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Co n d il l a c , Trattato sulle sensazioni,

in Opere, trad. di G. Viano, Torino, UTET 1976

ESTRATTO RAGIONATO DAL TRATTATO


SULLE SENSAZIONI

Lo scopo principale di quest’opera è fare vedere come tutte


le nostre conoscenze e tutte le nostre facoltà derivino dai sensi,
o, per parlare più esattamente, dalle sensazioni : infatti, in verità,
i sensi ne sono soltanto la causa occasionale. Essi non sentono, solo
l’anima sente attraverso gli organi, e dalle sensazioni che la modi
ficano trae tutte le conoscenze e tutte le facoltà.
Questa ricerca può contribuire infinitamente agli sviluppi del
l’arte di ragionare, essa sola può svilupparla fin dai primi princìpi.
In effetti, non scopriremo una maniera sicura di guidare costan
temente i nostri pensieri, se non sappiamo come si sono formati.
Che cosa ci si può attendere da quei filosofi che ricorrono conti
nuamente a un istinto che non sarebbero in grado di definire? Ci
illuderemo di poter prosciugare la fonte dei nostri errori, finché
la nostra anima agirà così misteriosamente? occorre dunque che
osserviamo noi stessi fin dalle prime sensazioni che proviamo, oc
corre distinguere la ragione delle nostre prime operazioni, risa
lire all’origine delle nostre idee, rintracciarne la genesi, seguirle fino
ai limiti che la natura ci ha prescritto: in una parola occorre,
come dice Bacone, rinnovare tutta l’intelligenza umana.
Ma, mi si obietterà, è detto tutto, quando si è ripetuto con
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Aristotele che tutte le nostre conoscenze provengono dai sensi1.


Non esiste uomo d’ingegno che non sia capace di trarre questa
conseguenza che credete così necessaria e nulla è così inutile quan
to indugiarsi con Locke su questi particolari. Aristotele mostra
molto più genio, quando si accontenta di racchiudere tutto il si
stema delle nostre conoscenze in una massima generale.
Aristotele, sono d’accordo, era uno dei più grandi geni dell’an
tichità, e quelli che fanno questa obiezione hanno indubbiamente
molto ingegno. Ma per convincersi di quanto siano poco fondati
i rimproveri che muovono a Locke, e di quanto sarebbe loro utile
studiare questo filosofo invece di criticarlo, basta sentirli ragionare
0 leggere Ie l°r0 opere, se hanno scritto di argomenti filosofici.
Se questi uomini unissero a un metodo esatto molta chiarezza,
molta precisione, avrebbero un certo diritto di considerare inutili
gli sforzi che fa la metafisica, per conoscere lo spirito umano,
ma potrebbero essere chiaramente sospettati di stimare così pro
fondamente Aristotele solo per poter disprezzare Locke e di di
sprezzare quest’ultimo solo con la speranza di screditare2 tutti i
metafisici.
Da molto tempo si dice che tutte le nostre conoscenze deri
vano dai sensi. Tuttavia i Peripatetici erano così lontani dal cono
scere questa verità, che, nonostante l’ingegno che parecchi di loro
avevano avuto in sorte, non l’hanno mai saputa sviluppare, e dopo
parecchi secoli non l’avevano ancora scoperta.
Spesso un filosofo si dichiara per la verità senza conoscerla:
ora segue la corrente, l’opinione del gran numero, ora, più ambi
zioso che docile, resiste, combatte e talvolta arriva a trascinare la
moltitudine.
Così si sono formate quasi tutte le sètte, ragionavano spesso a
caso, ma bisognava pure che talvolta3 alcune avessero ragione, vi
sto che si contraddicevano sempre4.
Ignoro quale sia stato il motivo che spinse Aristotele e esporre
il principio sull’origine delle nostre conoscenze. Ma ciò che so
è che non ci ha lasciato nessuna opera in cui questo principio

1. Aristotele, De anima, III, 4, 430 a, 1.


2. L'ed. 1755 recava: « scrittori più moderni ».
3. Talvolta mancava nell'ed. 1755.
4. Sempre mancava nell’ed. 1755.
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sia sviluppato, e che, d’altra parte Aristotele cercava di essere com


pletamente contrario alle opinioni di Patone.
Immediatamente dopo Aristotele viene Locke; infatti non bi
sogna contare gli altri filosofi che hanno scritto sullo stesso argo
mento. Questo inglese vi ha senza dubbio profuso molta luce, ma
vi ha lasciato anche oscurità. Vedremo che la maggior parte dei
giudizi che si mescolano a tutte le nostre sensazioni gli sono sfug
giti, che non ha conosciuto quanto bisogno abbiamo di imparare a
toccare, a vedere, a sentire, ecc., che tutte le facoltà dell’anima gli
sono parse qualità innate e che non ha sospettato che potessero
trarre la propria origine dalla stessa sensazione.
Egli era così lontano dall’abbracciare in tutta la sua estensione
il sistema dell’uomo, che senza Molyneux, probabilmente, non
avrebbe mai avuto occasione di osservare che alle sensazioni della
vista sono mescolati giudizi. Nega espressamente che avvenga
la stessa cosa per gli altri sensi. Credeva dunque che ce ne servia
mo naturalmente, per una specie di istinto, senza che la riflessione
abbia contribuito a darcene l’uso.
Il signor di Buflon, che ha tentato di fare la storia dei nostri
pensieri5, suppone improvvisamente nell’uomo che immagina, abi
tudini che avrebbe dovuto fargli acquistare. Non ha conosciuto
attraverso quale successione di giudizi ogni senso si sviluppa. Di
ce che negli animali l’odorato è il primo senso, che da solo occu
perebbe in essi il posto di tutti gli altri e che, fin dai primi mo
menti, prima, di conseguenza, di aver ricevuto lezioni dal tatto,
determina e dirige tutti i loro movimenti.
11 Trattato sulle sensazioni è la sola opera in cui si sia spo
gliato l’uomo da tutte le sue abitudini. Osservando il sentire alla
sua nascita, si dimostra come acquistiamo l’uso delle nostre facoltà,
e quelli che avranno ben afferrato il sistema delle nostre sensa
zioni si troveranno d’accordo che non è più necessario ricorrere
alle parole vaghe d’istinto, di movimento automatico, e di altri
simili, o6 che almeno, se li usa, ci si potrà fare di esse idee precise.

