐥𝐧 𝒂 + 𝑪𝟐
e queste espressioni devono valere ∀𝜃.
𝝓(𝒃, 𝜽) = 𝝓𝒃 = 𝑪𝟏 𝐥𝐧 𝒃 + 𝑪𝟐

In definitiva abbiamo ottenuto che il potenziale scalare funzione della sola


variabile r ha un andamento che va come il logaritmo di r e ha delle costanti di
integrazione che sono determinate avendo applicato le condizioni al contorno.

Per trovare il campo


elettromagnetico
che, nel caso TEM, è
solo un campo
elettromagnetico
trasverso, quindi
abbiamo e trasverso
e h trasverso,
𝜀
dobbiamo valutare 𝑒⃗𝑡 (𝑟⃗) = −𝛻𝑡 𝜙(𝑟) e ⃗⃗⃗⃗
ℎ𝑡 (𝑟) = −√ 𝑧̂ × 𝛻𝑡 𝜙(𝑟) =
𝜇

𝜀
√𝜇 𝑧̂ × 𝑒⃗𝑡 (𝑟). Considerato anche l’andamento secondo z, che è del tipo onda
diretta + onda riflessa, abbiamo che il campo elettrico trasversale è
puramente radiale (dipende da r versore) e che il campo magnetico
trasversale è puramente circonferenziale (dipende da 𝜽 versore). Il campo
elettrico del modo TEM(z) di un cavo coassiale è
puramente radiale ed il campo magnetico puramente
circonferenziale. Il campo elettrico ed il campo
magnetico si attenuano come 1/r, quindi è
particolarmente concentrato nell’intorno del
conduttore interno come ampiezza, e l’ampiezza si attenua andando verso il
conduttore esterno di raggio b.

Avendo assegnato un valore del potenziale scalare 𝜙𝑎 al conduttore interno e


un valore 𝜙𝑏 al conduttore esterno, il potenziale scalare è fisicamente
interpretabile come un potenziale elettrostatico. Cioè, se indichiamo con V0
la differenza di potenziale che c’è tra il conduttore esterno e il conduttore
interno, questa sarà pari a 𝜙𝑏 − 𝜙𝑎 che abbiamo imposto come condizione al
contorno. Se 𝜙𝑎 = 𝜙𝑏 non avremmo un campo all’interno, quindi se il
conduttore interno ed esterno fossero allo stesso potenziale, non avremmo un
modo TEM.

Dopo aver visto com’è fatta la distribuzione del campo elettromagnetico del
modo TEM in un cavo coassiale, consideriamo adesso la potenza media
trasportata dal modo TEM, l’attenuazione, la larghezza di banda e
l’impedenza caratteristica del modo TEM in un cavo coassiale. La potenza
media trasportata da un modo TEM si ottiene scrivendo il teorema di Poynting
attraverso la sezione circolare generica della guida. Dobbiamo prendere ½ che
moltiplica la parte reale
dell’integrale di E vettor H
complesso coniugato scalar z in ds,
dove ⅆ𝑠 = 𝑟ⅆ𝜃 ⅆ𝑟 perché parliamo
di una sezione circolare.

Abbiamo che l’angolo 𝜃 ∈ [0,2𝜋] e che la sezione si estende radialmente da


r=a e r=b, quindi gli estremi di integrazione secondo r saranno a e b. Il campo E
e il campo H li abbiamo ricavati prima.

Abbiamo che
all’interno
dell’integrale
𝑒⃗𝑡 (𝑟) × ℎ⃗⃗𝑡∗ (𝑟) ⋅ 𝑧̂ =
𝑧̂ × 𝑒⃗𝑡 (𝑟) ⋅ ℎ⃗⃗𝑡∗ (𝑟).
Abbiamo che 𝑧̂ ×
𝑒𝑡
⃗⃗⃗⃗(𝑟) ∝ ⃗⃗⃗⃗
ℎ𝑡 (𝑟),
quindi possiamo far comparire all’interno dell’integrale l’ultima espressione
che vediamo scritta in figura, che è pari al modulo quadro di h trasverso. Il
risultato finale ci dice che la potenza media trasportata dal modo TEM
attraverso la sezione
generica di un cavo
coassiale dipende dal
rapporto tra i raggi b/a,
che sta all’interno del
logaritmo, e dipende
anche dal materiale che
viene utilizzato all’interno
della guida. Dipende anche
dalla differenza di potenziale V0 che abbiamo assegnato, e dal modulo quadro
di c1.

V0 e il modulo quadro di c 1 sono legati entrambi al valore massimo del campo


elettrico che,
come abbiamo
visto prima, si ha
in r=a, visto che si
attenua come 1/r
a partire da a, poi
l’ampiezza
diminuisce fino a
diventare minima in r=b. Abbiamo che, poiché il modulo quadro del campo
elettrico massimo lo si ha in a, e vale questa espressione che vediamo scritta in
figura, abbiamo che, nell’espressione della potenza media, 𝑽𝟐𝟎 |𝒄𝟏 |𝟐 =
𝒃
|𝑬𝒓 |𝟐𝒎𝒂𝒙 𝒂𝟐 𝐥𝐧𝟐 ( ). Alla fine, la massima potenza trasportabile dal cavo
𝒂
coassiale ha questa espressione e dipende dal rapporto b/a. Il valore ottimo di
b/a affinché si abbia la massima potenza trasportabile dal cavo coassiale,
quindi parliamo di come dobbiamo dimensionare il cavo coassiale dal punto di
vista geometrico in termini dei due raggi a e b, affinché si abbia il massimo
trasferimento di potenza media, lo si determina come segue.
Si uguaglia a zero la derivata della potenza media trasportata dal coassiale da
una sezione all’altra rispetto al raggio a, in questo modo otteniamo il valore
𝒃 𝟏 𝒃
massimo, che si ottiene per 𝒍𝒏 = → = √ⅇ = 𝟏, 𝟔𝟒𝟖. Il rapporto tra il
𝒂 𝟐 𝒂
raggio del conduttore esterno ed il conduttore interno ottimo deve essere pari
a 1,648 nel caso in cui si volesse ottenere il massimo trasferimento della
potenza media per la nostra guida, dunque bisogna dimensionare in questo
modo il cavo coassiale.

Andiamo a valutare ora un altro aspetto, ovvero quello relativo


all’attenuazione. L’attenuazione dipende dalla non idealità del conduttore,
perché la non idealità del dielettrico può essere sempre superata andando a
riempire la guida d’onda con l’aria. Se applichiamo le espressioni generali per
l’attenuazione che abbiamo ottenuto a valle del formalismo di Schwinger e
Marcuvitz nel caso dei modi TEM(z), otteniamo, per il coassiale, questa
𝟏 𝟏
𝝎𝜺 +
𝒂 𝒃
espressione per l’attenuazione 𝜶𝒛 = √ , e vediamo che dipende dalla
𝟖𝒈 𝒍𝒏(𝒃)
𝒂

conducibilità g del mantello metallico e del metallo del conduttore interno, va


come la radice della frequenza, dipende dalla costante dielettrica, e dipende
anche dalla geometria. Come troviamo il minimo dell’attenuazione? L’obiettivo
è quello di dimensionare il coassiale in maniera tale da avere il minimo
dell’attenuazione. Riscriviamo questa espressione in una forma opportuna,
𝑏
introducendo 𝑥 = infatti otteniamo che, eseguendo passaggi elementari
𝑎

1 1
𝜔𝜀 𝑎 + 𝑏 𝜔𝜀 𝑎 + 𝑏 𝜔𝜀 1 1 + 𝑥 1+𝑥
𝛼𝑧 = √ =√ =√ =𝐶
8𝑔 𝑙𝑛 (𝑏 ) 8𝑔 𝑎𝑏 𝑙𝑛 (𝑏 ) 8𝑔 𝑏 ln(𝑥) ln(𝑥)
𝑎 𝑎

La costante C la consideriamo per un fissato b.


