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René Descartes (Renato Cartesio) : La Haye, in Turenna, 1596 - Stoccolma 1650)

Dal 1606 al 1614 frequentò il collegio dei gesuiti di La Flèche, poi studiò a Poitiers. Dopo aver seguito per un
paio d'anni la carriera militare (1618-1620), lasciò le armi, avendo avuto l'intuizione di una nuova logica
applicabile alla scienza. Compì alcuni viaggi in Europa, visse a Parigi dal 1625 al 1628 e si trasferì in Olanda,
dove rimase per venti anni, dedicandosi a studi di fisica e di filosofia. Nel 1649 accolse l'invito della regina
Cristina di Svezia e partì per Stoccolma, dove rimase fino alla morte. Fra le sue opere: Regulae ad
directionem ingenii (1628); Discorso sul metodo (1637); Meditationes de prima philosophia (1641); Principia
philosophiae (1644); Le passioni dell'anima (1649).

1. LA FILOSOFIA, RICERCA DEI PRINCIPI PRIMI


Filosofia, dice Cartesio, significa "studio della Saggezza", ovvero di tutto ciò che lo spirito umano può
conoscere e guidare la sua condotta di vita. La filosofia è come un albero, che ha delle radici (la metafisica o
scienza dei principi primi), un tronco (la fisica o scienza della natura) e dei rami (le varie scienze particolari,
che si riducono a tre principali : la medicina, la meccanica, la morale); i frutti, che si possono cogliere
all'estremità dei rami, hanno tratto nutrimento e valore dalle radici donde si diparte la linfa che circola
nell'intero organismo.
Filosofi propriamente sono quanti ricercano i principi primi, da cui sia possibile dedurre tutto il sapere, il
quale costituisce un unico organismo, perché una é la ragione da cui esso procede. Ma finora tutti quelli
che hanno filosofato hanno supposto dei principi non perfettamente certi, per cui non sono giunti a
conclusioni certe su alcuna cosa. La ragione o buon senso è quel lume naturale, presente in tutti gli uomini,
che ci consente di distinguere il vero dal falso. La diversità delle opinioni non dipende tanto da maggiore o
minore intelligenza, quanto dalla maniera con cui se ne fa uso. Il problema, dunque, é di trovare il giusto
metodo secondo cui condurre la ragione nella ricerca della verità.

2. IL PROGRAMMA DI CARTESIO
Cartesio si propone di ricostruire dalle fondamenta, e senz'altra risorsa che la propria ragione, l'edificio
universale del sapere, il quale, basato su principi certissimi, abbracci sistematicamente tutte le scienze. E in
maniera tale che in ognuna di esse si progredisca indefinitamente nella scoperta della verità, e così si
assicuri il soddisfacimento di tutti i bisogni dell'uomo così nella vita teoretica come nella vita pratica.
La sola facoltà che è in grado di percepire la verità è la ragione, e le operazioni della ragione sono due: 1) l'
intuizione, mediante cui il pensiero immediatamente intende con certezza le verità evidenti ; 2) la
deduzione, mediante cui il pensiero, muovendo da qualcosa conosciuto come certo, conclude a
qualcos'altro come necessario.
A Cartesio sembra che l'ordine proprio della ragione nella ricerca del vero abbia trovato finora la sua
applicazione più rigorosa nella matematica, che ha come fondamento l'intuizione e la deduzione: muove da
pochi principi primi, intuiti nella loro evidenza, quindi di assoluta certezza, e da essi costruisce le
dimostrazioni conseguenti, deducendo un sistema di conclusioni altrettanto certe (ad es.: dal concetto di
triangolo si deduce che la somma dei suoi angoli interni corrisponde a due angoli retti). Perciò il metodo
matematico deve essere validamente applicato a tutte le altre scienze, le quali verrebbero a costituirsi
come una "matematica universale" ( mathesis universalis ). Di conseguenza, Cartesio rifiuta la cultura del
tempo e i sistemi tradizionali impiegati per conseguirla e diffonderla (su base prevalentemente letteraria ed
umanistica) , sottolineando l'importanza della matematica e della fisica.
3. LE REGOLE DEL METODO MATEMATICO
Le regole del metodo di ricerca della verità, secondo intuizione e deduzione, si trovano dunque nell'ambito
della matematica , e sono quattro : a) evidenza, b] analisi, e) sintesi, d) enumerazione e revisione
Coincide con l'intuizione: 1) evidenza: impone, positivamente, di non accettare per vera nessuna idea che
non si presenti alla mente in maniera evidente, ovvero che non appaia chiara (= presente e manifesta ad
uno spirito attento) e distinta (precisa e separata da tutte le altre) ; e, negativamente, di non dare l'assenso
prima che sia raggiunta l'evidenza (il che sarebbe precipitazione) o basandosi su idee preconcette (il che
sarebbe prevenzione).
Corrispondono alla deduzione : 2) analisi : prescrive di scomporre le idee complesse nelle idee semplici,
che non possono essere risolte in altre, e sono di per sé evidenti (p.es.: sono idee semplici la nozione di
unità o il principio che due cose uguali ad una terza sono uguali tra di loro). 3) sintesi: stabilisce di condurre
con ordine i pensieri, muovendo dalle idee più semplici, più facili a conoscere, salendo per gradi a quelle più
complesse e connettendole tutte secondo l'ordine logico che va da principio a conseguenza. 4)
enumerazione e revisione: prescrive di ripercorrere tutti i termini della deduzione (analisi e sintesi), onde
accertarsi che essa sia stata compiuta ordinatamente e non sia stato omesso nessun anello.