5. Georges Louis Ledere conte di Buffon (1707-1788). L'Histoire naturelle, di


cui apparvero i tre primi volumi nel 174$, ottenne un grande successo; suscitò
tuttavia l’ira dei teologi della Sorbona che denunciarono come eretiche alcune asser
zioni di Buffon intorno alla creazione.
6. Nel 1755 questa frase mancava.
TRATTATO SULLE SENSAZIONI 557

Ma per raggiungere lo scopo di quest’opera, occorreva assolu


tamente mettere sotto gli occhi il principio di tutte le nostre opera
zioni, che così non si perdono mai di vista. Basterà indicarlo in
questo estratto.
Se l’uomo non fosse assolutamente interessato a occuparsi delle
proprie sensazioni, le impressioni che gli oggetti farebbero su di
lui passerebbero come ombre e non lascerebbcro tracce. Dopo pa
recchi anni sarebbe come al primo istante, senza aver acquisito nes
suna conoscenza, e senza avere facoltà diverse dal sentire. Ma la
natura delle sue sensazioni non gli permette di restare seppellito
in questo letargo. Poiché sono necessariamente piacevoli o spiace
voli, è interessato a cercare le une e a sottrarsi alle altre e più è
vivace il contrasto delle pene e dei piaceri, più dà occasione al
l’anima di agire.
Allora la privazione di un oggetto che giudichiamo necessa
rio alla nostra felicità ci dà quel disagio, quella inquietudine che
chiamiamo bisogno, dal quale nascono i desideri. Questi bisogni
si ripetono secondo le circostanze, spesso se ne formano alcuni
nuovi e questo sviluppa le nostre conoscenze e le nostre facoltà.
Locke è il primo ad aver notato che l’inquietudine causata
dalla privazione di un oggetto è il principio delle nostre determi
nazioni. Ma egli fa nascere l’inquietudine dal desiderio. Avviene
esattamente il contrario. D’altra parte mette tra il desiderio e la
volontà più differenza di quanta non ce ne sia in effetti. Infine
considera l’influenza dell’inquietudine solo in un uomo che ha
l’uso di tutti i sensi e l’esercizio di tutte le sue facoltà.
Restava dunque da dimostrare che questa inquietudine è il
principio primo che ci dà le abitudini di toccare, di vedere, di
ascoltare, di sentire, di gustare, di confrontare, di giudicare, di
riflettere, di desiderare, di amare, di odiare, di temere, di sperare,
di volere: per essa, in una parola, nascono tutte le abitudini del
l’anima e del corpo.
Per questo era necessario risalire più in alto di quanto non
abbia fatto questo filosofo. Ma nell’impotenza in cui ci troviamo
di osservare i nostri primi pensieri e i nostri primi movimenti,
bisognava indovinare e, di conseguenza, bisognava fare differenti
supposizioni.
55« TRATTATO SULLE SENSAZIONI

Tuttavia non era ancora abbastanza risalire alla sensazione. Per


scoprire lo sviluppo di tutte le nostre conoscenze e di tutte le no
stre facoltà, era importante distinguere ciò che dobbiamo a ogni
senso, ricerca che non era stata ancora tentata. Da ciò si sono for
mate le quattro parti del Trattato sulle sensazioni.
La prima, che tratta dei sensi che di per sé non giudicano gli
oggetti esteriori.
La seconda, del tatto, o del solo senso che giudica di per sé
gli oggetti esteriori.
La terza, del modo in cui il tatto insegna agli altri sensi a giu
dicare gli oggetti esterni.
La quarta, dei bisogni, delle idee e dell’operosità di un uomo
isolato che gode di tutti i propri sensi.
Tale esposizione mostra evidentemente che lo scopo di que
st’opera è far vedere quali sono le idee che dobbiamo a ogni senso
e come, quando si uniscono, ci danno tutte le conoscenze necessa
rie alla nostra conservazione.
Dalle sensazioni nasce dunque tutto il sistema dell’uomo: si
stema completo le cui parti sono tutte legate e si sostengono reci
procamente. È una concatenazione di verità : le prime osservazioni
preparano quelle che devono seguirle, le ultime confermano quel
le che le hanno precedute. Se, per esempio, leggendo la prima par
te, si comincia a pensare che l’occhio potrebbe pure non giudicare
di per sé grandezze, figure, situazioni e distanze, si è compieta-
mente convinti, quando si impara nella terza parte in che modo il
tatto dà all’occhio tutte queste idee.
Se questo sistema poggia su supposizioni, tutte le conseguenze
che se ne traggono sono testimoniate dalla nostra esperienza. Non
c’è uomo, per esempio, limitato all’odorato: un simile animale non
sarebbe in grado di vegliare sulla propria conservazione. Ma, per
dimostrare la verità dei ragionamenti che abbiamo fatto osservan
dolo, basta che un po’ di riflessione su noi stessi ci faccia ricono
scere che potremmo dovere all’odorato tutte le idee e tutte le fa
coltà che scopriamo in quest’uomo, e che con questo solo senso non
ci sarebbe possibile acquistarne altre. Ci si sarebbe potuti acconten
tare di considerare l’odorato facendo astrazione dalla vista, dal
l’udito, dal gusto e dal tatto: se si sono immaginate supposizioni,
è perché rendono questa astrazione più facile.
TRATTATO SULLE SENSAZIONI 559

SOMMARIO DELLA PRIMA PARTE

Locke distingue due fonti delle nostre idee, i sensi e la rifles


sione. Sarebbe più esatto riconoscerne una soltanto, sia perché la
riflessione nel suo principio è la sensazione stessa, sia perché è
più il canale attraverso il quale le idee derivano dai sensi che la
fonte delle idee stesse.
Questa inesattezza, per leggera che possa sembrare, diffonde
molta oscurità nel suo sistema : infatti lo mette nell’impossibilità
di svilupparne i principi. (Dosi questo filosofo si accontenta di ri
conoscere che l’anima percepisce, pensa, dubita, crede, ragiona,
conosce, vuole, riflette, che siamo convinti dcll’csistenza di queste
operazioni perché le troviamo in noi stessi e contribuiscono agli
sviluppi delle nostre conoscenze. Ma non ha sentito la necessità
di scoprirne il principio e la genesi, non ha sospettato nemmeno che
potessero essere soltanto abitudini acquisite. Sembra che le abbia
considerate come qualcosa di innato e dice soltanto che si perfe
zionano con l’esercizio.
Cercai nel 17467 di esporre la genesi delle facoltà dell’anima.
Questo tentativo sembrò nuovo e ebbe un certo successo, ma lo
dovette alla maniera oscura in cui l’eseguii. Infatti questa è la
sorte delle scoperte sullo spirito umano: la grande chiarezza in cui
sono esposte le fa sembrare così semplici, che si leggono cose di cui
non ti era avuto mai nessun sospetto e si crede tuttavia di non im
parare niente.
Ecco il difetto del Trattato sulle sensazioni. Quando si è letto
nella premessa8 il giudizio, la riflessione, le passioni, tutte le ope
razioni dell'anima, in una parola, sono soltanto la sensazione
stessa che si trasforma differentemente, si è creduto di vedere un
paradosso privo di ogni specie di prova; ma appena la lettura del
l’opera è stata terminata, si è stati tentati di dire, è una verità sem
plicissima e non l’ignorava nessuno. Molti lettori non hanno re
sistito alla tentazione.
Questa verità è l’oggetto principale della prima parte del Trat-

