Cartesio nasce il 31 marzo 1596 nella Touraine, e viene educato nel collegio dei gesuiti.
Egli nel “Discorso sul metodo” critica gli studi condotti, giudicandoli insufficienti per fornire
un orientamento sicuro all’indagine. Riesce poi a trovare la sua via grazie a tre sogni
rivelatori, che suscitano in lui la prima intuizione del suo metodo.
La sua prima vera opera è costituita dalle “Regole per dirigere l’ingegno” (1619-1630).
In questo periodo partecipa alla guerra dei Trent’anni, ma in quanto nobile, gli è permesso
di viaggiare: egli studia matematica e fisica in tutta Europa.
Nel 1628 si trasferisce in Olanda per godere della tipica libertà filosofica e religiosa del
posto e per lavorare in pace. Egli compone un trattato di metafisica e riprende gli studi di
fisica. Ha poi l’idea di scrivere un trattato sul mondo (“Trattato della luce”), in cui sostiene
la dottrina copernicana. Sceglie di divulgarne però solo tre saggi “Diottrica”, “Meteore” e
“Geometria”, a cui premette una prefazione intitolata “Discorsi sul metodo” (1637).
Riprende e conclude il trattato di metafisica che, grazie all’amico Mersenne, viene inviato a
un gruppo di filosofi e teologi, le cui osservazioni sono inserite nell’opera da Cartesio
insieme alle sue risposte.
Cartesio muore a Stoccolma a causa del rigido inverno (polmonite) l’11 febbraio 1650.
Il metodo
Il metodo che Cartesio cerca è sia teoretico che pratico: deve infatti saper distinguere il
vero dal falso in vista dei vantaggi che può portare all’uomo. La filosofia quindi non
deve essere solo speculativa, ma anche pratica, in modo che l’uomo possa renderti
padrone della natura, grazie all’ideazione di congegni capaci di facilitargli la vita.
Il metodo deve essere quindi un criterio di orientamento unico e semplice, che serva
all’uomo in ogni campo teoretico e pratico e che abbia come fine ultimo il vantaggio
dell’uomo nel mondo. Nonostante la sua unicità, il metodo può essere esteso a tutte le
altre discipline.
Per definire il proprio metodo si volge innanzitutto alla matematica, che è già in possesso
del metodo; non è possibile però formulare le regole del metodo dalle regole della
matematica. È necessario giustificarle: si tratta di giustificare il metodo e la possibilità
della sua applicazione universale, riportandolo al suo fondamento ultimo, cioè
all’uomo come soggetto pensante o ragione.
Le regole
1. EVIDENZA – impone di accettare come vero solo ciò che risulta evidente e chiaro
2. ANALISI – per la quale un problema complesso deve essere suddiviso nei suoi
elementi più semplici
3. SINTESI – per la quale si passa dalle conoscenze più semplici alle più complesse
gradualmente
4. ENUMERAZIONE E REVISIONE – per la quale si enumerano tutti gli elementi
individuati con l’analisi e si rivedono tutti i passaggi della sintesi
Il dubbio e il cogito
Cartesio deve giustificare le regole del metodo risalendo alla loro radice: l’uomo come
soggettività o come ragione.
Per trovare il fondamento del metodo è necessario secondo Cartesio operare una critica
di tutto il sapere già dato. Bisogna dubitare di tutto e considerare tutto falso.
Continuando con questa tecnica, si giungerà a un principio che resiste al dubbio e che
sarà il fondamento di tutte le altre conoscenze. In questo principio si troverà quindi la
giustificazione del metodo: da qui il nome dubbio metodico.
Cartesio ritiene che nessuna forma di conoscenza si sottragga al dubbio: innanzitutto si
deve dubitare delle conoscenze sensibili, poiché i sensi possono sempre ingannarci
(sogni). Ci sono però conoscenze che sono sempre vere, come le conoscenze
matematiche, poichè queste possono essere sottratte al dubbio, dal momento che sono
state create da Dio.
PERÒ L’idea che anche le certezze matematiche possano derivare da un’illusione deriva
dalla considerazione che si può sempre supporre che siamo stati creati da un genio
maligno, che si inganna facendoci apparire chiaro ciò che in realtà è falso.
Con questa ipotesi anche le verità logico-matematiche si rivelano dubbie. In tal modo il
dubbio si estende ad ogni cosa e diventa universale: si giunge quindi al dubbio iperbolico.
Io posso ammettere si essere ingannato in tutti i modi possibili, ma per essere ingannato io
devo esistere. La proposizione “io esisto” è quindi la sola assolutamente vera, perché il
dubbio stesso la conferma; infatti può dubitare solo chi esiste (cogito ergo sum).
La proposizione “io esisto” contiene anche una prima indicazione su ciò che sono. Non
posso dire di esistere come corpo, ma posso dire che io esisto come cosa che dubita,
cosa che pensa (res cogitans).
La certezza del mio esistere concerne tutte le determinazioni del mio pensiero. Le cose
sentite possono non essere reali ma certamente è reale il mio pensare. La proposizione “io
esisto” quindi equivale alla proposizione “io sono un soggetto pensante”, cioè spirito,
intelletto o ragione. La mia esistenza di soggetto pensante è certa come non lo è
l’esistenza di nessuna delle cose che penso.
Cartesio risponde affermando che è l’evidenza come criterio di verità a fondarsi sulla
certezza del cogito, intesa come autoevidenza esistenziale che il soggetto ha di se
stesso. L’io infatti è certo di essere una res cogitans perché risulta impossibile e
contraddittorio pensare di non essere una cosa che pensa.