Otteniamo
un’equazione
trascendente che si
risolve per via grafica
e non per via
analitica. Abbiamo
rappresentata la
funzione alfa zeta
funzione di x, ovvero di b/a (sulle ordinate abbiamo b/a). Il minimo di
𝒃
attenuazione lo si ha per un valore di ( ) ≈ 𝟑, 𝟓𝟗𝟏.
𝒂 𝒐𝒕𝒕

Se ci mettiamo nelle condizioni di ottimo per x, otterremo un’espressione


dell’attenuazione che è quella che vediamo qui.

Quindi, individuato il
materiale, stabilita la
frequenza di lavoro,
posso ridurre
ulteriormente l’attenuazione andando ad agire su b. Fissato il rapporto b/a, o
a/b, che deve essere ottimo, l’attenuazione diminuisce al crescere della
sezione trasversa della guida e all’aumentare della conducibilità. Maggiori
dimensioni della sezione trasversa, però, corrispondono a larghezze di banda
più strette. Abbiamo visto che il campo elettromagnetico risulta essere
maggiormente confinato verso il conduttore interno, quindi più aumentiamo
la dimensione b della guida, più andiamo a far interagire meno il campo
elettromagnetico con il conduttore esterno, quindi minore sarà il livello di
attenuazione. Aumentare b è sicuramente utile per ridurre l’attenuazione, ma
potrebbe non essere utile ai fini della larghezza di banda. Aumentare b, infatti,
corrisponde a ridurre la larghezza di banda del coassiale, quindi dobbiamo
andare a bilanciare questi due aspetti. O privilegiamo il discorso
dell’attenuazione, quindi la rendiamo più bassa possibile, o privilegiamo la
larghezza di banda. Oppure arriviamo ad un punto di ottimo intermedio, che
però non riguarda né il primo caso né il secondo.
Il minimo dell’attenuazione, se noi assumiamo un cavo in rame, con una
𝑺
conducibilità alle microonde pari a 𝒈 = 𝟓, 𝟖 ⋅ 𝟏𝟎𝟕 , abbiamo che il valore
𝒎
dell’attenuazione minimo, avendo assunto il rame come materiale, si esprime
in questo modo

Il tutto è espresso in unità


naturali (Np/m), ovvero
Neper al metro. Quando si
vuole dimensionare un collegamento in guida d’onda tramite un cavo
coassiale, conviene esprimere l’attenuazione in dB/m. Per passare da Np/m a
dB/m consideriamo
queste formule e, alla
fine, otteniamo 8,68 dB.
Quindi 1 dB = 0,115 Np.
Quindi il minimo di
attenuazione in dB/m vale dunque:

1
𝛼𝑧𝑚𝑖𝑛 ≈ 1,432 ⋅ 10−10 √𝜀𝑟 √𝑓
𝑏

Quindi questa è la formula che usiamo


tipicamente per andare a dimensionare un
collegamento in coassiale, dove avremo come
parametri la potenza che viene trasmessa, la potenza che viene ricevuta
dall’altra parte, e il canale è rappresentato dall’attenuazione che abbiamo in
guida, quindi nel coassiale. Dimensionare il collegamento vuol dire che, se
abbiamo un determinato valore come soglia del ricevitore, quindi non
possiamo ricevere un valore di Pr al di sotto di una certa soglia, allora Pr sarà
data dalla soglia in ricezione, è nota la lunghezza del tratto di coassiale che
dobbiamo impiegare, ne sono note le caratteristiche di attenuazione,
definiamo quindi quanto deve valere la potenza che viene accoppiata al modo
TEM che viaggia in guida per poter ottenere una determinata ricezione. Questo
è il dimensionamento di un collegamento in coassiale.
Ricordiamo che l’impedenza caratteristica dipende dalla geometria del
materiale e dal materiale dielettrico che riempie la guida, assumendo il caso
in cui il conduttore sia ideale. Se non abbiamo perdite né nel dielettrico né nel
𝑳
conduttore, ci ricordiamo che l’impedenza caratteristica 𝒁𝟎 = √ 𝟎 , dove L0 è
𝑪𝟎

l’induttanza per unità di lunghezza. Quindi noi dobbiamo andare a prendere


un tratto di coassiale di lunghezza infinitesima dz e dobbiamo andare a
valutare, per valutare L0, il flusso del campo magnetico (puramente
circonferenziale) attraverso la sezione longitudinale della guida che vediamo
qui, che ha un’estensione orizzontale unitaria, perché vale
dz, e poi si estende da a a b in maniera cilindrica. Stiamo
considerando una sezione longitudinale per far vedere che
la corrente scorre sul conduttore interno, scorre sul
conduttore esterno come richiamo, si genera un campo
magnetico circonferenziale (possiamo seguirlo anche con la regola della mano
destra mettendo il pollice secondo il conduttore interno e abbiamo un campo
magnetico che attraversa questa sezione tratteggiata). Dobbiamo andare a
valutare il flusso del vettore B attraverso questa sezione longitudinale della
guida, dividerlo per la corrente, e otteniamo L0. C0 è la capacità per unità di
lunghezza di un condensatore cilindrico. Noi abbiamo considerato in
elettrostatica il caso di un conduttore cilindrico e abbiamo già valutato la C 0
(F/m, mentre la prima è H/m).
𝟐𝝅𝜺𝟎 𝜺𝒓
𝑪𝟎 = 𝒍𝒏(𝒃∕𝒂)
𝒍𝒏(𝒃∕𝒂)
𝝁𝟎 e 𝒁𝟎 = 𝟔𝟎 . Vediamo che l’impedenza caratteristica
𝑳𝟎 = 𝒍𝒏(𝒃 ∕ 𝒂) √𝜺𝒓
𝟐𝝅
del coassiale, associata al modo fondamentale, quindi al TEM del coassiale,
dipende dalla geometria, in particolare dal rapporto tra i raggi b/a e dal
materiale che usiamo per riempire il coassiale, ovvero epsilon con r. È
interessante vedere quanto vale l’impedenza caratteristica nel caso del minimo
di attenuazione e nel caso del massimo della potenza trasportata. Abbiamo
𝑚𝑖𝑛[𝛼𝑧] 1,278 77
𝑍0 = 60 ≈
√𝜀𝑟 √𝜀𝑟
infatti che 𝑚𝑎𝑥[𝑃] 0,5 30 . Abbiamo due impedenze caratteristiche
𝑍0 = 60 =
√𝜀𝑟 √𝜀𝑟
differenti, e se c’è l’aria abbiamo che √𝜀𝑟 = 1. Come dimensioniamo un
coassiale? Dipende dalle applicazioni. Se le applicazioni sono tipicamente di
ricezione, quindi non siamo interessati a supportare il massimo della potenza,
allora conviene lavorare sul minimo di attenuazione, perché già il segnale
ricevuto è un segnale basso, perché abbiamo tutta la fase di propagazione a
monte. Conviene dunque che il cavo coassiale introduca la minima
attenuazione possibile, quindi conviene un coassiale attorno ai 77 Ohm di
impedenza caratteristica. Se usiamo il cavo coassiale per alimentare
un’antenna, quindi il tratto di linea è molto corto tra il trasmettitore e
l’antenna, però vogliamo portare sull’antenna una potenza elevata, conviene
operare sul massimo della potenza trasportata e quindi avere un’impedenza
caratteristica nell’ordine dei 30 Ohm. Molto spesso un cavo coassiale deve
svolgere bene entrambi questi ruoli, quindi lavorare con un’attenuazione il più
possibile bassa avendo però un massimo trasporto di potenza (il più possibile
elevato). Durante la Seconda guerra mondiale la US Navy decise di adottare
come compromesso il valore medio tra 30 e 75 (arrotondato da 77) Ohm,
ovvero di 52𝛺, arrotondato poi a 50𝛺 di impedenza caratteristica. La maggior
parte dei cavi coassiali che vengono utilizzati sono oggi standardizzati a 50
Ohm di impedenza caratteristica. Per alcune applicazioni particolari invece
sono tarati a 75 Ohm, per ottenere il minimo di attenuazione. Ad esempio, il
coassiale che abbiamo in casa, che porta il segnale televisivo dall’antenna sia
satellitare, sia del digitale terrestre, fino al decoder, è un coassiale che lavora
in ricezione, quindi conviene averlo con la minima attenuazione, quindi sono
cavi coassiali con un’impedenza caratteristica di 75𝛺, poi, a seconda
dell’altezza del palazzo, la lunghezza del coassiale può essere anche
significativa, in realtà comunque conviene ridurre il più possibile l’attenuazione
per minimizzare le perdite. Quindi, invece di un cavo standard a 50 Ohm si usa
lo standard in ricezione, che ha un’impedenza caratteristica di 75 Ohm.