4. IL DUBBIO METODICO
Accingendosi alla ricostruzione del sapere, par tendo dalla metafisica, che è la scienza dei principi primi,
Cartesio rigetta ogni conoscenza che si presti al benché minimo dubbio, allo scopo di vedere se non ci si
imbatta in una qualche nozione della cui verità non sia possibile dubitare, così da farne il principio della
ricostruzione filosofica.
E' dunque dubbio metodico in quanto costituisce il procedimento introduttivo (= il metodo) con il quale la
mente umana tende a raggiungere la certezza, a scoprire il vero e fondare un sapere razionalmente
giustificato. Ed è dubbio iperbolico, in quanto è radicale, condotto alla forma estrema: la ricerca
dell'evidenza impone il rifiuto di ogni conoscenza che non sia chiara e distinta e quindi la rinuncia a tutte le
impressioni oscure e incerte.
a) si crede ingenuamente che niente ci sia di più vero di ciò che ci è testimoniato dai sensi. Ma: 1) che i
sensi qualche volta ci abbiano tratto in errore non rende lecito supporre che non esista cosa che sia quale i
sensi ce la rappresentano ? - 2) chi ci garantisce che tutta la vita non sia come uno stato di sogno e che le
cose rappresentate non siano irreali ? b) anche la ragione talora sbaglia e quindi è soggetta a giudicare
falsamente. Del resto è possibile che la mente sia influenzata da un demone maligno che si prenda gioco
dell'uomo facendogli apparire vero ciò che è falso (anche per le evidenze matematiche : per es. la somma
degli angoli interni del triangolo)
Il fatto che il dubbio sia esteso al dubitare stesso conferma il carattere soltanto provvisorio del dubbio
metodico , che non è fine a sé, ma strumento di ricerca della verità: in ciò si distingue dal dubbio degli
scettici che è un risultato acquisito e non superabile, dove essere sicuri del dubbio esprime certezza.

5. LA VERITÀ DEL "COGITO"


Dal dubbio iperbolico deriva una certezza immediata ed evidente: si può dubitare di tutto, ma di
una cosa è impossibile dubitare, cioè del pensiero che dubita, perché dubitare significa pensare e
quindi vuol dire esistere come realtà pensante (che dubita). Tale certezza è affermata con
l'espressione "Cogito, ergo sum": penso, dunque sono.
Il demone maligno può ingannarmi sul contenuto del mio pensiero, ma è impossibile che mi inganni su
questa prima ed inoppugnabile verità: che io, pure ingannato, penso e che perciò esisto come attività
pensante. Questa certezza, aggiunge Cartesio, è "il primo principio della filosofia che cercavo": precede,
condiziona e accompagna l'apprensione di qualsiasi altra verità; paragonabile a quell'unico punto saldo e
immobile, che chiedeva Archimede per togliere il globo terrestre dal suo posto e trasportarlo altrove.
Fu obiettato a Cartesio che il cogito, ergo sum non può avere valore di principio, perché non sarebbe che la
conclusione di un sillogismo, di cui sono taciute le premesse: "tutti coloro che pensano esistono", la
maggiore ; "io penso", la minore; "io esisto", la conclusione. Cartesio rispose che non si trattava di un
ragionamento deduttivo, che affermi l'esistenza (sum) ricavandola dal pensiero {cogito) , perché la ragione
non offre alcuna garanzia di certezza per l'ipotetica influenza ingannatrice del demone maligno. il cogito è
una intuizione luminosa che si impone al soggetto come certezza inconfutabile e che rivela allo stesso
soggetto la sua realtà di essere pensante: l 'uomo intuisce di essere e identifica il suo essere con il suo
pensare, cioè si riconosce come sostanza pensante.