7. Condillac allude al Saggio sull’origine delle conoscenze umane.


8. Cfr. Trattato sulle sensazioni. Piano dell’opera, p. 3.
560 TRATTATO SULLE SENSAZIONI

tato sulle sensazioni. Ma poiché può essere dimostrata consideran


do tutti i nostri sensi insieme, non li separerò per ora e sarà un’oc
casione di presentarla in una nuova luce.
Se molte sensazioni si producono insieme con lo stesso grado
di vivacità o press’a poco, l’uomo è ancora soltanto un animale
che sente: l’esperienza soltanto basta per convincerci che allora
l’insieme delle impressioni impedisce ogni azione allo spirito.
Ma lasciamo persistere una sola sensazione o anche, senza sop
primere completamente le altre, diminuiamone soltanto la forza.
Subito lo spirito è occupato più particolarmente dalla sensazione
che mantiene tutta la sua vivacità, e questa sensazione diventa
attenzione, senza che sia necessario supporre nulla di più nell’ani
ma.
Io sono, per esempio, poco attento a ciò che vedo, non lo sono
affatto se tutti i sensi assalgono la mia anima da tutte le parti; ma
le sensazioni della vista diventano attenzione, dal momento in cui
i miei occhi si offrono da soli all’azione degli oggetti. Tuttavia le
impressioni che provo possono essere allora, e sono talvolta, così
estese, così varie e così numerose, che percepisco una infinità di
cose, senza stare attento a nessuna; ma appena fermo lo sguardo
su un oggetto, le sensazioni particolari che ne ricevo sono l’atten
zione stessa che presto a esso. Così una sensazione è attenzione,
sia perché è sola, sia perché è più viva di tutte le altre.
Se una nuova sensazione acquista maggiore vivacità della pri
ma diventerà a sua volta attenzione.
Ma più la prima ha avuto forza, più l’impressione che ha su
scitato si conserva. L’esperienza lo prova.
La nostra capacità di sentire si divide dunque tra la sensazione
che abbiamo avuto e quella che abbiamo, le percepiamo entram
be insieme, ma le percepiamo differentemente: l’una ci sembra
passata, l’altra ci sembra attuale.
Percepire o sentire queste due sensazioni è la stessa cosa: ora,
questo sentimento prende il nome di sensazioney quando l’impres
sione si produce effettivamente sui sensi, e prende quello di me
moria3 quando questa sensazione, che non si produce effettiva-

9. Nell’ed. 1755 si leggeva: a quando vi si è prodotta e quando non vi si pro


duce più ».
TRATTATO SULLE SENSAZIONI 5 6i

mente, ci si offre come una sensazione che si è già prodotta. La


memoria è dunque soltanto la sensazione trasformata.
Così siamo capaci di due attenzioni : l’una si esercita per mez
zo della memoria e l’altra per mezzo dei sensi.
Dal momento in cui vi è doppia attenzione, vi è comparazione;
infatti stare attenti a due idee o confrontarle è la stessa cosa. Ora,
non si possono confrontarle, senza percepire fra esse alcune diffe
renze o alcune rassomiglianze: percepire simili rapporti è giudi
care. Le azioni di confrontare e di giudicare sono dunque soltanto
l’attenzione stessa: così l’attenzione diventa successivamente at
tenzione, confronto, giudizio.
Gli oggetti che confrontiamo hanno un gran numero di rap
porti, sia perché le impressioni che fanno su di noi sono compieta-
mente differenti, sia perché differiscono soltanto dal più al meno,
sia perché, essendo simili, si combinano differentemente in cia
scuno. In tal caso, l’attenzione che prestiamo a essi, racchiude pri
ma tutte le sensazioni cui danno occasione. Ma se questa attenzio
ne è così divisa, i nostri confronti sono vaghi, afferriamo solo rap
porti confusi, i nostri giudizi sono imperfetti o incerti : siamo dun
que costretti a trasferire la nostra attenzione da un oggetto al
l’altro, considerando separatamente le loro qualità. Dopo aver, per
esempio, giudicato il loro colore, giudichiamo la loro figura, per
giudicare successivamente la loro grandezza; e percorrendo in que
sto modo tutte le sensazioni che provocano in noi, scopriamo at
traverso una successione di confronti e di giudizi, i rapporti che
intercorrono tra gli oggetti, e il risultato di questi giudizi è l’idea
che ci formiamo di ognuno. L’attenzione così guidata è come una
luce che si riflette da un corpo su un altro per rischiararli entrambi,
e la chiamo riflessione. La sensazione, dopo essere stata attenzione,
confronto, giudizio, diventa dunque ancora la riflessione stessa.
Eccone abbastanza per dare un’idea del modo in cui le facoltà
dell’intelligenza sono sviluppate nel Trattato sulle Sensazioni e
per far vedere che non è il desiderio di generalizzare che ci ha
fatto dire che nascono tutte da una stessa origine. È un sistema
che in qualche modo si è creato da sé e questo lo rende solo più
solido. Aggiungerò una parola per chiarire allo stesso modo la ge
nesi delle facoltà della volontà.

36. Co n d il l a c .
5Ó2 TRATTATO SULLE SENSAZIONI

I sentimenti10 che ci sono più familiari sono quelli più difficili


da spiegare. Ne è un esempio ciò che chiamiamo desiderio. Ma
lebranche lo definisce il movimento dell'anima 11 e parla a questo
proposito come tutti. Capita troppo spesso ai filosofi di prendere
una metafora per una nozione esatta. Tuttavia Locke è al riparo
da questo rimprovero, anche se, volendo definire il desiderio, lo
ha confuso con la causa che lo produce. L’inquietudine a dice, che
un uomo sente in sé, per l’assenza di una cosa che potrebbe dargli
piacere se fosse presente, è ciò che si chiama desiderio. Ci si con
vincerà presto che il desiderio è cosa diversa da questa inquieudine.
Ci sono sensazioni indifferenti solo in confronto ad altre, ognu
na è in sé piacevole 0 spiacevole: sentire e non sentirsi bene o
male, sono espressioni del tutto contraddittorie.
Di conseguenza, è il piacere o la pena che, occupando la nostra
capacità di sentire, produce questa attenzione da cui si formano
la memoria e il giudizio.
Non sapremmo dunque di stare male o meno bene di quanto
siamo stati, se non confrontiamo lo stato in cui ci troviamo con
quello attraverso il quale siamo passati. Più facciamo questo con
fronto, più risentiamo questa inquietudine che ci fa giudicare che
è importante per noi cambiare situazione: sentiamo il bisogno di
qualcosa di meglio. Presto la memoria ci ricorda l’oggetto che
crediamo possa contribuire alla nostra felicità, e subito l’azione di
tutte le nostre facoltà si spinge verso questo oggetto. Ora, questa
azione delle facoltà è ciò che chiamiamo desiderio.
Che cosa facciamo effettivamente quando desideriamo? Giu
dichiamo che il godimento di un bene è necessario. Subito la no
stra riflessione si occupa esclusivamente di esso. Se è presente, vi
fissiamo gli occhi su, tendiamo le braccia per afferrarlo. Se è as
sente, l’immaginazione lo richiama e dipinge vivamente il pia
cere di goderne. 11 desiderio è dunque soltanto l’azione delle stes
se facoltà che si attribuiscono all’intelligenza, la quale, essendo de

a. Libro 2°, cap. 20, par. 6.