L’altro punto che dobbiamo analizzare per un cavo coassiale è quello della
larghezza di banda. Il modo fondamentale è il modo trasverso
elettromagnetico, perché, quando esiste, questo è sempre un modo
fondamentale, essendo la frequenza di cut-off, proporzionale al 𝑘𝑡 , uguale a 0.
Siccome il 𝑘𝑡 = 0 → 𝑘𝑧 = 𝑘 = 𝜔√𝜇𝜀, quindi 𝑘𝑧 non è mai 0, a meno che
omega sia nullo. Quindi il cut-off del modo fondamentale si assume a
frequenza nulla, quindi il modo fondamentale TEM esiste a partire da una
frequenza nulla.

Per definire la larghezza di banda dobbiamo andare a valutare il cut-off del


primo modo di ordine superiore, quindi dobbiamo andare a vedere, tra questi
modi TE e TM (di modi TEM ne abbiamo uno solo), qual è quello di ordine
inferiore in maniera tale da individuare anche il secondo estremo e
determinare la larghezza di banda del coassiale. Si ripete la stessa procedura
che si effettua nel caso di una guida d’onda circolare, bisogna aggiungere
un’ulteriore condizione al contorno per i modi TE e i modi TM per r=a, cioè in
corrispondenza del conduttore interno.

Dobbiamo risolvere l’equazione di


Helmholtz sul piano trasverso alla
direzione di
propagazione ed
imporre la condizione al
contorno nel caso dei
modi TE e TM secondo z.

La soluzione viene fattorizzata come 𝑻(𝒓, 𝜽) = 𝑹(𝒓)𝜣(𝜽) = [𝑩𝟏 𝑱𝒏 (𝒌𝒕 𝒓) +


𝑩𝟐 𝒀𝒏 (𝒌𝒕 𝒓)]𝑪 𝐜𝐨𝐬(𝒏𝜽 + 𝝋). Abbiamo stavolta che B2 non è 0, perché le
funzioni di Bessel di seconda specie divergono per r=0, però abbiamo che r=0
non è un punto del dominio che noi stiamo considerando per la soluzione del
problema differenziale, perché è un punto interno al conduttore interno, ed
avendo assunto che il conduttore è ideale, evidentemente il campo è 0. Il fatto
che diverga per r=0 non ci disturba perché diverge in un punto esterno al
dominio, mentre nella guida d’onda circolare il punto r=0 è un punto del
dominio della sezione di una guida d’onda circolare e quindi il campo non può
andare all’infinito. In questo caso invece non è un problema il fatto che vada
all’infinito per r=0, perché cominciamo a considerare la sezione da r=0a fino a
r=b. Il fatto di lasciare B2 porta ad una complicazione analitica perché quando
andiamo a imporre le condizioni al contorno, ad esempio nel caso delle onde
TE, abbiamo che la condizione al contorno che deve valere per ogni 𝜃 si scrive
in questa forma qui.
Ciò che moltiplica C coseno deve andare a 0 nelle due condizioni al contorno,
che devono essere valide per ogni 𝜃. Si ottiene un sistema omogeneo 2x2 per
derivare B1 e B2 che è un sistema che ammette soluzione solo se il
determinante della matrice dei coefficienti è uguale a 0, quindi
𝐽𝑛′ (𝑘𝑡 𝑎)𝑌𝑛′ (𝑘𝑡 𝑏) − 𝐽𝑛′ (𝑘𝑡 𝑏)𝑌𝑛′ (𝑘𝑡 𝑎) = 0, che solitamente si pone nella forma
seguente, che prende il nome di equazione caratteristica.

Noi abbiamo
soluzione del
problema TE con le
condizioni al
contorno fissate tutte
le volte che vale
questa equazione caratteristica qui, che viene fuori dall’ulteriore
complicazione di dover lasciare le funzioni di Bessel di seconda specie Y. Al
variare dell’ordine n delle funzioni di Bessel avremo, per ciascun ordine n,
un’infinità numerabile di soluzioni di questa equazione caratteristica, che
indicheremo con m. Avremo m zeri dell’equazione caratteristica. Quando
andiamo ad indicare i modi TEnm, il primo indice definisce l’ordine della
funzione di Bessel, invece m rappresenta l’indice dello zero non della derivata
prima della Jn, ma dell’equazione caratteristica che vediamo qui. Quindi, una
volta trovati gli autovalori come soluzione dell’equazione caratteristica,
accanto a questi abbiamo un modo di propagazione, un modo guidato TE.
Quindi utilizziamo anche qui la posizione che vediamo scritta qui.

Tutti gli 𝜉 soluzione ci


danno gli m zeri di
questa equazione, e
quindi ci danno gli
autovalori del
problema TE. È
importante osservare che, avendo introdotto il termine adimensionale q, si
vede che le guide d’onda coassiali, che hanno tutte lo stesso rapporto a/b, in
realità poi hanno gli stessi modi, perché l’equazione dipende solo da q, e non
da a e b separatamente. Quindi quando abbiamo trovato i modi per un certo
rapporto di a/b, anche se variamo le dimensioni fisiche del coassiale, ma a/b è
costante, la soluzione è la stessa per ogni famiglia di cavi coassiali
caratterizzati da un determinato valore di q.

