"D'altra parte vi sono mille segni che fanno credere essere in noi ad ogni
istante un'infinità di percezioni, ma senza appercezione e senza riflessione;
cioè a dire reali mutamenti nell'anima, dei quali non abbiamo coscienza perché
le impressioni relative sono o troppo piccole o troppo numerose o troppo
uniformi, di modo che non hanno nulla che le caratterizzi partitamente; unite
ad altre tuttavia, esse non mancano di fare il loro effetto e di farsi sentire nel
complesso almeno confusamente".
"Non si può concepire come, in pari tempo, il mondo oggettivo si adatti alle
nostre rappresentazioni, e le nostre rappresentazioni al mondo oggettivo, se tra
i due mondi, l'ideale e il reale, non esiste un'armonia prestabilita. Ma
quest'armonia prestabilita non è a sua volta neanche pensabile, se l'attività da
cui è prodotto il mondo oggettivo non è originariamente identica con quella che
si mantiene nel volere, e viceversa.
Ora, è senza dubbio un'attività produttiva quella che si manifesta nel volere:
ogni agire libero è produttivo, ma produttivo con coscienza. Se ora si pone che,
siccome le due attività devono essere nel principio una sola, quella medesima
attività che nell'agire libero è produttiva con coscienza, nella produzione del
mondo sia produttiva senza coscienza, allora quell'armonia prestabilita è reale
e la contraddizione risolta".
Anche per E. von Hartmann (1842 - 1906, autore di una Filosofia dell'inconscio,
1869), allievo di Schopenhauer, l'inconscio è l'essenza della realtà, un principio
universale, presente ed attivo ovunque, che si manifesta nella materia come
nel pensiero, e viene definito come "la realtà collettiva di cui tutte le attività
individuali sono non solo i prodotti, ma gli elementi integranti". Von Hartmann
eleva l'inconscio al ruolo d'agente provvidenziale di natura antropomorfica,
facendo di esso "un elemento ignoto che sceglie, che agisce con saggezza" e
che "lavora secondo gli interessi del fine che perseguiamo".
Dell'inconscio egli vuole fornire una sintesi, utilizzando sia nozioni filosofiche
che dati scientifici, e realizzando - come sottolinea P. L. Assoun (Freud, la
filosofia e i filosofi, 1976) - una singolare miscela metafisico-scientifica, in cui le
considerazioni fisiologiche sono gli strumenti di una "induzione metafisica", che
opera una sorta di trattamento metafisico dei fatti. Partendo dalle
manifestazioni principali dell'inconscio nella "vita corporale", poi nello "spirito
umano", egli intende risalire al cuore stesso dell'inconscio, al "fuoco centrale
cui convergono come fossero raggi" le espressioni fenomeniche parziali.
"ciò che sembriamo essere, secondo gli stati per i quali soltanto abbiamo
coscienza e parole, - e quindi lode e biasimo, - nessuno di noi lo è; stando a
queste grossolane manifestazione, che sono le sole a farsi conoscere, noi mal ci
conosciamo, ricaviamo una conclusione da un materiale in cui le eccezioni
prevalgono sulla regola, erriamo nel leggere questa scrittura alfabetica del
nostro sè apparentemente chiarissima".
L'aforisma 119 è il più importante della serie. In questo brano è trattato il tema
del sogno, nel contesto del rapporto tra gli istinti inconsci e la vita cosciente.
Tale rapporto viene assimilato a quello tra un testo e la sua interpretazione -
secondo una metafora cara al filosofo, che negli ultimi scritti usa per designare
l'aspetto problematico e prospettico del conoscere. Tuttavia gli istinti, di cui non
conosciamo né il numero, né la forza, né le reciproche relazioni, non sono il
testo, di cui la coscienza sarebbe l'interpretazione: gli istinti, in realtà sono già
interpretazione. Sono loro infatti, nella continua ricerca di un soddisfacimento,
a interpretare gli stimoli interni ed esterni, e a guidare così tutta la nostra vita
psichica. Il soddisfacimento è opera del caso: l'esperienza quotidiana getterà
"ora a questo ora a quell'istinto, una preda che viene subito avidamente
afferrata". Ogni avvenimento della nostra vita è dunque interpretato da un
istinto in funzione del suo appagamento. Queste dinamiche sono
particolarmente evidenti nel sogno, che Nietzsche considera, vent'anni prima
dell'Interpretazione dei sogni di Freud, il soddisfacimento allucinatorio di un
istinto rimasto insaziato. Ne risulta del tutto destituita di fondamento la
concezione della coscienza come istanza egemone e interpretante. Essa non è
autonoma, ma è interpretazione di un'interpretazione orientata dagli istinti
inconsci, "un più o meno fantastico commento di un testo inconscio, forse
inconoscibile, e tuttavia sentito".