io. Nel 1755 si leggeva: «le cose che sentiamo in modo più forte sono tal
volta quelle più difficili da spiegare ».
ir. Malebranche, De la recherche de la vérité, libro V, cap. XI.
TRATTATO SULLE SENSAZIONI 563

terminata verso un oggetto dall’inquietudine che causa la sua pri


vazione, determina verso di esso anche l’azione delle facoltà del
corpo. Ora, dal desiderio nascono le passioni, l’amore, l’odio, la
speranza, il timore, la volontà. Tutto ciò è dunque ancora soltanto
la sensazione trasformata.
Si vedranno queste cose in particolare nel Trattato sulle sensa
zioni. Vi si spiega come passando di bisogno in bisogno di desi
derio in desiderio, si formi l’immaginazione, nascano le passioni,
l’anima acquisti da un momento all’altro maggiore attività e si
elevi di conoscenza in conoscenza.
Soprattutto nella prima parte ci si applica a dimostrare l’in
fluenza dei piaceri e delle pene. Non si perde di vista questo prin
cipio nel corso dell’opera e non si suppone mai nessuna operazione
nell’anima della statua, nessun movimento nel suo corpo senza
indicare il motivo che la determina.
Ci si è anche proposti, in questa prima parte, di considerare
separatamente e insieme l’odorato, l’udito, il gusto e la vista, e
la prima verità che ci si presenta, è che i sensi non ci danno di per
sé nessuna conoscenza degli oggetti esterni. Se i filosofi hanno cre
duto il contrario, se si sono ingannati fino a supporre che l’odo
rato da solo potrebbe regolare i movimenti degli animali, è per
ché, senza aver analizzato le sensazioni, hanno considerato effet
to di un solo senso azioni alle quali contribuiscono parecchi sensi.
Un essere limitato all’odorato sentirebbe solo se stesso nelle
proprie sensazioni. Presentategli corpi odorosi, avrà il sentimento
della propria esistenza; non offriteglieli, non si sentirà. Per ciò
che lo riguarda, esiste solo con gli odori, esiste solo negli odori, si
crede e può credersi soltanto gli odori stessi.
Si fatica poco a riconoscere questa verità, quando si tratta solo
dell’odorato e dell’udito. Ma l’abitudine di giudicare con la vista
le grandezze, le figure, le situazioni e le distanze, è così grande,
che non si immagina come ci fosse stato un tempo in cui avrem
mo aperto gli occhi senza vedere come vediamo.
Non era diffìcile prevenire i cattivi ragionamenti che il pre
giudizio farebbe fare a questo proposito: ne avevo fatti io stesso
nel Saggio sull’origine delle conoscenze umane. Non si è creduto
di dovervi rispondere nel Trattato sulle sensazioni, sarebbe stato
perdersi in particolari che avrebbero affaticato i lettori intelligenti.
564 TRATTATO SULLE SENSAZIONI

Si è pensato che le riflessioni che erano state fatte sull’odorato e sul


l’udito avrebbero potuto allontanare tutte le prevenzioni a propo
sito della vista. In effetti basterebbe per ciò ragionare conseguente
mente: ma non è domandare poca cosa quando si hanno pregiu
dizi da combattere.
Se l’odorato e l’udito non danno nessuna idea degli oggetti
esterni, è perché, limitati di per sé a modificare l’anima, non le
mostrano nulla al di fuori. Capita la stessa cosa per la vista : l’e
stremità del raggio che colpisce la retina produce una sensazione,
ma questa sensazione non si riferisce da sé all’altra estremità del
raggio. Essa resta nell’occhio, non si estende oltre l’occhio, e l’oc
chio si trova allora nella stessa situazione di una mano che, nel
primo momento in cui toccasse, afferrerebbe l’estremità di un ba
stone. È evidente che questa mano conoscerebbe soltanto l’estre
mità che impugna, non saprebbe ancora scoprire niente di più
nella propria sensazione. Il capitolo Vili della II parte del Trat
tato sulle sensazioni è stato fatto per mostrare quanto questa com
parazione sia giusta e per preparare a ciò che bisognava ancora dire
sulla vista.
Ma, mi si dirà, l’occhio non ha bisogno di imparare dal tatto
a distinguere i colori. Vede dunque almeno in sé grandezze e fi
gure. Se per esempio si presenta a esso una sfera rossa su fondo
bianco, distinguerà i limiti della sfera.
Distinguerà ,21 Ecco una parola di cui non si sente tutta la for
za. Il discernimento non è una cosa innata. La nostra esperienza
ci insegna che si perfeziona. Ora, se si perfeziona, ha cominciato.
Non bisogna dunque credere che si distingua appena si vede. Se,
per esempio, nel momento in cui vi si mostra un quadro, lo si co
prisse con un velo, non potreste dire ciò che avete visto. Perché?
Avete visto senza discernimento. Un pittore distinguerà in que
sto quadro più cose di voi e me, perché i suoi occhi sono maggior
mente esercitati. Ma sebbene ne distinguiamo meno di lui, ne di-

12. Ndl’cd. 1755 mancavano i due capoversi seguenti: da Distinguerà!... a


non basta vederla, si leggeva: « Rispondo che i colori sono modificazioni semplici
dell'anima, come gli odori, i suoni, il caldo, il freddo. Nessuna di queste sensa
zioni porta con sé l'idea di estensione, e se i colori dipingono grandezze ai nostri
occhi, questo avviene solo dopo che il tatto ci ha insegnato a riferirle all'esterno e
a estenderle su superfici ».
TRATTATO SULLE SENSAZIONI 565

stingueremo più di un bambino, che non ha mai visto quadri e i


cui occhi sono meno esercitati dei nostri. Infine se continueremo
ad andare da quelli che discernono meno a quelli che discernono
meno ancora, giudicheremo che si può cominciare a discernere
qualcosa solo in quanto si guarda con occhi che cominciano a
istruirsi.
Dico dunque che l’occhio vede naturalmente tutte le cose che
fanno una certa impressione su di esso, ma aggiungo che discerne
solo in quanto impara a guardare, e dimostreremo che, per di
scernere la figura più semplice, non basta vederla.
Nulla è più difficile, si dice ancora, che spiegare in che modo
si dovrebbe comportare il tatto per insegnare all'occhio a percepire,
se l’uso di questo ultimo organo fosse assolutamente impossibile
senza l’aiuto del primo} e questa è una delle ragioni che fanno
credere che l’occhio veda di per sé grandezze e figurea. Questa
cosa così difficile sarà spiegata nella terza parte.
Infine l’ultimo argomento della prima parte, è mostrare l’e
stensione e i limiti del discernimento dei sensi di cui essa si occupa.
Vi si vede come la statua, limitata all’odorato, abbia idee parti
colari, idee astratte, idee di numero, quali specie di verità partico
lari e generali conosca, quali nozioni si faccia del possibile e del
l’impossibile e come giudichi la durata con la successione delle sue
sensazioni.
Vi si tratta del suo sonno, dei suoi sogni, del suo io e si dimo
stra che ha con un solo senso il germe di tutte le nostre facoltà.
Da qui si passa all’udito, al gusto, alla vista. Si lascia al let
tore la cura di applicare ad essi le osservazioni che sono state fatte
sull’odorato: ci si ferma solo su ciò che è caratteristico o, se ci si
permette qualche ripetizione, è per ricordare principi che, essen
do messi di tanto in tanto sotto gli occhi, facilitano la compren
sione di tutto il sistema.
Mi basta indicare questi particolari, perché sono sviluppati con
una successione di analisi, di cui un estratto potrebbe dare solo
un’idea molto imperfetta.

a. Lettre sur les aveugles, p. 171.