6. DAL COGITO A DIO


Non disponendo di altra certezza oltre quella relativa all'io quale essere pensante, non posso basarmi su
altro che le idee che trovo in me; ma non posso costruire l'intero sistema del sapere perché sussiste ancora
l'ipotesi del demone ingannatore. Se troverò un'idea di cui è impossibile che io sia la causa, avrò trovato
l'unico argomento possibile che mi consentirà di esser certo che non esisto soltanto io; nel contempo avrò
trovato un principio che permetta di superare il soggettivismo e, questo è Dio, infinitamente buono, dal
quale non posso essere soggetto all'inganno, troverò garanzia assoluta di verità.
Si passa così alle tre prove dell'esistenza di Dio, le prime due "a posteriori", l'ultima "a priori" :
1. Dio causa dell'idea di perfezione posseduta dall'uomo - L'uomo nel dubbio acquista coscienza della
propria imperfezione, ma non potrebbe giudicarsi imperfetto se non possedesse l'idea della perfezione alla
quale commisura la propria limitatezza. Tale idea deve necessariamente derivargli da un Essere perfetto
(=Dio) realmente esistente, che contenga in sé altrettanta perfezione quanta ve ne è nell'idea; non può
provenirgli da se stesso né da qualunque altra cosa di meno perfetto, perché il meno non può produrre il
più.
2. Dio causa dell'esistenza umana - L'uomo non può essere autore di se stesso perché, se ne avesse avuto
la possibilità, si sarebbe creato perfetto, possedendo l'idea della perfezione. Né egli può derivare dalle
cose, cioè dalla natura, perché esse hanno un minor grado di perfezione. Perciò l'uomo è creatura di un
Essere perfetto (= Dio), che gli ha dato l'esistenza, anche se limitata e finita, e che in questa vita lo
conserva.
3. L'idea di Dio implica la sua esistenza - Riprendendo la prova ontologica di S. Anselmo d'Aosta, Cartesio
sostiene che l'idea di Dio, cioè di un essere perfettissimo, comporta necessariamente che Dio esiste nella
realtà, non soltanto nella mente; perché nella sua stessa essenza di Essere perfettissimo è incluso
l'attributo dell'esistenza, una delle sue perfezioni. Diversamente sarebbe come pensare un triangolo in cui
la somma degli angoli interni non sia eguale a due retti o immaginare una montagna senza la valle.

7. VERITA' ED ERRORE

La scoperta di Dio è garanzia di verità: Dio non può ingannare l'uomo perché è perfetto, e quindi
infinitamente buono e verace, e non può neanche permettere che venga ingannato da altri (demone
maligno). Perciò la ragione umana, creata da Dio, è sicura di cogliere il vero in tutto ciò che si presenta
come idea evidente, cioè chiara e distinta.
Le verità immutabili che lo spirito umano intuisce in se stesso, impressevi da Dio, sono delle creazioni
arbitrarie della volontà divina, sicché sarebbero potute esser diverse se così Egli avesse voluto. Se esse
sussistessero come verità indipendenti, Dio si troverebbe ad esse sottomesso e la sua perfezione ed
onnipotenza ne sarebbero intaccate. Le leggi della logica, matematica, fisica, morale sono vere e giuste
perché Dio le ha stabilite e non già Dio le ha stabilite così perché vere e giuste.

Alcuni critici, fra cui il Gassendi, rimproverarono a Cartesio di avere ammesso che un'idea evidente è vera
perchè Dio esiste; ma di avere d'altro canto ammesso che Dio esiste, perché ne abbiamo un'idea evidente.
Tuttavia l'accusa di "circolo vizioso" (dimostrare la conclusione con la premessa e la premessa con la
conclusione) potrebbe esser valida solo se l'esistenza di Dio fosse dimostrata come conclusione di una
premessa, mentre si tratta di una intuizione immediata.