Cartesio risponde affermando che il pensiero, in quando atto o facoltà del pensare, esige
un sostegno: se c’è il pensiero ci deve essere una cosa, sostanza che è definita da questa
attività. Tale è la res cogitans, la “sostanza o anima pensante”, che è immateriale
come il pensiero di cui è soggetto e di cui costituisce l’essenza.
L’ipotesi del genio maligno continua a gravare sul mondo esterno, che, anche se mi
appare come esistente, potrebbe essere il frutto dell’inganno di questa potenza maligna.
Per superare questo ostacolo, Cartesio deve dimostrare l’esistenza di un Dio buono
che non inganna l’uomo.
Cartesio elabora le prove dell’esistenza di Dio con un procedimento a priori, cioè partendo
dal cogito, e precisamente dall’analisi dei contenuti del pensiero (“meditaz. Metafisiche”).
Per capire se a un’idea corrisponde una realtà esterna basta interrogarsi sulla loro causa:
Cartesio però si chiede se è possibile trovare un’idea che sia causata da una realtà
extramentale?
Tutte le idee che possiedo non contengono nulla di così perfetto che non possa essere
stato prodotto da me; ma questo non vale per l’idea di Dio, ovvero l’idea di infinito
(innata). Infatti è impossibile che una realtà finita e imperfetta come la mente umana possa
produrre l’idea di una sostanza infinita, eterna, immutabile, omnisciente. La causa di
questa sostanza dovrà quindi derivare dall’esterno e, in particolare, da una sostanza
ugualmente infinita e perfetta.
La seconda prova parte anch’essa dal cogito; secondo Cartesio, se sono in grado di
riconoscermi come un essere finito e imperfetto, è perché esiste un essere più perfetto
del mio, dal quale io dipendo e dal cui ho acquisito le mie imperfezioni.
Infatti, se io fossi la causa di me stesso, mi sarei dati tutte le perfezioni contenute nell’idea
di Dio. È quindi evidente che il creatore di me stesso non sono io, ma un ente perfettissimo
di cui possiedo l’idea.
La terza prova è la prova ontologica, secondo cui non è possibile concepire Dio come
essere sovranamente perfetto senza ammettere la sua esistenza, perché l’esistenza
è una delle sue perfezioni necessarie.
Con la prova dell’esistenza di Dio, il criterio cartesiano dell’evidenza trova la sua ultima
garanzia. Dio, essendo perfetto e buono, non può ingannarmi; la facoltà di giudizio
(che ho ricevuto da Lui) non può indurmi in errore, se adoperata correttamente.
Questo significa che tutto ciò che appare chiaro ed evidente deve essere vero, perché
Dio lo garantisce come tale.
Dio è quindi una sorta di “termine medio” tra la certezza del nostro io e la certezza delle
evidenze esterne.
La possibilità dell’errore
L’errore non ci sarebbe se mi astenessi dal dare il mio giudizio intorno a ciò che non è
abbastanza chiaro.
L’errore dipende quindi solo dal libero arbitrio che Dio ha dato all’uomo e si può evitare
attenendosi scrupolosamente alle regole del metodo (soprattutto evidenza).
Il dualismo cartesiano
Per quanto riguarda la realtà delle cose corporee, secondo Cartesio, i corpi non hanno
realmente tutte le qualità che noi percepiamo. Infatti fa la distinzione (Galileo – Democrito)
tra proprietà oggettive (grandezza, figura, movimento, durata, quantità) e proprietà
soggettive (colore, sapore, suono) che non esistono nella realtà corporea quindi
corrispondono a qualcosa che non conosciamo.
Ammettendo l’esistenza dei corpi, Cartesio ammette quindi, accanto alla sostanza
pensante che costituisce l’io, una sostanza corporea o estesa. In tal modo, egli divide la
realtà in due zone distinte ed eterogenee:
a) La res cogitans che è incorporea, inestesa, consapevole e libera
b) La res extensa che è corporea, spaziale, inconsapevole e meccanicamente
determinata
Dopo aver tracciato questa divisione, Cartesio si trova di fronte al problema di riunire le
due sostante, spiegando quindi il rapporto tra anima e corpo.
Egli pensa di risolvere questa questione con la teoria della ghiandola pineale (epifisi),
concepita come la sola parte del corpo che, non essendo doppia, può unificare le
sensazioni proveniente dagli organi di senso (sempre a coppia).
La geometria analitica
La “Geometria” è la più importante delle tre opere introdotte dal “Discorso sul metodo” e
costituisce l’atto di nascita della geometria analitica.
L’operazione così richiede solo l’assunzione di un’unità di misura (in modo da poter
interpretare un numero come una distanza) e di una coppia di linee fondamentali (assi
cartesiani) come sistema di riferimento. In questo modo punti, rette e curve possono
essere individuati sul piano mediati procedimenti algebrici.
Il meccanicismo e la vita
Cartesio considera le funzioni vitali come dei fenomeni di natura meccanica: un essere
vivente è solo una macchina, un automa funzionante in virtù dell’inerzia e della
conservazione della quantità di moto.
Egli pensava che gli studi di anatomia del Rinascimento (funzione meccanica dello
scheletro e della muscolatura) e la scoperta della circolazione sanguigna (Harvey)
confermassero la sua interpretazione della vita.
Per Cartesio anche il corpo dell’uomo è una macchina, di cui la res cogitans si serve
come se fosse uno strumento. Secondo questa interpretazione, al momento della morte,
l’anima abbandona il corpo che smette di funzionare.