566 TRATTATO SULLE SENSAZIONI

SOMMARIO DELLA SECONDA PARTE

Da un lato, tutte le nostre conoscenze derivano dai sensi, dal


l’altro, le nostre sensazioni sono soltanto le nostre maniere di es
sere. Come dunque possiamo vedere oggetti fuori di noi? In ef
fetti, sembra che dovremmo vedere solo la nostra anima modifi
cata differentemente.
Sono d’accordo13 che questo problema è stato risolto male nella
prima edizione del Trattato sulle sensazioni. La signorina Ferrand
se ne sarebbe indubbiamente accorta. Sebbene abbia avuto più
parte di me in quest’opera, non ne era contenta, e quando la persi,
trovava che c’era ancora molto da rifare. Ho terminato da solo, e
ho ragionato male, perché non seppi allora formulare lo stato della

13. Da sono d'accordo... alla fine del sommario della seconda parte, nell’ed.
1755 si leggeva: Non conosco nessun filosofo che abbia risolto questo problema.
Nessuno ci ha provato e il signor d’Alembert è il primo ad averlo proposto.
« Spetta ad essi (ai metafisici), determinare, se è possibile, quale gradazione os
servi la nostra anima nel primo passo che fa fuori di sé, spinta per così dire e
trattenuta insieme da una massa di percezioni, che da un lato la trascinano verso gli
oggetti esterni, e che dall'altro, appartenendo in senso proprio soltanto ad essa,
sembrano circoscrivere per l’anima uno spazio stretto dal quale esse non le permet
tono di uscire • ».
Ora, non si farà fatica a credere che non è stata fatta una scoperta, quando
l’autore del Discours préliminaire de ¡'Encyclopédie non la conosce, e la con
sidera, al contrario, come una cosa così difficile da metterne in dubbio il successo.
Ma percepiva troppo bene la difficoltà per non trovarne la soluzione, se avesse
avuto occasione di occuparsi di questo problema, come molti altri in cui è riu
scito. Doveva solo analizzare le sensazioni dell’anima, e avrebbe scoperto agevol
mente quelle che la trascinano all’esterno c quelle che la trattengono in se stessa.
Abbiamo provato che, con le sensazioni dell’olfatto, dell’udito, del gusto c
della vista, l'uomo si crederebbe odore, suono, sapore, colore e non acquisterebbe
nessuna conoscenza degli oggetti esterni. Ci rimane da analizzare le sensazioni
del tatto.
Consideriamo dunque un uomo che cominciasse a esistere. Finché resterà im
mobile, proverà solo le sensazioni che l’aria che lo circonda gli può dare. Avrà
caldo o freddo, proverà piacere o dolore. Ma si tratta ancora soltanto di modifi
cazioni che restano, per così dire, concentrate nella sua anima. Da esse non impa
rerà nulla, se c’è aria che lo circonda, nemmeno se ha un corpo. Non saprebbe

• Encycl. Disc, prélim. p. 2, e Mélange de littéral, t. I, p 9. « Ma come, dice


ancora il signor D’Alembert (Diet. Encycl. art. corps), la nostra anima si slancia,
per così dire, fuori di sé per arrivare al corpo? Come spiegare questo passo: Hoc
opus, hie labor est? ».
TRATTATO SULLE SENSAZIONI 5*7

questione. Ciò che stupisce maggiormente è che tutti quelli che


hanno preteso di criticarmi direttamente o indirettamente, non
hanno saputo stabilirlo meglio di me, e hanno ragionato altret
tanto male.
Le questioni ben formulate sono questioni risolte : la difficoltà
consiste dunque nel formularle bene, e spesso è grande, soprat
tutto in metafisica. Il linguaggio di questa scienza non ha natural
mente la semplicità dell’algebra, e fatichiamo molto a renderla
semplice, perché il nostro spirito fatica molto a esserlo esso stesso.
Tuttavia formuleremo bene le questioni che trattiamo solo se par
leremo con la più grande semplicità. Ma poiché spesso siamo me
tafisici a causa delle nostre letture, più che a causa della nostra ri
flessione, proponiamo un problema come lo si è proposto, ne par
liamo come se ne è parlato, ed esso resta da risolvere.
Abbiamo provato che con le sensazioni dell’odorato, dell’udi-

farc nessuna supposizione a questo proposito, il suo limite è sentire solo se stesso.
non può sentire nessun'altra cosa.
La sua mano si muove e si porta su differenti corpi: immediatamente, alle
sensazioni di caldo e di freddo si unisce la sensazione di solidità o di resistenza.
Appena queste sensazioni sono unite, quest’uomo può sentirsi solo se sente
nello stesso tempo qualcosa di diverso da sé. Poiché il caldo e il freddo continuano
a essere modificazioni della sua anima, diventano anche modificazioni di qualcosa
di solido. Quindi si riferiscono insieme all’anima e agli Oggetti esterni, si portano
su questi oggetti e trascinano con essi stessi l’anima.
La sensazione di solidità è dunque la sola che costringe l’uomo a uscire fuori
di sé, e da essa cominciano, dal punto di vista dell’uomo, il proprio corpo, gli og
getti, lo spazio.
In effetti, rifiutate all’uomo questa sola sensazione e accordategli tutte le altre,
non prenderà coscienza di sé, gli parrà di essere più cose alla volta. Sentirà che
si moltiplica, che si ripete, che si riproduce, per così dire, fuori di sé. Giudicherà di
essere uno perché in ogni sensazione riconosce il proprio io, giudicherà di essere
più di uno perché l’io cambia da una sensazione all’altra.
Ecco parecchie sensazioni coesistenti, c questa è già una condizione prelimi
nare al fenomeno dell’estensione, ma non è abbastanza per produrla. L'idea del
l’estensione suppone non soltanto che parecchie cose coesistano, suppone anche che
si leghino, si limitino reciprocamente e si circoscrivano. Ora, si tratta di una pro
prietà che non hanno le sensazioni alle quali limitiamo quest’uomo: esse si presen
tano invece a lui come isolate.
Ma se gli accordiamo la sensazione di solidità, immediatamente, le maniere
d’essere fanno resistenza le une alle altre. Si escludono, si limitano reciprocamente,
e quest’uomo sente in esse le differenti parti del proprio corpo.
La sensazione di solidità è interrotta o continuata. Finché non è interrotta,
la mano raccoglie e circoscrive in uno spazio solido tutte le sensazioni che prova,
e giudica che tocca un solo corpo. Ma tutte le volte che la sensazione di solidità
568 TRATTATO SULLE SENSAZIONI

to, del gusto e della vista l’uomo crederebbe di essere odore, suo
no, sapore, colore e non potrebbe conoscere in nessun modo gli
oggetti esterni.
È ugualmente certo che col senso del tatto sarebbe altrettanto
ignorante se rimanesse immobile. Percepirebbe soltanto le sensa
zioni che l’aria circostante può produrre su di lui : avrebbe caldo
o freddo, proverebbe piacere o dolore e queste sono maniere d’es
sere nelle quali non potrebbe percepire né l’aria che Io circonda né
nessun altro corpo, vi sentirebbe soltanto se stesso.
Occorrono tre cose perché quest’uomo giudichi che ci sono
corpi: l’una, che le sue membra siano determinate a muoversi,
l’altra che tocchi con la sua mano, principale organo di tatto, se
stesso e ciò che lo circonda e l’ultima che, fra le sensazioni che la