La stessa
cosa
possiamo
fare per i
modi TM,
quindi avremo che

Anche qui
possiamo
considerare un
q=a/b, e
quindi anche
qui possiamo
arrivare ad
𝜉𝑛,𝑚 2 𝜉𝑛𝑚 2
una soluzione in termini di 𝑘𝑡(𝑛,𝑚) = → 𝑘𝑡(𝑛,𝑚) =( ) . Analiticamente,
𝑏 𝑏
trovato tutto lo spettro dei modi TE e dei modi TM (non lo facciamo), il
risultato finale è che il primo modo di ordine superiore tra tutti i TE e tutti i TM
è il TE11. Quindi il
modo fondamentale di
un coassiale è il modo
TEM, mentre il primo
modo di ordine
superiore è un TE11,
proprio come avviene in una guida circolare. Se noi andiamo a valutare la

𝑐 𝜉11
frequenza di cut-off per il TE11, abbiamo che 𝑓𝑐[1,1] = . Ma 𝜉 ′ abbiamo
2𝜋 𝑏
detto che varia per una certa famiglia di coassiali al variare del rapporto b/a.
Vediamo dal grafico che, per q=0, il valore di 𝜉 ′ è pari a 1,841, che è il valore
che abbiamo trovato come autovalore per il modo TE 11 del coassiale. Quando
a=0 il conduttore interno del coassiale sparisce, quindi matematicamente il
TE11 diventa quello di una guida d’onda circolare. A mano a mano che
aumenta il raggio interno del coassiale, 𝜉 ′ diminuisce. Quando fissiamo un
certo valore di q=a/b, quindi un certo aspetto geometrico del cavo coassiale,

vediamo che, fissato 𝜉11 , la frequenza di cut-off diminuisce all’aumentare di b.
Questo è quanto avevamo detto precedentemente in relazione
all’attenuazione. Noi abbiamo detto che se aumentiamo b aumenta
l’attenuazione della guida, il che corrisponde a diminuire anche la larghezza di
banda. Infatti, la frequenza di cut-off, cioè l’estremo superiore che determina
la larghezza di banda del primo modo di ordine superiore, cioè il TE11 , è
inversamente proporzionale a b. Abbiamo che 𝑓𝑐[1,1] diminuisce all’aumentare
di b, quindi diminuisce la larghezza di banda, che va da frequenza nulla fino a
𝑓𝑐[1,1] . Anche qui, dobbiamo stabilire un certo rapporto di b/a che ci dà un
giusto compromesso tra l’attenuazione ed il trasferimento della potenza, la
riduzione ulteriore dell’attenuazione va a contrastare con la larghezza di
banda della guida coassiale. Per agire su b dobbiamo vedere se vogliamo
privilegiare la larghezza di banda, la diminuzione dell’attenuazione, oppure se
vogliamo un compromesso tra questi due aspetti. Lo spettro modale completo
di un coassiale, per un fissato valore di q=a/b=0,278, è il seguente:
Il modo di
ordine zero
TEM (l’unico
modo TEM
esistente) ha
un cut-off
nullo. Il modo
TE11, primo
modo di
ordine superiore, è quello che definisce la larghezza di banda. Esprimiamo il
cut-off come 𝑏𝑓𝑐 , non come fc assoluto, in maniera tale da far capire che il cut-
off dipende, per un fissato q, da come andiamo a intervenire su b.
Campi Elettromagnetici 2
Prof: Stefano Bellucci

http://www.dea.uniroma3.it/bilotti

bilotti@uniroma3.it

Esercitazione CST

Abbiamo utilizzato il pacchetto High Frequency, ovvero un TOOL specifico per


le simulazioni 3D delle strutture elettromagnetiche. Con alta frequenza si
intende, banalmente, anche i KHz. Abbiamo una griglia che è l’ambiente di
simulazione, in cui andremo a visualizzare la struttura elettromagnetica in 3D.
Che significa fare una progettazione elettromagnetica con CST? CST studio è un
software che consente di andare a realizzare virtualmente una struttura, come
un’antenna, un componente, una guida. Una volta realizzata la struttura,
quindi avendone definito i parametri geometrici, avendo assegnato i materiali,
eccetera, possiamo decidere il modo con cui possiamo eccitare la sorgente del
campo elettromagnetico. Una volta definita la sorgente possiamo andare a
simulare il fenomeno elettromagnetico, quindi simulare la propagazione del
campo elettromagnetico a partire dalla sorgente all’interno della struttura.
Possiamo visualizzare, per esempio, come si propaga il campo elettrico, il
campo magnetico, che andamento assume all’interno di un certo range di
frequenze il coefficiente di riflessione. CST simula la struttura andando a
risolvere le equazioni di Maxwell e applicando le opportune condizioni al
contorno alla nostra struttura. Quando abbiamo studiato le guide d’onda
metalliche, noi dalle equazioni di Maxwell, che abbiamo riscritto passando per
una formulazione in termini di componenti trasversali e longitudinali (questo
guide sono strutture che hanno un profilo trasversale rispetto all’asse z
longitudinale che è continuo, nel senso che è sempre lo stesso, perché la
sezione trasversale è la stessa), riscrivendole per campi TE, TM e TEM, abbiamo
applicato queste equazioni alla nostra
struttura e applicato le condizioni al
contorno. CST risolve Maxwell e applica
le condizioni al contorno ad una MESH.
Immaginiamo di voler progettare e
simulare il comportamento di un dipolo
a lambda mezzi. Quest’ultimo è
un’antennina, composta da due bracci metallici, di lunghezza all’incirca lambda
mezzi, dove lambda è la lunghezza d’onda rispetto alla frequenza operativa f 0.
Facendo il calcolo, otteniamo la lunghezza d’onda in m/s. Abbiamo una GAP al
centro, dove si posiziona il generatore di tensione alternata, quindi di tensione
sinusoidale. Cosa fa CST? Va a suddividere la struttura simulata (e l’ambiente
esterno), quindi i bracci del dipolo (che sono dei cilindri del dipolo) in MESH,
quindi in mattoncini, perché la struttura è in 3D. CST seziona la struttura con
queste MESH, e per questi mattoncini lui va a risolvere le equazioni di Maxwell,
e deve applicare le condizioni al contorno per ottenere una soluzione per E e
per H. C’è sicuramente una soluzione che, supponiamo, essere in forma chiusa.
Immaginiamo che CST deve risolvere il problema elettromagnetico per questo
tipo di Mesh, analizziamo il problema in 2D. Le condizioni al contorno, avendo
a che fare con una striscia di metallo (in 2D), prevedono la presenza, sul bordo,
di una condizione di metallizzazione ideale, quindi di un mezzo PEC. Al
contorno abbiamo una continuità tra il
metallo presente all’interno della mesh, e
il metallo presente nel bordo. Intorno
all’antenna abbiamo, per ora, lo spazio
libero, e bisogna applicare le condizioni al
contorno di discontinuità di campi tra un
metallo e lo spazio attorno sul lato destro
e sinistro. CST risolve, date queste condizioni al contorno, le equazioni di
Maxwell. A seconda della complessità, questa geometria potrebbe non portare
ad un’espressione di E ed H in forma chiusa. Il diametro del cilindretto sarà
intorno a lambda centesimi, mentre l’altezza pari a frazioni di lambda. La
lunghezza d’onda corrispondente a 3 GHz vale 10 cm. CST va a risolvere il
problema elettromagnetico andando a suddividere la struttura in mesh, ma
deve conoscere le condizioni al contorno tra l’oggetto, in questo caso
l’antenna, e lo spazio che c’è attorno. Noi abbiamo supposto che attorno al
dipolo ci sia lo spazio libero, ed è un’informazione che dobbiamo dare a CST
(circa il materiale di background). Consideriamo un cilindro di metallo
(materiale PEC). È importante parametrizzare la struttura,
nel caso in analisi consideriamo misure in cm. Dopo aver
creato la GAP d’aria al centro, andiamo ad eccitare la
nostra struttura, tramite una sorgente, quando è illuminata
da un’onda piana ideale (l’onda piana è una sorgente
ideale, non esiste in natura e nemmeno artificialmente,
può essere creata). L’altro tipo di sorgente che
consideriamo è una “discrete port”, cioè una porta
discreta, che emula il comportamento di una sorgente
posta in un punto dello spazio, che ha un polo positivo ed un polo negativo,
quindi una sorgente di tensione. Mettiamo la porta discreta nel mezzo della
struttura, e per andare a simulare questa struttura dobbiamo andare a
specificare le condizioni al contorno nel nostro ambiente di simulazione. Prima
di definirle, andiamo a dire a CST in quale range di frequenze noi vogliamo
andare ad analizzare la struttura, perché il problema elettromagnetico va
risolto non per qualsiasi frequenza (la soluzione infatti non
sarà analitica, ma numerica). Nel caso specifico, possiamo
inserire qualcosa del tipo 2-4 GHz. Il boundary box
rappresenta il limite del dominio di simulazione, cst andrà
a creare mesh e a risolvere il problema elettromagnetico
in quel determinato spazio virtuale. CST deve sapere quali
sono le condizioni al contorno di questo box, perché se non le definiamo, le
equazioni di Maxwell non potranno essere risolte. Questo box ha una certa
larghezza, abbiamo del materiale in base al background material che abbiamo
definito (in questo caso il vuoto), e la boundary condition che indichiamo è
quella di un assorbitore perfetto (che indichiamo con le piramidine), ovvero di
un’interfaccia che assorbe, che non riflette nulla. Noi siamo interessati ad
analizzare le caratteristiche elettriche radiative del dipolo, quindi in
particolare vogliamo vedere il pattern di radiazione, che è una grandezza di
campo lontano, che ci dà un’idea di come si propaga il campo
elettromagnetico in zona di campo lontano, ed il coefficiente di riflessione,
che è una grandezza elettrica, dell’antenna. Noi possiamo settare dei piani di
simmetria, se la struttura elettromagnetica che consideriamo presenta dei
piani di simmetria, questo riduce della metà i tempi di simulazione. A seconda
delle strutture, questi problemi elettromagnetici, che precedono calcoli
numerici notevoli dal punto di vista del costo computazionale, possono essere
alleggeriti e i tempi di simulazione possono essere ridotti considerando
l’introduzione di piani di simmetria. Considerando il SETUP SOLVER, abbiamo
diversi SOLVER, ossia diverse tecniche numeriche che CST è in grado di
utilizzare per risolvere il problema elettromagnetico. I due solver principali
usati per la simulazione di componenti e strutture elettromagnetiche a
microonde sono il time domain solver ed il frequency domain solver. Torniamo
al nostro dipolo.

