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I testi che ho affrontato sono Fenomenologia della Percezione di

Merleau-Ponty ( in particolare nella sua parte introduttiva e la parte


seconda, riguardante “Il mondo percepito”) e “ L’empatia degli spazi” di
Mallgrave, un libro piuttosto recente (2015) che attraverso
un’affascinante percorso tra gli ultimi traguardi delle neuroscienze cerca
di fornire una chiave di lettura dell’esperienza architettonica.

Inizialmente avevo pensato di porre i due testi o meglio, i due approcci,


in antitesi: è infatti vero che la Fenomenologia, che lo stesso Merleau-
Ponty definisce come una filosofia che “ ricolloca le essenze
nell’esistenza”, si pone in qualche modo in contrasto con la scienza,
sostenendo che essa “non avrà mai il medesimo senso d’essere del
mondo percepito, semplicemente perché essa ne è una determinazione
o una spiegazione”, perché non colloca il mondo secondo una
prospettiva ma cerca di oggettivarlo osservandolo da un “non luogo” che
le permette uno “ sguardo di sorvolo”, quindi uno sguardo dall’alto che si
propone di racchiudere in sé tutti gli infiniti punti di vista della cosa e che
è assolutamente diverso da quello del nostro vissuto e della nostra
percezione (la quale, al contrario, si caratterizza proprio nel cogliere solo
alcuni scorci visibili della cosa, eppure traendo un significato dal suo lato
invisibile e segreto, prima di ogni giudizio) che, dunque si allontana
dall’esplicito tentativo di MP di una descrizione diretta della nostra
esperienza, senza riferimento alla sua genesi o alle sue spiegazioni
causali.

Tuttavia, mano a mano che andavo avanti con la lettura ho notato che
tra le molte teorie, sperimentazioni e pensieri presentati da Mallgrave ve
n’erano alcune che presentavano degli inaspettati punti di contatto e,
cercando di evitare una visione della scienza come demistificatrice e
sterile analisi della realtà, mi è sembrato potesse essere stimolante
porre proprio qui la mia attenzione.

In particolare ho trovato una certa vicinanza su alcuni temi, rilevanti a


mio avviso in entrambi i testi: la multisensorialità della nostra percezione
ed esperienza e l’uomo visto come essere incarnato nel mondo.
Da qui, rivolgendoci poi all’opera architettonica e all’architettura,
perfettamente inscritte nel mondo della vita, potremmo forse affermare
che queste caratteristiche vi si riflettono: che l’architettura è un’arte
essenzialmente multisensoriale e che il modo in cui l’ambiente costruito
viene sperimentato e vissuto parte dalla concretezza dell’abitare umano
e si manifesta nell’impulso interiore ed empatico di esplorare, toccare,
manipolare le cose.
Merleau-Ponty afferma che, in sostanza, il nostro rapporto con il mondo
sia all’orizzonte infinitamente vasto della percezione, un qualcosa di non
dato che tuttavia “ riscopro in me” e in rapporto al quale io “ non cesso di
situarmi”, e così la coscienza è riconosciuta come progetto del mondo,
destinata a un mondo che “non abbraccia né possiede” ma verso il quale
si dirige, e lo fa attraverso il corpo, che diventa così un pendolo tra
l’interno e l’esterno, un qualcosa di ambiguo, che non è pura cosa,
poiché’ non è un semplice oggetto tra gli oggetti (se non quando muore),
ma che non è neanche pura coscienza.

Egli definisce infatti il corpo come il “cuore dell’organismo che anima


internamente lo spettacolo visibile” e si lega con esso, non organismo,
inteso come somma di organi, ma sistema sinergico, in cui tutte le
funzioni sono collegate nel “movimento generale dell’essere al mondo”,
con una naturale tendenza alle sinestesie e alla multisensorialità
appunto, dunque diventa sensato dire che “vedo dei suoni o odo dei
colori”, poiché sentire e vedere diventano esperienza di una modalità di
esistenza e di accordo con essa.
Fra le nostre emozioni, desideri e atteggiamenti corporei non c’è, quindi,
solo una connessione contingente o un’analogia, entrambi esprimono la
stessa struttura del nostro essere in rapporto con l’ambiente, un essere
che vi è, appunto, incarnato.