è interrotta, la mano circoscrive spazi solidi nei quali raccoglie certe sensazioni, e
di conseguenza distingue corpi differenti.
Così, costretti dalla sensazione di solidità a riferire le nostre sensazioni al
l’esterno, produciamo il fenomeno dello spazio e dei corpi.
Ecco, penso, la soluzione del problema proposto dal signor D’Alembert. Non
l’avremmo trovata, se non avessimo considerato separatamente i nostri sensi e le
nostre sensazioni.
Del resto, il signor D’Alembert esamina solo occasionalmente questo problema.
In questi casi si corre il rischio di ingannarsi: se ci si accontenta di partire dalle
idee ricevute, non si approfondisce quanto si sarebbe in grado di fare. Per questo
motivo lo stesso filosofo che ha così ben visto la generazione delle scienze, si è
lasciato sfuggire una cosa molto più facile da vedere, e ha detto che •• non essen
doci nessun rapporto tra ciascuna sensazione e l'oggetto che a questa dà occasione,
o almeno al quale la riferiamo, non sembra che si possa trovare col ragionamento
un modo di passare dall’una all’altra: c’è solo una specie di istinto, più sicuro della
stessa ragione, che possa farci superare un così grande intervallo.
Mi pare che per scoprire questo passaggio non è necessario ragionare, basta
toccare. Poiché la sensazione di solidità ha, insieme, due rapporti, l’uno con noi
e l’altro con qualcosa di esterno, è come un ponte gettato tra l'anima e gli oggetti:
le sensazioni passano e l'intervallo s'annulla.
La seconda parte del Trattato sulle sensazioni espone questa verità, sviluppan
do gradatamente tutte le sensazioni che dobbiamo al tatto. Fa vedere come la sta
tua impara a distinguere i corpi e a conoscere il proprio: spiega l’origine e la gene
razione di tutte le idee che il tatto può dare sulle grandezze, le figure, le situa
zioni, le distanze, lo spazio, la durata, l’immensità, l’eternità. Mostra con eviden
za tutte le cause che possono determinare, rallentare, sospendere, eccitare i movi
menti della statua: la conduce di conoscenze in conoscenze, facendola passare di
bisogni in bisogni. In una parola, è una concatenazione di cause e di effetti, in cui
tutto è perfettamente legato. Ma questi oggetti sono sviluppati da una serie di ana
lisi, che è impossibile racchiudere in un trattato.

•• Disc, prélim. de J’Encycl. p. 2 Mélange, p. 8.


TRATTATO SULLE SENSAZIONI 5Ó9

mano prova, ce ne sia una che rappresenti necessariamente corpi.


Ora, una parte di estensione è un continuo formato dalla con
tiguità di altre parti estese, un corpo è un continuo formato dalla
contiguità di altri corpi e un continuo è formato dalla contiguità
di altri continui. Così ne giudichiamo noi, e non ci è possibile
averne idee diverse, perché possiamo fare l’estensione solo con
l’estensione, e corpi solo con corpi.
Di conseguenza, 0 il tatto non ci darà nessuna conoscenza
dei corpi, o fra le sensazioni che dobbiamo al tatto, ce ne sarà una
che non percepiremo come modo d’essere di noi stessi, ma piut
tosto come il modo d’essere di un continuo, formato dalla conti
guità di altri continui. Siamo dunque costretti a giudicare estesa
questa stessa sensazione.
Se si suppone dunque che la statua ragioni, per passare da
sé ai corpi, si fa una supposizione falsa : infatti certamente non c’è
ragionamento che possa farle valicare questo passaggio e d’altron
de non può cominciare col ragionare.
Ma la natura ha ragionato per la statua: l’ha organizzata per
essere mossa, per toccare e per avere, toccando, una sensazione
che le faccia giudicare che ci sono fuori del suo essere senziente,
continui formati dalla contiguità di altri continui, e di conseguen
za estensione e corpi. Ecco ciò che è sviluppato nella seconda parte
del Trattato sulle sensazioni.

SOMMARIO DELLA TERZA PARTE

Quando14 si dice che l’occhio non vede naturalmente fuori


di sé 15 oggetti colorati, lo stesso filosofo protesta contro una propo
sizione che combatte i propri pregiudizi. Tuttavia tutti riconosco
no oggi che i colori sono soltanto modificazioni della nostra ani

14. Nel 1755 il sommario della terza parte cominciava con i due capoversi
seguenti, soppressi in seguito:
Si legge ncU'Encyclopedic: « È più che evidente che il termine colore non
indica nessuna proprietà del corpo, ma soltanto una modificazione della nostra ani
ma; che la bianchezza, per esempio, il rossore ecc. esistono solo in noi, e non esi
stono affatto nei corpi ai quali li riferiamo, almeno per un’abitudine contratta fin
57° TRATTATO SULLE SENSAZIONI

ma: non è una contraddizione? Si può forse pensare, se si ragiona


conseguentemente, che l’anima percepisce i colori fuori di sé, per
la sola ragione che li prova in se ? Dimentichiamo per un momen
to tutte le nostre abitudini, rivolgiamoci alla creazione del mondo
e supponiamo che Dio ci dica: creerò un’anima alla quale darò
certe sensazioni che saranno solo modificazioni della sua sostanza}
ne concluderemmo che l’anima vedrebbe le proprie sensazioni
fuori di sé? E se Dio aggiungesse che essa le percepirà in quel
modo, non ci domanderemmo come questo potrebbe avvenire?
Ora, l’occhio *6, come l’odorato, l’udito e il gusto è un organo che
si limita a modificare l’anima.
Il tatto istruisce questi sensi17. Appena gli oggetti prendono
sotto la mano certe forme, certe grandezze, l’odorato, l’udito, la
vista e il gusto spargono a gara le proprie sensazioni su di essi, e le
modificazioni dell’anima diventano le qualità di tutto ciò che esiste
fuori di essa.

dall’infanzia: è una cosa molto singolare e degna dell'attcnzione dei metafisici


questa tendenza che abbiamo a riferire a una sostanza materiale e divisibile, ciò
che appararne realmente a una sostanza spirituale c semplice. E nulla è più straor
dinario nelle operazioni della nostra anima che vederla trasportare fuori di sé ed
estendere, per così dire, le proprie sensazioni su una sostanza alla quale esse non
possono appartenere. Comunque sia, non considereremo particolarmente in que
st’articolo il termine colore, in quanto designa una sensazione della nostra anima.
Tutto ciò che potremmo dire su quest’articolo dipende dalle leggi dell'unione del
l’anima e del corpo, che ci sono sconosciute ».
Questo fenomeno che il signor D’Alembert non tenta di spiegare, e che crede
dipendere da leggi che ci sono sconosciute, è uno degli oggetti della terza parte del
Trattato sulle sensazioni. Ciò che dice questo filosofo prova che, nonostante tutto
quello che è stato scritto sulla vista, la nostra tendenza a riferire i colori agli og
getti, è una cosa molto singolare, fra le più straordinarie, e che nessuno ha an
cora spiegato.
15. Fuori di sé mancava nell’cd. 1755.
16. Questa frase mancava nell'ed. 1755; al suo posto erano riportati i due ca
poversi seguenti:
« Ora, l’occhio è un organo che si limita esclusivamente a modificare l’anima;
e le sensazioni che trasmette all’anima non hanno, come la sensazione di solidità,
questo doppio rapporto per cui noi ci sentiamo e sentiamo insieme qualcosa di
esterno a noi. Non ha dunque di per sé la facoltà di vedere oggetti colorati, biso
gna aiutarlo ad acquisirla.
Si ragionerà allo stesso modo sull'odorato e sull’udito, e questa verità avrà an-
che allora il vantaggio di urtare meno i pregiudizi. Così si sono fatti precedere nel
Trattato sulle sensazioni l’odorato e l’udito alla vista ».
17. L’ed. 1755 riportava: «questi sensi, che di per sé hanno solo la pro
prietà di modificare l’anima ».
TRATTATO SULLE SENSAZIONI 571

