36. Co n d il l a c .
5Ó2 TRATTATO SULLE SENSAZIONI
io. Nel 1755 si leggeva: «le cose che sentiamo in modo più forte sono tal
volta quelle più difficili da spiegare ».
ir. Malebranche, De la recherche de la vérité, libro V, cap. XI.
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13. Da sono d'accordo... alla fine del sommario della seconda parte, nell’ed.
1755 si leggeva: Non conosco nessun filosofo che abbia risolto questo problema.
Nessuno ci ha provato e il signor d’Alembert è il primo ad averlo proposto.
« Spetta ad essi (ai metafisici), determinare, se è possibile, quale gradazione os
servi la nostra anima nel primo passo che fa fuori di sé, spinta per così dire e
trattenuta insieme da una massa di percezioni, che da un lato la trascinano verso gli
oggetti esterni, e che dall'altro, appartenendo in senso proprio soltanto ad essa,
sembrano circoscrivere per l’anima uno spazio stretto dal quale esse non le permet
tono di uscire • ».
Ora, non si farà fatica a credere che non è stata fatta una scoperta, quando
l’autore del Discours préliminaire de ¡'Encyclopédie non la conosce, e la con
sidera, al contrario, come una cosa così difficile da metterne in dubbio il successo.
Ma percepiva troppo bene la difficoltà per non trovarne la soluzione, se avesse
avuto occasione di occuparsi di questo problema, come molti altri in cui è riu
scito. Doveva solo analizzare le sensazioni dell’anima, e avrebbe scoperto agevol
mente quelle che la trascinano all’esterno c quelle che la trattengono in se stessa.
Abbiamo provato che, con le sensazioni dell’olfatto, dell’udito, del gusto c
della vista, l'uomo si crederebbe odore, suono, sapore, colore e non acquisterebbe
nessuna conoscenza degli oggetti esterni. Ci rimane da analizzare le sensazioni
del tatto.
Consideriamo dunque un uomo che cominciasse a esistere. Finché resterà im
mobile, proverà solo le sensazioni che l’aria che lo circonda gli può dare. Avrà
caldo o freddo, proverà piacere o dolore. Ma si tratta ancora soltanto di modifi
cazioni che restano, per così dire, concentrate nella sua anima. Da esse non impa
rerà nulla, se c’è aria che lo circonda, nemmeno se ha un corpo. Non saprebbe
farc nessuna supposizione a questo proposito, il suo limite è sentire solo se stesso.
non può sentire nessun'altra cosa.
La sua mano si muove e si porta su differenti corpi: immediatamente, alle
sensazioni di caldo e di freddo si unisce la sensazione di solidità o di resistenza.
Appena queste sensazioni sono unite, quest’uomo può sentirsi solo se sente
nello stesso tempo qualcosa di diverso da sé. Poiché il caldo e il freddo continuano
a essere modificazioni della sua anima, diventano anche modificazioni di qualcosa
di solido. Quindi si riferiscono insieme all’anima e agli Oggetti esterni, si portano
su questi oggetti e trascinano con essi stessi l’anima.
La sensazione di solidità è dunque la sola che costringe l’uomo a uscire fuori
di sé, e da essa cominciano, dal punto di vista dell’uomo, il proprio corpo, gli og
getti, lo spazio.
In effetti, rifiutate all’uomo questa sola sensazione e accordategli tutte le altre,
non prenderà coscienza di sé, gli parrà di essere più cose alla volta. Sentirà che
si moltiplica, che si ripete, che si riproduce, per così dire, fuori di sé. Giudicherà di
essere uno perché in ogni sensazione riconosce il proprio io, giudicherà di essere
più di uno perché l’io cambia da una sensazione all’altra.
Ecco parecchie sensazioni coesistenti, c questa è già una condizione prelimi
nare al fenomeno dell’estensione, ma non è abbastanza per produrla. L'idea del
l’estensione suppone non soltanto che parecchie cose coesistano, suppone anche che
si leghino, si limitino reciprocamente e si circoscrivano. Ora, si tratta di una pro
prietà che non hanno le sensazioni alle quali limitiamo quest’uomo: esse si presen
tano invece a lui come isolate.
Ma se gli accordiamo la sensazione di solidità, immediatamente, le maniere
d’essere fanno resistenza le une alle altre. Si escludono, si limitano reciprocamente,
e quest’uomo sente in esse le differenti parti del proprio corpo.
La sensazione di solidità è interrotta o continuata. Finché non è interrotta,
la mano raccoglie e circoscrive in uno spazio solido tutte le sensazioni che prova,
e giudica che tocca un solo corpo. Ma tutte le volte che la sensazione di solidità
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to, del gusto e della vista l’uomo crederebbe di essere odore, suo
no, sapore, colore e non potrebbe conoscere in nessun modo gli
oggetti esterni.