L'esperienza dimostra che l'uomo spesso sbaglia : così non sarebbe se si affidasse soltanto alla ragione,
perché si atterrebbe esclusivamente alle idee chiare e distinte e respingerebbe ogni conoscenza oscura e
confusa in attesa che si schiarisse; ma l'uomo, oltre che ragione, è anche volontà , e questa oltrepassa i
limiti dell' intelletto, spingendo l'uomo a sbagliare nelle idee innate per distrazione, e soprattutto (perché
non dipendono direttamente da Dio) nelle idee avventizie e fattizie per la fretta, talora anche per motivi di
interesse e per le passioni. L'errore quindi dipende dalla volontà umana la quale, di conseguenza, è libera.

8. LA CLASSIFICAZIONE DELLE IDEE

L'attività mentale avviene mediante idee, distinte in tre gruppi, secondo la loro origine e la loro qualità:
1) idee innate = nate dentro) quelle presenti nell'anima fino dalla nascita come intuizioni originarie e
perciò non derivate dalle cose: chiare e distinte di per se stesse, offrono certezza assoluta. Tali sono l'idea
dell'io e di Dio ed i principi matematici e logici.
2) idee avventizie (= provenienti da fuori) quelle che derivano dall'esperienza sensibile, ossia le immagini
delle cose esterne: proprio a causa della loro origine non si sa se ad esse corrisponda una realtà e quindi
esse non offrono garanzia di verità oggettiva.
3) idee fattizie o fittizie (dal lat. facio = costruisco o dal lat. fingo = immagino) quelle prodotte dalla
fantasia umana che rielabora in modo bizzarro e assolutamente libero molteplici idee avventizie (es.: l'idea
dell'ippogrifo): esse perciò non contengono alcuna verità.

9. L'ESISTENZA DEL MONDO ESTERNO

Una volta dimostrata l'esistenza di Dio, può essere vinto il dubbio sull'esistenza delle cose corporee: poiché
Dio non è ingannatore e mi ha dato una fortissima inclinazione a credere che le rappresentazioni sensibili
che subisco procedono da cose corporee, la veracità divina mi garantisce che queste esistono realmente;
poi delle cose, considerate nelle proprietà geometriche, ho l'idea chiara e distinta.

Cartesio riprende infatti la distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie:


1) II mondo, per Cartesio, è estensione ed i suoi attributi sono perciò la quantità, la forma, la grandezza, il
movimento, perché essi sono propri della estensione. Tali proprietà geometrico-meccaniche che derivano
dall'estensione sono le qualità primarie che appartengono all'oggetto e costituiscono la sua essenza;
2) le qualità secondarie: colore, sapore, suono, odore, suono, ..., sono il modo con cui il soggetto
percepisce, mediante i sensi, gli elementi quantitativi dei corpi e non sono presenti nelle cose.
Materia quindi si identifica con l'estensione nello spazio secondo lunghezza, larghezza, profondità: tutte le
altre proprietà che percepiamo nella materia si riportano a quella. In essa, che per sua natura è inerte e
perciò priva di qualsiasi impulso, Dio, creandola, ha immesso il movimento che può distribuirsi variamente
nelle diverse parti, ma in complesso non aumenta né diminuisce mai.
Le tre leggi fondamentali della natura: la prima (di inerzia) dice che ogni cosa persevera nello stato (di
quiete o di moto) in cui si trova finché non intervenga una causa esterna; la seconda (del moto rettilineo)
dice che ogni corpo tende a continuare il suo movimento in linea retta; la terza (della conservazione del
movimento) dice che nell'urto di corpi in movimento, la quantità di questo rimane costante.

Cartesio suppone che da un caos originario di parti di materia pressocchè uguali per grandezza e
movimento, la tendenza dei corpi a muoversi in linea retta e l'assenza di vuoto abbiano dato luogo a un
duplice movimento vorticoso: sia di ogni parte intorno al proprio centro, sia di ognuna intorno alle altre.
Dal vario urto e scheggia mento delle parti originarie sarebbero derivati gli elementi di cui sono fatti il sole
e le stelle fisse, i cieli, i pianeti e la terra.

Tutti i fenomeni sono spiegabili solo con il movimento delle parti estese. Sicché il mondo è concepito come
una grandiosa macchina (meccanicismo) da cui forme sostanziali e forze occulte vengono bandite, le
differenze qualitative vengono ricondotte a differenze quantitative.
Dal moto meccanico si determinano tutti i fenomeni fisici. anche del mondo organico. La formazione e il
funzionamento degli organi dei corpi 'animati' ( i vegetali e gli animali, compreso l'uomo) sono spiegabili
senza che ci sia bisogno di ricorrere ad un'anima: è come se si trattasse di automi, tipo quelli che lo stesso
artificio umano sa costruire, solo incomparabilmente meglio organizzati, poiché è Dio che li ha costruiti.