Contratte queste abitudini, si fa fatica a distinguere ciò che


appartiene a ciascun senso. Tuttavia il loro dominio è ben sepa
rato : solo il tatto ha in sé ciò con cui trasmettere le idee di gran
dezza, di figure ecc., e la vista, priva degli aiuti del tatto, invia
all’anima solo modificazioni semplici che si chiamano colori, come
l’odorato invia solo modificazioni semplici che si chiamano odori.
Nel primo momento in cui l’occhio si apre alla luce, la no
stra anima è modificata: queste modificazioni sono solo in sé, e
non sarebbero in grado di essere ancora né estese né figurate.
Appena una circostanza ci fa portare la mano sugli occhi, il
sentimento che provavamo si indebolisce o svanisce del tutto. Ri
tiriamo la mano, questo sentimento si riproduce. Stupiti, ripetia
mo queste esperienze, e giudichiamo tali sensazioni della nostra
anima sull’organo che la mano tocca.
Ma riferirle a quest’organo, è estenderle a tutta la superficie
esterna che la mano sente. Ecco, dunque che già le modificazioni
semplici dell’anima producono all’estremità degli occhi il feno
meno di qualcosa di esteso: è lo stato in cui si trovò inizialmente
il cieco di Cheselden, quando gli furono abbassate le cateratte.
Per curiosità e per inquietudine portiamo la mano davanti agli
occhi, l’allontaniamo, ravviciniamo e la superficie che vediamo
ci sembra cambiare. Attribuiamo questi movimenti ai cambiamenti
della nostra mano, e cominciamo a giudicare che i colori sono a
una certa distanza dai nostri occhi.
Allora tocchiamo un corpo sul quale la nostra vista si trova
fissata, lo suppongo di un solo colore, azzurro per esempio. In
questa supposizione l’azzurro, che sembrava a una distanza in
determinata, deve effettivamente sembrare alla stessa distanza della
superficie che la mano tocca, e tale colore si estenderà su questa
superficie, come si è prima esteso sulla superficie esterna dell’oc
chio. La mano dice in qualche modo alla vista : l’azzurro è su ogni
parte che tocco, e la vista, a furia di ripetere questo giudizio, si
abitua talmente, che arriva a sentire l’azzurro nel luogo in cui
l’ha giudicato.
Continuando a esercitarsi, si sente animata da una forza che
le diventa naturale, si slancia da un momento all’altro alle più
grandi distanze, maneggia, abbraccia oggetti ai quali il tatto non
può arrivare e percorre lo spazio con una rapidità sorprendente.
572 TRATTATO SULLE SENSAZIONI

È facile comprendere perché l’occhio solo ha sugli altri sensi il


vantaggio di imparare dal tatto a dare estensione alle proprie sen
sazioni.
Se i raggi riflessi non si dirigessero sempre in linea retta in
uno stesso mezzo» se attraversando differenti mezzi non si infran
gessero sempre seguendo leggi costanti, se, per esempio, la più
lieve agitazione dell’aria cambiasse continuamente la loro dire
zione, i raggi riflessi da oggetti differenti si riunirebbero, quelli
che venissero da uno stesso oggetto si separerebbero, e l’occhio non
potrebbe mai giudicare né le grandezze né le forme 18. Perché po
trebbe avere solo sensazioni confuse.
Quand'anche la direzione dei raggi fosse costantemente as
soggettata alle leggi della diottrica, l’occhio si troverebbe ancora
nello stesso caso, se l’apertura della pupilla fosse grande quanto la
retina : infatti allora i raggi che venissero da tutte le parti, lo col
pirebbero confusamente.
In questa supposizione capiterebbe per la vista ciò che capita
per l’odorato: i colori agirebbero su di essa come gli odori sul
naso, e imparerebbe dal tatto solo ciò che ne impara l’odorato.
Scorgeremmo tutti i colori disordinatamente, tutt’al più distin
gueremmo i colori dominanti, ma non ci sarebbe possibile esten
derli su superfici e saremmo molto lontani dal sospettare che que
ste sensazioni fossero di per sé capaci di rappresentare qualcosa di
esteso.
Ma i raggi, a causa del modo in cui sono riflessi, fin sulla re
tina, sono esattamente per l’occhio ciò che due bastoni incrocia
ti sono per le mani. Così c’è una grande analogia tra il modo in
cui vediamo e quello con cui tocchiamo con l’aiuto di due basto
ni, sicché le mani possono dire agli occhi fate come noi, e subito
essi fanno come le mani.
Si potrebbe supporre che l’odorato imparasse a giudicare per
fettamente grandezze, figure, situazioni e distanze. Basterebbe
da un lato sottoporre i corpuscoli odorosi alle leggi della diottrica,
e dall’altro costruire l’organo dell’odorato press’a poco sul mo
dello di quello della vista in modo che i raggi odorosi, dopo es
sersi incrociati all’apertura, colpissero su una membrana interna

18. Ncll’cd. 1755 mancava questa fine di frase.


TMTtKtQ SULLE SENSAZIONI 573

tanti punti distinti quanti ce ne sono sulle superfici dalle quali fos
sero riflessi.
In tal caso ci abitueremmo presto a estendere gli odori sugli og
getti, e i filosofi non mancherebbero di dire che l’odorato non ha
bisogno delle lezioni del tatto per percepire grandezze e figure.
Dio avrebbe potuto stabilire che i raggi di luce fossero causa
occasionale degli odori, come lo sono dei colori. Ora, mi pare fa
cile comprendere che, in un mondo in cui questo si verificasse, gli
occhi potrebbero come qui imparare a giudicare grandezze, figu
re, situazioni e distanze.
I lettori che ragionano si arrenderanno, credo, a queste ultime
riflessioni. Quanto a quelli che sanno decidersi solo in base alle
proprie abitudini, non c’è niente da dire. Troveranno indubbia
mente molto strane le supposizioni che ho appena fatto.
Questi sono i principi sui quali verte la terza parte del Trat
tato sulle sensazioni. Basti qui averli stabiliti. Si rimanda all’opera
stessa per un maggiore sviluppo e per le conseguenze che se ne
traggono. Vi si vedranno soprattutto le idee che risultano dalla
collaborazione dei cinque sensi.

SOMMARIO DELLA QUARTA PARTE

Essendo tutti i sensi addestrati, rimangono soltanto da esami


nare i bisogni che occorre soddisfare per la nostra conservazione.
La quarta parte mostra l’influenza di questi bisogni, in quale or
dine si spingono a studiare gli oggetti che hanno rapporti con noi,
in che modo diventiamo capaci di previdenza e di operosità, le
circostanze che contribuiscono a renderci tali, e quali sono i nostri
primi giudizi sulla bontà e sulla bellezza delle cose. In una parola
si vede come l’uomo, essendo stato prima solo un animale senzien
te, diventa un animale che riflette, capace di vegliare egli stesso
alla propria conservazione.
Termina qui il sistema delle idee cominciato con l’opera. Ne
darò il sommario.
La parola idea esprime una cosa che nessuno, oso dire, ha
ancora spiegato bene. Perciò si discute sull’origine delle idee.
Una sensazione non è ancora un’idea, finché la si considera
574 TRATTATO SULLE SENSAZIONI