"Che cosa significa conoscere? Non ridere, non lugere, neque detestari, sed
intelligere! - Dice Spinoza, con quella semplicità e sublimità che è nel suo
carattere. Ciò nondimeno: che è in ultima analisi questo intelligere se non la
forma in cui appunto ci diventano a un tratto avvertibili questi tre fatti? Un
risultato dei tre diversi e tra loro contraddittori impulsi a voler schernire,
compassionare, esecrare?"
"Al posto di quella "certezza immediata", alla quale il popolo, nel caso in
questione, può credere, il filosofo si ritrova in tal modo nella mani una serie di
problemi della metafisica.." (af. 16).
"Non è forse permesso essere alla fine un po’ ironici verso il soggetto, come
verso oggetto e predicato?"
Della conoscenza prospettica si parla anche nel brano 374 di Noi senza paura
(Il nostro nuovo infinito), secondo il quale l'intelletto umano è strutturato
secondo forme prospettiche, con le quali soltanto possiamo cogliere la realtà.
L'uomo della conoscenza è quindi un Ecken-steher, ossia uno che sta
nell'angolo. "Non possiamo girare con lo sguardo il nostro angolo" e chiederci
come apparirebbero le cose ad altre specie di intelletto; d'altra parte sarebbe
una "ridicola presunzione" decretare il nostro l'unico angolo visuale possibile:
"Il mondo è piuttosto divenuto per noi ancora una volta "infinito": in quanto non
possiamo sottrarci alla possibilità che esso racchiuda in sé interpretazioni
infinite".
L'ultima filosofia nietzscheana approda così ad una concezione di una realtà
che si dissolve in infiniti angoli di visuale, senza un centro e un soggetto
unificante, che non è più testo, ma solo interpretazione.
3. L'inconscio freudiano
"Non esiste negazione, né il dubbio, né livelli diversi di certezza. Tutto ciò viene
introdotto solo dal lavoro della censura fra l'Inc e il Prec".
Allo stesso modo, non vi è successione temporale, non esiste il tempo. Queste
caratteristiche le possiamo osservare nei sogni, dove gli opposti vi possono
comparire l’uno per l’altro, episodi della prima infanzia coesistono con
avvenimenti del giorno precedente.
Nel 1922, con L'Io e l'Es, Freud introduce una nuova classificazione, basata
sulle istanze, o strutture, dell'Es, dell'Io e del Super-io.
La terza istanza è quella del Super-io che si identifica nella coscienza morale:
un’istanza critica che si contrappone all'Io. Nell'Io e l'Es, il Super-io viene
spiegato come una alterazione dell'Io, ascrivibile all’erigersi nell'Io dell'oggetto
edipico. Sono infatti le identificazioni con i genitori che sostituiscono scelte
edipiche che da un lato creano il Super-io, dall’altro concludono la fase edipica.
La formazione del Super-io è correlata al divieto della sessualità edipica, questo
spiega l’aspetto critico e punitivo di questa istanza. "Il Super-io conserverà il
carattere del padre, e quanto più forte è stato il complesso edipico, quanto più
rapidamente (sotto l’influenza dell’autorità, dell’insegnamento religioso,
dell’istruzione, della lettura) si è compiuta la sua rimozione, tanto più severo si
farà in seguito il Super-io nell’esercitare il suo dominio sull'Io sotto forma di
coscienza morale, forse di inconscio senso di colpa".