Se consideriamo il braccio superiore del dipolo


(consideriamo solo quello avendo introdotto i piani di
simmetria), il time domain solver è un risolutore che risolve
le equazioni di Maxwell in forma integrale nel dominio del
tempo. Altra differenza principale rispetto al frequency
domain solver, oltre al dominio, consiste nel tipo di mesh. Nel dominio del
tempo le mesh utilizzate sono delle mesh rettangolari,
quindi CST suddivide il box di simulazione, in questo caso
l’antennina, ma anche tutto lo spazio attorno (abbiamo il
bounding box attorno alla struttura, che è pieno di aria) in
mesh.

Per ognuna di queste mesh il software applica le condizioni al contorno.

Nel caso del frequency domain solver, oltre a risolvere il problema


elettromagnetico nel dominio della frequenza, le mesh
sono delle piramidi di forma triangolare, quindi, dal
punto di vista 2D, abbiamo dei triangoli. Questo ha
un’influenza abbastanza significativa sul tipo di
accuratezza della simulazione rispetto alla geometria
che stiamo utilizzando. La geometria rettangolare fa sì
che la mesh più conveniente da utilizzare sia quella a brick
del time domain. Abbiamo considerato la visione 2D
frontale. Se ci mettiamo dall’alto del cilindro, quello che
abbiamo è un cerchio. Nel caso del time domain,
immaginando di considerare anche il box, avremo i soliti
rettangoli tramite i quali dividiamo lo spazio di simulazione. Ognuno di questi
rettangoli deve essere riempito, in prima approssimazione, di un singolo
materiale, quindi CST si trova in difficoltà nel momento in cui un rettangolo è
occupato da due mezzi. Infatti, qualora venisse riempito solo di metallo, nella
risoluzione delle equazioni di Maxwell per ogni mesh, da un punto di vista della
simulazione, non stiamo considerando la simulazione di un dipolo a lambda
mezzi di forma cilindrica, quindi non consideriamo un cilindro, bensì un
rettangolo. Andremmo a simulare un brick, che, visto
dall’alto, ha una forma quadrata. Otterremmo gli stessi
risultati che avremmo qualora introducessimo all’interno
del nostro setup simulativo direttamente un brick di forma
rettangolare.

Se consideriamo il caso del frequency domain solver, il


quale effettua una mesh solo del componente, non dello
spazio attorno, pur considerando le condizioni al contorno.
Avendo a disposizione dei triangoli, avremo che, se usiamo
dei triangolini abbastanza piccoli, possiamo creare una
mesh di forma triangolare che rappresenta molto più da
vicino e realisticamente la struttura. Possiamo simulare, in prima
approssimazione, una forma esagonale, o una figura geometrica che
approssima molto meglio un cerchio. Nel time domain non possiamo usare
mesh tetraedriche, quindi triangoli in 2D, ma rettangoli in 2D. Nel momento in
cui vogliamo andare a vedere l’andamento del coefficiente di riflessione della
nostra antenna nel range di frequenze che abbiamo definito, se noi abbiamo
effettuato la simulazione nel dominio del tempo, significa che per ottenere i
risultati nel dominio della frequenza dobbiamo applicare una trasformata di
Fourier al risultato ottenuto e valutato nel dominio del tempo. Per ottenere un
risultato nel dominio della frequenza abbastanza accurato, più il range di
frequenza nel quale vogliamo analizzare questo risultato è stretto, più, nel
dominio del tempo, dovrò considerare un dominio, della funzione che voglio
trasformare, molto ampio. Viceversa, se, nel dominio della frequenza, il range
di frequenze è ampio, l’intervallo di tempo corrispondente sarà molto stretto.
Se ho un dominio nel tempo molto ampio ed effettuo la simulazione nel
dominio del tempo, ci vorrà più tempo per simulare la struttura. Se effettuo
una simulazione nel dominio della frequenza, dove l’intervallo di simulazione
(in frequenza) è molto stretto, allora il tempo impiegato per effettuare la
simulazione sarà minore. Se vogliamo simulare strutture, antenne e
componenti a microonde, e siamo interessati ad analizzarne il comportamento,
perché la struttura è molto risonante, quindi a banda stretta, e siamo
interessati ad analizzare la struttura in un range di frequenze limitato, conviene
analizzare il componente nel dominio della frequenza. Viceversa, se il range di
frequenze è ampio, conviene considerare un’analisi nel dominio del tempo
(dove il corrispondente intervallo sarà stretto). La scelta del tipo di solver
dipende quindi dalle mesh e dal “tempo” impiegato dalla simulazione. Nel
nostro caso specifico conviene utilizzare il solver nel dominio della frequenza,
la mesh tetraedrica si adatta meglio alla struttura cilindrica della struttura, la
struttura è risonante, essendo un’antenna che risuona a lambda mezzi, quindi
si adatta meglio al SETUP SOLVER in frequenza. Una volta che abbiamo lanciato
la simulazione, se noi andiamo a vedere i risultati per i parametri S, se
guardiamo il parametro S11 abbiamo il coefficiente di riflessione per la nostra
antenna nel range specificato, ovvero 2-4 GHz, ed abbiamo una risonanza,
perché in dB abbiamo un valore basso del coefficiente di riflessione, all’incirca
a 2,6 GHz, quindi non proprio a 3 GHz (frequenza di progetto). Abbiamo un
campo di radiazione classico in zona lontana a forma di ciambella.