solo come un sentimento, che si limita a modificare l’anima. Se


provo effettivamente dolore, non dirò che ho l’idea del dolore, dirò
che lo sento.
Ma, se ricordo un dolore che ho avuto, il ricordo e l’idea sono
allora la stessa cosa, e se dico che mi faccio l’idea di un dolore
di cui mi si parla, e che non ho mai sentito, ne giudico in base a
un dolore che ho provato o in base a un dolore che soffro attual
mente. Nel primo caso l’idea e il ricordo non differiscono ancora.
Nel secondo, l’idea è il sentimento di un dolore attuale, modificato
dai giudizi che ne riporto, per rappresentarmi il dolore di un altro.
Le sensazioni attuali dell’udito, del gusto, della vista e del
l’odorato, sono solo sentimenti, quando ancora questi sensi non
sono stati addestrati dal tatto, perché l’anima allora può soltanto
considerarli modificazioni di se stessa. Ma se questi sentimenti esi
stono solo nella memoria che li ricorda, diventano idee. Non si
dice allora Ho il sentimento di ciò che sono stato, ma, ne ho il ri
cordo o Videa.
La sensazione di solidità, tanto attuale quanto passata, è la so
la, ad essere di per sé, sentimento e idea. È sentimento per il rap
porto che ha con l’anima che modifica, è l’idea per il rapporto
che ha con qualcosa di esterno.
Questa sensazione ci costringe presto a giudicare fuori di noi
tutte le modificazioni che l’anima riceve dal tatto e perciò ogni
sensazione del tatto si trova a rappresentare gli oggetti che la ma
no afferra.
Il tatto, abituato a riferire le proprie sensazioni all’esterno,
fa contrarre la stessa abitudine agli altri sensi. Tutte le nostre
sensazioni ci sembrano le qualità degli oggetti che ci circondano:
esse li rappresentano dunque, sono idee.
Ma è evidente che queste idee non ci fanno conoscere ciò che
gli esseri sono in sé; li dipingono solo per i rapporti che hanno con
noi, e questo basta a dimostrare quanto sono superflui gli sforzi dei
filosofi', che pretendono di penetrare nella natura delle cose.
Le nostre sensazioni si raccolgono fuori di noi, e formano tante
collezioni quanti oggetti sensibili distinguiamo. Di qui due spe
cie di idee : idee semplici, idee complesse.
Ogni sensazione presa separatamente, può essere considerata
come un’idea semplice; ma un’idea complessa è formata da pa-
TRATTATO SULLE SENSAZIONI 575

recchie sensazioni, che riuniamo fuori di noi. La bianchezza di


questa carta, per esempio, è un’idea semplice, e la collezione di
parecchie sensazioni, come la solidità, forma, bianchezza ecc. è
un’idea complessa.
Le idee complesse sono complete o incomplete : le prime com
prendono tutte le qualità della cosa che rappresentano, le ultime
ne comprendono solo una parte. Non conoscendo la natura degli
esseri, non ce n’è nessuno di cui possiamo formarci un’idea com
pleta e dobbiamo limitarci a scoprire le qualità che hanno in rap
porto a noi. Abbiamo idee complete solo in metafisica, in morale
e in matematica, perché queste scienze hanno per oggetto solo
nozioni astratte.
Se si domanda dunque che cos’è un corpo, bisogna rispondere :
è la collezione di qualità che voi toccate, vedete ecc. quando l'og
getto è presente e, quando l’oggetto è assente, è il ricordo delle
qualità che avete toccate, viste ecc.
Qui le idee si dividono ancora in due specie: chiamo le une
sensibili, le altre intellettuali. Le idee sensibili ci rappresentano
gli oggetti che agiscono effettivamente sui nostri sensi; le idee
intellettuali ci rappresentano quelli che sono spariti dopo aver pro
vocato la loro impressione. Queste idee differiscono le une dalle al
tre solo come il ricordo differisce dalla sensazione.
Più memoria si ha, più, di conseguenza, si è capaci di acqui
stare idee intellettuali. Queste idee sono la base delle nostre cono
scenze, come le idee sensibili ne sono l’origine.
Questa base diventa l’oggetto della nostra riflessione, a inter
valli possiamo occuparci esclusivamente di essa e non servirci as
solutamente dei nostri sensi. Perciò appare in noi come se ci fosse
sempre stata: si direbbe che ha preceduto ogni specie di sensa
zione e non sappiamo più considerarla nel suo principio. Di qui
l’errore delle idee innate.
Le idee intellettuali, se ci sono familiari, si richiamano quasi
tutte le volte che vogliamo. Per mezzo loro siamo capaci di giudi
care meglio gli oggetti che incontriamo. Continuamente si con
frontano con le idee sensibili, e fanno scoprire rapporti che sono
nuove idee intellettuali, la cui base di conoscenze si arricchisce.
Considerando i rapporti di rassomiglianza, mettiamo in una
stessa classe tutti gli individui in cui notiamo le stesse qualità,
576 TRATTATO SULLE SENSAZIONI

considerando i rapporti di differenza, moltiplichiamo le classi, le


subordiniamo le une alle altre, ossia le distinguiamo sotto tutti gli
aspetti. Da ciò le specie, i generi, le idee astratte e generali.
Ma non abbiamo nessuna idea generale che non sia stata parti
colare. Un primo oggetto che abbiamo occasione di osservare di
venta un modello al quale riferiamo tutto ciò che a esso rassomi
glia; e questa idea che prima è stata solo singolare, diventa tanto
più generale quanto il nostro discernimento è meno formato.
Passiamo dunque improvvisamente dalle idee particolari a quel
le generalissime, e discendiamo a idee subordinate solo nella mi
sura in cui lasciamo sfuggire meno le differenze delle cose.
Tutte queste idee formano soltanto una catena: le sensibili
si legano alla nozione dell’estensione, di modo che tutti i corpi ci
sembrano soltanto estensione differentemente modificata, le intel
lettuali si legano alle sensibili, da cui traggono la propria origine e
così si rinnovano spesso in occasione della più leggera impressione
che si provochi sui sensi. Il bisogno che ce le ha date è il princi
pio che ce le rende e, se passano e ripassano incessantemente davan
ti allo spirito, è perché i nostri bisogni si ripetono e si succedono
continuamente.
Questo è in generale il sistema delle nostre idee. Per renderlo
così semplice e così chiaro, occorreva aver analizzato le operazio
ni dei sensi. I filosofi non hanno conosciuto questa analisi, e perciò
hanno ragionato male su questo argomentoa.

a. « Quando parliamo delle idee, dice l’autore della Logique de


Port-Royal19, parte I, cap. I, non chiamiamo con questo nome le im
magini che sono dipinte nella fantasia, ma tutto ciò che è nel nostro
spirito, quando possiamo dire con verità che concepiamo una cosa, in
qualunque modo la concepiamo». Si vede quanto sia vago tutto que
sto. Descartes su questo argomento è stato altrettanto confuso. Male-
branche c Leibniz hanno fatto solo sistemi ingegnosi. Locke è riuscito
meglio, ma lascia ancora qualche oscurità perché non ho distinto suffi
cientemente tutte le operazioni dei sensi. Infine il signor di Buffon dice
che le idee sono soltanto sensazioni comparate e non ne dà altre spie
gazioni. Forse è colpa mia, ma non capisco questo linguaggio. Mi pare
che, per confrontare due sensazioni, occorre aver già qualche idea del-
l’una e dell’altra. Ecco dunque idee prima di aver fatto qualche con
fronto.

19. Condillac allude a Arnaud e Nicole.

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