MP sostiene che l’esperienza della cosa o della realtà debba essere


assoluta, cioè data a tutti i diversi sensi, poiché una realtà che si offre
solo a uno di essi è in realtà un fantasma, il quale potrà avvicinarsi
all’esistenza solo se capace di comunicare anche con gli altri sensi, e
cita come aiuto alle sue argomentazioni un’evocativa frase di Cezanne: “
il quadro contiene in sé persino l’odore del paesaggio”.

Quando vedo un suono “faccio eco a questa vibrazione in tutto il mio


essere sensoriale”, e gli aspetti sensoriali del corpo sono tutti tra loro
collegati, comunicano e si traducono vicendevolmente senza bisogno di
un interprete e, in questo senso, è proprio il corpo a dare senso agli
oggetti naturali e ai prodotti culturali come, ad esempio la parola, perché
nel momento in cui la si pensa, è il corpo a percepire gli effetti del suo
significato, infatti MP dice: “ il corpo è un oggetto sensibile a tutti gli altri,
che risuona per tutti i suoni, vibra per tutti i colori e fornisce alle parole il
loro significato primordiale in virtù del modo in cui le accoglie”.
In questa ottica, anche il colore smette di essere semplicemente colore,
perché porta in sé la materialità dell’oggetto a cui si riferisce e “l’ azzurro
del tappeto non sarebbe il medesimo azzurro se non fosse lanoso”.
Nell’ultimo paragrafo del suo libro, MP parla di mondo umano, esso si
affianca a quello naturale e questo in un certo senso risulta
stupefacente, poiché le azioni umane spontanee si sedimentano
all’esterno ed entrano a far parte del mondo delle cose. La civiltà cui
appartengo esiste per me e si manifesta attraverso i suoi prodotti. Il
mondo culturale è ambiguo ma già presente e nell’oggetto che produce
si fa esperienza della presenza dell’altro.

Ma come può essere dedotta la coscienza dell’altro? Confrontando le


sue espressioni emozionali con le mie e quindi, identificandole.
L’evidenza dell’altro è possibile perché la mia soggettività si lega alle
espressioni del suo corpo. E’quindi il corpo che percepisce quello
dell’altro, poiché esso vi trova come un prolungamento di sé, una
maniera familiare di trattare il mondo.
..Ma non potremmo dire che è proprio questo ciò che accade grazie ai
nostri neuroni specchio? La loro scoperta è stata importantissima,
proprio in virtù del fatto che ci hanno dato un’altra prospettiva sul modo
in cui impariamo e ci relazioniamo con gli altri e con il mondo, e questo
modo è una simulazione mentale delle azioni, delle intenzioni e delle
emozioni altrui, ma anche degli oggetti, poiché essi sono attivati anche
da movimento, forma e disposizione degli oggetti inanimati ( che
ovviamente, tra l’altro, include anche il nostro ambiente costruito: le
forme architettoniche si trovano così ad esprimere uno stato d’animo).
E non è forse questo un possibile modo attraverso cui, come diceva MP
posso toccare efficacemente un fenomeno, poiché esso trova una eco in
me, poiché si accorda con una con una certa natura della mia
conoscenza, dal momento che “l’organo che gli si fa incontro è
sincronizzato con esso?”

A questo proposito, di particolare interesse risulta la teoria sulla


“simulazione incarnata” , proposta da Gallese e Lakoff in seguito alle
ricerche sui neuroni specchio: essi affermano che gran parte della nostra
conoscenza concettuale è incarnata, nel senso che è neurologicamente
mappata nel sistema sensori-motorio, con i nostri circuiti neurali
simuliamo le azioni altrui nelle stesse aree del cervello utilizzate per
compiere le nostre azioni, e spesso ciò avviene a livello inconsapevole o
precognitivo.
Gallese:“La simulazione incarnata costituirebbe così una fondamentale
modalità di apertura al mondo in grado di unificare a livello corporeo le
diverse esperienze che facciamo dei molteplici mondi reali e immaginari
che abitiamo, incluso il mondo della creatività artistica umana”.
Tutto questo si lega quindi anche ai temi dell’arte e dell’architettura,
poiché facendo esperienza di un’opera empatizziamo veramente con
essa: fisiologicamente ed emotivamente , ne simuliamo forme e materiali
con i nostri corpi, e solo in un secondo momento arriviamo alla
consapevolezza di ciò di cui abbiamo fatto esperienza, giudicandone la
piacevolezza (o meno).