Recap: Ricordiamoci che le dimensioni lineari, in elettromagnetismo, hanno


senso solo se si fa riferimento alla lunghezza d’onda. In cst lo spazio di
simulazione viene suddiviso in sottodomini, nei quali il software risolve le
equazioni di Maxwell. Si parte dalla forma più generale delle equazioni di
Maxwell e, applicando le condizioni al contorno, tali equazioni vengono
risolte.Abbiamo realizzato il nostro primo componente radiante, ovvero un
𝜆
dipolo a , e, dopo aver creato la struttura, abbiamo visto le caratteristiche
2
radiative del dipolo. Consideriamo altri esempi di utilizzo di cst studio, ad
esempio, vogliamo considerare il progetto di una guida d’onda rettangolare, in
particolare la WR-90.

Abbiamo visto che la guida rettangolare è tale che le sue caratteristiche sono
definite da parametri quali la larghezza, l’altezza ed il materiale che riempie la
guida stessa. Abbiamo una struttura composta, idealmente, da un materiale
metallico a conducibilità infinita. Abbiamo che questa struttura non supporta i
modi TEM(z), ma sono i modi TE(z) e TM(z).

Abbiamo visto che il modo fondamentale che si propaga in questo tipo di guida
è il TE10, che ha una frequenza di cut-off, al di sotto della quale qualsiasi modo
è attenuato, pari a c/2a.

Abbiamo i vari valori della fc, della lunghezza d’onda e della costante di
propagazione dei modi che possono propagarsi in una guida d’onda
rettangolare del tipo WR-90. È una guida che lavora in banda X, e lo notiamo in
quanto la fc del modo fondamentale è pari a 6,557 GHz.

La WR-90 opera in regime di mono-modalità tra 6,557-13,114 GHz, al di sopra


di 13,114 GHz abbiamo anche la propagazione dei modi di ordine superiore.
Per il progetto di questa guida dobbiamo realizzare una struttura con un
profilo rettangolare cavo, quindi con un buco, che può essere riempito di
qualche materiale (come l’aria), mentre intorno abbiamo la metallizzazione che
va a creare la sezione della struttura. I parametri fondamentali tramite cui
controllare le caratteristiche della guida sono la lunghezza, la larghezza e
l’altezza. La profondità non è un parametro che influenza le caratteristiche
della guida, ma influenza il profilo della fase che avremo alla porta di uscita
(questo vale per qualsiasi struttura guidante). L’ipotesi di partenza è che la
sezione della guida, lungo la componente longitudinale, è sempre uguale a sé
stessa, quindi non influenza le caratteristiche della guida, ma solo la fase.
L’obiettivo è quello di creare un mattoncino metallico pieno, con determinate
dimensioni, e poi scavarlo con un’operazione booleana di sottrazione, o con
l’insert di un mattoncino d’aria avente una larghezza pari ad a.
Lo spessore della metallizzazione che costituisce la guida lo chiamiamo t, nel
caso del lato corto, nel caso del lato lungo l’altezza del mattoncino d’aria la
chiamiamo b. Abbiamo inoltre la lunghezza fisica della guida L, che può avere
un valore qualsiasi, purchè il campo si possa propagare. Ci chiediamo come
eccitare questa guida rettangolare. Nel caso del dipolo abbiamo usato la
porta discreta. In questo caso usiamo la Wave Guide port, che metteremo in
corrispondenza dell’apertura d’aria. La freccetta indica la direzione del flusso di
potenza uscente rispetto alla guida, e questo non è il caso che ci interessa, in
quanto vogliamo che la potenza entri dentro la guida. Le condizioni al
contorno relative alle porte sono ininfluenti, perché il campo non esce dalla
guida. Nel frequency domain abbiamo che la simulazione è tanto più accurata
tanto più le mesh, che discretizzano la struttura, sono piccole. Immaginiamo
di dover discretizzare un cerchio, nel dominio della frequenza le mesh sono
tetraedriche, quindi in 2D sono dei triangoli. Per discretizzare in maniera
accurata questo componente bisogna usare un numero congruo di mesh
triangolari, tale da approssimare al meglio la sezione della struttura che
consideriamo. In questo modo la simulazione sarà più accurata. L’accuratezza
della simulazione non dipende dall’accuratezza della geometria creata, ma
dipende dall’accuratezza della mesh, perché cst andrà a risolvere le equazioni
di Maxwell considerando la mesh.

Parametri S:

Sono gli elementi che compongono la cosiddetta matrice di Scattering. Se


consideriamo una componente a due porte, possiamo definire la relazione
ingresso uscita tra queste due porte tramite la matrice di Scattering. Abbiamo
𝑠11 𝑠12
una matrice del tipo [𝑠 ], ed il parametro s11 è il coefficiente di
21 𝑠22
riflessione relativo alla porta 1 quando la porta 2 è adattata.

Recap:

Abbiamo visto come strutturare e progettare una guida d’onda rettangolare.


Le condizioni al contorno consentono di simulare velocemente questa
struttura, grazie al fatto che ha una forma rettangolare. Abbiamo visto
l’andamento dei parametri S e dei campi. I risultati che abbiamo ottenuto alla
fine riguardano una guida d’onda rettangolare larga esattamente la metà di
una wr-90. Se consideriamo il modo di ordine superiore, se confrontiamo i
risultati ottenuto tra questa guida e la wr-90. Le condizioni al contorno imposte
ad una parete magnetica perfetta non consentono la propagazione del primo
modo di ordine superiore.

Consideriamo il progetto sulla parte di alimentazione di una guida d’onda


rettangolare. Quella che consideriamo è la wr-90 standard. Le sorgenti che
abbiamo considerato precedentemente sono ideali, ovvero costituite dalle
cosiddette wave guide port. Quello che si utilizza nel caso di un’antenna a
microonde è una sorgente discreta, o un cavo coassiale che alimenta la
struttura. Se consideriamo una guida d’onda rettangolare con due porte,
abbiamo che una porta è costituita da una metallizzazione. La porta due è la
porta di uscita. La guida si alimenta con un cavo coassiale, posto sopra o sotto
la guida stessa. Il cavo coassiale è costituito da una maglia metallica esterna e
da un conduttore interno. All’interno abbiamo l’aria, o un dielettrico, e poi un
conduttore interno. Supponiamo che il conduttore interno del cavo coassiale
buchi la guida stessa. Il cavo coassiale supporta modi di tipo TEM, che vengono
usati in un cavo coassiale. Le correnti che sono supportate da un modo TEM,
nel momento in cui il conduttore interno incontra la guida, quindi si crea una
discontinuità, si riesce a fare in modo che queste correnti creino un campo
radiato, come se il conduttore interno fosse un’antennina monopolo, che è in
grado di creare un campo che si accoppia alla guida, e sotto opportune
condizioni, si ha la creazione del modo TE10. Questa è la struttura realistica che
viene usata per eccitare le guide d’onda rettangolari. La faccia due, quindi,
rappresenta la porta di uscita. Quindi dobbiamo realizzare questa struttura, e
ottimizzarla. Dobbiamo progettare un cavo coassiale di dimensioni opportune
e che dobbiamo inserire all’interno della guida d’onda rettangolare.
Dobbiamo ottimizzare la lunghezza e posizione di questo pin metallico, che
rappresenta un monopolo radiante, perché l’obiettivo è fare in modo che tutta
la potenza che è inviata al cavo coassiale si accoppi con la guida d’onda
rettangolare e possa uscire dalla guida stessa. Dovremmo avere delle perdite
minime.
Rispetto alla banda mono-modale analitica, in realtà, dal punto di vista pratico,
onde evitare fluttuazioni dovute a fenomeni dispersivi, la banda operativa
mono-modale della wr-90, va da 8 a 12 GHz.