10. L'UOMO

L'uomo si accorge, oltre che di pensare, anche di muoversi, di assumere diverse posizioni e di ricevere
passivamente da fuori impressioni sensoriali che costituiscono le idee avventizie. Questi movimenti non
sono compiuti dal suo spirito, che possiede solo la facoltà di pensare, ma da una realtà corporea o estesa;
Il fatto che posso immaginare e provare sensazioni mi attesta - sempre in dipendenza della veracità divina -
che io ho un corpo.
L'uomo non fa eccezione rispetto agli altri animali per tutte quelle funzioni e proprietà che non dipendono
dal pensiero. Poiché i movimenti dei corpi animali si riconducono al movimento del cuore ed alla
circolazione del sangue, Cartesio dà una spiegazione meccanica di questi fenomeni, basandosi sul maggior
calore di cui il cuore sarebbe dotato rispetto a tutte le altre parti del corpo.
L'io non si trova nel corpo come un pilota nella nave, ma commisto ad esso in un sol tutto. (Se così non
fosse, di una ferita, poniamo, avrei una idea, ma non sentire il dolore): rimane da sapere se anima e corpo
costituiscano un'unica sostanza o due sostanze distinte.

11. DEFINIZIONE DI SOSTANZA

Cartesio comincia col definire come sostanza ciò che esiste di per se stesso e non ha bisogno di
nessun'altra cosa , ossia ciò che è causa sui: essere originario ed autosufficiente che non riceve l'esistenza
da nulla di diverso da sé. Sostanza in senso proprio ed assoluto è soltanto Dio [sostanza prima).
Anche gli esseri finiti, spirituali e materiali, prodotti da Dio, sono considerati sostanze perché, per esistere,
hanno bisogno solo di Dio e, una volta creati ed ordinati, sono autosufficienti. Gli esseri creati sono
sostanze seconde.
Tutto ciò che esiste è costituto da due ordini di sostanze:
1) res cogitans = sostanza pensante, sua caratteristica fondamentale è il pensiero, la cui essenza è la
libertà connessa con la finalità;
2) res extensa = sostanza estesa, suo attributo essenziale è la materia che comporta il meccanicismo, cioè
assenza di libertà e di finalità.
Le due sostanze - rispettivamente appartenenti alla realtà spirituale o materiale - sono perciò eterogenee e
contrapposte, non hanno niente in comune tra di loro. L'io che pensa (res cogitans) non ha bisogno
dell'estensione per esistere e ciò che è esteso (res extensa) non ha bisogno del pensiero per esistere.
Naturalmente Dio, pura attività pensante senza alcuna estensione, è res cogitans.

12. DUALISMO DI ANIMA E CORPO NELL'UOMO

L'uomo è un composto nel quale l'anima (res cogitans , l'io che pensa) è sì strettamente congiunta al corpo
(res extensa) , tuttavia è da esso distinta per natura e può esistere anche senza di esso. La differenza è
confermata dal fatto che mentre il corpo è per natura sempre divisibile in parti, l'anima è una e indivisibile.

Per la loro eterogeneità non si possono spiegare le reciproche influenze; in particolare, non è possibile
comprendere in quale maniera avvengano la conoscenza e l'atto volontario:
a) la conoscenza ha origine da un'azione della res extensa, cioè degli organi corporei, sulla res cogitans, cioè
sull'anima;
b) l'atto volontario si esplica con un'azione della res cogitans, cioè dello spirito, sulla res extensa.

Cartesio ammette la gravità del problema e propone una soluzione che ha scarsa importanza filosofica: egli
ritiene che l'anima risieda nella ghiandola pineale (oggi detta epifisi) e che attraverso questa ghiandola
avvenga il contatto tra l'anima e il corpo: così si spiegherebbero le loro reciproche influenze.

13. MORALE PROVVISORIA

Nell'attesa di raggiungere la verità, non è possibile rimanere inerti. Perciò Cartesio formula una morale
provvisoria, espressa in quattro regole:
a) occorre obbedire alle leggi ed alle usanze del proprio paese, seguire la religione tradizionale e
comportarsi secondo le opinioni più assennate;
b) è necessario essere risoluti nel mettere in pratica le decisioni, una volta adottate;
c) è indispensabile modificare i propri desideri piuttosto che pretendere di cambiare le cose della natura e
l'ordine del mondo;
d) bisogna esaminare attentamente le diverse occupazioni degli uomini per scegliere la più adatta alle
proprie capacità.

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