È ugualmente certo che col senso del tatto sarebbe altrettanto
ignorante se rimanesse immobile. Percepirebbe soltanto le sensa
zioni che l’aria circostante può produrre su di lui : avrebbe caldo
o freddo, proverebbe piacere o dolore e queste sono maniere d’es
sere nelle quali non potrebbe percepire né l’aria che Io circonda né
nessun altro corpo, vi sentirebbe soltanto se stesso.
Occorrono tre cose perché quest’uomo giudichi che ci sono
corpi: l’una, che le sue membra siano determinate a muoversi,
l’altra che tocchi con la sua mano, principale organo di tatto, se
stesso e ciò che lo circonda e l’ultima che, fra le sensazioni che la
è interrotta, la mano circoscrive spazi solidi nei quali raccoglie certe sensazioni, e
di conseguenza distingue corpi differenti.
Così, costretti dalla sensazione di solidità a riferire le nostre sensazioni al
l’esterno, produciamo il fenomeno dello spazio e dei corpi.
Ecco, penso, la soluzione del problema proposto dal signor D’Alembert. Non
l’avremmo trovata, se non avessimo considerato separatamente i nostri sensi e le
nostre sensazioni.
Del resto, il signor D’Alembert esamina solo occasionalmente questo problema.
In questi casi si corre il rischio di ingannarsi: se ci si accontenta di partire dalle
idee ricevute, non si approfondisce quanto si sarebbe in grado di fare. Per questo
motivo lo stesso filosofo che ha così ben visto la generazione delle scienze, si è
lasciato sfuggire una cosa molto più facile da vedere, e ha detto che •• non essen
doci nessun rapporto tra ciascuna sensazione e l'oggetto che a questa dà occasione,
o almeno al quale la riferiamo, non sembra che si possa trovare col ragionamento
un modo di passare dall’una all’altra: c’è solo una specie di istinto, più sicuro della
stessa ragione, che possa farci superare un così grande intervallo.
Mi pare che per scoprire questo passaggio non è necessario ragionare, basta
toccare. Poiché la sensazione di solidità ha, insieme, due rapporti, l’uno con noi
e l’altro con qualcosa di esterno, è come un ponte gettato tra l'anima e gli oggetti:
le sensazioni passano e l'intervallo s'annulla.
La seconda parte del Trattato sulle sensazioni espone questa verità, sviluppan
do gradatamente tutte le sensazioni che dobbiamo al tatto. Fa vedere come la sta
tua impara a distinguere i corpi e a conoscere il proprio: spiega l’origine e la gene
razione di tutte le idee che il tatto può dare sulle grandezze, le figure, le situa
zioni, le distanze, lo spazio, la durata, l’immensità, l’eternità. Mostra con eviden
za tutte le cause che possono determinare, rallentare, sospendere, eccitare i movi
menti della statua: la conduce di conoscenze in conoscenze, facendola passare di
bisogni in bisogni. In una parola, è una concatenazione di cause e di effetti, in cui
tutto è perfettamente legato. Ma questi oggetti sono sviluppati da una serie di ana
lisi, che è impossibile racchiudere in un trattato.
14. Nel 1755 il sommario della terza parte cominciava con i due capoversi
seguenti, soppressi in seguito:
Si legge ncU'Encyclopedic: « È più che evidente che il termine colore non
indica nessuna proprietà del corpo, ma soltanto una modificazione della nostra ani
ma; che la bianchezza, per esempio, il rossore ecc. esistono solo in noi, e non esi
stono affatto nei corpi ai quali li riferiamo, almeno per un’abitudine contratta fin
57° TRATTATO SULLE SENSAZIONI
tanti punti distinti quanti ce ne sono sulle superfici dalle quali fos
sero riflessi.
In tal caso ci abitueremmo presto a estendere gli odori sugli og
getti, e i filosofi non mancherebbero di dire che l’odorato non ha
bisogno delle lezioni del tatto per percepire grandezze e figure.
Dio avrebbe potuto stabilire che i raggi di luce fossero causa
occasionale degli odori, come lo sono dei colori. Ora, mi pare fa
cile comprendere che, in un mondo in cui questo si verificasse, gli
occhi potrebbero come qui imparare a giudicare grandezze, figu
re, situazioni e distanze.
I lettori che ragionano si arrenderanno, credo, a queste ultime
riflessioni. Quanto a quelli che sanno decidersi solo in base alle
proprie abitudini, non c’è niente da dire. Troveranno indubbia
mente molto strane le supposizioni che ho appena fatto.
Questi sono i principi sui quali verte la terza parte del Trat
tato sulle sensazioni. Basti qui averli stabiliti. Si rimanda all’opera
stessa per un maggiore sviluppo e per le conseguenze che se ne
traggono. Vi si vedranno soprattutto le idee che risultano dalla
collaborazione dei cinque sensi.