Il campo che si propaga nel cavo coassiale è radiale. Abbiamo un’ambiguità


sull’orientazione del campo elettrico, questo significa che, immaginando di
avere un campo elettrico diretto in questo modo, a seconda del tipo di
sorgente che esce dal coassiale, noi possiamo avere un determinato
orientamento del campo elettrico. Il suo orientamento rispetto allo spazio
dipende dall’orientamento del campo elettrico originario che ha eccitato la
struttura. È necessario definire l’angolo di polarizzazione del campo elettrico
originario che ha eccitato la struttura, generato dalla wave guide port. In
realtà noi, grazie al dimensionamento corretto del cavo coassiale, noi non
andiamo ad eccitare modi di ordine superiore. Il profilo del campo è radiale. Se
selezioniamo E2, il modo è un TE11, che non è supportato dalla guida stessa.
Abbiamo il profilo radiale del campo elettrico del modo TEM che parte dal
conduttore interno e si sviluppa radialmente. Il modo di ordine superiore non è
supportato, e per quest’ultimo abbiamo un profilo tale che, lungo y, è ancora
radiale, e le linee di campo non si sviluppano più radialmente, sono
perpendicolari rispetto al conduttore esterno, ma non si sviluppano
radialmente a partire dal conduttore interno. Per il terzo modo abbiamo che la
linea di campo radiale è posizionata sull’asse x. La configurazione è la
medesima, ma traslata di 90°. Questi due modi sono sempre il TE11, sono
tuttavia degeneri perché cst non sa in che direzione oscilla il campo elettrico,
se lungo l’asse x, l’asse y, o lungo un altro asse.

Questo è il significato di questi modi degeneri dovuti all’ambiguità dell’angolo


di polarizzazione.

Consideriamo la guida d’onda rettangolare realizzata con il brick di aria. Ci


chiediamo dove inserire il cavo coassiale. Inizialmente lo metteremo al centro
della nostra struttura. Se chiudessimo con una parete metallica non avremmo
trasferimento di potenza, ma completa riflessione.
Il pin del coassiale deve comportarsi come un monopolo che deve irradiare un
campo che si accoppi con la guida d’onda rettangolare. Affinché vi sia il
massimo trasferimento di potenza dalla porta 3, che sarà una nuova porta di
ingresso (che possiamo chiamare anche porta 1) e la porta di uscita della guida,
dobbiamo considerare la lunghezza del monopolo e la distanza dalla parete
elettrica di fondo, che è una parete elettrica perfetta. Questo comporta una
riflessione del campo, che andrà verso la porta di uscita. Il campo ricevuto alla
porta 2, in prima approssimazione, sarà dato dalla somma di due contributi,
uno è dato dal campo radiato direttamente verso la porta di uscita, e a questo
sommiamo il campo riflesso dalla parete elettrica perfetta, che si propaga nello
stesso verso del campo originariamente indirizzato verso la porta 2.

La distanza tra il monopolo e la parete di fondo la chiamiamo K. Dobbiamo


ottimizzare questa distanza. Il monopolo, inserito all’interno di una guida
d’onda rettangolare, non irradierà come un monopolo nello spazio libero.

Per avere massimo trasferimento in porta 2, dobbiamo fare in modo che il


campo che viene riflesso verso la porta 2 arrivi a quell’interfaccia ad avere la
stessa fase rispetto al campo che si propaga direttamente verso la porta 2,
questo per far sì che ci sia un’interferenza costruttiva, e non distruttiva, tra i
due. Ipotizziamo che il campo che va verso la porta 2 abbiamo una fase iniziale
0 all’interfaccia, dopodiché ci sarà una fase accumulata in corrispondenza della
porta 2. Il campo riflesso deve avere una fase pari a 0 in corrispondenza
dell’interfaccia iniziale.

Lungo K avrà una certa fase 𝜑′ , e, a seguito della riflessione, avremo una fase
𝜑′′ = 180° per via dello sfasamento di 180° in corrispondenza della parete
elettrica perfetta, dopodiché abbiamo un contributo di fase 𝜑′′′ = 𝜑′ . Quindi,
se 𝜑′ + 𝜑′′ + 𝜑′′′ = 360°, allora 𝜑′ = 𝜑′′′ = 90°. Se paragoniamo questo
problema ad uno del tipo “linea di trasmissione”, la linea deve essere lunga un
quarto di lunghezza d’onda, perché con questa lunghezza avremo uno
sfasamento da considerare pari a 90°.

Per quanto riguarda la lunghezza, in questo caso non possiamo dare un


principio fisico intuitivo, ma procediamo per ottimizzazione, ossia dobbiamo
fare in modo di ottimizzare la lunghezza del pin in maniera tale che ci sia il
massimo accoppiamento tra la potenza in ingresso al coassiale e la potenza di
uscita dalla guida d’onda rettangolare. Occorre procedere per tentativi.

L’ottimizzazione si imposta andando ad inserire il coassiale al centro della


guida, lasciando tutte e due le porte aperte per evitare i fenomeni di
riflessione, ma facendo sì che ci sia un trasferimento di potenza uguale da
entrambe le parti. La guida rettangolare è simmetrica, la guida è posta al
centro, quindi la potenza che sarà trasferita dalla porta di ingresso del
coassiale deve essere la medesima alla porta 1 e alla porta 2. Il coefficiente di
trasmissione della potenza inviata dalla porta 3 verso la porta 1 deve essere
uguale al coefficiente di trasmissione della potenza inviata dalla porta 3 verso
la porta 2. Quindi 𝑠13 = 𝑠23 = 3 ⅆ𝐵.

Fatta la simulazione, dobbiamo valutare i coefficienti di trasmissione.

Lezione di laboratorio virtuale:

Vediamo una guida rettangolare. Andiamo a misurare una guida rettangolare


reale tramite uno strumento detto Vector Network Analyzer (VNA).

Lo strumento che andiamo ad utilizzare è pilotato da un software che si


controlla tramite pc.

Abbiamo visto il funzionamento e l’analisi di una guida d’onda rettangolare da


un punto di vista teorico. Abbiamo progettato una guida d’onda rettangolare
wr-90.

È un rettangolo con una certa flangia, abbiamo buchi che servono ad avvitare e
congiungere diverse guide. Possiamo avere anche la transizione coassiale guida
d’onda rettangolare. Questo tipo di transizione è quella che abbiamo realizzato
in cst. La guida infatti è chiusa sul fondo, mentre l’altro lato, la bocca di uscita,
rimane aperta. Abbiamo la maglia dorata esterna, il dielettrico ed un buchetto
che serve ad ospitare il conduttore interno.

Consideriamo la transizione esterna guida rettangolare cavo coassiale, che


connetteremo al VNA.
All’interno della guida rettangolare abbiamo un cilindretto metallico che
sporge, e questo rappresenta il conduttore interno del cavo coassiale, la cui
lunghezza ed il cui posizionamento sono stati ottimizzati. Sotto abbiamo altre
piccole viti che sporgono, e sono quelle sporgenze metalliche che servono per
migliorare un pochino le performance di questa transizione in termini sia di
banda operativa, che di matching.

Noi abbiamo ottenuto delle performance che non erano proprio ideali, in
quanto vorremmo che tutta la potenza che arriva all’imbocco di questo pin
venga trasferita alla guida d’onda rettangolare. Dalla simulazione che abbiamo
effettuato si evince che è presente una leggera perdita di potenza.