L’edificio, come l’ambiente, diventa così multisensoriale, nella cascata di


impressioni che genera, e l’architettura diventa esperienza incarnata con
cui siamo in contatto fisico, e dove l’enfasi va al sentire: le cose ci
appaiono come azioni potenziali.
O, come sosteneva MP, all’interno del spazio, il corpo diventa un
sistema di azioni possibili, vi delinea un habitat e lo stesso livello
spaziale appare quando c’è una sincronizzazione tra le mie intenzioni
motorie e il mio campo percepito.
MP parla di presa del mio corpo sul mondo, e ciò si verifica quando la
percezione mi offre uno spettacolo vario e articolato e quando le mie
risposte motorie ricevono dallo spazio le risposte attese. Possiamo dire
quindi che legame che si crea tra il corpo e il mondo, ma anche tra il
corpo e lo spazio sia di compenetrazione e di reciproco
scambio,rafforzando quindi, anche il concetto espresso dallo psicologo
Gibson di “Affordance”, inteso come modalità di movimento attiva, in cui
le cose ci appaiono, appunto come “azioni potenziali”, in relazione
all’uso e al piacere che offrono.
Un’altra posizione vicina a MP è quella del sociologo Ingold il quale,
delineando una teoria dell’embodiment, definisce il nostro rapporto col
modo come quello di un organismo nel-suo-ambiente, che si sviluppa di
continuo tramite i suoi movimenti.
Anche qui torna quindi il ruolo del corpo in relazione alla spazialità e al
suo essere al mondo.

A mio avviso, queste prospettive si accordano piuttosto bene alla tesi di


MP, secondo cui non ci sarebbe conoscenza senza un adattamento del
corpo, ma che, tuttavia, ciò avviene “ alla periferia del mio essere”,
senza che abbia effettivamente coscienza di essere il vero soggetto
della mia sensazione.
Le sensazioni e le qualità sensibili si presentano strettamente legate
all’ambito motorio, MP fa infatti notare come ci sia un
accompagnamento motorio delle sensazioni, dei “movimenti nascenti”
che creano come un alone intorno ad esse, confermando nuovamente
che aspetto percettivo e motorio sono in comunicazione; ne è un
esempio la percezione del colore con stimoli brevi: prima di essere visto
il colore si annuncia con l’esperienza di un certo atteggiamento del corpo
che gli corrisponde.
Anche Damasio, neurologo e psicologo portoghese, attraverso la sua
ipotesi dei “marcatori somatici”, attraverso cui le risposte emotive e
somatiche che diamo a eventi del passato servono a classificare e
influenzano le risposte e decisioni successive, sostiene che questi sono
immersi e implicati in tutte le nostre attività cognitive e di pensiero, di
conseguenza il corpo reagisce al mondo prima della nostra
consapevolezza e analisi.
In questo senso, la risposta che all’ambiente e all’opera d’arte è
innanzitutto preconscia, emotiva e sensoriale.

A tal proposito, la riflessione di MP riguarda la percezione, che secondo


lui non deve nulla a ciò che sappiamo sul mondo, al ragionamento, al
giudizio, essa è piuttosto un’incessante ricostituzione del mondo, e
quest’ultimo “investe la soggettività come le onde circondano un relitto
sulla spiaggia”.

Senza alcun dubbio, se c’è un ambito artistico che racchiude in sé


infinite possibilità di contatto multisensoriale, che ci permette di cogliere
la cosa nelle sue parti più chiare e allo stesso tempo di percepire
vagamente quelle più segrete, che ci lega all’altro come manifestazione
dell’atto umano e del suo mondo e che ci investe proiettandoci in una
dimensione avvolgente e sempre nuova, questo è l’architettura.
Quindi per concludere, alla luce di quanto detto e per ricondurlo in modo
più diretto al mio percorso di studi, credo che tanto la filosofia quanto la
psicologia e le neuroscienze possano gettare un po’ di luce su delle
tematiche spesso e purtroppo un po’ trascurate nella progettazione ma
che invece, a mio avviso, ne costituiscono il nucleo vitale: perché senza
considerare il modo in cui l’uomo entra in contatto con lo spazio che si
costruisce per lui si da forma, e non vita, a un’opera vuota.

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