Un cavo coassiale ci servirà per connettere la guida rettangolare allo


strumento. Quello che faremo sarà connettere questa porta del cavo coassiale
all’ingresso del connettore coassiale saldato direttamente alla guida d’onda
rettangolare. Questo tipo di connettore è una transizione di un cavo coassiale,
è solo la parte finale, e si chiama connettore SMA. Sono questi connettori in
cui abbiamo una parte più esterna a cui si può avvitare il cavo, abbiamo anche
il buchetto che ospita il conduttore esterno del coassiale. Il conduttore interno
fuoriesce di una certa lunghezza, che può essere, per scopi specifici, tagliata
opportunamente.

La ghiera metallica è presente solo da un lato, questo è un cavo coassiale


flessibile, metallico e rigido, che è stato direttamente fornito insieme allo
strumento.

Alle frequenze delle microonde è importante avere un contatto tra le


metallizzazioni. La lunghezza d’onda a queste frequenze è molto piccola, e
anche una piccola discontinuità può inficiare sulle performance del sistema.
Può deteriorarsi, a furia di avvitare e svitare, non solo il connettore, ma anche
la connessione elettrica corrispondente. Si cerca di evitare qualsiasi
deterioramento delle performance dovuto a fenomeni meccanici di usura.
Avvitiamo la transizione alla guida con delle viti aventi un passo opportuno, e
poi si bullona tutto.
Dobbiamo usare le due porte di ingresso del VNA, che è, in questo caso
specifico, portatile, e lavora da 1 MHz a 43,5 GHz. Questo è un analizzatore di
reti vettoriali, ovvero questo oggetto è in grado di analizzare delle reti (insieme
di componenti che vanno a costituire una rete) a microonde tramite grandezze
vettoriali.

Perché vettoriali? Perché questo dispositivo è in grado di misurare i parametri


s, nel caso specifico, della guida d’onda rettangolare, che è il nostro device
under test, ovvero il componente che vogliamo analizzare.

Vettoriale, quindi, perché misura i parametri s, che sono una grandezza


vettoriale in quanto caratterizzate da un’ampiezza e da una fase. La differenza
tra il VNA e un altro dispositivo apparentemente simile, ovvero l’analizzatore di
spettro, che è uno strumento che consente di andare a vedere lo spettro
armonico, quindi le varie componenti frequenziali, di un componente quale
un’antenna, per esempio. Analizza solamente le ampiezze delle varie
componenti armoniche, non la fase, perché non analizza grandezze vettoriali,
ma solo scalari.

Il VNA non portatile lavora ad un range di frequenze che va, più o meno, da 1
MHz a 18 GHz.

La componentistica all’interno del VNA portatile è complessa, in quanto è uno


strumento di misura che lavora ad una banda molto ampia. Il dispositivo
portatile, rispetto a quello fisso, è meno accurato, in termini assoluti.

Abbiamo una parte frontale dello strumento, composta dalle due porte, con la
ghiera metallica. Abbiamo il tasto di accensione, l’ingresso micro-usb per
connettere il VNA ad un monitor, o più opportunamente, ad un computer che
serve a pilotare il VNA portatile, che non ha un display, contrariamente al VNA
fisso (che presenta un computerino all’interno ed un display per analizzare i
parametri s e le grandezze che vogliamo analizzare). Abbiamo il cavo di
alimentazione.

Quando dobbiamo fare delle misure, conviene accendere lo strumento e


lasciarlo in standby per far andare a temperatura tutta la componentistica
interna, perché quando si fanno operazioni di misura di precisione e ad alta
sensibilità, anche variazioni della temperatura possono portare ad una
variazione della risposta dello strumento.

Consideriamo il programma che si utilizza per pilotare e controllare il VNA, che


si chiama “shockline”. Abbiamo vari menù tramite cui accedere in alto a
sinistra, noi ne vedremo pochi.

Possiamo settare il range di frequenze da analizzare, di default è impostato da


1 MHz a 40 GHz.

Abbiamo la scala della fase lungo l’asse verticale per i parametri s, mentre
lungo l’asse orizzontale sono riportate le frequenze.

Abbiamo la possibilità di eccitare lo strumento tramite un CW, ovvero una


singola armonica (continuous wave), una singola frequenza.

Se sul menù clicchiamo Trace, possiamo lavorare sulle tracce S11, S12, S21, S22. Se
clicchiamo su “response” possiamo cambiare la grandezza da visualizzare.
Abbiamo che, cambiando la scala solamente, ad esempio, alla traccia S12,
possiamo osservare quanta potenza stiamo trasferendo dalla porta 2 del VNA
alla porta 1, in questo caso abbiamo segnati -100 dB, ovvero praticamente 0.

Con “trace”, selezionando la traccia su cui vogliamo lavorare, possiamo


cambiare la grandezza visualizzata dalla traccia stessa, con “display” cambiamo
ciò che vediamo del parametro s in analisi, come, ad esempio, l’ampiezza, la
parte reale o la parte immaginaria della fase, ed altre caratteristiche come
l’impedenza alla porta (in parte reale e immaginaria), eccetera…

Possiamo vedere tutte le caratteristiche del parametro s che abbiamo avuto


modo di vedere in cst, anche in termini di carta di Smith.

Possiamo vedere, ad esempio, come varia l’s11 sulla carta di Smith, i circoletti
che vediamo corrispondono a picchi bassi dell’andamento, questo vuol dire
che abbiamo un buon adattamento.

La lunghezza di questo line è un quarto di lunghezza d’onda in guida.


All’interno della guida c’è un qualcosa, che è un assorbitore per la guida
rettangolare. Abbiamo un cono che riesce ad assorbire tutto il campo, è un
assorbitore perfetto.

Se chiudiamo su un carico questo tipo di struttura riusciamo ad avere zero


riflessione, quindi matching totale.

Ciò che andiamo a fare per il VNA, di calibrazione, è un’altra, che utilizza lo
short, l’open ed il thru.

Non abbiamo, da parte del fornitore, la risposta attesa dello strumento, non è
nota a priori.

Cominciamo con le operazioni di calibrazione, prima vediamo il range di


frequenze entro cui dobbiamo fare questa calibrazione. La guida lavora tra 8 e
12 GHz, ma saremo interessati anche a vedere quello che avviene prima del
cut-off, quindi mettiamo lo start a 5 GHz, fino a 12 GHz.

Attorno a 6 e mezzo ci sarà il cut-off, quindi ci aspettiamo di poter vedere il


fenomeno di cut-off quando effettueremo la connessione con la guida. Questi
avvitamenti e svitamenti andrebbero fatti con una chiavetta apposita, che
utilizziamo per avere il passo corretto. Non possiamo forzare o avvitare di più
oltre ad un certo livello, altrimenti la chiavetta usata si spezza, il tutto per
avere connessioni tra le varie giunzioni molto precise.

Clicchiamo su open.

Ci manca il load per la porta 2. Vediamo che ogni volta che avvitiamo, il grafico
cambia. Abbiamo calibrato la porta 2, adesso lavoriamo sulla porta 1.

Iniziamo dall’open per la porta 1.

L’s11 è a -60 dB, quindi abbiamo 0 riflessioni, tutta la potenza sta fluendo dalla
porta 1 alla porta 2.

Per l’s22, se cambiamo scala, vediamo che la situazione è molto simile. Vediamo
che l’s11 e l’s22 oscillano così tanto perché i valori sono molto bassi, quindi il
dispositivo fa fatica a rilevare i valori di ampiezza, lo stesso vale per la fase,
caratterizzata da oscillazioni.

La calibrazione è andata bene perché l’s21 è a 0 dB, quindi tutto è trasferito


dalla porta 1 alla porta 2, come dovrebbe essere. Ci concentriamo sulla fase in
quanto è una grandezza più sensibile rispetto all’ampiezza. Anche l’s 12 presenta
lo stesso andamento, quindi vuol dire che la calibrazione è andata bene.

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